Grice e Macedo – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Macedo was a philosopher and a friend of Aulo Gellio.
Grice e Machiavelli – il principe – Machiavelli at
Oxford -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “While Strawson
prefers ‘The Prince,’ my favourite Machiavelli is the dialogo, discorso, ovvero
dialogo intorno della lingua –“ Grice: “The full title makes it sound slightly
analytic – ‘whether it should be called ‘florentine, Italian, or tooscana’ I
mean, a stipulation!” -- Grice: “Like me, we can call Machiavelli a philosopher
of language – the trend being very Florentine between Machiavelli and Varchi.”
-- possibly Italy’s greateset philosopher – Noto come il fondatore della
scienza politica moderna, i cui principi base emergono dalla sua opera più
famosa, Il Principe, nella quale è esposto il concetto di ragion di stato e la
concezione ciclica della storia. Questa definizione, secondo molti, descrive in
maniera compiuta sia l'uomo sia il letterato più del termine machiavellico,
entrato peraltro nel linguaggio corrente ad indicare un'intelligenza acuta e
sottile, ma anche spregiudicata e, proprio per questa connotazione negativa del
termine, negli ambiti letterari viene preferito il termine
"machiavelliano". L'ortografia del cognome è, purtroppo,
ambigua: la versione "Macchiavelli", quella della statua a lui
dedicata agli Uffizi, in attesa di chiarimenti dell'Ufficio Culturale del museo
o dell'Accademia della Crusca, andrebbe considerata ugualmente corretta in
lingua italiana. L'analisi della firma del filosofo, riportata qui accanto,
farebbe propendere per la "c" singola[senza fonte]. «Nacqui
povero, ed imparai prima a stentare che a godere.» (N. Machiavelli,
Lettera a Francesco Vettori.) Niccolò Machiavelli (scritto anche Macchiavelli
sulla statua a lui dedicata all'ingresso degli Uffizi) nacque a Firenze, terzo
figlio, dopo le sorelle Primavera e Margherita e prima del fratello Totto; figlio
di Bernardo e di Bartolomea Nelli. Anticamente originari della Val di Pesa, i
Machiavelli sono attestati popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a
Firenze, dove occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre
Bernardo era tuttavia di così poca fortuna da esser considerato, non si sa
quanto veritieramente, figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per
carattere o per necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta
da un suo Libro di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie
sull'infanzia di Niccolò. La madre, secondo un suo lontano pronipote, avrebbe
composto laude sacre, rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio
Niccolò. Cominciò a studiare latino con un certo Matteo, l'anno dopo si
dedicava allo studio della grammatica con Poppi, all'aritmetica e l'anno seguente affrontava le prove scritte
di componimento in latino. Opere in questa lingua esistevano nella biblioteca
paterna: la I Deca di Tito Livio e quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone,
Macrobio, Prisciano e Marco Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio
e la Historia persecutionis vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece
il greco, ma poté leggere le traduzioni di alcuni degli storici più importanti,
soprattutto Tucidide, Polibio e Plutarco, da cui trasse importantissimi spunti
per la sua riflessione sulla Storia. S'interessò alla politica anche prima di
avere degli incarichi istituzionali, come dimostra una sua lettera, la seconda
che di lui ci è pervenutala prima è una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, affinché
si adoperi a riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia
dei Pazziindirizzata probabilmente all'amico Ricciardo Becchi, ambasciatore fiorentino
a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro Girolamo
Savonarola. Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò
Machiavelli: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto
negli affari pubblici; nella successiva nella scrittura di testi di portata
teorica e speculativa. Si apre la seconda fase segnata dal forzato
allontanamento dello storico e filosofo toscano dalla politica
attiva. «Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di
corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe
neri, la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto
ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata,
parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona
fattura, ma soltanto Leonardo, col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi
giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel
fine ambiguo sorriso» (Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli)
Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi. Niccolò aveva già
presentato al Consiglio dei Richiesti, la propria candidatura a segretario
della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un
candidato savonaroliano. Pochi giorni però dopo la fine dell'avventura politica
e religiosa del frate ferrarese, Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto
il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio
maggiore, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo
segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce
essere stato suo maestro. Per quanto i compiti delle due Cancellerie
siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari
esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda
Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà
e pace, consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della
Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, ianche questa ulteriore
responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di
compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il
«Segretario fiorentino». Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura
italiana di Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla
riconquista di Pisaresasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data
in pegno al re di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire
l'espansione fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei
Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e
la mediazione del duca di Ferrara Ercole I, iriconsegnò il Casentino a Firenze,
autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a Pontedera,
dove erano acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano,
alleato di Firenze. In maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa
per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per
fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate
diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o
cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non
solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire,
perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti
si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle
mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli,
vecchi ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i
Pisani voti di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti
sarìa impossibile che reggessero». Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì
alla contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di
Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare
l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo
vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella
difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette
ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando
le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la
via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e
temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo
a togliere l'assedio. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento,
quello che «era il più reputato capitano d'Italia» fu decapitato. Nessuna
prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai Pisani ma la
giustificazione di Machiavelli, a nome della Repubblica, in risposta alle
critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere voluto, sendo
corropto, o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne sono nati per
sua colpa infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o l'altro errore,
o tuct'a due insieme che possono stare, infinito castigo». Conquistato il
Ducato di Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi XII mandò suoi
soldati a risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì abbattute nel
luglio del 1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in città anzi,
lamentando che Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e sequestrarono il
commissario fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato solo dietro
riscatto. A Machiavelli, presente ai fatti, non restava che informare la
Repubblica, che decise di mandarlo in Francia, insieme con Francesco della
Casa, per cercare nuovi accordi che risolvessero finalmente la guerra di
Pisa. Il cardinale di Rouen Georges d'Amboise raggiunsero la corte
francese a Nevers, presentando al re e al ministro, cardinale di Rouen, le
rimostranze per il cattivo comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze
non aveva al momento denari sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono
Luigi a intervenire direttamente nella guerra, al termine della quale la
Repubblica avrebbe ripagato la Francia di tutte le spese. Il rifiuto dei
francesiche richiedevano a Firenze il mantenimento degli svizzeri rimasti
accampati in Lunigiana e minacciavano la rottura dell'alleanzamise i legati
fiorentini, privi di istruzioni dalla Repubblica, in difficoltà, acuite dalla
ribellione di Pistoia e dalle iniziative che frattanto aveva preso in Romagna
Cesare Borgia, i cui ambiziosi e oscuri piani potevano anche indirizzarsi
contro gli interessi fiorentini. Occorreva, pagando, mantenere buoni
rapporti con la Franciascriveva da Tours il 21 novembree guardarsi dalle
macchinazioni del papa: così, ottenuto dalla Signoria il denaro richiesto dalla
Francia, Machiavelli poteva finalmente ritornare a Firenze. Quella lunga
permanenza nella corte francese verrà dislocata negli opuscoli De natura
Gallorum, dove i francesi verranno descritti come «humilissimi nella captiva
fortuna; nella buona insolenti più cupidi de' danari che del sangue vani et
leggieri più tosto tachagni che prudenti», con una bassa opinione degli
Italiani, e nel successivo Ritratto delle cose di Francia, dove, spostandosi su
un piano d'analisi prettamente politica, finisce col fare della Francia
l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli insiste sul nesso fra la
prosperità della monarchia e il raggiunto processo di unificazione nazionale,
sentito come la lezione peculiare delle "cose di Francia".
Cesare Borgia «Questo signore è molto splendido e magnifico, e nelle armi
è tanto animoso che non è sì gran cosa che non gli paia piccola, e per gloria e
per acquistare Stato mai si riposa né conosce fatica o periculo: giugne prima
in un luogo che se ne possa intendere la partita donde si lieva; fassi ben
volere a' suoi soldati; ha cappati e' migliori uomini d'Italia: le quali cose
lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una perpetua fortuna»
(Machiavelli, Lettera ai Dieci) La minaccia del Borgia si fece presto concreta:
fermato dalle minacce della Francia quando tentava d'impadronirsi di Bologna,
si volse contro Piombino, entrando nel territorio della Repubblica e cercando
di imporle tributi, dai quali Firenze fu nuovamente fatta salva dall'intervento
di Luigi. Fra una missione a Pistoia e un'altra a Siena, Niccolò ebbe tempo di
sposare. Marietta Corsini, donna di modesta origine, dalla quale avrà sei
figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero e Baccina. Padrone di
Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del suo sodale Vitellozzo
Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de' Medici, poi delle
terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San Sepolcro e di lì
passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di intavolare
trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due Borgia,
padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. lo stesso
giorno della caduta della città nelle mani di Cesare, partirono per Urbino
Machiavelli e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini, fratello di Piero:
ricevuti, si sentirono ordinare di cambiare il governo della Repubblica, pena
la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie all'intervento delle armi
francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu sgomberata e restituita,
insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento a questi casi è il breve
scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i popoli della Valdichiana
ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento tenuto dagli antichi
Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo fiorentino di non aver
trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa che come i Romani
«fecero giudizio differente per esser differente il peccato di quelli popoli,
così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri ribellati differenza di
peccati giudico ben giudicato che a Cortona, Castiglione, il Borgo, Foiano, si
siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati e vi siate ingegnati riguadagnarli
con i beneficii ma io non approvo che gli Aretini, simili ai Veliterni ed
Anziani non siano stati trattati come loro. I Romani pensarono una volta che i
popoli ribellati si debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia
pericolosissima.» Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e
tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte risoluzioni,
come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu resa vitalizia
la carica di gonfaloniere, affidata a Pier Soderini, che appariva uomo accetto
tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione che egli affidò a
Machiavelli fu quella di prendere nuovamente contatto col Borgia il quale,
formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da quello Stato,
intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della sua famiglia,
stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà d'azione nei suoi
piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti quali gli Orsini, i
Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo stesso Bentivoglio
di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza con la Francia,
Firenzepur diffidando del Valentinointendeva confermargli la sua amicizia, per
non essere investita dai suoi aggressivi disegni. Machiavelli giunse a
Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze non aveva aderito
all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai Vitelli, congiurati a
Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in cambio un'offerta di
alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di Cesare Borgia,
guardava con favore più di quanto non facesse il governo fiorentino. Fu al
seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di campagna militare
e, due ore dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di Oliverotto da
Fermo, ne raccolse le parole «savie e affezionatissime» per i Fiorentini,
invitati nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e Città di
Castello. Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia un
ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario lasciò
il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze. Vitellozzo Vitelli,
ritratto da Luca Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su
muletti ne andorno incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et
Vitellozo disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi
conscio della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et
la passata sua fortuna, qualche ammirationeArrivati adunque questi tre davanti
al duca, et salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto Ma,
veduto il duca come Liverotto vi mancava adciennò con l'occhio a don Michele,
al quale lLeverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non
schapassi Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et
entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et
entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni venuta la
nocte al duca parve di fare admazare
Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe'
strangolare Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino
che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino,
l'arcivescovo di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova,
a dì 18 di giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo
strangolati» (Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino
nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il
duca di Gravina Orsini). La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia delle
risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato di
Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie, mentre
Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato di Pio
III, Machiavelli fu inviato a Roma per il conclave che il 1º novembre elesse
Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la
rovina imminente, e cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo
papa, che egli sperava s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche
erano temute da Firenze. O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o
fia la rovina loro. A Roma gli giunse la notizia della nascita del
secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo
che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi bello»,
gli scrive la moglie Marietta. E Machiavelli, che lungamente in questo scorcio
di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale forse
prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che
sostituisse l'infida soldatesca mercenaria, s'avvia per Firenze. In
Francia Ingresso a Genova di Luigi XII, Le fortune della Francia in
Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal Napoletano ad opera
dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba. Firenze, alleata di Luigi
XII, e timorosa delle prossime iniziative della Spagna, del papa e della nemica
tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci, era interessata a conoscere i
progetti del re e a questo scopo alla sua corte mandò Machiavelli «a vedere in
viso le provvisioni che si fanno e scrivercene immediate, e aggiungervi la
coniettura e iudizio tuo». Machiavelli e a Milano per conferire con il
luogotenente Charles II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in
Lombardia e rassicurò Niccolò sull'amicizia francese per Firenze.
Raggiunse la corte e l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione il 27 gennaio,
ricevendo uguali rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In
marzo ripartiva per Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da
Jacopo d'Appiano, per sondare la posizione di quel signorotto. È di questo
tempo la stesura del suo primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi
degli ultimi dieci anni volta in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se
invoca Apollo nell'esordio del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio
sull'attualità della vicenda politica italiana e su quel che attende
Firenze: «L'imperador, con l'unica sua prole vuol presentarsi al
successor di Pietro al Gallo il colpo ricevuto duole; e Spagna che di Puglia tien
lo scetro va tendendo a' vicin laccioli e rete, per non tornar con le sue
imprese a retro; Marco, pien di paura e pien di sete, fra la pace e la guerra
tutto pende; e voi di Pisa troppa voglia avete. Onde l'animo mio tutto
s'infiamma or di speranza, or di timor si carca tanto che si consuma a dramma a
dramma, perché saper vorrebbe dove, carca di tanti incarchi debbe, o in qual
porto, con questi venti, andar la vostra barca. Pur si confida nel nocchier
accorto ne' remi, nelle vele e nelle sarte; ma sarebbe il cammin facile e corto
se voi el tempio riapriste a Marte» (Decennale primo, vv 529-549) I
tentativi d'impadronirsi di Pisa fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese
il 27 marzo 1505, Firenze doveva anche guardarsi dalle manovre dei signori ai
loro confini. Machiavelli andò a Perugia l'11 aprile per conferire col
Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con Lucca e con Siena, poi a Mantova, per
cercare invano accordi con il marchese Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio
a Siena. In settembre, fallì un nuovo assalto a Pisa e Machiavelli ne trasse
spunto per presentare la proposta della creazione di un esercito cittadino.
Rimasti diffidenti i maggiorenti della cittàche temevano che un esercito
popolare potesse costituire una minaccia per i loro interessima appoggiato dal
Soderini, Machiavelli si mosse per mesi nei borghi toscani a far leva di
soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, Firenze puo vedere la prima
parata di una milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella
successiva conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa
di Prato del 1512. Con la pace concordata con la Francia nell'ottobre
1505, la Spagna, con Ferdinando II d'Aragona, aveva preso definitivamente
possesso del Regno di Napoli. I piccoli stati della penisola attendevano ora le
mosse di Giulio II, deciso a imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel
luglio, il papa chiese a Firenze di partecipare alla guerra che egli intendeva
muovere al signore di Bologna, Giovanni Bentivoglio, che era alleato, come
Firenze, dei francesi, e perciò teoricamente amico, oltre che confinante, dei
Fiorentini. Si trattava di temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa
del papa al quale fu mandato Machiavelli, che lo incontrò a Nepi. Giulio II gli
dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva promesso di inviare
truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli promettere aiuti a sua
voltadopo però che fossero arrivati quelli di re Luigie seguì papa Giulio che,
con la sua corte curiale e pochi armati se n'andava a Perugia, ottenendo, il 13
settembre, la resa senza combattimento di Giampaolo Baglioni che, con stupore e
rimprovero del Machiavelli e, un giorno, anche del Guicciardini, non ebbe il
coraggio di opporsi alle poche forze allora a disposizione del Papa. La corte
papale, dopo aver atteso a Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo
questi, dei Fiorentini di Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11
novembre. Machiavelli, tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò
ancora dell'istituzione delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i
Nove ufficiali dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo,
responsabili militari della Repubblica. In Germania Massimiliano I
d'Asburgo Il nuovo anno si apre con le minacce del passaggio in Italia del «Re
dei Romani» Massimiliano, intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio
sulla penisola, a espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore
del Sacro Romano Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli
l'impresa in cambio della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza
della Repubblica: fu inviato a questo scopo l'ambasciatore Francesco Vettori e
lo stesso Machiavelli. Giunse a Bolzano, dove Massimiliano teneva corte, e le lunghe trattative sull'esborso preteso da
Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani, sconfiggendolo più volte, gli
fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di gloria. Da questa
esperienza Machiavelli trasse tre scritti, il Rapporto delle cose della Magna,
compost il giorno dopo il suo rientro a Firenze, il Discorso sopra le cose
della Magna e sopra l'Imperatore, del settembre 1509, e il più tardo Ritratto
delle cose della Magna, una rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande
potenza della Germania, che «abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le
popolazioni hanno «da mangiare e bere e ardere per uno anno: e così da lavorare
le industrie loro, per potere in una obsidione [assedio] pascere la plebe e
quelli che vivono delle braccia, per uno anno intero sanza perdita. In soldati
non spendono perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni
delle feste tali uomini, in cambio delli giuochi, chi si esercita collo
scoppietto, chi colla picca e chi con una arme e chi con un'altra, giocando tra
loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono. In salari e in altre
cose spendono poco: talmente che ogni comunità si truova ricca in
publico». Importano e consumano poco perché «le loro necessità sono assai
minori delle nostre», ma esportano molte merci «di che quasi condiscono tutta
la Italia [...] e così si godono questa loro rozza vita e libertà e per questa
causa non vogliono ire alla guerra se non sono soprappagati e questo anche non
basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunità. E però bisogna a
uno imperadore molti più denari che a uno altro principe». Tanta forza
potenziale, che potrebbe fare la grandezza politica e militare dell'Imperatore,
è limitata dalle divisioni delle comunità governate dai singoli principi, una
realtà simile a quella italiana: nessun principe tedesco vuole favorire
l'imperatore, «perché, qualunque volta in proprietà lui avessi stati o fussi
potente, è domerebbe e abbasserebbe e principi e ridurrebbeli a una obedienzia
di sorte da potersene valere a posta sua e non quando pare a loro: come fa oggi
il re di Francia, e come fece già il re Luigi, quale con l'arme e ammazzarne
qualcuno li ridusse a quella obedienzia che ancora oggi si vede». La
conquista di Pisa Decisa a concludere le operazioni militari contro Pisa,
Firenze mandò Machiavelli a far leve di soldati: in agosto condusse soldati
prelevati da San Miniato e da Pescia all'assedio della città irriducibile.
Riunite altre milizie, si incaricò di tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno;
poi, il 4 marzo del 1509, andò prima a Lucca a intimare a quella Repubblica di
cessare ogni aiuto ai Pisani e, il 14, si recò a Piombino, incontrando gli
ambasciatori di Pisa per cercare invano un accordo di resa. Raccolte nuove
truppe, in maggio era presente all'assedio: Pisa, ormai stremata, trattava
finalmente la pace. Machiavelli accompagnò i legati pisani a Firenze dove fu
firmata la resa e l'8 giugno poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò
Capponi, Antonio Filicaia e Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio
era intanto divampato nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a
Cambrai, Francia, Spagna, Impero e papato si avventavano contro la Repubblica
veneziana che a maggio cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in
giugno, anche Verona, Vicenza e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da
parte sua, doveva finanziare la nuova impresa imperiale: consegnato un primo
acconto in ottobre, Machiavelli era a Verona per consegnare il saldo a
Massimiliano, che era stato però costretto alla ritirata dalla controffensiva
veneziana, resa possibile dalla rivolta popolare contro i nuovi padroni. E
Machiavelli commentava dei «due re, che l'uno può fare la guerra e non vuol
farla, l'altro ben vorrebbe farla e non può», riferendosi a Luigi e a
Massimiliano che se n'era tornato in Germania a chiedere soldati e denari ai
principi tedeschi. Atteso inutilmente il ritorno dell'Imperatore, se ne
tornò a Firenze. Venezia si salvò soprattutto grazie alle divisioni degli
alleati: mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse di ridurre all'impotenza
Venezia per avere le mani libere nella pianura padana, Giulio II la voleva
abbastanza forte da opporsi alla Francia senza averne contrasto alle proprie
ambizioni di espansione. Per Firenze, amica della Francia ma non nemica del
papa, era necessario spiegarsi con il re francese, e Machiavelli fu mandato a
Blois, dove Luigi teneva la corte, incontrandolo. Machiavelli confermò
l'amicizia con la Francia ma disse di dubitare che la Repubblica potesse
impegnarsi in una guerra contro Giulio II, in grado di volgere contro Firenze
forze troppo superiori: meglio sarebbe stata una mediazione che evitasse il
conflitto e sottraesse, oltre tutto, Firenze dalla responsabilità di un impegno
nel quale era difficile trarre un guadagno. Dovette tornare a Firenze il 19
ottobre, convinto che la guerra fosse ineluttabile. Le vittorie militari non
furono sfruttate da Luigi XII e la sua indizione di un concilio a Pisa, che
condannasse il papa, provocò l'interdetto di Giulio II contro Firenze. Il 22
settembre 1511 Machiavelli era ancora in Francia, ottenendo dal re soltanto un
breve rinvio del concilio: dalla Francia andò a Pisa e riuscì a ottenere il
trasferimento del concilio a Milano. Il ritorno dei Medici a Firenze Le
fortune di Luigi XII volgevano al tramonto: sconfitto dalla nuova coalizione
guidata dal papa, era costretto ad abbandonare la Lombardia, lasciando Firenze
politicamente isolata e incapace di resistere alle armi spagnole. Pier Soderini
fuggì a Siena, i Medici rientrarono a Firenze: disfatto il vecchio governo, il
7 novembre anche Machiavelli venne rimosso dal suo incarico, il successivo 10
novembre fu confinato e multato della grande somma di mille fiorini e il 17 gli
fu interdetto l'ingresso a Palazzo Vecchio. Giuliano de' Medici
duca di Nemours Il nuovo regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino
Capponi, accusati di aver complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli
a morte. Anche Machiavelli è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, fu
anche torturato (gli fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a
Firenze, la "colla"). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici
duca di Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma
scherzosa, la sua condizione di carcerato: «Io ho, Giuliano, in gamba un
paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo'
contalle, poiché così si trattano i poeti Menon pidocchi queste parieti
grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in
Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello» Giulio
II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo
il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di
guerra per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere,
Machiavelli cercò di ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore
Francesco Vettori e lo stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo
podere dell'Albergaccio, a Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San
Casciano in Val di Pesa. L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra
le giornate rese lunghe dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter
mano al suo libro più famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma
scritto in volgare e perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica
dapprima a Giuliano di Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516,
a Lorenzo de' Medici, figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo
postumo, nel 1532. Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai
essere quel «redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma
da un Medici si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività
cui era stato relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia. Sperava
che l'amico Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo
desiderio che questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal momento
«che io sono stato a studio all'arte dello stato [...] e doverrebbe ciascheduno
aver caro servirsi d'uno che alle spese d'altri fussi pieno d'esperienza. E
della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la
fede, io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono
quarantatré anni che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e
bontà mia ne è testimonio la povertà mia». Delle ombre della sua povertà, ma
anche delle sue luci, Machiavelli scrive al Vettori in quella che è la più
famosa lettera della nostra letteratura: L'Albergaccio di
Machiavelli a Sant'Andrea in Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed
entro nel mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana,
piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito
condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro
ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e che io nacqui
per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandargli della ragione
delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per
quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà,
non mi sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice
che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di
che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de
Principatibus» (Lettera a Francesco Vettori) Ritornato il 3 febbraio 1514
a Firenze, continuò a sperare a lungo che il Vettori, al quale spedì il
manoscritto del Principe, lo facesse introdurre in qualche incarico
nell'amministrazione cittadina, ma invano. Tutto dipendeva dalla volontà del
papa, e Leone non era affatto intenzionato a favorire chi non si era mostrato,
a suo tempo, favorevole agli interessi di Casa Medici. Machiavelli, da parte
sua, scriveva al Vettori di aver «lasciato i pensieri delle cose grandi e
gravi» e di non dilettarsi più di «leggere le cose antiche, né ragionare delle
moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci». Si era infatti
innamorato di una «creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto nobile e per
natura e per accidente, che io non potrei né tanto laudarla né tanto amarla che
la non meritasse più». La guerra, ripresa in Italia dalla discesa del
nuovo re di Francia Francesco I, si concluse nel settembre 1515 con la sua
grande vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro la vecchia «Lega santa»:
Leone X dovette accettare il dominio francese in Lombardia e la stipula a
Bologna di un concordato che riconosceva il controllo reale sul clero francese.
Si rifece impossessandosi, per conto del nipote Lorenzo, capitano generale dei
Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo invano dedicava Machiavelli il
suo Principe: la sua esclusione dalla gestione degli affari di Firenze
continuava. Si diede a frequentare gli «Orti Oricellari», latineggiamento che
indica i giardini del Palazzo di Cosimo Rucellai, dove si riunivano letterati,
giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni, Jacopo da Diacceto, Jacopo Nardi,
Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli Albizi, Filippo de' Nerli e Battista
della Palla. Qui vi lesse probabilmente qualche capitolo di quell'Asino,
poemetto in terzine che voleva essere una contaminazione fra l'Asino d'oro di
Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma che lasciò presto interrotto: e al
Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio.
Machiavelli si era già cimentato, quando ricopriva l'incarico di segretario
della Repubblica, in composizioni teatrali: una imitazione dell'Aulularia di
Plauto e una commedia, Le maschere, ispirata a Nebulae di Aristofane, sono
tuttavia perdute. Al 1518 risale il suo capolavoro letterario, la commedia
Mandragola, nel cui prologo egli inserisce un accenno autobiografico
«scusatelo con questo, che s'ingegna con questi van pensieri fare el suo tristo
tempo più suave, perch'altrove non have dove voltare el viso; ché gli è stato
interciso mostrar con altre imprese altra virtue, non sendo premio alle fatiche
sue.» Intorno a quest'anno vanno collocate la traduzione dell'Andria di
Terenzio e stesura della novella di Belfagor arcidiavolo o Novella del demonio
che pigliò moglieil suo titolo preciso è attualmente stabilito in Favolail cui
tema di fondo è la visione pessimistica dei rapporti che legano gli esseri
umani, tutti intesi al proprio interesse a danno, se necessario, di quello di
ciascun altro. Il ritorno alla vita politica Lorenzo de' Medici morì,
lasciando il governo di Firenze al cardinale Giulio. Costui, favorevole a
Machiavelli, lo incaricò della stesura di una storia della città sotto lauta
retribuzione. Machiavelli, galvanizzato dall'incarico, diede alle stampe nel
1521 l’Arte della guerra, dedicandola allo stesso cardinal Giulio. Nello stesso
anno fu inviato in missione diplomatica a Carpi presso il governatore Francesco
Guicciardini di cui, pur avendo opposte visioni della Storia, divenne buon
amico. Nel 1525 cercò di guadagnare il favore di papa Clemente VII offrendogli
le Istorie fiorentine. Nel frattempo giunsero la revoca ufficiale
dell'interdizione dalla vita pubblica e l'affidamento di missioni militari in
Romagna in collaborazione col Guicciardini. I Medici furono cacciati da Firenze e venne
instaurata nuovamente la repubblica. Machiavelli si propose come candidato alla
carica di segretario della repubblica, ma venne respinto in quanto ritenuto
colluso coi Medici e soprattutto con papa Clemente VII. La delusione per
Machiavelli fu insopportabile. Ammalatosi repentinamente, cominciò a peggiorare
vistosamente fino alla morte. Abbandonato da tutti, fu sepolto nel corso di una
modesta cerimonia funebre nella tomba di famiglia nella basilica di Santa
Croce. La città di Firenze fece costruire un monumento nella basilica stessa;
esso raffigura la Diplomazia assisa su un sarcofago marmoreo. Sulla lastra
frontale sono incise le parole Tanto nomini nullum par elogium (Nessun elogio
sarà mai degno di tanto nome). Pensiero Machiavelli e il Rinascimento Con
il termine machiavellico si è spesso indicato un atteggiamento spregiudicato e
disinvolto nell'uso del potere: un buon principe deve essere astuto per evitare
le trappole tese dagli avversari, capace di usare la forza se ciò si rivela
necessario, abile manovratore negli interessi propri e del suo popolo. Ciò si
accompagna a un travaglio personale che Machiavelli sentiva nella sua attività
quotidiana e di teorico, secondo una tradizione politica che già in Cicerone
affermava: "un buon politico deve avere le giuste conoscenze, stringere
mani, vestire in modo elegante, tessere amicizie clientelari per avere
un'adeguata scorta di voti". Con Machiavelli l'Italia ha conosciuto
il più grande teorico della politica. Secondo Machiavelli la politica è il
campo nel quale l'uomo può mostrare nel modo più evidente la propria capacità
di iniziativa, il proprio ardimento, la capacità di costruire il proprio
destino secondo il classico modello del faber fortunae suae. Nel suo pensiero
si risolve il conflitto fra regole morali e ragion di Stato che impone talvolta
di sacrificare i propri princìpi in nome del superiore interesse di un popolo.
La politica deve essere autonoma da teologia e morale e non ammette ideali, è
un gioco di forze finalizzate al bene della collettività e dello stato. La
politica, svincolata da dogmatismi e princìpi teorici, guarda alla realtà
effettuale, ai "fatti": "Mi è parso più conveniente andare
dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto che alla immaginazione di
essa". Si tratta di una visione antropocentrica che si richiama
all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del Rinascimento. Nel “Dialogo
intorno alla nostra lingua” dà un giudizio severo su Alighieri. Alighieri è
rimproverato di negare la matrice fiorentina della lingua della Commedia. Il
passo assume i caratteri dell'invettiva contro Aligheri, accusato di aver
infangato la reputazione di Firenze: «Alighieri il quale in ogni parte
mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et per giuditio huomo eccellente,
eccetto che dove egli hebbe a ragionare della patria sua, la quale, fuori
d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò con ogni spetie d'ingiuria.
E non potendo altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vitio, dannò gli
uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi et delle legge di lei; et
questo fece non solo in una parte de la sua cantica, ma in tutta, et
diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria dell'exilio, tanta
vendetta ne desiderava. Ma la Fortuna, per farlo mendace et per ricoprire con
la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata et
fatta celebre per tutte le province, et condotta al presente in tanta felicità
et sì tranquillo stato, che se Alighieri la vedessi, o egli accuserebbe sé
stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe essendo
risuscitato di nuovo morire.» Poi, durante un altro scambio immaginario
con Aligheri, Mhiavelli rimprovera il carattere "goffo",
"osceno", addirittura "porco" del registro utilizzato
nell'Inferno: «Aligheri mio, io voglio che tu t'emendi, et che tu
consideri meglio il “parlare” fiorentino et la tua opera; et vedrai che, se
alcuno s'harà da vergognare, sarà più tosto Firenze che tu: perché, se
considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi versi non
hai fuggito il goffo, come è quello: "Poi ci partimmo et n'andavamo
introcque"; non hai fuggito il porco, com'è quello: "che
merda fa di quel che si trangugia"; non hai fuggito l'osceno,
com'è: "le mani alzò con ambedue le fiche"; e non avendo
fuggito questo, che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi haver fuggito
infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che in quella» Autografo
delle Historiae Fiorentinae Per Machiavelli la storia è il punto di riferimento
verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia
fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche
le strade da non ripercorrere. Machiavelli si basa su una concezione ciclica
della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi".
Ma ciò che allontana Machiavelli da una visione deterministica della storia è
l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla capacità dell'uomo di
dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente le esperienze degli
errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i mezzi e di tutte le
occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo anche violenza, se
necessario, alla legge morale. Non a caso il Principe, nella conclusione,
abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i sovrani italiani,
con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo, a riconquistare
la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è rassegnazione
nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La storia è il
prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene esclusivamente
pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione politica e nel
pensiero del tempo si identifica con la persona del principe. Di
conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi protagonisti, ai
pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di decisione e di
coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una creazione individuale
legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la fine del principe può
determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio a Cesare Borgia. Il
Machiavelli ha dunque un'importanza fondamentale per la scoperta che la
politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il cui studio
rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente retta la
storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una vigorosa
concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla
responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece
del Machiavelli un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola
nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del
Settecento, mentre il Machiavelli la usò in senso particolaristico e cittadino
(es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine). Tuttavia,
Machiavelli propugna un principato in grado di reggersi sull'unità etnica dell'Italia;
così facendo, e denunciando in tal modo una chiara coscienza dell'esistenza di
una civiltà italiana, Machiavelli predica la liberazione dell'Italia sotto il
patrocinio di un principe, criticando il dominio temporale dei Papi che
spezzava in due la penisola. Ma l'unità d'Italia resta in Machiavelli un
problema solo intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea
dell'unità italiana, ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli
concreti nella realtà, restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma
la figura ideale del principe nuovo. Machiavelli dunque intraprese un viaggio
che identificò come spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in
patria, ebbe una nuova visione sia del "popolo" che della
"nazione" (di qui quello che oggi definiamo rinnovamento
culturale). Il principe o De Principatibus. Niccolò Machiavelli nello
studio, Stefano Ussi, Emblematico è il modo di trattare argomenti delicati,
quali le mosse necessarie al Principe per organizzare uno stato ed ottenerne
uno stabile e duraturo consenso. Per esempio vi troviamo indicazioni
programmatiche, quali l'utilità nello "spegnere" gli stati abituati a
vivere liberi di modo da averli sotto il proprio diretto controllo (metodo
preferito al creare un'amministrazione locale "filo-principesca" o al
recarvisi e stabilirvisi personalmente, metodo però sempre tenuto da conto in
modo da avere un occhio sempre presente sulle proprie terre, e stabilire una
figura rispettata e conosciuta in loco). Altro elemento caratteristico
del trattato sta nella scelta dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei
sudditi, culminante nell'annosa questione del "s'elli è meglio essere
amato che temuto o e converso" La risposta corretta si concretizzerebbe in
un ipotetico principe amato e temuto, ma essendo difficile o quasi impossibile
per una persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude decretando che la
posizione più utile viene ad essere quella del Principe temuto (pur ricordando
che mai e poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei confronti del popolo,
fatto che porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua appare indubbiamente
la concezione realistica e la concretezza del Machiavelli, il quale non viene a
proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile nel concreto, bensì
una figura effettivamente possibile e soprattutto "umana".
Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere metaforicamente sia
"volpe" che "leone", in modo da potersi difendere dalle
avversità sia tramite l'astuzia (volpe) che tramite la violenza (leone).
Mantenendo un solo atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da una
minaccia violenta o di astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di
Machiavelli viene associata la figura di un uomo privo di scrupoli, di un
cinismo estremo, nemico della libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata
la frase "il fine giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo
perché la parola "giustifica" evoca sempre un criterio morale, mentre
Machiavelli non vuole "giustificare" nulla, vuole solo valutare, in
base ad un altro metro di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a
conseguire il fine politico, l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello
Stato. Machiavelli nella stesura del Principe si rifà alla reale
situazione che gli si presentava attorno, una situazione che necessitava essere
risolta con un atto deciso, forte, violento. Machiavelli non vuole proporre dei
mezzi giustificati da un fine, egli pone un programma politico che qualunque
Principe che voglia portare alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo
schiava, dovrà seguire. Fuori dai suoi intenti una giustificazione morale dei
punti suggeriti: egli stende un vademecum necessariamente utile a quel Principe
che finalmente vorrà impugnare le armi. Alle accuse di sola illiberalità od
autoritarismo, si può dare una risposta leggendo il capitolo IX, "De Principatu
Civili", ritratto di un principe nascente dal e col consenso del popolo,
figura ben più solida del Principe nato dal consesso dei "grandi",
cioè dei grandi proprietari feudali. Non esiste un unico tipo di principato, ma
per ognuno troviamo un'ampia trattazione di pregi e dei difetti.
Controversie sul Principe «Quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori
gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che
sangue» (Ugo Foscolo, Dei sepolcri) La gelida obiettività e un certo
cinismo con cui Machiavelli descriveva il comportamento freddo, razionale ed
eventualmente spietato che un capo di Stato deve mettere in atto, colpì i
critici. Così, da una parte vi è la linea di pensiero tradizionale, secondo la
quale "Il Principe" è un trattato di scienza politica destinato al
governante, che tramite esso saprà come affrontare i problemi, spesso
drammatici, posti dal suo ruolo di garante della stabilità dello stato.
Dall'altra, troviamo un'interpretazione secondo cui il trattato di Machiavelli,
che era originariamente un repubblicano, ha come vero scopo quello di mettere a
nudo, e quindi chiarire, le atrocità compiute dai principi dell'epoca, a
vantaggio del popolo, che di conseguenza avrebbe le dovute conoscenze per
attuare le precauzioni al fine di stare in guardia e difendersi quando si
dimostra necessario. Il principe è visto anche come figura assai drammatica, la
quale, per il bene dello stato stesso, non si può permettere di lasciare spazio
al proprio carattere, diventando così quasi un uomo-macchina. Secondo alcuni,
Machiavelli venne in realtà accusato da subito di nicodemismo, e: «...di
non aver mirato ad altro, in quel libro, che a condurre il tiranno a
precipitosa rovina, allettandolo con precetti a lui graditi...»
(Attribuita a Niccolò Machiavelli[28]). Machiavellismo § L'antimachiavellismo e
il repubblicanesimo. Gli esponenti di questa seconda interpretazione (la
cosiddetta "interpretazione obliqua", diffusa dal XVII secolo, e
avanzata per la prima volta da Alberico Gentili spirandosi a Reginald Pole, poi
ripresa da Traiano Boccalini e in seguito Baruch Spinoza)[31], furono numerosi
soprattutto in ambito illuminista (anche se venne rifiutata da Voltaire), che
vedeva in Machiavelli un precursore della politica laica e del
repubblicanesimo: la sostennero, dal Settecento, Jean-Jacques Rousseau[33],
Vittorio Alfieri[34], Giuseppe Baretti, Giuseppe Maria Galanti[36], gli
enciclopedisti (in primis Denis Diderot[3 Opere: Discorso 8] e Jean
Baptiste d'Alembert), Foscolo e Parini[, e ha avuto diffusione soprattutto
nell'Ottocento, prima e durante il Risorgimento[26]; ne è un esempio quello che
Foscolo scrive nei "Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove
posa il corpo di quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli
allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue».
Forse alcuni di essiad esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi
alternativa di Spongano e riportata anche da Mario Pazzagliaritenevano anche
che, pur essendo Il principe un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse
utile lo stesso per svelare al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida
l'interpretazione obliqua, qualunque fossero le intenzioni di Machiavelli. In generale, per i sostenitori di questa
lettura, Il principe avrebbe, come le satire (ad esempio Una modesta proposta
di Jonathan Swift), uno scopo opposto a quello apparente, come avverrà anche
per alcuni scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di Grisostomo di
Giovanni Berchet o alcune Operette Morali di Giacomo Leopardi). In epoca
più recente, tuttavia, nella maggioranza dei critici è prevalsa la prima
interpretazione, quella tradizionale, dal quale risalta la libertà e
concretezza, anche spregiudicata, del pensiero di Machiavelli, che non descrive
mondi utopici, ma il mondo reale della politica dei suoi tempi,e la sua
concezione anticipatrice del realismo politico e della cosiddetta realpolitik. L'interpretazione
obliqua è stata riproposta in modo minoritario, ad esempio in alcuni monologhi
del drammaturgo e attore Dario Fo. Il modello linguistico prescelto da
Machiavelli è fondato sull'uso vivo più che sui modelli letterari; lo
scopo, esplicito soprattutto nel Principe, di scrivere qualcosa di utile e
chiaramente espressivo lo induce a scegliere spesso modi di dire proverbiali di
immediata evidenza. Il lessico impiegato dall'autore si rifà a quello
boccacciano, è ricco di parole comuni e i latinismi, seppure abbondanti,
provengono per lo più dal gergo cancelleresco. Nelle sue opere ricoprono un
ruolo assai rilevante anche le metafore, i paragoni e le immagini. La
concretezza è una delle caratteristiche salienti, l'esempio concreto ed
essenziale, tratto dalla storia sia antica che recente, è sempre preferito al
concetto astratto. In generale si parla di uno stile "fresco",
come lo ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là del bene e del male,
con un riferimento particolare all'uso della paratassi, a una certa
sentenziosità delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza a scapito
di un maggior rigore logico-sintattico. Machiavelli rende evidenti concetti
che, se espressi con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto difficili da
decifrare, e riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità espositiva. Opere
Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di Pisa, Parole da dirle
sopra la provvisione del danaio, Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino
nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il
duca di Gravina Orsini, De natura Gallorum, Ritratto delle cose di Francia, Ritratto
delle cose della Magna, Il Principe, Discorsi sopra la prima deca di Tito
Livio, Dell'arte della guerra, La vita di Castruccio Castracani da Lucca, Istorie
fiorentine, )Riedizione Istorie fiorentine, Venezia, 1546. Discorso o dialogo
intorno alla nostra lingua, Decennali Mandragola, commedia teatrale Belfagor
arcidiavolo, Epistolario, L'asino, Edizioni critiche in pubblico dominio:
Legazioni, commissarie, scritti di governo. Fredi Chiappelli. Laterza,
Roma-Bari. Drammaturgie minori Clizia, Andria, traduzione-rifacimento
dell'Andria di Terenzio Onori Nel 2009 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi
Airbus Nella cultura di massa Il suo nome, modificato in "Makaveli",
venne usato dal rapper statunitense Tupac Shakur tper firmare molte sue canzoni
e un album uscito postumo. Niccolò Machiavelli viene proposto anche nel
videogioco Assassin's Creed 2 e il seguito Assassin's Creed: Brotherhood, in
veste di Assassino. Proprio in quest'ultimo assume un ruolo particolarmente
importante, insieme ad altri personaggi dell'Italia rinascimentale. Niccolò
Machiavelli è, assieme a John Dee, il principale antagonista della serie di
romanzi fantasy I segreti di Nicholas Flamel, l'immortale (come capo dei servizi
segreti francesi), scritta da Michael Scott. Nella mostra "Il Principe di
Niccolò Machiavelli e il suo tempo" (Roma, Complesso del Vittoriano,
Salone Centrale, promossa dall'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e dalla
sezione italiana di Aspen Institute, la sezione "Machiavelli e il nostro
tempo: usi e abusi" presenta, tra altre "opere", Figurine
Liebig, pacchetti di sigarette, schede telefoniche, trading card, cartoline,
francobolli, giochi da tavolo e videogiochi dedicati a Machiavelli. Nella serie
I Borgia di Neil Jordan è interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band
belga, catalogabile sotto il genere progressive rock. Il nome della band è un
chiaro omaggio a Niccolò Machiavelli. Nella serie I Medici è interpretato da
Vincenzo Crea, Edizione nazionale delle opere Edizione Nazionale delle Opere di
Niccolò Machiavelli, Salerno Editrice di Roma: Il principe, Mario
Martelli, corredo filologico Nicoletta Marcelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio,
Francesco Bausi, L'arte della guerra. Scritti politici minori, Giorgio Masi,
Jean Jacques Marchand, Denis Fachard, Opere
storiche, Alessandro Montevecchi, Carlo Varotti, ITeatro. Andria-Mandragola-Clizia, Pasquale
Stoppelli, Scritti in poesia e in prosa,
Antonio Corsaro, Paola Cosentino, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Filippo Grazzini,
Nicoletta Marcelli, coordinam. di Francesco Bausi, ILegazioni, Commissarie, Scritti di governo, Jean-Jacques
Marchand, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Legazioni. Commissarie. Scritti
di governo, Jean-Jacques Marchand, Matteo Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo. Denis Fachard, Emanuele
Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini. La famosa frase
"Il fine giustifica il mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso
come esempio di machiavellismo, è del critico letterario Francesco de Sanctis,
con riferimento ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di Machiavelli
espresso nel Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia
della letteratura italiana, dedicato a Machiavelli, recita: "Ci è un
piccolo libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha
gittato nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo
libro, e questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e
scientifico, ma nel suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un
codice di tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi,
e il successo loda l'opera. E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina.
Molte difese sonosi fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi
all'autore questa o quella intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una
discussione limitata e un Machiavelli rimpiccinito". Celebrazioni per il V centenario del Principe
di Machiavelli, Accademia della Crusca, Opera di Santa Maria del Fiore, Libri
dei battesimi: Niccolò Piero e Michele di m. Bernardo Machiavellidi Santa
Trinita, nacque a dì 3 a hore 4, battezzato a dì 4 Dal Villani, nella sua Cronica. In Discorsi
di Architettura del senatore Giovan Battista Nelli,La sua trascrizione del De
rerum natura è nel manoscritto Vaticano Rossiano L. Canfora, Noi e gli antichi, Milano Giovio,
Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat a Marcello Virgilio graecae atque
latinae linguae flores accepisse» R.
Ridolfi, Lettera Riccardo Bruscagli, "Machiavelli". Il Senato romano
fece distruggere Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta: cfr. Livio, "La
sua vicinanza a Pier Soderini, vexillifer perpetuus, si accentua progressivamente
in uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo indotto dal timore di un
potere esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga tradizione di libertà
repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante res perdita, post res
perditas: dalle dediche del Decennale primo a quella del Principe, Interpres:
rivista di studi quattrocenteschi:Roma: Salerno,. Lettera. È un'ipotesi del Ridolfi, cDiscorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, «Giovanpagolo, il quale non stimava essere
incesto e publico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone
giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo,
e avesse di sé lasciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a'
prelati quanto sia poco uno che vive e regna come loro. Ed avessi fatto una
cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da
quella potesse dependere» Nella sua
Storia d'Italia, il Guicciardini esprime lo stesso giudizio di Machiavelli Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le
opere storiche, politiche e letterarie. Lettera ai Dieci, Il carcere, la
tortura e il ritiro all'Albergaccio, su viv-it.org. Ottenendo un giudizio
evasivo: cfr. la lettera del Vettori Lettera a Francesco Vettori, David Quint, Armi e nobiltà: Machiavelli,
Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi italiani. De credulitate
et pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e contra. Il
machiavellismo, su dizionariostoria.wordpress.com. Machiavellismo, Treccani, 2Citata
in Niccolò Machiavelli, Periodici Mondadori, A. Gentili, De legationibus. R. POLE,
Apologia ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae che talvolta elogiarono però anche alcuni
consigli pragmatici dati al principe, come quello della religione come
instrumentum regnii; ad esempio Voltaire, nel capitolo Se sia utile mantenere
il popolo nella superstizione, del trattato sulla tolleranza, afferma
l'utilità, entro certi limiti, di una forma di religione razionale per il
popolo La fortuna di Machiavelli nei
secoli, su windoweb «Machiavelli era un uomo giusto e un buon cittadino; ma,
essendo legato alla corte dei Medici, non poteva velare il proprio amore per la
libertà nell'oppressione che imperava nel suo paese. La scelta di Cesare Borgia
come proprio eroe, ben evidenziò il suo intento segreto; e la contraddizione
insita negli insegnamenti del Principe e in quelli dei Discorsi e delle Istorie
fiorentine ben dimostra quanto questo profondo pensatore politico è stata
finora studiato solo dai lettori superficiali o corrotti. La Corte pontificia
vietò severamente la diffusione di quest'opera. Ci credo... in fondo, quanto
scritto la ritrae fedelmente. il libro dei repubblicani fingendo di dare
lezioni ai re, ne ha date di grandi ai popoli. Rousseau, Il contratto sociale. Dal
solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là ricavare alcune massime
immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe in luce (a chi ben
riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed avvedute crudeltà
dei principi che non certamente per insegnare ai principi a praticarne...
all'incontro, il Machiavelli nelle Storie, e nei Discorsi sopra Tito Livio, ad
ogni sua parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume, verità, ed
altezza d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e nell'autore
s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di libertà, e un
illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e delle lettere,) «Con quel libro, se la sapessimo tutta, egli
si pensò forse di pigliare, come si suol dire, due colombi ad una fava:
presentando dall'un lato a' suoi Fiorentini come schietta e naturale una
caricata e mostruosa immagine d'un sovrano assoluto, affinché si risolvessero a
non averne mai alcuno; e cercando dall'altro di tirare insidiosamente i Medici
a governarsi in guisa che s'avessero poi a snodolare il collo, seguendo i
fraudolenti precetti da lui con molta adornezza sciorinati in quella sua
dannata opera.» G. Galanti, Elogio di N.
Machiavelli cittadino e segretario fiorentino
Alessandro Arienzo, BORRELLI, Anglo-American Faces of M., Voce
"Machiavellismo" dell'Encyclopedie
Franco Ferrucci, Il teatro della fortuna: potere e destino in
Machiavelli e Shakespeare, Fazi Editore, Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri, in
Antologia della letteratura italiana, cfr. l'inizio del Dialogo di Tristano e
di un amico. Introduzione a: ORIANI, M.
//repubblica/rubriche/la-parola news/realpolitik Realpolitik Video di Fo che parla di M. (trasmissione tv
Vieni via con me, su youtube.com. Il Principe di M. e il suo tempo. Catalogo
della mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La su M. è sterminata. Tentativi di redigerla
sono stati realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel pensiero
politico di M., seguito da un contributo bibliografico, Milano Silvia Ruffo
Fiore, M.: an annotated bibliography of modern criticism and scholarship, New
York‑Westport‑London 1990; Daria Perocco, Rassegna di studi sulle opere letterarie
del Machiavelli, in "Lettere italiane", Cutinelli‑Rendina, Rassegna
di studi sulle opere politiche e storiche di M., in "Lettere italiane",
Nell'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani ha pubblicato in 3 volumi
l'opera Machiavelli: enciclopedia machiavelliana. Di seguito una selezione di
studi. Gilbert, M. e la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, LEFORT,
Le travail de l'oeuvre M., Paris, Gallimard, Marchand, M.: I primi scritti
politici Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova, Antenore, Riccardo
Bruscagli, Niccolò Machiavelli, Firenze, La Nuova Italia editrice, Roberto
Ridolfi, Vita di M., Firenze, Sansoni, CHABOD, Scritti su M., Torino, Einaudi, John
Greville Agard Pocock, Il momento machiavelliano: il pensiero politico
fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino, Dionisotti,
MACHIAVELLERIE, Torino, Einaudi, SASSO, M.: Il pensiero politico; La storiografia, Bologna, Il mulino (Napoli);
Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell'età moderna, Roma-Bari,
Laterza, Gennaro Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli,
Ricciardi, Viroli, Il sorriso di Niccolò, storia di M., Roma-Bari, Laterza, Cutinelli-Rendina,
Chiesa e religione in Machiavelli, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici
internazionali, Ugo Dotti, Machiavelli rivoluzionario: vita e opere, Roma,
Carocci, Bausi, M., Roma, Salerno editrice, INGLESE, Per M.: l'arte dello
stato, la cognizione delle storie, Roma, Carocci, Corrado Vivanti, Niccolò
Machiavelli: i tempi della politica, Roma, Donzelli, Andrea Guidi, Un
segretario militante. Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere M., Bologna,
il Mulino, Pedullà, M. in tumulto. Conquista, cittadinanza e conflitto nei
'Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio', Roma, Bulzoni,. William J.
Connell, Machiavelli nel Rinascimento italiano, Milano, FrancoAngeli, Attilio Scuderi, Il libertino in fuga. M. e
la genealogia di un modello culturale, Roma, Donzelli, Ciliberto, Niccolò
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Ricerca Umanistica, Cosimo Scarcella, Machiavelli, Tacito, Grozio: un nesso
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non crea prìncipi, Centro Studi Silone, Pescina. Machiavelli i Guicciardini, Lublin, Marietti,
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Frédérique Verrier, Caterina Sforza et M. ou l'origine du monde, Vecchiarelli, Cutinelli-Rendina,
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Letteratura italiana Francesco Guicciardini Teoria della ragion di Stato
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dell'Enciclopedia Italiana, -. il Principe, ediz. Istorie fiorentine, ediz. Le
opere minori di Machiavelli, su machiavelli.letteraturaoperaomnia.org. Opere di
M. con giunta di un nuovo indice generale delle cose notabili, Milano, per Silvestri,
Rassegna bibliografica degli studi machiavelliani: una ricognizione dei
contributi scientifici dedicati al Machiavelli negli ultimi decenni. Grice: “L.
J. Cohen told me that he once asked for the MS of The Prince at his college –
and they told him: ‘We cannot find it!’ --. Niccolò di Bernardo dei
Machiavelli. Niccolò Machiavelli. Marchiavelli. Keywords: il principe, Macchiavelli
fascista – l’ossessione dal duce per Machiavelli, la dottrina fascista dello
stato machiavellico, impiegatura Machiavelli. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Machiavelli," per il club
anglo-italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Macrobio – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Ambrosio Teodosio Macrobio. MACROBIO AMBROSIO MACROBIO
TEODOSIO adere al Platonismo. E praefectus praetorio Hispaniarum, proconsole
d’Africa, praepositus sacri cubiculi, gran ciambellano. È ignota la patria
di Macrobio. Certamente Macrobio dove essere legato da stretti rapporti alla
famiglia dell’oratore Simmaco, a un figlio o nipote del quale dedica un
saggio. Scrive un commento al Sogno di Scipione di CICERONE, che ci è
giunto intero, e i Saturnalia, lacunosi. Dal saggio "De differentiis
et societatibus graeci latinique verbi", Delle differenze e
concordanze del verbo greco e del latino," restano soltanto estratti,
nulla può risultare sull’argomento. Nel "Commento", dedicato al
figlio Eustachio, cerca d’interpretare in senso platonico il saggio di
Cicerone, accumula molta erudizione e perciò spesso si occupa di argomenti che
poco hanno da fare col suo oggetto. I frequenti riferimenti al
"Timeo" e le lodi del Platonismo -- Platone e Plotino sono chiamati,
i principi della filosofia -- fa supporre che Macrobio si sia servito di un
commento platonico a quel dialogo, probabilmente di quello di Porfirio,
derivato in ultimo dal commento di Posidonio.Si è anche pensato a una fonte
latina intermedia e sulla questione sono state presentate svariate ipotesi.In
ogni caso, anche se non si giunge a considerare Macrobio come un semplice
trascrittore di una o due opere altrui, che non mette nulla di suo, si può
sospettare che non abbia letto i numerosi autori che cita, Posteriori al
Commento sembrano i Saturnali in 7 libri, scritti prima della pubblicazione del
commento virgiliano di Servio, pure dedicati al figlio Eustachio, al quale
volle presentare i risultati dei suoi studi di autori di cui generalmente
riprodusse le parole. Però cerca di organizzare tali temi fingendo di
riprodurre le conversazioni che, durante banchetti fatti in occasione delle
feste dei Saturnali, avevano tenuto persone insigni per cultura su argomenti
svariatissimi. Quest'opera, che e espressione del genere letterario dei
simposio o convito iniziato da Platone, contiene materiali molto diversi, sia
per il significato delle questioni trattate, che per l’importanza delle notizie
riferite. Macrobio cita numerose fonti, ma non è sicuro che le conosca
direttamente tutte, tanto più che non nomina quelle di cui deve essersi servito
più largamente, Plutarco ("Questioni conviviali") e Aulo
Gellio. I libri più significativi sono quelli IV-VI, che riguardano
VIRGILIO, di cui si esalta la universale e profonda sapienza su ogni argomento. Le
dottrine filosofiche che Macrobio espone nel commento al Scipione di Cicerone
si conformano al Platonismo di Plotino. Il divino o il buono, causa prima
e origine di tutti gl'esseri, che trascende il pensiero e il linguaggio umano,
e l’intelletto (nous o mens) che include in sè la idea o il modello originali
della cosa.L’intelletto è poi identificato alla monade o unità prima pensata
col neo-Pitagorismo, non come numero, ma come la sorgente e l’origine dei
numeri. L’intelletto, a sua volta, genera l’anima cosmica, identificata
a GIOVE, che è principio di vita per tutte le cose corporee che essa forma
imprimendo nella materia l’immagine dell'idea.Così una sola luce divina
illumina tutte le cose, connesse tra loro da vincoli reciproci e
ininterrotti. Nei corpi del cielo e delle stelle il principio animatore è
una pura attività razionale.Nella filosofia psicologico, Macrobio dice che
nell’uomo ad essa anima si uniscono l'anima sensitiva e l'anima
vegetativa, che sole si trovano negl'esseri inferiori. Rispetto alla
esistenza dell'anima, prima e dopo la sua unione col corpo, alla sua discesa
dal cielo e alla ascesa ad esso, È pp alla reminiscenza, alla sorte che
l’attende dopo la morte.Macrobio si conforma alle dottrine che il
Neo-Platonismo deriva dalla tradizione pitagorico-platonica e che appartenevano
al patrimonio comune della coscienza dell’età sua. Anche per Macrobio il
corpo è un sepolcro dell'anima (soma sema), sicchè la filosofia deve insegnare
all'uomo a liberare l’una dai vincoli dell’altro.Perciò, riprendendo la teoria
plotiniana delle virtù, Macrobio pone su quelle politiche (dell’uomo nella vita
sociale) la virtu purgativa, che lo purificano dal contagio del corpo, che sono
proprie di chi vuole immergersi nella contemplazione filosofica, quelle di chi
ha raggiunto tale scopo, liberandosi completamente dalle passioni e al di sopra
di tutte, la virtù contemplativa dell’intelletto. Il commento ha così
trasmesso al pensiero medioevale la conoscenza di numerose teorie platoniche e
neo-platoniche, fra le quali ha particolare importanza l’identificazione
dell'idea a un pensiero divino. Ambrogio Teodosio Macrobio. Macrobio
raffigurato in una miniatura del Medioevo Ambrogio Teodosio Macrobio (in
latino: Ambrosius Theodosius Macrobius) è un filosofo Italiano. Studioso anche
di astronomia, sostenne la teoria geo-centrica. Una pagina dei Commentarii
in Somnium Scipionis di Macrobio. Della vita di Macrobio non si sa molto e quel
poco che è stato tramandato dai suoi contemporanei non è del tutto affidabile.
Così è dubbio se vada identificato con il Macrobio che fu proconsole d'Africa o
col Teodosio prefetto del pretorio d'Italia, Africa e Illirico, identificazione
oggi condivisa dalla maggior parte degli studiosi. Due cose appaiono però certe
agli storici moderni: che Macrobio nacque nell'Africa romana e che non
professasse il Cristianesimo (come creduto nel corso del Medioevo), ma fosse
pagano. Opere Lo stesso argomento in dettaglio: Saturnalia (Macrobio).
I Saturnalia, la sua opera principale, sono un dialogo erudito che si svolge in
tre giornate, raccontate in sette libri, in occasione delle feste in onore del
dio Saturno. L'opera ha un carattere enciclopedico ed è centrata principalmente
sulla figura di VIRGILIO, anche se i suoi contenuti spaziano dalla religione
alla letteratura e alla storia fino alle scienze naturali. Macrobio contribuì
significativamente all'esegesi dell' “Eneide” e dell'opera di Virgilio più in
generale. Inoltre è grazie a lui se ci sono pervenuti frammenti di vari autori
famosi, tra i quali spiccano Ennio e Sallustio, e se si è mantenuto il ricordo
di autori meno conosciuti come Egnazio e Sueio. Nei Commentarii in Somnium
Scipionis, partendo dal Somnium Scipionis di Cicerone, scrive un commentario in
due libri, dedicato al figlio Eustazio. In questi due libri emerge il pensiero
filosofico neoplatonico: Dio, che è origine di tutto ciò che esiste, crea la
mente (noûs), che crea l'«anima del mondo; a sua volta l'anima del mondo, a poco
a poco, volgendo indietro lo sguardo, essa stessa, incorporea, degenera fino a
diventare matrice dei corpi. Macrobio compose anche un'opera grammaticale
dedicata al verbo greco e latino, De verborum graeci et latini differentiis vel
societatibus (titolo da preferire al più diffuso de differentiis vel
societatibus graeci latinique verbi, basato sia su fonti grammaticali come Apollonio
Discolo, Gellio, e una fonte utilizzata anche da Carisio e Diomede. L'opera
nella sua forma originale non si è conservata ma ne restano ampi estratti, i
più importanti dei quali sono quelli realizzati nel IX secolo molto
probabilmente ad opera di Giovanni Scoto Eriugena. Un altro gruppo di estratti,
più limitato ma testualmente molto valido, è conservato in alcuni fogli di un
manoscritto bobbiese scritto fra il VII e l'VIII secolo. Infine l'operetta
macrobiana è stata ampiamente utilizzata da un trattato grammaticale sul verbo
latino, composto forse in area orientale e tramandato anch'esso da un codice di
provenienza bobbiese. Tutte queste testimonianze ci consentono di farci un'idea
piuttosto precisa del contenuto della perduta trattazione macrobiana, che
sembra destinata, più che ad una utilizzazione scolastica, a fornire esempi e
discussioni erudite sul sistema verbale latino, utile soprattutto per un
lettore colto, in possesso di una buona formazione linguistica. Va inoltre notato
come questa sia in pratica l'unica opera latina dedicata esplicitamente ad
un'analisi sistematica del sistema verbale latino, che trova qualche analogia
solo in alcune sezioni della grammatica di Prisciano. Ampie parti dell'opera
furono citate in un manoscritto del IX secolo attribuito a Scoto Eriugena. Durante
il Medioevo Macrobio fu identificato come cristiano e per questo poté godere di
una buona reputazione, che gli permise di essere letto, studiato e citato dai
più illustri filosofi come Pietro Abelardo. Le sue opere furono copiate dagli
amanuensi nei monasteri e così non venne dimenticato, ma, terminato il
Medioevo, in un primo tempo non venne considerato dagl’umanisti, che poi invece
lo ripresero. Non ha avuto tuttavia grande considerazione nel XV secolo,
poiché, al Neoplatonismo, la maggior parte degli studiosi preferiva le opere di
Platone stesso. L'appartenere ad un periodo così tardo della storia antica non
gli ha mai giovato e solo oggi si sta riprendendo lo studio delle sue opere in
modo più approfondito, pur con meno intensità rispetto al Medioevo. In effetti
gli studiosi oggi non analizzano tanto l'opera di Macrobio per conoscerne e
apprezzarne il pensiero, ma cercano più che altro di dargli una datazione e
un'identità. Codice teodosiano. ^ P. De Paolis in Lustrum, n. 28, 1986. ^
Cicerone, De re publica, lib. VI. ^ Macrobio Ambrogio Teodosio, su
romanoimpero.com. Bibliografia (LA) Ambrogio Teodosio Macrobio, In Somnium
Scipionis, (Venetiis..., Per Augustinum de Zannis de Portesio : ad instantia
Do. Lucam Antonium de Giunta, 1513 Die xv. Iunii). M., Commento al sogno di
Scipione, testo latino a fronte, Saggio introduttivo di Ilaria Ramelli,
traduzione, bibliografia, note e apparati di Moreno Neri, Milano, Bompiani,
2007. Macròbio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Alessandro Olivieri, MACROBIO,
in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ambrosius
Theodosius Macrobius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Modifica su Wikidata (LA) Opere di M. su Musisque Deoque. Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su
digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro.
Modifica su Wikidata Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su Open Library, Internet
Archive. Modifica su Wikidata (FR) Pubblicazioni di Ambrogio Teodosio Macrobio,
su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation. Macrobio a Ravenna Archiviato il 10 aprile 2018 in Internet
Archive., su patrimonioculturale.unibo.it V · D · M Grammatici romani V · D · M
Platonici. Portale Antica Roma Portale Biografie
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Lingua latina Categorie: Scrittori romani Grammatici romani Funzionari
romaniScrittori del V secoloRomani del V secoloNeoplatonici. Macrobio is best
known as the author of Saturnalia, a semi-philosophical dialogue that covers a
wide range of topics, although its principal one is the poetry of Virgil.
However, there are also some reflections on religion and matters of psychology.
More interesting philosophically is a commentary he wrote for his son on the
Dream of Scipio by Cicerone – an extract from his Republic). In it Macrobio
explores the nature of the soul, mainly from the point of view of the Accademy.
The ssoul’s immortality and divine nature are discussed in the light not only
of philosophy but also in that of the science of his day. Ambrogio Teodosio
Macrobio. Keywords: Macrobio. The Swimming-Pool Library.
Grice e Màdera – la carta del senso – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Varese).
Filosofo italiano. Grice: “I like Madera; especially because he uses words I
love, like ‘sense’ – ‘la carta del senso’ and soul – anima --.” Insegna a
Milano. Ha insegnato a Calabria e Venezia. È membro dell'Associazione
italiana di psicologia analitica, del Laboratorio analitico delle immagini
(LAI, associazione per lo studio del gioco della sabbia nella pratica
analitica), e fa parte della redazione della Rivista di psicologia
analitica. Fonda i Seminari aperti di pratiche filosofiche di Venezia e di
Milano e PhiloPratiche filosofiche a Milano. Studia Jung. Define la sua
proposta nel campo della ricerca e della cura del senso "analisi
biografica a orientamento filosofico", formando la Società degli analisti
filosofi. Fondat l'”Analisi Biografica A Orientamento Filosofico”, pratica
filosofica volta a utilizzare e a trasformare il metodo psico-analitico, nata
agli inizi Professoree oggi praticata in diverse città. La pratica
dell'analista filosofo si rivolge alle dimensioni “sane” ed è volta alla
ricerca di senso dell'esistenza dell'analizzante. L’orientamento filosofico è
inteso come ricerca di senso che, a differenza della filosofia come modo di
vivere dell’antichità, parte dalla biografia storicamente, culturalmente e
socialmente incarnata. Questo è un tentativo di risposta alla crisi delle
istituzioni tradizionalmente riconosciute come orientanti l’esistenza;
l'analista filosofo si propone di riformulare su base biografica i processi formativi
integrandoli con le psicologie del “profondo”. L’aver cura “terapeutica”
dell’insieme della personalità e della vita dei gruppi è stato da sempre
vocazione della filosofia, riproposta come contenitore di diversi approcci e
discipline delle scienze umane, dalla psicoanalisi alla pedagogia. Il senso è inteso
come il fattore terapeutico fondamentale. L'analisi biografica a
orientamento filosofico non si occupa della cura delle psicopatologie, a
meno che l'analista filosofo non sia anche uno psicoterapeuta, psicologo o
psichiatra. Essendo una pratica filosofica, sono richiesti all'analista
non solo la competenza professionale ma anche l'indirizzo vocazionale della sua
vita alla filosofia, dedicandosi agli esercizi filosofici personali e
comunitari. L'ambito di esperienze e teorie da cui deriva riunisce
l'eredità delle psicologie del profondo, la filosofia intesa nel suo valore
terapeutico e come stile di vita, la pedagogia del corpo e le pratiche di
meditazione, la psicologia sistemica, il metodo autobiografico e biografico, la
narrazione delle storie di vita in una prospettiva sociologica. Saggi: “Identità
e feticismo” (Moizzi, Milano); “Dio il Mondo” (Coliseum, Milano); “L'alchimia
ribelle” (Palomar, Bari); ““Jung. Biografia e teoria,” Mondadori, Milano,
“L'animale visionario,” Saggiatore, Milano); “La filosofia come stile di vita, Mondadori, Milano, Ipoc, Milano, Il piacere di
vivere, Mondadori, Milano, "Che cosa è l'analisi biografica a orientamento
filosofico", in Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Jung
come precursore di una filosofia per l'anima”, in, Il senso di psiche. Una
filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica. La carta del senso” Psicologia
del profondo e vita filosofica, Cortina, Milano,, Ipoc,
Una filosofia per l'anima. All'incrocio di psicologia analitica e
pratiche filosofiche, Ipoc, Milano Jung. L'opera al rosso, Feltrinelli, Milano. Sconfitta
e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche, Mimesis,
Milano “Che tipo di sapere potrebbe
essere quello della psicoanalisi?”, in Psiche. Rivista di cultura
psicoanalitica, “Dalla pseudo-speciazione
al capro espiatorio", in, Tabula rasa. Neuro-scienze e culture, Fondazione
Intercultura, Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Le pratiche
filosofiche nella formazione, Adultità, Guerini, Milano Bartolini P., Mirabelli
C., L’analisi filosofica: avventure del senso e ricerca mito-biografica,
Mimesis, Milano-Udine Campanello L.,
"L'analisi biografica a orientamento filosofico e le cure palliative”, in
Tessere reti per una buona morte, Rivista Italiana di Cure Palliative, Campanello
L., Sono vivo ed è solo l'inizio, Mursia, Milano Daddi A. I., Filosofia del profondo,
formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta,
Ipoc, Milano, Daddi A. I., “Principio
Misericordia, perfezionismo morale e nuova etica. La proposta màderiana per
l'Occidente del terzo millennio”, in Rassegna storiografica decennale, Limina
Mentis, Monza, Diana M., Contaminazioni
necessarie. La cura dell'anima tra religioni, psicoterapia, counselling
filosofici, Moretti, Bergamo, Galimberti U., Dizionario di psicologia.
Psichiatria, psicoanalisi, neuro-scienze, voce “Biografico, Metodo”,
Feltrinelli, Milano Gamelli I.,
Mirabelli C., Non solo a parole. Corpo e narrazione nella formazione e nella
cura, Cortina, Milano Janigro N., La
vocazione della psiche, Einaudi, Torino
Janigro N., Psicoanalisi. Un’eredità al futuro, Mimesis, Milano Malinconico A., "Dialettica di redazione
(ancora in tema di analisi biografica a orientamento filosofico)", in, Il
senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Malinconico
A., Psicologia Analitica e mito dell’immagine. Biblioteca di Vivarium,
Milano Montanari M., “Per una filosofia
del profondo”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di
psicologia analitica, Montanari M., La filosofia come cura, Mursia, Milano Montanari M., Vivere la filosofia, Mursia,
Milano Moreni L., “Intervista a tre
analisti filosofi”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista
di psicologia analitica, Sull’analisi biografica a orientamento filosofico Analisi biografica e cura di sé Una nuova formazione alla cura Psiche e città. La nuova politica nelle
parole di analisti e filosofi Quattordici
punti sull’analisi biografica a orientamento filosofico. Romano Màdera. Madera. Keywords: la carta del
senso, “profondo” “la grammatica profonda” “la grammatical del profondo” Tiefe
Grammatik – implicatura del profondo, implicatura del superficiale. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Madera” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Maffetone – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo italiano. Grice: “I like Maffetone; he tries, like I do,
to defend Socrates against Thrasymacus; in the proceedings, he provides his
view on the foundations of Italian liberalism – and has recently explored the
topic of what he calls ‘il valore della vita.’” Si laurea a Napoli. Ha
contribuito al dibattito scientifico sui temi di bioetica e etica dell'economia
e della politica, alla Rawls,, tentando di ricostruire i principi del
liberalismo applicandoli al contesto dell’economia. Insegna a Roma. Presidente
della Fondazione Ravello. Saggi: “I
fondamenti del liberalismo” (Laterza, Etica Pubblica, Il Saggiatore); “La
pensabilità del mondo” (Il Saggiatore, “Rawls” (Laterza). “Un mondo migliore.
Giustizia globale tra Leviatano e Cosmopoli, “Marx nel XXI secolo,” Luiss University
Press. Radio Radicale. Sebastiano Maffettone. Maffetone. Keywords: contrattualismo.
Rawls on Grice on personal identity. Keywords: quasi-contrattualismo
conversazionale, i due contrattanti – il contratto come mito – contratto –
marxismo, comunismo, laburismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maffetone” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Magalotti – di naturali esperienze – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Magalotti – very philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we
don’t say that he was a professional philosopher, but not an amateur
philosopher either – ‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on
‘natural experience’ – he is being Aristotelian: there is natural experience
and there is trans-natural experience – and there is supernatural experience!” Appartenente
all’aristocrazia, figlio di Orazio, prefetto dei corriere pontifici, e
Francesca Venturi. Studia a Roma e Pisa, dove e allievo di Viviani e Malpighi.
Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario dell'Accademia del Cimento
(fondata da de’ Medici). Fa parte anche dell'Accademia della Crusca e
dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al Cimento nacque i “Saggi di
naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del
Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de' Medici iniziando così un'attività che lo porta a una
serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e
brillanti relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad
ambasciatore a Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si dedica alla
filosofia, con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere:
“Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del
conte Lorenzo Magalotti e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze, Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo,
Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime
composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte Lorenzo Magalotti gentiluomo
fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav.
dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca.
Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere
scientifiche. “Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti
di corte e di mondo” Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo
Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America
dette volgarmente buccheri” Roma.Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze: per
Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria canzoniere
del celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima volta dato alla luce e
dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini,
e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Giovanni Filips tradotto
dall'inglese in toscano dal celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima
volta stampato con altre traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso
Andrea Bonducci); Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere
slegate: precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in
toscano” (Roma: Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo
Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico
nell'edizione de La donna immaginaria canzoniere del conte Lorenzo Magalotti
con altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da
Gaetano Cambiagi, In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario
critico della letteratura italiana, Torino, POMBA, Lorenzo Magalotti, Relazioni di viaggio in
Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Crusca, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia Lettere scientifiche ed erudite Comento sui primi cinque canti dell'Inferno
di Dante, e quattro lettere del conte Lorenzo Magalotti Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo
pastore arcade Lettere scientifiche ed
erudite La donna immaginaria Novelle
(il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di
Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch. DICE
poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto
del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un
composto d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore.
Al Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78
ne d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire ,
che nel giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor
Cavaliere Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette
Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima
de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don A n giolo Maria Quirini.
Lettera XIII. 262 INDICE 395 . : 126 Sopra un effetto della vista in
occasio Al Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor
Cavalie Signor Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa
Sopra un passo del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N.
Lettera XIV. . Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII,
Іоо Letiore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo
Maria Q u i rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera
XV. 85 157 279 Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra
un intaglio in un diamante. A 289 300 7 Conte Ferrante Capponi .
Lettera XIX. Sopra la lettera B , e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel
principio de 396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate
Lorenzo Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere
Cognomi. Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . . 338
FINE. SilAJilUsCEn il poeta per una lelva, per la quale tutta notte
aggiratosi, la mattina in su falba si trova a piè <l'uQa colliuciui.
Kipoaatosi alquanto ^ •! per voler aalire f quando y fattuegli
incontro una lonza, un leone e una lupa, h costretto a rifuggirsi alla
selva. In questo gli apparisce Fombra di Virgilio , il cui ajuto è da
esso caldamente implorato contro alla lupa, dalla quale il maggior
pencolo gli soprastava. Virgilio discorre lunga* mente della pessima
natura di quella 6era, onde cam« porne lo strazio , offerendogli sè per
guida | a tener altra Digiiized by Google a
Canto via lo conforta. Dante accetta Tofferta di Virgilio « e
te- nendogli dietro ti mette in cammino. V. I. Nel mezzo del
cammin tee. Keir età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee per
congetture; ma provasi manifestameute da un luogo del tuo Convivio,
nella aposizione della canzone: Le dolei rime eTamor, eh* io eolia;
dove 9 dividendo il cono della vita umana in quattro parti, che
tutte (anno il numero d'anni 70 « resta, che la metà del suo corso,
secondo la mente del poeta, sia ne' 35 . Che poi questo primo verso debba
intendersi letteralmente, cioò del numero degli anni, e non alle-
goricamente, come alcuni vogliono: si dimostra da un luogo deir Inferno ,
caut. XV, nel quale domandato il poeta da Ser Bnmetto di sua venuta, esso
gli risponde, V. 49; Lassù di sopra in la vUa serena *
JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle , 1 Avanti (he Vetà mia
fosse piena: riferendoli a questa selva» nella quale racconta
essersi smarrito nel mezzo del commin del suo vivere. V, per
una selva oscura. Forse questa selva ^ oltre al senso letterale,
che fa giuoco al poeta per 1* intraduzione del suo viaggio , ha
sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono ar- ricchite molte
parti di questo primo canto ; e vuol per avventura s guilicare la selva
degli eiTori , per entro la quale assai di leggieri si perde l' uomo
nella sua FRIICO. 3 a<h>1etccnu; e cìie
iia *1 vero nel topraccitato luogo del •uo CoFwivio ti leggono queite
formali parole ; È adunque dà f opere, che y ticcome quello, che mai non
fosse stato in una città , non saprebbe tener le vie -, senza l'
insegnamento di colui , che le ha usate : ro/1 V adolescente » che entra
nella teloa erronea di questa vita , non saprebbe tenere il buon
co/m- mino y se da suoi maggiori non gli fosse mostrato ; nè il mo-
strar vatrebbe, se alli loro coaiafidamenti non fosse obbediente,
V. 8. Ma per trattar del ben ecc. Del frutto, il qual ti
ritrae dalla meditaiione di quel miserabile stato pieno di pene e di
rimordiinenti , mediante la quale s' arriva alla caDtemplaaione d' Iddio
, che è la fine propostasi dal poeta. V. 1 3. Ma po* eh* »* fui
appiè ecc. Il colle è forse inteso per la virtù , la qual si
solleva dalla bassezza della selva. V. l6 vidi le sue
spalle VestUe già de* raggi del pianeta ecc. Il senso
letterale è aperto , volendo dire , che la cima del colle era di già
illustrata da' raggi del nascente sole. Ma forse, che sotto questo senso
n' è chiuso un altro ^ pigliando il sole per la grazia illuminante , la
quale all' u- sctr Dance dalla selva degli errori cominciava a
trape- lare con qualche raggio nella sua mente. V. ao. Che
nel lago del cuor ecc. Por che voglia insinuare , nella passione
della paura commuoversi e fortemente agitarsi il sangue nelle due
cavità del cuore, dette volgarmente ventricoli; de' quali, 4
Canto prrò eh’ e' parla in lingolare , pigliando la parte pel
tutto , vuol forae dir principalmente del destro , che del sinistro i
maggiore. Dante lo chiama lago , credendosi forse che il sangue che v’ è
, vi stagni , non essendo in que’ tempi alcun lume della circolazione.
Qui però cade molto a proposito il considerare un luogo
maraviglioso del Petrarca nella seconda canzone degli occhi,
finora, che io sappia, non avvertito da altri; nel quale dice cosa
intorno alla circolazione da far facilmente credere, eh* egli quasi quasi
se l’indovinasse, arrivandola, se non con l'esperienza, con la propria
speculazione. Dice dun- que così : Dunque eh' i’ non mi
sfaccia , Si frale oggetto a s\ possente fuoco Non i proprio
valor , che me ne scampi , Ma la paura un poco , Che 7
sangue vago per le vene agghiaccia , insalda ’l cor , perchè più tempo
avvampi. Non ha piti dubbio-, eh* e’ si parrebbe forte
appassio- nato del poeta, che volesse ostinarsi a dire, che il sen-
timento di questi versi suppone necessariamente la notizia della
circolazione del sangue ; la quale , a dir vero , so fosse stau
immaginata , non che ricooosciuu dal Petrarca, non ha del verisimile ,
eh’ ella si fosse morta nella sua mente, ma, da lui conferita e discorsa
con altri, per la grandezza del trovato avrebbe mossa fio d' allora la
cu- riosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i riscontri
con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il vedere , come , il
poeta altro facendo , e forte altro in- tendendo di voler dire , gli è
venuto detto cosa , che spiega mirabilmeote quesu dottrina; poiché, se
ben si considera il lento de' lopraddetti Tersi , ^ tale : Ma
il cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di flui- dezza
il sangue , il quale nel vagar per le vene s'ag- ghiaccia dalla paura , e
ciò a fine di farlo arder misera- mente più lungo tempo.
Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che opera nel
sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore, dove si liquefi,
s'allunga, s'assottiglia, e si stempera, caso che nel vagar per le vene
lontane o per paura, come in questo caso nel Petrarca, o per
qualsivoglia altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde
poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse ripigliare il nuovo
giro ed allungar la vita (la qual tanto dura, quanto dura il sangue a
muoversi), e si a render più luogo r incendio amoroso del poeta?
Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia assai
oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Da- vanzati nella sua
Lezione delle monete. Il luogo ò il se- guente : Jl danojo è il nerbo
della guerra, e della repuh~ hlica , dicono di gravi autori, e di
jolenni* Ma a me par egli più acconciamente detto il secondo sangue;
perchè, siccome il sangue , eh' è il rugo e la sostanza dei cibo
nel corpo naturale, correndo per le vene gì-osse nelle mi- nute ,
annaffia tutta la carne , ed ella il si Bee , com* arida terra bramata
pioggia, e rifà, e ristora, qucaUunque di tei per lo color naturale
s'asciuga, e svapora: così il danajo, eh* è sugo e sostanza ottima della
terra , come dicemmo , correndo per le borse grosse nelle minute , tutta
la gente rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontl-
nuatnente nelle cose , che la vita consuma , per le quali nelle medesime
borse grosse rientra , e cos't rigirando man- tiene in vita il corpo
civile delta repubblica. Quindi assai Digitized by Coogle
6 Canto éi leggler ti tomprende , eh*
ogni ttato vuol una quantità di moneta, che rigiri^ come ogni corpo una
quantità di sangue , che corra» Che dunque diremo di queit*
autore ? Nuli* altro ceiv tamente , te non che , dove i profeMori delle
mediche facoludi non giunsero, se non dopo un grandissimo guasto d*
inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello che con la forza d'un
perspicacissimo ingegno penetrò nel segreto di questo aumiirabile
ordigno, c tutto per filo e per segno ritrovò raltisstmo magistero di
quei movimenti, che noi vita appelliamo* V. 31 . £ qual è
quei, che con Una af annata ecc. MaravigUosa similitudine.
V. 35. CoA /'animo miò , eh* ancor fuggiva ecc. Rara maniera
d'esprimere una paura infinita. Bocc.*, Novella 77. Allora , quasi come
se *l mondo sotto i piedi venuto le foste meno , le fuggi Canitno , e
vinta cadde ro- paa '/ battuto della terre. V. 3 o* Si che 7
piè fermo ecc. Solamente camminandosi a piano : dicansì quel
che vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente conviensi dalla
dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il piè fermo retu sempre Ìl
più basso. Onde convien dire, che Dante non avesse ancor presa l'erta, il
che si convince anche più manifestamente da quel che segue :
V. 3 i. £d ecco, quoti al cominriar dell’ erta» La voce quoti
vuol significare ( e tanto più accompa- gnau con l'altra al cominciar t
che denota futuro), che PRIVO. 7 Verta era ben vicina, ma non
cominciata; c pure in fin allora avea camminato , adunque a piano. Nè li
opponga quello, ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3. Ma po’
eh’ i fui appii d" un colle giunto ; poiché appiè d'un colle
li dice anche in qualche distanza; anzi t' e’ doveva comodamente vedergli
le spalle, v. l 6 . Guarda’ in alto e vidi le sue spalle ,
tornava meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto meno dà
dilEcoltà il seguente v. 6 l. Mentre eh’ i’ rovinava in basso
loco; dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi
saliva. Saliva , ma dopo aver prima fatto il piano , per lo qual camminando
il pie fermo sempre era il più basso. Del resto il leone e la lonza non
poteron impedirgli il salire : solamente la lupa gli fe’ perder la
speranza dell’ al- tezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui
avvenne eh’ egli prete a rovinare in basso loco, V. 3a. Una
lonza ecc. Una pantera. Per essa , come animai sagacissimo ,
in- tende veritimilmente la lussuria. V. 36. Ch’i’ fui, per
ritornar, pUi volte, volto. Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’
egli per nn^ volta un simile scherzo , Ub. IV , corm. VI , v. 9 .
Sic bene compones : ulli non ille puellat Seruire.
8 Canto £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la
voglia, elcg. Xin, Ub. I, V. 5. Vum tiU Jecepiiì augfiur fama
puellis , CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram. V. 39
quando V amor divino Mone da prima quelle cose belle-
Direi, che per la motta di quelle cose belle non inten- dette altro
il poeta, che rattuazione dell* idee, o tì vero lo tpartimento dell* idea
primaria nell* idee tecondarie , che è il diramamento dell* uno nel
diverto tignificato nel triangolo platonico. In tomma la creazione dell*
univerto, allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al
mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella mente divina.
£ non è inveritimile, che Dante abbia voluto toccare quetta
dottrina platonica, nella quale, come appare ma- oifettamente da altri
luoghi della tua Commedia, e prin- cipalmente nell* XI del Paradito ,
egli era vertatittimo , donde ti raccoglie e 1* intento amor delle lettere
e la pertpicacia del tuo finittimo intendimento , mentre in un
aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni pla- toniche ,
quando i principali autori di quella tcuola o non erano ancor tradotti
dal greco idioma , o t*egli era- no, grandittima penuria vi aveva de*
codici tcritti a penna dove vederli e ttudiarli. Na t* io ben m'avvito,
tal dot- trina Incavò egli a capello da Boezio, del qual aurore il
poeta fu ttudioiittimo , dicendo nel tuo Convivio queite formali parole :
Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia mente» che s'argomentava di
tonare » provvide ( poi ne*l ai/o, nè Taltrui consolare valeva )
ritornare al modo» che F ni u o. 9 alcuno
sconsolato avea tenuto a consolarsi; e ansimi ad allegare e leggere
quello , non conosciuto da molti , libro di Boezio ) ìlei quale » cattivo
e discacciato , consolato si aveva. Quivi adunque potè egli facilmente
apprendere a intender Puniverso aotto il nome di bello , e ti per
la moMa delle cose belle intender la mossa del mondo archetipo
disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1 versi * di Boezio sono i
seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro 1\. O qui perpetua mundum
radane guhemés» Terrarutn caeUque salar , qui te/apus ab aeuo
Ire iuhes , stabilisque nianeru das cuncta moueri ; Quent non extemae
pepulerunt fingere caussae Materiae fluitantis opus uerum insita
sutnmi Forma boni, liuore carens : tu cuncta superno Ducis ab
exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens , similiqtte
imagine formans , Perfectasque iubens perfectum absoluere partes.
In numeris elemento ligas , ut frigora fiamtnis y Arida conueniant
liquidis : ne purinr ignis Fuolet , aut mersos deducane pondera
terras. Tu triplicU mediam naturae cuncta mouentem Connectens
animam per consona membra resoluis, etc. Che poi per la motta
intenda l'attuazione delle idre mondiali, ciò si convince apertamente da
un luogo ma- raviglioso del suo canzoniere nella canzone :
Amor y che nella mente mi ragiona; dove parlando della sua
donna dice cV ella fu T idea, che Iddio si propose quando creò il uiondo
sensibile, il qual atto di creare vien quivi espresso con la voce
mosse. IO Canto Però qual donna
sente sua beliate , Biasmar , per non parer queta ed umile ^
Miri costei , eh' esemplo è d’umiltate» Questuò colei, che
umilia ogni perverso. Costei pensò , chi mosse l* universo.
Altri forse intenderà (tutto che i comentatorì in questo luogo se
la passino assai leggìensente ) per la mussa di quelle cose belle, la
mossa data ai pianeti per gli orbi loro; ma trattandosi d"una mossa
data dall" amor divino, panni assai più degna opera la creazione
dell'universo, che r imprimere il moto a piccol numero di stelle.
Dire dunque , che il sole nasceva con quelle stelle , eh* eran con
lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era in Ariete , nella qu^d
costellazione fu creato secondo Vopiniooe di molti. V. 41 * a
bene sperar vera cagione. Di quella fera la gaietta pelle ,
L*ora del tempo , e la dolce stagione. Può aver doppio
significato : primo in questo modo , cioè : 51 che Vara del tempo , e la
dolce stagione tu erano cagione di bene sperare la gaietta fera di quella
pelle; cioè, Si che l'ora della mattina e la stagione di prima^
vera (avendo detto che il sole era in ariete) mi davano buon augurio a
rincer l'incontro di quella fiera, e a riportarne la spoglia. £ in quest'
altro : Sì che aggiunto all' ora e alla bella stagione l' incontro di
quella fiera adorna di sì vaga pelle non poteva non isperar felici
successi. Così rincontro d'uno o d' un altro animale recavasi anticamente
a buono o a tristo augurio. F R I M O. (I V. 45. Za
vista, che m'apparve étun leone. Il leone è preio dal poeta per
limbolo della superbia. V. 4^. £d una lupa eco.
L'ararizia. V. Si. £ molte genti fe' già viver grame.
Ciò si può intender di coloro , l'aver de' quali è ingordamente
assorbito ddl' avwo , e per gli avari me- desimi, che ai consumano in
continui affanni per l'insa- ziabditi della lor cupidigia, onde chiama la
lupa bestia senza pace. V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di
sua vista. Qui paura con bizzarra significazione vale spavento
in significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne trovi.
Cosi l'addiettiva pauroso è preso attivamente, Infer. cant. 3 , V. 8
H. Temer si dee di sole (fucile cote , eh’ hanno
potenza di far altrui male , Deir altre no , che non son
paurose. Cioè non danno paura ; ma questo non è tanto sin»
gulare , quanto il sostantivo paura in significato di ter- rore, e f.tcllmente
se ne troveranno esenipj simili cosi ne'Crecif come nei Latini. Uno al
presente me ne sov- viene, ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib. Il , v.
q, Stare uel insanis cautes obnoxia uentit , Naufraga
quae uatii tunderet unda maris ! V. 60 dove il sol tace.
Verso l'onibra della selva. Canto V. 63 . Chi per lungo
silenzio parta fioro. Quriti è Virgilio, «otto la periona del quale
pare, che debba intendersi il lume della ragion naturale risve-
gliato nella mente del poeta dalla teologia figurata per ranima di
Beatrice de* Portinan in vita amata da Dante. V. 63 parta
fioco. Dal sento delle parole par, che Dante •* accorgesse ,
che Virgilio era fioco dalla semplice vista, ma a bea considerare non è
così. Perchè allora eh' egli scrisse questo verso avevaio già udito
favellare, onde può ben dire qual era la sua voce, oltre al dire eh* e*
Paveva veduto. Che poi lo faccia fioco , ciò è furila per tacciar la
bar- barie di quel secolo , in cui allorché Dante si pose a cercar
lo suo volume, cioè a leggere e studiar TEneide, nino altro era che la
cercasse o studiasse , onde poteva dirsi Virgilio starsene muto ed in
silenzio perpetuo. V. 70. Nacqui suh JuliOt ancorché fosse
tardi. Dice esser nato sotto Giulio Cesare ancorché fosse
tordi, cioè ancorché esso Giulio Cesare rispetto al nascer di Virgilio
fosse tardi, cioè indugiasse qualche tempo ad aver Tassoluto imperio di
Roma, onde si potesse con verità dire che la geme nascesse sotto di lui.
£ vera- mente Virgilio nacque avanti a Cristo anui 70, agridi
d'ottobre , e per conseguenza avanti che Giulio Cesare fosse
imperatore. V. 90. Ch" ella mi fa tremar le vene e i
polsi, piglia i polsi universalmente per Parterìe, le quali
eo\ loro strigoersi e dilatarsi con contraria corrisponden- za alla
sistole e alla diastole del cuore continuamente R I li O.
i 3 dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì
poet mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come quegli che
beni»iÌmo sapea , che per non andar mai diigiunte dall* arterie, in una
violente commozione di queite, non può far di meno che quelle ancora
tanto quanto non •'alterino. V. 91. A te convien tenere altro
viario. Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere,
ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile. V. 100.
Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia. Molti vizj veogon
congiunti con Tavanzia. V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc.
Questi è messer Cane della Scala veronese , onde la sua patria,
dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè tra Monte Feltro dello
Stato d' Urbino e Feltro del Friuli si ritrova in mezzo Verona. Fu messer
Cane uomo d'alto affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale;
ed essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera
conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro, che di gran
saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche il nostro poeta,
allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~ bellini intorno all'anno i 3
oS. V. io 3 * terra , nè peltro» Peltro^ stagno raffinato
con lega d’argento vivo. Qui per metallo in genere , onde il scntimeaio è
questo ; V. io 3 . Questi non ciberà terra , nè peltro ,
Questi non si ciberà , cioè non sarà signoreggiato da ambizione di
stato > uè da cupidigia d'avere. 14 Canto triuo.
V. ic 6 . Di queìF umile Italia» Vinile y atteso il tuo
miserabile stato in que* tempi per rintestioe discordie, ond' ella era
sempre infestata. V. 111. Là onde invidia prima ecc. O
sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in Ciclo, o contro l'uomo
nel paradiso terrestre, o pure: V. IH. Là onde invidia prima
dipartiìla\ Là onde da prima inridia la diparti , preso quel
prima avverbialmente. V. iiS. Che la seconda morte ciascun
^rida. Allude al desiderio , che hanno i dannati della morte
deir anime loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla crudeltà de'
tormenti, onde S. Luca, cap. aa, io persona di quelli : Monies cadile
super noi, et colles operile nos. V. lai. Anima fia ecc.
Beatrice de' Portinarì , la quale , siccome à detto di sopra , fn
io vita ardentissimamente amata dal poeta. In questo, che segue nel
primo canto, si consuma un giorno intero , eh' è il primo del viaggio di
Dante. INFERNO. CANTO SECONDO.
ARGOMENTO. Si fa dall’ ioTOcar le muae e l'ajuto della
propria mente. Dipoi acconta , com' egli peniando all' impreia di
tal viaggio . cominciò a •gomrntoraeoe , e a motirare a Virgilio eoo
molte ragioni, di' e' non era dovere, ch'ei ti mettewe ]>er niun conto
a cimento >1 pericoloio. Dopo di che narra, come Virgilio lo ripreie
della tua viltà; e con dirgli, ch'egli veniva in tuo aoccorto
mandatovi da Beatrice, tutto di buon ardire lo iraarrito animo gli
rinfranca, ond'egli ti ditpone al tutto di volerlo teguitare. V. 4
. ATapparetfhiava a sostemr la putirà , Si del cammino , e ti delta
pittate. Il Boti, il Vellutello, ed altri comentatori
tpiegano qneito luogo coti ; M'apparecchiava a tiiperar le ilitE-
cultà del viaggio, e tollerar la noja della pietà, di' eraii per farmi
quei crudeliitimi tirar) , ond’ era per veder tormentare l’anmie de’
dannati. Io però ardirei proporre Digitized by Coogle
j6 Canto un* alfr.i roiuMcrazionc , le a sorte Dante avesse
piut- tosto voluto dire, eh’ ci •'apparecchiava a sostcoer la
{guerra della pirtare , cioè a ftf forza al suo animo per non prender
pietà de’ peccatori, avvegnaché U crudeltà de’ «upplizj. fosse per
muovergli un certo naturai affetto di comjiafsione , al quale ciafcun
uomo fi seme ordina- riamenTc incitare per la miseria altrui. £ veramente
il senso letterale pare , che favorisca mirabilmente questo
sentimento ; poiché , s’ei s’apparecchiava a sostener la guerra della
pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la pietà , segno è eh' e* non
voleva lasciarsi vincer da quella, ma si resistere e comb.ucere con la
considera- rione, che quegl' infelici erano puniti giustamente,
anzi, come dicono t teologi, citra meritumt mentre avendo offeso
una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la loro colpa, questa
non può con pene finite soddisfarsi. Dico finite quanto all' intensione ,
non quanto all* estensione , la quale non ha dubbio , che durerà
eternamente. E chi porrà ben mence ad altri luoghi dell’Inferno, ne
troverà di quelli, che armano di piu salde conjetture il sentimento
da me addotto in questo passo. Tale è quello dell’Inferno, canto XIII,
dove, dopo il primo ragionamento dì Pier delle Vigne , Dante dice a
Virgilio, eh* c’ seguiti a do- mandare all* anima del suddetto Piero
qualche altro dubbio, imperocché a lui non ne dà Tanimo, tanto si
sente strignere dalla pietà del suo infelice stato, v. OntV io a
lui : dimandai tu ancora Di quel, che credi ^ ch‘ a me soddisfaccia
; eh* i non potrei: tanta pietà in accora. E piià apertamente
si vede questo star su la difesa, che fa Dante contro l’ importuna pietà
de* dannati, la qual tenta di vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno ,
quando arrivato in tu ruldina costa di Malebolge dice cosi, v. 43^ Lamenti
saeltaron me diversi , Che di pietà ferrati avean gli strali
: Ond" io gli orecchi con te man coperti. Il qual
terzetto par, che esprima troppo maraviglio- samente un fierissimo
assalto dato dalla pietà all’ animo del porta , e la difesa di quello con
turarsi gli orecchi. £ non solamente si troverà difendersi dalla pietà ,
ma sovente incrudelire contro di essi, negando loro conforto e
compatimento. Così Inf. cant. XXXIII , richiesto da Branca d’Oria, che
gli distaccasse d' insieme le palpebre agghiacciate , non volle farlo ,
v. 148. Ma distendi ora mai in guà la mano , Aprimi gli
occhi I ed io non gliele aperti, E cortesia fu lui tesser
villarto. E Inf. XIV , vedendo Capaneo disteso sotto la
pioggia di fuoco, dice stargli il dovere, v. ^t. Ma , com' io
dissi lui , li tuoi dispetti Sono al suo petto assai debiti fregi.
Io però confesso di non aver per anche si fatta pra- tica SU questo
poema , eh' e' mi sovvengano così a un tratto tutti i luoghi, ov’ e'
favella di pietà in questa prima Cantica dell’ Inferno; e considero eh’
e’ mi se ne può addurre taluno ora non pensato da me , il qual
mostri così chiaro il contrario, eh’ e' metta a terra tutto il pre-
sente ragionamento. E considero , che altri potrebbe ri- spondermi , che
il far dimandare da Virgilio Pier delle Vigne , e ’l coprirsi gli orecchi
con le mani posson i8 Canto ambedue etter
effetti dell' cuer Taiiimo del poeta troppo vinto dalla pietà, e non
dall' eaier a lei repugnante ; ma io non piglio per aaiunto di provare ,
che egli si picchi di non calerti mai piegato a pietà de' dannati , anzi
che in molti luoghi confeita la aua caduta , qual è quella , Inf.
canto V, v. 70. Poscia eh' i' thhi il mio dottore udito Nomar
le donne antiche e cavalieri , Pietà mi vinse , e fui quasi smarrito.
Nel qnal luogo non meno ti pare la perdita del poeta, che il
contratto antecedente; mentre, te egli non ti fotte potto in animo di non
latciarti andare alla compattione, non avrebbe indugiato fin allora ad
arrenderli , avendone avuta occatione molto prima , cioè tubito eh' ei vide
la miteria dei peccatori carnali. Ivi, v. 3S. Or incomincian
le dolenti note A [armisi sentire : or son venuto , Xà dove
molto pianto mi percuote. Ma egli Ita forte il più eh' el potette :
però , allora ch'egli ebbe riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini,
e coti alte donne , piegò l'aaimo alla compattione ; ond'egli dice
, eh' ei fu quoti smarrito , cioè ti perdè d' animo , vedendoti vinto il
pretto. Per lo che concludo, che, te bene da quetto e da muli' altri
luoghi ti comprende la vittoria della pietà , ciò non toglie il vigore
alla ipoti- zinne del preiente patto , potendo benitiimo ilare in-
lieme l'un e l'altro : cioè che Dante ti ditponeiie a toitener la guerra
della pietà , cioè a non compatire i dannati ; e poi , come di animo
gentile ed umano , di quando in quando cedette. V. 8. O mente , che
scru/etti ciò eK io vidi ecc. Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua
memoria, chia- mandola mente che tcriite ciò eh' egli vide ; cioè, in
cui a' impretaero le tpecie degli oggetti vedati. V. IO. Io
cominciai; Vi a’ intende a favellar di qncato tenore , e queata
è maniera uaitatiaaima di Dante per iafuggir la proliaaità dell'
introduaioni de' ragionamenti ; coal ed io a lui ed egli a me ; cio^
diaai e diaac , ed infiniti altri aimili faci- lisaimi ad
intenderai. Y. l 3 . Tu dici, de di Silvie lo parente,
CoirutlUile ancora , ad immortale Secolo andò , e fu tentibilmente.
Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna Eneide , che Enea padre
di Silvio , eaaendo ancora nel corrunibil corpo, andò a aecolo immortale
, cioè diaceae airinferno, e ciò non fu per aogno o per eataai , ma
aenaibilmente , cioè in carne e in oaaa. V. 16. Però se I
avversario d'agni male Cortese fu , pensando I alto effetto ,
Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale L’avversario d* ogni
male è Iddio, e ‘I chi , Romolo fon- dator di Roma , e 'I quale , e le
aue alte qualità ; onde il aenao de' aeguenti terzetti è tale : Se Iddio
, penaando la aerie delle coac , che doveano farai per Enea c la aua
aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di lui dall'Iu- ferno : ciò
non parrà punto di atrano a qualunque abbia punto d'intendimento,
conaiderando eh' egli fu eletto per .vutore di Roma e del romano
imperio. 20 C AVTO V. 22. La qual*
e *l quale ecc. La qual Roma, e '1 qual imperio. V. 14.
U* siedv il xuff<//or del «o^ior Piero. Qui Piero per Pontefice
, onde il maggior Piero viene a eMer Cristo , e non S. Piero , come
vogliono ì coni» mentatori; perchè s'e* parlaste di S. Piero, non
direbbe del maggiore y il qual ti dice solo comparativamente ad
altri minori ; il che toma appunto bene , però eh* e* parla di Cristo, il
quale rispettivamente a $. Piero può vcrar mente chiamarti il
maggiore* V. aS. Per quest* andata, onde li dai tu vanto ecc.
Onde cotanto T esalti fra gli uomini per ralcissimo privilegio
concedutogli. V. a6. Intese cose che furon cagione Di
sua vittoria , e del papale ammanto. Allude alla predizione fatta
da Anchise ad Enea nel sesto deir Eneide ; per la quale egli intese la
sua vitto- ria, da cui dopo lunga serie di avvenimenti fu stabi**
lito in Roma il papale ammauto , cioè l'imperio sacro. V. a8.
Andovvi poi lo Vas delezione ecc. S. Paolo, quando fu rapito al terzo
cielo. £ veramente ne recò conforto alla nostra fede con l'oculata
tettimo- niaaza delle cose credute da essa. E notiti che Dajite da
principio di questo suo discorso, fatto qui a Virgilio, non si ristrinse
a dir solo di quelli, i quali ancor viventi pass;u*ono all* Inferno, ma di
ciascuno, il quale, sendo ancor corruttibile, andò a secolo immortale.
Laonde non solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo
ancora saggiamente piglia a ragionare. ai V. 34. Perchè se
del venire C tn ahhanJono ecc. M* abbandono oon vuol dire, d* io mi
tgomento di ve« iiire , come spiegano tutti i couieou , ma come
chiosa il Rifiorito : Perchè s* ì mi lascio andare a venire , assai
dubito del ritorno, V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc.
Ci mette con mirabil similitudine davanti agli occhi i contrasti d'
un' anima, che dal male al ben operar si rivolge. V. 41.
Perchè» pensando consumai t impresa y Che fu nel cominciar cotanto
tosta. S'accorge Dante d'averla un po' corsa» allora che nel
primo canto, senza pensar nè che, nè come, s'impegnò ad andar con
Virgilio, dicendo, v. i 3 o. Poeta t i ti richieggio
Per quello Iddio, che tu non conoscesti, jicciò eh* i' fugga questo
male e ptggio. Che tu mi meni là dov* or dicesti , Si
eh* i vegga la porta di S. Pietro , E color, che tu fai cotanto
mesti. Onde ora confessa , che , sbigottito dalle suddette
con> siderazioni, l'amor dell'impresa, da principio con sì lieto
animo incominciata , era per tali pensieri consumato e svanito. V.
43. Se io ho ben la tua parola intesa , Rispose del magnanimo quell
ombra , Vanima tua è da viltate offesa. Rispose Virgilio :
Con queste tue riflesiioni , s' io 1 * ho ben'imesa, in loitanza tu ba*
paura* Cauto V. Ss. I* tra tra color elle son
tospeti, Nel Limba , dove nè godono , nè dolgonti ranìme.
V. 53 . E donna mi chiamò beata e bella. Beatrice , la quale
, ticcome è detto nel IV canto , è poeta per la grazia perSciente o
consumante, secondo i teologi dicono, anzi per la stessa teologia; e ciò,
secondo nota il Cello nella Lezione duodecima topra F Inferno, per
due cagioni : Una, perchè, siccome non ci è scienza, la quale più alto ne
levi nostro mortale intendimento all’ altissima contemplazione d' Iddio e
della teologia , così non avea Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato
oggetto , che più gli facesse scala all’ intelligenza delle
celestiali cose, che, siccome scrive io più luoghi, le sublimi
virtù e l’altre doti esimie dell' anima di Beatrice. L'altra ca-
gione , per la quale sotto il nome di Beatrice intenda allegoricamente la
teologia, è per mantener la promessa, ch'egli avea fatta nella sua Vita
Nuova; dicendo, che, se Iddio gli avesse dato vita, avrebbe scritto di
lei più altamente, che aveste scritto altr' uomo di donna mortale.
Il che veramente ha egli molto bene osservato, avendola posta in così
bella e maravigliosa opera per la scienza maestra in divinità.
V. 54. Tal che di comandar i la richiesi- La richiesi. In pregai,
ch'ella alcuna cosa mi comandasse. V. 55. Lucevan gli occhi suoi
più che la stella. Più che’l sole. V. 60. E durerà quanto 7
moto lontana. Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo
lontana. Quanto il moto s' allontana dal tempo presente : cioè la
tua fama durerà quanto dura il tempo. a3 Piglia moto per tempo ella
peripatetica , definendo Ariatotile il tempo : Tempus tJt aumenu mottu
seoundwa prius et poiierUu. V. 6i. L’ amico mìo, e non della
ventura. Dante , il quale per aver amato di puriaaimo amore
le bellezze dell' anima mia, e non le doti eaterne, che la fortuna
coraparte a' corpi terreni e corruttibili , fu veramente amico di me ,
cio^ di quel eh' era mio , e non {Iella ventura , e non della bellezza,
per la quale altri di lui men faggio m’ averà riputata felice e ben
avventurata. V. 63. Nella diterta piaggia i impedito Si
nel cammin , che volto , e per paura. Impedito dalla lupa, e volto
indietro per paura di cita. V. 64. E temo eh' e' non ria già zi
smarrito, Ch’ io mi sia tardi al soccorso levata.
Dubito, che postano i vizj aver già preto in lui tanto piede , che
l'ajuto celeste non giunga in tempo. V. 67. Or muovi ecc.
Muoviti , vanne : così il Petrarca : Or muovi , non smarrir t
altre compagne. V. 71. Vegno di loco, ove tornar disio.
Toma egualmente bene al senso letterale e allegorico , cioà e a
Beatrice e alla teologia, il desiderio di ritornare in cielo ; il che
imitando per avventura il Petrarca nella canzone : Una donna
più bella asstù che ’l sole ; disse della teologia :
34 Cakto costei batte t ale Per tornar
all* antico suo ricetto. V. 72. Amor mi mosse ecc. É
Vamor d* Iddio , pel qual e' desidera che ciascun nomo ti salvi, e questo
è il eeoso allegorico o vero se- condo la lettera ; la mosse la dolce
memoria di quell* aniur eh* eli* avea portato nel mondo a Dante , ond*
ella il chiamò, v. 61 , L'amico mio. V. 73 dinanzi al Signor
mio» Avanti a Dio. V. 74. Di te mi loderò sovente a
lui. Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice a Vir-
gUio 1 non intendendo questi tali qual utile possa ritor- nare dair
adempimento di essa a uu* anima divisa per sempre dalla comunicazione
della grazia e della beatitu- dine. Dice in contrario il Vellutello , che
Beatrice con tal promessa promette a Virgilio in premio quello, che
da lei dare, e da lui ricevere in quello stato si potea maggiore ; ma non
dice poi , perchè , nè di ciò adduce alcuna prova. Na il Cello nella
Lezione sopraccitata spa- ne, che anche all* anime perdute si può (come
dicono t teologi ) giovare con levar loro qualche parte di cagione
di dolore, e in fra gli altri mudi in questo, che sentendo elleno
celebrar le lor memorie o esser qualche compas- iione di loro in altrui,
elle pigliano alquanto di conforto ( » ei però può chiamarsi tale ) di
non si vedere abban- donate al tutto da ogn* uno , e tiiassituonieuic
quelle, le quali non son dannate per fallo alcimo enorme e brut-
to, ma solo per non aver avuto cognizione della fede cmtiana , come
Virgilio. Diremo dunque « cYie non »ia ota d'ogni conaoUziune tal promeMa
di Beatrice. V. ^ 6 . O donna di virtù , sola , per cui
L'umana spezie eccede ogni contento Da quel Ciel , ch'ha minor li
cerchi sui. Qui piglia itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso allego-
rico; e dice, che per ewa, cioè per la teologia, fuomo supera , ed è più
nobile di tutte le creature contenute dal ciel della luna;, essendo, che
sopra di quello si dà subito neir intelligenza movente Torbe lunare , la
qual •enza dubbio sì per pregio , si per eccellenza di chia-
rissimo intendimento è alT uomo superiore. £ che Dante portasse opinione
delT intelligenze moventi secondo la dottrina d' Aristotile, è manifesto
per quel clT ei dice in altro luogo di esse. Par. cant. Vili , v.
37. r’oiy che intendendo il terzo Ciel movete. Ciò
potrebbe anche intendersi in quest* altro senso : O scienza, per cui
l'uomo eccede, cioè trasvola con T in- telletto dalle sublunari cose alle
celestiali e divine. V. 80. Che Vuhhidir , se già fosse , m'à
tardi. Che se io Tavessi obbedito in questo punto stesso ,
che m'hai comandato, pure la mia obbedienza mi parrebbe tarda: tale
e sì fatto è il desiderio, che ho di eseguire i tuoi cenni. Or venga
qualunque si pare, e mi poni da altri poeti forme così maravigliose e
piene di si forte espressiva. Y. 91. Jo son fatta da Dio , sua
mercè» tale ^ Che la vostra miseria non mi tange , Nè
fiamma cTesto incendio non m* assale. Digilized by Google
l6 Canto Io lono , la Dio mercè , talmente fatata per
Tacque della gloria, che la vostra miseria, cioè die T infeliciti
di voi altri ioaprai , non mi tocca , nè fiamma deir in- cendio de'
dannali non m' assale. E notili, die quella dei aoapeai la chiama
raiirria, non conaiaiendo in arnao do- lorifico, ma in pura afflizione di
apirito per la diiperata viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la
chiama fiamma, perchè tormenta poaitivamente il aenao. V. 94.
DoTina e gentil nel Ciel, che si compiange Di questo impedimento ,
ov" io ti mando , Si che duro giudicio lassù frange.
Quella donna , il cui nome è taciuto dal poeta , è inteaa
generalmente da' commentatori per la prima grazia detta da' maeatrì in
divinità grada data; la quale, perchè viene per mera liberalità divina, è
anche detta preve- niente, dal prevenir di' dia fa il merito dell' azioni
umane. Queata dunque addirizzando la volontà del poeta nel buon
proponimento d'uacir della aelva del peccato, e di aalire il monte
Bgurato per la virtù e per la contemplazione, piega e rattempera il
rigoroso giudicio d'iddio; onde dice: che dal compiangerai di quella
donna per l'itupe- dimento, che trova della lupa, il buon voler del
poeta, duro giudizio laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaa-
aione , vedendo, che gli manca più il potere, che il volere; onde merita
d'aver in ajuto la aeconda grazia deiu illu- minante , la quale (
ipongono i commentatori ) da Dante è chiamata Lucia , dalla luce , eh'
ella n'infonde nell'ani- ma Questa seconda grazia chiama finalmente la
terza , detta perficiente o coniumante , espressa per Beatrice o
per la teologia; dalla quale vien condizionata la niente umana alla
contem) dazione della divina etienza : il che SECOSDO.
Ottimamente li conacguiice col mental TÌaggio dell* In- ferno e del
Purgatorio , cioè a dire con la meditazione di quelle pene ; •! come
avviene al noetro poeta , il qual per tal cammino li conduce alla
fruizione del Paradiio , e ai alla contemplazione d' Iddio.
V. 97. Questa chiese Lucia in suo dimemdo, £ disse , Ora
abbisogna il tuo fedele Di te , ed io a le lo raccoaiando.
Lucia nimica di ciascun crudele Si mosse , e venne al loco , dov V
era : Che mi sedea con l'antica Rachele. Questa donna, cioè
la grazia preveniente, richieee con tua dimanda Lucia , cioè la grazia
illuminante , che aju- tatte il tuo fedele , cioè Dante ; il quale in
altro luogo dice di tè , eh* egli fu fedele a creder quella, in che
la grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette tubilo a
chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele; e ciò per
tignificare, che la teologia è indivitibil compa- gna della
contemplazione, poiché Rachele (che in verità fu moglie di Giacob ) nel
vecchio teitamento ti piglia per la vita contemplativa. V. Io
3 . Disse: Beatrice, loda di Dio vera. Che non soccorri quei , che
t'amò tanto , Ch' uscio per te della volgare schiera ? Disse
, cioè Lucia Disse. Loda di Dio vera. Chiama la teologia e la grazia vera
lode d' Iddio , forte perchè dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi
attributi di quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati
di qualunque altra lode, che privi del lume di lei tlamo capaci di
udirne; e dalla teconda ti nvuùfctu raltiiiiiuo pregio delle tue
miaericordie. a8 Canto V. ic5. eh’ uscio per le
/iella volgare schiera. Per te toma bpne nel temo allegorico e nel
letterale ; poiché Dante non t|nccò meno al tuo tempo per la pro-
fonda notitia della tacrata teienza, che per le rime e per gli altri
parti , a' quali tollerò il tuo nobilittimo ingegno Tecceitivo amor di
Beatrice. V. ic8. Su la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^
Qui il Fioretti , non rinvenendoti qual tia qiietta fiu- Dtana ,
poitilla in queata forma : Che fiumana ? ieslia. Ma noi , per ora
latciando il Fioretti nella tua tfacciata ignoranza , terberemo ad altro
luogo la tpotizionc di quetto verto. V. 109. Al mondo non fur
mai ecc. Dice Beatrice , che al mondo non fu mai pertona coti
aoUecita a cercare il tuo bene e fuggire il tuo male , com' ella dopo
tale avvito del grave pericolo di Dante fu pretta a venir laggiù dalla tua
tedia beata. V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V hanno.
Perché le poetie di Virgilio non tolamente onoran lui, che l’ha
fatte, ma qualunque ne diviene ttudioto; onde ditte di té medeiimo nel
primo canto , T. 86. Tu se’ solo colui , da cui io tolsi Lo
hello stile , che m’ ha fatto onore. V. lao. Che del bel monte il
corto andar li tolse. Ti fe' ritornare indietro , quando poco di
viaggio ti rimaneva per condurti alla cima del bel monte , cioè al
tommo della virtù o della contemplaiione. 39 V. i 39-
Or va, eh" un tot volere è efamendue. D’amendue noi ; il tuo
cT andare , il mio di venire. V. 143. Entrai per lo cammino alto ,
e tilvettro. Spoogono i commentatori alto, cioè profondo. Io
però m'aRerrei al parere del Manetti nella tua ingegnoaa ope- retta
circa il silo, forma, e misura delf Inferno di Dante, dove intende alio
nel ano proprio tignificato, cioè d’ele- vato e aublime ; con ciò aia
coaa che egli pone Teotrata deir Inferno in aur un monte aalvatico , per
entro il cui aeno ruoli eh’ e’ ai cominci immediatamente a
acendere. Ma di ciò non fia mio intendimento al preaente di fa-
vellare I potendo ciaacuno in queato ed in ogn’ altra par- ticolarità del
aito e della forma della atupenda architet- tura di queato Inferno aaaai
ampiamente aoddiafarai con ana breve lettura del aoprammentovato
autore. INFERNO. CANTO TER20.
ARGOMENTO. ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*) cTettersi
condotto per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell* Inferno»
la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del canto» come l'ei
leggeue. Di poi, acendendo per J' in- terne vie del monte, arrivato in
quella concaviti o ca- verna della terra, che è quali come un veitibolu
dell' In- ferno, ed è immediatamente sopra il primo cerchio, cioè
sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari, cioè di coloro, che
mentre vissero non furon buoni ni per aè , nè per altri , ninna buona o
rea cosa operando. Questi dice eh’ hanno per tormento il correr
perpetua- mente in giro dietro un' insegna che tutti li guida , c
(*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con r«atorità dal
iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal quinta canta
comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X.. Digitized by
Google 3a Cauto chr in cotal cono ton punti e
fieramente trafitti da tafani e da moaclie. Attraversato quello spazio
poi destinato alla girevoi carriera di quegf infelici , dice essersi
con- dotto al fiume d’ Acheronte , e quivi aver veduto venir
Caronte per l'anime de' dannati, e dopo, euer tramortito in su la riva di
quello. V. I. Per me si va ecc. Si finge, che parli
essa porta. Ferme, il senso it Per entro me. Y. 4 . Giustizia
mosse ‘I mio aito fattore. Veramente il motivo di fabbricar P
Inferno venne dalla giustizia, la qual si dovi far di Lucifero e degli
angeli suoi seguaci. V. 5. Feeemi la divina potestafe.
La rowaui sapienza , e 'I primo Amore. La Santissima Trinità,
della quale spiega le persone per gli attributi: il Padre per la potenza,
per la sapienza il Figliuolo, per l’amore lo Spirito Santo.
V. 7 . Dinanzi a me non far cose create, Se non eterne
ecc. Seguita a parlar la porta per esso Inferno; e dice, che
avanti a lui non fu altra specie di creature se non eterne. Per queste
intendono assai concordemente i commentatori la natura angelica ; la
quale, siccome dovette esser punita per la sua ribellione , cosi par
molto verisiiuile , che il carcere d' Inferno fosse fabbricato dopo il
peccato degli angeli; e sì dopo la loro creazione. Che poi Dante se
li chiami eterni, cioè in ritguardo dell'eternità avvenire.
33 p«r la qaal dureranno, onde i teologi U chiamano
eterni a pitrte post^ o, come ad altri dì essi è piaciuto di no« minarli,
sempiterni, a distinzione delT eterno a parte ante, il che si conviene
solamente a Dio. Na siami qui lecito il metter in campo una mia
con- siderazione , la qual mi dichiaro , eh' io non intendo di
proferire altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb* es- sere , a fine
di sottoporla al savio accorgimento di quello , al quale è unicamente
indirizzata questa mia deboi fatica. 10 discorro così : L’ Inferno
( secondo Dante ) fu creato col mondo , e ’l mondo fu creato in
istante. V. la. Perch* io : Maestro, il seruo lor m è duro.
Onde io ( vi s’ intende , dissi ) : O Maestro , il senso lor m* è
duro. Duro , cioè aspro , e non , com* altri vo~ gliono, oscuro. Perchè
leggendo Dante l’ immutabil de- creto di non uscire della porta d’
Inferno , a ragione di bel nuovo s’ intimorisce. V. i3. Ed
egli a me, tome persona accorta i Qui si convien lasciar ogni
sospetto. Da questa risposta di Virgilio si conferma il detto
di sopra , che Dame non disse essergli duro , cioè oscuro ,
11 senso deir iscrizione dell’ Inferno, ma duro, cioè aspro,
spaventoso ; perchè Virgilio non piglia ora a chiosargli la suddetta
iscrizione , ma lo conforta a francamente entrarvi. Così la Sibilla ad
Enea nel VI , v. a6i. Nunc aiwuis opus, Aenea ^ nane pectore
firmo. Ma io di qui avanti non mi fermerò a conciliare i
luoglìi simili di questo canto col sesto delP Eneide, come benissimo noti
, a chi scrivo, le non dove m'occorra di 34 Canto
fare apiccare l'eccellenia di alcuna di queati col para- gone di
quelli. V.i8 il ien étW intelletta. La viltà e la
cognoicenaa d'iddio. V, ai. Quivi sospiri , pimti , e ahi
guai. Ne* tre arguenti terzetti par , che Dante abbia voglia
di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’ dan- nati. S'ei
ae lo cavi o no , giudichilo chi farà confronto di quello luogo con
quello del VI dell’ Eneide, v. SS^, Bine txauJiri gemi/us , et saeua
sonare. V. iq. Sempre 'n queW aria , sema tempo , tinta.
I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo, eioh lenza
variazione di tempo al contraria dell' aria noatra, la qual ai tigne a
tempo come la notte , e ai riachiara da' raggi del aopravvegnrnte
iole. La Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza tempo,
fintai onde il Rifiorito apiega quel senza tempo, eterna, quaai che
il aentimento aia tale, aria eterna, e tinta. Coi) nel canto che aegue la
chiama eterna , v. i6. JVon avea pianto , ma che di sospiri.
Che l'aura eterna facevan tremare, Cooiidero di pii), che
l'epiteto di eterna in quello luogo del terzo canto corria[>oude al
perpetuo aggirarli delle voci de' dannati , v. a8. Farevan un
tumulto , il qual s'aggira Sempre in quell' aria , senza tempo , tinta
; poiclià , a’ e' a'aggira eternamente , torna molto brne il
dire, che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £ poi nè meno
può dirti, che rana deir Inferno aia tìnta senza tempo , cioè ( come
tpongono i commentatori ) eterna- mente , perchè ancorché Dante dica di
etta , Inferno , cant. IV, r. io. Oscura , profonda era , t nebulosa
’ Tanto , che , per ficcar lo viso al fondo , r non vi disccrnea
alcuna cosa, Ciò non toglie , eh' ella in alcuni luoghi non fotte
di continuo illuminata dal fuoco , come nel terto girone de’
violenti , ed in queito medetimo degli teiaurad, dove te non altro vi
balenava , v. i33- La terra lagrimota diede vento , Che
balenò una luce vermiglia. V. 3l. £d io, eh' avea d'errar la tetta
tinta. Cinta d’errore, adombrata dall'ignoranza di ciò ch’io
ndiva. V. 35. Che visser sansca infamia , e sanxa lodo.
Che in queito mondo , nulla mai virtuoiamente ope- rando, non
latciaron di tè alcuna memoria. V. 37 . Mischiate tono a quel
cattivo coro Degli jingeli , che non furon ribelli , Ni
far fedeli a Dio , ma per te foro. £ opinione , che nel fatto di
Lucifero fotte una terza Lizione d' angeli , la qual nè t'accottaiie a
Lucifero , nè ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie neutrale. Di
queiti parla il poeta , e in pena della loro irreiolutezza li mette con
gli teiauratì. 36 Canto V. 4 o>
Cacciarla eie! , per non tster men belli: Nè lo profondo Inferno gli
riceve , Ck‘ alcuna gloria i rei avrebber d elli. n
tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo brutti, per rinferno aon troppo
belli ; coti ti atanno in quel mezzo, ciof nel veaubolo di euo Inferno.
Notiti ben , eh' egli dice, V. 41. Nè lo profondo Inferno gli
riceve ; volendo dire per Io profondo Inferno, coli, dove ti tor-
mentano i rei > i quali avrebbono alcuna gloria cT averli in lor
compagnia. Non come dicono gli i|>otitori.' ti glorierebbero per
vederti puniti del pari con etti , che non commitero altro peccato , che
d’etterti indiflfereoti tenuti, ma alcuna gloria v'avrebbero, perchè agli
occhi loro la piccola macchia di tale indifferenza non varrebbe ad
appannare il lustro di loro eccella natura, dalla quale ritrarrebbe alcun
taggio della gloria , e ti della celette beatitudine. V. 47.
E la lor cieca vita è tanto batta , Che ’nvidioti ton i ogn altra
torte. Non tolaniente di quella de' beati, ma in un certo
modo di quella de' peccatori. Tanto è riera, cioè vile ed oscura la
lor misera vita, onde dice, che misericordia e giusti- zia gli sdegna ,
quella che di loro non è avuta , questa , che per cosi dir li disjirezza
con distinguerli sì di luo- go, come di pene da’ peccatori. E credo, che
P intendi- mento del poeta sia J* inferire , che la maggior pena di
costoro èia vergogna di non esser almeno stati da tanto, poich’ a perder
s’aveano, di perdersi, come suol dirsi, per qualche cosa. Ond' egli
arrabbuno e mordonsi le ■lani di noo aver avnto tanto «pirito da irritar
almmend la divina giuttisia, la quale in « fatta guisa punendoli)
par loro , eh* ella « per così dir y non gli •cimi , e ai li Timproveri e
facciasi beffe della lor dappocaggine. V. Sa 9Ìdi un insegna
y Che y girando , correva tanto ratta , Che d’ogni posa
mi pareva indegna* Mette costoro rutti sotto un* istessa bandiera a
dinotare la simigUanaa dell* indegna lor vita. Li fa correre per
giu- stamente punir Tozio e Taccidia del tempo, eh* e* vissero.
V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva indegna. Spiega il
Vellntello, eh* egli erano indegni d* alcun riposQ. Il Buti: Correva
quest* insegna t che mai non mi parca si dovesse posare , e forse meglio.
Non credo però , che nè Tuno, nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I Bonanni
•e la passano senza dirne altro. In quanto a me direi : che la mence del
poeta sia stata di pigliar in questo luogo indegno per incapace, o altra
cosa equivalente ; e nel resto io credo, che Dance abbia forse voluto dar
da strologare a* grammatici toscani ; come fece Ennio a* La- tini
in quello indignas turres, dove da Girolamo Colonna r indignas viene
spiegato per magnaSy e dal medesimo vien allegato in conformazione di ciò
un luogo di Servio, il quale spiegando quel verso di Virgilio nelP Egloga
X indigno cum GaUus amore periret , spone indignutn per magnum, e
quell* altro pur di Virgilio nelle Ceiri: Verum haec sic nobìs
grauia atque indigna fuere. Nel quale Giulio Cesare Scaligero
spiega indigna y cioè inefiabile , e per trasUto , immensoCarto
V. 59 - Guardai, e vidi l’ombra di colui. Che fece per
viltatt il gran rifiuto. Intende di Piero d«l Murrone , che fu Papa
Cele- stino V , il quale , tra per la tua sempliciti e l'altrui
sottigliezza , s* indusse a rinunziare il papato. Questi fu ne' tempi di
Dante, onde non debbe tacciarsi d' iinpietà il poeta, sapone nell’
Inferno l'anima di colui, che non essendo per anche dal giudizio mai non
errante di Santa Chiesa annoverato tra' santi , come poi fu , poteva
leci- tamente credersi soggetto ad errare, e si interpretarsi in
sinistro i (ini delle sue per altro santissime operazioni. V, 63.
ji Dio spiacenti , ed a’ nemici sui. Corrisponde a quel eh' ha
detto di sopra , eh’ e' non eran nè di Dio, nè del Diavolo.
* • V. 64 . che mai non fur vivi. Morde
acutamente con questa forma di dire la perduta loro vita. V.
65. Erano ignudi , e stimolati molto. Stimolati, risguarda anche
questo la lor pigrizia. V. yS per lo fioco lume.
Traslazione mirabile di quel eh* è proprio della voce, per esprimer
con maggior forza quel che s' appartiene alla vista. Similmente nel primo
canto , v. 60 , per si- gnificare l'ombra della selva disse, dove'l sol
tace: qui con non minor vaghezza un lume assai languido lo chiama
fioco. V. 83. Un vecchio bianco, per antico pelo. Forma
assai rara e nobilissima per esprimer la canizie del vecchio
Caronte. Gridando : Guai a coi anime prave : Non isperale mai
veder lo cielo ecc. Coinime mirabilmente otaervato, ioduceme mollo
mag- giore ipavento , l' imrodur Caronte minacciante l'anime nell'
atto d'accottarti alla riva, che introdurlo muto verao di eaae , aiccome
la Virgilio , il quale non lo fia parlar* ae non con Enea. V.
88 viva , Partili da codesti , che son morti. Kon diaae
da codette , che aon morte , perché come anime eran vive ; ma diaae , da
codesti , cioè uomini , de’ quali ti potea veramente dire, eh' e' foatcr
morti. V. 91 . Disse; Per altre vie, per altri porti Verrai
a piaggia , non qui , per passare : Più lieve legno eonvien , che ti
porti. Intendono i commentatori,, che Caronte predica a Dante
la tua aalvazione , e che però gli dica, che egli arriverà • piaggia per
altre vie , per altri porti , intendendo del porto d' Oatia poato vicino
alla foce del Tevere , dove finge il Poeta , che l'anime imbarchino per
l' itola del Purgatorio ; e che queato più lieve legno aia il vat-
tello con cui vien Vangelo a caricarle , di cui Furg. cani, n, V. 4
^’- e quei s‘en venne a riva Con un vasello snelletto ,
e leggiero , Tanto che t acqua nulla n inghiottiva. Il
Rifiorito però aaviamente contiderando (aecondo io pento ) quanto era
cota impropria il porre in bocca d'un Demonio coti fatto vaticinio , mi
tpiega queato patto in 40 Canto diverto
lentimento. Prende egli altri porti in quetro luogo per altra condotta,
cioè per altri die ti portino, e per lo più lieve legno intende l'angelo
, che pattò Dante aJdormentato dall' altra riva , tenta che egli te n'
accor- geue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui
Caronte ; mentre di lì a poco li vede verificato quel eh’ egli dice, cioè
che egli per altra via verrà a piaggia, ticcome vedremo più a
batto. V. 94. £ ‘I Duca a lui ecc. E Virgilio ditte
luì. V. 99 ave' di fiamme ruote. Ave' con Tapottrofo
per avea, non ave terta pertona del meno nel preiente del verbo avere,
come hanno alcuni tetti. V. 104 e‘l teme Di lor
temenza, e di lor nasciiuenti. Gli avi e padri. Quelli tono il seme
di lor semenza , quelli di lor nascimenti, perchè da etti immediatamente
nacquero. Coti il Rifiorito. V. Ili qualunque s'adagia.
Qualunque ti trattiene , non qualunque » accomoda nella barca ,
come tpone il Daniello , che tarebbe alato tpropotito. V,
li». Come t Autunno si levan le foglie, L’una appretto delF altra ,
infin che 'I rama Rende alla terra tutte le sue spoglie.
Similitudine tratu da Virgilio nel VI , v. 309. Quam multa in
tyluit autwnni frigore prima Lapta cadunt jolia etc. ; ma adattata
asiai meglio da Daate, nel cui InTerno niuna deir anime era eacluia
dall'imbarco, liccome niuna delle foglie riman tu Palbero ; al contrario
di quel di Virgilio, nel quale tutti coloro, che non eran sepolti, erano
lasciati in terra. E poi elf i grwdemente nobilitata col prose-
guimento di essa fino al restare spogliato del ramo , pa- ragonato al
restar voto il lido j dove Virgilio la regge solamente nella prima parte
del cader delle foglie , e dell' imbarcarti fanime ; passando poi subito
a quella degli uccelli , che passano oltramare. V. 1 18. Cori
seis vanno tu per f onda bruna. Bellissima ipotipoti , e che mette
sotto agli occhi il camminar della nave. V. lao. Anche di qua
nuova tchiera t'aduna. Di quelli, che continuamente e per ogni
stante di tempo muojon dannati. V. laS. Che la divina
giuttizia gli tprona. Si che la tema ti volge in detto.
Chiese innanzi Dante a Virgilio : perché quell* anime paressero si
volonterose di passare il fiume , v. qi. Maettro , or mi concedi
, Ch’ io tappia , quali tono , e qual cottume Le fa parer di
Irapattar ri pronte. Ora gliene rende la ragione, mantenendogli
nello stesso temp^ la promessa, che glien' avea fatta in quc* versi
76. le cote li fien conte. Quando noi fermerem li
nottri patti Su la tritta riviera d Acheronte. 4
4a Canto £ dice , che ciò accade , perché la divina
giustizia le sprona ai, che la tema §i volge in diblo. l*^eIU
epoai/ione di queato paaao i coumieotatori a* aggirano per diverae
strade t non mancando di quelli, che ae la paaaano eoo la mera
apiegaaione allegorica, lo però , fìntanto che non trovi meglio da
aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la qual è : che Dante abbia
preteao d'eaprimere un terri- bile effetto delia diaperazion de' dannati
, per la quale paja ior nuir anni di precipitarai ne' tormenti , ed
empier in ai fatto modo l'atrociià delia divina giuatiziat la
quale, secondo loro , è sì vaga della loro ultima uiìaeria. Coai
abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelo- sia, o da altra
violenta paaaione ai tono indotti a darai morte volontaria per un
diadegnoao guato di aaziare il fiero animo di donna o di principe contro
di loro ade- gnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne,
segretario dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile
guato data la mone , v. L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto
, Credendo col morir fuggir disdegno , Ingiusto fece we
, contro me giusto^ Un a’imil disperato affetto ai vede raramente
eapreaio da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo , dove
parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diapera- aione per
quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88. Prostrata
iacet turba per orai, Oratque mori : solum koc facilee
Tribuere Dei. Delubro petunt; Jlaud ut uoto nuinina placent,
Sed iuuat ipsos satiare Deot.Ancora il Boccaccio fa proromper la
diaperata Fiani- metta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli Dii dell*
in- gordigia , ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da esai aono
inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a coloro , co* cfuali
essi sono adirati , benché della lor salme porgano segiu> , nondimeno
gli privano del conoscimento debito. E COSI ad un* ora mostrano di fare
il lor dovere « e saziano f ira loro» V. 117. Quinci non
passa mai anima buona» Tutte ranime, che di qua pattano , aon
dannate; però tu Dante puoi ben comprendere la ragione , ond* egli
ai motte a rigeuard dalla tua nave. V. i 3 o. Finito questo, la
bufa campagna TVemà forte, che dello spavento La mente di
sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento ,
Che balenò una luce vermiglia , La quai tu vinse ciascun
sentimento: E caddi, come Vuom, cui sonno piglia,
Quetto luogo è a mio credere oteurittitno , e tengo per fermo , che
a volerne capire il vero tignificato , aia necettario intenderlo affatto
a roveteio di quel di' egli ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono
i commen- tatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne,
e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato lo prete e lo pattò
all' altra riva. Io qui non domanderò loro, com' e' tanno, che Dante
fotte pattato dall* angelo e non pintcotto da Virgilio o da qualche
demonio , potto che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo
tolaiueute nel principio del IV canto , che, coin' e' fu desto, ti
Digitized by Google 44 Canto ♦roTÒ «Ter
pasiato i! fiume Acheronte. Tuttavia, perché di ciò ftimo, che §e ne
potsa addurre qualche probabi) conjettura , mi riitrignerò domandare : «e
la luce vermi> glia naace dal vento esalato dalla buja campagna nel
auo tremare ( intendo tempre di star tu la fona della lettera, che
col tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti di questi e d'altri
maggiori inveritimili ) , come ti può mai intender per etta vermiglia
luce un angelo venuto dal cielo ? E poi qual nuova virtù hanno i tuoni e
baleni di far addormentar le persone ? O qual necessità v'era
d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e pat- tato dormendo,
qual grande avvenimento ti cav' egli da questo tonno ? Il Vellutello è stato
a tocca e non tocca d* indovinarla, facendo nascere non il baleno dal
terre- moto , ma il terremoto dal balenare ; ma non ha poi •piegato
come ciò post* estere , stante il sentimento dei versi seguenti:
i33. La terra lagrimota diede vento ^ Che balenò una
luce vermiglia* Spiega il Landini; Che, cioè il qual vento balenò
una luce vermiglia. Dunque se fu il vento, che balenò , non fu il
baleno , che fe' tremar la campagna e spirare il vento; e per
conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria infernale, non ti può dire,
eh' e' fosse l'angelo. Io però credo, che con pochissimo la lezione del
Vellutello si farebbe diventar ottima , cioè con legger quel Che
per Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè ; si che il •enso
fosse ; La buja campagna tremò , la terra lagri- mosa diede vento ;
Perchè ? Ecco : Perchè balenò una luce vermiglia. Cosi toma quello, eh'
io diceva da prin- cipio, che a capire e a voler dar qualche sentimento
aquetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di quello , eh' egli
era inteso universalmente ; cioè dove gli altri intendevano il baleno per
effetto del terremoto e del vento , intender il vento ed il terremoto per
effetto di esso baleno. In tal modo non i più veritimile , anzi
torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta deir angelo;
il quale, oltre a quello, che n’accennò Ca- ronte quando disse, v.
91. Per altre vie , per altri porti y errai a piaggia ,
non qui , per passare , Più lieve legno convien , che ti porti.
si rende molto credibile, che foste più tosto egli, cioè l’angelo ,
che Virgilio , o un demonio , il quale passasse Dante, si per la gloria
della luce, che balenò agli occhi del poeta, ti perchè estendo il passar
Dante di là dal fiume opera soprannaturale e miracolosa, molto
maggior dignità è farla operar per un angelo, che per un’anima o
per uno spirito ; e ti finalmente perchè altre volte , quando è stata da
superare qualche gran difficoltà, come alla porta della città di Dite ,
dice espresso , che venne un angelo a farla aprire. Che poi alla venuta
dell’ an- gelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo accidente,
e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’ avve- nimento. Lo
stesso sappiamo esser avvenuto , quando v’arrivò Tanima di Cristo Signor
nostro per liberare i tanti del vecchio testamento; come ti legge in S.
Mattea al cap. XXVII e al cap. XXVIII più strettamente; dove,
scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto , ne dà per cagione la
scesa iTun angelo ; Et ecce terraemotus factus est ntagnus ; Angelus enim
Domini descendiS de taelo. Dove notisi, che quell' zaùn ha la stessa
forza, che Canto io intendo dare a qnel che, cioè di perchè o
di percioc- ché , o di conciossiacotoché , arnia clic interroghi, nè
ciò aenia molti eaempj di prosa e di versi , come si può vedere al
Vocabolario, e più difltusamente appresso al Cinonio. Un
simil costume si vede anche osservato da' poeti gentili, come eh' e' lo
conobbero benissimo adattato alla dignità de’ celesti personaggi. Servio
: Opinio est sub oduentu Deorum moueri tempia. Seneca , nell’ Edipo
, atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo stesso Edipo
della risposta dell’ Oracolo , v, ao. Vt sacrata tempia Phoehi
supplici intraui pede , Et pias , nutnen precatus , rile summisi
manus ; Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit , Imminens
Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau E Virgilio , Eneide ,
lib. Ili , v. 90. Vix ea fatus eram , tremere omnia uisa
repente Limina, laurusque Dei, totusque moueri Mons circum , et
nugire adytis cortina reclusis. Precede questo alF Oracolo d'Apollo
; luogo imitato da Callimaco nel principio delf inno in lode della
stessa Deità , V. I. *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro
Só^iroq ‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf , inàif , Sant dXtSpót,
Come s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad Apolline;
Come s' e’ scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora: Lo
Scoliaste dice, che ciò avvetiiva per la venuta dello Dio. Le sue parole
sono : itetdfigovvTOt Tov dfov. Come t"e’ icotto quitto ramo, come i
e' scossa questa spelonca! Non , Quanto s' è scosso questo ramo ree. ;
come traalata il traduttore di Callhnaco, lenza ponto avvertire, che
Io Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non di quanto:
Olov 5 rà ’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(. Or reggili le l’
interprete doveva mai tradurre otog ovvero Sicmf per quantus; e pur era
un lolenne tradut- tore , e che li piccava iniioo di icrivere veni
greci. Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a no-
bilitar la venuta della Sibilla nelf Inferno , v. iS5. Ecce autem
primi sub lumina solit , et ortut , Sub pedibus mugire solum, et
juca coepta numeri St/luarum , tùtaeque canet ululare per umbram ,
Aduentante Dea : Procul , o procul ette profani. Coll Claudiano de
Rap. Froterp. , lib. 3 , alla venuta di Plutone, V. iSa. Ecce
rrpens mugire fragor , confligere turres , Pronaque uibratis radicibus
oppida uerti. Che poi Dante non dica apertamente dell’ angelo
, ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel Comento lopra il canto
IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò egli non potea dire le non quel
tanto, eh’ ei vide; e te dice, che la luce vermiglia lo fe’ tramortire ,
vincendogli cia- •cun tentimento, e che in questo fu panato di là
dal fiume , sarebbe stato molto improprio , eh* egli ci aveste dato
conto di quel eh’ accade durante questo suo sveni- mento. Dico svenimento
, non sonno , al contrario di tutti gli tpositori , i quali , mi
maraviglio , come in cosa tanto manifesta abbiano preso un sì grosso
equivoco. Dice Dante , che la luce vermiglia gli vinse ciascun
48 Canto lentimento, cadde come Tuoma preio dal loono.
Dunque, a' ei piglia la limilicudme da colui, che cade addormen-
tato, ^ troppo chiaro, ch'egli cadde per altra cagione; che non li piglia
mai il paragone dalla iteiia cola para- gonata. Qual freddura larebbe mai
queita ? Caddi addor- mentato, come cade quegli, che l' addormenta’
Tramortito bensì; e ciò ■' intende molto bene, come polla derivare
dallo ipavento del terremoto, e dall’ abbagliamento della luce vermiglia
; ma non già il lonno , il quale è ami •cacciato , come vedremo nel
principio del leguente canto, e non luaingalo per un tuono. Un caio asiai
limile li legge in Daniele al cap. X , dove egli icrive di lè
medesimo, che la vennta deir angelo, che avea combattuto col re di
Persia, avea ripieno di tale spavento quelli eh' erano col profeta, che
l'erano fuggiti; ond'egli, vinto in ciascun sentimento e abbattuta ogni
lua virtù , rimase solo a veder la visione ; yidi auttm ego Daniel
solus uisionem. Porro uiri , jui erant mecwn non uiderunt , ted
terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in aiscondilum; ego autem
relictut solus nidi uisionem grandem lume , et non remansit in me
fortitudo, ted et species mea immutala est in me , et emareui, nec habui
quiiquam uirium. E poi diremo noi. Dante esser caduto morto, per quel eh'
ei dice al canto V dell’ Inferno , v. 140. E caddi , come
corpo morto cade ? Dunque con qual ragione or , di' e' piglia la
similitu- dine dal cadere d'uno, che l'addormenta, dir vorremo, eh'
egli si cadesse addormentato ? Nè meno volle Dante cavarci di questo
dubbio della venuta dell' angelo , fa- cendosela narrare a Virgilio,
siccome nel IX del Purga- torio li fa dir, che Lucia Io prese dormendo,
v. Sa. Dianzi ntìf alba i cKe precide il giorno , Quando f
anima tua dentro dorniia , Sopra li fiori , onde laggiuso è adorno
, Venne uno donna , e ditte : /' ton Lucia ; Latcialemi
pigliar cotlui, che dorme : Si t agevolerò per la tua via.
avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e alla bizzarria,
quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar la modeitia, per la quale
non vuol coti pretto farti bello d'un tì alto favore; riapetto , che
manca poi nel Purgatorio , dove la tua anima per la meditazione
del- r Inferno era divenuta piti monda , e ti pili vicina a
pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio. Veduto del
concetto principale di quetto luogo , è ora contegnentemente da vedere
con brevità d'alcune cote, che rimangono, per aver una piena
intelligenza anche de’ pai-ticolari tentimenti. V. i3o.
Finito quetto , la huja campagna Tremò ri forte, che dello
tpavenlo La mente di tudore ancor mi bagna. Qui mente per
fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, ri- membrando l'alto tpavento, ancor
ancora muove tudore, il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano
con gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti ancora
vediamo quell' azione , liati dell' anima , o degli tpiriti, che i'
etprime con quetto vocabolo di fantatia, per allungare al palato, e
romper Pagrezza de’ frutti acerbi gagliardamente immaginati , muover
taliva. V. i33. La terra iagrimota diede vento ere.
So Canto terzo. Qurito è confuroie la volgare opioionei che
crede il terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della
tetra ; la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata da Dante , come
ti raccoglie da un luogo del XXI del Purgatorio ; dove in perenna di
Staiio rende la ragione de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di
quella mon- tagna con quetti versi 55 e aeg. Trema forse
quaggiù poco , od assai ; Ma per venSo , che irs terra sì
nasconda. Non h dunque gran fatto , che , portando egli
quetta credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna otc)
vento di terra, volendo inferire di quell' ana, che nello tcotimento , e
forte nell' aprimento della suddetta campagna ti sprigionava.
INFERNO. CANTO QUARTO. ARGOMENTO.
Raccolta , eom’ an tuono Io f«ce ritornare in , e come trovò aver pattato
il (ìamc Acheronte dalP al- tra riva, la qual fa orlo al catino de!!'
Inferno, chiamato da lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi , d'eticre
tcrio nel primo cerchio <^’ etto Inferno , che è il Limbo. Di-
manda a Virgilio della venuta di Critto in quel luogo , ed ode la tua
ritpotta. Quindi patta a veder 1' anime de* bambini innocenti , e dopo
quelle di coloro , che visterò secondo il lume delle virtò morali ; e con
la motta per discender nel secondo cerchio , termina il canto.
V. 1 . Rufptmi t alto tonno nella lesta Un greve tuono , ti
eh' i" mi riscossi , Come persona, che per forza è desta.
Statuì dio della similitudine presa da chi dorme; onde chiama sonno
quello , che in realtà era tmarrimento di spiriti , e svenimento. Chiamalo
alto , a differenza del Digitized by Google Sì
Canto «ODDO naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot
dice, che un greve tuono a gran pena lo ritcofte , rome ai rìacuote
persona, che per forza è desta* £d ecco retta la comparazioDe fin all'
ultimo^ dopo averla fatta operar con grandisiimo artifizio in tutte le
«uè parti. Il tuono potrebbe a prima viata parere non eaaere auto
altro, che il rumore degli alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida
de* danoati, chiamate da Dante poco pid abbaaao tuono. J tu la
proda a mi trovai Della valle d * abisso dolorosa , Che
tuono accoglie d* infiniti guai. Goal di aopra nel terzo canto , t.
3o , rasaomiglia i gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui ,
ove ai aeote il pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia
al tuono. Potrebbe forse anclie dirai , che questo tuono venne dall' aria
del terzo cerchio della piova, dove aon puniti i golosi ; non essendo
punto fuor di ragione il credere, che insieme con la gragnuola venisiero
aoche de* tuoni , siccome veggiamo accadere nella noatr* aria , il
che nell* Inferno ajuu a far crescer la peoa e lo apa> vento de*
peccatori. Considero dall* altro canto , che in sì gran lontananza , qual
è quella del terzo cerchio , volev* essere un gran tuono per esser
sentito da quei , eh* erano in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna
ancora considerare, che quivi non tuona all* aria aperta, come fa a
noi , ma nel chiuso della valle ' d* abisso sotto la volta della terra,
che rintrona e rimbomba per ogni banda, e sì lo strepito vien portato ,
come per cana> le, all* orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione ,
a qual distaiza arrivi la voce d* uno , che parli aoche pianamente
per una canoa forata, forse non parrà tanto Digitized by
Google gUAKTo. 53 HiTerUtroile queito pensiero. Senxa
che delle campane alla campagna aperta, dov' elle abbiano il vento in
favore, •'odono dieci o dodici miglia lontano^ e rartiglierie
tirate alta marina di Livorno s'odono talvolta Hn di Firenze, che
per retta linea aWà ben cinquanta miglia di lonta* nanaa. Più
coerentemente però al costume non meno , che alla grandezza della
fantasia di Dante, si dirà, che il tuono non fu altro, che quello
incominciato nel canto antecedente , di cui nel ritornare il poeta in s^
, udendo lo strascico, non rinvenendosi (come accade a chi dor- me,
e molto meno a chi è svenuto) quanto tempo fosse stato fuori de* sensi ,
lo credette ( stando assai bene io sul verisimile ) un altro tuono. E di
vero, per passare il fiume su l'ali d'una potenza soprannaturale, non vi
volea cosi lungo tempo , che giunto su l'altra riva non potesse
ancora udire il rintuono di quel tuono stesso, che scop- piò col baleno ,
allorché Dante si ritrovava al di là dal fiume ; maravigliosa osservanza
di costume. Si desta na- turalmente, perchè già il miracolo della sua
trasmignv «ione era fornito, e udendo in quello tuonare, mostra di
credere d'essere stato desto dal tuono , come farebbe ognuno, che si
abbattesse a destarsi in quel eh* e' tuona. V, 1. Rupptmi tolto
tonno ecc. Questo luogo si vede imitato, o per meglio dire
stem- perato dal Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la doglia del
€uore t quella aspettante , thè tutto il corpo dormente ritrosie , e ruppe
il forte sonno. V. XI. Tanto che per ficcar lo viso al fondo.
Per invece di quantunque , ed opera graziosissima- mence. Il senso
è : Tanto che , quantunque io ficcassi lo 54 C A H F o
viso al fondo. Piglia ficcar la viltà per Guare gli occhi ; maniera
aliai biiiarra. V. i5. r tarò primo, e tu sarai teconio.
Queite parole di Virgilio aono aliai chiare quanto alla lettera; ma
vuol fon' anche lignificare euer egli nato il primo a entrar a deicriver
l' Inferno , lì come fece nel VI dell' Eneide , e Dante dover eiiere il
lecondo. A chi lia riuicito più felicemente queito viaggio, aitai
leggiermente ai può comprendere dal paragone. V. 15 . Ed egli a me;
V angoscia delle genti. Che son quaggiù , nel viso mi dipinge
Quella pietà, che tu per tema tenti. Spiega r effetto dell'
impallidire per la lua cagione , che è il compatimento de' mortali
affanni de' peccatori : forma di dire veramente poetica, anzi
divina. V. ai che tu per tema tenti. Che tu interpreti
per effetto di timore. V. a3. Cosi ti mise, e coti mi fe'
‘ntrare Ne! primo cerchio , che V abisso cigne. Qui
incominciamo a icender dal piano dell' atrio dell' In- ferno , cavato
lotto la volta della terra , dove abbiamo veduto eiier puniti gli
iciaurati , e corrervi il fiume Ache- ronte. Entran dunque nel primo
cerchio, che è il Limbo. V. a5. Quivi , secondo che per ascoltare
, Non uvea pianto , ma che di sospiri. S* intende nel
primo verto : Secomlo che ti potea comprendere; cioè. Secondo che per
l'udito ti potea Digitized by Google quakto. ss
Mcrorre ; poiché gli occhi non icrvivano a ditccrnerlo , mercé
dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia d' abliao. Ma che vale eccetto ,
aalvo , fuorché , aolaniente , pid che. Forae da magit quatti de* Latini;
onde con tal par- ticella vuol lignificare , che non v’ era maggior
pianto eh’ un leniplice lamentar di aoipiri , lecondo che l’anime
del Limbo non erano tormentate (dirò coli) nel corpo, ma lolamente nell’
animo , per la privazione d’ Iddio. Queito viene apiegato mirabilmente
nel verio arguente a 8 . E ciò avvenia di duol senza martiri.
V. 33 innanzi che più ondi. Andi leconda peraona
dell’indicativo preaente del verbo Ando diauaato , dalla railice uiata
andare. • V. 34 e t' egli hanno mercedi. Non basta,
perch" e' non ebher batletmo; Ch‘ e' porta della fede , che tu
credi. Qui mercedi lo iteaao che meriti; nè qurata è l’unica
volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato. Farad, cant. XXXII, V. ^
3 . Dunque , senza merci di /or costume , iMcate son , per
gradi diferenti. Parla dell’ anime, che in quello, che tono create,
h.mno da Iddio , lenza lor merito o demerito , maggiore o mi- nor
dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della Fede. Coll vien chiamato
da’ maeitrì in diviniti lanua Sacra- mentoruia, V. 37. E s'
e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo , Non adorar debitamente
Iddio. 56 Canto Parla de* gentili innocenti» cbe
furono avanti alla ve- nuta di Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero
, anzi adorassero la Divinili, non Tadoraron debitamente, cioè
secondo il verace concetto , che si dee aver d* Iddio , e secondo il
legittimo culto prescritto dalla Legge mosaica; ma lo riconobbero o nel
Sole, o nella Luna, o nelle Sta- tue , e sì Tadororono con riti profani
ed abbominevoU. V. 41 e soi di tatuo efesi. Che senza
speme vivemo in disio. Vi •* intende siamo. Cioè , e soì di tento ,
o vero » e sol io CIÒ siamo efesi. Questa dice Virgilio esser
la sola pena di quei del Limbo , Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver
vivo il desiderio, e morta la speranza. V. 47* per ooler
esser certo Di quella fede, che vince ogni errore. Per
aver un riscontro della verità della nostra fede. V. 49. Uscinne
mai alcuno, 0 per suo merto, O per altrui , che poi foste beato
? Credeva Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione degli
antichi Padri operata da Cristo nella sua resurre- zione ; pure da eh*
egli avea sì bell* occasione di chia- rirsi del vero , e con ottimo fine
d* armarsi contro qua- lunque titubaziooe gli potesse venire di così alto
mistero, non si potè tenere di domandar Virgilio , s* e* n* era
uscito mai alcuno. E notisi , com* egli dissimula bene il suo animo :
domanda prima di quel che sa , che non è , e che nulla gl* importa il
sapere, cioè s* e* n* uscì alcuno per suo proprio merito , per farsi
strada a domandar» di quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier
fatto certo, lenza che Virgilio potaa ombrarvi sopra od
accorgersene. V. Sa. Rispose : I* era nuovo in questo sfato ,
Quando ci vidi venire un possente , Con segno di vittoria
incoronato. Era di poco venuto Virgilio nel Limbo , quando ci
vide venir Cristo nostro Signore , che mori intorno a quarantott* anni
dopo la morte di esso Virgilio; il quale, perocché si non conobbe Cristo
, però non lo nomina. Dice solo , eh* ci ci vide venire un possente
incoronato di palma. Possente dalle maraviglie, che gli vide ope«
rare in quel luogo , traendone sì gran novero d* anime , ond* a ragione
si persuadeva , quegli non poter esser altri , che un grandissimo , e
potentissimo principe. V, 6o. £ con Rachele , per cui tafito
fe\ Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a Laban
padre della fanciulla, per averla in isposa. V. 64. JVon lasciavam
rondar , perch' e* dicessi. Ancorch* e* favellasse , badavamo a
ire. Lo stesso con« cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i del
Purgatorio, ma con dicitura così bizzarra , che ben duuostra la
ric« chezza della gran mente del poeta. . Nè 7 dir l'andar ,
nè l'andar lui più lento Ratea { ma ragionando andavam forte*
V. 66. La selva dico di spiriti spessi. Qui selva per
moltitudine : metafora assai f<untgliare Dante. Così nel piiiuo di
questa cantica selva chiamò 6 S8 Canto
gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli amarrito
, e più apertamente nella »opraccitata apoiizione della canzone :
Le dolci Time d amor , eh' io eolia , dice amarrirviii l’uomo
all' entrare della tua adolezcenza. Ancora nel primo libro , cap. XV
della tua Volgare Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si
parlavano allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e
selva finalmente chiama in primo luogo una moltitudine di spiriti.
Così abbiamo nelle scritture : Secar decurtus aqua- rum plantauU dominus
uineam iuttorum. Qui molto giudi- ziosamente, trattandosi d'anime
dannate, piglia la metafora più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché
si sia servito ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia
limitazione. La prima, eh’ egli parla in quel luogo delle anime, o più
verisimilmenle delle diverse adunanze de’ nuovi cristiani, non già di
quelli della circoncisione, i quali erano toccati a S. Pietro, ma di
quelli venuti corì nudi e crudi dal paganesimo , onde oltre T esser
forse tutti per ancora e male istruiti nella fede, e peggio
riformati ne’ costumi , ve ne potevano esser molò de’ re- probi. La
seconda, che in questo luogo selva è pro- priamente metafora di metafora,
non pigliando il santo per piante di questa selva le anime a dirittura,
ma più tosto le varie adunanze delle anime , velate prima tali
adunanze sotto l’altra metafora di vigne, per viti delle quali vengono a
intendersi le anime particolari, e di ciascheduna di queste vigne cosi
numerose ne forma, per dir cosi, le piante d’una vastissima selva, che è
la metafora secondaria, come si vede manifestamente dalle seguenti
parole , che sono poco dopo il mezzo del sermone XXX su U Cantica ; Merito
et Paulo inter gentet tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir
appresso gli Arabi si trova usata la stessa figura, come si può
vedere da quest* esempio d' Harireo Basrense nel suo primo • Le sue
parole sono le seguenti : dLJLsNwc jivervio io dunque
penetrato nelt interna densissima teha per saper la cagione di quei
pianti. Nè altro intende per sehat che una grandusima calca di gente, che
s'affollava d'intorno a un ceno romito per udirlo predicare.
V« 67. Non era lungi ancor la nostra via Di qua dal sommo;
quancT 1 vidi un foco, CK ejairpm'o di tenebre vincia. Credo,
eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale d«l piano di sopra , dove corre
Acheronte , erano calati nel Limbo; e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli
erano caiu- minati ancor poco per la pianura di esso , quando ei
vide un fuoco , che illuminava un emisferio di tenebre. Questo fuoco non
si rinviene molto chiaraiuente, dov'egli fosse, e come ei si stesse; nè i
commentatori si fermano troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome
di lu- miera, e dal lume, eh* aveva a rendere non meno fuori che
dentro alle mura de) castello, m'induco volentieri a credere , eh* ella
fosse una (ìsunnia librata in alto nell* aria, come vergiamo alle volte
alcune meteore di fuoco, le quali durano a vedersi nello stesso luogo,
inhn tanto che dura la lor materia a ardere , e prestar alimento
alla bo C A K T O 6(unina , pfT cui •! rcndon
vi«ibili. Nè è da star attaccato alla fona delle parole, dicendo, che, te
quetto fuoco illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei
fotte in terra, poiché alando in aria veniva ad lUuttrare una
porzione maggiore della mezza tfera: poiché Dante in quetto luogo debbe
intenderti come poeta , e non come geometra; né è veritimile, eh’ ei
pigli itte allora le tette per miturare il giro dell’ aria
illuminata. V. 73. O tu, eh' onori tee. Parole di Dante
a Virgilio. V, y(j V onrata nominanza > Che di ior
suona sii ne la tua vita , Grazia acquista nel ciel , che gli
avanza. La fama e ’l pregio , che riman di loro nella tua
vita, cioè nella vita mortale , la qual tu godi ancora , o Dante ,
impetra loro quetta grazia dal Cielo. V. 81. L’ombra sua torna ,
eh' era dipartita. Partitti allora dal Limbo Virgilio , quando a’
preghi di Beatrice andò a trovar Dante nella telva oteura. V.
84. Sembianza avean né trista, né lieta; e però conlacevole al loro alato
nè di gioja, nè di tormento. V. 91. Peroeehb eiaseun mero si
eonviene Nel nome, ehe sonò la voee sola; Tannami onore , e
di ciò fanno bene. Mi fanno onore , e fanno bene a farmelo ; perchè
a tutt’ e quattro ti conviene il nome , che la voce d’ un •olo diede
a me» cio^ in quello di pòeta. In «ustanza: fanno bene a onorarmi, perchè
siamo tutti poeti, e f o- nore , che è fatto ad uno , toma sopra
tutti. Y. 94. Cast vidi adunar la bella scuola Di quel
signor dell’ altissimo canto, D' Omero , dal quale hanno cavato
tanto i poeti , e in particolare i quattr(\ posti qui da Dante.
V. 9y. Da eh’ ehber ragionato insieme alquanto, Volsersi a me con
salutevol cenno : £ ’l mio maestro sorrise di tanto.
Qui non accade strologar molto quello , che Virgilio a costoro
dicesse , vedendosi manifestamente ( tanto è artifizioso questo
terzetto), eh' egli li ragguagliò dell* esser di Dante, del suo poetico
spirito, e della sua profondis- sima scienza- Ciò si discuopre dalla
cortesia del saluto, eh* essi gli fecero , e dal sorrider , che ne fece
Virgilio ; poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol
signiBcare , che di questo , cioè di tcmto che fu fatto. Nè quei
grandissimi spiriti si sarebbero mossi a far tanto di onore a Dante , se
da Virgilio non ne fosse loro stata fatta un* assai onorevol
testimonianza, della quale essendo frutto il cenno salutevole, esso ne
sorride per compiacenza di vedere , quanto fossero «tate autorevoli le
sue parole. V. ICO. E più d’onore assai ancor mi fenno ;
C/f ei si mi fecer della loro schiera, St eh’ V fui sesto tra
cotanto senno. Cosi n andammo insino alla lumiera, Parlando
cose , che ’l tacere è bello , Si co/u era' i parlar, colà dop’
era. 6j Cauto A chi noD aTCMC ancora Bnito d’
intendere quel , che Virgilio ditcorreHe con Omero, e con gli altri
tre, Dante con questi tenerti finiace di dichiararlo , volendoci in
austanza dire, che da quello, che diaae di ane lodi Virgilio, fu di comun
conaentiuiento giudicato degno d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai
annoverato tra' mag- giori poeti , eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile
iin. presa stimo , che sia I' indovinare quello , eh’ e’ discor-
ressero in sesto , poiché Dante si fu accoppiato con esso loro, non aprendosi
egli ad altro, se non di' e' parlaron cose , delle quali A bello il
tacere , com' era bello il parlare colà , dov' egli era. I commentatori
hanno avuto in tal veocrazione quest' arcano , eh' e' non si son
pur anche ardili e spiarlo con l' immaginazione. A me quadra molto
un pensiero sovvenuto al sottibssimo ingegno del Rifiorito. Stima egli,
che tutto il discorso fosse in lodar Dante, e perchA mostra, che ancor
egli favellasse, men- tre dice , v. io3. andammo infino alla
lumiera. Parlando cose , che ‘l tacer è hello. Il suo
parlare non fu per avventura altro , che recitare qualcuna delle sue
canzoni , secondo che da que' poeti ( siccome s' usa per atto di
gentilezza ) ne fu richiesto. E ciò non solamente torna bene al costume ,
ma ( che più si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo
verissimo, che orala modestia fa diventar bello il tacere quello, che
allora bellissimo era a parlare. V. Ila. Centi v' eran , con occhi
tardi e gravi, Di grand' autorità ne’ lor sembianti :
Parlttvan rado , e con voci soavi. Quello tertetto paò lerrir di norma a
qualunque pi> glia, deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di
gran perionaggio. V. il5. Traemmoei co/l dalF un de'
canti In luogo aperto , luminoso , ed alto ; Si che
veder si potén tutti quotili. Dal dire, eh' e' li trauero da un
canto del caatello, ai convince manifeicamente , eh' ei non era murato
a tondo, come alcuni si persuadono, e fra gli altri il Vel- lutello
: tanto pid eh' e' non si può nè anche dire , che il castello era tondo
bensì, ma che v' erano diverse piazze o strade , le quali venivano a
formar degli angolii poiché non pare, che Dante figuri questo castello
per altro , che per un dilettevol prato intorniato di mura ; e s'
ei potè mettersi in luogo da poter veder tutti quanti , chiara cosa è ,
eh' e' non vi doveva essere impedimento di mura, o di case, o d'altri
edifizj. A tal che questo canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio ,
mostra , che la pianu delle mura non dovea esser circolare. Molto
meno è veriiimile , eh' elleno abbracciaiser il foro della valle, come è
opinione cfalcuni, i quali si lon falsamente immaginati, che tutto il
piano dello scaglione del Limbo fosse diviso , come in due armille
concentriche , una ester- na e maggiore, dove non arrivasse il lustro
della lumiera, e quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza
bat- tesimo sospirando continuameote , onde dice , v. a6.
ffon avea pianto , ma che di sospiri , Che laura eterna
facevan tremare. minore l'altra ed interna , ed illustrata dalla
lumiera , è questa facesse prato al castello de' Savj e degli Eroi.
£ 64 Canto invrrUimile I dico , tal optDÌone.
Prima , perchè in pro> porzione dell* altr* anime del Limbo y
piccolisaimo è U numero di quelle* che sono ammesse per
tspecialissima grazia dentro al delizioso castello ; per lo che*
rimanendo loro un luogo sì vasto , vi sarebbero seminate più rade
che per un deserto. Secondo* perchè in qualunque luogo del prato si
fosser tratti Dante e Virgilio* posto die nel centro non potessero starvi
per essere sfondato * e ter- minar ivi la sboccatura del secondo cerchio
* sarebbe •tato impossibile discemer tutti quanti* a non supporre*
eh* e* sì fosser ridotti tutti in un mucchio vicino all* en- trata *
perchè da distanza assai minore , che non è quella del solo semidiametro
di questo prato * a farlo cale * qual se lo figurano costoro , si
smarrisce di vista un uomo dì statura ordinaria. Direi dunque * che il
castello fosse da una porle del piano o pavimento del Limbo * e che
per avventura nè meno arrivasse con le mura in su la sboc- catura
del secondo cerchio- E che sia *1 vero* usciti eh* e’ ne furono*, dice
Dante, eh* e* tornarono nelf aura* che trema* cioè in quella, dove
sospirano i padani in- nocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se
per lo contrario il castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla
esteriore* per discender nel secondo cerchio, non oc- correva, eh’ c*
ritornassero in quella, dove l’aria tre- mava. Kè vale il dire* che per
aria tremante si può in- tender anche l'aria del secondo cerchio; perchè
la sua agitazione (si come vedremo nel seguente canto) era altro
che un semplice tremare, dicendo il poeta di questo cerchio, v. a8.
J* venni in lungo <t ogni luce muto , Che mugghiai come fa
mar per tempesta, S" e* da contrari venti è combattuto.
Ecco dunque, che il catCello era tutto dentro all* orlo del Limbo
io su la mano , tu la qual camminavano : e torna ottimamente allo scemarti
la sesta compagnia in due , essendo Omero , Orazio , Ovidio e Lucano rimasti
dentro al castello , e Dante e Virgilio essendone usciti o per altra
porta, o per la medesima, ood* erano en- trati , ma voltando all* altra
mano , e incamminandosi per altra via da quella, ond' erano venuti. Così
si condus- sero, dov' era il passo per discendere nel secondo cer-
chio ; si come vedremo nel canto seguente. INFERNO.
CANTO QUINTO. ARGOMENTO. Xl }>eccato , che
ii punisce in questo secondo cerchio , è la lussuria, come il più
compatibile all' umana fragilità, c per avventura il meno grave. Fmge il
poeta di tro- vare al primo ingresso Flinos giudicante 1' anime. Di
poi passa più oltre , e vede la pena de' peccatori carnali , la
qual dice essere un furiosissimo , e perpetuo nodo di vento , il qual rapisce
, e porta seco voltolando in giro queir anime. Virgilio gliene dà a
conoscere alcune , che erano già state al suo tempo , ma di Francesca da
Ra- venna intende dalla sua propria bocca la cagione della sua
morte , e insieme di quella di Paolo suo cognato , con r ombra del quale
si raggirava per 1' aria del se- condo cerchio. V. I. Cori
discesi del cerchio primajo Giù nel secondo , che men luogo
cinghia, E Scatto più dolor, che pugne a guajo. Digitized by
Google 68 Canto ^ Discesi ; Io Dante diacesi. Men
luogo cinghia ; si di- mostra peripatetico f ponendo il luogo, distinto
dall* esteiH sione della cosa locata. Quindi è , eh* ei dice il
pavi- mento del secondo cerchio cignere, abbracciare, occupar minor
luogo, in sostanza girar meno del primo, secondo che per lo digradar
della valle gii\ verso il centro si discendeva. Così veggiamo ne* teatri
dalla lor sommità i gradi infmo all' iullmo venire , successivamente
ordinati , sempre risirignendo il cerchio loro. C ben vero , che
quanto meno luogo cinghia, contiene in sè altrettanto più di dolore, che
non fa il primo. Poiché, dove quello per esser solo dolor della mente ,
svapora in sospiri , questo, che alFligge il senso, pugne a guajo , cioè
arriva a trar guai , pianti e lamenti dolorosissimi. Y. 4. 5
rauvs Afinos orriòilMente « e ringhia. Qui orribilmente ha forza di
esprimere P orrida resi- denza , il tribunale formidabile , la fiera
accompagnatura de* ministri , e forse il ferocissimo aspetto dell*
infernal giudice. Bocc. Fdoc. Kb. 6 , 42. Quivi ancora si veggono
tutti i nostri Iddìi onorevolissimamente sopr ogn altra figura posti.
Dove notisi , che per 1 * avverbio onorevolis^ simamenie ci dà ad
intendere la preminenza del luogo , quanto la ricchezza degli ornamenti
sacri , ed ogni altra nobile accompagnatura pertinente al culto degli Dii
sud- detti. Ringhia: accresce lo spavento, dicendosi il ringhiare
de* cani , quando irritati, digrignando i denti « e quasi brontolando,
mostrano di voler mordere. V. 6. Giudica , e manda , secondo eh*
awvinghia. Qui avvinghiare per cignere. Ciò che Ninos ai ci-
gneise , viene spiegato appresso.
69 QUINTO V. IO. Vede qu«l luogo Inferno
è da essa. Da in luogo di Per, ed esprime attitudine ,
proprietà, c convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa, o
vero convenevole ad essa. Veggasi di ciò il Cinonio. V. li. Cignesi
con la coda tante volte ^ Quantunque gradi vuol ^ rAe sia
messa. Conosce il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il piti
eh* ci può dall’ ordinario , rispetto al luogo , e a* perso- naggi , eh’
egli ha alle mani. Quindi va trovando maniere strane ed inusitate di
significare ì loro concetti ; come in questo luogo fa, che Minos si cinga
tante volte la coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1 * anime con-
dannate. Quantunque per quanto , nome indeclinabile. Bocc. introd. n. i.
Quantunque volte , graziosissime donne ^ meco pensando riguardo
ecc. V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: Vanno
^ a vicenda y ciascun al giudizio: Dicono , e odono , e poi son giù
volte. In questi tre versi è compresa un* esattissima e
pun> tualissima forma di giudizio. V. a3. Vuoisi cosi colà
» dove si puote Ciò che si vuole ; e più non dimandare.
Le stesse parole per appunto furono usate da Virgilio a Caronte nel
canto terze, v. 9 S. V. a 8 . t venni in luogo d* ogni luce
muto. Notisi , come stando sempre su la medesima bizzarra
traslazione d* attribuire il proprio della voce al proprio della vista ,
va continuameDte crescendo» Nella selva , ~e Casto
dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali per l' im- pedimento
de' rami e delle foglie , diwe aolamcnte tacerai la luce , V. 6o.
Mi ripigneva là , dove 'I sol tace. Nell* atrio dell' Inferno
dà al lume aggiunto di JSoco , ac- cennando io tal guiaa , non eaier ciò
per accidente > tua per natura ; cauto HI , v. 75. Com’ io
discerno per lo fioco lume. Qui finalmente , dove a' ò innoltrato
nel profondo della valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le tenebre
di queato cerchio non aono accidentali , nè a tempo , nè aaaottigliate da
qualche apruzaolo di languidiaaima luce, ma apeaae , folte , oatiuate ,
ed eterne. V. 3l. Za bufera infernal , che mai non retta.
Mena gli spirti con la tua rapina: Voltando , e percuotendo gli
moietta. Il Buti definiace eoa! : Bufera è aggiramento di venti
, lo qual finge l’ autore , che sempre sia nel secondo cerchio
dell" Inferno. A chi pareaac queata voce o poco nobile , o troppo
atrana, ricordiai , che ai parla d' un vento in- fernale , e che merita
maggior lode il cercar la forza dell' eapreaaione , che 1' ornamento
delle parole ; ed è queata una pittura , che non richiede vaghezza di
colo- rito , ma forza; e tanto piti è bella, quanto è meno liaciata
; estendo il naturale coti risentito , che non può bene imitarsi , te non
è fatto di colpi , e ricacciato ga- gliardo di sbattimenti. Questa bufera
adunque leva e mena gli spiriti con due movimenti. Con uno gli
aggira secondo il corto della tua corrente, che va turno torno
^UIHTO. 71 al cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua
rapina , cioè col tuo grandissimo impeto ) li va voltolando in lor
medesimi. Cosi veggiamo la pillotta e '1 pallone , i quali, se vengono
spinti lentamente per Taria, son por- tati con un solo moto ^ che è
secondo la linea della di- rezione del lor viaggio , ma dove urtino in
muro , od in legno, osi, cadendo in terra, ribalzino mcontanente,
ne concepiscono un altro , Bglio di quel novello impeto , che gli aggira
intorno ai proprio asse. V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina
; Qmvi le strida t il compianto t e*l lamento'.
Bestemmian quivi la virtù divina. Qual sia questa rovina, i
commentatori non lo dicono , o se lo dicono, io confesso di non intendere
quello che dicono. Crederei, che per rovina intendesse T autore il
dirupamento della sponda, giù per la quale egli era ve- nuto ; e che
questa fosse la foce , d' onde metteise il vento , il quale foue cagione
di maggiore sbatiimento a quelle pover* anime , che vi passavano davanti.
A simi- litudine d* un legno o d'altro corpo , cui la corrente d'un
fiume ne meni a galla , il quale, se s* abbatte a passare, dove sbocca un
torrente, o altra acqua, che caschi con impeto da grand'altezza, questa se
se lo coglie sotto ^ lo tuffa e rìtufia per molte fiate , e in qua e in
lè con mille avvolgimenti T aggira , e strabalza , in fin tanto eh'
ei non è uscito di quella dirittura , e non ha ritro- vato il filo della
nuova corrente. Di dove, e come possa quivi nascer questo vento , vedremo
allora , che si dirà della fiumana dell' eterno pianto, di cui nel canto
se- eondo mi rìserbai a discorrere in altro luogo*
71 ClISTO V. 40. E (ome gli stornei ne portan F
ali Nel freddo tempo a schiera larga e piena ; Così quel
fiato gli spiriti mali. Brllisùma iimiUtudlne , e cavata ( «ì come
la «cgitcnte poco appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da
animali tenuti in niun pregio , e per ogni conto vilittimi. V. 43.
Di qua , di là , di giù , di tu gli mena : Nulla speranza gli conforta
mai Non che di posa , ma di minor pena. Eipretiione
felicistima ed inarrivabile di quel tormento , e che vince quati il
vedere ttetto degli occhi. V. 48. Cori viiF io venir , traendo guai
, Ombre portate dalla detta briga. Qui briga vai lo ttetto
che noja, fattidio, travaglio; e briga preto nello ttetto significato d’
agitamento di venti. Farad, can. Vili , v. 67. £ la bella
Trinacria , che caliga Tra Pachimo e Petoro sopra '/ golfo ,
Che riceve da Euro maggior briga. cioè sopra ’l golfo , eh’ è
più battuto dallo scirocco. V. Si. Genti, che faer nero ri
gastiga^ Corrisponde al detto di sopra, v. 18. I' venni in
luogo iT ogni luce muto. E cerumente la pena de’ carnali è pena
data loro dall’ aria , poiché l’aria col solo agitarsi si li
tormenta. V. 54. Pu Imperadrice di motte favelle. Ebbe
imperio sopra nazioni , che parlavano diversi idiomi. Modo usato altre
volte da Dante : distinguere , o denotare i paeii dalle lingue , che vi
ai parlano. Infer. cant. XXXIII , V. 79. Ahi Pila , vituperio
delle genti Del bel patte là, dove 'I ri tuona. V. 55 .
A vizio di Lutturia fu ri rotta. Che ’l libito fe' licito in tua
legge , Per torre ’l biatmo , in che era eondoita.
Aaaai è nota la legge della diioneatà promulgata da Semiramide ,
per cui ella penaò di aottrarai all' infamia de’ suoi vituperj.
A vizio di Lutturia fu ri rotta. Forma di dire assai
singolare. V. 60. Tenne la terra , che ’l Soldan corregge.
Dice il Daniello , che Dante in questo luogo piglia un equivoco ; e
che abbia voluto dire, Semiramide aver regnato in Egitto, ingannato dal
nome di Babilonia, con cui nel suo tempo chiamavasi volgarmente il Cairo
, allora signoreggiato dal snidano , non rinvenendosi dell' altra
Babilonia fabbricata da Semiramide nell’ Astiria. Di questo errore
pretende scusarlo con fargli nome di licenza lecita a pigliarsi da' poeti
grandi, tra' quali gli dà per compa- gno Virgilio in un certo patto , non
so già quanto a pro- posito , e con quanta ragione. Se io avesti a
esaminarmi per la verità dell' intenzione , che io credo , che
abbia avuto Dante ; direi forte ancor io , come il Daniello : tanto
più che in que' tempi non ti aveva coti esatta no- tizia della geografia,
che sia sacrilegio l'ammettere, che un poeta anche grandissimo abbia
preso un equivoco in- torno a una città, nella quale era facilittimo
l’equivocare, 6 74 Cauto
intrndendoii allora comuneniente per Babilonia quella d'Egitto;
ticcome oggi per Lione templicemente ('inten- derebbe sempre quello di
Francia, e per Vienna quella di Germania; e quanto a questo, che
Babilonia vi fosse in Egitto, e che fosse la stessa, che dagli Europei
si chiama oggi il Cairo , l' afferma Ortelio. Il Boccaccio
nel Decamerone, di tre volte, che nomina il Soldaoo , intende sempre
quello d' Egitto ; e Dante stesso nell' XI del Farad. , t. loo.
E poi cht per la sete del martiro Alla presenza del Soldan superba
, Predici) Cristo , e gli altri , che 7 seguirò. Farla
di S. Francesco , il quale i certo , che parla del Soldano d' Egitto , e
non di quello di Bagadet. Il Fe- trarca dice anch' egli nel Sonetto;
L'avara Babilonia ecc. non so che di Soldano. 1 commenti l' intendono per
quel d' Egitto ; e il Gesualdo , se non erro , lo cava da una sua
epistola , nella quale fa menzione delle due Babilo- nie , d' Egitto e d'
Assiria. Ma chi volesse anche sostenere, che Dante non abbia
errato , potrebbe farlo con dire , che per Soldano intese quegli stesso ,
che nel suo tempo signoreggiava la vera Babilonia di Semiramide , essendo
la voce Soldano nome di dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e
da Cedreno si raccoglie essere stata comune ancora ai Co- liifi di
Soria , particolarmente dove parla di uno di essi, che ebbe guerra con
Alessio Comneno. Siccome e con- verso il Soldano d' Egitto aveva titolo
di Cohffa , prima che dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo
insieme, quando egli di semplice Sultano , eh' egli era , diventò
Fun e l'altro, avendo ucciso il ColilTa nell' andar a pigliar
Digitized by Google 9 0 IRTO. 7$ da lui lecoudo il
lolito l' ioicgne di Soldano. Fu anche Soldano titolo d' ufTizio coinè ai
cava da quoto luogo del Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa
Ponti- fiiem , aliquando ante , aliquando poit , equilabat Mare-
icallus , siile Soldanus Curiae. lila per vedere adeiao , con
quanta poca ragione il Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco
, laiciaio di riapondere a quello eh’ ei dice , che egli nel Sileno
confondeaae la favola d* lai e di Filomena , e nel terzo della Georgica
acambiaaae Caatore da Polluce , nel che vien Virgilio difeao molto
giudiziosamente dalla Cerda , vediamo il terzo equivoco notato dal
aoprammentovato apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga
del Sileno , T. 74 . Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut
quamfama secuta est. Candida surtinctam latrantihus inguina
monstris, DutUhias ue rosse rales, et gurgite in allo, Ah,
timidos nautas canibus lacerasse marinis ? Qui dice il Daniello ,
senza allegarne alcuna ragione , che Virgilio equivoca da Scilla hgliuola
di Forco e d'Ecate, o, cum’ altri vogliono, di Creteide, a quella
figliuola di Niso re di Megara. Io credo però di ritro- varla , e dubito
che si possa dir del Daniello nella spo- sizione di questo luogo di
Virgilio, quello che di Virgilio disse il Berni nell' imitazione di
cpiell’ altro d’ Omero ; Perch’ e' m hem detto , che Virgilio ha
preso Un granciporro in quel verso d Omero, Chi egli , con
reverenza , non ha inteso. Noteremo dunque di passaggio , come
bisogna , che quest’ autore si sia cieduto , che Virgilio parli d’
una 76 C A H T O loU Scilla , e che a queita
attribuendo i moitri marini , e r ingordigia degli altrui naufragi ,
liaii dato ad intendere , eh' egli abbia voluto dire di quella di Forco 1
ond* egli nota r equivoco in quelle parole : Quid loquar ?
aux tcyllam Nisi ? Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu
cangiata in uc- cello , e fu , come altri vogliono , appiccata alla prora
della nave dell’ amato Minoi) e finalmente gettata in mare, e non mai
trasformata, come quella di Forco, in moitro marino. Ma la verità ai à,
che Virgilio intese di parlare dell' una e dell' altra Scilla; e,
toccando di pas- saggio quella di Niso, si ferma a discorrer più diffusa-
mente dell' altra di Forco , come dalla lettura del luogo è assai facile
a comprendere ; ma forse il Daniello non s’ avvide di questo passaggio ,
e trovandosi inaspettata- mente nella favola di Scilla di Forco, la
credette vestita a quella di Niso , equivocando egli medesimo nell'
equi- voco immaginato di Virgilio. V. 61. L'altra è colei,
che e’ aneUe amorosa, E ruppe fede al centr di Sicheo.
Didone , seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile anacro- nismo , ed
accreditando T infame calunnia d' impudiciaia datale da VirgUio. Eneide
IV, v. SSa. IVon servata fides eineri promissa SUhaeo.
V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo Tempo ti volse.
Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la guerra de’ Greci ,
e l' ultime calamità de’ Trojani, V. 69. CK amar di
nostra vita dipartille. Della morte delle quali fu cagione Amore
illecitOi V. 7». i' cominciai ; Poeta , volentieri
Parlerei a que‘ duo , che ’nsieme vanno , E pajon st al vento
esser leggieri. Gli accoppia ioaieme , perchè iniieme avevano
peccata. S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento , dalla facUitè
, anzi dalla furia, con la quale il vento li portava; e ciò molto
convenientemente, atteao il loro gravitaimo peccato , eaaendo atati per
affinità al atrettamente con- giunti, come più abbaaao udiremo.
V. 78. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei verratmo. Per
quell' amore , eh' e' ai portarono , il qual fu ca- gione di queato loro
eterno infelice viaggio. Efficaciaaima preghiera , e convenientiaaima a
due amanti , acongiurarli per lo acambievole amore. Y. 80 O
anime afannate. Aggiunto di mirabil proprietà, e aenza dubbio il
più proprio , che dar mai ai poaaa ad anime tormentate da ai latta
pena. ' V. 8a. Quali colombe dal disio chiamale Con f
ali aperte e ferme al dolce nido Volan per F aere dal voler
portale. Grazioiiaaima aimilitudine , e piena di tenero e
com- paaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti gentili
animali , quali anno le colombe , vien a intaccar punto della lode , che
le gli dette poc’ anzi , per aver para- gonato gli apiriti di queito
cerchio agli atomelli e alle ^8 Cauto gru, 1’
una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè in ciueato luogo ha
maggior obbligo di far calzar la similitu- dine all' andar di compagnia,
che facevano i due amanti, il che ottimamente si ha dalla comparazione
delle co- lombe , che ad avvilire con un paragone ignobile quegli
spiriti in generale, come fece da principio. Del resto gli ultimi due
versi di questo terzetto posson aver due sen- timenti, l’un e l’altro
bello. Il primo è: Con Vali aperte * ferme al dolce nido volan per Vaere
, cioè volan per l’aere con l’ali aperte o ferme, cioè diritte al dolce
nido; o vero volano al dolce nido con l’ali aperte e ferme ,
descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe, quando con l'ali tese
volano velocissimamenie senza punto dibat- terle, e in questa maniera di
volare par che si ratb- giiri un certo non so che pid di voglia e di
desiderio di giugnere. V. 88. O animai graziosa e benigno
, Che visitando vai per V aer perso Noi, che tignemmo'l mondo
di sanguigno. Ninna cosa odono o parlano pid volontieri gli
annuiti che del loro amore. Quindi è , che quest’ anima chiama
Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza usatole in darle campo ,
raccontando i suoi avvenimenti , di dar alquanto di sfogo al dolore. Per
V aer perso. Il perso è un colore oscuro , di cui lo stesso Dante nel suo
Con- vivio sopra la canzone Le dolci rime ecc. dice esser com-
posto di rosso e di nero , ma che vince il nero ; e Inf. caut, VII, V.
io3. L' acqua era buja molto più , che persa.
Digitized by Google QUINTO. 79 V. 90. Noi che
lignemmo il mondo di ttmguigno. Scherza in la contrarietà di queiti
due colori ; Fai visitando per F aria di color perso noi , che , per
eaiere arati ucciai in pena del noatro Callo , tignemsno il mondo
di color di aangue. V. 94. Uh Jttel , che udire , e che parlar ti
picKe : Noi udiremo , e parleremo a vui. Non ì gran coaa
(dice aaaai giudiiioaamente il Landino) , che coatei a’ indovinaaae di
quello , che Dante deaide- rava d' udire. Una , perché di niun' altra
coaa , fuori che de’ auoi avrenimenti , potea ragioneTolmente cre-
dere , eh* egli aveaae curioaità di domandarla ; 1' altra , perché il
coatume degli amanti é creder, che tutti ab- biano quella voglia, che
hanno eaai d' udire e parlare de’ loro amori , tanto che aenza forai
molto pregare non fanno careatla di raccontarli anche a chi non ai
cura aiperli. Che riapondeaae la donna pid tosto che l’ uomo, ciò é
molto adattato al coatume della loro loquacità e leggerezza.
V. 96. Mentre che ’/ vento , come fa , si tace. n ripoaarai
del vento non é coaa impropria , anzi é accidente confacevole alla natura
di quello , dimoitran- doci r eaperienza , che egli non aoffia con aibilo
con- tinuato , al come corrono i fiumi , ma a volta a volta
ricorre, come fanno Tonde marine. Oltre che non aa- rebbe inveriaimile il
dire , eh’ ei ai fermaaae per divina diapoaizione , acciocché Dante potesse
ammaestrarsi nella considerazione di quelle pene , e riportar frutto dal
suo prodigioso viaggio. Per questa ragione vediamo nel canto IX
spedito un angelo a fargli spalancar le porte della 8o
Canto cittì di Dite, e altrove molt’ altre graxie
tingolariuime, le quali la bontà divina gli concedè, per condurlo
final- uiente alla contemplazione della aua euenza. V. 97.
Siede la terra , dove nata fui , Su la marina , dove ‘I Pò
diicende Per aver pace co' teguaci tui. Bavenna ; poco
lontano dalla quale il Po inette nel- r Adriatico. Discende per aver pace
co’ sui seguaci. Ma- niera veramente poetica. Dicono alcuni , per aver
pace , cioè per trovar pace in mare della guerra, ch'egli ha nel
auo letto da' fiumi tuoi teguaci ; perocché , fecondo che quelli tgorgano
in lui , lo conturbano e P agitano , onde ti può dire, che gli facciano
guerra. Ma te Dante volette ttar tu l’allegoria di quella guerra, non li
chia- merebbe legnaci ; poiché , fintante che uno è teguace d’ un
altro , non gli fa guerra, e , facendogli guerra, non |i può chiamar più
teguace. Diremo dunque , eh' ei vo- glia dire , che il Po co' tuoi
teguaci diiceode in mare per ripoiare dal lungo corto , eh' ei fa , per
giugnervi , a fine di unirai come parte al tuo tutto , eitendo
queita unione la lola pace , alla quale tutte le creature tono d.a
inviiibil mano guidate. Veduto della patria , è ora da vedere chi folte
coitei, che favella con Dante; per Io che è da taperii , che quetta è
Francetea figliuola di Guido da Polenta tignor di Ravenna ; la quale ,
eitendo ttata dal padre mariuta a Lanciotto figliuolo di Malatctta
da Rimici , uomo valoroto in vero , e nella teienza e inaeitria dell’
armi eiercitatittimo , ma zoppo e deforme d' atpetto troppo più che ad
appajar la grazia e la de- licatezza di conci non era convenevole, fu
cagione, che ella t' invaghiate di Paolo tuo cognato , il quale
non meno grazioio , e arvenente del corpo , che leggiadro dell’
animo e de' coatumi , del di lei amore ferventiiii- mamence era preao4
Ora arvenne ^ che , mentre , tcam- bievolmence amandosi , in gran piacere
e tranquillità si Tiveano , indistintamente usando , appostati un
giorno da Lanciotto , furono da esso colti sul fatto, e d'un sol
colpo uccisi miseramente. V. ICO. jimor , eh’ al cor gejuU ratto s'
apprende. Prete costui della bella persona , Che mi fu tolta,
e '/ modo ancor m' offende. Platone nel Convivio , tra le lodi ,
che dà Agatone ad Amore , dice eh’ egli i ancora delicatissimo ,
argumentan- dolo da questo , eh’ egli i ancor più tenero e gentile
della Dea Ati , cioè della calamità , la quale esser mollissima a
delicatissima / argomentò Omero dal vedere , che ella , schifando di
toccar co’ piè terra , si tiene per t ordinario in tu le lette degli
uomini. Iliad. T, v. 93. .... Tvt pio 9 * ateahol sróStc iv fàp in'
ovSit nlAra^as , <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv xpoara fiaùani.
Ma amore non solamente non mette mai piede in terra , o in tu le
teste , le quali , a dire il vero , non sono molto toffei , ma di tutto V
uomo la parte più gentile calpesta , e sceglie per tua abitazione. Negli
animi dunque , e ne’ temperamenti degli uomini, e degli Dii pone il tuo
trono Amore ; nè ciò fa egli alla cieca , e senza veruna distin-
zione ■ in ogni sorta <t animo la sua tede locando , ma quelli
solamente , che in fra tutti gli altri p'ut gentili tono , e pieghevoli
con delicatissimo gusto va ritcegliendo. suStò 9 fizaiipii(;ipfits
6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt fiaivit, ovff tiri
npavietr. 8a Cahto ( S, larn iravv fiaX«ut<i)
cy roif fMi^xararoig TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì oisut' iw )'àf>
v6$at KOÌ XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’ »ai oò» av f{>7(
ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti iv vKXtipòv vio( i;^ot<rv >* ’^XP
dxtp^^iToi' ^ 9’ àt ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu. £'l Petrarca nel
toaetto : Come't ccmdido piiecc., ri- cavando con maniera più morbida lo
ateaao originale, fini di copiarlo anche nella parte tralasciata da Dante
, che rijguarda 1' avversione , che Amore ha ordinariamente agli
animi rosai e dori , dicendo : Amor , che tolo i cuor leggiadri
invesca , Nè cura di mostrar sua forza altrove. E nella
canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc. , par- lando con Amore, tocca
leggiadramente in ogni sua parte il sopraccitato luogo di Platone ,
dicendo dell’ impeWo, eh' egli ha non meno sopra gli Dii , che sopra gli
uo- mini , con questi versi : £ s’ egli è ver , che tua
potenza sia Nel Ciri s) grande , come si ragiona , E neir
abisso ( perchè , qui fra noi Quel che tu vali e puoi ,
Credo, ehe’l senta ogni gentil persona). V. loi. Prese costui
della bella persona che mi fu tolta. Lo prese del bellissimo corpo che mi
fu spogliato dalla morte , e ’l modo ancor m’ offende , perchè mi
fu ' data violentemente, e mentre mi suva tra le braccia del caro
amante. V. io3. jimor , eh' a nullo amalo amar perdona, mi prese del
costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m' abbandona,
Belliiiiina repetizione : Àmor , eh' al cuor gentil ratto s'
apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo amalo amar perdona,
prese me come amata. Mi prese del costui piacer, del piacer di costui.
Costui nel secondo caso senza il suo segno si trova spesse volte usato
dagli autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio. Questo lungo
può aver doppio significato. Hi prese del piacer di costui, cioè del
gusto, del piacimento , della gioja d’amar costui. E mi prese del piacer
di costui, cioè del piacer che io faceva a costui, e questo corrisponde
ottimamente al detto poco innanzi : Autor , eh' a nullo amato amar
perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata per genio , quanto per
vaghezza d' accorgersi di piacere e d’esser amata, e per cert’obbligo di
gentil corrispondenza. V. io6. Amor condusse noi ad una
morte. Arroge forza con la terza replica , e con grandit-
aim' arte diminuisce il suo fallo , rovesciando sopra di amore tutta la
colpa. Tib. lib. l .° el. VII , v. aq. Non ego te laesi prudens : ignosce
fatemi, lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos ? E'I
Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU scardo alla presenza del
Principe Tancredi , non gli sa porre in bocca nè altra, nè piò forte
difesa per iscusar sè , che r incolpare amore, il quale, cioè Tancredi,
tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo , la mia benignità verso
te non uvea meritato l'oltraggio e la 84 Casto
vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai; eiccome io oggi
vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun altra cosa ditte te non
questo. Amor può troppo più che nè io ni voi pottiamo. V. IO/.
Caina attende chi'n vita ci spente. Calila è la g)iiaccia, dove nel
canto XXXII vedremo euer paniti coloro , che bruttaron le mani col
sangue de’ lor congiunti. Dice dunque , che questa spera detta Caina
sta aspettando LANCIOTTO marito di lei , e fratello di PAOLO , che fu il
loro uccisore. V. Ila O latto , Quanti dolci pentier , quanto
detto Menò costoro al dolorato patto ! Tenerissima
riflessione , e propria d* animo gentile , ma che non s’ abbandona a
soperchia vilU col dimostrar dolore. E qui notisi , come Dante per ancora
sta forte all’ assalto della pietA , la cui guerra si propose di
voler sostenere al principio del secondo canto, v. l. Lo
giorno te n andava , e f aer bruno Toglieva gli animai , che tono in
terra dalle fatiche loro; ed io sol uno m’apparecchiava a tottener la
guerra fi del cammino , e sì della pietose. £ che ciò sia’l
vero, dopo eh’ ei non potò pid rattener le lagrime , dice , che in questo
pietoso oflìcio egli era insieme, v. 117, tristo e pio-, dove mette in
considerazione, se quel tristo si potesse in questo luogo intendere per
iscellerato , malvagio , empio , e non per malcontento, mesto , e
maninconoto , come vien preso universalmente , e (1 come io con gli altri
concorro a credere etier re- ritirailmeote alata l' intenzione del poeta.
Pure nel primo significato abbiamo nel Inf. triatitiimO) r. 9I.
Tra qutJt’ iniqua e trutitiima copia Correvan genti ignude e
spaventate. E di vero tristo in aendmento d’ empio (a un
belliatimo contrapposto con pio , venendo a estere il poeta in un
medesimo tempo empio per compiagner la giusta e dovuta miseria de’ dannati ,
del cbe nel XX di questa can- tica si fa riprender acremente da Virgilio,
e gli la dire, che è sciocchezza averne pietà , e somma
scelleraggine aver sentimenti contrarj al divino giudicio, che li
pu- nisce, V. a 5 . Certo V piangea poggiato a un de'
rocchi Del duro scoglio , zi che la mia scorta Mi disse : Ancor se'
tu degli altri sciocchi ? Qui vive la pietà-, quandi è ben
morta. Chi è più scellerato di colui, Ch' al giudicio
divin passion porta ? Driaza la letta , drizza ; e vedi , a cui
ecc. E pio poteva dirsi il poeta , per non poter vincere la naturai
violenza di quell' affetto, che contro a tua voglia lo cottrìgneva a
lacrimare ; dove pigliando tristo in si- gnificato di metto, avendo di
già detto', eh' ei lacrimava, vi vien a esser superfluo ; e non solamente
tristo, ma pio ancora ; chiarissima cosa estendo , che chi piange r
altrui miseria , n' ha rammarico e compatimento. V. lao. Che
conosceste i dubbiosi desiri ? Pubiioti per non esserti ancora l’
un F altro diKoperd. 86 Canto V. I3I. Ed ella a me;
nerrun maggior dolore. Che ricordarsi del tempo felice nella miseria,
e dà sa il tuo dottore. Quella lentenaa h di Boezio nel lecondo
libro de Consol. proia IV, Le lue parole iodo : In omni aduer si-
tate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est , fuisse felieeiu. Tanto
che questa volta per il tuo dottore non debbo intendersi VIRGILIO, come,
dal Daniello in fuora, quasi tutti gli altri si sono ingannati a credere
, ma lo stesso BOEZIO, la cui sopraccitata opera Dante nel suo
esilio aveva sempre tra mano , e leggeva continuamente ; onde nel suo
Convivio scrive queste formali parole. Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia
mente , che i ar- gomentava di sanare , provvide ( poi nè 'I mio , I
altrui consolare valeva ) ritornare al modo , che alcuno sconso-
lato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare e leggere quello,
non conosciuto da molti, libro di BOEZIO, nel quale, cattivo e
discacciato , consolato si aveva. V. ia4- Ho , s‘ a conoscer la
prima radice Del nostro amor tu hai cotanto affetto , farò ,
come colui , che piange , e dice. Sed si tantus amor casus
cognoscere nostros , Et breuiter Troiae supremum audire laborem. Quamquam
animus meminisse horret, luctuque refugit , Incipiam. £n. lib. Il , v. io
e seg. V. i» 7 - Noi leggiavamo un giorno per diletto
Di Lancillotto , come amor lo strinse. Qui, prima di passar
più avanti, giudico, che sia bene chiarir l’intelligenza del rimanente di
questo canto , con riportar la atoria di Lancellotto cavata da' romanzi
fran- zcsi dal libro di Lancilolto Du Lac, e riferita in quella
dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6 , nella quale in un dialogo
fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti e Claudio d’Erberé gentiluomo
franzeae apiega inge- gnoaamente varj luoghi diSicili de' tre noatri
autori Dante , il Petrarca , e '1 Boccaccio. Farla Claudio Dovile dunque
eapere > eome avendo Galeaui figliuolo della iella Geanda acquitlalo
per sua prodezza trenta reami , s ave a posto in cuore di non voler <t
essi coronarsi , se prima a quelli il regno di Logres dal Re Arius posse-
duto aggiunto non aveste ' £ per ciò , avendolo egli man- dato a Sfidare
, furono le genti deir uno e dell' altro più volte alle mani. Dove
Lancilolto avendo in favore di Artus futa maravigliose pruove contro di
Galeaui , e avuto un giorno fra gli altri l'onore della battaglia , fu da
esso Galealto pregato, che volesse andare quella sera alloggiar
seco; promettendogli, se ciò facesse , di dargli quel dono, che da lui
addomandato gli faste. Accetta Lancilolto con quel patto l’invito , e poi
la mattina seguente , partendoti per ritornare alla battaglia dichiarò il
dono, che da Ga- lealio desiderava : il quale fu di richiedere , e
pregare esso Gale alto , che quando egli combattendo fatte in
quella gionuila alle gerui del re Artu superiore , e certo d averne
a riportare la vittoria , volesse allora andare a chieder merci ad esso
Re , e in lui liberamente rimetterti. La qual cosa avendo Galeallo fatta
, non solamente ne nacque tra Lancillotto e Galealto grandissima
dimestichezza e amistà , ma ne divenne ancora etto Galealto , per cosi
cortese e magnanimo alto , molto del Re Artu , e della Regina Gi-
nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal pubblico PUI5T0 Amor, eh a
null’amato amar perdona, mi prese del costui piacer it forte, che, come
vedi, ancor non m’abbandona. Qui ribadisce : Questi,
che mai da me non fia diviso. Nel che ti ponga niente a quante
volte e in quanti modi rioforra V espressioni d'un ferventissimo ed
ostinato amore , e con quant' arte s’ingegna d’attrar le lacrime e
sviscerar la pietà verso que luiserissimi amanti. V. i3y. Galeotto fu il libro,
e chi lo scrisse. Il libro ) e Tautor , che lo scrisse , fece tra
Paolo e Francesca la parte, che fece Galeotto tra Lancillotto e
Ginevra; onde l’Azzolino nella sua Satira contro la lussuria. In somma rime
oscene, e versi infami dell’altrui castità sono incantesimo, e all’onestade
altrui lacciuoli ed amU Tal eh* io ti dico , e replico il medesimo.
Se stan cotali usanze immote e fisse, la poesia diventa un
ruSianesùno. E questo è quel , eh apertamente disse il Principe
satirico in quel verso. Galeotto “ il libro , e ehi lo scrisse. Qui è
da notare incidentemente, come alcuni hanno voluto dire, che il cognome
di Principe Galeotto, attri- buito al Centonovelle del Boccaccio , possa
da questa storia esser derivato; perchè, dicono essi, ragionandosi
in codesto libro del Boccaccio di cose per la maggior Cauto quinto.
parte alle gii dette di Ginevra e di Francesca simiglianti, pare che quel cognome di principe Galeotto
meritamente te gli convenga. In questa guisa inferir volendo , estere il
Decamerone il principal libro di tutti quelli , che contengono in loro
cose attrattive alla carnale concupiscenza; che tanto è a dire, quanto
dargli titolo di Primo Ruffiano, o vero di principe de' ruffiani. Na
di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel soprammentovato dialogo, ove
parlando assai diffusamente di tal opinione ti sforza di mostrare ,
essere molto veru simile a credere tal disonesto cognome, come
anche quello di Decamerone estere stato posto al Centonovelle più
tosto d’altri, che dal BOCCACCIO; il quale nel proemio della quarta
giornata avere scritte le tue novelle senz’alcun titolo apertamente si
dichiara. Quel giorno più non vi leggemmo ovante. Aocenna con nobil
tratto di modestia l’ inferrompimento della lettura, ed in conseguenza il
passaggio da’ tremanti baci agli amorosi abbracciamenti.Il conte Lorenzo
Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti. Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali
esperienze’ --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Maggi – implicatura ridicola – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompiano).
FIlosofo italiano. Grice: “I like
his portrait” – Grice: “My favourite of his essays is on the ridiculous; but
his most specifically philosophical stuff is the ‘lectiones philosophicae’ and
the ‘consilia philosophica.’” La famiglia aveva possedimenti e anche un negozio
di farmacia. Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo
maestro. Studia a Padova con Bagolino e frequenta attivamente gli
ambienti culturali della città. Si laurea e insegna filosofia. Membro dell'«Accademia
degli Infiammati», strinse amicizia con Barbaro, Lombardi, Piccolomini,
Speroni, Tomitano, Varchi, entrò quindi a far parte del circolo di Bembo,
frequentando insigni filosofi come Paleario, Lampridio e Emigli. Conobbe iPole,
Vergerio, Flaminio e Priuli. Il dibattito sulla questione della lingua e sui
temi estetici legati soprattutto all'interpretazione della Poetica aristotelica
condusse alla preparazione di un commento allo scritto di Aristotele che, iniziato
da Lombardi, fu proseguito, concluso e fatto pubblicare da M., con altra sua
opera dedicata ad ORAZIO, a Venezia: le “In Aristotelis librum de Poetica
communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotations”,
dedicato a Madruzzo. Lascia Padova per entrare al servizio del duca Ercole
II d'Este come precettore del figlio Alfonso e, insieme, per insegnare
filosofia a Ferrara. Si conservano appunti delle sue lezioni sulla Poetica. Anche
della vita culturale della città estense fu protagonista, divenendo principe dell'«Accademia dei Filareti», che
vanta membri come Bentivoglio, Calcagnini, Giraldi e Cinzio, oltre a essere
amico degli umanisti PIGNA, PORTO, e RICCI, che gli diede pubblicamente merito
di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele».
“Mulierum praeconium” o “De mulierum praestantia” e dedicata ad Anna d'Este, la
figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno fu tradotta “Un
brieve trattato dell'eccellentia delle donne.” Comprende anche una Essortatione
a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne, attribuita a Lando,
che si pone come corollario dell'orazione di M. Alla chiusura temporanea
dell'Università, ritorna a Brescia, partecipando alle riunioni dell'Accademia
di Rezzato, fondata da Chizzola. Abita nella quadra della cittadella vecchia,
in contrada Santo Spirito. Sposa Francesca, figlia del nobile Paris Rosa,.
A Brescia sede nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei consiglieri
comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori del
territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come
rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio
Generale. Altre saggi “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne,
Brescia, Turlini “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes:
Madii vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi; De
ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, Valgrisi,
“Lectiones philosophicae” Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, ms, Expositio de
Coelo, de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Quaestio de visione, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, Espositio super primo Coelo, Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi,
ms Pollastrelli, Mulierum praeconium, Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus.
Oratio de cognitionis praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de
Valentia, Consilia philosophica, Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem
serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e
Stato, Modena. Note In Sardi, Estensis latinus 88, Modena,
Biblioteca Estense. G. Bertoni,
«Giornale storico della letteratura italiana», C.. Fahy, Un trattato sulle
donne e un'opera sconosciuta di Lando, in «Giornale storico della letteratura
italiana», Bruni, Speroni e l'Accademia
degli Infiammati, in «Filologia e letteratura», XIWeinberg, Trattati di
retorica e poetica, III, Roma-Bari, Laterza, Bisanti,
interprete tridentino della Poetica di Aristotele, Brescia, Geroldi, Giorgio
Tortelli, “Quattro M. in cerca d'autore”, in «Quaderni del Lombardo-Veneto»,
Padova, Vincenzo Maggi, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. VEnciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Vincenzo Maggi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo Maggi. Maggi. Kewyords: implicatura
ridicola, Eco, il nome della rosa, Cicerone, il tragico, filosofia tragica,
pessimism, l’eroe tragico, Nietzsche, la tragedia per musica – I curiazi,
catone in Utica – tragedia per musica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Maggi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Magi – l’uso delle parole – il mistico – I mistici – la scuola di mistica
fascista – il veintennio -- filosofia italiana – filosofia fascista -- Luigi
Speranza (Pesaro). Filosofo italiano.
Grice: “A fascinating philosopher – “journey around the world in ten
words,’ a gem!” -- Insegna a 'Urbino. Si
dedica alla psicologia “trans-personale”. Fonda il Centro di Filosofia Comparativa
(cf. ‘implicatura comparativa’) e “Incognita” a Pesaro, tesoreggiando
‘l’intelligenza del cuore’ e il principio dell’interiorità. Scrisse “I 36
stratagemmi” (Il Punto d'Incontro; dal, BestBUR). Il suo “Il Gioco dell'Eroe.
Le porte della percezione per essere straordinario in un mondo ordinario” vede
un clamoroso successo. “I 64 Enigmi. L'antica sapienza per vincere nel mondo” (Sperling & Kupfer
)è segnalato al primo posto dei libri
più attesi. Lo stato intermedio tratta l’argomento rimosso dei nostri tempi: la
morte, e abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti cari agli autori: filosofia, mistica,
psicologia transpersonale, esperienze ai confini della morte. Esce un
aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe con il sottotitolo “La porta
dell'Immaginazione”. Vgetariano dichiarato., si focalizza sui modelli mistici per
approfondirne, oltre la portata metafisica e auto-realizzativa, i concetti di
efficacia ed efficienza: nel libro I 36 stratagemmi declina il taoismo nei suoi
aspetti di strategia psicologica; nel saggio "Le arti marziali della parola"
in La nobile arte dell'insulto (Einaudi) evidenzia come l'arte del
combattimento diventi arte retorica e dialettica. Nei saggi Il dito e la luna,
La via dell'umorismo e Il tesoro nascosto mostra il rilievo della comunicazione
metaforica e umoristica. Elabora e sviluppa la dimensione della psicologia
trans-personale all'interno del Gioco dell'Eroe, disciplina da lui creata e
imperniata sulla capacità umana dell'immaginazione. Altre saggi: “Il dharma
del sacrificio del mondo” (Panozzo); “La filosofia del linguaggio eterno” (cf.
Grice: ‘timeless’ meaning, versus ‘timeful’?). Urbino, “Quaderno indiano,” Scuola
superiore di filosofia comparativa di Rimini, “Il dito e la luna,” Il Punto
d'Incontro); I 36 stratagemmi (Il Punto d'Incontro, BestBur); Sanjiao. I tre pilastri
della sapienza, Il Punto d'Incontro, Einaudi, Uscite dal sogno della veglia.
Viaggio attraverso la filosofia della Liberazione, Scuola superiore di
filosofia comparativa di Rimini, La Via
dell'umorismo (Il Punto d'Incontro); La vita è uno stato mentale. Ovvero La
conta dei frutti delle azioni nel mondo evanescente, Bompiani, Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra).
Arte della guerra e della strategia” (Il Punto d'Incontro, "Lo yoga segreto del perfetto
sovrano"; “Il gioco dell'eroe” (Il Punto d'Incontro); “I 64 Enigmi,
Sperling); Lo stato intermedio,, Arte di Essere,. Il tesoro nascosto. 100
lezioni sufi, Sperling); Il gioco dell'eroe. La porta dell'Immaginazione” (Il
Punto d'Incontro, 101 burle spirituali, Sperling); Recitato un cameo, nel ruolo
di se stesso, nel film Niente è come sembra, di F. Battiato, a fianco di
Jodorowsky. Jodorowsky scrive in seguito la presentazione di La Via dell'umorismo.Blog. «Fondai a Rimini il Centro di Filosofia Comparativa”.
Per spaziare in temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso
immaginazione, religioni, filosofie, arti e scienze». Incognita. Advanced Creativity Il Secolo XIX
(Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre,
un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo"31 Il Secolo XIX
(R. Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per capire l'entrata
nell'epoca del post-umano" Per il titolo del suo album Dieci stratagemmi,
Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di M. Il sottotitolo,
"Attraversare il mare per ingannare il cielo" è il primo stratagemma
dei trentasei che compongono che il libro.
Stralcio della quinta puntata (youtube)
Modelli strategici. Corriere della Sera, (Camurri) wuz
Panorama (Mazzone) wuz Panorama (Allegri) Il Secolo XIX Onofrio) "Aprite le porte
all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la quotidianità" M., I 64 Enigmi,
Sperling & Kupfer, Milano: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi chiesero
perché sono vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la penso ancora
così): Non mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia». La Repubblica (Michele Serra); Il Riformista
(Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica (Schisa) Il Gioco dell'Eroe, Il Punto d'Incontro,.
Libro/CD con prefazione di Battiato Il
Gioco dell'Eroe Gianluca. Scena del film ove compaiono e A. Jodorowsky (yout ube) La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro,
Vicenza, La Stampa (Il Premio è stato conferito dalle autorità della Repubblica
di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha costruito attraverso la
sua produzione e l'attività del Centro di Filosofia Comparativa di Rimini ponti
di comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e d'Occidente,
attualizzandone, in teoria e in pratica, il loro messaggio filosofico,
psicologico e spirituale per l'uomo contemporaneo»). Gl’altri premi sono stati
conferiti a: Battiato (Musica), Jodorowsky (Teatro), F. Mussida (Arti visive),
S. Agosti (Cinema), M. Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta
(Televisione). Sito ufficiale di
Gianluca Magi (in cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity
"Psicologia transpersonale. Che cos'è?" Video Lectio brevis riflessionisul Senso della vita su
riflessioni. Gianluca Magi. Magi. Keywords: l’uso delle parole, il mistico,
‘implicatura comparativa’ mistico, scuola di mistica, l’uso di ‘scuola’ mistica
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magi”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e Magnani – implicatura – la
linea e il punto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannazzaro de’ Burgondi). Filosofo
italiano. Grice: “I like Magnani; he has
written about conceptual change, which I enjoyed!” -- Grice: “I like Magnani;
his treatise on the philosophy of geometry is brilliant!” -- essential Italian philosopher, not to be
confussed with Tenessee Williams’s favourite actress, Anna Magnani --. Insegna
a 'Pavia, dove dirige il Computational Philosophy Laboratory. Dedicatosi
allo studio della storia e della filosofia della geometriai, i suoi interessi
si sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e post-positivista.
Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del ragionamento
creativo. Studia tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina
in collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale
nella sua ricerca. La sua attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto
model-based reasoning. Fonda una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning.
Trattai problemi di filosofia della tecnologia e di etica, rivolti anche al
tema trascurato in filosofia dell'analisi della violenza. I suoi
interessi di ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le
scienze cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina,
nonché i rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito
a diffondere il problema dell'abduzione. La sua ricerca storico-scientifica ha
riguardato principalmente la filosofia della geometria. Dirige la Collana di
Libri SAPERE. Opere: “Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in un
mondo tecnologico” “Filosofia della violenza” “Rispetta gli altri come cose. Sviluppa
una teoria filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva
naturalistica e cognitiva. Note Web Page
del Dipartimento di Studi Umanistici
Computational Philosophy Laboratory Web Site [Cfr. le varie pagine dedicate a questi convegni
in//www-3.unipv/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy
Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia,
Pavia (Italia)] Sun Yat-sen Award Cerimonia
Book Series SAPERElesacademies.org. Edizione cinese: Philosophy and Geometry Morality in a Technological WorldAcademic and
Professional Books Cambridge University Press
Abductive Cognition Understanding
Violence The Abductive Structure of
Scientific Creativity Author Web
Page Handbook of Model-Based
Science Logica e possibilità, su RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Filosofia della violenza, su RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Grice: “Philosophy of geometry, so mis-called – I call it the
theory of the line and the point – always amused me since Ayer misunderstood it
in 1936! Hoesle and Magnani prove that it’s less geometrical than you think!”
-- Lorenzo Magnani. Magnani. Refs. Luigi Speranza, "Grice e Magnani," per
il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Grice e
Magni – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: “I love Magni – He has gems like ‘Petrus is Petrus’ –
I’m talking about his “Principia et specimen philosophiae” – The titles for the
chapters are amusing, and he refers to ‘ratio essendi’ – and other stuff –
*Very* amusing --.”Figlio dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola, si
trasferì a Praga. Entrò nei cappuccini della provincia boema a Praga. Insegna filosofia
entrando, grazie al suo insegnamento, nelle grazie dell'imperatore. Presto fu
eletto Provinciale della Provincia austro-boema dell'ordine e divenne
apprezzato consigliere dell'imperatore e di altri principi europei. Il re Sigismondo
III gli affidò la missione cappuccina nel suo paese. Ferdinando II lo inviò in
missione diplomatica in Francia. Fu uno dei consiglieri del duca Massimiliano I
di iera. Dopo la battaglia della Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di
Praga Ernesto Adalberto d'Harrach nella cattolicizzazione della popolazione e
nelle riforme diocesane. Prese parte in nome dell'imperatore ai negoziati con
il cardinale Richelieu sulla successione ereditaria al trono di Mantova. Divenne
consulente teologico nei negoziati per la pace di Praga e missionario
apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Riprodusse
a Varsavia di fronte al re e alla corte l'esperimento di Torricelli usando un
tubo riempito di mercurio per produrre il vuoto. Riuscì a convertire il
conte Ernesto d'Assia-Rheinfels e sua moglie. Dopo che l'Praga venne
affidata ai Gesuiti, entrò in contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare
a Vienna. Rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a
Salisburgo, dove morì quello stesso anno. Frutto della sua polemica con i
protestanti è “De acatholicorum credendi regula judicium” in cui sostene che
senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da sola non era sufficiente come
regola di fede per i cristiani. Trata lo stesso argomento in “Judicium de
acatholicorum et catholicorum regula credenda”, le cui debolezze argomentative
scatenarono la contro-offensiva dei protestanti. Si occupa di metodologia,
logica, epistemologia, cosmologia, metafisica, matematica e scienze naturali.
Rifiuta i principi aristotelico-scolastici, ispirandosi alle dottrine di
Platone, Agostino e Bonaventura. Altre saggi: “Apologia contra imposturas
Jesuitarum,” “Christiana et catholica defensio adversus societatem Jesu,” “Opus
philosophicum,” “Commentarius de homine infami personato sub titulis Iocosi
Severi Medii,”:Concussio fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm.
Conringi, “Conringiana concussio sanctissimi in christo papae catholici
retorta,” “Echo Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa” “Epistola de responsione
H. Conringii” “Epistola de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis, “Principia
et specimen philosophiae, Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S.
Goarem, “Organum theologicum”; “Methodus convincendi et revocandi haereticos”;
“De luce mentium”; “Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula credendi, “De
atheismo Aristotelis ad Mersennum, Demonstratio ocularis, loci sine locato:
corporis successiuè moti in vacuo, Bologna, Benatij. Vedi la voce nella
Enciclopedia Italiana. J. Cygan, “Vita prima”, operum recensio et
bibliographia, Romae, “Opera Valeriani Magni velut manuscripta tradita aut
typis impressa, «Collectanea Franciscana», A. Catalano, La Boemia e la ri-conquista
delle coscienze. Harrach e la Contro-Riforma, Roma, Storia, M. Bucciantini, La
discussione sul vuoto in Italia: Discussioni sul nulls, M. Lenzi e A. Maierù,
Firenze, Olschki, A. Napoli, La riforma
ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della Congregazione de
Propaganda Fide, Centro Studi Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescana,
Milano. Relatio veridica de pio obitu R. P. Valeriani Magni, Lione, Ludwig von
Pastor, Storia dei papi, Roma, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, M. Bihl, G. Leroy. Ad universam Philosophiam. De Ordine &Jl)lo
Dottrimt. Oftii Theophilc nullum entium affitmiri de alio ente, fed fingula
negari de singulis quae verd affirmantur de entibus non lunt entia, sed
habitudines, quae intercedunt entia. Ego enim illa duntaxat nunc upaui entia, qu3e
per al iquam potentiam pofluni efTe, 6c intelligi, feorfum abomni
alioente. Harum habitudiuum, ut docui, aliae funtiden:itatise(Tentiae, ut,
“Petrus est Petrus. Alias identitatis rationis, ut “Petrus est Paulo idem m
ratione naturae humanae. Demum aliac funt efle aut principium, aut ter-
n)inumalicuius motus, vt “Petrus generat”, “Paulus generatur”. Ex
quibus duntaxat potest demonstrari & existentia, & natura
entium.Verum non funt negligendae reliquae: Ille,enim, qua:referent identitatem
essentiae sive affirmatam, sive negatam, inuoluunt Frequenter niotum noftraerationisa
cognitionc imperfe&a, ad perfectionem: v.g huius propoaitionis, “Homo
est animal rationale”. praedicatum^licec sit identicum subie<3:o, ipsum
tamen explicat diftin&ius. Qux autem confiftuntin identitate rationis,
fiue affirmata, fiue negata, coordinant cognoscimentum et praedicamenta, &
in omni di- £lione, iudicio, ac ratiocmatione praetendunt terminos, qui
ab identitate rationis, communi pluribus entibus, denominantur universales. Et
licet eiusmodi identitatesr ationis non inferantur syllogismo, sed
cognoscantur sola collatione, seu comparatione terminorum, cognitorum aut immediate
aut mediante illatione: tamen hae habitudines tum fubeunt illationem, cum
ex identitate rationis affirmata, aut negata de duobus principijsali cuius motus,
infertur proportionalis identitas rationis, inter terminus illorum motuum, v.g.
Quae est ratio entitatis inter Petrum et Paulum, ea eft mter filios Petri et Pauli.
Quoniam vero in primo libro de per se notis, per didboncm connexam ordinavi in
cognoscimento, & praedicamentis entia per se nota: coordinationem graduum
entitatis, nomino cognoscimentum, & A per iu* X
2 Vakriani Magni per iudicium conncxum exhibui in clau^diftin
&asomnes entiurn per se notorum pra:cipuos motus per se notos,
quorumillos. quos quifquc confcit in se, ennarraui (atis accurats,
inlibro demeicon- lcicntia: fupercft, ad complementum appararus philosophici.
exhibere illas propoauioncs. quarum veritasnon dependeat abentium cxi-
ftentiajeda rarionc a?tcrn^ > & incommutabili, cuius modi debent
cf- fe i!la?,qutfin syllogismo denominancuc maiores: Minores
enimper se nota propoliciones, exararaz in cra#atu de per se noris ,
habenc ve- rit3tem,pendulam ab exifteruia Ennum; v. g. Luna mouetur, qua?
, fi corrumpatur,inducit Falfiratem iliius propofitionis, Ac vero hxc: Id,
quod mouctur, neceiIari6 movetur ab alio : eft vera,tametfi corrum-
pancuromnia mouentia & mobilia. Harum vero propofitionum
incommutabilium funt innumera nequecft vllaclfYerentia motus, quaenon sibi
vendicetpropiias vericate'S mcommutabiles: puta has.Id, quod Loco-movetur 5 neccessari6
Loco movetur ab alio: ld, quod alteratur, necelTari6 alteratur ab alio;
U> qnod generatur, neceflano generatur ab alio. Veium hae omnes deriuanc
(ibi incommutabilitatem ab hac: Id quod mouetur, neccessariu mouecur ab
aho>oporcetergo congercre invnum craclacumillasim- fnutabilium,quas
nulla ipccialis pars philosophiae pcrcra&ac, quatenuSjvbiv.g. ventum ficad
tra&a cum de generatione. Ha?c, fd, quod geiif ratur, neceflario generatur
ab alio demonftracurperhanc : id, <juod mouetur, necefl.ui6 mouetur
abalioj quae supponatur dcmon- (trata m ipfo vestibulo Philosophia?,ica
vc non fic opus in vllo ratiocir nco repetere demonftiacionem
fadtam. Hiccrgotra&atus comple&iturhas propositiones ajternas,
& ir>» commucabiles>in quas neccirario refoluancur omnes
lllacioncs. quas habebir,& habere poteft vniucrfa philosophia: has
nuncupaui Axiomata, & licniiTec denominarc Maximas, veluc, quac influanc
vim iliatiuam propofitionibus maioribus. Exordioraucemtraclatum ab
habitudinibus idcmitatis elTentiar, deinde profequar illas,quac funt efle
pi incipium & ccrminum motus, casvero, quae funt ex
idcncitareracionis, poftrcmo loco commemorabo.nimirum
ilIas,quacafficiuncmotum:mocum,inquam,icalem cx quo duntaxar argumentor entium
exiftencias & nacuras. Scd veiitus,nemeusftylustibi vfquequao^ue
probccur, voloprius ^cxcufareilla.qu^forcaflisexiftimabisnofaciicongrua
fini,mjcintcdo • Obijciturprimo loco oblcuritas, quxfuperec vulgarem
conditionem, j4xiowata S ncm rhilofophantiura. Respondeo, quod obscurafas
obuenit vcl ab obie&o, ve! a ftylo (cribentis. Meum stylum audafter
dico tam darum quam quicflepoifitnatioenimfcribendicum clarirate est mihi
& rco- peccisfima, et familiaris.cxcerum grarulor philosophiae
obfcuriracem ab obie&o,quae aiceac plerofque ab hoc
ftudio,quiReipublica: vnlius opera,& aecace impendent in agro>in
mechamcis^in bcllo & iimilibus Laudatur pasfim rraditio do&rinae per
quarftiones , quae rnouentuc de (uL,ie&o alicuius
fcicnciae>placecque numerata partino earum.Hanc methodum refolutiuam
Ego non adhibeo, fed compofiriuam : Haec enim exordicur a nonslimis &
prarcendens lucem eacenus partam, reuelat semper obfcuriora : qui verdmouec
quxftionem,obijcit tene- bras,quas fubmoueac,(olucndo qua^ftionem
propofiram. Uli,qui per qusftiones cradunt lcientiam,ducunt
argumenta ex om- nibus locis diale£ticis:Ego proiequor lineam mocus ,
tfnde dunraxac infero enrium exiftencias,tSc nacuras,ijsargumcncis, quadola
poflunt efle dcmonftrariua,quarue,adnumerata Diale&icis , digniratem
pro- priam peflundant Memineris vero, Theophile, argumentum, quod
inihi est demonstrativum, alicui fortasfis vixerit probabile:(untenim
plerique, quibus opus fu pharmaco magis quam syllogismo. Quoniam vero
motiu func fubordinati > demonltrationes anrece-
dentesnancifcuntur,maiorem certitudinem , & euidentiam a lubfe-
ouentibus:fcilicer > exiftencia,& natura primi mouentis
confirmatur^ iecundis,alijfque fubfequentibus. Hxc conditio
ratiocinancis ex motu,e(t oppofita illi,quae ducitur ex nacura Quanti
difcreci f 6c continui •, nam in Mathematicis vix aliqua demonftrationum
anteccdentium pendec a iubfequenti- bus. Tibiver6,legentimeostra£htus
, occurent frequenter nonnulla amcnegle&a , qiu? tuo iudicio
debuiflenc dici; ied fcuo mehorrere confufionera,vcl
minimam,mareriaium>quas fuis locis deftinaui rra- £Undas;Ide6,Licet
fciam mulcum lucis acceflurum rci , quam expo- no.fi eo loci cognofcacur
aliquid,alio loco referuarum , ramen id fe- pono,& pra:ftoloL loco
congruo do&rinam,qua: no debec anticipari. Nil pono moieitius
obueniet cibi m m ea Philofophia, quam quod fcpono obiediones
manifeftas,dn#as ab exiftencia reru contra con- clufionnsillacasa
racionibusanernis,v.g.infero mouentem non pcfle quietcece in termino
trafeuntcqui fu fibi iCqualis in entitate.Cui co- clufioni videcur
aduerfan expeucua omniu generaciu fibi fimile in na- A i wraj, - r" —
ta....\....^x V zlcriam Mdgni. tttra^fed
(tperpendasfolutiones eiufmodi obiedlionurnjfacile/ntelli- ges eas^fi
anteuertantur , neceflai io (us deque conuerfuras vmuerlam Philosophiam,
fine quarlira evidentia. Ponofi vim a.gumenti con-
clufionisillataealTequans facile inteliigcsrcrum exiftennas, &naturas
dependcrea rationeaetcrna.a.rumpra in fyllogifmo.&fupponeslatere
aliquid in entibus concretis,vndecaptas occafionem errorrs.
Confulcoabftineoa quamplurimis, quce alioqum magna conten-
tionecontrouertuncurintei Philofophos , fi tamenhzc ncghgentu non
detrahatfcientia^quamprxtendo : Commemoroadexempkira differentiam
interdiftin&iones formalem*rationis ratiocinat*e,&mo-
dalem.Eiufmodi enim contenrione.splunbus feculis agirarae, non ha- bent
momentum ad veritatcm quaefuam,quod pofcat dispucationern zuternam. Non
infero ex conclusionibus primo illatis, reliquas omnes, qur inferripoflunt
ed illas duntaxatj quae cx ponunt natura mcntis, quoi
fub»jciturratiocinio : immopleraquc rranfilio, quxexdcmonftrati* non
obfciueprodcuntinlucem. s :
DemumnouerismenondocererespervocabuIa,fed res, confue- ta oratione
declaratas, significo per vocabuU vfitata,fi Hippetant , vci adhibeo aha
ad placitum meum. Capvt ir. -dxiomata ex identiutt
ejfentiali. Ursauternpr^miffisaggredior habitudincs identitatfs
eflenti». A Afeddebeopnusaflignarcrationemcommunem omnibus cnti'
bus quatenus hxc dodnna fit vniuetfal.ffima, Nofti
Theophile.fpecierum.quascognolcituri adhibcmus . jffiW eflc lenfib.les a
. as imag.nabiles.ali.. intelligib.tes/ enlib.lcs refeW aliquod
lenfib.le.non lolum quod aftu exiftat.fed & quod fi, p S n t.ffimum
fent.ent.: At vero imaginab.les . &,nrelh#b,lcs r-fe r ..m . J
nutum, magmantis &intcllige. Hisnonrolumentia^uexiftem
praefenua.fed abient,a,pr^erita,futura,poffib,), a , ac dcmum ab ft ra
Exphcaturuserg^Rationem.communem omnibusentibus eim
affignaredebeo.quxaffirmetur deentibuspr. sentibus affirmVk dc
pwtcri^affirmabitur defuturis , affirmaretur de poflibSus^f!
Tcnirenc X jixiomata S
venirent ad a£tum,qu#ue affiimatur de his, qux inrelliguntur,abftra-
hendoabimentione praeteritorum praefentiumjfuturorum^ ac pofli-
bilium. Dicoigitur Ensefleid,quod exerceta&um eflendi, vt v.g
amans c(l id,quod exercet adtum amandi: Ctrm cogito Theophilum ,
coguo id ; quod cxercet a&um eflendi Theophilum : Leo exercet
a&umel- fendi Leonem & quodlibet entium exercct a&urn eflendi
feipfum,fe- cundum praecifam entitatem vniufcuiufque, ita vt Ego , quinon
fuin Theophilus, non poflim exercere a&um eflendi Theophilum:nec
Leo poteftexercereadtum eflendi hominem. Qnaproprer ratio , commu-
nis omnibus entibus,abftrahit ab omni fpeciali exercitio entitatis : ita
vt nuila fit,aut poflit intelligi communis omnibuscntibus , quam quae
nuuraliter concipuur ab omnjbus , quaeue habetur in ipfo communi
vocabulo.£«i:nimirum.id.quodaaumeflendi autexercet, autexer- cuit,aut
exercebit,aut potelt exercere,concipitur vt Ens, quod aut eft, aut
fuit,aut ent,auc efle poteit. Seclufa (citra negadonem ) omni praecisa
rationeentitatis vllius. Itaque id, quod non exercet a&um eflendi,non
eft Ens„ Pneterita non (unt.fed fuerunt entia. Futura non sunt/ederuncemia.
^ PofTibilianonlunt/ edpofluntefle entia, &confequentcmil ho-
r»meflens. \ Ens vero abftraftum ab intentione praefentis,
prarteriti , futuri, &C posfibi!is,denotat praedicata cflentialia
Entis,mter , quae nil eflentiali- us ipfo exercitio eflendi.
Porio Gntiopponicur Non Ens,quodeft inintelligibile noncom-
teIle&o Ente: quienimdormiensnilomnium cogitat, non ideoin- tclligit
Non-Ens,quia nil entitim intclligat. Qm autem , int?Heclo
Ente,intelligitnilcfletefidui,tiensccirecab aaueflendi , isdemum
intclHgit,feucogitatNon-Ens. Quaproptcr dico, Rationem, communem
oronibus enubus, elie Rationcm Non-Entis, fi, poiitiua intelleaione, intellicatur
sublata: scilicet Non Ens est ens coguatum, vt ceflauit ab a&ueflendt
vel qua - tenusnonvcnita4aaumexiftcndi. VerumNon-ens habetfuasd.t-
fcrentias,& quidcm plures.has pcr ordinem narrabo , exorfus a mim- ma
Nonentitatcvfquead maximam. Lapis,cxpeiscaloris,noneft calidus, arpotcftcalcre,
fceatenusdi- <icorcaiidiKin pocentia. Eflcensin potcntia cft minimus
gradu* m VaUrUni Mignt
Nan-E ntitatis:nam id,dequo negatur caIor,eftens,tametfi Non-ca*
lor fit Non- Ens:non tamen lapidi cfl mcrum Non-Ens, quandoqui- dem lapis
potcft efie cahdus. Lapis non eft vifiuus colorati,nec poteft efle vifiuus
: Non eflr vifi- uum.nccpofleefle vifiuum,eft Non Ens:at verd h*c negatio
pocen* i\x vifiua? , eft de lapide^qui eft pns;ita vt, lapidem non efle
vjfiuum, non fic mcrum Non-Ens. Socrates ccrto certius generabit
filium; quifilius eft Non-homo: non tameneftfic Non-homo.vtfunt Non homines
illi , qui nonerunt. Sed est homo futurus. At vero sunt alh ,
qiuceflcpoflunt.ncc ta- menerunc;quotfunt animantium,quotex hominibus,qui
poflent gc- nerarcfilios.ncctaracngcncrabtint? Haccnon funtcntia fucuta,
fed denominantur posfibilia,qua: magis recedunt ab entitatc, quam quod sunt
futura. Entibus possibilibus proxime accedunt entia prastcrita : h*c
enim fic non funt,vt nequeant efle ; nec tamen deficiunc ab omni
encitatc, quandoquidem fuerunt aliquando. Denique illa quae
neqne (unt,ncque erunt ; neque fuerunt, nec esse pofliint videntur esse mera
non entia.-puta corpus re&ilincum bian- gulareiid enim imposfibilc
eft eflc,fuifle,aut fore. Non-cntium autem quaedam intelliguntur
oppofica negatiue alicui cnti prxcifo,ac fignato. Vnicum vero Non-Ens
incclligicur oppolitum negative omnibus entibus absolutc confideratis Si ribi
oppono ncgatiu* Non-Ens,id Non entitatis,nuncupatur Non-Theophiius-
Cuiulmodi fonr Non-Pcti us, Non-hic Leo, & a!ia innumcia. Non-
^nsautcm.oppofuuiuomnibusenribus.abfolutcconfidcratis nun cupatur nihil.
Porro intell.gereaut confiderare prxfata Non ! Entia
cftcautelaamulnphcibus, grauis fimifquecrroribus. proucnicoiibus ex confufa
sub.eaione, & predicationc huiulccmodi Non-Ennunv a quibus tibi
caucbis haud d.fficulcer, f, nouucris accurat8 . qu* (uh * lungo. ^ * iUU
" V.x est aliqua differentia non cnritntis, qaamnon folcamus
aut Lapis non est, fc J potcft eflc calidus,' d nuncupatut E W in
potcn- cun L d U P m g Td. eft ' ""P 0 linsi.posfibncfc. Anti-
Jlxionuts 7
Antichristus cfl furuius , dicitur Ens fumrum. Filiusi ; em non
cognituri mulierem, dicitur ensposfibile. Abraham fuit homo dieitur Ens praereritum.
Corpus reiiilineum biangulare dicitut Ens abfolute imposfibile
Non-Theoph:Ius dicitur Negatio vniuscntis. Nihil, dicitur, Ncgario omnium
entium. Porr6 nil horum por eftcfFc< aut subjectum aut praedicatum
reale, fi exciptas ens in potentia , & ens imposfibile secundum
quid:Iapis e- nim, quiaftirmaturcaIidusinpotentia,quiue abfolute
negaturvift- uus. Eft ens.
Cetctum nil cntis eitquod fubijcias reliquis Non-entibus, quod per singular
exempla demonstro. Anti-Christus est futurus. Anti-Christus stat loco
subiecti, qui in eadem propofulone supponitur Non- ens,cum aiTeratur futurus.
quocirca fubiedtum illius propofitionisnon est ens. Eadem est conditio
huius. Filius Petri, non cognituri mulierem, est possibilis. Scilicet
subjectum illius propofuionis non est ens, sed poteftetfe ens, vt
fupponitur, haec etiam Abraham fuit Homo: Habet fubiectumj quod fuppomturnoncfie,
fed fusse Ens : dc- naum ifta: Corpus reSiIineum
biangulare eft imposfibile , non fu bijcit en<\ cum in ipfa propositione
afteratur non folum Non ens.led Sc cfie im- posfibi)e,quod fu cns:Cauebis
crgo ubi a multiplici er rore,fi lupra di- dum confuetum modum enuntiandi
ndh:beas conlcius,ennumerata fubie&a di&arum propofitionum non
erte entis. His ergo eatenus explicaris, staruo primas propositiones universalissimas
formatascx Ente& Non ente, abftradasab omni difte-
rentiaentitatis. Vidcote'1 heophiIum,&tuaccuratcinfpecT:us
enuntias v.gde te ip(o,quodfis coloratus, quod fiscerta figura
determinatus, quae propositiones non sum illatae l et tamen dependent a te, ut
a termino simpliciterdiiao.quiaccurareinfpeaus de se enuntiar prasrata, et
aha eiufmodi. Verum hoc loco non ccnfidero habitndmcs, quarinter-
ccdunr terminos realiter diftinaos, sed eas duntaxat, quas nos comminifcimur
inter ens, relatum ad lemet ipsum, et ad non ens, cumcnim priroum, quod
obiediue cadit in mentcrn nostram, fitcns, ftlfl Valcrittni
Magm fit Ens, fiid simpliciter dictum, seu apprehensum, referarur ad femet
ipsum, fefe pertinacifiime enuntiat, acrepetit Ens. Unde habemus hanc propositionem.
“Ens est ens.” Qux est prima omnium per se notarum incommutabilium, non solum
quia non sit lllata sed etiam quia non sit enuntiata, aut exarata abaho
termino simpliciore, a nobis accurate in(pe&o. Ex hac propositione habetur
haec. “Non ens est non ens.” Quae est notisima, citra ullam illationem:
ignorarem tamen illam fi nelcirem hanc Ens eft ens. Porro quod
ensfit ens,^£quipollere videtur huic. Ens est se ipsum. Hinc vero
fubinfero alias propositiones:Vnam ex eo, quod ens est ensi in numeras ex
eo, quod ens sit se ipsum vfic ergo argumentor; Hoc, “Ens est ens.” Ens
vero est impossibile, fit Non-ens: Ergo hoc ens non est Non ens. Hoc
Ens est se ipsum: ld autem, quod est se ipsum, impossibile est sit ullum
aliorum entiu. Ergo hoc ens non est ullum aliorum entium, scilicet: Hoc: “Ens
non est ens”, nunc upatum A.nequc ens nunc upatum E, neque vJlum
aliud, ex omnibus,quae exiftunt. Quoniam vero enri, vniuerfalisfime
confiderato, licet fubfumere quotquot funt entium cxiftentium6c
exindeformare propofitiones, & ilIanones, prasfatis analogas, uno
exemplo commonstro, ut ld fiat. “Theophilus est Thcophilus.” “Theophilus est
se ipsum.” Hmc fic argumentot “Theophilus est Theophilus” Id quod eft Theophilus
imposfibile eft. sit simul non Theophilus. Ergo Theophilus non est simul non
Theophilus.” “Theophilus est se ipsum.” Id, quod est se ipsumi impossibilc est,
sit vllum ahorum cntium. Ergo Theophilus non est vllum nlioium cncium.
Scilicet Theophilus non ctl Pctius; non hic Lco, non hic lapis,
non vllumaliorurn cntium. Quoddixidc Theophilo, idv erificatur de
quocunquc alioente, quo Axiomata quomodo libet confidermo. v.g.
Ens ad tu est enfac5 Hi ; est re ipsum. Ens m porcnua,cft cns in porcntia, elUe
iplum. i. urrens elt curtens, est se ipsum. Quin iramo aufim
diceie Non ens eft non-ens.est se ipsum. Sic enim argurnentor
Non-Ens est non-ens At Non-ens est impossibile fu Eus Ergo Non ens
non est Ens. Non Theophilus est non Theophilus, At non Theophilus est impossibilc
quod sit non-ens, aliud anon Theophilo. Ergo Non-Theophilus non est non-ens, aliud
a non-Theophilo. Neque bexiftimes harum propositionum luillum ef cvsum in
Philosophuv. tu iple ex pericris freqnent! flimum, £ximiumque solatium
ex-c- uidentiflima incommutabiluatehuiul modi propohuonum: faepius enim
infertur condufio tam recondita, tantique momenti in PHILOSOPHIA, vt trepidi
exhibeamus noftrum aflinfum. Verum conie&i incam necessitatem qucc
nos compellat, aut aflentiri illatfe conclusionem, aut negare ens esse se ipsum,
inttepidi aflentimur illatae conclufioai. Ni> Haenimeftillatio, quae
vimillatiuaranon fibi derivet ab hacptopofuione. “Ens est ens.” Id uno syllogismo
ostendo Luna loco movetur Id, quod-loco mauetur, neceflari61oco-inoiieturabaHo:
Ergo luna Loco movetur ab alio. Quod Locob meueatur, cernisoculocorporali,
quod vcro Ens loco-motum incommutabiluer moueatur ab alio.cernis oculo
mentali. lraque pr^bueris assensum duabus illis prasmiflis, & tamen
trepides af- feiuui conclusioni, cogeris praebere affcnfum, fi
animaduertas, ex negata conclusione, et conceflis premissis necessario sequi, Lunam
simul moveri et non moveri. Quod moveatur supponitur in minore: quod
loco morum neceflario moucaturabalio,concediiurin maiore. Ac impossibile est
junam moueri Localiter, & non moueri locabiliter, si non sit possubiIe,
Ens simul esse ens, & Non-ens.id sctb est impossibilccum ens necessario sit
ens. Hoc confirmatio cuiuscunque illationis dicitur a Philofophis
probatio pet impossibile Itaqueens quod cunquc simpliciter dictum fefc ex
erit in propositionem hanc identicara. I o VtUrUni Mtgni Ens est
Ens; Ens est se ipsum Ex quibus citra illationem habemus has, “Non ens est
non ens.” Non-Hns.eft fe ipsum I:x quibus qualitcrcunqjtc
ratiocinando habcmus has, Ensnondt Non Ens Non Ens non eit
ens Habes ergo Theophilo ex rarione, comrauni omnibus entibus, unam
primam, vniuet falisfimamque propolirionem, incommutabilem, per se notam, ex
qua ratiocinando intuli alias. At vero nulla cearumillationumfunr reales,quandoquidemhabitudo
, aut affirmata, aut neg3ta, non est realis. Negata non est realis, quia
non negatuc habitudo vlla, sed ipsum Ensdealio ente: Habitudo autem non est affirmata
non est realis.-nam termininon sunt realiter distin- ens cthpraratae
enim habitudines affirmatae, funt habitudines identitatis, inquibusens,
vt fubijcitur, non diueifificatur afe , vt praedicatur. lllx enim propolirones
, quas in Logica denominavi identicas, non fuiil i eales, immo nec sunt
propofuioncs, sed dnftiones. Ut enira is, qui dicit, fecernit ens dictum
a rdiquis entibus, fic qui statuit lllud ipsum Ens clTe se ipsum et: non esTc
ullum aliorum entium, concipic ens catenus cognitum, velut sit indiuisum
in fe,& d uifum ab alijs, jicl vero nolTe de aliquo cnte, est dicere
ens illud. Non tamen inuoluo dictioni mdicium, fcdaio, iudicium de illis propositiombus
non esse realcjecquidem icio eiufmodi affirmationes & negationes elle
notitias intellectuales entium,cognitorum infra intelledioncm ed hanc distinctionem
reieruo in alium locum. Grice e Grice, Grice ha Grice, Grice izz Grice, Grice
hazz Grice. Valeriano Magni. Magni. Keywords: implicatura. Luigi Speranza,
“Grice e Magni: ‘Paolo e Paolo: assiomi e principi metafisici” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mainardini – il popolo romano –
filosofia italiana – il consorzio degl’eroi -- Luigi Speranza (Padova). Filosofo
italiano. Grice: “Padova tries to
institute the ‘regnum’ as between Aristotle’s ‘polis’ and the modern ‘stato,’
but in which case, we wouldn’t call it ‘politeia’ anymore!” -- Grice: “When I studied change I focused on
von Wright – but then there is Padova and his ‘grammatica del mutamento’!” Nato da una
famiglia di giudici e notai – il padre: ‘di Giovanni’ -- che viveva vicino al
Duomo di Padova, completò i suoi studi a Parigi dove fu insignito dell'autorità
di rettore. Il tempo trascorso a Parigi influì moltissimo sull'evoluzione del
suo pensiero. Gli anni parigini furono molto importanti e fecondi per
l'evoluzione del suo pensiero e la visione dello stato di corruzione in cui
versava il clero lo portò a diventare anti-curialista. A Parigi incontrò
Occam e Jandun, con cui condivise passione politica e atteggiamento di
avversione verso il potere temporale della Chiesa. Con Jandun rimase legato da
grande amicizia e assieme a lui subì l'esilio. Mainardini dopo le sue
dure affermazioni contro la Chiesa venne bollato con l'epiteto di “figlio del
diavolo”. Mainardini si trova a Parigi quando si sviluppò la lotta tra
Filippo, re di Francia, e il Papato. Tutto ciò, assieme al vivace contesto
culturale in cui si muoveva, lo portò alla compilazione della sua opera
maggiore il Defensor Pacis, l'opera cui deve la sua fama e che influì
moltissimo sia sul pensiero filosofico-politico contemporaneo che su quello
successivo. A Parigi sperimentò una monarchia decisa ad accrescere il
proprio potere e la propria autorità su tutte le forze politiche centrifughe
del momento ivi compresa la Chiesa di Bonifacio VIII. Diventato consigliere
politico ed ecclesiastico di Ludovico il aro lo seguì a Roma nel 1327 in
occasione della sua incoronazione imperiale e qui fu nominato dallo stesso Ludovico
vicario spirituale della città. L'incoronazione imperiale avvenne ad opera del
popolo romano anziché del papa inaugurando, così, quella stagione dell'impero
laico che Mainardini vagheggiava e che avrebbe aperto la strada alla
laicizzazione dell'elezione imperiale e alla cosiddetta Bolla d'Oro di Carlo IV di Boemia. Con la Bolla
d'Oro fu eliminata ogni ingerenza del papa nell'elezione imperiale diventando
così un fatto esclusivamente tedesco. Fu ancora con Ludovico quando questi si
ritirò, dopo il fallimento dell'impresa romana, in Germania dove rimase fino
alla morte. È del periodo immediatamente antecedente la sua morte la
compilazione di alcune opere minori tra cui spicca il “Defensor Minor,” un
piccolo capolavoro. Si può definire l'opera di Marsilio come il prodotto di
tempi in cui confluiscono la virtù del cittadino, il nazionalismo francese e
l'imperialismo renano-germanico. Il Difensore della pace” è la sua opera
più conosciuta in cui, fra l'altro, tratta dell'origine della legge. Il
suo fondamento era il concetto di ‘pace,’ intesa come base indispensabile dello
Stato e come condizione essenziale dell'attività umana. Si tratta di un'opera
laica, chiara, priva di retorica, moderna e per alcuni versi ancora attuale. La
necessità dello Stato non discendeva più da finalità etico-religiose, ma dalla
natura umana nella ricerca di una vita sufficiente e dall'esigenza di
realizzare un fine prettamente umano e non altro. Da questa esigenza nascono le
varie comunità, dalla più piccola alla più grande e complessa, lo Stato. Ne
deriva la necessità di un ordinamento nella comunità che ne assicuri la
convivenza e l'esercizio delle proprie funzioni. Per Marsilio questa esigenza
ha caratteristiche prettamente umane che non rispondono a finalità etiche ma
civili, contingenti e storiche. Alla base dell'ordinamento c'è la volontà
comune dei cittadini, superiore a qualsiasi altra volontà. È la volontà dei
cittadini che attribuisce al Governo, “Pars Principans,” il potere di comandare
su tutte le altre parti, potere che sempre, e comunque, è un potere delegato,
esercitato in nome della “volontà popolare.” La conseguenza di questo principio
era che l'autorità politica non discendeva da Dio o dal papa, ma dal “popolo,” inteso
come “sanior et melior pars.” In questa ottica egli propone che i vescovi
venissero eletti da assemblee popolari e che il potere del papa fosse subordinato
a quello del concilio. Ludovico il aro Marsilio pone il problema, che
tratterà anche nel Defensor Minor, del rapporto con il Papato e con i suoi
principi politici costruiti. «occulta
valde, qua romanum imperium dudum laboravit, laboratque continuo, vehementer
contagiosa, nil minus et prona serpere in reliquas omnes civitates et regna
ipsorum iam plurima sui aviditate temptavit invadere segretamente, con i quali
aveva cercato, e continua a cercare, di insinuarsi subdolamente in tutte le
altre comunità e regni che aveva già tentato di attaccare con la propria enorme
avidità» (Defensor pacis) Il giudizio di Mainardini sulla chiesa come
istituzione è molto negativo e lo manifesta con la crudezza di linguaggio che
gli è solita quando affronta l'argomento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa.
Lo scalpore suscitato da questa opera obbligò Mainardini a fuggire presso
l'imperatore Ludovico il aro, con il quale scese in Italia. Il Defensor minor
si colloca fra le opere minori di Mainardini, ma si distingue per la sua
importanza. Si differenzia dal Defensor pacis per essere un'opera più
propriamente teologica mentre l'altra è prevalentemente politica. Lo studio
condotto nel Defensor Minor riguarda la giurisdizione civile ed ecclesiastica, la
confessione auricolare, la penitenza, le indulgenze, le crociate, i
pellegrinaggi, la plenitudo potestatis, il potere legislativo, l'origine della
sovranità, il matrimonio e il divorzio. Il Tractatus de iurisdictione
imperatoris in causis matrimonialibus che Mainardini compila in occasione del
divorzio di Giovanni di Moravia e Margherita di Tirolo-Gorizia si trova
nell'ultima parte del Defensor Minor. Le relazioni tra i coniugi erano
tanto insostenibili che la sposa preferì fuggire. Intervenne l'Imperatore,
imparentato con la sposa, e progettò il matrimonio tra la fuggitiva e Ludovico
di Brandeburgo ma a ciò ostavano il precedente matrimonio e alcuni legami di
sangue. Il “Tractatus de translatione imperii” – “Trattato della translazione dei imperii” -- è un'opera che niente aggiunge alla fama
derivatagli dal Defensor Pacis anche se ebbe una certa diffusione. Si può
considerare questo trattato come una storia sintetica dell'Impero dalla
fondazione di Roma da Romolo fino al secolo XIV. In Mainardini lo “stato
romano” è concepito come prodotto umano, al di fuori da premesse teologiche
quali il peccato o simili. È fortemente affermato il principio della legge
quale prodotto della comunità dei cittadini, legge dotata di imperatività e co-attività
oltre che ispirata ad un ideale di giustizia. Questo ideale di giustizia deriva
dal con-sorzio (concerto) civile, l'unico soggetto che può stabilire ciò che è
giusto e ciò che non lo è. Per Mainardini, l'uomo deve essere inteso come
libero e consapevole. Nel Defensor Pacis appare diffuso un
costituzionalismo affermato fortemente nei confronti sia dello Stato che della
Chiesa. È tra i primi studiosi a distinguere e separare la legalita (ius) dalla
moralita (ethos, mos), attribuendo il primo alla vita civile e il secondo alla
coscienza. Mainardini è sempre un uomo del suo tempo, saldamente ancorato nella
sua epoca, ma con intuizioni che ne fanno un uomo nuovo, anticipatore per certi
versi del Rinascimento. La definizione del nuovo concetto di Stato, autonomo,
indipendente da qualsiasi altra istituzione umana o, a maggior ragione,
ecclesiastica è il grande merito di Mainardini. Anche nella Chiesa viene
affermata una forma di costituzionalismo contro il dilagante strapotere dei
vescovi e dei papi. È ancora l'universitas fidelium a prendere, attraverso il
Concilio, ogni decisione riguardante qualsiasi materia di ordine spirituale. Il
nostro autore non teme di scagliarsi contro la Chiesa, a negare il primato di
Pietro e di Roma, affermare la necessità del ritorno del clero a quella povertà
evangelica tanto cara ad alcune sette riformiste di cui lui certamente conobbe
e comprese il pensiero. Lotta contro la Chiesa ma solo per conservarne o
rivalutarne il più vero, autentico e originario contenuto e significato. Quasi
riformista e conservatore nello stesso tempo, riformista là dove è contro la
corruzione dilagante nella Chiesa di quel periodo, conservatore là dove accetta
la necessità di un ordine costituito, della religione, della morale, intese nel
senso più puro. La modernità di Mainardini consiste anche nel metodo
della sua trattazione e della terminologia che usa, sempre stringata ed
esaustiva, aliena da qualsiasi di quelle forme di retorica che era
caratteristica degli autori medievali. Altri saggi:: “Il difensore della
pace,” C. Vasoli. POMBA, Torino, BUR, Milano, Ancona E., C. Vasoli, MILANI,
Padova (collana Lex naturalis; Battaglia
F., La filosofia politica del medio Evo, Milano, CLUEB Battocchio R.,
Ecclesiologia e politica, Prefazione di G. Piaia, Padova, Istituto per la Storia
Ecclesiastica Padovana, Beonio-Brocchieri Fumagalli M.T., Storia della
filosofia medievale (Bari, Laterza,), Berti E., “Il ‘regno’ di Mainardini: tra
la civis romana e lo stato italiano,” Rivista di storia della filosofia
medievale, Briguglia G., Carocci
Editore, Cadili A., Amministratore della Chiesa di Milano, in Pensiero Politico
Medievale, Capitani O., Medioevo ereticale, Bologna, Il Mulino, Capitani O., Il
medioevo, Torino, POMBA, Cavallara C., La pace nella filosofia, Ferrara, Damiata
M., Plenitudo potestas e universitas civium, Firenze, Studi francescani, Del Prete D., Il pensiero politico ed
ecclesiologico, Annali di storia, Università degli studi di Lecce Dolcini C., Bari,
Laterza, Merlo M., Il pensiero della politica come grammatica del mutamento,
Milano, F. Angeli, Passerin d'Entréves A., Saggi di storia del pensiero
politico: dal medioevo alla società contemporanea, Milano Piaia G., Mainardini e dintorni: contributi
alla storia delle idee, Padova, Antenore, Piaia G., La Riforma e la
Controriforma: fortuna ed interpretazione, Padova, Antenore, Simonetta S., Dal
difensore della pace al Leviatano, Milano, UNICOPLI Toscano A., Marsilio da
Padova e Niccolo Machiavelli, Ravenna, Longo, Defensor pacis Defensor minor
Tractatus de translatione Imperii Tractatus de iurisdictione imperatoris in
causis matrimonialibus Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Marsilio da Padova, su sapere, De Agostini. Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. marsilio: essential Italian philosopher. Marsilio dei Mainardini,
Marsilio di Padova. Mainardini. Keyword: il popolo italiano, consorzio
conversazionale, difensore della pace, leviatano, allegoria del buon governo –
allegoria del buon governo-- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mainardini"
per il Club Anglo-Italiano; Luigi Speranza, “Grice e Mainardini – la massima
del consorzio conversazionale.” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Grice e
Malfitano – i quattro – il complesso sociale -- filosofia italiana – filosofi
siciliana -- Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Grice: “Malfitano, like me, is an
emergentist – each ‘complesso’ grows (cresce) and the ‘complexity’ is thus best
characterised as ‘crescente,’ – Malfitano uses ‘complexities’ in the plural – a
theory of ‘complessita crescenti’ – The whole point is that you get from one
complex to the other.” Grice: “I like Malfitano. His theory of ‘complessita
crescente’ is admirable: he distinguishes various ‘complesso’ – the material
(subdivided into atomic, and the ‘crescente complessita’ of the molecular), the
biological complex (which comprises the complex of the tissue, and the complex
of tthe articular), the social complex, i. e.,
the human being in his inter-subjetctivity -- nd the ideological
complex, the abstracta – ideation, cognition, and conviction – there is a
superior geometry, too!” Nacque da Carmelo, commerciante e navigatore, e Santa
Veneziano. Era l'ultimo di sette fratelli. Frequentò il Liceo Classico Tommaso
Gargallo, dove iniziò a nutrire l'interesse per la materie scientifiche. Già da
giovanissimo frequentava assiduamente una nota farmacia del centro storico
della città natale acquisendo notevole interesse per la chimica e la
biologia. Si iscrisse dunque alla facoltà di chimica dell'Università degli
Studi di Catania per frequentare le lezioni del professor Alberto Peratoner.
Malfitano continuò gli studi universitari a Palermo, dove si trasferì al
seguito di Peratoner e ottenne la laurea nel capoluogo
siciliano. Abbandona la Sicilia per spostarsi a Milano, dove intraprese
una breve carriera lavorativa nel campo della chimica industriale agli
stabilimenti Pirelli. Contemporaneamente frequentava la scuola di microbiologia
dell'Università degli Studi di Pavia, retta all'epoca da Camillo Golgi, futuro
Premio Nobel per la medicina nel 1906. Stimolato dall'ambiente favorevole,
Malfitano pubblica I” Comportamento dei microrganismi sotto l'effetto delle
compressioni gassose” -- Inizia in questo modo a farsi notare da colleghi e
professori, sia per la materia dei suoi studi, sia per il carattere disponibile
e solare, come ricorda iPensa, celebre anatomista milanese. La carriera prese una svolta definitiva quando, durante un
congresso internazionale a Pavia, venne notato dal futuro successore di Pasteur,
Duclaux. Venne dunque invitato a trasferirsi a Parigi, avendo ricevuto
l'offerta di un impiego all'istituto Pasteur. Una volta arrivato nella capitale
francese, Malfitano si dedicò in un primo momento alla micro-biologia,
pubblicando come risultati delle sue ricerche: Protease de l'aspergillus niger,
Influence de l'oxygen sur la proteolyse en presence de Clorophorme e
Bactericidie charbonneuse. Decise di ritornare a studiare la chimica pura,
campo d'indagine scientifica che lo rese definitivamente famoso. I suoi studi
sulla chimica colloidale, arrivarono a dimostrare la natura elettrochimica
delle micelle, e riuscì a misurare con notevole precisione la conducibilità
elettrica dei colloidi. In campo pratico, mise a punto i cosiddetti
ultrafiltri, necessari per gli studi in campo teorico sui colloidi. Divenne
capo di un laboratorio chimico all'Istituto Pasteur. Gli studi si interruppero
durante la gran guerra. Al termine di essa, sposò Vera, una studentessa russa.
Subito dopo il grande conflitto ebbe inizio l'elaborazione della più nota
dottrina del chimico siracusano, ovvero la teoria delle “complessità
crescenti,” concetto alla luce del quale Malfitano non indagò solo le micelle,
ma l'esistenza in generale. Pubblicò Complexité et micelle, e Les composés
micellaires selon la notion de complexité croissant. Le conclusioni non vennero
accettate da subito, ma si dovette attendere l'esperimento del premio Nobel
Theodor Svedberg che dimostrò l'esattezza delle intuizioni di Malfitano. Elaborò
negli anni Venti una teoria che tentava di spiegare la materia, attraverso
l'esame dei diversi livelli atomici e molecolari che la caratterizzano
strutturalmente. La materia, secondo lo scienziato siracusano, è suddivisibile
in atomi, molecole, plurimolecole (polimeri e complessi) e micelle. In ognuna
delle classi citate si possono distinguere tre tipi di unità materiali:
ioniche, polari e ionopolari. L'analisi compiuta sulla materia venne
estesa in campo social-ogico da Malfitano. Tenta di ricondurre la complessità
socio-antropologica alla complessità atomica. I quattro ordini di “complesso” che
costituiscono il mondo sono dunque. Primo, il complesso materiale (suddiviso in
due sub-complessi – primo sub-complesso: “complesso atomico” e secondo
sub-complesso materiale: “complesso molecolare”), il complesso biologico (suddiviso
in primo sub-complesso biologico: complesso istologico e – secondo
sub-complesso biologico: complesso citologico). Terzo, il complesso sociale (l'essere
umano). Al culmine di un'ipotetica piramide il quarto complesso: il “complesso
ideologico” (suddivisi in tre complessi: il primo sub-complesso ideologico: ideazione;
il secondo sub-complesso ideologico: la conoscenza, il terzonsub-complesso
ideologico: la convinzione). L'ultimo passo della speculazione e il
concetto di geometria superiore, un'armonia equilibrata e simmetrica che domina
gli eventi e la materia, una variabile fondamentale e al tempo stesso fuggevole
dell'esistenza, un concetto che rappresenta la libertà. In ultima analisi, il
compito era dunque quello di comprendere le leggi dell'armonia ordinatrice del
cosmo e di preservarne la bellezza e l'equilibrio. Soleva spesso tornare
in Sicilia seppur per brevi periodi, dovette rinunciare a questa abitudine.
L'aggravarsi della sua malattia, una cecità che gradualmente lo privò della
vista, e le sue convinzioni anti-fasciste, non gli permisero di rivedere il
paese natale dalla fine degli anni Trenta. Morì inell'alloggio assegnatogli
dell'Istituto Pasteur dove aveva trascorso gran parte della sua vita. Pubblica le
sue convinzioni filosofiche servendosi dello pseudonimo "Aporema",
termine che indicava l'impossibilità di ottenere una risposta precisa dallo studio
di un problema. Introdusse per primo a Siracusa la moda di bere il latte acido,
quello che abitualmente viene chiamato yogurt, come era già frequente nella
capitale francese. Durante una tempesta patita in mare Carmelo Malfitano
aveva fatto voto a Santa Lucia, patrona siracusana, di sposare un'orfana se
fosse riuscito a tornare incolume sulla terraferma. Carmelo sposò per questo
motivo Santa Veneziano, orfana di
entrambi i genitori. Da tale unione nacque Giovanni. Ad Repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche Ad repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche122. Antonio Pensa, Ricordi di vita universitaria (Citato
nel testo Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e di Sanità nella terra di
Aretusa), Cisalpino Istituto Pasteur, su webext.pasteur.fr. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche124.
Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa,
Tyche126. Ad repellendam Pestem Storie
di Medici e Sanità, Tyche. Ad
repellendam Pestem. Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche,
Siracusa, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Malfitano is right about the ‘social
complexus’ – however, as Talcott Parsons has shown there is more complexity in
the social compexus than Malfitano, a Sicilian, allows!” -- Grice: the fourth
stadia: -- il complesso sociale -- Giovanni Malifitano. Malifitano. Keywords: i
quattro. Refs.: H. P. Grice, “Pirotology,” – “The pirotological ascent,” in
“From the banal to the bizarre: a method for philosophical psychology” -- emergentismo
di Grice – emergentismo di Malfitano – l’organicismo della diada in Malfitano
--. Il complesso di azione e il complesso di inter-azione, il complesso sociale
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malifitano” – The Swimming-Poo Library.
Grice e
Malipiero – il trionfo della ragione; ossia, confutazione del sistema del
contratto sociale – the breach of contract – or Romolo e Remo, I due
contrattanti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).
Filosofo italiano. Grice: “I love Malipiero’s approach to philosophy: hardly a
profession! As if someone were to be called ‘amateur cricketer’ – Malipiero
loves (‘ama’) philosophy and it shows!” – Grice: “There is philosophical wisdom
in any endevaour he finds himself in!” Grice: “One must love him for his
attempted ‘confutazione’ of Rousseau’s ‘sistema del contrato sociale’ as a
‘triumph of reason’!” -- Nacque da Angelo di Troilo e da Emilia Fracassetti.
Entrambi i genitori erano patrizi: il padre proveniva dalla storica casata dei
Malipiero (ramo "delle Procuratie Vecchie"), mentre la madre
apparteneva a una famiglia di mercanti bergamaschi nobilitata. Dichiarava di
abitare in un palazzo a Santa Maria Zobenigo (ereditato dal padre dopo
l'estinzione di un'altra linea della famiglia), cui si aggiungevano quattro
botteghe nei centralissimi quartieri di Rialto e San Moisè; altre cinque case
si trovavano tra Santa Margherita, San Gregorio e San Martino.Esordì in
politica con l'elezione a savio agli Ordini. Divenne provveditore alle Pompe,
ma non riuscì a prendere possesso della carica a causa della caduta della Repubblica.
A questo punto, lasciò la vita pubblica per dedicarsi alla filosofia analitica
del linguaggio ordinario. Fu un autore poliedrico, capace di spaziare
dall'attualità politica alla letteratura e alla tragedia di ambito neoclassico.
La prima opera pubblicata è il saggio di matematica “Dimostrazione sulla tri-plicazione
e tri-sezione dell'angolo effettuato colla retta e col cerchio.” Più tardi si
cimentò nella filosofia presentando l'opuscolo “Saggio sugli sforzi della
passione nell'intelletto e su' di lei effetti nel cuore,” in cui sostiene di
moderare il razionalismo perché nell'animo umano esso convivi in armonia con le
passioni. Questa idea, in contrasto con quanto
asserito da Rousseau, fu ribadita ne “La felicità della nazione realizzata dal
politico e dal sovrano,” uno dei suoi primi scritti in filosofia morale. In
questo lavoro Malipiero prese in esame la tendenza allo sfarzo di una parte
della società, analizzando come i governi avessero reagito al fenomeno in
epoche diverse. Nell'opera emerge la condanna al lusso sfrenato, ma anche
all'appiattimento estremo dettato da rivoluzionari e giacobini. Lo stesso pensiero moderato è ripreso nel “Trionfo
della ragione; ossia, confutazione del sistema del contratto sociale” -- ristampato,
senza grosse variazioni, come “Il trionfo della verità nella difesa dei diritti
del trono ossia Confutazione del contratto sociale.” Grice: “I find this
interesting, since I also oppose contractualism to rationalism!” -- Qui il
Malipiero cercò di dimostrare come la migliore forma di governo non fosse la
democrazia, ma la monarchia. La sua
linea anti-rivoluzionaria fu affermata anche quando si tenne distante dagli
organi della Municipalità istituita sul modello, o ‘sistema’ del contratto.
Accolse perciò con favore l'arrivo degli Austriaci, come dimostrano il ‘Testamento
della spirata libertà cisalpine” e l'annesso sonetto “Confronto fra il genio
della Romana Repubblica e quello dell'Austria.” Di grande importanza è quanto
emerge nella “Voce della verità,” una memoria autografa inviata al governatore
austriaco Mailath von Székhely all'indomani del suo insediamento a Venezia. Nell'opera,
divisa in capitoli dedicati ai problemi dell'amministrazione asburgica
(polizia, zecca, commercio, diritto ecc.), si chiede quale dovesse essere il
criterio di scelta per la nuova classe dirigente veneziana. Dimostrandosi critico
nei confronti degli ex funzionari della Repubblica di Venezia (ceto a cui lui
stesso apparteneva), nominati non in base ai meriti, ma per favoritismo,
auspicava di non concedere spazio a coloro che vivevano nel lusso, poiché
entravano in politica solo per il proprio tornaconto, e soprattutto verso i
trasformisti che cambiavano opinioni con l'avvicendarsi delle
amministrazioni. Con questo lavoro
anticipò le scelte del governo austriaco che, in effetti, estromise il
patriziato dalla vita politica e assegnando le cariche amministrative a
personalità lombarde o delle province ereditarie. Si dedicò, con un certo successo, anche alla
stesura di tragedie, a tema biblico, storico o mitologico, che potessero
presentare allo spettatore esempi da seguire o da evitare. Tra queste “Il
sacrifizio di Abramo,” “Camillo,” “Prometeo ossia La prodigiosa civilizzazione
delle genti,” “Medea.” Altre opere degne di nota sono “La bottega del caffè” “Quadro
critico morale, Lo scultore e la luce, azione mitologica in apoteosi del cav.
Canova,” Il conte Ugolino in fondo alla torre di Pisa. Sciolti, Atabiba ed
Huascar. Azione tragica di spettacolo; La Verità nello spirito dei tempi e nel
nuovo carattere di nostra età (sul congresso di Verona), Zanghira e Lemanza.
Quadro poetico nelle nozze Malipiero/Martinengo dalle Palle; Elogio di Giovanni II del mr. co. Martinengo
dalle Palle; Descrizione della Montagna ov'è la chiesa della Madonna della
Corona nelle alture di Montebello. Fu confermato nobile dell'Impero Austriaco,
assieme ai figli Angelo e Angela, nati dal matrimonio con Contarina diPisani. Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “I
would often rely on contractualism, but [Welsh philosopher G. R.] Grice made a
job out of it! I saw the cooperative principle as a matter of quasi-contract –
whatever that is. And if it’s a MYTH, what’s wrong with it? Romolo mythically
killed Remus because of a breach of contract, too!” Grice: “My thought exactly
replicates that of Malipiero back in the good old days of Venetian republic –
only there was more rhyme to reason in HIS scheme!” -- Troilo. Malipiero.
Keywords: il trionfo della ragione, ossia, confutazione del sistema del
contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malipiero” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Mamiani – Beltrami contro Euclide – filosofia italiana – Luigi Speranza (San
Secondo Parmense). Filosofo italiano. Grice: “I like Mamiani; unlike us at Oxford,
he takes ‘science’ seriously! But in an amusingly Italian way! He has explored
Newton on the apocalypse! My favourite of his treatises is the one on space
which reminds me of Strawson – Beltrami, unlike Strawson, is non-Euclideian,
and thinks Italian needs Euclideian verbs to match!” Linceo. Membro dell'Accademia dei Lincei ha
insegnato Storia del pensiero scientifico all'Parma, Udine e Ferrara. Si è occupato soprattutto di Isaac Newton,
del quale ha trascritto un trattato inedito sull'Apocalisse, di Cartesio e
dell'origine delle enciclopedie moderne.
Saggi: “J. M. Guyau Abbozzo di una morale senza obbligazione né
sanzione,” Firenze, Le Monnier, “Newton filosofo della natura” Le lezioni di
ottica e la genesi del metodo newtoniano, Firenze, La Nuova Italia, “Teorie
dello spazio” -- da Descartes a Newton, Milano, FrancoAngeli, “La mappa del sapere.” La classificazione
delle scienze nella Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, Angeli, “Il prisma di Newton,”
Roma, Laterza, Introduzione a Newton, Roma: Laterza, “Trattato
sull'Apocalisse,” Torino, Boringhieri, I. Newton, Firenze, Giunti, Storia della
scienza moderna, Roma, Laterza, Scienza e Sacra scrittura, Napoli, Vivarium. I. Newton, Trattato sull'Apocalisse,Torino,
Bollati Boringhieri, Scienza e teologia studi in memoria, Firenze, Olschki, Studi
sul pensiero scientifico Ricordando Mamiani, "I castelli di Yale", Il
Poligrafo, Padova 2 La Rivoluzione scientificaI domini della conoscenza: La
sintesi newtoniana in Storia della Scienza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Newton e l'Apocalisse. Grice: “Mamiani should have left Newton to
the Lincolnshiremen, and concentrate on Galileo!” Maurizio Mamiani. Mamiani.
Keywords: Beltrami contro Euclide. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mamiani” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mancini – kerygma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Schieti).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mancini: he has expanded on the ethos of cooperation – and he has explored what
he calls ‘linguaggio ontologico’ and ‘alienazione’ in connection with language
– he reviewed Pittau’s philosophy of language, and published a little thing on
‘language and salvation.’ So how can you NOT like him?” Grice: “I like Mancini; if I dwell on
philosophical eschatology, he dwells on the real thing!” Grice: “He has studied
Kant thoroughly; all the interesting bits, like his idea of MALEVOLENTIA!” “La filosofia è il passaggio dal senso al
significato, attraverso le mediazioni culturali, dottrinali, attraverso la
struttura del puro pensare e attraverso le mediazioni della prassi.” Studia a Fano
e si laurea a Milano dove insegna. Bo lo vuole ad Urbino. Studia i massimi
teologi, curato le opera di Barth, Bultmann e Bonhoeffer pubblicando, su
quest'ultimo, anche una biografia e un'analisi dottrinale. Ha fondato
l'Istituto superiore di scienze religiose di Urbino, unico esempio, per molti
anni, di "facoltà teologica" in una università laica. Tra i
filosofi, si è dedicato molto a Kant, pubblicando una Guida alla Critica della
ragion pura. In questo senso è ancora
più importante "Kant e la teologia” dove tratta la filosofia della religione kantiana,
fondata su una concezione morale rigorosa resa possibile dall'Imperativo
categorico, che prospetta una trascendenza per l'uomo, attraverso i postulati
dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio. Questa filosofia della
religione, in cui Kant mette in rapporto la “religione razionale” con la “religione
rivelata” (e che si contraddistingue per i concetti di “male radicale” e di “chiesa
invisibile”), è considerata feconda. Si è anche confrontato con Marx, allora
dominanti nella cultura filosofica e politica italiana. In Marx, tiene in
grande considerazione il concetto di “alienazione” -- presente soprattutto nei
Manoscritti filosofici. Questo concetto, che esprime l'estraneazione
dell'operaio in rapporto al lavoro salariato, a causa dei modi di produzione
capitalistici, capaci di sfruttare il lavoro come fosse una merce, deve essere
stimolo per la Dottrina Sociale della Chiesa. Ciò che Mancini critica in Marx è
l'ateismo e il materialismo, attraverso l'uso della dialettica hegeliana in una
prospettiva materialistica (materialismo storico). Questa concezione infatti
mette in discussione la libertà dell'uomo, inteso come persona, riducendolo
all'insieme dei suoi rapporti economici. Inoltre fa parte della redazione della
rivista Concilium. Fonda “Hermeneutica” ed edita da Morcelliana. La sua
posizione di pensiero verte su un cristianesimo di matrice liberale e
democratica d'impronta sociale, che cerca uno spazio autonomo e libero, dando
una risposta da credente alla cultura laicista e marxista di quegli anni sulle
orme del Concilio Vaticano II. Opere:“Ontologia fondamentale,” La Scuola,
Brescia “Rosmini” “la metafisica inedita, Argalìa, Urbino “Filosofi
esistenzialisti” Heidegger, Marcel, Wahl, Gilson, Lotze), Argalìa,
Urbino“Linguaggio e salvezza,” Vita e Pensiero, Milano “Filosofia della
religione,”Abete, Roma “Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia
utopia”Queriniana, Brescia “Kant e la teologia,”Cittadella, Assisi “Futuro
dell'uomo e spazio per l'invocazione”L'Astrogallo, Ancona “Con quale
comunismo?” Locusta, Vicenza, “Con quale cristianesimo” Coines, Roma,
“Novecento teologico”Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia” Queriniana,
Brescia “Fede e cultura”Genova, Marietti “Come continuare a credere” Rusconi, Milano “Negativismo giuridico” QuattroVenti,
Urbino “Guida alla Critica della ragion
pura” I, QuattroVenti, Urbino “ Lettera a un laureando” Urbino, Quattroventi “Il
pensiero negativo e la nuova destra”Mondadori, Milano “Il quinto evangelio come
violenza ermeneutica” in “Apocalisse e ragione”, testi di Carlo Bo e altri,
Urbino, Quattroventi “Hermeneutica”
“Filosofia della prassi,”Morcelliana, Brescia “Tre follie, Camunia, Milano “Guida
alla Critica della ragion pura”“L'Analitica” QuattroVenti, Urbino “Il male
radicale per Kant, in “La ragione e il male. Atti del terzo colloquio su
filosofia e religione”, Genova, Marietti 1 De profundis per la dialettica, in
“Metafisica e dialettica”, Genova, Tilgher Tornino i volti, Marietti, Genova Giustizia
per il creato, Urbino, Quattroventi, coll. "Il nuovo Leopardi"
L'Ethos dell'Occidente. Neoclassicismo etico, profezia cristiana, pensiero
critico moderno, Marietti, Genova Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso,
Marietti, Genova Opere postume Diritto e società. Studi e testi, Urbino,
Quattroventi Come leggere Maritain, Brescia, Morcelliana Ethos e cultura nella cooperazione di
credito, Piergiorgio Grassi, Urbino, Associazione per la ricerca religiosa “S.
Bernardino”, Quattroventi Bonhoeffer; Morcelliana,
Brescia Frammento su Dio, Brescia,
Morcelliana Per Aldo Moro. Al di là della politica, Carlo BoMario LuziItalo Mancini,
Urbino, Quattroventi Opere scelte. Brescia,
Morcelliana Mancini Giorgio Rognini, Metafisica e sofferenza. Un itinerario critic
(Verona, Mazzian); A. Milano, Rivelazione ed ermeneutica” (Urbino, Quattroventi
"Biblioteca di Hermeneutica" P. Grassi, Intervista sulla teologia (Urbino,
Quattroventi "Il nuovo Leopardi"; La filosofia politica” (Urbino,
Quattroventi, Francesco D'Agostino, Filosofo del diritto, Urbino, Quattroventi,
"Il nuovo Leopardi" G. Ripanti, P. Grassi, Kerigma e prassi, Brescia,
Morcelliana, Hermeneutica, Studi in memoria, Napoli, Scientifiche, G. Crinella.
Dalla teoresi classica alla modernità come problema, Roma, Studium, A. Areddu,
Cristianesimo e marxismo Una rilettura in memoriam, Pistoia, Petite Plaisance
tra filosofia e teologia, in "Riv. di teologiaAsprenas", I A. Pitta, G.
Ripanti P. Grassi (a cura), Filosofia, teologia, politica. A partire da Mancini,
Brescia, Morcelliana, Hermeneutica Mariangela Petricola, Pensare la differenza
-- la questione di Dio nell'epoca della disgregazione del senso. Una rilettura
in “Dialegesthai. Riv. telematica di filosofia", mondo domani.org/
dialegesthai/ mpe. M. Petricola, Pensare
Dio. Il cristianesimo differente, Assisi, Cittadella Editrice Antonio Ascione, Fedele a Dio e alla terra.
L'avventura intellettuale di Italo Mancini, Benevento, Passione Educativa Valeria Sala, Italo Mancini. Filosofo del
diritto, Torino, Giappichelli, "Recta Ratio"sapere, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Seminario in
memoriam, su pesaronotizie.com. Centro socio culturale "Don Italo
Mancini" presso il suo paese natale Schieti, su centroitalomancini. 15
gennaio 22 gennaio ). Pagina sul social
network Facebook, su facebook.com.
cronologica, su uniurb. L'Istituto di Scienze Religiose fondato da lui
su uniurb. Biblioteca personale "Ca' Fante", su uniurb. Rivista
"Hermeneutica" fondata da Italo Mancini, su uniurb. A. Aguti, Italo
Mancini, in Il pensiero filosofico-religioso italiano.org. Italo Mancini. Mancini.
Keywords: kerygma, “male radicale” “Kant” “radical evil” --. “cooperative di
credito” – “la massima della benevolenza conversazionale”, il problema del
vaticano – patti laternai, ventennio fascista e patti laterani --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Mancini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mangione – alcuni aspetti del nazionalismo culturale nella logica italiana –
logica matematica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bagnara
Calabra). Filosofo. Grice: “I like
Mangione; for various reasons: He notes that logic is more related to
mathematics – indeed, for logicism mathematics IS logic – so the opposite to
‘formal’ logic is ‘material’ logic, not ‘informal’ as Ryle and Strawson want –
Mangione has studied ‘categories’ and talks of ‘logica matematica’ – he has
studied Frege’s ideografia, as he aptly translates his grundscrift, and he
tried to improve on the ‘nationalism’ which was ubiquitous in logic in Italy in
the ‘primo novecento’!” Insegna a Milano. Diresse le due collane matematiche
della casa editrice Progresso tecnico editoriale di Milano, appendice della A. Martello
editore. Presso l'editore Boringhieri di Torino ha diretto “Testi e manuali
della scienza contemporanea. “Serie di logica matematica.” Contribuito alla Storia della filosofia
pubblicata da Geymonat per Garzanti con specifici contributi sulla storia della
logica matematica. Amplia e sistematizza tali contributi nella Storia della
logica. Da Boole ai nostri giorni”. Il saggio costituisce un ampio ed esaustivo
lavoro di ricognizione e sintesi sugli ambiti di ricerca e sui risultati della
logica. Dirige la collana Muzzio scienze.
Insieme a E. Ballo, S. Bozzi, G. Lolli e P. Pagli cura Gödel
(Boringhieri). Saggi: “Logica matematica” (Torino, Boringhieri); “Giocando con
l'infinito: matematica per tutti, traduzione di G. Giorello (Milano,
Feltrinelli); “Matematica e calcolatore, Le Scienze quaderni, Milano, “Filosofia:
saggi in onore di Geymonat, Milano, Garzanti “Storia della logica, CUEM “Storia della logica”“Da Boole ai nostri
giorni” (Garzanti); “Frege. Logica e aritmetica” -- Torino, Boringhieri. E.
Regny, «Breve storia di una lunga amicizia», Franco Prattico, «Pubblicate tutte
le opere di Godel» dalla Repubblica, articolo disponibile sul database SWIF
dell'Bari. 6.Peano(4), A.Nagy(5), (1) Delbcedp J ,
Logiqìie algorithmique. Revue Philosophique quindi idem. Liège et Bruxelles
Liard L., Les logiciens anglais contemporains {ISIS). Logique. Masson,
Paris. — Cours de philosophie. Logique CouTURAT L., La
logique mathémaiique de M, Peano, " Revue de Métaphysique et de
Morale „, a — La logique de Leibniz d'après dea documents inédits. Paris,
Alcan, 1901. L^ Algebre de la logique. Paris, Gautliiers-Villars,
ed. Peano G., Calcolo geometrico secondo VAusdehnungs- léhre di H,
Grassmann, preceduto dalle operazioni della logica deduttiva, Torino Arithmetices
principia, nova methodo exposita — I principi di geometria logicamente
esposti Torino, Bocca. Elementi di
calcolo geometrico Principi di logica matematica. R. d. M., t. I. Formule
di logica matematica. R. d. M., t. I. Sul concetto di numero. R. d. M., t.
I. Sui fondamenti della geometria R. d. M., Saggio di calcolo geometrico
Studi di logica matematica Les définitions matJtématiques Formulaire
mathématique. Nagy a., Fondamenti del calcolo logico. Giornale di
matematica. Napoli Sulla rappresentazione grafica delle quantità logiche.
Rend. R. Accademia dei Lincei. Lo stato attuale ed i progressi della logica.
Rivista italiana di filosofia. C. Burali-Forti, G. Vacca, G.
Vailati, A. Padoa, M. Pieri, F. Castellano, C. Ciamberlini,
Giudice, Nagy a., Principi di logica esposti secondo le
dottrine mo- derne. Torino, Loescher I teoremi funzionali nel calcolo
logico, Riv. di Mat., Ueher Beziehungen zwischen logischen Ordssen.
Mo- natshefte fur Mathematik. Wien, La logica tnatematica e il calcolo
logico. Riv. Itai. di Filos. Roma, I primi dati della logica. Id. Roma,
Ueber das Jevons-Cliffordsche Problem. Monatshefbe far Mathematik. Wien,
t. Sulla definizione e il compito della logica. Roma, Balbi Alcuni
teoremi intorno alle funzioni logiche. Riv. di Mat., BuaAn-FoKTi C,
Logica matetnatica. Milano Exercice de traduction en symholes de Logique
Mathématique. Bulletin de Mathématiques élémentaires Sui simboli di logica
matematica. Il Pitagora, Padda A., Note di logica matematica. Riv. di Mat., t.
6, Conférences sur la Logique Mathématique. Université non velie de
Bruxelles Essai d'une théorie algébrique des nombres entiers, précède
d'une introduction logique à une théorie déductive quelconque. Congresso
internaz. di filosofia. Parigi, Vailati G., Un teorema di logica matematica.
Riv. di Mat., t. Sul carattere del contributo apportato dal Leibniz
allo sviluppo della logica formale. Rivista filos. e scienze affini.
Maggio-Vacca G. Sui precursori della logica matematica. Riv. di Mat.,
Bettazzi, M. Chini, T. Boggio, A. Ramorino, M. Nassò, ecc. in
Italia. Tutti questi ultimi A. appartengono alla scuola del Peano,
al quale si deve la prima introduzione della Logica matematica in Italia con Peano,
esposti lucidamente gli studi dello Schrodbr, del BooLE, ecc., dimostra
l'identità del calcolo sulle classi, fatto da questi autori, col calcolo
sulle proposizioni di Peirce, del Me Coll, ecc. L'opera de\VS9
{Arithmetices principia contiene per la prima volta la teoria dei numeri
interi completamente ridotta in formòle facendo ricorso ad un
limitatissimo numero di idee logiche che espresse coi simboli: €,
D, = n, u, --, A. Di qui trasse origine la sua ideografia, in cui
ogni idea è rappresentata con un segno, e il suo strumento
analitico andò perfezionandosi rapidamente. Formulaire de
Mathémathiques; Introduction^ quindi la pubbli- cazione completata, con
nuove formule ed arriccbita di numerose indicazioni storiche per la
collaborazione di valenti seguaci, procedette alacremente, raccogliendo
e trattando completamente in simboli tutte le proposizioni della
matematica. L'importanza filosofica di questo mo- vimento scientifico non
è ancora stata apprezzata conve- nientemente dai filosofi, e l'opera del
Peano comincia solo ora a richiamare sopra di se l'attenzione degli
inse- gnanti di logica pura. Questo ritardo filosofico è
tanto più strano quanto più chiara è la filiazione filosofica di questa
ideografia. Il Peano stesso non cessò mai di far notare che essa
" è basata su teoremi di Logica, scoperti successivamente da Leibniz
fino ai giorni nostri „. È noto infatti che l'ideografia completa o
pasigrafia fu intravista da Leibniz, col nome di Characteristica.
Ma se, con definizioni opportune, si potè ridurre le Pastore,
Logica formale. Meriti dell' analitica
moderna, Da questo rapido cenno dello sviluppo storico dei
postulati del càlcolo logico e degli autori che più hanno
contribuito al progresso della logica pura e sim- bolica in largo senso
della parola (simboli lette- rali, aritmetici, algebrici, geometrici,
ideografici, ideofisici e via dicendo), e pure in mezzo alle di-
vergenze profonde e attraverso i vari modi onde le forme logiche si
manifestano e a quelli onde vengono interpretate, è possibile scorgere il
filo conduttore. Le dottrine più recenti sopratutto, parte
cri- ticando i metodi e i principi sui quali le antiche erano
costruite, parte proponendo metodi di di- mostrazione più atti
all'indagine logica, parte svolgendo fuori dalla stessa analitica germi
di idee nuove che vi rimanevano prima come oscu- rati ed occulti,
sono come una successione in- calzante di fiotti vitali che, scaturendo
dalle vette del pensiero, sono penetrati nell'organismo della
logica formale alimentandolo e sospingen- idee di logica che si
incontrano in molte parti della ma- tematica ad un numero sempre più
piccolo di idee pri- mitive, attualmente ancora si desidera una
riduzione analoga di tutte le idee di logica che si incontrano
nella logica pura. Questa riduzione presenta invero
seriissime difficoltà, ed e più facile il riconoscere quante e quali
siano le idee primitive in Aritmetica e in Geometria, che in Logica „
(Peano). In questo saggio, continuando le ricerche cominciate
nel precedente, che mi converrà di supporre conosciuto al lettore, tento
di portare un contributo alla soluzione del problema suddetto. Corrado
Mangione. Mangione. Keyword: “logica matematica” “divertente”, “Sidney Harris”
Peano, “not” “no” “and” “e” “or” “o” “if” “si” “some (at least one)” “all”
“the” “il” , Mangione, simbolistica, logica simbolica, logica formale, logica
materiale, semantica, semantica per un sistema di deduzione naturale, SYMBOLO,
whoof and proof, w’f ‘n’ proof. -- -. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e la proclama di Mangione: logica matematica, la logica
matematica deve essere divertente!” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Manfredi – liber de homine – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna).
Filosofo. Grice: “I like the “liber de homine.” It reminds me that among my
unpublications there’s a ‘Why’!” Grice: “While the Italians aptly use the same
particle for ‘why’ and ‘for’, the Anglo-Saxons didn’t! That must be because
‘for’ is usually otiose: “Why are you eating.” “For I am hungry, say I!” cf. “I
am hungry.” – Studia a Bologna e Ferrara. Entra in contatto con circoli
umanistici. Insegna a Bologna. Riceveva un compenso superiore alla media ed è
il docente più citato nei Libri partitorum. Esercita l'astrologia ee attaccato
da Pico (“Disputazione contro l’astrologia divinatrice””). La sua opera “Il Perché” fu un successo per
secoli. Altre saggi: “Tractato de la
pestilentia,” Bologna, Johann Schriber, “Pro-gnosticon” (Bologna, Bazaliero Bazalieri)
“Liber de homine,” Impressum Bononiae, Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo
Manfredi. Keyword: divination. Those clouds mean rain – Those clouds mean
death. --. Grice: “The present budget means that we will have a bad year –
Prognosticon. “The present budget means we’ll have a hard year, but we shan’t
have.” – x means that p entails p. Pico approaches Manfredi, “You said that the
budget for 1490 meant that we would have a hard year, but we didn’t!” – Girolamo Manfredi. Manfredi.
Keywords: liber de homine, la tradizione pseudo-peripatetici dei problemi – il
problema – la questione di ‘per che’ – Grice sulle tipi di domanda – la domanda
dei bambini – la domanda di Grice a bambini, “Can a sweater be red and green
all over? No stripes allowed? – The philosopher’s question – ‘why is there
something rather than nothing? Why I am me and not you? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manfredi:
l’implicatura divinatrice” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Manicone – la filosofia del gargano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vico
del Gargano). Filosofo italiano. Una
delle personalità più caratteristiche del suo tempo della Capitanata. Definito
il “monacello rivoluzionario” a causa della sua bassa statura, che
sembrerebbe di 1,40 m, la sua indole illuministica consiste in una sete di
sapere che non si placa con il dogmatismo, ma con l'esperienza diretta, lo
studio approfondito dei fenomeni naturali e della scienza, un'osservazione
empirica che poteva fornire una risposta valida e concreta alle varie
problematiche e quindi un aiuto pratico all'uomo, al suo benessere e sviluppo,
alla sua felicità. Ciò gli costò l'inimicizia di chi, seppur in pieno
illuminismo, diffidava e demonizzava la scienza. Lo sviluppo
economico-sociale che teorizza Manicone consiste in uno sviluppo connesso e,
per certi versi, dipendente dall'ambiente, perché egli riteneva che la natura
fosse una fonte primaria di ricchezza e la sua distruzione avrebbe potuto
segnare la fine dello sviluppo. Manicone può essere considerato un profeta
dello sviluppo sostenibile, perché in pieno Settecento, quando le industrie
erano inesistenti, ebbe un'ampiezza di vedute che gli consentì di prevedere le
conseguenze disastrose che avrebbe portato l'uso improprio e scriteriato delle
risorse naturali. Le opere in cui Manicone tratta, tra gli altri, il tema
dello sviluppo sostenibile, sono La Fisica Appula (cioè dell'Apulia) e La
Fisica Daunica (cioè della Daunia, antico nome della Capitanata). Secondo il
“monacello”, uno dei peggiori atti compiuti dall'uomo del suo tempo era la
cesinazione selvaggia dei boschi garganici, un tempo rigogliosi, come anche
attesto da Orazio nelle Epistole: «Garganum mugire putes nemus». Riferisce
che il disboscamento del promontorio iniziò nel 1764, con il taglio “barbaro”
dei pini nel territorio “Difesa” di Vico del Gargano e la cesinazione degli
ischi ad Ischitella, talmente “furiosa” che, ad inizio Ottocento, l'Abate
Longano denunciò la carenza di legna da ardere per gli ischitellani. La
causa di questo disboscamento fu la volontà di destinare i suoli a coltura,
anche quelli non adatti a questo scopo e più utili al pascolo e alla produzione
di legname, vista la “rocciosità” della terra sul promontorio del
Gargano. Manicone spiega anche la diminuzione della fauna selvatica nel
Gargano, sempre dovuta alla cesinazione, che diminuiva i nascondigli per gli
animali selvatici, e li rendeva più vulnerabili. Ne “La Fisica Appula”,
il frate dedica un intero libro al Mefitismo (insalubrità dell'aria) e alle
cause che lo generano. Egli sostiene che l'inquinamento può avere cause
naturali o accidentali (provocate dall'uomo), può essere anche indigeno
(proprio della zona) o esotico (derivante da altre zone). Secondo il Manicone
le principali cause accidentali del mefitismo erano: 1. Le condizioni
igieniche precarie delle strade e delle abitazioni; 2. L'insana abitudine di
depositare gli escrementi nelle strade; 3. La sepoltura dei centro abitato (consuetudine abolita con
l'Editto di Saint-Cloud, ma anticipata nel 1792 a Vico del Gargano da Pietro de
Finis, che fece costruire il cimitero monumentale di San Pietro); 4. Il taglio
dei boschi (invece gli alberi sono importanti perché emettono ossigeno e
assorbono anidride carbonica). Lo studio del frate sul territorio garganico fu
talmente minuzioso da fargli notare un mutamento climatico dalla metà del
Settecento all'Ottocento; in alcune zone del Gargano, ci furono sbalzi di
temperatura che provocarono un sensibile calo di precipitazioni nevose e
mitigarono parecchio gli inverni. Secondo il Manicone, la causa è attribuibile
al disboscamento. Il taglio delle foreste avrebbe consentito al sole di
riscaldare prima e maggiormente i suoli e soprattutto non avrebbe bloccato i
venti provenienti da Nord e da Sud, quindi le zone meridionali rispetto alle
alture garganiche si sarebbero raffreddate a causa dell'arrivo della Tramontana
da Nord, mentre nel Gargano settentrionale sarebbero arrivati maggiormente i
venti caldi del Sud. Un rimboschimento avrebbe reso più fertili le terre
coltivabili, ma Manicone stesso, dopo aver dato questo suggerimento, esprime la
consapevolezza di “aver cantato ai sordi”. Viaggiò molto per l'Europa,
studiando Medicina a Vienna e a Berlino, Scienze Fisiche a Londra e Scienze
Naturali a Bruxelles. È noto soprattutto per il suo trattato, La Fisica
Appula. in cui analizza le caratteristiche fisiche delle terre di Puglia e
soprattutto del Gargano. Al Manicone è intitolato il Centro Studi e
Documentazione del Parco Nazionale del Gargano sito presso il Convento di San
Matteo a San Marco in Lamis. Descrizione di Vico Del Gargano nella Fisica
daunica Al tempo di Manicone la popolazione vichese era di 6131 abitanti, circa
lo stesso numero di residenti effettivi attuali. L'area abitata era più
ristretta e consisteva nel nucleo originario (Casale, Civita e Terra) e i
quartieri nuovi di San Marco, Carmine, la Misericordia e Fuoriporta. L'incuria
delle istituzioni si manifestava nella scarsa attenzione verso l'igiene delle
acque del Casale (quartiere affollatissimo), originariamente buone e dolci ma
inquinate dall'incuria generale; anche le strade strette e ombrose della Civita
erano soggette ad abbandono e perennemente sporche. Soltanto i quartieri nuovi
erano larghi, puliti e soleggiati. Le Istituzioni mancavano anche laddove
era necessario rendere più agevole il lavoro dei contadini e dei pastori
vichesi, costruendo strade per diminuire gli ostacoli a cui erano sottoposti
quotidianamente questi uomini quando si recavano nelle loro campagne, poste
spesso in profonde valli o zone impervie. La popolazione vichese era
laboriosa e onesta e non c'erano grandi disuguaglianze economiche, tuttavia
Manicone descrive i suoi compaesani come barbari e incivili, infatti non hanno
riguardo per l'ambiente, ad esempio i pastori lasciano distruggere dalle loro
bestie le pianticelle fruttifere e le vigne, sono dediti all'alcol e spesso ciò
li porta a risse feroci. Le donne sono laboriose come gli uomini e sempre
gentili, il frate però critica fortemente l'usanza vichese, e delle donne dei
paesi del Sud in generale, di urlare e strepitare ai funerali, di portare il
lutto a vita e di vestire sfarzosamente i defunti; il primo comportamento
denota la selvatichezza della popolazione, il secondo uso può essere
anti-economico e negativo per la società e il terzo è uno spreco di denaro,
dato in pasto ai vermi. Un difetto presente in tutte le abitazioni
vichesi dell'epoca era il forno in casa, che poteva provocare incendi domestici
e inquinare l'aria interna. A Vico
molti boschi furono tagliati per lasciare spazio ai campi di grano, ma ciò fu
improduttivo economicamente e causò lo smottamento dei terreni in pendenza, non
più trattenuti dalle radici delle piante. Nella raccolta dell'ulivo, i vichesi
distruggevano gli alberi, picchiando forte con i bastoni per far cadere le
olive; questa errata abitudine provocava la mutilazione della pianta e una
maggiore esposizione al freddo, e conseguentemente minori raccolti per gli anni
successivi. Per Manicone, il mancato sviluppo del Gargano era da imputare
anche alla pigrizia e indolenza dei suoi abitanti, che non erano capaci di
valorizzare i loro prodotti (olive, agrumi, vino, fichi, etc.) e talvolta
acquistavano prodotti meno pregiati e ad alto prezzo da altre regioni. Al
fine di comprendere come le istituzioni del tempo fossero distanti dalle reali
necessità della popolazione, è interessante la situazione che riguardò l'uso
delle acque di Canneto, infatti veniva impedito ai vichesi (anche con la forza)
di utilizzare l'acqua per l'irrigazione dei campi, perché avrebbero disturbato
l'attività di un mulino sito nel territorio di Rodi Garganico. Il giudice diede
ragione ai rodiani ma, per fortuna, questa sentenza ingiusta e ingiustificata
fu annullata dalla Regia Camera. Dalla lettura di alcune pagine delle
opere di Manicone è emerso che, pur cambiando i tempi, gli usi, le risorse a
disposizione, le conoscenze e le attività, l'uomo garganico (e non solo) viveva
e produceva nell'ottica del profitto immediato, sottovalutando gli effetti che
avrebbero potuto causare i suoi comportamenti errati nella vita della futura
comunità. Opere di Michelangelo Manicone contesto – il contesto del
contesto. "Philosophers often say that context is very
important." "Let us
take this remark seriously.’ "Surely,
if we do, we shall want to consider this remark in its relation to this or that
problem, i. e., in context, but also in itself, i. e., out of
context.” H. P. Grice, "The
general theory of context." Michelangelo Manicone. Manicone. Keywords: la
filosofia del gargano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manicone” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Manilio – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Marco Manilio. Porch. Astronmer and
poet. He wrote a long poem on astronomical matters, part of which survives. He
took and extreme position on the subject of fate, believing that not even
thoughts were exempt from its influence.
Grice e
Mannelli – gl’eroi di Virgilio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Grimaldi).
Filosofo italiano. Grice: “Like me,
Mannelli loved Kant, Goethe, Schiller, Virgilio – and he has his own
‘palazzo’!” -- Fequenta il ginnasio a Cosenza. Si trasferì con la famiglia
prima ad Aosta, dove terminò gli studi liceali, e poi a Roma. S’interessa sempre
più al mondo politico e dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti,
ritorna a Cosenza e venne eletto Consigliere
Provinciale. Proprio in qualità di
membro del consiglio provinciale, si adoperò in prima persona per arricchire e
promuovere l'ampliamento della Biblioteca Provinciale di Cosenza Si dedicò in tempi e con modi diversi
all'attività di approfondimento e divulgazione. Firmò una versione metrica della
Xenia di Goethe (Roma, Paravia. Fu tra
i maggiori contributori della più importante rivista di arti e lettere della
regione, la Calabria Letteraria. Presidente dell'Accademia Cosentina,
l'istituzione accademica calabrese che vanta un'esistenza plurisecolare e che
nel XVI secolo ebbe come presidente Telesio.
Opere: “Inaugurandosi il monumento al caduti grimaldesi: scultura di Cambellotti,
Reggio Calabria, Editore Il Giornale di Calabria, Paravia, Le storiche Terme
Luigiane: passato-presente-futuro, Cosenza, Cronaca di Calabria, L'Accademia
Cosentina nella sua storia secolare e nell'oggi, Cosenza, Tip. Vincenzo
Serafino. Biografia in Calabriaonline.com
M. Chiodo, L'Accademia cosentina e la sua biblioteca. Società e cultura
in Calabria. Xenia Edizione Paravia. nna
Vincenza Aversa, Dopoguerra calabrese: cultura e stampa, Editore Pellegrini,
Catanzaro, Accademia Cosentina
Biblioteca Civica di Cosenza Goethe
Poesia "Mamma" da "Come le nuvole” su Grimaldi Grimaldesi da ricordare, su digilander.libero.
Filippo Amantea Mannelli. Mannelli. Keywords: gl’eroi di Virgilio, gl’eroe di
Virgilio, l’eroe stoico, Acri, Enea come eroe stoico, gl’eroi di Vico. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Mannelli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mantovani – i curiazi – percorsi di comunicazione – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Moncalieri). Filosofo italiano. Insegna a Roma. Membro della
Società Tommaso D’Aquino. Gli ambiti delle sue ricerche spaziano sulla
Filosofia della Storia, l'Ontologia, la Teologia filosofica, e loro rapporti
con la scienza. Ha compiuto studi sulla storia del tomismo (cf. griceianismo). È
uno dei maggiori studiosi e conoscitori del realismo dinamico e di Demaria.
Opere: “Fede e ragione: opposizione, composizione?” Scaria Thuruthiyil, Mario
Toso, Roma, LAS, “Quale globalizzazione?: l'uomo planetario alle soglie della
mondialità,” Scaria Thuruthiyil, Roma, LAS, “Eleos: l'affanno della ragione: fra
compassione e misericordia,” Roma, LAS, “Sulle vie del tempo: un confronto
filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, LAS, “Paolo VI: fede, cultura, università,”
“An Deus sit (Summa Theologiae). Fede, cultura
e scienza, Città del Vaticano, Libreria Vaticana, Didatttica delle scienze: temi,
esperienze, prospettive,” Vaticano: Libreria editrice vaticana, “La discussione
sull’esistenza di Dio nei teologi domenicani” “Oltre la crisi: prospettive per
un nuovo modello di sviluppo: il contributo del pensiero realistico
dinamico Demaria. Roma, LAS,,”Momenti
del logos: ricerche del "progetto LERS" (logos, episteme, ratio,
scientia): Roma, Nuova cultura, “Per una
finanza responsabile e solidale: problemi e prospettive, Roma, LAS, “Una
ricognizione sulla Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino” in Un pensiero per
abitare la frontiera: sulle tracce dell’ontologia trinitaria di Hemmerlie, Roma
Incisa Valdarno, Città Nuova Istituto
universitario Sophia, Lorenzo Cretti, La
quarta navigazione: realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione
Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa, Verona, Francisco de Vitoria, Sul
matrimonio, Roma, Scritti teologici inediti. Demaria; Roma,Editrice LAS. Pontifical
University of Saint Thomas Aquinas, su Angelicum. su avepro. glauco. L’Università
Salesiana, un servizio per l’educazione e la comunicazione La Stampa Autorità
accademiche «Il nostro impegno per la “civiltà dell’amore”. Come vuole don
Bosco» La Stampa, su lastampa, CRUIPRO Conferenza
Rettori delle Università e Istituzioni Pontificie Romane, su cruipro.net. redazione, Nuovi accordi di co-operazione
interuniversitaria, su FarodiRoma, Pontificia Accademia di Aquino, su
cultura.va. Direttorio, su S.I.T.A.. PREMI MEDITERRANEO, su Fondazione
mediterraneo. org. Mantovani, “Vita tua, vita mea”: l'insegnamento di Demaria è
più che mai attuale. Fondazione Adriano Olivetti. Mauro Mantovani. Mantovani. Keywords:
i curiazi, percorsi di comunicazione, Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mantovani” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marassi – gl’eroi di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cardano
al Campo). Filosofo italiano. Grice: “I like Marassi; he has written a
‘natural’ history of ‘man’ – which is interesting, ‘progetto uomo,’ he calls
it!” -- Grice: “I like Marassi; he has explored hermeneutics in the German
tradition, Schleimacher to be more specific; but has also written an essay on
Heidegger; his links with me come with his idea of metaphysics and
transcendental arguments which he takes from Kant, who he reads in both German and
Italian, unlike I, or me.” – Grice: “He has written an introduction to a
comparative study of the approaches to ‘the antique’ in both Italian and German
philosophy – a fascinating topic. I suppose the Oxonian approach, indeed Cliftonian,
is a mixture of both!” Allievo di Melchiorre, si laurea a Milano con la tesi “La differenza ontologica
in Heidegger, sotto la direzione di Melchiorre e con la co-relazione di Bontadini.
Ha discusso “Il profilo della presenza: Heidegger e il regno della pluralità”
con Melchiorre e Grassi. Insegna filosofia a Milano. Ha coordinato l'edizione
dell'Enciclopedia filosofica (Bompiani, Milano). Direttore del Dipartimento di Filosofia a
Milano. Dirige la Rivista di filosofia neo-scolastica. Dirige per la casa editrice AlboVersorio la
collana Epoche ed è membro del comitato del festival La Festa della
Filosofia. Si occupa di storia
dell'umanesimo (Bruni, Alberti, Vico), della scolastica, di ermeneutica (Grassi),
di filosofia trascendentale, del pensiero postmoderno. I temi della sua ricerca
ruotano attorno a tre temi principali: la riflessione sui modelli
storico-teorici della filosofia della storia, l'interpretazione dell'umanesimo
italiano (Alberti, Bruni, Vico) in riferimento alla dimensione storica e
morale, l'analisi della fondazione trascendentale del sapere. Saggi: “Ermeneutica
della differenza in Heidegger, Vita e Pensiero, Milano, Schleiermacher, “Ermeneutica,”
Rusconi, Milano, Bompiani, Milano; Kant, “Critica del giudizio,” Bompiani,
Milano, Metafisica e metodo trascendentale,”
Lotz, “La struttura dell'esperienza, Vita e Pensiero, Milano; “Metamorfosi della storia. Momus e Alberti,” Mimesis,
Milano/ Coordinamento generale e direzione redazionale della Enciclopedia filosofica,
Bompiani, Milano. docenti.unicatt. Marassi. Massimo Marassi. Marassi. Keywords:
gl’eroi di Vico, Alberti, Bruni, Vico, metamorfosi della storia – Alberti,
Momus, il concetto d’eroe in Vico, l’uomo come eroe – l’eroico, l’altruismo
eroico, la nudita eroica – la nudita eroica nella representazione
degl’imperatori romani, la nudita eroica in Giulio Cesare, la nudita eroica
dell’atleta – la postura eroica dell’eroe in nudita eroica – napoleone in
nudita eroica – Mussolini in nudita eroica, la statua equestre di Mussolini, la
nudita eroica del stadio dei marmori, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Marassi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Marcello – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Marcus Claudius Marcellus. He was a pupil of
Cratippo. He had a career in public life and was one of those who opposed to
Giulio Cesare. Cesare pardoned him but he was murdered.
Grice e Marcello – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Marco Claudio Marcello. He was the nephew of Ottaviano, and
until his death, his chosen heir. He was a pupil of Nestor.
Grice e Marcello – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Tullio Marcello. Wrote about logic, including a book
on syllogisms.
Grice e
Marchesini – l’educazione del soldato – l’implicatura del capitano – e l’amore
sessuale alla societa eugenica –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Noventa Vicentina). Filosofo
italiano. Grice: “Cassatta has unearthed some opinions by Marchesini which are
revolutionary!” Esponente del positivismo.
Alievo di Ardigò, insegna filosofia a Padova. Direttore della Rivista di
Filosofia.Diresse, anche, un Dizionario delle scienze pedagogiche, edito dalla
Società Editrice Libraria di Milano. Tradusse, inoltre, un testo di Locke
Pensieri, edito da Sansoni. Opere: “La vita,” – Grie: “Sounds promising: a
treatise on life! Cf. my ‘Philosophy of Life’”). Montagnana, Tip. di A. Spighi,
“Saggio sulla naturale unità del pensiero,” Firenze, Sansoni, “Elementi di Psicologia
tratti dalle opere filosofiche di Ardigò,” Firenze, Sansoni, “ Elementi di
logica” -- secondo le opere di R. Ardigò, St. Mill, A. Bain ecc., prefazione di
Ardigò, Firenze, Sansoni,” Grice: “A fascinating little book: it reminded me of
Strawson’s Introduction to Logical Theory! Only Strawson would rather die than
axe me to foreword it!” –[ whereas Marchesini commissioned his tutor to drop a
word “or two””].—Grice: “Marchesini shouldn’t be so reverential towards
Ardigo.” Grice: “I count Marchesini’s oeuvre as being by Marchesini; if I want
to read Ardigo, I read Ardigo!” – “Elementi di morale, ad uso anche dei licei,
secondo le opere degli scienziati moderni, prefazione di Ardigò, Firenze,
Sansoni, “Il positivismo e il problema filosofico, Torino, F.lli Bocca, “Le
amicizie di collegio” – Grice: “I should note that Marchesini uses ‘amecizia’
in quotes! So it doesn’t really apply to my Clifton days!” -- (con prefazione di E. Morselli e in
collaborazione con Obici), Roma, Società Ed. "Dante Alighieri ", “Elementi
di pedagogia: Con un'appendice di cento scelte citazioni, Firenze, Sansoni, Doveri
e diritti: ad uso delle scuole tecniche e complementari, Milano-Palermo, R.
Sandron, “La teoria dell'utile,” principi etici fondamentali e applicazioni, Milano-Palermo,
R. Sandron, “ Il Simbolismo nella conoscenza e nella morale, Torino, Fratelli
Bocca Editori, “ Il dominio dello spirito, ossia Il problema della personalità
e il diritto all'orgoglio, Torino, F.lli Bocca, Pedagogia, Torino, Paravia, Il
principio della indissolubilità del matrimonio e il divorzio, Pakdova-Verona,
Fratelli Drucker, “Elementi di logica,” ed. interamente rifusa, -- Grice: “This
makes me laugh! It’s like saying: my previous, Ardigo-based stuff, was
nonsense!” -- Firenze, Sansoni, Disegno storico delle dottrine pedagogiche,
Roma, Athenaeum, “La dottrina positiva delle idealità,” Roma, Athenaeum, “L'educazione
morale, Milano, F. Vallardi, “I problemi fondamentali della educazione,”
Torino, Paravia, “I problemi dell'Emilio” di G. G. Rousseau, Firenze, R.
Bemporad e Figlio, “La finzione dell'educazione o la pedagogia del Come se,”
Torino, Paravia, “L'educazione del soldato, con 50 problemi per esercitazioni,”
Firenze, Ed. La Voce, “Il problema della scienza nella storia delle scienze:
per i licei scientifici, Milano, Signorelli, “Dizionario delle scienze
pedagogiche: opera di consultazione pratica con un indice sistematico,
direttore Marchesini, collaboratori: Antonio Aliotta, Giuseppe Aliprandi e
altri, Milano, Soc. Edit. Libraria, Vedi Treccani L'Enciclopedia Italiana. Ultima
ristampa: Firenze, Sansoni, 1968.
Mariantonella, Marchesini e la «Rivista di filosofia e scienze affini».
La crisi del positivismo italiano, Collana di filosofia, Franco Angeli, Treccani
L'Enciclopedia Italiana. A proposito dei sofismi di parole ricorderemo ancora
quel capitano che avendo conchiuso
col nemico una tregua di dieci giorni, si credette lecito attaccarlo di
notte. E ricorderemo i seguenti sofismi di Eutidemo: Qualcuno che si
trova in Sicilia e vede in questo momento, col pensiero, il porto
d’Atene, vede egli le due triremi che vi si trovano? E se non vede
le dne triremi, come può egli vedere il porto d'Atene? Quelli che
imparano sono essi sapienti o ignoranti? Se sono gli igno- ranti che
imparano, devono apprendere ciò che non sanno; ma come si può imparare
quando non si sa neppure ciò che si devo imparare? E se Clinia risponde
che sono i sapienti che imparano, la difficoltà resta la medesima: come
possono i sapienti imparare dal momento che sanno? — Chi Ba qualche cosa
possiede il sa- pere, eli’ 6 tutto: dunque chi sa qualche cosa sa
tutto. Origine ed evoluzione del linguaggio. La questione del linguaggio è
ancora un po’ oscura, ma fra le ipotesi cbe su tale questione si
proposero, si può stabilire quale è la più legittima. Si esclude
innanzi tutto l ipotesi che il linguaggio sia stato inventato da un uomo più
intelligente, e adottato dagli altri in virtù d’nna convenzione -- ipotesi
attribuita a Democrito. Si esclude altresi che il linguaggio sia
stato l’opera di una rivelazione, o di un miracolo. Due filologi
contemporanei, Renan e Muller, attribuirono l’origine del linguaggio a una
specie d’istinto. Nell’umanità primitiva ogni idea avrebbe suggerito
per sé stessa una parola, e la medesima parola a tutti gli spiriti. Questo
istinto, col tempo, si sarebbe atrofizzato. A proposito di questa ipotesi
si osserva ch’essa non spiega nulla, essendo questo istinto per sé
medesimo inesplicabile, ed esscudo esso stesso, per cosi dire, un miracolo. È
strano infatti che quei 400 o 500 tipi fonetici, a cui il Muller
riduce le parole delle varie lingue, aspettino, a manifestarsi, le idee
rispettive. Il linguaggio, dice Humboldt, è il prodotto necessario dello
svolgimento dello spirito umano. E sta bene. Ma questo svolgimento
non è spiegato dall’istinto di Réuan o Muller, mentre importa appunto
stabilire come il linguaggio si produca. Whitney, nella “Vita
del linguaggio”, dice che l’origine del linguaggio è dovuta al
concorso di tre cause, che s’ incontrano nella specie umana: 1° la
facoltà di emettere un’infinità di suoni e di riprodurli a volontà; 2°: il
desiderio, determinato da un bisogno di socialità superiore, di
comunicare le idee per mezzo di segni; 3: la facoltà di generalizzare, di
giudicare, di concepire dei concetti e di percepirne i rapporti. E queste sono
infatti le condizioni del sorgere e svilupparsi del linguaggio, ma come
effettivamente il linguaggio sia sorto e si sia sviluppato, Whitney non
dicono. Si paragonò l’origine del linguaggio nelle razze all’origine del
linguaggio nel bambino. Il bambino, per attività puramente riflessa, emette un
grido che manifesta in lui un dolore, un bisogno. Al grido accorre la
nutrice, e accorre ogni volta che il grido si ripete. Cosi, si va fissando
un’ associazione mentale tral’atto dell’ emettere il grido e il successivo
accorrere della nutrice, onde, a chiamar questa, finuli j^ uXr ri-
peterà, ma coscientemente, intenzionalmente, il'^-WyoHl il grido assume
un significato. Più tardi, altri suoni esprimeranno il pensiero del
bambino, come quando il bambino indica gl’oggetti imitandone in qualche
modo l’impressione sensibile che ne riceve. Dice ad esempio “Jcolcò”
per indicare il pollo; “mìàou” per indicare il gatto. Il bambino produce un
dato sensibile, nel nostro caso uditivo, a cui si associeranno altri dati
sensibili, come quelli visivi. Da prima il bambino designa con questo
suono non soltanto gli oggetti dai quali l’ udì, ma anche altri oggetti
consimili, che hanno in comune, oltre a quelle, altre qualità sensibili. Con
lo stesso suono e ad esempio dal bambino indicato, da prima, ogni
uccello. Le distinzioni di linguaggio verranno piti tardi, mano mano
che si distingueranno e aumenteranno nel bambino le percezioni. Questa è,
a larghi tratti, la formazione e lo svolgimento del linguaggio, nel bambino, a
cui contibuiscono in modo particolare gli ammaestramenti speciali che il
bambino riceve da chi gli apprende la lingua. Si puo inferirne che
l’origine e lo sviluppo del linguaggio d’una razza, avviene come nel
bambino. Con tale inferenza si dimenticherebbe un fatto importantissimo, ch’è
fondamento d’una netta distinzione. Il fatto che il fanciullo nascendo porta
anche per il linguaggio delle disposizioni funzionali organiche-psichiche,
diverse da quelle che potevano avere gl’uomini primitive. Il paragone
adunque, e l’ inferenza, non reggono. L’ipotesi piu accreditata intorno
all’origine del linguaggio è quella di Darwin, illustrata particolarmente
da Spencer, per cui il linguaggio è opera dell’evoluzione, come ogni altro
fatto naturale ed umano. Originariamente gl’uomini si servivano di un
gesto, indicativo o imitative. Poi, provveduti, per evoluzione organica,
di organi capaci di mandar suoni articolati, accompagnarono questi al
gesto, ed espressero cosi le proprie sensazioni e i propri bisogni, e
designarono gl’oggetti. Tale espressione e tale designazione avevano da
prima carattere essenzialmente imitativo, conservatosi, quanto al suono
articolato, nell 'onomatopeici, ed erano piuttosto istintive. In progresso di
tempo, i movimenti del gesto e dell’ articolazione si utilizzarono più
largamente, e venne cosi a sostituirsi al linguaggio naturale un linguaggio
convenzionale. Cominciato per evoluzione, il linguaggio di un Popolo, come
quello dell’individuo, continuò a svolgersi pure per legge evolutiva,
mediante i rapporti sempre più ampi e riflessi che si stabilirono
successivamente tra i segni e la cosa significata. Si ebbero cosi
nel linguaggio la forma mimica, l’ideografica, e la fonetica, e la parola
divenne per ultimo il linguaggio per eccellenza. Presso certe tribù selvage,
la parola non può comprendersi senza il gesto. Anche presso gli antichi, la
mimica aveva la massima importanza, come presso i sordo-muti, che devouo
esprimere il pensiero col gesto proprio, naturale e artificiale. La
l'orma ideografica, che troviamo presso gl’egiziani, i chinesi e
altri popoli, è un disegno abbreviato e più o meno convenzionale,
in cui ogni carattere esprime direttamente un'idea. I popoli ocei- [Innumerevoli
sono le forme che la parola assunse presso i vari popoli o razze, poiché
ogni popolo o razza ha la sua lingua. Tuttavia si riuscì a
ricondurre tutte le lingue a un piccolo numero di tipi, che sembrano
corrispondere agli stadi successivi dell evoluzione della parola. 1° Tipo:
Lingue monosillabiche (es. la chinese). Sono composte di sillabe che
costituiscono ciascuna una parola rappresentante un’idea astratta e
generale. Secondo l’ordine nel quale i monosillabi si dispongono, si
esprimono le diverse combinazioni e modificazioni delle idee. 2°
Tipo: lingue agglutinanti o poli-sintetiche (es. le lingue delle tribù
americane). Sono composte di radici di cui le une esprimono le idee più
importanti, le altre le idee accessorie: messe insieme, cosi
dal costituire spesso una parola straordinariamente lunga e complessa,
esprimono sia le modificazioni d’un idea principale, sia una combinazione
più o meno complessa di idee principali e accessorie. 3° Tipo: lingue a
flessione: (es. le lingue semitiche, e indo-europee). Sono composte di
parole ciascuna delle quali esprime un’idea principale modificata da
una accessoria. Le diverse modificazioni dell’idea principale si esprimono per
il modificarsi, per l’inflettersi, della terminazione delle parole stesse]
dentali non se ne servono più se non per certi usi (cifre, segni algebrici
eoe.). Usano invece della scrittura fonetico, in cui ciascun carattere è
il seguo non d'nu idea uia di un suono. Di questi tre tipi, il secondo
sarebbe derivato dal primo, per l’addizione delle radici accessorie alle
radici principali; e le lingue a flessione sarebbero derivate da lingue
agglutinanti piu antiche, per la fusione delle radici accessorie con le radici
principali. Con le parole non comunichiamo soltanto delle idee, ma anche
delle credenze, dei fatti. E poiché le nostre credenze, le nostre
rappresentazioni dei fatti, e la interpretazione di questi, mutano,
mutano anche i significati delle parole. Una mutazione che si può
ritenere primitiva, quanto è costante, l' abbiamo nella trasformazione del
senso di una parola, da proprio a traslato -- ciò avviene per
quella certa somiglianza che si riconosce tra il significato proprio (Sidonio:
EX-PLICATVRA), o etimologico, e quello traslato (IM-PLICATVRA). Una casa
grande e sontuosa oggi si chiama impropriamente “pallazzo,” parola che indica
prima costruzione dei Romani più antichi, eretta in onore della dea “Pale,”
nel monte Palatino. La parola “palazzo” sopravvive, ma con significato
diverso dal primitivo. “Pagano” significa propriamente l’abitante del “pagus”.
Poi, significò l’idolatra, l’adoratore di una divinità esoterica, perché a
Roma, mentre gl’abitanti delle città erano i primi a render colto a Marte,
gl’abitanti non-romani della campagna sono gl’ultimi. “Villano” si
dice propriamente chi e soggetto a minori oneri, ed e, per
conseguenza, oggetto di disprezzo da parte dell’ aristocrazia militare. Al
villano si attribusce, con qualche esagerazione, i vizi e delitti. Per
implicatura, ‘villano’ divenne perciò una qualifica ingiuriosa. Il significato
adunque di questi tre termini -- palazzo, pagano, villano -- si trasforma
generalizzandosi, come si trasformarono generalizzandosi., per citare ancora
due esempi, il termine “sale,” che propriamente designa il cloruro di sodio, e
il termine “olio” che propriamente indica soltanto l’olio d’oliva. Nella
trasformazione della parola si ha pure un processo inverso, di
specializzazione. Cosi il termine “vitriolo,” da “vitruni,” propriamente
significa ogni corpo cristallino, poi si attribui a una specie
particolare. Il termine “oppio” (da ònòg succo) propriamente vuole dire
un i succo qualunque, ora indica per implicatura soltanto il succo del
pa- J pavero. E il termine “fecula” (da foex, feccia) proprio a
significare ogni materia che si depositi spontaneamente in un liquido,
poi lo si applica per implicatura al1’ amido che si deposita quando si agita,
nell’acqua, della farina di frumento. E il significato di “fecula” si
specifica per implicatura poi ancor più, venendo a indicare un principio
vegetale particolare che, come l’amido, è insolubile nell’acqua fredda,
ma è completamente solubile nell’acqua bollente, con la quale forma
una soluzione gelatinosa. Il cocchiere chiamai suoi cavalli “le mie
bestie”. Un cacciatore può intendere per “uuccelli” le pernici. V’ è
adunque nel significato di una parola una transizione, della quale, nel suo
uso, devesi tener conto. Si consideri, ad esempio, il vario significato
della parola “lettera” (propriamente, lettera dell’alfabeto, per implicatura: lettera
missiva, letteratura) e della parola “gusto” (sentimento estetico, e
facoltà di distinguere il bello). E quanto alla *metafora*, si consideri, ad
esempio, il significato che la parola “luce” acquista quando si applica
all’istruzione, e la parola “fuoco” applicata alla collera e allo zelo. E
si considerino le parole “nascere” e “morire”, che si usano in un senso
molto piu largo che non sia quello propriamente e strettamente
biologico. A tale varietà di significato in una medesima parola,
contribuiscono anche la *metonimia* (es. “corona” per re- (/no), i
suffissi (es. pre-giudizio, di-fetto, il-limitato), le perifrasi (es. padre
della storia), la composizione (es. strada-ferrata, acquavite
ecc.). Vediamo adunque come, o per circostanze accidentali, o per bisogni
veri, si trasformi il significato di una parola, cosicché non sarebbe né
possibile né utile restar fedeli al significato proprio primitivo. E ciò
dicasi sia del linguaggio tecnico di una scienza, che si muta col
progredire e con lo trasformarsi di questa, sia del linguaggio
familiare. Non possiamo pertanto accontentarci del dizionario, dove il
senso di una parola è spesso piuttosto indicato che non esattamente precisato.
La precisione del significato deriva dall’uso, nel quale pertanto
trovasi il migliore ammaestramento. Chi tenesse a sola guida il
dizionario, non riconoscerebbe somiglianze e differenze, e anche semplici
sfumature di significato, di cui il dizionario non tiene conto. Come
avvertiamo facilmente in chi parla una lingua di cui non ha il più sicuro
e largo possesso. Giovanni Marchesini. Keywords: “L’educazione del
soldato” --. Marchesini. Keywords: l’educazione del soldato, con il capitano
Ercole Meoli, la Societa di Genetica e Eugenica SIGE – Societa Italiana
diGeneica ed Eugenica – il simbolismo – la dottrina del simbolismo – I
simbolisti – I filosofi simbolisti – I artisti simbolisti – Welby, Ogden,
Grice, ‘il simbolo del simbolo’ -- il cammino del cavaliere, codigo
cavalleresco, cavalleria, cavallo, equites romano – tutii questi appartneno
all’altro Marchesini – questo Marchesini e tradizionale --. Resf.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchesini – postumanar, trasumanar – sovrumanar – eta degl’omini – vico --
umanar – equites romani -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna).
Filosofo italiano. Grice: “I don’t think Marchesini has a philosophical
background, but he fascinates me! I especially liked his idea about ‘virility’
and the idea of a knightly code – ‘codice cavalleresco’ – The other field that
fascinates me is his research on ‘inter-subjectivity’ in the living form –
which he now extends to plants – ‘vivente’ – Surely we don’t refer to a cat as
an object – and the philosophical keyword here is ‘threshold,’ that Marchesini
aptly uses.” Cardine della sua proposta filosoficariconducibile, seppur con
caratteristiche proprie, alla più ampia corrente del Post-humanè lo
smascheramento di quell'errore prospettico che pone l'uomo al centro e a misura
dei suoi predicati. «Comincerò il mio viaggio dal prato più bello, quello
che l'aria non abbandona un istante, il sole vi si intrappola da splendere pur
di notte ed i profumi vergini coesistono con quelli gravidi. È qui che il dio
Pan cadde la notte dei tempi, da qui iniziò il suo girovagare incerto,
all'unico desiderio d'amare» (R. Marchesini, Il dio Pan). Da sempre
affascinato dalla natura e, in particolare, dal regno animale, consegue la
laurea a Bologna. Parallelamente agli anni di formazione universitaria, spinto
da un forte interesse verso il comportamento animale, stringe una feconda
collaborazione e amicizia con l'etologo Giorgio Celli, con il quale inizia a
indagare le interazioni sociali degli imenotteri. Per cinque anni conduce
ricerche “sul campo” e, con l'ausilio della macrofotografia, è in grado di
immortalare quegli attimi di vita animale altrimenti nvisibili all'occhio
nudo: rituali di corteggiamento, di accoppiamento e di trofallassi tra gli
insetti che diventeranno il viatico per tutta la sua ricerca futura. Nei
suoi studi di entomologia approfondisce l'analisi dei sistemi feromonali che
saranno tema di alcune pubblicazioni e della successiva ricerca sul
comportamento e sul benessere animale. Nella seconda metà degli anni ottanta,
sotto la guida del professor Franco Pezza, dell'Università degli Studi di
Milano, studia i metodi di allevamento, i parametri di benessere nelle aziende
zootecniche, i fattori di incidenza del rischio in zootecnia, le modalità di
individuazione dei sinistri, pubblicando alcuni lavori sulla medicina
veterinaria delle assicurazioni. Inizia così la sua collaborazione con
diversi atenei sui temi del comportamento animale, tenendo corsi e master di
etologia applicata e medicina comportamentale. Alla metà degli anni novanta
entra nel Consiglio Direttivo della Società di Scienze Comportamentali
Applicatedi cui diverrà Presidente focalizzando la propria attenzione sul
comportamento degli animali domestici, sugli stili di relazione interspecifica,
sui problemi e sulle patologie comportamentali. Osservando sul campo le
espressioni comportamentali e i processi di apprendimento degli animali, inizia
a considerare anacronistici e contraddittori i modelli esplicativi
tradizionali. In sintesi, quello che Marchesini propone nel panorama
delle scienze cognitive è un superamento dei tre modelli interpretativi al
comportamento animalequello behaviorista, quello etologico classico e quello
antropomorficoin virtù di un modello mentalistico unitario (un'unità necessaria
che la mente, come fenomeno unico, richiede), che valga sia per i processi
consapevoli che inconsapevoli e che descriva espressione e apprendimento in
termini elaborativi dell'informazione, sistemici o composizionali
dellecomponenti, solutivi e non reattivi, evolutivi e relazionali nella
realizzazione ontogenetica. Questo porterà alla pubblicazione di tre testi dal
forte impatto innovativo: Intelligenze plurime e Modelli cognit ivi e
comportamento animale ed Etologia cognitiva. Alla ricerca della mente animale. Gli
assunti di base della proposta di Marchesini sono i seguenti: il soggetto
è immerso in un campo di possibilità filogenetiche che definiscono il tipo di
intelligenza propensionale o specie-specificada cui l'idea di pluralità
cognitiva dove le diverse intelligenze sono comparabili ma non commensurabili;
il processo ontogenetico di costruzione dell'identità si realizza grazie alle
dotazioni innate, che ricche di virtualità evolutive, possono essere
organizzate in una molteplicità di modida cui l'idea di rapporto dimensionale o
direttamente proporzionale di innato e appreso; l'espressione del soggetto è
sempre proattiva, mossa cioè da un obiettivo, e quindi frutto di una condizione
problematica che il soggetto cerca di risolvere attraverso ricette solutive
fino al raggiungimento dell'obiettivoda cui il superamento del concetto di
rinforzo. Vi è quindi una ridefinizione della soggettività animale, come
possesso del suo qui e ora, e come capacità di mettere in dialogo tutte quelle
istanze (ontogenetiche e filogenetiche) che gli appartengono nella sua
relazione con il mondo. Bioetica e diritti animali Alla fine degli anni ottanta
si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna, con l'intento di
sondare il rapporto uomo-natura da una prospettiva pedagogico-filosofica.
In questi anni inizia a portare nelle scuole percorsi progettati appositamente
a misura di bambini per permettere loro di conoscere la varietà del mondo
animale evitando letture antropomorfiche, quelle viziate, ad esempio, dai
sedimentati repertori culturali. È in questi anni che avviene uno degli snodi
cardine nell'attività di Marchesini: egli si accorge che le potenzialità che è
in grado di esprimere il binomio bambinoanimale (o più in generale uomoanimale)
è da ricercarsi non nella performatività quanto piuttosto nelle dinamiche che
la relazione, unica e irripetibile, è in grado di generare. L'animale coinvolto
nelle attività didattiche non è più un oggetto dal quale attingerequasi fosse
una fonte miracolosaelementi benefici al percorso formativo del bambino, ma è
nel suo essere soggetto e capace di stipulare un patto con il proprio
interlocutore che lo fa divenire elemento imprescindibile di ogni percorso
formativo. L'esperienza condotta all'interno delle scuole porta
Marchesini alla stesura del volume Natura e pedagogia, inizialmente nato per
divenire la sua tesi di laurea, ma pubblicato prima della conclusione degli
studi umanistici. Le attività con i bambini lo conducono in tutta Italia
portando in evidenza due aspetti: il divorzio che si è andato realizzando
tra l'uomo e le altre specie nella cultura contemporanea, con bambini che non
sono in grado di relazionarsi con gli animali e spesso nemmeno conoscono le
specie domestiche; la svalutazione degli animali e l'incapacità della società
contemporanea di avere consapevolezza dell'importanza della relazione con le
altre specie per lo sviluppo della personalità. Per Marchesini la svalutazione
operata dalla società contemporanea parte dalla perdita di quel rapporto di
convivenza e di ospitalità che viceversa ancora caratterizzava la cultura
rurale. Nasce così il Concetto di soglia (che esprime il bisogno di uscire
dalla dicotomia novecentesca dell'antropomorfismo e della reificazione
dell'eterospecifico. Temi già affrontati in due saggi precedenti, Animali di
città, critico verso l'antropomorfizzazione degli animali da compagnia, Oltre
il Muro, critico verso la reificazione dei cosiddetti animali da utilità. Sono
gli anni in cui riflette sul pensiero animalista e sulla bioetica animale
fondando, insieme a colei che diventerà la sua storica collaboratrice, Sabrina
Golfetto, la casa editrice Apeiron con lo scopo di creare un luogo dove
ospitare riflessioni e dibattiti su tali tematiche. Sono gli anni in cui
abbraccia, senza più abbandonarlo, il vegetarianesimo e dà vita assieme a Battaglia
e a Hack a un'intensa attività convegnistica che confluirà nella collana
Quaderni di bioetica di cui sarà direttore. Nel
sostituisce Caffo, che ne era stato fondatore e primo direttore, nella
direzione di Animal Studies: Rivista Italiana di Antispecismo. Nel
maggio esce per le Edizioni Sonda Contro
i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista. Il saggio
affronta il tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le
incoerenze nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che
pretende di sospendere l'antropocentrismo, rimanendo all'interno di una cornice
umanistica. Il testo vede i commenti finali di Rodotà, Sax, Vallauri e
Fadini. Porta la neonata zooantropologia in Italia, disciplina all'interno
della quale compie una sistematizzazione sia a livello teorico, accanto alle
antropologhe Eleonora Fiorani e Sabrina Tonutti, sia a livello applicativo con
la delineazione di protocolli operativi nelle aree educative e
assistenziali. Per ciò che concerne la zooantropologia teorica, l'ipotesi
di fondo proposta da Marchesini, e riconducibile alla sua teoria della
zootropia, è che gli animali nel corso della storia non abbiano funto solo da
produttori di prestazioni o di collezioni di modelli da imitare ma altresì da
alterità referenziale nei processi antropopoietici. Marchesini sviluppa il
concetto di "referenza animale", inteso come contributo di
cambiamento offerto all'uomo dalla relazione con l'etero-specifico. Gli
uccelli non hanno insegnato all'uomo l'arte di volare -- il modo di realizzare
questa attività -- ma gli hanno ispirato la dimensione esistenziale del volare.
Per Marchesini i predicati umanicome la danza, la musica, la cosmesi, la
tecnicavanno considerati come frutti ibridi, esito cioè dell'incontro
relazionale con le altre specie. Il motore della cultura umana è quindi per
Marchesini rintracciabile nell'incontro con l'alterità animale che, nella forma
di una vera e propria epifania, è stato capace di re-direzionare l'uomo lontano
dal suo centro filogenetico e dalla sua solipsia di specie dando vita a nuove
possibilità esistenziali. Per ciò che concerne la zoo-antropologia applicata,
opera una trasformazione in alcuni settori delle attività di relazione con gli
animali, dalla pet therapy alla pedagogia cinofila, impostando i
"protocolli dimensionali", vale a dire individuando nel rapporto
delle dimensioni di relazione, ciascuna dotata di specificità sia di ordine
relazionale che referenziale. In pet therapy lavorare secondo l'approccio
dimensionale significa evitare l'incontro generico tra un paziente e un animale
ma individuare le dimensioni di relazione che sono utili al fruitore secondo i
suoi bisogni specifici e renderle operative attraverso attività
specifiche. Allo scopo di formare nuovi operatori in grado di lavorare
secondo i protocolli dimensionali fonda “Scuola di Inter-Azioone Uomo-Animale
on sede a Bologna. Sii fa co-promotore di Carta Modena (Carta dei Valori e
dei Principi della Pet-Relationship) che riceve il patrocinio del Ministero
della Salute. Il documento mira a tutelare, all'interno del panorama della
attività assistite dagli animali (A.A.A.) sia il fruitore, il benessere
dell'animale coinvolto e il principio inter-relazionale che dal binomio
scaturisce. Pubblica “Etologia filosofica: alla ricerca della inttersoggettività
animale” con il quale inaugura la riflessione ontologica sul carattere
dell’intersoggettività animale, vale a dire su che cosa differenzia un “oggetto”
da un essere “vivente.” Rilegge l'ontologia animale in termini di
"desiderio". “Essere animale” (essere vivente) significa prima di
tutto "essere desiderante", una condizione di *non*-equilibrio che
rende due animali protagonisti de loro divenire nonché capaci di definire il
corso della filogenesi di specie. L'etologia filosofica diviene ben
presto un campo di ricerca entro il quale dialogano allo scopo di ridefinire i
contorni di ciò che intendiamo con essere animale. Inizia la ricerca
filosofica che va a innestarsi nella costellazione di studi definita come
post-human. È di questo period della ri-definizione dell'umano quale
entità ibrida, puntualizzato nel dettato che vede l'uomo non più misura del
mondo ma nemmeno misura di se stesso. In tale corrente filosofica ci sono per
Marchesini le giuste premesse per poter articolare la propria riflessione in
quanto il concetto di “alterità” nel progetto post-human assume un significato
molto più vasto, abbracciando di fatto le entità non umane animali e
macchiniche. Collabora con la rivista Virus inaugurando una nuova
estetica basata sull'ibrido come manifestazione contemporanea del sublime. In
tale luce il Manifesto del Teriomorfismo rappresenta il documento attraverso il
quale gli artisti rifiutano il dettato antropocentrico e riconoscono la natura
ibrida di ogni processo creativo. All'interno di tale campo d'indagine
pubblica Animal Appeal e una feconda collaborazione che travalica i campi
disciplinari e rivela ancora una volta i debiti che la cultura, in questo caso
l'arte, ha contratto con le alterità. Conosce Salsano, storico, sociologo ed
editor della casa editrice Bollati Boringhieri, che affascinato dal lavoro di
Marchesini decide di pubblicare un primo saggio sul rapporto tra bios e techne
dal titolo La fabbrica delle chimere (1999), testo che si pone a cavallo tra le
precedenti esperienze in zooantropologia e bioetica e la nuova riflessione
postumanistica. Esce Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, testo
corposo, concettualmente denso e dalla molteplicità di riferimenti, che ha
suscitato un grande dibattito nel mondo accademico portando il suo autore a
divenire punto di riferimento per ogni ricognizione che vada ad indagare i
rapporti che intercorrono tra vivente (sia esso umano o animale) e tecnica.
Sempre nel medesimo anno fonda Il Centro Studi Filosofia Postumanista allo
scopo di promuovere e sviluppare le tematiche legate al post-human da diverse
prospettive, arte, letteratura, cinema, new media, formazione. Innumerevoli
saranno poi le pubblicazioni sul pensiero postumanista, che vedranno la
pubblicazione del saggio Il tramonto dell'uomo. Inoltre, traduce, cura e scrive
la postfazione dell'edizione italiana del testo The Companion Species Manifesto
di Haraway. Esce per Mimesis Epifania animale. L'oltreuomo come
rivelazione nel quale Marchesini evidenzia come la cultura non vada pensata in
modo antropocentrico come l'esito autarchico di un processo creativo
interamente svolto dall'uomo, pur avvalendosi di materiale zoomorfo, ma come
una rivelazione epifania ispirata dal non umano. Torna in libreria con un
volume interamente dedicato al rapporto tra bios e tecnica, Tecnosfera.
Proiezioni per un futuro postumano (Castelvecchi). Rilegge il connubio tra
essere umano e tecnologia come una partnership emersa dal corredo filogenetico
della specie Sapiens, mettendo in luce le potenzialità ibridatrici e
plasmatrici della tecnologia. Da questa prospettiva, ogni invenzione, ogni
scoperta, ha un effetto epifanico; apre, cioè, una nuova dimensione di
imprevisto e di opportunità che modifica i confini e la percezione di ciò che
definiamo umano. Il mondo degli insetti (“as I observed squarrels” –
Grice) così minuziosamente osservato risulta essere particolarmente evocativo
anche da un punto di vista estetico e narrativo tant'è che dà alla luce la
raccolta di racconti lirici “Il dio Pan,” frutto in parte anche delle
osservazioni compiute tra gli imenotteri. Nei brevi racconti dedicati al
dio agreste della mitologia greca, cerca di sfatare il mito di una natura, da
un lato meccanicistica (mera esecutrice dei dettami della genetica) e
dall'altro lato bucolica e idealizzata che nulla o poco rappresenta ciò che
l'autore mira ad affrescare: una natura reale, un mondo del vivente a volte
crudele ma in grado di interconnettere profondamente tutti i suoi abitanti: la
preda e il predatore, la cavalletta e la mantide. Il testo, recepito
positivamente dall'ambiente culturale bolognese, porta Marchesini a stretto
contatto con il Roversi, altra figura che influenzerà profondamente la sua
attività futura portandola a spingersi in plurimi territori e a cavallo di
numerosi discipline: dalla narrativa alla poesia, passando per la
filosofia. Pubblica il romanzo Uscendo da Lauril e la raccolta di racconti Specchio animale che
ospita la postfazione di Leonetti. Con la pubblicazione di Uscendo da Lauril in
particolare,intraprende l'esperimento di trasferire sul piano narrativo le
evocazioni postumanistiche partendo dalla poetica cyber-punk. In entrambi i
lavori è possibile ritrovare quegli elementi che contraddistinguono la speculazione
filosoficai: la dialettica tra identità alterità, il rifiuto di qualsiasi mito
della purezza originaria e di ogni forma di antropocentrismo. Esce per la
casa editrice Mursia Ricordi di animali, l'autobiografia volta a raccogliere la
storia di vita dell'etologo osservata tramite la lente dei numerosi animali che
ne hanno scandito le tappe fondamentali. -- è invece la volta de La filosofia del
giardiniere, pubblicato dalla Graphe edizioni nella collana Parva. Il libro è
composto di due parti, nella prima il lettore è condotto dalle parole a
passeggiare nel giardino, novello atelier darwiniano, con stupore e riverenza.
Nella seconda sono le immagini di alcuni giardini del mondo a far continuare la
riflessioni sulla cura, portate avanti da Marchesini. Roberto
Marchesini nel Centro Studi di Galliera (Bologna) Progetti esteri Roberto
Marchesini tiene regolarmente conferenze in diversi paesi del mondo tra i
quali: Stati Uniti, dove dal tiene
annualmente una lecture presso l'Harvard, Brasile, Messico, Cile, India,
Australia, Francia, dove è stato ospite della Sorbona, Spagna,
Portogallo. Cura la rubrica etologia a cadenza settimanale "Gli
animali che dunque siamo" per Il Corriere della Sera. “Intelligenza
emotiva versus intelligenza cognitive” in Pluriverso, 3, La Nuova Italia, La via vegetariana per un mondo migliore,
Vimercate, La spiga vegetariana, pagina 2:// novalogos/drive /File/ LIBRO% 20ANIMAL
%20 STUDIES %201- novalogos// drive/File/
animalstudies. R. Marchesini, Teriomorfismo, Bologna, Apeiron. Bioetica,
diritti animali, pedagogia e scienze cognitive. Oltre al muro, Torino, Franco
Muzzio Editore, Natura e pedagogia, Roma, Theoria, Il concetto di soglia, Roma,
Theoria, Io e la natura, Forlì-Cesena, Macro Edizioni, La fabbrica delle
chimere. Biotecnologie applicate agli animali, Torino, Bollati Boringhieri, Bioetica e scienza veterinarie, Edizioni
Scientifiche Italiane, "Intelligenza emotiva versus intelligenza
cognitiva", In Pluriverso, Firenze, La Nuova Italia, Bioetica e
biotecnologie. Questioni morali nell'era biotech, Bologna, Apeiron,
Intelligenze plurime. Manuale di scienze cognitive animali, Bologna, Peridsa,
“Il galateo per il cane” Milano, Giunti, “Modelli cognitivi e comportamento
animale: Coordinate di interpretazione e protocolli applicative;; Contro i
diritti degli animali? Proposta per un anti-specismo post-umanista,
Alessandria, Edizioni Sonda, Vivere con
il cane. Come migliorare il rapporto fra cani, adulti e bambini, Firenze, De
Vecchi, Il bambino e l'animale. Fondamenti per una pedagogia zoo-antropologica,
Roma, Anicia, Etologia cognitiva. Alla
ricerca della mente animale, Bologna, Apeiron, Pluriversi cognitivi. Questioni
di filosofia ed etologia, Milano, Mimesis, Geometrie esistenziali. Le diverse
abilità nel mondo animale, Bologna, Apeiron, Zooantropologia. Animali e umani: analisi di
un rapporto, Como, Red, Animali in città. Manuale di zoo-antropologia urbana,
Como, Red, Homo Sapiens e mucca pazza. Antropologia del rapporto con il mondo
animale, Bari, Dedalo, R. Fondamenti di zooantropologia. Zooantropologia
applicata, Bologna, Perdisa, Manuale di zooantropologia, Roma, Meltemi, Il codice degli animali magici, Firenze, De
Vecchi, L'identità del cane. Storia di una implicatura conversazionale tra
specie; Bologna, Apeiron, L'identità del gatto. La forza della convivialità,
Bologna, Apeiron, Cane & Gatto. Due stili a confronto, Bologna, Apeiron, Etologia filosofia. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Emancipazione dell'animalità, Milano, Mimesis, Posthuman.
Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Il problema del
corpo, tra umanesimo e postumanesimo, in Janus, Tecno-scienza e approccio post-umanistico, in
Millepiani, M., Il tramonto dell'uomo. La prospettiva postumanista, Bari, Dedalo,
M., Filosofia postumanista e antispecismo, in Liberazioni. Rivista di critica
antispecista, L. Caffo, M., Così parlò il postumano, a cura di. Adorni,
Aprilia, Novalogos, M., Epifania animale. L'oltreuomo come rivelazione, Milano,
Mimesis, M. Ibridazioni e processi
evolutivi, in Formazione e post-umanesimo. Sentieri pedagogici nell'età della
tecnica, Milano, Cortina, Etologia filosofica. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Alterità. L'identità come relazione, Modena, Mucchi, Tecno-sfera. Proiezioni per
un futuro postumano, Roma, Castelvecchi, Eco-ontologia. L'essere come
relazione, Bologna, Apeiron, R. Teriomorfismo, Bologna, Hybris, Poetiche postumaniste in Polimorfismo,
multimodalità, neobarocco, Dusi e Saba, Silvana Editore,, M. , "Ontani. Argonauta
dell'ibridazione", in Ontani incontra Morandi. Casamondo, Montanari, Il Dio Pan. Racconti lirici, Firenze, Firenze
Libri, Graphe edizioni, Perugia, Uscendo da Lauril, Roma, Theoria, Specchio
animale. Racconti di ibridazione, Roma, Castelvecchi, Ricordi di animali, Milano,
Mursia, Il cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato dai cani, Alessandria,
Sonda, La filosofia del giardiniere. Riflessioni sulla cura, Perugia, Graphe edizioni.
Blog ufficiale, su marchesini etologia. vegetti
della letteratura fantastica, Fantas cienza Academia.edu. Sito ufficiale (Scuola
di Inter-azione Uomo-Animale). Centro Studi Filosofia Postumanista diretto da. Grice:
“There are two Robeto Marchesini – but only one is a philosopher. The other
writes on ‘il cammino del cavalier’ and the ‘codice caavlleresco’ and the
equites romani, but he is not recognized as a philosopher!” -- Roberto
Marchesini. Marchesini. Keywords: terio-morfismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Marchesini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchetti – filosofia italiana – della natura delle cose -- Luigi Speranza (Empoli).
Filosofo italiano. Grice: “I love
Marchetti; for once, he had to find vulgar terms for all of Lucretius’s learned
ones! The Italians used to call their own tongue ‘volgare’ then --; this is not
easy matter (to translate Lucretius, not to call your tongue volgare), especially
since Lucretius was often unclear to himslf – talk of my conversational
desideratu of conversational perspicuity [sic]!” -- Grice: “I like him because
he axiomatised Galilei!” Professore a Pisa, contina le ricerche di Galileo n
come iViviani. Collabora con Papa.
Scrisse rime morali ed eroiche. L’opera cui deve la sua fama è la
traduzione “Della natura delle cose” di Lucrezio. Considerata come un manifesto
di razionalismo, “La natura dellle cose”
influì notevolmente sul gusto arcadico per la purezza della lingua e l'eleganza
dello stile. La diffusione di idee
materialiste attirò sul Marchetti l'accusa di empietà. Pur rifugiatosi nella
poesia, non riuscì ad evitare le indagini del Sant'Uffizio, ispirate
soprattutto da Vanni. Per altre sue opere di successo fu attaccato dagli
oppositori di Galileo. Membro dell’ Accademia dei Disuniti, Accademia
dell'Arcadia, Accademia dei Fisio-critici, Accademia dei Risvegliati, Accademia
della Crusca e Accademia Fiorentina. Saggi: “De resistentia solidorum” (Firenze,
typis Vincentij Vangelisti e Petri Matini (Grice: “Opera abbastanza interessante, basata sulla teoria
galileiana, cui Marchetti dà una struttura assiomatica – ripetto, ‘assiomatica’
-- rigorosa. Tratta in larga parte il problema dei solidi di uniforme
resistenza, precedendo di mezzo secolo l'importante trattato di Grandi), “Exercitationes
mechanicae” (Pisa, Ferretti); “Della natura delle comete,” “Lettera scritta
all'illustriss. sig. Francesco Redi,” Firenze, alla Condotta, “Saggio delle
rime eroiche morali e sacre,” dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe
di Toscana” (Firenze, Bindi); “Anacreonte,” radotto in rime toscane, e da lui
dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe di Toscana, In Lucca, per L.
Venturini. “Della natura delle cose libri sei” (per Giovanni Pickard) Vita e poesie
da Pistoja filosofo e matematico all'illustrissimo sig. cavaliere F. Feroni
marchese di Bellavista patrizio fiorentino e accademico della Crusca (Venezia,
aValvasense (Contiene poesie con la “Vita” scritta dal figlio Francesco). G. Costa,
Epicureismo e pederastia: il Lucrezio e
l'Anacreonte secondo il Sant'Uffizio, Firenze, Olschki, Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mario Saccenti, “Lucrezio in Toscana: Studio
su Marchetti” (Firenze, Olschki); De
rerum natura Razionalismo, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca. Alessandro
Marchetti. Marchetti. Keywords: implicatura, lucrezio, della natura delle cose,
pederastia, il poeta filosofo, l’essamero di Lucrezio, l’essameri di Lucrezi,
il poema filosofico latino, il genero filosofico nella poesia latina. Lucrezio,
alma figlia di giove, inclita madre. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchetti”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchi – la missione di Roma – la religione civile di Mussolini -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Potenza). Filosofo italiano. Grice:
“Marchi displays a few features hardly found at Oxford: He edited a magazine,
“filosofia mazziniana” – I can imagine Bradley wanting to edit “Hegeliana” at
Oxford – and we do have a Gilbert Ryle Room, and an Occam Society! The other
trait is illustrated by his manifesto, “La missione di Roma,” – Churchill would
have equaled with something Anglian!” Generale di corpo d’armata italiano,
Medaglia d'oro dei Benemeriti dell'Educazione Nazionale. Insegna a Roma. Cura
la pubblicazione di diverse riviste in cui si confrontarono alcuni studiosi del
primo Novecento italiano come Varisco. Tra queste Dio e Popolo e “L'idealismo
realistico.” Dio e Popolo, rivista di ispirazione mazziniana, accoglie scritti
miranti alla ricostruzione della filosofia religiosa di Mazzini e i rapporti
tra religione e stato; nega l'ateismo e persegue l'ideale di “repubblica”. “L'idealismo
realistico” raccoglie teorie filosofiche di stampo anti-gentiliano. A lui è dedicato il Premio tesi di Laurea
“Vittore Marchi”, bandito da Roma Tre per i neolaureati che abbiano sostenuto
tesi su un argomento concernente il pensiero filosofico antico degne di essere
pubblicate; e un parco al Municipio IV. Saggi: “La filosofia religiosa di Mazzini,
in Dio e Popolo, “La missione di Roma” o, Atanòr Ed., Il concetto e il metodo
della ‘storia della filosofia,’ – Grice:
“His apt implicature is that if you are an idealist, don’t shed your
idealism when discussing J. J. C. Smart!” -- Filosofia e religione, La perseveranza
Ed., Potenza, La filosofia morale e
giuridica di Gentile, Stabilimento Tipografico F.lli Marchi, Camerino, Relazione
tra la filosofia teoretica e la filosofia pratica – Grice: “I would strongly
assert that it’s the same thing: ‘Poodle is our man in practical philosophy’
sounds obscene’” -- in L'idealismo
realistico, Roma, “Le prove dell'esistenza di Dio, in L'idealismo realistico,
Roma, Gli è stato dedicato un parco a Roma. Gramsci (Buttigiec), Turris,
Fenomenologia dell'individuo assoluto, Roma, Edizioni Mediterranee. //uniroma3/
news.php? news=603. Vittore Arnaldo Marchi. Vittore Marchi. Marchi. Keywords:
la missione di Roma, Mazzini, filosofia mazziniana, rivista di filosofia
mazziniana, gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchi – l’anima del corpo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia).
Filosofo italiano. Grice: “His
‘poesia del desiderio’ is confusing – he means tenderness, as Scruton does in
his book on “Sexual arousal”” -- Grice: “Perhaps Marchi’s most provocative
piece is “L’anima DEL corpo.” If I were to be tutored on that by Hardie, I can
very well imagine Hardie – he was a Scot – ‘what d’you mean, ‘of’?” Psicoterapeuta
di formazione reichiana, umanista, autore di scritti talvolta controversi
perché a scopo provocatorio, si define Solista ed ama stare «fuori
dall'Accademia». Psicologo clinico e sociale, politologo e autore
di numerosi saggi, è stato protagonista di varie battaglie per i diritti civili
e sessuali, riuscendo con una sentenza della Corte Suprema sulla “Vertenza tra
il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Emilio Colombo, e Marchi”, ad ottenere la revoca dei divieti
penali all'informazione e all'assistenza anti-concezionale e ad avviare la
realizzazione di una rete di migliaia di consultori sessuologici e familiari
pubblici. Fonda l’'AIED, guidando l'Associazione in qualità di Segretario. Ha
dato per oltre quarant'anni un contributo determinante non solo alla
segnalazione della pericolosità dell'esplosione demografica (da lui definita
“la madre di tutte le tragedie”) e dei suoi corollari (fame, guerre, genocidi,
disastri ambientali, disoccupazione di massa, migrazioni disperate, crisi
energetica mondiale) ma anche al chiarimento dei meccanismi psicologici che
hanno finora impedito di comprendere e di affrontare questa tragedia
planetaria. Dimostrato con alcuni foto-romanzi interpretati da noti attori (Paola
Pitagora, Pagliai, Gassman, Zavattini e Valdemarin) che i messaggi mass-mediatici
associati alla psicologia motivazionale sono lo strumento più efficace per
indurre le masse alla regolazione delle nascite: una tesi oggi confermata da
varie organizzazioni internazionali. --Presidente italiano di tre
importanti Scuole di Psicoterapia da lui fondate: quella psico-corporea di Reich,
quella bioenergetica di Lowen e quella umanistica di Rogers. Marchi matura un
diverso punto di vista nei confronti degli approcci teorici di Reich, Lowen e
Rogers (a suo parere non avevano colto fino in fondo l'importanza della
coscienza e dell'angoscia della morte nella genesi delle patologie psichiche
umane) e propone una teoria della
cultura e della nevrosi in un libro (“Scimmietta ti amo -Psicologia Cultura
Esistenza: da Neanderthal agli scenari atomici ” Ed. Longanesi “Lo shock primario”,
Ultima Ed. Rai-Erit) che viene proclamato “Libro del Mese”. Fonda a Roma
l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale, oggi diretto da Filastro.
Pioniere della ricerca psico-sociale, è
stato Presidente Onorario della Società Italiana di Psicologia Politica. I suoi
contributi in questo campo sono stati: 1) la fondazione della Psicopolitica (un
metodo di analisi psicologica dei fenomeni socio-culturali che propone una “lettura” psicologica di tali
fenomeni, diversa da quelle di carattere marxista, idealista o istituzionalista
finora prevalse, con risultati fallimentari, nelle scienze sociali e politiche
tradizionali); 2) l'elaborazione d'una nuova "Psicologia Politica Liberale".
Si è interessato anche al teatro e alla televisione, creando programmi di cui Fellini
scrisse: “Ecco una nuova televisione culturale di cui c'è, oggi, bisogno”. E
per oltre due anni ha condotto un programma di psicologia su RaiUno ” La chiave
d'oro” con Baldini. Guzzanti ha scritto di lui: “ è un felice incrocio tra
Russell ed Allen”. Attivista per il riconoscimento dei diritti alla
contraccezione, al divorzio, all'interruzione di gravidanza e all'eutanasia, ha
fondato il Centro informazioni sterilizzazione aborto) che anticipò la legge sull'aborto
in Italia, e l'Associazione italiana per l'educazione demografica. Ha costantemente sostenuto l'importanza del
problema della crescita demografica e dei problemi economici, ecologici,
sociali e psicologici ad essa connessi. Pur essendo favorevole alla
chiusura dei manicomi, ha criticato la legge Basaglia in quanto scaricava sulle
famiglie il problema dei malati psichiatrici pericolosi; parlando dei delitti
in famiglia, evidenziò come il nucleo familiare resti il luogo principale in
cui avvengono gli omicidi, a suo giudizio "frutto del fallimento"
della legge 180 sulla salute mentale. Propose «una riforma radicale e
l'apertura di cliniche psichiatriche che non siano i vecchi manicomi ma
strutture umanizzate, oltre che di centri per l'attività riabilitativa».
Aderente al Partito Radicale, ha tenuto per tredici anni la rubrica
bisettimanale "Controluce" su Radio Radicale, in cui ha trattato temi
che venivano altrove trattati con conformismo: il sesso e l'amore, la
procreazione e la contraccezione, le malattie e la morte, il lavoro e le
rendite, la libertà e l'autoritarismo. È stato autore della "Teoria
liberale della lotta di classe", nel volume O noi o loro!. Istituto di
Psicologia Umanistica Esistenziale Modello, Fondatori e Storia della Scuola -- è
mosso dalle radici comuni teoriche ed epistemologiche riconducibili alla
fenomenologia e all'esistenzialismo, fondamentali correnti filosofiche del
‘900, e da alcuni autori significativi del movimento della psicologia
umanistico-esistenziale in particolare Carl Rogers, Rank, Frankl, Binswanger, Boss,
Jaspers, Minkowski. Eredita la particolare concezione dell'uomo e della vita,
che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta.
Consapevole della sovrabbondanza di Scuole Psicologiche esistenti in Italia
esitò prima di fondare l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale. Preferì
lavorare nell'ambito di indirizzi già affermati, che sentiva geniali e creativi
e fu l'iniziatore della Scuola Reichiana in Italia Presidente dell'Istituto di
Bioenergetica W. Reich di Roma e per 6 anni Presidente dell'Istituto di
Psicologia Rogersiana (FDI) e inoltre concorse a riscoprire e valorizzare
l'opera pionieristica di Rank con la
pubblicazione della sua opera: "Rank pioniere misconosciuto" Melusina,
Esperienze personali drammatiche e ricerche in campo clinico e antropologico
imposero alla sua attenzione l'importanza dell'angoscia di morte come uno dei
più importanti fattori che contribuiscono alla sofferenza psicologica e
psicopatologica. Sentì allora l'esigenza di creare una nuova Scuola che riuscisse
a riconoscere la rilevanza di questa angoscia primaria dell'uomo e di
sviluppare un approccio originale, pluralista e non dogmatico alla sofferenza
umana, fondato sull'integrazione sinergica delle tre dimensioni, di approccio
simultaneoall'essere umano in terapia verbale, corporea ed esistenziale.
Si tratta di un modello che nasce sulla scia della filosofia esistenziale,
dalla quale eredita la concezione dell'uomo e della vita che rivendica
all'essere umano il diritto e la capacità di scelta e, intende: offrire la
possibilità di elaborare e affrontare le tremende tensioni esistenziali di ogni
essere umano anche nel percorso di malattia psichica e somatica nel clima di
contatto empatico, di solidarietà, convogliando nel processo terapeutico il
grande potenziale di crescita e comunicazione del paziente, la sua conoscenza
dei propri bisogni, la sua creatività, l'apporto decisivo della sua
esperienza. 2) che si presenta multidimensionale, integrato e non
dogmatico alla sofferenza umana e psichica e costantemente aperto ad arricchire
la propria prospettiva teorica e clinica attraverso un confronto critico e di
fertilizzazione con altri approcci psicoterapici, e interviene su 4 dimensioni
fondamentali dell'esperienza umana: la dimensione empatico relazionale,
che definisce il nostro modo di essere nel mondo con gli altri; la
dimensione corporea, che spesso esprime sotto forma di tensioni e dolori
muscolari la sofferenza psicologica; la dimensione esistenziale, che
riconosce l'importanza del senso che si riesce a dare alla propria
esistenza; la dimensione cognitiva, che riconosce la rilevanza sintomatica
della sofferenza psicologica e psicopatologica. Un esempio di testo provocatorio, scritto
senza avere alcuna competenza in infettivologia, è il seguente sulla cospirazione
dell'AIDS: AIDS......affare multi Miliardario, su mednat.org. e Aids, la grande truffa continua in: L. De Marchi, Il nuovo pensiero forte.
Marx è morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio; altri scritti di
critica, più documentati, hanno riguardato le sue critiche alle prassi della
chemioterapia dei tumori e gli effetti collaterali, come in Kaputt tutta la
ricerca sul cancro? sempre in De Marchi, op. cit. lo psicologo che inventò l'Aied Repubblica Addio a Marchi, lo psicologo che inventò l'Aied L. De Marchi, Il Solista Autobiografia d'un
italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali, Luca Bagatin, articolo su Politica Magazine,
su lucabagatin.ilcannocchiale. Opere:“Sesso e civiltà,” Laterza; “L’orgasmo” Lerici,
Sociologia del sesso, Laterza, Repressione sessuale e oppressione sociale,
Sugar, Wilhelm Reich Biografia di un'idea, Sugar, Psico-politica, Sugar, Vita e
opere di Reich, Sugar, Scimmietta ti
amo, Longanesi, Lo shock primario. Le radici del fanatismo da Neandertal alle
Torri Gemelle, Poesia del desiderio, La Nuova Italia, Seam, Perché la Lega,
Mondadori, Il Manifesto dei Liberisti Le idee-forza del nuovo Umanesimo
Liberale, Seam, Aids. La grande truffa, Roma, Seam, O noi o loro! Produttori
contro Burocrati, ecco la vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale, Bietti,
Il Solista Autobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali,
Psicoterapia umanistica. L'anima del corpo: sviluppi (Franco Angeli, Reich Una formidabile avventura scientifica e
umana, Macro Edizioni, Il nuovo pensiero forte Marx è morto, Freud è morto e io
mi sento molto meglio, Spirali, Svolta a destra? Ovvero non è conservatore chi
combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori, Armando Curcio Editore, La
Psicologia Umanistica Esistenziale Rivista delle Psicoterapie, Roma “La
Sapienza”, Associazione italiana per l'educazione
demografica, Reich luigidemarchi.blogspot.com
openMLOL Horizons Unlimited srl. Radio Radicale. Istituto di Psicologia
Umanistica Esistenziale IPUE, su ipue. Archivio IPUE, su
luigidemarchi.wordpress.com. Archivio della rubrica "Controluce" che Marchi
teneva su Radio Radicale,, Renato Vignati Luigi De Marchi, un pioniere della
psicologia italiana in Psychomedia, R.Vignati Lo sguardo sulla persona.
Psicologia delle relazioni umane, Libreria universitaria edizioni, Padova.
Luigi De Marchi. Marchi. Keywords: l’anima del corpo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Marziano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Marziano was a philosophy teacher to Ottaviano.
Grice e Marco – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Marco. There is a tradition that Marco was a
philosopher who ruled the Roman empire between the death of Gordian III and the
accession of Philip.
Grice e
Marconi – linguaggio privato – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo italiano. Grice: “Perhaps his most brilliant exegesis on ‘Vitters’ is
that about what Marconi calls ‘linguaggio private,’ as in Robinson Crusoe. Not!”
-- Grice: “Marconi has attempted to ‘formalise’ dialectic – as in Oxonian
dialectic – which is what Zeno was trying to do with his reductio ad absurdum.”
Grice: “While Marconi starts alright, with Frege, he gets entangled with
‘Vitters;’ p’rhaps his innovative approach is best seen in phrases like ‘il
significato eluso’, which may describe my implicature; but points to an
etymology: ‘eluso’ is indeed ‘eluso,’ and means ‘ex-ludic,’ out of the game.
The idea being that the game is a simulated fight, and by eluding a punch from
your adversary, you are, well, ‘implicating’!” Professore a Torino, studia con Pareyson
a Torino e con Rescher, Sellars e Thomason a Pittsburgh, dove studia Hegel. Grice: “In Italy, it is not considered
Italian to get your PhD without – not within – Italy. Similarly, at Oxford, you
cannot get your B. A. Lit. Hum. anywhere
else if you want to be regarded as Oxonian. That’s why I never considered B. A.
O. Williams an Oxonian!” -- Noto per i suoi contributi su ‘Vitters,’presenta
diversi risultati, specie riguardo alla semantica. Su questi temi ha pubblicato
“Filosofia e scienza cognitiva (Laterza). Cura con Ferraris la nuova edizione
della Enciclopedia filosofica Garzanti ed è stato presidente della Società
Italiana di Filosofia Analitica. Saggi: “Il mito del linguaggio scientifico” studio
su Vitters, Milano, Mursia, Dizionari e
enciclopedie, Torino, Giappichelli, “L'eredità di Vitters” Roma, Laterza, Lampi
di Stampa; “La competenza lessicale,” Roma, Laterza, “La filosofia del linguaggio.” Da Frege ai giorni
nostri, Torino, Pomba, “Filosofia e scienza cognitiva,”Roma, Laterza, “Per la verità: relativismo e la filosofia,”
Torino, Einaudi, “Verità, menzogna” – Grice: “The etymology is an interesting
one; since menzogna is cognate to my meaning, so Marconi actually means ‘truth’
versus ‘trust’ – or honesty versus dishonesty – seeing that one can ‘lie’ while
asserting a truth – provided the utterer thinks ‘p’ is ‘false’.” Grice: “But
this is a commissioned thing, so it shouldn’t count as it is Marconi discussing
with a priest!” Trento, Il Margine,; “Flosofia e professionismo,” – Grice: “His
implicature, and a right one, too, is that philosophy is a profession, which
reminds me of ‘A Room with a view’: “And what, Sir Cecil, is your profession?”
“I don’t HAVE a profession!” -- On the
other hand, his translation of my ‘metier’ (mestiere) is an interesting one
(The tiger’s métier is to tigerise). Torino, Einaudi,.“La formalizzazione della
dialettica”: Hegel, Marx e la logica,”Torino, Rosenberg); “Guida a Vitters Il
«Tractatus», dal «Tractatus» alle «Ricerche», Matematica, Regole e Linguaggio
privato, Psicologia, Certezza, Forme di vita. Roma, Laterza, Filosofia analitica,
Prospettive teoriche e revisioni storiografiche. Milano, Guerini, Vercelli,
Mercurio, Scritti sulla tolleranza di Locke, Torino, POMBA, Saggi su Marconi, “Il
significato eluso” saggi in onore di Marconi, numero monografico della «Rivista
di estetica», Treccan Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Intervista di M. Herbstritt, Rivista italiana di filosofia analitica,
sito dell'Università degli Studi di Milano. Diego Marconi. Marconi. Keywords:
linguaggio privato, il significato non eluso, alusione ed elusione, eludire,
aludire, l’alusion elusa, l’aluso eluso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marconi”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mariano – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Capua).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mariano: his study of Risorgimento applying the philosophy of history is
brilliant” Fedelissimo allievo di Vera, insegna a Napoli. La sua indagine e prevalentemente orientata verso
l'interpretazione di Hegel. Si colloca insieme a Vera in quella tendenza che
privilegia l'interpretazione sistematica e razionale. Inserì talvolta temi non
strettamente legati al pensiero di Hegel affermando tra l'altro che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione" (Dall'idealismo nuovo a
quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane),
trattando riguardo a ciò che dell'idealismo di Hegel è morto e di ciò che non
può morire", argomento precedentemente trattato da Croce, il quale
risponde aspramente alle argomentazioni proposte da Mariano. “Mariano non ha
mai capito nulla di tutto ciò che vi è di più sostanziale in Hegel come non ha
meditata seriamente nessuna grande filosofia; e (ora si può aggiungere) non ne
ha mai letto le opere. Immaginarsi che il Mariano si afferma hegeliano, mentre
sostiene che la conoscenza non è assoluta; che rimane insuperabile il mistero;
che dio esiste fuori del mondo e sarebbe dio anche senza il mondo; e che la filosofia
deve essere compiuta dalla religione! Insomma, ciò che di Hegel "non può
morire" sarebbe ciò che Hegel non ha mai detto perché affatto indegno
della sua mente altissima.» Si schierò a favore del mantenimento della
pena di morte in un dibattito sul tema, in accordo con iVera (La pena di morte.
Considerazioni in appoggio di Vera Napoli. ), uno dei più autorevoli difensori
del mantenimento di questa pratica. È ancora Croce che commenta con grave
disappunto l'argomento. “Notiamo in ultimo che sempre riecheggiando i vaniloqui
del Vera,Mariano si professa filosofico difensore della pena di morte: come se
la maggiore o minore opportunità di mettere i delinquenti in segregazione
cellulare, o d'impiccarli, ghigliottinarli, garrottarlie impalarli, costituisse
una questione filosofica. Ma Mariano ama tutte le cause generose; e non è da
meravigliare se per esse trascenda persino i limiti della filosofia.» E anche
saggista con un gusto per la "critica della critica"
(cit."Storia Letteraria d'Italia, Volume III, Armando Balduino") –
filosofica -- non trascurando l'arte che annetteva strettamente alla morale.
Rivolse la sua indagine anche al rinascimento con un Saggio biografico critico
su Bruno La vita e l'uomo. Pubblica nche una monografia "apologetica"
di Vera. La sua produzione fu in un secondo momento soprattutto riferita alla
storia, in particolare la storia del cristianesimo e quella delle religioni in
genere, argomenti affini anche alla materia insegnata presso l'università
napoletana. Non sono presenti particolari innovazioni nella sua ricerca, ma fu
uno dei primi a discutere la tesi proposta da Croce riguardo alla riduzione
della storia al concetto di ‘arte. Saggi: “L’Eraclito di Lassalle: saggio
sulla filosofia hegeliana” (Cf. Speranza e ill suo Grice: saggio sulla
pragmatica oxoniense”), “Il Risorgimento
italiano secondo i principi della filosofia della storia,” ““La libertà di coscienza,” Milano, Hoepli, “Vera.”
Saggio critico, Roma, Civelli, “L'individuo e lo Stato nel rapporto sociale.
Milano, Treves, “Il Machiavelli di Villari,
Roma,” Loescher, (cf. “Il Grice dello Speranza”), Leopardi, Roma, Tip. Botta, La
pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera, Napoli. IlCarlo Maria Curci, Milano, Vallardi, Augusto
Vera. Necrologio, «Annuario Napoli», Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel,
«Acc. SMP Napoli. Atti», Biografie del
Machiavelli, 1Arte e religione, Il
brutto e il male nell'arte. Il brutto e il male nel romanzo moderno, Dall'idealismo
nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine
hegeliane, La vita e l'uomo, I rapporti dello stato con la religione, Firenze,
Civelli, Il problema religioso in Italia, Roma, Civelli, La riforma
ecclesiastica in Italia, «Il diritto», Cristianesimo, cattolicesimo e civiltà, Papato
e socialismo ai giorni nostri. Studio, Roma, Artero, Buddismo e cristianesimo, La
Storia è una scienza o un'arte?, «Fanfulla della Domenica», La conversione del
mondo pagano al cristianesimo, Il cristianesimo dei primi secoli. Capua, gli ha
dedicato una strada, sede, tra l'altro, del Banco di Napoli. La Critica.
Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da Croce, Armando Balduino, Storia letteraria
d'ItaliaL'Ottocento, III, Piccin Nuova
Libraria, Piero di Giovanni, Gentile, La filosofia italiana tra idealismo e
anti-idealismo, Milano, cf. Luigi Speranza, “La pragmatica conversazionale: tra
griceianismo e anti-griceianismo.” Franco Angeli, Paolo Malerba, Luciano
Malusa,, sito della Società filosofica italiana
Guido Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Raffaele Mariano. Mariano. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Mariano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marin – l’ottimo precettore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).
Filosofo italiano. Grice: “I like Giovanni Marin; for one, he loved, like I do,
rhetoric – in his own Venetian kind of way!” Nato dal nobile Rosso Marin, studia con
profitto sotto l'insegnamento di Feltre, dal quale apprese la retorica.
Frequenta il ginnasio, presso il quale recita eloquenti orazioni in encomio
agli uomini illustri veneziani. Si laurea a Padova. Ambasciatore della
Repubblica di Venezia presso gli Estensi e quindi presso Firenze. Rosmini, Carlo
de' Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella vita e disciplina di Vittorino
da Feltre e de' suoi discepoli, Rovereto. Giovanni Marin. Marin. Keywords:
l’ottimo precettore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marin” – The Swimming-Pool
Library. /
Grice e
Marliani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mariliani; especially the cavalier way in which he refers to philosophers in
his brilliant “De secta philosophorum.” Austin would say that there possibly
are sects and sub-sects!” Fglio del patrizio milanese Castello Marliani. Studia
a Pavia sotto Pelacani. Entra nel Collegio dei intraprese una carriera
nell'insegnamento della filosofia e astrologia. Attivo a Milano e Pavia. Con l'ascesa della dinastia degli Sforza a
capo del Ducato di Milano, appartenente a una famiglia ghibellina, aumenta il prestigio.
Ottiene la concessione in esenzione dei diritti di sfruttamento delle acque del
Secchia nei pressi di Moglia, nel Mantovano.
Alla morte del duca Francesco Sforza, scrisse una lettera al nuovo duca
Galeazzo Maria Sforza in cui dichiara di essere stato richiesto da molti Studi
in diverse città d'Italia, sperando di poter essere trasferito da Pavia a
Milano e di ricevere un aumento di salario. Il Consiglio segreto di Milano
intercedette presso lo Sforza in favore di Marliani, esaltando la sua fama
anche oltre i confini del Ducato. Il duca Galeazzo Maria, dopo alcuni indugi,
acconsente per conferirgli un'assegnazione annua di 1 000 fiorini, il più alto
salario riconosciuto a chiunque nel Ducato. Sotto la reggenza di Ludovico il
Moro ottenne i dazi di Gallarate e della sua pieve. I suoi studi lo portarono
ad essere tra i più grandi scienziati dell'epoca e riuscì a mettere in
discussione Bradwardine e Sassonia. Nel
suo saggio, “Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati
set de antiperistasis distingue la
temperatura dell'organismo dalla quantità e dalla produzione del calore
naturale del corpo e sostenne che la produzione del calore naturale è più
elevata in inverno che in estate. Si reca a Novara dal conte Gaspare Vimercati,
colpito da problemi respiratori e cura Rinaldo d'Este da una gravissima
malattia che lo colse durante una visita alla corte milanese. Raggiunse i
vertici della propria carriera e presta le sue doti di medico a Federico I
Gonzaga. Le opere del Marliani furono oggetto di studio da Vinci, che lo cita
in diverse occasioni nel suo Codice Atlantico.
Ebbe tre figli: Paolo, Gerolamo e Pietro Antonio, la discendenza del
primo dei quali ottenne all'inizio. Saggi: “Quaestio de caliditate corporum
humanorum tempore hyemis et estati set de antiperistasi,” “Disputatio cum
Iohanne Arculano de materiis ad philosophiam pertinentibus,” “Quaestio de
proportione motuum in velocitate,” “Algebra Algorismus de minutiis,” “De secta
philosophorum,” “Probatio cuiusdam sententiae,” “Calculatoris de motu locali.” Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Marliani.
Marliani. Keywords: implicatura, Vinci. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Marliani e le sette filosofiche” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marotta – Mario l’epicuro – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo italiano. Grice: “I like Marotta; the idea of a library for the
Istituto Italiano per gli studi filosofici’ at Via Monte di Dio, 11, is a geniality!”
Si laurea con il massimo dei voti a Napoli, presentando la tesi, La concezione dello stato in Hegel.” Si
interessa presto di storia, letteratura e filosofia, avvicinandosi dapprima
all'Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Croce, poi fondando
l'associazione Cultura Nuova che diresse organizzando manifestazioni e
conferenze rivolte ai filosofi che richiamarono tutte le più grandi personalità
della cultura Italiana. Incoraggiato
dagli auspici dell'allora Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei
Cerulli, di Piovani e di Carratelli, fonda a Napoli l'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, del quale è Presidente. Donato, all'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, la biblioteca personale, con una dotazione di oltre 300.000
volumi frutto di trent'anni di appassionata ricerca. Per i suoi importantissimi
apporti al mondo della filosofia ha avuto numerosi riconoscimenti da centri di
ricerca e di formazione di rilievo internazionale. Ha vinto la sezione Premio Speciale del Premio
Cimitile. Gli è stata conferita la laurea ad honorem in Filosofia
dall'Bielefeld, dall'Università Erasmus di Rotterdam, dalla Sorbona di Parigi e
dalla Seconda Napoli. All'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato
conferito, nell'aula magna dell'Roma, il Prix International pour la Paix
Jacques Muehlethaler, "Bidone d'Oro" per la cultura del Movimento
artistico culturale "Esasperatismo Logos & Bidone". G. Capaldo, Fondatore
dell’Istituto Studi Filosofici, su Diario Partenopeo, Claudio Piga (cur.), Per
Gerardo Marotta. Scritti editi e inediti raccolti dagli amici di Marotta, Arte
Tipografica, Napoli, Registrazioni di Gerardo Marotta, su Radio Radicale, Cinquantamila
Giorni de Il Corriere della Sera. Gerardo Marotta. Marotta. Keywords: Mario
l’epicuro, il concetto del stato, il risorgimento – la recezione di Hegel in
Italia --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marotta” – The Swimming-Pool Library.
Marramao
– Kairós – apologia del tempo debito – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catanzaro).
Filosofo italiano. Grice: “Surely Marramao’s theory of
time-relative identity is more complex than Myro’s! (Myro never read Heidegeer
and was proud of it, can you believe it! He was born in Russia and studied in the New World – so
that’s understandable!” - Grice: “I like Marramao – he has philosophised on
many things, usually homoerotic: Kairos – the opportune time – and its iconography,
and Jesus against power” Essential Italian philosopher.
Allievo di Garin, si laurea Firenze. Pubblicato Comunismo, laburatismo e revisionismo
in Italia, rintraccia in Gentile la chiave di volta filosofica del comunismo
italiano. Insegna a Napoli. -- è uscito il suo saggio Il politico e le
trasformazioni, nel quale pone a confronto le tematiche del
comunismo/laburismo, con le analisi delle trasformazioni. A partire da “Potere
e secolarizzazione” elabora una teoria simbolica del potere (e del nesso
politica-tempo) incentrata sulla ricostruzione archeologica' dei presupposti
del razionalismo. Fondamentali, nel dibattito politico-culturale e filosofico le
sue collaborazioni a Laboratorio politico e il Centauro. Direttore della
Fondazione Basso-Issoco. Insegna a Roma. Muovendo dallo studio del comunismo italiano
(comunismo e laburatismo e revisionismo in Italia, Austr-omarxismo e socialismo
di sinistra fra le due guerre), analizza le categorie politiche (Potere e
secolarizzazione), proponendone, in dialogo con i francofortesi (Il politico e
le trasformazioni) e con M. Weber (L'ordine disincantato), una ricostruzione
simbolico-genealogica. Nelle forme di organizzazione sociale si depositano
significati che derivano da un processo di secolarizzazione civile di un contenuto
sacro religioso, ossia dalla ri-proposizione in dimensione mondana o secolare dell'orizzonte
sacro simbolico. Il laico o pro-fano ha il suo centro in un processo di
temporalizzazione della storia, in virtù del quale le categorie del tempo (che
traducono l'escatologia in una generica apertura al futuro: progresso, ri-voluzione,
liberazione, etc.) assumono centralità crescente nelle rappresentazioni
politiche. Su queste considerazioni, riprese anche in “Dopo il Leviatano, Passaggio
a Occidente. Filosofia e globalizzazione, La passione del presente, Contro il
potere, si è innestata via via una tematizzazione esplicita del problema della
tempo, che per molti aspetti anticipa sia le tesi oggi in voga intorno all’accelerazione
e al rapporto politica-velocità, sia i temi della svolta spaziale. Contro le
concezioni di Bergson e Heideggeri, che delineano con sfumature diverse una
forma pura della tempo, più originaria rispetto alla sua rappresentazione spaziale,
argomenta l'inscindibilità del nesso spazio-tempo e, richiamandosi tra l'altro
alla fisica, ri-conduce la struttura del tempo a un profilo a-poretico e
impuro, rispetto a cui la dimensione dello spazio costituisce il riferimento
formale per ri-solvere i paradossi. (Minima temporalia, e Kairós. Apologia del
tempo debito. Lectio magistralis. Roma
Tre, Enciclopedia di filosofia, Garzanti libri, Milano. Figure del conflitto.
Studi in onore. a c. di A. Martinengo, Casini,
Roma, D. Antiseri, S. Tagliabue, Storia della filosofia, Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano.
Roma Tre, su host.uniroma3. Video intervista al Festival della Filosofia su
asia. Giacomo Marramao. Marramao. Keywords: Grice – ontological Marxism,
marxismo ontologico, lavoro e essistenza, comunismo, Kairós – apologia del tempo debito, la
filosofia della storia nella antica Roma, storia lineale, storia circolare, l’eterno
retorno nella scuola di Crotone, Gentile, dopo il leviatano, il comune. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Marrameo,"
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Grice e
Marsili – il cimento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Marsili, and the founder of the ‘accademia del cimento.’ ‘Cimento’ you know,
means ‘experiment,’ – only in Florence!” Si laurea a Siena. Insegna a Siena e
Pisa. Conosce Galilei. Dei cimentanti. Le sue convinzioni dichiaratamente lizie
gli impedirono di coglierne lo spirito innovatore. Propone un esperimento per
capire se lo spazio lasciato libero nel tubo barometrico durante l'esperienza di
Ruberti contenesse esalazioni di mercurio. Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro Marsili. Marsili.
Keywords: il cimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marsili” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Martelli –etica e storia: l’assassinio di Giulio Cesare – filosofia italiana –
Luigi Speranza (San Marco in Lamis). Filosofo italiano. Grice: “I like Martelli: he wrote on Croce, Gramsci, and
Nietzsche!” Insegna a Urbino. Prtecipato a lungo alla lotta politica in
formazioni marxiste nate a cavallo del Sessantotto. D Ha diretto il master
interfacoltà «Management etico e Governance delle Organizzazioni». Collabora
con MicroMega (periodico). I suoi studi
si sono concentrati su Nietzsche, Gramsci, e di numerosi autori del Novecento,
affrontando alcune tra le più dibattute vicende e problematiche
filosofico-politiche dell'ultimo secolo. Si è occupato di temi di forte
attualità, elaborando l'idea di una filosofia volta ad una critica radicale del
dogmatismo e del fondamentalismo religioso e in generale di ogni forma di
assolutismo che minacci la libertà di pensiero, i diritti civili, le
istituzioni democratiche e la pace tra i popoli. Il suo aimpegno di saggista è
rivolto in particolare alla difesa della laicità, contro l'interventismo
politico delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane. Saggi: “La felicità e i
suoi nemici: apologia dell'agnosticismo,” Manifesto, “Il laico impertinente: laicità
e democrazia nella crisi italiana,” Manifesto, “La Chiesa è compatibile con la democrazia?”
Manifestolibri, “Italy, Vatican State, Fazi, “Quando Dio entra in politica, Fazi,
Senza dogmi. L'antifilosofia di Papa Ratzinger, Editori riuniti, Teologia del
terrore. Filosofia, religione, politica dopo l'11 settembre, Manifesto, Il
secolo del male. Riflessioni sul Novecento, Manifesto, Etica e storia. Croce e
Gramsci a confronto, La città del sole, I filosofi e l'Urss. Per una critica
del «Socialismo reale», La città del sole, Gramsci filosofo della politica,
Unicopli, Nietzsche inattuale, Quattroventi, Filosofia e società in Nietzsche,
Quattroventi, Urbino "Carlo Bo" Antonio Gramsci Friedrich Nietzsche
Laicità Il laico impertinente: il blog
di Michele Martelli, su michelemartelli.blogspot.com. Michele Martelli. Martelli.
Keywords: l’assassinio di Giulio Cesare, il laico, la religione civile
dell’antica roma -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martelli” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Martinetti –I veliani e l’amore alcibiadico – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pont Canavese). Filosofo italiano. Grice: “I like Martinetti; he wrote about eros, or as the Italians
call it, ‘amore,’ – a different root from cupidus, too! He edited a platonic
anthology.” “He also has a strange treatise on ‘the number’ which post-dates
Frege!” -- «Di sé soleva dire di essere un neoplatonico trasmigrato troppo
presto nel nostro secolo» (Cesare Goretti). Professore di filosofia, si
distinse per essere stato l'unico filosofo che rifiutò di prestare il
giuramento di fedeltà al Fascismo. Fu il primo dei quattro figli (tre
maschi e una femmina, senza contare una bambina che morì piccolissima)
dell'avvocato Francesco Martinetti e di Rosalia Bertogliatti. Studi Dopo aver
frequentato il Liceo classico Carlo Botta di Ivrea, si iscrisse a Torino, dove
ebbe come insegnanti Allievo, Bobba, Ercole,
Flechia e Graf, laureandosi con una tesi, “Il Sistema Sankhya: un Studio sulla
filosofia nell’India” discussa con Ercole, docente di filosofia teoretica, pubblicata
a Torino da Lattes e, grazie
all'interessamento di Allievo, risulta vincitrice del Premio Gautieri.
Dopo la laurea Martinetti fece un soggiorno di due semestri presso l'Lipsia,
dove poté venire a conoscenza del fondamentale studio di Garbe sulla filosofia
Sāṃkhya da poco pubblicato. Si può dunque "ipotizzare che tra gli scopi
del viaggio vi fosse anzitutto quello di approfondire gli studi dell’India,
iniziati a Torino con Flechia e 'Ercole."
L'insegnamento Martinetti insegnò dapprima filosofia nei licei di Avellino,
Correggio, Vigevano, Ivrea, e per finire al Liceo Alfieri di Torino. Compone la
monumentale “Introduzione alla metafisica” e “Teoria della conoscenza”, ch
edopo che consegue la libera docenza in
Filosofia teoretica all'Torino gli valse di vincere il concorso per le cattedre
di filosofia teoretica e morale dell'Accademia scientifico-letteraria di Milano
(che diventa Regia Università degli Studî) nella quale insegna. Divenne socio
corrispondente della classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze
e lettere, fondato da Napoleone sul modello dell'Institut de France.
Il rifiuto della politica e la critica della guerra Martinetti fu una singolare
figura di intellettuale indipendente, estraneo alla tradizione cattolica come
ai contrasti politici che viziarono il suo tempo, non aderì né al Manifesto
degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli intellettuali
antifascisti di Croce. Fu uno dei rari intellettuali che criticarono la prima
guerra mondiale; scrisse infatti che la guerra è «sovvertitrice degli ordini
sociali pratici ed un'inversione di tutti i valori morali dà un primato
effettivo alla casta militare che è sia intellettualmente sia moralmente
l'ultima di tutte subordinando ad essa le parti migliori della nazione strappa
gli uomini ai loro focolari e li getta in mezzo ad una vita fatta di ozio, di
violenze e di dissolutezze. In seguito a quelle che qualifica di circostanze
pesantissime -- la marcia su Roma e la successiva nomina di Mussolini a
presidente del Consiglio -- rifiuta la nomina a socio corrispondente dei reali
lincei. Mentre nelle sue lezioni sviluppa un sistema di filosofia della
religione, inaugura a Milano una Società di studi filosofici, formata da un
gruppo di amici in piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico dove
si riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e in cui
organizzò una serie di conferenze. Le prime conferenze furono tenute da Banfi e
da Fossati oltre che, naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni,
riunite sotto il titolo comune di “Il compito della filosofia nell'ora
presente” segnano la sua rottura con Gentile. In seguito ad una denuncia per vilipendio
della eucaristia» presentata a Mangiagalli, dove sottoscrivere un memoriale in
difesa dei propri corsi sulla filosofia della religione. Incaricato dalla
Società filosofica italiana, organizza e presiedette il congresso di filosofia.
L'evento e sospeso dopo solo due giorni da Mangiagalli a causa di
agitator. Il congresso e poi chiuso
d'imperio dal questore. Da un lato incise l'opposizione di A. Gemelli,
fondatore dell'Università Cattolica, che fac parte del Comitato organizzatore
(quale rappresentante dell'Università Cattolica) ma che, per scelta di Martinetti,
non era tra i relatori. Dall'altro lato la partecipazione, fortemente voluta da
Martinetti, di Buonaiuti, scomunicato "expresse vitandus" dal
Sant'Uffizio, dette ai filosofi cattolici neoscolastici la scusa per ritirarsi
dal congress. Le minute cronache del congresso hanno già messo in luce come
Martinetti nell'assolvere al compito di organizzatore dell'incontro, assunto
con una apparente riluttanza, operasse assai poco da ingenuo filosofo fuori dal
mondo. Al contrario, ricorrendo a una certa qual abile ruse egli mise assieme
un programma che costituiva quanto di più ostico potesse risultare ai palati
dei cattolici fascisti sia dei filosofi di regime. Martinetti firma con Goretti
(segretario del Congresso) una lettera di protesta al rettore Mangiagalli:
«Compiamo il dovere d'informarla che conforme al suo ordine il congresso si è
sciolto senza incidenti. Sciogliendosi ha votato all'unanimità il seguente
ordine del giorno di protesta: Il Congresso della Società filosofica italiana
riunito in Milano: avuta comunicazione che è stato rivolto alla Presidenza un
invito superiore achiudere i lavori del Congresso. Protesta in nome della
libertà degli studi e della tradizione italiana contro un atto di violenza che
impedisce l'esercizio della discussione filosofica ed invano pretende di
vincolare la vita del pensiero.» Martinetti fu il direttore della Rivista
di filosofia, ma per prudenza il suo nome non vi comparve mai come tale. Tra i
collaboratori della rivista vi furono: Ennio Carando, Bobbio, Geymonat, Fossati (che ufficialmente ne era il direttore
responsabile), Solari, Levi, Grasselli, e Goretti.. Quando il ministro dell'educazione
Giuliano impose ai professori il
Giuramento di fedeltà al Fascismo, Martinetti fu uno dei pochi a rifiutare fin
dal primo momento: “Eccellenza! Ieri sono stato chiamato dal Rettore di
questa Università che mi ha comunicato le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto,
con squisita gentilezza, le considerazioni più persuasive. Sono addolorato di
non poter rispondere con un atto di obbedienza. Per prestare il giuramento
richiesto dovrei tenere in nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie
convinzioni morali più profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato
il giuramento richiesto quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia
condotta di funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede,
perché esso vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza. Ho sempre diretta
la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho
mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di
subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho
sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto
che l'uomo può avere nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a
qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio.
Ora col giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie
convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita; l'E.V. riconoscerà che
questo non è possibile. Con questo non intendo affatto declinare
qualunque eventuale conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che
l'E.V. mi abbia dato la possibilità di mettere in chiaro che essa procede non
da una disposizione ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare
contro ai principî che hanno retto tutta la mia vita. Dell'E.V. dev.mo
Dr.” In una lettera a Guido Cagnola scrive: «Ella ora saprà che io sono
uno degli undici (su 1225 professori universitari! ne arrossisco ancora) che
hanno rifiutato il giuramento di fedeltà e che perciò sono stati o saranno fra
breve espulsi dall'università. Mi consolo d'essere in buona compagnia: Ruffini,
Carrara, De Sanctis, Vida, Volterra, Buonaiuti e qualche altro. Mi rincresce
non tanto la cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e si faccia
rumore intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto impossibile
quanto una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento. E in un'altra
lettera ad Adelchi Baratono. Io non ho voluto giurare (e così credo molti degli
undici) per un motivo religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose
della terra: dove sta per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste e
annuncia oscuramente un avvenire triste per tutti, anche per i
persecutori.» Come scrive al proposito Fabio Minazzi: «Martinetti
ha infine opposto un netto rifiuto a sottostare al giuramento preteso e voluto
dalla dittatura da tutti i docenti universitari italiani. Giustamente occorre
sempre sottrarre, criticamente, questo straordinario gesto martinettiano,
invero assai emblematico, da ogni ottundente e vacua retorica antifascista,
onde comprenderlo in tutta la sua genesi specifica. Nel caso di Martinetti non
può allora essere certamente negato, in sintonia con Alessio, il carattere
dichiaratamente religioso di questa sua scelta che, non per nulla, lo ha infine
indotto ad essere l'unico filosofo italiano universitario che ha avuto
l'incredibile capacità critica di sottrarsi nettamente e senza compromessi all'imposizione
del regime. In questa prospettiva Martinetti non ha giurato proprio perché
nutriva una particolare percezione critica dello stesso "giuramento"
in connessione con i suoi più profondi convincimenti morali che avevano
peraltro guidato tutta la sua attività di filosofo. Tuttavia, nel riconoscere
questa precisa matrice religiosa della sua scelta, non deve essere neppure
negato il suo specifico valore e il suo preciso significato civile, culturale e
anche filosofico.» Scrive in proposito Amedeo Vigorelli. Una
certaretorica resistenziale si è impadronita anche di Martinetti, impedendo un
approfondimento più serio e radicale dei tratti originali del suo antifascism0.
L'atto di Martinetti non era cioè solo
un monito contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro ogni
forma di politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo connubio fra
religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa e premessa
di forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di coscienza, non
sempre si ama ricordare che l'avversione di Martinetti al fascismo era innanzi
tutto avversione a ogni forma di retorica nazionalistica, ma anche
all'esaltazione demagogica delle masse popolari. Prima che della dittatura,
Martinetti fu critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e della
democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e
dell'ultraparlamentarismo» In seguito a questo suo rifiuto, Martinetti
venne messo in pensione d'autorità e si
dedicò unicamente agli studi personali di filosofia, ritirandosi nella villa di
Spineto, frazione di Castellamonte, vicino al suo paese di nascita. In questo
lasso di tempo tradusse i suoi classici preferiti (Kant, Schopenhauer), studiò
approfonditamente Spinoza e ultimò la trilogia (iniziata con la Introduzione
alla metafisica e continuata con La
libertà) scrivendo Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo è del 1936;
Ragione e fede. Martinetti propose come suoi successori a Milano Baratono
e Banfi. Lontano da ogni forma di
impegno politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che
delle degenerazioni del parlamentarismo, prese ad annotare minuziosamente sul
suo diario gli episodi di corruzione e di violenza in cui erano coinvolti
esponenti fascisti. così ad esempio a fronte di una serie di scandali annotava
"è dunque l'associaz[ione] dei malviventi d'Italia!" Come persuadersi
che uno stato senza leggi, senza traccia di onestà pubblica, sostenuto soltanto
dal terrore che desta nel popolo inerme un'organizzazione di ribaldi messa al
servizio del despota, odiata da tutte le rette coscienze, disprezzata dagli intelligenti
possa resistere, senza condurre il popolo che lo soffre all'estrema rovina? Si
scagliava nei suoi appunti contro il dispotismo che accomunava socialismo
marxista e fascismo: "Tutto deve servire alla propaganda e alla educazione
di stato. Non vi è più libertà di pensiero, non vi è più pensiero". A
questo proposito Amedeo Vigorelli evidenzia «il valore pedagogico, di educazione alla
libertà, che l'esempio morale di Martinetti ebbe per quella generazione di
intellettuali antifacisti, che trovò negli anni Trenta un decisivo punto di
riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui informalmente diretta»
L'arresto e il carcere Martinetti fu arrestato in casa di Gioele Solari,
dov'era ospite, in seguito a una delazione fatta da Pitigrilli (Dino Segre),
agente dell'OVRA (delazione che porterà all'arresto e alla condanna al confino
di Antonicelli, Einaudi, Foa, Giua, Levi,
Mila, Monti, Pavese, Zini e di due studenti, Cavallera e Perelli, e
all'ammonizione di Bobbio), e fu incarcerato a Torino per sospetta connivenza
con gli attivisti antifascisti di Giustizia e Libertà, benché fosse del tutto
estraneo alla congiura antifascista degli intellettuali che facevano riferimento
alla casa editrice Einaudi. Al momento dell'arresto, a detta della
signora Solari, Martinetti disse una frase che aveva già sentito
pronunciargli più volte: "Io sono un cittadino europeo, nato per combinazione
in Italia". Il suo declino fisico cominciò in seguito a una trombosi che
menomò le sue capacità mentali, consecutiva ad una caduta accidentale da un
pero nella tenuta di Spineto. Alla fine ubì una prima operazione alla prostata.
La sorella Teresa scriveva a Cagnola: "Il Professore è da oltre un mese
degente in quest'ospedale, ove venne d'urgenza trasportato ed operato in
seguito ad intossicamento urico grave. L'intervento chirurgico avviene in
questo caso in due tempi: operazione preliminare alla vescica, per ovviare
immediatamente alla causa diretta dell'intossicamento, e susseguente operazione
alla prostata che ne è la causa originale. La prima operazione già venne
effettuata e con buon esito, e l'operatore non attende che il tempo opportuno
per procedere alla seconda."[ Martinetti fu ricoverato all'ospedale
Molinette di Torino, sfollato a Cuorgnè, dove morì, dopo aver disposto che nessun prete
intervenisse con alcun segno sul suo corpo. Nonostante "l'invito del parroco di
Spineto di non dare onore alla salma dell'eretico, ateo e scandaloso anche
nella morte perché aveva disposto di essere cremato" una decina di persone
seguirono l'autofurgone che portò il corpo di Martinetti alla stazione, da dove
partì in treno per Torino, per la cremazione. In prossimità della morte Martinetti
lascia la sua biblioteca in legato a Nina Ruffini (nipote di F. Ruffini), G.
Solari e Cesare Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi
alla "Fondazione Piero Martinetti per gli studi di storia filosofica e
religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del Rettorato alla Biblioteca
della Facoltà di Filosofia. La sua casa di Spineto è attualmente sede
della "Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti", che intende
promuovere la diffusione del suo pensiero e della sua operae. FiLa
filosofia di Martinetti è un'interpretazione originale dell'idealismo
post-kantiano, nella linea dell'idealismo razionalistico trascendente che va da
Platone a Kant, nel senso di un dualismo panteista trascendente,
un'interpretazione che lo avvicina a quel post-kantiano atipico che fu Spir, il
quale (ancor più di Kant, Schopenhauer o Spinoza) fu il filosofo preferito di
Martinetti, quello a cui fu più particolarmente legato, sulquale scrisse molti
studi e un denso saggio monografico e al
quale fece consacrare il terzo numero della Rivista di filosofia, filosofo che
fu come lui profondamente inattuale. Professò una altissima stima per
l'opera di questo solitario filosofo, tanto da considerarla "immortale: in
essa infatti vede un tentativo d'un rinnovamento speculativo-religioso di tutta
la filosofia. Il carattere speculativo
dell'interpretazione d iMartinetti dipese da particolarissime circostanze. La
speculazione di Spir esercitò sul pensiero suo un influsso profondo sin dagli
inizi; e anche nella costruzione dell'idealismo trascendente diMartinetti la
speculazione di A. Spir rivestì un peso pressoché decisivo. Oltre che in Kant,
in Schopenhauer e in Spinoza, le radici e la linfa dell'idealismo diMartinetti
si trovano nella speculazione di A. Spir. In nessun altro pensatore A. Spir
occupò tanto spazio ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte, senza perdere la
configurazione sua propria, il pensiero di Spir viene trasposto da Martinetti entro
la sua propria filosofia, riferito in modo diretto al suo proprio pensiero,
così intimamente consonante con quello di Spir e cresciuto, per così dire,
anche su di esso. Proprio questo condusseMartinetti a penetrare e nell'atto
stesso a svolgere in armonia con il proprio il pensiero di A. Spir e questo si
trova come penetrato e attraversato da quello diMartinetti. In nessun altro
pensatore A. Spir fu tanto intimamente valorizzato e, in qualche misura,
continuato in ciò che della sua speculazione parve propriamente essenziale. La
lettura di Martinetti insiste sul nucleo metafisico di Spir, che gli pare
incarnare "la forma pura della visione religiosa". L'affermazione
fondamentale, in cui per Martinetti si riassume tutta la filosofia dello Spir,
è quella della dualità fondamentale tra il vero esserel'Unità incondizionata,
assoluta e trascendente in cui si esprime il divinoe l'essere apparente e
molteplice rivelato dal mondo dell'esperienza. L'approccio alla rivelazione di
tale realtà dualista mediante la teoria della conoscenza (l'idealismo
gnoseologico di Spir) non è che premessa e introduzione all'autentico nucleo
metafisico della sua filosofia, consistente in una forma di dualismo acosmista.
Il dualismo di realtà e apparenza è in effetti esso stesso apparente: "non
è fra due effettive realtà, ma fra un'unica realtà assoluta e l'irrealtà in cui
il mondo sprofonda."» Si può così dire che in Martinetti: «il motivo
desunto probabilmente da Spir, il contrasto tra "anormale" (il mondo
dell'esperienza empirico e molteplice) e "norma" (il principio
d'identità, rivelazione incoativa del divino in noi) si spoglia qui
dell'originario aspetto dualista per confluire in una visione coerentemente
monista dell'esperienza di coscienza. Monismo coscienzialista, quello martinettiano,
che non sfocia però in una forma di panteismo, in quanto il termine finale di
questa unificazione formale rimane trascendente. L'unica realtà metafisica
assolutasi afferma in conclusioneè l'"Unità formale assoluta", che
trascende l'intero processo dell'esperienza, che di tale unità è solo
un'espressione simbolica.» Della filosofia di Spir, Martinetti mantenne
sostanzialmente inalterata la morale, di derivazione kantiana, aveva d'altronde
dichiarato che dopo Kant nessun filosofo serio può non essere in Etica
"kantiano. L'intero percorso del pensiero martinettiano parte dal suo
anticlericalismo", e aggiunge: "la natura del suo anticlericalismo lo
portava a detestare la Massoneria. Ripetutamente mi disse di non essere mai
stato massone, di essere anzi assolutamente contrario a questa Chiesa cattolica
di segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo l'ha portato ad un
antimarxismo, il marxismo essendo "secondo i termini in cui egli si
sarebbe espresso, la massima secolarizzazione concepibile della religione".
E Del Noce conclude: "Ora a mio giudizio il pensiero di Martinetti si
situa appunto come momento conclusivo del pessimismo religioso e come la sua
posizione più coerente e rigorosa. L'antologia Il Vangeloscrive Martinetti «lasciando
da parte l'elemento leggendario e dogmatico, cerca di disporre il materiale
evangelico nell'ordine logicamente più appropriato. Tutto quello che i vangeli
contengono di essenziale per la nostra coscienza religiosa è stato qui
conservato.» Il risultato di questo ordinamento logico è l'espunzionein
quanto elaborazione teologica successiva ai lòghia di Gesù o ancora propria
all'ebraismo da cui Gesù stesso non è immunedel Vangelo di Giovanni, degli Atti
degli Apostoli, delle Lettere (anche le Lettere di Paolo) e dell'Apocalisse.
Gesù di Nazaret, e non di Betlemme, è un profeta ebraico, l'ultimo e il più
grande dei profeti. Non quindi Figlio di Dio, nemmeno resuscitato dalla morte,
né apparso realmente ai suoi, Gesù in quanto Messia annuncia un regno
messianico a cui succederebbe escatologicamente il regno dei cieli, quello di
Dio. Tuttavia non chiarendo tale avvento escatologico, di fatto Gesù è
soprattutto un maestro di dottrina morale che esorta a rinunciare al mondo per
unirsi spiritualmente e interiormente a Dio, il bene supremo, amando il
prossimo. Per Martinetti bisogna aspirare ad una "Chiesa
invisibile", in cui si possano compendiare i valori moralmente più elevati
di tutte le culture religiose, dando vita così ad una società universale
fraternamenteunita, egli scrive: «In tutti i tempi, ma specialmente nelle
età come la nostra, la vera Chiesa non risiede in alcuna delle chiese visibili
che ci offrono il triste spettacolo dei loro dissensi, ma nell'unione
invisibile di tutte le anime sincere che si sono purificate dall'egoismo
naturale e nel culto della carità e della giustizia hanno avuto la rivelazione
della verità e la promessa della vita eterna» Gesù Cristo e il
Cristianesimo fu messo sotto sequestro dalla Prefettura non appena stampato, come Martinetti scrive a Guido Cagnola:
«Il mio libro venne terminato di stampare il 2 agosto e in tale giorno furono
mandati i 3 es.[emplari] al Prefetto. Il 3 di mattina venne il permesso; alle
17 dello stesso giorno esso era ritirato. Per quali influenze? Io non lo so.
Così il libro stette due mesi in sospeso: il 10 ottobre giunse (da Roma) il
decreto definitivo di sequestro.» Con decreto, “Gesù Cristo e il
Cristianesimo, Il Vangelo” e Ragione e fede furono messi all'Indice dei libri
proibiti della Chiesa cattolica. La rinascita del pensiero filosofico-religioso
martinettiano scaturisce alla fine degli anni novanta del secolo scorso in
virtù della rinnovata proposta ermeneutica di Chiara che cura l'inedito L'Amore,
Il Vangelo (Genova) e Pietà verso gli animali (Genova); in particolare l'interpretazione
elaborata da Chiara mette in luce gli aspetti gnostici della filosofia della
religione martinettiana per poi proporne una rilettura in chiave kantiana anche
attraverso un confronto con alcune sette separatiste vicine alla tradizione
spirituale dei quaccheri. Capitini rese visita a Martinetti, che a
proposito della nonviolenza gli disse: "Forse se discutessi con lei mi
convincerei, ma ora come ora le assicuro che se mi fosse detto che con
l'uccisione di diecimila persone si estirperebbe il male che c'è in Europa,
firmerei la sentenza senza esitazione." Negli scritti La psiche degli animali e Pietà
verso gli animali, Martinetti sostiene che gli animali, così come gli esseri
umani, possiedono intelletto e coscienza, quindi l'etica non deve limitarsi
alla regolazione dei rapporti infraumani, ma deve estendersi a ricercare il
benessere e la felicità anche per tutte quelle forme di vita senzienti (cioè
provviste di un sistema nervoso) che come l'uomo sono in grado di provare gioia
e dolore: «Nella relazione sulla psiche degli animali Martinetti tra
l'altro affronta il problema dello scandalo morale suscitato dall'indifferenza
delle grandi religioni positive occidentali di fronte all'inaudita sofferenza degli
animali provocata dagli uomini: gli animali hanno una forma dell'intelligenza e
della ragione, sono esseri affini a noi, possiamo leggere nei loro occhi
l'unità profonda che ad essi ci lega. Martinetti cita le prove di intelligenza che
sanno dare animali come cani e cavalli, ma anche la stupefacente capacità
organizzativa delle formiche e di altri piccoli insetti, che l'uomo ha il
dovere di rispettare, prestando attenzione a non distruggere ciò che la natura
costruisce. Nel proprio testamento dispose che una somma significativa
fosse versata alla Società Protettrice degli Animali; egli personalmente
nutriva per gli animali una profonda pietà e tale sentimento lo aveva persuaso
a darsi al vegetarismo, una scelta che assumeva per lui quasi il carattere di
un valore religioso. Scrive al proposito Amedeo Vigorelli: «La
scelta del vegetarianesimo non era "generica simpatia, e neppure un ideale
politico, bensì meditato atteggiamento filosofico", da porsi in relazione
sia con la sua profonda conoscenza della filosofia indiana sia con convinzioni
radicate in una personale metafisica, sulla "unicità" della sostanza
vivente e sul destino di "perennità" dello spirito.[67]» La
scelta della cremazione Martinetti fu un fautore della cremazione e una
testimonianza "ci dice come Martinetti portasse sempre con sé, in una busta,
le ceneri di sua madre."Secondo Paviolo, "Per i Martinetti la
cremazione era una specie di tradizione familiare e la cosa appare strana in
quei tempi nei quali, specie nei piccoli centri era pressoché ignota a tutti, e
oggetto di scandalo per il gran rumore che, in questi casi, ne facevano i
parroci." Non è però da escludere, nel caso preciso di Piero Martinetti,
che questa scelta, come quella del vegetarianesimo, avesse anche una relazione
con il suo interesse per la filosofia indiana, e dunque un valore filosofico e
religioso. I suoi resti sono tumulati nel cimitero di Castellamonte in
provincia di Torino. Opere: Una " martinettiana"
C. Ferronato si trova nel fascicolo speciale della Rivista di Filosofia
Pietro Rossi: nel cinquantenario della morte, Dopo questa data, di Martinetti
sono stati pubblicati. “Ragione e fede, Italo Sciuto, Gallone, Milano, Luca
Natali, Morcelliana, Brescia,. Il Vangelo, Alessandro Di Chiara, il nuovo
melangolo, Genova, L'amore, Alessandro
Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “Pietà verso gli animali” Alessandro Di
Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “La religione di Spinoza” Amedeo Vigorelli, Ghibli, Milano, “La Libertà” Aragno, Torino, Schopenhauer,
Mirko Fontemaggi, Il nuovo Melangolo, Genova, “Breviario spiritual” Anacleto
Verrecchia, POMBA, Torino, “L'educazione della volontà” Domenico Dario
Curtotti, Edizioni clandestine, Marina di Massa, “Conoscenza in Kant” Luca Natali, Franco Angeli, Milano, Pier
Giorgio Zunino, Piero Martinetti, “Lettere”, Firenze, Olschki, “Gesù Cristo e
il Cristianesimo” Castelvecchi, Roma,; edizione critica Luca Natali,
introduzione di Giovanni Filoramo, Morcelliana, Brescia, “Il Vangelo:
un'interpretazione” Castelvecchi, Roma,
“Spinoza, Etica, esposizione e comment”, Castelvecchi, Roma,. Il numero,
introduzione di Niccolò Argentieri, Castelvecchi, Roma, Luca Natali, Le carte di Piero Martinetti, Firenze,
Olschki, “Spinoza” Francesco Saverio Festa, Castelvecchi, Roma,. Riconoscimenti
Nella seduta del Senato Accademico dell’Università degli Studi di Milano del 19
settembre, è stata approvata ufficialmente la decisione del Dipartimento di
Filosofia di intitolarsi alla figura di Piero Martinetti.La città di Roma gli
ha intitolato una piazza il 27 gennaio, nel Giorno della Memoria. A Milano
Martinetti figura tra i nuovi Giusti che saranno onorati al Monte Stella dal
" nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. Cesare Goretti, "Piero
Martinetti", Archivio della Cultura Italiana 1943, f. I81. Simonetta Fiori, I professori che dissero
"NO" al Duce, in La Repubblica,
«Ebbe molta influenza sulla scelta che Martinetti fece di iscriversi
alla facoltà di Filosofia, fu suo professore, ma non un Maestro. Scrisse di lui
Martinetti: "Era un uomo; quando andai a visitarlo l'ultima volta, pochi
giorni prima della sua morte, mi disse di avere un'unica certezza, che dopo
questa vita non c'è nulla. Le mie idee erano assolutamente opposte alle sue, su
questo come su tutti gli altri punti. Ma non potei non ammirare la fermezza
delle sue convinzioni"»: Paviolo.
«che morì proprio durante l'iter scolastico di Martinetti ma che ebbe
con lui, forse per la comune origine canavesana, un particolare rapporto»:
Paviolo 2 «Di una reale affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si
può parlare forse solo in un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e
pessimismo si può trovare qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui
poesia, piena di dolente (e a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti
tornerà anche negli anni maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto
spirituale. Più documentata è l'influenza sul giovane Martinetti di un'altra
singolare figura di poeta-filosofo: quel Pietro Ceretti da Intra (noto anche
con lo pseudonimo poetico di Alessandro Goreni e con quello di Theophilo
Eleuthero), alla cui postuma riscoperta si adoperarono intensamente Ercole e Alemanni,
nell'ultimo decennio del secolo scorso e ai primi del nostro. Nel breve verbale
relativo all'esame di laurea (qui il laureando è indicato come Pietro
Martinetti) si dice semplicemente che il candidato ha sostenuto durante
quaranta minuti innanzi alla commissione la disputa prescritta, sopra la
dissertazione da lui presentata e sopra le tesi annesse alla medesima; e ha
sostenuto anche la prova pratica assegnatagli dalla Commissione. La tesi
ottenne la votazione di 99/110. Il lavoro di tesi non ebbe, come noto, il
riconoscimento che meritavaanche a motivo di certe resistenze accademiche nel
settore filologico della Torino e forse per questo lo studioso sentì il bisogno
di attingere direttamente alle fonti dell'erudizione tedesca, fuori dal chiuso
ambiente provinciale. Del resto il suo intent e più filosofico che filologico, e la prima
suggestione a interessarsi del “Samkhya” poté venirgli, piuttosto che dalle
lezioni di Flechia, dalla conversazione con Ercole. Proprio del Samkhya, Ercole
si era interessato alcuni anni primi in una breve Memoria uscita sulla Rivista
Italiana di Filosofia diretta da Ferr. Di suo interesse costante per la
filosofia indiana testimonia il corso di lezioni tenuto a Milano e pubblicato a
Milano da Celuc, “La sapienza indiana. Corredata da un'antologia di testi Indù
e Buddhisti. Ma è antefatto significativo, giacché lascia intravedere ancora
una volta, questa volta sotto il rispetto particolare dei suoi primi contatti
coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a Lipsia nella sua formazione
filosofica. Nella Lipsia conosciuta da lui sopravvive Drobitsch, lil maestro
herbartiano di Spir e dalla sua Lipsia si diffondevano le edizioni di A. Spir
entro il moto allora nascente in Germania dell'interesse per la filosofia sua. Il
pensiero di Spir, Torino, Albert Meynier. Anno che fu per lui particolarmente duro, vedi
Lettere ai famigliari dalla Siberia dell'Italia meridionale", F. Minazzi,
Il Protagora, Lettere. Prima che della dittatura fascista, e critico
altrettanto risoluto del comunismo e della democrazia, di cui colse gli aspetti
degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo. Non si vede in chi e
in che cosa un uomo come lui che, per sua scelta culturale ma anche per
disposizione personale, agiva in modo disgiunto da ogni partito, movimento,
gruppo avrebbe pouto trovare un legame per immettersi in un flusso di attivo
anti-fascismo. Tra dittatura e inquisizione negli anni del Fascismo", in Lettere,
Firenze. Ringrazio la S.V. Ill.ma della cortese partecipazione e la prego di
esprimere la mia profonda gratitudine ai membri di codesta R. Accademia che
hanno voluto conferirmi un sì ambito onore. Ma circostanze pesantissime, sulle
quali non è il caso di [parola illeggibile] mi vietano nel modo più reciso
di poterlo accettare»: Lettera al presidente dei Lincei, e a L. Mangiagalli. Il
Congresso non ha altro fine che di essere una manifestazione della filosofia
italiana in quanto libera e appartata da ogni contingenza del momento: come
deve essere in qualunque tempo la filosofia. A T. Scotti. Che accusò
Martinetti, ricambiato, di disonestà intellettuale nel riguardo della filosofia
scolastica, cf. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il
regime fascista, Firenze. Per Martinetti. Padre Gemelli è tutto fuorché un
filosofo. Varisco, in: Lettere 33. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti
universitari e il regime fascista, Firenze, Il congresso di filosofia. Tutto
l'affare è una montatura (come del resto anche il ritiro dei cattolici dal
Congresso), la quale ha la sua origine nel fatto che io non ho permesso a Gemelli
di spadroneggiare nel Congresso e di prepararvi qualcuna delle sue
rappresentazioni ciarlatanesche. A B. Varisco, a C. Goretti a L. Mangiagalli. Quando
Martinetti, con il rifiuto del giuramento di fedeltà al fascismo, abbandona
l'insegnamento non rinuncia a quegli incarichi o a quelle adesioni che non
erano a tale giuramento connesse: guarda di non compromettere quella sua
creatura che era diventata La Rivista di Filosofia e non ne volle la direzione
effettiva ma continua l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a
che le sue condizioni di salute glielo permisero. Giuliano, Cagnola,
Baratono, Assael, Alle origini della Scuola di Milano: Barié, Banfi,
Milano. Ella già saprà certamente che io, in seguito all'affare del negato
giuramento, sono stato collocato a riposo. Non appartengo quindi più all'Milano
e non posso più esserle utile che indirettamente»: a C. Gadda, 17 marzo 1932,
in: Lettere 114. «del resto io sono
perfettamente sereno come chi ha fatto ciò che doveva fare: e non mi sarà
discaro poter d'ora innanzi applicare tutto il mio tempo ai miei studi, cioè
agli studi veramente miei, fatti per mè, per la mia personalità e la mia vita»:
Lettera n. 110, Piero Martinetti a Vittorio Enzo Alfieri, Sulla cui porta fece
mettere un'indicazione che diceva: "Piero Martinettiagricoltore":
Paviolo«Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che
fossi tu a succedermi. In questo senso ho scritto, "richiesto da
Castiglioni stesso", che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui
e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la
Storia della Filosofia. A A. Baratono, Nel
registro di entrata delle Carceri Nuove di Torino egli è l'unico che nella
scheda personale si faccia registrare, nell'apposita voce, come
"ateo", mentre tutti gli altri non di religione israelitica (ossia
Bobbio, Einaudi, Pavese, Antonicelli, Salvatorelli e così via) si dichiarano
"cattolici"alcune schede, peraltro, tra cui quella di Mila, sono
andate perse (il registro è conservato all'Archivio di Stato di Torino, sezioni
riunite, Casa circondariale di Torino, Registro matricole)", in: Lettere. "Martinetti veniva rinchiuso in una
cella sulla cui porta veniva apposto il cartellino "Politico: sorveglianza
particolare". Il giorno successivo cominciavano gli interrogatori che si
ripetevano finché dopo alcuni giorni d'arresto il Martinetti veniva finalmente
scarcerato.", Giorda, Martinetti, Castellamonte, «Devo darle una notizia
terrificante, relativamente. Lunedì passato 8 corrente sono caduto malamente da
una pianta, per fortuna senza gravi conseguenze di nessuna specie, salvo un
leggero tramortimento durato qualche ora»: Lettera n. 241, PMartinetti a Nina
Ruffini, in: Lettere 2Cit. in: Lettere 245.
«Si può comunque, in base a testimonianze diverse, ritenere che
Martinetti sia deceduto all'Ospedale Molinette sfollato a Cuorgnè, ove si tentò
inutilmente di salvarlo e che il corpo sia stato immediatamente trasferito
(abitudine che rimase in uso per decenni in circostanze analoghe) alla casa
d'abitazione, per evitare lungaggini burocratiche e maggiori spese funerarie. L'atto di morte recita: " il g alle ore
quattro e minuti zero, nella casa posta in frazione Spineto n. 106 è morto
Martinetti Piero, anni 70, residente in Torino, professore pensionato"»:
Paviolo. Paviolo. "Per ultimo desidero di essere cremato e
che le mie ceneri riposino nel Camposanto di Castellamonte", frase finale
del testament, Paviolo. Il testamento di Martinetti, da lui riscritto, "in
una grafia incerta e in una forma in cui non si trova lo stile abituale del nostro
filosofo"(Paviolo) fu considerato da sua sorella Teresa come estorto:
"Le opere che al tempo del decesso di Piero erano ancora solo allo stato
di manoscritto vennero devolute ai beneficiari della biblioteca, la quale, a
dirtelo in assoluta confidenza, cadde in mano a tre estranei alla famiglia, per
un testamento fatto fare a nostra insaputa a Piero, a oltre un anno da che era
stato colpito da un insulto di trombosi al cervello [...] la preziosa
biblioteca, che per volontà recisa, assoluta di Piero a me da Lui ripetutamente
espressa alcuni mesi prima che fosse colpito dalla trombosi, doveva andare
all'Milano, prese altre vie e e sta presentemente ancora peregrinando in attesa
di destinazione definitiva." Lettera del 25 settembre 1947 di Teresa
Martinetti al cugino Giuseppe Bertogliatti, in: Paviolo Fondazione Casa e
Archivio. Allo Spir, un singolare pensatore solitario, al quale mi legano tante
affinità e tante simpatie, sarà dedicato il fascic. 3 della "Riv. di
Filosofia", che non mancherò di spedirle a suo tempo. Quante dottrine
dello Spir, specialmente nel rapporto morale e religioso, sembrano pensate per
il nostro tempo! Ma esse passeranno, come passarono, inavvertite. La lucequesto
passo del quarto Vangelo lo Spir volle inciso sul suo sepolcrovolle penetrare
le tenebre, ma le tenebre non l'accolsero»: Lettera n. 164, M. a Nina Ruffini,
26 gennaio 1937, in: Lettere 155.. «io
sono sempre stato un filosofo inattuale»: Lettera n. 258, Piero Martinetti a
Giorgio Borsa, 1942, in: Lettere Emilio Agazzi, La filosofia di Piero
Martinetti, Milano, Unicopli. Ma è stato Alessio a dimostrare l'importanza e
l'anteriorità, rispetto ad altri autori, della lettura di Spir per la
maturazione della metafisica martinettiana»: Vigorelli, F. Alessio, Vigorelli
Vigorelli Piero Martinetti, Breviario
spirituale, Bresci, Torino, Lettera Piero
Martinetti a Guido Cagnola, Lettere. Sulla riflessione religiosa di Martinetti
vedi Franco Alessio, L'idealismo religioso di Piero Martinetti, Brescia,
Morcelliana, (Tesi di Pavia: relatore Michele Federico Sciacca) Paviolo Paviolo Amedeo Vigorelli, "Martinetti e Capitini:
attualità di un confronto", in: A. Vigorelli, La nostra inquietudine.
Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal
Pra, Segre, Capitini, Mondadori, Milano. E si conversa a lungo della inumazione
e della cremazione (aveva fatto cremare il cadavere della mamma, per avere
vicine le sue ceneri)" A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, Célèbes
Trapani, Paviolo Paviolo. L'eretico
Martinetti, italiano per caso", Recensione di Raffaele Liucci su Il fatto
quotidiano, Libera cittadinanza Il
Dipartimento di Filosofia "Piero Martinetti a Milano Pierluigi Battista, "Le vie dedicate ai
razzisti spettano ai professori eroi che dissero no al fascismo", Corriere
della Sera, S. Chiale, "Dall'attivista curda al pioniere green I nuovi
Giusti del Monte Stella", Corriere della Sera, Cronaca di Milano13. "Monte Stella I nuovi Giusti in diretta
su Facebook", Corriere della Sera, 7 marzo, Cronaca di Milano9. ,
Commemorazione dTorino, Accademia delle Scienze, Giornata Martinettiana,
Torino, Edizioni di "Filosofia", Rivista di Filosofia, E. Agazzi,
"La storiografia filosofica", Rivista critica di storia della filosofia,
E. Agazzi, Sandro Mancini, Amedeo Vigorelli e Marzio Zanantoni, Unicopli,
Milano,. F. Alessio, L'idealismo religioso, Brescia, Morcelliana, Franco
Alessio, introduzione Il pensiero di Africano Spir, Torino, Meynier, Assael,
Alle origini della Scuola di Milano: Martinetti, Barié, Banfi, Milano,
Guerrini, A. Banfi, "Piero Martinetti e il razionalismo religioso",
in: Filosofi contemporanei, Firenze, Parenti, Guido Bersellini Rivoli, Il
fondamento eleatico della filosofia -- Milano, Saggiatore, Guido Bersellini
Rivoli, La fede laica, Appunti sul confronto religioso e politico (in Italia e
nel villaggio globale), Lecce, Manni, G. Rivoli, Appunti sulla questione
ebraica. Da Nello Rosselli a Piero Martinetti, Milano, Angeli, Giorgio Boatti,
Preferirei di no, Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini,
Torino, Einaudi, B. Bonghi, La fiaccola
sotto il moggio della metafisica kantiana. Il Kant, Milano, Mimesis, F. Minazzi, Sulla filosofia italiana, Prospettive,
figure e problemi, Milano, Angeli); ranco Bosio, "L'uomo e
l'assoluto", in: Filosofie "minoritarie" in Italia tra le due
guerre Ceravolo, Roma, Aracne, Remo Cantoni, "L'illuminismo religioso” in:
Studi filosofici, G. Colombo, La filosofia come soteriologia. L'avventura
spirituale e intellettuale di Milano, Vita e Pensiero, E. Colorni, La malattia
della metafisica. Scritti autobiografici e filosofici, Torino, Einaudi, A. Noce,
Filosofi dell'esistenza e della libertà, Milano, Giuffrè, M. Pra, "Momenti
di riflessione sull'esperienza religiosa in Italia tra idealismo e razionalismo
critico", in: La filosofia
contemporanea di fronte all'esperienza religiosa, Parma, Pratiche); C.
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italiani, Salvatore Natoli, Genova, Marietti, G. Filoramo, Letture Martinetti.
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Martinetti: l'interpretazione di Kant nel quadro della filosofia italiana tra
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La dottrina politica di Piero Martinetti: aspetti teoretici ed aspetti pratici,
in Il Pensiero Politico, Firenze, Olschki Editore, Cosimo Scarcella, Piero
Martinetti. Politica e filosofia. Con alcuni ‘Pensieri' inediti, Napoli,
Collana La Cultura delle Idee diretta da Fulvio Tessitore e Giuliano Marini,
Edizioni Scientifiche Italiane, C. Terzi, La vita e il pensiero originale,
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spinozismo in Italia (Atti delle Giornate di studio in ricordo di Emilia Giancotti,
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Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. siusa. archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Torino, Biblioteca
della Fondazione Piero Martinetti, Torino. Fondazione Casa e Archivio Piero
Martinetti, su Fondazione piero martinetti. D. Fusaro sul sito Filosofico.net. G.
Colombo, La filosofia come soteriologia. A) La prima forma di comunione
fra esseri, quella che fonda le prime forme di società, quella che sussiste
anche in quei gradi della vita animale onde è esclusa ogni altra forma di
socievo lezza, è l’amore. Che cosa non è stato detto e iscritto in ogni tempo
intorno all’amore? Io non intendo qui certamente aggiun gere su questo
argomento nuove ed inutili speculazioni : voglio solamente trattarne in
quanto aneli’esso è nella vita umana una sorgente di importanti doveri.
L’amore, qualunque possano essere le complicazioni senti mentali che ne mutano
profondamente la natura e possono dargli finalità più elevate, non ha
originariamente altro fine che la (pro pagazione Astica della specie. L’unione
fisica di due individui di sesso diverso ha per effetto l’estensione della vita
organica nel tempo : per essa l’individualità effimera si sottrae in un certo
modo alla morte e celebra l’eternità sua confondendosi per un istante con la
serie delle generazioni venture. La voluttà fisica non è che una forma di quel
piacere che accompagna ogni esten sione dell’individualità, ogni fusione delle
coscienze singole in un tutto capace d’una vita più alita e più larga. Sotto
questo aspetto la voluttà riveste un carattere ideale e direi quasi sacro : e
tutta la poesia dell’amore non è che la poesia del primo, del più universale
ideale umano. Ma il desiderio antico che in questo senso trae tutti i mortali è
diventato attraverso le innu merevoli generazioni mn istinto : e l ’ uomo
avendo volto lo sguardo verso forme più alte di unità e di vita si è abituato
a'Vedere in questo dovere della propagazione della vita solo il compimento
d’una funzione organica e nella voluttà un .semplice fremito del senso che non
deve interessare la personalità superiore e che anzi può essere per la medesima
un ostacolo ed un arresto. Di qui il duplice carattere dell’amore e della
voluttà : da un lato essi sono la secreta aspirazione d’ogmi vivente, il
movente di una gran parte delle attività umane; dall’altro appariscono come una
debolezza, una vittoria dell’essere inferiore sull’es sere superiore e
veramente umano. Nel pudore che accompagna l’unione dei due .sessi e tutto ciò
che la riflette vi è qualche cosa della riverenza che impone un sacro mistero e
della vergogna che desta l’esercizio di tutto ciò ohe è vita puramente animale.
Il complesso delle attività e delle facoltà che si riferiscono a questa
funzione costituisce, forse in modo più marcato che iper ogni altra funzione
umana, un tutto ben distinto, che si - 116- stacca nella
personalità complessiva come una personalità mi nore e subordinata : vi è in
ogni individuo umano una perso nalità sessuale che, per quanto non sempre
chiaramente co sciente, ha la sua sfera di visione, la sua vita, le sue oscure
tendenze e spesso influisce in misura non indifferente sopra lo svolgimento e
il destino di tutta la persona. Questa personalità sessuale è già in un certo
senso, per l’individualità organica bruta chiusa, nel suo egoismo repulsivo, un
essere ideale : l’in dividualità atta all’amore appare come qualche cosa di
deside rabile e di bello : ed è precisamente in questo carattere di idea lità
che circonfonde tutto ciò che all’amore serve, che ha avuto origine il senso
umano della bellezza. Il « tipo » estetico che le donne in genere e molti
uomini cercano di realizzare con tutti i mezzi che l’arte e la moda
suggeriscono non è altro che la presentazione della personalità sessuale :
questa costituisce per molti l’apice di tutte le aspirazioni e di tutti gli
ideali. D’altra parte la vita non si arresta all’amore e vi sono ideali più
alti che la perpetuazione fisica, della specie : quindi di fron te alla
personalità morale ed all’umanità vera la personalità sessuale appare come
qualche cosa di inferiore e di miserabile. Quando perciò essa si svolge in noi
senza alcun legame od in opposizione con i nostri sentimenti più elevati, noi
possiamo bensì cedere per un istante al suo fascino, ma la sua vita resta pure
sempre per noi qualche cosa di straniero che più tardi rigettiamo con vergogna
e con disprezzo. Non è però affatto necessario che la vita sessuale si svolga
nell’uomo senza alcuna continuità e senza accordo con le sfere più alte della
vita interiore. Nello stesso mondo animale essa svolge nella maternità e nella
famiglia una vera attività di ordine morale che la compie e la nobilita : e
nell’uomo tutta la storia dell’evoluzione della famiglia che altro è se non il
moralizzamento progressivo della funzione sessuale? Così puri ficato ed
elevato, il desiderio del senso si intreccia con i più nobili e delicati
sentimenti della vita morale, con i.1 sentimento della, protezione e della
carità, dell’amicizia, della solidarietà, della fedeltà; anzi,
intellettualizzandosi vieppiù e collegandosi con le aspirazioni più elevate,
diventa comunione di vita inte riore, di gioie alte e pure : l’amore animale e
sensuale si tra sforma nelle forme più nobili dell’amore umano. Certo il
fattore sensuale non scompare mai : l’amore platonico non esiste o, se esiste,
non è una forma viva e sana dell’amore. Ma anch’esso si raffina e si assimila :
il piacere medesimo del possesso di venta, per la confusione della
spiritualità di due esseri elevati, più delicato e più profondo. Sopra tutto
poi esso elimina gra dualmente da sè tutto ciò che urna viva sensibilità
estetica e morale giudica o ignobile o incompatibile con le tendenze della
personalità superiore : così sorgono le virtù dell'amore, la leal tà, la
fedeltà, la castità. L’ amore sensuale vive del piacere dell’istante e cerca
nell’oggetto suo soltanto il soddisfacimento del suo ardore : esso non è che il
contatto superficiale e momen taneo di due personalità sessuali che si
avvincono e si confon dono mentre le anime restano straniere l’una all’altra
diffi denti, sordamente ostili. L’amore veramente umano si completa con
l’unione delle volontà, che esige urna reciproca dedizione intiera, leale,
duratura ed esclude come cose indegne la men zogna, l'ingiustizia e tutto ciò
che diminuisce questa perfetta comunione di vita. Così è possibile un amore che
sorge non dal senso, ma da tutta la personalità; un amore che purifica e no
bilita, che ispira ad alte cose e ¡santifica la voluttà stessa. Questo concetto
dell’amore traccia ad ogni uomo la via che deve seguire se egli sinceramente
sdegni di degradare sè stesso ; essa, è del resto anche la via più saggia sotto
l’aspetto della fe licità. Certo può sembrare un’ingenuità chiedere alla
ragione consigli contro una passione che si mde della ragione : mentre
l’eperienza quotidiana ci mostra con mille esempi come essa sconvolga talora le
menti più equilibrate, soffochi i sentimenti più sacri, precipiti nell
turbamento e spesso nella più irrepa rabile rovina esistenze, che
l’educazione, l’intelligenza, i vincoli sociali e morali sembravano
assicurare contro la prevalenza di ignobili tendenze. Tanta è del resto la
potenza di questo «niver i-sale e profondo istinto che esso è il movente
secreto o palese di gran parte dell’attiviità umana : la massima parte dei
ritrovi, delle feste, dei divertimenti sociali, la moda e per molti ri spetti
anche l’arte non hanno altra ragione d’essere; e i vizi che esso alimenta danno
origine ad un vero pubblico mercato e ad industrie fiorenti. Come sperare
dunque che la ragione possa qualche cosa contro una volontà oscura e ribelle
che sembra avere la violenza e la regolarità delle forze di natura? La mo rale
predica contro questa passione quasi soltanto come per sod disfare un debito :
la giovinezza, la fantasia e l’arte la rivestono dei più brillanti colori e si
ridono della morale : ed anche i predicatori più severi del resto non sanno,
tra un sermone e l’altro, esimersi da un sentimento che sta fra il compatimento
e la malrepressa invidia. Io non credo tuttavia che qui la riflessione sia del
tutto mutile. L ’ esperienza della vita insegna (e ciascuno lo ricono scerà in
stesso) che vi sono nella vita interiore dei momenti decisivi nei quali una
parola, un pensiero che sono caduti un giorno nell’anima indifferente, si
risvegliano e fortificano una nobile ispirazione, soffocano una passione
nascente, provocano un deciso cambiamento d’indirizzo. Questo è vero anche
della pas sione dell’amore. Certo è inutile invocar la ragione quando la
passione è ingigantita e il vizio è inveterato : ma questo non vale egualmente
di tutte le passioni? La ragione non può di struggere l’istinto, ma può
dirigerlo : e può dirigerlo se, come un medico accorto, cura il male nei suoi
inizi. Ora l’origine del male sta, come già videro i saggi antichi, nelle
illusioni che noi ci formiamo circa la realtà. L ’ uomo, sopratutto nella giovi
nezza, non si precipita verso i piaceri che l’amore promette se non perchè la
sua fantasia presenta al desiderio le immagini più allettatrici e riveste ila
¡realtà delle forme più ¡belle e più desi derabili. Lo spirito soggiace allora
ad una specie di limita zione del proprio orizzonte : esso si
chiude nei propri sogni e diventa cieco all’aspetto del vero essere delle cose.
In questo appùnto può intervenire efficacemente la ragione. Lo sforzo che si
deve e si può compiere in quel momento in cui sorgono le prime illusioni, è di
dissipare1queste visioni ingannevoli col tenere viva e presente diinnanzi al
pensiero la realtà che esse nascondono, col rievocare le esperienze dolorose,
col ravvivare le intuizioni profonde che ci svelano l’intima e vera natura
delle cose. In fondo a tutte le cose sta la tristezza, ha detto Amici : e
veramente l’aspetto ultimo delle cose è triste, mia anche fecondo di salutare
saggezza. L’aspetto supeSiciale della realtà è lieto, vario e giocondo come
l’aspetto d’una folla che popola le vie d’una città in un giorno di festa. Ma
quante cose sordide e tristi non nascondono anche qui le varie e splendide
apparenze! Ora in nessuna parte la fantasia è tanto fertile d’in ganni quanto
nelle cose dell'amore : ed in nessuna parte l’in- gànno è così lusinghiero ed
ostinato. Tanto anzi che qualcuno hai voluto vedere nell’amore una specie
d’inganno della natura ; che si serve dell’individuo per la propagazione e lo
sacrifica, viìttimn volontaria, alla specie. Ma la natura non è in questo caso
che la nostra natura inferiore ; noi soggiacciamo all’inganno solo perchè
l’istinto ci oscura l’intelligenza e noi non sappiamo più vedere che con gli
occhi della sensualità. Questa ci dipinge la via tutta sparsa di dolci
desiderii e di soavi ebbrezze; l’amore ci si offre dinnanzi come un palazzo
incantato pieno di misteri e di delizie. Bisogna invece che l’intelletto nastro
si sforzi di mantenere sempre a sé presente questa prima, considerazione : che
l’illusione sessuale ci mostra sotto un solo aspetto un es sere che
freddamente considerato ¡nella sua 'realtà, è il più delle volte tutt’altro che
desideratile. La personalità sessuale non è che un aspetto, uno stato della-
persona; è una specie di trasfi gurazione di tutto l ’ essere che in fondo
rimane così straniera alla persona come se fosse veramente un’altra
personalità. Per ciò quando la persona amata non è per sè stessa degna di
sti- una e d’amore, l’illusione sessuale è seguita inevitabilmente
da una profonda delusione : soddisfatto il desiderio l’immagine ideale, oggetto
d’un’adorazione appassionata, isi risolve in un essere prosaico e volgare che
ci 'meravigliamo d’avere deside rato. Bisogna, in .secondo luogo tener
presente quest’altra, consi derazione : che la «tessa personalità sessuale,
dato che in noi potesse persistere lo stato passionale corrispondente, è ben
lun gi dall’essere una sorgente di gioie pure ed immutabili : la sen sualità
è, come ogni passione, un fuoco che consuma se stesso. Un amore puramente
sensuale, non potrebbe lessero che un triste ed insaziato ardore : la vita
dominata dalla lussuria ap pare, freddamente considerata, dolorosa ed ignobile
nello stesso tempo. L ’ amore d’ una donna non rende beati che quando può
trasformarsi in un sentimento più alto, come accade nella fa miglia, od
associarsi la sentimenti ideali e diventare una co munione morale ed
intellettuale di due nobili spiriti. Anzi, nelle persone di più profondo
sentire l’attrazione sessuale maschera quasi sempre un’oscura aspirazione
spirituale, il bisogno d’una comunione di vita, che riempia l’anima loro, la
elevi e la consoli ; è un vago presentimento ideale sperduto nella sfera
sessuale. Perciò quando esse non riconoscono la vera natura del senti mento
che le attrae e, nella loro cecità, ne cercano la soddisfa zione nel senso, la
loro illusione finisce, il più delle volte, in una tragedia dolorosa. Bisogna
in terzo luogo ancora aver presente che, mentre per ogni animo 'ben nato vi
sono nella vita aspira zioni e soddisfazioni 'ben più alte che quelle
dell’amore, l’amore è spesso l'impedimento più forte a questa vita superiore.
La donna, come puro .essere sensuale, è la nemica naturale degli interessi
ideali dell’uomo; essa non vive che per sè stessa e per i suoi istinti : la
volontà sua egoistica è tutta tesa verso il piacere, il lusso, i godimenti
della vanità. In cambio della vo luttà l’uomo deve il più delle volte
sacrificare alla sua vanitosa ed insignificante persona il suo lavoro, il suo
benessere, il suo valore spirituale e disperdere in una vita di agitazioni vane
í quelle preziose qualità che potevano servire ad un ben più no
bile scopo. Quante nobili esistenze non ha /perduto il fuoco oscuro della
sensualità! Quante volte l’influenza funesta della donna non è stata causa dei
più gravi turbamenti nella vita dell’uomo; della decadenza della volontà, della
rinunzia ai fini più alti, e infine della completa rovina morale! Sopratutto
quindi è necessario, per resistere a queste sollecitazioni della vita
inferiore, suscitare e tener vivo nello spirito qualche alto e degno amore che
lo ©levi sopra la sfera della bellezza sensi bile. La passione ardente ohe
travolge qualunque considera zione e saggezza puramente umana, s’arresta
dinanzi alle vo lontà più aJlte dello spirito, che aprono all’uomo una realtà
d ’ un valore infinitamente superiore. E ’ vero che non sempre noi possiamo
rivolgere il nostro pensiero verso queste realità idea, li con tanta fermezza
che non possa essere vinto degli ardori del senso : ma la contemplazione e
¡l’amore delle cose ideali tra sforma sempre il nostro modo di vivere ed apre
i nostri occhi ad una luce che non va più .perduta. Quindi anche quando questo
amore non è per sé abbastanza forte, esso favorisce lo svolgersi della
riflessione critica e induce nell’anitmo una disposizione abituale in cui il
germe della passione non trova un terreno fa vorevole e viene soffocato prima
di svolgersi. Inoltre la con suetudine con una sfera più alta di vita crea un
sano e salutare orgoglio che respinge da sè, senza esitare, ogni ibassezza.
Un’i stintiva fierezza, permette al selvaggio di sopportare con viso
impassibile i più aspri tormenti : un uomo che sopporterebbe la povertà, la
fame e qualunque strazio per il suo dovere ed il suo onore, vorrà diventare lo
zimbello dei suoi istinti e sacri ficare tutto quello che di grande e di safro
ha per lui la vita per il possesso d’una donna? Da queste considerazioni
discende anzitutto la condanna di ogni degenerazione ignobile dell’amore.
L’istinto che tende ciecamente verso la sua isoddisfazione è soggetto a
singolari aberrazioni : e l’istinto sessuale umano può essere anche
aiutato in queste sue deviazioni dal ritorno atavico della associazione
sua con altri istinti ed altre tendenze; per es. coll’impulso alla crudeltà.
Anzi anche dall’associazione con sentimenti superiori non ignobili : come è
avvenuto' per es. nell’amore omosessuale greco. La cura estrema con la quale
queste tendenze vengono tenute segrete le fa apparire come eccezioni : ma
coloro che se ne occupano per dovere professionale sanno che esse sono
tutt’altro che rare, anche fra individui delle classi elevate. Esporre i
pericoli e le vergogne a cui queste degenerazioni con ducono è cosa inutile :
coloro stessi che vi soggiaccione li cono scono. Ogni animo non ignobile deve
del resto essere trattenuto sull’orlo di questo abisso dal rispetto di sè
stesso. Ma se ciò noni bastesse, egli deve rappresentare a sè chiaramente che,
degradando la sua vita in queste turpitudini, sacrifichereb be a misere,
bestiali voluttà tutto ciò che di migliore e di desi derabile può offrire la
vita dell’ uomo. L ’ atto dell’ uomo non è qualche cosa che si possa isolare
dalla natura sua e se ne stacchi, appena compiuto, come il frutto che cade
dall’albero : esso ri mane anche dopo e non si cancella. Seguire l’istinto
nelle sue depravazioni vuole dire rassegnarsi a diventare un essere be
stialmente istintivo : non bisogna illudersi di potere dopo ciò conservare in
sè qualche cosa di veramente elevato. E vuole dire quindi anche abbandonare la
propria vita a tutte le mi serie dolorose che accompagnano la vita d’un essere
tutto con finato nella sua animalità. Ma vi sono anche altre forme ddl’amore
in apparenza più normali ed elevate che vengono coinvolte in questa condanna.
Non parlo dell’amore prettamente mercenario, che è anch’esiso una forma di
degenerazione : parlo dell’amore vago che, pure fuggendo ogni attaccamento
saldo, circonda il godimento d’una parvenza di sentimentalità che sembra
'redimerlo e nobilitarlo : è l’amore per l’amore, l’amore libero che comincia
generalmente fra le rosee illusioni e finisce quasi sempre nella vergogna e nel
pianto. Non vi è uomo quasi che non abbia- lasciato fra- le sue spine
qualche illusione di giovinezza insieme con qualche brandello di felicità e di
onore, che, se avesse la magica arte dello ^scrittore, non potrebbe scrivere
anch’egli, come romanzo, una pagina della 'sua vita e dedicarla a suo figlio
«quando avrà vent’aoani». Non vi è da illudersi quindi che la saggezza degli
altri possa sostituire totalmente l’esperienza vissuta; ma essa potrà, se non
altro, aiutare a formarsi rapidamente questa esperienza e a non consumare
dolorosamente anni preziosi ad inseguire un vano fantasma che ci allontana
dalia felicità vera e durevole. L’amore tende per sua natura, in ogni animo ele
vato, a stringere un’unione indissolubile; quindi il correre ap presso ad un
amore che noi già sappiamo non poter condurre ad una simile unione è un
preparare a sè stesso, a scadenza più o meno lunga, una sicura infelicità. Vero
amore è soltanto l’a more che è legato da un senso profondo di pietà e di
respon sabilità : e questo senso impone all’uomo di rimanere sino alla fine
della vita al fianco della donna che gli si è data e di non ab bandonarla in
balia dell’incerto destino. Perciò ogni abbandono, ogni mutamento lascia amari
rimpianti e rimorsi : la slealtà e l’ingiustizia che l’uomo addossa alla
propria coscienza, quando viene meno alle ¡menzognere promesse, è una bassezza
che avvi lisce chi la commette. Del resto già sappiamo che un amore pu
raímente fìsico è sempre deluso : di qui ]’universale ed infrenabile desiderio
degli uomini attratti verso le donne non ancora cono sciute. Ma anche questo
errare, dato che potesse sempre avere soddisfazione, non sarebbe che un passare
continuo di delusione in delusione, di rimpianto in rimpianto. Non vi è quindi
in realtà vita più triste di quella passata nei facili amori : vita che è
inseparabile dal sentimento della propria degradazione, perchè l’amore che non
termina in altro, che non isi associa con i senti menti più elevati della
natura umana, è un ben misero fine : esso non è in ultimo, se lo si spoglia di
tutti i fronzoli sentimen tali, che pretta e pura sensualità. La ricerca
affannosa della donna 11011 è che la ricerca di una donna : l’amore vago e
libero è la conquista, attraverso molte amare esperienze, di questa
semplice verità : che non vi può essere amore veramente felice se non nel
nobile sentimento che lega l’uomo con una sola donna per tutta la vita. Ohe
l’amore pertanto, io direi al giovane dinnanzi a cui si apre questo mondo di
vaghe lusinghe, non si disisoci mai in te, dai nobili principi d’urna coscienza
retta e pura! Anche at traverso le passioni e gli errori, sii un uomo onesto!
Non acqui stare il piacere d’un’ora a prezzo della rovina d’un povero essere
debole e indifeso : questo sarebbe un tradimento vile che nes suna riparazione
pecuniarda cancellerebbe dalla tua vita. Pensa che nessuna violenza di passione
può scusare la disonestà di chi non esita, per soddisfare un desiderio, a
gettare la vergogna e la disperazione in una famiglia : sebbene la leggerezza
del mondo biasimi l ’ adulterio quasi sorridendo, non vi è dinnanzi alla retta
coscienza morale infamia più bassa. E sopratutto pensa alla condizione di
quelli che la viltà dei loro genitori ha lasciato in abbandono e che una fredda
carità cresce agli stenti, alle tristezze, alle umiliazioni di all’esistenza
miserabile. Se vi è un pensiero che valga a farci vergognare dei bassi amori,
questo è bene il sospetto che forse ora in qualche parte del mondo vi sia
qualcuno che deve a noi la vita e che ha ragione di impre care, in mezzo alle
sue miserie, al nostro egoismo inumano. Sii dunque casto : la castità è la
virtù dell’amore. Essere casti non vuol dire andare in cerca d’una virtù
soprannaturale, ma saper rinunciare a ciò che è al di sotto della nostra
natura, alle soddisfazioni dei sensi che sono ignobili ed ingiuste. Essere
casti vuole dire anzitutto dunque essere forti, saper tenere lon tano da sè i
vizi vergognosi che minano ila salute e corrompono la, delicatezza e la dignità
del carattere : vuole dire inoltre essere giusti e pietosi e non cercare ili
nostro piacere a prezzo del disonore e della rovina di altri. Se tu vuoi che
l’amore non sia per te fonte di infelicità e di rimorsi, fa sì che esso sia
l’armo, nia di due volontà nobili e pure, per le quali l’amore non è che
l’inizio d’una comunione più alta di vita. Piero Martinetti. Martinetti.
Keywords: l’amore velia, antologia platonica, amore socratico, sezione sull’Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Martinetti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Martini – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cambiano).
Filosofo italiano. Grice: “One would
think that his ‘discorsi filadelfici’ are about brotherly love, but they were
delivered at the Philadelphia American-Italian Philosophical Society!” – Grice:
“He wrote on Emilio and Narciso, and a story of philosophy – starting not from
Thales but Gioberti!” – Grice: “His science of the heart – scienza del cuore –
is a mystery!” Compì studi classici a Chieri e poi, ospitato al Real Collegio di
Torino, si rivolse allo studio delle scienze naturalistiche. Con la laurea in
medicina, cui seguirà anche quella in
filosofia, ottenne l'insegnamento al predetto Istituto, prima di conseguire una
brillante carriera nell'ateneo torinese. Qui, infatti, ottenne prima la docenza
in fisiologia e poi quella di medicina
legale, cattedra quest'ultima, istituita di cui fu il primo insegnante in
assoluto. Di Torino fu anche rettore,
negli anni in cui ebbe numerosi riconoscimenti, tra cui l'onorificenza di
cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Ma non mancarono episodi tragici, allorché,
pochi anni dopo le nozze, perse la moglie (figlia del chimico Giovanni Antonio
Giobert), dalla quale ancora non aveva avuti igli, né li avrebbe avuti in
seguito, visto che non si risposò, per dedicarsi completamente all'insegnamento
e alla stesura di saggi e manuali nelle discipline mediche. In questo filone,
il più ricco, vanno almeno segnalati gli “Elementa physiologiae” e “Lezioni di
fisiologia” così come “Medicina legale”, accanto agli Elementa medicinae
forensis, politiae medicae et hygienes, cui avrebbe fatto seguito il Manuale di
medicina legale. Il variegato percorso
saggistico non si limitò (e non si esaurì) a studi a carattere
medico-fisiologico e medico-legale. Anzi, forte del curriculum studiorum
seguito fin da giovanissimo, cercò di approfondire i pensatori classici, come
nel caso di un “Coompendio” dedicato a Platone, di cui peraltro riuscì a
terminare il manoscritto poco prima di morire, arrivando persino a stilare, sia pure non in forma sistematica, una Storia
della filosofia. Risultati migliori li
ebbe, tuttavia, nel campo educativo-pedagogico. Questo indirizzo è
testimoniato, oltre che dal saggio sulla Riforma della prima educazione dai
dodici volumi dell'Emilio. Qui, facendo leva della sua vasta cultura, tratta
emblematicamente di argomenti in cui si fondono, senza soluzione di continuità,
il "viver sano" e il "maritaggio", il "governo della
famiglia" e la felicità, le "tendenze morali" e la
"moderazione nella prosperità", passando per i modi attraverso i quali
"sopportare le avversità". Saggi: “Elementa physiologiae” (Pica,
Torino); “Dei vantaggi che la medicina apporta alle nazioni” (Chirio, Torino);
“Mdicina legale” (Marietti, Torino); “Medicina curativa” (Marietti, Torino); “Polizia
medica” (Fontana, Milano); “La scienza del cuore” (Fontana, Milano); “La colera
indica” (Fodratti, Torino); “Elementa medicinae forensis, politiae medicae et
hygienes,” Marinetti, Torino “Manuale
d'igiene,” Fontana, Milano “Lezioni di
fisiologia,” Pomba, Torino “Patologia
generale,” Elvetica, Capolago “Invito a'
medici piemontesi all'occasione del cholera morbus,” Cassone, Torino “Storia della fisiologia,” Cassone,
Torino “Manuale di medicina legale,” Fontana, Milano; “Emilio, Marietti, Torino “Della solitudine,” Marietti,
Torino “Narciso o regalo agli sposi,” Marietti, Torino “Guerra e pace dei sensi,”Tip. Marietti,
Torino “Emilio o sia del governo della vita,” Tip. Fontana, Milano “Discorsi
filadelfici; ossia, fasti dell'ingegno italiano,”Tip. Marietti, Torino “Riforma
della prima educazione,” Marietti, Torino “Della sapienza dei greci,” Cassone, Torino;
“Storia della filosofia,” Pirotta, Milano “Platone compendiato e comentato,” Elvetica,
Capolago “Alcune vite di donne celebri,”
Fontana, Milano “De clarissimo viro Thoma Tosio ex ordine Oratorum sacrae
facultatis professore in regio Taurinensi Athenaeo, Regia, Torino Vita del
conte Gian-Francesco Napolio, Bocca, Torino
Vita Francisci Canevarii, Torino Cenni biografici di Lagrangia, Cassone
e Marzorati, Torino Curatele A. von Haller, Poesie scelte, Reale, Torino J.L. Alibert, Riflessioni sulla fisiologia
delle passioni o nuova dottrina de' sentimenti morali, Marietti, Torino, F.
Redi, Consulti medici, Elvetica, Capolago, D. Alighieri, La Divina Commedia, Marietti,
Torino; G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano.
G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo
risorgimento, F. Predari, Pomba,
Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere,
s.e., Bologna); Emilio, Tip. Marietti, Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti
del professore cavaliere, s.e., Bologna); G. Corniani, I secoli della
letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari, Pomba, Torino G. Gerini, Due medici
pedagogisti. M. Bufalini, Tip. Bona, Torino, G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano. Lorenzo Martini. Martini. Keywords:
storia della filosofia, ingegno italiano, il cratilo di Platone -- . Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Martini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Martino – la religione civile della
prima e unica Roma! – filosofia italiana – magismo filosofia Italian
meridionale – filosofia del sud -- Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “I like Martino – and his
interviewees – there is indeed a ‘discepolato’ around him.” Grice: “We don’t
have anything like Martino at Oxford – Hollis is the closest I can think.”
Grice: “In his strictly philosophical explorations, Martino aptly clashes with
Croce!” -- Dopo la laurea a Napoli con una tesi in Storia delle religioni sui
gephyrismi eleusini sotto la direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle
discipline etnologiche. Si iscrive ai GUF e alla Milizia Universitaria,
collaborando a L'Universale di Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia
ristretta di collaboratori un Saggio sulla religione civile poi rimasto
inedito. L'ingresso nel circolo crociano «Erano quelli gli anni in cui
Hitler sciamanizzava in Germania e in Europa, e ancora lontano era il giorno in
cui le rovine del palazzo della Cancelleria avrebbero composto per questo
atroce sciamano europeo la bara di fuoco in cui egli tentava di seppellire il
genere umano: ed erano anche gli anni in cui una piccola parte della gioventù
italiana cercava asilo nelle severe e serene stanze di Palazzo Filomarino per
risillabare il discorso elementarmente umano altrove impossibile, persino nella
propria famiglia». Il suo saggio, “Naturalismo e storicismo
nell'etnologia” è un tentativo di sottoporre l'etnologia al vaglio critico
della filosofia storicista di Benedetto Croce. Secondo de Martino, l'etnologia
solo attraverso la filosofia storicista avrebbe potuto riscattarsi dal suo
naturalismo (tratto che accomuna, per de Martino, tanto la scuola sociologica
francese che gli indirizzi "pseudostorici" tedeschi e viennesi). Fu
lo stesso Croce a introdurre il giovane de Martino all'editore Laterza,
suggerendo la pubblicazione del libro, in cui, nonostante qualche ingenuità, si
può già scorgere in nuce l'idea del successivo lavoro sul "magismo
etnologico". Scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato
nel 1948, Il mondo magico è il libro nel quale Ernesto de Martino elabora
alcune delle idee che rimarranno centrali in tutta la sua opera successiva.
Qui de Martino costruisce la sua interpretazione del magismo come epoca storica
nella quale la labilità di una "presenza" non ancora determinatasi,
viene padroneggiata attraverso la magia, in una dinamica di crisi e riscatto. In
quel periodo, de Martino comincia a militare nei partiti di sinistra.
Prima, dal 1945, lavora come segretario di federazione, in Puglia, per il
Partito Socialista Italiano; influenzato da Gramsci e da Levi, cinque anni dopo, entra a far parte del
Partito Comunista Italiano. Anche per questa ragione, negli anni che seguono,
de Martino comincia a interessarsi sempre di più allo studio etnografico delle
società contadine del sud Italia, in contemporanea con le inchieste di
Vittorini e l’opera documentaristica di Zavattini. Di questa fase, talvolta
detta "meridionalista", fanno parte le opere più note al grande
pubblico: Morte e pianto rituale, Sud e magia, La terra del rimorso.
Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio multidisciplinare, che lo portò a
costituire un'équipe di ricerca etnografica. La terra del rimorso è la sintesi
delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da uno psichiatra
(Giovanni Jervis), una psicologa (L. Jervis-Comba), un'antropologa culturale
(Amalia Signorelli), un etnomusicologo (D. Carpitella), un fotografo (Franco
Pinna) e dalla consulenza di un medico (S. Bettini). Nello studio del fenomeno
del tarantismo vengono utilizzati anche filmati girati tra Copertino, Nardò e
Galatina. A queste monografie segue la pubblicazione dell'importante raccolta
di saggi, “Furore Simbolo Valore”. E stato collaboratore di R. Pettazzoni
all'Università "La Sapienza" di Roma, nell'ambito della Scuola romana
di Storia delle religioni. Come ordinario di Storia delle religioni e di
Etnologia, dha insegnato all'Cagliari, dove ha avuto uno stuolo di allievi. Con
ACirese, Lilliu, Cases, la sua assistente CGallini, e in seguito altri
studiosi, quali Cherchi, Angioni, Clemente, e Solinas, saranno esponenti di una
significativa, sebbene mai formalizzata, scuola antropologica all'Cagliari,
della quale de Martino è considerato uno dei fondatori. È considerato uno
dei più importanti antropologi dell’età contemporanea, fondatore in Italia
dell’umanesimo etnografico e dell’etnocentrismo critico. La presenza La
presenza in senso antropologico, nella definizione di de Martino è intesa come
la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie
per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica,
partecipandovi attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre
attraverso l'azione. La presenza significa dunque esserci (il
"da-sein" heideggeriano) come persone dotate di senso, in un contesto
dotato di senso. Il rito aiuta l'uomo a sopportare una sorta di "crisi
della presenza" che esso avverte di fronte alla natura, sentendo
minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti
offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito
definita come "tradizione". 11spedizione in Lucania Se si vuole
rintracciare in de Martino un filo comune e unitario tra l’influenza marxista e
gramsciana della “triade meridionalista” (esplicita anche attraverso la sua
militanza diretta nel PCI negli anni ‘50) di Morte e pianto ritual, Sud e
magia e La terra del rimorso e gli
appunti e i dossiers preparati per La fine del mondo, in cui è presente
un’elaborazione filosofica più marcatamente sui piani ontologico, esistenzialista
e fenomenologico e che vedranno la luce solo posteriormente dal riordino delle
carte ad opera di Angelo Brelich e Clara Gallini, bisogna rendere centrale il
nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di destorificazione del
negativo ad opera dell’ethos del trascendimento; l’immaginazione simbolica
collettiva è la realizzazione di un’ethos del trascendimento che, come un mito
di fondazione per il senso di appartenenza o la sacralizzazione dell’”oggetto”
per scopi espiatori, rende possibile il superamento di una crisi, della
“presenza” in quanto soggetto che opera nella natura, che rischia di perdersi
in essa senza riscatto (escaton). Il soggetto dunque si ricolloca nella storia
tramite la cultura, e la crisi si rivela esistenziale nel rapporto tra se’ e il
mondo “altro da se’”. Ma la crisi affonda sempre nelle materiali condizioni di
vita e nelle modalità concrete di una prassi che deve tendere e tende
incessantemente alla trasformazione rivoluzionaria (che è escatologica nelle
religioni) come base insopprimibile della costituzione di sè come
soggetto: “Vi è dunque un principio trascendentale che rende
intellegibile l’utilizzazione e le altre valorizzazioni, e questo principio è
l’ethos trascendentale del trascendimento della vita nel valore: attività
dunque, ma ethos, dover-essere-nel-mondo per il valore, per la valorizzante
attività che fa mondo il mondo, e lo fonda e lo sostiene.” Costante,
inoltre, nella ricerca sul campo, come nelle analisi ed elaborazioni degli
ultimi anni, fu l’indagine sul valore euristico assegnato ai dati psicopapatologici,
sempre legato a una riflessione critica sulla trasferibilità delle relative
nozioni in contesti culturali diversi e sulle loro implicazioni sul piano
antropologico e filosofico più generale: dalla figura dello sciamano come
“Cristo magico” ne Il mondo magico, ai fenomeni di dissociazione e possessione
(influenzato dalle letture di Shirokogoroff e PJanet) nei riti della taranta,
fino alle note sulle “apocalissi psicopatologiche” ne La fine del mondo.
Il folklore progressivo Il concetto di folklore, come concezione del mondo
regressiva, secondo le “osservazioni sul folklore” del Quaderno XXVII di
Gramsci “un agglomerato indigesto di frammenti di concezioni del mondo e
superstiti documenti mutili e contaminati”, ma anche di positiva creatività
delle classi subalterne (come i canti popolari), in opposizione alla cultura
dotta delle élite dirigenti, fu oggetto di riflessione dell’antropologo
partenopeo a partire dal 1949, con il saggio “Intorno ad una storia del mondo
popolare subalterno”, pubblicato su Società sul nr.3 di quell’anno, in cui
riprende studi e indagini della nuova etnologia sovietica (Tolstov, Hippius,
Cicerov, ispirati da Propp). In un saggio lo define come proposta consapevole
del popolo contro la propria condizione socialmente subalterna, o che commenta,
esprime in termini culturali, le lotte per emanciparsene.” Il concetto fu poi
ripreso, discusso problematicamente e allargato in particolare da Cirese (in
rapporto a Gramsci) e Satriani (il folklore come cultura di
contestazione). I “folkloristi” erano stati oggetto di critica di de
Martino già nella sua prima opera del 1941, Naturalismo e storicismo
nell’etnologia, in quanto puri descrittori e catalogatori con criterio
naturalistico e non storico-culturale: per cui il folklore rimane, pur
categorizzato come “progressivo”, come fenomeno di indagine antropologica nei
termini più complessivi di cultura popolare. Crisi della presenza e
destorificazione del negativo In quanto alla “crisi della presenza” come
spaesamento, ne La fine del mondo, M. racconta di una volta in Calabria quando,
cercando una strada, egli e i suoi collaboratori fecero salire in auto un
anziano pastore perché indicasse loro la giusta direzione da seguire,
promettendogli di riportarlo poi al posto di partenza. L'uomo salì in auto
pieno di diffidenza, che si trasformò via via in una vera e propria angoscia
territoriale, non appena dalla visuale del finestrino sparì alla vista il
campanile di Marcellinara, il suo paese. Il campanile rappresentava per l'uomo
il punto di riferimento del suo circoscritto spazio domestico, senza il quale
egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo riportarono indietro in fretta
l'uomo stava penosamente sporto fuori dal finestrino, scrutando l'orizzonte per
veder riapparire il campanile. Solo quando lo rivide, il suo viso finalmente si
riappacificò. In un altro esempio, per esprimere il medesimo concetto, De
Martino racconta degli Achilpa, cacciatori e raccoglitori australiani, nomadi
da sempre e per sopravvivenza, che avevano però l'usanza di piantare al centro
del loro accampamento un palo sacro, intorno al quale celebravano un rito ogni
volta che "approdavano" in un luogo nuovo. Il giorno che il palo si
spezzò, i membri della tribù si lasciarono morire, sopraffatti dall'angoscia.
Il concetto di spaesamento, come una condizione molto "rischiosa" in
cui gli individui temono di perdere i propri riferimenti domestici, che in
qualche modo fungono da "indici di senso", viene inserito dunque da
de Martino nelle sue categorie di “crisi della presenza” e destorificazione del
negativo. La crisi della presenza caratterizza allora quelle condizioni
diverse nelle quali l'individuo, al cospetto di particolari eventi o situazioni
(malattia, morte, conflitti morali, migrazione), sperimenta un'incertezza, una
crisi radicale del suo essere storico (della "possibilità di esserci in
una storia umana", scrive de Martino) in quel dato momento scoprendosi
incapace di agire e determinare la propria azione. La destorificazione del
negativo permette l'universalizzazione della propria condizione umana in una
dimensione mitico-simbolica, mediata dalla religione e presente nel rito.
Secondo Amalia Signorelli, antropologa ee collaboratrice della spedizione nel
Salento, "Il dato esistenziale che ha scatenato la crisi (morte,
malattia, paura e altro ancora) viene mentalmente astratto dal contesto storico
per entro il quale è stato esperito e viene ricondotto a un tempo e a una
vicenda mitici". Se il mito è narrazione, il rito è un comportamento
orientato ad uno scopo e ripetuto con parole e gesti di significato altamente
simbolico. È così che mito, rito e simbolo diventano un circuito volto alla
soluzione della crisi, astraendo dalla storia reale in cui agisce il
negativo. Quando è il negativo a prevalere, e questo accade in fasi
particolarmente drammatiche dell’esistenza umana (come la morte di una persona
cara), può manifestarsi una crisi radicale, una “funesta miseria esistenziale”,
per cui l’ethos del trascendimento non riesce più a risolvere la crisi nel
valore e la mancata valorizzazione fa perdere anche l’operabilità sul reale.
L’attività etica della valorizzazione è necessaria per impedire la
destrutturazione dell”esserci”, in quanto il “vitale” vede per intero invaso il
suo spazio, quello dell’intersoggettività e il rapporto con il mondo. Avviene
allora che “la presenza abdica senza compenso”. L'elaborazione del lutto
ed il pianto rituale antico Magnifying glass icon mgx2.svg Morte di Gesù negli studi antropologici e
Planctus. Organizza una serie di spedizioni di ricerca in Lucania, accompagnato
da un’equipe interdisciplinare, tra cui Vittoria De Palma, anche lei etnologa e
compagna di vita e con l’utilizzo di strumenti quali il magnetofono e la
cinepresa, innovativi rispetto all’indagine folklorica classica. Riconnettendosi
a Il mondo magico, decide di concentrarsi sul lamento funebre e la “crisi del
cordoglio”, ai segni, al simbolismo delle ritualità legate ad una crisi
esistenziale tra le più gravi, come quella che segue la perdita di un caro, e
il pianto e il dolore collettivi che rappresentano la “crisi della presenza”,
della propria e di tutti, minacciata dalla morte. Il pericolo del lutto è
dunque quello dell’annullamento totale. In Morte e pianto rituale. Dal
lamento funebre antico al pianto di Maria affronta anche il senso della morte
di Cristo in rapporto alla condizione esistenziale dell'uomo nel mondo ed al
momento traumatico della esperienza della morte dei propri cari. Di fronte alla
"crisi del cordoglio" che può portare al crollo esistenziale, emerge
la esigenza di elaborare culturalmente il lutto, nella forma socialmente
codificata del rito. La consolazione offerta dal credo religioso riconduce a
forme sopportabili la carica drammatica del lutto, riferendola simbolicamente
alla morte tragica di Cristo sulla croce, forme che consentono di ritrovarsi
uguali nel dolore, ma che diventano anche promessa di resurrezione. «È
possibile interpretare la genesi del protocristianesimo come esemplarizzazione
di una storica risoluzione del cordoglio che trasforma Gesù morto in Cristo
risorto e il morto che torna nel morto-risorto presente nella chiesa e nel
banchetto eucaristico. Le apparizioni di Cristo dopo la morte testimoniano la
Resurrezione e la presenza di Cristo nella chiesa sino al compimento del piano
temporale di salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello S.S. inaugura l'epoca
in cui il morto-risorto è con i credenti sino alla fine, per donare la spinta
alla testimonianza missionaria. Il Cristianesimo diventa un grande rituale
funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire storico e come
pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che muore (il che
poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto dell'Uomo-Dio)".
Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la garanzia mediante la
fede della presenza del Risorto nella comunità. La celebrazione eucaristica
rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un Cristo al centro del
piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda la salvezza futura) e
l'evento futuro della definitiva Parusia.» De Martino indaga la
persistenza, nelle realtà marginalizzate della Lucania, del pianto funebre,
come “riplasmazione” del planctus irrelativo, rito antichissimo e diffuso prima
del Cristianesimo in tutta l'area mediterranea. La destorificazione dell’evento
luttuoso, soggettivamente vissuto, permette di riportarlo ad una dimensione
mitico-rituale, e dunque al superamento della crisi. Su questi temi si è
soffermata una sua studentessa e collaboratrice, lEpifani, nella commedia La
fuga, scritta a dieci anni dalla sua scomparsa. Saggi: “Naturalismo e
storicismo nell'etnologia” (Laterza, Bari) – l’ennico – Grice: “Italians cannot
pronounce ‘-tn-‘ so that the etnico becomes ‘ennico’!” --; “Il mondo magico:
prolegomeni a una storia del magismo” (Einaudi, Torino); “Morte e pianto
rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria” (Einaudi,
Torino); “Sud e magia La terra del
rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud” (Feltrinelli, Milano); -- cf. Grice, magismo – two kinds of magic
travel, carpet route-travelling, routeless travel – the exercise of judgment --“Furore,
simbolo, valore” (Saggiatore, Milano); “Magia e civiltà. Un'antologia critica
fondamentale per lo studio del concetto di magia in occidente” (Garzanti, Milano);
“Mondo popolare e magia in Lucania” (Basilicata, Roma-Matera) -- Grice: “There
are two types of magic actually: carpet flying and disappearance!” – “La fine
del mondo -- contributo all'analisi dell’pocalissi” (Einaudi, Torino); “La collana
viola” (Boringhieri, Torino); “Re-ligione, comunismo [lavorismo] e psico-analisi”
(Altamura, Roma) Compagni e amici” (La nuova Italia, Firenze); “Storia e Meta-storia”“i
fondamenti di una teoria del sacro” (Argo, Lecce); “Note di campo: spedizione
in Lucania” (Argo, Lecce); “L'opera a cui lavoro: apparato critico e
documentario alla Spedizione etnologica in Lucania” (Argo, Lecce); “Una
vicinanza discrete” (Oleandro, Roma); “I viaggi nel Sud” (Boringhieri, Torino);
“Panorami e spedizioni” (Boringhieri, Torino); “Musiche tradizionali del
Salento” (Squilibri, Roma); “Scritti filosofici” (Mulino, Bologna); “Dal
laboratorio del mondo magico” (Argo, Lecce); “Ricerca sui guaritori e la loro clientele”
(Argo, Lecce); “Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione
nel Salento” (Argo, Lecce); “Promesse e minacce dell'etnologia”; G. Angioni,
Una scuola antropologica sarda?, in “Sardegna: idee, luoghi, processi culturali”
(Roma, Donzelli); “Antropologia e il comunismo del lavoro”; “Marxismo e
religione”, “Il folklore pro-gressivo, in l’Unita’, “Teoria antropologica e
metodologia della ricerca, L'asino d'oro ; Il mondo magico, ed., Torino, Rèpaci,
G. Angioni, Fare dire sentire. L'identico e il diverso nelle culture, Nuoro, Il
Maestrale, M. Baldonato e B. Callieri, Soglie dell'impensabile. Apocalissi e
salvezza, Rivista sperimentale di freniatria: la rivista dei servizi di salute
mentale (Torino: [Milano: Centro Scientifico; Angeli). R. Beneduce, Un'etno-psichiatria
della crisi e del riscatto, "aut aut", S. Fabio Berardini, Ethos
Presenza Storia. La ricerca filosofica, Trento
Giordana Charuty, Le precedenti vite di un antropologo, Angeli, Milano, P. Cherchi, Dalla crisi della presenza alla
comunità (Napoli, Liguori); P. Cherchi, Il peso dell'ombra: l'etnocentrismo critico
e il problema dell'auto-coscienza culturale, Napoli, Liguori, P. Cherchi, Il
signore del limite: tre variazioni critiche (Napoli, Liguori); S. Matteis, Il
leone che cancella con la coda le tracce. L'itinerario intellettuale, Napoli,
d'If, Riccardo Di Donato, La Contraddizione felice? Martino e gli altri, ETS,
Pisa, M. Epifani, La fuga. Opera teatrale, Roma, riedita da La mongolfiera edizioni e
spettacoli; F. Faeta, I viaggi nel Sud, Boringhieri, collana «Nuova Cultura», F.
Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente. Laterza, Bari); Dizionario Biografico degli
Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Mariannita Lospinoso, Enciclopedia
Italiana, Appendice, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani M. Massenzio, L’antropologia, in Il
Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, stituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani A. Momigliano, Recensione a "La terra
del rimorso", in Rivista storica italiana, Quarto contributo alla storia
degli studi classici e del mondo antico,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, G. Sasso, Ernesto Fra religione
e filosofia, Napoli, Bibliopolis, P.Taviani, Ridere un mondo, Roma, Aracne,. C.
Zanardi, Sul filo della presenza. Fra filosofia e antropologia. Unicopli, Marco
Tabacchini, Dramma e salvezza: il carattere protettivo del mito in G. Leghissa,
Enrico Manera, Filosofie del mito nel Novecento, Carocci, Roma. A. Rigoli,
Magia ed etno-storia, Boringhieri, Torino); B. Croce Vittorio Lanternari Claude
Lévi-Strauss Diego Carpitella, “Tarantismo” -- Altan Alberto Mario Cirese G. Angioni
Antropologia culturale P. Cherchi Scuola antropologica di Cagliari A. Gramsci
Storia delle religioni Etnologia Pizzica, TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M.
Lospinoso, Enciclopedia Italiana, Appendice, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, VDizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, siusa.archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Massenzio, M. e l'antropologia, in Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.
Recensione a Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di
Maria. Recensione a Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo.
Pagina autore Liber Censor.net di
Ernesto de Martino, Istituto Ernesto De Martino, su iedm. Società di Mutuo
Soccorso Ernesto de Martino, su sms de martino.noblogs.org. Interpretazioni
dell'apocalisse: le tre edizioni de La fine del mondo di Ernesto de Martino, su
L’analisi e la classe, "Intorno a una storia del mondo popolare
subalterno", su Academia.edu. Grice: “The more Martino speaks of
‘meridionale’ and ‘sud’ the less I’m willing to qualify him as an Italian
philosopher simpliciter – so I categorise him as a representative of ‘filosofia
del sud’ or ‘filosofia meridionale’. Ernesto de Martino. Martino. Keywords:
religione civile, magismo – essercizio del giudizio – viaggio magico en route –
carpet route travelling – o routeless --. Luigi Speranza, “Grice e Martino” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Masci – critica della critica della ragione – implicatura solidale – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Francavilla al Mare). Filosofo italiano. Grice: “But perhaps more interesting
that his explorations on the judicative are Masci’s conceptual analysis, and
fascinating ‘natural’ history of the will, with a focus on Aristotle!” Grice:
“Like Masci, I make a conceptual connetction between willing and free-will.” –
or “volonta” e “liberta” in his words!” -- Grice: “I like Maci; he has
philosophised on forms of intuition and instincdt – cf. my “Needs’ – and what
he calls the psycho-physical materialism. Also on what he calls the
psychological parallelism – He spent a few essays on quantification and
measurement in atters of the soul -- -- and speaks of an ‘indirect measure’ in
psychology. He has opposed ‘conoscenza’ to ‘credenza’ (cf. my knowledge and
belief), and further, ‘conosecenza and pensiero’, knowledge and thought. Nato
in una famiglia della borghesia abruzzese, perse il padre Guglielmo all'età di
4 anni. Frequentò il collegio Giambattista Vico di Chieti e, completati gli
studi liceali, fu allievo del professor Mola, che gli insegnò filosofia, scienze
e matematica. Iniziò nel 1862 gli studi di giurisprudenza all'Napoli, dove si
laureò nel 1866, ed in seguito studiò scienze politico-amministrative. Cominciò
ad approfondire le sue conoscenze filosofiche grazie alle lezioni tenute da
Bertrando Spaventa nella stessa città. Influenzato dalla sua formazione
universitaria e dallo stesso Spaventa, al centro dei suoi primi studi c'era il
pensiero di Kant e Hegel. Ottenne la cattedra di professore reggente di
filosofia presso il liceo di Chieti, prima dell'abilitazione che gli fu
consegnata a Pisa. Inoltre venne nominato vincitore di un concorso della Reale
Accademia delle scienze morali e politiche grazie ad un saggio sulla Critica
della ragion pura. Divenne libero docente di filosofia teoretica all'Napoli e,
l'anno successivo, di storia della filosofia presso l'Pavia. Abbandona
l'insegnamento a Chieti per recarsi a Padova, dove era stato nominato
professore straordinario di filosofia morale. All'istituto scolastico lasciò
numerosi scritti sulla filosofia antica. Un anno dopo divenne Professore
all'Napoli. Ottenne la carica di rettore dell'Napoli e di consigliere
comunale della medesima città. Nel corso della sua carriera politica fu eletto
deputato dal collegio di Ortona al Mare per la XIX legislatura e fu un
sostenitore di Annunzio. Entra nel
Senato del Regno, dove intervenne più volte sul tema dell'istruzione pubblica.
Sosteneva la maggiore importanza della formazione classica rispetto a quella
tecnica o scientifica nelle scuole secondarie. Liceo scientifico
"Filippo Masci" a Chieti Fu Presidente dell'Accademia di lettere ed
arti della Società Reale di Napoli, socio della Regia Accademia dei Lincei,
membro del Consiglio superiore dell'Istruzione Pubblica e di altre istituzioni
culturali. Presso i lincei difese l'importanza di Kant e Fichte in contrasto
con le parole di Luigi Luzzati che li aveva criticati per essere filosofi
tedeschi. S’erige un busto commemorativo a Francavilla al Mare e il neonato
liceo scientifico di Chieti fu intitolato in suo onore. Nel corso della
sua carriera conobbe Scarfoglio e Annunzio, che continuò a frequentare negli
anni successivi. Inoltre fu tenuto in grande considerazione da Spaventa.
Compone “Pensiero e conoscenza”, in cui sono racchiusi gli aspetti più importanti
della sua filosofia. Ha molteplici interessi (filosofia, psicologia,
sociologia, pedagogia, diritto e storia) ed è considerato uno dei più
importanti esponenti del neo-kantismo o neo-criticismo, avendo rifiutato sia
alcune posizioni di Spaventa, sia l'affermato positivismo di Ardigò, che
esclude ogni possibile principio a priori della conoscenza. La ripresa della
filosofia di Kant e segnata dalla convinzione che e sbagliato ridurre la realtà
a pura rappresentazione, ma anche dal tentativo di studiare la genesi psicologica
delle categorie e quindi negare la loro formulazione numericamente rigida. Nel
materialismo psico-fisico cerca di dimostrare l'unità tra anima e natura in una
concezione psico-fisica della realtà, ma la sua filosofia e criticata da
Gentile, anche a causa della mancata adesione al ne-oidealismo. Saggi: “Le
forme dell'intuizione” (Vecchio, Chieti); “L’istinto” (Società Reale, Napoli); “Il
materialismo psico-fisico”“Il parallelismo in psicologia, “Atti dell'Accademia
di Napoli”, Napoli Intellettualismo e
pragmatismo, “Atti della Regia Accademia delle Scienze morali e politiche”,
Napoli, “Quantità e misura nei fenomeni psichici”Memoria letta all'Accademia di
Scienze Morali e Politiche della Società Reale di Napoli. Napoli: Federico
Sangiovanni & Figlio, “Della misura indiretta in psicologia.”Conoscenza
scientifica e conoscenza matematica. Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio,
“Credenza e conoscenza” -- “I like the
latest bit, where he discusses the reciprocity of the faculties” – Grice.) Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli, “Pensiero
e conoscenza,”Bocca Editori, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italian astrino
per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinariaUfficiale
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Note Schede di personalità
abruzzesi importanti nel campo della filosofia, Regione Abruzzo). Storia
del liceo F. Masci e biografia, Liceo F. Masci). Discorso di commiato per la morte di Masci,
su notes9.senato. Pietrangeli, M. e il suo neocriticismo, Milani, Padova, Gentile,
M.: dal criticismo kantiano al monismo psicofisico, Noubs, Chieti. Giuseppe
Landolfi Petrone, Masci Filippo, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, ATreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere M., su Liber Liber. Opere
di M., su open MLOL, Horizons Unlimited srl.
M., su storia.camera, Camera dei deputati. M. su Senatori d'Italia,
Senato della Repubblica. Differenza tra la filosofia e le scienze pparticolari.
Oggetto della Filosofia. La Gnoseologia e la Filosofia prima come parti
fondamentali della Filosofia generale. Distinzione dei sistemi filosofici, loro
significato e importanza. Distinzione delle altre parti della Filosofia
generale ed applicata, partizione e limiti della Filosofia elementare. LOGICA PRELIMINARE.
CONCETTO DELLA LOGICA E SUE ARTI. La Logica come scienza formale e
dimostrativa, sua definizione. Importanza della Logica. Suo rapporto con le
altre parti della Filosofia e con la scienza. Pensiero e conoscenza;
divisione generale della Logica. Nozioni preliminari sulle formo elementari,
concetto, giudizio, sillogismo; forme metodiche. I PRINCIPII LOOICI.
Determinazione dei principii. Il principio d'identità. Il principio di
contraddizione, valore di questo principio. Il principio di terzo escluso.
Il principio della ragion sufficiente. Valore dei principii logici.
Illustrazioni filologiche. Logica, dialettica, annliticn, elementi, c
oncetto , nota, rappresenzione, teoria. Teorema, problema/Speculativo. Astratto
e concreto, soggetto ed oggetto, contenuto ed estensione, analisi e
sintesi. Teoria delle forme elementari. Il concetto. Formazioni: k
natura dei. concetto. Il concetto e l’astrazione. L'iinagine concettuale.
Il concetto e la parola. Caratteri del concetto. Il concetto e l'essenza.
Il concetto e il giudizio. II. CONCETTO CONSIDERATO IN SE STESSO. Lo note,
loro significato rispetto all'unità del concetto, e loro ordine in esso. Concetti
nstrutti e concreti; qualità, generi, specie, forme diverse
dell'astrazione. Nota e parte, concetti di relnzioue, Contenuto ed
estensione dei concetti, rapporto tra il contenuto e 1' estensione. Contenuto
ed estensione nei concetti di relaziono. Della chiarezza del concetto. Il
concetto considerato in rapporto ad altri concetti. Rapporto d identità e
diversità, concetti equipollenti e con¬ cetti reciproci, significato
delle parole sinonimo ed omonimo. Rapporto d'opposizione, concetti limitativi e
privativi, con¬ cetti in opposizione contraria reciproca. Rapporto
«li subordinazione e coordinazione, contiguità ed interferenza dei
concetti, i sistemi dei concetti. Subordinazione e coordinazione dei concetti
di relazione, condizione e condiziauato, prin¬ cipio e conseguenza. Le
categorie. Categorie grammaticali, logiche e gnoseologiche,
classifica¬ zione aristotelica delle categorie, differenza tra le
categorie logiche e le grammaticali. Le categorie gnoseologiche, la
classificazione kantiana, Le categorie di .sostanza e di causa; il numero
come epicategoria. Grammatica e Logica. Elementi materiali ed elementi
formali del linguaggio. Influenza del pensiero sul carattere formale della
lingua. Influenza delle forme grammaticali sullo sviluppo del pensiero. Il
Giudizio. Del giudizio in generale. Definizione logica del giudizio,
le definizioni realistiche e le logiche, teoria del Brentano, Elementi
dol giudizio, Della classificazione dei giudizu. La classificazione
tradizionale dei giudizii e il suo fonda¬ mento logico. Discussione delle
obiezioni contro d i essa, Forme dei giudizii secondo la qualità ; a) il
giu¬ dizio affermativo e le varie specie d'identità da esso espresse;
il giudizio negativo, sua essenza e sue forme principali, limite
della predicazione negativa; r) il giudizio infinito, se è una forma a
sé rapporto te» l affennaaione e la negazione nel giudizio
infinito,’ Jorme dei giudizi! secondo la quantità; il giudizio
universale, sue forme quantitativa e modale; il giudizio par- 6
ÌUdUttÌV “' se sia ™specte «ordinata de universa ' 6 ;^! 1 giudeo individule,
sue forme si laro Polme ?-’ sua ,. ,rre f ucibiIità al giudizio
universale, p. ICO Forme de. giudizi, d,
relazione; a) il giudizio categorico sua fun¬ zione sua irreducibilità;
») il giudizio ipotetico, se Sia .m giudeo Ino g j 17 - 1 1 ?°|.
etl ° 1 ' c> ’’ S lm,izio disgiuntivo, suo significato logico
condiziom di validità; si mostra che non iuchiudfn con catto della
re^rocità d' azione ed è un giudizio dell’estensione, ft* e
giuiUzi. modali, critica delle obiezioni del Sigivi | deMVundt Dki
GIUDIZII COMPOSTI. Natura dei giudizii composti, loro specie, p.
171 s U Ghi notti ::rr u >i r f eiazìoue <,mogen,;u 172 -§ m.
(h^ CO m- post. a relazione eterogenea, Giudizii contratti, Qnadro
generale di tutte le forme dei giudizii, p. no. Giudizi analitici e
sintetici. r t i I | GÌ j d !? ÌÌ analitici - sintetici, e
sintetici a priori, II -ritmile della teoria dei giudizii sintetici a
priori, significato vero di questa teoria, Giudizi! empirici e giudizii a
priori. Delle relazioni dei concetti nei giudizii DELLE RELAZIONI
DEI GIUDIZII. Attribuzione del predicato ni soggetto nei giudizii, Dipendenza
delle relazioni dei giudizii dulie relazioni del loro contenuto,
relazioni immediate, e mediate, e specie della prima tecnica dei
raziocina immediati, e schema della subalternuzioue e dell opposizione
dei giudizii. Delle trasformazioni dki annui Trasformazioni quantitative
e modali per subalternazione, Trasformazioni quantitativo-qualitative e
modali por opposizione, Trasformazioni por equipollenza qualitativa, per
equipollenza della relazione, per equipollenza tra la quantità o la
modalità, Teoria delle reciproche, suo valore logico; teoria delle
reciproche universali affermative ; caso delle reciproche condizionali,
(teorema di Hauberì.Lo reciproche universali negative. Lo reciproche
particolari affermative e negative, Teoria della contrapposizione, Si
prova che le reciproche e le contrapposto delle proposizioni
universali sono, quando sono possibili, vere illazioni, Il Sillogismo.
Ragionamento e Sillogismo. I gradi del sapere e le vie della
ricerca, sillogismo e induzione, Strutturo del sillogismo e sua
definizione, La sillogistica aristotelica e la sillogistica delle
scuole, generalizzazione logica e generalizzazione scientifica, l'uni¬
versale come fondamento ili qualunque dimostrazione, Il sillogismo
categorico. Regole gonerali del sillogismo. Figure sillogistiche, Modi
generali del sillogismo, e modi speciali di ciascuna figura, Valore delle
figure sillogistiche, la quarta figuro, Specie del sillogismo; 1'
entimema, la sentenza entimematica, l'epicherema, il polisillogismo,
Il sorite; sorite deduttivo e sorite induttivo, Rapporto tra la vorità dell’
illazione e la verità delle premesse SILLOGISMO IPPOTETICO E IL
SILLOGISMO DISGIUNTIVO. Il sillogismo ipotetico: impossibilità di
ridurre 1 una all altra le forme del sillogismo; sillogismo ipotetico con
termine medio, sillogismo ipotetico senza termine medio e suoi modi, Il
sillogismo disgiuntivo e sue formo, Il dilemma, sue forme, sue regole, Del riii Nciptp e dui. valore del
sillogismo. Esposizione ed esame delle obiezioni contro il valore
dimo¬ strativo del sillogismo, Critica della teoria del Mill, che
ogni ragionamento, e quindi anche il sillogismo, e un inferenza dal
particolare al particolare, Esame della quistione se il sili ogismo sia
la forma generale del raziocinio, Del principio fondamentale del sillogismo; se
sia materiale o formale; i principii aristotelici e quelli del Lambert. Si
dimostra che il sillogismo si fonda sugli assiomi logici e sul principio
della sosti¬ tuzione dell'Identico, Teoria pei. Metodo Metodo
sistematico Oggetto e parti del metodo; oggetto e parti del metodo
si stemutico, La definizione. Elementi della definizione ;
come 1' individuazione del concetto sia effetto della loro composizione, Le definizioni come principii proprii nelle
scienze deduttive e induttive, Concetti indefinibili e loro specie ; forme
approssi¬ mate della definizione, e loro valore assoluto e comparativo,
Definizione nominale e definizione reale, specie della definizione nominale, la
definizione nominale induttiva; la definizione reale, definizioni
riversibili, difficoltà opposte delle definizioni metafisiche «d
empiriche, metodo delle definizioni reali induttive, definizioni reali
deduttive, Definizioni analitiche e sintetiche, la definizione genetica, Regole
delle definizioni, Divisione e Classificazione. Concetto della divisione,
e sue regole, Da dicotomia, sue specie, suo valore logico, La classifica¬
zione scientifica, suo fino; le classificazioni per qualità apparenti; la
classificazione tassonomica e la classificazione per serio, La classificazione
per tipi , sue specie; inferiorità della clas¬ sificazione per tipi alla
classificazione per definizioni, Le classificazioni genetiche ; come siono
apparecchiate dalla fase comparativa delle scienze; Jifficoltà delle
classificazioni gene¬ tiche, loro perfezione rispetto a tutte le
altre,PnOVA DEDUTTIVA K J'HOVA INOUTTIVA. Oggetto della prova; i
principii di prova e loro specie; specie •della prova, La prova deduttiva,
sue forme logica e causale, analitica e sintetica. Procedimenti e modi
varii della prova deduttiva analitica, Sqhema della prova
induttiva; la teoria dell’induzione in Aristotele, Bacone, Hume e Milli;
verità ed errore della teoria del Mill; so il calcolo dello probabilit à,
o il principio d'identità possano essere fondamento deU'induziono,
Differenza dell'induzione dall' associazione psicolo¬ gica; solo
fondamento della logica dell'induzione la dipendenza della realtà da
principii a da cause come una legge necessaria del pensiero e
dell'essere. L'induzione come operazione inversa della deduzione, limiti di
questa teoria, Delle forme di ragionamento che sembrano, ma non sono induzioni
II postulato dell'uniformità delle leggi di natura, come debba
intendersi, e quali sieno propriamente leggi ili naturu: rapporto del
postulato col principio di causa; si mostra che questo assicura non solo
l’uniformità degli effetti, ma anche l'uniformità delle cause,
Gradi dell'induzione; di verse condizioni della sua val idità nelle
scienze della natura e in quelle dello spirito; l'induzione nelle
Matematiche, La PROVA ENTIMEMATICA E L'ANALOGICA. La prova entimematica,
sue specie, suo uso o valore essen¬ ziale nelle ricerche scientifiche,
suo carattere deduttivo, Tecnica del ragionamefl4£jmjjlo£ieo, somiglianze e
differenze dall induzione, in che senso e in che limiti debba intendersi
che è un’inferenza dal particolare al particolare, Rapporto tra
l'analogia c l'as sociazione psicolo gica: il nesso tra la funziono logica e la
psicologica come causa dell'uso larghissimo dell'analogia nella prova
scientifica, e dei facili errori ili cui è causa, L a ngioma perfetta e
l'impe rfetta, grudi di quest'ul- tima, e limiti della~sua validi^, p.
,'!tt "Tj Y. L'analogia d'identità e l'analogia «li coordinuzione,
La prova indiretta. Tecnica della prova indiretta , sue forme
contraddittoria e disgiuntiva; e rrore d ella L gica tradizionale che
ammette solo l a prim a: critica delle contrarie teorie del Sigsvart e
del Wundt, La prova indiretta disgiuntiva multipla, e l’ alternativa; la
prova indiretta contraddittoria, Paragono tra la prova diretta e
l’indiretta; casi del loro uso cumulati vo, e funzioni in essi della prova
indiretta, 1 PUINUIPII DI PROVA. Necessità che vi siano princi pii primi
; j vr indpii proprii, Specie dei principii; d efinizi oni, ipotesi,
postulati, a ssio mi; caratteri logici di ciascuno di essi e loro
funzioni; discus¬ sione sui caratteri dell’assioma, Il criterio della certezza
consiste nell'inconcepibilità del contraddittorio, e nei postulati della verit
à d ell' esperienza ~~e ifolLy informità della natura, Sofismi . Se
la Sofistica sia una parte della Logica, Difficoltà di dare una buona
classificazione dei sofismi, esame delle classificazioni di Aristotele,
del Whately e dello Stuart Alili; ragioni di ridurre i .so¬ fismi a tre
classi secondo che riguardano o le premesse, o l'illazione, o la conseguenza
logica della prova, n. 3( il - Sofismi verbali e so fismi morali , p.
Sili — Sofisrnìuigici relativi alle premesse; loro specie, premesso
apparentemente vere, petizione di principio , inversione tra principio e
conseguenza, Sofismi relativi all'i llazi one, loro specie, 1 'ignorano
elenchi, e il ai- auto» probare nihil probare, So fismi r i rr» |a
conse- Metodo inventivo. Oggetto o parti del metodo
inventivo, Dei metodi ikdutitvi. Analisi dell'idea di legge; leggi
normative, causati, matematiche. Definizione della legge, Oggetto della
ricerca induttiva sono le leggi causali; distinzione ili esse dalle
leggi di consistenza. Il concetto.sperimentale della causa. Caratteri fondamentali
della causalità nella natura; la pluralità delle cause, lu molti- plicità
delle serie causali, hi composizione a collocazione delle causo, la
trasformazione delle cause, la causalità unilaterale e reciproca, L’osservazione
scientifi ca: il suo carattere fondamentale è la prevalenza del ragionamento
sulla percezione. Precetti a cui deve conformarsi. Le tre operazioni
nelle quali si risolve sono, l'analisi, l'eliminazione, la
generalizzazione. Osservazione esterna od interna, L'esperimento, suo maggior
valore rispetto all induzione. Necessità di mezzi superiori di ricerca
sperimentale, i metodi induttivi, Logica. 34 ? o: t
g uenza logica della p rova: s ofismi dedu ttivi, loro specie, sofismi
di conversione e di opposizione, sofismi por inosservanza delle
regole sillogistiche circa la qualità o quantità dell'illazione in
rapporto alla qualità e quantità dello premesso, sofismi di divisione e
di composizione, sofismi a dirlo secondimi quid ad ilictum
simplieiter, et secundunr alterimi quid. Sofismi induttivi; sofismi
_ di osservazione, loro specie; sofismi di generalizzazione, loro
specie; i sofismi di falso analogio derivanti dall'uso delle metafore
sognano il limite di transizione dai sofismi di pensiero ai verbali p.
Dki metodi induttivi. (muti nuaz unir) Metodi induttivi in
Bacone, Herschell e Stuart Mill, Il metodo di concordanza, Il metodo di
diffe¬ renza, e il metodo di concordanza negativa, Il metodo delle
variazioni, Il metodo dei residui; uso cumulativo dei metodi induttivi, Limiti
del valoro dei metodi induttivi dipendenti dalla mol teplicità delle
cause p ^dOili di uno stesso effe tto, e dalle complicazioni delle cause.
Necessità dell'integrazione deduttiva per ricollegare le parti del
procedimento induttivo, Dei. metodo deduttivo. Oggetto e
forme del procedimento inventivo deduttivo ; uso di questo procedimento nelle
scienze razionali, il valore delle ijw- tcsi in queste dipende
dall'inversione del procedimento deduttivo. Applicazione del metodo alla
risolupiona dei problemi ; necessità della dcdueione dei concetti come
fondamento di esso,11 proce dimento deduttivo nelle scienze eimteri che
causali; suppone l'induzione anteriore delle leggi causali più semplici,
o consiste o in una riduzione o in una sintesi. Necessità j ella
itjerificazioD e. Il procedimento deduttivo da i uotegi causali. C ondizioni
cIVih i- missibilità delle ipot esi, Condizioni di neiificazione ;
verificazione completa e incompleta.gradi di ciascuna, osompii.
p.tòO—Discussione delle cr itiche mosse all'uso dol imi unteci. Importanza
dello ipotesi, e largo uso di esse in ogni ramo di scienze come
condizione del loro progresso ; condizioni soggettive ed oggettivo delle
vere ipotesi scientifiche, Haitouti tua l'induzione e la deduzione.
Divisione delle leggi in primitive e secondarie, o delle secon¬ darie in
empiriche e derivate ; limiti relativi della loro estensione, Si mostra
con l'esame dei variimodi di spiegazione di un fenomeno, che spiegare è
dedurre. Limiti della generalizzazione nella scienza, Significato
relativo della distinzione delle scienze in induttive e deduttive ;
tendenza generale delle scienze a diventare deduttive ; difficoltà di
tale trasformazione, ed Muti che riceve dall'applicazione del Calcolo, I
P li O II 1 .Definizione logica del problema, distinzione dei problemi in
ipotetici ed assoluti, e modo di risolverli, I problemi antitetici, modi
di risolverli, VEBISIMIOLIANZA QUALITATIVA. Verisimiglianza Qualitativa e
verisimiglianza quantitativa: norme logiche della prima, Delle ragioni di non
credere alle testimoniauzo contrarie a leggi causali note, Ul. e
alle uniformità non causali, Delle ragioni della in¬ credibilità
delle coincidenze e delle serie, Veiusisik; manza quantitativa. II calcolo
delle probabilità e le sue norme fondamentali, I suoi presupposti: in che senso
e in che limiti è vero che il calcolo dello probabilità suppone
l'ignoranza delle condizioni qua¬ litative dell'evento, Il calcolo delle
probabilità come procedimento di eliminazione del caso; concetto logico
del caso, Eliminazione del caso rispetto all'effetto; olimiuaziona del caso
rispetto alla causa, Metodi delle Matematiche. Le Matematiche come
scienze deduttive, I Me¬ todi dell'Aritmetica come metodi di
formazione dei numeri; il siste¬ ma di numerazione, e le operazioni, L' Algebra come scienza delle funzioni:
notazioni algebriche; l'Algebra come scienza dell'equivalenza dei modi di
formazione delle quantità, La Geometria come scienza dell'equivalenza delle
grandezze; i tre metodi principali della Geometria elementare, la
risoluzione delle figure; le c ostruzioni ausilia rie, le c ostruzioni
genetic he . L'induzione in Matematica, Estensione e limiti dell
applicazioue dello Matematiche allo altre scienze, METODI DKU.K SCIENZE
BTOBIOHK. La testimonianza come nnirp [iri-mH-Jal Wvoi!i|-à 'lei
fatt i sto¬ rmi; valore Tjel rritijrio I ntrinse co, la
verisijjiigliuuza; necessità del criterio estrinseco, cioè desumo dalle
reiasioni di tempoo luogo del racconto col fatto. Valore della leggenda
per la storia, p. 485- S li.Mo¬ numenti; monumenti preistorici, f ihdmria
o s|^ ri,i p .ts-. g m. Monumenti storici, maggior valore di essi in
confronto con lu testimo- niuiiza; le due quistioni possibili rispetto a
questa, l'autenticità e la credibilità; Iti credibilità è tanto maggiore
(pianto più è possibile riportare il racconto alla percezione diretta
come a causa- Maggior valore della tradizione scritta e suoi limiti,
L'autenticità è tanto maggiore quanto maggiore i- la possibilità di
escludere lo falsifica - zioni e le alterazioni, i ncertezza e limiti
della tradizione orale, esempio del valore storico dell’ epopea francese,
I criteriidei numero e della credibilità dei testimoni, Passaggio dai
fatti alle leggi ; s cienze storiche e sociul i. p. Dei metodi ueij-k scienze
storiche, Tre specie di melodi por la ricerca delle leggi storiche: critica
del metodo deduttivo astratto,Critica della teoria antropologica, p. 499
§ III. Critica dell'analogia biologica, Critica dal materialismo storico
.Critica della aeuola .dorica, L'indeterminismo storico, e la
scuola psicologica, Il metodo deduttivo inverso o storico,
funzione essenziale dell'Induzione in esso, le leggi storiche come
lci/</i di tendenze, p, 510 § \ ili Insnflii-ionza iL-1 |n'i n• i <
1 i nn •( 1 1• » indutt ivo desunta dalla natura delle uniformità
accertate dalla Statìstica, p. òli Si IX. Si mostra che lutti i metodi
hanno n p valore limit ato nella rìcercu delle leggi storiche,e che tutti
possono essere utili, se subordinati al metodo deduttivo inverso.
Concetto della Filosofia della storia, LA SOCIETÀ, IL DIRITTO, LA
MORALITÀ. L'aspetto sociale perla coscienza di sè, S I. L'io sociale, sua
formazione, sue fasi di sviluppo, Identificazione dell'io sociale con l'io
formale, l'io come principio sociale, LA SoCIETA. Condizioni comuni della vita
sociale animale ed umana, e condizioni proprie di questa. Le società animali,
Diffe renza tra la società umana e l'animale. La teoria biologica, e l'ato
mistico-contrattualista. Se la società sia una realtà indipendente dalle
coscienze individuali, Definizione della S o cietà, p. 15. CAPO III. LE FoRME
soCIALI PRIMITIVE E IL LoRo svILUPPo. Il gruppo sociale primitivo, il costume,
la sanzione religiosa, organizzazioneprimitivadell'assicurazionesociale. Ori
gine dello Stato, il diritto e lo Stato, DIRITTO E MORALITA'. Unità primitiva
delle regole della condotta, separazione pro gressiva della religione, della
morale e del diritto. Dif ferenze tra la morale e il diritto, Caratteri
differen ziali derivati, Rapporto fra il diritto e la moralità; concetto
dell'Etica come scienza, La Coscienza morale. I GIUDIzn vALUTATivi MoRALI.
Giudizii di cognizione e giudizii di valutazione, i giudizii valutativimorali, La
teoria dei valori in Economia, La teoria che pone il principio della
valutazione m o rale nel sentimento, Una forma speciale di questa, la teoria
dei valori normali, Esame della teoria sentimen talistica, Il senso morale, la
simpatia, la pietà, I GIUDIziI VALUTATIvi MortALl. Il sentimento non può essere
principio di valutazione morale, perchè è mezzo non fine, e perchè è
correlativo delle idee, e prende nome da esse. Il sentimento del rispetto
morale (Achtung) secondo Kant. Si mostra che la ragione può operare sul sentimento,
e che èilgiudiziodivalorequellochelodetermina, Esame della teoria appetitiva e
della volontaristica dei valori morali, La teoria biologica dei valori,Il
carattere ra zionale della valutazione morale provato, a) dalla necessità del
cre terio morale, e dalla dipendenza del sentimento da esso; b) dalla
sistemazione finalistica dei valori morali; c) dal carattere scientifico
dell'Etica; d) dalla idealizzazione progressive del sentimento morale, ANALISI
DELLA cosCIENZA MORALE. Coscienza morale e coscienza psicologica, genesi della
c o scienza morale nell'individuo, l'equazione personale della
moralità,Genesidellacoscienzamoralesociale,suoprocedimento
dalparticolareall'universale, Contenutoedunitàdella coscienzamorale,Autorità della
coscienza morale, san zione, Sentimento morale, affinità del sentimento m o
rale col sentimento religioso, L'idea del dovere come categoria morale ultima;
essa suppone il dualismo morale, ed è la condizione del progresso morale.
Critica della teoria psicologica. Dovere e diritto. La subordinazione dei
doveri dipende dal grado della loro universalità. Coincidenza del dovere e del
bene.ANALISI DELLA CosCIENZA MORALE. La volontà morale, esame della teoria che
il fine giustifica i mezzi,Il carattere psicologico e il carattere morale, Teoria
aristotelica della virtù, che è un abito, che è una medietà; critica di questo
secondo carattere. Classificazione ari stotelica delle virtù. La teoria
kantiana, e sua opposizione con la precedente. La loro conciliazione si può
avere se si concepisce la virtù come la sintesi superiore della coscienza
morale, Se possa concepirsi l'estinzione della coscienza morale,Le basi della
moralità. LA LIBERTA' MORALE. Rapporto teorico tra la libertà e la moralità,
antinomia tra la libertà e la causalità, vicende storiche del problema, i tre
punti di vista dai quali deve essere considerato, La libertà d'indifferenza,
argomenti indeterministici, il numero infinito, il nuovo, i casi
d'indeterminazione nella natura, il caso, la statistica. La li bertà
intelligibile di Kant; teoria del Bergson, la causalità ridotta all'identità, e
la libertà creatrice. La libertàela testimonianza della coscienza; argomenti
opposti dei deterministi e degl'indeterministi; il risultato della disputa non
è favorevole alla libertà d'indifferenza, LA LIBERTA' MORALE. La libertà e
l'ordine morale, libertà e responsabilità, loro nesso necessario. Contro di questo
non valgono nè la critica dell'idea di sanzione, che lo nega, nè l'idea
dell'autonomia che non lo spiega, La
libertà d'indifferenza in contrasto con la respon sabilità, questa ammette la
causalità del motivo; ilrimorso e lo sforzo morale ne sono prova, Esame del
criterio della pre vedibilità degli effetti dell'azione, La libertà morale
s'identifica con la causalità dell'io; la teoria psicologica dell'auto
coscienza e quella della volontà, come potere d'inibizione e d'im pulso proprio
dell'io, sono la dimostrazione di questa causalità. I n stabilità delle
condizioni psicologiche della causalità dell'io, con solidamento di esse nel
carattere morale, La respon sabilità morale richiede come suo fondamento una
formazione psi cologica identica per tutti, quindi non potrebbe riconoscerlo
nel temperamento o nel carattere psicologico. Differenza del consenso teoretico
e dell'adesione pratica in cui consiste la libertà. Rapporto della
responsabilità con lo stato d'integrità della causalità dell'io,e loro variazioni
correlative. Suo rapporto con l'educazione della v o lontà. La libertà e la
vita sociale, intimo rapporto della libertà con la solidarietà. LA solIDARIETA' MORALE. Libertà e solidarietà;
suggestione individuale e suggestione collettiva della solidarietà; la
solidarietà nel dolore e la solidarietà nel progresso; la solidarietà e
l'eguaglianza, p. La soli darietà economica, sua causa la divisione del lavoro;
influenza di questa causa sulle forme superiori della vita sociale; anomalie.
Li bertà, solidarietà, giustizia; loro nesso necessario, giustizia ed egua
glianza, Se la divisione della voro possa essere considerata come il principio
morale della solidarietà nelle società superiori; solidarietà nel diritto,
nella storia, nell'arte, nella scienza, nella religione. L'unità morale della
natura umana, e la giustizia come condizione della solidarietà, LA Giustizia,
La giustizia come idea morale fondamentale; la giustizia come virtù, cenni
storici, La giustizia come norma; teoria aristotelica, Teoria di Mill, La
giustizia come unità della libertà e della solidarietà;lagiustizia nell'ordine
economico, Giustizia e carità; il progresso morale, La legge morale.I sisTEM1
MoRALI. Classificazione dei sistemi morali. La morale eteronoma, La morale
autonoma; isistemi sentimen talistici e gl'intellettualistici, I sistemi aprioristici e gli empirici,I
sistemi universalistici e gl'individuali stici, I sistEMI MORALI. I sistemi soggettivi, l'edonismo e l'eudemonismo,
I sistemi oggettivi, l' utilitarismo; utilitarismo individuale e utilitarismo
sociale, l'utilitarismo nella filosofia dell' evoluzione (Spencer). Altre forme
della morale oggettiva, la morale della perfezione, la morale del progresso, la
morale del vi vere secondo natura, La morale biologica, socialismo e
individualismo biologico, Critica della morale bio logica. Necessità di una
morale razionalistica. LA LEGGE MORALE. S l. Differenza tra la legge naturale e
la legge morale, carattere di obbligazione, altri caratteri della legge morale,
Concetto del Bene; la prima formula della legga morale, l'univer MAscI–
Etica. - – salità. La seconda formula
della legge, la finalità. La terza formula della legge, l'autonomia. Unità
delle tre formule. Il sentimento m o rale, Il carattere formale della legge morale
kantiana; vecchie e nuove critiche contro di esso; parte innegabile di verità
che è in esse. Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista
gnoseologico, p. 210 – S Risoluzione del formalismo k a n tiano dal punto di
vista oggettivo, L'accentuazione formalistica
della dottrina kantiana come conseguenza dell'opposi zione contro l'empirismo
morale, necessità della negazione del for malismo morale, e del dissidio tra la
ragione morale e il sentimento morale. Valore storico e teorico dell'etica
kantiana. LE FORME DELLA COMUNITÀ MORALE. INTRODUZIONE S I. L'Etica come
scienza sociale; suoi aspetti ideale e storico. Le diverse forme della vita
sociale: la famiglia, la società civile, lo Stato, la società religiosa. LA
FAMIGLIA. S I. Cenni sulla storia della famiglia, la famiglia paterna,
L'idealità morale nella famiglia. La famiglia dal punto di vista giuridico e
dal morale; monogamia, fedeltà, indisso lubilità, divorzio. Critica della
teoria che considera la famiglia come una forma transitoria della comunità
morale, Il m a trimonio civile e il religioso; i rapporti tra i coniugi, e tra
i geni tori e i figliuoli; la patria potestà,
LA SOCIETA' CIVILE. Concetto della società civile; in qual senso e in
quali limiti si può dire che la società civile derivi dalla famiglia, la
società ci vile e lo Stato, Le classi sociali, gli antagonismi so ciali e lo
Stato, LA SoCIETA' CIVILE COME SISTEMA DEI DIRITTI PRIVAT1. Diritti personali e
diritti reali, loro comune fondamento. D i ritto di libertà e sue
specificazioni, la personalità morale e giuridica –della donna,
limitazione della seconda nella sfera del diritto pubblico; carattere sociale
dei diritti personali, Dei diritti reali, la proprietà, suo fondamento
psicologico e suo sviluppo sto rico; impossibilità di dare un fondamento
esclusivo all'una o all'altra delle sue forme, la proprietà delle opere
dell'ingegno, Le obbligazioni,lorospecie; il diritto contrattuale, sua natura, suoi
limiti, Il diritto di associazione, sua natura, suoi fini, sua storia; le
corporazioni medievali e le libere associazioni moderne. Varie specie di
associazioni; le associazioni e lo Stato, DEL CONCETTO E DEI FINI DELLO STATO.
Necessità dello stato, elementi ideali del concetto dello stato, Elementi
materiali, il popolo e il territorio; fattori naturali e fattori spirituali della
nazionalità, La sovranità, suo fondamente razionale; lo Stato di diritto, la
costituzione, la personalità dello Stato, Definizione dello Stato, I fini dello
Stato, loro distinzione in proprii e d'inte grazione, Limiti dell'azione dello
Stato, I POTERI DELLO STATO. S I. Modi varii di distinguere i poteri dello
Stato, Della divisione dei poteri, suo carattere relativo, Il diritto punitivo,
suo sviluppo storico, Esame delle varie teorie sul fondamento del diritto di
punire, G i u stizia civile e penale, delitto e pena, la pena come limitazione
della libertà; la pena di morte, l'infamia, la gogna. Valore relativo degli
altri fondamenti del diritto di punire. LA cosTITUzioNE E LE FORME DELLO STATO.
Le costituzioni degli Stati, definizione, loro carattere storico, moltiplicità
dei loro fattori,Le forme dello Stato, divi sione aristotelica, quali siano
ancora vitali; necessità del governo rappresentativo, sue forme repubblicana e
monarchica, e caratteri differenziali di queste, LE RELAZIONI FRA GLI STATI E
LA PATRIA. Del diritto internazionale, se sia un vero diritto, sua distin zione
in diritto pubblico e privato, Cenni storici, Diritto internazionale pubblico;
la sovranità e le sue limitazioni; la sovranità territoriale e la libertà dei
mari. Diritto di guerra e sue limitazioni. L'ideale della pace universale,
Diritto internazionale privato, statuti personali e reali, dispo sizioni
speciali, Se l'idea di patria sia un'idea transi toria, sua necessità storica e
psicologica e doveri che ne derivano. Elementi più generali di questa idea, e
formazione storica diversa pei diversi popoli. Patriottismo e imperialism. LA COMUNITA'
RELIGIOSA, CHIESA E STATo. S I. Concetto della Religione,
ReligioneeReligioni,p.313– SII. Le religioni positive e la cultura; perennità
dellavitareligiosa;suo adattamento ad ogni grado di coscienza, Importanza
sociale delle religioni positive, e unità primitiva della società reli giosa e
della civile, Ragioni della loro separazione, l'universalità della religione, e
il principio della libertà di coscienza; impossibilità per lo Stato di
subordinare la cooperazione sociale alla fede religiosa, I quattro sistemi di
regolamento dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato; loro irrazionalità relativa,
e confusione dei medesimi nella politica pratica, Dif ficoltà teoriche e pratiche del regime
della separazione, Difficoltà speciali del regime della separazione nei paesi
cat - tolici; la separazione come meta ideale nei rapporti tra la Chiesa e lo
Stato, p. Nati ra e classificazione dei fatti psichici. Il fatto psichico
come l'atto psicofisico, Differenze trai fatti psichici e i materiali; che
s’intende per stato di coscienza, conscio ed inconscio. La teoria
delle facoltà e quella dell’ unità di composizione dei fenomeni
psichici; il rifesso psichico primitivo, le forme piu generali delle
attività psichiche cóme suoi momenti, loro distinzione progressiva, Svi
l,t'PP O DEI PATTI PSICHICI. La coesistenza e la successione nei fatti
psichici, fatti psichici primarii e secondarii; l’associazione come loro
legge generale; fatti psichici di terzo grado, loro rapporto con gli
altri. Partizione della Psicologia, La subordinazione progressiva
dei fatti psichici alla coscienza è indirizzata alla conoscenza Il mondo dello
spirito oggettivo. La Psicologia della sensibilità. Delle
sensazioni in P£w.v« Definizione e classificazione delle
.sensazioni in loro stesse e in rapporto agli stimoli , Rapporti fra la
geu sa- /ione e lo stimolo quanto all intensità e all’estensione: soglio
e <iifferensa;quantità negativa; stimolo, eccitazione, sensazione, So
ggetti vità delle sensazioni: limite del principio delle energie specifiche;
moltiplicità di sensazioni per uno stesso stimolo, sensazioni di consenso. Le
sinestesie. In che senso le sensazioni si possono sostituire .L’
eccentricità non è, come la spazialità, una proprietà primitiva delle
sensazioni, Qualità, intensità, t ono delle sensazioni. Irredncibilità
delle qualità. Lpgge di Weber sul rapporto tra la sensazione e lo stimolo.
La legge di Fechner,c eltica de lla medesima, Che s‘ intende per tono
delle sensazioni; rapporto tra la qualità e l’intensità delle sensazioni e il
loro tono. Le. sensazioni in particolare. Le sensazioni particolari si
distinguono in piterne edjtf terne. e le prime "in organiche 0 e
muscolari" Le sensazioni orga¬ niche.'la coinestesia o senso vitale;
le sensazioni organiche spe¬ ciali. norma li e patologiche, loro funzione
biologica, loro tonalità, loro dipendenza da stimoli periferici e da
stimoli centrali e psichici, Le s ensaz i oni musco lari; diverse teorie
intorno ad esse; si mostra che sono sensazioni centripete del
movimento eseguito, non dello stato organico del muscolo. Contenuto
quali¬ tativo e tono delle sensazioni muscolari. Coinestesia, cinestesia
e cinestesi. Le sensazioni esterne; differenziazioue ed isolamento
degli organi relativi, il loro numero un fatto d'esperienza soltanto. Il
senso del tatto, sensazioni di contatto e sensazioni di
tamperàTuraT^SS^Tia ed altezza di stimolo per le sensazioni ter¬ miche:
rapporti tra la sensibilità termica e la tattile. Sensazioni di
pressione, di c ontatto . di discriminazione locale. Teoria del Weber
intorno alla discriminazione; i segni locali. Le sensazioni di forma, 1
sensi chimici, loro carattere biologico; mancanza di figurabili e quindi
minore oggettività del loro contenuto. Il gusto, stimoli e condizioni di questo
senso, varie specie di sensazioni gustative. Loro fusione e
rimemorabilità, penetrazione e intensità. L’olfatto, natura dello
stimolo, penetrazione delle sen¬ sazioni olfattive,loro intensità e
fusione, loro classificazione, e scarso valore oggettivo, loro valore
emotivo e rimemorativo. L’ udito , stimoli delle sensazioni uditive. Qualità
delle sensazioni uditive, rumori e suoni. Percezioni spaziali
dell’udito. L'udito e il linguaggio, la musica. Altezza, intensità,
timbio. Armonia, melodia, ritmo, La vista., stimoli delle
sensazioni visive, corpi luminosi, opachi, trasparenti. L'organo
visivo.Percezione di spazio e di forma; teorie empiriche e teorie
nativiste. Percezioni di luce e di colore. Colori tondamentali e
derivati, acromatismo. Somiglianze e deferenze tra la gamma dei colori e
la scala musicale. Contrasto successivo e contrasto simultaneo. Luminosità
proprie dei diversi colori . colori caldi e freddi, saturi e non saturi. Il
sentimento sensiti ivo. Definizione del sentimento , piacere e
dolore indefinibili e di qualità opposta, soggettività dei sentimenti,
finalità biologica dei sentimenti sensitivi, loro differenza dalle
sensazioni. Fisiologia del piacere e del dolore. Dipendenza degli stati
emotivi dai pre¬ sentativi, II sentimento sensitivo e il sentimento
vitale 4 \\ punto neutro, Dipendenza del sentimento dallo stato del
soggetto, dall’intensità dello stimolo, Rapporti vari! dei sentimenti sensitivi
con l'oggettività, la frequenza, e la qualità delle sensazioni.
Dimostrazione particola¬ ri raggiata del primo di questi rapporti,
Sentimenti sensitivi di natura estetica, loro dipendenza dalla
forma delle sen- j sazioni, armonia, euritmia, proporzione. L\ TEND5ì^U-B
L’ISTINTO. I *L’istinto. L’ azioni? riflessasue proprietà e
differenze. Impulsività delle sensazioni, legge di diffusione e legge di
specificazione. La tendenza, Definizione della te nden za, sua
dipendenza dal sentimento che ne è causa; ten denze primitive e derivate;
la tendenza, come stato psichico per sè, è il prodotto
dell’inibizio¬ ne, p. 137. § III. Carattere biologico della tendenza,
legge di riversione tra l’azion volontaria e la riflessa. S viluppo
dell’attività pratica mediante l’isolamento e la combinazione dei movi¬
menti. Differenza di s viluppo dell’attività prat ica nell’animale e
nell’uomo, e differenza di finalità. Funzione dell'imitazione in tale
sviluppo. L atti vità pratic a dir etta alle rappresentazioni, forme
dell'attenzione spontanea, L’istinto ; teorie opposte sulla sua natura ed
origine; teoria della lapsed intelli¬ gence (Romanes). Errori del Komaues
circa la natura dei fattori dell istinto, e circa il loro rapporto.
Natura dell’esperienza che è base dell istinto, 1 intelligema
adattatine), suo carattere frammentario, sua meccanizzazione. L’istinto cpme
uno sviluppo ol- latepale deU’ attività pratica, senza continuità con le
forme supe¬ riori, p. Le condizioni dello sviluppo psichico. L’
ATTENZIONE. Natura dell attenzione; attenzione spontanea e
attenzione volontaria, specie della prima: attenzione esterna ed interna.
Fe¬ nomeni fisici dell’attenzione, Intermittenza e ritmi¬ cità
dell’ attenzione, Attenzione e percezione, atten¬ zione e coscienza. Carattere
emotivo dell’attenzione spontanea, origine e sviluppo dell’attenzione
nella serie animale, L’ attenzione d’esperienza: e le sue forme
singolari dell' attenzione aspettante, dell’ inversione delle imagini, e
dell at tenzione marginale. L’attenzione interna. La memoria.
Analisi del fatto della memoria, memoria organica e me¬ moria
psicologica, loro riversione e sostituzione. Non ci è una memoria come
facoltà generale, ina un numero grande di memorie particolari. IL
Condizioni della memoria, anomalie mnemoniche, Stato primario e stato
secondario nella memoria, loro differenze, e loro rapporti, Svi¬
luppo della memoria, prova desunta dalle amnesie, La memoria psicologica e le
sue leggi. La collocazione nel tempo. L’ ABITUDINE.
Dell’abitudine dal punto di vista fisiologico e psichico, Effetti
dell’abitudine, l’attenzione e l’abitudine, I' abitudine come educazione
di tutte le funzioni psichiche, L’abitudine e la volontà. La psicologia della
conoscenza. LA PERCEZIONE. Natura della percezione, sua
differenza dall’associazione: la percezione come integrazione. Condizioni
della percezione,. |per- eezione ed appercezione^ Altre prove
dell’integrazione percettiva, Cause soggettive ed oggettive delle
integrazioni percettive, Misura del tempo della percezione,
equazione personale,[variazioni, percezione e sensazione, Percezione sensitiva
e percezione intellettiva, La percezione
interna, Le illusioni percettive e loro specie, Le allucinazioni, diverse
ipotesi sulle loro cause. L’ ASSOCIAZIONE. Associazione e
percezione, serie percettive e serie rappre¬ sentative, Teorie intorno
alla reviviscenza delle rappresentazioni. Critica della teoria
herbartiana, la teoria morfologica, dell'associazione, Se siano
riducibili, Condizioni prossime delle associa¬ zioni, Tempo di
associazione, L’oblio. I sogni come fenome ni dell’associazione psicopatica. Il
son no. Diverse specie di sogni. Cause, Rapporto tra le cause positive e le
negative dei sogni, la volontà nel sogno. Sogni telepatici, L’io.
Associazione e coscienza, continuità e dinamismo delle serie
rappresentative, il pensiero delle cose e il pensiero dellMo. Varii significati
della parola cosciente: la. fase irrelativa e l’integrale
oggettiva, La.^u?cifenza \li sé (formale) e 1' empirica o storica,
elementi di quest’ ultima, (u- deducibilità della coscienza di sè
dall’associazione e dall’astra¬ zione, unità e continuità della coscienza
di sè. Lacoscienza dell’identità dell’io; funzióne della'memoria e dell’associazione,
casi di coscienza doppia, La coscienza di sè e l'astrazione come
caratteri distintivi della psiche umana dall’animale. L’astrazione, Il
concetto, Il giudizio. Il principiod'identità come fondamento del
raziocinio, natura dell’identità logica e sua invenzione. Sintesi e analisi.
L’intelligenza animale e l’umana. Il genio scientifico, Dimostrazione del
doppio procedimento del raziocinio nel raziocinio quantitativo e nel
qualitativo, Le forme dell' intuizione e le categorie, Psicologia e linguistica:
l’origine del linguaggio, Vili. Rapporto tra la parola e il pensiero. Azione
reciproca tra la parola e il pensiero. Natura logica della lingua: suo
svi¬ luppo dal concreto all' astratto, L’ IMAGINAZIONE.
Rapporto dell’imaginazione con l’intelligenza e con 1 asso¬ ciazione;
l’imaginazione riproduttrice. IL Rapporto del- l’imaginazione con la
sensibilità e col pensiero astratto, L’imaginazione artistica, sue funzioni, L’imnaginazione
neiia scieuza. L’imaginazione nell’Arte: momeuto realistico e momento
idealistico. L’Arte e la Scienza,. Relatività i>ei sentimenti. La
legge della relazione nel sentimento, Il sentimento e le altre funzioni
psichiche, L’ associazione e la memoria dei sentimenti, Affetti e passioni. Gli
affetti, p. Le passioni. Classificazione
dei sentimenti. Metodo della classificazione; classificazione dello
Spemi e ilei Nahlosvski. La classificazione biologica e genetica, e
sua integrazione con la rappresentativa. Passaggio dai sentimenti primitivi ai
derivati. 1 SENTIMENTI MORVU. Le teorie intorno ai sentimenti
morali. Esame della teorìa empirica; se il sentimento morale sia il
riflesso delle sanzioni esterne. Impossibilità di spiegare con la
morale empirica il sacrifizio defini tivo, Erroi-' logico della dottrina
empirica, parte di verità che è in essa. La teoria razionalista; la direttrice
psicologica e la socia ;; la ragione e il sentimento, Classificazione ed
a .a- lisi dei sentimenti morali, La carità e la tu- stizia, I
sentimenti religiosi. Natura del sentimento religioso, sua forma
primitiva, di¬ rezione di sviluppo. Il sentimento morale e il sen¬
timento religioso. Rapporto tra l’intelligenza, il sentimento e la
volontà nella religione. La forma superiore del sentimento religioso. Le
tre forme del sentimento religioso. I SENTIMENTI ESTETICI. Il
sentimento estetico e il sentimento del gioco. I fattori del sentimento
estetico. La simpatia estetica. I fattori intellettuali. La verità in Arte.
Idea e forma. I SENTIMENTI INTELLETTUALI. Le origini dei sentimenti
intellettuali ; la curiosità e il dubbio pratico. IL II sentimento
intellettuale della ricerca, e quello del possesso della verità. Il
sentimento intellettuale e il sentimento di sé. Dei sentimenti estetici in
particolare. Il sentiment o del bello ince nerale, IL li sen tii .ento
della bellezza finita e le sue forme: la bellezza plastica, il arioso, il
drammatico. Il sentimento del su¬ blime, sua natura, sua forma; il
sublime naturale, l’intellettuale, il morale. Il sentimento del comico ,
sua natura, suo rapporto col sentimento di sè e col sentimento della
libertà. Comicità ed umorismo. Il sentimento della natura, sue forme
diverse nell' età antica e nella moderna. Perche è la forma più evidente
della catarsi estetica. La Psicologia
della Volontà. Il desiderio e la.
volontà. Il desiderio, Fenomeni intensivi del desiderio. Le azioni
volontarie nelle loro forme deri¬ vate e contingenti; elementi essenziali
dell'atto volontario. Il problema della causalità della volontà. Teoria della
volontà. La teoria metafisica della Volontà. La teoria
associazionista. La volontà come facoltà del fine. e dei valori
razionali; la funzione d’inibizione come suo momenti essenziale,
Il sentimento del conato volitivo, In che consistono e come sì producono
l'inibizione e l’impulso. L’attenzione volontaria e le sue forme p&-
K tologiche. La misura del tempo nelle volizioni. Le malattie della
Volontà, e l'ipnosi. L'aboulia e la forza irresistibile, il capriccio
isterico. L’estasi, Fenomeni sensitivo-rap- presentativi, mnemonici, e
volitivi dell'ipnosi; suoi gradi. La suggestione normale e l’ipnotica;
somiglianze e diffe¬ renze tra il sonno naturale e l’ipnosi: cause
specifiche della suggestione ipuotiCa. Temperamento e cvrattere. Natura
del temperamento, suo rapporto col sentimento vitale, sua dipendenza
dall’eredità. Il carattere, sua natura, sua unità col temperamento, La
teoria ippocratico-galenica dei temperamenti, e le sue
interpretazioni fisiologiche. La classificazione psicologica
riunisce il temperamento e il carattere: forme varie di essa, la
classifica¬ zione del Ribot. Della modificabilità del tempera¬
mento e del carattere. Forme patologiche. La volontà e le altre attività
psichiche. L’EDUCAZIONE DELLA VOLONTÀ. La Volontà e P
inconscio. Mezzi di azione della volontà sull’ intelligenza : necessità
della limitazione della valutazione; forme patologiche, e forme estreme,
ma normali, dì questa limitazione. Modi d’azione della volontà sul sentimento.
Azione delia volontà su sè stessa; genesi della volontà comune, azione
reciproca dellajiilpiUàindi- viduale e della volontà comune, il costume,
la/fm(fl*A.' Influenza della volontà iudividuajeV sulla vomW^
comune: l’educazione, la gerarchia, la dittature/<Qe sue
du^rfiel la militare e la morale. L’idea di giustizia comprende le
eguaglianze ari¬ stoteliche, e il carattere imperativo e di necessità
rilevati dallo Mill; ma perchè sia ben compresa ha bisogno di
essere guardata in rapporto alla solidarietà morale, dalla quale
l’eguaglianza in cui consiste deve attingere la norma. Se la giustizia si
fa derivare dall’utilità sociale, se ne assegna una derivazione che può
spesso esser falsa, (p. es. la necessità che taluno muoia pel popolo); e
se si oppongono la giustizia e la carità, si crea una scissura
nell’ordine morale, che toglie alla giustizia quel caldo sen¬ timento di
simpatia che deve renderla operosa , e si fa della carità qualche cosa
che va oltre il dovere, e che può essere anche ingiusta e nociva. Se
della giustizia si fa invece la sintesi, soggettiva e oggettiva, come
virtù e come norma, della libertà e della solidarietà, essa non solo
oltre¬ passa la sfera del diritto, ma appare come la sintesi su¬
periore della moralità, come progressiva nella ragione stessa dei suoi
due fondamenti. Che siano progressive la libertà e la solidarietà è fatto
indubitabile della storia umana; la prima tende a ricomprendere tutti gli
uomini in un rapporto d’eguaglianza dal punto di vista morale; e la
seconda da questo stesso punto di vista, che è quello del valore di fine
che ogni persona morale ha in sè, tende ad estendersi dalle opere alla
persona come tale, a conservarla, a promuoverla, anche quando soggiace
all’avversa fortuna e al dolore. Noi concepiamo la giustizia
come la forma dell’ unità della libertà e della solidarietà già raggiunta
dalla coscienza morale; cioè come il giudizio della proporzionalità degli
utili agli sforzi, e della loro migliore ripartizione tra gli sforzi
individuali e i sociali, posto un minimum di utilità spettante a ciascuno
in forza del valore di fine che ha la persona morale, e della solidarietà
che stringe gli uomini tra loro. A chiarire questo concetto gioverà
vederne l’applicazione ad uno dei problemi più gravi del tempo nostro,
quello relativo alla migliore distribuzione della ricchezza, che ha preso
il nome di giustizia sociale. Il Fouillée indica tre teorie intorno ad
essa, la individualistica degli economisti smithiani, la collettivista ed
egua¬ litaria del socialismo , l’idealistica che cerca di con temperare
i diritti deirindividuo e quelli della società. La teoria
economica considera troppo il lavoro come merce, e i lavoratori come cose
o come macchine di produzione. Ma dal punto di vista sociale e morale il
lavoro rappresenta le energie accumulate di esseri viventi, sensibili e
consapevoli , tra i quali ci è necessariamente la solidarietà che deriva
dal fine comune e dal lavoro comune. Di più questi esseri e queste
energie sono parte della società, e questa è una solidarietà più vasta
che abbraccia come abbiamo visto tutte le energie dello spirito. Nella
prima metà del secolo passato T individualismo economico ebbe libero
corso, e la merce lavoro fu considerata a parte dalla personalità del
lavoratore, e dalla solidarietà sociale. Il lavoro fu sfruttato
prevalendosi della concorrenza dei lavoratori, e fu sfrut¬ tato di più
quello pagato meno, il lavoro delie donne e dei fan¬ ciulli; cosi
Tingiustizia più aperta fu legge. La sorte dei lavoratori fu abbandonata al
meccanismo della concorrenza, alle leggi che si dissero naturali, e la
società si disinteressò della protezione dei deboli. Pareva che pei
seguaci di questa scuola la ricchezza tosse tutto, l'uomo nulla. La legge
di MALTHUS e il darwinismo biologico fecero il resto sottomettendo la
persona umana alla concorrenza vitale, ed elevando la voluta giustizia
della natura a giustizia sociale. Della solidarietà sociale non si davano
nessun pensiero. Ma una società di esseri morali non ci è solo per
la produzione della ricchezza, e 1’ uomo è qualche cosa di più che
un accumulatore di capitale. La società umana sussiste per rea¬ lizzare
l’ideale umano; P idea di giustizia è umana, e non può quindi prendersene
il modello dalla natura, perchè essa non esiste nel senso morale se non è
fondata sulla solidarietà. Anche Peconomia collettivista inculca
una giustizia che non è quella dello spirito, ma quella della natura.
Facendo della lotta di classe una necessità sociale, e del trionfo della
classe più numerosa e [più forte l'esito necessario di quella,cangia i
termini della lotta economica, non la natura; la lotta di classe non è
meno brutale della concorrenza, ed è pari o maggiore il disdegno
delle ideologie nei collettivisti e negli economisti smithiani. Se non
che 1 primi non tengono conto che del solo lavoro materiale nella
produzione , e non badano che non ci è giustizia senza libertà. Invece la parte
del fattore sociale nella ricchezza, e specialmente quella dovuta
all'addizione di esso nel tempo è così grande, che mal si potrebbe confonderla
con quella che vi ha il lavoro mate¬ riale in un'epoca determinata. Basta
riflettere all’importanza capitale che hanno le scoperte scientifiche in
generale e le tecniche in particolare nella produzione della ricchezza,
per persuadersi che la parte della mano d'opera è assai minore di quella
che il collettivismo afferma. Questa parte sociale, ovvero buona parte di
essa è dovuta all’iniziativa individuale, alla forza individuale di
lavoro, e non sarebbe giusto di togliere ad esse quello che senza di esse
non sussisterebbe, e sopprimere lo stimolo che le fa operare togliendo loro
quello che producono. Anche solo nella produzione della ricchezza non si può
giustamente sopprimere V alea a cui la potenza di lavoro individuale va
incontro con una speciale costituzione sociale. Poiché è impossibile
sopprimere le disuguaglianze naturali, come la forza fisica e morale, la
bellezza, il valore, il genio, così non si può prescindere dalla potenza
individuale di lavoro, perchè il prescinderne è contro la giustizia
distributiva, contro la libertà, e quindi contro il bene sociale. L'idea
di giustizia è la sintesi della libertà e della solidarietà e solo quella
forma di essa è vera, che non ripudia l’una per l’altra. Non si può
negare airindividuo la proprietà di quella parte di ricchezza, che esso
ha prodotto, più di quello che si possa negare a un popolo la proprietà del
territorio sul quale si esercitò per secoli il suo lavoro trasformatore e
creatore. Sotto questo rispetto la negazione della proprietà individuale non
sarebbe ingiustizia minore dì quella di negare al popolo italiano o
francese la proprietà del territorio della patria in nome del diritto dei
selvaggi bruciati dal sole tropicale, o di quelli agghiacciati dai geli
delle regioni circum-polari. La giustizia, che accorda la libertà e
la solidarietà, considera il lavoro come una forza propria di un essere
personale, che deve essere padrone di se stesso. Quindi essa riconosce la
libertà di associazione e di resistenza dei lavoratori, riconosce ad essi
il diritto di trasportare dovunque la loro forza di lavoro, ed
evita che la libertà del lavoro sia manomessa con la schiavitù
forzata del lavoratore, qualunque forma questa possa assumere.
D’altra parte rassicurazione dagl’ infortunii, il riposo festivo, le ore
di lavoro, il divieto del lavoro notturno, la disciplina del lavoro
delle donne e dei fanciulli, e il riconoscimento infine del diritto al
lavoro , sono tutti atti di giustiziaci quali sostituiscono la carità
indeterminata e di pura coscienza che prima vigeva. È in forza del
principio della solidarietà che la società deve oggi far profittare anche
gli esclusi e i diseredati, dei beni strettamente necessarii alla sussistenza,
e di quelli che sono inesauribili dall'uso/come i beni superiori dello spirito,
la cultura, l’arte, la religione, È in forza dello stesso principio che la società
deve evitare che il profitto individuale danneggi il sociale in rapporto
al futuro. La società deve conservare alle generazioni che verranno i
beneficii del passato, come la potenza di lavoro e la sanità della razza,
cosi dal punto di vista fisico che dal morale. E rispetto al presente, il
regolamento del lavoro non può essere più quello di una volta, quando il
lavoratore animato essendo la sola fonte del lavoro, e l’utensile un semplice
organo aggiuntivo dell’individuo, tutti i rapporti del contratto di
lavoro potevano essere abbandonati al regolamento privato. Oggi il
la’ voro è collettivo, l’utensile si è trasformato in macchina, e
la forza di lavoro umana è diventata un accessorio della forza naturale e
meccanica resa dalla scienza strumento dei fini umani.Il grande lavoro è oggi,
pel numero e per la qualità, un’opera sociale, e vuole quindi un
regolamento sociale. Se si considerano gli stadii dello sviluppo
etico-sociale, il primo è rappresentato da una giustizia nella quale
prepondera l’elemento della solidarietà, quindi la libertà individuale o
non esiste, o è in tutti i modi limitata dalla regola sociale. Diventati
sempre più complicati e più numerosi i rapporti sociali, si va
necessariamente all* individualismo, e la giustizia s’identifica con la
libertà individuale. Nel terzo stadio, il grado di massima complicazione dei
rapporti esige il loro regolamento sociale; ma questo non deve
dimenticare gl' interessi connessi con la libertà, e che non sono più
individuali che sociali. La giustizia, in questo terzo stadio, è il
contemperamento della libertà con la solidarietà, che è anche il suo
ideale. Filippo Masci. Masci. Keywords: implicatura, critica della
critica, criticismo, neo-criticismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masci” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Masi – i peripatetici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo italiano. Grice: “Unlike Masi, I don’t think ontology has reached its
end – il fine dell’ontologia” – Grice: “Masi has elaborated on the power of
reason not from an Ariskantian perspective but from a Plathegelian one! – Masi:
“Il potere della ragione: Eraclito, Platone, Hegel.” -- Grice: “It’s amazing Masi was implicating the
same things as I was on S izz P and P hazz S; he even managed a coinage, ‘uni-equivocity’
– I love it!”. Figlio di Enrico Masi, generale dell'Esercito Italiano, e Leda
Nutini. Ha compiuto i suoi studi a Bologna, conseguendo la maturità classica
presso il liceo statale L. Galvani. Iscrittosi a Bologna, vi si laureò con lode
con una tesi sul diritto di famiglia
negli Statuti Bolognesi. Assolse agli obblighi di leva e fu trattenuto alle
armi in base alle disposizioni di emergenza del periodo. Congedato, riprese gli
studi di filosofia a Bologna, dove conseguì la laurea con lode, discutendo co
Battaglia la tesi, “Individuo, società, famiglia in Rosmini”. La tesi gli valse
l'ammissione, con borsa di studio a Milano. Dopo il primo anno, fu richiamato
alle armi nel periodo bellico. Ottenuto il congedo definitivo, insegna
filosofia a Bologna. Participa ai principali convegni e congressi, come quelli
del Centro Studi Filosofici di Gallarate, come attesta la sua collaborazione
alla Enciclopedia filosofica quel Centro. Dona su collezione alla Pinacoteca
comunale di Pieve di Cento. L'interesse storiografico che muove Masi alla ricostruzione di Kierkegaard da un
profondo e originale impegno teoretico, volto ad approfondire il concetto
metafisico di "analogia", cui il discorso di Kierkegaard, come l'A.
si propone di illustrare nel suo saggio, risulta fortemente legato. Sotto un
profilo strettamente storiografico, il Masi approda, attraverso un'attenta
rilettura delle "opere edificanti" di Kierkegaard, ad
un'interpretazione che ridimensiona questo pensatore, scoraggiando molti luoghi
comuni della critica.." (Baboline).
"Nel linguaggio filosofico contemporaneo l'aggettivo
"platonico", riferito a una qualsiasi entità, vuole denotare
l'immobilità a-storica, il suo permanere in un'assoluta identità con sé
medesima al di sopra delle alterne vicende del divenire. Ciò deriva da una
tradizione ermeneutica del platonismo. Uno degli aspetti più rilevanti del
volume di Masi risiede appunto nello sforzo operato a de-mitizzare una tale
ermeneutica... questa ricerca del Masi costituisce un lucido esempio di come
oggi una filosofia, che si presenta spiritualistica e umanistica, sappia
ripiegarsi a cogliere con consapevolezza trasparente e spregiudicata, le
proprie radici alle fonti più vive della tradizione culturale
dell'Occidente" (A. Babolin).
"Le zitelle è un libro divertente, curioso, strano. Il pregio
maggiore di questo libro è di essere tutto su di uno stesso tema musicale.” Saggi:“Esistenza”
(Bologna); “La verità” (Bologna); “La libertà,” Bologna, “Metafisica,” Milano,
“La fine dell'ontologia,” Milano, “Disperazione e speranza. Saggio sulle categorie
kierkegaardiane” (Padova, “Il potere della ragione,” Padova, “Il problema aristotelico,” Bologna,
“L'esistenzialismo,” “Grande antologia filosofica. Il pensiero contemporaneo,” Milano
“Il pensiero ellenistico,” Bologna, “L'uni-equivocità dell'essere in Aristotele
(Genova: Casa Editrice) – cf. Grice, “Aristotle on the multiplicity of being”
-- Tilgher “Lo spiritualismo” antico. Il pensiero religioso egiziano classico,
Bologna: Clueb, “Lo spiritualismo ellenistico.” La grande svolta del pensiero
occidentale, Bologna: Clueb, Lo spiritualismo dalle origini a Calcedonia,
Bologna: Clueb Origène o della riconciliazione universal, Bologna, “Lo
spiritualismo Dalle Upanishad al Buddha, Bologna: Clueb Lo spirito magico.
Saggi sul pensiero primitivo, Bologna: Clueb, Studi sul pensiero antico e
dintorni, Bologna L'idea barocca. Lezioni sul pensiero del Seicento, Bologna:
Clueb, Il concetto di cultura, Bologna:
Clueb, Commento al Timeo” (Bologna: Clueb); “Dell'eternità, e altri argomenti,’
Bologna: Clueb); “Penombre,” Torino: Casa Editrice A.B.C. S), “L'esile ombra, Torino:
Casa Editrice A.B.C. Le zitelle, Milano: Todariana Editrice, Il cane cinese, Roma:
Vincenzo Lo Faro Editore Il gatto siamese, Roma: Vincenzo Lo Faro Editore. Il figlio
dell'ufficiale, Marta, L'ultima estate, Firenze: Firenze Libri “La carriera di
un libertino,”La dea bambina, Firenze: Firenze “Oltre le dune,” Firenze:
Firenze Libri Le donne, Roma: Gabrieli); L'ignoto. Il sogno, Firenze: L'Autore Libri, Tra le quinte del
liceo. L'orologio a Pendolo, Firenze: L'Autore Libri, Il palloncino rosso e
altri racconti, Firenze: L'Autore Libri, La partenza, Firenze: L'Autore Libri
Il sogno, Roma: Gabrieli Angelina e altri racconti, Firenze: L'Autore Libri La
croce di Sant'Elpidio. Il cane cinese, Firenze Il lupo di Sestola, Firenze:
L'Autore; Apollo e Dafne, Padova: L'Edicola Le stagioni e i giorni, Padova:
L'Edicola, La tomba d'erba, Padova: L'Edicola Maremma tu, Milano: Todariana
Editrice. Premio Montediana di poesia, A. Babolin, rec. a Disperazione e
speranza, in "Riv. di Fil. Neosc.", A. Babolin, rec. a il potere della ragione, in:
"Riv. di Fil. Neosc.", F. Tombari, rec. a Le zitelle, Milano:
Todariana Editrice Nunzio Incardona. Giuseppe
Masi --. Keywords uni-equivociat dell’essere in Aristotele. Giuseppe Masi. Masi.
Keywords: i peripatetici, la carriera di un libertino. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Masi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Masila – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. A reference to him as a philosopher in a papyrus
found at Herculaneum.
Grice e
Massarenti – stramaledettamente implicaturale – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Eboli). Filosofo italiano.
Grice: “His dictionary of non-common ideas I would give to Austin on his
birthday; he would hate it! He was all for common lingo!” -- “I like
Massarenti: he can be provocative. I like his study on what he calls a
‘neologissimo’ – and the idea of the pocket-philosopher! I know I’m one! On the
other hand, he has written on ‘la buona logica,’ but isn’t ‘logica’ already a
value-paradeigmatic expression? His study on god-damn logic is good – since
that’s what I do, with my theory of implicature. To say, “My wife is in the
kitchen or the bedroom” when I know where she is – and thus when I have
truth-functional grounds to utter the stronger disjunct, it’s still goddamn
logic – I haven’t lied! True but misleading – aka god-dman logic!” Responsabile
del supplemento culturale Il Sole-24 Ore-Domenica, dove si occupa di storia e
filosofia della scienza, filosofia morale e politica, etica applicata, e dove
tiene la rubrica Filosofia minima. Armando
Massarenti vive a Milano, dove dirige il supplemento culturale Domenica de Il Sole
24 Ore. Scrive L'etica da applicare. Redatta il Manifesto di bioetica laica,
che ha suscitato un vasto dibattito. È stato membro dell'Osservatorio di
Bioetica della Fondazione Einaudi di Roma e dal
fa parte del Comitato etico della Fondazione Veronesi, presieduto da Amato.
Direttore della rivista Etica ed economia (Nemetria). Cura e introduce diversi
volumi di argomento filosofico-scientifico, come “L'ingranaggio della libertà” (Liberi
libri, Macerata), la “Storia dell'astronomia” di Leopardi (Vita Felice,
Milano), “Rifare la filosofia di Dewey” (Donzelli, Roma). Per Feltrinelli cura e introduce “Laicismo
indiano” (Milano), una raccolta di saggi di Sen.Cura il numero monografico
della Rivista di Estetica dedicato al dibattito su analitici e continentali e,
con Possenti, “Nichilismo, relativismo, verità. Un dibattito (Rubbettino,
Soveria Mannelli). Cura la collana I Grandi Filosofi (trenta volumi sui
protagonisti della storia del pensiero, da Socrate a Wittgenstein, per i quali
anche scrive le prefazioni, confluite ne Il filosofo tascabile. In corso di
pubblicazione una serie analoga dedicata ai grandi della scienza. Scrive “Il
lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima” per il quale gli sono
stati conferiti il Premio Filosofico Castiglioncello e il premio di saggistica "Città delle
Rose. "Il lancio del nano” è anche oggetto di un esperimento didattico,
promosso dalla Società Filosofica Italiana attraverso il quale viene proposto
un metodo di motivare allo studio della filosofia e alla capacità di
argomentare in proprio. Dal saggio è stato tratto anche uno spettacolo
teatrale, per la regia di C. Longhi prodotto da Mimesis). Cura “Bi(bli)oetica.
Istruzioni per l'uso (Einaudi), un dizionario di bio-etica sui generis, dal
quale il regista L.Ronconi ha tratto l'omonimo spettacolo teatrale andato in
scena a Torino, per il progetto Domani delle Olimpiadi. Scrive Staminalia. le
cellule etiche e i nemici della ricerca, una ricostruzione del dibattito etico
e scientifico sulla ricerca sulle staminali. Scrive Il filosofo tascabile. Dai
presocratici a Wittgenstein. 44 ritratti per una storia del pensiero in
miniatura. In contemporanea è uscito “Stramaledettamente logico. Esercizi
filosofici su pellicola (Laterza, Roma-Bari) una raccolta di saggi su cinema e
filosofia (di Roberto Casati, Achille Varzi) di cui ha scritto introduzione e
saggio conclusivo. Insegna a Bologna, Lugano, Siena, Milano. Dirige per
Mondadori la collana "Scienza e filosofia". Fa parte delle giurie di due premi per la
divulgazione scientifica: il Premio Giovanni Maria Pace, promosso dalla SISSA
di Trieste, il Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica,
legato al Campiello (Padova), e il premio Serono. È stato anche nella giuria
del Premio del Giovedì "Marisa Rusconi", conferito ogni anno a Milano
a un romanzo italiano opera prima. Ha
vinto diversi premi: il Premio Dondi per
la Storia della Scienza, delle tecniche e dell'Industria (Padova); n il Premio
Voltolino per la divulgazione scientifica (Pisa); il Premio Mente e Cervello
(Torino); il premio Capri, il premio Argil e il premio Capalbio; il Premio
Città di Como. Altri saggi: “L'etica da applicare: una morale per prendere
decisioni,” Milano, Il Sole-24 Ore libri, “Il lancio del nano” -- e altri
esercizi di “filosofia minima,” Parma, Guanda); “Staminalia. “Le cellule” etiche
e i nemici della ricerca, Parma, Guanda,
“Il filosofo tascabile” “dai presocratici a Wittgenstein”“ritratti per
una storia del pensiero in miniatura,” Parma, Guanda, “Dizionario delle idee non
comuni,”Parma, Guanda,.“Filosofia, sapere di non sapere: le domande che hanno
caratterizzato lo sviluppo del pensiero” Firenze, Anna.“Perché pagare le
tangenti è razionale ma non vi conviene” e altri saggi di etica politica, Parma,
Guanda,.“Istruzioni per rendersi felici.”“Come il pensiero antico salverà gli
spiriti moderni, Milano, Guanda,.“La buona logica.” Imparare a pensare, Milano,
Cortina, “Metti l'amore sopra ogni cosa: una filosofia per stare bene con gl’altri”
Milano, Mondadori, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana su
italia libri.net. tangenti e moralità, su filosofia rai. Armando Massarenti.
Massarenti. Keywords: stramaledettamente logico, stramaledettamente
implicaturale --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massarenti” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Massari –
filosofia italiana – l’implicatura logistica di Petrarca e Boccaccio -- Luigi
Speranza (Seminara).
Filosofo italiano. Bernardo Massari -- calabro -- Barlaam: -- Grice: “Should it
be under B – Barlam, under Seminara, like Occam?” Barlaam Calabro – di Calabria – Scrive di aritmetica,
musica e acustica. E uno dei più convinti fautori della riunificazione fra le
Chiese d'oriente e occidente. È considerato insieme ai suoi due allievi Leonzio
Pilato e Boccaccio uno dei padri dell'Umanesimo. Studia in Galatro, Calabria. Pare
che il suo successo come filosofo (un suo trattato sull'etica degli stoici è
preservato) e ragione di gelosia da parte di N. Gregorio. Nell'ambito delle
trattative per la ri-unificazione tra le due Chiese di Oriente e di Occidente,
a lui venne affidata la difesa delle ragioni greche; in tale occasione sviluppa
le sue critiche verso l'esicasmo e a sottolineare la differenza di valore tra
la teologia scolastica e la contemplazione mistica. E protagonista di una
violenta polemica contro i metodi ascetici e mistici di alcuni monaci
dell'Athos e del loro sostenitore G. Palamas. Il dibattito divenne sempre più
acceso fino a culminare in un concilio generale alla fine del quale venne
costretto a sospendere ogni futuro attacco verso l'esicasmo. Epigrafe a Gerace,
tutore di Petrarca e Boccaccio, inviato dall'imperatore Andronico III Paleologo
in missione diplomatica a Napoli, Avignone e Parigi per sollecitare le corti
europee ad una crociata contro i turchi. In quell'occasione costrue delle
relazioni e una rete di amicizie su cui puo fare conto quando, in seguito alla
decisione conciliare, decise di aderire alla Chiesa d'Occidente. Ad Avignone
conosce Petrarca, a cui iniziò ad insegna il greco. Petrarca si adoperò per
fargli assegnare la diocesi di Gerace, così e nominato vescovo di Clemente. La
bolla relativa alla sua elezione al vescovato di Gerace riporta, Monachus
monasteri Sancti Heliae de Capasino Ordinis Sancti Basilii Militensis Diocesis,
in sacerdotio constitutum. Tutore di Petrarca e Boccaccio che da un importante
contributo, attraverso la riscoperta dei testi antichi, anche a tutto ciò che
non molto tempo dopo svilupa il movimento umanista. È proprio Manetti il primo
a menzionarlo nella sua biografia del Petrarca. Venne inviato in missione
diplomatica da Clemente in un rinnovato tentativo ecumenico. Data la grande
influenza di Palamas il tentativo, ancora una volta, si risolse in un
insuccesso. Fa ritorno ad Avignone dove muore. Saggi: Si occupa anche di
matematica lasciandoci una “Logistica” in cui spiega le regole di calcolo con
interi, frazioni generiche e frazioni sessagesimali. D. Mandaglio, Barlaam
Calabro: una vocazione unionista. C. Nanni Editore (Maggio). Salvatore
Impellizzeri, Calabro, Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani. Silvio Giuseppe Mercati, Calabro,
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ratisbona. Simone
Atomano. Barlaam Calabro di Seminara. BARLAAM Calabro. - Nacque a
Seminara (Reggio di Calabria) sul finire del sec. XIII, probabilmente verso il
1290. Il nome Barlaam par che sia quello assunto in religione, ma non è
documentato che il nome di battesimo fosse Bernardo, come si ripete sulle orme
dell'Ughelli (Italia Sacra). Mancano notizie sulla sua formazione spirituale e
culturale e sulla sua attività in Italia fino al suo passaggio a Bisanzio. La
bolla di Clemente VI (Reg.Vat.), che lo elevò al seggio episcopale di Gerace,
ci informa soltanto che B. si preparò al monacato e al sacerdozio nel monastero
basiliano di Sant'Elia di Capasino (Gàlatro), nella diocesi di Mileto. Certo è
ormai, dopo gli studi recenti (Schirò, Jugie, Giannelli), che B. nacque e fu
educato nella fede dissidente della Chiesa di Costantinopoli, cui molti
continuavano ad aderire nell'Italia meridionale di quell'età, nonostante
l'unione alla Chiesa cattolica proclamata dal concilio di Bari del 1098. È B. stesso
a dirlo in uno degli opuscoli contro la processione dello Spirito Santo a Patre
Filioque (punto fondamentale di dissenso tra le due Chiese: gli ortodossi
credono che lo Spirito Santo proceda e Patre solo): "Tale è la mia fede e
la mia religione riguardo alla Trinità, fede nella quale io fui allevato fin
dall'infanzia e nella quale sono vissuto sin qui" (cod. Parisinus graecus).
Problematica è invece la ricostruzione della sua formazione culturale. Appare
infatti evidente che le conoscenze del monaco calabrese, le quali non si
limitano a filosofi greci, quali Platone e Aristotele, ma si mostrano invece
profonde anche riguardo al pensiero di Tommaso d'Aquino e agli ultimi sviluppi
nominalistici della Scolastica occidentale, esorbitano dalla tradizione
culturale dei monasteri italo-greci di Calabria e presuppongono contatti più o
meno prolungati di B. con scuole filosofiche e teologiche dell'Italia
meridionale e centrale. Quando il potere imperiale passò da Andronico II
ad Andronico III, troviamo B. a Costantinopoli, dove egli era giunto dopo
essersi trattenuto prima ad Arta, in Etolia, e a Tessalonica. Nella capitale
bizantina incontrò il favore della corte: vi dominava allora Anna di Savoia,
figlia di Amedeo V, sposata nel 1326 ad Andronico III, favorevole ai Latini e
all'unione delle Chiese. Presto ottenne larga fama di dotto e di filosofo e
divenne abate (igumeno) di uno dei più importanti conventi, quello di S. Salvatore.
Si diffondevano a Bisanzio i suoi scritti di logica e di astronomia e il gran
domestico Giovanni Cantacuzeno gli affidava una cattedra nell'università della
capitale. Ma la sua fama crescente doveva presto urtarsi contro il tradizionale
nazionalismo latinofobo dei Bizantini. Il primo scontro avvenne col più
cospicuo rappresentante dell'umanesimo bizantino, Niceforo Gregoras, che teneva
cattedra nel monastero di Cora. In una sfida accademica, che dovette aver luogo
verso il 1331, i due dotti più in vista della capitale si trovarono di fronte a
discuteresui campi più vari dello scibile, astronomia, grammatica, retorica,
poetica, fisica, dialettica, logica. Di questa tenzone noi sappiamo soltanto
attraverso un libello del Gregoras 02,OpiVrLO9 ~ 7rEpì GOCPL'2q (Jahn, Archiv
für Philologie und Pddagogik, Supplementband). Il libello, una specie di
dialogo mitico di imitazione platonica, o meglio lucianea, naturalmente
tendenzioso, asserisce che l'agone si concluse con la completa sconfitta del
dotto calabrese, che dimostrò di avere soltanto qualche conoscenza di fisica e
di dialettica aristotelica e una certa superficiale infarinatura di logica. Ma
nella persona di B., Niceforo Gregoras vuol mettere in ridicolo tutta la
scienza occidentale limitata a poche nozioni aristoteliche e del tutto ignara
di matematica, fisica e astronomia, scienze in grande onore allora a Bisanzio.
Secondo il Gregoras, inoltre, in seguito a questa sconfitta, B. avrebbe
abbandonato Costantinopoli per rifugiarsi a Tessalonica. Par più probabile
invece che egli facesse la spola tra i due massimi centri culturali
dell'impero. A Tessalonica comunque il suo insegnamento continuava con successo
e tra i suoi allievi si contavano personalità di spicco come Gregorio Acindino,
Nilo Cavasila, Demetrio Cidone. Ma nemmeno presso la corte e gli ambienti
ecclesiastici della capitale il prestigio di B. dovette subire un offuscamento,
se proprio lui fu scelto dal patriarca Caleca, come portavoce della Chiesa
ortodossa, quando giunsero a Bisanzio, al principio del 1334, i due domenicani
Francesco da Camerino, arcivescovo di Vosprum (Ker~-'), e Riccardo, vescovo di
Cherson, incaricati dal papa Giovanni XXII di rimuovere gli ostacoli dottrinali
che si frapponevano alla riconciliazione delle Chiese. La discussione tra
i prelati latini e il monaco calabrese si svolse ad un alto livello
teologico-filosofico. B. cercava di abbattere la barriera dogmatica della
processione dello Spirito Santo ricorrendo a un tipico argomento nominalistico:
egli si opponeva alla pretesa di poter conoscere Dio e di poter dimostrare
apoditticamente le cose divine. Ora, se Dio èinconoscibile, che valore potevano
avere discussioni sulla processione dello Spirito Santo basate sui sillogismi
apodittici? Sia i Latini, sia i Greci, quindi, in questioni di questo genere
non potevano rifarsi che ai Padri della Chiesa, la cui fonte di scienza è la
rivelazione e l'illuminazione divina. Ma poiché i Padri non sono sufficientemente
espliciti riguardo alla processione dello Spirito Santo, non restava che
assegnare alle divergenti dottrine un posto nelle opinioni teologiche
particolari, senza fame un ostacolo per l'unione. La posizione di B. è in
netto contrasto col realismo di s. Tommaso, assunto quale atteggiamento
ufficiale dalla teologia cattolica: essa si inserisce chiaramente nel movimento
volontaristico contemporaneo a B., che ebbe i suoi maggiori rappresentanti in
Duns Scoto e in Guglielmo d'Occam, teso a porre un netto confine di separazione
tra i campi della ragione e della fede. Non è un caso che B. avesse consacrato
il suo insegnamento universitario dalla cattedra di Costantinopoli all'esegesi
dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita, il rappresentante più coerente della
dottrina "apofatica", della inconoscibilità, cioè, del divino, la cui
autorità era riconosciuta in Oriente e in Occidente. Le trattative non
approdarono a nulla: le tesi di B. difficilmente potevano essere accettate dai
legati latini, esponenti dell'ordine stesso cui apparteneva anche s. Tommaso e
inviati dal papa Giovanni XXII, che, elevando agli onori dell'altare Tommaso,
aveva fatto propria della Chiesa di Roma la sua dottrina. Ma
l'agnosticismo nominalistico di B. doveva anche urtare le concezioni mistiche
bizantine, rappresentate allora specialmente dal monachesimo atonita. A
campione di tale misticismo si ergeva Gregorio Palamas, un monaco dell'Athos,
che aveva già scritto due Discorsi apodittici contro la processione dello
Spirito Santo Filioque. Egli attaccava il metodo di discussione tenuto dal
calabrese dinanzi ai legati latini, dichiarando perfettamente dimostrabile la
posizione ortodossa in virtù della grazia illuminante che al cristiano discende
dall'incamazione, per cui la conoscenza soprannaturale è eminentemente reale,
più di qualunque conoscenza filosofica. Intanto B. veniva a conoscenza
delle pratiche mistiche dei monaci atoniti, che si isolavano per abbandonarsi
ad una quiete contemplativa Tali pratiche consistevano nel ripetere indefinitamente
la preghiera: "Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di
me!", trattenendo il fiato, col mento appoggiato al petto e guardando
l'ombelico, fino a raggiungere la visione corporea della luce divina vista
dagli Apostoli sul Tabor, nel giorno della trasfigurazione. Questa concezione
psico-fisica della divinità e, soprattutto, il metodo di preghiera degli
esicasti (così si chiamavano i seguaci di tal metodo) provocarono gli attacchi
ironici di B., che vedeva nell'esicasmo una grossolana superstizione, i cui
seguaci designò con lo sprezzante appellativo di ??? (umbilicanimi). Ma la
controversia ben presto si allargò sul piano filosofico-teologico. B.,
coerentemente alla sua formazione nominalistica, non poteva ammettere
contaminazione tra il divino e l'umano, tra l'etemo e il temporale. La luce del
Tabor, per esser vista nell'ascesi, dovrebbe essere etema e coincidere con la
divinità stessa, che sola è eterna e immutabile. Ma poiché la divinità è
invisibile, invisibile è anche la luce taborica. Gregorio Palamas oppose una
sottile dottrina emanazionistica di derivazione neoplatonica, che distingueva
una sostanza divina trascendente (oùaía) e delle energie divine (gvp-'pyztcxt o
Suváp.rLq), operazioni eterne di Dio, che per esse agisce nel mondo degli
uomini. E appunto la luce taborica visibile agli asceti, come l'amore, la
sapienza e la grazia di Dio, è una energia divina operante come intermediaria
tra Dio e gli uomini, un ponte tra l'etemo e il transeunte. Tra le due
opposte tesi non poteva essere accordo. La controversia filosoficoteologica
ebbe anche implicazioni politiche, come sempre avveniva a Bisanzio. B. allora
mosse accusa di eresia contro il Palamas dinanzi al patriarca Giovanni Caleca,
presentando il suo scritto Kwrà MoccrcrocXtocvCùv (Contro i Massaliani) in cui
la dottrina del Palamas veniva assimilata a precedenti eresie. Il Palamas
riuscì a ottenere una dichiarazione, favorevole alla fede esicasta,
sottoscritta dai monaci più importanti dell'Athos ('0 &ytopsvrtxòq
-ró[Log), mentre il patriarcato e il governo imperiale, pur non favorevoli al
palamismo, preoccupati com'erano di mantenere la pace religiosa tra i pericoli
incombenti dall'estemo, desideravano evitare una controversia dogmatica e
cercavano di far giungere le due opposte parti a una conciliazione. Si giunse
così alla riunione di un concilio in Santa Sofia, il 10 giugno 1341, presieduto
dall'imperatore Andronico III in persona. La sera dello stesso giorno il
concilio si chiudeva con un discorso dell'imperatore che celebrava la
riconciliazione generale. Ma in realtà fu il Palamas a trionfare: la dottrina
di B. venne formalmente condannata e il monaco calabrese dovette fare pubblica
ammenda agli esicasti e promettere di non dar loro più molestia. Il patriarca
pubblicava un'encicláca con cui condannava "ciò che il monaco B. aveva
detto contro i santi esicasti" e imponeva a tutti gli abitanti di
Costantinopoli e delle altre città di consegnare alle autorità gli scritti di
B. perché fossero pubblicamente distrutti. Questa scottante umiliazione e la
morte di Andronico III, avvenuta subito dopo, il 15 giugno 1341, indussero B. a
lasciare Costantinopoli e a ritornare in Occidente. A tal decisione forse
non erano state estranee le impressioni riportate nel viaggio in Occidente, fatto
nel 1339, e le conoscenze che aveva avuto occasione di fare (forse aveva
conosciuto anche il Petrarca). Nel vivo della lotta esicasta, B. era stato
richiamato da Andronico III, da Tessalonica, per un'importante missione
diplomatica. Urgeva che l'Occidente facesse una spedizione per allontanare da
Costantinopoli l'avanzata dei Turchi ottomani. Pare che allora B. avesse
preparato un nuovo progetto di unione, che aveva sottoposto al sinodo di
Costantinopoli, in cui ribadiva le posizioni teologiche che aveva sostenuto
cinque anni prima, nelle discussioni coi legati latini del papa. Il progetto
non dovette soddisfare il sinodo e d'altra parte un senso realistico della
situazione politica doveva consigliare di evitare lunghe quanto inutili dispute
teologiche. B. accompagnato da un esperto militare, il veneziano Stefano
Dandolo, si era recato presso Roberto d'Angiò e Filippo VI di Valois per
chiedere aiuti militari dal Regno di Napoli e dalla Francia, e infine presso la
Curia di Avignone per ottenere il consenso papale alla crociata. Al papa aveva
presentato dei memoriali in cui, facendo presenti i pericoli che sovrastavano
alla cristianità tutta per l'incombenza della minaccia turca, chiedeva che i
Latini, mettendo da parte i tradizionali odi, mandassero subito aiuti in
Oriente per la guerra contro gli infedeli; dopo, ottenuta la vittoria, si
sarebbe riunito un concilio ecumenico che avrebbe trattato dell'unione. La
missione di B. era fallita sia perché il papa pretendeva la realizzazione
dell'unione prima di affrontare uno sforzo militare, sia perché le condizioni
politiche dell'Occidente (relazioni tese tra Filippo VI ed Edoardo III
d'Inghilterra) difficilmente avrebbero permesso l'organizzazione di una
crociata. B. tornò in Calabria nel luglio 1341 e prosegui il suo viaggio
fino a Napoli, dove aiutò, per la parte greca, l'umanista Paolo da Perugia
nella compilazione della sua opera sulla mitologia dei pagani (Collectiones) e
nell'ordinamento dei manoscritti greci della libreria angioina, che era in
rapida espansione. Poi, nell'agosto, passò alla Curia avignonese, dove a
Benedetto XII era successo Clemente VI, e vi restò fino al novembre del 1342.
In questo periodo egli si legò di amicizia col Petrarca, a cui insegnò i primi
rudimenti di greco, da lui acquistando familiarità con la lingua latina, nella
quale, per la sua educazione prevalentemente greca e per la lunga dimora in
Oriente, provava difficoltà ad esprimersi (Petrarca, Famil., I. XVIII, ep. 2).
Allora passò anche alla fede cattolica e fu utilizzato dalla Curia per un
insegnamento di greco, fino a che, pare per intercessione del Petrarca, non fu
elevato al seggio episcopale di Gerace e consacrato dal cardinal Bertrando del
Poggetto, il 2 ott. 1342. Oscuri e duri furono gli anni dell'episcopato nella
piccola diocesi calabrese a causa di aspre dispute con la curia metropolitana
di Reggio. Ma nel 1346 gli veniva affidata la sua ultima missione
diplomatica, questa volta da parte di Clemente VI, per condurre trattative
unioniste con l'imperatrice Anna di Savoia, reggente l'impero di Bisanzio in
nome del figlio Giovanni V. La situazione a Bisanzio rendeva però ogni
trattativa impossibile. Il 2 febbr. 1347 un sinodo aveva deposto il patriarca
Giovanni Caleca, divenuto avversario dichiarato del movimento esicasta, in conseguenza
dell'evoluzione della situazione politica dopo la morte di Andronico III (nel
1343 aveva fatto arrestare il Palamas e l'anno successivo aveva fatto
pronunciare contro di lui la scomunica da un sinodo patriarcale), e aveva
confermato la condanna di Barlaam. La stessa sera Cantacuzeno, favorevole agl’esicasti,
entrava nella capitale e costringeva Anna ad accoglierlo come coimperatore
accanto al figlio. A B., considerato eresiarca, non restava che la via del
ritorno, per lasciare ad altri la ripresa delle trattative. Rientra ad Avignone
e quasi certamente vi rimase fino alla morte che avvenne al primi di giugno del
1348. Infatti la bolla di nomina del suo successore, Simone Atumano, nella sede
episcopale di Gerace è del 23 giugno di quell'anno e afferma come recente la
morte di Barlaam. (Archivio segreto vaticano, Reg. Clem.). Scrive molto.
Quantunque una parte della sua opera sia andata perduta, tuttavia si conservano
ancora di lui un buon numero di opuscoli di vario contenuto, in genere brevi,
ma densi di pensiero. La maggior parte di essi sono ancora inediti. Un elenco
coi titoli e gli incipit si trova in Fabricius, Bibliotheca Graeca, Hamburgi
1808, pp. 462-470 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI, coll. 1247-1256). I
più numerosi sono quelli di carattere teologico e riguardano l'attività
unionista del monaco calabrese: 3 contro la processione dello Spirito Santo
Filioque, e sul primato del papa. Tali opuscoli si trovano in un gran numero di
manoscritti. Ne contiene 20 (escluso uno sul primato del papa) il cod.
Parisinus 1278 del sec. XV (ff. 30 r-167 v). Di essi uno solo sul primato dei
papa, è stato pubblicato prima da Luyd, con traduzione latina, Oxford, e poi
dal Salmasius, in greco, Hannover 1608 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI,
Coll. 1255-1280). Due discorsi greci sull'unione delle Chiese sono stati
pubblicati e illustrati da Giannelli, Un progetto di Barlaam Calabro Per
l'unione delle chiese, in Miscellanea Giovanni Mercati, III, Città del Vaticano
1946, pp. 157-208. Il primo di essi contiene il progetto di unione elaborato da
B. prima della sua missione diplomatica ad Avignone e presentato al sinodo di
Costantinopoli; il secondo, pronunciato probabilmente dinanzi al sinodo stesso,
doveva illustrare il progetto contenuto nel primo. Di tenore diverso sono
tuttavia i due discorsi latini recitati, o piuttosto presentati in forma di
memoriali, in quell'occasione, al pontefice Benedetto XII. Essi furono editi
per la prima volta da L. Allacci, De Ecclesiae Occidentalis atque Orientalis
perpetua consensione...,Coloniae Agrippinae 1648, coll. 789-794 e 796-798,
donde furono riprodotti dal Migne, Patr. Graeca, CLI, e poi dal Raynaldi,
Annales Ecclesiastici. Alla sua attività apologetica in favore della Chiesa
cattolica svolta dopo la conversione si riferiscono varie lettere ed opuscoli,
di cui cinque, in latino, si trovano in Migne, Patr.Graeca, C LI, coll.
1255-1330. Poco ci resta degli scritti contro gli esicasti, che furono
condannati alla distruzione, dopo il concilio, dalla enciclica del patriarca
Giovanni Caleta (Synodicae Constitutiones, XXII, in Migne, Patr.Graeca,CLII,
COI. 1241). L'opera principale, più volte rimaneggiata, che portava il titolo
KotTà Mocaaa?,tocvi""v (Contro i Massaliani) da un'antìca setta
ereticale a cui B. polemicamente assimilava gli esicasti, ci è nota soltanto
attraverso le citazioni degli avversari. Di notevole importanza sono quindi le
otto lettere pubblicate con ampia introduzione da G. Schirò: Barlaam Calabro,
Epistole greche. I primordi episodici e dottrinari delle lotte esicaste,
Palermo 1954, che rivelano i primi sviluppi della controversia. Ma se più
nota è l'attività teologica di B., di non minore importanza, anche se finora
meno studiata, è quella filosofica e scientifica. Nell'operetta latina in due
libri, Ethica secundum Stoicos ex pluribus voluminibus eorumdem Stoicorum sub
compendio composita,edita per la prima volta da P. Canisius, Ingolstadt 1604,
riprodotta in Migne, Patr. Graeca,CLI, coll. 1341-1364, B. dà una chiara
esposizione della morale stoica e mostra ampia conoscenza di Platone. Inedita è
ancora un'altra opera di carattere fìlosofico, Le soluzioni dei dubbi proposti
da Giorgio Lapita (A~astq siq T&q è7rsvsy,0d'aocq ocù-ré,-,) &7rop(otq
7rocpì ro,3 ]Pe⟨,)pytou
roú Aa7r'tOou, contenuta in vari codici, di cui il più noto il Vatic. Graer. Di
matematica trattano l'Arithmetica demonstratio eorum quae in secundo libro
elementorum sunt in lineis et figuris planis demonstrata,corfimentario al
secondo libro di Euclide, edito nell'euclide di C. Dasypodius con traduzione
latina, Argentorati, e riprodotto, nel solo testo greco, nell'edizione di
Euclide curata dallo Heiberg, V, Lipsiae (Teubner) 1888, pp. 725-738; e la
Aoytcr-rtx~ sive arithmeticae, algebricae libri VI, edita per la prima
volta,dallo stesso Dasypodius con traduzione latina, Argentorati, e poi, con un
commento, da Chamberus, Logistica nunc primum latine reddita et scholiis
illustrata, Parisiis 1600, trattato di calcolo con frazioni ordinarie e
sessagesimali con applicazioni all'astronomia. Inedite sono due opere di
astronomia: un commentario alla teoria dell'ecclissi solare dell'ahnagesto
tolemaico, contenuto in parecchi manoscritti, in duplice redazione, e una
regola per la datazione della Pasqua. B. si occupò anche di acustica e di
musica. Abbiamo di lui la confutazione al rifacimento degli 'AptovLx&
tolemaici di Gregoras, pubblicata da Franz, De musicis graecis commentatio,
Berlin. Difficile è esprimere un giudizio preciso che illumini di piena
luce la personalità di B., sia perché moltissimi dei suoi scritti sono ancora
inediti, sia perché l'attenzione degli studiosi si è concentrata
particolarmente sulla sua attività teologica e diplomatica, che fu occasionale,
lasciando nell'ombra la sua opera di filosofo, di scienziato e di umanista, che
rispondeva alla sua vera vocazione. Sufficientemente chiara è ormai la
posizione del monaco calabrese verso le due Chiese. E sincero credente nella
fede ortodossa fino a quando non passò al cattolicesimo, ad Avignone, in
seguito alla condanna espressa dal concilio. E fu sincero unionista, anche se
le sue posizioni teologico-filosofiche non dovevano contribuire alla
chiarificazione dei rapporti tra le due Chiese. A Bisanzio porta lo
spirito nuovo delle più avanzate speculazioni filosofiche dell'Occidente, che
preludevano all'umanesimo e alla Rinascita. Non facilmente valutabile è invece
il peso che egli ebbe nell'introduzione del greco nel mondo occidentale. Certo
è che, oltre alle sue lezioni avignonesi, iniziò alla cultura ellenica Paolo da
Perugia e il Petrarca. I suoi interessi per matematica, astronomia,
fisica e musica, oltre che per teologia e filosofia, gli assegnano un posto
eminente nella storia della cultura e lo fanno apparire uno degli spiriti più
versatili della sua età. Fonti e Bibl.: N. Gregoras, Byzantina
Historia, a cura di L. Schopen, I. XI, c. 10, in Corpus scriptorum historiae
Byzantinae, Bormae, Cantacuzeno, Historiartum libri, a cura di Schopen, AYLOQEVILZò1;
Tó~10(; in Migne, Patr. Graeca, Filoteo,
Gregorii Palamae encomium, CLI, Contra Gregoram, XII; i:uvobL>còg rópo;
(Atti dei concilio Bénolt XII, Lettres closes, patentes... se rapportant à la
France, a cura di G. Daumet, Paris; Taccone-Gallucci, Regesti dei romani
pontefici per le chiese della Calabria, Roma, Schaefer, Die Ausgaben der
apostolischen Kammern unter Benedikt XII, Klemens VI und Innocenz VI, Paderborn;
Petrarca, Famil., I.XVIII, ep. 2, a cura di Rossi, Firenze, BOCCACCIO,
Genealogia deorum gentilium, a cura di Romano, Bari; Mandalari, Fra Barlaamo
Calabrese, maestro di PETRARCA, Roma; Gay, Le Pape Clément VI et les affaires
d'Orient, Paris; Parco, Petrarca e B., Reggio Calabria; Gl’ultimi oscuri anni
di B. e la verità storica sullo studio del greco di PETRARCA, Napoli, GENTILE,
Le traduzioni medievali di Platone e PETRARCA, in Studi sul Rinascimento,
Firenze; Jugie, Barlaam de Seminaria, in Dict.d'Hist. et de Géogr. Ecclés., Barlaam
est-il né catholique?, in Echos d'Orient; G. Schirò, Un documento inedito sulla
fede di B. C., in Arch.stor. per la Calabria e la Lucania, Sarton, Introduction
to the history of science, III, Baltimorem Weiss, The Greek culture of South
Italy in the later MiddIe Ages, in Proceedings of the British Academy, Meyendorff,
Les débuts de la controverse hésychaste,in Byzantion, L'origine de la
controverse palamite: la première lettre de Palamas à Akindynos, in OEoloyca; Un
mauvais théologien de l'Unité: Barlaam le Calabrais, in L'Eglise et les
Eglises. Etudes et travaux offerts à Dom Lambert Beauduin, II, Chévetogne, Introduction
à l'étude de Palamas, Paris; St. Grégoire Palamas et la mystique ortodoxe,
Paris; Giannelli, Petrarca o un altro Francesco, e quale, il destinatario del
"De Primatu Papae" di Barlaam Calabro?, in Studi in onore di G.
Funaioli, Roma, Setton, The Byzantine background to the Italian Renaissance, in
The Proceedings of the American Philosophical Society, Loenertz, Note sur la
correspondance de Barlaam, évéque de Gerace, avec ses amis de Grèce, in
Orientalia Christ. Periodica, Beck, Kirche und theologische Literatur im
byzantinischen Reich, München, Schmitt, Un pape réformateur... Bénoft XII,
Quaracchi-Florence; Pertusi. La scoperta di Euripide nel primo Umanesimo, in
Italia Medievale e Umanistica. Bernardo Massari. Massari. Keywords: implicatura,
logistica, Petrarca, Boccaccio, Gentile – il latino, il volgare – e il greco! Accademia,
Platone, Rinascimento italiano, Firenze.
Grice
e Massimiano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A philosopher who encouraged Giustiniano to pave the floor of Hagia
Sophia with silver.
Massimo
– Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Garden. A
friend of Plinio Minore. He was sent by Rome to refer the constitutions of six
Greek cities, but he declined the idea. He knew the theory of Epittetto, and a
discussion between them is preserved in Discourses III. 7.
Grice e
Mastri – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Meldola). Filosofo.– Grice:
“One interesting fascinating bit about Mastri’s ‘Institutiones logicae’ is tha
it starts with a little ABC!” Grice: “Mastri has a chapter on fallacies, too,
which is fascinating!” -- Grice: “I love Mastri – of course at Oxford, if they
do history of logic, they’ll focus on Occam – Axe Kneale!” Grice: “But Mastri
explored quite a bit the square of opposition, and modal, too – what he says
about nomen, verbum, propositio, copula, ‘regulae’ for reasoning, and so forth,
is all relevant – especially seeing that his “Institutiones logicae” is just
one of his outputs: he made intensive commentaries on Aristotle’s whole
organon, and more importantly, also his metaphysics and his theory of the soul
– so Mastri certainly knows what he is talking about!” -- Grice: “He was a
logician, and so, according to the Bartlett, am I!”Saggi: “Disputationes physicorum
Aristotelis” (Grignano, Roma); “Disputationes in organum Aristotelis” (Ginamo,
Venezia); “Disputationes in de coelo et metheoris” (Ginamo, Venezia); “Disputationes
in de generatione et corruptione” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in
Aristotelis stagiritæ de anima” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in Aristotelis
stagiritæ libros physicorum” (Ginamo, Venezia); “Institutiones logicæ quas
vulgo summulas vel logicam parvam, nuncupant” (Ginammo, Venezia); ““Disputationes
in Aristotelis stagiritæ meta-physicorum” (Ginammo, Venezia); ““Scotus et
scotistæ Bellutus et Mastrius expurgati a probrosis querelis ferchianis”
(Succius, Ferrara); “Disputationes
theologicæ in Sententiarum” (Hertz, Storto, Valvasenso, Venezia); “Theologia
moralis ad mentem dd. Seraphici et Subtilis concinnata” (Herz, Venezia); “Theologia
moralis” (Milano, Mansutti), “Philosophiae ad mentem Scoti” (Pezzana, Venezia);
Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Forlivesi, Scotistarum princeps. Mastri
e il suo tempo, Centro Studi Antoniani, Padova,
M. Forlivesi, Mastri da Meldola, riformatore degl’imperfetti, Meldola, M. Forlivesi,
"Rem in seipsa cernere" (Poligrafo, Padova); T. Ossanna,Mastri conv.
Teologo dell'incarnazione, Miscellanea Francescana, Roma Mansutti, Quaderni di
sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, M. Bonomelli, schede
bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa,
Hermann Busenbaum Bonaventura Belluto Giovanni Duns Scoto. Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cum SIGNIFICARE derivatum est quo patet SIGNUM
dicere ordinem, et ad potentiam cognoscente in sed ad huc dubiuin est denominibus
ipsis substantivis solitarie cui re-præsentat, et AD REM SIGNIFICATAM, quam re-præsentat.
Divi sumptis. Et extra propositionem spoflintnedici termini, nam ditur porrò SIGNUM
inforinale, cutly currere subiecti, atque ita vt verba habere rationem termiplicabimus.
ni. Refp. “currere”, et “moveri” esse verba tantum grammaticaliter at apud logicum
æquiualent nominibus CURSUS et MOTUS, unde
apud. Dubium tamen est de adverbiis, coniunctionibus, signis quantitates – ut: “omnis”,
“aliquis”, etc. casibus obliquis et similibus,
an rationem terminis ubire possint etiam in secunda acceptione. Af De
Terminorum multiplicitate ratione SIGNIFICATIONIS, X varijs capitibus solenttermini
MULTIPLICARI et variæeo t rum divisiones atlignari, ex parteniiniru in SIGNIFICATIONIS,
actu fungatur munere subiecti et prædicati, fediufficit aptitudo, ut ad tale in
unus possit assumi, et non eam habeat repugnantiam quæ reperitur in aduerbiis,
conjunctionibus, et similibus men substantiuum extra propositionem dicetur terminus
non ineo. Qu oad alteram qux siti partem Terminus universi in sumptus dividitur
in in en talem, vocale in et scriptum vt notat Tatar. tract.7. de suppositionibus
comm. Secundo sciendum, quæ divisiolumitur ex triplici propositio nuingenere. Hæc
eni in propo in alterius cognitionem venire, ut IMAGO respectu Cælaris, VESTIGIUM
rel pectu feræ transeuntis; quade causa Scotus 2. d.3. quæst.9. & quol. 14,
hoc secundu in SIGNUM appellat medium cognitum, qui a vc ducat in COGNITIONEM
SIGNATI, prius petitiplum cognosci, il propriem dicitur SIGNUM, et definitur ab
August. [AGOSTINO – Del maestro] citat, ea tamen definition etiam formali conveniet,
si prima pars deinatur, et dicatur SIGNUM efe, QUOD FACIT NOS IN ALTERIUS
COGNITIONEM VENIRE. Hæc tamen SIGNI descriptio, quam vis sit ab August.
[AGOSTINO], tra Pars Prima Inf fit.Tract. I1. Cap.1. elf obiectum ipsius formalis
propositionis mentatis, et intticuitur in Hasaute in termini propriem sumpti definitiones
itam explicat Tatar. Ese propositionis obiectiva peream, tanquam per forma mextrin
ut SENSUS sit terminum eleids in quod tanquam in EXTREMUM proposecam, itaque PROPOSITIO.
Mentalis in hoc sensu, nim irum ob fitio cathegorica elt in nediace resolubilis
MEDIANTE COPULA verbali, iectivem sum pradicitur habere terminos; et extrema, quia
in se et diciturim mediatem, ad remonendum litteras et syllabas, quia continent
subiectum et prædicatum constitutain esse talium per licet propositione solvatur
in litteras et syllabas, non tamen in propositionem formalem. Quarem cum intellectus
enunciate ebomo mediate, et id e om litteræ et syllabæ NON dicuntur “termini”,
el est s nimal interna et formalis propositio in se non continet sub tiam licet
propositio hypothetica resolvatur in terminus media iectum, neque prædicatum, nec
terminos, sed tantum propositio tem, non tamen immediatem. Sed resolvitur immediatem
in propositione objectiva. Yt etiam hic benen notavit Ovvied. Nomine autem ter sit
iones simplices, ex quibus componitur. Posset tamen ab sque mini mentalis duo possunt
intelligi, scilicet res quæ mente concipi scrupulo etiam propositio simplex appellari
terminus, quando tur, ac ipla cognitio, seu v talij loquuntur conceptus formalis,
in hypothetica tenet locum subiecti, ut notat Arriag. Nec obeit et obiectivus.
Et quidem siin primo lentu sumatur, scilicet, prom illam etiam constare terminis,
nain benem potest id, quod in se est re concepta, terminus mentalis am vocali
et scripto differre non quasi totum, esse pars respecta alterius totius, ut patet
in physicis videtur, eademen im prorsus est res, quæ in ente concipitur, vo de corpore
respect totius hominis, et in aliis multis, ut discur, cede proinitur, et calamo
exaratur; at IN SECUNDO SENSU, scilicet, renti constabit. Et iuxta hanc secundam
termini acceptionem coproipforei conceptu differtam vocali et scripto et dividisolet
in et subiecti et licet in propositione de secondo adiacente, quaquia cum sit ignarus
SIGNIFICATIONIS vocabulorum latinorum, concilis est ista: “Petrus currit.” -- lý
“currit” videatur fungi munere prædipit solum modo vocis tonum, non autem rem per
illam vocem SIGNIFICARI, re tamen vera non tantu in habet rationem prædicati, sed
etiam ficatam, scilicet hominem. Porrom licet logica proximem vertetur habet vim
COPULAE, cum faciat hunc sensu in: “Petrus
est currens.” -- yn circa terminus mentales; et vocales non nisi ratione mentalium
at delicet ut gerit vices prædicati, sit terminus, non tamen vegerit vitendat, quia
tamen termini vocales sunt clariores, et pereosinno ces copulæ. Et si dicas in hac
propositione “currere” est “moveri”, ly – motes cuntinentales, frequentius agit
logicus determinis vocalibus, at, veri, quod est verbum, habere tantum rationem
prædicati, fique id eonos et iainde inceps deistis agemus, ac eorum divisiones ex
sirmant aliqui, co quia in propositione possunt habere locum prae ex parte MODI
SIGNIFICANDI et ex parte REI SIGNIFICATAE. Ex primo dicati et subiecti, ut si dicatur
“Petrus” est aliquis, omnis est tercapite, quantu in ad præsens spectat, solet in
primis dividi vocalis minus syncathegorematicus, preter, ost adverbium, est coniun-terminus
in significativum, et non significativum. Ileeit, quiali quid tie et sic dealiis.
Immo suent. cit. hac ratione tenet etiam voces SIGNIFICAT, vc hæc vox “homo”, qui
naturam SIGNIFICANT humanam, ister non significativas e se terminos, nam
dicimus “bliteri” nihil SIGNIFICET, qui nihil SIGNIFICAT – vt “blittri”, “buf”,
et “baf.” Sed ut ita divisio lit cat. Quin etia in Arriaga ob id addit litteras
ipsas ese terminos, quanreemtem tradita intelligi deber determine in prima acceptione
assignar dosolz accipiuntur, nam dicimus A et t littera.Verum in probabi- tacap
præced. Nam in secunda acceptione omnes termini sunt signi lius alii negant, quia
adverbia, coniunctiones, et alia id genus nun- sicativi, cunies epoflint subiectum,
et prædicatum in propositio quam ratione sui et formaliter sumpta fungi possunt
munere subie- ne. Terminus igitur vocalis in tota sua latitudine sumptus dividitur
emti, et prædicati, unde in allatis propositionibus semper aliquod in significativum
et non significativum -- quæ divisio ut benem per substantivum intelligitur, in
cuius virtute fungunt urila oficio sub cipiatur, cum terminus vocalis constituatur
in ratione significan iecti et prædicati, ut in ila propositione “Petrus est aliquis”
am parte tis per significationem, videndyınett quid sit significare et quid sit
si nos venire in cognitionem alterius scili ta in oppositionem sequivelimus, tunc
cum Tatar, que in seq. Arriaga, cet naturæ humanæ, unde SIGNUM debet ese tale, ve
il coognit oper tract. 1. com. 3. Ad 1, dicendum est ad hoc, ut aliquid sit subiectum
SENSUS, mediante illo deinde veniamus in cognitionem rei, cuinqua in propositione
sufficere, ut sit vox significativa NATURALITER commu- lignum habet connexionem;
hinc significare nil aliud erit, quam niter, id est, ut possit re-præsentar ese
ipsam, quod elt significare aliquid aliud am se distinctum re-præsentare potentiæ
cognoscenti. Ex large et est illud, quod absque sui prævia ARISTOTELE Definition
allata videtur ilis competere solu in, quando sunt in cognition aliud nobis re-præsentat
et in eius cognitionem du propositione.Verum non ita rigorosem intelligenda est
illa definitio cit, quales sunt species IMPRESSA ET EXPRESSA respect proprii obie
nam ve aliqua dictio dicatur “terminus”, non eit semper necesse, quod eti, et in
instrumentale, quod PRAE-SUPPOSITA SUI cognition facit nos. No dita et obcanti doctoris
authoritatem ab omnibus pallim ro sitio “homo” est animalli siat mente, dicitur
mentalis, si voce, voce pta, non recipituram Poncio disput. log. quæit. i, eamqu
calis, li scripto, dicitur scripta. Terminus ergo dicitur mentalis impugnat quo
ad veramque partem; quo ad primam quidem cum ampula verbalis, seu verbum, ut verbum,
rationem termini nequit vleii natum, et non ultimatum. Ultimatus est conceptus,
seu cogai habere, tum quia copula non est extremum propositionis, sed ratio rei
significatæ per vocem aliquam, velim scripturam, ut cum audition coniungendi extremi.
Tumqui ain eam propositiore solui non ta voce “homo” illud percipimus ‘animal’
[ZOON], quod est ‘rationale’ [LOGIKON]. Non ylti potest, cum enim sit formalis
et EXPRESSA extremorum unio, matus est conceptus ipsius vocis, vel scripturæ significantis
non yl facta eorum dissolution manere non potest. Tumdemum, quia trase ex tendens
ad re in significatam et ideo dicitur non ultimatus. Ve SENSU, quod actu extra illam
exerceat officium termini, sed quia ludverom primum vocat præcisem rationem cognoscendi,
quatenus intra illam fungi potest hoc munere. Unde dicatur terminus non præcisem
eit quo aliud cognoscitur, et non quod cognoscitur. Si actu, sed potentia. Nec aliud
probant Complut. cit. oppositum signum autem instrumentale est, de quo agimus in
præsenti, et quod it in entes. Eum dimontesa SIGNA ni. vocalis, vel scriptus, pro
ut subiectum, vel prædicatum proposi SIGNUM esse id, quod præter sui cognitionem,
quam ingerit senpbutionis et mentale, vocale, vel scriptum. Solent extrema quoque
doc. red arguit, quia non complectitur omne SIGNUM, quia po propositionis mentalis
termini appellari, quod quidem de propolilent dari SIGNA spiritualia, qux
deducerent in cognitionem tione formali, quæ eit actus, et secunda operatio intellectus,
in aliarum rerum, nec possent percipia SENSIBUS materialibus telligendum non est,
nam propo.icio in hoc lenluettyna simplex Quo ad aliam verom partem, in qua ait;
quod SIGNUM facit venire op eiro in cognitionem alterius eam impugnat, tanquam
ab Arriag. 4 modificat, et facit tal iter Significare, idel treddit eius significatio.
raticam, quia obiectum facit nos in cognitionem suivenire et tanem, vel universalem,
vel particularem, vel affirmativam, vel metbon dicitur signum. Rursus Deus ipse facit nos venire in cogni- negativam:
et dicitur aliqua liter significare, non qui averem, et pro tionem multarum reruin
eas nobis revelando nec tamen abullo priem non significet, sed quia significatum
eius non re-præsentatur vocatur SIGNUM ilarum rerum. Præter eam cognitio est SIGNUM
ut res per se, sed ve modus rei, id est exercendo modificationem rei, quz cognoscitur
per ipsam, et tamen non facit nos in cognitio alterius rei, qua de causa negat Arriag.
sect. 4. e se perfectem terminum. Dem venire. Addit Tatar. terminum mixtum id est
partim cathegorematicum, par Sed nimisandacter inficiatur Poncius doctrinam D.
Augustini [AGOSTINO], tim s yn cathegorematicum, et est ile, qui impositus ett ad
signifi qaamomnes venerantur. Ut communis magistri, unde mirum essecandum aliquid,
seu aliqua et aliqualiter simul, ut hæc vox ni. non debet, quod sz pius hic auctor
minirmu ob ore suffuse dsoctri- hil, quæ imposita et ad significandam negationem
omni sentis nam Scoti przceptoris audeat impugnare. Oprima enim eit illa hæc enim
ipsa negatio est illud aliquid, quod significat, quatenus description quo ad omnes
partes, si benem intelligatur, naimnduzæ verom illam negationem significat universaliter
cuius cunqueentis, folenta signari conditiones alicuius, ut alterius rei SIGNUM
didicitur significare aliqualiter, fic eciam significar subiectum pro catur, una
est, quod nos ducat in illius rei cognitionem, al positionis indefinitæ, namin materia
necessaria æquivalet univer cara est, quod ducat in eius cognitionem, quatenus cognicas
lali – ut, “Homo est animal” æquivalet huic,
“OMNIS homo est animal”, et quarum conditionum utram queo primem exprimit
definition SIGNI in materia contingenti æquivalet particulari -- ut, “Homo currit.”
Augustino [AGOSTINO] tradita. Nam per primam partem definitionis secun- æquivalet
huic: “ALIQUIS homo currit.” Ad hoc tertium genus reducit dam exprimit conditionem.
Vulceni in rein, quæ in servirede- Tolet. lib. 1. cap. 12. Et Arriag. sect. 4. Omnia
adverbia v...som bet pro alterius SIGNO, prius noitris SENSIBUS cognitionem sui
inpienter, doctem, conc. Sed non placet, quia cum discrimeninter termi gerere debere,
pecificat autem SIGNUM efe debere SENSIBILE, quia nos cathegorematicum, et syncathegorematicum
sumatur præser. Ut notar Doctor 4. d.1. grætt. z. & 3. SIGNA SENSIBILIA sunt
maximem timin ordine ad propositione in ipes pro sianu isto excitare intellectum
coniunctum am SENSUUM et per se potest esse subiectum,vel prædicatum propofitionis,
ille ministerio dependentem, ut in alterius rei cognitionem veniat; verom, qui non
potest esse subiectum, nec prædicatum, nisi cum ad per alteram verò partem
definitionis altera quoque conditio exdito, consequenter adverbia omnia erunt
termini syncategorеinati primirur, contraquam nilvrgent instantiæà Poncio adducta
ci, quiase solis, et sine addito non possint esse subiectum, vel pre quia obiectum
facit venire in cognitionem sui, non alterius, dicatu in propositionis, et per se
non significant aliquid, sed potius hoc facit venire in cognitionem sui, quatenus
cognitum, ut fa aliqualiter. It signum, sed quarenus cognoscibile. Nec etiam Deus
hocmo- Potiori ratione ad hoc tertium genus termini mixti nomina adie do ad inftar
SIGNI ducitnos in rerum cognitionem, quatenus eti vare duci possent, quam visenim
Hurtad. disp. l. sect. 10. mor cognias, fore as revelando, quod ad huc facere possec,
etiam dicusc ontendat esse terminus syncategoremnaticos, quia non SIGNIS prius
am nobis non cognosceretur. Cognition denique esse ficant per se, sed CON-significant,
v. g. “bonus”, non significat per se, bg num rei cognit xper ipsam formale, vedicebamus,
non et determinate aliquid, nisi ad datur alicui, v. g. “Petrus [est] bonus”, Ta
autem instrumentale, quod solum propriem dicitur SIGNUM et men si nominum adiectivorum
significatio benem confideretur, vide ab Aug. [AGOSTINO] definicus, et ideo cognitio
propriem loquendo non di bimus, quod liceti n determina cem aliquomodo significent,
ratione e in er facere nos venire in cognitionem rei, quam re-præsentamen formæ
significatæ se cum afferent aliquam determinationem, quia non ducit nos in
cognitionem illius rei, quatenus nam “doctus”, v. g. doctrinam importat, quod non
eucnit in SIGNIS quan cognica, lea ut medium cognitum, sed ut ratio cognoscendi.
So- citatis omnis, nullms, doc. quæ nulla in prorsus, rem determinatam lum autem
SIGNUM instrumentale est illud, quod hic definitur significant. Accedit, quod nomina
adiectiua possunt esesaltim præ Ethocignem instrumentale ad huc duplex est, aliud
naturale, dicatum in propofitione, v. g. “Petrus est doctus” -- quod SIGNIS quantitate
it, quod ex natura sua independenter ab hominum voluntate tispror sus convenire
non potest, ergo nomina adiectiva commodem aliquid re-praesentat, ut sumu signem,
et universaliter omnis es- ad hoc tertium genus termini possunt revocari, quod etiam
tenent sutus suam cusum, qui præsertim si sensibili serit, dicetur tic Casil. cap.
3. et Arriag. cit. cum significant aliquid, et aliqualiter, vn suncauz juxtam sensum
definitionis allaræ. An verom it aèm contra de rem anet sola nomina substantiva
esse propriè terminus categore cala dicipole SIGNUM sui effectus, negar Hurtad.
disput. 1. fet. 4. maticos, quicquid hic dicat Ouuied. Quia eicauíz cognition ducat
in cognitionem effectus, tamen, 7.Rursus terminus categorematicus subdividitur in
simplicem boset ordinate ad illum re-præsentandum. Sed planènonmi- seuin complexum,
et compositum, seu complexum, quam diuisio mes ordinataet cognitio causæ ad nos
ducendum in cognitionem quidam sic explicant, quod complexus est ille, qui constat
ex benefectus a priori, quam cognitio effectus sic ordinate ad noti- pluribus dictionibus
– ut: “homo albus” in complexus, qui unica gau tiamanfz à posteriori, quareratio
Hurtad. Parum valet. Acinder dictione, ut “Homo et albus”, ita Roccuslib. i. introd.
cap. 8. quinzalij, quod licet icar esse habeat, solata men cognitio, qux Blanc.
libr. z. sect.2. At ve bene monet Tatar. tract. 1. coin. 4. hæc ex perfectum habetur,
dicitur haberi per SIGNUM, unde sola demonplicatio potius grammaticalis est. Grammaticus
enim voce millam Horacio, posteriori, quzelt per effectum, dicitur a signo, et idiom
appellat complexam, quæ constat ex pluribus vocibiis, et eamin solum efectus dici
potest SIGNUMcausæ, non è contra. Verun mne- complexam, quæ constat una tantum,
at non sic est apud logi que hoc viget, licet enim cognition habita per effectum
velutisen cum, qui non attendit unitatem, vel pluralitatem vocum, i ed Ebuiorem
causa, magis propriem dicaturam signo, niltam enim- conceptum in intellectu, cuiiltæ
subordinantur, unde etiam si sint pedit, quin et cognitio habit a per causam po
sic diciam signo ab- plures dictions inter se connexx, sit amen in in ente v numtan
solute loquendo. Poc est igitur etiam causa dici SIGNUM sui effectus, tum generant
conceptum, terin inum conitituunt in complexum &przsertim quando sensibilis
est, vnde a Theologis sacramenta dive v.
g. Marcus Tullius Cicero [CICERONE], et è contra fivnatantum sit dictio, cantur
SIGNA gratia, cuuus sunt causa, ita clarem colligitur ex Do- conceptum tamen generet
complexum, erit terminus complexus; vt Gore. d. 1. Juzit. 2.$. De secundo principali,
et sequitur Cafil. cit. et nemo, “Amo.” semper, quæ æquivalent his, nullus homo;
“Ego sum amans”, omni Atriaga difputat. 3. fect. 2. Aliud vero est SIGNUM
ARTIFICIALE, seu ad tempore. placitum, et et: quod ex hominum impositione aliud repræsen-
Alii proindefic explicant, quod terminus in complexus est ille, est, ficramiset
SIGNUM venditionis vini, sonus campangelt cuius partes ab in vicem separatæ nihil
significant, aut non lignih fgrum lectionis, et vox illius rei, adquam significandum
eitim- cant illud, quod in integra dictione significabant – ut, v. g. “dominus”
posita. Ubi tamen est advertendum etiam in vocibus ipsis non est terminus in complexus,
quia licet partes, in quas potest dividi aprum significationem AD PLACITUM reperiri
posse, sed etiam natu scilicet “do-“, et “-minus” sint significativæ, tamen in toto,
et integra salem, ve par et degemica in firmorum, et latratucanum. Et ideom
dictione hanc significationem non retinent: Complexus verom est il temiaus vocalis
significativs sub dividi solet in significativum nale, cuius partes eandem retinent
significationem, quam habebant licet, et AD PLACITUM, et hic ad Dialecticus mpectat
non qui- in toto complexeo, tiam ab in uice in separatæ – ut: “homo iultus”,
enlecundim tuam realem entitatem, ve vox est et fonus quidamn ita Amicus g. 2. Ruuiusq.
4. Complut. cap. 3. Sot. lib. 1. cap. 9. decaufaeus, Id secundum quod impofitus
est ad res ipsas signi- Ioan. De S. Thom. [AQUINO] lib. sum. cap. 4. & alii
passim. At hoc dupliciter ledias, et conceptus mentis exprimendos, in hoc enim lenluvo-
inteligi potest, velita, quod terminus in complexus sit ile, cuius se nere dicuntur
ad inftitutum Dialecticum, ut dicemus disp. Partes Separatæ non eandem habent significationem,
quam habe vocibus, vbictiam declarabimus, per quid constituatur ratio bant in integra
dictione etias migillatim sumptæ, in quo SENSU quod coria nificativus, et ideo per
se non significat aliquid, nec po- seca, acdere vpatett. Al Velscito amipnto enlluingtitiulrla,
nqoumodinpar, tevsetneortmaitn Fioin veelelubecom, et prædicatum in propositione,
sed cumalte- coinplexi separatæ non retinent eandem significationem, quamha
consortio aliquis inde de sumpdtiæctionis Respublica lus, vt notat Tatar. tract.
7. com .1.§.Tertio Sciendum , scio vera est, ut constat partibus illius fins, cuius
significationem modificet wessatenusa diuncur cathegorematico. Bartolomeo
Mastri. Mastri. Keywords: implicatura, Categories and De Interpretatione,
segno, segnare, segnans, segnato, notare, nota, notans, notatum, notatura,
segnatura, signifare conceptus animae, res significata, “Amo” aequivalet “Ego
sum amans” – Homo albus aequivalet “Omne homo est albus” – Homo currit
aequivalet Aliquis homo currit, signum artificiale, ad placitum, significare
naturaliter – baf, bif – definizione di signo, tratta d’Agostino. Aquino.
CICERONE. -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Mastri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Massolo – prime ricerche di Hegel – implicatura idealista di Plathegel e
Ariskant -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo).
Filosofo italiano. Grice: “If I had to decide on my favourite Massolo, that
would be his ‘historicity of metaphysics,’ way before when I was venturing with
Strawson and Pears to lecture the erudite audience of the BBC third programme
on the topic!” Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo Classico Vittorio
Emanuele II, si laurea a Palermo con “L’individuo in Rosmini, con Allmayer. Fu
autore di alcuni volumi di poesia. In
seguito ad un periodo di docenza nei licei di Perugia, Catanzaro e Livorno,
insegna a Urbino e 'Pisa. Ha influenzato importanti figure del dibattito
filosofico del secondo Novecento, come Luporini, Badaloni, Sichirollo,
Salvucci, Cazzaniga, Barale, Bodei, Losurdo. Gli scambi epistolari avuti con
numerosi intellettuali (tra cui spiccano i nomi di Gentile, Spirito, Bo,
Fortini, Russo, Capitini, Weil) mostrano l’alta considerazione di cui Massolo
godeva all’interno del panorama culturale del secondo dopoguerra. Partecipa alla fondazione della rivista
Società, entrando nel comitato di redazione. La rivista, nel primo anno della
sua uscita, ospitò tre importanti saggi di Massolo: Esistenzialismo e
borghesismo, La hegeliana dialettica
della quantità, L’essere e la qualità in Hegel. Idea e fonda la collana «Socrates»
dell’editore Vallecchi, con la quale pubblicò “Filosofia e politica” di Weil,
Vita di Hegel di Rosenkranz e Dialettica e speranza di Bloch. I suoi studi su
Hegel, inclini a valorizzare la filosofia della storia e la dimensione
realistica del filosofo tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo
italiano (Croce e Gentile) quanto quella di Galvano Della Volpe. Nell’ambito
della sua riflessione Massolo ha posto le basi teoriche per una nuova ed
originale rilettura del rapporto Hegel-Marx, tanto da essere considerato da
alcuni interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia. I suoi interessi teoretici si sono rivolti
principalmente alla filosofia classica tedesca da Kant ad Hegel, della quale ha
studiato, per più di un decennio, i principali momenti storico-teorici. In antitesi all’esegesi del neoidealismo
italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie di Fichte, Schelling ed
Hegel il superamento della finitezza umana che Kant aveva posto a fondamento
della sua filosofia, Massolo ha proceduto alla rilettura della genesi
dell’idealismo tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato i dualismi
kantiani in un processo che si compie nella Fenomenologia dello spirito di
Hegel. Nelle fasi più mature della sua
riflessione ha tematizzato in vari saggi la problematica della scissione della
coscienza comune (Filosofia e coscienza comune, oggi), l’idea della completa
politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo, Frammento etico-politico), ed il problema
della storia della filosofia con particolare riferimento al ruolo della
coscienza riflettente del filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero
e Realtà nella città-storia» (La storia della filosofia come problema,). Si dedica alla questione della dialettica
intesa come dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il
quale è possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto
storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità. Tramite queste riflessioni, che lo hanno
condotto a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, Massolo ha
contrastato l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha
concettualizzato l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e
comunicativo (La storia della filosofia e il suo significato). Saggi: “Mattutino,” versi (Palermo,
Trimarchi); “Adolescenza” (Palermo); “Convivio; storicità della meta-fisica” (Firenze,
Monnier); “L’analitica di Kant” (Firenze, Sansoni); “Fichte” (Firenze, Sansoni);
“Schelling” (Firenze, Sansoni); “Prime ricerche di Hegel” (Lettere e Filosofia,
Urbino); “La storia della filosofia come problema” – (Firenze, Vallecchi); “Logica
idealista” (Salvucci, Firenze, Giunti-Bemporad, “Della propedeutica filosofica”
e altre pagine sparse, Urbino, Montefeltro, S. Landucci, Arturo Massolo,
"Belfagor, Remo Bodei, Arturo Massolo, "Critica storica", Studi
in onore di Arturo Massolo, Livio Sichirollo, Urbino, Argalia, Nicola Badaloni,
Ricordo di Arturo Massolo, "Giornale critico della filosofia
italiana", degli scritti di
Massolo, Burgio, Urbino, QuattroVenti, “Il filosofo e la città: studi
Nicola De Domenico e Gianni Puglisi, Venezia, Marsilio. Arturo Massolo.
Massolo. Keywords: prime ricerche di Hegel, la logica di Hegel, Gentile,
implicatura idealista, Ariskant and Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Massolo” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mastrofini – l’implicatura verbale di Romolo – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Monte Compatri). Filosofo italiano. Grice: “I like Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves
into what we may call new Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a
philosopher, he focused on the philosophical terminology – it takes a
PHILOSOPHER to translate a philosophical text!” – Grice: “What I like about
Mastrofini” is that he mostly kept with the cognates. La Crusca adores him!” Noto
soprattutto per il volume “Le discussioni sull'usura” in cui sostenne che non è
reato far fruttare il danaro e che né la Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la
tradizione ecclesiastica vietavano di ottenere un giusto interesse per danaro
dato a prestito. Questo diede luogo a molte discussioni ma anche apprezzamenti
lusinghieri da economisti dell'epoca e dall'opinione pubblica. In precedenza aveva scritto un'opera di
economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa relativa
all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per la
riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio Romano ove insegna. Insegna a Frascatii. Nel pieno della
crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne nominato
professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si trasfere
definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della "Nuova
Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis". Produce le traduzioni dei capolavori di Floro,
“Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli
imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e
prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente
degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo
allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella
revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di
misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e
filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in
corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e
i Cesarini. Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio
dove abitava e morì, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una
lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- dotto in filologia,
teologo e filosofo assai più grande che celebrato fissa le incerte leggi dei
verbi investiga felicemente con l’uso della ragione i misteri della scienza
divina S.P.Q.R.» “Dissertazione filosofica” (Roma); “Piano per riparare la
moneta erosa” (Roma); “Ritratti poetici, storici, critici dei personaggi più
famosi nell'antico e nuovo Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio);
“Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso
“Le Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica
sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani",
Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle
cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul
calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma, “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e
prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il primo fondatore di Roma,
e dell'impero e Romolo, generato da Marte, e da Rea Silvia. Tanto nella sua gravidanza
confessa di sèquesta sacerdotessa: nè la fama ne dubita quando poco appresso il
fanciullo gettato con Remo suo fratello nella corrente per ancenno di Amulio, non
potè soffocarsi. Imperoc chè il padre Tevere ritira dal lido le acque ed una
lupa, lasciati i suoi parti, e seguendo il suono de'vagiti, in boccò li sue
mamelle a' fanciulli, presentando in se stessa una madre. Cosi trovatili un
regio pastore presso di un'arbore, e portatili in casa (2 gli educa. Di que'
giorni Alba, opera di Giulo, e capitale nel Lazio chè avea quegli dispregiata
Lavinia, città del suo padre Amulio. Sopra ttutto sembra inc satto l'intervallo
da Augusto fino a Trajano Eglilo crededi anni duecento ; laddove è di anni
cento due a!l'incircd . M a forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi cento
in lungo di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al sacerdo
ziodiVesta Quindi è dettaSacerdotessa. Nel testo in casam: questa voce può
sign'ficare capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio pastore
fosse alquanto migliore di una capanna. L'espressione italiana comprende ogni
abitazione fosse capanna o no . av. Cr av. R. 26. na Enea dopo finita la
guerra con Turno foudo la città cui chiamò Lavinia dal nome della moglie .
Ascanio , ossia Giulo,peròdi luifigliuolo dopolamortediEneafabbricò A!. ba
Lunga la quale tu capitale del regno per trecento anni Ani. dik .
3.av. Cr. essi viregnava, avendonecacciato il germane suo Numitore, dalla cui
figlia Romolo era n..to . Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia
Imulio suo zio dal principato, el'avoloviri pone. In tanto egli amante del fiume
e de’monti, vicino a'quali era stato educato, meditava lemura di una nuovacitt).
Ma l'unoe l'altro essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj , qual
de’due le fondasse e vi dominasse . Per tantoRemo andossene al monte Aventino, el
altro al Palatino. Colui pel primo vide sei avoitoj: posteriormente videne
l'altro, ma dodici: e vincitore negli augurji nal Area fin quì fatto un'abozzo
di citta, piuttosto che una città; mancandole gli abitanti. Ma siccome riina
neale vicino un bosco;eg! 2feceunasilo; edisubia tovisiadund moltitudine prodigiosa
di uomini, Latini, e Toscani pastori , eGo ancotras marini , sia d e ' Frigj
venuti con Enea, sia degl’Arcadi con Evantro. Cosi quasida varii eleinenti , ne
trasse un corpo solo; e fu per lui creato il popolo romano Vi quel popolo di uomini era cosa di una sola
generazione. Si chiesero dunque de’matrimonj da'confinanti; e sccome non si
otteneano; furono con laforza espugnati. Imperocchè finti de 'giuochi equestri
, le vergini accorse per lo spets 747. incirca. Finalinente Romolo inalzò Roma che
diverrebbeca. C o . za una città pieno di speranza, che guerriera
diverrebbe; tanto ripromettendogli quegli uccelli, consueti a 7 LIBio sangue e
prede .Sembrava che in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo; se non
che deridendo Remo le angustie di questo, anzi condannandole con saltarle, fu
trucidato; è dubbio se per comando del fratello; ma certo ei ne fu la prima
delle vittime; e consacra col sangue suo le fortificazioni della nuova città .
Av. Cr. R.2 so 52 7 > ro dell'Italia e del mondo , PRIMO 13 (+)
Spoglie opine eran quelle che un comandante toglieva all'imperadore o supremo
comandante nemico uccidendolo di sua mano. Queste furono così rare; che se ne contano
appena tre. Le prime le riportò Romolo contro di Acrone. Le seconde Cornelio
Cosso contro di Tolunnio. E le terza Marco Marcello su Viridomaro. Giove poi fu
detto Feretrie o perchè a lui ferebantur si portavano le spoglie opime, o
perchè ferisce col fulmine; o perchè nell'acquistare le spoglie opime un
capitano feriva l'altro con la spada. Era questo un bel mantenere le promesse e
intendere di dare alla donzella gli scudi perchè gli scudi le vibravano
opprimendola . Questo metodo di mantenere le promesse , ras somiglia a quello
usato dalla fanciulla per consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o
cone noi abbiamo tradotto , senza malizia , perchè non chiedeva danaro , ma gli
scudi o li braccialetti. Potrà inai persuadere questa ragione? La vergine, che quisi
addita, secondo ValerioMassimo 9.6.I.erafigliuoladi Spur.Tarpejo il quale a tempi
di Romolo presede alla fortezza:c coleiera uscitaper prenderc acqua pe’santi
riti, tacolo, furon preda, e cagione immediata di guerre. Furono I Vejentirespintie
fugati: lacittàdi Ceninafu presae diroccata: inoltre lo stesso monarca ne riporta
con le sue mani a Girve Feretrio le spoglie ooiine del re. Ma le nostre porte
furon date a Sabini per una donzella; nè già con malizia: ma chiesto avendone
la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sinistre , gli scudi
forse o li braccialetti ; coloro e per m a n tenere a leila promessa e per
vendicarsene la oppressero congli scudi. Ricevuti in tal modo fra le mura i
nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce battaglia; tanto che Romolo prego
Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de’ suoi. Quindi ebbe origine il
tempio , e Giove Statore . Finalmente le donzelle in lacere chiome
s'intrammiseroadessiche infierivano.Cosìfulapace riordinata , e stabilita
l'alleanza con Fazio . Donde ne .diR. Cr. bandonati i lor domicilj, sen
passarono alla nuova città, consociando co'nuovi generi loro gli aviti beni per
dote. Accresciute in poco tempo le forze da il sapientissimo re quest: forma
alla Repubblica. E la gioventù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè
sorgesse nelle subire guerre: fosse il consiglio su pubblici affari ne’ seniori,
i quali si chiamano pari arringando dinanzi la città presso la palude della
capra, e di repente levato di vista. Alcuni pensano che i senatori lo
trucidassero per la ferocia dell'indole di lui. Dopo la morte di Romolo il
trono resta privo di sovrano per un'anno, comandando in tanto a vicenda i senatori
di cinque in cinque giorni. Quello spazio fu chiamato interregno. Il magistrato
a forma d'interregno ha luogo ancora ne'se. coli posteriori quando I consoli
occupati in lontane azioni non potevano intervenire ai coinızj;o quando erano
costretti a depor. 14 LIBRO dir. seguitò, cioc chèè portentoso a dire, che
inemiciab 7.av. Cr. diR. 38. l'autorità, ma per la etaS.nuto. Ordinate in tal modo
le cose, egli SI CONDO Tav. 37 av 713 so non che la tempesta e l'oscurarsi del
sole presentaroncincid le imnagini con e di una santa operazione: alla nuale
poco appresso diè credito Giulio Proculo coll'offermare; che Ronolo si era a
lui dato a vedere Cr 743. informa più augusta della consueta; e che imponeva
che per Dio se lo prendessero. Piacere a Numi che egli sichiami Virinoin sul cielo.ContalmezoRoma
con quisterebbe le genti
.E'naturadelVerbodiesprimerel'afermazioneelanegazione.E siccome Essere e non
essere esprimono appunto per se stessi l'affer mazione e la negazione; ne
seguita che il verbo Essere preso nuda mente, o preceduto dalla particella
non,è verbo per natura e per ec cellenza. Comunemente la voce essore è nota col
nome di verbo so slantivo, perchè esprime l'esistere, o l'essere di sostanza.
Le qualità che si affermano o negano possono aversi distinte o no,
dall'affermazione,o negazione. Nel primo caso l'affermazione o negazione si
addita col verbo essere,come si è detto. Ma nel secondo caso risulta un nuovo
ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è riunita l'affermazione
o negazione colle qualità chesi affermano o negano: tali sono amare, godere,
odiare, piangere & c. che significano essere nell'amore, nel gaudio, tra
l'odio, o tra 'l pianto. Questo secondo genere di verbi ha servito
incredibilmente a variare e fecondare il discorso, in somma alla dolcezza dell’wloquenza,
e del la Poesia. Chi afferma e nega, o afferma e nega dise stesso,che sichia ma
persona prima, o di altri a cui parla, che si chiama persona se conda, o di
soggetto a cui non si parla,e si chiama persona terza. Per altro questepersone
possono essere una, o più, cioè possono ri guardarsi in singolare o plurale. E
'naturale che tanto nella nostra q u a n to nella più parte delle lingue
s'introducesse l'uso di finire il verbo diversamente secondo ladiversità
dellepersone,e del numero.E quin di abbiamo amo ami ama,amiamo amate amano. E
potendo il discorso riguardare cose presenti, cose cominciate e non finite, cose
passate, più che passate, e future; fubenevaria. Anzi siccome le proprietà si
affermano o negano assolutamente, o sotto certi rapporti e condizioni; cosi li
verbidivennero parole terminate diversamente secondo la persona, il numero , i
tempi, e i modi di affermazioni e negazioni assolute o relative. S. 1. re
il verbo secondo la persona,il numero, e i tempi. a I 6. Questi
modisono cinque: Indicativo, Imperativo, Ottativo, Congiuntivo, ed Infinito. L'indicativo
dimostra assolutamente che una cosa è, fu, sara; e perd vien detto ancora
assoluto e dimostrativo. Cosi Pietro ama amò amerà le scienze, forme tutte dell'Indicativo, dichia.
ranoche Pietro amo, ama, ed amerà, assolutamente. L'Imperativo esprime comando,
preghiera, avviso, consiglio, esortazione di far qualche cosa, e con una sola
voce si vuol esprimere il comando, preghiera &c, e l'azion e che deve
farsi. Tale sarebbe amatu, amerai til, ameremo noi &c. Pertanto si esprime
l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per comando, preghiera &c;
laddove nell'Indicativo mancano questi rapporti. L'Ottativo esprime desiderio
di fare una cosa, giusta i varii tempi; e per questo è detto ancora
desiderativo, e tale sarebbe, “O se amassi,ioamerei, O avessi amato,lo
avreiamato &c. Il congiuntivo è così detto perché si adopera quando si vuo
le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e perd siegue le
particole sebbene, quantunque, conciossiacosache &c.Tále èquel di Petr.
Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel
diBocc.6.7.n.2.perl'amorediDio,comechèilfattosia& c. Tra i Greci l'Ottativo
ha le sue desinenze tutte diverse dal congiun tivo: ma nella lingua latina e
nella nostra l'ottativo adopera le stesse voci del congiuntivo, se ben si
rifletta. Il verbo si dice di modo finito o deterininato finchè si concepisce indicativo,
imperativo, ottativo, congiuntivo. Ma talvolta esprime indeterminatamente
qualche proprietà senz'additare ne persona, nè numero, come amare, leggere, &c.,
ed allora si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non determinato. La
varia desinenza di un verbo secondo le persone, il numero, i tempi, ed i modi
si chiama conjugazione. Ed i verbi si dicono di una conjugazione medesima o
diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso di queste desinenze. E
siccome queste si diversificano secondo la diversità dell'infinito; e
l'infinito puo terminare in -are, in -ere lungo e breve, ed in -ire; cosi tre
sono le conjugazioni della nostra lingua. Tutti gl’infiniti terminati in -are
si dicono della prima conjugazione come amare, balzare, danzare. Tutti quelli
terminati in -ere sichiamano della seconda, o l'infinito sia lungo o breve,
come temère,cadère, giacère, &c., e come credere, discendere, volgere, &c.
I latini di queste due desinenze ne faceano due conjugazioni diverse, come
docère e legere. Nè mancato è purtra gl'Italiani chi abbia concepite diverse le
conjugazioni secondo l'infinito lungo o breve. Ma siccome, tolta la pronunzia
lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri divari, parlando regolarmente;
e siccome la pronunzia concerne il modo di significarlo in voce, non la forma del
verbo; così piùra gionevoli sono quelliche rinnisconoin una
conjugazionegl'infinitiin ere lunghi o brevi. Spettano alla terza tutti i verbi
terminati in -ire, come sentire,uscire&c. Chi si propone per iscopo
di presentare il prospetto de'verbi italiani dee porre sott'occhio le varie
desinenze di essi giusta i modi, I tempi, il numero, e le persone nelle varie
conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per vedere
però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta l'ampiezza
sua, divideremo quesť opera in due parti. La prima e tutta di Teoria e di Prospetto
generale; ed esporremo in essa 1.come le conjugazioni latine sian si
trasformate e si trasformino nelle presenti d'Italia: 2.la dipendenza comune
de' nostri verbi dall'infinito, e 3. per ogni conjugazione il prospetto di qualche
verbo che serve di norma in tutti i simili e regolari: come del verbo amare per
la prima, de'verbi temere e credere per la seconda, e de'verbi sentire ed
aborrire per la terza. Anteporremo per altro a tutti il verbo “essere” come
principio di ogni verbo, e quindi il verbo “avere” che prossimo gli succede,
esprimendo la sostanza, che passa ad ottenere in generale delle proprietà. E
ciò tanto più dee farsi; che senza questi due verbi, però detti “ausiliari, non
possono formarsi le tre conjugazioni divisate degli altri verbi. Dato cosi
principio e norma al prospetto di tutti i verbi regolari, verremo alla seconda
parte ed esporremo ad uno ad uno per ordine alfabetico i principali tra' verbi anomali
cioè quelli che in qualche tempo escono dalla legge consueta, ed i quali
servono spesso di regola per altri anomali non dissimili. Il prospetto e
distinto in quattro colonne. Nella prima si avranno le voci corrette, nella
seconda le antiche, nella terza le poetiche, e nella quarta le non ben certe, gl'idiotismi
e gli errori. Si avverta che non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi
talvolta usate a tempo adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte
sono così della poesia che non servano talora alla prosa. Il che si conoscerà dalle
note. Gli errori son sempre errori. Gl'idiotismi poi sono voci usate nel
parlare e nello scrivere familiare, non perd nelle belle scritture, sebbene
talvolta vi scorrano per incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon
per buone, o vogliono nobilitarle con la fama già da essi acquistata. Per
compimento dell'opera spesso porremo in fine del prospetto il participio ed il
gerundio.Il primo é propriamente un nome tratto dal verbo. Dicesi participio
perchè partecipa del nome e del verbo: e come nome si declina, e come tratto
dal verbo esprime un qual che significato di questo. Tali sarebbono amante,
amato.Tra’Latini si aveano participii presenti, passati, future: “amans”, “amatus”
“amaturus”. Presso noi non si hanno che li presenti, e li passati che sono “amante”,
“amato,” temente, temuto.Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come
fatturo, perituro&c,ma non ebbero buon successo, nè più vi si pensa. Il
participio passato sarà descritto per lo più nella formazione de' tempi più che
passati: laddove il participio presente si troverà nel fine de' prospetti. Un
tal participio può essere messo informa diaggiunto e di attributo come se io
dicessi: la virtù possente, e la virtù a2 3 ,: il participio
si riguarda anzi come adjettivo, che qual participio. Per chè sia participio
con ogni proprietà, dee, quando si risolva, signifi care come i participj
latini: come se dicesi canto possente a diletta re: schiere seguenti le altre
& c. E ciò rileva conoscere perchè non di raro si anno gli esempj anzi di
adjettivi che di participi , e noi pur he useremo in mancanza di participi,
tali per ogni rispetto. Gerundio tra noi e tra' latini è una voce tratta dal
verbo, la qual significa le affezioni di questo, ma la quale non si declina
come il nome, nel che differisce dal participio: come amando, credenádo, temendo,
sentendo. Da'quali esempj risulta che il Gerundio delle prime conjugazioni
finisce in -ando e delle altre in -endo. L'uso di tali gerundi è frequentissimo
nell'italiano in luogo ancora de'partici pj presenti. Ma veniamo all'argomento,
Come le Congiugazioni Latine siansi trasformate e si trasformina nelle
Conjugazioni presenti d'Italia.Tutte le vocali latine, finali di parole intere,
nè seguite da consonanti, si conservano.Così in amo amare si conserva l'O di
amo, e l'E di amare.Tutte le consonanti finali sitra lasciano o mutano: le consonanti
sono M, S, T, NT, ST. Nel caso di NT si cambia il T in O, e però non si lascia che
il T amant amano, amarunt amarono: ma talvolta tutto l'NT si muta in RO :
amassent amassero: sebbe ne in questo e simili casi può sempre rimanere la regola
di mutare il solo T in o dicendosi ancora amassono. Vedi il prospetto di amare.Tutti
gli U finali seguiti da M o da S si cambiano in 0: possum posso: amamus amiamo:
ma se gli U sono seguiti da NT si cambiano in o nei presenti e nei passati, ma
nei futuri in AN. Così da legunt si trae leggono, e da amabunt ameranno.Tutti
gli A ovvero gli E precedenti immediatamente l'S finale si mutano in I amas
ami, times temi: e cosi da timeas abbiamo tu temi, e da legas tu legghi. Il che
basta a conservare la regola, ma ora si dice anche tu tema, e tu legga. Tutti
gli E, ogl'I precedent gliA, oppure gli O finali, si lasciano affatto. Timea
temo,timeam icma. Sentio sento: sentiam io senta, 4 è possente: il fuoco
bruciante, e il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI ARCHEOLOGICHE. Non dee sperar di comprendere il trattato che
qui soggiungo se non chi conosce per le gli altri ne differiscano la lettura.
sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3. non si $. Tutti gl'I precedenti gli
S finali in singolare si conservano assumendo nel futuro un A precedente: legis
leggi:a ma bisamerai, edin pluralesimutanoin E: legitis leggele. Tutti gl'IseguitidalsoloTfinalesubisconoun
cambiamento secondo itempi. Ne'presentisi cambiano inE, ene'fu turiinA
accentatolegiilegge, creditcrede:amabitameră,timebio temerà. Per i preteriti
perfetti ne diremo più innanzi. Tuttii B avantil'afinalene gl'imperfettisi
cambianoinV consonante,ed avanti l'O, l'I,o l'U finale del futuro, li B.
caratteristichi della conjugazione del tempo si cambiano in R. Quindi si trae
amerò da amabo, ma da belabo si forma belerò senza mutarne il primo B; perchè
questo è proprio del verbo, e non della formazione del futuro. 2. Queste regole
sono ordinarie. Vediamolo. LATINO amatis est amamo reg.3. e 2, ora amianio sono
sono Ed eccone la maniera. Dalle regole 3. e 2. è chiaro che la prima persona
debba essere so e l'ultima sono. Ora dee sapersi che appunto tra gli antichi si
trova non poche volte so per sono in pri ma persona.B. Jacop. Poes. Spirit.Venez.
1617. lib.4. cant.28. stanz. 12. sei amamus es еè sumus somo este credit
& c. ama reg. 2 credi reg. 2. amas sentit & c. Amo reg.i. Vedo reg.4.
vedireg.4. vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat amant amano reg. 2. Dicasi
altrettanto di Video vides videt & c. credo ITALIANO ami reg. 4. e 2. 3.
Applichiamo queste regole al presente del verbo sostantivo : Sum amate reg. 5.
e 2, sente reg.6. credis credo So e finalmente Sono i 5 se, estis semo siamo
sunt sete siete sentio sentis crede reg. 6. sento reg. 4. lo so nulla: ho
peccalo: Mi exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del lib, stes. A
pinger laer so dato. E GIUSTO de Conti nella bella mano pag. 39. La seconda
persona es fu trasposta e non altro, facendo prece dere l'S. Quindi gl’antichi
dicevano comunissimamente se anche senz'apostrofo per seconda persona: come
Petrarca, Boccacci, Albertano, ed altri: ALBERTAN.ediz.diFir.1610.cap.23. Selegaloamoglie?
non domandare di scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti.E
piùsotto:esìselenuloditantoamarlamoglie.PETRARC. canz. 26. v. 77.
ediz.Comminiana Spirto beato,quale 6 Se,quando altruifaitale? e altrove
più e più volte. IlDecamerone secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne
è pieno. Senza questa origine che fa cono scerecheseper seconda persona è voce
interaenonaccorciata, non s'intenderebbe, perchè gl’antichi spesso non
l'apostrofassero. Tutta via perdistinguerla a prima vista da se pronome, e condizionale,
convenne in qualche modo contrassegnarla, e si fece uso dell'apostrofo: e
servendo questo a notare le voci scorciate; si riguardo se persona seconda, come
scorciata, quando nonera:e perchè tutte le seconde persone singolari presenti
dell'indicativo terminano in I Reg.4.e seguendo le leggi generali, tal persona nel
verbo sostantivo avrebbe dovuto essere un I. Così poco a poco si ricongiunse se
ed i in sei, ed ora si crede questa la voce intera di tal persona.E cid
supposto quan do si scrive se per indicarla, si apostrofa, quasi fosse uno
scorcio di Signornonè giovato Mostrarmi cortesia: Tanto so slato ingrato ! e
altrove spessissimo.E GUIDO Guinzelli Rime antic. appresso la bel la mano ediz.
di Firenz. 1715. Come io so avvolto nel Lenace visco; e se ne hanno esempj
ancora nelle letterediS. CATERINA,inFr.Gi. ROLAMO daSienanel1.Tom. delle delizie
degli eruditi Toscani, ed in altri:vedi vocab.diS.CATER.alla voce essere: ma so
trovasi parimente persona del verbo sapere, nata da sapio sapo sao so:ovvero da
scio regola 5. scosso so: la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbela
seconda. Ma torniamo all'intento: siccomesoera voce ancora del verbo sapere, e
siccome il saper vero è di tanto posteriore all'essere. Così per togliere ogni
equivoco, sivolle piuttosto ridurre ilso del verbo essere in sono che lasciarlo
indistinto col so del verbo sapere. Chi dunque considera che il primo verbo italiano
essere ha la voce sonoperesprimere la prima singolare e la terza plurale, sappia
chequesto è stato un male di origine, voglio dire è provenuto dalla figliolanza
della Italiana dalla lingua latina, in forza delle leggi universali, che per
tanta combinazione di circostanze cooperarono a trasmutare l'una nell'altra
. s e i : nè chi procede con tal veduta può riprendersi: ma in
origine non vi era bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe dovuto accentarsi.
sero eepere.ALBERTAN. Giud. cap.51. Dal savio uomo eeda temere lo nimico. Or
cid fecesi per distinguere e del verbo, dalla congiunzione e, come pure dal
pronome ei solito ad apostofrarsi, e dallacongiunzione e seguita dall'articolo plurale
iliqualiduee iriunitisi rendeanopere: ma coltempo, la varietà dell'apostrofe e
dell'accento pote contrassegnare e diversificare abbastanza l’e del verbo dagliedi
altro valore: vediesseren.Trovasi ancora fra gl’antichi este per è m a
rarissime volte: vedi G r a di di S. GIROLAM .ediz.Fir.1729. in finealla voce
este; finchè preval sero le regole generali anzidette. Da sumus uscirebbe sumo
o somo, e non semo: ma siccome tutte le prime persone plurali dell'indicativo
presente nelle seconde conjugazioni presero la desinenza in “-emo,” come avemo,
tememo, &c.,così da sumus fu tratto semo: ovvero siccome tutte le persone
prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con la seconda
per.sona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta,
come “amiamo” da ami ed amo, temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal
seconda singolare era se nel presente indicativo di essere,
quindineuscisemoepoisiamo. Chi conosce gliantichisa quanto è familiare l'uso di
semo. Ne allego un esempio dalla vita nuova di Dante pag.13. perchè semo noi
venuti a queste donne? E Fra Jacop. lib.1.sat,5. Uomo pensa di che semo. Di che
fummo, et a che gimo. Vedi il prospetto del verbo Essere In forza delle regole
generali la seconda plurale sarebbe estes. ma trasponendo l'savantil'Ecomenel singolare
per uniformità maggiore con sono, sei, siamo; sen'ebbe sele, e questa appunto è
la voce degliantichi: siconsulti il verbo esserenot.5. finalmentesiag. giunse
un I per dolcezza o per distinguere tal voce da alcuni sostantivi e sen ebbe
siete, che ora è la voce più propria di questa persona. Apparisce dunque per
quali gradi e per quali mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del
verbo essere, La terza persona si esprime con la voce e, che appunto ri sponde
all'est latino lasciatene le consonanti secondo la regola 2. ma gl’antichi, prima
che la lingua si modellasse in tutto, non di raro dis 7 Preferiti
Imperfetti Amabam amabas amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7.
amavireg.2.4.7. amava reg.2.7. amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano
reg.7. 2. Temeva &c. legebam leggeva e e da sentiebam
lasciatone l’I che è quel di sentio reg. 4. si ha sen leva com e era nelle
origini prime,nelle quali, tutto risentiva di conjugazione seconda tra
gl'italiani ne' verbi provenienti dalla quarta de'latini:non è raro che senteva
si oda anche ora tra' contadini più corrotti che sono gli ultimi a correggersi:
e finalmente fu detto sentiya sentivi & c.lasciando l'E per l'I. Per queste
regole e questi progressi apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva
terminare in A amava temeva legge va sentiva. Al presente i filosofi ed i
gramatici si meravigliano,per chè la prima e terza persona singolare combinino,
e perchè la prima non siasi terminata in O. Ma la meraviglia cessa, se riflettasi
che al cambiarsi del latino nell'italiano, si prendevano di netto I vocaboli
antichi, nè si aveano di mira che certe regole, come le indicate di sopra, per
contornarli di nuovo. E siccome tutte le prime singolari degli imperfetti
levatane la terminazione latina in M ; restavano amaba lege ba ec; cosi mutato
il B in V non poté farsi a meno d'incorrere nel lo scoglio anzidetto: molto più
che in que'tempi non faceasi poco, se le parole non sapevano di latino. Veduto
come siasi introdotto l'equivoco, ora tocca ai filosofi di emendarlo: tanto più
che non siamo poi scarsissimi di esempii antichi pe'qualisi compionoin o le
persone primesingolari dell'inperfetto: de'quali mi piace allegarne qui alcuni riserbandone
altri ailor verbi nel prospetto. Petrar. Vit.dePontef.edImperadori: vita di Caligola,
lo pregavo ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure leggiamo in Fr.
Jacop.1.4.can.38. Lacagiondelmalfuggivo.Cavalc.Epist.di S. Girol. ad Eusloch.
cap. 3. ediz. Rom . 1764. E vedendomi io venir meno quasi ogni rimedio ed esser
privato di ogni ajuto, gittavomi a' piedi di Cristo&c....
iratoamemedesimoerigido,solomimet tevo per li diserti, e dove io trovavo più
oscure e aspre e profonde valli, e aspri monti o scogli pungenti o luoghi più
aspri e spinosi; ivi mi ponevo in orazione. Pulci.Morg.c.3.62. lo mi posavo in
queste selve strane. Da Timebam così pure si ebbe C.XI.83. Talch'io
pensavo d'aver acquistato. 8 ec.16.44 Per Dio, cugin,ch'i'sognavo alpresente,
Che un gran lion mi veniva assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E
però E con Frusberta il volevo ferire. e altrove più volte. Letter.San.CATER.di
Sien. ediz.di Aldo pag. 14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego & c. e
pag. 20. vi aggiunsi anzi che io volevo in voi la perfezione della carità
pag.92. desideravo divedervi: anzi tal voce desidera vosileggemolte
volte inquelle lettere.Vita B. COLOMBIN.ediz. di Roma pag.9.lo gode
voévoinonmilascia testare,epag.96.adirviilveroio andavo a posarmi;pag.167.0
figliuoli, e fratellimiei io non meritavo di es ser padre di ianla buona
gente;pag. 174. E questa la compagnia che iodalesperavo,epag.299. pensavoche quantoèmaggiorelasog
gezione e l'unità ; lanto si vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6.
verbo essere:e n.6. avere. Eram Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate
avevano reg.7. 2. Imperocchè ben è facilissimo concepire, che se cambiavasi in
questo tempo in V il B precedente l'A finale, potevasi cambiare in V parimente
anche l'altro B:anzi parea troppo ragionevole, perchè non si notassetanto di variodi
usiinparole medesime, esifamiliari. E'poi noto, che tutto il verbo “avere” si
scrivea ne'principi, e si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l'H
precedente: ed ora per un progresso, non saprei quanto considerato,si tralascia
ancora nelle vo ci,che forse ne abbisognano. Ma giova esaminare ancora
come siansi trasformati gl'imper fettide'verbi ausiliari: Eccolo 9. Si possono
da tutto ciò comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di
habco:seguiamoli via via, che'non sarà inu tilela ricerca Lasciato l'E dihabeo
reg. 4,e le altre consonanti,e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era
reg. 2. Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. levocicome
sitraevanodallatinoinot. tima forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras
Era reg. 2. in eravamo, ed eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B
cambiatoinV, come dunquedivainera questa consonante. Tale aggiunta affatto
manca la origine, nè fu, che una intrusione vamo ed eravate è contro per di
altri verbi, che usciva , nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate
&c. Il peggio no in quel modo, come amavamo, non dandosi quell'aggiunta fu
che si anche alle voci era tolse la uniformità tiranno delle lingue, autorizza
erano & c. Non dimeno l'uso, quel , piùche lesemplicie naturali
vamoederavale essere,n.6. Ma diciamo si trovino pur queste. Vedi que
risultasse. Eccone la maniera fetto di avere, è come Haveva 8. Habebam habebas
Habeva habevi era eramo erate, quantun dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus
aveva reg. 7. 2. habebat habeva habevamo habevate habevano haveva havevamo
avevamo reg.7.3.2. avevate reg. 7. 5. 2. habebatis habebant havevate havevano
Erat Eramus Eratis Eri reg. 4. e 2. Eramo reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi
avevireg.7. 4. 2. b abbemo abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato
per compensare la perdita dell'E nell'ha beo. Sia comunque,abbosi legge ancora
in Dante Infer. 25. E quanto io l'abbo ingrado mentre io viva: E negl iAMMAESTRAMENTI
degli Antichi certamente abbo provato; e più sotto:ripensola seraa quello che
iolo di abbo detto.E nelle Vite de'SS.PP.ediz. Man.Fir,1731.,nella VITA DI
GIOSAFATTE ediz.Rom.,e nelleNoyelle anticheFir,1572l'usodi abbo èco mune .Abbi
è rimaso nel Congiuntivo.E 'poi noto, che gli Antichi usa vano la seconda
singolare presente dell'Indicativo ancora nel Congiun tivo, come resta tuttora
in molti verbi,Così ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone
singolari,e cosi temi può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj. Sopravvanza
nell'uso comune abbiamo; e siccome gl’Antichi finivanole voci per tali persone
in eino, cosi non vi è dubbio che ne'principj sidicesse abbemo,quantunque negli
scritti forse non si trovi,per la rapidità di altri cambiamenti succeduti.
Certamente l'uso di scambiare tutti iB nell'imperfetto di ha bere,di buon pra
scorse in alcune,o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo habi
ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra'poeti, e fu non meno della
prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra gli
Antichi. Avete rimane per ogni scrittura;le altre tre voci presto furono cam
biate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i
sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo,oppure avvo per abbo, fe
sentire nella pronunzia questo I quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE
lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'aja; Franc.BARBERINI
edizion.Roman.pag.189. Nonveggio ancor chi contento ajail core. E Francesco
SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo,cioè per lohu.S'insinud tal cambiamento nella
seconda persona avi,é mutato l'V in I, se ne habet abbi 1 habemus habe
habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più sotto:
ajo portato in_core & c ,ed altrove più volte:anzi usa aja per
abbia:lib.1.sat.12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'aja umilitate nel core.
DÁN.Parad,17. fece huii, e col tempo hai. E questa è la causa, per
la quale ora ci troviamo con hai, seconda persona del presente dell'Indicativo,
senza che volgarmente se ne intenda la origine.Può notarsi però che in forza
della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio i; e quindi
seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi haj: e ciò sa rebbe
statoopportunissimope' giorninostri,ne'quali vuolsi lasciare an che l'h
precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che aj è del
verbo,senza pericolo alcuno che si confondesse con l'ar ticolo plurale ai. 1.
La mutazione del doppio B in V ed inIdoppio o lungo,al meno quanto al suono,
porto l'altro cambiamento in aggio,aggi, ag giamo,aggia,aggiano: essendonoto
che l'J lungo si cambia spessis simointalmodo:equestaè
lacausaparimente,percuisidiceveg go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime
origini si disse ancora vejo vej veje per vedo vedivede: si consulti il
prospetto di vedere. Quindi 'Imperador Feder.Rim.ant. 114. Rispondimi Signor
ch'altro non chiejo. Da crejo è propriamente quello scorcio, che pur si usd
tra'poeti di cre' per credo, quasi crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di
credere. Ant.Pucci nelsuo Centiloquio can.XI.terz.27. scrive: Gli comandò che
giù sedesse al piano. L'ultimo verso assai dimostra, che sie fu detto per
siedi: E siccome inDan.Inf.27.53.sitrovasie'persiede;parchiarocheambedue de
rivino da sejo. Allego un esempio di trajamo: Boc. g.8. n.5. lo vo glio che noi
gli trajamo quelle brache del tutto:da ciò ben apparisce la origine ditraggiamo
&c. 12. Ridotto havi ad hai;dovea sembrare che fosse di netto stato levato
l'V consonante , quando erasi inviscerato nell'j: e cið compa rendo,era facile
di lasciarlo pure nella terza persona have, e formar ne hae come si trova in
Fr. Jacop.,in Guid.Giud.,in ALBERTANO, Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac.
408 Ciulo dal Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gli Antichi si
trova ancora crejo, chiejo, sejo,
trajamo,dondesonocreggio,chieggio,seggo,lraggiamo&c,enon dalla mutazione
del D inG comesitiene,forsemenopropriamente daiGram matici.Cosi Fr. Jac.lib.5.
c.3.12. secondo che io crejo:e nelleno te vi si legge: crejo,creggio,credo, e
lib.5. can.25. 12. II E vejo li sembjanti Quando ci passo e vejoti. F. Jac.
lib. sat. 3.9. la sera il vei seccato. lib. 6. can. 45. 4. Che vee con vista
acuda disse l'anziano: Sie giù a pena di cento fiorini: E volendo pagare a mano
a mano, E l'anziano a pena di dugento b2 12 e generalmente negli
Antichi.Cost Albertan. al càp. 12. L'avar7
semprehaelemanidistesepertorre...ivil'avaronon haesicura vita.I Grammatici han
creduto,che quell'E sia stato sopraggiunto all'ha per genio della lingua,chenon
amava finirele parolein accento: ma questosarebbevero,quando la parola
originale della terza persona
fosseha,ciòcheèfalso;essendoquestahabet,habe,have.Hae dun que non èche
have,toltone ”v per simiglianza di quanto era ac caduto in hai, ed in hajo. 13.
A questo proposito avverte, che non di raro fra gli Antichi si legge dae,fae,
slae per dà,fa, sta, come leggesi trae, e come hne per ha. Anche gli E di dae,
fae,stae, si credono aggiunti per la ra gione medesima: ma egli è falso
ugualmente; perchè dai ruderi an tichi della lingua può concludersi ta
esistenza degl'infiniti, daire,fai re, staire, come esiste traire. Ora da
quegl' infiniti daire & c. sorge n a
turalissimamentedae,fae,stae,cometrae,cheancorcirimane da trai re:vedi S. III.
di questa Prima Parte sotto il titolo Dipendenza delle
conjugazioniitalianedall'infiniton.2.E quindi puresono levoci dai,
fai,stai,come trai,che altronde sono inesplicabili.A dichiarare quanto dico
sappiasi,che Fr. Jacop. lib.6.c.10.st.20.scrive A chi gli dice villania &
c. Fra duo ladri allo staia. e lib. 4. c. 1o. E che al povero dala.
elib.6.c.43.5. Ch'eglièildaenteetiilricevitore: e lib.7. c.9. II. Staendo
in quest'altura dello mare: Vita S.MariaMad.É cosistaendolapoverettasìperl'amorechegid
ave v a c o n c e l t o di Gesù Cristo, si per la doglia ; cominciò a piangere.
Parimente in Fr.Guitt. si legge più volte faiteallapag.36, efaieallapag.54.Enel
TESORETTO:ponelemente al beneche faiteperusaggio:e Franc.BARBE RINOpag.17. Faesseleidiquelpregiodegnare.NeiGRADI
diS.Girolamo allavoceFailenell'indicesidichiara,chel’idifaiteè un aggiunto,e
non più:ma faie,faesse,elevocislaca,daia &c.ne'verbi similipalesano il
contrario:e Traire si legge in Fr. Guit.lett.2. pag.9, ma traers spiega
ugualmente la originedi trae, come fae sorgerebbe ancora da faere, delquale
fece uso Franc. BARBERINO nel verso allegato. Per tanto gli E di dae, fae, stae
non sono aggiunti,come si pensa, m a sono naturali;ed ora non si è cessato
diaggiungerli, ma sono stati tolti. Tornando alle voci hai ed hae, siccome in
queste era perito \'u consonante; così poco a poco si tento,ma non riusci,di
farlo pe rire nelle vociavemo, avete: e non è infrequente di udire aemo, aele;
e nel futuro dell'Indicativo, e negl'imperfetti dell'Ottativo trovasi scritto
arò,arai,arei,aresti'&c.come vedremo.Non prevalendo pero quel
tentativo,siriserbarono le voci avemo,avete,etalvoltaaviamo, aviate,
aggiamo,aggiate. Essendosi creduto, che l’E di hae fosse ag giunto; presto fu
stabilita ha per terza persona; talchè le prime tre fossero ho,hai,ha.La terza
plurale divenne harno;perchè dall'ha bent sifece haveno, haeno,
hano, hanno,ed esistono ancora'esempi di dano,fano & c.per danno e fanno,
voci similissime nella origine,com me è chiaro:vedi S. III. 12. 15. Ma passiamo
ad esaminare come dai perfetti de'verbi latini si traessero quelli presenti
d'Italia. Potrà ciò conoscersi ne'verbi co muni ad ambe le lingue,ma terminati
secondo i metodi di ciascuna: E noi su questi rifletteremo. ILatini
sincopizzavano il perfetto in più voci, togliendone il VI,o ilVe.Per avere dai
perfetti latini lita lianocorrispondente,silasciilVI,oVe intutte
lepersoneperquan to si può senza contradire alle regole generali del s. I.
Quindi nel la persona prima singolare dee lasciarsi ilsolo V , non potendosi to
gliere l'I finale, secondo la regola prima. Si noti, che la terza singo lare
risulterebbe simile ad alcuna voce del presente, e quindi nelle origini si
accentava: ma ora se la voce finisce in A, simuta in O accentato.La prima
plurale sarebbe amamo come nel presente,e quin di I'M si è raddoppiato. Del
resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta procurare da Remigio Fiorentino in
Venezia si vede gran quan tità di persone prime plurali dei perfetti,scritte
con un semplice M : come tememo per tememmo.Altrettantosiosserva in Fazzo degli
Uber ti,nel Cavaliere Jacopo SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi To scani,
nella Cronica delPitti,ed in altriAntichi; indizioche pertali vie si passava
dal latino all'italiano in questo t e m p o . A n z i Celso C I T T A D I
ninelle sueOriginidellaToscanafavellaosservaalcap.6.che iSanesiin tali
personenon davanoasentire che unM ,quasipronunziandoface mo,dicemo &c,ed
eglicon pari ortografia scrisse tali voci.Ma Giro lamo Gigli nel suo
Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi (vuol dire un
secolo dopo ilCittadini,) quell'uso era perduto. Serbate dunque anche le regole
generali del n .primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit) ama(vi)mus
ama(vi)stis ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono 16. Dai Latini
si disse ancora amávere: toltone il ve, si ebbe Vita Lano amare, e perché non
si confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o , e si ebbe amaro per altra
terza persona plurale. I Grammatici han ereduto, che amaro sia precisamente una
sincope di amarono, toltone il no.Á me perd sembra,che amaro siavoce interain
sestessa, e provenuta altronde, come ho dichiarato. E questa è la ragione, per
cui amaro può troncarsi ancora,e dirsi amàr per amaro, laddove le troncature
delle troncature non sono consuete, almeno nella lingua, come ora si
trova. 13 mo 17. II P. Bartoli nella sua Ortografia riguarda come un
incan to, che le terze plurali del Perfetto indicativo scorciate tre volte s e
m 14 pre significhinolo stessocon quadrupla desinenza:amarono,amaron,
amaro,amàr.Ma l'incanto,se ben siconsideri, non è che un caro abbagliodiun
animo,chealvederprimosiappaga,stancodellemo lestiedi riflettere.Imperocchè da
amarono sitragge amaron,e qui cesserebbe la troncatura:ma perchè levato anche
l'N ci troviamo da amaron in amaro , desinenza ancor buona ; si è creduto, che
tal b o n tà risulti in forza di uno scorcio:laddoveamaro già eralegittima de
sinenza in se stessa: e perchè tale,ammettevasi; non perchè nata da
amaron,levatone l'N. A parlar dunque propriamente si hanno due
desinenze,amaro,ed amarono,edognuna ammetteuno scorcio,ama rono porgendo
amaron,ed amaro la voce amar,colvago incidente, che se da amaron si spicca l'N
finale;ci troviamo alladesinenza se conda, la quale è amaro. E siccome amaro è
desinenza intera in sestessa;di qui nasce, che gli scrittori del buon secolo,
ed alcuni ancora del cinquecento, come il DAVANZATI ne fecero tanto uso:
laddove le altre sincopi amar ed amaron sono assai più rare,spacialmente in
prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE la desinenza in aro è quasi la
comune, lad dove l'altra in arono vi è scarsa, e meno pregiata. 18. Ma
proseguiamo l'esame de perfetti:eprima nella terza con jugazione. Audi(vi
audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste udiro. proviene udiro
dall'audivere,come amaro dall'amavere.E'poinoto, che nelle origini della lingua
si disse in Italiano anche audire finchè l'au si chiuse in o,cone nelle voci
aurum, tesaurus,dalle quali si trasse oro, tesoro &c, e se n’ebbe udii,
udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui debuimus debuerunt Devei ,
. Pertanto abbiamo da dové doveste udisti audi(vi)t udi audi(vi)mus u d i
m m o audi(vi)stis 19. Riguardo alle seconde conjugazioni, avanti l'I finale vi
è l'U vocale, e non consonante,quindi regolarmente parlando tutto l'UI o l'UE
si muta .in E semplice,avvertendo, che l'1 finale nella prima persona dee
conservarsi secondo i canonigenerali debuisti Dovei deve, audiro devemmo,
deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere) debuit debuistis debuere doverono
dovero. audiste devesti, dovesti devero, Siccomel'U fu cambiato in
E(dovei)gravatodi accento,quindinella terza persona non potea non dirsi se non
dovè seguendo leregole ge Udii udirono dovemmo nerali, o dovèt,
trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que. sto nacque che per
istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla voce Giudit
PETRARC. Trionf.fam . c. 2. v. 119. Non fia
Guiditlavedovellaardita,sièfattoGiuditta,ecome da Josafat, DANTE
Infer.10.v.8.Quando daJosafat qui torneranno,sièprodottoGiosafalte
comunemente.Fattosi dovei,dovė,o davèt,fecesi quindi per coerenza do veltero e
dovelti: e cosi questi preteriti ebbero doppia desinenza: e si disse temci e
temetti, teme e temette, temerono e temettero. 20. E' poi tanto vero, che
questa è la origine di temetti, tèmel te & c, che siccome lo stesso
argomento vale per le terze conjuga zioni; così talvolta si scontra ancor
questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che trovasifuggi,fuggi & c;
e nelle Vire de SS.PP. ediz.Man.tom.1.pag.20.fuggitte,e nellapag.125
salitlepersa li: una nolle,essendo questi ito,alla casa di una vergine
Cristiana o per rubare,o per altromalfare,salitte con certi ingegni il tetto
della casa. Anzi questa ragione è sì certa che spessissimo le desinenze in ilte
come salitle & c.furono modellate affatto a norma delle altre in elle, cioè
di temelle,credette & c. Quindi è che nel medesimo tom . 1.
delleVit.deSS.PP.se in alcuni esemplarisi legge fuggitte,inal
tri,sihafuggelte:allapag.101 ediz.citat.vièfuggettiperfuggii: nella 62 ,uscite
per uscì, nella 71 irrigidelle per irrigidi, nella 73 finette per fini, ed
Antonio Pucci versificatore famoso del trecento nel suo Centiloquio al can. 2.
st. 69 ha sentelle per senti; ed Oito impe rador che ciò sentette, e così altre
se ne veggono in altre pagine ed opere.Simileterminazionenon potevaaver
luogonellaprima conjuga zione,perchè l'amavit,secondol'usodi
cavarneilvolgare,cessadove èilsecondo a,dicendosi amo,e non cessanell'I con
farsentire un amavit: il che direttamente gli avrebbe causato la uniformità,
che'mai non ottenne:ora la desinenza in illi ed etti & c.è del tutto
abolita per le terze conjugazioni: rimane ancora la cadenza in etti e dette, &c.
per le seconde conjugazioni; ma forse, almenoin piùverbi,è men cara che nelle
origini della lingua, come potrà rilevarsi dal prospetto de' verbi, che
soggiungeremo. 21. E giacchè consideriamoilrapporto fraledesinenze delleter,
zepersonede'preteritidell'indicativo,piacemi dilatare ancor più la serie delle
riflessioni,picciole sì,ma pur necessarie per chi brami co noscere intimamente
la lingua,e suoi movimenti. Ho detto di sopra, che dall'amavit, debuit, audivitsitragge
amò,dove, udi,abolendoin tutto,quel vit finale:ma questa è piuttostola
regola,che ora predo, mina.Del resto quando la linguapendeva incerta sul
fissare le sue desinenze, talvolta tentò rendere queste, tutte simili alla
cadenza del. la primaconjugazione, e tal altra a quella della seconda.E certo
quell'amavit ebbe talorauna desinenza come amao:di che produco un esempio
luminoso di FR.Jacop.lib. 2.can.2. Quando che in prima l'uomo peccdo Si guastò
l'ordin lullo dell'amore: / 15 E questa è la causa, per la
quale oradiciamo amarono, lassaro no, e non amorono, lassorono & c. vuol
dire questa è la causa, per la quale la sillaba antipenultima è un a, e non un
o. Tutte le ter ze plurali nascono nel preterito con aggiungere alla
terzasingolare un rono,o un semplice ro, ne'perfettianomali, o simili aglianoma
li. Così diciamo senti rono,temè rono,crede rono, sparse ro, videro & c.
Pardunquela originalterza personaquellade'contadiniamà,las sà & c. e quindi
sen ebbe ama rono, lassarono, e non amorono, las sorono &c.desinenza che
leggesi in molti Antichi: Così nelle Vite de'Ponteficidi PETRARCA visileggeandorono,seccorono,esimili
or dinariamente.Il Venturi traduttore di Dionigi di Alicarnasso è pie no di
tali cadenze.Forse a dire amarono,lassarono &c.vi contribui pur la dolcezza
per non avere insieme tre o finali amorono, lasso rono & c. Nel modo poi
che il vit era supplito da un o nella prima con jugazione; lo fi pure
nelleseconde e nelle terze: e quindi sono le voci temeo,credeo,poteo,
aprio,finio, udio, e simili,tanto frequenti ne gli Scrittori. Ora queste
desinenze, per le prime conjugazioni sono spente in tutto: m a nelle altre
conjugazioni rimangono tuttavia per li poeti, e l'uso moderato può riuscire
utile non meno che dilettevole. Chi non bene conosceleprimizie della
lingua,meravigliasiche imo di poteo,lemeo,udio&c.fossero
comunissimi.IGrammatici dissero,che l'o finale si aggiunse per licenza poetica:
ma cið non ispiega perchè voci di questoconio abbiansi frequentissime ne'vecchi
prosatori, come nelleStorie dei Villani,nelDavanzati,ed in altri.Dir finalmente
che l’osi accresceva per non finireinaccento,era un luogo comune,un parlardiabitudine,enullapiù.
Sidovevaavvertire,chequest'ori ceveasi da tutte le conjugazioni nelle terze
persone singolari de'pre 16 Nell'amor proprio tanto l'abbracciao ; Che
n'antepose se al creatore. E la Giustizia tanto s'indignao; Che la spogliò di
tutto suo onore: Ciascheduna virtù l'abbandonao, Gli fu il demonio dato
possessore: Nel tom.12degliScrittor.Ital.delMURATORI trovasi inserita laMemoria
di Messer Lodovico di Buon Conto Monaldesti su la coronazione del P e
trarca:costui,che lavidediperse,cosìscrive:Poi comparve lo Sena tore in mezzo a
muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio (suo) na corona di lauro,ese
assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo senatore & c. Si vede in
questi esempi, che si accento l a preceden te il vit,e questo vit fu supplito
con un o.Più volteho notato,che presso alcuni contadini appunto ne'dintorni di
Roma dicesi difforme mente amà ,lassà,&c.per amò,lasciò come ora è
laregola:Toccaal filologo accorto di rintracciarne le provenienze:esse non sono
che per lo scorcio naturale,che si faceva della lingua parlata sotto questo cie
lo da'nostri antenati. teriti , e la uniformità medesima avrebbe
fatto conoscere , che era un supplemento del vil, risecato dalle voci
latinecorrispondenti , o pure una proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi
dichiarato perchégliAn tichiusassero temeo,udio,e simili,promiscuamente in ogni
scrittura, senzascrupolodiriprensioni.E'poitantomanifestochequell'O non si
aggiungeva per non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito anche
alle prime persone della terza conjugazione,leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15
udio per udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin qui detto
che sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma
perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera
terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comein E finisce la terza
singolare nella seconda conjugazione. Quindi è che troviamo amoe, teme, finie, e
similicon tan ta abbondanza di esempj. Faz. Dittam. lib. 4 cap. 20 23. La chiusa
delle terze persone tutteinO,ovverotutteinE,de riyavadallevoci corrispondenti
latine,finite tutte in un modoamavil, timuit,audivit.Era difficile abbandonare ogni
somiglianza nell'italiano,с 17 Passato poi Suasina , io udio & c. e
cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi nel lib. 4 cap. 4 vi si
legge sentiu per io sentii, e nella Vin LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo
tidicochel'udiodirea unomol to savio uomo :e pag. 34 lo ritornerò nella mia
casa onde io uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572 novel. 20 lo poi che mi
partio,abbo avuto moglie efigliuoli. Etic.di Arist. compend. da Ser
BRUNET.ediz. Lion.pag.100quandoioudioleloroparole,nonmidolea&c. Gli o
dunque di udio ,finio , lemeo & c. in terza persona , non sono licenze di
poeti,non aggiunteper iscansare gliaccenti,ma regole o modi di terminazione, e
risultati di una lingua , che in altra si trasmutava,come or ora meglio
dichiareremo. Che amoe si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che rifutoe
l'onor di tanta manna . Vit. de S S . P P. i n c i a m p o e i n una pietra, e fece
alcuno strepito: pag.10 con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani male si
levoe a corsa, e fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag.47 udie una voce
che gli disse & c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho pur
detto,una proprietà di cadenza nelle terze persone singolari del preterito in
su le origini della lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora
ne'prosatori;e tanto èlun gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci
è facile tro yare temè,ma non temee;se non forse per la rima.Cosl Dante dis
sePurg.3212 senzalavistaalquantoessermifee permife,voce interain sestessa,come
vedremo nella seconda parte al num.6 del verbo Fare . dopo che le
altre persone omologhe del preterito si erano concordate nella desinenza.Così
tutte le prime escono in I,amai, temei,udii,
tuttelesecondeinsti,amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari concordia di
finale. Or come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze del
singolare? Questa è la origine vera degli O e d e gli E che si aggiungevano, e
non le sognate fra le minuzie di una grammatica, che inaridisce. Col
progressodel tempo sivolle trascurare quellaparitàdicadenza, elevocisichiuseroin0,
in E, inI,ac centandole finalmente, sebbene quellechiuse in O si trovino spesso
tra gli Antichi senz'accento comeinFazio degli UBERTI, e nelle NoVELLE
ANTICHE.Ed oranoi,lucidiesseridi unsecolointelligente,go diamo su la idea
dolcissima di una lingua perfezionata. M a i gravis simiAntichi,colle mire
ch'essi aveano,questi Antichi io dico, risor gendo,ne sarebbero in tutto
persuasi? 24. E cid su le terze persone singolari de'preteriti: ora torniamo al
verbo temere o dovere, dalle considerazioni del quale siamo qui per venuti. Si
noti che doverono e temerono ammettono le tre solite scor ciature Lemeron, temero,temer,come
amaron,amaro,amàr,perchè da lemeron ci troviamo all'altra desinenza intera
temèro prodotta da ti muere,come
dovèrodadebuere:laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi
faredovetter, ma non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci
fanno casualmente trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero
quelloche siadditonel 3. 17. 25. E'certo che ne'perfetti delle seconde
conjugazioni italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che
altri notasse in esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne
mai se non la prima persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre
tutte le altre persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel
preterito rompere abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono
rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano
regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con
esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia
talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone
plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere
ond'èruppero,enon daruperuntond'èrupperono,oromperonoBo'i reg.2,chepursitro ya
negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che
riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche rompe, e la prima
rompei; laddo veruppero hal'accento nell'U, restandobrevelaE.Quindi
perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella
vocaleprecedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima
singolare: e p e r ciddeemancarel'E diEInelladesinenza,giacchèl'E diEIintutte
leconjugazionisecondeègravatodiaccento;efinalmentedee cavar
seneruppi,ruppe,ruppero.Ma rompesti,rompeste,rompemmo non pos. 18
già 26.Ma diciamoqualchecosade'perfettide'verbiausiliari.Nascono
fuit fusti fosti C2 sono non avere l'accento sull'E in forza
dellaformazione loro,essen do in esse la E seguitata dalla doppia consonante S
T , M M . Quindi non possono non esser tali come romperono , quantunque poco o
nulla usate, come avviene in molti se provenissero da rompei, rompe, verbi
irregolari. E per cið l'anomalia de'preteriti non può concer nere se non la
prima singolare , e le due terze persone singolare e plurale de'perfetti.
Questo discorso vale eziandio ne'verbi ano mali di terza conjugazione ; dicendo
dell'I quanto si è detto dell'E. Potremo da ciðtantomeglio persuadersi, cheamaro,
temero,&c. sono desinenze piene in se stesse , e non sincopi di amarono
merono & c. fuisti Fui da Fui fuistis fuerunt fuere fummo fuste foste
furono 19 fuimus furo Questo tempo somiglia in tutto al preterito debui o timui
della se conda conjugazione latina,alla quale appartiene ilverbo esse,o pure
essere secondo che leggesi in Plauto. Pure esso nelle persone non ha subito la
legge di mutare l'UI:ma ciò non è stato senza una ragio ne: Imperocchè dando
luogo a tal mutazione, sarebbe risultato fei, fe sti,fe & c, e questo
è il preterito appunto del verbo fare: purtroppo si osservano tra gli Antichi
talvolta le voci del preterito del verbo sostantivo piegate in quelle del verbo
fare: Cosi Fazio degli UBERTI nelsuoDitcam.1.4c.8
dissefoperfu.Perildiluviochefositene broso:Filip.Vil,nelprologo
allesueStorie:con lostilechealuifopos sibile:e Faz.nelDitlam.lib.3cap.22
infinescrivefonno perfurono,e Fr.Guitt.let.12,scrivefoe per fu:eFra
Jacop.1.2can.172 scrive fom per fummo.Per nonconfondere dunque una cosa con
lealtre,non doveasi praticarela legge anzidetta: nei tempi debui,debuisti
periva in. tuttele personel'UI,eccettol'Ifinalenellaprima perfareil cambiamen
toindicato.Infuisti,fuimus&c.sièritenuto l'U,edèperitol'I:edin fuerunt è
peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si rendeva,e
nesonopieniilibri,perfue.IGrammaticihancredutol'Edifue come una giunta per non
terminare quell'E non è che la E nella quale dovea mutarsi l'UI, supplita in
questo luogo per dare alla terza singolare del perfetto la desinenza in E,comune
a tutte le persone simili di altri verbi di questa con jugazione, dicendosi
lemè, iemelte, crede, ruppe & c. Tanto siam dunque lontani che l'e di fue
siasi una giunta, che anzi era lettera distinti va della persona, ed una
conseguenza dellamutazione, che aveasi a faredelUI
inE,comepiùsipoteva.Equandosparìquell'E,sitol fue fu in accento la
semplicefu:mą serealmente,non si cesso di aggiungerla.Ed ora ci
rimane il sem plice fu, voce cheesce affatto da ogni regola di terminazione. da
Habui E le voci avesti, aveste, avemmo sono comunissime: delle altre avei, avè,
averono, se pur furono in uso, non ho presente nemmeno un e s e m pio;e
solamente mi ricordo che in Fr. Jacop.si legge avi per ebbi, ed avvero per
ebbero. Di buon ora s'introdusse la irregolarità, la qua le concerne, come ho
detto, la sola prima singolare, e le due terze singolare e plurale, e si fece
ebbi, ebbe, ebbero; presa la occasione c o m e s'intende pel S. 17 dal habuere:
perché se ne dovea cavare ha . bero,con lapenultima breve,donde ne seguitava habe
per terza sin golare, ed habi per prima; e somigliando queste due voci ad altre
dell'antico presente abbo, abb i & c, non potè non cambiarsi l’A in E ,
condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe ebbero.IPoetitalvoltaco me PETRARCA Trionfo
Fam.cap. : ora investighiamo, come da’pre teriti più che perfetti latini ne
derivassero gl'italiani, che tanto sem brano differenti. E certamente i Latini
esprimevano col tempo la qua lità che si affermava, ossia la cosa che siera
fatta: e tali erano a m a yeram,fueram,habueram.Ma negliitaliani sidecomposero
gliattri buti, e si disse io aveva amato,io aveva avuto,io era stato.Possiamo
però conoscere che tra'Latini medesimi si aveano i semi di simili riso.
luzioni. Cosi Cic. nel 15 Fam . 20 disse , quantum ex tuis litteris h a beo
cognitum per cognovi:od in Verr.7 63 hodie sic homines ha bent
persuasum:cosìnel 4 Ac. comprehensum animo habere atque perceptum; ed altrove
assai volte. Pertanto nel passare da'preteriti più che perfetti latini agliitaliani,nonsifeceche
ampliareciocchè giàsi usavadai Latinimedesimi.Abbiamopiù voltenotato,che
20 per la rima scrivo. no ebe con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi
per abitu dine, come può vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso
finalmente ha stabilito ebbi , ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e
nel fine come appunto i preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti
ayè avemmo aveste averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere
ancora Habuisti Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che
incominciano ad imparare il latino quel lo scordano,facilmente ,o che per
disusoin parte esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col
participiopassato latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle
originidella in rispetto della lingua latina nuo puntochiprincipiaadapprenderla
come ap , o chi per disuso l'ha quasi di
menticata;cosìl'analogiaelavogliadiesprimersiinqualche modo gl'indusseade
comporre,edireioavevaamato,io avevaavuto.&c; lasciando in amalus ed habitus
gli S finali, e mutando gli U in 0 secondoleleggidelş
ireg:2e3,dallequaliappuntorisultaamalo ed ayuto con i cambiamenti suggeriti
appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più che perfetto latino è fu
-eram , fu-eras,fu-erat&c:talivocisonocompostedi eram,eras,erat,e fuo fuit:
quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo pertanto l'indole del tempo
aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si presenta: cioè dovevasi
indicare che questo era spettante alfueram; non era indeterminato,e pendente
come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era piuttosto di un tempo definito e
certo. E'noto che i Latini appuntocon la voce status, stata, statum upita al
giorno o tempo accennavano i giorni e tempi definiti. Cic. Offic.37 status
diessit cum hoste:o come Plinio disse stato tempore. Quindiin tempo che la
lingua degenerava o si decomponeva si disse io era stato,cioè in
tempogiàfisso,giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo fisso & c,
egli era stato, &c. La voce stato fu dunque come una giunta o segno di cosa
passata, e non altro:ed in seguito si aggiunse a tutti itempi,che lo
richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han creduto, che stato sia il
participio del verbo stare applicato al verbo essere. M a non dee presumersi
che la formazione del verbo stare pre ceda quella di essere, che èil primo
de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas tra'Latini,da'quali
derivava in gran parte la lingua,se non è privo diparticipio, certamente ne
somministrava un uso ben raro, come può intendersi, consultando il Forcellini
sul verbo sto sta.Per taliriflessièda concepire,cheilverbo esserenon abbia
participio se non quello dedotto da stalus, stala & c. usato in principio
come segno e non più, di cose precedenti e consumate. 30. E da ciònacque, che a
poco a poco si tentò creare un par ticipio proprio di essere,facendosi
essuto,issulo, o suto. Quindi AlBERTAN.Giud.cap.44pag.100
ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se ne fosse rimaso.
AmmAESTRAM . degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non sarebbe stata in
tanto onore s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione. Collaz. Ab.
Isac. pag. 59 E se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate nelprincipio e
avessela veduta ; non sarebbe essuto negligente. Questo participio pareva il
più naturale: pur si disse anche issuto; ma più di raro: AMMAESTRAM.de gli
Antic. pag. 303 la nuora il seguente di che è issuta menata, di. manda
&c.Ma più di tutti fu in uso ilparticipio sutopiùanalogo a sono,sei
&c,e molti nesonogliesempj in Boccaccio,nelle Croniche diLionardo
MORELLI,nelMorgante delPulci,nell'ARIOSTO,edinaltri: ne allego un solo tratto
da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me si è suto rivelato che tu & c. A
fronte di tali sforzi non irragionevoli lavocestato,laqualenonera che
unsegno,divenneilparticipio legittimo, esclusone ogni altro, 21 Ed
eccone gli esempj.Fra JACOP. Poes, Spirit.lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7
perchè se nell'habebo si cambiavano i due B in Vrisultava havevo e quindi
havevi,haveva &c.come nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il
secondo B, fu necessità cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se
n'ebbe averò, averai, averà & c. in forza delle
regolegeneralicitate:mapresto sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo
ayrai 22 Sempre serai in tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus
eritis erunt avrete ayrà avranno serai sera seremo Serete seranno. LATINO
habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai futuri dirò prima come derivassero quelli
de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere è il futuro Ben serai crudo se gli occhi
non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31
L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99
serannoquestelenovellecheioporterò.Chileg. gegliAntichitrovaquesteésimilivocinon
infrequenti.Manifesta mente dunque derivano dalle latine con la giunta di un S
in prin cipio per uniformarle con sono, sei, siamo & c. Del resto
eris,erit, giusta le regole, danno erai, erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso
al cuni popoli ancora si ode ladesinenza serimo, serile, che presto fu ridotta
in seremo, serețe & c. Al presente si trova cangiato anche il pri mo
E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento è1'usuale,ma non forse il migliore,
secondo le regole. Vedi il verbo essere n. 13. Quanto al futuro di avere era il
habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo
habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg. 2,5, 7 habebunt L'ITALIANO
e talvolta a simiglianza delle mutazioni occorse nel presente si tolse anche
l'V,esen'ebbe Aremo arai arete arà E stabilita una volta la cadenza de'futuri
ne’primi verbiessereed avere inserò, sarò,arò per continuadiscendenza
dallatino;qualmeravi. glia che siestendesseposcia ai futuri di ogni verbo, esi
dicesse amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno assegnarsi altra origine
dei nostri futuri, sem-" plice al paro che universale. Nel nascere della
lingua si scrisse raggioper amarò,faraggio
perfaròcomeleggonelB.Jacop.lib.2c.15, elio faraggio questaconvenenza:ediceraggioperdiròcome
lostesso autore scriye lib. 2.c. 25 or m 'udite in cortesia Però crudele, villano,
e nemico Sarabbo,amor,sempre ver te se vale &c. In alcuni villaggi
d'intorno a Roma si ode anch'oggi la desinenza in ajo, come farajo, amerajo
& c. A ben riflettervi tali voci non
senoncheamar-aggio,dicer-aggio,far-aggio &c:vuoldireaggioa fare,aggio a
dire,aggio adamare:formole intutto del futuro:per chè colui,il quale ha afare,
non ha fatto, nè fa, ma riserbasia fare: cioè dichiara l'azione sua come
futura. E perché in luogo di aggio si disse ancora ajo; quindi è che si hanno
pur le cadenze amerajo , farajo&c.Ma
siccomeinprogressoabbo,aggio,ajodegenerarononelle più semplici ho, hai, ha,
avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda ultimosifeceaver-ho, aver-hai,aver-ha,
enelpluraleaver emo, averele, lasciato l'a del dittongo in aemo, ed aete, e
finalmente aver-hanno:ed eposto l'hozioso nel mezzo di tali composizioni,sieb
be aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho, ha,come monosillabe han suono tutto
raccolto in esse,e grave come per accento; quindi è che poco
apocosimiseancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si averò, averà
& c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del futuro del
verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà & c.
Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let tereES,come
insono, sei &c, tanto che se ne avessesere,equindi aranno, come si
scorge ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B. GIOVANNI delle
Celle: solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido, arai Dio teco,
e più sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai non arannofine.
FR. JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si hanno pure ne'
GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel Cavalca, e
comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via.
FraGuit.ediz.Rom.1745lett,3 lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far mi
guarderaggio: e tal volta ne'scuri principj della lingua s'incontra la
desinenzain abbo,farabbo,amerabbo & c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son.
ame 23 Ard sono ser-ho, ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete,
ser-hanno:e finalmente sarò, sa rai,sarà&c.Siapplichi
lateoriadichiarataancheaglialtriverbi, ed avremo
amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno, comesidisse
originalmente:leLetteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son piene di questa
desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua,ne fa uso ben grande nelle
opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non sapreiperqual
vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè prodotto
amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente di
temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza singolare
del presente di avere era have, hae,ha.Spessoinluogodiadoperarehanelcomporre
ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer
-ae , far-hae,far-ae.Questadesinenzaèfrequentissimain alcuniantichi Scrittori.I
nostriGrammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse un aggiunta,
per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma
essanonèchelaE dihave,hae;etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che anzidicendosiora
averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta propriamente laE
spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla desinenzaameroe per
amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola italiana terminata
in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno,danno,fanno,
stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze plurali
avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson esseun
composto di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto perdere lo
scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no,fanno & c. foggiati
a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente de'verbi.Anzi
aggiungo,che hanno,fanno, slan no &c.intanto si scorciano perchè nelle
origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte agli
scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando
hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più
sottilmente questa materia, potrebbe trovareforseletraccedelfuturo
delpresentenelfuturo del congiuntivo. Cosi lasciato da amavero, celavero &c.
ilve per simiglianza di quan to si pratico nel fissare la derivazione dei
preteriti, si avrebbe ed accentandoli celaro 24 54. Riguardando a tal
seconda spiegazione,i nostri futuri non sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma
solo deriverebbero quanto ne derivano gl'infiniti de'verbi,ed il presente del
verbo ave re, che ne sono gli elementi componenti. dal latino da Ama(ve)ro
cela(ve)ro amaro & c. 55. Quanto agl'imperativi ognun vede che l'amato , il
timelo, il legito,el'auditode'Latini,altrononèche l'amatu,temitu,leggi
Amaro lu,odi lu degl'Italiani.Le altre voci italiane sono pur le
latine tra dotte:ma perchèquestesono lestessedei presenti,partedelcongiuntivo,
eparte dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo;cosìnon bi sogna se non
investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è fatto, e si
farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo de'Latini,dal
quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e congiuntivo. Ames Amet
Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si volge in IA, perchè nel
tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dallasecondasingolareconlagiun t a
d i a m o o diate, ami - amo , ami -a l e . Del resto sebbene l ’ E f i n a l e
avanti la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di amet dovea secondo leregole
conservarsi; pure ne'principj non erano questi limiti ab bastanza riconosciuti:
e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que gliame:desinenza era questa originale,perchè
meno distante dalla latina, taciutene le consonanti in fine, e resta tuttavia
tra’Poeti, spe cialmente per la rima:nondimeno si crede che questa sia termina
zione di licenza , e non primitiva e spontanea. Tale è ilprogresso delle cose,c
h e dimentichiamo gli usi più naturali, sostituendone altri men proprj ,che
poscia il tempo caratterizza come legittimi!Vedi amare num. 14. Nelle altre
conjugazioni, lasciate o mutate le consonanti finali se condo le regole S. 1 ,
e lasciato l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I reg.4,risulta dal LATINO
Timeas Timeat Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e poi tema Tema Temiamo
Temiate Creda d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami L'ITALIANO LATINO
Amem Credam Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate Credano Credas
Credat Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami Amiamo Amiate
Amino. E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento l'EdiHabeam &
c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè raddoppiato, osservate
ancora le regole generali. Quanto alsim, sis, sit, simus, sitis, sint, siccome il
verbo essereè di seconda conjugazione, e tutte le seconde conjugazioni anno il
presente del congiuntivo terminato in A nel singolare, almeno nella prima e terza
persona; quindièchesifeceiosia,tusia,o sii,quegli sia, noi siamo, siate, siano.
37. Ma perchè nelle origini della lingua non era ben decisa la terminazione,
con cui chiudere levocidel presente nel congiunti vo, si tento talvolta, o si
dubito modificarle in tutte le conjugazioni, come nella prima. E siccome la
prima era terminata in io ame ovvero 38. Così pure essendosi terminata la prima
conjugazione in I nel presente del congiuntivo,siterminarono talvoltain
Ipurlevoci delle altre: e si trova abbi per abbia, giunghi per giunga, vadi per
vada &c,in terzapersona:Lett.S.Cat.pag.31.Deh!nonsirendipiù il cuor nostro
ambiguo,cieco, e negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le
terze plurali abbiano,temano,leggano fu Abbia Habeam 26 tu ame Ilabeas
Habeat Habeamus Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io
ami quegli ame quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di
altreconjugazioni figurati. Così AB.Isac. Collaz.cap.2. cosi con scrive,abbie
preziosa operazione: e cap. 12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice
l'uno de Scrittori più antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece
diabbia al principio del cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò
che tu vuoi, e cap.9 dci render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se
no; abbie spesso lo beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in
pieper diche per dichi, enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie
largo di dar mangiare Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e
dello stato che Dio l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi
non guarda alle origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano
modi primitivi e la lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora
eccettosie efie,le quali pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono
talivoci.Vediesserenot.17. , avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo
,sie&c.spettano alcongiuntivo come . tu amiro n o a b b i n o , temino ,
leggh i n o & c ., che poi l'uso ragionevolmente 27 ha ri pudiate, perchè
rimanesse un divario tra le cadenze , onde riconoscer ne le conjugazioni.
ec.1491. Are ( avrebbe ) quelcolpo gillatigiù mille. E qual sare'colei che nol
facessi? In questo esempio il primo sare sta per sarei, e l'altro per sarebbe .
Eguali manieresiscontranoancora,ma più rare assai,nell'Orlanda del BERNI:così
nel c.5.16 39. Quanto all'imperfetto amarem ,amares,amaret; taciutene le
consonanti finali risultava amare , voce non distinta dall'infinito: si
aggiunse per cið un I finale, e si fece amerei:e siccome il per fetto
dell'indicativo termina in I, dicendosi amai, temei, sentii, e da questa si
ebbe per seconda persona amasti, temesli, sentisti; cosi fu con progresso
consimile terminata la seconda di questo tempo, dicen dosiameresti,temeresti,sentirestiaggiunto
un TI ad amares,timeres, sentires,il quale in origine non era che un lu, e
perciò trovasi tal volta ameres-tu, vederes-tu per amaresti, vederesti
&c.Cosi PASSAVAN ti nel suoSpecchio di Penitenza pag.107.Avrestuoffeso intaleolal
cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per
distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben
precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4
cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha
vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel
Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a
dimostrare la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare
diver samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive
amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui
per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le
regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M ,
facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come daamarespro viene ameresti; o come
da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di amarent in
secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi coll'inserirviun'I,sen'ebbe
amerieno.Amerie,ovveroameria,ecostamerienosonodunque desi nenze originali:e
questa è laragione, per cui ne'Prosatori antichi, come ne'Poeti, si trova tante
volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno: la quale ora è mutata in
iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria, cemeria, che prevalse sopra di
amerie, temerie E disse sare'io,ch'era pursaggia, Che a cosi degno amante non
piacessi, Purchè mai tempo e luogo accaggia; Ancormi dare il cord'uscirne nello,
ipo d2 chissimo usate fin da principio.I Poeti,sovrani
conoscitoridella dol cezza degl'idiomi, ritengono tuttora, usandola
amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I Prosatori l'hanno quasi
dismessa: nè io credo che ciò seguisse con piena ragione: giacchè si
allontanarono davoci,lequalipresentanolaoriginelorodallalingualatina che ne era
lamadre:e potevano variare con ogni dolcezza ildiscorso. Inluogo di
ameria,ameriano sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono.
Queste voci a somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma
dall'infinito e dalle terze del perfetto diavere,amar-ebbe,amar-ebbero,ovvero
amar-ebbono.Può no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi
tantiB dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la
desinenza è divenuta più lunga, e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune
terze. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi,temes
si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo.
E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sinco p i z z a t e del più ch
perfetto de’ latini nel CONGIUNTIVO,
tolto n e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole
generiche delle vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi
Amasse Amassimo Amaste Amasseno . del perfetto, che somigliano , come
crebbe, increbbe, bebbe, ecc. E poco vedo cosa abbia a fare ebbe e debbero,
vocidel perfetto, convocidel soggiuntivo, lequalihannodell'imperfet persone to,
cioè che resta da fare. Possono osservarsi al verbo amare , dove trattasi della
desinenza in ia , ed iano, altre incongruenze. Ma l’uso ha già prevaluto, e chi
parla dee parlare conl'uso. Tale appunto sorse la terza plurale: ed ancora n e
restano degli esempj
FraGuit.let.Ipag.8se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore. PETRAR.son.154
che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma posteriormente di “amasseno” si
fa “amassono”, ed ora dicesi “amassero’ co munissimamente.Si noti che la
seconda plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non più vi resta
il ssi o sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è voce plurale
ancora nel perfetto dell'INDICATIVO. Ed è certo un difetto con una voce stessa
esprimere tempi,emoditantodifferenti.Forseènatodaciòchetalvolta s'in contra voi
avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio cant.69 terz.58. Se
voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che MACCHIAVELLI tanto
conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama (vi)sses Ama
(vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent Ma
primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E siccome
questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'OTTATIVO, e l'imperfetto
del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus.8.24. : "Quel partissi
addita azione già fatta. 29 gua , spesso in tal tempo usa la seconda
singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle della guerra
ediz. Cosmopoli Far este voi differenza di qual arte voi li scegliessi, e
pag.63 iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che voimi
solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un
talescriveresidirebbeartifiziosoonegligente?Glieru diti decideranno se forse
era meno male così scrivere. Certo se replichiamo nel singolare io amassi, tu
amassi,perchè non farlo nel plurale? Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae
conseguente:ma sealtri la dicesse ora , sarebbe uno sgraziato, un imperito .
Tanta è la prepon deranza degl’abusi, resi venerandi per vecchiezza. L'origine
di questo tempo è similissima in tutti gli altri verbi.Così da timuissem è
temessi, da legissem è leggessi, da audivissem udissi, &c.e
nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem avessi,mu tato al solito il B in V , e
ľ U I in É come in “timuissem” , timui ecc. e tutti soggiacciono all'inconveniente
anzidetto.Del resto ne'principj della lingua pendette incerto alcun poco se
avesse a farsi amassio amasse di amassem , e così sentissi o sentisse di
sensissem . Quindi Fazio nel Dittam. lib. 1 loro discordano, ma PROVIENE DAL
LATINO, che era un più che passato. Così le di lui voci medesime scorrono a
significare cose passate non senza un pocodi confusione:ma
eglièmalediorigine,esivuol condonare:peress.SEGNERI
Predic.358.10Visovviend'altroreo,che mai tollerasse una o più tragica o più tirannica
forma di tribunale? E'chiaro che quel collerasse esprime cosa passata:tale è
pur quello nelleVit.De'SS.PP.tom.1pag.83.E alloraconosceretechefuil meglio per
m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir,quant'io potesse. BARBER
ch'io gli mandasse a quello. Giosafat ed io non sarei savio se io tale cosa
manifestasse. Novell. ANTIC.37 s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel primo
tom.delle Delizie degli Erudili Toscani pag.CL.sinotanoaltriesempj disi mili
desinenze. E se piaciuto pur fosse là sopra ch'iovi morissi, il meritai
coll'opra. Quanto agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti
negl'italiani,che io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta
presso a poco da osservare, se non quanto si disse in torno di habueram,fueram ecc
DIPENDENZA delle conjugazioni italiane dall'infinito, e loro somiglianza
generalissima. Conjugareiverbiitalianinonèchevariarediversamentel'in
finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto.Or volendo
conoscere queste variazioni e somiglianza loro generale, si avverta. Ogni
infinito termina in “-RE”: “amare”, “lemere”, “credere”, “sentire”; e quasi
tutte le variazioni succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta
subisce de cambiamenti anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere I participj
presenti, il “-RE” si muta in “-NTE” nelle prime e seconde conjugazioni: “amante”,
“credente” &c.E nelle terze tutto l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in
ente, sentente; ovveroilREsimuta inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereilpar
ticipio passato,aparlar generalmente, basta nella prima e terza con jugazione mutare
il “-RE” in “-TO”: “ama-re” > “ama-to” ,senti-re,senti-lo.nelle
altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto.
2. Quanto ai tempi per avere il presente singolare si lascia il RE
dell'infinito, e lavocale precedente il “-RE” simuta in “-O” per le prime persone,
e dove bisogna in Iperleseconde;ma perle ter ze
persone,toltoilRE,I'lsicambiainE nelleterzeconiugazioni: nelle altre non
bisogna variazione ulteriore. Ama-re teme-re Crede-re a m a teme crede senti ne’plurali
il “-RE” dell'infinito si muta in “-MO”, “-TE”, e “-NO”, per le prime seconde,e
terze persone. Ama-mo Teme-mo Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a
-n o teme-no crede-no Senti-mo 30 E cosi trovansi presso gli Antichi
terminate le prime e terze plurali. E per dare qui un qual ch'esempio su le
terze plurali, CASTIGLIONE nel suo perfetto cortigiano usa commoveno,
rivesteno, discerneno, occorreno, cadeno, moveno, serveno, ed altre moltissime.
Nell’archisihagiaceno, soggiaceno,ed altre. Ma ora l'uso porta che anche le
vocali precedenti il “-RE” hanno subito de'cambiamenti, dicendosi tutte le
prime personeamiamo,temiamo,crediamo,sentiamo:enelleultimedue conjugazioni
terminandosi le terze persone plurali in ono , temono , cre sente -n o 1 S.
III. 1. amo temo credo sento ami temi credi Senti-re sente. Quanto ai verbi
della terza conjugazione, ne'qualivi è la doppia cadenzacome
abborroeabborrisco(vediquestoverboinfine della prima parte ) sappiasi che la
cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo, imperativo,e
congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone, prima,
seconda, e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e che poi
alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste solamente,
on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata, aggiuntole il
“-N O”, segno della pluralità ne'verbi. “Abborrisco-no.” Ossia all'infinito
abborri re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco ,
abbor ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA
VI VA pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va
sentiva Ne plurali alla prima, o terza di ciascun singolare si aggiungono le
distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te
temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'indicativo per la terza
persona l'ultimo “A” di “amasi” muta in “-O” accentato. Nelle altre
conjugazioni si accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO 31 dono,sentono
&c, come se aggiungasi ilNO alle prime persone,
temo,temono,credo,credono,sento,sentono,laddove essendole terze plurali un
multiplo di terza e non di prima persona singolare, non dove asiaggiungere il NO,
segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come dicesi ama, amano, e non
amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi ama -va t e m e -vi
teme-ya “senti-va” credevi sentivi Imperfetti dell'Indicativo 2 )
personeplurali, RONO 3 crede-va c r e d e v a -m o abborr (isco abborr(isc)i
abborr(isc)e 5.ToltoilRe dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda
persona: per le senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo senti. mmo
amo teme crede ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma nelle
seconde conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge universale,il RE
dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T T I; per le terze
singolari in T T E , e per le terze plurali in TTERO ovvero in TTONO dicendosi
Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7. Il solo E finale
dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle amar-o temer-6
sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo IIRE si muta in “senti-ste”
crede-rono senti-rono creder-o 33 ama-re t e m e - r e c r e d e -r e
ama-sti teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete creder -ete sentir-ete
amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO SSONO sentir-à senti i
amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à creder-à sentir-ai ama-i
teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono temettero temettono
Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A accentato 3 EMO ETE nelle2)
delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora si volge in E anche l'ultimo
A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza equivoco. Vedi amare nel
prospetto not. 9. crederanno sentiranno sentire ama-re teme-re crede-re a
m a -sse teme-sse crede-sse crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi
serti-ssimocic. BBERO solamente nella prima conjugazione si è preso il COSTUME –
forse NON RAGIONEVOLE – di cambiare 1A precedenteilRE dell'infinitoinE. sentire
sentire-i credere-sti credere -bbe credere-mmo sentire-mmo credere-ste sentire
-ste credere-bbero sentire-bbero credere-bbono sentire-bbono Si noti che le
aggiunte che qui si fanno per le due prime per sone singolari eplurali sonole
stesse dei perfettie che quelle che si fanno per le terze sono , direi , le
terze del perfetto di avere, ebbe, ebbero,ciocchè facilita di molto la
formazione di questo tempo, presente del congiuntivo AMO ATE credere credere -i
sentire-sti sentire-bbe ama-ssi a m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi
crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto
dell'Ottativo Conjugazione 1." Si toglie il RE dell'infinito, e la vocale precedente
il “-RE” si muta in I, e nel plurale si aggiunge 3 1 sentisse credeste, amassero
amassono temessero temessono credessero credessono 33 I alla 1) S T I 2 ) del
singolare BBE 3) MMO I) STE 2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe
amere-m m o “amere-ste” amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile
e si aggiungono Tu ami Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i
temere-sti temere -bbe temere-m m o temere-ste temere -bbero temerebbono NO 2
person . La vocale precedente il -re dell'infinito si muta in “a” in
tutto il singolare, e nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla
seconda singolare può terminare come nella prima conjugazione; i che sarà
considerato ne verbi rispettivi. Credere Creda Creda o Credi Creda Crediamo
Crediate Credano. Queste sono le variazioni. Gl’altri tempi composti risultano
da alcuno de' tempi già esposti, presi da'verbi essere ed avere, e dal
participio passato del verbo particolare, il quale si usa; e però non occorrono
nuovi cambiamenti nell'infinito. Quindi si dovranno cercare nel prospetto.
Intanto si potranno raccogliere alcune regole, e sono: Tutte le prime persone singolari
dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finiscono in 0. Tutte le seconde
in I in ogni tempo. Tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in “-mo”, e le
seconde in “-te”, e le terzein “-no” o “-ro” in alcuni tempi. Ma in tutte le prime
plurali dei presenti di ogni modo, degl'imperfetti, e futuri dell'indicativola Mè
semplice: amiamo, amassimo, amavamo, ameremo, temiamo, temessimo, temevamo, temeremo,
&c. Ma ne'perfetti dell'indicativo e negl'imperfetti dell'ottativo la “m” è
doppia: “amammo”, ameremmo, temeremmo, crederemmo, &c., e cosi le seconde
plurali in que stid u e tempi ed anche nel presente dell'ottativo anno la “s”
avanti ilTe finale dicendo siamásle amereste &c.!,le altre anno il semplice
“-te.” Parimente, questi tre tempi possono finire in “-no” ed in “-ro” nelle
terze plurali: amaro, amarono, amerebbero amerebbono, amas, amaranno, amarino. Gli.
Marco Mastrofini. Mastrofini. Keywords: implicature, Delle cose romane di
Floro, l’antichita romane di Dionigio, le cose memorabilia di Ampelio, il
sistema verbale della lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale – la
filosofia del verbo – tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e
l’azione nel verbo latino --, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche
e prammatiche dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Mastrofini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Masullo – la scissione dell’intersoggetivo – I lottatori
della tribuna -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Avellino). Filosofo italiano. Insegna a Napoli. Ha trascorso vari periodi di ricerca e di
insegnamento in Germania. Direttore del Dipartimento di Filosofia
dell'Napoli. È stato socio dell'Accademia Pontaniana, della Società
Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e dell'Accademia Pugliese delle
Scienze. È stato insignito della medaglia d'oro del Ministero per la
Pubblica Istruzione. Candidato nelle liste del Partito Comunista Italiano
prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha ricoperto la carica di
Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i primi anni della sua
vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli studi superiori
frequentando il liceo classico statale Giosuè Carducci. Fequenta il corso
di laurea in Filosofia all'Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi su
Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque altri
personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta che
con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a Masullo. Studia
l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario
alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e
Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara.
Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare
l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico.
Attraverso il confronto con Carbonara, Masullo si addestra al
rigore concettuale e inizia ad elaborare una propria posizione
originale. Nella formazione e nella costruzione della prospettiva
filosofica di Masullo si combinano diverse componenti. Il neoidealismo,
crociano e gentiliano, lo sperimentalismo di Antonio Aliotta, e, tra idealismo
e materialismo, il materialismo critico di Cleto Carbonara. Masullo però,
mosso dalle proprie inquietudini e dalle impressioni suscitate dai tragici
eventi bellici, studia anche l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il
bisogno di comprendere l'uomo concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono
ad avvicinarsi alla fenomenologia. Il soggiorno di studio a Friburgo del
1957-58 gli consente di approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere
Weizsäcker, il quale aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.”
(cf. anti-patico, sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo,
idealismo e fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra
di loro. Ciò che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la
radicale problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e
il suo negativo, ciò che pensiero non è. Il pensiero Intuizione e
discorso è un testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla
epistemologia, Masullo si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico
per riflettere sul carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con
la conoscenza. Masullo in Intuizione e discorso sostiene che i poli del
fatto e dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello
spirito sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro
conduce ad un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni
dello spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e
corpo. Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi,
deve riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli
sono irriducibili. M. approfondisce in Germania lo studio della
fenomenologia, ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i circoli
husserliani capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker del
quale Masullo svilupperà il concetto di "patico". Masullo stesso,
tornato in Italia, traduce e commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo
libriccino ormai introvabile (Logica, psicologia, filosofia. Un'introduzione
alla fenomenologia, Napoli, Il Tripode) il cui contenuto in parte è poi
confluito nel successivo truttura, soggetto, prassi. Masullo
considera Husserl un grande esploratore della coscienza. Husserl cerca di dare
un fondamento filosofico alle scienze positive indagando il modo in cui la
coscienza costituisce il mondo che la scienza prende ad oggetto delle proprie
particolari ricerche. Masullo però, elaborando gli stimoli dell'antropologia
medica di Weizsacker, lavora al passaggio dalla fenomenologia alla
patosofia. Struttura, soggetto, prassi (1962, 1994) è il testo che
documenta il rinnovamento della ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze
positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è
«intellettualisticamente sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero
le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente
e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia,
svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante. S. Non è
possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero
le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza
intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi
prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo,
esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come
esperienza soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può
essere conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze
positivo-sperimentali. Queste possono misurare i processi, ma non possono misurarne
i vissuti. Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura alla prassi
e all'etica: riconoscere il nesso operativo tra senso e significato, crisi e
ordine, «patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza i grandi modelli
idealistici e fenomenologici della soggettività. In particolare, seguendo
un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la quale il fondamento
dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i caratteri della
soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto, autodeterminazione) è
l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo analizza le modalità di
funzionamento. Masullo, con i suoi studi sulla «intersoggettività» e il
«fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni sull'intersoggettività.
Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, La storia e la morte, Napoli, Libreria
Scientifica Editrice, La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre,
Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1965; Il senso del fondamento, Napoli,
Libreria Scientifica Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida),
analizza le «operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in
base alle quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella
originaria struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il
fondamento è la comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per
permettergli di istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio
Il fondamento perduto, in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi
capitoli di Il senso del fondamento e
raccoglie in modo compiuto i risultati teoretici di due decenni di ricerche
intorno al tema della comunità-intersoggettività come fondamento. Masullo
pubblica inoltre il testo Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui
riprende e aggiorna il saggio su Fichte contenuto in La comunità come
fondamento. Fichte, Husserl, Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il
capitolo finale, Il sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una
nuova fase del pensiero di Masullo, una fase in cui il tema
dell'intersoggettività lascia il posto alla esplorazione delle dimensioni del
vissuto del soggetto, quindi lascia il posto ai temi della paticità, del senso,
del tempo. In effetti anche i suoi corsi universitari di quegli anni
rivelano questo momento di transizione. Si dedicati al tema dell'inter-soggettività
ma vengono trattati anche i temi caratteristici della seconda stagione della
sua riflessione. Tratta della “difettività del soggetto”; nel corso invece si
occupa di “comprensione del tempo e interpretazione morale, definitivamente
centrati su “i patemi della ragione e l'inter-esse etico.” Nei studi su «tempo», «senso», «paticità»
(Filosofie del soggetto e diritto del senso, Genova, Marietti, “Il tempo e la
grazia. Per un'etica attiva della salvezza, Roma, Donzelli, “Paticità e indifferenza”
(Genova, Il Melangolo). Sostiene che il pensiero critico, nella sua incapacità
di pensare il passaggio, il processo, la trasformazione, il cambiamento
(sustenuto in La problematica del continuo in Aristotele e Zenone di Elea,
seppure solo sul piano logico) è incapace anche di pensare la soggettività la
quale è una forma particolare di cambiamento, è tempo, prodursi delle
differenze all'interno di un campo strutturato, fortemente centralizzato,
l'organismo umano, portatore della coscienza di sé. In questi studi degli
anni ottanta e novanta Masullo considera le modalità affettive e
psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto e diritto del
senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e
Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non
riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». M. rivendica il
«diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile
diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della
sua prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia.
Per un'etica attiva della salvezza, nel quale Masullo illustra la sua
concezione della frammentazione della soggettività a partire da alcune
considerazioni sui concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue
europee antiche e moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale
dell'esperienza propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale
ha un carattere prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale
dell'esperienza meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il
vissuto, il quale ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una
parte abbiamo il giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il
provare come avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa. Ciò
introduce a un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra
il cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il
continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita.
Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento
di sé attraverso il cambiamento. L'uomo, a differenza degli altri
viventi, è intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette
in relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più
radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno
solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso»,
è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del
cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il
desiderio di permanenza. Parallelamente alla esplorazione della
soggettività, in Il tempo e la grazia Masullo segue gli sviluppi di
un'emergente epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e irreversibilità
del tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il versante
umanistico e quello scientifico convergono nel disegnare un'antropologia la cui
etica non è più la moderna e rassicurante etica reattiva che salva la società
con le sue formulazioni sull'ordine del mondo. L'etica che Masullo vede
in prospettiva scaturire da questo nuovo contesto è un'etica attiva che salva
il tempo, cioè il soggetto, dal vivere la perdita prodotta dal cambiamento come
«disgrazia», mutilazione. La perdita è un momento necessario nella vita di un
essere, l'umano, che non semplicemente cambia, ma si rinnova e costruisce
intenzionalmente il proprio futuro. Una volta riconosciuto il diritto del
senso ad essere inteso nella sua irriducibilità al cognitive; una volta esplorato il campo del
senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della
filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari
epistemologici, antropologici ed etici, Masullo nel testo del 2003, Paticità e
indifferenza, si chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il
ruolo della filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita,
gustare a fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e
cogliere nei sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del
patico” ovvero, se si ricalca interamente l'etimo greco, è la
“patosofia”». Da un pensiero così articolato derivano alcune indicazioni
e cautele etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo
la temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di
conoscenza come un qualsiasi ente. Masullo distingue la conoscenza dalla cura.
Egli inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali
sui quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece
costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del
sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che
li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda
alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece
guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori
da condividere. Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni
curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia
morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie
discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi,
personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni
e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e
la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione
umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità
e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista
de Il Mattino, Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in uno degli
ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di un
saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare
il futuro di questa città malata. Trova questa figura in M., filosofo ma anche
protagonista della vita civile e politica della città con concrete iniziative
quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione nell'ambito del
“Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo sulle tante debolezze
della città presente che si conclude con un'analisi delle risorse che danno
speranza nel futuro. Masullo nel
ha pubblicato La libertà e le occasioni, che sviluppa il tema del suo
ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.
L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta la contestazione studentesca
segnalava il bisogno di rinnovamento dell'università italiana. Masullo, per i
caratteri originali del proprio insegnamento, è considerato dagli studenti uno
dei professori progressisti. Egli in quegli anni fu eletto deputato come
indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano, ed in seguito come senatore, si occupò sempre dei problemi
del sistema scolastico. Inoltre come parlamentare europeo lavorò al fianco di
Nilde Iotti nella Commissione legale. All'inizio degli anni ottanta
alcuni importanti provvedimenti modificano l'organizzazione didattica e
gestionale dell'università (vengono istituiti i dottorati di ricerca,
riordinate le scuole di specializzazione, creati i Dipartimenti). Terminato
l'impegno parlamentare Masullo dirige per due mandati il nuovo Dipartimento di
Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta. Anche attraverso questo
incarico egli incide sulle direzioni della ricerca filosofica a Napoli.
Masullo si mette di nuovo al servizio della politica quando dopo la crisi
politica e sociale degli anni ottanta, agli inizi degli anni novanta si
verifica un generale risveglio della coscienza collettiva. A livello locale
egli dapprima anima per oltre un anno, ale “Assise di Palazzo Marigliano”, un
movimento che si opponeva al progetto NeoNapoli previsto dal preliminare
di Piano Regolatore.l, del quale ottenne il rigetto, suggerendo la demolizione
e il rifacimento integrale dei Quartieri Spagnoli. Forte della popolarità
acquistata con questa esperienza è capolista del PDS nelle elezioni
amministrative e poi, protagonista a Napoli della innovativa esperienza della
"giunta del sindaco". A livello di politica nazionale Masullo è
di nuovo impegnato per due legislature al Senato. Egli è membro della
Commissione di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e, come negli anni
settanta, della Commissione per l'istruzione pubblica e i beni culturali in
anni nei quali i provvedimenti relativi a istruzione, università e ricerca sono
numerosi e importanti. Amante dei libri e della cultura dei bambini, lo
spessore del Maestro filosofo emerge inoltre quando in aula si discutono
disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo o la procreazione
assistita. Saggi: “Intuizione e discorso,” – Grice: “Good connection.” (Napoli,
Scientifica); “La problematica del infinito del continuo – l’infinitesmale – la
categoria della quantita – flat and variable,” – Grice: “Excellent
philosophical problem.” Napoli, scientifica,
“Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica “La comunità come fondamento,” Grice:
“Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but
it takes a philosopher to understand that that is what stands behind
‘community,’ or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli,
scientifica, “Anti-metafisica del
fondamento” Napoli, Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del
soggetto e diritto del senso,” Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva
della salvezza,” Roma, Donzelli, “Meta-fisica:
storia di un'idea,” – Grice: “Perhaps Aristotle never had an idea; after all
‘ta meta ta physica’ is later and means: “the stuff the master wrote after the
‘physika’!” Roma, Donzelli, “La potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche,
“Gografia e storia dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr.
Grice: “The history of ‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,”
Genova, Melangolo, -- Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential –
while you may have self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo”
G. Cantillo, Napoli, Scientifica, “Filosofia
morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only
possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word
formation!” “tra parola e silenzio” Grice: “This is my reading between the
lines – i. e. the implicature” atti del convegno (Monte Compatri), P.
Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del fondamento,” Napoli, scientifica, G.
Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome immobile. Intervistato, Napoli,
Guida, La libertà e le occasioni,
Milano, Jaca, I linguaggi della follia e
i passi della salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi,
Napoli, Scientifica,. Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La
grazia della filosofia e della politica, su rainews, Napoli, chi era il più
grande filosofo, su interris, A. Fioccola, Web Magazine dell'Università degli
Studi di Napoli l'Orientale. Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’intersoggetivo,
la scissione di Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal –
l’innamorato di Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Matassi – la filosofia della seduzione dei giocatori di calcio -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (San Benedetto del Tronto). Filosofo
italiano. Grice: “I like Matassi;
but then I like football – I was the football team captain at Corpus – and aesthesis,
the seductor seduced – “la condizione desiderante” indeed!” Allievo di Garroni,
è stato Professore di Filosofia morale, coordinatore scientifico della sezione
Filosofia, Comunicazione, Storia e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di
Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza
era stato direttore del Dipartimento di Filosofia. Si è occupato anche di
Estetica musicale. È stato Presidente
della Società Filosofica Romana e ha fatto parte del comitato direttivo
nazionale della Società Filosofica Italiana. È stato nel comitato d'onore della Fondazione
Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica di Rapallo, responsabile della
sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro della giunta del CAFIS
dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del Comitato scientifico della
Fondazione Résonnance dell'Losanna. Ha
diretto la collana Musica e Filosofia per la Mimesis Edizioni di Milano e
quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa editrice Epos di Palermo. Ha tenuto
un blog sul "Fatto quotidiano" sui temi che legano la filosofia alle
dimensioni del contemporaneo. Ha collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata
alla filosofia della musica, al mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato
direttore della collana Italiana per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche
membro del comitato scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium
philosophicum, Paradigmi,Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di studi
sartriani, Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera Internazionale,
Phasis, Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et
Humanitas. Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il settore
estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista internazionale
Ad Parnassum.Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la
presidenza di giuria per il Premio Frascati Filosofia. Menzione speciale della giuria all'VIII
premio internazionale di saggistica “Salvatore Valitutti”, per Bloch e la
musica. È stato uno dei principali
collezionisti al mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e
della liederistica di Mahler (circa mille tra vinili e compact disc). Pensiero Si è occupato di filosofia tedesca
dell'Ottocento e del Novecento, in particolare del pensiero di Hegel, delle
scuole hegeliane, del Neocriticismo tedesco, del marxismo occidentale e della
scuola di Francoforte. Il suo primo lavoro è stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di
filosofia del diritto e all'interpretazione fornitane daGans. Si è occupato di Lukács,
iutilizzando per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij"
si è poi occupato di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e
del dialogo Alessio o dell'età dell'oro.
Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia della musica moderna e
contemporanea e in particolare su quella di Bloch, di Benjamin e Adorno, fino ad elaborare un'originale
filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria
musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto
lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia
dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di
una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo
contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella
pratica. All'interno di tale prospettiva
svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli
ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger. Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane
di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli,
Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida);
“Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli,
Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica
(Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli,
Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La
condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo,
Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema”
(Milano, Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo..
In: Du Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c.
di Elio Matassi. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi
Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La
musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario
di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei
Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui
rapporti tra democrazia e capitalismo, Commento al concerto jazz di M. Donà,
"Tutti in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a
misura d'uomo. Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini,
Armando, Roma, RAI Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus
e Inter Il Fatto Quotidiano, s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di G. Anders,
rivista on-line «SWIF-Recensioni filosofiche», M. Latini, Doppia risonanza sul mondo (a
proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a
"Musica". Grice: “Unfortunately, Matassi, being Italian, or an
Italian, is more interested in Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their
coldness, than in Ovid’s ‘ars amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf.
“La palestra di Platone”. Elio Matassi. Matassi. Keywords: la filosofia del
calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars amatoria, desiderio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matassi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Matera – implicatura – I segni del zodiac e la semiotica di Peirce -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Grice: “Only in Southern Italy is a
philosopher also responsible for the astrological edification of the city’s
cathedral!” Uno dei più grandi studiosi e divulgatori di astrologia occidentale
e filosofia dell'epoca. Insegna dapprima a Matera, e successivamente a
Napoli. Vive nel periodo in cui la
Contea materana era dominio degli Angioini e su richiesta di Filippo IV detto
"il bello", il re di Napoli Carlo II d'Angiò, detto "lo
zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne noto come dottore
universale, profondamente versato in filosofia. In quegli anni infatti
astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli astri
potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di soggiorno a
Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra il castello
e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con una casuccia
di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale oggidì si chiama
la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu edificato il
Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava intere notti
ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di Alano è il motto
presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non colpendola due
volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai profitto
studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui invita a
raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo alcuni,
il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e del suo
campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni astronomiche di
Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le vie Salvemini e
Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e baroni della
Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana, Altrimedia, per
i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera M. Morelli, Storia di Matera, ed. F. lli
Montemurro, F. Volpe, Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario
corografico del Reame di Napoli, ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri
di Matera, sassiweb. ntonio Giampietro,
Personaggi della storia materana, Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature,
la collina del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia,
astronomia, dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of
astrology, Grice on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical
chart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mathieu – l’uomo aniamle ermeneutico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varazze). Filosofo italiano. Grice: “There are various
things I love about Mathieu: his idea of the ‘uomo, animale ermeneutico’ is
genial – and true!” Grice: “Mathieu rightly focuses on Kant’s problems with
emergentism, i.e. the fact that life (or ‘vivente’) cannot be reduced. I love
that.” Grice: “Mathieu has emphasised the irreductionism alla Bergson. I like
that.” Grice: “Mathieu makes an apt analogy between Goedel’s work for alethic
systems – that they cannot self-reflect, and deontic systems --.” Dopo il
liceo, si iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo, filosofo rappresentante dello
spiritualismo ced autore di importanti studi su
Kant (un filosofo che sarebbe stato centrale nella vita intellettuale di
Mathieu). Libero docente nella filosofia, è stato professore incaricato,
e Professore di filosofia teoretica a Trieste.
Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia, è stato ordinario di
filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale a Torino -- è
stato membro del Comitato del CNR; è
stato membro e poi vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi).
È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetic; è socio dell'Accademia dei
Lincei e membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan. Ha fondato
con Berlusconi, Colletti ed altri il
movimento politico Forza Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel
collegio di Settimo Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega
Nord), ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo.
Con il sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per
il cui quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel
luglio (in connessione con la sua carica
di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare
l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa
riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus
Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che
aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha
offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca
filosofica: la filosofia della scienza; la storia della filosofia;
l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti
esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come
suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e
sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua
fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa
della conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella
scienza e nella filosofia". Seguendo Bergson, ha valorizzato anche
altre forme della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla
cienza, ma non per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la
realtà, e segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla
scienza, e richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo,
dunque, è chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della
cultura. Sarebbe però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla
filosofia della scienza riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi.
Ad esempio, sono ddue studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di
Gödel al diritto. Gödel aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di
un sistema all'interno del sistema stesso; Mathieu ritiene che, almeno
analogicamente, la scoperta di Gödel possa applicarsi al problema della fondazione
di un sistema deontico. Uun'autorità non può legittimarsi da sola in modo
formale e, dunque, anche il diritto richiede fondamenti esterni (etici, non
emici): l'efficacia e la giustizia. Ha realizzato alcune traduzioni
fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla storia della filosofia è
consistito proprio in un'opera che combina traduzione e ricostruzione critica,
ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta questioni teoriche
tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia teoriche), come il
problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,” cioè il
problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha curato poi
le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro che si è
raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale" "Leibniz e
des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi di
teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del male.”
La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una
problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera
d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini
possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere. Di estetica è "Goethe
e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di
questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua
profondità e capacità genealogica. Nei suoi volumi
sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la
musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che
non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la
musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e
il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia
netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che
potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di
opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che
mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo
valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica
serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria
di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i
rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un
articolo sul Corriere della Sera
rettifica sul Corriere della Sera
smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La
filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino);
“L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza”
(Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di R. M. Rilke, Olschki); “Dialettica
della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero,
Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in
Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio
sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri
swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone Francesco; Melchiorre Virgilio,
Gregoriana Libreria, Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione,
Spirali); “Nazionalismo”; S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia
dei sistemi e origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani,
Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La
fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere,
Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche
dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e
dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché
punire. Il collasso della giustizia penale, Liberilibri, Introduzione a
Leibniz, Laterza, In tre giorni, Mursia,;
La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano Ideazione, il fatto quotidiano. 3del
portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su
archive ostorico.corriere. Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del
bene e del male, la fedelta ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il
demoniaco, l’angelo custode, il demonio custode, il diavolo custode. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Maturi – implicatura – filosofia italiana – l’io e l’altro – io e l’altro – i
duellisti -- Luigi Speranza (Amorosi). Filosofo. Grice: “There are two main
things I love about Maturi, and I hate it when philosophers just dismiss him as
an ‘Italian,’ or worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they refer to me as a
member of the Oxford school of ordinary language philosophy! The first is his
typically Neapolitan-hegelian school account of what he calls ‘autocoscienza
recognoscitiva,’ which is something I do take for granted in my conversational
theory of inter-ratiationality; the second is his elaboration of what he calls
the passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a sort of
pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he considers each
‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates that actually the
‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here ‘foundational’
makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather pompously label
the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly like my soul
progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not surprising
that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to philosophy.” sDocente
prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi studi nella cittadina natale,
si trasferì a Napoli ove conseguì la licenza liceale. La frequentazione di
Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo introdusse alla filosofia
hegeliana destinata ad esercitare nel
suo pensiero un'influenza duratura.
Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo vinse un concorso per
uditore giudiziario. Ottenuta
l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita la
libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando ritornò
all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea.
Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti
dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione
del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is
one. Cf. Strawson, Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.”
Grice: “Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.”
“L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza assoluta di Dio.” Grice: “For
Kant, and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of
my friends, J. F. Thomson, it is!” “Uno
sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept
is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ -- Grice: “My favourite is his description of
the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma
fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When
I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you
mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he
can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days
when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The
‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di
filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy).
Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would
say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or
when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary
principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The
conversationalist like me, I s’ppose.” “Una
relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is
a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario
Biografico degli Italiani, riferimenti in. Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo,
Brescia, Morcelliana, A. Gisondi, Forme dell'Assoluto. Idealismo e filosofia
tra Maturi, Croce e Gentile, Soveria Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni,
"Filosofia hegeliana e religione. Osservazioni", Benevento, ed.
Natan,. Hegelismo Idealismo Neoidealismo
italiano. G. Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Sebastiano Maturi. Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino,
Spaventa, I duellisti, l'io e l’altro – riconoscimento, la dialettica del
signore e del servo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Maturi – filosofia napoletana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo italiano. Grice: “People sometimes asks me how my intentionalist
approach can be applied to history. I always respond: Read Maturi!” Grice:
“Maturi’s ‘Interpretazioni,’ thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic
--.” Grice:: “Even in London, the risorgimento had at least two
interpretations! One in Woolwich, and another one elsewhere! And there is
possibly a gender distinction too with “Speranza,” Wilde’s mother, being
somewhat fanatic about it!” – Compe la sua formazione culturale a Napoli dove
si laureò con Schipa, uno dei firmatari del manifesto degli intellettuali
antifascisti redatto da Croce. Del suo maestro, per la lezione di rigore che
gli aveva impartito, Maturi conservò un commosso ricordo ed ebbe modo di
esprimere pubblicamente la sua gratitudine in occasione della morte di Schipa,
pronunciandone il necrologio. Seguì con attenzione ed interesse, ma anche con
spirito critico, le lezioni di Croce conseguendo una laurea in filosofia con Gentile
con una tesi su Maistre. Impostato sulla lezione crociana è il saggio “La
crisi della storiografia politica italiana” a cui seguì quello dedicato a Gli
studi di storia moderna e contemporanea, inserito nel primo dei due volumi dell'opera
del “La vita intellettuale italiana.” Il suo primo lavoro Il concordato tra la
Santa Sede e le Due Sicilie pubblicato fu giudicato positivamente dalla critica
s di Omodeo che lo recensì ne La Critica. Frequenta la Scuola storica per l'età
moderna e contemporanea diretta da Volpe e fu segretario e bibliotecario
dell'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea. Fu collaboratore
dell'Enciclopedia italiana per la quale scrisse numerose voci tra le quali
quella dedicata al "Risorgimento" ispirata alle sue idee liberali.
A causa di questo episodio, nonostante il suo disinteresse per la vita politica
attiva, fu allontanato dall'Istituto storico per l'età moderna e
contemporanea. Nei suoi saggi di storia politica i suoi punti di
riferimento sono Croce, Meinecke, Salvemini, e Volpe. Dapprima come
incaricato di storia del ri-sorgimento e poi come ordinario tenne le sue
lezioni a Pisa dove ha modo di scrivere numerosi saggi come alcune importanti
voci nel Dizionario di politica a cura del Partito nazionale fascista, il
saggio Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, e l'accurata
biografia Il principe di Canosa. I corsi di storia della storiografia tenuti a
Pisa furono continuati a Torino quando ha la cattedra di Storia del Risorgimento
e quella di Storia delle dottrine politiche che occupa sino alla sua
inaspettata scomparsa. Le sue lezioni di quest'ultimo periodo furono
raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del Risorgimento considerata di
primaria importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni del
Risorgimento, coll. Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia
italiana, Accademia delle scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia
del Risorgimento italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del
Risorgimento. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Walter Maturi.
Maturi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Maurizi – la vendetta di Bacco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Maurizi; of course his ‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of
Nietzsche’s rather recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected
‘I’’ is good, but he is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è
laureato in filosofia della storia presso l'Università degli Studi di Roma
"Tor Vergata" e ha conseguito il dottorato di ricerca nella medesima
università discutendo una tesi su Cusano e il concetto di non altro da cui è
nato il volume La nostalgia del totalmente non altro. Cusano e la genesi della
modernità (Rubbettino). Dopo un periodo di formazione in Germania attualmente
svolge la sua attività di ricerca presso l'Università degli Studi di Bergamo.
Pubblica le sue ricerche su alcune prestigiose riviste come la Rivista di
filosofia neo-scolastica, il Journal of Critical Animal Studies, Dialegesthai,
Alfabeta, Lettera Internazionale, e collaborando, inoltre, con i quotidiani
Liberazione e L'Osservatore Romano. Ha poi partecipato alla stesura del secondo
volume di L'Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico (Jaca Book, )
ed è il traduttore e curatore dell'edizione italiana di Georg Lukács, Coscienza
di classe e storia. Codismo e dialettica, Alegre, Roma di Ralph Acampora,
Fenomenologia della Compassione, Edizioni Sonda, Casale Monferrato,, e ha
tradotto, con G. Dalmasso, Derrida,
Teoria e prassi. Corso dell'École Normale Supérieure Jaca Book, Milano,. Ha
contribuito alla fondazione delle riviste scientifiche "Liberazioni"
e Animal Studies. Rivista italiana di antispecismo. Pensiero Maurizi ha
suddiviso i suoi interessi di ricerca tra la filosofia dialettica (Cusano,
Hegel, Marx, Adorno), la teoria critica della società e le implicazioni
politiche di una visione "sociale" dell'antispecismo a partire da una
rielaborazione del pensiero della scuola di Francoforte. Tanto le sue ricerche
su Adorno, quanto quelle su Cusano si incentrano sul tentativo di porre in
evidenza il tema della storicità dell'umano non in termini di un astratto e
formale "essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere
nell'essere storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di
verità dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni
ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un
relativismo storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di
Hegel portata avanti da Adorno, infatti, Maurizi sostiene la leggibilità e
razionalità della storia come segno del dominio, l'universale storico non come
traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle
vicende umane, bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà,
imprimendo ad essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale
che è l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della
filosofia di Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una
ridefinizione dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la
critica ai meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non
umano, e più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia
antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed
in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da Maurizi come
un antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di
Marco Maurizi, che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri
teorici dei diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini
storico-sociali dello specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista»,
secondo Maurizi, consiste quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta
di campo: sottolineare come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile
di ogni ipotesi di trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi
l'antispecismo è dunque essenzialmente politico
e non possiamo affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la
questione animale da una prospettiva astrattamente morale. All'attività di
filosofo, Maurizi ha così affiancato quella di attivista per i diritti animali,
intrecciando l'attività speculativa con quella politica; risultato di questa
attività è il libro Al di là della Natura: gli animali, il capitale e la
libertà (Novalogos, ). Maurizi è stato inoltre fondatore delle riviste di
critica antispecista Liberazioni e Animal Studies, della rivista online Asinus
Novus che prende il nome dal suo breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere
dell'umanità (Ortica, ). Nel
l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie alcuni suoi scritti che
rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero sulla filosofia
antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia Veritas, ). Sulla
scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato sulla filosofia
della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie sull'antispecismo
politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo Guadagnucci
Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre di Mezzo, ),
da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und Tier in der
Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e altri autori
della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del non-identico,”
Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della modernità,
Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la libertà,”
Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica, “Cos'è
l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra
psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’
– “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra
specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del
progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” -- la musica contemporanea da Schönberg ai
Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il
Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. Maurizi su questi
temi per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo Intervista su questo tema a cura del
collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. Maurizi La genesi dell'ideologia
specista in Liberazioni:/ M. Per una cultura antispecista in Asinus Novus:
rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress.com.
Intervento M. per il primo convegno nazionale antispecista:
youtube.com/watch?v= JwZiW4ngrag
Intervista a M. e Caffo sulle nuove prospettive dell'animalismo: youtube
Testo recensito da L. Pigliucci per la rivista "Lo Straniero" di
Aprile: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress.com.Intervista di F. Pullia
sul quotidiano "Notizie Radicali" Una recensione del testo: Copia
archiviata, su asinusnovus.wordpress B. Le GocM. M., Musica per il pensiero.
Filosofia del progressive italiano, Mincione, Roma. Antispecismo Diritti degli animali Scuola di
Francoforte. Asinus Novus. Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal
Studies. Rivista Italiana di Antispecismo, su rivistaanimalstudies.wordpress. Marco
Maurizi. Maurizi. Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Maurizi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mazio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Gaio Mazio – Friend of Giulio Cesare and Cicerone.
He wrote on food and trees and took an interest in philosophy of the Garden.
Grice e
Mazzarella – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo italiano. Grice: “I love Mazzarella’s ‘necessary word’ – not precisely
what I was thinking when philosophising about conversation, but for Mazzarella,
the conversational motivation is to HELP in the most authentic fashion –
Compared to his ‘parola necessaria,’ my principle of conversational
helpfulness, while based in part in the desideratum of conversational
benevolence, looks pretty lame!” -- Grice: “I like Mazzarella. The fuss he
makes in translating Heidegger, whom I have elsewhere called ‘the greatest
living philosopher’ – he was living then –.” Grice: “Mazzarella, who is relying
on somebody else’s translation, is especially focused on Heidegger’s Latinate
‘fakt.’ From ‘Fakt,’ Heidegger gets an abstract noun. But he also uses the
Germanic for ‘deed.’ Relying on the cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ –
cognate itself with ‘effetto,’ Mazarella agrees that the translation goes from
‘factivity’ to ‘effectivity.’ And it should inspire all philosophers into
seeing how similar these two concepts are – if indeed two concepts they are,
seeing that they come from the same Roman root! But M. would know that – you
wouldn’t!” – Professore a Napoli, è tra i principali interpreti di Heidegger.
Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico. Dopo essersi laureato presso l'Università
degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la sua attività di
ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In
seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila.
Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania
e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore
straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero
dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli “Federico
II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico
II” e cura la programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di
Lettere e Filosofia, di cui è Preside. Deputato del Parlamento italiano,
divenendo componente della VII Commissione Cultura della Camera. Opere In una delle sue opere principali,
Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella indaga i processi decostruttivo-ermeneutici
sottintesi all'heideggeriana storia della metafisica occidentale, fino a
formulare un'ipotesi "ecologica"(in senso originario, come pensiero
relativo all'abitare dell'uomo) relativa alle interpretazioni del "logos"
eracliteo e della categoria aristotelica della "physis" riscontrate
nei saggi successivi alla cosiddetta "svolta" del pensiero di
Heidegger. In Vie d'uscita. L'identità
umana come programma stazionario metafisico, le aporie di una metafisica del
fondamento sono affiancate alla dimensione tecnica della contemporaneità,
intesa storicisticamente come epoca del compimento del nichilismo. Centrale
diventa l'idea di un "essere-alla-vita", categoria che richiama in
modo lampante l'"essere-nel-mondo" di heideggeriana memoria; le
questioni teoretiche vengono così ridotte a questioni etiche riguardanti
un'ontologia minima, ove la filosofia prima si trasformi in filosofia seconda,
lasciando il posto ad un programma metafisico-antropologico di custodia e
mantenimento della e nella propria epoca. L'essere-alla-vita necessita di
intendere la cultura come “endiadi di natura e storia, ma in questa endiadi
natura prima ancora che storia”. Pensare
e credere. Tre scritti cristiani rappresenta un altro orizzonte del pensiero di
Mazzarella; il rapporto tra religione rivelata e filosofia si gioca sullo
sfondo di una prospettiva storicista di matrice diltheyana, sebbene non siano
esenti dalla riflessione Hegel, Schelling e la teologia dialettica
contemporanea. Interessante è la prospettiva di una religione come
"integrazione" e apertura all'amore fraterno, configurato nel
concetto di "agape". I suoi
scritti sono in ogni caso contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di
pensiero napoletana, sorta sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa
di temi propri dello storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia
della vita). In un dialogo costante con
i teologi più liberali e moderni, quale ad es. Bruno Forte, M. si è occupato
specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della
vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e vita). In Opera media ha inoltre messo in luce un
talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica
e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato
singoli componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città
di Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al
Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato. Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger
(Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli);
“Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano,
Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a
history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of
philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della
metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy,
and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” -- “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive
ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is exploring
the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia
e teo-logia” -- di fronte a Cristo (Cronopio,
Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger
oggi, M., Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia, “Vie
d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo,
Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia,
Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire
comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo
che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica,
in Amato, Catena, Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di Eugenio Mazzarella265,
Napoli, Guida, Archivio degli articoli
di Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net". Curriculum vitae,
pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università degli Studi di
Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he calls himself a
Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” – Eugenio Mazzarella. Mazzarella.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mazzei – implicatura –
filosofia italiana – filosofia toscana – filosofia fiorentina -- Luigi Speranza
(Poggio a Caiano).
Filosofo italiano. Grice: “Not every philosopher has a city,
‘Colle,’ named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a
philosopher, but the Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there
is a good wine, “Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas,
transplanted a grape from his paese – the descendants still grow it! In oltre,
he was influential in the ‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone
e cadetto di una nobile famiglia toscana di viticoltori, probabilmente
risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI secolo, fu personaggio
energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle libertà individuali, dei
diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una vita avventurosa e
movimentata, con alterne fortune economiche. Sebbene sia sconosciuto al
grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra d'indipendenza americana
come agente mediatore all'acquisto di armi per la Virginia, ed è ritenuto dagli
storici uno dei padri della Dichiarazione d'Indipendenza americana, in quanto
intimo amico dei primi cinque presidenti statunitensi: George Washington, John
Adams, James Madison, James Monroe e soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu
ispiratore, vicino di casa, socio in affari e con cui rimase in contatto
epistolare fino alla morte. Iniziato alla Massoneria, fu poi spettatore
privilegiato della rivoluzione francese. La sua figura storica è riemersa
alla fine Professoregrazie all'infittirsi degli studi accademici in occasione
del bicentenario della rivoluzione americana, fino ad essere onorato in
occasione del 250º anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione
filatelica congiunta speciale delle poste italiane e statunitensi. Dopo
gli studi compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il
fratello maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a
Pisa e poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo
solo due anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a
seguito di un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo
irto di difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento
dell'italiano, riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il
commercio dei prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi
lentamente nei salotti dell'alta borghesia londinese. Una breve parentesi
italiana si concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di
una denuncia al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri
proibiti”. L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il
Mazzei, ben tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù
nella realtà italiana. La Rivoluzione americana In questi circoli
londinesi Filippo Mazzei conobbe Benjamin Franklin e Thomas Adams, che da lì a
pochi anni sarebbero stati tra i protagonisti della rivoluzione
americana. Le colonie americane si autogovernavano, perlomeno sulle
questioni locali, tramite assemblee di delegati liberamente eletti dai
capifamiglia, e l'ordinamento giuridico era ispirato al meglio della
legislazione inglese, che pure in quegli anni era probabilmente la più
avanzata, garantista e liberale che esistesse. Invitato dagli amici
d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita forma di governo, ma
soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla prospettiva di
impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, Mazzei si trasferì in
Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si unirono
anche una vedova Maria Martin, che egli sposò nel 1778, e l'amico Carlo Bellini
che tra il 1779 e il 1803 sarebbe divenuto il primo insegnante di italiano
in un'università americana, il College of William and Mary in Virginia.
Inizialmente diretto in altro sito, Mazzei si fermò presso la tenuta di
Monticello per incontrare Thomas Jefferson, con il quale già intratteneva
rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto a
trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km² della sua tenuta in
favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il nome
deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso ad esempio la
campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata. Lo univa a
Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella
colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di
una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per
oltre 40 anni. Il livello delle frequentazioni americane trascinò
velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nella vita
politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di veementi libelli
contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed
all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo
stesso Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare
successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione
d'indipendenza degli Stati Uniti d'America. Eletto speaker dell'assemblea
parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di
esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio,
composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo
scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates
in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle
alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea
della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come
bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della
Virginia. La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci
economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati
particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva
distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta
fatica. Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime
ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e
Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere
informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione. In questo
periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti
commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu
ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia. Rientrato in Virginia
nel 1783, con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette
I'incarico di amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo
nel 1785 lasciò per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque
contatti epistolari con molti di quelli che sono definiti “padri della patria”
statunitensi e in particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare
successivamente a Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del
Colle, che Mazzei aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al
di lei marito, il francese Justin Pierre Plumard, Comte De Rieux. La
Rivoluzione francese e le vicende europee Targa a Pisa, sulla casa in cui
morì/ A Parigi pubblicò una voluminosa opera in quattro volumi Recherches
historiques et politiques sur les États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si
trattava della prima storia della rivoluzione americana pubblicata in francese.
L'opera è tuttora una preziosa fonte di informazioni sul movimento che innescò
la rivoluzione americana. Il successo del libro e la notorietà delle sue
idee, uniti alla costante attività di propaganda a favore dei neonati Stati
Uniti d'America, lo fece venire in contatto con re Stanislao Augusto di
Polonia, illuminato sovrano liberale, di cui divenne prima consigliere e poi
rappresentante a Parigi. Da questa posizione privilegiata poté seguire la
rivoluzione francese, di cui condannò la deriva giacobina. Preso atto della
rovina economica, nel 1791 si trasferì a Varsavia, assumendo la cittadinanza
polacca e contribuendo alla stesura della costituzione. Dopo un anno passato
a Varsavia, a seguito della spartizione della Polonia nel 1792 rientrò
definitivamente in Toscana, stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da
cui ebbe una figlia, Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe
repubblicane francesi a Pisa e poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur
senza danni nei successivi processi intentati dal bargello ai liberali pisani
che si riunivano durante la breve occupazione al Caffè dell'Ussero sul
lungarno. Ultimi anni Mazzei visse quietamente altri 17 anni, dedicandosi
ai propri studi di orticoltura e limitandosi a frequentare una ristretta
cerchia di salotti praticati da giovani liberali, di cui era ispiratore. In
conseguenza del dissolvimento della Polonia operata da Russia e Prussia nel
1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti della corte polacca e Mazzei poté
fruire di un vitalizio. Mazzei rimase sempre nostalgico della Virginia e dei
suoi amici americani, che ne auspicavano il ritorno e con i quali mai
interruppe il contatto epistolare. Nonostante i ripetuti progetti di un viaggio
in America, Mazzei non fu mai capace di affrontare questa nuova avventura. Ebbe
modo di assistere all'ascesa e alla caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le
proprie memorie, pubblicate nel 1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a
Pisa. Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma:
Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche
storiche sull’America” (Firenze, Ponte
alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del
commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie
Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le
istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor
Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante
la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione
Francese”“La vita avventurosa di M,” Cassa di Risparmi e Depositi, Prato. Marchione
Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A inizio degli
anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua figura è
circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la bandiera
statunitense, adottata dal Congresso un
anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza. La suggestione nasce dall'importanza
che l'alternanza dei colori rosso e bianco ha nell'araldica toscana e non solo
e di cui un esempio famoso è l'insegna di Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver
discusso anche di araldica con gl’americani. Le radici storiche della bandiera
americana sono, in realtà, nella Grand Union Flag. In suo ricordo è stato
istituito il premio The Bridge. La cerimonia è stata istituita a Roma per
celebrare un toscano che insieme ai padri costituenti degli Stati Uniti
d'America da vita alla stesura della dichiarazione d'indipendenza. Sua era la
frase. Tutti gli uomini sono per natura liberi ed indipendenti. Russo, Nasce a
Firenze un museo che racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze,
Riferito al museo dedicato alla storia della Massoneria in Italia. Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo,
Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante
italiano a Londra, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi
Andrea, L. Corsetti, L. Stadio, Mostra di cimeli e scritti, catalogo della
mostra a cura di, Poggio a Caiano, palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano.
Camajani Guelfo Guelfi, un illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore,
giornalista, diplomatico, Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele,
Lettere alla corte di Polonia Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi
Renzo, Avventuriero della Libertà, con scritti di Marchione e Tortarolo, Poggio
a Caiano, C.I.C. Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio
Luigi, Tra pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano,
Biblioteca Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei
tre mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America.
Vita e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba
bestie e uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano,
Gradi Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Giovanni,
Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Giancarlo,
Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze: Bonechi,Tognetti Burigana
Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico; esperienze del
cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, Tortarolo Edoardo,
Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di Filippo Mazzei, Milano,
Angeli, Łukaszewicz, M., Mazzini; saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo
Rivoluzione americana Rivoluzione francese Franklin Henry Jefferson Mason Monroe
William Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori degli Stati Uniti
d'America Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti. Treccani
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Jefferson, e Vigo (video), su youtube.com. Jefferson
Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo Filippo Mazzei Pisa, su circolo filippomazzei.net.
Mazzei, chi era costui?, su mltoscana. blogspot.com.
Clan Libertario Toscano Filippo Mazzei, su mltoscana. blogspot.com. Il circolo
Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson Mazzei, I
processi contro ed i liberali pisani, su
idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org. famous americans. net. Another Site about
P.Mazzei and other famous Italian American, su Cleveland memory.org. Mazzei, Thomas Jefferson e gli scultori
carraresi per la costruzione del Campidoglio degli Stati Uniti di Nicola Guerra
su farefuturofondazione. premio Filippo mazzei. com. Memorie della vita e delle
peregrinazioni del fiorentino. Grice: “The more
Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake patriotic
prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the less I am
leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a vengeance!” – Grice:
“As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and to mine!” -- Filippo
Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la rivoluzione
del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Grice e
Mazzini – la giovine italia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova).
Filosofo italiano. Grice: “Of course it is difficult for an
Italian philosopher to approach the philosophy of Mazzini cooly; it would be
like me approaching the philosophy of Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve found ‘Il
pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini’ quite helpful – the equivalent would
be the pretentious sounding, “The philosophical thought of Sir Winston
Churchill,’ say!” -- Grice: “Luigi
Speranza loves to cherish the fact that an old street in Woolwich, of all
places, is named after him, in a way ‘Speranza,’ just because Garibaldi
visited!” Grice: “Luigi Speranza also cherishes the fact that Lady Wilde
preferred ‘Speranza’ just to defend Mazzini!” Esponente di punta del
patriottismo risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica contribusceno
in maniera decisiva alla nascita dello STATO UNITARIO ITALIANO. Le condanne
subite in diversi tribunali d'Italia lo costringeno però alla latitanza fino
alla morte. Le teorie mazziniane sono di grande importanza nella definizione
dei moderni movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la
forma repubblicana dello stato. Nacque a Genova, allora capoluogo dell'omonimo
dipartimento francese costituito da parte del regime di Bonaparte. Il padre,
Giacomo, e medico e docente universitario d'anatomia originario di Chiavari,
una cittadina del Tigullio all'epoca capoluogo del dipartimento francese degli
Appennini, successivamente parte della provincia di Genova, figura
politicamente attiva nella scena pubblica locale, sia durante l'epoca della
precedente repubblica ligure, sia, in tempi successivi, dell'Impero
napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una fervente giansenista originaria di Pegli,
un comune autonomo, accorpato nel comune di Genova, fu molto legato per tutta
la vita. Affettuosamente chiamato "Pippo" dalla famiglia, una volta
terminati gli studi superiori presso il cittadino Liceo classico Cristoforo
Colombo, si iscrisse a Genova. Si segnala per la sua ribellione ai regolamenti
di stampo religioso che imponeno di andare a messa e di confessarsi. E arrestato
perché, proprio in chiesa, si rifiuta di lasciare il posto a un generale
austriaco. Lo appassiona la letteratura: si innamorò delle letture di Goethe,
Shakespeare e Foscolo (pur senza condividerne la filosofia materialista),
restando così colpito dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire
sempre di nero, in segno di lutto per la patria oppressa. La passione per
la letteratura, insieme a quella per la musica (e un abile suonatore di
chitarra), la ha per tutta la vita:
oltre agli autori citati, lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti
romantici come Byron, Shelley, Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas
padre e le sorelle Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova
dei federati piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in
lui il pensiero che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della
patria. Cominciò ad esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma
l'attività che lo impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore
genovese, sul quale inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La
censura lascia fare per un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il
saggio, “Dell'amor patrio d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”.
Entra nella carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina. Ho
a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo
tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un
brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta,
ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante,
infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini. (Klemens
von Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per la sua attività cospirativa e
arrestato su ordine di Felice di Savoia e detenuto a Savona nella Fortezza del
Priamar. Durante la detenzione idea e formula il programma di un nuovo
movimento politico chiamato “Giovine Italia” che, dopo essere stato liberato
per mancanza di prove, presenta e organizzò a Marsiglia dove e costretto a
rifugiarsi in esilio. I motti dell'associazione erano Dio e popolo e unione,
forza e libertà e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica
repubblica con un governo centrale quale sola condizione possibile per la
liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. Il progetto federalista
infatti, poiché senza unità non c'è forza, ha fatto dell'Italia una nazione
debole, naturalmente destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei
vicini. Il federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto
risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che
avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia medioevale. L'obiettivo
repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione
popolare condotta attraverso una guerra per bande. Durante l'esilio in Francia,
ha una relazione con la nobildonna repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli, vedova
di Giovanni Sidoli, ricco patriota di Montecchio Emilia. Giuditta aveva
condiviso con il marito la fede politica che, portandolo a cospirare contro la
corte estense, aveva costretto la coppia a esiliare in Svizzera. Colpito da una
grave malattia polmonare, muore a Montpellier. Poiché la vedova non aveva
ricevuto alcuna condanna, ritorna a Reggio Emilia presso la famiglia del marito
con i suoi quattro figli: Maria, Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento
dei moti dove fuggire in Francia dove conobbe Mazzini a cui si legò
sentimentalmente. Dopo il vano tentativo del 1831 di portare dalla parte
liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la celebre lettera firmata
"un italiano", il 26 ottobre 1833, insieme a Pasquale Berghini e
Domenico Barberis, Mazzini fu condannato in contumacia a "morte
ignominiosa" dal Consiglio Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior
generale Saluzzo Lamanta. La condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo
Alberto decise di concedere un'amnistia generale. Rifugiatosi nella cittadina svizzera di Grenchen, nel
canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale
che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne
l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane
profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però
dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette
lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni
Ruffini. Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove Mazzini raccolse
attorno a sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia,
dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani;
qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley
(vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron,
idolo di gioventù di Mazzini), il filosofo ed economista John Stuart Mill,
Thomas Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che
finanziò la sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a
Mazzini. Nello stesso quartiere di Mazzini visse anche Karl Marx. Durante
il soggiorno londinese Mazzini ebbe una lunga relazione di amicizia con la
famiglia Craufurd, documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a
Londra ebbe rapporti con la famiglia di William Henry Ashurst e con il genero
di questi, il politico britannico James Stansfeld, la cui consorte Caroline
Ashurst Stansfeld era sostenitrice della società "Society of the Friends
of Italy". Per la causa dell'unificazione italiana Mazzini collaborò anche
con il secolarista George Holyoake. Fondò poi altri movimenti politici
per la liberazione e l'unificazione di vari stati europei: la Giovine Germania,
la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa. Quest'ultima, fondata nell'aprile
1834 a Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri, aveva tra i suoi
principi ispiratori la costituzione degli Stati Uniti d'Europa. In questa
occasione Mazzini estese dunque il desiderio di libertà del popolo italiano
(che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni europee.
L'associazione rivoluzionaria europea aveva come scopo specifico l'agire dal
basso in modo comune e, usando strumenti insurrezionali e democratici,
realizzare nei singoli stati una coscienza nazionale e rivoluzionaria. Sulla scia
della Giovine Europa Mazzini nel 1866 fonda anche l'Alleanza Repubblicana
Universale. Il movimento della Giovine Europa ebbe anche un forte ruolo
di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di numerose
mazziniane, tra cui la citata Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio di
Belgiojoso e Giorgina Saffi, la moglie di Aurelio Saffi, uno dei più stretti
collaboratori di Mazzini e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo
politico. Mazzini continuò a perseguire il suo obiettivo dall'esilio e tra le
avversità con inflessibile costanza, convinto che questo fosse il destino
dell'Italia e che nessuno avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua
perseveranza, l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica.
Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali Mazzini era stato a capo
della breve Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i
nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel
suo Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di
riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla
riforma sociale e politica invocata da Mazzini. Cavour fu abile nello stringere
un'alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono
alla nascita dello STATO ITALIANO ma la natura politica della nuova compagine
statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana. A Londra, nel 1850,
per reagire alla caduta della Repubblica Romana e in continuità con essa,
Mazzini fondò il Comitato Centrale Democratico Europeo e il Comitato Nazionale
Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le cui cartelle portavano
appunto lo stemma della Repubblica romana del 1849 e l'intitolazione del
prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e l'unità d'Italia».
A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli ex triumviri
Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia Montecchi. La
diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata conseguenza
la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto a
Mantova.. Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al
nuovo parlamento di Firenze. Mazzini era candidato, nel secondo collegio, ma
non poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo
due condanne a morte: una inflitta dal tribunale di Genova per i moti (in primo
grado e in appello); un'analoga condanna a morte era stata inflitta dal
tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III.
Inaspettatamente, Mazzini vinse con larga messe di voti (446). Il 24 marzo,
dopo due giorni di discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle
condanne precedenti. Il letto di morte di Mazzini, distrutto dagli
aerei degli Stati Uniti durante il bombardamento di Pisa del 1943
Maschera mortuaria di Mazzini, gesso, Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli
elettori del secondo collegio di Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo
Mazzini. La Camera, dopo una nuova discussione, il 18 giugno riannullò
l'elezione. Il 18 novembre Mazzini viene rieletto una terza volta; dalla
Camera, questa volta, arrivò la convalida. Mazzini, tuttavia, anche nel caso
fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise di rifiutare la carica per non
dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la costituzione dei monarchi
sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e continuò a lottare per gli
ideali repubblicani. Nel 1868 lasciò Londra e si stabilì in Svizzera, a
Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due condanne a morte inflitte al
tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté rientrare in Italia e, una
volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione di moti popolari in appoggio
alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto partì in nave per la
Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in arresto (la
quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere militare di Gaeta. Partito
da Basilea e in viaggio nel passo del San Gottardo, conobbe in una carrozza
Friedrich Nietzsche, allora poco conosciuto filologo e docente. Questo incontro
sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche anni dopo. Costretto di nuovo
all'esilio, riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome di Giorgio Brown
(forse un riferimento a John Brown) a Pisa. Qui, malato già da tempo, visse
nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli, antenato dei fratelli Rosselli
e zio della moglie di Ernesto Nathan, fino al giorno della sua morte, avvenuta
il 10 marzo dello stesso anno, quando la polizia stava ormai per arrestarlo
nuovamente. Traversie della salma Mazzini morente, Silvestro Lega
La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo
corpo fu imbalsamato dallo scienziato Paolo Gorini, appositamente fatto
accorrere da Lodi su incarico di Agostino Bertani: Gorini disinfettò la salma
per permettere l'esposizione. Una folla immensa partecipò ai funerali, svoltisi
nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo, accompagnando il feretro al
treno in partenza per Genova, dove venne sepolto al Cimitero monumentale di
Staglieno. Le esequie furono accompagnate dalla musica della storica
Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo. Successivamente Gorini ricominciò a
lavorare sul corpo di Mazzini, onde pietrificarlo secondo la sua tecnica di
mummificazione; terminò il lavoro qualche anno dopo. Avvenne la ricognizione
della mummia, che fu sistemata ed esposta al pubblico in occasione della
nascita della Repubblica Italiana[26]: da allora riposa nuovamente nel
sarcofago del mausoleo. Mausoleo Benché sia incerta l'affiliazione di
Mazzini alla Massoneria fu l'associazione stessa a commissionare il mausoleo
all'architetto mazziniano Gaetano Vittorino Grasso che lo realizzò in stile
neoclassico adornandolo con alcuni simboli massonici. Il sepolcro reca
all'esterno la scritta "Giuseppe Mazzini" e all'interno sono presenti
numerose bandiere tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi
mazziniani o da personalità come Carducci. Sulla lapide è scolpita la scritta
"Giuseppe Mazzini. Un Italiano" che era la firma da lui apposta nella
lettera a Carlo Alberto, e l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai secoli,
l'anima all'umanità. Testimonianze di alcuni personaggi storici e una
corrispondenza dello stesso Mazzini, citati nell'opera dello studioso Luigi
Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente Mazzini, a differenza di altri
celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi, non sia mai stato affiliato alla
massoneria, anche se questa ha ripreso molti degli ideali mazziniani, simili ai
suoi. La principale obbedienza italiana, l'unica attiva all'epoca di
Mazzini in Italia, il Grande Oriente d'Italia, afferma l'impossibilità di
provare l'appartenenza di Mazzini, che pure ebbe influenza nella società, anche
se non partecipò mai alla vita dell'associazione, occupato com'era nella causa
della "sua" società segreta, la Giovine Italia. In effetti Mazzini fu
carbonaro, ma la Carboneria fu presto distinta dalla massoneria.[30]
Indro Montanelli afferma invece che probabilmente Mazzini fu massone. Dello
stesso parere è Massimo Della Campa, che in una "Nota su Mazzini" fa
riferimento al libro dell'ex-Gran Maestro del grande Oriente d'Italia Giordano
Gamberini, Mille volti di massoni (Ed. Erasmo, Roma), che a119 scrive a
proposito di Mazzini: «Iniziato nel 1834 a Genova, secondo G. Fazzari e F.
Borsari (Luce e concordia, dispense 3 e 4, pag. 23, colonna III). Ricevette dal
Fr. Passano il 32° grado del R.S.A.A., necessario per corrispondere in
Carboneria al livello di Vendita Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto
del S. C. di Palermo il 18 giugno 1866 ricevette l'aumento di luce al 33° grado
e la qualifica di membro onorario del medesimo Supremo Consiglio. Fu membro
onorario delle LL. Lincoln di Lodi e Stella d'Italia di Genova. Scrivendo a
Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i segni massonici. Nessun contemporaneo
mise mai in dubbio l'appartenenza di Mazzini alla Massoneria.» Mazzini
stesso sembrerebbe però smentire la sua partecipazione all'associazione in una
lettera al massone Campanella, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio
del Rito scozzese antico ed accettato di Palermo, in cui, restituendogli le
carte che questi gli aveva fatto recapitare scriveva. La Massoneria accettando
da anni e anni ogni uomo, senza dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta
assolutamente inutile a ogni scopo nazionale. Per farne qualche cosa
bisognerebbe prima una misura d'eliminazione ed una di revisione delle file,
poi una formula nazionale o politica per l'iniziazione... Chi vuol intendere intenda.
La patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo» (Giuseppe Mazzini, Ai
giovani d'Italia) Per comprendere a pieno la dottrina politica di Mazzini
bisogna rifarsi al pensiero religioso che ispira il periodo della Restaurazione
seguito alla caduta dell'impero napoleonico. Nasce allora una nuova concezione
della storia che smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli
uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della
Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini
si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla
realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del
Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che, mirando alla
realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni, aveva determinato
invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di
nazionalità. Secondo questa visione romantica dunque la storia non è
guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia; esisterebbe dunque una
Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli
uomini si propongono di conseguire con la loro meschina ragione. Da questa
concezione romantica della storia, intesa come opera della volontà divina si
promanano due visioni contrapposte: una è la prospettiva reazionaria che vede
nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che
metta fine alla storia degli uomini. Napoleone I è stato, con le sue
continue guerre, l'Anticristo di questa apocalisse: Dio segnerà la fine della
storia malvagia e falsamente progressiva e allora agli uomini non rimarrà che
volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato
realizzato. Si cercherà dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è
accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato. La
concezione reazionaria contro cui Mazzini combatté strenuamente assume un aspetto
politico-religioso che troviamo nel pensiero di François-René de Chateaubriand
che nel Génie du christianisme (Genio del Cristianesimo) attaccava le dottrine
illuministiche prendendo le difese del cristianesimo e soprattutto
nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de Maistre, che arriva nell'opera
Du pape (Il papa) al punto di auspicare
un ritorno dell'alleanza tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle
comunità medioevali protette dalla religione tradizionale contro le insidie del
liberalismo e del razionalismo. Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente
dalla stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che
potremo definire liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta,
nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia
una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro
presunzione di creatori di storia. È questa una visione provvidenziale,
dinamica della storia che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo
cristianesimo per una nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo
una forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi
che è presente in Italia nell'opera letteraria di Alessandro Manzoni e nel
pensiero politico di Gioberti con il progetto neoguelfo e nell'ideologia
mazziniana. Concezione mazziniana «Costituire l'Italia in Nazione Una,
Indipendente, Libera, Repubblicana» (G. Mazzini, Istruzione generale per
gli affratellati nella Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svgMazzinianesimo.
Dio e popolo «Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come
partito religioso. L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza
e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria
origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori
d'un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario.
Il pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie
di romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione del
1830 ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli
ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato
prerivoluzionario e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare
un compromesso con l'età trascorsa. Alcuni storici hanno fatto risalire
la concezione religiosa di Mazzini all'educazione ricevuta dalla madre fervente
giansenista (almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed
evangelici) o ad una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate
ma, secondo altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella
di nessuna religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per
alcuni tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi
della religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio
panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la
laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se,
come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la
sua concezione teologica da quella politica)[40] e l'assenza di intermediari
tra Dio e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e
italiana, define il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso
sulla sua concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la
religione CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma,
antica e pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale,
prepara il campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico,
che e fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Berto Ricci
-- e dalla massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo
anche al culto massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta
non solo l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli
ebbe con altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo («...L'ateismo, il
materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e
sorgente del Dovere per tutti...»[46]), ma anche il trascendente, in favore
dell'immanente: egli crede nella reincarnazione[47], per poter migliorare di
continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta
probabilmente da Platone o dalle religioni orientali come l'induismo e il
buddismo, religioni alle quali Mazzini si era interessato.[48] Giuseppe
Mazzini e Gioacchino da Fiore Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari
delle società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate
calabrese Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia riguardante l'avvento
della Terza Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia
che sarebbe rinata, libera dalle dominazioni straniere[50], come la nazione che
avrebbe esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa
cattolica: tema questo poi ripreso da Vincenzo Gioberti nel suo Primato morale
e civile degli Italiani. Mazzini ebbe grande interesse per Gioacchino
tanto da volergli dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per
uno studio storico sull'abate Gioacchino], che considerava un suo precursore
per gli ideali sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e
storica. Religione civile La sua è stata anche definita una religione
civile dove la politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si
incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la
Legge che nel Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è Dio, e l'Umanità
è il suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla terra e vi è«un
Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il
nostro mondo è raggio e l'Universo una incarnazione».[38] Per lui non conta che
la sua intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che
è invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi
non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come
negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica,
«l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei
suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse ormai presente nella
storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità
nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo
significava per il Mazzini collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere
ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per questo
bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di
premio, senza calcoli di utilità. Quello di Mazzini era un progetto politico,
ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità
avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico
e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava
l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in ordine
stabile.».[53] La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva
rivelazione della Provvidenza divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la
meta predisposta da Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi
l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero
l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano».
Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione
che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del
popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso
due fasi: Patria e Umanità. Patria e umanità Targa in onore di
Mazzini sulla casa londinese Senza una patria libera nessun popolo può
realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo
obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli
sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il
banchetto delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella
confederazione europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe
esercitato il suo primato egemonico di Grande Nation. La futura unità
europea non si realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una
nobile emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà. Il
processo di costruzione europea, secondo Mazzini, doveva svolgersi prima di
tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti
parte dell'Impero asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora
raggiunto la loro unità nazionale. Iniziativa italiana In questo processo
unitario europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire,
conquistando la sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità: la
redenzione nazionale italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al
di fuori di ogni inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di
tipo cavouriano. L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità
tra i popoli e non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia,
consisterà quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta
delle due colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero
Asburgico e di quella spirituale della Chiesa cattolica. Raggiunti gli
obiettivi primari dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e
l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di Pensiero ed azione,
l'Italia darà quindi il via a questo processo di unificazione sempre più vasta
per la creazione di una terza civiltà formata dall'associazione di liberi
popoli. Funzione della politica Il mausoleo di Giuseppe Mazzini nel
cimitero monumentale di Staglieno, realizzato dall'architetto mazziniano Gaetano
Vittorino Grasso. La politica è scontro tra libertà e dispotismo e tra queste
due forze non è possibile trovare un compromesso: si sta svolgendo una
guerra di principi che non ammette transazioni; Mazzini esorta la popolazione a
non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti gestiti
dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà e
quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno. La logica della politica
è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze reazionarie;
contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria: alla testa del
popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più sopportare il giogo
dell'oppressione) e i giovani (che non possono più accettare le anticaglie
dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare alla Repubblica, la quale
garantirà l'istruzione popolare. La rivoluzione, che è anche pedagogico
strumento di formazione di virtù personali e collettive, deve iniziare per
ondate, accendendo focolai di rivolta che incitino il popolo inconsapevole a
prendere le armi. Una volta scoppiata la rivoluzione si dovrà costituire un
potere dittatoriale (inteso come potere straordinario alla maniera dell'Antica
Roma, non come tirannide) che gestisca temporaneamente la fase
post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al popolo non appena il fine
della rivoluzione verrà raggiunto, il prima possibile. La Giovane Italia
deve educare alla gestione della cosa pubblica, ad essere buoni cittadini, non
è, perciò, esclusivamente uno strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il
popolo deve avere diritti e doveri, mentre la Rivoluzione Francese si è
concentrata esclusivamente sui diritti individuali: fermandosi ai diritti
dell'individuo aveva dato vita ad una società egoista; l'utile per una società
non va mai considerato secondo il bene di un singolo soggetto ma secondo il
bene collettivo. Non crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno
della proprietà comune sostituisce il principio dell'associazionismo, che è
comunque un superamento dell'egoismo individuale.Questione sociale Mazzini
affrontò la questione sociale negli scritti più tardi, ad esempio nei Doveri
dell'uomo Rifiuta il marxismo, convinto com'è che per spingere il popolo alla
rivoluzione sia prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica
e della democrazia. Mazzini fu tra i primi a considerare la grave questione
sociale presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli
indicava Carlo Pisacane, ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e
risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo
scontro delle classi, ma con una loro collaborazione (interclassismo), da
raggiungersi però organizzando l'associazionismo e il mutualismo fra gli
operai, il soggetto più debole. Un programma il suo di solidarietà nazionale
che se non contemplava l'autonomia culturale e politica del proletariato non si
rivolse solo al ceto medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i
quali raccolse i consensi più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più
consapevoli dei propri diritti fra gli operai. Mazzini criticò il
marxismo e fu da Marx biasimato per gli aspetti dottrinali idealistici e per
gli atteggiamenti profetici che egli assumeva nel suo ruolo di educatore
religioso e politico del popolo. Marx, risentito per gli attacchi di Mazzini al
comunismo, da lui definito col termine inglese «dictatorship» (cioè
«dittatura»), lo definì in alcuni articoli teopompo, cioè «inviato di Dio e
papa della chiesa democratica, dandogli anche sprezzantemente del «vecchio
somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita. Forte sarà il contrasto tra Marx e
l'inviato personale di Mazzini (oltre che con Garibaldi che ne prese le difese)
alla Prima Internazionale. Critica i socialisti per il proclamato
internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo,
per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola classe: il
proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere
l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale
all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. La critica maggiore era
rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero
a un totalitarismo: egli previde con lungimiranza quello che avverrà con la
Rivoluzione d'ottobre del 1917 in Russia, cioè la formazione di una nuova
classe di padroni politici e lo schiacciamento dell'individuo nella macchina
industriale del socialismo reale. Da queste critiche ne venne la valutazione
negativa di Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi del 1871.
Mentre per Marx e Michail Bakunin quello della Comune era stato un primo tentativo
di distruggere lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo
tipo di stato, Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece
criticò la Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno
smembramento della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo
per tutelare i più poveri, Mazzini punta su una forma di lavoro cooperativo:
l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere
spazi via via crescenti di economia sociale con elementi di «piena
responsabilità e proprietà sull'impresa». Mazzini puntava sul superamento
in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale classico,
anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste sia le teorie che esaltano
il valore dell'associazione fra i produttori. In Doveri dell'uomo scrisse: «Non
bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via
perché i molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la
renda legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla. La sua influenza sulla prima fase del
movimento operaio fu per questo molto importante e anche il fascismo, in
particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al
pensiero economico mazziniano come terza via corporativa tra il modello
capitalista e quello marxista. Cospirazioni e fallimento dei moti
mazziniani Mazzini in una fotografia con autografo scattata da Domenico
Lama I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica
furono considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie
italiane dell'epoca. Per i governi costituiti i mazziniani altro non erano che
terroristi e come tali furono sempre condannati. «Trovai tutti persuasi
che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie
le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda» (Massimo
d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna) Giovine Italia (1831) «Su queste
classi [...] così fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le
dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione
dei giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine
assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non esiste
in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a
mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla
sventura.» (Camillo Benso conte di Cavour). Mazzini si trova a Marsiglia
in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa
della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua
colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino
in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e
passa in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto
con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso
in Francia. Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei
ducati e nelle Legazioni pontificie. Si concordò sul fatto che le sette
carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro
programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era
riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per
le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di
Torino quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli
lombardi. Infine bisognava desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e,
come nei moti del '30-31, dei francesi. Con la fondazione della Giovine
Italia nel 1831 il movimento insurrezionale andava organizzato su precisi
obiettivi politici: indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande
mobilitazione popolare poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire
attraverso l'azione di pochi settari ma con la partecipazione delle masse.
Rinunciare infine ad ogni concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine
Italia è decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere
l'ora e il carattere dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste
mete erano l'educazione e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane
Italia perdesse il più possibile il carattere di segretezza, conservando quanto
necessario a difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di
propaganda, un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma
essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche
attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato nel 1832del messaggio
politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica. Negli anni
1833 e 1834, durante il periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della
spedizione di Savoia, l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo
solo in Inghilterra. Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu
definitivamente sciolta da Mazzini, che fondò al suo posto l'Associazione
Nazionale Italiana. Entusiastiche adesioni al programma della Giovane
Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria, in Piemonte, in Emilia e
in Toscana che si misero subito alla prova organizzando una serie di
insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e condanne a morte.
Nel 1833 organizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come focolai
rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste
adesioni nell'ambiente militare. Prima ancora che l'insurrezione
iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in
Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti
poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva
fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli
Giovanni e Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini e capo della Giovine
Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Vincenzo
Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono
condan morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire
si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga.
Tentativo d'invasione della Savoia e moto di Genova. L'incontro di Mazzini con
Giuseppe Garibaldi nella sede della Giovine Italia Il fallimento del primo moto
non fermò Mazzini, convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo
avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e
alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A
capo della rivolta aveva messo il generale Gerolamo Ramorino, che aveva già
preso parte ai moti del 1821, questa scelta però si rivelò un fallimento,
perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di
conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando si decise a
passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata
da tempo, disperse i volontari con molta facilità. Nello stesso tempo
doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi,
che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda
rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto
iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette
fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro
di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del Sud dove continuerà a
combattere per la libertà dei popoli. Mazzini, invece, poiché aveva
personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera
e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione
politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste,
aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e
indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la
linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero
diventare pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia
debito di ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi
testimonianza della propria credenza.» (Giuseppe Mazzini, lettera di
risposta ad Angelo Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a
Palermo, in Abruzzo, nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di
tanti generosi sforzi e l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare
a Mazzini quella che egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di
depressione, in cui, come in gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche,
pensò anche al suicidio, da cui uscì religiosamente convinto ancora una volta
della validità dei propri ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra, dopo essere stato espulso dalla Svizzera,
riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il
saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli
Bandiera. Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli
dell'ammiraglio Francesco Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da
guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società
segreta, l'Esperia[63] e con essa tentarono di effettuare una sollevazione
popolare nel Sud Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da
Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante)
alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese
Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Il 15 marzo dello stesso anno
era loro giunta infatti la notizia dello scoppio di una rivolta a Cosenza che
essi credevano condotta nel nome di Mazzini. In realtà non solo la ribellione
non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già stata domata dall'esercito
borbonico. Quando sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino a Crotone,
appresero che la rivolta era già stata repressa nel sangue e al momento non era
in corso alcuna ribellione all'autorità del re. Il Boccheciampe, appresa la
notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto
di polizia di Crotone per denunciare i compagni. I due fratelli vollero lo
stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila. Subito iniziarono le
ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da
comuni cittadini che credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a
fuoco, vennero catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso, buon conoscitore
dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i
fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito. Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale
per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo
medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta
fermezza e da tanta sventura, restò commosso da quell'efferata barbarie e
celebrò la memoria di quei martiri in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel
loro sacrificio la realizzazione dei propri ideali così scriveva in un opuscolo
a loro dedicato: «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un'Idea è la
più alta formula che l'Io umano possa raggiungere per esprimere la propria
missione; e quando un giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed
esclamaecco: questo è il vero, e io, morendo, l'adorouno spirito di nuova vita
si trasfonde per tutta l'umanità. I sagrificati di Cosenza hanno insegnato a
noi tutti che l'uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno
provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta
l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi potete uccidere pochi uomini, ma
non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo, con Aurelio Saffi e Carlo
Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese. Fu
l'ultima rivolta a cui Mazzini prese parte direttamente. Moto di
Milano e sollevazione in Valtellina. Ispirato
al mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto di Milano, a cui
tuttavia Mazzini non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe la rivolta in
Valtellina dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce Felice Orsini,
che di lì a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato l'attentato a
Napoleone III, fermamente condannato dal genovese poiché risoltosi in una
strage di cittadini innocenti. Spedizione di Sapri. Carlo Pisacane
Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di
accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il
malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno
d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di
Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì
rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri,
che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto
strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli. Pisacane
s'imbarca con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Nicotera e Falcone, sul
piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Sbarca
a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a liberare 323
detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto delinquenti
comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il Cagliari ripartì
carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio borbonico. La sera
i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad accoglierli quelle masse
rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei contadini
ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo sbarco di una
banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza. Il 1º luglio, a Padula
vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per
un totale di 150, vennero catturati e consegi gendarmi. Pisacane, con Nicotera,
Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a fuggire a Sanza dove furono
ancora aggrediti dalla popolazione: perirono in 83; Pisacane e Falcone si suicidarono
con le loro pistole, mentre quelli scampati all'ira popolare furono poi
processati nel gennaio del 1858. Condan morte, furono graziati dal Re, che
tramutò la pena in ergastolo. Senso dell'impresa Pur essendo quella di
Sapri un'impresa tipicamente mazziniana, condotta «senza speranza di premio»,
in effetti essa rispondeva alle idee politiche di Pisacane che si era
allontanato dalla dottrina del Maestro per accostarsi a un socialismo
libertario espresso dalla formula "Libertà e associazione".
Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione sociale proponeva una
soluzione interclassista solo dopo aver risolto il problema unitario, Pisacane
pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione patriottica unitaria e
nazionale occorresse prima risolvere la questione contadina che era quella
della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo testamento politico in
appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia convinzione di essere la
propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee
nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché
sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero». Vicino
agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando aggiungeva nello stesso
scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia ricompensa io la troverò
nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici...
che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una
gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire»[66].
La spedizione fallita ebbe in effetti il merito di riproporre all'opinione
pubblica italiana la questione napoletana, la liberazione cioè del Mezzogiorno
italiano dal malgoverno borbonico che il politico inglese William Ewart
Gladstone definiva «negazione di Dio eretta a sistema di governo». Infine il
tentativo di Pisacane sembrava riproporre la possibilità di un'alternativa
democratico-popolare come soluzione al problema italiano: era un segnale
d'allarme che costituì per il governo di Vittorio Emanuele II uno stimolo ad
affrettare i tempi dell'azione per realizzare la soluzione diplomatico militare
dell'unità italiana. Appoggio a Garibaldi e ultimi tentativi M. appoggiò
moralmente la spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi, che egli considerava
una valida opposizione a Cavour. Dopo l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma
le persecuzioni della polizia sabauda e le condizioni di salute limitarono i
suoi ultimi tentativi. Controversie Stampa raffigurante Mazzini con
l'epitaffio della tomba a Staglieno Conflitto con Cavour Giuseppe Mazzini, che
dopo la sua attività cospirativa fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra,
fu uno strenuo oppositore della guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita
di soldati al regno sardo. Egli rivolse un appello ai militari in partenza per
il conflitto: «Quindicimila tra voi stanno per essere deportati in Crimea. Non
uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Voi non avrete onore di
battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi fatti da
tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di
governi e capi stranieri. Per servire un falso disegno straniero, l'ossa vostre
biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né alcuno
dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col
dolore dell'anima, "deportati". Quando Napoleone III scampò
all'attentato teso da Felice Orsini e Giovanni Andrea Pieri, il governo di
Torino incolpò Mazzini (Cavour lo avrebbe definito "il capo di un'orda di
fanatici assassini"[68] oltreché "un nemico pericoloso quanto l'Austria"),
poiché i due attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione. Secondo
Denis Mack Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a
causa della loro rottura con M. e, dopo l'attentato a Napoleone III e la
conseguente condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione.
Cavour al riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far
giudicare e condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì l'agenzia
Stefani con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai
privati. Così l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour
divenne, secondo il saggista Gigi Di Fiore, un fondamentale strumento
governativo per il controllo mediatico nel Regno di Sardegna.[73] Mazzini,
intanto, oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco
nei confronti del primo ministro, pubblicato sul giornale Italia del popolo:
«Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale dualismo, avete corrotto la nostra
gioventù, sostituendo una politica di menzogne e di artifici alla serena
politica di colui che desidera risorgere. Tra voi e noi, signore, un abisso ci
separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione
monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento
territoriale» (Giuseppe Mazzini[74])Timori di Mazzini per la cessione
della Sardegna Estratto di articolo di giornale inglese Mazzini
temeva che Cavour, dopo la cessione della Savoia e di Nizza, potesse cedere
anche la Sardegna, una delle cosiddette “tre Irlande”, sulla base di altri
supposti accordi segreti di Cavour con la Francia, in cambio di una definitiva
unificazione italiana, accordi che preoccupavano anche l’Inghilterra, la quale
era intervenuta presso Cavour per avere rassicurazioni sul fatto che non
sarebbe stato ceduto altro territorio italiano alla Francia. Russell commenta a
Hudson, in Torino, di dire al Conte di Cavour, che il Governo inglese,
informato di un disegno per la cessione della Sardegna alla Francia, protestava
e chiedeva promessa formale di non cedere territorio italiano. Il dispaccio era
comunicato il 26 a Cavour.» (da Scritti editi e inediti di Giuseppe
Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini,
Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla Francia, Mazzini affermava
anche: «[...] [L]'opposizione minacciosa dell’Inghilterra e la nostra, possono
renderlo praticamente impossibile.» (da Scritti editi ed inediti di
Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe
Mazzini, Roma) Alcune affermazioni di Giovanni Battista Tuveri, esponente del
cattolicesimo federalista, deputato per due volte al Parlamento Subalpino e
amico di Mazzini, confermano la possibilità di accordi segreti relativi alla
cessione della Sardegna alla Francia per una definitiva unificazione del resto
della penisola: «Vicino a Mazzini ed a Cattaneo, ma con una propria originalità
di pensiero, il Tuveri fu sempre fedele alle sue convinzioni federaliste o, in
mancanza di meglio, autonomiste, né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica
quando nel 1860-61 circolò insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la
Savoia, intendesse cedere alla Francia anche la Sardegna» Anche il
giornale britannico "The Illustrated London News" del 27 luglio 1861
citava l'inopportunità di cedere la Sardegna alla Francia, commento che aveva
suscitato reazioni nella stampa francese e fatto suggerire altre ipotesi.
Mazzini suscita continuamente energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata
di gioventù e intanto gli anziani gli sfuggivano».[80] Quasi tutti i grandi
personaggi del Risorgimento aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono.
Il contenuto religioso profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo
rivelatore di una nuova fede, imbrigliava l'azione politica. Mazzini infatti
non aveva «la duttilità e la mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare
razionalmente le forze». Per questo occorreva una capacità di compromesso
politico propria dell'uomo di governo come fu Cavour; «[i]l compito di Mazzini
fu invece quello di creare l'"animus"». Quando sembrava che il
problema italiano non avesse via d'uscita «ecco per opera sua la gioventù
italiana sacrificarsi in una suprema protesta. I sacrifici parevano sterili»,
ma invece risvegliavano l'opinione pubblica italiana e europea. La tragedia
della Giovine Italia «impose il problema italiano a una sempre più vasta sfera
d'Italiani: che reagì sì con un programma più moderato ma infine entrò in
azione e quegli stessi ex mazziniani che avevano rinnegato il Maestro aderendo
al moderatismo riformista alla fine dovettero abbandonare ogni progetto
federalista e acconsentire all'entusiasmo popolare suscitato dalle idee
mazziniane di un riordinamento unitario italiano».[81] Le idee politiche
di Mazzini furono alla base della nascita del Partito Repubblicano Italiano nel
1895. Tramite la Costituzione della Repubblica Romana, ispirata al
mazzinianesimo e considerata un modello per molto tempo, fu uno dei pensatori
le cui idee furono alla base della Costituzione Italiana del 1948. Inoltre ebbe
una grande influenza anche fuori dall'Italia: politici occidentali come Thomas
Woodrow Wilson (con i suoi Quattordici Punti) e David Lloyd George e molti leader
post-coloniali tra i quali Gandhi, Golda Meir, David Ben-Gurion, Nehru e Sun
Yat-sen consideravano Mazzini il proprio maestro e il testo mazziniano Dei
doveri dell'uomo come la propria "Bibbia" morale, etica e
politica.[82] Mazzini conteso tra fascismo e antifascismo Mazzini
sul letto di morte L'eredità ideale e politica del pensiero di Giuseppe Mazzini
è stata a lungo oggetto di dibattito tra opposte interpretazioni, in
particolare durante il Fascismo e la Resistenza. Già nel settembre 1922, prima
dell'avvento del fascismo, il cinquantenario della sua morte fu celebrato con
una serie di francobolli. In seguito, nel Ventennio fascista Mazzini fu oggetto
di citazioni in libri, articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato
una sorta di precursore del regime di Mussolini.[83]. Secondo un appunto
diaristico (intitolato "Ripresa mazziniana") di Giuseppe Bottai,
però, l'utilizzo che ne fece Mussolini fu sempre strumentale[84]. La
popolarità di Mazzini durante il periodo fascista è dovuta anche ai numerosi
repubblicani che confluirono nei Fasci di combattimento, iniziando il loro
percorso di avvicinamento a Mussolini durante la battaglia interventista,
soprattutto nelle aree dove maggiore era la presenza del PRI, cioè in Romagna e
nelle Marche. Sulle pagine de L'Iniziativa, l'organo di stampa del PRI, si
guardava a Mussolini come al «magnifico bardo del nostro
interventismo».[85] Particolare fu il caso di Bologna, città in cui i
repubblicani Pietro Nenni, Guido e Mario Bergamo presero parte attivamente nel
1919 alla fondazione del primo Fascio di combattimento emiliano per poi
abbandonarlo poco dopo diventando avversari del fascismo. Tra i più famosi
repubblicani che aderirono al fascismo vi furono Italo Balbo (che si era
laureato con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di Mazzini"
e del quale lo storico Claudio Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al
Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all'ultimo momento e
considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»), Curzio Malaparte
e Berto Ricci, che nel fascismo vedeva la perfetta sintesi fra «la Monarchia di
Dante e il Concilio di Mazzini».[87] L'intellettuale mazziniano Delio
Cantimori, nella prima fase del suo percorso politico che lo portò prima ad aderire
al fascismo poi al comunismo, considerava il fascismo «compimento della
rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove
il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito:
nell'inserimento e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella
creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal
"parlamentarismo" e lontana dall'"affarismo", dal
"particolarismo", dall'"inerzia" che avevano caratterizzato
l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del
fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti, polemizzando con il
movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio
critica il Risorgimento e indicò in Mazzini un precursore del fascismo. La
tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso
sviluppata fino all'estremo. Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine
corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini sulla funzione dell'Italia
nel mondo. La rivoluzione antifascista non potrà essere che una rivoluzione
"contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua
politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello
Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta
d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento
tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso,
dopo la svolta unitaria del 1934 (che segnò l'inizio della politica del fronte
popolare con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i
socialisti), allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento
operaio. I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero
mazziniano anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della
vita, l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e
una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni
scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della
morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali
manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il
fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno
forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo
come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la
situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale
italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del
giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata il 9 febbraio,
giorno della proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che
aveva avuto alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in
particolare i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a
richiamarsi sempre più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli
scrisse che agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la
continuità ideale fra la lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di
oggi. A seguito della caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la
lotta contro il nazi-fascismo vide la partecipazione dei repubblicani (il cui
partito era stato sciolto dal Regime nel 1926) anche attraverso la formazione
di proprie unità partigiane denominate Brigate Mazzini. Anche un comandante
partigiano, proposto per la medaglia d'oro al valor militare, Manrico
Ducceschi, ispirò la sua azione all'ideologia mazziniana adottando in onore di
Mazzini il nome di battaglia di "Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal
patriota genovese. Altri saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in
Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri
dell'uomo Fede ed avvenire Editore Mursia
Doveri dell'Uomo Editori Riuniti
university pressRoma Pensieri sulla
democrazia in Europa, trad. Salvo Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea
Tugnoli, La pittura moderna in Italia, Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal
Risorgimento all'Europa Mursia Periodici
diretti da Giuseppe Mazzini L'apostolato popolare Il nuovo conciliatore
L'educatore Le Proscrit. Journal de la République Universelle Il
tribunoNote La Civiltà cattolica, Volume
2; Volume 18, La Civiltà Cattolica, «La politica acquista pathos
religioso, e sempre più col procedere del secolo... la nazione diventa patria:
e la patria la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale
sacra.» in F. Chabod, L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri
dell'uomoFede e avvenire, Paolo Rossi, Mursia, Milano 1965-1984 L'uomo
nuovo in Indro Montanelli, L'Italia giacobina e carbonara, Rizzoli, Milano, Susanne
Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in Europe Citato nell'Edizione nazionale degli Scritti
di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione nazionale degli
Scritti di Giuseppe Mazzini, Cooperativa tipografico-editriceGaleati; per la
citazione vedi anche: Memoriale Mazzini-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie
White Mario, Vita di Giuseppe Mazzini su Castelvecchi Editore; Giuseppe
Santonastaso, Edgar Quinet e la religione della libertà, pag. 156, edizioni
Dedalo, 1968; Francesco Felis, Italia unità o disunità? Interrogativi sul
federalismo, Armando editore,, pag. 7.
Comune di Savona Liguria magazine
Archiviato il 25 gennaio in. Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la
nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01 Patria, nazione e stato tra unità e
federalismo. Mazzini, Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche
storiche, La tesi del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta,
Mazzini una vita per un sogno, Guida Editori, Il dubbio invece che si trattasse
veramente di un figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (Giuseppe
Mazzini: una vita per l'unità d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con
cui venne comunicata a Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere
qualche dubbio sulla supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata,
che si trattasse di suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Salvo
Mastellone, Mazzini e la "Giovine Italia", Domus Mazziniana, («D'altra parte, è da
aggiungere che nelle lettere inedite a Ollivier, che pubblichiamo, Mazzini, pur
parlando di Giuditta come della propria amica, se accenna ad Adolphe come
figlio di Giuditta, non allude al bambino come proprio figlio:...») Domenico Barberis, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Mazzini a Londra È l'autrice del romanzo gotico Frankenstein
(Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le edizioni delle poesie del
marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico e filosofo. Era figlia della
filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e del filosofo e
politico William Godwin. Susanne Schmid,
Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in Europe Seymour, Mary Shelley, M., il cospiratore
senza segreti Lettere di Mazzini ad
Aurelio Saffi e alla famiglia CraufordGiuseppe MazzatintiSoc. Ed. Dante
Alighieri1906 Politica e storia Buonarroti
e altri studidi Pia Onnis RosaEdizioni di storia e letteraturaRoma Mazzini
«pavese» e l'Unità d'Europa Quando
Mazzini scatenò il patatrac sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a
Giuseppe Mazzini, Grafiche Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) Scarpelli, La
scimmia, l'uomo e il superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni Pensiero di Mazzini, brigantaggio.net 1946: la Repubblica nasce nel nome di
Mazzini, su pri.Carducci scrisse una famosa lirica intitolata Mazzini i cui
versi finali sono rimasti nella storia: «E un popol morto dietro a lui si mise.
/ Esule antico, al ciel mite e severo / Leva ora il volto che giammai non rise,
/Tu solpensandoo ideal, sei vero». La
stessa semplice scritta volle Giovanni Spadolini, politico e storico
repubblicano, sulla propria tomba a Firenze
Luigi Polo Friz, La massoneria italiana nel decennio post unitario:
Lodovico Frapolli, Franco Angeli, Storia della Massoneria in Italia.
L'influenza di Giuseppe Mazzini nella Massoneria Italiana Archiviato il 7
gennaio in. La stanza di MontanelliL' unità d' Italia e
la Massoneria M. massone? A.Desideri, Storia e storiografia, IEd.
D'Anna, Messina. Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano
fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente
proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve
allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in
A. Desideri, Ibidem «S'identificò la
storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza
provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe
sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela
della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di
storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del
Risorgimento italiano, Napoli. Così il genere umano è in gran parte
naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che
soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza
il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore,
rigeneratore, conquistatore, perfezionante.» (cfr. Maistre, Il Papa, trad. di
T. Casini, Firenze) G. Mazzini, Fede e
avvenire, G. Mazzini, Fede e avvenire. Ha una visione utopica, romantica e
anche sincretistica della religione, che egli considerava come il contributo,
in termini di princìpi universali, delle varie confessioni e fedi alla storia
collettiva.» SenatoDoveri dell'uomo, M., Dei doveri dell'uomo Fusatoshi Fujisawa, La terza Roma. Dal
Risorgimento al Fascismo, Tokyo, Mazzini il patriota scomodo Arturo Reghini a metà strada tra fascismo e
massoneria «Noi dissentivamo su diversi
punti: sulle idee religiose, ch'ei non guardava, errore comune al più, se non
attraverso le credenze consunte e perciò tiranniche dell'oggi; sul cosiddetto
socialismo, che riducevasi a una mera questione di parole dacché i sistemi
esclusivi, assurdi, immorali delle sétte francesi erano ad uno ad uno da lui
respinti e sulla vasta idea sociale fatta oggimai inseparabile in tutte le
menti d'Europa dal moto politico io andava forse più in là di lui: sopra una o
due cose delle minori spettanti all'ordinamento della futura milizia; e talora
sul modo d'intendere l'obbligo che abbiamo tutti di serbar fede al Vero. Ma il
differire di tempo in tempo sui modi d'antivedere l'avvenire non ci toglieva
d'essere intesi sulle condizioni presenti e sulla scelta dei rimedi» (Giuseppe
Mazzini su Carlo Pisacane) Lettera a Ernesto
Forte Londra. Noi crediamo in una serie infinita di reincarnazioni dell'anima,
di vita in vita, di mondo in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un
miglioramento ulteriore…» (Mazzini, in E. Bratina). La vita d'un'anima è sacra,
in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri che seguiranno;
bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni sviluppo temporale
deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita immortale che Dio
trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che cresce con l'opera
di ciascuno di noi» (Dei doveri dell'uomo).
Leggeva Dumas e i testi buddisti Il volto inaspettato di Mazzini Il Foscolo, che scriveva di aver visto da
giovinetto a Venezia un "libercolo" attribuito a Gioacchino, in cui
erano indicati i papi futuri, affermava che la fama dell'abate era
"santissima" fin dalla fine del sec. XVI, tanto che Montaigne, desiderava
di poter vedere questa meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous
les papes futurs, leurs noms et formes»
G. da Fiore, Concordia Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti
manoscritti di Mazzini, Impronta, Torino, Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La
politica come religione civile, con postfazione di Sauro Mattarelli, Roma-Bari,
Laterza, A.Omodeo, Introduzione a G.
Mazzini, Scritti scelti, Mondadori, Milano,
«L'Italia trionferà quando il contadino cambierà spontaneamente la marra
con il fucile». in C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale
Economica, Milano 1956 Mazzini:
comunismo vuol dire dittatura Il
"Manifesto" di Marx? Scritto contro Mazzini Doveri dell'uomo, capitolo XI, punto 3° G. Mazzini, Doveri dell'uomo, cap.XI (in
Andrea Baravelli, L'Italia liberale, ArchetipoLibri, A. Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento,
Torino, POMBA, 1G. Mazzini, Istruzione generale per gli affiliati nella Giovine
Italia in Scritti editi e inediti, II, Imola,G. Mazzini, op. cit. Nome col quale i greci indicavano l'Italia
antica L. Stefanoni, G. Mazzini: notizie
storiche..., Presso Barbini, Ricordi dei fratelli Bandiera e dei loro compagni
di martirio in Cosenza Documentati colla
loro corrispondenza, Dai torchi della Signora Lacombe, C. Pisacane. Volantino
pubblicato su "Italia del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di
Mazzini?, in la stampa. D. Smith, Mazzini, Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia
dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore,
A. Cappa, Cavour, G. Laterza, definizione di Cavour riportata da The Morning Post.
We have three Irelands, in Sardinia, Genoa and Savoy La terza Irlanda, Gli scritti sulla Sardegna
di C. Cattaneo e Mazzini, Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini, Francesco Cheratzu,
8pagg. Mazzini La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento Rassegna The
Illustrated London News In A. Saitta, Antologia di critica storica, Laterza, Le
citazioni sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a Mazzini, Scritti scelti,
Mondatori, Milano, (D. Fusaro) P.
Benedetti “Mazzini in Camicia nera” edito della Fondazione 'Ugo La Malfa'; Dal
diario di G. Bottai. Spesso, all'uscita dei cento e più volumi dell'edizione
nazionale di Mazzini trovo il Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte
pagine. O meglio, v'immergeva, a ferire di pugnale, il suo metallico
tagliacarte: e ne tirava fuori brandelli di Mazzini. A quando a quando il
brandello anti-francese, anti-illuminista, anti-nglese, anti-socialista, etc.
etc. Brandelli, mai tutt'intero, nella sua viva, molteplice e pur varia
personalità; S. Luzzatto, Riprese mazziniane, Mestiere di storico: rivista
della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Roma: Viella,
); P. Benedetti "Mazzini nell'ideologia del fascismo" G. Belardelli, “Camerata Mazzini, presente!” Gentile,
Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti tentarono di arruolarlo, Corriere della
Sera; “Manifesto realista” pubblicato sulla rivista L'Universale Cromohs Pertici
Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l'itinerario politico di D. Cantimori, R. Pertici, Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo:
L'itinerario politico di Cantimori Cromohs, La memoria e le interpretazioni del
Risorgimento, Guerra e fascismo da 150anni.
P.Togliatti, Sul movimento di «Giustizia e Libertà», in Lo Stato
operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti); M. Fatica, Amendola, Giorgio, in
Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, P. Mieli, "L'Italia
impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della Sera, M.
Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della Sera in
Arianna editrice Mario Ragionieri Salò e
l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art. cit. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
“Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla
famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La
democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi,
Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph
de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino,
POMBA); A.Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, Chabod, L'idea di
nazione, Bari, Laterza, Monsagrati (Milano, Adelphi); Batini, Album di Pisa,
Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito d'azione, Milano,
Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; Albertini, Il
Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, D. Smith (Milano, Rizzoli); S.
Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); A.
Desideri, Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come
religione civile (Roma, Laterza, Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia,
Marsilio); P. Galletto, Nella vita e nella storia” (Battagin); N. Erba, Unità nazionale e Critica storica,
Grasso , Padova. N. Erba, Il Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava
Appendice. Storia e politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear
Kate. Lettere inedite di Giuseppe Mazzini a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani
a Londra, Rubbettino; Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I
sistemi e la democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di M. scelta
di pagine dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo,
repertorio dei nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche
e incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo,G,M.-
L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella
rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R.
Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. Mazzini, sceneggiato
RAI, regia di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di L. Magni. M. è interpretato da Bucci. Noi credevamo di M.
Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Garibaldi, miniserie di Rai 1 ;
interpretato da Alessandro Lombardo. L'alba della libertà, cortometraggio,
regia di Emanuela Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana Domus Mazziniana
Doveri dell'uomo Mazzinianesimo Monumento a Giuseppe Mazzini (Firenze) Museo
del Risorgimento e istituto mazziniano Pensieri sulla democrazia in Europa Risorgimento.
su Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. su sapere, De Agostini. (IT, DE, FR) hls-dhs-dss.ch, Dizionario
storico della Svizzera. GDizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera,
Camera dei deputati. Istituto Mazziniano
a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia,
su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini.
Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della
Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su
domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni
e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti
editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica
Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la
giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia
fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana,
stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Mazzoni – implicatura – filosofia italiana – la vita attiva dei romani -- Luigi
Speranza (Cesena). Filosofo italiano.
Grice: “Mazzoni is important on various fronts: he loves Dante, or
Alighieri as Strawson calls him – his library in organised alphabetically; the
other front I forget!” Compì i suoi studi di lettere a Bologna e quelli di
filosofia a Padova. Membro dell'Accademia della Crusca, fu tra i preferiti del
papa Gregorio XIII che lo avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì proseguire
nella carriera universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in seguito a Pisa,
dove ebbe la cattedra di filosofia. Nella città della torre pendente, conobbe
un giovane insegnante di matematica, Galilei, con il quale instaurò ottimi
rapporti. Nel 1597 fu invitato ad insegnare all'Università La Sapienza di Roma.
Benché avesse da poco preso questa cattedra, seguì il cardinale Pietro
Aldobrandini nei suoi incarichi a Ferrara ed in seguito a Venezia. Ammalatosi
sulla strada del ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si spense. Opere: “Difesa
della Commedia di Dante Grazie alla sua preparazione letteraria, giunse alla
notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di Dante, pubblicato a Bologna
inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno successivo sotto il suo vero nome,
in cui criticò aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad alcune
contestazioni fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante Alighieri.
Parimenti nel libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla filosofia
ed alla poetica”; “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia
Interessato anche all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in quello che
risulta il suo testo più importante ovvero In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam preludia pubblicato nel 1597. In questo libro egli sostiene il
sistema geocentrico aristotelico contro la sempre più diffusa e apprezzata
teoria copernicana eliocentrica. Questo volume è divenuto molto noto poiché
Galileo Galilei, dopo averlo letto, gli inviò una lettera, nella quale
difendeva Copernico e le sue teorie. Questa missiva rappresenta la più antica
testimonianza dell'adesione alla teoria eliocentrica di Galilei. Mazzoni, Prefazione, in Mario Rossi,
Discorso di Mazzoni in difesa della "Commedia" del divino poeta Dante,
S. Lapi.Saggi: “Discorso de' dittongi” (Cesena, Rauerio); “Discorso in difesa
della Comedia del divino Alighieri contro Castravilla” (Cesena, Raveri); “De
triplici hominum vita ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa methodi tres,
quaestionibus quinque millibus, centum et nonagintaseptem distinctae in quibus
omnes Platonis et Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum in universo
scientiarum orbe discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della difesa della
Comedia di Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio), “Intorno
alla risposta e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla storia
del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena, Raverio); “Ragioni
delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della storia del poema Dafni,
o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Giuseppe Toffanin, Jacopo Mazzoni, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Jacopo
Mazzoni, su sapere, De Agostini. Davide
Dalmas, Jacopo Mazzoni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Jacopo Mazzoni, su accademicidellacrusca.org,
Accademia della Crusca. Opere di Jacopo Mazzoni, su ope nMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Jacopo Mazzoni,.
Arnaldo Di Benedetto, Iacopo Mazzoni, in Enciclopedia dantesca, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario Enciclopedico Brockhaus ed Efron,
Маццони, Джакомо. Ostracismum laudabit huius ce Reipub. formam ciae et AJ de
Repub. ses, illud affequebantur, quod improbi meliores essent co-Achen. oss
ditione, quàm probi, quod quid ememanavit ex eo, quod REI PUBLICAE ROMANORVM
FELICITAS cibiadis. VITAE ACTIVAE. Ficienda erant, ad Confu pertinebat examinare
diligenter, coaciones quoties opus est et evocare, So Cspopulore ferre, quicquidque
maior parsius filler exequio1 quin etiam in his quae ad belli apparatum et castrensem
disciplinam pertinet, hi summon i imperium habebant. Hiseniius erat sociis quic
quid visunt eller imperare, Trib. militum creare, de l e ett uniq. Habere, ad
haec de his qui sub corum imperio erantin castris arbitratu suo supplicium
fumiere, his praeterea licebat comitante quaestore, lacse dulo imperata faciente,
publiciaeris, quantum resipsa posset, Rei-pub. forniani Regiam esse. Senatus autem primo quidem acrarii totius dominus
erat atg; administrator: nam et redditus omnes in eius erant potestate, et eiusdem
arbitratu im pensae fiebant, malefi ciaque et crimina PER ITALIAM commissa, de
quibus iudicium publicae fieri debebat, ut puta proditionis, coniurationis, beneficii,
caedis, at q ; insidiarum ad Senatum refeerebantur, eiuss; de his erat cognitio
quod si vlla APUD ITALOS controversia dirimenda, si publica, vel privatim qui spiam,
vel civitas ob iurganda, si cui auxilium, aut praesidium ferendum esset, de his
omnibus curam Senatus ad hib ebat. codemo popularis Rei-pub. fornia
videtur. Consules enim ante quam ex urbe
legions educerentur quinimo et quaede Res Publica per populum transigenda. Et
có. ,{{1 Pin !! porro tulerit impendere quod fi quis ad hanc partem respexerit,
probaliter dicere videre licet tuni Regiam, optimorum, populiģ; gabernationem: quoties
enim Consulum imperiuint ueamur, Re gia, quoties verò Senatus authoritatem
optimarum admianistratio, quoties autem populi potestatem respicimus, banaruni omnium
rerum ins, atq; imperi una habebant: his et enim caeterionines magistratus
praeter Tr.Ple.fa? bijci ebantur, hi legationes in curiam traducebant, hic ea
leriter quae errant decidenda ita tuebant, negociaģ; magna ad Senatum: referebant,
et penès ipsos vtquae patres de: creuissent sedulo perficerentur cura omnis et
administratio erat METHODVS. codemq; modo fi extra ITALIANI ad aliquos legat somittenda
esset, vel ad aliquid decidendum, vel ad foedus faciendum, vel ad cohortandum, vel
ad imperandum, aut poftre mo ad resrepetendas, aut ad bellum in dicendum, haec
in yrben venerint agendum, quid eis respondendum in populo commune, ad eo ut quoties
quis ad urbem consulibus ab sentibus profectus esset, prorsusei Respublica optima
tum confilioregi et gubernari videretur, quod fanem multi graecorum et regum
per sua sum habuerunt, quod negocia, quae in urbe haberent ferem, omnia per Senatum
tra is incos, qui maiores magistratus gessissent, admittebatur solus autem
capite damnandi potestatem habuit, qua in re illuds anèapudeos commemoratione
dignissinum fuit, quod eorum instituto iis qui capitis damnati fuerant, ut on
ex urbe palan egrederentur, permittebatur, acfi Tribuum una ex his, quae iudicium
exercebant reliqua fuerit, quae in non dum suffragium tulerit, exiliun: reo sibi
arbitratu suo deligendi facultas dabatur, exulesautem Neapoli [NAPOLI], Praene
siæe,Tybure, atg; in alia quauis foederatorum urbe tuto elle deferebat, lege etiam
comprobandi, ac sanciendi ius habebat et quod caput eitis de pace de bello, defoedere,
decom trouersiis decidendis, aur componendis deliberavit, atque unum quod quem
horum ratuni, aut irritum faciebat, quibus, ex rebus probaliter pofleta liquis dicere,
populuni si bi maxima min Res Publica partem vindicasse, ac Rei publicae formam
Senatus ipse curabat, et providebat. Praetere a quid delegationibus ex terarum gentium,
quae ex populi administratione confatam
fuisse. Quò igitur pacto Res Publicae, in partes diftributa fueritiam sigerentur
suae tianı populo, et eaquidem amplissima pars reli&a est: poterant praeterea
populus ipse magistratus dignissimis quibusque Senatus voluntate, arý; arbitrio
pofitumerat. atq; horum quidem, quae superius
dicta sunt nihil est cum folusenini in Republica et poenae, et praemiis potestatem
habebat, et plerunq; in aliis etiam qua estionibus quoties gra priuior alicui maleficijmulata
irrogannda esset et praesertim ditum VITAE ACTIVAE rendas, ac perficiendas
idoneus hauderat conttar enim legionibus eorum aliquid missum, quae illis
publice suppeditari solebant, namq; fineS.C.neớ; frumentum , neq; vestimenta, nec
obsonia legionibus administrari poterant, ad eo ut eorum, qui exercitus
duxissent expeditiones et consilia omnia, quoties eis obstare, cum eila;
maligne agere Senatus inanimum induxisset, irritaredde rentur, et minimem ad exitum
perducerentur: quin ut quae ili animo et cogitatione complexi fuerant, ac sibi proposuerant
perficere possent, ili Senatus voluntate positum erat: nam is post quam niannuum
tempus praeterierat, aut successors mittendi, aut imperium prorogandi potestatem
habuit, ac etiam penem se undem fuit ducum res gestas et dignitatem velex tollere,
atý; ornare, velele vare, ac deprimere :nani triumphos, neộ; ut I decet
apparere, neġ; ducere cuiquam licebat, ni aliensus fusset S e longissime abfuiflet,
populi certe aflen su opus erat, quodq; est omnium ferem maximum , omnes imperio
deposito, populo eorum quae gesserint rationem reddere oportuit, qua propter Consulibus,
caeteris; Imperatoribus minime expediebat, Se. po. quem voluntatem erga se conteninere
rursu siani Senatus quam uistant umin Res Puplica potuerit po illius
authoritatem approbasset populus,
praetereasi quisex Trib. pleb, intercesserit, nedum Sena erat
1 natus, et ineius fumptum erogasser necessaria. Et siquis ex prouincia decedere voluisset, quamuis
domo pulum tamen intueri, ac illius rationem habere coactus fuit: in maximis enim
,atg; atrocissimis quaestionibus eorum maleficiorum, quae contra Rempub.conmislaca-.
piteple&untur ,nihilSenatus ex equipotuiffet, nisi prius tus nihil eorum
quae decreuerat perficere: sed ne sedere quidem, automnino incuriamvenire poterat:
Trib.autí 1 1 d i & um est: nunc autem quaratione potuerint partes illae
quoties voluerint, sibimutuo repugnare, fibiq; inuicem opitulari, dicendum eft:
enimuerò Consul poft quameani, quam superius dixi facultatem adeptus, copias
eduxerat, funini o quid e mille cum imperio videbatur esse: verum populi, ac Senatus
auxilio indigebat, ac sine his adresge 1 erat officium id femper exequi:
quod populo visunr fuerat ciasý voluntatem quani maximè respicere, his omnibus
cepissent, eos relevandi; siquae difficultas, aut publicuni seei sintortunium; quo
minus ellent foluendi obstitisser, loca . tionemg prorfusin ducendi, ius et
potestatem habuit. 7 eodenie modo Consul ut hac tionibusti midem, ac minime l i
b e n t e r aduers ab an turtum populus, tum Senatus caniforis, militiaeque; universus
exercitus, et singuli, quia fub c o ad se inuice miuuandun, et impediendum
adomnes rerum 217;.occasiones; ex opinione Polybije aminterse aprem, conue Bodi
nichteré connexae; dispofitaeq; fuerunt,vt hac nullam e Izifior, praestantiorg Rei
pub formare periti potuerit.' name, cum habeant omnes Res pub. In orbe quandam
có 11.4, versionem et mutationem. Nullam ipse hac firmior emar Essen bitratus eft,
fiquidem poft uniuersalia dilaniaa missis, ac sublatis artibus et studiis,
aliquo post tenporis intervallo rursus humanum genus auctum et propagatum fuit,
quo tempore in homini bas naturale arbitrary debemus, quod etia in in ratione carentium
animalium generibus comtin gerevidenius, inquorum gregibus fortiffimus quisý; manifestò
principatum fibi vendicat: omnes enim fortissimum et potentissimum fectabantur,
aró; ita vnius dominiuni oliniigitur quisemel honore illo digni habiti sunt in regnis
consenescebant iusta studia fe& antes nullaq; propter eos invidia, fi qui
de m non magna in eis aut v i et tis, aut verò omnibus Senatus praeerat. idem
diem proferendi, fiquam publicani calaniitate mac rum imperio, ac potestate eflent.i
Haecporrò cum elfét vnius cuiusý partium vis et facultas METHODVS decáüllis multitudinem
Senatus metuebat, ad populique : voluntatem , studi uni et cogitations suas dirigebat.
At contra Senatu i populus ipse obnoxius, et subie&userat, eumque universim,
et singulatim colere, arg; obseruare sua per magni interesse putauit, cum enim effent
in ITALIAM ul bidid tave et igaliuni genera, quae Censores in fumptus appara
33°53.stusd; publicos locare solebant:in his omnibus conducen discurandis
populus implicitus esse confutu i c :his ve constitutum eft. 287 H Iitus
kitus gracatio cernebatur: verum funiperin emculisciuium wi t a n i lag
cotes, eaem qua populus victus ratione vte ban 7 sed post quàm horum filij cum
iam comparata haberent imperio, essent differre et ad haec licexe etiam spemine : prae metu contradicente: in concesus concubitus
appetore, ató;ita coorta eft ex RegnoTyrannis. Noći atg hoc manifestem liquet, ex
Cyri, Cam.bylif que imperio, fortissimis viris coniurationes, adinuante etiam
ducum En suorum consilia multitudine, atg; ilius imperii quodpe nesvnum erat
forma facile vedelereture ueniebat, atque indeiam optimatum principalu sortunt,
atque initium accepifient, educati abinitio in poteltate, ang honoribus
apparatus, alijsad vim mulieribus per Itapra, et raptus inferendam , alijdenių;
adaliaturpiale conuertebant, atậ; ita optimatum principatus ad paucorun dominationem
hinc illorum imperioper idem quod tyrannos oppresserat in fortunium finiş imponebatur,
ncq; praeterea Regen creare libuit sobiniuftitiac, qua superiores vsi fuerant metum,
neg; pluribus committere Rem publicam audebanttam re centi rei malae gestacniemoria
ad suanı igitur fidem publica recipiebant, atq, ita popularis fornia effe et aeft
horum postremo filii plus caeteris in Res Publica posse contendebant; atg; sinhanc
cupiditatem, maxime locupletiores incidents maximis pecuniae largitionibas plebem
cor runipebant VITAE ACTIVAE paternis, propter eaae quabilis, communisų
libertatis ru ;,-des& ignari, alijvinolentiam ;& luxuriofosconuiuionum
translatuseft. praesidia,& rebusadvi&um pertinentibus,magis quàm pro
neceffitate abundarent, ob nimiam bonorum copiam, atq; aff.uentiam cupiditatibus
obsequentės, arbitratifunt oportere principes, ornatus et epulisabijs, quifubeoruni
f :: quod& Herodotus affirmat contra huiusce modi principes fiebantàgen crofiffimis,&
1 1 tur . duxit . hiprinò administratione gaudentes commun ivtilitate del nihil
antiquius habuere, 31.disinijinsi. Sed emi a n i eorum liberi e andem å
patribus potestatem METHODUS I rumpebant, quae affirefacaaliena bonaconselle,
vitách; suae spem omnem in alienis fortunis ponere facileducem elaro animo, ace;
audacise et abatut,atý;tum Rei publicae for mailla, cuius conservatio in flavum
fiducia posita est, nascebatur, fiqui deintum plebs in vnum coactacaldem
facere, ciues eijcere, proscriptorum; agrosdiuiderein Scipiebat, donec facuum
tuufus, &erforatum, vniusiruperit *0 um reperiretur, qua propter his motus rationibus
eamprae caeteris lau Res publicae benainaliam bonam non mutetur quam bona
innalam, siquidem ut Aristoteles dicit in habentibus infi dese symbolum facilior
eft tramlitus, an quia fimilitudo ila, ali neracione. Quam qaog contrarieta temr
equirit? quodquidéin Ele's atme mentorum trasmutatione liquid paret: inhisverò Reip. niutaionibus, quis fimilitudineni,
& contrarietateinnes gabit) FACVLTAS ROMANORVM . quo ad leges veròattinet, quibusviifunt
ROMANI, occur rimtnobismulca, quae vt figillatim esplicentur,rom ab
otoexordientur; & inprimisant equam ROMULUS [ROMOLO] leges 1.2. demai.
vixit .pokea loges quasdam ipse tulit, cum alijs sequentibus Ro. gibus, quas curiatas
appellarunt, fequidem conuacat oper triginta curias populo Imgalifý; curiis inseparatas
epra constitutis et sententiam rogatistege solim ferebankor,;? quae populi congregario
comitia curiata dicebantur, à cocundo; quòd populuscoiret,et viri timlogesterret,
et dicerScruiusTulliusRex hunc mioremimuutle:camépo pulo eaporekasrelictaest, vt
plebiscita, & leges comitijs. Dät Polybius, quaeonines Rerum pub. forniasin
seconti not atg congregat, ne quacar uim vlera quàm facis fit au & a 1ist.
& prouceta in sibi adherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret: fódvniuf
cuiufớiroboreac potential interfeinui liseem obnitentesulla ciuitatispars vfquam
declinaret, ne 1.Dvivein altum propenderer. ex supradi& isautem dubucabit
forfan aliquis,curfaciliusa Pomp.in suriaras ferret populus incerto iurs, incertis
que legibusparis. H 2 curiaris LECALI vinil 1.& ler VITAE ACTIVAE.
COROLLARIVM Augusto [OTTAVIANO] hinc et Suetonius ait Tiberium à [GIULIO CESARE] in foro legecu riaelle adeptatum,
hoc eft suffragiis populi percurias collectis. quidam retulerunt. pe: TAPE PTA
LEGALIA ! Ilarunt, ad haec verò addita su t plebiscita, Senatus consulta, practorumedicta,
et principum placita,exquibus EJSER Servorum verò (cuius origo deiu regentium fluxit)
iuxta curiatis ferrentur,iii IB":NOI 3quaedam .de iur. 8oz idem parierro relabitur
ybi putabat,cum quiinciuitate sua Facinus patrasset, si in alium lo cum peruenisse
t accusam o m . iud. ai tik di t e r e a sunt prudentum declarationes, quas
responsa appeluorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps Regibus lege Tribunicia Regum
leges antiquataesunt, poftquècaepit POPULUS ROMANUS incer tomagisiure&
consuetudine aliquavti; quamlegelata, done e decem viri leges à Graecis
petierunt, quas in tabu liseburneis praescriptas pro roftrisappo fuerunt,vt faci
lius percipipoffent, atý;cum animaduerfumeffet aliquid 1
primisistislegibusdeelle; aliasduaseisdem tabulis,adie cerunt,&
itaexaccidenti appellate esuntleges duodecim 14 'ride illo crimine non potuisse
exemplo Hermiodori. Qui demomn eius ROMANORUM coaluit. 804 quod quidem universum
refertur, vel ad personas,velad res, vel ad a & iones . Iureconsulti verba vnatantunt
fuit conditio, istig;domi defta.ho. nioalieno contra naturam subijciebantur.
:.ning Liberi in li. cum TABULARUM, quarum ferendarum authorem fuiffe X Cicerone
.I.v.in. viris Hermodorum quendá Ephesum exulantem in ITALIA Tus, argumentum ad
exules. net ibni I PERSONAE lib.3.f. dedos hominesautem autliberisunt,autferui.
fta.ho. li ? رز inli.2.de80r rationeveròhuius
Hermodorinonrectè colligitBaldus {,oz inillisautêquiafummaeratobscuritas
desiderataeprop habent,quodlibet faciendi legenon prohibitum , atý;isto rum , alij
sunt liberti, alij libertini, alij ingenui. Quià mortein vita millosre uocarunt,
appellabantur. -horun, autem alij ciueserant ROMANI, qui vindicta, censu,Vlp.cap.s.
: aut testamento nullo iure impediente n i a n u m i s l i sunt, alij instic.
latiniIuniani,quiexlegelunia interamicos manumisli funt, alijdeditiorum numero,
qui propter noxam torti nocételáinuenti sunt, deinde quoquomodo nianumisli.
LIBERTINI. INGENVI. $ 11. Ingenuorum veròalijluisunt iuris, alijverò alieno
iuri fubie&i. et savie quialieno iuris
ubie et isuntfilij familias appellan-1.1.f.&his tur, qui inditione, et potestate
patris sunt vel natura, velquisútlui adop.
natura sunt qui ex nuptiis uxoris et maritioriuntur. NVPILAE. Nuptia cverò
apud ROMANOS tribus per ficiebantur modis Bəê in2: tiaeper coemptionem. Mulieres
autem quae in manu per coenuptionem conue nerant matres familias vocabantur, quaeveròvsu,
velfar reationeminime. caeterae aliaevxoresvsu erant. Anim aduertendum est autem
maximam fuisse differentia adoptione. Farreatione nempè, coemptione, &ylu, &
fanèfar reatio Top. Cicerone folis pontificibus conueniebat. coeniprioverò
cereis solemnitatibus per agebatur, fese.n. 1. 2. ff.de METHODVS Liberi sunt qui
nullius imperio subie &I facultatem liberā LIBERT1. Liberti funt quos domini
ex iustaserui. Il convito di Platone. Discorso de' Dittonghi di Giacopo Mazzoni
all'Illustrissimo Signor il Signor Francesco Maria de Marchesi del Monte. In
Cesena Appresso Bartolomeo Raverio. Questo Discorso sitrova altresì inserito
nella celebre Raccolta degli Autori del bel Parlare, impressa nella Basilicata.
II.Discorso diGiacopo Mazzoni indifesa della Comme dia del divino Poeta Dante.
In Cesena per Bartolomeo R a verii1573.in4.LadedicaèAlMoltoMag.mioSig.
Osservandissimo il Sig. Tranquillo Venturelli . Da Cesena. De’ motivi, che
indussero l’autore a scrivere questo dotto ed ingegnoso Discor so , se ne
ragiona qui addietro a cart.19. e segg. III. Jacobi Mazonii Oratio in funere.
Guidiubaldi Fel trii de Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri apud Hierony mum
Concordiam1574. in4. IV.Jacobi Mazonii Cæsenatis deTriplici HominumVita , Activa
nempe, Contemplativa , ei Religiosa Methodi tres, Qyestionibus quinque millibus
centum etnonaginta septem distincta. In quibus omnes Platonis et Aristotelis,
multæveroaliorum Græcorum, Arabuin, et Latinorum in universo Scientiarum Orbe
discordiæ componuntur. Quaomnia publice disputanda Roma proposuitAnno salutis
Ad Philippum Boncompagnum S.R.E. Cardinalem amplissi mum. Cæsena Bartholomæus Raveriusexcudebat
in Questo volume contiene le celebri conclusioni
di quasitutte le scienze, che il Mazzoni difese pubblicamente con meraviglia di
tutta S2 . 1 1 Ita 1T Della Difesa della Commedia di Dante
ec. Parte Pri ma, che contiene li primi tre libri, pubblicata a beneficio del mondo
letterato. Studioe Spesa di D. Mauro Verdoni, D. Domenico Buccioli Sacerdoti di
Cesena , e da essi dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante
Pilastri Patrizio Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referendario,
Abbreviatore de Curia , e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam.
Apost.CommissarioGenerale.In Cesena Per Severo Verdoni. in e V. Della Difesa
della Commedia di Dante distinta in seta te libri; nella quale si risponde alle
opposizioni fatte al D i s corso di M. Jacopo Mazzoni , e sitratta pienamente
dello arte Poetica , e di molt altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle
belle Lettere Parte prima ; che contiene i primi tre libri.Con due
Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe verendissimo Sig.il Sig. D. Ferdinando
de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In Cesena Appresso Bartolomeo Raverii
in4. . Italia . N o n seguì però questa famosa Disputa in R o ma nel 1576.,
com' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna nelFebbrajo dell'anno
seguente; on degliconvennemutare il frontispizio al suo libro, e porvi: Quæ
omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno Salutis Veggasi qui addietro
ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e delmeritodiquestolibro.DellaDifesa
della Commedia di Dantedistinta in sette libri, nella quale si risponde alte
opposizioni fatte al Disa corsodiM. JacopoMazzoni, esitrattapienamentedell'
Arte Poetica , e di molte altre cose pertinenti alla Filosofia , ed alle belle
lettere. Parte Seconda Postuma , che contiene gliultimi quattro libri nonpiù
stampati; edora pubblicata incuisitrova,cosìpergloriadelMazzoni,come per le
insigni qualità del Prelato, che vi si rilevano, cred o ben fatto di riportarla
in questo luogo, e dèla seguente. a beneficio del Mondo letterato. Studio
eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD. Domenico Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi
dedicata All Illustriss. e Reverendiss. Sig. Monsig. Rinaldo degl
Albizzidell'una e dell'altra SegnaturaRe ferendario , Giudice della Sacra
Congregazione di Propagan da, ePrelato domestico di N. S. Papa Innoc.XI. in
Cese na per Severo Verdoni in 4. Nell'occasione , che D. Mauro Verdoni ,
illustre letterato di Cesena , ebbe ri soluto di pubblicare questa seconda
parte della Difesa di Dante , vedendo che la prima era di già divenuta assai
rara , si determinò d i dover ristampare anche questa , siccome fece ,
dedicandola a Monsig. Sante P i laseri Prelato Cesenate per dottrina e per
esemplarità di costumi riguardevolissimo, il quale aveva prestato a tal effetto
al Verdoni ed ajuto e favore . M a essendo Monsig.Pilastri passato a miglior vita
in tempo che appena n'eraterminata la stampa, convenne aglieditori procacciarsi
un nuovo Mecenate , cui subito ritrova rono senza uscire dellalorpatria
nelladegnissima per sona di Monsig.Muzio Dandini Vescovo diSinigaglia, Prelato
anch'esso digran nome ; onde è avvenuto che quasi tutti gliesemplari siveggono
con nuova dedica indirizzati a questo secondo , ede'primi non m'è riu. scito
discontrarne cheuno,ilquale siconserva pres so dime unitamente all'altro
dedicatoaMonsig. Dandini. La dedica a Monsig. Pilastri è in data de 10.
Settembre 1688.9, e quella a Mopsig.Dandino è de'17. dello stessomese edanno. Epoichè
questa prima dedica merita assolutamente d'essere tratta dall'oblivio ne
Illuge 'animo fatociperultimare que sta grande impresá
frastornataci da tanti ostacoli) abbia mo stimato convenientissimo debito
presentarla a V. S. Illu striss. per una particella di dovuta restituzione ,
eriman dar(comesidice)questoFiumealsuoMare.Nepunto erriamo,sesottonone diMare
ricopriamolavastità delsa pere , la profondità della prudenza , i tesori delle
Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S. Illustris.Avvenga che, se
sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri isussidjdellavita,
a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità , emulando la pietà de'suoi
Avi, eregga agliEroidelParadisogli Altari;sovvengaleCongregazioni del
Taumaturgo Fiorentino , ed in specie questa della Pa che con tanta esemplarità
dal Porporato , che ci regge, ècomunemente protetta,e progredisce ne dettami
delpiosuo > Illustriss. eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla
scena delMondo alla seconda lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del
pregiatissimo nome di V.S. Illustriss.per contestare, che volume si prezioso
meritò sempre ne'suoi natali uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi
Personaggi, che venerasse il Secolo. Ed
invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e l'altre venerabili doti, che
adornano l'animo di V. S. III., puossi senza veruna nota concludere, che sia
sempre stato secondato da segnalatissimi favori nelli suoi ingegnosi parti
ilnostroMazzoni; mentre questi sono stati sempre genero samente accolti, edalle
prime Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi sino da’Chinesi iportenti
di questo grandeingegno. Ondenoiinconsiderazione dellegrazietan
tevoltecompartiteci,e dell tria , ' Fondatore , non potiamo, nè dobbiamo
concludere altro della religiosa prodigalità della sua mano , se non quello,
che della mano dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1 Præceps
illamanus Auvios superabatIberos, zioni,eprove dell'amore che V. S.
Illustriss. le porta ed in udire tutto giorno i religiosiattestati della sua
pietà a risplendere o ne' Tempii, o negli Altari, non le consacri tuttose
stesso in olocausto? Se nontemessimo tormentar quivi la sua modestia ,
proseguiressimo a mostrar con mille prove la sua gran dilezione verso la
Patria, e noi tutti ; giac chivisonopochi,chenonrammentino legrazie,ifavori,
eisovvegni conseguitidallabontà diV. S.Illustriss., ch'e Aurea dona voinens . A
questoMareadunque,ladicuigentilissimaaurahacci sovvenuto a condurre alporto un
Opera contrastataci da im. petuosi aquiloni di mille infortunj, abbiamo noi
presentato nella tavola de nostri voti questo eruditissimo libro, col
solofinedi rimostrare all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra
Patria ha saputoprodurre i Mazzoni , i > Chiaramonti, i Dandini, e gli
Uberti, preseduti alle pri me Cattedre di Roma, di Parigi, di Bologna, e di Pisa,
ha ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimi Figli, chegli
hannogenerosamenteaccolti, favoritiegraziati. Egiacche questa Difesa per se
stessa rende immune da qualsisia di fesa l'Autore, che ha saputo mettersi in
tal quadraturii coll' altissimo suo sapere , che non paventa veruna offesa;
resta perciò liberaaV.S. Illustrissima lasola difesa epro tezione di noi, che
abbiamo volentieri registratoin questo Libro lossequiosissiino e riverentissimo
tributo della nostra divozione al di leigran Nome ; che non potrà mai ricor
darsi e da noi, e dalla Patria tutta senza rassegnargliene con un eccessivo
ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè chi è , che nella Patria in vedere
le affettuose dimostra f > mula di quelGrande , neque negavit quidquam peten
tibus; et ut quæ vellent, peterent, ultrò adhortatus est . Cesena
10. Settemb.1688. Sacerdoti Cesenati, VJ. Discorso di Jacopo Mazzoni intorno
alla Risposta ed alle opposizioni fatregli dal Sig. Francesco Patricio ,
per est . M a vaglia per tutti, e sia ne' fasti dell eternità a
caratterid'oro registrata la grande restituzione , che ha fat to alla Patria
del suo gloriosissimo , e primo seguace del Redentore,MartireePastored'EvoraS.Mancio
ladi cuimemoria quasi quiestintaèstata dalla dileiPietàrav vivata ; le di cui
Sante Reliquie , fatte portare dalle ultime regioni del Tago , siccome hanno
impietositi gli Altari , così ancora hanno indotta tal venerazione del di
leiNome , che ingegnosamente si dice , meritar ella corona più preziosa di
quella , che da' Romani donavasi a chi rendeva i suoi Cittadini a Roina; ovvero
che solamente lapietà di Monsig. Sante ha saputo accrescereifigliSanti
allaPatria;eche sopra questo fortissimo Pilastrosivede ogni giorno più sta
bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso in Cesena . Viva dunque il nome
di V. S. Illustriss., e fino che i nostri celebratissimi Rubicone e Savio
tributeranno i loro liquidi argenti all'Adriatico, resti impressa negl’animi di
tutti la memoria di si gran Benefattore. Vivaquesto Cesenate Ti moteo , a cui
non Atene , m a Cesena , che è pur l'Atene della
Romagna,ergapertrofeounacoronadicuori. Mentrenoi. restringendocia
supplicarladigradire quest'attestato delno stro umilissimo ossequio,
riverentemente inchinati, la sup plichiamo anon isdegnarsidi permetterci,checipubblichid
mo per sempre Di V.S.Illustriss.eReverendiss. Vmiliss.eReverentiss. Servi
Obblig. D. Mauro Verdoni , e D. Domenico Buccioli > te 145 tenente
alla Storia del Poema Dafni , oLitiersa di Sositeo Foeta dellaPlejade. InCesena
appresso BartolomeoRaverii .in4. VII. Ragioni delle cose dette , ed'alcune
autorità citate da Jacopo Mazzoni nel Discorso della Storia del Poema Dafni
oLitiersa di Sositeo . In Cesena per Bartolomeo R a verii 1587. in4. Del merito
diquesti dueOpuscoli, e della cagione , che indusse l'autore a scriverli , si
vegga acart.78.e segg.,eacart.84. e85. Jacobi Mazonii Cæsenatis , in almo
Gymnasio Pisano Aristotelem ordinarie, Platonem vero extraordinem profitentis,
in universam Platonis et Aristotelis Philosophiam Preludia , sive de
comparatione. Platonis et Aristotelis. Liber Primus. Ad IllustrissimumetReverendissimumCarolumAn
sonium Pureum Archiepiscopum Pisanum .VenetiisM.D.XCVII. Apud Joannem Guerilium
in fol. Questo volume , che dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato
il suo capo d'opera , si vede al presente giacere quasi in una totale
dimenticanza , colpa de' nuovi sistemi di Filosofia , che di poi si sono
introdotti . Ad ogni m o d o è opera dottissima, e quanto mai si possa di -. re
ingegnosa, e nel suo genere affatto singolare ; con tenendo quasituttiisistemi degli
antichi Filosofi esa In Exequiis Catherina Medices Francorum Regine.
Florentia apud Philippum Jun ctamin 4. L'Autore dedica questa sua Jacobi
Mazonii Oratio habita Florentia Idus Orazione a Don Virginio Orsino Duca di
Bracciano per 1 ! i molti favori , che avea ricevuti da questo m a gnanimo
eliberalissimoSignore;dallacuigentilepro pensione verso di sè dice, che
sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un giorno cose molto maggiori .mi .
T minati ed illustrati in una maniera sorprendente. Lettere . Una
lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio Bulgarini si trova impressa a cart.
121. delle Consi derazioni del medesimo. Bulgarini sopra il Discorso di esso
Mazzoni in difesa della Commedia di Dante . In Siena appresso Luca Bonetti
1583. in 4. Tre altre scrit teparimente alBulgarini sileggono a carte e delle
Annotazioni , ovvero Chiose Marginali dello stesso Bulgarini sopra la prima
parte della Difesa di Dante del Mazzoni. In Siena appresso Luca Bonetti. Ed una
indiritta aSperonSperoni staacart.355. del volume quinto di tutte l’Opere di
esso Speroni dell'ultima edizione di Venezia. Dialoghi in difesa della nuova
Poesia dell'Ariosto. Di questi dialoghi fa menzione Mazzoni medesimo
allapag.20. delsuo Discorso de’ Dittonghi; e dice ch'era presto, a Dio
piacendo,periscamparli, il chepoinon fece, forse per essersi ricreduto sovra
tale materia; giacchè allora, che era molto gio Considerazioni sopra la Poetica
del Castelvetro. Que ste furono mandate dal Mazzoni al Barone Sfondrato, che ne
dà ilsuo giudizio inuna lettera scritta all'autore t r a quelle del Vannozzi.
vane XIII.Commentarj sopratutti I Dialoghi di Platone.P rea se il Mazzoni a
scrivere questi Commentarj per soddisfazione di FrancescoMariaII,dellaRovereDuca
d'Urbino, ed egli medesimo ne fa menzione in una lettera scritta a Giulio
Veterani Ministro del Duca, come pu . re a reinaltraaBelisarioBulgarini,
cheleggesi acart.213. delle Annotazioni ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul
garini.IlMazzonimedesimo poiacart.727.della DifesadiDante nomina
isuoiCommentarj soprailFedone, XIV . Libri de Rebus Philosophicis , fatti ad
imitazion di Varrone. Compose il Mazzoni quest'opera inunasua villetta sulla
riva del Savio , e nel Novembre del 1590. disse a Roberto Titi che pensava di
pubblicarla prima della seconda parte della Difesa di Dante. Veggasi q u a n
todamesenediceacart.44.e98.delpresentevo lume. Censura del primo Tomo degli
Annali del Cardinal Baronio . Il celebre Riccardo Simon in una lettera a
Monsig. Muzio Dandini, che si legge a cart. 9. del vol .4. della sua Biblioteca
Critica , afferma d'aver inteso da questo Prelato , che ilMazzoni avea scritto
contro il primo tomo del Baronio , tosto che questo uscì in luce , e che il manoscritto di quest'opera sic onservava
nella libreria delGran Duca. Discorso d'una breveNavigazione, chesi
puòfare da Portugallo nell'Etiopia , e nel Paese del Prete Janni . All Il.ed
Ecc. Sig. Giacomo Buoncompagni General di S.Chiesa, e Marchese diVignola. Questositrovainuna
Miscellanea della Biblioteca Vaticana. Discorso sopra le Comete. Anche
questoDiscor so,lodatissimodalSig.Guidubaldo de'Marchesidel Monte celebre
Astronomo, dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici Urbinati; ma
per diligen zefattenon sièpotutorinvenirealnum.513.,alle. gato dal Conte
Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del Zolfo, e
dietro a lui dal P. Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi . T 2
1 Biblioteca Malatestiana . Veggasi ciò , che del pregio di
quest'operetta si è da noi detto alla pag. 101. La Fisica , e i Dieci Libri
dell'Etica d'Aristotile. Tadini scrive che il manoscritto originale di
quest'opera , mancante però e imperfetto , si conser vava alquanti anni sono
presso ilSig. Gio:Antonio Al merici Nobile Cesenate. Il medesimo si afferma dal
fu Dottore Giovanni Ceccaroni in alcune memorie mano scritte, comunicateci dal
Ch.Sig.Arcidiacono Chia ramonti , dalle quali si apprende , che lo stesso Cecca
roni avea fatta copia dell'originale inedito dell' Etica sino dal 1719.; ma
sento che questa copia ancora sia andata insinistro,epiù non siritrovi.
XIX.InuniversamPlatonisRempublicam Commentaria. Della Rupubblica di Platone da
sé commentata fa ri cordo il Mazzoni medesimo nella lettera di ZQ / 148 ν
gataalSig. GiulioVeterani; dicendo,che quantopri ma pensava di mandarla , o di
recarla esso medesimo al Sig.Duca d'Urbino . alle La X X . Orazioni . Di varie
Orazioni dal nostro autore composte in diverse occasioni , e non mai pubblicate
, si è fatto memoria nel decorso di quest'opera , prima viene accennata a
cart.89. , detta in Pisa nell' aprimento degli Studi in lode della Filosofia .
La se conda scrittada luieloquentissimamenteper movere il Pontefice Clemente
VIII. a ribenedire ilRe Arrigo IV. di Francia a cart. 99. La terza detta ne'
funerali del celebrePierAngelio da Bargaacart.100. El'ultimafinal mente
recitatanell'Archiginnasio Romano , facendo una comparazione tra l'antica Roma
e la moderna ; . della quale sifavella acart.112. Lezioni. Quattro Lezioni
altre sì scrive il Mazoni sopra che mai non videro la luce . Elle furono
reci. tate in Firenze , due nell'Accademia Fiorentina per ri schiaramento di
due luoghi di Dante; e l'altre in quella della Crusca sopra iBrindisi ,e le
feste Vinali degli Anti chi.Veggasi acart.77.94.95.e97. Lettere. Di alquante
lettere del Mazzoni si conservano gli originaliin Pesaro nella libreria Giordani
, delle quali lach.me.del dottissimo Sig. Annibale degli Abati Olivieri si compiacque
giàmandarmi copia; e sono tre scritte al Cardinale Giulio della Rovere, una al
Duca d'Urbino , due a Giulio Veterani, ed una a Piermatteo Giordani. Altre
parimente originali scrittea Belisario Bulgarini si trovano in alcuni Codici
esistenti nella Libreria dell'Università di Siena. Oltre aquest'opere ilTadini
afferma, essercime moria, che dal Mazzoni sieno state scritte anche le seguenti
, cioè I. In Homerum Paraphrasis. II. Numi smatum Græcorum Interpretatio. III. In
Lullum Commentaria.IV. Naturalis Philosophie Arcana.V. Secretoperco noscere
da'Bigari e Quadrigati , denari Romani, qual fazione restasse vittoriosa ne' Giuochi
Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa o Bianca. VI. Tractatus de Somniis.
L'originale di questo trattato de'Sogni dice, che fu venduto molti anni sono da
certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni Gentiluomo Cesenate. Ma che avea
incontrata la stessa disgrazia degli altri, non si essendo più trovato. Forse
tutti questi mss.dovettero essere in quelle dieci casse di libri del Mazzoni,
che rimasero dopo la di lui morte presso Girolamo Mercuriali in Pisa, come il Dottor
Ceccaroni nell'accennate Memorie afferma apparire da un pubblico Documento
rogato. Per Per ultimo il sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti
mi assicura, esservi anche al presente chi sostiene doversi attribuire al
Mazzoni, così la Canzone composta in lode del Torneamento fatto in Cesena nel Carnovale,
la quale incomincia Mostra l'alterafronte,come ladifesadellamedesima,chefu
pubblicata sotto nome del Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di
Matteo Bidello delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto
sopra la C a n zoneMostra l'altera fronte.InCesena conlicenza de Su perioriPer
BartolomeoRaverii1587.in8.;machenon avea avuto modo di verificare veruna di
queste voci. lo per altro non averei difficoltà di credere, che così
laCanzone,come ladifesapotesseresserefatturadel nostro autore , essendo la
Canzone assai bella ; e la difesa molto dotta e giudiziosa , e degna
assolutamente del nostro grande e celebratissimo MAZZONI . Mazzoni. Keywords: implicature,
repubblica romana, the Latins on ‘vita activa’, I romani e la vita attiva.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzoni” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mecenate – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Gaio Cilnio
Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere
d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da
stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere romano. Combattè a
Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare
con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di
Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro
Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con
poteri illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e
trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli
deve la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori
filosofi del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del MECENATE
in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera
che introduce in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di
subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi
epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del
Mecenate. Maecenas wrote several works, none of which have come down to us. Their
loss howerer is not much to be deplored, siuce, acoording to the testimony of
many ancient writers, they were written in a very artificial and affected
manner (Suet. ‘Octv.,’ c. 86; Sen., ‘Epist.’ 114; Tac. ‘Dial. de Orat.,’ c. 26,
who speaks of the ‘calamistros Maecenatis.’). They consisted of poems,
tragedies (one entitled ' Prometheus,' and another 'Octavia'), a history of the
wars of Augustus (Hor., 'Carm.' ii. 12, 9), and a symposium, in which Virgil
and Horace were introduced. The few fragmente which remain of these works have
been collected and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana, sive de
C. Cinii Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works include a
Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil, and
Messalla, and, if a fragment from Plutarch can be trusted, some pretty clever
dinner conversation. Servius, Aeneid 8,310: Facilesque oculos fert omnia
circum: physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos
habet, id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et
Horatius interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait
'idem umor ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae
reducit bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa
¿YYóo, N unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV
ARZOL ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ
ysvousn, "EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai
ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn.
For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see
Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt 1911, 92-93. Perhaps Maecenas's Symposium should
be added to the list of possible antecedents for Petronius' Cena.
Grice e Medio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Medio. Porch. A contemporary of Plotino. He wrote a number
of books.
Grice e Megistia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto).
Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico di Calcide.
Grice e
Meis – implicatura – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bucchianico). Filosofo italiano. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di
un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a
Bucchianico, dove compì i primi studi: li proseguì presso il Regio collegio di
Chieti e poi a Napoli, dove fu allievo dei letterati Basilio Puoti e Francesco
De Sanctis, Spaventa e Ramaglia. Si laureò e nel 1841 divenne socio
dell'Accademia degli Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente nel
1848; fu poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e aprì una scuola
privata di grande successo, dove insegnò anatomia, patologia, fisiologia e
scienze naturali. Fu poi rettore del Collegio Medico di Napoli. Dopo la promulgazione della costituzione nel
Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra:
sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe
borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re. Fu quindi costretto all'esilio: dopo un
soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercitò gratuitamente la
professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani; insegnò antropologia
all'università ed entrò in contatto con il mondo scientifico parigino,
diventando assistente di Bernard e
ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica. Strinse anche un
proficuo rapporto con Cousin. Rientrò in Italia, prima a Torino e poi a Modena, dove insegnò. Tornò a Napoli e divenne assistente di De
Sanctis, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto
Membro straordinario del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. Fu deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di Angelo
Camillo De Meis al Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando fu iniziato in
Massoneria, è certo tuttavia che nfu membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna
a Bologna. Il suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico-spirituale
alle scienze della natura, che egli trovò nell'idealismo di Hegel. Fu anche
amico intimo e collega di Siciliani, del quale condivise in parte la
speculazione intorno al positivismo.
Venne citato, di passaggio, nel romanzo di L. Pirandello Il fu Mattia
Pascal. Fu costruito il nuovo palazzo
della Biblioteca provinciale di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a
De Meis. V. Gnocchini, L'Italia dei
Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, De Meis Angelo Camillo, su treccani. Il protagonista del romanzo infatti ascolta
casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due eruditi, e
dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo
cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà
"Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che
attribuiva a Camillo De Meis la tesi che due statue nella città di Peneade
rappresentassero Cristo e la Veronica (colei che si sostiene abbia asciugato il
viso di Gesù durante il calvario). In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia
Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria
libertà. F. Tessitore, «DE MEIS, Angelo
Camillo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 38, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, R. Colapietra, Angelo Camillo De Meis politico
“militante”, Napoli, Guida Editori, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Angelo
Camillo De Meis, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Angelo Camillo De Meis, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera, Camera dei
deputati. Angelo Camillo De Meis di
Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di
Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella
prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle
successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di Francesco De
Sanctis, il filosofo abruzzese Angelo Camillo De Meis. Difficile immaginare che
questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto difficile sondarne a fondo le
ragioni e avanzare qualche ipotesi. A men oche non si pensi al saggi in cuil
Meis (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi tra evoluzionismo e dialettica
hegeliana dello spirito; onon si immagini che possa essere il suo pensiero,
sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia, alla radice di uno sfogo
politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia Pascale prednde parte del
cognomen, e autore di una specie di impegnativo paradosso politico (IL
SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA forte, come punto di
mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia strati della
popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a intravedere tra
lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato) sfodo di Adriano
Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive da Talete ad Anassagora
Soggettivismo pratico individualista Sofisti. Soggettivismo pratico
universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto Platone Soggettivismo
incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico
intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Neoplatonismo Cristianesimo Oggettivismo ideale particolarista
Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac. Diderot, d’Holbac. Passaggio
alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale universalista Anseimo. S.
Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla oggettività Cartesio
Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa Oggettivismo dogmatico
individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant
Tempo recente Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant
Soggettivismo assoluto astratto — Fichte Oggettivismo assoluto Schelling
Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia della medicina .Cosa è lo
Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società umana individuata.
L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che basta a se stessa. 11
che appunto vuol dire che lo Stato è il grande organismo umano,
l'individuo gran- de, compiuto in sé stesso, indipendente ed
assoluto. L' uomo piccolo è una scala ascendente di fun- zioni.
Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve e si
nutre, veste panni, abita un nido e si riproduce: la funzione
riproduttiva è l'apice, e la corona della vita vegetativa.
Egli è questo il sistema dei suoi bisogni mate-riali, vegetativi ed animali.
Ma 1' uomo elementare non è soltanto un vege- tabile compenetrato e
avvolto da un animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata
dall'unità dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla
coscienza umana. La riproduzione è la corona della vita vegetale ; la
coscienza è la corona della vita animale ; e la coscienza assoluta è la
corona e F apice della vita spirituale. Come spirilo l'uomo è
per prima cosa, e per prima base, morale. La moralità, la virtti privata,
è la forma più naturale dello spirito : essa è il patrimonio
dell'individuo, e resta confinato e chiuso in lui. Il dritto è F uomo
aggrandito; egli è l'individuo che si aggiunge una porzione della natura
esterna; ed è una estensione del suo corpo , e della sua anima;
ampliazione della sua natura organica, ed esplicazione della sua natura
giuridica spirituale. E a tutto questo sovrasta F Io, la libera
coscienza, che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro e
circonferenza del circolo umano. L'Io è la conoscenza di se. Nella pura
coscienza l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma; ed egli
aspira a conoscere anco F interno di se, la sua propria natura. E Si
conosce infatti: nell'arte, come bello, e per dir così semi-infinito:
nella religione, come infinito sensibile; nella scienza, come
infinito di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il sistema
spirituale nell' uomo piccolo , nelF individuo particolare. NelF
uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si chiama lo Stato, ci
sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica, agricola,
industriale, commerciale : produzione materiale, frumento o libro;
trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio; nutrizione e
consumazione: relazione sensibile fra tutti gl'individui dei quali il
corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa
nell'in- dividuo, ma estesa alla società, manifestata come re-
lazione attuale fra gì' individui umani. La morale in- dividua diventa
dritto comune; materia della polizia, e del dritto penale. Nessun uomo ha
il dritto di of- fendere e usar vie di fatto contro un altro uomo,
perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza mo- rale sia
rispettata. Il reo non fa contro uno, ma con- tro tutti; e non è quindi
uno o pochi, sono tutti contro di lui: il sentimento della comune natura
u- mana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il dritto di
maltrattare un bruto; perchè non è il bruto, è il sentimento della
fondamentale unità della natura umana e animale eh' egli ferisce e maltratta
in tutti gli uomini civili e sensibili. La morale individua è il
rispetto della natura; il dritto morale è l'azione conforme ai fini, ai
principii, ai sentimenti naturali. Egli è dunque una relazione psichica,
spirituale, poiché spirituale è il suo fine. Ci è la funzione
giuridica, ed è la relazione del- l'individuo coi suoi annessi naturali
agli altri indi- vidui similmente costituiti di cui la società è
formata. Quello che invade 1' altrui , non occupa solo una por-
zione di natura; egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur
quella di tutti gli uomini, mem- bri di uno stesso corpo sociale; e
perciò tutti si le- vano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la
legge, che funziona e si esercita in forma di Tribunale. La legge
penale sta di rincontro alla barbarie, alla pas- sione violenta ed alla
guerra privata; un tribunal* criminale è in realtà una corte marziale. La
legge civile è il principio e la regola della pacifica deci- sione:
essa è la libera ragione che si leva di mezzo agli opposti interessi; e
il contrasto troncato in germe, e definito in forma di piato, non
solo non giunge, ma neppur tende alla violenza ed alla guerra. La
guerra è la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge, e
perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi sono tutti giudici di
pace. Ci è finalmente V Io comune , conoscenza e volere
generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui servono di
contenuto e di soggetto tutte le funzioni speciali. Cosa è dunque lo Stato?
Lo Stato è T insieme di tutte le funzioni materiali ed economiche,
morali e giuridiche, in quanto sono unificate nell'Io comune, che tutte
le penetra e le regola, ed è il punto a cui mette capo ogni
particolar movimento, e da cui parte ogni azione generale. Lo
Stato è adunque l'Io, la coscienza sociale. Tale è la forma: il contenuto
è la virtù pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la pubblica
economia. Lo Stato è il giusto, dice l'Albicini. Sì
certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è
un elemento della sua natura, il quale piglia neir or- ganismo giuridico
la sua forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è
solo un Gran- Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il
Codice Civile. — Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la
piglio in senso di relazione umana in genere. — Ed io allora la piglio in
senso di rela- zione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con
le idee vaghe ed astratte, e con le parole indeter- minate e
generali. Lo Stato è la virtti; dice il Montesquieu: la
virtìi è il suo principio ed il suo fondamento, e il vizio è la sua
rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate, piene di confusione e di
errori. La virtù, la morale, non è che un elemento , ed una sfera dello
Stato. Essa ò per se individuale; ma quando esce dall'individuo, e
promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore, e per così dire
individuale, essa allora di privata diventa pub- blica, ed appartiene
allo Stato. Che se dall' infima sfera delle relazioni individuali
l'azione si leva alla sfera giu- ridica, o se anche penetra nella sfera
politica, allora essa perde man mano il suo carattere morale. Un
de- litto politico è per poco un non-senso, quando non è che
politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda mundis: puro
vuol dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è a parlar di
delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed im-
prudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, suc- cesso ed
insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro
natura morale, giuridica o poli- tica : se non che una pena politica è
quasi un non-senso: essa in realtà non è che un semplice fatto di
guerra, un puro atto di difesa. — La virtù, dirà il Montesquieu, io
la piglio in senso di forza, di energia politica. — Ed io la piglio in
senso di energia magnetica, elettrica, nervosa, muscolare. — Le antiche
repubbliche erano fondate sulla sobrietà e sulla severa continenza,
sulla parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma cadde
perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io
chiamo virtù, questo vizio, rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e
ripete Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo, i
francesi. — francesi, questa che voi fate non è la storia, è il fatto; è
la materia appena un po' digros- sata, non è l'idea che la determina e la
informa; è il fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo
vedrete. Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ric- chezza,
dice il Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo Stato: ed egli cura la
produzione, promove ogni maniera d'industria, e favorisce il commercio
con istituzioni, e leggi , e procedure speciali. Ma la ric- chezza
non è che il sostrato , il sottosuolo dello Stato. La ricchezza è la
materia , lo Stato è il pensiero : 1' una è il corpo , T altro è l'
anima. L' anima fa il corpo , ma non è corpo per questo; e l'Economia
politica non è la Politica, non è lo Stato. Il principio
dello Stato è la religione, è la Bibbia degli Ebrei, diceva l'Aquila di
Meaux, e per quel tempo non volava male. Ora però, sarebbe il peggio che
si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar
per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e
il puro* e libero aere della ragione. E se monsignor Dupanloup pure
insiste e per- fidia, allora io dico che il principio dello Stato è l'arte,
è la Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di Siviglia e la
Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra, ed io avrò
altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà
monsignor Dupanloup. — Sì, certamente; ora finalmente ci siamo. Non
è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio del corpo sociale ,
il Dio dello Stato. Questo è che co- stituisce i Re, che direttamente o
per suoi organi crea tutti i poteri e le autorità politiche; e questo Dio
non abita nel cielo; lassù non v' è che il Dio della Natura: il Dio
dello Stato abita nel petto del cittadino, ed è a lui eh' egli ubbidisce
quando rende ubbidienza alle autorità che ne sono i ministri, il braccio
e la parola. Lo Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere e
volere, coscienza e azione; e la funzione dello Stato come Stato consiste
nel sapor di essere, e nel volere essere Stato. Questa non è che la sua
forma ; ma que- sta forma è appunto il vero Stato; e la coscienza
as- soluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui questa si
traduce e si spiega, è per l'appunto la sua funzione essenziale.
La coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta necessità
prende una esistenza naturale, e spontanea- mente si crea il suo
particolare organismo. Essa è l'anima; ed il sistema dei poteri politici
è il corpo che si crea , e in cui si fa reale. È una creazione im-
mediata e diretta, ovvero indiretta e mediata, come quella d' ogni
principio vitale; ma in definitivo è la coscienza pubblica, ed è sempre
lo Stato che crea i poteri e le autorità dello Stato. Questa funzione
crea- trice è 1' elezione. Ma questo corpo in cui l'anima
generale si tra- duce e si concentra, in realtà non è che una pura
anima: è il semplice potere legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale
creata dall'elezione, si crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1!
esercito : l' esercito amministrativo e l' esercito militare ; e la
finanza è il sangue di questo corpo generale. L' esercito
amministrativo serve per eseguire o render possibili tutte le funzioni,
che compongono la triplice natura dello Stato: la funzione
economica, la morale, e la giuridica. Un magistrato, un impie-
gato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e il suo onore è d'ubbidir
fedelmente alla legge, all'anima dello Stato. L'esercito
militare ha un ufficio anche pili essen- ziale. Esso serve allo Stato per
essere, per esistere; gli serve a difendersi dalle potenze nemiche,
esterne o in- terne, che ne minacciano la vita economica, politica
o morale. Il soldato è il braccio della legge, e dello Stato; il suo
ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto di un altro Stato , e di
reprimere le passioni colpevoli che si sfrenano contro la legge del suo
paese, e le isti- tuzioni del proprio Stato: nobile ed alto ufficio
tanto nel primo come nel secondo caso. I due eserciti sono
entrambi assoldati. Sono il corpo, e il sangue vi dee circolare. Il
potere legisla- tivo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il
So- vrano ha una lista civile perchè unisce in sé le due nature:
egli è il tratto d' unione fra il potere legisla- tivo e l'esecutivo, e
personifica in lui l'unità dello Stato : ed è perciò eh 9 egli è
sacro. Sovranità, potere legislativo, potere esecutivo ; tutto
questo è forma di forma : la forma essenziale , il vero Stato , è T Io
assoluto , la coscienza e la volontà ge- nerale. Ma non vi è la pura
coscienza e l'astratto volere, e non è possibile una funzione
puramente formale. Si è conscii di essere questo o quello , si
vuole e si fa sempre qualche cosa : e lo Stato conosce e fa da un
lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la legge penale, la legge civile.
Il Sovrano, il legislatore, V impiegato, il soldato , tutti vogliono che
lo Stato sia; vogliono che sia prospero, giusto, savio, forte di
tutte le fotze morali, e che possa tutte liberamente spie- garle,
ed esser felice. L'Io è la forma; la forza econo- mica, la virtù, il
dritto, è il contenuto dello Stato. Ma la forma prevale, e domina il
contenuto. La morale domina l'economia: la produzione non è pos-
sibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è im- morale. Il dritto
domina la morale: la virtù pubblica impone alla virtù privata. L'Io, la
pura funzione for- male, domina e modifica tutte le funzioni speciali
che sono il suo essenziale contenuto: lo Stato domina e modifica il
dritto e la morale. Un assoluto vince l'altro: tutti per sé assoluti, sono fra
loro assolutamente relativi. Il volgo riguarda come piti eccellenti gli
as- soluti inferiori, perchè piti naturali, e di più imme- diata e
più sensibile idealità. Il più alto è per lui l'ordine morale; che
sovrasta e primeggia sull'ordine giuridico; 1' ordine politico è subordinato
a tutti e due. In realtà il più eccellente è l'ordine dello Stato,
perchè più generale, e più assoluto e divino; e quando l'ar- monia
fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la funzione formale, la
funzione assoluta dell'essere, quella alla quale appartiene il primato, e
prende sopra l' altre la mano. Scoppia la rivoluzione dal basso o
dall'alto: ribellione, colpo di stato. Slealtà, tradi- mento, illegalità,
delitto. È vero. La coscienza mo- rale lo riprova, la coscienza giuridica
lo condanna; ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore che
l'approva; e se non è la coscienza politica dei con- temporanei, sarà di
certo la coscienza politica degli avvenire. La storia approverà il colpo
di stato e la rivoluzione popolare, quando è vera funzion di
essere: quando cioè l' essere apparente dello Stato non cor-
risponde al suo vero essere , a quello che esso è nella coscienza del
corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia che rimanga al di sotto di
questa misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è
ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia, ed
una legale illegalità, perchè in tal guisa realizza il suo essere, il
benessere della comunità, o dell 7 intiero corpo sociale. La ragione e il
titolo è la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno
del fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non la sua
vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si vede il suo
interno principio, l'essere generale realizzato. Ma non è meraviglia. I
nostri codici sono poco men che tradotti dal francese, e le nostre
leggi fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne
riflettono le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale:
è un violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1'
uomo non ha creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo
Stato è funzion di essere; egli è, vale a dire una forza : e l' elemento
di questa forza è la sua cor- rispondenza e la possibile eguaglianza con
la coscienza generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto
resta al di sotto o supera quello del corpo sociale. — Il secondo, e non
già il primo, è di gran lunga il caso dello Stato Italiano. — Egli è
perciò che quando la società vede nella pena di morte un elemento di
so- lidità, ed un pegno di sicurezza generale, abolirla è un
errore: è una fallace utopia, una velleità teorica, difetto di serietà pratica,
scipita sentimentalità, filantropia fuor di proposito; bontà di cuore
forse, ma certo debolezza di mente, che ad altro non condur- rebbe
che a crescer la debolezza, già così grande, dello Stato, accrescendo la
distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui deve render l' imagine
, ed es- sere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà pro-
gredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in armonia con la
coscienza dei moltissimi, allora lo Stato sarà forte, e allora la pena
ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro
indugio, abolire; perchè allora il paese, divenuto meno incolto e per dir
così più spirituale , avrà cessato di riguardarla come un elemento di
esistenza; e non sen- tirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto
barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti
ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, sa- ranno
moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne T abolizione. Si
parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei
sostenitori, ed è l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e dall'
altra un vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Sta- to
opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e assoluta,
superiore alla regione della utilità e del senso. Ma questo sì vergognoso
errore era la verità del Risorgimento; ed è perciò che non se ne
vergognava, anzi l'accettava, e ne andava giustameute superbo: il
senso e l'utilità era tutta la sua filosofìa, ed egli condannava allora
la pena capitale come non utile. Ve- nuto più tardi a miglior sentimento,
il Risorgimento respingeva P utilità , e condannava la pena di
morte come utile. Egli scambia per utilità la necessità ideale; e
non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua verità: egli è il da ubi
consistam della filosofia posi- tiva. Ma se ne vergognerà di certo quando
di risor- gimento sarà passato a secolo decimonono. Ammazzare
un uomo, turbarne i dritti, e vio- larne il possesso, attentare
all'esistenza dello Stato, che è quanto dire alla vita delle sue
istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare
moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il" dominio (e sia
pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo il
"cittadino non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta
farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è ingiusta; la
violenza pubblica e la pubblica usurpa- zione non è giusta; è più e
meglio di questo, è po- litica; e si chiama guerra e conquista, e non
più violenza ed usurpazione. La guerra è buona, e la
conquista è giusta le- gittima e veramente politica, (e dico buona,
legittima, giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre parole)
quando in esse lo Stato opera in funzione di essere: quando guerreggia e
conquista per* vivere per essere, o per diventare quello che è in sé, e
deve anche attual- mente essere. Vi sono società naturali,
che la violenza, l'ar- bitrio, la passione, il caso in una parola, divide
in più corpi sociali , per cui di uno si formano più Stati. Ma in
tutti rimane la coscienza della loro identità po- litica, e della loro
natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente
separate, in cui T accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le pas-
sioni umane, col concorso di altri accidenti ed op- portunità naturali,
crea una coscienza comune. La lingua, vale a dire la comunità e la
somiglianza fon- damentale dei dialetti (non mai la loro identità,
che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è una finzione
assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e l'espressione
approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova coscienza. La
comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di popoli e
di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e vivente con una
interna unità e un' anima generale. La geografia è la condizione esterna
dello sviluppo, e l' occasione più o meno accidentale di questa
for- mazione ideale. La comune coscienza che si è conservata dopo
lo spartimento dello Stato unico originario, non è più coscienza,
ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera attività; e la
coscienza comune che si è svi- luppata in un gruppo di Stati eterogenei
non è che il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso e
nell'altro questo sentimento èia nazionalità , la co- scienza nazionale.
E nell' uno come nell' altro caso ciascuno Stato si trova diviso in se
stesso; è un' anima scissa , con due coscienze distinte ; che l' una è la
co- scienza propria di Stato, l' altra è la coscienza comune di
nazione. Esso è dunque in realtà due anime, due esseri, uno attuale, e l'
altro possibile; il primo è Stato, l'altro non è che nazione: la nazione
è la possibilità naturale dello Stato. Ma esso anche quest'altra
parte di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser tutto il
suo essere, e irresistibilmente aspira a far della sua coscienza politica
effettiva, e della sua coscienza nazionale astratta, una sola coscienza
reale. Egli è perciò che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati
conna- zionali. È la buona guerra, e la legittima conquista; ma è
ancora il processo barbaro, violento, inconsa- pevole, passionale,
irrazionale. Era altra volta la buona soluzione; ora è divenuta cattiva:
il decimonono secolo è tempo di coscienza e di ragione, e non
ammette che la soluzione consapevole, volontaria e razionale.
Questo succede quando in tutti i corpi sociali si svi- luppa più o meno
egualmente di sotto alla loro par- ticolare e diversa coscienza politica
la comune co- scienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti
fini- scono per fondersi in un soIq corpo di nazione, in una stessa
società, in cui l'antica coscienza nazionale si eleverà e si perderà ben
presto nella coscienza po- litica comune. Non è più. la soluzione
forzata, è la soluzione spontanea e razionale. Egli è nel primo
modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali,
prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze for-
tunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale
non esisteva, è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società
affatto etero- genee, fra cui non vi è stato che un principio di
fu- sione. Si è formato senza dubbio nella Boemia, nell’Ungheria , nella
Iugo-Slavia, una coscienza austriaca; ma la vera coscienza politica è la
coscienza boema, ungherese e slava; e ciò perchè l' austriaca è una
co- scienza astratta, occasionale, non è una possibilità na- turale
effettuata e completa; non è lo sviluppo e la realtà della coscienza
nazionale. La Francia riuniva con lo stesso metodo delle nozze, delle
guerre in- giuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno
inomogenei, in cui pur v* era un avanzo di un'antica lingua comune,
testimone di una comune coscienza, di politica rimasta puramente
nazionale, reminiscenza di una potente antica unità; lingua avventizia e
forzata, ma che aveva finito per essere adottata; coscienza avventizia,
ma che era pur venuta, ed aveva finito per essere la comune essenziale unità
del mondo romano. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti finirono
per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però le dovute
e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l' intenzione di seguitare
in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro, medieyale;
ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la coscienza
nazionale, è la lingua, ed è la storia. La natura è la geografia: un
fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione. La Francia è
fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La soluzione
spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali era serbata al
secolo della ragione; ed è l'Italia che ne ha dato al mondo l'esempio, ed
è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale.
Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad
imitarlo. La natura lo richiede: la greca penisola è un tutto geografico
perfettamente circo- scritto; si direbbe una regione, un nido
apprestato per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone;
lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte ve- nuta a coscienza
politica, tutto è comune alla Grecia; e v' è un altro comune principio
che la unisce, ed è la religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza
e r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo
Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le
forze si oppone, e l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e
irreligiosa Europa del Risorgimento , custodisce e protegge con una
edi- ficante unanimità il barbaro e immondo straniero, il musulmano
oppressore. L' Italia è stata piti fortunata. Un grand' uomo
uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi sopra un nobile trono
straniero, rammentava l'antica madre per la quale giovanetto aveva
pugnato, e pugnava ancora per essa, e le dava la mano a farsi di
una nazione astratta, uno Statò reale. Italiano, io non so che
questo. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia non è ancor venuta, e
non ci ha giudicato sopra. Ora non vi è che la morale e il dritto, e le
piccole pas- sioni politiche dei francesi, tutti incompetenti nella
quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato per l'Italia siamo
competenti noi; e non sono ingrati tutti gì' Italiani. L'Italia per
viriti propria, e per generoso aiuto, che appena è che possa dirsi
straniero, è salita dalla coscienza nazionale alla coscienza politica. Ma
se quella è forte e potente, questa è ancor debole ed incom- pleta.
Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali la sua coscienza
nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente amalgamate in una
coscienza poli- tica comune* Le deboli sono scomparse; ma ve n' è
qualcuna forte, che resiste e permane, ed è l'antica coscienza
piemontese. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro.
La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza dub- bio ancor forte,
non si è pienamente trasformata. Essa è rimasta nazionale , astratta; ed ha
solamente prodotto di sé una coscienza politica italiana debole,
parziale, incompleta, poco men che astratta, piena di riserve e di
eccezioni. Essa è incompleta e debole di tutta la realtà e la forza che
rimane alla vecchia e tenace co- scienza piemontese, di cui la permanente
è l'espressione. Questo Sammarlino lo ignora ; ed è in una per- fetta
buona fede. Egli in tra v vede in lui una forte coscienza nazionale, e
allato a una profonda coscienza municipale (certo indebolita da quello
che era prima) vi trova un chiaroscuro di coscienza politica
italiana, e dice: io sono quanto si può più essere italiano. E se
lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli è senza dubbio italiano;
ma quel suo quanto si può essere, o quanto altri sia, è una sua
esagerazione. Nobile esa- gerazione, inganno volontario e generoso,
illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale fa
sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli altrui. Ma
in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal forza
d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il
giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede.
Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Ma il
tempo è galantuomo ; e s* egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo
antico una coscienza romana: se sulla vera coscienza magiara , czeca e
jugo- slava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se
finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese,
ha potuto (incredibile a dirsi, e mostruoso a pensare) destare una
coscienza politica francese: ben saprà creare una vera coscienza
italiana in quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi
della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel mo- mento in cui la
grande storia italiana del Medio Evo aveva termine, quando tutto intorno
taceva, s'avviliva e s'abbandonava, e la nazione intiera scendeva
nella tomba della servitù straniera e papale, egli solo non s'
abbandonava ; e che rimasto jnfino allora nell'ombra, sorgeva a un tratto
giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo e creava la nuova
storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia viveva ancora. E
quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e l'Italia vi
scendeva di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia, e lottava
animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della patria:
onore a cui dalla provvi- denza della storia era visibilmente riserbato.
Ah non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo
saprà identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e così grande
storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di quella nobile
provincia, è na- turale sia permanente e resista alla grande
coscien- za politica italiana. E sarà allora galantuomo
davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia non vi
sarà che una sola coscienza politica, allora non vi sarà più soltanto una
grande nazione, ma un vero e forte Stato Italiano.L'Io, la coscienza
sociale, è adunque il vero e proprio elemento dello Stato; ed è una
funzione pu- ramente formale che domina e modera e modifica la
funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie la vita, e
turba e invade la proprietà del cittadino; fa la guerra per esser quello
eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la proprietà, la vita,
Tessere in- dipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo
privato non può fare, e che gli sono permesse, dove- rose anche talvolta y
quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s' immedesima e si
confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e
reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse, ma è
lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' in- teresse generale. La fusione
e l'amalgama succede sempre in una certa misura, ed è tanto pili
completa quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello
Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si
separano, il tiranno è perduto: egli allora non è pih lo Stato, è un
altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero organismo si
solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un pro-
cesso di guarigione. Il morbo è la tirannia, l' anarchia: forme dello
stesso disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio; ed anarchia
tutt' e due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne
molti, ne tutti: V arche è la ragione. Il principio dello
Stato, la sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il morale,
non è l' eco- nomico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come
Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le
forme, di tutti gli organi, di tutte le funzioni sociali. Questo è
lo Stato, e qui finisce l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non
finisce la vita umana, e non è anche tutta la storia. Sotto
allo Stato vi è il dritto, la morale, la pub- blica economia; ma vi è
sopra allo Stato un mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che
non è il suo; vi è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il
mondo della religione. Il mondo della verità è di sopra al mondo della
natura e dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili
alta, e la pili perfetta e più generale esistenza delle fun- zioni
a lui inferiori. Lo Stato non è che la base e la reale
possibilità delle funzioni a lui superiori. L'Arte è una
funzione naturale, e perciò rimane affatto individuale. Vi è un mondo
estetico, ma non vi è una società artistica : vi sono soltanto degli
artisti e dei poeti ; e la parte dello Stalo è di render possi-
bile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la spontaneità ed il
libero giuoco. Egli non ha dritto sull'artista se non quando egli abusa e
tradisce l'Arte, ed esce dalla sua natura. L'Arte non è la
morale o il dritto, e può essere immorale e ingiusta a sua posta: ma
finché rimane Arte la sua immoralità non contamina, e la sua ingiustizia
può esser sublime, atta solo a sollevare e forti- ficare i caratteri, non
mai ad avvilire e degradar l' animo umano. Ma dal momento che essa esce
dalle sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale ed
ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene in nome della
giustizia offesa, e della morale violata; funzioni inferiori, che gli
sono tutte e due subordi- nate, ch'egli dirige ed ha in sua
tutela. L'Arte non è la religione, e può a sua posta essere empia ed
irreligiosa: ma la sua irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri
pensieri , e di re- ligione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le
proprie sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più
che semplice e sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene.
Egli dirige e modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma
non amministra la verità religiosa che gli è superiore.
L'Arte non è la Scienza; è in un certo senso il suo contrario : che
s' ella esce dalla sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e
a idea; tanto peggio per lei. La Religione è una funzione
dirò così spiritiforme: la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il
suo carattere è di essere naturalmente universale. Egli è perciò
che mentre l'arte rimane nella sua inconsape- vole particolarità, la
religione viene a coscienza, e si forma un Io sociale superiore all'Io
dello Stato: e di fuori e di sopra alla società politica si forma
una società religiosa. Il luogo di questa alta società non è la
terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su que- sto umile suolo,
ma la sua anima è altrove. La sua funzione è tutta celeste; essa è
riflessione e adempi- mento del destino umano: contemplazione della
infi- nita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della
grande fantasia; conseguimento della infinita fe- licità mediante il
possesso dell' infinito della religione. La funzione religiosa dello
Stato è di render possibile la formazione, e libero lo sviluppo e
l'azione, della società religiosa. La religione non è né
scienza, né arte, ne eco- nomia, ne morale. Essa può dunque essere a sua
posta inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi, miti
ributtanti e triviali; può professar tutti gli errori filosofici,
astronomici, teologici, politici che vuole. Tanto meglio per lei; sarà
più creduta, e più stimata e rispettala. Può la religione
professare tutte le assurdità mo- rali e giuridiche che le piace. Può
attribuire a Dio tutte le passioni umane, sopratutto le pili
barbare, e pih perverse e colpevoli, quelle che l'uomo mo- derno
pih si rimprovera, e maggiormente arrossisce quando se ne lascia
sorprendere e dominare. Sarà per lei tanto meglio: maggiore sarà la
riverenza, il terrore religioso, il timor di Dio. La
religione può a suo beneplacito credere ed insegnare che i figli sieno
responsabili dei peccati dei padri, come lo insegnava e lo credeva Mosè,
in un tempo ed in un paese in cui non v' era ancora il Dritto
Romano , e il Codice Civile era di là da venire. Se questo vi fosse stato
, non sarebbe venuto in mente a Mosè una siffatta idea, e non avrebbe
insegnato un così sterminato errore. Quella era pertanto la ve-
rità giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due gradi e due forme
non per anco distinte, confuse ancora in una verità sola. Oggi la
distinzione è av- venuta: la verità giuridica del Codice Mosaico,
con- vinta e condannata di falsità, è sostituita dalla verità
giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che al- l'astronomia di
Giosuè e del Santo Uffizio è sotten- trata l'astronomia di Copernico e di
Galileo. Ma co- me verità religiosa è rimasta in piedi: crede il
popolo ed il comune che l' innocente è colpito col reo dalla
vendetta divina: e si crede anche oggi come tre mila anni sono il dogma
che insegna che la colpa del primo uomo s' è naturalmente trasmessa a
tutti gli uomini. Questo dogma non è che l'applicazione in grande
del principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e quel che
lo rende piti meraviglioso, e perciò più cre- dibile al popolo ed al
comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere, il bisogno di
conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del
dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice
Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso mo- rale; ma non è che
una offesa ed una violazione re- ligiosa, e lo Stato non interviene per
far rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La
rappresentazione succede in una sfera superiore, e lo Stato ne
rende possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e la
rispetta qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa esce di questo
campo, e deposto il proprio carattere, si spinge nella sfera dello Stato,
e diventa irreligiosa- mente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo
Stato interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente
succede alle religioni che di spirituali si fanno tem- porali. Peccato è
loro e non naturai cosa: di loro è la colpa e non dello Stato : e perciò
tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì
dell'Arte e della Religione , vi è la scienza , la filosofìa. Ma
qui l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto
universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna forma naturale. Non
vi è quindi una società filosofica, vi è soltanto il mondo della
filosofia, il mondo del pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non
interviene in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il dee,
né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò che non è naturale. Lo
Stato non può entrare nella sfera della scienza senza disertare la sua,
senza perdere il suo carattere essenziale, e cessar di essere
Stato. Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque
insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il Prete ed anche il Demagogo?
— Non già; non mai. Insegnare non è pensare e recare in mezzo il proprio
pensiero; è invece agire, educare e preparare all'azione, ed
appartiene quindi allo Stato; e insegnare un principio rep ugnante e
contraddittorio a quello dello Stato, è uno scalzare lo Stato, che non
può certo trovarci il suo conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere;
e nes- suno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di ferro o sia di
veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo Stato. 11
principio politico dei Gesuiti è la Religione, la loro; e quello a cui in
ultima analisi tutto mette capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l'
autorità religiosa. Il principio dello Stato moderno è invece l'Io, la
ragione; è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello a
cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò con- siste la libertà
civile. Il principio del Demagogo è la libertà sensibile, e T
eguaglianza materiale. Il principio dello Stato mo- derno è la libertà
ragionevole, l'eguaglianza assoluta, ideale. Egli è perciò
che lo Stato limita e nega la libertà del Demagogo e del Prete, e li pone
tutti e due fuor dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor
della scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato. Il
giornale è una scuola, e non può quindi godere una libertà illimitata.
Ogni cosa ha il suo limite nella sua propria natura, e la libertà ha il
suo limite nella natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e
buona, perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è la
stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi da noi. La
libertà non appartiene che alla libertà. Solo quella stampa, queir
insegnamento, e quella qua- lunque siasi attività dee poter liberamente
agitarsi e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva e
professa il principio generale, e vive dello stesso elemento assoluto. La
religione, l'arte, la scienza non sono assolutamente libere che nel
proprio ele- mento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non
può, non dee, non ha facoltà di mettere il piede. E però quando io vedo
un Ministro chiuder la bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma
liberale, perchè professa delle particolari idee che in un certo
mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto
troppo per dir eh' egli abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il
limite, ed oltre- passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome
di un principio particolare, religioso o scientifico, io non lo so;
so soltanto che non è il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la
mano: e che il Ministro mi scusi, e mi perdoni il Consiglio
Superiore. Lo Stato non è adunque che la possibilità
effettiva e naturale della vita artistica, della società religiosa,
e della pura attività scientifica. La sua funzione con- siste nel
renderle tutte e tre possibili mediante l'Istru- zione e la Pubblica
Educazione ; ma non ha ufficio , e non può altrimenti intervenire
nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica
e la poetica mediante decreto: e così non può decre- tare la verità
religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione dello Stato:
cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent from
the all new AOL app for iOS Opere di Angelo Camillo De Meis .... Pag. XI
B) Studi sul De Meis - Opere ed articoli che a lui accen- nano - Recensioni di
suoi scritti » La vita e la storia del
pensiero di A. C. De Meis. La famiglia e i primi anni Nel R. Collegio di Chieti
La vita intellettuale a Napoli Le scuole private. Gli studi letterari,
filosofici, scientifici De Meis a Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata .
Gli avvenimenti a Napoli Le vicende del
De Meis. Il processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico A
Torino «quando l' Italia era colà » . Il De Meis e i suoi amici: Spaventa,
Sanctis, Marvasi. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intellettuale del
De Meis e la sua metempsicosi Vili. M., professore all'Università di Modena. Il
ritorno a Napoli De Meis a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale
e politica. La morte. Il testamento La personalità del De Meis. Lo svolgimento
del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria I momenti di sviluppo del
pensiero del De Meis. Il «Dopolalaurea» La storia della filosofia esposta dal
De Meis. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall'
oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana
giudicata dal De Meis Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana
. Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. Il De Meis e gli
altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura. .Il «Dopolalaurea» e l’orientamento filosofico.
Gli scritti scientifici, Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi, Sul
sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della
morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle
sue malattie per rispetto alla loro sede (1843). Intorno l'asse cerebro-spinale
(trad. dal lat., 1843). Considerazioni anato- miche sul salasso locale Teoria
dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica - Parte prima:
Del principio vitale Idea della fisiologia greca Le opere scientifico-filosofiche. Idea
generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del
secolo (1851). Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra
l'infiam. Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De
Meis. L'evoluzione delle sue idee politiche e la trasformazione del partito
liberale italiano li. L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all'
arte, alla religione, alla scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo.
Stato e nazione. Stato oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato III.
L'idea della sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il
pensiero e contro 1' azione del partito progressista. Il suffragio universale e
lo scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo
secondo V. VI. VII. il DeMeis Contro l'abolizione della pena di morte Il
divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor-
porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del
culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato. Vili. Lo Stato e
l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I
tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il
liceo Magno e l' istituto tecnico
inazione dei vasi sanguigni. I
mammiferi (1858). Fisiologia (1859). Prelezione al corso di fisiologia dato
nella R. Università di Modena nell'anno scoi. 1859-60. Gl'ippocratici e gli
antippocratici Lettere fisiologiche Le opere scientifico-filosofiche La
jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La medicina storica o razionale. La
medicina religiosa. La natura medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il
terzo periodo. La filosofia della natura. La creazione secondo il De Meis. La
lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La
dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario nella sua
concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche. medico. L'insegnante unico. Gli esami. La
libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due
discordi Sacerdoti d'idee: il De Meis e il Mazzini. Le idee estetiche e
religiose. La coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi
giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull'
affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. Il De Meis critico
letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio
personale e la sua critica del Dio cartesiano, del- l' antinomia kantiana e dei
dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani, sul
cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte e
della religione nella filosofia secondo il De Meis. La storia del genere umano:
oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno : medio
evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il risorgimento
o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva, la musica.
Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La religione e
l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo- menti
storici e logici addotti dal De Meis IV. Ottimismo e misticismo del De Meis.
Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità
scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. //
Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco voltata
in italiano da A. C. De Meis, nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze
mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del
Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi
delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio
dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale
degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani -
convocato in Lucca. Na- poli, Coster.
Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta
dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof.
Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso
locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in
Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione,
Napoli, F. Vitale, [Dedicato a Luigi La
Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in
Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascolta- zione
(v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la
precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali.
Discorso di A. C. De Meis presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli -
detto nella pubblica adunanza del 16 gennaio 1848. Napoli, Stab. tip.
all'insegna dell'Ancora, M. deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua
provincia, (pp. 14, 8°, con la data di Napoli, 8 maggio 1848). Discorso
inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio
Medico. Pronunziato il dì 7 maggio 1848 e pubblicato dagli alunni del Collegio
Medico, Napoli, F. Vitale, 1848. Proposta di un nuovo sistema di insegnamento
pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De Meis
ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli, Vitale,
1848. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica. A. C. De
Meis già deputato al Parlamento. [Manifesto]. Nuovi elementi di fisiologia
generale speculativa ed empirica di A. C. De Meis già deputato al Parlamento
Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, Lezioni orali, raccolte per
cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui assente, da essi pubbli- cate
». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione, To- rino,
Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia]. Chiarimenti
al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali, Napoli, Fisiologia generale. Evoluzione logica del
principio vitale. Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis ex-deputato,
Napoli, Stab. tip. al- l'insegna dell'Ancora,
[Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria
dell'ascoltazione, Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello
sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A.
C. De Meis. Torino, Tip. Pavesio e Soria, (pp. VIII-96, 16° picc). [Dedicate
alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De Rogatis]. Del metodo delle
scienze mediche. Lettera al professore Carlo Demaria, To- rino, in Giornale
della R. Accademia medico-chirur- gica di Torino, anno VII, voi. XX, Torino,
Favale Considerazioni sopra l'infiammazione dei Vasi sanguigni nel Giornale
della R. Accad medico-chirurgica di Torino, Tip. di G. Favale e Compagnia, anno
VI, voi. XVII, Torino,Torino, Torino,
[Nella seconda, nella terza e nella quarta puntata il titolo è :
Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella quinta puntata e
nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra la flogosi ecc.].
/ mammiferi,Torino, 1858, Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è preceduta da
un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De Sanctis a Zurigo.
Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com- porrà di tre
volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il terzo le
Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a ragione
di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di circa 70
fogli... »]. Fisiologia, Torino, Tip. Franco, Estratto dalla Nuova enciclopedia
popolare del Pomba). Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista
contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, Lettere
fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal- l'Unione
tip. Editrice. Definizione della vita], pp. 2, in -8°. [Il De Meis, sotto la
data di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella
Università « e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr.
infra: Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello,
(ppNapoli Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena
nel- l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la
« Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima
contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862].
Degli elementi della medicina, Prelezione di A. C. De Meis professore di storia
della medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura
medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze
mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna.
Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano,
nel giornale L'Ippocratico, III, voi. 7, estr. di pp. 65, in -8°). [Sono due
lettere: I. La vita; La chimica inorganica. - l De Meis si era proposto di
scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette
molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore
; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze,
Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, 22 gennaio 1865, pp. 54-57. La natura a
volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze,
Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La
natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà
Italiana, Firenze, [Questo dialogo e i
due pre- cedenti sono citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.”
De Meis deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data:
Bologna tipi VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato
alla contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia
storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano.
Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, Delle prime linee della patologia storica,
Prelezione al corso di storia della medicina per A. C. De Meis, detta l'8
gennaio 1866, Bologna, Monti, Il sovrano,
nella Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e lette- ratura,
compilato dai proff. Albicini, Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna,
Monti, [Ristampato, con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto
diede luogo tra il Carducci e il Fiorentino, dal CROCE, nella Critica, Vili
Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia,
[Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel
giornale La Patria di Napoli, a. Vili, N. 72, 13 marzo 1868; e fu ri- stampata
dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|,
nella Rivista bolognese, Bologna, Monti,
[È una lettera, con la data: Bologna, 16 marzo 1868]. Dopo la laurea -
Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque
lettere (1863-66) erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale
L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo pubblicato nella Rivista bolognese, poco
prima della pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della
medicina, Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, 1868 (Estratto
dal fase. 8° della Rivista bo- lognese, pp. 24, in -8°. Data: Bologna 20 luglio
1868). [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale,
Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella
Rivista bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della utilità
dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista
Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr.
dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti,
Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali. I tipi animali, Lezioni, [parte prima],
Bologna, Monti, [La «Prelezione» era 3
stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione VII ([1], 125-
156) fu pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da B.
Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a
Darwin)]. Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia
della medicina, Prelezione, Bologna, Monti,
La medicina religiosa, Prelezione, Bologna, Monti,pubblicata anche nel
Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto
da Francesco Fiorentino, Anno I, voi. I, fase. 2 aprile 1875, pp. 265-280).
All'onorevole signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno,
presidente dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bolo- gna, Monti, [È,
una lettera, con la data: Bologna, Il canonico
di Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia, [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La
malattia dell' on. Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze], [Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di
Chieti, Bologna, Monti, Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la
riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K.
Mayow, prof, di zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna,
Monti, Francesco De Sanctis, Bologna,
Fava e Garagnani, 1884, [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia,
opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In
memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano, 1884]. Bibliografia.
XVII Bertrando Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta dell'Emilia (Monitore
di Bologna), 1883 (>)• Francesco
Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, 1884. - [Estratto dalla
Gazzetta dell'Emilia, 28 dicembre 1884, N. 359. Opu- scolo di pp. 10, in -16°,
anonimo]. Spagnolismi e francesismi. Note di AngeiAntonio Meschia (-) maestro
ele- mentare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti, 1884, (pp. 80, in -16°
picc). Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof. Camillo De Meis per la
solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna nell'anno
scolastico 1886-87, Bologna, Monti, 1886, (pp. 35, in -8°). [Stampato anche
neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi, Estratto dal giornale
L'Università, Bologna, 1887, Società Tip. già Compositori, (pp. 12, in -8°).
Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino quo- tidiano
di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione Emi- liana, N.
Primo, 12 maggio 1888; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri [La pagina d'album e la polemica furono
ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di
storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione
al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, .
[Uscì pure in un opuscolo di pp. 8, in -8°, estratto dall'Università, Bologna,
Azzo- guidi, 1890]. Lettere di A. Camillo De Meis a B. Spaventa, pubbl. da G.
GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando, (pp. 32, in
-16°). [Tre lettere ed un telegramma del De Meis sono state pubblicate in Maria
Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione ampliata con pref. di
G. CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria dei Tipi
vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le
auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la
gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI,
Modena, Soc. tip. Modenese, 1911, pp. 11-12. Altre lettere del De Meis sono
state pubblicate dal CROCE nel volume Silvio Spaventa - dal 1848 al 1861 -
Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898; e negli articoli su // De
Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica, ed una in FRANCESCO De
SANCTIS, Lettere da Zu- rigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, Il Croce
preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del carteggio inedito del De
Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte lettere del De Meis sono
possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente pubblicate a spese del
Consiglio Provinciale di Chietij). La religione cristiana è già distrutta nel
mondo civile latino. Vive solo nell'ancor barbaro mondo germanico. La
riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale non illude più.
All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento,
parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la
laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le
apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in Italia, Le
idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio, poi caricatura
smaccata e cinica della religione, succede la drammatica senza soprannaturale.
Nel XVI secolo la distruzione è compiuta in Italia; in Francia erano
irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione era incolta, e per questo
la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì nel secolo XVII il
giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la Francia, divenuta
centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo XVIII è
il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia del
Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione, ed a quella
dell' Alfieri, in cui tutto è umano e naturale, succede la lirica
moderna, che non lascia alcun margine fra sé e l'assoluta riflessione, e
giunge all'ultimo limite della poesia. Anche in Germania, in parte
per riflessione spontanea e in parte per influenza del ri- sorgimento
italiano divenuto sud-europeo, si è iniziato il risorgimento, che
differisce dal latino in quanto non è la semplice rappresentazione del
naturale, ma la negazione del soprannaturale, rappresentata e sviluppata
nelle sue conse- guenze. Secondo il De Meis, i due risorgimenti, il
latino e il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sul-
l'altro, nel XIX si fondono in un solo risorgimento, un solo mondo di
poesia e di pensiero, in cui la religione, divenuta indifferente, è
appunto per questo perfettamente tollerata. E a questa fusione delle due
Europe in una sola Europa spirituale seguirà certo fra non molti secoli
la fusione in una sola Europa giuridica e politica. Il secolo
XIX durerà finché duri l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a
Bacone — che mettendo fin da principio fuori causa lo spirito non lo
ritrova più in se- guito, e nega la possibilità di conoscerlo,
consolidando la opera del risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che
con- Dopo la laurea, [Le
idee estetiche e religiose. verte subito il dubbio nell'intima certezza
di sé, del pen- siero del suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello
del cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Di-
scorso del metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus : il cogito
cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un
edifizio che avrà le proporzioni dell'universo ed accoglierà tutto il
genere umano, destinato a formare un solo ovile sotto un solo pastore, il
pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate
moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello
spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa scaturire la vita, la
virtù, la morale, attribuendo alle cose dello spirito un pregio infinito.
Vero è che questo infinito, questo divino, questo assoluto e universale
non è che individuale. Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone —
leggi Fichte — , che con profonda intuizione vede come l'universale e il
particolare di Socrate si compenetrino in una sola unità. E dopo Platone
viene Aristotele, viene Giorgio Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla
fantasia, procede con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo
regno non durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico
Aristo- tele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale
genere umano. Giorgio Hegel, ponendosi nella posizione di Cartesio, rifa
per intero il processo della conoscenza e trova il processo della
creazione. Questo grande movimento, che si compie nel nord,
si era iniziato nel sud; ma il sangue del Bruno era stato ver- sato
invano ed il Vico non era stato compreso da nessuno, Pel giudizio
del De Meis circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, pp. 282-83;
ecfr. Cfr. qui addietro, V. Dopo la laurea,
Le idee estetiche e religiose. un po' per colpa del papato e molto
più pel carattere delle loro creazioni, che erano intuizioni isolate del
genio, più che momenti di uno sviluppo storico ordinato e
necessario. La storia del pensiero moderno è una storia tutta
settentrio- nale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel mondo
latino non giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della grande
filosofia. Cartesio, il padre della filosofia moderna, non procede dal
Bruno, non è inteso dal Vico, né dal Gio- berti finché egli non si fu «
spapificato » ; Spinoza fa rab- brividire l'Italia e la Francia. Il De
Meis riteneva che a Napoli si fosse sempre conservato, in mezzo al
risorgimento, un fil di tradizione del Bruno e del Vico: la quale,
così guasta e superficiale come era diventata nelle mani degli
avvocati, pure era stata bastante a farne un paese a parte; ma credeva
che i germi gettati dal pensiero italiano avessero germogliato in
Germania. Bertrando Spaventa si era molto preoccupato del problema della
filosofia nazionale ('). E il De Meis accoglieva in questo proposito
l'opinione del suo Ber- trando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente
dell'Italia, e forse di tutta l'Europa, « la Germania inclusive » Ora che la storia del pensiero
filosofico moderno sia concen- trata tutta esclusivamente nella sola
Germania — conce- dendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è una
opi- nione che lo Spaventa, e a traverso lo Spaventa il De Meis, accettano
dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno fede assoluta
di essere nel vero, il nostro Autore rassomiglia anche in questo, che il
valore di ogni singolo filosofo è per lui in ragione diretta della
distanza che lo V. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e
Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore
biblio- grafico di G. Daelli, Torino,
V. Dopo la laurea, [I], pp. 288-290. 298 Le idee
estetiche e religiose. separa dalla sua propria concezione.
Caratteristici in questo proposito i giudizi circa il Rosmini e la
evoluzione del pensiero giobertiano ( l ). Dopo Hegel, secondo
il De Meis, religione e poesia cedono in Germania il posto alla teologia
e all'estetica. Nel mondo latino la tradizione cartesiana si è dispersa;
è rimasto padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e
negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo mo-
derno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cri- stiana, si
volge al passato, al medio evo sacerdotale e sim- bolico, e moltiplica
gli sforzi per creare una nuova reli- gione. Sforzi vani, che la
religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito, della sua
trinità, della sua umanizza- zione, è l'ultima di tutte le religioni, e
solo potrà trasfor- marsi e purificarsi. Mentre questi vani
sforzi si compiono nella Germania volgare — non in quella pensante — ,
nel sud, dove un ele- mento pensante manca, la parte più elevata, non
però pen- sante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è
un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che da un debole
raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col
Concordato e col Genio del Cristianesimo, parti infelici della riflessione
travestita da imma- ginazione ("). La riflessione, non avendo piena
coscienza di sé come nel mondo germanico, coesiste nel mondo latino
a fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al romanzo,
genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione, tra la poesia e la
prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo, genere equivoco, compare per
la prima volta nel principio del secolo XIX dell' antichità, ricompare
nel nostro se- Dopo la laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea,
[I], pp. 226-252. Le idee estetiche e religiose. e rinasce
in Germania, col Goethe, genio equivoco, tra la poesia e la prosa, in cui
l'universo si riflette tutto intero; si sviluppa in Inghilterra, paese equivoco,
tra latino e germanico, e raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equivoco
anch'esso, mezzo liberale e poetico e mezzo prosaico e papale, e
precisamente in un uomo, come Goethe a cui somiglia, equivoco: Alessandro
Manzoni. Si osservi che il De Meis, una volta stabilito che
il romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci tutti gli
individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fio- risce,
prendendo — si noti — la parola equivoco nella acce- zione di misto e
complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni individuo potrebbe
indifferentemente applicarsi. Dopo lo Scott e il Manzoni, il
romanzo va perdendo il carattere epico, e diventa sempre più storico,
riflessivo e prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Paul De Kock
e Edgardo Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia.
Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta co- mincia
antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma, uno scetticismo
che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il deismo, uno scetticismo più
progredito; infine l'ateismo, uno scetticismo assoluto, la pessima delle
filosofie. « E non è finita ancora la triplice serie » ('), osserva il De
Meis, fedele sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti prote-
stante; la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea; l'Italia ha
una ventina di milioni di analfabeti, tutti papo- temporali ; i
semi-analfabeti sono in gran parte demagoghi. Il risorgimento
produce quella filosofia che è la bestia nera del De Meis, la filosofia
positiva. Era la filosofia che gli aveva preso fra i suoi artigli,
strappandolo alla fede hege- liana, un caro amico — rimasto tale malgrado
la irreconci- Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.
liabile opposizione delle opinioni filosofiche. Pasquale Villari,
al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la
laurea (') ; era la filosofia che accoglieva la teoria dell'evoluzione
del Darwin; era la filosofia opposta alla hegeliana nel principio, nella
essenza, nel metodo. Mai il De Meis si lascia sfuggire una occasione di
combatterla : trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la
na- tura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o
iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discus- sione, ed è
una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia antifilosofica (").
Il risorgimento iperscettico non può trovare la verità, perchè ha
l'occhio sempre rivolto alla natura esterna, e non mai alla natura
interna, al pensiero dell'uomo, che è la verità stessa. Secondo il De
Meis, la filosofia sedicente positiva è di fatto negativa, poiché nega il
negabile, la cono- scenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza
del- l'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai
pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera.
Il primo atto è il principio; la scena è in Italia: Telesio scopre
l'ap- parenza come principio. Il secondo atto è il metodo ; la
scena è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-
baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e
la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti
: la classificazione e la filiazione dei fenomeni. La
filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia fra la corrente
poetica e la filosofica, ed è il sangue della (') V. qui
addietro, pp. 9 nota ( 1 ), 35-36; Dopo la laurea, passim; cfr. VlLLARI,
La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di Milano,
fascicolo di gennaio, 1866; e SPAVENTA, Scritti filosofici, p. 311, nota
( 2 ), per quanto si riferisce alle critiche mosse a questa pubblicazione dal
WYROUBOFF, dal MAIANI, dal FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee
estetiche e religiose. 301 filosofia; l'osservazione e l'esperienza
ne è lo stomaco; l'in- duzione baconiana il polmone sanguificatore ; la
legge posi- tiva il torrente della circolazione; ed essa, la filosofia, è
il cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e pensiero
speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non avrà più nulla
a digerire, né il polmone a respirare; e la natura divenuta tutta sangue
circolerà dentro dell'uomo. Al- lora questa terza corrente, tutta e
sempre prosaica, sarà dive- nuta un mare, ed avrà confuse le sue acque
col mare della religione, della poesia e della filosofia. La
terza parte del gran dramma della filosofia cristiana è il tempo nuovo.
Dopo la riflessione negativa del risorgi- mento, la filosofia moderna,
come ogni filosofia, muove alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete
è Giordano Bruno ; il nuovo Pitagora è il Leibnitz. Per passare dal
naturalismo dina- mico del Bruno e dal neo-pitagorismo e, per così dire,
dal- l'atomismo ideale leibnitziano, dal principio naturale al
prin- cipio umano, occorreva un nuovo Anassagora, e venne Car-
tesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del mondo, nasce non perfetto;
in Cartesio è uovo o tutt' al più em- brione ('). Il secondo atto della
filosofia moderna si volge al metodo. Nel perfezionare il metodo antico,
l'antica dia- lettica, proporzionatamente alla più perfetta natura del
prin- cipio moderno, e nell' esplorare più completamente il prin-
cipio, consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX, che termina
poco dopo la fine del secolo XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il
principio di Cartesio e dello Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto
e metodicamente sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua
esecuzione, il si- stema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà
mai es- sere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta
possibilità dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti
(') Cfr. qui addietro, Le idee
estetiche e religiose. i principi a traverso ai quali la
riflessione greca è passata non sono che le forme e i gradi della sua
cognizione. « E uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a
un punto nel quale il principio contiene in se il tutto % e il
metodo si confonde col processo evolutivo del principio, e il
sistema è il tutto spiegato; quando la filosofìa giunge a comprendere
il creante e il creato in un attivo processo di creazione » ('), non ha più
dove andare, a meno che non voglia indietreggiare, come fece la Grecia
dopo Aristotele, o uscir dell'universo. E se il tempo moderno non vuole
indietreggiare, bisogna che si contenti del suo nuovo Aristotele. Non è
possibile un terzo Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel
moderno il perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di
og- gettivo è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo pro-
cesso di cognizione e di creazione. Vivo di riflessione filoso- fica, non
d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia, è sempre
un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana. L'anima vive
finché la fa, ma quando l'ha fatta, quan- do della realtà vivente, ossia
di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero filosofico,
allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando
Aristotele ha creato un grande sistema, perfetto e compiuto per
l'antichità, lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per
secoli ; e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a
fan- tasticare. Quando la Germania ha creato il vero sistema del
mondo, e recata la religione cristiana nella forma di un cristianesimo
assoluto, allora la vita si congela nell'astrazione, e lo spirito germanico
rimane assiderato. Ma presto si scuote, e, brancolando nel buio
dell'astrazione hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il
risorgimento ne- gativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce
mostri filosofici ed aborti strani ; col secondo la medicina
naturali- Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.
303 stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania
mate- rialistica e naturalistica è più morta della Germania hegeliana.
Come la pura riflessione, così la pura contemplazione è la morte. La vita
è pensiero apparente, è unità di rifles- sione e di contemplazione, di
metafìsica e di filosofìa posi- tiva, di poesia e di filosofìa.
La storia universale è una sequela di creazioni, identiche fra loro
quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e perfette quanto al
contenuto, che comincia dalla pura forma dello spazio, e termina nella
forma più pura del tempo. Ogni creazione ha come fine la creazione
successiva ; ciascuna vive di quella dalla quale nasce e serve di
alimento a quella a cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in
se stessa, senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno
vegetale, da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e
particolare, e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno
umano inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coe-
siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano universale, ha
esso pure la sua storia, ed è una serie di sfere, che l'uria avviluppa
l'altra; prima l'arte, poi la reli- gione, poi lo spirito, che
universalizza la natura, e dà valore assoluto e infinito al particolare e
al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è
soltanto la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano,
natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono due nature
diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico- lare e propria, ma in
fondo è una natura sola, ed una sola legge naturale » ('). Le forme e gli
elementi naturali ed umani sono del pari indistruttibili, e la legge
comune della loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere
e perire è destino comune agli uomini, agli animali, alle piante
Dopo la laurea, I tipi animali, Le idee estetiche e religiose.
e ai sistemi planetari. Ma gli elementi della natura sono l'uno
fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si compenetrano ;
quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente unificati, ne mai si
scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla proporzione. E il prodotto
piglia forma e natura dall'elemento preponderante e più attivo. La
natura è come una scala a piuoli ; lo spirito come una scala a
corda, che raggiunta la meta si raggruppa in se
stessa. Nell'uomo-cosmos gli elementi spirituali erano tutti in uno
stato di assoluta quiete e di completa indifferenza : solo il genio,
l'immaginazione era attiva da principio; poi entrò in attività il senso.
Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale, nella
forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso
meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fece pianta; nella pianta
l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è
il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui
l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il
movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco comin- ciano ad entrare
in azione gli altri elementi umani : immaginazione, sensazione, memoria, e
ristretta in una sfera tutta animale una piccola induzione, e per poco la
famiglia umana, e talvolta la società umana in forma animale.
Finalmente nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e
con questa gli elementi spirituali superiori, la poesia, la
religione; manca la riflessione della riflessione, la scienza;
predomina il senso (vegetale, animale ed umano). Questo è lo stato
naturale di cui parla il Rousseau. Nel secondo tempo l'atti- vità passa
alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra gli uomini. Queste
si vanno poi via via accentuando per opera della riflessione, che si è
andata rinvigorendo alle spese del sentimento e dell'immaginazione. Ma
contemporaneamente a questo processo di divisione e di analisi, si compie
nella storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande ragione
avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà superiore
Le idee estetiche e religiose. 305 che unifica in sé e dà la
sua forma alla facoltà inferiore, da cui riceve in contraccambio la vita.
Questa seconda co- scienza non è un trovato della odierna metafisica, che
anche Aristotele parlava di due vovg, l'uno poietico o attivo,
l'altro patetico o passivo ; e nel secolo XVI qualcuno fu arso vivo
per aver parlato di quel secondo spirito. La vera vita dello spirito, unità
vivente, è in una molti- tudine di individui ad un tempo ; e però la
storia dello spirito si compone di una successione di grandi unità
("'). Il primo stato embrionale del genere umano è la natura (il De
Mteis, hegeliano e medico, prende spesso come termine di con-
fronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e l'animale;
terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante del genere umano. Egli
con la sua piccola positiva riflessione vede intorno a se un mondo
finito, e si fa un Dio finito e posi- tivo; non soddisfatto di questo
breve corso mortale, senza scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha
fede in essa, ed è religioso. Questa religione, questa fede, si
trasforma a poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi
dalla prima nasce una seconda coscienza, e l'uomo intui- tivo diventa —
quarta muda — l'uomo riflessivo e intellet- tuale. La nuova coscienza,
mentre si appropria la coscienza finita e positiva, imprime in tutte le
diverse funzioni umane il suggello della sua infinita unità, pur
lasciandole nella loro distinzione naturale; e così permangono
l'agricoltore, l'avvo- cato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera
superiore le due coscienze si unificano, ed il poeta ed il prete
rimangono assolutamente identificati nel pensatore, perchè una volta
svi- luppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più deporla
per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come non poteva deporre
la coscienza positiva e tornar ad essere (') V. Dopo la
laurea, [\], pp. 169-74. ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 112-28,
149, 152 e segg. Del Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si
trasforma in estetica; la religione in critica e in filosofia. Oggi la
poesia non c'è più al mondo, perchè essa non è una combinazione di
fantasia che afferra e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma
è una sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che
inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima di un solo
uomo, spettatore più che autore della sua propria trasformazione ».
È un fatto di ragione che la vita umana comincia con l'assoluta
barbarie, col puro senso materiale e col semplice istinto naturale; e
termina nella riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta
e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va
dall'una all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione.
La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie
civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e
barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e
civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma intermedia.
Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è
epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la perfezione nel
risorgimento, e decade nel secolo XIX, nel greco-romano come nel
latino-germanico, per eccesso di riflessione. Analogo arco descrive la
lirica, che sviluppa un elemento della drammatica, e, finita come poesia,
durerà come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché
duri il genere umano. La poesia sensibile ed oggettiva è la
barbarie dello spi- rito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è
la sua ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma
inter- media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e sog-
gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile dello
spirito umano. La religione più barbara, più naturale, più oggettiva e
più epica è la religione indiana; la più civile, più umana, più
soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la Le idee
estetiche e religiose. 307 religione epica orientale e la
religione lirica occidentale, la religione passa per una stazione
intermedia, la Grecia, e vi prende una forma intermedia, la forma
drammatica. Nella religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i
carat- teri di un sistema religioso completamente sviluppato; il
politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale risorge nel
tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone gli elementi
essenziali della religione, che sono quelli stessi del pensiero, nella
vera forma religiosa; l'anti- chità moderna, ossia il risorgimento,
spezza questa forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella
forma di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio
evo è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la
Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma- tica; il tempo
moderno è tutto umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E
del tempo moderno il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica
lirica, ispirata dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il
risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel
mera- viglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il
secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il prin- cipio è
epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia storica e finisce
cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta stravolta
per voler essere ultra-poetica. Ormai la riflessione ha superata
l'immaginazione; il sentimento e la fantasia sono stati oltrepassati e
ravviluppati dentro al pensiero; quindi quella del nostro tempo deve
essere una poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il
prodotto di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica
e religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 se-
colo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico-
filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La poesia non è
morta; ha subita una metempsicosi, uscendo 308 Le idee
estetiche e religiose. dalla forma di immaginazione per entrare in
quella di filo- sofìa, e in quella vive ed eternamente vivrà.
La forma e l'elemento della poesia e della religione è, come
abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento ha distrutta
l'immaginazione, allora il sentimento, che prima era in germe, assorbe
tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge la musica f 1 ), forma di poesia
della quale il sentimento è solo elemento e sola sostanza, e il tempo V unica
forma. La musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le
arti plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, deb-
bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più tardi a
perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura. Certo la
musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo; ma nel medio evo antico è
un esercizio secondario, subor- dinato alla poesia e alla religione ; nel
risorgimento sofistico è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore
alla scul- tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è
epico- religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel
risor- gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla-
stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico, la musica non è
che un compimento e un aiuto del dramma ; acquista un proprio assoluto
valore solo nel risorgimento li- rico, che è il tempo della negazione del
pensiero, ossia del- l'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo
vuoto sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte e
poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte oltre-lirica, è
l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi- mento, ed è quello che
meglio ne scopre il carattere, poiché il fine è il grande rivelatore. Ma
il nulla al quale il risor- gimento mette capo, se in apparenza è la
fine, in realtà è il principio, quello stesso dal quale in origine usciva
Funi- verso. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico-
H V. Dopo la laurea, [I], pp. 310-333. Le idee
estetiche e religiose. 309 mincia da capo, tutto intero, in seno
alla filosofìa. Questa nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo
XIX, che ha per necessaria preparazione il risorgimento progressiva-
mente negativo e per divisa: negazione di negazione. Il se- colo XIX nega
quel vuoto universo di suoni ; fa della musica quello stesso che già
prima ha fatto della poesia, la dissolve a poco a poco ; comincia dallo
snaturare la musica a furia di sapere e di meditazione, dando sempre meno
alla me- lodia e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una
scienza musicale. Questo è già avvenuto in Germania, dove allato al
risorgimento scorre il tempo moderno; nell'Europa italo-celtica prevale
ancora il risorgimento lirico, e tocca ormai l'estremo punto
dell'assoluta negazione; già la musica si avvicina al suo limite prosaico
; già il pensiero positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il
sentimento e l'imma- ginazione. Il tempo moderno è la vita
che rinasce dal seno della morte, la fede che spunta dalla negazione. Non
il tempo moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro-
mana, mentre il dramma del risorgimento si era combattuto nell'anima
greca, ma il vero tempo moderno, il nostro se- colo XIX, che è la
continuazione e l'adempimento del risor- gimento cristiano. In questo
secolo il sentimento dell'uma- nità, che è un aspetto del sentimento
della natura, prenderà la sua vera forma in una nuova poesia, nella quale
la lirica, la drammatica e l'epica saranno ricomposte in una unità
assoluta e definitiva. L'unificazione non è però avvenuta ancora
nel campo della poesia, né in quello della religione e della
filosofia. La poesia primitiva o naturale, invariabile come la natura,
sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia medio- evale e
quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote. Così è delle forme
religiose. Analogamente delle forme filosofiche : esiste presso il popolo
apostolico primitivo la filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure
la filosofia me- dioevale, la scolastica del secolo XIX, e la filosofia
del risor- gimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente
scet- tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo
oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ; non è però
difficile distinguere le diverse funzioni storiche in atto, né prevedere
un continuo avvicinarsi ad una assoluta unità. A questa
teoria del De Meis si mossero da Silvio Spaventa e da altri obbiezioni
('), che possono ridursi sostanzialmente a questa : Come può lo spirito
umano perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e la religione ?
Il De Meis risponde che Silvio Spaventa ha ragione se, basandosi sulla
filosofia kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto
a fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al
concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha
torto se crede che la intuizione da accompa- gnare all'ideale debba
essere sempre fantastica e falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e
l'intuizione estetica è creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta
perchè non è la vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto
concetto; e di qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti
relati- vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè
l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con una
intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie di religioni
tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè l'ideale religioso è
infinito, e la fantasia non sa creare che delle immagini finite. Ma le
due serie hanno una legge, perchè ( ] ) V. Dopo la laurea,
II, pp. 19-46; e cfr. Poesia ed arte, Lettera di G. FRANCESCHI al De
Meis, nella Rivista bolognese, 1868, pp. 1045-51. Il Franceschi dice che
il De Meis, togliendo all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa all'abbaco
e al pane ; egli non comprende che il De Meis intende anzi di innalzarlo
alla sua filosofia religioso-poetica. Le idee estetiche e
religiose. 311 hanno un termine : e il loro termine non può essere
che la vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte
ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato una serie di
forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti
alle condizioni assolute dell'arte; e sono sempre meno naturali e spontanee,
meno epiche e fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e
reali; e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e
più trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una serie
regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario ascendente e
progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan- tastica, più razionale, più
reale della precedente. Per cui l'ultima, la cristiana, è assolutamente
vera e perfetta; in essa al mondo della ragione corrisponde un mondo
fanta- stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il cristia-
nesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli- gione. La
religione cristiana si va sempre più perfezionando; e il suo
perfezionamento consiste nell'essere sempre più storia, più realtà, più
verità, e sempre meno religione. E così per contrarie vie, l'una
scendendo e l'altra montando, la religione e l'arte corrono al loro fine,
al vero. Il vero è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e
del- l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e
non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi- gliante al
concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso- luta e reale
intuizione. Allora la natura è concepita come un solo essere vivente,
indipendente, assoluto; e ciascuna sua parte è intuita come membro
dell'intero, ed assoluta essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno
una sola. La intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla
sua idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,
perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che di infinito
con infinito. Ma la intuizione religiosa si va sempre più allontanando
dalla forma naturale, e si fa sempre più veriforme fino a diventar vera ;
il che avviene quando 312 Le idee estetiche e
religiose. l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto
e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione fi-
nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e trasfigurare. Le
funzioni inferiori dello spirito, come la mo- rale, il diritto, lo Stato,
conservano una esistenza separata, perchè partecipano ancora della
qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per oggetto il vero;
sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero
ac- quista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono
unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la reli- gione è
per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per trasformarsi in
certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte si trasforma nella vera
cognizione naturale ; la religione nella vera cognizione spirituale. In
questa trasformazione consiste la storia; il suo compimento è il fine
della civiltà ed il limite del progresso umano, che è temporalmente
indefinito, ma idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e
sparisce nell'idea. Così termina la parabola
religioso-poetica, della quale il primitivo oriente è il ramo ascendente;
l'antichità pagana, tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che
discende è l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno
progressi- vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad
essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno
cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e trova il
vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se l'umano; cerca
il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede e pensa; e
pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta creato.
Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il
concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è
bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capo-
lavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il
magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume
Le idee estetiche e religiose. 313 e ciascun uomo il
sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò ohe è in lui di non buono. E il
nuovo uomo continua questa creazione con azioni generose ed alti
pensieri. « Ed è così che egli è più che mai non sia stato religioso e poeta,
quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo parte dalla
tenebrosa unità della natura e del senso, e, a traverso la piccola
riflessione e la grande immaginazione, giunge alla luminosa unità della
riflessione intellettiva, av- vivata dalla fede religiosa e poetica, che
sole restano della religione e della poesia. Naturalmente gli
argomenti logici addotti dal De Meis a sostenere la sua tesi della «
metempsicosi » della religione e dell'arte nella filosofia hegeliana sono
validi solo se si ammette l'esistenza di un concetto assoluto,
universale, defi- nitivamente vero, al quale le intuizioni estetiche e le
reli- giose possano gradatamente adeguarsi; solo, in una parola, se
si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio di storia del genere
umano tracciato per convalidare queste argomentazioni non raggiunge lo
scopo, perchè in esso non la storia conduce alla dimostrazione, ma la
dimostrazione, se pur non modifica la storia, certo la coglie nei
momenti e negli aspetti a lei giovevoli, sorvolando sugli altri. E
le molte e molte pagine che l'Autore consacra alla dimostra- zione
della sua tesi riescono invece a dimostrare questo : che egli ha avuta la
somma fortuna di trovare nella sua conce- zione dell hegelismo la sua
filosofia, la sua religione e la sua poesia. Il De Meis è
certo che le tre grandi correnti umane, — la contemplativa
religioso-poetica che nasce dalla natura e la riflessi vo-filosofica che,
nata dalla precedente, si suddivide in altre due : la filosofica positiva
o filosofia della sostanza e Tanti filosofica negativa che bentosto
diviene afilosofica, nega- tivo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia
dell'apparenza — , dopo aver proceduto isolate fino al secolo XIX,
suddividendosi in altre molte correnti o scienze pseudo-positive,
accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e del pensiero,
con la precedenza di questo su quella, è l'unità del pensiero. Per avere
l'unità della natura non basta che le due filosofie astratte si fondano
in una sola filosofia con- creta; bisogna che la corrente
religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata della
filosofia. La cor- rente filosofica, scaturita dalla religione e dalla
poesia, tor- bida in principio, si allarga, si purifica, diviene
trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a
poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione
e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia
sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un
pensiero pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà
come natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno
potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la
vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello
subito dall'arte e dalla reli- gione ? La forma superiore non sarà la
vita e l'azione ? Ma il De Meis non distingue dalla vita quella sua
filosofia del- l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come
tale unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena
cominciata, e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto
della coscienza. Sono cose tanto lontane — dic'egli — e c'è di mezzo una
tal nebbia di tempo avve- nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna
contentarsi di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa
generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose
passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella
fusione di tutte le forze, di tutte le cono- scenze, e di tutte le
realtà, in una sola vita umana » {'). La sua filosofia sarebbe forse un
atto di fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un
sistema animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro
sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del
suo movimento fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna
che move è corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna
che è mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed
è sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione- vole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita
si comunica alle altre, ed è una successione e una complica- zione
di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani
essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o
mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il
primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido
ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane
innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ;
non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-
tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa;
egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa,
perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo
trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa
della necessità animale, istin- tiva ed involontaria, una necessità
umana, spirituale e volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente.
Ma non è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico;
è l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero
; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura.
Ma bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e
diviene di nuovo colpevole, e Le opere scientìfiche e la
filosofia della natura. 173 si rifa sempre di nuovo innocente,
finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura
spirituale, e non sia com- piuto il fato umano. Così V uomo naturale
diventa in prin- cipio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra.
La civiltà ha certamente i suoi morbi ; e sopratutto nel mo- mento
del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce
e si moltiplica ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e
perciò si corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi
e più cru- deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi
vege- tativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i
morbi riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le
cause naturali, ma operano anche per proprio conto, gene- rano per
diretta azione le malattie nervose e le psichiche. D'altra parte, nelle
nature più elette, invece di una corru- zione sensuale, nasce un
principio di fermentazione intellet- tuale, che dà origine alle malattie
dello spirito. Ma tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi
civiltà si succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza
divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par- ticolare
natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari
malattie. La civiltà naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua
perfezione originaria è senza morbi, altro che accidentali e meccanici ;
ma la sua corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera
morbi fisici e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno
origine a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi
nutri- tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il
paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione
porta seco le cause umane, sensuali, passio- nali, e dà origine ai morbi
riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici.
La civiltà divina — la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza
morbi ; essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la
gua- rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale
174 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della
umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e
religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle
malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana
riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le
antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo
cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le
cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima
civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il
male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio
l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge
della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha
quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della
patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o
nell'altro senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo
la oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o
negativo, stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie
della patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità
fisiologica del morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ;
invece la categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può
mancare, e manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è
qua- lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche
la quantità innormale può mancare del tutto, perchè è sup- plita dalla
quantità normale ; nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria
secondaria trasparisce sempre dentro alla categoria primaria.
Le categorie primarie e secondarie ci danno la pianta della
patologia storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti. Le quattro
grandi sfere contengono minori sfere, i quattro grandi sistemi contengono
sistemi sempre più piccoli : appa- recchi, organi, tessuti, elementi
istologici: le anime gene- rali non esistono veramente che nelle anime
elementari o Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. 175 cellulari. I fatti sono complessi organici e
naturali di cate- gorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e
queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A
forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie e si
consolida l'astrazione ('). La patologia storica congegnata dal De
Meis è veramente originale ( 2 ); e sebbene, volendo dedurre da pochi
principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia
tal- volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-
lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie forme
della civiltà umana. Ancora il terzo periodo — b) La filosofia della
natura ( 3 ). La creazione secondo il De Meis. La lotta del De Meis
contro la teoria darwiniana. 11 suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei
suoi principi. L'accidentale e il necessario nella sua concezione
filosofica. 11 De Meis non poteva limitare la sua speculazione
entro l'ambito della jatronlosofìa : dalla sua stessa concezione di
( J ) V. Delle prime linee della patologia storica, Prelezione,
Bologna, Monti, 1866, passim. ( 2 ) Della sua patologia
storica l'A. scrive (Delle prime linee della pa- tologia storica, p. 63):
« ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...; ma sarei curioso, e ben
vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia piccola cosa
infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la priorità ». -
Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di questa
sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di
lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani
in Italia, 1. cit., p. 526. ( 3 ) V. qui addietro, p. 156,
nota ( 1 ). Per gli argomenti trattati in questo paragrafo, si vedano: /
naturalisti (1865), La natura a volo d'uccello: Forza 176 Le
opere scientifiche e la filosofia della natura. questa, oltre che
dall'indole del suo ingegno e dall'influenza dell'ambiente intellettuale
nel quale era stato educato, egli doveva essere e fu infarti condotto
alla costruzione di una filosofìa della natura. Ma se egli
parte dall'affermazione che l'essere è pensiero, e non vede chiaro il
significato di questa identità e non ne deduce logicamente tutte le
conseguenze, se egli pone le fondamenta in modo arbitrario e nelle
singole parti confuse e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio
solido e fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello
in aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia
ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi che succedono a
volumi, e rivelano una profonda conoscenza dello svolgimento di tutte le
scienze mediche e naturali, dai tempi più antichi fino a quelli in cui
viveva l'Autore: geo- logia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e
compa- rata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste
scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e con periodi
storici ; sono analisi di animali e di vegetali, di specie, di classi, di
ordini, di generi; e descrizioni di organi, di funzioni, il cui nascere e
modificarsi vuol essere spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in
tutta la costruzione si risentono le conseguenze della incertezza
fondamentale. De Meis afferma che creare è diventare, è spiegare
successivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio es- sere. Il
pensiero originario compie la propria creazione, e di semplice essere si
fa a poco a poco pensiero assoluto ( x ). Ma poi aggiunge che il pensiero
è il fondamento, il tetto e e materia (1865), Un nuovo corpo
semplice (1865), I tipi vegetali, Deus creavit, I tipi animali, Filosofia e non filosofia,
Darwin e la scienza moderna, ecc. (*) V. Deus creavit,
Dialogo I, nella Rivista bolognese, 1869, p. 736 e segg.
Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 177 la
travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad am- mettere che
il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè il fondamento e
la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque fedele alla
concezione idealistica, secondo la quale la natura è un momento del pensiero,
che si risolve interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo
sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né possibile.
Egli distingue nella natura due gradi e due modi di creazione:
l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale, individuale anch'
essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo fa dell'
individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee naturali
restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della natura,
le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come
individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una
doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello
spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate
dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette
forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente
e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno
stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una
divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e
finita, universale e particolare insieme; la terza materiale,
individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo
nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo
fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più
semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il
vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una Del
Vecchio-Veneziani - Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano
eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme
dell'idea naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però
nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via
via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori
e le proto- vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così
l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre
forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra- gionatore, e
finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo
ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create;
l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo
da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre
ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,
come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già
tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme
in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi
sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e
mezzo all'esistenza della supe- riore. Il ciclo tipico concepisce il moto
creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia
la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito
umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti inte- ramente,
cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la
creazione ideale è creazione sensibile ; la creazione di una specie è
produzione di molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto
precede l'esecuzione, e la successione effettiva e naturale presuppone la
succes- sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la
natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia
assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa- risce la forma
rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe e domina sempre più la
forma, ma la sua vittoria non è mai Le opere scientìfiche e
la filosofia della natura. 179 completa. L'equilibrio fra la forma
e il contenuto si rista- bilisce non nel corpo, ma nello spirito umano.
La vita passa come il tempo; la natura è più tenace. Altra è
la successione di tempo, altra di idea. La suc- cessione naturale va non
da ciclo a ciclo, ma da tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della
creazione tutti i tipi primari sono, più o meno completamente,
rappresentati. Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo
pre- cedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia al
tipo che gli deve succedere ('). Anche diverso è il modo di accrescimento
nella natura, nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura
esteriorità, i corpi inorganici crescono per moltiplicazione
quantitativa esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma
comune. Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna
moltiplicità diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno
spi- rito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di
appo- sizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per
una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una molti- plicazione
interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del- l'altra secondo che
si tratti di una forma più o meno pros- sima alla natura. Mai la vita è
tanto esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la forma organica è
tanto molteplice che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel
vege- tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo
elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel- l'animale
deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e
libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le
forme superiori ( 2 ) sono la chiave I tipi animali, [parte
prima], Bologna, Monti; parte seconda, Cfr. Lettere sulta patologia storica,
pp. 6-8. ( 2 ) V. / tipi animali, [IJ, pp. 494-96.
180 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se stesse
oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta spie- gate
dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva semplicità. Ma
il riscontro non è utile se non cade sulle forme fra le quali corre una
particolare e più diretta e più intima relazione tipica, secondo il vero
metodo evolutivo, in cui l'idea unisce le forme ed organizza le serie,
non col metodo empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie,
arti- ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto
dar- winiano, di una inestricabile confusione. Come Giorgio
Hegel aveva combattuto e denigrato il Newton ('), così il De Meis lancia
in quasi tutte le sue opere strali frequenti contro il Darwin e i
darwiniani. Il naturalista inglese è per lui un genio, ma il genio
dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso in luogo della ragione vitale (
2 ). Egli pre- tende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno
venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove
particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella
selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una
forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. Il De
Meis afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la
modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in-
(') Il De Meis dice che la proposizione in cui si compendia la
scienza dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi uomini, il
cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla filosofia
della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo, non la
sapeva altrimenti ; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva
poco, ma non ci vedeva l'uomo». - Dopo la laurea, li, p. 195. - Cfr. ivi,
pp. 26-7. ( 2 ) V. / tipi animaci, [I], pp. 143-156; e cfr., pel
giudizio del De Meis circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, II, pp.
195-99, 257-58; Deus creami, 1. cit., passim; Darwin e la scienza
moderna, pp. 22-35; / tipi ani- mali, [I], passim; II, pp. 760, 1079-82,
1085, e passim; Filosofia e non filo- sofia, pp. 11-12; Lettera sulla
patologia storica, pp. 6-9; ecc. Le opere scientifiche e la
filosofìa della natura. 181 genita, e non prodotta soltanto da
agenti esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che tale
modifi- cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra
poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di
Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di
ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene
espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la
meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e
quella selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate,
hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano
tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le
forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la
variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati
rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale
; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere determinata,
perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella
determinazione. Secondo il De Meis, è vero che l'individuo varia
senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo
accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca
necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano.
Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e
delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare
un'idea ci vuole un'idea. 11 non essere non può creare l'essere,
l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente
non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non po-
trebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una
differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e
neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo
proprio valore assoluto, e si svi- luppa secondo il ritmo assoluto del
mondo, secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il
sangue, fa l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la
scienza 182 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della
scienza antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono
due storie ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra
secondaria, riflesso della prima, sviluppantesi nel seno della natura e
dell'essere vivente; gli altri, i seguaci della scienza moderna,
riflessiva, non riconoscono che la forma e la storia intrinseca alla
natura, all'animale, allo spirito umano, con- siderando la storia
extramondana come un effetto ottico ope- rato dalla intuizione.
Vi sono tre maniere diverse di considerare le forme vi- tali (').
L'una consiste nel distinguere fra gli elementi comuni a tutte quelli che
sono propri di alcune soltanto. E si consi- derano questi elementi
formali come caratteri costitutivi di un tipo più o meno comprensivo. È
la maniera astratta, quella di Linneo, di Jussieu, di Decandolle, di
Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una seconda maniera, che si
rias- sume tutta nella frase : una forma è simile ad un'altra
perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è pel
De Meis il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della scienza
moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel cogliere la
forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i momenti
evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la verità, la
ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è il vero
animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken. Dopo
di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una
applicazione sistematica e conseguente alle varie forme animali.
Il De Meis dice che egli intende di fare un tentativo di questa
specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una
nell'altra; tutte preesistono in una forma (') V. / tipi
animali, [I], pp. 519-21 ; cfr. II, pp. 760-61, 796-97, 1083- 94,
1131-39. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
183 germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno,
spon- taneo. La creazione consiste nella determinazione ideale
originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimi- tazione
naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento,
aiutando le condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma
l'embrione in larva e la larva nell'in- dividuo completo, facendolo
attraversare una serie di forme l'una più perfetta dell'altra, immagine
della palingenesi uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta
dalla gene- razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici
e generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e
pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita;
dei puri e semplici momenti della legge formale fa delle forme vive,
reali, accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare
e l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo
eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è
la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità
esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed
in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero
assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa
a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua
evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza
indipendente dalla funzione (') ; e questa forza ha una legge che ne
deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-
verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e
dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello
intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo
essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento
puro, assoluto, astratto, corrisponde il (0 V. / tipi
animali, II, pp. 962-63. 184 Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. movimento concreto della forma, ai tre
momenti ideali corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo,
teleomorfo ('). E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella
na- tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La
natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essen- ziale ; è
tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della
forma. La vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima,
fra molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale
ed animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione
(antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan)
è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,
poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e
sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo
spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in
quelle, e con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è
l'unità reale e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è
interna, nel vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale
diventa corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene
assoluta, universale e puramente ideale, e la opposizione è finalmente
risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano hanno
ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico essenziale. Questo
metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è per il De Meis il filo
ariadneo che deve guidarlo a traverso al labirinto delle forme vegetali
ed animali. Per lui tutte le forme e i tipi più eterogenei e dissimili
sono in realtà uno stesso identico animale in via di formazione : l'uomo
( 2 ). E dei tipi animali egli vuol tracciare la storia ideale ( 3 ), perseguendola
a traverso alla descrizione. Confessa che la descri- zione gli riesce
troppo completa e determinata, mentre ogni tipo è sfumato ed evanescente
innanzi alla sua realizzazione, è il mobile oscuro che da dentro fa forza
e opera lo sviluppo creativo, cominciando da sé, creando a mano a mano le
pro- prie determinazioni. Invece i sistematici ordinary, tutti
intenti alla diagnosi delle forme, poco si curano delle diffe- renze di
quantità ; essi hanno bisogno di caratteri qualita- tivi specifici,
possibilmente esclusivi, precisamente quelli più materiali, che non
significano nulla appunto perchè non passano in altre forme. Tipo è forma
con significato. Questi sistematici hanno una logica difettiva a
forza di astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso il
quale. Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica, arti-
ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi, iso- latori
( 2 ). La nuova morfologia invece cerca le comunanze e le transizioni,
benché non arrivi ancora a ravvisare la tran- sizione ideale dove manca
quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la forma, che pone i
lineamenti gene- rali dell'essere; poi viene la funzione ideale che la
acco- moda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la
selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo- 0)
V. / tipi animali, II, pp. 873 e 913-14. ( 2 ) V. / tipi animali,
II, pp. 933-34; cfr. [I], pp. 458, 467, 481, e II, pp. Dopo aver chiarita
la differenza fra le due morfologie, Meis soggiunge che il suo scritto è
un lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo che nel cervello dei
naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei sieno, dev'essere
assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti cielo)...
una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non ci
sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa
per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo,
e per supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato
tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto
tirare ». Op. cit., II, pp. 938-39. 186 Le opere
scientìfiche e la filosofia della natura. la formale; per
essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una funzione prodotta
dall'organo, la nutrizione, non la fun- zione essenziale, «principiale)),
a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non hanno nulla a
che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che
la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare
come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge- gnose. 11
rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas- sificare; pensare e
ripensare ('). Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel
vege- tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il
centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi- zione fra il
corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono egualmente
sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e poi
anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei suoi
elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce
vegetativa, dal- l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è
il coti- ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma
riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo
tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nel-
l'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa
l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema
riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in
giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il
rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il radiario, il mollusco e
l'articolato; il teleomorfo è il verte- brato: pesce, anfibio, rettile,
uccello, mammifero. I nomi di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono
preferibili a quelli di vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la
presenza o l'assenza di un elemento secondario. Finché il De
Meis sta fedele al suo programma di dimo- strare solo col farli muovere i
principi filosofici ai quali (!) / tipi animali, [I], p.
555; cfr. II, p. 865. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
187 crede, egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni
alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della vita, della
scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente geniali e nuove
le applicazioni alla patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli
sente il bisogno di tentare una dimostrazione logica di quei principi, e
riesce invece, senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1'
arbitrarietà, la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre
dia- loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo sem-
plice ('). Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza
riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere.
Nei Dialoghi affronta lo stesso pro- blema in forma più concreta :
ricerca il punto in cui l'essere ed il pensiero si identificano, lo
ricerca con la sicurezza di chi sappia di rintracciare cosa esistente
nella realtà ; e con lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso
linguaggio, e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista
potrebbe studiare un essere da lui non visto ancora, ma del quale,
per descrizione autorevole e per indizi indiretti e certi, gli
fosse nota l'esistenza e i caratteri. 11 vero lutto è l'uomo,
l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura, che in sé ricompendia
tutta la natura, si risolve ed unifica perfettamente. Ma come questo
pensiero eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della natura
? E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retroce- dendo
nella storia del processo naturale si perviene ad un muro saldo,
incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel muro è la materia.
Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza materia non ci può
essere. Chi dice spazio ( ] ) / naturalisti, Diagolo 1°,
nella Civiltà italiana, Firenze, gennaio 1865, pp. 54-57; La natura a
volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella Ci- viltà italiana,
Firenze, febbraio 1865, pp. 103-7, 115-19; La natura a volo d'uccello: Un
nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, aprile
1865, pp. 6-9. 188 Le opere scientifiche e la filosofia
della natura. dice tempo, e chi dice tutti e due dice moto; e dir
moto è dir qualche cosa che si muove, è dire — insomma — la
materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo. La forza
diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo : da forza chimica,
semplice affinità, a forza fìsica, e da forza fìsica a forza meccanica, e
infine corporea. Ogni forza è la materia della forza inferiore ed il
germe della superiore : e così il moto è il tempo materializzato; il
tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre la materia è la realtà,
il limite di una forza; e la forza è la materia nel suo spon- taneo
svolgimento. La forza del pensiero da principio non pensa ancora, ma si
vuol pensare, ed è chiusa nella forza semplice in cui tutte le forze
speciali sono latenti ; e come la più forte, le urta di sotto e fa uscire
la forza chimica, che si comunica a tutta la massa della forza semplice,
sì che tutto diventa forza chimica reale, affinità e materia
puramente chimica ; e fa di questa affinità informe un imponderabile
informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo sem- plice
informe. L'uomo senza influsso di esterno accidente, mentre
egli era da per tutto ed era tutto, non poteva scegliere un punto
del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione della materia
semplice in corpo sémplice. E l'operò in un punto del tempo e dello
spazio che erano tutto il tempo, tutto lo spazio. ((Quell'attimo, quello
spazierello» si riempì di ma- teria reale, naturale, diventò da spazio
ideale spazio reale, interminato, e con esso cominciò la natura. La forza
del pen- siero, come ha trasformato il moto, la forza semplice, in
forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la forza fìsica
in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo fa scaturire dietro a
quelle forze la materia chimica, che si trasforma in materia fìsica e
indi in meccanica; e all'ultimo in vera materia, in corpo chimico
imponderabile, pondera- bile. È la materia semplice che successivamente
si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la speciale
natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
189 fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che
si aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà
un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una
materia immateriale, una realità non sensi- bile. Le forze, e le loro
forme, le loro proprietà, sono sem- plici, indifferenti, indistinte; esse
sono avviate all'atto, alla esistenza naturale, ma non ci sono giunte
ancora. La forza è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e
tal valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la
proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo
spazio ; onde appena il pensiero umano dietro a quelle tre forze fa
scaturire quelle tre semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo
distende, e vi spiega le tre pro- prietà; e queste vi portano seco le
loro forze, e le dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non
perciò lo spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è
materia, ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11
primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso
pensiero, ed è il germe e l'origine del senso; di questo limite fa lo
spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e
persino il qualcosa, la materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di
lui, rimane lui stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e
semplice pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa
dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un corpo
sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo, anche all'anima. E
poi, facendo del moto-pensiero un moto reale, farà del tempo-pensiero un
tempo durata; e poi farà tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e
l'anima — l'ani- male ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso
e l'opera sua. Di quel suo limite originario, che era un
senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo
senso farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà
del- l'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo
all'origine della forza e della materia uno stesso identico germe, il
quale è in uno pensiero umano e senso umano originario. Quel germe, pur
mantenendo sempre la sua ori- ginaria identità, si sviluppa di grado in
grado, ed è prima natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo; e
in ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la
materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta iden- tità.
Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due cose opposte è
naturata, personificata, e incorporeamente corporalizzata. Questa unità
veduta nella nostra natura ci fa più facilmente riconoscere l'unità dei
due elementi nelle nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale.
Nell'af- ferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia
della natura amorfa, in cui tutto è quiete ed immobilità, in cui non c'è
che un corpo semplice, omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore —
verrà la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie,
il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte le forze del
caos darà una legge e una norma, a tutte le materie una forma comune ; e
sarà la natura olomorfa, il cosmo. E vedremo la forza cosmica
trasformarsi nella forza vitale, e la forma cosmica divenire la forma
vitale, vegetale. E con questo programma egli termina il secondo
dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dia-
logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che da prima
tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi nello spazio e si
sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di natura in pensiero, e
si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è l'io. Come in principio
il punto originario, così ora il punto individuale si trasforma
tutto; ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un
atto, (*) Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto
da questa nota : « Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », -
Sappiamo già che il De Meis lavorava spesso frammentariamente.
Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 191
bensì successivamente. L'io è un animale naturale, indi- viduale;
ma gli ii sono molti, e sono come molti punti, molti tempi in un solo
tempo, e tutti fanno come uno spazio intellettuale nello spazio naturale,
La trasformazione umana universale, come quella dell'individuo umano, «
si sgomi- tola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si
raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia ». E perciò la
storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una
cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della natura,
essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e universale ;
solamente non appare e non diventa reale che in certi punti di tempo e di
spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e in certi
ii. È facile scorgere che il De Meis non è felice quando
vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.
Invero non si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso
un limite interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la
natura, che invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero,
a furia di premere e caricare sul proprio limite, possa fare del
senso-pensiero un senso-senso ( x ), possa, in altre parole, trasformarsi
da forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di
star tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo
insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma
unite ed identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara
che non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la
verità, come la pre- sente egli stesso ( 2 ) : e certo di quella verità
da lui pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In
una pagina che onora il suo senso poetico più che la sua GENTILE,
LA FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, 1. cit., p. 119. ( 3 )
V. / naturalisti, Dialogo I, 1, cit., pp. 56-7. profondità filosofica,
egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte
materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il
paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il
suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo
ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto
è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai
prin- cipi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon-
damento di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve
chiedere se sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o
dalla logica una dimostrazione. La risposta è negativa.
Quanto alla conferma dell'esperienza, il De Meis dice ( l ) che con
le idee si scopre, è vero, la sostanza delle forme e si tien dietro al
loro movimento essenziale ; ma il controllo è la stessa realtà che deve
rimanere inalterata ed intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto
nella sua integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se
l'Autore ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono
idee, e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro
sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare un terzo termine,
atto a valutare la rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è
chiaro che il terzo termine non può essere per lui che la stessa idea,
giudice e parte in causa ( 2 ). Il controllo di cui egli ha parlato
manca; e non poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto
non può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere
(') V. / tipi animali, [I], p.
Cfr. Dopo la laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
incoerenti ammettere l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il
pensiero.Quanto alla dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che
le rare volte in cui il De Meis la tenta non la raggiunge, e cade in
contraddizioni, come quando, dopo aver affermato che il pensiero è
l'essere, ne ragiona come di un pensiero che pensa l'essere, e considera
l'essere come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori,
come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso un limite
interno senza avere un limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi
degne di un alchimista ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale,
come è quella della forza che diviene materia premendo e calcando sul suo
proprio limite. La sua filosofìa della natura, riposando su principi che
possono essere oggetto di fede, ma non possono avere dal- l'esperienza un
controllo né dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può
essere, ed è difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di
ciò mai ebbe alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede
hegeliana, vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non
intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere
ed elaborare una soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita
perchè aveva come presupposto e come base quella conciliazione
dell'essere e del pensiero, della forza e della materia, che
contrariamente a quanto egli cre- deva non era stata raggiunta da
nessuno, e meno che mai po- teva esserlo da chi, avendo studiata
analiticamente la natura, si ribellava a tagliare il nodo gordiano
negando la natura stessa o riducendola a una mera forma spirituale. Deus
creavit. {-) V. Forza e materia. ( 3 ) V. Della medicina
sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere del De Meis. ( 4 )
Il De Meis non è d'accordo col Berkeley, che « sopprime la natura»;
Del Vecchio Veneziani Una costruzione speculativa della natura, quale
l'idea- lismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero
esigono, dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi
compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria l'accidente
come tale non può trovar luogo. Non si dimentichi, del resto, die l'idea
dominante in tutte le assidue e lunghe meditazioni del De Meis
intorno alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era,
come egregiamente la definiva il Fiorentino ( ! ), « l'idea di con-
trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato debole del
darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale delle forme,
attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita della natura...
una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi della vita
naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell’uomo e nella
coscienza. Si trattava dunque per il De Meis di superare quello scoglio
contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini- smo; di evitare la
trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso
perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più
intima e razionale. Il De Meis appunto dice e ridice, anche per
quanto si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera
della necessità e della certezza assoluta ( 2 ); ma in contrasto
con questa esigenza afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in
tutti i momenti della creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato
indispensabile, o è razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e
allora deve rientrare nella costru- zione speculativa come elemento
interno, e non esteriore, sicché non può più dirsi propriamente
accidentale. O è la né col Fichte, nel cui sistema la natura « c'è
soltanto quanto basta per far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una
espressione astratta ». Cfr. Prenozioni, La filosofia contemporanea in
Italia, Dopo la laurea, negazione della
necessità razionale e della deduzione a priori, ed in questo caso la
dichiarazione della sua indispen- sabilità costituisce il confessato
fallimento della costruzione speculativa. Il De Meis oscilla fra le due
alternative, senza sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non
meno di quella avrebbe significato il riconoscimento della con-
traddittorietà della sua impresa. Invero l'accidente sembra
necessario per lui a costituire nella catena dello sviluppo creativo
l'anello iniziale e gli anelli di saldatura tra i frammenti non
altrimenti congiungibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che quando
non c'era la natura e quindi l'accidente » era impossibile al-
l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve prece- dere e
determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza in- flusso di esterno
accidente, di scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare
la iniziale trasformazione della materia semplice in corpo semplice (').
Gli anelli di salda- tura, in quanto dice che l'accidente, elemento
costitutivo della natura, è necessariamente compreso nel processo
della funzion ; che ogni tipo vivente è già idealmente quello che
dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo real- mente nella
natura, senza il concorso di cause accidentali e d'esterni influssi » ( 2
). E in generale tutto il processo e lo sviluppo della natura per M.
consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea
alla produzione del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea non
è reale e non esiste che nel fatto ( 3 ); « il principio e la potenza
della vita... è sempre unito a un qualche elemento materiale e meccanico
che lo fa reale e particolare, che è quanto dire individuale ed accidentale. Forza
e materia, 1. cit., p. 106. ( 2 ) / mammiferi, p. 67.
Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena. ( 4
) Degli elementi della medicina, p. 31. Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi
di un tipo ideale assoluto, l'uomo eterno; crede che tutte le forme
preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo crea- tivo interno
e spontaneo ; ma la creazione non consiste soltanto, nella determinazione
ideale originaria di quegli schemi indeterminatissimi », sì anche « nella
loro delimitazione na- turale, o sia accidentale ». E molte volte ripete
che la natura è accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata
all'ac- cidente ('). Ma qui appunto si potrebbe obiettare
alla nostra osservazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto del-
l'accidente che il De Meis afferma. Legato all'idea, intrin- seco alla
natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a determinare e spiegare
lo sviluppo non è, come l'accidente dei darwiniani, puramente estrinseco
e meccanico. Ha anzi esso medesimo una necessità interiore ; è il momento
della antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi
crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto il De Meis, è « la forma,
l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso
accidente, il limite indifferente, l'assoluta particolarità esiste, ma
nella forma di principio, di universalità, di neces- sità : ed è in
questa contraddizione che consiste la sua attività creatric. Per questa
via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale ci appare impigliato la
filosofia di M.. Che se anche altrove egli identifica il puro accidentale
col male, non vi sarebbe contraddizione con la universalità e necessità
rico- nosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie di
accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la prima,
accidentale in senso proprio la seconda. M. difatti parla esplicitamente di una
natura esterna che viene Deus creavit, 1. cit., p. 742, ecc.
( 2 ) / tipi ammali, II, pp. 1080-1, e passim. Le
opere scientifiche e la filosofia della natura. a dare l'ultima mano alla
natura interna, di un agente esterno ed accidentale che non era compreso
nel processo della natura interna, non era calcolato nella evoluzione
vitale, e oltre a modificare, sia pur solo superficialmente e
quantita- tivamente, le forme, e favorire la trasformazione, e
provocare la nuova interna creazione e lo sviluppo di germi
latenti, « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche
cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente,
esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M. — nella forma latente
un principio di accidente. Essa è semplice ed una, ma nella sua unità vi è un
germe di differenza e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la
disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un accidente
indeterminato e scolo- rato, pura possibilità di farsi, più che non è,
accidentale. L’accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli
dà corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e naturale. Gli agenti
esterni stimolano, promuovono, de- terminano, ma Dio opera la
trasformazione ("). L'accidente può render conto delle differenze
secondarie, non giunge ai veri gradi della formazione. Esiste dunque una
storia interna, essenziale, ed una esterna, accidentale ( 4 ); ed
esi- stono due sorta di accidente: uno necessario ed essenziale,
l'altro secondario e individuale ( 5 ): il primo, l'accidente necessario,
assoluto, realizza l'evoluzione creativa ideale, intrinseca, assoluta
della forma animale; accompagna ogni realtà, circoscrive esteriormente le
forme, e fa esistere gli individui; l'altro, «l'accidente accidentale»,
nasce dall'in- treccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle cause
na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus creavit, passim. Dopo la
laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit,Deus creavit, Le opere
scientifiche e la filosofia della naturaturali, delle quali una è la darwiniana
concorrenza vitale, da cui deriva la formazione delle varietà, delle
specie, dei ge- neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai
tipi. La natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria.
Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da capo a fondo », perchè
ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non che arrivati a questo
punto noi possiamo doman- darci : l'obiezione che abbiam detto potersi
muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero del De
Meis, è veramente risolutiva ? Questo approfondimento del concetto
di accidente, questa distinzione delle due specie di esso, interna o
necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera- mente la
contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia della
natura si involgesse ? L’accidente interno consiste nella indeterminazione
e molteplice possibilità della forma latente. Ma intanto M. più volte
afferma che senza il concorso di esterno acci- dente la possibilità non
passerebbe all'atto, non si farebbe realtà di natura. Tra la potenza e
l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché
l'accidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol- tanto
per l'esistenza degli individui, ma anche per la pro- duzione reale dei
tipi nella natura. E del resto la stessa molteplice possibilità in cui è
fatto consistere l'accidente necessario, del pari che l'intreccio dei
processi dal quale si fa nascere l’accidente accidentale, possono essere
a loro posto in una concezione puramente causale e meccanica della
natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più a posto in una
dottrina finalistica, nella quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste
a tutto il processo di sviluppo e lo genera esso medesimo. Voler
dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non
saper negare che vi sia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi
scorge, ossia che la natura finisce per essere, come la società umana,
una lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il
resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione
è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la
patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal De Meis
crollerebbe, se non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura
interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano
o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Ora si ricordi che per il De Meis la malattia
corrisponde al passaggio dall'in- nocenza alla colpa, a cui succede il
passaggio ad una forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa
forma superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che
attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari,
non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la
sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-
cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e
particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli
opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a
dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque
in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.?
Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe
la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale
dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione
? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si
collegano con una profonda, in- conciliabile contraddizione interna del
pensiero del De Meis. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il
filosofo idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente
e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia
con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta
si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia. Questo è
il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre
il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea
e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il
fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non
può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita
non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove M. riconosce. Perchè,
secondo il principio vichiano ed hegeliano, per il De Meis il fare
sol- tanto ci dà il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal
che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie alle conclusioni di M. intorno
ai rapporti fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la
separazione della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico
conciliarsi con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la
storia, perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia
la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi
contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile
come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza
? Ed ecco il criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica,
nella clinica, nella cura delle ma- lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche
qui M. Lettere fisiologiche, 1. cit., p. 35. Cfr. Dopo la laurea, là dove si
riconosce come necessaria, sia pur soltanto al sapere positivo, la divisione
del lavoro. [Idea della fisiologia greca ; e altrove. La natura
medicatrice e la storia della medicina] mostra di non aver raggiunta la piena
coerenza del suo pen- siero, né la piena consapevolezza delle esigenze
dei suoi principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la
funzione del- l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il
necessario e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a
priori e ciò che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane
in lui insoluto. Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che
anche Hegel aveva incontrate nel costruire la sua filosofìa della
na- tura, la quale è certo la parte più debole del suo
sistema. L'errore fondamentale del De Meis è consistito in questo :
che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della natura
hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che le cause
erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non consentire che vi
fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta, razionale e
concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una soluzione non
raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla dimostrazione e
alle applica- zioni di quella, che egli stimava già scoperta da Hegel. Camillo
De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature, citato da
Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte il
giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli:
“Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Melandri – le forme dell’analogia – analogia nel convito di Platone – Reale -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Grice: “One
of the ten items he lists in his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’
itself!” -- Grice: “Melandri takes analogy more seriously than I did – I do
list ‘analogy’ as part of what I call ‘philosophical eschatology – the third
branch of metaphysics, along with ontology and category study.” Grice:
“Melandri focuses on the Graeco-Roman tradition of analogy, which he pairs with
two other concepts: proportion, and symmetry – re-interpreting mainly Aquino’s
reading of the Aristotelian tradition in a semiotic approach.” Grice: “Melandri
also takes Kant seriously on this.” Grice: “If an Italian philosopher wrote
‘contro la comunicazione,’ another wrote ‘contro il simbolico’!” -- Grice: “He has studied Buehler; I like that!”
-- Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in
Germania. Ha poi insegnato filosofia in diversi atenei italiani (Lecce, Trieste
e Bologna). Parallelamente all'attività universitaria, ha collaborato a
lungofin dalla fine degli anni cinquantacon la casa editrice Il Mulino e alla
rivista omonima, per le quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e
curatele di alcuni volumi, pubblicando con essa alcuni dei suoi lavori più
significativi. I suoi volumi più importanti vertono sulla fenomenologia di
Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue
curatele, anche presso altre case editrici (Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte
alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc.), ci sono studi che vanno dalla scienza
politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla
filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la
storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a
quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica
di Trier alla «metaforologia» di Blumenberg ecc. Ha istituito un gruppo interdisciplinare di
studi su Leibniz, in seguito affiliato col nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla
Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente alle
attività del «Centro di studi per la filosofia mitteleuropea» (con sede a
Trento); partecipando alla realizzazione
di «Topoi», rivista internazionale di filosofia. Sempre in quegli anni ha dato
vita agli «Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna», poi
trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva
e di cui è stato il primo direttore. Tra
i suoi testi, spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito
da Giorgio Agamben "un capolavoro della filosofia europea del
Novecento". Il filo conduttore di
tutta la riflessione di Melandri è il rapporto tra pensiero logico e pensiero
analogico. Mentre il primo tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità
elementare, legato alla "discontinuità" del principio di non
contraddizione, il secondo si fonda invece sul principio di continuità, legato
alla figura oppositiva della contrarietà, che ammette una transizione tra gli
opposti. Ora, queste due forme di pensiero non sono affatto inconciliabili, ma
complementari, in quanto fondate non su strutture assiomatiche, ma su una
diversa direzione costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si
realizza, secondo Melandri, nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende
a evidenziare l'«empirismo radicale» connesso alle strutture
costitutivo-trascendentali della soggettività e ben distinto, dunque, da
quell'idealismo entro cui troppo spesso si è voluto rubricare l'atteggiamento
fenomenologico. In ultima istanzacongiungendo istanze aristoteliche e
husserlianeMelandri assume una concezione dell'essere fondamentalmente
equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si presenta, al tempo
stesso, come principio formale logico e funtore operativo analogico. Inoltre,
Melandri espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo d'indagine e
d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto dal suo allievo, Stefano Besoli, filosofo a Bologna:
«A lezione, si può dire che Melandri non parlasse, ma pensasse ad alta voce
[...] dando l'illusione, quantomai benefica ed essenzialmente terapeutica, di
pensare insieme con lui. Si aveva l'impressione di assistere, dunque, a un
pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accadeva era
un'esperienza di pensiero condivisa, giacché la condivisione era appunto la
condizione stessa della buona riuscita di tale esperienza». Saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte
fenomenologico,” poi come introduzione a Bolzano, I paradossi dell'infinito,
Cappelli, Bologna. “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,”
“Alcune note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche
sui syn-categorematica – copredicabili – negazione come avverbio, la
congiunzione ‘e’ come copredicabili, la disgiunzione ‘o’ come copredicabili,
l’implicazione ‘se’ come copredicabile -- ” in "Lingua e stile",
“Esistenzialismo,” “Logica e Logistica”
Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli, Milano); “Psicologia galileiana”
-- poi in Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali; “Foucault:
l'epistemologia delle scienze umane", in «Lingua e stile». “E corretto
l'uso dell'analogia nel diritto? ("Zoon Politikon. Bolk e l'antropo-genesi",
in «Che Fare», “La linea e il circol: studio logico-filosofico sull'analogia” (Bologna:
Mulino rist. Macerata: Quodlibet, (prefazione
diAgamben, appendice di Besoli e Brigati, Salvatore Limongi. Nota in margine all'episteme
di Foucault» in "Lingua e stile",:La realtà e l'immagine,” (in Hans
Barth, Verità e ideologia); Sulla crisi attuale della filosofia, in "Il
Mulino", L'analogia, la
proporzione, la simmetria, Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine,
in "Lingua e stile", ora Quodlibet, Macerata, “L'inconscio e la dialettica,”
Bologna: Cappelli, rist. come "Freud: L'inconscio e la dialettica",
in Id., Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Bologna:
Pitagora; rist. L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet. “Bühler. La crisi della psicologia come
introduzione a una nuova teoria linguistica”, in “Animo ed esattezza.
Letteratura e scienza nella cultura austriaca,” Marietti: Casale Monferrato, “Variazioni
in tema di psicologia e scienze sociali” (Pitagora, Bologna); Appendice. Matematica
e logica in psicologia: applicazione propria (determinante) o im-propria (analogico-riflettente),
-- rist. in Id., L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet, "Per una filologia del sublime", in
"Studi di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an
ordinary unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!”
-- La novità degl’ultimi tremila anni, in "Mulino",
"Faenza" e Marisa Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione
e la retorica, Contro il simbolico. Lezioni di filosofia, -- Grice: “The ten
‘concepts’ he chooses are less important than the generic remarks he makes
about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione,
simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet,
Macerata, postfazione di Guidetti) Sul concetto di descrizione nella psicologia
fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A
good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in "Il
Verri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento” (Mulino,
Bologna); "Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia (o della
principale equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in «Discipline
filosofiche», "Il problema della comunicazione", in «Paradigmi», "Tempo
e temporalità nell'orizzonte fenomenologico", in «Discipline filosofiche»,.
"La crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia
esistenziale" in “Questo nostro
tempo -- studi e riflessioni sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); "Filosofia
come critica della conoscenza e impegno interdisciplinare" in "Tratti". S. Besoli, Il percorso intellettuale, in Studi
su Melandri, Faenza, Agamben, "Archeologia di un'archeologia", in M.,
La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata: Quodlibet,
G. Agamben, "Al di là dei generi letterari", in E. Melandri, I generi
letterari e la loro origine, Macerata: Quodlibet, Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne); M. Ambrosetti,
"Una lettura di Epitteto", in "dianoia", S. Besoli,
"Il percorso fenomenologico", in
La fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma:
Inschibboleth); S. Besoli e F. Paris (Faenza: Polaris); A. Bonfanti, Le forme dell'analogia.
Roma: Aracne. F. Cimatti, "Postfazione: Psicoanalisi e rivoluzione",
in L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet sinistrainrete.info cultura’ Lagna e Lévano,
"Contro l’isomorfismo. Il rapporto soggetto-oggetto, «Philosophy Kitchen»,
M. Matteuzzi, "Prefazione", in M. Ambrosetti, Sugli stoici, Roma:
Aracne); L. Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma trascendentale.
Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», L. Possati, La ripetizione
creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. C. Sini, "Lo
schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di Melandri edite da Quodlibet, che ne ha
annunciato l'edizione completa. Discipline Filosofiche, rivista semestrale di
filosofia. Melandri. Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme
dell’analogia, Grice – analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria
di Buehler, analogical unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica,
aquino, kant, mill, jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle,
lyttkens, Reichenbach, newton, cellucci, marramao, aristotele, platone,
convito, reale, grice, analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Melandri,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria.
Grice e Melanipide – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano. The author of a number of tragedies. He appears to have
practised a relatively ascetic version of Pythagoreanism.
Grice e
Melchiorre – il corpo – filosofia italiana – la filosofia dell’amore – amante
ed amato – il convito di Turolla -- Luigi Speranza (Chieti).
Filosofo italiano. Grice: “I like Melchiorre; while I refer to
bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has dedicated a whole treatise
to ‘the body’ – he has also explored semiotic aspects and come up with nice
oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione simbolica,’ ‘essere e parola.’”.
Grice: “Melchiorre’s first explorations on the concept of body is Strawsonian –
corpore e persona -. What led Melchiorre to this reflection is what he calls a
meta-critique of love – Socrates did his critique of love in the Symposium, and
Phaedrus – Melchiorre analyses this from a body-theoretical perspective.” Dopo
essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà
di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea. Terminati gli studi, nel medesimo ateneo ha
iniziato la carriera accademica come assistente volontario di Filosofia della
storia, per poi insegnare a Venezia.
Richiamato a Milano, ha ricoperto la cattedra di Filosofia morale, per poi
insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni
sociali. -- è stato nominato professore emerito. Saggi: “Arte ed esistenza,”
Firenze “Il metodo di Mounier,” Milano, “Il sapere storico,” Brescia, “La coscienza
utopica,” Milano; “L'immaginazione simbolica,” Bologna, ”Meta-critica
dell'eros,” Milano, “Ideologia, utopia, religione,” Milano, “Essere e parola,”
Milano, “Corpo e persona,” Genova, “Studi su Kierkegaard,” Genova, “Analogia e
analisi trascendentale: linee per una lettura di Kant,” Milano, “Figure del
sapere, Milano, “La via analogica,” Milano, “Creazione, creatività,
ermeneutica,” Brescia, “I segni della storia,” Ghezzano Fontina, “Al di là
dell'ultimo,” Milano, “Sulla speranza,” Brescia, “Ethica,” Genova, “Dialettica
del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica,” Milano, “Qohelet, o la
serenità del vivere,” Brescia, “Essere persona,” Milano, “Breviario di
metafisica,” Brescia, “Il nome indicibile,” Milano, Profilo nel sito
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere
persona. Natura e struttura di Armando Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista
internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni,
culture. I diversi volti della verità Relazione del prof. Melchiorre al 65º
Convegno del Centro Studi Filosofici Gallarate, video integrale nel sito
CattedraRosmini.org. Virgilio Melchiorre, Rai EducationalEnciclopedia
Multimediale delle Scienze Filosofiche. Grice:
“Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian
philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Enrico Turolla’s
beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla
published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre
typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover
of Sophia, and no Sophos of love!” -- Virgilio Melchiorre. Melchiorre.
Keywords: il corpo corpi e personi, meta-critica dell’eros, il convito di
Trolla, il fedro di Turolla – amore – il riconoscimento come identita – la
dialettica dell’atto amoroso – l’amante e l’amato – l’amore reciproco, amore e
contramore, erote ed anterote --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Melesia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto).
Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide.
Grice e Melisso – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia).
Filosofo italiano. A pupil of Parmenide di Velia. The cosmos is not physical
and change is an illusion he attributed to the unreliability of the senses.
Grice e Melli – AVRELIO – filosofia italiana – la
filosofia a Roma nel tempo di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo.
Grice: “I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs,
so Melli puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on
Socrates is rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’
are just as furrin; Locke ain’t!” --Opere
La filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Felice
Tocco, Firenze,Commemorazione di Pasquale Villari, Firenze, La filosofia greca da Epicuro ai Neoplatonici,
Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non sono
amichevoli. Essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori il senato
consulto da incarico al pretore Marco Pomponio di provvedere “uti Romae ne
essent”. I primi semi della filosofia sono sparsi dagl’esuli achei, tra i quali
era anche Polibio, venuti dopo la guerra macedonica. Pochi anni dopo, ci e
l'ambasciata della quale fa parte Carneade. Anche questa volta vedemmo come
Catone s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quell’abile parlatore puo
esercitare sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande successo e l’infiltrazione
delle idee filosofiche e già cominciata, specialmente dopo la conquista delle
città della Magna Grecia come Crotone – sede della scuola di Pitagora --,
Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede di Parmenide e Senone –
e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della scuola di Empedocle --.
Leontini, sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti o imitati, i filosofi
romani senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’ (filosofia) e degl’amanti
di sapienza (filosofi). Un motto si trova in un frammento di Ennio, nel
Neottolemo. “Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non
ingurgitandum in eam”. Col progredire della cultura, con lo svilupparsi
dell'eloquenza, nasce il bisogno di far istruir i figlii presso questi pedagogi
schiavi ditti ‘amanti di sapienza’. Alcuni grandi personaggi, come Scipione
Emiliano e il suo amico Lelio divieno protettori dei qesti pedagogi detti
‘amanti della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I giureconsulti
trovano un'utile disciplina nella dialettica. La riforme dei Gracchi e ispirata
da idee di questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i filosofi romani domandano
a questo ‘amore di sapienza’ e 1' orientazione nelle questioni pratiche e una
cultura necessaria o utile all’oratore, al giureconsulto, agl’uomini di stato.
Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere
trattata in latino e la dottrina dell’ Orto. Sono nominati un Amafinio e un
Rabirio come espositori delle sue idee, ma con poca arte. Più tardi è pure ‘edonista’
– sostenitore del piacere -- un certo Catius, “levis quidem, sed non inineundus
tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande
interprete dell'edonismo presso i Romani è Lucrezio. Altri ‘amanti di sapienza’
sono M. Bruto, l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il
dottissimo Varrone, che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e in
psicologia e in teologia segue più gli Stoici che l'Accademia. Ma tutte queste
sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gli altri ed è per noi il
vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i romani è Cicerone. Giuseppe
Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Memmio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Gaio Memmio. Memmio is a bit of an enigmatic
character. Lucrezio dedicates his great Garden poem to him, and he acquired the
ruins of the house in Athens where Epicuro started his Garden.
Grice e Menecrate – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia).
Filosofo italiano. A pupil of Senocrate.
Grice e Menestor – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.
Menon – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotona). Filosofo italiano. A Pythagorian and son-in-law of Pythagoras,
according to Giamblico di Calcide.
Grice e
Mercuriale – il ginnasio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli).
Filosofo italiano. Grice: “At Corpus, as
it had been at Clifton, cricket featured as my priority, -- philosophy came
second!” -- Celebre per avere per
primo teorizzato l'uso della ginnastica su base medica. Suoi sono anche il
primo trattato sulle malattie cutanee e un'importante opera, forse la prima mai
scritta, di pediatria. Ritratto raffigurato
in "De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la
laurea a Padova, dove ebbe modo di conoscere Trincavella, seguì a Roma Farnese.
A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso
Pio IV. Pare aver composto il suo celeberrimo trattato sulla ginnastica. Fu poi professore in entrambe le università
dove aveva studiato. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto
fecondo, in cui scrisse ben dodici libri, alcuni dei quali basati sugli appunti
presi dagli studenti durante le lezioni. Si recò poi a Pisa, dove divenne
tutore di Ferdinando I de' Medici e poté godere di una certa fama. Curò anche
altre importanti personalità del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo
nominò cavaliere e conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio
che lo vede convocato a Venezia insieme a molti altri medici illustri,
consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse
fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima percentuale della
popolazione si era ammalata e il contagio restava comunque molto limitato. Dopo
una settimana però la malattia ebbe un decorso impressionante, colpendo un
terzo della popolazione veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico
stesso. Sorprendentemente però tale evento non ebbe gravi conseguenze sulla sua
carriera che, anzi, durante lezioni che tenne a proposito della peste, continuò
a difendere la sua posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fece
restaurare una cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola
in cappella di famiglia, da allora nota come "cappella Mercuriali",
dove egli stesso venne sepolto. Ai monaci di San Mercuriale, lascia in eredità
la sua biblioteca, purché essi si impegnassero a tenere tre lezioni settimanali
di filosofia. Ricevuti i libri, i monaci, per custodirli e renderli fruibili a
tutti, aprirono una biblioteca pubblica. A celebrazione ed a ricordo di Mercuriali,
e murata nella cappella una lapide, tuttora esistente, con le seguenti parole. Questo
marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando presso la sua tomba riaffermavano
il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede. Saggi: “De morbis muliebribus”, Cultore
dell'opera ippocratica (“Censura et dispositio operum Hippocratis,”-- in cui
discusse in modo critico le opere del medico -- “De arte gymnastica,” la prima opera moderna che consideri
scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un
testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento
scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di
tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin. Alcune altre sue opere sono: “De morbis
cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,”
“De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus” (Venezia); De venenis
et morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus
seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina
e delle Scienze Naturali (Liber Amicorum), Citato in M. Landi, Credere,
dubitare, conoscere. De Hieronymi Mercuriale vita et scriptis Victorius
Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario
Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali (Liber
Amicorum). “De arte gymnastica” Pediatria Dermatologia, Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice:
“Mussolini said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate –
‘ginnico’ is the word!” -- Geronimo Mercuriale. Girolamo Mercuriale.
Merucriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica, bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the
demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.
Grice e
Merker – il filo d’Arianna – Arianna abandonata a Nasso --– filosofia italiana
– Luigi Speranza (Trento). Filosofo italiano.
Grice: “My favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.”
-- Grice: “The fact that he found Italian words for all that Kant says in
“Metafisica dei costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many
reasons; he has philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the
fact that I was born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors
aptly like ‘il filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general
theory of context.’ --Si laurea in Filosofia all'Messina. Trascorse un periodo
di ricerche in Germania. Allievo diVolpe, diviene libero docente di Storia
della Filosofia e docente incaricato di Storia delle dottrine politiche
all'Messina. -- docente ordinario di Storia della Filosofia nello stesso
ateneo. -- ordinario all'Università La Sapienza di Roma alla Facoltà di Lettere
e Filosofia, e poi alla facoltà di Filosofia.
Ha curato edizioni italiane di classici dell'età della Riforma,
dell'Illuminismo e dell'idealismo tedeschi, nonché di Marx, Engels e dell'austromarxismo.
Dopo essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra
mondiale, si è occupato dell'idea di nazione, dell'ideologia colonialista e
infine del fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di divulgazione della
storia della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta voci per
l'enciclopedia filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti sono su
Heine, Mann, Zweig. Saggi: “Le origini
della logica” (Milano, Feltrinelli); “L'illuminismo” (Bari, Laterza) – la
metafora della luce della ragione ; “Lessing
e il suo tempo, con altri, Cremona, Convegno); Marxismo e storia delle idee,
Roma, Riuniti, Storia della filosofia, La
filosofia moderna. Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini
dell'ideologia. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia
della filosofia, Roma, Riuniti); Storia delle filosofie, Firenze, Giunti
Marzocco); “Marx, Roma, Riuniti); Erhard, in L'albero della Rivoluzione. Le
interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi); La Germania.
Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti); Lessing, Roma, Laterza);
“Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agl’austromarxisti” (Roma,
Laterza); Storia della filosofia moderna e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il
sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma, Riuniti, -- sangue
lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue romagnola -- Atlante storico della
filosofia, Roma, Riuniti, Europa oltre i
mari. Il mito della missione di civiltà, Roma, Editori, Filosofie del
populismo, Roma, Laterza, Marx. Vita e
opere, Roma, Laterza,. Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma,
Carocci,.La guerra di Dio. Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma,
Carocci, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel,
Estetica, Milano, Feltrinelli, Torino, Einaudi, Kant, La metafisica dei costume (Grice: “My
favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel, Rapporto dello scetticismo con
la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács,
Scritti politici Bari, Laterza, Herder,
James Burnett, Lord Monboddo, Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing,
Religione, storia e società, Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma,
Riuniti,Forster, Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt,
Stato, società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma,
Scritti economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il
popolo, Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La
scimmia e le stelle, Roma, Riuniti, Maj,
Il mestiere dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società
civile, Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un
secolo, Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma,
Riuniti, Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti, Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma,
Riuniti, Marx, Engels, La concezione
materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?,
Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster, Viaggio
intorno al mondo, Roma, Laterza, Engels,
Viandante socialista, Soveria Mannelli, Rubbettino, Hegel, Dizionario delle
idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della filosofia a fumetti, Roma, Riuniti,
Bauer, La questione nazionale, Roma, Riuniti. La discreta classe delle idee. E’ Merker, asul
sito di Rifondazione Comunista Il
contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di Merker, S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo,
Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e “populismo etnico”. Le riflessioni
storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra storia,
politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su uniurb.
Merker. Keywords: il filo d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale – Teseo
– Arianna abandonata, giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico etnicita
ennicita – etnos, Greek ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Merker” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Messalla – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Marco Valerio Messalla Corvino -- Garden. Friend of
Orazio. They studied philosophy together. He opposed Giulio Cesare but
eventually made his peace with Ottaviano. He wrote philosophical treatises.
Grice e Mesarco – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotona). Filosofo italiano. The son of Pythagoras. He led the sect after the
death of Aristeo.
Grice e Mesibolo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Reggio). Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico.
Grice e
Messere – l’implicatura di Sileno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre
Santa Susanna). Filosofo italiano. Ricevuti
i primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro
Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare
il seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere
la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per
lo studio. Ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natìo, dove divenne un
maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della
filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche
alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un giovane chierico, fu
messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per
sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo sconforto; anzi,
procuratosi alcuni libri, il Messere si applicò allo studio della lingua greca,
per la quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Dopo un lungo e
dibattuto processo, la sentenza finale lo dichiarò innocente e assolto da
qualsiasi reato. Risentito con i suoi concittadini per averlo ingiustamente
ritenuto reo, dichiarò che il suo paese mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che
Gregorio Messere partì per Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città
partenopea ebbe modo di affinare e approfondire la sua cultura, divenendo un
personaggio di rilievo nel mondo intellettuale napoletano del tempo. La grande
conoscenza della lingua greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra
di Lettura Greca, che mantenne fino all'anno della morte, presso l'Università
degli studi di Napoli. Tale cattedra era
stata nuovamente istituita a spese di
Giuseppe Valletta, filosofo, letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico del
Messere. Valletta aveva una profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo
frequentatore della sua casa non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti,
ma anche perché divenuta luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del
tempo. Fra i suoi molti allievi che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe
alcuni divenuti celebri, si annoverano Andrea, Barra, Caloprese, Gravina,
Valletta, Capasso, Cerreto, Egizio, Donzelli ed altri. Vico, noto filosofo suo
amico, gli dedicò un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo
Caraconasio.Il mondo culturale napoletano della seconda metà del '600 fu
caratterizzato da importanti innovazioni a livello filosofico, scientifico,
civile e politico. Tale fervore culturale aprì la strada alla nascita di un
numero notevole di accademie, che divennero luoghi di discussione aperta e di
diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A Napoli le principali
accademie del tempo furono soprattutto quella degli Investiganti e quella di
Medinaceli. Che il Messere sia stato membro autorevole di entrambe le accademie
e frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani è testimoniato da non
pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa conservati nella
Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così folto seguito di
giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati fanatici dell'erudizione
i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia, diffusero in Napoli
addirittura la moda letteraria della macchietta dello pseudogrecista,
satireggiata pure da Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu anche tra i primi
membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina, ove gli fu
attribuito il nome pastorale greco di “Argeo Coraconasio,” “dalle campagne dell'isola
Coraconaso”. E fondata a Napoli la Colonia “Sebezia” dell'Arcadia e anche qui
il Messere e tra i primi iscritti.
L'aver ripristinato l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al
Messere non solo il titolo di “ristoratore della greca erudizione”, ma
contribuì alla ripresa dello studio di Omero, influenzandone il pensiero
poetico e filosofico del tempo. Notevole fu l'influenza che egli ebbe sulla
formazione del pensiero del Gravina. Essenziale nella vita culturale di
Gregorio Messere fu anche l'amicizia con Giuseppe Valletta, suo allievo. La
conoscenza che Gregorio Messere aveva della filosofia fu ugualmente vasta tanto
che gli valse l'appellativo di “Socrate” e quando si riferivano a lui veniva
anche chiamato il “Socrate dei nostri tempi”.
Non fu solo un insigne grecista, ma anche un poeta. Compose infatti
circa 60 componimenti, tra distici, tetrastici, serenate, sonetti, madrigali ed
epigrammi in italiano, utilizzando talvolta uno stile che il Lombardo definisce
“stile mezzano e semplice”, di carattere pastorale. Un suo epigramma è
contenuto in una lettera che Canale inviò al Magliabechi. Non mancò di scrivere
componimenti di carattere burlesco e giocoso, in cui contrapponeva
l'immediatezza della satira e del dialetto alla ricercatezza esasperata della
poesia del Seicento. Si esercitò soprattutto nell'Accademia di Medinacoeli,
dove era uso chiudere la seduta accademica con la recitazione di componimenti
poetici. Compose finanche versi che celebravano importanti eventi del regno;
tra i più salienti, si ricordano quelli contenuti nel volume scritto in
occasione della recuperata salute di Carlo II. Da ricordare sono anche gl’emblemata
contenuti nel volume scritto per i funerali di D. Caterina d'Aragona, e a cui
si ispirò Vico in occasione dei funerali di due uomini illustri Tra le tante collaborazioni con letterati del
suo tempo, degna di nota è quella che ha con VICO per la pubblicazione di un
volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre sono i componimenti
contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una Miscellanea dal titolo Vari
componimenti in lode dell'eccellentissimo signore d. Francesco Benavides conte
di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in Miscellanee
poetico-celebrative, di M. non esistono opere a stampa. E a ciò ne dà
spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto
dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi
la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti. Le lezioni accademiche di cui si dispone sono
quelle che tenne nell'Accademia
istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni
sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste
lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia,
dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia
stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla
vita di NERVA e una sulla vita di DECIO. Il codice napoletano contiene anche un
Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione
sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e,
nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò
ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale
napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri
dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia
napoletana “Sebezia”. Storia della
litteratura italiana Biografia degli
uomini illustri del regno di Napoli Le
vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine
delle generale adunanza da Crescimbeni, pRoma,
(biografia scritta da G. Lombardo). Cantillo,
Filosofia, poesia e vita civile in M.: un contributo alla storia del pensiero
meridionale, Morano, Napoli, Angelo De Prezzo, Storia delle origini di Torre
Santa Susanna, Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum:
l'Napoli nei documenti, Edizioni scientifiche
italiane, Napoli; Lomonaco, M., la poesia e l'impegno civile tra Gravina e VICO,
in "Diritto e Cultura", VLezioni dell'Accademia di Palazzo del duca di
Medinaceli: Napoli, Michele Rak, Napoli,
Istituto italiano per gli studi filosofici. (regio esim liepiera presoNiccola
Gjervasi'altirante 1.os. re ( lessen Blusere Filologo Filosofo Namquein Tore diliuramnemláiTerad
Ohrantenel mio Mori in Nlapoli.Ebbe per convincenti indizj, co di Gregorio
lasospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo. me che di ,laddove
impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio , stessolostndio
non conosceva neppur lo avanti , che inbreve con tanta sollecitudine però ,e sn
tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca erudizione. onde
cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio delle greche
lettere era a quel tempo venuto tranoi insomma decadenza, l'erudizione esi
renduta goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni sua cura per richiamarla
alla sua dignità primitiva. La profonda sua scienza nella mentovata favella gli
seçe meritamente occupare. la catte be i
suoi natali in un mediocre luogo della Regione de' Salentini, oggi Terra
d'Otranto, detto la Torre di S. Susanna , discosta da Brindisi intorno a miglia
dodici.Suoi genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta
e civil condizione. M., comechè non proveduto nella sua primiera età di
sufficienti maestri, seppe col proprio suo ingegno , e colla sua mente ,
velocis sima e disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a
somigliante difetto. Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della
filosofia delle mattemati che in buona parte, della Teologia , della Storia Ecclesiastica
e Civile.Nè intralascio fra la severità di sì fatte discipline l'onesto diletto
della poesia e della musica , e tanto in questa ando avanti , che giunse a
cantar con lode la parte di basso. M., tutto che si fosse dedicato al
Sacerdozio , gl'intervenne una disgrazia , la quale fieramente l o travaglio.
S'invaghi un compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e nobilpersonag-:
gio,enefudipariamorericambiato. Il padre di lei , avutone sentore , lo fece
assalir da due sgherri , I quali si accompagnavano con M., ilquale go dea il
favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase trucidato
I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di Argeo
Caraconessin ,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degl’Arcadi illustri
P. 1Scrive a richiesta degli amici sonetti, madrigali ed epigrammi nell'una e
nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a que'tempi non poca laude.
Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame degli versi strani. Queste
poesie furon da lui recitate nella dotta adunanza che CERDA, allora vice-rè di
Napoli, tenenel Regal Palazzo. E certamentefuscia gura , dra di greco
linguaggio nell'Università de'nostri Stu dj. Bentosto si vide la studiosa
gioventù correre a folla alle sue lezioni , e zione,che non solamente I giovanetti,ma
puranche crebbe talmente la sua riputa persone distinte per merito di
letteraria coltura , a n davano con maraviglia ad ascoltarlo. Allo studio della
greca sapienza congiungeva il Messere quello delle scienze più sublimi ; perciò
i più doiti scienziati che erano allora fra noi ed ancora stranieri contava
egli fra i suoi amici. Tra quelli si annoverano Lionardo di Capoa , Francesco
d'Andrea , Carlo Buragna e tanti altri ;'e fra gli stranieri il P. 'Mabillon il
quale par la di lui con somina laude nella sua opera Iter Ita licum ;e
moltissimi presso de'quali e il suo nome in somma estimazione. Il suo
verseggiar burlesco e maccaronico era un dotto poetare , e sempre ridondante di
greca e di la tina erudizione, sicchè isuoi versi in questo genere tranne
lamateria ridevole,erano molto colti egenti li, sì che avrebbe poluto egli dire
con ALIGHIERI: O voice avete gl’ntelletti sani. Il suo modo di comporre era
quello che da' maestri vien detto mezzano e semplice, e varie poesie dettò in
istile boschereccio e pastorale. Molto però egli valse nel verseggiare giocoso
, ed in quella spezie di poesia, già inventata da Folengio, il quale si dice
Merlino Coccai,che volgarmente maccheronica vien chiamata . che dipartendosi
quell'erudito e generoso Si gnore , seco portate avesse , con le altre cose i c
o m ponimenti di quella dotta brigata, e che Gregorio non ne avesse gl’originali
serbati, e non ne rima nesser che pochi in mano di alcuno de'suoi amici, Ma
egli, intento qual novello Socrate ad istruire la gioventù e far rinascere fra
di noi lo studio e la scienza della greca favella, la quale è detto brac cio
destro della buona letteratura, poco cura le sue cose, e poco ambi di rendersi
per le stampe famoso. Dilettavasi egli infatti più della sostanza che dell و , e più d'istruire la gioventù S!11 renza
della dottrina erudizione. diosa , che di far pompa di lussureggiante арра Le
virtù cristiane e socievoli di M. pareg
giarono la sua erudizione e la sua dottrina. Era el FILOSOFO e religioso al
tempo stesso; ottimo Sacerdote, ed affabile senza ombra di bassezza o di poca
digni tà,sprezzatore grandissimodellericchezze, tal che pel noto fallimento del
banco dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate
fatiche erasi acquistato , uimase in una fredda in differenza, motteggiando
giocosamente come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo egli
nella morte di tre nipoti per sorella Biagio, Giovan Batista e Capozzeli,
giovinetti di grandi speranze i due primi nella medicina,ed il terzo nella
legalfacoltà, da lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle
lettere. Poco curante egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto,
dimostrò e di ogni civile onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza,
talche i suoi costumi pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine
dell'uomo, e narrasi , che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno
aperto , per alcun bisogno di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano,
ritrovan dosi ogli con un amico , lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti
discesovi, sudettesi in una delle nicchie da riporvi i morti intorno alle
pareti , e narrasi che mosso da involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase
questo è il luogo che dee a me toccare? Somme lodi son queste certamente per M.,
il quale nato essendo nel mezzo della magna Grecia, nell'antica patria degl’Architi,
degl’Aristosseni,degl’Ennj, de'Pacuvj, e intendentissimo non meno della grea,
della latina e della Italiana poesia, che della più saggia FILOSOFIA, la quale
insegna non pur colle parole , ma col sobrio onorato Con grandissimocordoglio di
tutti gliamatori delle buone lettere, preso di ac cidente apopletico passò a
miglior vita ,e fu sepellito nella detta Cappella del Pontano , siccome in vita
avea desideralo. La sua morte fu onorata dal pianto di afflitte vedove Ο
Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI.
Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e virtuoso suo contegno di vita. Fu per
Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι il Socrate
de’suoi tempi, e datuttiriguar chiamato . Tanta era e cosi dato con istima e
con ammirazione perfetta in lui la notizia delle lettere greche, che mosse
invidia e stupore in parecchi sapientissimi Greci na zionali,iquali,passando
per Napoli,vollero vederlo ed ascoliarlo. Siccome abbiamo accennato,aluisideve
in buona parte il risorgimento delle buore lettere della greca dottrina, per
tanti ragguar spezialmente che si formarono sotto la sua di. devolissimi
letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale eprecipuaragio ne ai nostri elogj ed
alla nostra riconoscenza. Nel no vero de’suoi discepoli furono i Biscardi,
Gennaro d'Andrea, i Calopresi, i Gravina, i Majelli, i Cirilli, i Capassi , gl’Egizi,
e tanti altri lumi della n o stra letteratura iqua’i malagevole sarebbe qui no
minare . tal ragione e di miserevoli bisognosi, a quali questo uomo
incomparabile in ogni maniera di virtù distribuiya tutto ciò che al puro uopo
della sua vita soperchia. va. Intervennero ai suoi funerali tutti i professo ri
della R. U. non che ragguarde volissimi personaggi. Uno di costoro già suo
scolaredi nobilissimo tegnaggio , insigne per lettere e per la scienza della
pittura e dell'architettura,innalzò a tanto maestro la see guente iscrizione in
greco ed in latino. Τα Διδασκαλω Διδακτρον. SALENTINO IN GRAECA LINGVA AD
SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE ACADEMIA HAC OPTIME MERITO) FERDINANDVS
SANFELICIVS GRATVS AVDITOR ANDREA MAZZARELLĄ PA CERRETO. Quantunque non
abbiasi cosa alcuna alle stam IV. sti. pe di M. Torre di S. Susanna,
luogo della Terra d'Otranto, tuttavia egli ha buon diritto che di lui si parli
in GregorioMesso nella ro edaltriGreci st'opera. La disgrazia avvenutagli que
di dover soffri re,sebbene innocente una lunga prigionia to di omicidio , lo
determinò Greca, e così felicemente venir riconosciuto qual ristauratore
dizione nel Regno di Napoli , e il Mabillon nel suo Iter Italicum parla con
somma lode del Gregorio . Occupò egli la Cattedra di questa lingua nellaUni
versità della Capitale, e la insegnò con tanto grido , che oltre la gioventù
contò fra lisuoi discepoli non poche persone per coltura e per sapere distinte
; e fra i più celebri alunni da lui istruiti si noverano Gennaro di Andrea , il
Caloprese Capassi ed altri molti.Benemerito , il Gravina , il perciò della
Greca Letteratura congiunse na del poetare, e conobbe le altre scienze con gran
vantaggio attenzione specialmente Religione all'epoca della sua morte accaduta
ordine di persone il compianse . ogni funerali i Professori ai suoi , ed , ed
ebbe onorata s e per sospet a studiare la lingua vi riuscì, che meritò di poi
anche alla erudizione lave dei giovani che con zelo ed istruiva ed educava alle
lettere ed alla insieme, perlocchè crate. La sua dottrina e le sue cristiane
virtù , m a specialmente una carità generosa giunsero a tale,che appellavasi
novello S o . Intervennero tutti della R. Università altri ragguardevoli
poltura nella cappella dove riposano le ceneri Pontano discepolo con iscrizione
Greca e Latina da un del suo composta (2). personaggi della Greca e r u (1) Fu
egli ascritto fra i primi Arcadi sotto il nome di Argeo Caran conessio.
Biografia degli Uom. ill. del Regno di Napoli. Allorchè si aprì il concorso per
la cattedra di lingua greca. Grice: “When they called Messere ‘Socrate’ I hope
they don’t mean Alcibiades’s implicature, ‘my dear Sileno!’” – Gregorio
Messere. Messere. Keywords: implicature, Sileno, Socrates, SocrateSileno,
Socrate, Silenus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”.
Grice e
Messimeri – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Seminara). Filosofo italiano. Grice: “He was of a noble family – he was into
the free market – so his is a philosophical economy.” Domenico Grimaldi
(Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano. Francesco
Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie
origini alla nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre,
il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre
criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non molto
estese, di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi
giuridici, in previsione di una possibile professione forense, all'Napoli.
Nella capitale napoletana Domenico fu raggiunto dal fratello minore
Francescantonio, fece parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello,
frequenta le lezioni di economia di Genovesi. Si trasferì a Genova, dove
ottenne la riammissione nel patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo
così il permesso di esercitare alcune magistrature. In Liguria, tuttavia,
Grimaldi ebbe modo di approfondire gli aspetti tecnici, economici e sociali
legati all'agricoltura il cui studio lo spinse a viaggi in Francia, specie in
Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si interessò in particolare alla colture
dell'ulivo e del gelso per l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra
l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che premiò una memoria, nella Società
economica di Berna, un centro di cultura fisiocratica, e nella Société royale
d'agriculture di Parigi. Saggio di economia campestre per la Calabria
Ultra François Quesnay, maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto
delle sue ricerche fu il Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra,
esposizione di un piano che, partendo dalle condizioni di arretratezza dell'economia
calabrese del XVIII secolo, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi
atti a la trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore
produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria
erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al
settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di
sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne.
Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura
e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e
il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere
reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e
olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in
quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la
ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole,
con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere,
specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera locale.
L'imprenditore Vecchio frantojo ligure dismesso Attorno al 1770 Grimaldi
si impegnò a tradurre in pratica questi progetti, con l'aiuto finanziario del
padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione degli olivi, chiamate
dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara nuovi frantoi
"alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i risultati delle sue
innovazioni con un'opera edita con una
dedica a Beccadelli, marchese della Sambuca. Si dedicò più tardi alla
produzione della seta. Grimaldi, che inizialmente intendeva assegnare
l'ammodernamento dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese conto che
l'approccio utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo
caso, introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla
"piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della
seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla
seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei
controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle
manifatture e del commercio. Il politico Sir John Acton La
riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al
dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in
particolare nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza
dopo la carestia del 1764. Una delle proposte più importanti di Domenico Grimaldi
fu la costituzione, nella Calabria Ultra, di società economiche concepite come
centri promotori il miglioramento della tecnica agraria; ma la proposta non
trovò il necessario sostegno né nei proprietari terrieri né nel clero. In
seguito allargò lo sguardo dalla Calabria Ultra all'intero Regno, proponendo di
svolgere un'attività conoscitiva sulla struttura economica del Regno mediante
la predisposizione di piani di visite alle province napoletane affidati a
ispettori di nomina regia, con proposte di azione sulle "cause
fisiche" dell'arretratezza, principalmente la mancanza di strutture per
l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali suggeriva il ricorso
anche al lavoro coatto. Gaetano Filangieri Grazie alla notorietà
raggiunta con i suoi saggi Grimaldi fu nominato dal primo ministro John Acton
assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a
Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto che causò gravi danni e
lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione della
Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano
pubblico che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della
produzione agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria
di un istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la
seta alla piemontese"; la scuola, diretta dal Grimaldi, ebbe un certo
successo, ma venne chiusa nel L'interruzione negli anni novanta dell'attività
riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi collegata alla
rivoluzione francese comportò un atteggiamento di sospetto, da parte del
governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità progressista. A Grimaldi
venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di presidente della costituenda
Società patriottica per la Calabria in quanto massone. Fu addirittura
arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una cinquantina circa) in
seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Giovanni Pinelli e trasferito
nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica
Napoletana. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana. Saggi:
“Memoria ai gergofili sopra una specie di pianta pratense chiamata sulla”
(Firenze); “Economia campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini); “La manifattura
dell'olio nella Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scon alcune riflessioni critiche
sopra il bando delle sete” (Napoli: Porcelli); “La pubblica economia delle provincie
del Regno delle Due Sicilie” (Napoli: Porcelli); “Piano per impiegare utilmente
i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano
nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria
olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di
Napoli” (Napoli: Porcelli); “L’economia olearia antica sull'antico frantoio da
olio trovato negli scavamenti di Stabia” (Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore
Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia”
(Napoli: Porcelli). Franco Venturi, Illuministi italiani, V: Riformatori napoletani, Napoli: Ricciardi,
Antonio Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle origini al posivitismo,
Cosenza: LPE, Istruzioni sulla nuova
manifattura dell'olio introdotta nel Regno di Napoli dal marchese Domenico
Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, socio ordinario, e corrispondente
dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della Società di Agricoltura di
Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Vincenzo Orsini, a spese di Giuseppe
Maria Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico
Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli:
Porcelli); “Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune
osservazioni economiche relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli);
“Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli,
e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto dal marchese don Domenico
Grimaldi, Napoli: Porcelli); Piano per impiegare utilmente i forzati, e col
loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e
nelle altre provincie del Regno scritto dal marchese don Domenico Grimaldi
di Messimeri patrizio genovese” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'una scuola da
tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà, sotto
la direzione del M. Grimaldi, e l'approvazione del Vicario generale delle
Calabrie don Francesco Pignatelli” (Messina per Giuseppe di Stefano). L'opera
apparve anonima ed è attribuita a Domenico Grimaldi da Gaetano Melzi, Note
bibliografiche del fu D. Gaetano Melzi, edite per cura di un bibliofilo
milanese con altre notizie, H-R, Milano:
Tip. Bernardoni) Giuseppe Maria Galanti,
Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria Mannelli:
Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio
Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di
Magistero. M.L. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani, LIX, Roma: Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, A. Basile, «Un illuminista calabrese: Domenico Grimaldi da Seminar»a,
in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Gaetano Cingari, Giacobini e
Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Cesare
Morisani, Massoni e Giacobini a Reggio Calabria, Reggio Cal., F. Morello, Domenico Romeo, Alcune precisazioni su
Domenico Grimaldi: un riformatore Calabrese del '700, in "Historica",
Antonio Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico
Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Domenico Luciano, Domenico Grimaldi e la
Calabria, Salerno, Beniamino Carucci. Grimaldi, Domenico la voce nella Treccani
L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily enough?” -- --
Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII
secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia della città e Regno
di Napoli(i cui primi due volumi furono pubblicati negli anni 1601-1602 e gli
altri due postumi[1]), inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di Sicilia,
e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo scritto
l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di Messina
viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV investì Carlo
I d'Angiò del Regno di Napoli nel 1265: «Papa Clemente IV, il quale
investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il
Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice,
Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo
eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si
servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo
successero [...] che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono,
chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi,
ritrovandosi Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo
padre, e avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di
Napoli da mano di Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due
Sicilie, Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire
all'autorità de' Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re [...] i quali
furono Signori solo del Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re
di Sicilia Citra. Ma Ferdinando il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo
Vimperadore e Filippo nostro re, e Signore, i quali anno [sic] avuto il dominio
d'amendue i Regni, si sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e
Ultra: la verità dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, (come
s'è detto) i quali cominciarono ad introdurre, che 'l Regno di Napoli si
chiamasse Sicilia[2].» La stessa tesi è sostenuta da Pietro Giannone
nella sua Istoria civile del Regno di Napoli (1723), in cui si citano vari
stralci della bolla pontificia, con la quale Clemente IV concesse l'investitura
a Carlo d'Angiò «pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est citra Pharum,
usque ad confiniam Terrarum, excepta Civitate Beneventana [...]». In un altro
passo la bolla proclamava: «Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra, et
ultra Pharum». Secondo Giannone è dunque questa l'origine del titolo rex
utriusque Siciliae, che tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti
ufficiali, preferendo gli antichi titoli dei sovrani normanni e svevi[3]. Marchese
Domenico Grimaldi. Grimaldi di Messimeri. Messimeri. Keywords: implicature,
economia olearia antica – antico frantoio da olio a Stabia -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Messimeri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Metello – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Quinto Cecilio Metello Numidico. A Roman general and
politician. A pupil of Carneade.
Grice e Metopo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto).
Filosofo italiano. Cited by Stobeo – He wrote a treatise on virtue which
survives. Giamblico lists him as a Pythagorean.
Grice e Metrodoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean and son of Epicharmo, cited by
Giamblico.
Grice e Metronace – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Napoli). Filosofo italiano. Metronace. Porch.A popular teacher of philosophy
at Napoli, where Seneca attended some of his lectures.
Grice e
Micalori – Ganimede e l’implicatura sferica di Giove – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice:
“I took my ideas on longitude and latitude from Micalori” -- Grice: “By calling
it ‘sfera,’ Micalori’s statement ENTAILS rather than implicates that the Romans
were wrong.” Professore a Urbino. Opere:
“Della sfera mondiale” In Urbino, Marco Antonio Mazzantini, Giacomo Micalori,
Antapocrisi, In Roma, Francesco Roma Cavalli. Zeus features heavily
in a lot of starlore, and the Eagle constellation is no exception. The
predominantly accepted mythos for this constellation is the abduction of
Ganymede. Zeus had facilitated the kidnapping, fancying the beautiful mortal
boy as his personal cup-bearer. In the constellation, which is situated
south of Cygnus on the equator, making it visible from both the Northern and
Southern hemispheres, poor Ganymede can be seen hanging from the claws of the
eagle as he is swiftly taken to the heavens. The constellation appears
alongside several other bird constellations. The Eagle’s wings are spread,
giving it the appearance of gliding through the stars. As Hyginus states, the
beak is separated from the body by a milky circle. It was also said to set “at
the rising of the Lion and rises with Capricorn”. (Hyginus, Astronomy,
3.15) Greek astronomy Humans have a natural urge to identify
familiar things amongst the twinkling stars of the mysterious abyss above us.
These narratives came out of astronomical observations and ancient time
tracking. The study of the sky began long before the earliest Greek sources
that (sparsely) discuss them, Homer and Hesiod. They likely developed during
the transition from oral to written transmission, but to what is extent is
unknown. Even though the Greeks were late to the constellation
conversation (500 BC), they received a lot of their knowledge from their
Eastern neighbors. The Greeks introduced the word katasterismos, or
catasterism, which refers to the process of being set in the heavens.
Constellations were used for navigation and an indication of seasonal change;
many extravagant mythic connections were added later. Today, there are 88
constellations officially defined by the International Astronomical Union, and
many of them have been accepted since Ptolemy’s The Almagest (A.D 150).
Constellations created by the Mesopotamians between 1300-1000 BC originate in
older lands, but the Greek astral mythos canon was solidified by Eratosthenes,
in a work now lost to us. Zeus and his trusted companion The myth
of Ganymede is very ancient lore, being told in the tale of Troy by Homer
(Illiad 20.298ff) – albeit with no mention of an eagle escort. In the fifth
Homeric Hymn to Apollo, Ganymede was said to be whisked off to Olympus by a
‘heaven-sent whirlwind’. The eagle was not connected to this tale until
the 4th century BC. The constellation was accepted as an eagle prior to this,
so it is presumed that this addition was made to make the story fit the stars,
probably because Ganymede is said to feature in his own nearby constellation,
the water-pourer (Aquarius).Micalori. Keywords: implicatura sferica,
planifesferio, Casali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Micalori” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Miccoli – homo loquens – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “Miccoli is a great
philosopher – and surgeon – My favourites are his ‘Corpo dicibile,’ which
trades on my idea of what it means to ‘say’ something; and his ‘Homo loquens,’
a play on Aristotle’s ‘zoon logikon,’ but which Aristotle would find otiose:
man is the ‘vivente’ that speaks, or the ‘animal’ that speaks. To say that it
is the ‘homo’ that speaks relies on Darwin’s classifications and phyla of homo
sapiens sapiens and the rest!” La divertente commedia umana Incipit Chi si
accinge alla lettura dell' Elogio della follia di Erasmo farebbe bene a non
dimenticare taluni antecedenti biografici dell'autore che spiegano meglio
l'ironia bonaria dell'opuscolo. Li richiamiamo. Geertsz, latinizzato secondo il
costume degli umanisti in Desiderio Erasmo, nacque figlio di illegittimo
coniugio. La famiglia paterna, in auge nella borghesia di Gouda, come
apprendiamo dallo stesso Erasmo, si oppose alle nozze riparatrici del figlio,
costringendolo, con inganno, a far intraprendere la carriera ecclesiastica al
malcapitato giovanotto. Citazioni Come
umanista Erasmo si sente apparentato alla società dalla duttile forza della
parola che ne saggia criticamente le valenze in termini di ironia, sarcasmo,
gioco allusivo, bonarietà lungimirante, tolleranza magnanima, moralismo
contenuto. Fin dalla dedica dell'opuscolo a Moro si arguisce che l'autore non
vuol propinare sapientia austera e compassata, ma buon senso brioso che permei
di sé la vita quotidiana della gente, fosse anche dell'imperatore Marco Aurelio
che sul letto di morte, lui filosofo, esclama, a un certo momento: «Sentenzio
me cacavi! La sapienza dei dotti è tanto altezzosa quanto sterile, diversamente
dal buon senso che cambia in meglio l'esistenza non sofisticata. (Sotto la
penna dell'insigne umanista olandese si fronteggiano al femminile Sapientia e
Stultitia: la prima, per voler essere austera ad ogni costo, diventa stolta; la
seconda, in quanto «forza vitale irrazionale e creatrice», si palesa veramente
saggia alla resa dei conti. L' Elogio
della follia conserva un fascino di imperitura attualità. Lo si desume
dall'analisi di Histoire de la Folie, dove Foucault evidenzia il confine
sfumato tra ragione e sragione in epoca di alta tecnologia, e altresì dalle
invettive di Nietzsche contro lo smunto bibliotecario, lo stitico correttore di
bozze, il pallido burocrate stipendiato, emblemi tutti del moderno «uomo
alessandrino». (Explicit Erasmo conosce e cita perfino pagine della Bibbia a
riprova della bontà dei doni che Follia concede ai mortali. Un modo questo, di
prendere in giro anzitempo la presunzione dispotica delle società economicistiche
che intendono mantenere sotto loro tutela il cittadino «minorenne» sempre
bisognoso di dande e mordacchie. Gli autori classici sono, tra l'altro, spiriti
lungimiranti. A tali società alienanti di oggi e di domani Blake, con spirito
erasmiano, potrebbe ripetere: «esuberanza è bellezza. La divertente commedia
umana, introduzione a Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, TEN, Introduzione
a "Vita di Gesù" Incipit Il contesto storico culturale della Vita di
Gesù La recente edizione storico-critica delle Opere complete di Hegel consente
di far chiarezza sulle discussioni e congetture che hanno tenuto a lungo il
campo nella letteratura hegeliana a proposito dei cosiddetti Scritti teologici
giovanili, la cui indole cronologica vengono ora sancite su base filologica e
critica più accorta. Più che ai titoli apposti da Nohl ai vari frammenti e più
che alle congetture sulla data probabile di tali scritti, è più fruttuoso
rifarsi agli anni di formazione filosofica e teologica di Hegel nello Stift di
Tubinga e reperire nel curriculum studiorum le ascendenze prossime che hanno
influenzato maggiormente l'autore in una speculiare lettura dei quattro
Evangelisti, da cui desume Das Leben Jesu. Citazioni Gli interessi culturali di
Hegel, negli anni tubinghesi, sono prevalentemente filosofici, incentivati
dalla lettura di Rousseau, Jacobi, Lessing, Kant, Fichte su temi sociopolitici
ed etico-religiosi. (Hegel, studioso di filosofia, si sente chiamato a
lumeggiare «spiritualmente» la situazione storica del suo tempo e a porre le
premesse di carattere razionale per l'avvento di un «ordine uguale di tutti gli
spiriti». Il lettore del Leben Jesu si accorge subito di trovarsi di fronte a
una forma di scrittura audace, che desacralizza e sdivinizza la persona di
Gesù, riducendolo a maestro di morale sublime. [Paolo Miccoli, introduzione a Hegel, Vita di
Gesù. TEN. “Filosofia della storia”, “Corpi dicibili”, “Homo louqens”. Paolo
Miccoli. Miccoli. Keywords: homo loquens, corpo dicibile, corpi dicibili. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Miccoli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Miccolis – BRVNO – filosofi italiani al rogo -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Corato). Filosofo italiano. Grice: “Miccoli reminds me of G. Baker,
who dedicated most of his life to Witters! Miccolis to Labriola.” sConsiderato uno dei massimi studiosi
di Labriola. Si trasferì a Perugia per
gli studi universitari, laureandosi in filosofia a pieni voti con una tesi dal
titolo «Il pensiero politico crociano e la genesi del liberalismo». Abilitatosi
cum laude all'insegnamento di storia e filosofia, professore in vari licei
della provincia, occupò una cattedra stabile presso l'Istituto tecnico per
geometri a Perugia, accostando l'insegnamento di estetica all'Accademia di
belle arti "Pietro Vannucci". Divenne responsabile del settore
culturale del PCI per la regione Umbria; ma, preso dagli studî e
dall'insegnamento, lasciò l'incarico, comunque seguendo sempre le vicende
politiche con attenzione e passione. La sua è stata una formazione liberale:
considerava suoi padri spirituali Labriola, Croce,Gobetti. Dalla fine degli
anni Settanta la sua vita sarà rivolta allo studio del filosofo cassinese Labriola,
da Miccolis ritenuto «un buon punto per capire la storia d'Italia». Nascerà
quindi il Carteggio labrioliano, in cinque volumi, presentato da Cesa all'Accademia
dei Lincei, edito per gli auspici e con il contributo dell'Istituto italiano
per gli studi storici e dell'Università degli Studi di Napoli
"L'Orientale" e favorito dalla consultazione, nel frattempo divenuta
possibile, delle carte Labriola del Fondo Dal Pane, acquistato dalla Società
napoletana di storia patria. Su tale monumentale lavoro è stato scritto: «un
evento letterario, probabilmente l'acquisizione più importante tra le fonti
della cultura italiana postunitaria; e, di più, senza esagerazione, si presenta
come un capolavoro ecdotico, per accuratezza filologica ed esaustività del
commento. Miccolis era certo divenuto col tempo l'esperto più sicuro della
impervia grafia del suo autore, della quale conosceva ogni piega e ogni
anomalia, dei contesti politici e culturali in cui Labriola si muoveva della
spezzettata, dispersa e contorta
labrioliana, difficile da padroneggiare: si era anche impadronito, in
base a una sensibilità linguistica non comune, del "vocabolario"
dell'Autore in tutte le sue sfumature, ed era perciò in grado di respingere o
di dubitare di attribuzioni di testi, datazioni improbabili, letture sghembe».
Miccolis scrisse inoltre sistematicamente per varie riviste (Rivista di storia
della filosofia, il Giornale critico della filosofia italiana, Belfagor,
Critica storica, Nuovi studi politici, etc.); numerosi sono i suoi saggi e
notevoli gli ulteriori apporti documentari alla
labrioliana. Collaborò intensamente con l'Istituto italiano per gli
studi storici e la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce: aveva il compito di
revisionare i carteggi crociani, e sotto il suo controllo passavano i volumi
dell'Edizione nazionale delle opere di Croce. È stato anche uno dei principali
animatori dell'Edizione nazionale delle opere di Labriola, per la quale aveva
contribuito a definire il piano editoriale, i criteri metodologici, e il
problema del rapporto tra l'opera edita di Labriola e il fondo manoscritto
della Società napoletana di storia patria.
Adnkronos, Filosofi, E' morto Miccolis, massimo studioso di Antonio Labriolia,
Bari, Alessandro SAVORELLI, Rivista di storia della filosofia,, fasc. 2. Opere:
“ Il carteggio di Antonio Labriola conservato nel Fondo Dal Pane” «Archivio
storico per le provincie napoletane», «Con la Sua calligrafia che mi ricorda i
papiri greci...». La filologia, la guerra, la Crusca nel carteggio di Croce con
Pistelli e Teresa Lodi, a c. di S. Miccolis e A. Savorelli, in Gli archivi
della memoria, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, (rist. in Gli archivi
della memoria e il Carteggio Salvemini-Pistelli, a c. di R. Pintaudi, Firenze,
Biblioteca Medicea Lauenziana, Polistampa, Labriola, La politica italiana Corrispondenze
alle « Basler Nachrichten », S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, Labriola,
Carteggio, M., Napoli, Bibliopolis, M., Labriola, Antonio, in Dizionario
biografico degli italiani, A. Labriola, L'università e la libertà della
scienza, M., Torino, Aragno, Labriola, Bruno. Scritti editi ed inediti M. e A.
Savorelli, Napoli, Bibliopolis, S. Miccolis, Antonio Labriola. Saggi per una
biografia politica, A. Savorelli e Stefania Miccolis, Milano, UNICOPLI, S. Miccolis, Gli scritti politici di Labriola
editi da M., A. Savorelli e M., Napoli, Bibliopolis, G. Bucci, Stefano Miccolis, il ricordo a un
anno dalla morte, "Corato live", W. Gianinazzi, M. Prat, In memoriam "Mil
neuf cent", n° 28, 201. A. Savorelli, Stefano Miccolis, «Rivista di storia
della filosofia», fa A. Meschiari, Stefano Miccolis studioso di Antonio
Labriola, «Rivista di storia della filosofia». Stefano Miccolis. Miccolis. Keywords:
filosofi italiani al rogo. BRVNO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccolis” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Michelstädter – il giovane divino, l’implicatura persuasiva di Platone –
filosofia italiana – filosofia giudaea – filosofia nel ventennio fascista -- Luigi
Speranza (Gorizia). Filosofo italiano. Grice: “It’s difficult
to grasp Michelsteadter’s implicature: his study on ‘persuasion’ is brilliant –
he was a close reader of Plato, and he uses figurative language, as ‘il giovane
divino.’ My favourite is his account of the persuasive rhetoric of Cicero.” Grice:
“Michelsteadter plays with the etymology of persuasion, which is cognate with
‘suave,’ as it should – sweet talk, we should say – which I could make into a
maxim which would not be strictly ‘conversational’ unless under the category of
modus – ‘be sweet’ –But the sweetness applies in general to my framework: the
emissor aims to be sweet if he is going to try to influence the other, and will
be influenced by a sweeter co-emissor.” essential
Italian philosopher. Ultimo di quattro figli, da un'agiata famiglia. Il padre,
Alberto, dirige l'ufficio goriziano delle Assicurazioni Generali ed è
presidente del Gabinetto di Lettura goriziano. È un uomo colto, autore di
scritti letterari e di conferenze, rispettoso delle usanze tradizionali ma solo
formalmente, per rispetto borghese -- è, anzi, un laico, un tipico
rappresentante della mentalità materialistica. Il semitismo non sembra quindi
incidere molto sulla sua formazione culturale, che scoprire solo più tardi e
con non poca meraviglia di avere un antenato cabalista. Iscritto al severo
Staatsgymnasium cittadino, fa propria la rigida Bildung asburgica. Con le
traduzioni dal greco e dal latino ha i primi approcci colla filosofia. A
iniziarlo sono Schubert-Soldern, solipsista gnoseologico, secondo il quale
tutto il sapere va ricondotto alla sfera del soggetto; e l'amico Mreule che gli
fa conoscere Il mondo come volontà e rappresentazione, di cui resta traccia
soprattutto ne La Persuasione e la Rettorica. Nella soffitta di Paternolli,
oltre a Schopenhauer, legge e discute, con gli amici Nino e Rico, i tragici e i
presocratici, Platone, il Vangelo e le Upanishad; e poi ancora Petrarca,
Leopardi, Tolstoj, e l'amatissimo Ibsen. Conclusde gli studi ginnasiali e
progetta di iscriversi a giurisprudenza; in seguito abbandona l'idea e si
iscrive alla facoltà di matematica a Vienna. Ma l'anima è giàper dirla con
Leopardi nel primo giovanil tumulto verso un altrove che non riesce a
riconoscere nella ferrea logica matematica. Si iscrive al corso di Lettere
dell'Istituto di Studi Superiori Fiorentino, città in cui vivrà per quasi
quattro anni e dove conoscerà, fra gli altri, Chiavacci, futuro curatore delle
sue Opere, ed Arangio-Ruiz, noto filosofo. Continua a ritrarre, fra tratto
espressionistico e schizzo caricaturale, la varia umanità in cui s'imbatte, sia
nei mesi di studio che nei periodi di vacanza al mare e in montagna. Scrive
moltissimo, in modo quasi ossessivo, dalle lettere ai familiari (in particolare
alla sorella Paula) alle recensioni di drammi teatrali. Un evento luttuoso
segna la sua vita: la morte, per suicidio, del fratello Gino. Due anni prima si
era suicidata anche una donna da lui amata, Nadia Baraden. Mreule parte per
l'Argentina. Questa partenza è segnata da un evento significativo, una sorta di
passaggio del testimone. Si fa consegnare da Rico la pistola che porta sempre
con sé. Completati gli esami, ritorna a Gorizia e inizia la stesura della
tesi di laurea, assegnatagli da Vitelli, concernente i concetti di persuasione
e di retorica in Platone e Aristotele. La sua attività è febrile. Oltre alla
Persuasione scrive anche la maggior parte delle Poesie e alcuni dialoghi, tra
cui spicca il Dialogo della salute. Il suo isolamento diventa pressoché totale,
mangia pochissimo e dorme per terra, come un asceta. Vede solo la sorella e il
cugino Emilio. Comunica al padre che dopo la tesi non avrebbe fatto il
professore, ma che appena laureato sarebbe andato al mare, forse a Pirano o a
Grado. Dopo un diverbio con la madre, impugna la pistola lasciatagli da Mreule
e si toglie la vita. Sul frontespizio della tesi aveva disegnato una fiorentina,
una lampada ad olio, e aggiunto in greco: apesbésthen, «io mi spensi». Amici
raccolsero i suoi saggi, ora alla Biblioteca di Gorizia. Sepolto nel cimitero
ebraico di Valdirose (Rožna Dolina), oggi nel comune sloveno di Nova Gorica, a
poche centinaia di metri dal confine con l'Italia. La breve vita di Michelstaedter
scorrecome risulta dall'Epistolarioall'insegna di una volontà di vivere
continuamente illuminata dal desiderio di un altrimenti e di un altrove
metafisico che fa di lui un impulsivo, un irrequieto esploratore di linguaggi e
di mezzi espressivi, capace di spaziare dalla pittura alla poesia passando per
le ripide vette della filosofia. Nell'apologo dell'aerostato incluso ne La
Persuasione e la Rettorica, l'essenza del pensiero occidentale, la rettorica,
viene fatta risalire da Michelstaedter a un parricidio: quello di Aristotele
nei confronti di Platone. Questi, nella metafora costruita da Michelstaedter,
escogita un mechánema, una macchina volante per abbandonare il peso del mondo e
giungere all'assoluto. Maestro e discepoli riescono a librarsi negli alti spazi
del cielo, ma restano a metà strada, fra una mera contemplazione dell'essere e
del tempo e la nostalgia della terra e delle cure mondane. A riportarli sulla
terra ci pensa allora un discepolo più scaltro e intraprendente degli altri,
Aristotele, il quale, tradendo il maestro, fa scendere il mechánema restituendo
così a tutti la gioia d'aver la terra sicura sotto i piedi. Questa nostalgia
del mondo intelligibile platonico fa quindi di lui un discepolo di
Schopenhauer, più che di Nietzsche. La costituzione della metafisica è
per lui una storia di rettorici tradimenti, la vicenda di una verità dai grandi
persuasi tanto proclamata agli uomini quanto da questi disattesa e inascoltata.
Quanto io dico è stato detto tante volte e con tale forza che pare impossibile
che il mondo abbia ancor continuato ogni volta dopo che erano suonate quelle
parole. Lo dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li
trattò da naturalisti inesperti; lo disse Socrate, ma ci fabbricarono su 4
sistemi... lo disse Cristo, e ci fabbricarono su la Chiesa. La persuasione è la
visione propria di chi ha compreso la tragicità della finitezza e ad essa vuol
tener fermo, senza ricorrere a quegli «empiastri»i kallopísmata órphnes, gli
«ornamenti dell'oscurità»che possano lenire il dolore scatenato da tale
consapevolezza. L'essere è finitezza che si rivela solo nella dimensione
tragica di una presenza abbacinante, ma gli uomini rigettano questa tragica
consapevolezza ottundendosi, pascalianamente, nel divertissement. Persuaso è
chi ha la vita in sé, chi non la cerca alienandosi nelle cose o nei luoghi
comuni della società perdendo l'irrinunciabile hic et nunc del proprio esserci,
ma riesce «a consistere nell'ultimo presente», abbandonando quelle illusioni di
sicurezza e di conforto che avviluppano chi vive abbagliato dalle illusioni
create dal potere, dalla cultura, dalle dottrine filosofiche, politiche,
sociali, religiose. È questa «la via preparata» dalla quale a tutti fa comodo
non discostarsi troppo; è questo restare perennemente attaccati alla vitala
philopsychìaa far sì che la "rettorica" trionfi sempre. La vita,
soffocata dalla ricerca dei piaceri, della potenza, finanche dalla presunzione
filosofica di possedere la via e quindi la vita stessa, non vive, perché in
ogni istante ciascuno rimane avvolto dalle cure per ciò che non è ancora o dal
rimpianto per ciò che non è più, mancando sempre l'attimo decisivo, quello che
i greci chiamavano kairós, il tempo propizio. Perciò nella vita facciamo
esperienza della morte, di quella «morte nella vita» cantataquasi una danse
macabrenel Canto delle crisalidi: «Noi col filo / col filo della vita / nostra
sorte / filammo a questa morte». Il pensiero di Michelstaedter procede di
conseguenza, per liberare il potenziale di tragicità dell'esistenza, attraverso
violente contrapposizioni concettuali (persuasione-rettorica, vita-morte,
piacere-dolore), senza alcun tentativo di mediazione dialettica. Michelstaedter
respinge, con un gesto iniziatico, l'idea di costruire una dottrina sistematica
della persuasione e della salute, in quanto «la via della persuasione non è
corsa da 'omnibus', non ha segni, indicazioni che si possano comunicare,
studiare, ripetere. Ma ognuno ha in sé il bisogno di trovarla e nel proprio
dolore l'indice, ognuno deve nuovamente aprirsi da sé la via, poiché ognuno è
solo e non può sperar aiuto che da sé: la via della persuasione non ha che
questa indicazione: non adattarti alla sufficienza di ciò che t'è dato». La
salvezza individuale è possibile solo in una singolarità irripetibile,
irriducibile, concentrata in sé. Il solipsismo di Michelstaedter è perciò
radicale: non ci sono vie, non ci sono cammini, c'è solo il viandante che nel
deserto dell'esistenza è «il primo e l'ultimo», crocefisso al legno della propria
sufficienza e schiacciato dalla croce di falsi bisogni. Poiché il mondo è
negatività assoluta, al pensiero non resta che negare questa stessa negatività
rifiutando i dati dell'immanenza: «Solo quando non chiederai più la conoscenza
conoscerai, poiché il tuo chiedere ottenebra la tua vita». Si tratta di una
sentenza di sapore quasi buddistico: non a caso Mreule enfatizzerà la figura
dell'amico descrivendolo come «il Buddha dell'occidente». Produzione
artistica La produzione poetica e quella pittorica di Michelstaedter possono
essere considerate un prolungamento e un completamento di questo sentimento
tragico e mistico. Come nel verso poetico egli tenta di esprimere
l'inesprimibile, di dire con parole ciò che sfugge al sistema di segni
codificato e perciò già da sempre istituito retoricamente, così nel segno
pittorico, nello schizzo rapido e scherzoso come nel ritratto composto e
meditato, traluce l'impossibilità di giungere a quella che Parmenide chiamava
la ben rotonda verità. Non siamo giocati solo dalle parole, ma anche dalle
immagini di una realtà fatta di colori e di forme che ci sfuggono nella loro
immediatezza e alterità, «come chi vuol veder sul muro l'ombra del proprio
profilo, in ciò appunto la distrugge». Anche l'arte e la poesia, come la retorica
filosofica, si rivelano infine per quello che sono: fragili orpelli di cui si
orna l'oscurità dell'essere e che ogni linguaggio escogitato dall'uomo sarà
sempre impotente a esprimere. Saggi: “Saggi” (G. Chiavacci, Sansoni,
Firenze); “Scritti scolastici, S. Campailla, Gorizia, Opera grafica e
pittorica, S. Campailla, Gorizia, Il dialogo della salute e altri dialoghi, S. Campailla,
Adelphi, Milano Poesie, S. Campailla, Adelphi, Milano, La Persuasione e la
Rettorica, Vladimiro Arangio-Ruiz, Formiggini, Genova, edizione critica S. Campailla,
Adelphi, Milano poi, con le Appendici critiche, ivi,). Epistolario, S. Campailla,
Adelphi, Milano nuova edizione riveduta e ampliata, ivi, Parmenide ed Eraclito. Empedocle, SE, Milano,
L'anima ignuda nell'isola dei beati. Scritti su Platone, D. Micheletti,
Diabasis, Reggio Emilia, Dialogo della
salute. E altri scritti sul senso dell'esistenza, a cura e con un
saggio introduttivo di G. Brianese, Mimesis, Milano, La melodia del
giovane divino, S. Campailla, Adelphi,
Milano La persuasione e la rettorica,
edizione critica, A. Comincini, Joker. Michelstaedter-Winteler, Appunti per una
biografia di Michelstaedter
Michelstaedter si riferisce, nell'Epistolario, al bonno Isacco Samuele
Reggio, confondendolo con il padre di questo, Abram Vita Reggio S.Campailla, Il segreto di Nadia B.,
Marsilio,. Da articoli di cronaca americani dell'epoca, si apprende che il
suicidio avvenne con un colpo di pistola alla tempia destra. La persuasione e la rettorica35 La persuasione e la rettorica Poesie La persuasione e la rettorica C.
Magris, Un altro mare Il dialogo della salute, Biografie e studi critici
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nº2, Parigi Valerio Cappozzo, Il percorso universitario di dall'archivio dell'Istituto di Studi
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provincia» P. Pieri, "Il rischio dell'autoinganno (Una errata attribuzione
di incisione a Carlo Michelstaedter)", in «Metodi e ricerche» Piero
Pieri,"La scienza del tragico. Saggio su M.", Bologna, Cappelli, Pieri,
"Nello sguardo della trascendenza. Intorno alla figura dell'ermafrodita e
del satiro nella Persuasione", in «Intersezioni», a. X, n. 1, P. Pieri,
"Due diverse ma non opposte interpretazioni de «La persuasione e la
retorica» di M.", in Studi sulla modernità, F. Curi, Bologna, Clueb, Pieri,
"Per una dialettica storica del silenzio. La “vergogna” del filosofo e
l'autoinganno dello scrittore", in
Eredità di M., Forum, Udine, P. Pieri, "La differenza ebraica:
grecità, tradizione e ripetizione in Michelstaedter e altri ebrei della
modernità", nuova edizione, Pendragon, Bologna, P. Pieri,
"Michelstaedter nel '900. Forme del tragico contemporaneo",
Transeuropa, collana «Pronto intervento», Massa,. Antonio Piromalli, Michelstaedter,
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retorica, le ragioni del suicidio, Atheneum, Firenze); G. Pulina, L'imperfetto
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"L'incompiuta imperfezione. Note sul pessimismo di M.", in «Storia,
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"Capitini e M.: un dialogo sulla persuasione", «Satyāgraha», N
Gabriella Putignano, L'esistenza al bivio. La persuasione e la rettorica di
Carlo Michelstaedter, Stamen, Roma. M. Raschini, Michelstaedter, Marsilio,
Venezia); M. Raschini, Michelstaedter. La disperata devozione, Cappelli,
Bologna Gaetano Chiavacci, Il pensiero di Carlo Michelstaedter, articolo sul
«Giornale critico della filosofia italiana», Antonio Russo, Gaetano Chiavacci
interprete di M., in Carlo
Michelstaedter un secolo dopo, Marsilio, L. Sanò, Le ragioni del nulla. Il
pensiero tragico nella filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Città
aperta, Troina, Laura Sanò, Leggere La persuasione e la rettorica di Carlo
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Michelstaedter, Milella, Lecce); G. Sessa, “Oltre la persuasion, Settimo Sigillo,
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Storace, AlboVersorio Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Catalogo Vegetti della letteratura fantastica,
Fantascienza. Carlo Raimondo Michelstaedter. Carlo Michelstaedter.
Michelstaedter. Keywords: l’implicatura di Platone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Michelstaedter: retorica
e persuasione," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Michelstaedter” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mieli – l’uccello del paradiso; overo, la lingua perduta del desiderio – la
Paradisaeidae di Swinton -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: “Speranza
has studied this; he calls it ‘Dorothea Oxoniensis,’ and indeed it is a joint
endeavour with C. R. Stevenson – who *knows*!” -- «Spero che la lettura di
questo libro favorisca la liberazione del desiderio gay presso coloro che lo
reprimono e aiuti quegli omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del
sentimento di colpevolezza indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi
della falsa colpa» (Elementi di critica omosessuale. M Attivista e
scrittore italiano, teorico degli studi di genere. È considerato uno dei
fondatori del movimento omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici
del pensiero nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo
rivoluzionario, è noto soprattutto come eponimo del Circolo di cultura
omosessuale Mario Mieli e per il suo saggio Elementi di critica omosessuale
pubblicato nella sua prima edizione da Einaudi nel 1977. Mario Mieli
nacque a Milano nel 1952, penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di
Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, viveva a
Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di
filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella
lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.
Sposati dal 1936, durante la seconda guerra mondiale i coniugi Mieli erano
sfollati a Lora, frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur
mantenendo forti legami con Milano dove il padre continuava a lavorare e a
risiedere. Il giovane Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo
lombardo quando si iscrisse al liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due
anni dopo dalla sorella minore Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in
questi anni diede dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la
propria omosessualità. Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De
Angelis, nfondò un circolo di poesia che divenne anche un luogo di incontro per
omosessuali. Fu pienamente coinvolto nella contestazione ed evocò questo periodo
nel suo romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni. A causa della
sua miopia fu esonerato dal servizio militare alla fine del liceo, si trasferì
a Londra per perfezionare l'inglese, come già avevano fatto altri suoi
familiari. Qui frequentò il "Gay Liberation Front" venendo a contatto
con l'attivismo omosessuale nella sua fase più intensa, subito dopo i moti di
Stonewall. Tornato in Italia, fu, insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci
fondatori del celebre Fuori! a Torino, prima associazione italiana del
movimento di liberazione omosessuale italiano. Convinto assertore di una
rivoluzione gay in chiave marxista, nel 1974 si allontanò dal Fuori! insieme a
tutta la cellula milanese dell'associazione quando questa si legò al Partito
Radicale. Nello stesso anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali
Milanesi e nel 1976 i Collettivi parteciparono al Festival del proletariato
giovanile di Parco Lambro, dove Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura,
Contronatura!. Si laureò in filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con
modifiche, da Einaudi con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che
divenne un fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore,
all'estero, venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality
and liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo
Elementos de crítica homosexual dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei
testi base dei collettivi autonomi gay. Mieli fu uno dei primi a
contestare apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti
femminili. Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella
mentalità dell'epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero:
Vaffanculo... ebbene sì! Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si
presentava, utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la propria
battaglia dei diritti individuali inalienabili. Nel corso della sua esistenza,
cercò di superare i limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche sempre più
estreme, inclusa la coprofagia. Durante un viaggio a Londra, Mieli,
vicino già all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di psicoanalisi; ifu
nuovamente arrestato, quando, semi-nudo e in preda a una crisi psichica, fu
fermato nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un poliziotto con cui avere un
rapporto sessuale. Prima venne incarcerato, poi messo nella sezione
psichiatrica del Marlborough Day hospital, assistito dai familiari venuti
dall'Italia in attesa del processo. Venne ricondotto a Milano, dopo la
condanna a pagare una multa, e ricoverato in una clinica psichiatrica per un
mese. Una volta dimesso, su consiglio del suo psicoanalista G. Zapparoli, i
genitori gli diedero un appartamento autonomo. L'anno seguente viaggiò ad
Amsterdam e di nuovo a Londra e si laureò con lode in filosofia. Poco dopo
lasciò l'appartamento che gli avevano trovato e interruppe la terapia
psichiatrica. Al V congresso del Fuori!, che sancì la sua rottura col
movimento e con A. Pezzana, Mieli prese la parola, si dichiarò transessuale e
parlò della sua esperienza di malattia mentale («sono stato definito uno
schizofrenico paranoide, sono stato in ospedale, in manicomio per questo
motivo») e di omosessualità. Dopo questo periodo si dedicò alla stesura degli
Elementi di critica omosessuale. Negli ultimi anni di vita si dedicò
all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza isolato dal resto del movimento
omosessuale, e lavorando al romanzo Il risveglio dei faraoni. Morì suicida
infilando la testa nel forno della sua abitazione di Milano dopo un lungo
periodo di depressione. Tra i motivi del suo gesto estremo fu l'ostruzionismo
che il padre, influente industriale milanese, aveva fatto per impedire la
pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio dei faraoni, ritenendolo
troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare. A lui è intitolato il
Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli sorto a Roma nello stesso anno della
morte. Il pensiero Il transessualismo universale Il pensiero di Mario
Mieli consiste nel ritenere che ogni persona è potenzialmente transessuale se
non fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un certo tipo di società che,
attraverso quella che Mieli chiamava "educastrazione", costringe a
considerare l'eterosessualità come normalità e tutto il resto come perversione.
Per transessualità, non intende quello che si intende oggi nella comune
accezione del termine, ma l'innata tendenza polimorfa e "perversa"
dell'uomo, caratterizzata da una pluralità delle tendenze dell'Eros e da
l'ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo. La liberazione
omosessuale in chiave marxista fu tra i primi studiosi ed attivisti del
Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano, accanto a Castellano,Consoli,
Modugno e Pezzana. Tutti partivano dalla
certezza che la liberazione dall'ancestrale omofobia dovesse fondarsi sulla
consapevolezza della propria identità, censurata fin dalla nascita dalla
cultura dominante, da loro ritenuta antropologicamente sessuofoba e
pervicacemente omofoba. Da queste basi partivano per abbattere la
discriminazione pluri-secolare nei confronti di chi non si identificava nella
sessualità assiomaticamente definita come naturale e normale. Abbracciò
immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta
di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la società capitalista
intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi Negli Elementi di
critica omosessuale, volle rielaborare alcuni degli spunti teorici della teoria
della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra gli anni Cinquanta e
Sessanta, ne aveva fatto Marcuse.
Marcuse, infatti, in opere come “Eros e civiltà e L'uomo a una dimensione aveva
voluto fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud, infatti, a sostenere
che l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi "direzione",
riconducendo eterosessualità e "omosessualità a semplici varianti della
sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe l'altra, e anzi, in
potenza, tutti saremmo pluri-sessuali, "polimorfi" o, più
semplicemente, bi-sessuali. In base a questa riflessione, riteneva che si
dovesse denunciare come assurda e inconsistente l'opposizione ideologica
"eterosessuale" vs "omosessuale", essendo viziato il
principio stesso di "mono-sessualità". A questa prospettiva
unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura ambivalente e dinamica
della dimensione sessuale, Mieli ha preferito opporre un principio di eros
libero, molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente ridicola «la
stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da maschio o
da "donna.” Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra,
tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in
faccia». Tim Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse l'appendice
dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale, afferma: «Nel
processo politico di ristrutturazione della società, Mieli non esita a
includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e
la coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come
riscoperta dei corpi. In questa comunicazione alla Bataille di forme materiali,
la corporeità umana entra liberamente in relazioni egualitarie multiple con
tutti gli esseri della terra, inclusi "i bambini e i nuovi arrivati di
ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose" annullando
"democraticamente" ogni differenza non solo tra gli esseri umani ma
anche tra le specie». A questa rivoluzione sociale sono di ostacolo
determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa canaglia
reazionaria» che, trasmessi con l'educazione, hanno la colpa di «trasformare
troppo precocemente il bambino in adulto eterosessuale». Il tema della
pedofilia Da provocatore dei "benpensanti", quale è stato tutta la
breve vita, facendo esplicitamente riferimento a Freud, Mieli affrontò a modo
suo anche il tema della sessualità infantile, per questo andando incontro a
forti critiche. I bambini, secondo il pensiero di Mieli, potevano
"liberarsi" dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della
loro "perversità poliforme" grazie ad adulti consapevoli di quanto
sopra asserito: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non
tanto l'Edipo, o il futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero.
Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo
alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la
sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro. Per
questo la pederastia è tanto duramente condannata. Essa rivolge messaggi
amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza,
educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società
repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il
periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una
«vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata
verso il feto» (Francesco Ascoli)» (Elementi di critica omosessuale).
Nella nota 88 si legge: «Per pederastia intendo il desiderio erotico
degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra
adulti e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono comunemente
usati come sinonimi» (Elementi di critica omosessuale). Il tema
dell'alterazione psichica, della follia Mieli faceva uso di sostanze
stupefacenti, attraverso le quali mirava a superare lo stato di normalità in
cui riteneva le persone intrappolate. Riteneva che nevrosi, follia, paranoia,
delirio e, soprattutto, la schizofrenia, al pari dell'omosessualità fossero
caratteristiche latenti in tutti gli esseri umani e, con riferimento a Jung,
che tali condizioni permettessero «la (ri)scoperta di quella parte di noi che
Jung definirebbe “Anima” oppure “Animus”». In riferimento all'omosessualità,
considerava che potesse essere una porta verso il lato inesplorato della
personalità, in analogia con la follia: “La paura dell’omosessualità che
distingue l’homo normalis è anche terrore della “follia” (terrore di se stesso,
del proprio profondo). Così, la liberazione omosessuale si pone davvero come
ponte verso una dimensione decisamente altra: i francesi, che chiamano folles
le checche, non esagerano». Opere: “Comune futura,” “Elementi di critica
omosessuale, Einaudi, Torino, Elementi di critica omosessuale, Barilli e M.,
Feltrinelli, Milano, Elementi di critica
omosessuale, G. Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, “Il risveglio dei
faraoni,” preservato da Marc de' Pasquali e Umberto Pasti, Cooperativa Colibri,
Milano, “Il risveglio dei faraoni,” Alfonso Sarrio Solidago, dR, Milano, “Oro, eros e armonia,” G. Silvestri e A.Veneziani,
Edizioni Croce, Oro, eros e armonia, Gianpaolo Silvestri e Antonio Veneziani,
Edizioni Croce, “E adesso,” S. Laude,
Clichy, Teatro La Traviata Norma.
Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì!, Film “Gli anni amari, regia di A. Adriatico..
T. Giartosio, Perché non possiamo non
dirci: letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli, G. Barilli, Il movimento gay in Italia,
Feltrinelli, L. Schettini, M. in Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ideologia. Progetto omosessuale
rivoluzionario, in Elementi di critica omosessuale, Dizionario Biografico degli
Italiani, in Treccani, Trascrizione del suo intervento in congresso nazionale
del “Fuori!”, in Fuori! rancobuffoni/files/pdf/gp_leonardi_mieli.pdf Mieli, artista contro la violenza, in La
Stampa, Elementi di critica omosessuale,
Einaudi, M. Elementi di critica omosessuale. Milano, Einaudi, Estremo e
dimenticato. Storia di un intellettuale provocatore., in Treccani Il tascabile,
Mieli, Mario., Mieli, Paola. e Rossi Barilli, Gianni., Elementi di critica
omosessuale Il risveglio dei Faraoni, in A. Solidago, PRIDE, Milano, dR
Edizioni, Silvestri, L'ultimo M.: Oro Eros Armonia: contributi di Ivan Cattaneo
e A. Veneziani, 2 ed. riveduta e corretta, Libreria Croce, De Laude, Silvia,,
Mario Mieli: e adesso, A. Pezzana. La
politica del corpo. Roma, Savelli, E. Modugno. La mistificazione eterosessuale.
Milano, Kaos. S. Casi. L'omosessualità e il suo doppio: il teatro di Mario
Mieli. Rivista di sessuologia (numero speciale L'omosessualità fra identità e
desiderio,Francesco Gnerre. L'eroe negato. Milano, Baldini e Castoldi, M. Philopat,
Lumi di punk: la scena italiana raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia,
Concetta D'Angeli, Teatro Talento Tenacia... Mario
Mi"Atti&Sipari" Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli Fuori!
Marc de' Pasquali Movimento di liberazione omosessuale Omosessualità Queer Storia
dell'omosessualità in Italia Studi di genere Teoria queer Transessualismo Altri
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era Mario Mieli (articolo sul gay.tv),
su gay.tv Circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli", su
mariomieli.org. Mario Mieli. Mieli. Keywords: l’uccello del paradiso; overo, la
lingua perduta del desiderio. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Mieli” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Miglio – implicatura ligure
– la LIGVRIA e la PADANIA -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo italiano. Grice: “Berlin, who thought was a
philosopher, ended up lecturing on the history of ideas, i..e. ideology –
Miglio defines ideology so simply that would put Berlin to shame: an ideology
is what politicians propagate to reach or buy consensus!” -- essential Italian philosopher. Sostenitore
della trasformazione dello Stato italiano in senso federale o, addirittura,
confederale, fra gli anni ottanta e i novanta è considerato l'ideologo
della Lega Lombarda, in rappresentanza della quale fu anche senatore, prima di
"rompere" con Umberto Bossi dando vita alla breve stagione del
Partito Federalista. Polo scolastico "Gianfranco Miglio"
ad Adro. Costituzionalista e scienziato della politica, fu senatore della
Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura. Ha insegnato presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ove fu preside della Facoltà
di Scienze politiche dal 1959 al 1989. È stato allievo di Alessandro Passerin
d'Entrèves e Giorgio Balladore Pallieri, sotto la cui docenza si è formato sui
classici del pensiero giuridico e politologico. Colpito da ictusnon si
riprese e morì ottantatreenne nella sua stessa città natale, Como, circa un
anno dopo. Il funerale si tenne a Domaso, sul Lago di Como, comune d'origine
del padre e sede di una villa nella quale il professore si rifugiava spesso; in
seguito Miglio è stato tumulato nel locale cimitero, a fianco dei membri della
sua famiglia. Laureatosi in Giurisprudenza all'Università Cattolica
con la tesi, “Origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali
pubbliche nell'età moderna”, evitò l'arruolamento per la Seconda guerra
mondiale a causa di un difetto uditivo congenito, e poté divenire assistente
volontario alla cattedra di Storia delle dottrine politiche, che d'Entreves
tenne sino alla fine degli anni quaranta nella medesima università.
Libero docente, si dedicò negli anni cinquanta allo studio delle opere di
storici e giuristi, soprattutto tedeschi: dai quattro volumi del Deutsche
Genossenschaftsrecht di Otto Von Gierke, ai saggi di storia amministrativa di
Otto Hintze, alcuni dei quali, negli anni seguenti, vennero tradotti in
italiano dal suo allievo e ferrato germanista Schiera (O. Hintze, Stato e società,
Zanichelli). Fu di quegli anni l'incontro di Miglio con l'immensa
produzione scientifica di Weber: il professore comasco fu uno dei primi ad aver
studiato a fondo “Economia e Società”, l'opera più importante del sociologo
tedesco che era stata completamente trascurata in Italia. Sviluppo del
lavoro scientifico Miglio storico dell'amministrazione Alla fine degli anni
cinquanta, Miglio fondò con il giurista Feliciano Benvenuti l'ISAP Milano
(Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica), ente pubblico
partecipato da Comune e Provincia di Milano, di cui ricopri per alcuni anni la
carica di vicedirettore. In un saggio memorabile intitolato Le origini della
scienza dell'amministrazione, il professore comasco descriveva con elegante
chiarezza le radici storiche della disciplina. L'interesse per il campo
dell'amministrazione era dovuto in quegli anni alle politiche pianificatrici
che gli stati andavano conducendo per l'incremento della crescita
economica. La Fondazione italiana per la storia amministrativa Ben presto
Miglio sentì tuttavia l'esigenza di studiare in modo più sistematico la storia
dei poteri pubblici europei e, negli anni sessanta, costituì la Fondazione
italiana per la storia amministrativa: un istituto le cui ricerche vennero
condotte con rigoroso metodo scientifico. A tal proposito, il professore aveva
appositamente preparato per i collaboratori della fondazione uno schema di
istruzioni divenuto famoso per chiarezza e organicità. In realtà, fondando la
F.I.S.A. Miglio si era posto l'ambizioso obiettivo di scrivere una storia
costituzionale che prendesse in esame le amministrazioni pubbliche
esistite in luoghi e tempi diversi: in tal modo egli sarebbe riuscito a tracciare
una vera e propria tipologia delle istituzioni dal medioevo all'età
contemporanea, al cui interno sarebbero stati indicati i tratti distintivi o,
viceversa, gli elementi comuni di ogni potere pubblico. Ma v'era un'altra
ragione che aveva indotto Miglio a studiare i poteri pubblici in un'ottica,
come scriveva lui stesso, analogico-comparativa. Servendosi di un metodo
scientifico che Hintze aveva parzialmente seguito nella prima metà del
Novecento, il professore comasco intendeva definire l'evoluzione storica dello
stato moderno, storicizzando in tal modo le stesse istituzioni contemporanee.
La fondazione pubblicava tre collezioni: gli Acta italica, l'Archivio (diviso
in due collane: la prima riguardante ricerche e opere strumentali, la seconda
dedicata alle opere dei maggiori storici dell'amministrazione) e gli Annali.
Tra i più autorevoli lavori storici pubblicati nell'Archivio, si ricordano il
volume sui comuni italiani di Goetz e il famoso saggio di Vaccari sulla
territorialità del contado medievale. Nella prima serie alcuni giovani studiosi
poterono invece pubblicare le loro ricerche di storia delle istituzioni:
Gabriella Rossetti, allieva dello storico Cinzio Violante, vi diede alle stampe
un approfondito studio sulla società e sulle istituzioni nella Cologno Monzese
dell'Alto Medioevo; Adriana Petracchi pubblicò la prima parte di
un'interessante ricerca sullo sviluppo storico dell'istituto dell'intendente
nella Francia dell'ancien régime; occorre inoltre ricordare il poderoso volume
di Pierangelo Schiera sul cameralismo tedesco e sull'assolutismo nei maggiori
stati germanici. Su tutt'altro piano si poneva invece la collezione della
F.I.S.A. denominata Acta italica: al suo interno dovevano essere pubblicati i
documenti relativi all'amministrazione pubblica degli stati italiani
preunitari: è probabile che l'ispirazione per quest'ultima serie fosse
venuta a Miglio dallo studio delle opere di Hintze: verso la fine del XIX
secolo, lo storico tedesco aveva infatti scritto alcuni saggi
sull'amministrazione prussiana pubblicandoli negli Acta borussica,
un'autorevole collana che raccoglieva le fonti storiche dello stato degli
Hohenzollern. L'edizione dei lavori della commissione Giulini Tra i
volumi degli Acta italica, occorre ricordare l'edizione dei lavori della
Commissione Giulini curata da Nicola Raponi nel 1962, uno studio cui Miglio
tenne molto e di cui si servì, molti anni dopo, per la stesura del celebre
saggio su “Vocazione e destino dei lombardi” (in La Lombardia moderna, Electa, ripubblicato in
Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori). La commissionei cui lavori avevano
avuto luogo a Torino sotto la presidenza del nobile milanese Cesare Giulini
della Portaaveva il compito di elaborare progetti di legge che sarebbero
entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo alla
guerra. Cavour, che in quegli anni ricopriva la carica di primo ministro,
voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte
di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle
due regioni, lasciando che in Lombardia continuassero a sussistere una parte
delle istituzioni austriache esistenti. Il saggio Le contraddizioni dello
stato unitario Nel saggio magistrale Le contraddizioni dello stato unitario scritto
in occasione del convegno per il centenario delle leggi di unificazione, Miglio
prese in esame gli effetti devastanti che l'accentramento amministrativo aveva
provocato nel sistema politico italiano. La classe politica italiana non fu
capace di elaborare un ordinamento amministrativo che consentisse allo stato di
governare adeguatamente un territorio esteso dalle Alpi alla Sicilia.
Ricorrendo a una felice similitudine, il professore scrisse che la scelta di
estendere le norme piemontesi a tutta Italia fu come "far indossare a un
gigante il vestito di un nano". Secondo Miglio, i nostri "padri della
patria", spaventati dalle annessioni a cascata e dalle circostanze
fortunose in cui era avvenuta l'unificazione, preferirono conservare ottusamente
gli istituti piemontesi, costringendo la stragrande maggioranza degli italiani
ad essere governati da istituzioni che, oltre ad essere percepite come
"straniere", si rivelarono palesemente inefficienti. Nel
saggio, Miglio aveva però messo in luce un altro dato fondamentale; il
professore scrisse che il paese, quantunque fosse stato formalmente unito dalle
norme piemontesi, continuò nei fatti a restare diviso ancora per molti anni: le
leggi, che il Parlamento emanava dalle Alpi alla Sicilia, venivano infatti interpretate
in cento modi diversi nelle regioni storiche in cui il Paese continuava,
nonostante tutto, ad essere naturalmente articolato. Era il federalismo che,
negato alla radice dalla classe politica liberal-nazionale in nome dell'unità,
si prendeva ora la rivincita traducendosi in forme evidenti di
"criptofederalismo".[senza fonte] Sono inoltre fondamentali,
nella sua formazione i saggi di Brunner. Di Brunner fa tradurre svariati saggi,
“Per una nuova storia costituzionale e sociale” (Vita e Pensiero), ma promosse
anche la pubblicazione dell'opera monumentale Land und Herrschaft: in questo
lavorouscito per la prima volta Brunner aveva preso in esame la costituzione
materiale degli ordinamenti medievali, ponendo in evidenza i numerosi elementi
di diversità tra la civiltà dell'età di mezzo e quella moderna, soprattutto nel
modo di concepire il diritto. La traduzione di Land und Herrschaft,
affidata inizialmente alle cure di Emilio Bussi, sarebbe dovuta comparire
nell'elegante collana della F.I.S.A. già negli anni sessanta. Interrotto negli
anni seguenti, il lavoro venne invece portato a compimento solo nei primi anni
ottanta dagli allievi Pierangelo Schiera e Giuliana Nobili. Pubblicato da
Giuffré con il titolo di "Terra e potere", il capolavoro di Brunner
apparve negli Arcana imperii, la collana di scienza della politica di cui
Miglio era divenuto direttore nei primi anni Ottanta. Il professore comasco si
occupò inoltre dei contributi recati alla scienza dell'amministrazione da parte
di altri due storici e giuristi tedeschi: Lorenz Von Stein e Rudolf
Gneist. La chiusura della FISA Negli anni Settanta la F.I.S.A. dovette
chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il professor Miglio, ricordando
a distanza di tempo la fine di quell'autorevole collana di storia delle istituzioni,
ne espose le ragioni con un breve commento: "Malgrado la sua efficienza,
la F.I.S.A. ebbe vita breve: gli enti che provvedevano al suo finanziamento,
non scorgendo l'utilità "politica" immediata della sua attività,
strinsero i cordoni della borsa". Miglio scienziato della politica e
costituzionalista Negli anni ottanta, il degenerarsi del clima politico in
Italia indusse il professor Miglio ad occuparsi di riforme istituzionali; egli
intendeva contribuire in tal modo alla modernizzazione del paese. Fu così che, raggruppando
un gruppo di esperti di diritto costituzionale e amministrativo stese un
organico progetto di riforma limitato alla seconda parte della costituzione. Ne
uscirono due volumi che, pubblicati nella collana Arcana imperii, vennero
completamente trascurati dalla classe politica democristiana e socialista. Tra
le proposte più interessanti avanzate dal "Gruppo di Milano"così
venne definito il pool di professori coordinati da Migliov'era il rafforzamento
del governo guidato da un primo ministro dotato di maggiori poteri, la fine del
bicameralismo perfetto con l'istituzione di un senato delle regioni sul modello
del Bundesrat tedesco, ed infine l'elezione diretta del primo ministro da
tenersi contemporaneamente a quella per la camera dei deputati. Secondo
il gruppo di Milano, queste e numerose altre riforme avrebbero garantito
all'Italia una maggiore stabilità politica, cancellando lo strapotere dei
partiti e salvaguardando la separazione dei poteri propria di uno stato di
diritto. Diversamente dalla F.I.S.A., la collana Arcana imperii era incentrata
esclusivamente sullo studio scientifico dei comportamenti politici. Il citato
volume di Brunner costituì pertanto un'eccezione perché, come si è avuto
modo di accennare, esso doveva essere pubblicato negli eleganti volumi della
F.I.S.A. già negli anni sessanta. All'interno della collana Arcana imperii
vennero invece inseriti saggi e contributi di psicologia politica, di etologia,
di teoria politica, di economia, di sociologia e di storia. Intende
costituire un vero e proprio laboratorio dove lo scienziato della politica,
servendosi dei risultati portati alla disciplina dalle diverse scienze
sperimentali, e in grado di conseguire una formazione che si ponesse all'avanguardia.
Vi vennero pubblicati più di trenta saggi. Si ricordano, tra gli altri: il
saggio di L. Ornaghi sulla dottrina della corporazione nel ventennio fascista,
l'edizione degli scritti schmittiani su Hobbes, la pubblicazione interrotta di alcune
opere di Stein, il trattato di diritto costituzionale di Smend. Degni di nota
anche i saggi di Mises e Hayek. I saggi di squisita fattura, non poterono
tuttavia eguagliare l'elegante veste tipografica di quelli pubblicati dalla
F.I.S.A., ed un identico destino parve accomunare le due collane: anche in
questo caso, e infatti costretto a sospendere le pubblicazioni. Alla sua
formazione contribuirono i saggi di Stein e Schmitt sulle categorie del
politico. In ogni comunità sono presenti due realtà irriducibili: lo “stato” e
la “società”. La società è il terreno della libera iniziativa, ove gli uomini
forti vincono sui deboli e tentano di stabilizzare le loro posizioni attraverso
l'ordinamento giuridico. Lo stato è invece il luogo ove regna il principio di
uguaglianza. Lo stato italiano o non può che identificarsi con la monarchia. Il
re d’Italia è infatti l'unica autorità in grado di intervenire a sostegno dei
più deboli. Un monarca, attraverso il potere di ordinanza, e in grado di
modificare la costituzioni giuridiche cetuali all'interno del suo territorio,
una politica che il re d’Italia puo condurre in porto non senza grosse
difficoltà, a vantaggio del BENE COMUNE. Questo e accaduto nel granducato di
Toscana e in Lombardia. Quando si sostene che il ruolo dello stato italiano
dove “contro-bilanciare” quello della “società”, si ha in mente il riformismo
illuminato. Ma la sua filosofia si pone all'interno di uno “stato liberale” e
parte dal presupposto che la monarchia, lungi dall'essere un potere assoluto,
dove comunque fare i conti con il potere della “società” attestato nel
parlamento. La omunità prospera solo quando “stato” e “società” sono in
equilibrio, ugualmente vitali ed operanti. Una comunità e dominata da due
realtà irriducibili. Lo stato italiano è una realtà storica inserita nel tempo
e, come tutte le creature e specie viventi, destinata a decadere, a scomparire
ed essere sostituita da altre forme di aggregazione politica. La società non e
solo economico-giuridica. E senza dubbio decisivo l'incontro con Schmitt, i cui
saggi sono trascurate dagli intellettuali italiani. L'aiuto che Schmitt presta
al regime hitleriano, in particolare nel sostenere la legalità delle leggi
razziali in un sistema di diritto internazionale, sono più che sufficienti per
oscurare in Italia la sua imponente produzione. I rapporti di Schmitt con il
nazismo sono di breve durata. Prende definitivamente le distanze da Hitler. Di
Schmitt apprezza i saggi di scienza politica e di diritto internazionale. Cura
assieme a Schiera l'edizione italiana di alcuni saggi pubblicati dal Mulino con
il titolo “Le categorie del politico”. Nella prefazione, si sofferma sui
decisivi contributi portati da Schmitt alla scienza politologica.
L'antologia desta scalpore nel mondo accademico. Bobbio sostenne che
destabilizza la sinistra italiana". È dall'incontro con la produzione di
Schmitt che riusce quindi a fabbricarsi gli strumenti per costruire una parte
importante del suo modello sociologico. L’essenza del politico è fondata sul conflitto
tra amico e nemico. E uno scontro all'ultimo sangue perché la guerra politica
porta normalmente all'eliminazione fisica dell'avversario. L’esempio più
emblematico di scontro politico fosse la guerra civile nella storia dell aroma
antica -- tra fazioni partigiane. Qui il tasso di conflittualità tra amico
(Catone) e nemico (Giulio Cesare) è sempre stato altissimo. Chi ha lo stesso
amico non può che avere lo stessi nemico del proprio compagno di lotta. Si crea
la solidarietà tra due membri (un gruppo) che è decisivo nella guerra
contro l’altro gruppo di nemici. Il rapporto politico è sempre esclusivo. Marca
l'identità del gruppo in opposizione a quella degli altri. L’avvento dello
stato italiano portato a due risultati di eccezionale portata storica. Primo:
la fine della guerre civile all'interno del territorio (le faide e le guerre confessionali)
con l'annientamento del ruolo politico detenuto sino a quel momento dalle
fazioni in lotta (dai partiti confessionali ai ceti). Da quel momento il
sovrano e il supremo garante dell'ordine all'interno dello stato, territorio
sempre più esteso ch'esso governa servendosi di un apparato amministrativo
regolato dal diritto. Il secondo grande risultato e per certi versi una
conseguenza del primo: l'avvento dello stato porta all'erezione di un sistema
di diritto pubblico europeo (ius publicum europeum) assolutamente vincolante
per i paesi che vi aderirono. Anche in questo caso, il tasso di politicità
(cioè l'aggressività delle parti in lotta, gli stati) venne fortemente
limitato. La guerra legittima, intraprese solo dagli stati, vennero condotte da
quel momento in base alle regole dello ius publicum europaeum. Si tratta quindi
di un conflitto a basso tasso di politicità, non foss'altro perché la vittoria
di una delle parti in lotta non puo portare in alcun modo all'annientamento
dell'avversario, il cui diritto di esistenza era tutelato dal diritto e
accettato da tutti gli stati. La crisi dello ius publicum europaeum,
divenuta palese alla fine della Grande Guerrae acuitasi ulteriormente con lo
scoppio delle guerre partigiane nei decenni successivi, resero palese a lui la
fine della regle de droit su cui si e fondato l'universo giuridico occidentale
nei rapporti internazionali tra stati sovrani. La guerra civile e, in modo
particolare, l'estrema politicizzazione avvenuta durante le guerre mondiali con
la criminalizzazione degli avversari lo persuasero che la fine dello ius
publicum europaeum era ormai compiuta. In questo, vide soprattutto il
fallimento della civiltà giuridica occidentale nel suo supremo tentativo di
fondare i rapporti umani unicamente sulle basi del diritto. Prende atto
della fine dello ius publicum europaeum ma non crede che tale processo segna la
fine del diritto e la vittoria definitiva delle leggi aggressive della
politica. Fondando il suo originale modello sociologico, sostenne che la
comunità e sempre rette su due tipi di rapporti: l'obbligazione politica e il
contratto-scambio. Lo stato e un autentico capolavoro perché, apportando un
contributo decisivo alla sua costituzione, il giurista e riuscioi a regolare la
politica inserendola in una norma fondata sulla RAZIONALITA del diritto,
sull'IM-PERSONALINTA del comando e sui concetti di CON-TRATTO e rappresentanza
-- elementi appartenenti alla sfera del contratto/scambio. Il crollo dello
ius publicum europeum ha però messo in crisi la stessa impalcatura su cui si
regge lo stato, che ora dimostra tutta la sua storicità. Non rimane legato
all'idea dell'organizzazione statale. La civiltà occidentale, stesse
attraversando una fase di transizione al termine della quale lo stato e probabilmente
sostituito da altre forme di comunità ove obbligazione politica e
contratto/scambio si reggeranno in un nuovo equilibrio. Lo stato e e giunto al
capolinea. Il progresso tecnologico e, in modo particolare, il più alto livello
di ricchezza cui erano giunti i paesi occidentali lo convinsero che negli anni
successivi sono avvenuti cambiamenti di portata radicale, tali da coinvolgere
anche la costituzione degli ordinamenti politici. Lo stato ha difficoltà nel
garantire servizi efficienti alla popolazione. Ciascun cittadino, vedendo
accresciuto il proprio tenore di vita in forza dell'economia di mercato,
sarà infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei lenti meccanismi della
burocrazia pubblica, ch'egli riterrà inadeguata a soddisfare i suoi standard di
vita. L'elevata produttività dei paesi avanzati e la vittoria definitiva
dell'economia di mercato su quella pubblica porterà in altri termini a nuove
forme di aggregazione politica al cui interno i cittadini saranno desti contare
in misura molto maggiore rispetto a quanto non lo siano oggi nei vasti stati in
cui si trovano inseriti. Secondo il professore gli stati democratici, ancora
fondati su istituti rappresentativi risalenti all'Ottocento, non riusciranno
più a provvedere agli interessi della civiltà tecnologica del secolo XXI. Con
il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, si creano in altri
termini le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario
nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei
cittadini, legati alla logica di mercato. La fine degli stati moderni
porterà secondo Miglio alla costituzione di comunità neofederali dominate non
più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del
contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi: sono i
nuovi gruppi in cui sarà articolato il mondo di domani, corporazioni dotate di
potere politico ed economico al cui interno saranno inseriti gruppi di
cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore, il mondo
sarà costituito da una società pluricentrica, ove le associazioni territoriali
e categoriali vedranno riconosciuto giuridicamente il loro peso politico non
diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Di qui l'appello a riscoprire i
sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato mosaico
medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar
modo, delle libere città germaniche. Il professore studiò a fondo gli
antichi sistemi federali esistiti tra il medioevo e l'età moderna: le
repubbliche urbane dell'Europa germanica tra il XII e il XIII secolo, gli
ordinamenti elvetici d'antico regime, la Repubblica delle Province Unite e, da
ultimo, gli Stati Uniti. Ai suoi occhi, il punto di forza risiedeva
precisamente nel ruolo che quei poteri pubblici avevano saputo riconoscere alla
società nelle sue articolazioni corporative e territoriali. Miglio dedicò i
suoi ultimi anni allo studio approfondito di questi temi, progettando di
scrivere un volume intitolato l'Europa degli Stati contro l'Europa delle città.
Il libro è rimasto incompiuto per la morte del professore. L'impegno
politico diretto e il federalism. S iscrisse alla neonata Democrazia Cristiana,
che lascia quando divenne preside della Facoltà di Scienze politiche
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Miglio rimase comunque
legato culturalmente alla DC fnell'immediato domani della Liberazione, fu tra i
fondatori, a Como, del movimento federalista “Il Cisalpino”, con altri docenti
dell'Università Cattolica di Milano. Ispirato alle idee di Carlo Cattaneo, il
programma del “Cisalpino” prevedeva la suddivisione del territorio italiano su
base cantonale, secondo il modello svizzero, con la costituzione di tre grandi
macro-regioni (“nord”, “sud” e “centro”). Il suo nome e proposto per il
conferimento del titolo di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica
Italiana, ma una volta informato del fatto rifiuta di accettare l'onorificenza,
che venne annullata con un successivo decreto presidenziale. Si avvicina alla
Lega Nord. Eletto al Senato della Repubblica come indipendente nelle liste
della “lega nord” “lega lombarda” (da allora a lui fu attribuito l'appellativo
lombardo di Profesùr) lavora per il partito con l'intento di farne un'autentica
forza di cambiamento. Elabora un progetto di riforma federale fondato sul
ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella delle tre macro-regioni
o cantoni (del Nord o, “Padania”, del Centro o Etruria, del Sud o Mediterranea,
oltre alle cinque regioni a statuto speciale). Questa architettura
costituzionale prevedeva l'elezione di un governo direttoriale composto dai
governatori delle tre macroregioni, da un rappresentante delle cinque regioni a
statuto speciale e dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i
cittadini in due tornate elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del paese.
I puntisalienti del progetto, esposti nel decalogo di Assago vennero fatti
propri dalla Lega Nord solo marginalmente: il segretario federale, Umberto
Bossi, preferì infatti seguire una politica di contrattazione con lo stato
centrale che mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali. Il dissenso di
Miglio, iniziato al congresso leghista di Assago, si acuì dopo le elezioni
politiche, dove fu rieletto al Senato, quando il professore si disse non
d'accordo sia ad allearsi con Forza Italia, sia a entrare nel primo governo
Berlusconi. Soprattutto Miglio non gradì che per il ruolo di ministro delle
Riforme istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni al suo posto.
Bossi reagì spiegando: «Capisco che Miglio sia rimasto un po' irritato perché non
è diventato ministro, ma non si può dire che non abbiamo difeso la sua
candidatura. Il punto è che era molto difficile sostenerla, perché c'era la
pregiudiziale di Berlusconi e di Fini contro di lui. Di fatto, il ministero per
le Riforme istituzionali a lui non lo davano. (Se Miglio vorrà lasciare la
strada della Lega, libero di farlo. Ma vorrei ricordargli che è arrivato alla
Lega nel '90 e che, a quell'epoca, il movimento aveva già raggranellato un
sacco di consiglieri regionali». In conclusione per Bossi, Miglio «pare che
ponga solo un problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione
di poltrone». In aperto dissidio con Bossi, lascia la Lega Nord dicendo di
Bossi. Spero proprio di non rivederlo più. Per Bossi il federalismo è stato strumentale
alla conquista e al mantenimento del potere. L'ultimo suo exploit è stato di
essere riuscito a strappare a Berlusconi cinque ministri. Tornerò solo nel
giorno in cui Bossi non sarà più segretario». Nonostante ciò, moltissimi
militanti e sostenitori leghisti continuarono a provare grande simpatia e
ammirazione per il professore e per le sue teorie. Alcuni dirigenti della Lega
tennero comunque vivo il dialogo con Miglio, in particolar modo Giancarlo
Pagliarini, Francesco Speroni e il presidente della Libera compagnia padana
Gilberto Oneto, al quale il professore era particolarmente legato. In
particolare Miglio fu in stretti rapporti con l'ex deputato leghista Luigi
Negri, col quale fondò il Partito Federalista. Eletto ancora una volta al
Senato, nel collegio di Como per il Polo per le Libertà, iscrivendosi al gruppo
misto. Negli anni in cui la Lega si spostò su posizioni indipendentiste,
il professore si riavvicinò alla linea del partito, sostenendo a più riprese la
piena legittimità del diritto di secessione della Padania dall'Italia come
sottospecie del più antico diritto di resistenza medievale. Miglio e la
mafia Nella sua originale riflessione sul contrasto tra i regimi giuridici
"freddi" e "caldi" Miglio sostenne la necessità di
sviluppare, all'interno delle diverse società e culture, ordini giuridici in
grado di rispondere alle specifiche esigenze. In maniera provocatoria, egli
giunse a dichiararsi favorevole al «mantenimento anche della mafia e della
'ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del
comando. Che cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non
voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche
un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna
partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di
essere costituzionalizzate». La sua riflessione puntava a cogliere quali
fossero le ragioni profonde alla base di mafia, camorra e 'ndrangheta (insieme
a ciò che genera il consenso attorno a queste organizzazioni criminali), perché
solo istituzioni che sono in sintonia con la comunitànel caso specifico, che
non dimentichino la centralità del rapporto personale piuttosto che impersonale
nella società meridionalepossono creare una vera alternativa al
presente. Altre saggi: “La controversia sui limiti del commercio neutrale:
ricerche sulla genesi dell'indirizzo positivo nella scienza del diritto delle
genti,” Milano, Ispi, “La crisi dell'universalismo politico medioevale e la
formazione ideologica del particolarismo statuale moderno,” in: "Pubbl.
Fac. giurispr. Univ. Padova", “La struttura ideologica della monarchia
greca arcaica ed il concetto "patrimoniale" dello Stato nell'eta
antica, in: "Jus. Rivista di scienze giuridiche", “Le origini della
scienza dell'amministrazione, Milano, Giuffrè,
“L'unità fondamentale di svolgimento dell'esperienza politica
occidentale, in: "Rivista internazionale di scienze sociali", “I
cattolici di fronte all'unità d'Italia, in: "Vita e pensiero",
“L'amministrazione nella dinamica storica, in: Istituto per la Scienza
dell'Amministrazione Pubblica, Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, Il
Mulino, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in: "Jus. Rivista
di scienze giuridiche", “ Il ruolo del partito nella trasformazione del
tipo di ordinamento politico vigente. Il punto di vista della scienza della
politica, Milano, La nuova Europa editrice, L'unificazione amministrativa e i
suoi protagonisti, Vicenza, Neri Pozza, La trasformazione delle università e
l'iniziativa privata, in: Atti del I Convegno su: Università: problemi e
proposte, promosso dal Rotary Club di Milano-Centro Una Costituzione in
"corto circuito", in: "Prospettive nel mondo", Ricominciare
dalla montagna. Tre rapporti sul governo dell'area alpina nell'avanzata eta
industriale, Milano, Giuffrè, La
Valtellina. Un modello possibile di integrazione economica e sociale, Sondrio,
Banca Piccolo Credito Valtellinese, Utopia e realtà della Costituzione, in
"Prospettive del mondo", Posizione del problema. Ciclo storico e
innovazione scientifico-tecnologica. Il caso della tarda antichità, in
Tecnologia, economia e società nel mondo romano. Atti del Convegno di Como,
Como, Genesi e trasformazioni del termine-concetto Stato, in Stato e senso
dello Stato oggi in Italia. Atti del Corso di aggiornamento culturale
dell'Università cattolica, Pescara, Milano, Vita e pensiero, Guerra, pace,
diritto. Una ipotesi generale sulle regolarità del ciclo politico, in: Umberto
Curi, Della guerra, Venezia, Arsenale, Una repubblica migliore per gli
italiani. Verso una nuova costituzione, Milano, Giuffrè, Le contraddizioni interne del sistema
parlamentare-integrale, in: "Rivista italiana di Scienza Politica",
Considerazioni sulle responsabilità, in: "Synesis, periodico
dell'Associazione italiana centri culturali", Le regolarità della
politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi, Milano, Giuffrè, Il nerbo e le briglie del potere. Scritti
brevi di critica politica, Milano, Edizioni del Sole 24 ore, Una Costituzione
per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza Repubblica, Roma-Bari,
Laterza, Per un'Italia federale, Milano, Il Sole 24 ore, Come cambiare. Le mie
riforme, Milano, Mondadori, Italia. Così è andata a finire, con "Il Gruppo
del lunedì", Collezione Frecce, Milano, A. Mondadori, ed. Oscar Saggi,
Disobbedienza civile, Milano, A.
Mondadori, Io, Bossi e la Lega. Diario segreto dei miei quattro anni sul
Carroccio, Milano, A. Mondadori, Come cambiare. Le mie riforme per la nuova
Italia, Milano, A. Mondadori, Modello di Costituzione Federale per gli
italiani, Milano, Fondazione per un'Italia Federale, Federalismi falsi e
degenerati, Milano, Sperling & Kupfer, Federalismo e secessione. Un
dialogo, con Augusto Antonio Barbera, Milano, A. Mondadori, Padania, Italia. Lo
stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?, con M. Veneziani,
Firenze, Le Lettere, Le barche a remi del Lario. Da trasporto, da guerra, da
pesca, e da diporto, con Gozzi e Zanoletti, Milano, Leonardo arte, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese
con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, Vicenza, N. Pozza, L'Asino
di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro
destino. Nuova edizione, pref. di Roberto Formigoni, postf. di Sergio Romano, Varese,
Edizioni Lativa, Gianfranco Miglio: un uomo libero, coll. Quaderni Padani, La
Libera Compagnia Padana, Novara, Un Miglio alla libertà, audiolibro, coll.
Laissez Parler, Treviglio, La Libera Compagnia PadanaLeonardo Facco Editore); li
articoli, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,Gianfranco le
interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese
con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, pref. di Roberto Formigoni,
coll. I libri di LiberoMiglio n. 1, Firenze, Editoriale Libero); “Padania,
Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?” (Firenze,
Libero); “Federalismo e secessione. Un dialogo, con Augusto Antonio Barbera,
coll. I libri di LiberoMiglio n. 4, Firenze, Editoriale Libero, Disobbedienza
civile, coll. I libri di Libero; Firenze, Editoriale Libero, La controversia
sui limiti del commercio neutrale fra Giovanni Maria Lampredi e Ferdinando
Galiani, pref. di Lorenzo Ornaghi, Torino, Aragno, Gianfranco Miglio: scritti brevi, interviste,
coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Lezioni di politica.
Storia delle dottrine politiche. Scienza della politica” (Bologna, Il Mulino); D.
Bianchi e A. Vitale, Bologna, Il
Mulino,Discorsi parlamentari, con un saggio di Bonvecchio, Senato della
Repubblica, Archivio storico, Bologna, Mulino,
L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di
cambiare il loro destino -- Opere scelte” (Milano, Guerini); Considerazioni
retrospettive e altri scritti, coll. Opere scelte, Milano, Guerini e
Associati, Lo scienziato della politica,
coll. Opere scelte di M., a cura di Galli, Milano, Guerini,.Guerra, pace,
diritto, La Nuova Guerra, [S.l.Milano], Editrice La Scuola, 1 Scritti politici,
Bassani, coll. I libri del Federalismo, Roma, Pagine, Modello di Costituzione
Federale per gli italiani” (Torino, G. Giappichelli); “La Padania e le grandi
regioni, L'unità economico-sociale della Padania” (Fano, Associazione Oneto); “Il
Cerchio,.C. Schmitt. Saggi, Palano, Brescia, Scholé Morcelliana); “Le origini e i primi sviluppi
delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche” (Torino, Aragno); “Vocazione
e destino dei Lombardi” (S.l.Milano); “Regione Lombardia, Prefazioni Oneto,
Bandiere di libertà: Simboli e vessilli dei Popoli dell'Italia settentrionale.
In appendice le bandiere dei popoli europei in lotta per l'autonomia,
Effedieffe, Milano, Gianfranco Morra, Breve storia del pensiero federalista”
(Milano, Mondadori); “Governo della Padania, Manuale di resistenza fiscale” (Gallarate,
Oneto, “Croci draghi aquile e leoni. Simboli e bandiere dei popoli
padano-alpini; Roberto Chiaramonte EditoreLa Libera Compagnia Padana,
Collegno); A. Sensini, Prima o seconda Repubblica? A colloquio con Bozzi e M.,
Napoli, Edizioni scientifiche italiane, L. Ornaghi e A. Vitale, Multiformità e
unità della politica. Atti del Convegno tenuto in occasione del compleanno, Milano,
Giuffrè, Ferrari, “Storia di un giacobino nordista” (Milano, Liber internazionale);
Bevilacqua, “Insidia mito e follia nel razzismo”; "Il rinnovamento", A.
Campi, “Figure e temi del realismo politico europeo, Firenze, Akropolis/La
Roccia di Erec, G. Capua, Scienziato impolitico” (Soveria Mannelli (Catanzaro),
Rubbettino, Vitale, La costituzione e il cambiamento internazionale. Il mito
della costituente, l'obsolescenza della costituzione e la lezione dimenticata, Torino,
CIDAS, Luca Romano, Il pensiero federalista una lezione da ricordare. Atti del
Convegno di studi, Venezia, Sala del Piovego di Palazzo Ducale, Venezia,
Consiglio regionale del Veneto-Caselle di Sommacampagna, Cierre, F. Lanchester,
Miglio costituzionalista, Rivista di politica: trimestrale di studi, analisi e
commenti, Soveria Mannelli (Catanzaro),
Rubbettino. Damiano Palano, Il cristallo dell'obbligazione politica in ID.,
Geometrie del potere. Materiali per la storia della scienza politica italiana,
Milano, Vita e Pensiero. Maroni: voglio riprendere l'eredità di M. MiglioVerde,
su miglioverde. eu. Bossi a sorpresa al convegno su M. a Domaso:"Un
grande"Ciao Como, su Ciao Como, la Repubblica/politica: È morto su
repubblica. Ticinonline COMO: Lunedì a Domaso i funerali. Riletture. Ariannaeditrice.
il ricordo. Terre di Lombardia, su terredilombardia.info. Francesco
D'Alessandro, Cristianesimo e cultura politica: l'eredità di otto illustri
testimoni, Paoline, Morra, La vita e le opere, La Voce di Romagna, 8 agosto
5. Il silenzio di Miglio fa paura alla
Lega Bossi: Pensa solo alla poltrona.
"Con Bossi è un amore finito"
Miglio torna nell'arena: è l'occasione buona Gianfranco Miglio, Una repubblica
mediterranea?, in Un'altra Repubblica?
Perché, come, quando, Laterza, Roma-Bari, Umberto Rosso, Miglio l'antropologo.
'Diverso l'uomo del Sud', in la Repubblica, «Non mi fecero ministro perché avrei distrutto
la Repubblica»TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. su senato, Senato della Repubblica. Associazione Openpolis. Istituto per la scienza dell'amministrazione
pubblica, su isapistituto. Interviste Intervista sulla Secessione della
Padania, su prov-varese.leganord.org. Commemorazione di Miglio nel 1º
anniversario della scomparsa di Alessandro Campi, su giovanipadani.leganord.org).
«Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica», Il Giornale, su
newrassegna.camera. Interviste a Miglio sui "Quaderni della Libera
Compagnia Padana" su laliberacompagnia.org. Documenti politici Sezione di
approfondimento sul pensiero di Gianfranco Miglio, dal sito ufficiale della
Lega Nord. Gianfranco Miglio. Miglio. Keywords: implicatura ligure. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Miglio," per
il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. Speranza “Saturdays and Mondays” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Millia – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico. He is said to
have been one of a group of Pythagoreans who were ambushed but found their
escape route blocked by a field of beans. Being prohibited by Pythagoreans
precepts from even touching beans, he preferred death to betraying his
principles.
Grice e
Millul --- la selezione sessuale di Nerone, il musicista – filosofia triestina
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). FIlosofo italiano.
Grice: “I have been called a Darwinist, which offended de Lalla!” -- Figlio
unico di Achille de Lalla e Anna
Millul. Il padre, nato a Napoli da
famiglia originaria di Tolve, aveva intrapreso la carrriera militare, giungendo
a ricoprire il grado di Tenente colonnello dell'esercito e congedandosi con il
grado di Generale dell'esercito. Prese parte alla Prima guerra mondiale nonché
alla Seconda guerra mondiale, dove rimase ferito alla spalla destra in Russia.
Fu in seguito Dirigente dell'Istituto per la Ricostruzione Industrial. Achille
de Lalla era figlio di Ludovico e di Maria Buonomo, figlia a sua volta di
Alfonso Buonomo, compositore e musicista napoletano di fama. La madre Anna Millul era nata a Roma in una
famiglia ebrea originaria di Livorno. SI
laurea, allievo dinKalinowski di cui tradusse in italiano il saggio
"Interpretazione giuridica e logica delle proposizioni
normative". Scappò a Parigi,
prendendo parte al Maggio. Tuttavia, fu tra i primi ad intuire che il Partito
Comunista francese non aveva alcuna seria intenzione politica di sostenere la
Contestazione e, in anticipo sul fallimento dell'iniziativa giovanile, lasciò
la Francia rientrando in Italia deluso. Fu studioso di Evoluzionismo e
Politologia, e sarà proprio sulle sue teorie sull'Evoluzione umana e sul
pensiero di Darwin che scrive l'opera “La selezione sessuale”. Insegna a'Siena
e Napoli. A testimonianza del grande successo che riscuotevano i suoi corsi
universitari, rimane la petizione indetta dagli studenti affinché il Senato
Accademico li prorogasse per un biennio.
Gli ultimi anni Ritiratosi a vita privata, muore a Napoli nella tarda
serata del 25 settembre d'infarto mentre
attendeva alla redazione della sua ultima opera.Est Deus in nobisContributo
alla Nuova Evangelizzazione e, nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto
costituire il completamento della trilogia iniziata con Evoluzione e proseguita
con La Comunità Democratica.Convinto assertore della superiorità del Diritto
pubblico rispetto a quello privato, si è sempre posto a tutela delle
prerogative statuali. Convinto assertore
dei rischi della dilagante esterofilia in campo politico e fondamentalmente
euroscettico negli ultimi anni di riavvicinamento al cattolicesimo, ideò un
progetto di edificazione di un nuovo partito politico che, nelle sue
teorizzazioni avrebbe assunto il nome di PARTITO CRISTIANO COMUNITARIO
(DEMOCRATICO) ITALIANO PCC(D)I. Saggi: “Il
concetto legislativo di azione penale” (Jovene, Napoli); “La scelta del rito
istruttorio” ( Jovene, Napoli); “Logica della prove penale” (Jovene Napoli);
“La pena militare” (Jovene, Napoli); “Topografia politica della repubblica” (Scientifiche,
Napoli); “Il completamento istruttorio del giudice nelle indagini preliminari
in "Riv. it. dir. e proc. pen."); “Evoluzione,” “Darwin e la
selezione sessuale” (Salerno, Roma); “ Selezione sessuale” (Scientifiche, Napoli);
“La comunità democratica: idee per una politica nuova” (Guida, Napoli) –
concetto di KRATOS --“Comunitarismo” (Guida, Napoli); “Nerone, o Musica nella
antica Roma” (Guida, Napoli); “Composizioni
musicali Per pianoforte Sonata n.° 1 Suite "italiana" Sonata n.° 2
Sonata n.° 3 "napoletana" Musica da camera Sonata per violino e
violoncello Sonata per violino e pianoforte Sonata per violini, viola e
violoncello Note de Lalla F., Una
famiglia borghese, Ed. Ibiskos de Lalla
F., op. cit. in "Il foro
penale" ilcambiamento,// ilcambiamento/ articoli/ evoluzione_2_darwin_de_lalla_millul.ateneapoli,//ateneapoli/news/
archivio-storico/ reintegro-del-prof-de-lalla-il-consiglio- di-facolta--si-esprime-
negativamente. petizioni.com/ petizione _pro_prof_paolo
de_lalla. Grice: “When I hear that a philosopher has written yet another
trattarello on the filosofia della musica, I always thought not of Orpheus and
his lute, but of NERO and his lyre!” -- Paolo de Lalla Millul. Paolo de Lalla.
Lalla. Keywords: evolutionary, sexual selection, Nerone, filosofia della
musica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lalla” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Milone – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Crotona). Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. He studied with Pythagoras
himself. He died when an anti-Pythagorean mob burnt his house down when he was
inside it.
Grice e Minicio – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. Gaio Minicio
Fundano. Gaius Minicius Fundanus
Military diploma CIL XVI, 55,
attesting his consulship suffect consul In office NationalityRoman
Occupationpolitician Gaius Minicius Fundanus was a Roman senator who held
several offices in the Emperor's service, and was an acquaintance of Pliny the
Younger. He was suffect consul with Titus Vettennius Severus as his colleague. Fundanus
is best known as being the recipient of an edict from the emperor Hadrian about
conducting trials of Christians in his province. Fundanus held are known from
an inscription recovered from Baloie (modern Šipovo) in Bosnia. The first
office listed is military tribune with Legio XII Fulminata. Next is quaestor,
and upon completion of this traditional Republican magistracy he would be
enrolled in the Senate. Two more of the traditional Republican magistracies
followed: plebeian tribune and praetor. The last appointment, before the
inscription breaks off, was his commission as legatus legionis or commander of
Legio XV Apollinaris; Other sources attest that Fundanus was governor of
Achaea, but the year is uncertain.We can narrow the possible dates he was
governor a little: the terminus post quem his governorship started was when
Gaius Caristanius Julianus is known to have governed; and the terminus ante
quem he left his post is the year of his consulate, although the letters he
received from Pliny indicate he was no longer in Achaea. The inscription from
Baloie mentions he had been admitted to the Septemviri epulonum, one of the
four most prestigious ancient Roman priesthoods. Because this inscription does
not mention his consulate, it can be assumed his entrance preceded that
office. Most, if not all, of the letters
Pliny wrote to Fundanus fall before he was suffect consul. In the first letter
of his collection, Pliny declares that living on his rural estate is preferable
to living in Rome where he is subject to constant pleas for assistance. The
second letter petitions him to appoint the son of Pliny's friend Asinius Rufus
to serve as Fundanus' quaestor for Fundanus' upcoming consulate; The last
letter is another petition to Fundanus, canvassing him on behalf of Julius
Naso, who is running for an unnamed office; While all of these letters
demonstrate the two men were acquainted, they fail to show the warmth of a
friendship. Following his consulate,
during the reign of Trajan, Fundanus was governor of Dalmatia. It is through a rescript the historian
Eusebius preserves at length in his Ecclesiae Historia that we know Fundanus
was proconsul of Asia. Fundanus' predecessor, Quintus Licinius Silvanus
Granianus, had asked Hadrian how to handle legal cases where some inhabitants
were accusing their neighbors of not following the Roman cult through
"informers or mere clamour". Hadrian's reply is to state that any
such accusations had to be through a law court, where the matter could be
properly investigated, and if they are "guilty of any illegality, thou Fundanus,
must pronounce sentence according to the seriousness of the offence". This
rescript is important as an independent witness to the existence of one or more
non-Roman sects in this part of Anatolia in the early second century. The only
other contemporaneous evidence we have for these communities is the list of the
seven churches of Asia in the book of Revelation (2:1-3:22). Family Fundanus' wife was Statoria Marcella,
the daughter of a Marcus Statorius. We know her name from a funerary
inscription, which suggests that she died before Fundanus' consulship. The name
of their daughter, Minicia Marcella, comes from two independent sources.
Minicia died young: her funerary vase has been identified, which states her age
at death as twelve years, eleven months, and seven days. Pliny also attests to
her existence, revealing information about the girl that shows that he and
Fundanus were better friends than the surviving letters he wrote Fundanus
suggest. In the letter, addressed to one Aefulanus Marcellinus, Pliny notes
that, although she was not yet fourteen years old, she was betrothed. Pliny
describes the preparations for her wedding, with which Fundanus was busy; and
he asks Marcellinus to send Fundanus a letter consoling him for his loss. It is
not known if Fundanus and Statoria had any other children. References
E. Mary Smallwood, Principates of Nerva, Trajan and Hadrian (Cambridge:
University Press, 1966), p. 4 CIL XVI,
55. ILJug-03, 1627 Richard Talbert, The Senate of Imperial Rome
(Princeton: University Press, 1984), p. 16
Everett L. Wheeler, "Legio XV Apollinaris: From Carnuntum to
Satala—and beyond", in Y. Le Bohec and C. Wolff, eds. Les Légions de Rome
sous le Haut-Empire (Lyon/Paris 2002), pp. 279f
Werner Eck, "Jahres- und Provinzialfasten der senatorischen
Statthalter von 69/70 bis 138/139", Chiron, 13 (1983), pp. 186f Eck, "Jahres- und Provinzialfasten der
senatorischen Statthalter von 69/70 bis 138/139", Chiron, 12 (1982), pp.
334f Pliny, Epistulae, I.9 Syme, Tacitus (Oxford: Clarendon Press,
1958), p. 660 Pliny, Epistulae,
IV.15 Syme, Tacitus, p. 661 Pliny, Epistulae, VI.6 Eck, "Jahres- und
Provinzialfasten", (1983), p. 194
Eusebius, Ecclesiae Historia, IV.8-9; translated by G. A. Williamson,
Eusebius: The History of the Church (Harmondsworth: Penguin, 1965), pp.
162f Eck, W., "Jahres- und
Provinzialfasten", (1983), p. 157
CIL VI, 16632. CIL VI, 16631 Pliny, Epistulae, V.16 Political offices Preceded
by Acilius Rufus, and Quintus Sosius Senecio II Consul of the Roman Empire 107
with Titus Vettennius SeverusSucceeded by Gaius Julius Longinus, and Gaius
Valerius Paullinus Categories: 1st-century Romans2nd-century RomansRoman
governors of AchaiaSuffect consuls of Imperial RomeRoman governors of
DalmatiaRoman governors of AsiaEpulones of the Roman Empire Minicii
Grice e Minnomaco – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. A Pythagorean according to Giamblico.
Minucio – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Marco Minucio
Felice – He wrote “Ottavio” – draws on a speech by Frontone.
Grice e
Miraglia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio).
Filosofo italiano. Grice: “Miraglia is the type of philosopher beloved by the
Oxford hegelians; but then he is a Neapolitan Hegelian!” Grice: “I always found
Kant easier, but there’s nothing like a ‘filosofia del diritto’ in Kant! And
Hegel’s ethics itself, compared to Kant’s is mighty more complex – that’s why I
taught Kant!” Si laureaall'Napoli, dopodiché insegnò filosofia del diritto
nella stessa università, ed economia politica alla Scuola superiore di agricoltura
di Portici. Seguì una corrente di
pensiero eclettica, ad esso contemporanea, che mirava all'integrazione di
pratiche giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Fu sindaco di Napoli. Tra le
più famose si ricordano: “Condizioni storiche e scientifiche del diritto di
preda (Napoli); “Un sistema etico-giuridico” (Napoli); “Filosofia del diritto”
(Napoli). Nella sua biografia ufficiale per la Treccani è nato a Reggio
nell'Emilia, mentre nella sua scheda storico-professionale sul sito del Senato
si riporta a Reggio di Calabria Giuseppe
Erminio. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
(latinista) Sindaci di Napoli Senatori della XXI legislatura del Regno d'Italia Luigi Miraglia, su Treccani Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl. su Senatori d'Italia, Senato della
Repubblica. I sistemi filosofici ed i principi del diritto. La speculazione greca
e la dottrina romana. Fichte. Spedalierie Romagnosi. Gli scrittori della
reazione. La scuola storica e la scuola filosofica. Schelling e Scleiermacher. Hegel
Rosmini. Herbart, Trendelenburg e Krause.Le varie fasi della filosofia di
Schelling. Sthal e Schopenhauer Il materialismo, il positivismo ed il
criticismo. L'idea della Filosofia del Diritto. La
Filosofiaelescienze.IlcaratteredellaFilosofiamo. L'idea del Diritto ed i metodi logici.
L'induzione e la deduzione. L'induzione, l'osservazione e l'esperimento. L'idea
del Diritto naturale e quella del buono civile di Amari ricavate
dall'induzione. L'importanza del metodo storico-comparativo secon do Vico ,
Amari , Post e Sumner-Maine. Parallelo fra lo sviluppo della lingua e lo
sviluppo del Di. ritto.L'induzione statistica.Ilcompitodelladedu. zione.
L'universale astratto e l'universale concreto come principi .Moderna divinato
da Vico.La Filosofia del Diritto come parte della Filosofia. L'idea umana del
Diritto se condo la dottrina di Vico,e le definizioni di Kant,
diHegel,diTrendelenburg,diRomagnosiediRo. smini. La teoria sociale e la teoria
giuridica. Il Diritto e la Filosofia positiva . L'ides induttiva del Diritto.
Lo studio della coscienza etico-giuridica dei vari popoli. Il contributo della
razza ariana e della razza semi tica nella storia della civiltà.L'idea del
Diritto come misura nella razza ariana. La misura riposta nel l'ordine
fisico,nella legge positiva e nella ragione. Il principio della personalità.
Gli elementi organici e spi rituali della persona e la loro corrispondenza. La
spiegazione del materialismo. La teorica dell'evolu zione. La critica
dell'evoluzionismo meccanico La teorica dell'evoluzione e la Psicologia. Il
sentimento fondamentale e le sensazioni. La coscienza e la sua origine.Le
rappresentazioni sensibili e le rappresen tazionicoscienti.Ilpensareelecategorie.La
cogni zione secondo l'empirismo oggettivo. La critica di questa teoria I
presupposti pratici dell'idea deduttiva del Diritto. Sviluppo e partizione.
L'istinto, il desiderio e la volontà.L'arbitrio e la liber. tà morale. La
costanza degli atti umani rivelata dalla Statistica.Ilfine dell'uomo ed il
bene.Ilbene umano ed il Diritto. La forma imperativa , proibi. I
presupposti teoretici dell'idea deduttiva del Diritto. Seguito dei presupposti
teoretici. tiva e permissiva del Diritto. Il Diritto come prin cipio di
coazione , di coesistenza e di armonia. La tripartizione razionale del Diritto.
La divisione di Gaio Analisi critica delle principali definizioni del Diritto.
Le dottrinecheriguardanoapreferenzailcontenutosen sibile del Diritto: Hobbes,
Spinoza, Roussean, Stuart Mill e Spencer. Le dottrine che considerano il Di
ritto come astratta forma razionale:Kant,Fichte ed Herbart. Le definizioni di
Krause e di Trendelen burg.Ciò che vi è di vero nelle dottrine
esaminate.pag.180 Il Diritto, la Morale e la Scienza sociale. Il Diritto come
disciplina etica. I rapporti fra Morale e Diritto nella storia. Critica della
confusione e della separazione dei due termini. Il fondamento comune e la
differenza reale. L'Etica e la vita sociale.Vico, Süssmilch ed i fisiocrati
precursori della Scienza so ciale.La SociologiadiComte ed ivari indirizzi.La
Sociologia di Spencer.La Sociologia come Filosofia delle scienze sociali.Le
analogie tra la società e l'or. ganismo. Le relazioni fra il Diritto e la
Scienza so ciale .Il Diritto,l'Economia sociale e la Politica. L'ordinamento
sociale-economico ed i filosofi del Diritto antichi e moderni. L'Etica , la
Sociologia fondata sulla Biologia, la Politica e la Storia come presup posti
dell'Economia. Il carattere del fatto economi. co.I rapporti tra ilDiritto e
l'Economia. Il concetto della Politica. La Politica , la Scienza sociale ,
l'Etica ed il Diritto. L'idea compiuta dello Stato Il Diritto razionale ed il
Diritto positivo. Fonti ed applicazioni. La distinzione del Diritto razionale
dal Diritto positivo in sé e nella storia. La consuetudine ed il costume
primitivo. La giurisprudenza ed i suoi uffici. La le gislazione ed i codici.
L'efficacia della legge nello spazio.L'efficacia della legge nel tempo.Esame
delle diverse teorie sulla retroattività . Diritto Privato. La persona. I
diritti essenziali o innati ed i diritti ac cidentali o acquisiti. Il principio
dei diritti. Il di ritto alla vita fisica e morale. Il diritto alla liber
tà.Idirittiall'eguaglianza,allasociabilitàed all'as sistenza. Il diritto di
lavoro . Il concetto storico dei diritti innati. I diritti dell'uomo nello
stato di natura.Lo stato di na. tura dei filosofi del secolo decimottavo in
rapporto . La persona ed i suoi diritti. Le persone incorporali. Lo scopo delle
persone incorporali. La teoria della fin. La proprietà e i modi di acquisto. La
proprietà e dil suo fondamento razionale. Dottrine in torno a questo
fondamento. Le limitazioni ed i tem peramenti della proprietà. I modi originari
e deri vativi di acquisto La storia della proprietà e dei modi di acquisto.
L'attività procacciatrice dell'animale e dell'uomo.La storia della proprietà e
la storia della persona. La proprietà collettiva.La comunità di famiglia.IlCri.
stianesimo ed il valore della persona individua. Il feudo.La Riforma ed il Diritto
naturale.La com piuta individuazione ed itemperamenti della proprie tà privata.
I modi di acquisto primitivi. Le distin zioni dei beni. L'usucapione, l'equità
e la procedu. ra civile.. ! all'ordine di natura dei giureconsulti romani e dei
filosofi greci.La teorica della conoscenza ed ilmodo di concepire i diritti
essenziali della persona. I di ritti innati e la Filosofia moderna. Il regime
dello status e del contratto . zione e dell'equiparazione. La teoria che
riguarda la persona incorporale come veicolo. La teoria del patrimonio sui
juris. Le idee dei pubblicisti tede schi.Il soggetto reale nella corporazione e
nella fon dazione. I diritti delle persone incorporali ed il jus confirmandi
dello Stato. La teoria di Giorgi. La proprietá prediale. Il collettivismo
territoriale. La teoria di Wagner sulla proprietà dei fabbricati. La teoria di
Spencer sulla proprietà del suolo. La proprietà privata del suolo e la rendita.
Le dottrine di George e di Loria sul la terra La proprietà forestale e
mineraria. Le funzioni dei boschi. La libertà del taglio. Il vincolo e le sue
ragioni. La proprietà mineraria e le fasi della industria. La critica degli
argomenti in favo re del proprietario del suolo. La dottrina che attri buisce
la miniera allo scopritore . La merce lavoro ed il suo prezzo. Il lavoro come
pro prietà. La coalizione e lo sciopero. La giuria indu striale.La proprietà
del capitale ed il profitto.Il collettivismo ed il mutualismo. La teoria di
Marx. La critica del collettivismo e della teoria di Marx. Le coalizioni
degl'intraprenditori . La proprietà commerciale, il diritto di autore e di
scopritore. Il concetto della proprietà commerciale.La libertà dello scambio.
La concorrenza. La nozione primitiva del commercio. Il diritto di autore prima
e dopo l'in La propriatå industriale. La classificazione dei diritti
sulla cosa altrui. Le servitù gimento dell'istituto nelle legislazioni.
Esposizione critica delle varie dottrine assolute e relative. Il fon damento
razionale.La critica della teoria di Ihering sulla volontà di possedere Le
obbligazioni. zioni. Le loro varie specie e modalità. I differenti modi di
estinzione . Il contratto e le sue forme. L'indole del possesso. La sua
origine storica. Lo svol L'obbligazione. La sua origine.Le fonti delle obbliga
La nozione del contratto. Le sue fasi ed il suo fonda. mento. I requisiti
essenziali. I vizî del consenso ed alcune recenti teorie. L'interpretazione dei
contrat ti. Le loro classificazione e le dottrine di Kant e di Trendelenburg.
venzione della stampa. Il suo fondamento ed il suo carattere. La garentia del
diritto dello scopritore I diritti reali particolari. e le loro specie. In
quali modi le servitù nascono , si esercitano e si estinguono. L'enfiteusi. La
super ficie. Il pegno e l'ipoteca. Il carattere del diritto di ritenzione Il
possesso. L a libertà di contrarre ed il contratto di lavoro . La libertà di
contrarre, i suoi limiti e la sua guarentigia.. L'interesse e la sua
limitazione. La libertà dell'interesse. L'usura ed i suoi procedimenti. L'usura
come forma dell'ingiusto civile ed i modi di combatterla. L'usu ra come
delitto.Critica della teoria di Stein.La fi gura specialedeldelittodiusura.La
leggeela vita. La società, la cambiale, il trasporto e alcuni contratti
aleatori. Il contratto di società e le sue forme. La società e la. Il prestito
usurario. persona incorporale. Il regime dell'autorizzazione e della vigilanza.
La cambiale antica e la moderna. L'indole del contratto di trasporto.
L'assicurazione e le nuove teorie. Il giuoco . La missione sociale del Diritto
privato. L'egnaglian. za delle parti nella locazione di opera. I sistemi che
regolano la responsabilità dell'intraprenditore negli infortuni del lavoro. La
famiglia primitiva. L accoppiamento e l'istinto di riproduzione fra gli ani.
mali.Le teoriediLucrezio e diVico.Le unioni pri mitive. La famiglia femminile.
L'erogamia ed il ratto. Gl'inizi e lo sviluppo della famiglia patriar
. matrimonio.Le sue condizioni.Il matrimonio civile. La precedenza del matrimonio
civile. I rapporti fra i coniugi. L'autorizzazione maritale. Il libro di B e
bel e le idee di Spencer. I sistemi con cui si rego lano i beni nel matrimonio
. L'indissolubilitá matrimoniale ed il divorzio. L'ideale dell'indissolubilità.
Le esigenze concrete della vita.La quistione del divorzio in rapporto ai
diritti individuali ed alle ragioni sociali e storiche. Il di. vorzio e la
Chiesa. Le cause di divorzio.Le cautele. La tendenza a rivivere in altri. Il
fondamento e le fasi della patria potestà. La tutela,le sue specie e la cu
ra.L'adozione. I figli nati fuori del matrimonio.La ricerca della paternità.La
legittimazione . Idea, storia e fondamento della successione. Il concetto
dell'eredità. La successione legittima e la te. stamentaria nella storia. La
successione ed il culto degli antenati. Le dottrine intorno al fondamento
cale. La progressiva individuazione della parentela. Il processo di
specificazioneela finedella famiglia. L'amore come fondamento del matrimonio.
L'idea del La societá coniugale. . La società parentale. della successione. Il
condominio domestico ed il di. ritto di proprietà come basi della successione.
La successione legittima e la testamentaria. La prossimità della parentela e
del grado. La capacità di
succedere. Le classi degli eredi. La rappresentazione.La capacità di testare e
di ricevere per testa mento. Le specie di testamenti, La legittima. Il di ritto
di rappresentazione e la successione testamen taria.L'errore nella causa finale
ed impulsiva,e le condizioni.Il diritto di accrescere.La sostituzione e la
fiducia. I principi comuni ad ogni specie di successione. Il mondo romano
è il mondo del volere, e quindi del diritto e della politica. Il volere in
siffatto mondo da un lato continua a mostrarsi negli ordini superiori ed
inflessibili dello Stato, e dall'altro comincia a svolgersi in forma di diritto
individuale. Con il principio del volere, di sua natura soggettivo, il diritto
privato non può non sorgere, e lo stato non può più per lunghissimo tempo
conservare le rozze sembianze d'una organica oggettività naturale. In Roma, il diritto
privato ė nei suoi primi momenti stretto, ferreo ed arcano. Poi è ampliato,
oltre al divenire palese, giovato, supplito e corretto dall'equità, ch'è lo
stesso diritto in opposizione ad una legge, la quale non ha saputo attuarlo. Alla
fine è diritto umano,e per conseguenza proclama il principio,che la schiavitù, istituto
delle gen tie contronatura, non riguarda l'anima, echegliuomi ni innanzi al diritto
naturale sono liberi ed eguali. Cicerone , il filosofo più alto del mondo
romano, non avendo coscienza scientifica della manifestazione del diritto
soggettivo, come atto dell'astratta potenza del volere, ė inferiore alla stessa
realtà romana. Cicerone non è autore di una filosofia propria , e segue da
ecclettico gli scrittori greci. Cicerone professa il dubbio, non crede che la
mente possa Il vuoto soggetto, rappresentato dai Neoplatonici come
oggetto, riceve ora tutta la sua concretezza , ed è in seno del Cristianesimo
determinato quale Verbo o mente assoluta. La Filosofia quinci innanzi s'informa
al principio soggettivo. L'uomo , immagine di Dio ed in carnazione del Verbo ,
si riabilita ; e lo Stato antico , perdendo il suo alto significato , è
costretto a rimpicco lirsi. La parte più intima dell'individuo non è più sot
toposta alla potestà politica , sibbene alle nuove creden ze , che in origine
si mantengono in quell'ambiente ce leste in cui sono nate , e si oppongono al
mondo anco ra pagano. L'Apostolo scorge una contraddizione tra gli stimoli
della carne e gl' impulsi dello spirito. Lattan zio crede che la vera giustizia
sia nel culto di Dio uni co, ignoto ai gentili.Agostino parla di una città
celeste, sede di verità e di giustizia, in antitesi alla città terre stre,
fondazione di fratricidi e prodotto del peccato pri 6 essere
assolutamente certa, é pago della semplice verosi miglianza.Nell'Etica elimina
ildubbio per leconseguenze dannose, e fa appello alla coscienza immediata, in
cui si ritrovano i germi della virtù, ed al consenso del genere umano , per
definire l'onesto e per stabilire alcuni pre supposti speculativi di esso.
Preferisce il principio etico degli Stoici, che tempera da uomo pratico ; trae
il Dirit to non dalle leggi delle dodici tavole o dall'editto, mą dalla natura
umana ; riproduce la teoria aristotelica del lo Stato, e si attiene alla forma
mista, propria degli or dinamenti politici di Roma .Luigi Miraglia. Miraglia.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miraglia” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Misefari – implicatura – filosofia italiana – implicature anarchica – filosofia
calabrese -- Luigi Speranza (Palizzi). Filosofo italiano. ‘Io non sono
italiano; io sono calabrese!” Fratello di Enzo (politico calabrese del P.C.I.,
storico e poeta), di Ottavio (calciatore reggino tra i più conosciuti nei primi
anni del secolo; giocò nella Reggina e nel Messina) e di Florindo (biologo,
attivista della Lega Sovversiva Studentesca e del gruppo "Bruno
Filippi"). Dopo aver frequentato la scuola elementare del piccolo
paese di nascita in provincia di Reggio Calabria, a undici anni si trasferì con
lo zio proprio a Reggio Calabria. Già da adolescente, influenzato dalle
frequentazioni di socialisti e anarchici in casa dello zio, partecipò
attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un circolo giovanile socialista
(intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco dell'Ottocento). Iniziò a
collaborare al giornale Il Lavoratore, organo della Camera del Lavoro di Reggio
Calabria, firmando gli articoli come "Lo studente". Collaborò nello
stesso periodo a Il Riscatto, periodico socialista-anarchico stampato a
Messina; e con Il Libertario, stampato a La Spezia e diretto da Pasquale
Binazzi. A causa della sua attività anti-militarista esercitata all'interno del
Circolo contro la Guerra italo-turca, fu arrestato e condannato a due mesi e
mezzo di carcere per «istigazione alla pubblica disobbedienza». Fu nei
due anni successivi che Bruno si convertì dal socialismo all'anarchia. Ciò
avvenne soprattutto con la frequentazione da parte di Giuseppe Berti, suo
professore di fisica presso l'"Istituto Tecnico Raffaele
Piria". Si trasferì a Napoli e si iscrisse al Politecnico, dopo
avere studiato fisica e matematica alle superiori, e anche per non dispiacere
al padre, proseguì tali studi. Pesò inoltre su questa decisione il fatto che in
quegli anni, dopo la tragica distruzione della città di Reggio Calabria a causa
del terremoto del 1908, il lavoro che garantiva le maggiori certezze era
proprio quello dell'ingegnere. Nondimeno continuò per proprio conto gli studi a
lui prediletti: politica, filosofia, letteratura, come aveva fatto fino ad
allora. A Napoli si fece subito avanti nell'ambiente anarchico. Il movimento a
Napoli contava allora di un centinaio di aderenti. Si rifiuta di
partecipare al corso allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a quattro
mesi di carcere militare. Diserterà una seconda volta il 28 settembre 1916,
trovando rifugio nella campagna del beneventano in casa di un contadino.
Tornato a Reggio Calabria, il 5 marzo 1916 interruppe una manifestazione
interventista nella centrale Piazza Garibaldi, salendo sul palco e pronunciando
un discorso antimilitarista. Venne per questo motivo arrestato e condotto
presso il carcere militare di Acireale; sette mesi dopo venne trasferito presso
quello di Benevento. Da lì riuscì ad evadere grazie alla complicità di un amico
secondino. Fu tuttavia intercettato alla frontiera del confine svizzero; ancora
incarcerato, riuscì nuovamente nella fuga. Tocca il territorio svizzero, ma i
gendarmi lo condussero al carcere di Lugano. Giunte dalla Calabria le
informazioni su di lui, essendo un uomo politico, dopo quindici giorni fu
lasciato libero con la facoltà di scegliere il luogo di residenza. Indicò
subito Zurigo, dove sapeva di potere rintracciare Francesco Misiano, suo caro
amico e noto esponente politico socialista, anche lui accusato di diserzione. A
Zurigo trovò ospitalità presso la famiglia Zanolli, dove si innamorò della
giovane Pia, che diventerà sua compagna di vita. Durante il periodo di
esilio in Svizzera, Bruno svolgeva attività politica tenendo i contatti con
Luigi Bertoni e con altri gruppi anarchici elvetici, collaborando anche al
giornale: Il Risveglio Comunista Anarchico. Svolse una serie di conferenze in
varie città della Svizzera. Bruno si autoannunciava con un suo pseudonimo
anagrammatico Furio Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa socialista di
Militaerstrasse 36 e la libreria internazionale di Zwinglistrasse gestita dai
disertori Giuseppe Monnanni, Francesco Ghezzi e Enrico Arrigoni; in questi
ambienti conosce anche Angelica Balabanoff. Il 16 maggio 1918 venne
arrestato per un complotto inventato dalla polizia. Fu incolpato innocentemente
con l'accusa di avere fomentato una rivolta nella città e di «aver fabbricato
bombe a scopo rivoluzionario». Con lui furono arrestati diversi attivisti
politici, tra i quali lo stesso Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché
socialista e non anarchico). Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi
espulso dalla Svizzera. Grazie ad un regolare passaporto per la Germania,
ottenuto per ragioni di studio, si recò a Stoccarda.Lì entrò in contatto con
Clara Zetkin (che gli rilascia una lunga intervista sul movimento rivoluzionario
in Germania) e Vincenzo Ferrer. Nell'ottobre nel 1919 poté rientrare in patria,
in seguito all'amnistia promulgata dal governo Nitti. -- è a Napoli e poi a
Reggio Calabria. E un periodo intenso per la sua vita militante di Bruno
Misefari. A Napoli partecipò come oratore a molte manifestazioni, si prodigò a
favore dei suoi compagni colpiti dalla repressione, denunciò le provocazioni
della polizia; tenne numerose conferenze e comizi. Con il dentista anarchico
Giuseppe Imondi, stampò alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In autunno fu
chiamato a Taranto a svolgere il compito di segretario propagandista presso la
locale Camera del Lavoro Sindacale. Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921
ebbe stretti contatti con Errico Malatesta, Camillo Berneri, Pasquale Binazzi,
Armando Borghi, Giuseppe Di Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo e del
sovversivismo italiano. Nel 1921 si impegnò su più fronti per la campagna a
favore degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo e corrispondente
di: Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Errico Malatesta e collaborò
al periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Continuò i suoi studi a Napoli
con qualche salto a Reggio Calabria con la sua compagna Pia Zanolli, che sposò.
Si laureò a Napoli. Successivamente si iscrisse anche alla facoltà di
filosofia. Nonostante l'avvento del fascismo, fondò un giornale
libertario, “L'Amico del popolo,” che però dopo il quarto numero fu soppresso
dalle autorità. Nel primo numero del giornale,scrisse un editoriale dal titolo “Chi
sono e cosa vogliono gli anarchici.” Lo scritto è l'espressione del suo
pensiero libertario: «L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova
nella critica delle organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie,
e nel movimento progressivo dell'umanità e perciò non può essere una
utopia.» Da esperto di geologia, progettò per primo in Calabria
l'industria del vetro e fondò a Villa S.Giovanni, la prima vetreria in Calabria
(Società Vetraria Calabrese). In quegli stessi anni subì però persecuzioni
continue da parte del regime. Fu cancellato dall'Albo di categoria e non poté
più firmare progetti. Gli venne mossa l'accusa di avere «attentato ai poteri
dello Stato, per il proposito di uccidere il re e Mussolini». Fu prosciolto
dopo venticinque giorni di carcere. La polizia ravvisò in un discorso di
commemorazione durante il funerale di un amico (tra l'altro un industriale
fascista, Zagarella) un'ispirazione anarchica e pertanto lo propose per
l'assegnazione al confino. Fu arrestato, in carcere si sposa con Pia Zanolli,
fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza. Tuttavia sembra che tale
provvedimento fosse stato determinato da altri motivi. Misefari, che era
ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello sfruttamento su larga
scala di giacimenti di quarzo, materia prima per l'industria vetraria, che fino
a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai silicati stranieri. Assunto
come direttore tecnico della Società Vetraria Calabrese (di cui era stato
finanziatore e Presidente il succitato Zagarella) egli si era dovuto ben presto
scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del consiglio di amministrazione
che si schierò contro di lui con l'intenzione di eliminarlo in qualsiasi modo,
ricorrendo anche ad espedienti politici. Giustizia e Libertà, in un articolo
anonimo ddal titolo «Politica e affarismo. Il caso di un ingegnere libertario»,
attribuisce la causa del confino alle manovre dei suoi ex soci. Durante il
confino stringe amicizia con Torrigiani, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia,
il quale lo affilia alla Massoneria. L'amnistia del decennale del
fascismo lo liberò dal confino dopo due anni. Ma tornato in Calabria vide
il vuoto intorno a sé; scrive infatti a sua moglie: "Amnistiato sì, però a
quale prezzo: la salute sconquassata, senza un soldo, senza prospettive per
l'avvenire". Gli viene diagnosticata l'esistenza di un tumore alla testa.
Va e viene con la moglie da Zurigo a Reggio Calabria. Riesce a trovare il
capitale necessario per l'impianto di uno stabilimento per lo sfruttamento
della silice a Davoli (in provincia di Catanzaro). Le sue condizioni di
salute peggiorano a causa del tumore. Perde conoscenza, viene ricoverato in
stato gravissimo nella clinica romana del Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì
si spense la sera stessa. Ancora ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi
contro l'ingiustizia del mondo che lo circondava: Palizzi Superiore, un paese
tra i monti dove il castello feudale dei signori locali dominava la valle, dove
si ammucchiavano piccole e povere case desolate di contadini. E si ribellò a
quel mondo, costruito secondo quell'immagine topografica che portava impresso
nella memoria: sopra, chi comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E
ancora ragazzo cominciò a sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse
sovvertita prima, distrutta poi. Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo
marxistico o al socialismo libertario. Del primo apprezzava l'analisi
dell'antagonismo tra le classi, ma mostrava perplessità circa i mezzi proposti
dalla diagnosi marxistica per fronteggiare il pericolo di una rivincita
dell'avversario di classe. Inclinò perciò verso il socialismo libertario.
«Nel comunismo libertario io sarò ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono
oggi un amante del comunismo. L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità
umana. esso dunque è, e sarà sempre, ideale di rivolta, individuale o
collettivo, oggi come domani.» (Bruno MisefariTaccuino personale) La
scelta della diserzione fu coerente con il suo obiettivo di combattere non la guerra
degli stati, ma a fianco degli oppressi di tutto il mondo contro il loro
nemico, tenendo alta la bandiera dell'internazionalismo. Pur sottoposto senza
tregua alla persecuzione della polizia e all'inquisizione della magistratura,
fu sempre al suo posto accanto a coloro che lavoravano e soffrivano. Come ogni
rivoluzionario sincero e coerente, pagò col carcere e col confino la sua fede
in un ideale. Chi sono gli anarchici. SecondoMisefari, essere anarchici
voleva dire per prima cosa proclamare, contro ogni violenza, l'inviolabilità
della vita umana. Inoltre significava lottare per l'abolizione della proprietà
privata e a favore della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio.
Proprio per questo gli anarchici sono, di fondo, dei socialisti. A questo esperimento
di vita sociale andava affiancata la lotta contro lo Stato, che ne impediva la
realizzazione. E la lotta contro lo Stato non poteva essere vittoriosa se non
con la rivoluzione. Dunque gli anarchici sono socialisti, antistatali e
rivoluzionari. Elemento fondamentale della lotta, secondo Misefari, era
l'allargamento di essa alla sfera internazionale. È comunque una lotta che non
si fa violenta. Misefari è fortemente pacifista, contrario all'uso della forza
e della violenza armata. L'anarchico è inoltre antireligioso: la religione
infatti è considerata "fattore di abbrutimento per l'umanità".
Antimilitarismo Per Misefari la guerra è pura barbarie, speculazione
capitalistica consumata in nome dello Stato. «L'esistenza del militarismo
è la dimostrazione migliore del grado di ignoranza, di servile sottomissione,
di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata la società umana. Quando della gente
può fare l'apoteosi del militarismo e della guerra senza che la collera
popolare si rovesci su di essa, si può affermare con certezza assoluta che la
società è sull'orlo della decadenza e perciò sulla soglia della barbarie, o è
una accolita di belve in veste umana.» Religione La religione è
considerata come un anestetico delle facoltà critiche della mente umana. Sarebbe
proprio la religione a imprigionare le energie morali dell'uomo, a inebetire lo
spirito critico e di riflessione. Perciò i popoli più religiosi sarebbero i
meno progrediti e i più afflitti dalla tirannia, mentre, laddove la religione
sparisce, lì è florida la libertà e il benessere. «È il più solido
puntello del capitalismo e dello Stato, i due tiranni del popolo. Ed è anche il
più temibile alleato dell'ignoranza e del male.» È forte nel pensiero di
Misefari la volontà di sottolineare l'uguaglianza sociale tra uomo e donna. In
anni difficili e lontani dalle battaglie del femminismo di metà Novecento, egli
afferma che la donna nobilita e abbellisce la condizione di vita umana. È
dovere della donna lottare per risollevarsi da una condizione di inferiorità, che
è tale in virtù di un "delitto sociale" e non dovuta a leggi di
natura. «Donne, in voi e per voi è la vita del mondo: sorgete, noi siamo
uguali!» Misefari vive di sogni, di ideali. Nella sua concezione non
esiste un artista, che sia poeta, filosofo, persino scienziato, che si sia mai
messo al servizio della menzogna. Se tutti potevano essere vili, un artista non
poteva. «Un poeta o uno scrittore, che non abbia per scopo la ribellione,
che lavori per conservare lo status quo della società, non è un artista: è un
morto che parla in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli,
perciò deve essere eminentemente rivoluzionaria. Poesia composta da
Misefari: FALCO RIBELLE. Un giovane falco che drizza il libero volo Ne
l'alto, ove sono i fulgori di soli immortali Un giovane falco ribelle o
piccoli, io sono. Mi spinge ne' campi ignorati, un acre desio Di sante ideali
battaglie, di luce e di gloria. Mi splende nell'occhio la speme di certe
vittoria, Mi parla nel core la voce sinfonica, dolce D'un caro sublime
Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho giovini l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O
fulmini immani feroci, vi lancio la sfida. Voi soli potete pugnare col giovine
falco, Chè Luce, chè Forza, chè Vita multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi
vermi guazzate nel fango, Dal fango mirate del falco il libero volo.»
Frammenti «Prima di pensare di rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di
aver rivoluzionato noi stessi» «Ogni uomo è figlio dell'educazione e
della istruzione che riceve da fanciullo. Gli Anarchici non seguono le leggi
fatte dagli uominiquelle non li riguardanoseguono invece le leggi della
natura» «Prima l'educazione del cuore, poi l'educazione della
mente» «Socialismo vuol dire uguaglianza, vuol dire libertà. Ma l'uguaglianza
non può essere senza libertà; come la libertà non può essere senza
l'uguaglianza: dunque socialismo e anarchia sono due termini dello stesso
binomio, sono i due inseparabili fattori della redenzione proletaria.»
«Quando la giustizia non sarà la durda infame delle tirannidi, quando l'amore
non sarà deriso, quando il ferro non sarà legge e l'oro non sarà dio, quando la
libertà sarà religione e sola nobiltà il lavoro, allora, solo allora, il mio
rifiuto della guerra sarà benedetto.» «M'è questa notte eterna assai men
grave del dì che mi mostrò viltà dei forti e pecorilità di plebi schiave. Lungi
da quì il pianto: sto ben coi morti! (epitaffio) Opere complete Bruno Misefari,
Schiaffi e carezze, Roma, Morara, Bruno Misefari, Diario di un disertore, La
Nuova Italia, Entrambi i testi sono stati pubblicati postumi sotto lo
pseudonimo Furio Sbarnemi. Le schede biografiche di alcuni esponenti
anarchici calabresi, A/Rivista Anarchica, Antonioli, Antonioli, E.
Misefari. Antonioli, Pia Zanolli
era nata a Belluno. Dopo il matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei
sovversivi pericolosi, venendo poi arrestata col marito a Domodossola (cfr.:
A/Rivista Anarchica) Chi sono e cosa
vogliono gli anarchici, ed. settembre. Antonioli, Pia Zanolli,
L'Anarchico di Calabria, Roma, La Nuova Italia, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma,
ALBA Centro Stampa, E. Misefari, biografia di un fratello, Milano, Zero in
condotta, M. Antonioli, Gianpietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso,
Dizionario biografico degli anarchici italianiVolume 2, Pisa, Biblioteca Franco
Serantini, Bruno Misefari, Schiaffi, Carezze e altro, Pino Vermiglio, Laureana
di Borrello, Ogginoi, Furio Sbarnemi, Diario di un disertore, Camerano (AN),
Gwynplaine,,Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Horizons Unlimited srl. Bruno Misefari presso l'International
Institute of Social History di Amsterdam, su iisg.amsterdam,Fondo Bruno
Misefari presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su fondazionebasso.
04-02-. Gli anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio
Sacchetti. Bruno Misefari. Misefari. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Misefari” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Moderato – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Scuole
Pitagoriche Moderato di Cadice Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Moderato di Cadice è un filosofo italiano. A attivo in epoca neroniana.
Scrisse Lezioni pitagoriche, un'opera articolata in dieci libri, in cui
l'autore, rappresentante di quella scuola di pensiero che assommava nel
sincretismo ellenistico temi platonici, pitagorici, greci e orientali, pone in
antitesi la «Triade» spirituale, rappresentata dall'Uno, l'Intelletto, l'Anima,
alla «Diade» rappresentata dalla materia. Di tale opera ci restano solo alcuni
frammenti tramandatici da Stobeo. Sembra che le sue Lezioni ebbero una certa
influenza sul Neoplatonismo. Bibliografia F. Gascó La Calle, Un
pitágorico en Gades (Philostr., VA IV, 47-V, 10). Uso, abuso y comentario de
una tradición, sta in Gallaecia, 12, 1990 Collegamenti esterni Moderato di
Gades, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Guido Calogero, MODERATO di Gades, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1934. Modifica su
Wikidata Moderato di Gades, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata (EN) Moderatus of Gades,
su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
Controllo di autoritàVIAF (EN) 57001789 · CERL cnp00285221 · GND (DE) 102399778
· WorldCat Identities (EN) viaf-57001789 Categorie: Filosofi romaniFilosofi del
I secoloRomani del I secoloFilosofi spagnoliPersone legate a
CadiceNeopitagorici[altre]
Grice e
Modio – il disonore sessuale -- la filosofia del Tevere – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Santa Severina). Filosofo italiano. Grice: “Only in Italy a
philosopher writes a treatise on a river – although the Isis would not be out
of place for some Magdalenite!” – Grice: “His convito is a jewel!” – Seguace di
Neri. Originario di Santa Severina, borgo collinare della Calabria Ulteriore,
fu avviato agli studi di filosofia presso l'Archiginnasio di Napoli; in seguito
passò a Roma, dove si avviò agli studi in medicina divenendo allievo di
Fusconi. Modio frequenta gli ambienti
accademici, dove entrò in contatto con alcuni dei maggiori esponenti di spicco
di quell'epoca come Molza e Tolomei.
Pubblica la sua prima opera letteraria più famosa dal titolo I”l convito;
overo, del peso della moglie: un dialogo diegetico” (Roma, Bressani) -- ambientato
a Roma durante il carnevale della città capitolina, in cui viene trattato il
tema delle corna durante un convivio presieduto dall'allora vescovo di Piacenza
Trivulzio e a cui parteciparono anche Gambara, Marmitta, Benci, Selvago,
Raineri e Cesario. E altresì grande estimatore degli saggi di Piccolomini. Durante la stesura in lingua volgare di un
Operetta de’ Sogni, si ammala di febbre altissima. Si spense dopo qualche
giorno a Roma, nella tenuta di palazzo Ricci in via Giulia. Altri saggi: “Il Tevere, dove si ragiona in
generale della natura di tutte le acque, et in particolare di quella del fiume
di Roma” (Roma, Luchini) “Origine del proverbio che si suol dire "anzi
corna che croci" (Roma, A. degli Antonii,” Jacopone da Todi, I Cantici del
beato Iacopone da Todi, con diligenza ristampati, con la gionta di alcuni
discorsi sopra di essi e con la vita sua nuovamente posta in luce” (Roma,
Salviano). Prospetto autore, su edit16.iccu.. Modio, Il Tevere, cit., c.
45r Anno di pubblicazione della medesima
opera. G. Cassiani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.Sex, Gender and
Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being taken in the
study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights the impact
that recent scholarship has had in revealing innovative ways of approaching
this subject.In this interdisciplinary volume, twelve scholars of history,
literature, art history, and philosophy use a variety of both textual and
visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics, sexual
transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is
divided into three sections, which work together to provide an overview of the
influence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from politics
and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder deals with
issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part II: Sense
and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the senses and
emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image investigates
gender, sexuality, and erotica in art and literature.Bringing to life this
increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and Sexuality in
Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and early modern
gender and sexuality. SEX, GENDER AND SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALY Sex,
Gender and Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being
taken in the study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights
the impact that recent scholarship has had in revealing innovative ways of
approaching this subject. In this interdisciplinary volume, twelve scholars of
history, literature, art history, and philosophy use a variety of both textual
and visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics,
sexual transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is
divided into three sections, which work together to provide an overview of the
inf luence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from
politics and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder
deals with issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part
II: Sense and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the
senses and emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image
investigates gender, sexuality, and erotica in art and literature. Bringing to
life this increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and
Sexuality in Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and
early modern gender and sexuality. Dedication This collection is dedicated to
Konrad Eisenbichler, a true Renaissance man who produces bold and prodigious
scholarship in multiple research areas with grace, ease, and erudition. For
Konrad, sociability is correlated with scholarship. He has spent his career
creating communities and networks of scholars around the world. These networks
have been brought together through his tireless work for learned societies,
publication series, and journals. Konrad not only produces scholarship but is
also heavily invested in disseminating the scholarship of others. Scholarly
interests often have unusual and serendipitous origins. In a certain sense,
this collection began with a codpiece. Konrad’s first scholarly contribution to
the field of sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy developed out of a
casual conversation with a colleague who provided enthusiastic encouragement.
What resulted was a presentation playfully entitled “The Dynastic Codpiece” to
the Canadian Society for Renaissance Studies in 1987. He revised and published
it as “Agnolo Bronzino’s Portrait of Guidobaldo II della Rovere” (Renaissance
and Reformation, 1988), an article still cited thirty years later. In this
truly groundbreaking interdisciplinary piece, Konrad examined the overly large
codpieces worn by Renaissance men for the social and familial messages they
conveyed, showing how the messages passed between the generations in competing dynastic
portraits. The article established Konrad as a new and powerful voice in the
study of sex, gender, and sexuality in the Italian Renaissance. It also
illustrated beautifully how his scholarship is inherently interdisciplinary,
bridging and incorporating history and literature with artistic
representations. Konrad greets friends, colleagues, and students with warmth,
good humor, and generosity. A significant manifestation of his academic
hospitality is revealed in the multitude of conferences he has organized: forty
between 1983 and 2018. These are special events, international in nature, and
ref lecting the hostorganizer’s generosity. They are venues conducive to the
exchange of ideas and the formation of friendships. It is most appropriate that
the most recent of these focused on “Early Modern Cultures of Hospitality.” The
themes generally ref lect Konrad’s sense of the discipline and where it is
going; these conferences most often culminate in a significant collection of
essays, including Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern
West (1996; co-edited with Jacqueline Murray) which helped to promote the study
of sex, gender, and sexuality in the Middle Ages and Renaissance. Konrad has
made myriad contributions to individuals and institutions. His contributions to
Renaissance scholarship span social history, women’s history, religious
history, and literature. He publishes equally in Italian and English,moving
easily between scholarly cultures. A scholar with a global reach, he interacts with
colleagues spread across North America, to Italy and Europe more broadly, as
well as Australia and South Africa. The heart of his many contributions to the
study of Italian Renaissance society lies in his research on sex, gender, and
sexuality. In recognition of that, some of his friends and colleagues joined to
celebrate Konrad’s creativity, scholarship, and friendship with essays that
demonstrate the creative developments in the field since that fateful codpiece
three decades ago. We are honored to dedicate this volume to Konrad
Eisenbichler in recognition of his extraordinary contribution to Renaissance
society and culture. Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy: themes
and approaches in recent scholarship Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraix
xi xii1PART ISex, order, and disorder192 The lord who rejected love, or the
Griselda story (X, 10) reconsidered yet again Guido Ruggiero213 Sexual violence
in the Sienese state before and after the fall of the republic Elena Brizio354
In the neighborhood: residence, community, and the sex trade in early modern
Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra535 Though popes said don’t, some
people did: adulteresses in Catholic Reformation Rome Elizabeth S. Cohen Sense
and sensuality in sex and gender 6 “Bodily things” and brides of Christ: the
case of the early seventeenth-century “lesbian nun” Benedetta Carlini Patricia
Simons 7 In bed with Ludovico Santa Croce Thomas V. Cohen 8 Aesthetics, dress,
and militant masculinity in Castiglione’s Courtier Gerry Milligan9 The sausage
wars: or how the sausage and carne battled for gastronomic and social prestige
in Renaissance literature and culture Laura Giannetti Visualizing sexuality in
word and image18110 Gianantonio Bazzi, called “Il Sodoma”: homosexuality in
art, life, and history James M. Saslow18311 Vagina dialogues: Piccolomini’s
Raffaella and Aretino’s Ragionamenti Ian Frederick Moulton21112 Giovan Battista
della Porta’s erotomanic art of recollection Sergius Kodera22713 “O mie arti
fallaci”: Tasso’s saintly women in the Liberata and Conquistata Jane
Tylus247Bibliography of Konrad Eisenbichler’s publications on sex and gender The editors would like to thank Vanessa
McCarthy who donned two hats for this project, that of an author and that of
editorial associate. Her scholarly knowledge and administrative expertise
contributed significantly to the preparation of this volume, and we’re grateful
for her dedication and expertise. We would like to thank the editorial team at
Routledge for their support and guidance over the course of this project. Laura
Pilsworth guided it through its inception and commissioning, while Lydia de Cruz
shepherded it through the final stages of preparation and production, assisted
by Morwenna Scott. The University of Guelph and the University of Toronto
provide generous support for the research activities of Jacqueline Murray and
Nicholas Terpstra respectively. Thanks as well to the congenial group of
scholars whose work is collected here. While editing collections is sometimes
likened to herding cats, these colleagues were responsive, generous, and
patient. Above all, they were enthusiastic about the opportunity to contribute
to a collection which could serve as a gift to a friend and colleague, Konrad
Eisenbichler, who has himself been the soul of generosity. We are honored to
have worked with you all. Themes and approaches in recent scholarship. From the
mid-nineteenth through the mid-twentieth centuries, the Italian Renaissance was
approached almost exclusively as a period of learning, elegance, and manners as
ref lected by the arts and letters of the time. In The Book of the Courtier
Castiglione’s perfect courtier embodied virtù and sprezzatura, the two
qualities that epitomized Renaissance masculinity. Elite men were celebrated
for their bravado, skill, and insouciant nonchalance, whether these were
exercised on the fields of battle, the production of art or poetry, or the
seduction of women. Castiglione also details the qualities of the ideal court
lady, a woman valued for her beauty and affability along with her manners,
intellect, and ability to please men. These qualities were appreciated equally in
another group of notable women, the courtesans whose beauty and literary
accomplishments were acclaimed by poets and artists alike. Thanks in part to
the enduring inf luence of Jackob Burckhardt’s Civilisation of the Renaissance
in Italy (1860; English translation 1878), this idealized portrayal of
sixteenth-century Italian men and women dominated twentieth-century
historiography and shaped how a number of generations understood sex, gender,
and sexuality in the Renaissance. The idealized creations of Castiglione and
Burckhardt, their princes and poets, court ladies and courtesans, appeared as
the bright stars in the Renaissance firmament, and contributed to the lure of
the field. Yet all along they were chimeras, stereotypes created by Renaissance
elites and perpetuated by modern scholars of Renaissance culture. Even when
individuals appeared to embody these ideal qualities, they were the exceptions,
standing apart from thousands of their contemporaries, urban and rural, rich
and poor, educated and illiterate, respectable and disreputable. The idealized
courtier, court lady, and courtesan obscure everyday life in Renaissance Italy.
In the 1970s, scholars began to ask new questions that ultimately led to a
recalibration of research on the history of sex, gender, and sexuality in
the2Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraRenaissance. One of the earliest
collections was Human Sexuality in the Middle Ages and Renaissance (edited by
Douglas Radcliff-Umstead, 1978), which includes topics that are wide ranging and
represent a variety of disciplinary perspectives. They include sexuality within
marriage, sexual sins and eroticism, celibacy, hermaphrodites, homosexuality,
and how the human body was understood. These essays from the 1970s foreground
important questions about sex, gender, and sexuality in the past. Yet their
scope and insights are constrained. Most essays are based on close, summative
readings of literary texts from Dante and Chaucer to Shakespeare and other
imaginative authors, but these close readings of texts lack the
contextualization or critical perspective to enhance their insights. While the
occasional essay engages with multiple sources and genres, the absence of
critical theoretical and interdisciplinary analysis inhibits the development of
a more comprehensive picture of how issues of human sexuality were actually
addressed at this time. Significantly, however, the authors did identify
emerging themes that would become central to the study of sex, gender, and
sexuality. This collection opened the way to the study of topics such as the
nature of the sexed human body, the complexities of celibacy as a sexuality,
and the f luidity of sexualities and genders. While prescient in research
subjects, the authors did not employ the theoretical and methodological tools
that developed soon after publication, tools that were necessary for deeper and
more complex analyses of sex, gender, and sexuality. These tools were being
forged with the new theories and methodologies of the 1970s that were opening
new research subjects and that led to innovations and new definitions of the
individual and the self. A series of studies in that decade revolutionized
scholarship and have continued to have a transformative inf luence on the
understanding of the history of sex, gender, and sexuality into the
twenty-first century. The most inf luential authors behind this work perceived
the Renaissance to be more complex both in the quotidian aspects of daily life
and also in extraordinary behaviors. In 1978, the first volume of Michel
Foucault’s The History of Sexuality occasioned both excitement and
consternation among historians of sex. Foucault, a philosopher and leading
post-structuralist scholar, wrote extensively on social construction and social
control in European society, including studies of prisons, madness, and
surveillance. These perspectives informed his ref lections about the
construction and control of sexuality in the European past. Indeed, Foucault’s
intervention challenged scholars to reexamine their approaches to sex and
sexuality. Another major contribution to the recalibrating of historical
studies of sex, gender, and sexuality was John Boswell’s Christianity, Social
Tolerance, and Homosexuality (1980). Boswell demonstrated that in the premodern
world there were men who engaged in homosocial and/or homosexual relationships,
although traditional history had obscured them behind the ecclesiastical
rhetoric of homophobia. Boswell argued that there were gay men throughout
premodern Europe but his methodology and conclusions were criticized as
essentialist and lacking the appropriate consideration of context and cultural
inf luences such as Foucault had urged. Nevertheless, despite criticismsSex,
gender, and sexuality in Renaissance Italy 3about essentialism, Boswell did
uncover homosexual (sodomitical) and homoaffective men across society,
integrated into both clerical and secular societies. In this way, Boswell
forged a path for scholars to search for and analyze multiple sexualities that
had been overlooked by traditional history or were obscured by the absence of
explicit evidence. One of the most telling criticisms levelled at both Foucault
and Boswell was their neglect of gender as a category of historical analysis.
Arguably, men and women experience the world differently according to how
society evaluates and constructs women. This applies equally in the realm of
sex and sexuality, which is neither natural nor essential. Foucault paid scarce
attention to women’s alternative experience of social construction and surveillance
of sex and sexuality. Similarly, while lauded for opening the past for research
on homosexuality, Boswell was criticized for eliding lesbians and other
non-normative women under the category “gay,” thus perpetuating their
invisibility. A more refined and incisive analytical framework emerged out of
these debates. What began as women’s history in the 1970s, with the goal of
recuperating women in the past, transformed into the critical lens of feminist
studies, which analyzed the institutions and structures that restricted or
shaped their lives, or contributed to their invisibility in historical
scholarship. The other significant theoretical contribution to the new study of
sex, gender, and sexuality falls under the rubric of cultural studies. This is a
multifaceted approach emerging from literary studies, postmodernism, discourse
analysis, and other theoretical perspectives that provided scholars with new
linguistic and analytical tools. This versatile and complex perspective also
encouraged explicitly interdisciplinary research which suits the intricate
nature of sex, gender, and sexuality. As a result, there is a richer sense of
the possibilities that were available for the lived reality of sex, gender, and
sexuality and an expanded ability to study and evaluate the values, beliefs,
and experiences of people in the past. These innovations emerged at a time when
the traditional Burckhardtian narratives were being widely criticized by
political, social, and intellectual historians, and by the mid-1980s new
scholarship was appearing that brought new insights to sex and gender in the
Italian Renaissance. They applied methodologies that bridged differences in
social and economic status, sex, sexuality, and gender, geography, and
religion. While the traditional sources of high culture—art and literature in
particular—continued to provide a valuable foundation for understanding the
rich cultural life and artefacts of the Renaissance, new analytical approaches
yielded new insights. Diverse sources of evidence—court records, letters,
chronicles, and Inquisitorial documents, among others—provided access to new
populations including servants and prostitutes and the inhabitants of the
streets and taverns of myriad Italian towns and cities. These new critical
studies were a prelude to the research that would appear in the next two
decades. Guido Ruggiero’s The Boundaries of Eros: Sex Crime and Sexuality in
Renaissance Venice (1985) early on demonstrated how new methodologies and new
sources were able to reveal hitherto unexplored worlds of Renaissance sex,
gender, and4Jacqueline Murray and Nicholas Terpstrasexuality. Ruggiero examines
the wide variety of sex crimes that were committed in Venice and he analyzes
the various courts and disciplinary councils which enforced the laws, including
those pertaining to sexual transgressions. The records reveal an intricate and
contradictory approach to regulating sexuality that extended from conventional
acts such as adultery and fornication to more egregious behaviors including rape
and sodomy. Ruggiero’s essays meet the challenges and opportunities posed by
Foucault and Boswell, by feminist history and gender studies. His
interdisciplinary reading of the evidence, ranging from the many cases
discussed by the criminal courts, along with careful analysis of individual
testimony, widened the scope of enquiry. Ruggiero’s discussion reveals the rich
detail about individuals, as they negotiated the social norms of sexuality and
gender. He brings readers to an understanding of the social context and how
individuals were integrated into their local communities and that of wider
Venetian society. The movement towards more sophisticated, nuanced, and focused
considerations is also ref lected in Forbidden Friendships: Homosexuality and
Male Culture in Renaissance Florence (1996) by Michael Rocke. In many ways,
Rocke took on the challenge presented by John Boswell to identify men who had
sex with men in their social contexts. Rather than othering them or pulling
these men out of their community, Rocke engages with homosexuality as an
integral part of Florentine society and culture. He examines seventy years of
documentation from the “Office of the Night,” which was established to oversee
denunciations of homosexual (sodomitical) activity. This allowed Rocke to trace
the nature of relationships between men, how they were treated by society, how
and why they were denounced to the court, and the penalties levied. His
scholarship reveals that, despite the harsh evaluation of sodomy in
ecclesiastical law and in various secular jurisdictions, Florence displayed
remarkable tolerance. Where Boswell’s research had scanned 1000 years of
European history, seeking to identify men who were possibly homosexual, Rocke
analyzes deep and focused sources to identify a specific group of men, applying
sophisticated theoretical and methodological tools to reveal new understandings
of non-normative sexuality in the Italian Renaissance. Judith Brown’s Immodest
Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy (1986) similarly
contributed to the new approaches to sexuality and identity. She focused on
non-normative sexuality, although in a unique context. Here the background is
not the streets, homes, and markets of the large, cosmopolitan cities of
Renaissance Italy. Rather, Brown’s subjects lived within the walls of a
convent, separated from the worldly temptations of secular life. Yet, even in a
community of women vowed to chastity, Brown finds convoluted self-identities
and a sexual relationship between two women that was transgressive and
multivalent. The case of the “lesbian nun” Benedetta Carlini was instantly
controversial. Could two nuns possibly have a conscious lesbian sexual
identity, given the social norms and religious context in which they lived?
This is the same criticism that greeted John Boswell’s assertions about “gay”
men in premodern Europe.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 5There
was widespread agreement that categories such as gay or lesbian were products
of late twentieth-century Western society and to impose them back in time was
anachronistic and misleading. Moreover, in this case, the individuals evoked
far more questions than those of sexual identity or sexual activity, with a
relationship complicated by angelic possession and mystical visions. The debate
surrounding Carlini’s activities and identities continues, as Patricia Simon’s
essay in this collection demonstrates. Yet one of the most enduring
contributions of Brown’s study, for the history of sexuality and gender, is her
ability to cross 600 years and engage intimately with individuals of the past.
This is a history of two nuns, in an out-of-the-way convent, who experienced
rich and problematic inner lives, beyond what might be expected. Whether the
women can be categorized as “lesbians” does not dispel the impact of
recuperating lost women and a lost past, the meaning and implications of which
continue to attract scholarly analysis. The profound transformation that
occurred between 1978 and 1996 in the study of sex, gender, and sexuality in
premodern Europe began with the recognition of new topics and moved to a more
rigorous application of the intervening theoretical and methodological insights
of Foucault and Boswell, of feminism and cultural studies. If the former
approach is exemplified by essays collected in Human Sexuality in the Middle
Ages and Renaissance (1978), the latter is evident in the essays in Desire and
Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West (edited by Jacqueline
Murray and Konrad Eisenbichler, 1996). This volume stresses that human behavior
manifests both continuities and transitions that can be independently evaluated
and separated from arbitrary and obsolete periodization. Many essays integrate
traditional periods moving seamlessly into a premodern world. Some essays rely
on traditional Renaissance evidence but deploy law, art, and literature to
examine new research questions. Rona Goffen examines Titian’s frescoes to
explore misogyny. Other authors address innovative, even bold or cheeky themes.
Feminism and critical theory are deployed throughout the collection. The
usefulness of interdisciplinarity to reveal new aspects of society and cultural
experience is equally evident. Dyan Elliott’s reexamination of the reciprocity
of the conjugal debt, the notion that a husband and wife have equal call on
their spouse for sexual access jostles the foundations of premodern marriage.
Rather than accepting the idea that a married couple’s sex life was balanced
and equitable, Elliott concludes that wives were subordinate even in bed and
had no right to refuse sexual intercourse. Ivana Elbl examines the doubly
transgressive sexual liaisons among Portuguese sailors to Africa. Sailors, who
were often already married with families in Europe, frequently formed enduring
relationships with African “wives,” transgressing both Christian monogamy and
establishing irregular relationships with non-Christian women. Significantly,
in Africa these unions were ignored or tolerated by Portuguese leaders,
ecclesiastical as much as secular. More theoretically adventuresome is Nancy
Partner’s exploration of the psychological dimensions of sexuality. She applies
contemporary psychological theory, in particular Freud, to assess the sexual
dimensions6Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraof mystics and their ecstatic
visions. Even the realm of masturbatory pornography is probed through Andrew
Taylor’s critical reading of marginalia and other physical marks and stains on
manuscript pages which could ref lect the sexual responses of readers to the
texts. The essays in Desire and Discipline reveal the richness, diversity, and
intellectually invigorating research that in just two decades had made the new
field of sex, gender, and sexuality one of the most exciting areas in
Renaissance studies. While ref lecting new research areas, the roots of which
can be found in the theoretical and methodological innovations in the late
twentieth century, the essays in Desire and Discipline build upon traditional
topics and themes and frequently employ conventional Renaissance sources, to
stimulate a metamorphosis of old research perspectives into new and innovative
ones. Thus, the ideal courtier has become a man subject to gender-based
analysis while the lens of feminist analysis reveals the court lady to be not
so much an equal but rather a pale, subordinate shadow to the courtier.
Similarly, freed from her artificial manners and learning, the courtesan is
revealed as a masculine fiction sanitized from the precarious and harsh life of
Renaissance prostitutes. The last quarter of the twentieth century, then, was a
watershed for the historiography of sex, gender, and sexuality. Pioneering
scholarship foreshadowed issues that would preoccupy later scholars and set the
trajectory for subsequent research. This scaffolding of new research questions,
theories, and methodologies has resulted in creative approaches that are
rapidly transforming the field. While monographs have been, and continue to be,
written about sex, gender, and sexuality in the Renaissance, it seems that
these topics, at this point in the evolution of scholarship, lend themselves
more readily to the genres of essays or journal articles. The essay form allows
scholars to analyze focused bodies of evidence and arrive at conclusions that
are precise and demonstrable. Presumably, at some point these focused studies
will coalesce into broader discussions leading to more generalized conclusions.
For the moment, however, the essay collection remains the most significant
means for the dissemination of research. Two essay collections in particular
demonstrate the very promising new approaches to research into sex, gender, and
sexuality in the twenty-first century. In A Cultural History of the Human Body
in the Renaissance (2010), Katherine Crawford provides a chapter that offers
redirection from the perspectives of Foucault. She points back to the important
role of classical literature, mediated by Christian values, in the formation of
beliefs about sexuality and marriage, and classical medical literature which defined
the sexed body. In A Cultural History of Sexuality edited by Bette Talvacchia
(2011), nine essays address a wide variety of questions about Renaissance
sexuality as they emerge from diverse sources. Essays focus on the troubled
categories of heterosexuality and homosexuality, and sex with respect to
religion, medicine, popular beliefs, prostitution, and erotica. Collectively,
this collection opens wide the possibilities in the study of sex, gender, and
sexuality.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 7In order best to
demonstrate how recent work has reshaped and advanced the field of sex, gender,
and sexuality in Renaissance Italy, we have organized the essays of this
collection into three sections. The first, “Sex, Order, and Disorder,” deals
primarily with issues relating to legal and political themes, and particularly
with efforts by authorities both political and ecclesiastical to channel or
control sexuality. The second section, “Sense and Sensuality in Sex and
Gender,” highlights recent work that has taken some of the turns that are
rewriting historical narratives generally, above all histories of the senses,
of the emotions, and of food. The third section, “Visualizing Sexuality in Word
and Image,” considers how we work with early modern f luidity around identities
and boundaries, and whether we might now be more restrictive than they were in
categories that we bring to our analysis.Sex, Order, and Disorder One of the
most obvious sites of sex and disorder in Renaissance Italy surely lies with
the buying and selling of women’s bodies. Burckhardt’s perspective that
courtesans were elegant, intellectual companions, surviving more on sexual
titillation than selling their bodies, has endured, despite the inf luence of
feminist research. In particular, Veronica Franco was seen as an elegant,
ideal, and appropriate companion for Renaissance princes.1 Much research on
courtesans has focused on Franco and her courtesan sisters. It highlights the
courtesan’s learning, ability to write poetry and sing pleasing songs, and,
most importantly, to entertain men while avoiding becoming common sexual
property and losing their allure and their living. Tessa Storey adheres to the
older view, assessing the social status of courtesans, suggesting that they were
linked to “elite manhood and male honor,” idealizing the relationships between
clients and courtesans who were certain that proximity to powerful men would
protect them.2 However, the other side of courtesan life was a precarious one
of dependence and fear of falling into common prostitution. Social and criminal
vulnerability highlights the lives of all prostitutes, include high status
courtesans. Even Franco was called before the courts to account for her
behavior. More vulnerable courtesans and prostitutes lived precariously, prey
to men of all sorts, accosted in the streets, and struggling to support
themselves and maintain their dignity. The records of their appearances before
the courts reveals they often managed without protectors or financial security.
3 Early on Elizabeth Cohen examined the rough and ready life of prostitutes on
the streets of Rome, revealing a form of sociability and social integration.4
Diane Yvonne Ghirardo brings an innovative approach to the role and experience
of urban prostitutes. She examines urban planning in Ferrara, revealing the
city’s ongoing attempts over decades to maintain prostitutes in the same
locales.5 Focusing on the economics of prostitution in Venice, Paula Clarke
finds that regulation of prostitution became less rigorous over time, with
women experiencing more freedom and the concomitant growth of the sex
trade.68Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraGuido Ruggiero opens the section
“Sex, Order, and Disorder” in this collection with a broader approach to order
and disorder in sexuality. He offers a rereading of Boccaccio’s often-studied
story from the Decameron of Griselda, a woman who patiently endures the series
of humiliations that her husband Gualtieri devises in order to test her
faithfulness. The critics and creative artists who have puzzled over the tale
and its meaning for centuries have focused mainly on Griselda and on issues of
class and gender. Ruggiero moves a step further to ask how those who heard it
in the fourteenth century might have received it as a political message.
Gualtieri is not only a cruel husband. His willingness to be cruel and unjust
to his spouse Griselda highlights the dangers that all may encounter when
societies fall under the control of rulers who are narcissistic, vain, and
insecure. Florentines could look around to other cities where lords treated
citizens as Gualtieri treated Griselda; sexual and political violence were interchangeable
and marriages were contracted for money rather than love. There was no reason
to suppose that Florence would be exempted from that kind of cruelty and
exploitation. The Griselda story offered the lessons of a Mirror for Princes,
but it was also a Mirror for Merchants, warning them of what would happen when
love did not animate their closest personal relationships. What Boccaccio
warned the Florentines about in the fourteenth century was precisely what the
Sienese were experiencing in the sixteenth. Elena Brizio observes that sexual
violence remained common across Italy. Men used it as a tool to control girls,
boys, married women, and widows. In the context of the wars of the 1550s, when
Florence annexed Siena, its political “use” expanded greatly. Sexual violence
was a means of imposing or confirming power over subordinates, and men across
the political, ecclesiastical, mercantile, and professional spheres considered
sexual violence a legitimate mode of operating in their social sphere, and so
exercised it freely. In contrast to what Boccaccio described, the absolute
ruler who came to dominate mid-sixteenth-century Siena positioned himself on
the opposite side of the dynamic. Duke Cosimo I de’ Medici proclaimed strict
punishments for sexual violence against both men and women in a law of 1558,
threatening either death or galley servitude for those convicted. Brizio
describes this setting and moves from metaphor to practice as she reviews
archival sources, judicial records, and public reports to see how sexual
violence was perceived before and after the law issued in 1558. Duke Cosimo I
was dealing with more than just a different political milieu, and Brizio also
explores whether the changes in the normative codes brought about by the
Council of Trent had an impact on social attitudes to sexual violence in Siena
and its locale. Normative codes were becoming more explicit and restrictive
across Italy in the sixteenth century, but did they have much actual effect?
Like Cohen, Ghirardo, and Clarke, Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra
document and analyze the sex trade in a particular city. Their focus is on
working-poor prostitutes’ residential patterns in early modern Bologna, and
they find that on the whole these women were integrated into, rather than
pushed to the margins of, their local neighborhoods and the wider city.
Bologna’s activist and ambitiousSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy
9archbishop Gabriele Paleotti was rebuffed when he attempted to impose
Tridentine norms for public sexuality. The Bolognese instead approached
regulation as a matter of market rather than morals, allowing those prostitutes
registered with a civic magistracy to practice prostitution almost anywhere
within the city walls. While about half of the 300–400 women registered
clustered in specific, unofficial red-light neighborhoods, the other half lived
on streets with only one or two other registered prostitutes, where their
neighbors were more often workingpoor men and women. In spite of the strict
normative codes that continued to be preached and publicly posted by
ecclesiastical authorities, prostitutes were seldom actually shunned or
marginalized because of their sex work. They were more often incorporated into
the working-poor neighborhoods and the larger social fabric of early modern
Bologna. These tensions between norms and practice certainly intensified as
Tridentine rules became more specific, and as ecclesiastical and public regimes
worked to determine whether and how to implement them. In Rome, these authorities
came together in particularly complicated ways. Elizabeth Cohen explores how
they attempted to address and adjudicate the various forms of sexual
impropriety that their normative codes were describing in ever more precise
detail. Sexual misconduct came under the jurisdiction of ecclesiastical courts,
but the records of these courts do not survive in Rome. Criminal court records
do survive, however, and since these took charge of some sex offenses we can
see how people responded to the new rules. Cohen looks in particular at cases
of adultery, which was often defined by the married status of the woman and
which, like sodomy, could actually cover a broader range of actions than might
be grouped today under the term. Reviewing some trials of real or imagined
adulterous relationships, Cohen finds that it is impossible to determine how
effective the “reforms” actually were. There was simply more driving these
relationships forward than any narrow definition allows: romance, exploitation,
assault, and sheer comedy all shape the court testimonies, and show that the
parties in many so-called adulterous relationships were thinking less often of
sex—or the pope—than authorities thought.Sense and Sensuality in Sex and Gender
The possibilities for research on sense and sensuality in the Italian
Renaissance are myriad. The richness and abundance of voices, producing or
employing sensual outcomes, and the voices of desire and of sex and of pleasure
combine into a garden of delights. Here again, recent essay collections prove
particularly valuable for the variety of forms, voices, and experiences that
they are able to convey. In The Erotic Cultures of Renaissance Italy (2010)
Sara Matthews-Grieco gathers eight essays that ref lect upon the various ways
in which visions of sensuality could circulate, including on painted furniture,
decorated bedroom ceilings, or musical instruments, erotic language, or
pornographic engravings. So, too, cultural practices are explored such as
sensuality within marriage, music in domesticcontexts, and sexual innuendos in
writing or in doodles in a book. This collection, then, reveals how creative
Renaissance people could be in demonstrating desire and articulating their
sensual pleasures. Sexual orientation and sexual desire have also come under
scrutiny. A significant collection of essays edited by Melanie L. Marshall,
Linda L. Carroll, and Katherine A. McIver, Sexualities, Textualities, Art and
Music in Early Modern Italy, brings together nine essays that explore sexual
desire and sexual orientation through multilayered and intersecting
interpretations of art, music, and texts. The result is an intriguing
collection of scholarship that maximizes opportunities for interdisciplinary,
collaborative research across the disciplines, as an outgrowth of work on
critical theory and intertextuality. In a more literary context, marriage
orations have revealed some writers not only praised marriage in conventional
terms for political ends, social expediency, and the delights of family.
Alongside extolling the pleasures of the marriage bed for a husband, some
extend that vision of sensuality and sexual pleasure to the wife as well,
challenging conventional notions that only prostitutes took pleasure in sex,
and not respectable matrons.7 The sensual possibilities of homosexual
activities, especially related to male prostitution, were part of Michael
Rocke’s study Forbidden Friendships. He argues that male prostitution was
harshly condemned, especially anal penetration, as something no adult man
should permit. Nevertheless, an examination of some contemporary writers
reveals an appreciation of homosexual sensuality along with defenses of sodomy
and male prostitution which harkened back to the superior evaluation of
homosexuality in classical literature.8 The role of pedagogical pederasty and
its celebration within Renaissance mentoring systems has equally been explored
in literary sources by Ian Moulton who demonstrates the currency of such studies
to both a popular and educated audience.9 These studies show that while male
sexuality has been visualized, both in the Renaissance, and by scholars of the
Renaissance, as virile and active, it was also vulnerable and contingent. For
example, castration was always a possibility in war, for medical reasons, as a
consequence of vendetta, or for social or aesthetic reasons.10 Impotence also
was part of male sexuality, with extensive social, economic, and political
ramifications. Some of these issues are explored in Sara F. Matthews-Grieco’s
edited volume Cuckoldry, Impotence and Adultery in Europe (15th–17th century) Impotence
could be implicated in social unrest among urban dwellers or occasion political
turmoil among the elites. It could be physiological, subject to medical
intervention, or magical leading towards the Inquisition and the Renaissance’s
fear of witchcraft. Six essays focus on various aspects of the social,
cultural, political, medicinal, and literary discussions of impotence in
Italian courts and cities, together providing an integrated and provocative
view of male sexuality and sensuality. The essays in this collection’s second
section, “Sense and Sensuality in Sex and Gender,” traverse back and forth
between literature and the lives of men and women. Our literary accounts span
what was formerly cast as the division ofhigh and low, including both Castiglione’s
serious prescriptions on when a sleeve is more than just a sleeve, and also
some more comic accounts by lesser-known poets of when a sausage is more than a
sausage. We pair these with two microhistorical accounts of sexual pairings,
one grown notorious in recent decades by the controversies that erupted when it
was first published, and the other more obscurely quotidian. We aim in bringing
them together to revisit what scholars may bring to such accounts, and how that
shapes our readings in ways we may want now to rethink. In the first of these
microhistorical studies, Patricia Simons re-examines the case of Benedetta
Carlini, the early seventeenth-century nun and abbess described above and made
famous in Judith Brown’s Immodest Acts (1986). When Brown identified Carlini as
a lesbian, on the basis of documents that showed her as having regular orgasmic
sex with a younger nun under her supervision, her work stirred controversy.
Historians like Rudolph Bell firmly rejected the description of Carlini as
“lesbian” on the basis that sexual activities did not imply sexual identities.
Simons takes the discussion a step further, arguing that the question of
identity is less important now than one related to sense and emotion. Did
they—and should we—see their sex as mainly physical? Or were there registers of
erotic mysticism that would have led both Benedetta and Mea to frame their
contact together as expressions of a spiritual relationship? While some of
their contemporaries, like some of ours, may see their religious language as
pretext, what happens when we take it seriously and take them sincerely? As the
example of their congregation’s patron saint St. Catherine of Siena showed,
medieval mysticism provided enough of a language and model for the erotic potential
of religious imagery. Thomas V. Cohen then explores another example of when we
need to ask whether a transgression is always a transgression, by looking at
the case of Ludovico Santa Croce, and the gang he gathered around him to prowl
the streets of Rome. The life lived well needed witnesses for validation, and
Ludovico’s ego amplified his other drives as he led a group of young conversi
to visit the statuesque courtesan Betta la Magra. They shared food, drink, and
more, and Ludovico’s boundary crossing brought him to court. But what were his
transgressions? Was it just proper and improper sexual practices, was it
individual intimacy moving to group sex, was it about commoners and nobles, or
about Christians and those who, despite having been “made Christian” were still
considered in some way ebrei ? If transgression lies in in the eyes or voices
of the witness, we have here a complicated intersection of identities and
codes, values and practices. The questions here, as in Benedetta Carlini’s
convent, lie with what those in the bed and those around it thought about norms
and deviances. Gerry Milligan brings us to what many consider the uber code of
the early modern male, Baldassare Castiglione’s Book of the Courtier, the
canonical text that we noted at the beginning of this essay. Milligan looks in
particular at the relation Castiglione draws between clothing and masculinity.
Clothing was fundamental to Renaissance discourses of gender and sexuality.
While it wascommon to read that what men wore was critical to discussions of
violence, military preparedness, and virtue, it’s not at all clear just how
clothing was supposed to do what it did. Was it cause or effect, or sign and
symbol of masculinity or effeminacy? Castiglione saw clothing choice as
potentially one of life or death, and that not just for reputation alone. As
Italy suffered through the invasions of French, Spanish, and Germans, it was
common, albeit perhaps too easy, to correlate a soldier’s effectiveness to what
he had worn. As Milligan asks, might a focus on clothing show us how aesthetics
and militarism functioned in Renaissance projects of social control? Laura
Giannetti then takes us from dead seriousness to dietary satire with approaches
to a question that Freud might well have faced: is it ever the case that a
sausage is just a sausage? Italians valued word play as much as sexual play,
and found the convergence of the two absolutely compelling. Carne was meat, f
lesh, and inevitably the male organ, and while mendicant preachers may have condemned
all of them together, most Italians appreciated them individually for each of
their meanings. Religious authorities never managed to expand the imaginative
forms of their dismay at the gluttony and carnality that sausages represented;
the most they could do was draw on Galen’s counsel of moderation to reinforce
their message of self-denial. Yet Gianetti shows that authors and artists who
were more aesthetically than ascetically driven began to explore the
imaginative potential of sausages as symbols of vitality, fertility, and
prowess. Their poems and stories disseminated messages of a humble meat that
grew into a powerful cultural symbol.Visualizing sexuality in word and image As
early as 1978, Thomas G. Benedek’s article “Beliefs about Human Sexual
Function” examined ideas about the sexed body, noting in particular the
persistence of the one-sex theory that women and men had parallel sex organs,
with the male organs externalized and female organs internalized. Moreover, the
balance of the humors—hot, cold, moist, dry—also impacted the nature of any
individual’s sexual makeup. Thomas Laqueur, like previous scholars, based much
of his argument on medical texts. It was not only the words, but also the
images that seemed to portray inverted genitals. Laqueur’s analysis went
further, however, to the conclusion that the one-sex body and the humors meant
that both women and men needed to ejaculate semen for conception to occur.11
Laqueur’s suggestion that Renaissance doctors and others believed in the two-seed
theory was controversial and stimulated a great deal of scholarship on both
science and medicine and gender and the body. Interest in the sexed body and
the physicality of sex and sexuality has continued to expand, embedding medical
perspectives of the sexed body into a cultural context. In her study The Sex of
Men (2011), Patricia Simons extended the critical study of men’s history to
focus on the physiological construction of men. Her analysis is based upon
exhaustive, interdisciplinary research includingtheoretical, textual, and
visual evidence. Simons re-focuses attention on the centrality of semen to
masculinity and fertility, thus rebalancing the dominant phallocentric
evaluation of premodern gender. Sexual acts and sexual pleasure have embraced
topics and methodologies that would have been unthinkable by earlier scholars.
The collection Sex Acts in Early Modern Italy (2010), edited by Allison Levy,
includes an amazing array of topics that illuminate sexual activities in new
detail. Renaissance images and objects portray an imaginative array of sexual
positions in sources, both textual and physical, ranging from Aretino’s writing
on sexual positions to their portrayal on medicinal drug jars. Patricia Simons
pushes the cultural history of sex and sexuality further in her essay about the
dildo. An analysis of the physical objects is set against descriptions of their
imagined use. Renaissance books were sufficiently explicit, however, that the
need for visualization was unnecessary. In Machiavelli in Love (2007), Guido
Ruggiero challenges some of the fundamental ideas about the history of sex and
sexuality proposed by Foucault and which have subsequently dominated research.
Rejecting Foucault’s assertion that sex and sexual identity were modern
inventions, Ruggiero demonstrates that in fact there was Renaissance sex and
Renaissance sexual identity, dismissing earlier theoretical obstructions. Using
a combination of court documents and imaginative literature, he highlights the
complexities of mind, body, and desire, and the formation of masculine
identity. In many ways, this book moves the historical study of premodern
sexuality onto a new and more sophisticated plane, one that reveals individuals
in their uniqueness. In The Manly Masquerade (2003), Valeria Finucci presented
one of the earliest analyses of Renaissance men as an inf lected category
deploying not only feminist theory but also psychoanalytic theory to understand
the constructions of masculinity from both a psychological and cultural
perspective. One of the most violent and sexually problematic figures of
Renaissance Italy was the brilliant goldsmith/artist Benvenuto Cellini.
Margaret Gallucci presents a new twist to traditional biography by integrating
a multidisciplinary analysis of Cellini, his artistic brilliance, his penchant
for violence and disorderliness, and his transgressive homosexuality that was
sufficiently public to result in criminal proceedings and house arrest.
Following new literary criticism and sexuality and gender studies, Gallucci
tries to move beyond simplistic evaluations of homosexuality and misogyny to
make sense of Cellini’s complex artistic life and disorderly behaviors.12 The
third section of this collection, “Visualizing Sexuality in Word and Image,”
takes up these questions of sex acts, the body, and identity by focusing on
four cases of creative artists who employ sexuality and gender in ways that
challenge social norms and expectations, and that raise questions both then and
now about identity and voice. James M. Saslow returns to the questions around
sexual acts and sexual identities that emerged in disputes around the “lesbian”
nun Benedetta Carlini, and to which Castiglione’s sartorial strictures allude.
He argues that the case of Italian painter Bazzi contributes to the larger
ongoing controversy in queer studies over whether we can locate an embryonic
homosexual self-consciousness in Renaissance culture. Bazzi’s fondness for
young men gave him the nickname “Il Sodoma” and he never shied away from making
this a central part of a very public persona. We have little documentary
evidence for his private feelings, yet his art embodied and transmitted
homosexual desires, and it is clear from the series of commissions that he
attracted an audience which read and sympathized with those clues. Saslow
reviews Sodoma’s artworks, patrons, and reputation over a few centuries and ref
lects on what the larger stakes are both methodologically and ideologically as
we weigh whether these do indeed provide sufficient evidence for a homosexual
self-consciousness. Sexual agency and identity are complex enough when we are
aiming to interpret what an individual says in a court room or inquisitorial
investigation, or conveys in a painting or poem. What do we do when men pretend
to adopt the voice of women and project desire, intent, and agency? Ian
Frederick Moulton compares two such works, Pietro Aretino’s Ragionamenti and
Alessandro Piccolomini’s La Raffaella, both of them written in the 1530s, and
both featuring an experienced woman mentoring a younger woman on the finer
points of sex and sexuality. In both, the older woman assures her younger
companion that her desires are legitimate and should be acted on to the
fullest, even when transgressive. In both these desires are essentially projections
of male fantasies. Moulton explores what we learn from male projections of
female speech, identity, agency, and particularly how male visualization and
ventriloquizing exposes larger issues around the place of women and the
articulation of sex and gender in early modern society. While we often
emphasize the transformative effects of printing, early modern culture
continued to value the oral and visual, and it brought these together in the
art of memory. Sergius Kodera reaches back to classical texts that recommended
erotic images as particularly memorable, and to the early modern author Giovan
Battista della Porta’s L’arte del ricordare (1566) which specifically advised
stories of sex between humans and animals as aides memoires. Myths of Leda, Europe,
Ganymede, and others were all drawn into this work, though more overtly in the
vernacular than the Latin version. Kodera follows this visualization of
intercourse between humans and animals beyond the arts of memory and on to
texts on cross-breeding and to the paintings of Raphael, Michelangelo, and
Titian, seeing all of these as examples of a distinctively early modern embrace
of variety, engagement, and hybridity in sexuality. In the final essay, Jane
Tylus traces how Torquato Tasso depicted women in both the Gerusalemme liberata
(1581) and the Gerusalemme conquistata (1593). While he felt that his powers as
an epic poet were expanding, the later work reduces the role and influence of
female characters. The shift underscores how the Liberata was more radical in
its conception and execution. As he aimed to style himself more
self-consciously as an epic poet in the classical tradition, Tasso moved from
Virgil to Homer as his model, a move at once stylistic and also insome sense
moralistic – he saw this as an answer to criticism of his language and of what
he called the “fallacious artistries” that had marked the earlier poem. Gender
become critical to his conception of what is true in art, though with
ambivalent results – the woman who intervened with power was superseded by the
woman who intervened with tears. These essays explore themes that were only
emerging two decades ago. Their authors’ commitment to taking both an
interdisciplinary and intersectional approach allows re-evaluation of
interpretations which were in danger of becoming too rigid and which may have
imposed too much on what the voices in stories, trials, letters, and
images were aiming to express. Contradiction, ambivalence, and ambiguity
abound. Recent work in all three areas that we have singled out has explored
just how widely the gaps between prescription and reality yawn in the period,
in part because of ambivalence on the part of those promoting normative
regimes. Yet gaps more often emerged because these regimes aimed too far beyond
what people expected and were willing to live with in their neighborhoods,
their relationships, and expectations. As we move forward undoubtedly there
will be new insights gleaned about the lives and loves of Renaissance people.
The intellectual and evidential foundation outlined here in letters, court
records, poems, pamphlets, and artworks will continue to support a rich and
diverse research culture. And there are new questions on the horizon. The
literary, philosophical, artistic, and existential implications of transgender
are only in a nascent stage of investigation, despite the initial and hesitant
foray made in Human Sexuality. Some topics and themes will percolate until new
sources and new perspectives allow new insights and conclusions. As the study of
sex, gender, and sexuality moves forward, the dialogue between past and present
will continue, animated by sharp disagreements, punctuated by moments of
clarity, and moving steadily towards a deeper understanding of lives lived in a
period of creative foment. The voices gathered here, and the creative exchange
they offer, advance that discourse on the lives of those who made the
Renaissance a fascinating period of critical change.Rosenthal, The Honest
Courtesan. Storey, “Courtesan Culture.” Cohen and Cohen, Words and Deeds in
Renaissance Rome. Cohen, “Seen and Known.” Ghirardo, “The Topography of
Prostitution in Renaissance Ferrara.” Clarke, “The Business of Prostitution in
Early Renaissance Venice.” D’Elia, “Marriage, Sexual Pleasure, and Learned
Brides in the Wedding Orations of Fifteenth-Century Italy.” Rocke, “‘Whoorish
boyes.’” Moulton, “Homoeroticism in La cazzaria (1525).” See Finucci, The Manly
Masquerade. Laqueur, Making Sex. Gallucci, Benvenuto Cellini.Bibliography
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Renaissance Studies, 1978. Boswell, John. Christianity, Social Tolerance, and
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Oxford: Oxford University Press, 1986. Burckhardt, Jackob. The Civilisation of
the Renaissance in Italy. Translated by S.G.C. Middlemore. Old Saybrook, CT:
Konecky & Konecky, 2003. Castiglione, Baldassarre. The Book of the
Courtier. Translated by Charles S. Singleton. Garden City, NY: Anchor Books,
1959. Clarke, Paula. “The Business of Prostitution in Early Renaissance
Venice.” Renaissance Quarterly 68, no. 2 (2015): 419–64. Cohen, Elizabeth S.
“Seen and Known: Prostitutes in the Cityscape of Late-SixteenthCentury Rome.”
Renaissance Studies Cohen, Thomas V. and Elizabeth S. Cohen. Words and Deeds in
Renaissance Rome: Trials Before the Papal Magistrates. Toronto: University of
Toronto Press, 1993. D’Elia, Anthony F. “Marriage, Sexual Pleasure, and Learned
Brides in the Wedding Orations of Fifteenth-Century Italy.” Renaissance
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Art and Music in Early Modern Italy: Playing with Boundaries. Burlington, VT:
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University of Pittsburgh, Rocke, Michael. Forbidden Friendships: Homosexuality
and Male Culture in Renaissance Florence. New York: Oxford University Press, ‘Whoorish
boyes’: Male Prostitution in Early Modern Italy and the Spurious ‘second part’
of Antonio Vignali’s La cazzaria.” In Power, Gender, and Ritual in Europe and
the Americas: Essays in Memory of Richard C. Trexler. Edited by Peter Arnade
and Michael Rocke, 113–33. Toronto: Centre for Reformation and Renaissance
Studies, 2008. Rosenthal, Margaret F. The Honest Courtesan: Veronica Franco,
Citizen and Writer in Sixteenth-Century Venice. Chicago: University of Chicago
Press, 1992. Ruggiero, Guido. The Boundaries of Eros: Sex Crime and Sexuality
in Renaissance Venice. Oxford: Oxford University Press, Machiavelli in Love:
Sex, Self, and Society in the Italian Renaissance. Baltimore, MD: Johns Hopkins
University Press, 2007. Simons, Patricia. The Sex of Men in Premodern Europe: A
Cultural History. Cambridge: Cambridge University Press, 2011. Storey, Tessa.
“Courtesan Culture: Manhood, Honour, and Sociability.” In The Erotic Cultures
of Renaissance Italy. Edited by Sara F. Matthews Grieco, 247–73. Farnham:
Ashgate, 2010. Talvacchia, Bette, ed. A Cultural History of Sexuality in the
Renaissance. Oxford: Berg, 2011.PART ISex, Order, and Disorder. One of the last
works that Francesco Petrarch wrote was a short story in Latin which he claimed
to have translated from the Italian of the final tale of Boccaccio’s Decameron
—the novella of the patient Griselda, who accepted every cruel test her husband,
Gualtieri, tried her with to assure her worthiness as a wife. In Petrarch’s
version Griselda was a humble peasant and Gualtieri the esteemed Marquis of
Saluzzo, a prince loved by all for his wise rule. Tellingly, he claimed that he
was translating the tale because it was so very useful as a lesson on how to
treat a wife that it needed to be in Latin to gain the wider circulation that
the universal language of learned men merited. And, in fact, Boccaccio’s
original version has been long read in that light, almost as if Petrarch’s
Latin retelling determined its meaning for future generations. Recently,
moreover, with more sophisticated discussions of gender, his perspective has
garnered even greater purchase, with Boccaccio’s tale being criticized for its
misogynistic vision of matrimony and support for a husband’s absolute power
over a wife. In turn, this perspective has even colored the way some read the
Decameron itself, discovering behind its laughing stories and powerful, clever
women a conservative defense of traditional patriarchy. But in this essay, I
want to suggest with a historian’s eye that the story of Griselda’s ideal
wifely qualities and her husband’s wisdom is in reality not there in the
Decameron (X, 10). For while that tale has been often read as an account of
Griselda, and her virtually biblical acceptance of her husband’s will, it may
well have read at the time as a story much more about the many negative
qualities of Gualtieri.1 For he is presented throughout as a dangerous tyrant
moved by a misguided sense of honor and a rejection of the emotion of love,
which meant that he was incapable of being either a good husband or a good
ruler from the perspective of fourteenth-century Florentine readers. Thus, this
tale is not just concerned with love and marriage, but also crucially with rule
and the rule of princes, in this casenegatively portrayed as tyrants. In a way,
then, I want to argue that it is Boccaccio’s “The Prince” a century and a half
before Machiavelli. Even the language of the day nicely sets up this theme: for
the term signore (lord) had multiple meanings that could span the gamut of
power relationships from the everyday husband as signore/lord over his wife and
household, to the local signore/lord/noble with power over those below him, on
to the signore/lord/ ruler (either a prince or a tyrant depending on one’s
perspective), and, of course, finally on to the ultimate signore, the
Signore/God. As we shall see, all these meanings are at play in Boccaccio’s
version of this tale. The teller of this story of multiple signori, the
irrepressible Dioneo, suggests its negative tone right from the start,
immediately warning that he finds Gualtieri’s behavior in general and towards
his wife “beastly.”2 He states f latly, “I want to speak about a Marquis, not
all that magnificent, but actually an idiotic beast. . . . In fact, I
would not suggest that anyone follow his example. . . .”3 This,
obviously, is hardly the wise prince Petrarch created in his supposed
translation of the tale. Dioneo then more subtly attacks him as a ruler
(signore), remarking that he was a young man who spent all his time “in hawking
and hunting and in nothing else.”4 Here we have echoes of an earlier tale in the
Decameron, the third tale of day two, about spendthrift Florentine youths who
threw away the riches left them by their aristocratic father by living the
thoughtless life of young nobles hunting, hawking, and living like signori.5
Significantly, those Florentine youths, after they lost their inherited
fortune, regained it by going to England and loaning money at interest to the
apparently even more foolish signori there, the English nobility, like many
Florentine bankers.6 Yet quickly they squandered their riches again, because, as
the story stresses, they returned to living like signori, eschewing the virtù
that made their Florentine merchant/banker contemporaries so successful. What,
one might well ask, was this virtù that had allowed them to remake their
fortune and that repeatedly brings success to the denizens of Boccaccio’s
tales? At one level the answer is simple. For Boccaccio’s contemporaries virtù
was a term that identified the range of behaviors that allowed one to succeed
and made one person superior to another. Simply put, it marked out the best.
But the simplicity of that definition quickly dissolves before the fact that
largely because it was such a telling term its meaning was highly contested and
f luid, in fact changing considerably over time, place, and across social
divides. Speaking very broadly, in an earlier warrior society many saw virtù in
aggression, direct action, often violent; and in physical strength, blood line,
and blood itself, even as at the same time moralists and philosophers often saw
it in more Christian behavior that rejected violence and aggression. In the
cities of northern Italy in the fourteenth century this traditional vision of
virtù was first expanded, then increasingly overshadowed by a vision more
suited to the urban life of the day and newer merchant/banker elites. For many
at the time, virtù required the control of passions—in contrast to an earlier
vision that privileged their moredirect expression—and included a strong lean
towards peaceful, mannered conduct that required reasonable, calculating (at
times sliding into cunning) behavior that controlled the present and
significantly the future as well.7 In sum, virtù, even as it was contested and
changed over time, was a word of power that helped to define an urban male
citizen and a truly good man. In the end, however, these youths were saved from
their un-virtù -ous behavior by a virtù -ous nephew, Alessandro, who first
re-established their fortunes via once again astute money-lending, and then
with his virtù won a bride who turned out to be the daughter of the king of
England, effectively overcoming all their foolish misdeeds. From this
perspective, it is clear that the signore Gualtieri, much like Alessandro’s
uncles, was not a virtù -ous or good prince, ruling as he should. Rather, by
not attending to anything but his own youthful pleasures, he was acting in a
way that Florentines would have easily associated with their fears about
contemporary signori/tyrants; for such rulers were seen by them as ruling all
too often merely to serve their own whims and selfish pleasures at the expense
of their subjects. And, in fact, proudly republican Florence had recently in
1342 experienced a brush with a signore/tyrant of its own, Walter of Brienne.
He had been appointed to a one-year term as ruler of the city in the hope that
he would be able to overcome an economic crisis caused by the failure of the
major banking houses of the city. But, as was often the case, he quickly
attempted to take power permanently as a signore and was just as quickly thrown
out after only ten months of unpopular rule. Almost immediately afterwards, a
popular government returned to power, and it remained wary of signori of any
type.8 Significantly, however, most Anglophone critics have failed to note that
the Italian for Walter is Gualtieri and thus that Florence had thrown out a
tyrannical Gualtieri of their own just a decade before Boccaccio completed the
Decameron. Tellingly the negative behaviors often associated with contemporary
tyrants are immediately linked to the tale’s Gualtieri and his marriage by
Dioneo, who notes that not only did he not pay attention to anything else but
his own selfish pleasures, he “had no interest in either taking a wife or
having children. . . .”9 This, then, had created problems with his
subjects. As they, like all good subjects, wanted him to take on the
responsibilities of a mature male and ruler by marrying; for marriage was seen
at the time as perhaps the most important sign of reaching full maturity and
taking on the sober responsibilities of an adult male.10 Moreover, with
marriage, a prince began to produce the heirs that would secure an ordered
passage of power at his death, something that for his subjects was crucial.
With Gualtieri’s rejection of this, in essence Dioneo had presented his readers
with a questionable signore/lord/ruler who refused to give up his youthful and
irresponsible ways to rule as an adult prince with virtù.11 In the end, then,
although he reluctantly gave in to his subjects’ demands, he decided to do so
by taking a bride without consulting with anyone. And once again this would
have troubled contemporaries. Arranged marriages were the norm in
fourteenth-century Florence and more widely and crucially theywere negotiated
by parents or relatives to secure broader family goals or, in the case of
rulers, meaningful alliances. The immature Gualtieri instead took his marriage
personally in hand to secure his selfish desires with no concern for his
family, his subjects, or even love. Moreover, his lack of love in selecting his
bride also evoked the negative presentation in Decameron stories of many
unhappy marriages where the lack of love had led to bad matches, especially for
women. Repeatedly the tales advocated avoiding this ill-fated situation by
marrying for true love, exactly what Gualtieri rejected. From his perspective
marrying for love and loving his wife would have endangered his un-virtù -ous
life, focused on his own personal pleasures. And at the same time, it would
have also signaled the end of his freedom from his responsibilities as a ruler
and declare that he had acquiesced in becoming the signore/prince that his
subjects desired and that Petrarch had rewritten him as being in his misleading
supposed Latin translation of the tale.12 Making his disgruntlement clear,
Gualtieri finally did knuckle under to his subjects’ demands, but warned them
that whoever he might chose, they must honor her as their lady or feel his
anger.13 The reality behind that warning was soon dramatically revealed.14 For
Gualtieri had for some time been observing a pretty, well-mannered peasant girl
who lived nearby. Yet crucially what made her most attractive to Gualtieri was
the fact that as a humble peasant he was confident that he could dominate her
so that she did not interfere with his youthful lordly pleasures, the selfish
key to his marital strategy again.15 Following Gualtieri’s misplaced desires,
we are drawn ever deeper into the dark morass of unhappy marriages in the
Decameron. Having selected his bride without disclosing her identity to anyone
and without her even being aware of it, he insisted that his subjects come with
him to celebrate the matrimony. And so it was that one day they followed him to
an unlikely nearby village where the peasant girl, Griselda, lived in poverty
with her father. The scene is nicely set by the narrator of the tale Dioneo, as
he describes how the richly attired relatives of Gualtieri and his most
important subjects arrived on horseback before Griselda’s humble hut. When she,
dressed in rags, rushed onto the scene, anxious to see who their lord’s new
bride would be, to everyone’s surprise Gualtieri called down to her by name to
ask to speak with her father. She replied modestly that he was inside and
accompanied him in to the peasant hut to talk with her father, Giannucole.16
Even her father’s name reeked of Griselda’s humble status, for Giannucole is
the diminutive for Giovanni. Using the diminutive for an adult male, and a
pater familias at that, essentially denied him any status or honor. Gualtieri
underlined the point when he did not waste any time with niceties on a person
who, given that lack of status, did not warrant them from his perspective.
Thus, he did not ask Griselda’s father for her hand as simple politeness
required; rather he announced that he had come to marry her. Then, continuing
in his high-handed ways, he turned to her and demanded that if he took her for
his wife, “will you always be committed to pleasing me and never do or say
anything that would upset me.”17 Once again the absenceof love in Gualtieri’s
approach to his future bride is stunning, especially for the tales of the
Decameron; and moreover, his lack of regard for her father, and for her is
deeply troubling. Turning to Florentine history and traditions once more it seemed
almost as if his way of treating Griselda and her father echoed what the
citizens of Florence most disliked in the high-handed ways of local
nobles/lords that they had rejected in the 1290s when they passed their revered
Ordinances of Justice. These laws were ostensibly designed to punish local
nobles and their ilk (labeled magnates) for just such high-handed behavior and
mistreatment of common folk. And these Ordinances had become a symbolic
keystone of Florentine republican government and its civic vision and would
remain so across the Rinascimento. In fact, one of the few times that the
Ordinances were questioned was when they were cancelled almost immediately
after Walter of Brienne, the other Gualtieri and would-be Signore of Florence,
was driven out. After he was expelled in 1343, the Ordinances were momentarily
cancelled by a short lived aristocratic government and then almost immediately
reinstated by the popular government that replaced both Gualtieri and that
unpopular aristocratic moment, as a strong reminder that the city would not
allow signori of any type to mistreat Florentines. And although Gualtieri did
not himself revoke the Ordinances, the black legends that grew up around his
rule often made him responsible for their momentary elimination and an attack
on popular republic government.18 All that this implies is underlined by the
famous marriage scene that follows, for Gualtieri, with his demands met, takes
Griselda by the hand and leads her from her home. There in front of the whole
group of his elegantly dressed subjects to their surprise and dismay he ordered
her stripped naked.19 He then had her re-dressed with the aristocratic clothing
and the rich accoutrements that made up a noble’s wardrobe and only then
consented to marry her. As often noted, this dramatic scene in its undressing
and re-dressing of his bride essentially symbolized and perhaps contributed to
the rebirth that Gualtieri believed he was engineering, transforming Griselda
from a humble peasant to a noble wife, using clothing as both a symbol and a
tool. And indeed, the tale goes on to point out how quickly and successfully
she impressed the gathering, appearing to take up easily the manner and bearing
of a princess in her new noble clothing. That impression was confirmed in the
days following, when, as Gualtieri’s wife, she displayed to all impressive
manners and wifely virtues. In sum, once redressed she was capable of being
transformed from a humble peasant to a noble princess—the very stuff of fairy
tales and popular fantasy. But it is also the very stuff of Florentine beliefs
at the time—the elite of the city had shifted from old noble families to a
newer merchant/banker group who dominated Florence both economically and
socially. Thus, a humble peasant who gained the opportunity and the dress to
move at the highest social levels was an attractive conceit, demonstrating that
anyone with virtù could behave as well as the old nobility. From that
perspective Griselda had that delicious quality of fulfilling contemporary fantasies,
even if many rich Florentines would havebeen comforted perhaps by the fact that
such a leap for someone of her status was highly unlikely. Yet there is a way
in which the dramatic stripping of Griselda—a theme that would have great
popularity in the future in literature and art—has masked a deeper honor
dynamic involved in this troubling marriage. In fact, the tale’s Florentine
audience would have been aware from the first that marriages were virtually
always moments when issues of honor were central. That was why fathers usually
played such a significant role in such affairs: they had, in theory at least,
the mature judgment to evaluate the complex calculus of family honor involved
in a marriage alliance between two families without letting youthful emotions
interfere. Unfortunately, from this perspective the young, selfish,
self-centered Gualtieri fell far short of this ideal, as the tale made
abundantly clear. Nonetheless, Gualtieri was aware of the honor dimensions of
his marriage and was anxious to resolve them in his own high-handed way.
Anticipating the resistance of his subjects to his marriage of a peasant and
its implications for the honor of all involved—a marriage that he saw as
serving his interests and not theirs—from the first he insisted that they
accept his choice and “honor” it and him as their ruler. And, of course, as
long as his misguided honor was a driving force replacing love in his approach
to marrying Griselda, it crippled the relationship and his ability to be a good
husband and suggested a similar situation vis-à-vis his subjects as a ruler
where love for his subjects was also lacking. Crucially in this way of seeing
things, his behavior evoked strong echoes of other husbands and princes in the
tales of the Decameron whose lives were destroyed by their misguided sense of
honor. In turn, such behavior echoed Florentine fears about the dangers of a
central/northern Italian world where it appeared—in many ways correctly—that
the days of republics like theirs were a thing of the past. They were being
rapidly replaced by the one-man rule of signori who claimed to be princes, but
more often than not seemed to Florentines to be self-serving tyrants like
Gualtieri, more concerned with their misguided honor and selfish pleasures than
just rule. Yet in the short term things seemed to be looking up for Gualtieri’s
honor and his marriage. Not only did Griselda win over his subjects, she soon
became pregnant and produced a daughter. But not long after the happy birth,
the f laws in his personality and his treatment of his wife began to reveal a
deeper, darker truth. Almost as if he feared to succumb to the success of his
marriage, he decided to test his wife to assure himself that she was ready to
honor all his lordly wishes, no matter how cruel and tyrannical they might be.
Significantly, however, he defended these tests to Griselda as a concern for
his honor, complaining that his subjects were murmuring about her lowly peasant
origins and the similar baseness of her daughter. In fact, his claim was
presented as false by Dioneo. Gualtieri’s honor was never questioned by his
subjects in this context; actually, they are portrayed as quite happy with his
bride, even as they were surprised by her success as a lady. Griselda, however,
accepted his false claims, and, as a result, unhappily understood the worries
about his honor thatwere supposedly tormenting Gualtieri. Thus, she replied
obediently as a subject to such a lord must: “My lord (Signor mio), do with me
what you will as whatever is best for your honor or contentment I will accept
. . .”20 (1239). Once again one wonders how this would have played
for Florentine republican readers, who saw in such one-man rule and unjust
claims of honor the essence of tyranny—the greatest danger to their own republican
values and way of life. And in the context of an unloving, unhappy marriage, we
are faced with a man and a relationship definitely gone wrong and a poor wife
whose suffering Florentines could feel.21 Things quickly go from bad to worse.
Evermore the tyrant, Gualtieri deceitfully uses his honor to excuse his most
outrageous demands on his wife/subject. First, he has a servant take her
daughter away. And making it clear that he is acting on the lord’s orders, the
servant implies that he has been instructed to kill the child. With great
sadness Griselda hands over her baby. Although Gualtieri is impressed by her
obedience and strength in the face of his horrible demand, nonetheless he
allows her and his subjects to believe that the child has been killed, while he
secretly sends it off to relatives in Bologna to be raised. Continuing his
testing of her, when she gives birth to a male child and heir, he once more
claims the child’s life, using again the excuse of fearing for his honor and
his rule. Woman, because you have made this male child, I cannot find any peace
with my subjects as they complain insistently that a grandson of Giannucole
will after me become their Signore, so I have decided that if I do not want to
be overthrown, I must do with him what I did to the other [child]. Moreover,
given all this [I must sooner or later] leave you and take another wife.22
Dioneo, however, makes it clear to his listeners that once again this claim is
false, noting that Gualtieri’s subjects were not complaining about the boy’s
humble background or the loss of honor it implied. In fact, he points out that
in the face of the apparent murder of both children, his subjects “strongly
damned him and held him to be a cruel man, while having great compassion for
Griselda.”23 Hardly the response of those anxious to see an unsuitable heir or
wife eliminated or those enthusiastic about their exemplary prince, as Petrarch
misleadingly portrayed him. Still, as her lord and their tyrant, both she and
they had no option but to bow down before his cruel will, yet another lesson
about the dangerous honor of lords and their potential for heavy-handed tyranny
that would not have been lost on republican Florence. So, the second child
joined the first in apparent death—while Griselda lived on sadly under the
shadow of her husband’s warning that eventually he would end the whole problem
of her humble birth besmirching his honor and threatening his rule by putting
her aside to take an honorable bride.
And finally, after twelve years Gualtieri decided that his daughter had grown
old enough to pass as his new bride; and it was time for the last tests of his
wife. Thus, he acted onhis earlier promise, informing her that he was ready to
dissolve their marriage in order to take a more suitable wife. Claiming that he
had secured a dispensation from the pope to put her aside, he gathered his
subjects together to make the announcement that he was sending her back to her
father and her humble life as a peasant. Evidently, he was not content to continue
his cruel testing of his wife in private; rather his cruel deeds had to be
displayed before his subjects. The power to rule and the honor it required were
at play and perhaps also a desire to warn his subjects that he was their
signore as well and capable of similar deeds to defend his honor and assert his
control over them. But considering what fourteenth-century Florentines would
have made of this new outrage is again suggestive; for almost certainly they
would have seen in this a cruel lord acting as a tyrant, mistreating his most
loyal subject in a way that no right-thinking republican Florentine would ever
accept—in sum Gualtieri was the model anti-prince. Gualtieri announced, then,
before his troubled subjects and the abject Griselda, that he was renouncing
her as his wife because in the past my ancestors were great nobles and lords of
these lands, where your ancestors were always laborers (lavoratori ), I wish
that you will no longer be my wife, but rather that you return to the house of
Giannucole . . . and I will take another wife that I have found that
pleases me and is befitting [to my status].24 In sum, his ancestors were nobles
and rulers and Griselda’s were humble laborers; therefore, their marriage was
unsuitable and he was literally suffering the dishonor of being a lord badly
married. The term “lavoratori ” used to describe her ancestors, while it could
be used as a synonym for a peasant, may well have suggested something more
troubling yet. The more normal terminology for Griselda’s ancestors would have
been contadini or villani,25 but by contrasting his nobility with her status as
descended from lavoratori, Gualtieri once again was asserting status claims
that would have ruff led Florentine feathers. For the people of Florence, who
had fought so hard across the thirteenth century to drive out high-handed
nobles like Gualtieri, had done so in the name of protecting the laborers of
the city from just such high-handed behavior. In fact, the Ordinances of
Justice labeled such behavior as typical of the nobility. And the Ordinances
were celebrated as wise legislation designed to discipline and punish the
nobility and protect lavoratori from their high-handed ways. Once again, the
recent attempt to eliminate the Ordinances in 1342 and the threat that posed to
the laborers of the city would have added weight to the negative valence of
Gualtieri’s speech.26 All this cruel testing of Griselda calls up echoes of
another person often associated with her and this tale, who had also suffered
greatly under his lord, the biblical Job. In fact, commentators have often
pointed to the parallels betweenGriselda’s patient suffering at the hands of
her signore/lord/husband and Job’s suffering at the hands of his
Signore/Lord/God as a reason for seeing her as an exemplary wife and loyal
subject accepting her husband’s rightful dominance, just as Petrarch later
recreated her.27 There is an immediate problem with this parallel, however, for
Job’s Lord did not actually deal out the setbacks that deeply wounded him. He merely
withdrew his protection and left the door open for Satan to attempt to destroy
Job’s faith, ultimately without success. From that perspective Gualtieri seems
more to parallel Satan than God. Despite that often-overlooked theological
nicety, however, the God (Signore) of the Old Testament who allowed the testing
of Job might seem to vaguely parallel at a higher level her lord (signore),
Gualtieri’s, testing of Griselda. But tellingly in the Trinitarian view of time
being preached aggressively in Florence when the Decameron was being written
and as war loomed with the papacy, that Old Testament God and His troubling
relationship with humanity following the original sin of Adam and Eve—often
portrayed as dishonoring that Signore —was seen by many as no longer the order
of the day. Christ’s love and his sacrificing of his honor to die as a common
criminal to save humanity was seen as inaugurating a new order and
dispensation, a view especially stressed by a powerful group of local preachers
at the time. And the Godliness of that new age, Boccaccio’s present, was
totally alien to Gualtieri and totally alien to his relationship with his wife
and his subjects—for crucially, he explicitly rejected love in favor of
jealously protecting his honor, much like the vengeful Lord of the Old
Testament and nothing like the God of Love of the New. In a work that over and
over again stresses the importance of love, love in marriage and in the best
relationships between men and women, Gualtieri becomes the cruel husband, the
anti-prince, the tyrant par excellence, and a ref lection of a relationship
with the wrathful God of the Old Testament that no longer obtained. And, of
course, this last tale of the Decameron is told by Dioneo—literally “Dio Neo,”
the “new god” of love—who makes it clear that he finds Gualtieri unsuitable as
a husband, ruler, and most certainly as any kind of a lover. But this was
merely the prelude to his last cruel testing of poor Griselda. For Gualtieri
then demanded that she return to prepare and oversee his wedding to his new
bride. Once again Griselda accepted this command. But significantly Dioneo
insists on making a critical clarification: Griselda accepted his cruel command
not as a patient ex-wife or as a loyal subject, but out of love for Gualtieri.
He explains that she accepted only because “she had not been able to put aside
the love she felt for him.”28 Thus she returned to the palace as a servant, to
prepare the new wedding for her beloved. Dioneo relates a number of humiliating
moments in the preparations and underlines once again their injustice by noting
the deeply troubled reactions of Gualtieri’s subjects to her abuse and their
repeated calls for a more just treatment of her. The humiliation comes to a
head when Gualtieri has his new bride brought to his palace for the wedding.
Presenting her to Griselda, he cruellytwists the knife of her humiliation in
public again, asking her opinion of his new lady. She answered, My lord
. . . she seems to me very good and if she is as intelligent as she
is beautiful, as I believe, I am certain that you ought to live with her as the
most content signore in the world. But still I would pray that those wounds
that you gave before to the earlier one [wife], you spare this one; because I
doubt that she could resist them, for she has been raised with great
gentleness, whereas the other was used to hardships from her childhood.29 Yes,
Griselda has suffered and finally even she has complained. Subtly, and without
ever referring to herself by name, she has pointed out finally the unjust
nature of his rule over her and by implication over his subjects. It would be
satisfying to claim that Griselda’s final faint demonstration of defiance
caused Gualtieri to change his ways, but Dioneo has already informed us that Gualtieri
was ready to act even before she spoke. Thus ignoring her comments, he
declares: Griselda it is time that you finally hear the fruit of your long
patience and that those who have held me to be cruel and unjust and bestial
learn that it was all according to plan, wishing to teach you how to be a wife
and teach others how to pick and keep a wife and [finally] to guarantee my
peace as long as we would live together.30 In the end, then, even Gualtieri
admits that his lordly ways have been cruel, unjust, and bestial, but he
justifies them by claiming that he has taught Griselda how to be a good wife.
And many commentators, following Petrarch, have taken this claim at face value,
arguing that Gualtieri is the demanding but just hero of the tale and Griselda
the ideal wife fashioned by his treatment of her. Yet, in fact, as the story
makes clear over and over again, his cruelty did not teach her anything. She
came to him, as she has just pointed out, already accustomed to suffering and
accepting the hardships that life brought her as a peasant. She was born into
hardship and suffering and she adapted quickly to her lord and his mistreatment
because of her own inherent peasant ability to suffer and lack of a sense of
honor. Indeed, one would be hard put to find a place where the tale or Dioneo
suggest that she learned anything from Gualtieri. And while the
fourteenth-century Florentine readers of this tale were more usually urban
dwellers than peasants and thus theoretically not as inured to hardship and
suffering, they were proudly not nobles either, and it is hard to imagine them
accepting from local nobles the treatment that Gualtieri dished out. Moreover,
it is hard to imagine that they would have felt sympathy for Gualtieri’s
defense of his cruel ways, as they too would have been unlikely to feel any
need for such lessons from nobles or signori to learn the patience necessary to
survive as subjects (as they had recently demonstrated throwing out their own
Gualtieri) or for that matter even to survive as wives.Actually, it might seem
strange that finally after retaking Griselda as his wife and explaining his
whole plan to his subjects and her, the couple are portrayed by Dioneo as
living happily ever after. But providing an explanation for that improbable happy
ending is a startling and significant admission by Gualtieri: for, as unlikely
as it might seem, all his cruel tests have led him finally to a crucial
transformation— the decisive often overlooked climax of the tale. He has
finally discovered the emotion of love and has fallen in love with his victim,
Griselda. He confesses at the last: “I am your husband who loves you more than
anything and believe me when I say that there is no man more content than I in
his wife.”31 Crucially with that admission, and Griselda’s ongoing love that
survived his every cruelty, no longer is their marriage simply an unhappy
mismatch with a wife subject to her lord/husband defending his misguided honor
and selfish noble pleasures. Rather, now it is exactly the kind of marriage
that the Decameron advocates over and over again. With love as its emotional
base, the happy ending that the story, and the Decameron itself, requires is
possible and Gualtieri, his wife, and perhaps even his subjects can live
happily ever after—not a divine comedy perhaps but a human one.32 For in the
end Griselda survived a cruel lord, and with her willingness to suffer and
peasant patience, she, not he, for a moment at least became the true teacher,
teaching a tyrant who rejected love to love and to become a true prince—in this
she was perhaps more Christ-like than Job-like. Let me suggest that by
contemporary Florentine standards or those of the imagined and real women
listeners of Dioneo’s tale, Gualtieri’s mistreatment of his wife was anything
but a model of an ideal marriage until everything changed with love at its
conclusion, despite Petrarch’s claim to the contrary. In the end, then, she was
a victim, but in ways that many critics have had trouble seeing. First, of
course, at the hands of her cruel lord/husband. But also at the hands of the
would-be aristocrat and anti-republican Petrarch. For despite his claims about
what he saw as an ideal of marriage, he also retold her tale in Latin to
celebrate the honor of the often cruel signori—tyrants and lords—that he
cultivated for patronage and support far from the republican Florence that
claimed him at times with difficulty as an honored son. Still, in the end she
and love won out, a fitting conclusion to the new god of love, Dioneo, and his
tale, as well as to Boccaccio’s Decameron.Notes 1 I have used for this tale and
all citations from the Decameron the classic edition edited by Vittorio Branca:
Boccaccio, Decameron. In this reading that looks more closely at the Marquis of
Saluzzo, I am following the path breaking lead of Barolini in her article “The
Marquis of Saluzzo.” But I emphasize more a Florentine perspective on the tale
than Barolini and am less inclined to follow her strategy of using game theory
to explain what she labels as the Marquis’ beffa. I discovered after I wrote an
early draft of this essay Barsella’s excellent article “Tyranny and Obedience.”
My account stresses more the marital as well as the political side of the tale
and looks more closely at the Florentine political and social world of the day,
while she offers a more complete analysis of the ancient and medieval
theoretical literature on tyranny; but we both agree that the tale is more
about Gualtieri as a tyrant than about Griselda as a model wife.2 Decameron,
1233. “Beastly” often seems to serve as code word or signal that the male so
labelled has sexual appetites that are “unnatural” by Boccaccio’s standards and
hence like those of a beast. If beastly is being used in that sense here, it
would add another dimension to the Marquis’ rejection of marriage and the love
of women, one that Boccaccio regularly paints in a negative light. Barolini
provides an interesting discussion of the term drawing similar conclusions but
emphasizes its echoes of Dante’s usage of the term, along with its classical
and Aristotelian dimension—a perspective that would undoubtedly have had its
weight for learned readers and listeners, but perhaps less for a broader
audience at the time. Barolini, “Marquis of Saluzzo,” 25–26. 3 Ibid., 1233;
italics mine. 4 Ibid., 1234. 5 The three are described as the young sons of a
noble knight named Tebaldo from either the Lamberti or the Agolanti
families—both Ghibelline families exiled from Florence in the late Middle Ages
and thus suspect already in fourteenth-century Florence with its strong Guelf
tradition. 6 Although it should be noted that the prospects of profits from
loaning money to the English had become less appetizing after the recent
failure of Florentine banks in 1342, in part caused by the King of England’s
reneging on his debts to them. Actually, recent scholarship has argued that
local bad loans in Tuscany and debts built up in the ongoing wars in the region
were more responsible for the bank failures, but contemporary accounts tended
to place a heavy emphasis on the King of England’s actions—perhaps as a way to
divert attention from the more local issues involved. Barsella notes also this
connection in “Tyranny and Obedience,” 74–75. 7 Ruggiero, Machiavelli, 163–211.
This vision of virtù and its development across the Rinascimento in Italy is
one of the central themes of my effort to reinterpret the period in my book The
Renaissance in Italy. From this perspective, Boccaccio’s Decameron with its
stress on virtù is a work that fits more in the world of fourteenth-century
Italy than as a work of medieval literature as it is often characterized. Of
course, many of his tales have medieval sources and echoes, but significantly
they are rewritten with a very different set of values more characteristic of
fourteenth-century Florence and the city-states of central and northern Italy.
8 Walter (Gualtieri) of Brienne actually makes an appearance in the Decameron
in his own right as one of the nine “lovers” of the Sultan of Babylon’s
daughter, and a quite bloody “lover” at that (II, 7). Boccaccio also wrote a
quite uncomplimentary account of his life in his De Casibus Virorum Illustrium,
Lib. IX, cap. 24. 9 Decameron, 1234. Dioneo, however, does follow this comment
with what appears to be a compliment for this lack of desire to marry, “for
which he was to be seen as very wise” (1234). Yet what follows undercuts the
force of this apparently very traditional negative vision of marriage. And
throughout the Decameron Boccaccio seems to provide an unusual number of tales
that see well-matched marriages as positive and at least potentially happy. 10
For this see the discussion in Ruggiero, Machiavelli, 24–6, 172–73 and
Giannetti, Lelia’s Kiss, 18, 131–34. 11 While the character Gualtieri had the
same name as the recent Florentine would-be tyrant, this is not to argue that
he was the only tyrant being referred to in the tale. In actuality Florence was
surrounded by dangerous and aggressive tyrants who were capable of instilling
fear in the city even if they were not named Gualtieri. As often noted, the
fourteenth century, following in the footsteps of the thirteenth, was a period
where republics were losing out to tyrants everywhere and Florence found
themselves surrounded by aggressive signori on virtually all sides. 12 This lack
of love also played a significant role in his lack of a positive relationship
with his subjects, once again the micro-level of life, in this case marriage,
reflecting the macro-level of life, in this case Gualtieri’s rule. Both lacked
love and that stood literally at the heart of his negative consensus reality
for his subjects and for the Florentine readers of his tale. 13 Clearly with
the repetition of “insisting” and Gualtieri’s will, the tale is playing on will
as a dangerous source of sin when misplaced as it is in this case. Of course,
will from a1415 16 17 181920 2133theological perspective is the basis of all
sin, which in the end is merely willing to turn away from the good and
ultimately God. In this case Gualtieri might be seen as willfully turning away
from love, the good and God much like Satan turned away from love, the good and
God in the greatest rejection of all. At this moment in the tale with his
willing misdeed, it might be argued Gualtieri confirms his fallen state.
Barolini suggests that in these demands Gualtieri, unhappy with his subjects’
calls for his marriage, is setting up a beffa at their expense—a very typical
form of Florentine joke that in this case punishes them for forcing him to
marry against his will—and the key to the beffa is forcing them in turn to
accept the peasant wife that he will pick unbeknownst to them. Although there
is a logic to this perspective, it seems more likely that contemporaries would
have assumed the driving force in his decision to take a peasant as a wife was
his belief that she would have to be totally subservient to him, something that
Barolini stresses as well. Decameron, 1235. Although the text is clear that
Gualtieri entered the house alone, the discussion between Gualtieri, the
father, and Griselda requires that she had entered as well. Perhaps it is
significant that she is so humble that her entering the house with Gualtieri
does not require mention. Ibid., 1237. The Ordinances of Justice were first
passed in Florence on January 18, 1293 and while their meaning at the time has
been much debated, they became with time a kind of civic monument to the ideal
of Florence as a republic ruled by the popolo without the interference of the
traditional Tuscan rural nobility, labeled magnates, who had once dominated the
city. For the debate and the more complex reality of the Ordinances and the
magnates themselves see my Renaissance, 77–82 and 94–97 and the overview of
Najemy in A History of Florence, 81–89, 92–95, 135–38, and for a more detailed
study see Lansing, The Florentine Magnates. Suggestively, Petrarch in his
rather different retelling of the tale, softens this act of prepotency and male
power that once again here strongly underlines Gualtieri’s cruelty and lack of
required manners. He adds the telling detail that Gualtieri had Griselda
surrounded by women of honor before she was stripped. Here we see how the tale
could be changed to make it a hymn to a wise and careful husband anxious to
arrange the right kind of marriage that would assure a matrimony that
functioned as it should with the husband in command and the woman subservient
and obedient. But Dioneo’s careful scripting of Gualtieri’s boorish and
self-centered behavior in line with his high-handed ways that evoke the
psychological violence of the old nobility, strongly suggest a very different
vision of Gualtieri and his marriage—a negative vision in line with many of the
tales about the injustices of arranged marriages in the Decameron. Decameron,
1239. One might note here that although Griselda is clearly a victim, she is
hardly a heroine as often claimed by critics. There are in fact any number of
actual female heroines in the Decameron whose tales were constructed to show
their virtù and ability to control their own lives and virtually always their
goal of winning a meaningful love in life and often in marriage. Perhaps the
best example of this, and a virtual anti-Griselda tale, that gives the lie to
Petrarch’s and later critics’ vision of Griselda as a model wife is the tale of
Gilette of Narbonne (III, 9), who empowered by love cures the king of France
and overcoming a series of seemingly impossible trials (typical of medieval
lover’s tales and more normally male knights) in the end thanks to her virtù
wins the love of the man she loves, her husband, Bertrand of Roussillon. In
this tale he is also portrayed as a cruel lord, but Gilette is anything but
passive and takes her life in her own hands to win out in the end—a model of
what a woman can accomplish with real virtù in the name of love. It is
suggestive also that Gilette is an upper-class non-noble from an urban setting
not unlike the Florentine readers of the Decameron and much more easily
accepted as active and aggressive than the humble peasant Griselda. Similar
virtù overcoming a husband both cruel and foolish is presented also in tale
(II, 9) where a Genoese woman, who takes the name Sigurano da Finale, passes as
a male and flourishes in a series of adventures thanks to her virtù and in the
end recovers the love of the husband she loves despite his murderous misdeeds.Guido
RuggieroDecameron,In fact, this is the only use of the term in the tale,
usually she and her father are referred to as poor and it is noted that he is a
swineherd not a laborer. The title of the tale refers to her as “una figliuola
d’un villano” and later when referring to her unexpected virtù, her dress and
by inference her status is referred to as “villesco”: “l’alta vertù di costei
nascosa sotto i poveri panni e sotto l’abito villesco.” For this see Brucker,
Florentine Politics, 114; Najemy, Florence, 135–37. On the Ordinances see note
18 above. Branca actually points out the textual parallels noting that in the
story of Job I:20 he states “Nudus egressus sum . . . nudus revertar”
in reference to Griselda’s “ignuda m’aveste . . . Io me n’andrò
ignuda . . .” In the New Oxford Annotated Bible, the famous lament of
Job is rendered “Naked I came from my mother’s womb, and naked I shall return;
the Lord gave, and the Lord has taken away; blessed be the name of the Lord”
(Job I:20 [614]). Decameron, Critics have from time to time referred to the
Decameron as “The Human Comedy” playing on an apparent contrast with Dante’s
Divine Comedy, but I would suggest that Boccaccio’s comedy was more divine than
it might at first seem and Dante’s more human.Bibliography Barolini,
Teodolinda. “The Marquis of Saluzzo, or the Griselda Story Before It Was
Hijacked: Calculating Matrimonial Odds in the Decameron 10:10.” Mediaevalia Barsella,
Susanna. “Tyranny and Obedience: A Political Reading of the Tale of Gualtieri
(Dec., X, 10).” Italianistica Boccaccio, Giovanni. Decameron. Edited by
Vittorio Branca. Turin: Einaudi, 1992. Brucker, Gene. Florentine Politics and
Society 1343–1378. Princeton, NJ: Princeton University Press, 1962. Giannetti,
Laura. Lelia’s Kiss: Imagining Gender, Sex, and Marriage in Italian Renaissance
Comedy. Toronto: University of Toronto Press, 2009. Lansing, Carol. The
Florentine Magnates: Lineage and Faction in a Medieval Commune. Princeton, NJ:
Princeton University Press, 1991. Najemy, John. A History of Florence,Oxford:
Blackwell, 2006. Ruggiero, Guido. Machiavelli in Love: Sex, Self, and Society
in the Italian Renaissance. Baltimore, MD: Johns Hopkins The Renaissance in
Italy: A Social and Cultural History of the Rinascimento. New York: Cambridg. Sexual
violence in Renaissance and early modern Siena was widespread, barely
manageable, and apparently accepted, though not always legitimized, especially
when it applied to particular social classes. Both the nobility and the clergy
considered it their “right” to engage in behavior that underscored their social
superiority.1 This included not only the use of weapons, but also brawls,
thievery, private vendettas, and sexual violence. Such behavior did not,
however, pertain only to them: commoners also forcefully imposed their
brutality, sexuality, and violence on less powerful victims who happened to be
in the wrong place at the wrong time, or whose only fault was their
vulnerability. But not all victims, whether male or female, endured violence
passively. For everyone whose voice was not heard, there were many others who,
in spite of their age or sex, protested the violence they had endured and
described it in detail. Unlike other Italian cities, medieval Siena did not
have a single government office charged with the social control of the
population and the suppression of behavior deemed to be unacceptable.2 This
changed in 1460 when the government established the office of the Otto di
custodia (Eight in charge of Protection) to oversee behavior and public
health.3 After several changes to its name and tasks, the office was abolished
in 1541 by the Spanish protectorate, and then reestablished in 1554 as the Ufficiali
sopra la pace (Officers in charge of the Peace) in order to settle citizen
disputes and prosecute both blasphemy and violence. Yet this incarnation was
also short-lived, and the office was abolished at the fall of the Republic in
1555.4 The administration of justice was entrusted first to the Captain of the
People (Capitano del popolo), and then to the Captain of Justice (Capitano di
giustizia), before being abolished in 1481. Some of its tasks were entrusted to
the Rota court in 1503, but in the event the 1481 suppression was not
definitive, and the Captain of Justice seems to have recovered some functions
in the first half ofthe sixteenth century. The office of the Captain of Justice
was formally revived when Duke Cosimo I de’ Medici issued an edict on the
“Reformation of the Government of the City and State of Siena.” in 1561, and it
acquired criminal jurisdiction over the city and the podesterie (the
administrative structures into which the countryside was organized).5 The
Captain of Justice also gained those tasks previously entrusted to the Criminal
Judge (Giudice dei malefizi ),6 and functioned under the supervision of the
Governor (Governatore).7 The Governor was now the top official in the new
administration. He enjoyed “broad political and administrative functions,
supervised the public order, issued regulatory actions and had the control of
all sentences of tribunals.”8 All other magistrates lost their jurisdiction
over criminal lawsuits.9 These frequent changes to judicial offices in Siena help
us understand why documentation on crime is scattered throughout many different
archival collections and series. It is also incomplete, because much material
has been lost. As a result, it is not possible to analyze the Sienese records
in as thorough a social or statistical way as it has been done for Florence.10
The preliminary analysis presented in this essay—which uses Sienese documents
for the years just before and after the fall of the Republic (1555)—will serve
to illustrate at least some cases of violence at a time in Sienese history
that, from the perspective of the history of crime, still awaits detailed
analysis. A preliminary analysis reveals just the tip of the iceberg. One of
the questions that arises from a first glance at the documentation is why so
much of the surviving documentation refers to violence in the countryside and
not in the city. Perhaps extra-judicial agreements between the parties, reached
in order to avoid denunciation, were more common or widespread in the city. Or,
perhaps, much of the documentation for urban violence has not survived to the
present day. In Siena, and especially in the Sienese countryside already
devastated by war, famine, and other problems, Medicean legislation over
criminal activities took a long time to be applied and become the norm. One of
the reasons for this was that the countryside suffered from a very slow
reconstruction process. It took not only time, but a lot of effort, to erode
and limit local authorities and personal powers that, for decades after the
fall of the republic, continued to impose a social code that penalized those on
the lower levels of the social scale.What the law said The rubric on sexual
violence in the last republican Sienese statute (1545) followed medieval
precedent and listed only adultery, rape, and abduction, in that order, as
crimes of violence.11 Sexual intercourse with a married woman of whatever
social rank or with an unmarried virgin was punishable by the imposition of a
financial penalty; abduction for the purpose of sexual violence, on the other
hand, was punishable by death. The definition of sexual violence required that
the abductor (raptor) marry the victim, if the father or the senior male
members of her family deemed it appropriate, or alternatively that he provide
her withSexual violence in the Sienese state 37a dowry. If sexual violence was
perpetrated against someone’s wife or daughter, it damaged the honor of the
husband and the family, so the culprit had to, somehow, adequately restore that
damaged honor.12 Sexual violence by men on men, described in the statute as “a
dreadful kind of violence that is used against nature on men,” demanded that
the rapist be jailed and pay a fine, but if the rapist was over forty years
old, he was to be burned at the stake.13 The regulation in the Duchy of
Florence was similar: in 1542 Duke Cosimo I revised the law against “the
nefarious, detestable, and abominable vice of sodomy” and not only increased
the fines but also imposed physical punishments and even the death penalty on repeat
offenders.14 Once Siena had been ceded by King Philip II of Spain to the Medici
in 1557 and incorporated into the duchy of Tuscany, the 1558 revision of the
Florentine law on sexual violence also applied to the city. This revised law
removed the fines and imposed only physical punishments for “those who will use
force and violence to women and men to satisfy their sexual desire.”15 If the
violence did not lead to an effusion of blood, the culprit was to be sent to
the galleys for a certain number of years to serve as a chained rower; if, on
the other hand, there had been an effusion of blood the culprit was to be
executed. The only exception allowed, and this only for Florentine and Sienese
citizens, was commuting the sentence to the galleys into a jail term, but this
only at the discretion of Duke Cosimo I. Such discretion generally depended on
the social rank, personal reputation, and family honor of the culprit.The rape
of women and young girls The new law was tested almost immediately. “Since this
case was of such manifest enormity, and the first since the publication of Your
Excellency’s last pronouncement against violence on men and women”:16 so begins
a letter by Orazio Camaiani (or Camaini),17 a diligent official and Captain of
Justice in the “New State” (Stato Nuovo) of Siena, to Duke Cosimo I de’ Medici
in the winter of 1559. Camaiani went on to relate a case of attempted sexual
violence against “a poor widow of Belforte” who, on resisting her attacker, was
hit by him so hard that she bled.18 Camaiani’s information came not from
first-hand observation, but from letters he had received from the vicar of
Belforte (fol. 13r), a small mountain-top hamlet about 45 km west of Siena. It
included all the necessary negative requirements—night, loneliness, violence.
The “poor widow,” who is never named in the letter,19 had been assaulted during
the night in her own home by two men who entered on purpose in order to rape
her; she resisted the attack, screamed loudly, and was wounded in the head and
face. Her attackers ran away without succeeding in their intent. The widow did,
however, recognize one of her attackers, “a certain Terenzio Usinini, Sienese”
(fol. 13r) and reported him. The Captain of Justice thus knew for whom to look.
The information was sent to Duke Cosimo I, but what has survived is scattered
and incomplete. It does, however, point to the many cases of violence in a
territory that was still sufferingfrom the aftermath of the raids and
devastations brought about by the recent Florentine conquest of Siena (1552–59)
and the republic’s difficult process of submission to its new Florentine lord.
We know very little about Terenzio Usinini. There is no record of his having
been baptized in Siena,20 so we can assume that he was born and baptized in the
countryside. He also does not appear among the very few Usinini who held
secondary appointments in Sienese offices.21 His family pedigree or that fact
that the family belonged to one of the major political groups in Siena, the
Monte of the Riformatori, were of no help to him—in referring to Terenzio, the
Captain of Justice noted that “a worst name against a person cannot be heard in
the entire town.”22 In fact, Terenzio did not have a good reputation—after
hearing that he had been accused of attempted rape, other women in town went to
the Captain of Justice to report that he had raped them, too, or had attempted
to do so. Terenzio managed to escape arrest on this occasion, but his
accomplice, a priest, was not as fortunate—he was captured thanks to a peasant
who tricked him with the help of a woman who was priest’s former lover. The
incomplete records do not tell us what happened to either Terenzio or the
priest. We can, however, determine that Terenzio seems to have been a violent
highborn individual who behaved as if he were above the law and thought he
could force his sexual desires upon subordinate women. This may, in fact, be to
a certain extent true because Terenzio seems to have managed somehow to escape
justice. While highborn locals might have been able to get away with sexual
violence and escape justice, the sexual misbehavior of state officials, who
were to uphold the legal system, was more problematic, especially when such
officials used their power to abuse women and girls. Already in 1378, Pietro
Averani from Asti, a district judge was dismissed because he had used the power
of his office (sub pretextu offitii ) to rape a young virgin girl living in
Siena.23 In a case from 1554, a community in the countryside asked the
government in Siena to “immediately” send another commissioner to replace the
current one whose violence against some local women was such that it was about
to cause serious disorders. One “young, respectable, and good” local woman even
went to Siena herself and, in tears, described to the magistrates how the said
commissioner had come into her house at night on the excuse of seeing how the
soldiers had been billeted and had started to lay his hands on her, at which
point she had begun to scream and he stopped.24 Though problematic, the sexual
misbehavior of this representative of the legal system seems to have elicited
little more than a request for removal from the post or relocation, and no
actual physical punishment meted out on the guilty party. We do not know
whether this was the limit of what plaintiffs could expect. In a different
case, blasphemy was added to the charge of attempted violence. This rendered
the accusation much more dangerous because blasphemy was considered an “open
crime,” that is, clear and public. Angela reported that Bastiano, the servant
of the Bargello (that is, of the chief of police), “on many occasions requested
her honor from her.”25 After beating her several times because sherefused, he
entered her house while her husband was away and tried to rape her, at which
point she started screaming. After threatening her, “he pointed the dagger at
her throat saying ‘whore of God, if you scream I will slaughter you,’” but she
continued to scream and so he left. The examples given so far point to a
somewhat spontaneous, even impulsive attempt on the part of the men to engage
in sex with an unwilling woman. There are also cases of carefully planned
attempts. Agnoletto the Corsican, for example, not knowing how other to seduce
a young woman, did so by impersonating a priest; “because he did not know how
else to rape a young girl, he took the clothes the archpriest wore during Lent
and, dressed like him, started confessing her in church.” This particular
record continues by pointing out that Agnoletto “raped many women and did other
impudent things.”26 We have further examples of premeditated rape. A notary
reports that Pompeo di Giovanni from Monticello, a 45-year-old man, married and
with two daughters, had engaged in “robberies, rapes and, in general, all other
sorts of abuses done and committed” including “raping, together with other men,
Iacoma the daughter of Filippo, his relative,” and of “having prided himself
for having entered through the roof into Antonia di Censio’s house only to have
sex with her and perhaps he did so, and because there was no point in screaming
she, for the sake of her honor, kept quiet about it.” The notary continues his
report with the comment that he “will remain silent on what Pompeo did to
certain poor young women who were walking by” and then concludes by recording
that Pompeo was eventually found guilty of a long list of robberies and
sentenced to the gallows.27 After the Council of Trent (1545–63), a new detail
enters into notarial descriptions of sexual violence: some defendants now tried
to justify themselves by explaining that they had been tempted by the devil. In
1571, Sandro was accused of raping five-year-old Santina in a wheat field and
causing her to bleed from her vagina.28 In his defense, Sandro told the Captain
of Justice that when he went in the field to “shout at some children doing some
damage,” Santina and Elisabetta came by. Sandro was then tempted by the devil
to sit down and grab the said Santina and put her on his lap, and having pulled
out his tail [i.e. penis] through the opening of his trousers, he inserted the
second finger of his right hand into Santina’s nature [i.e., vagina] and,
having seen that it could enter easily, took out his finger and started
pointing his tail towards her nature and, in so doing, he could have hurt her
and she shouted one or two times. Hearing the little girl scream, her uncle
Domenico rushed to help her and found her crying and “totally wrecked and
bloody.” He hit Sandro with a bow he had in his hands and moved him away from
the girl. Sandro later confessed that since he could not put his member inside
Santina’s nature, he was about to finish [i.e. ejaculate] between her thighs or
in some other way as best hecould because the devil grabbed him by the hair and
he [Sandro] could not stop himself, but the said Domenico stopped him. Sandro’s
deposition claims that when he was raping the girl he was not his own self, but
was under the control of the devil to the point that he was not physically able
to do otherwise until an external force, Domenico, interrupted him and stopped
the devil’s control. Referring directly to the 1558 law mentioned above, the
Captain of Justice pointed out that, in cases of violence with effusion of
blood, the accused must incur the death penalty. Perhaps to elicit a more
merciful sentence, the Captain of Justice described Sandro as “a young man
between 25 and 30 years old, a bachelor, and more a fool than a scoundrel.” The
plea was successful—Sandro was spared his life and received the lighter
sentence of “two or three years in the galleys.”A matter of honor, but whose
honor? In a letter of March 1524 to the government in Siena, Bartolomeo di
Camillo, at that time podestà (chief magistrate) of Sarteano, reported a
disturbing case of rape: A certain local man, Agnolo di Ipolito, entered into
the house of a certain Giovanni Baptista Tucci, a citizen of Siena, and found a
daughter whose name is Iuditta, who is around fourteen-years-old and not yet
married, and violently took her and because she did not consent, he started
hitting her and eventually he raped her by force so that he broke her nature.
29 Podestà Petrucci then went on to say that: It seemed to me that, since I am
in this town, for the honor of your Excellencies first and for my own honor
secondly, I had to bring this shameful case to your attention so that it will
not go unpunished. Petrucci explained how he sent soldiers to Agnolo’s house to
arrest him, but the accused was defended by one of his brothers and other
relatives, as well as by the town’s priors. Because the victim’s father,
Giovanni Baptista Tucci, was a Sienese citizen, Sienese statutes applied and
overrode Sarteano’s local customs and statute (capitoli ). Petrucci thus
assumed that he had the authority, as podestà of Sarteano, to deal with the
case, so “In a friendly way, I let the Priori know that I did not want to bypass
their local customs, but I wanted [to uphold] my honor.” The situation quickly
deteriorated and one of Agnolo’s relatives fired “two rif le shots together
with offensive words” against the podestà. Another relative, Petrucci reports,
“told me, answering back, that if I would have gone to his house, he would have
punched not only me, but Christ himself.”Two days later, Petrucci reported that
news of the rape had reached one of the subordinate judges in his podestarial
team, and that this judge, together with some soldiers, went once again at
Agnolo’s house to arrest him. Agnolo’s uncle, Ser Giovanni di Gabriello,
threatened them, saying that if the judge tried to get in, he would throw
bricks or stones at him. In his report to Siena, Petrucci underlines the fact
that “Your Excellencies know that these actions are done against you, that in
this place I am your delegate, and that in order to preserve your honor I am
ready to give my life.” Two days after this, Cardinal Giovanni Piccolomini,
archbishop of Siena, wrote from Rome to the Sienese Concistoro (the lords and
main officers) in support of Ser Giovanni; perhaps as a way to show that Ser
Giovanni enjoyed important connections and patronage, or perhaps as an attempt
to limit more severe outcomes. “Because they had some other enmities [in town]”
cardinal Piccolomini informed the Concistoro, Ser Giovanni di Gabriello and his
relatives did not recognize, in the darkness of the night, the podestà ’s
soldiers and so they defended themselves. He added that Ser Giovanni “in a
good-natured and simple way used some inappropriate words” without realizing
that he was speaking to the podestà and his soldiers. Cardinal Piccolomini
continued that he was certain that the lords of Siena would recognize “the good
faith of this country town and in particular of the family and household of
said Ser Giovanni who have always been good servants of our city” and suggested
that the lords “might show all possible leniency.” A month later, podestà
Petrucci happily wrote: Magnificent, excellent and powerful lords
[. . .] in order to carry out what your Excellencies have ordered
[. . .] I sent for Giovan Baptista Tucci, his wife, and his daughter
on the matter of what Agnolo di Ipolito had done, and about the marriage that
has to be contracted between them.30 Clearly, the legal solution reached in
this case of rape was for the rapist to marry his victim. The records do not
indicate what Iuditta, the victim, might have thought of such a solution, or
even what she felt about the entire case. There is no trace of her in the
reports or the letters. What is ever-present, instead, is the matter of
honor—the honor of Siena, of its magistrates, and their delegate, of the town
of Sarteano and its priors and local statutes; of Agnolo’s family; of Tucci’s
family; and of Iuditta’s own self, which would now be restored through marriage
with her assailant. In all of this, the discourse is male while the female
voice of Iuditta is completely absent.The rape of young boys Rocco from
Campiglia confessed under torture that, while he was at home eating, a certain
Curtio, a little boy around eight years old, entered his house and asked him
for something to eat; the said Rocco grabbed him and laid him over a table and,
having lifted his clothes, put his tail [penis] between the boy’s butt cheeks
with the intention of knowing him carnally.The boy’s screams stopped Rocco from
proceeding any further in the attempted rape. Under questioning, Rocco admitted
that “he did put [his penis] between the boy’s thighs but then finished the job
with his hands.”31 In light of the accusation and confession, the Captain of
Justice in 1571 asked not only that the usual fine for such sodomitical
activities to be levied on Rocco, but also that he be given jail time on
account of “the young age of the boy.” The request for jail time may point to
the Captain of Justice’s understanding of the aggravating factor in the case
(the boy’s tender age) and, perhaps, to his personal feelings about it, but the
bureaucratic language of the report does not allow us to delve further into the
case nor to understand more fully how Rocco himself might have justified his
aggression of Curtio. It does, however, point to the risks and dangers that
came with child poverty (Curtio entered the house to ask for food) and the
opportunistic behavior of men in the grip of sexual impulses. The charges
levelled a few years earlier in 1567 against Giovanni, a 25-yearold man from
Sinalunga, “strong and well-shaped,” were many and varied.32 The records tell
that that he was “in jail, indicted for having carnally known a she-ass and
also for having used the nefarious sin [sic] vice of sodomy.” He was also
accused of having sodomized Salvatore, a boy of “around four or five years of
age and of having broken his ass [sic] sex.” Salvatore was not the only boy
Giovanni had attempted to sodomize; he had done the same to “another little boy
[also named Giovanni] of the same age [as Salvatore] or a little more”, but
this boy managed to run away crying. Under “rather rigorous torture,” Giovanni
explained that he had found a she-ass along the way, moved her off the public
road and into a scrub where, he felt the need to mount her and so, approaching
her from the back, he put his member into her nature, but because she did not
stop moving and grazing, after having kept it there for a little while, he
pulled it out and climaxed as he did so. Giovanni also confessed to having
taken little Salvatore to a vineyard where, having lifted his clothes, he
directed his natural member into the boy’s ass [sic] sex, but because the boy
was small he could not insert it more than two fingers, and because this was
hurting the little boy, the boy started to struggle and scream so Giovanni let
him go and climaxed outside, and he did not notice that he had broken the boy’s
sex or caused an effusion of blood. An aunt of the little boy declared,
instead, that when little Salvatore came home “the blood was running down his
thighs and his ass [sic] sex was chapped.” Giovanni justified himself saying
that when they were in a barn he told the child “if you come here, I will fuck
you” and then added that “it is not true that he wanted to sodomize him.” The
records conclude that “in line with the statutesof this city, it does not look
as if Giovanni is subject to capital punishment,” even though blood had been
spilled, “but we could condemn him to the galleys, with the approval” of the
Governor. Aside from the various crimes listed in this deposition (bestiality,
sodomy, child abuse, physical violence causing bleeding), there is an
interesting idiosyncrasy in the records. The notary seems to have had second
thoughts about some of the words he was using and seems to have felt compelled
to attenuate the language; he did so by striking out some words and
substituting them with more neutral, though still very precise, terms. As a
result, “ass” became “sex” and “sin” became “vice.” While the first correction
suggests an attempt to use terminology that is less vulgar or vernacular in
favor of a more technical term, the second suggests the presence of a moral
consideration whereby the Christian concept of “sin” is replaced by the more
secular concept of “vice.” All the previous cases deal with sexual violence in
the countryside or smaller towns in the region. The only case of sexual
violence I have found in the city of Siena itself involved a young apprentice
working in a slaughterhouse in the district of Fontebranda.33 Ascanio accused
the butcher Lando, an associate of his employer Orlando, of having sodomized
him in the slaughterhouse and having beaten him for resisting. Ascanio
explained that it happened “in the workshop when we were going to stretch the
tallow in the workshop dais” (fol. 169v). When Ascanio turned down Lando’s
sexual request, Lando “took me by the arms, tore the lace off my leggings and
lowered them. Then he lowered my head, came into me from behind, and did his
wicked things [ poltronerie] to me, and once he had done them, he punched me
twice in the back.” Ascanio told the court that he informed his employer
Orlando, who in turn informed the shop boys working with Lando as well as other
people. Ascanio’s accusation was, however, undermined by his own admission that
he had already, on several occasions, been the passive partner in same-sex
intercourse with soldiers in Montalcino and with a soldier in Siena in the
service of Cornelio Bentivoglio (fol. 170v). In other words, Ascanio had
previously been sexually active with other men. Perhaps for this reason Lando
did not suspect at first that he had been arrested for having sodomized
Ascanio, but thought, instead, that he had been arrested for having beaten him
(fol. 171r). Questioned on the details of what happened in the slaughterhouse,
Lando reported that perhaps Ascanio had misinterpreted his joking words “what
do you think, come here I want to fuck you.” This led the judge to interrogate
Ascanio once again, this time with his hands tied. The youth once again
declared that “Lando started beating me and wanted to force me and he bent me
over and sodomized me” (fol. 172r), but this time Ascanio added that he did not
resent his having been beaten. Ascanio was then questioned a third time, this
time in front of Lando, who maintained his defensive line saying: “I told him
jokingly ‘come here, I want to fuck you’ because he did not want to come.”
Interrogated again, Lando confirmed “I ordered him to bring the tallow and to
stretch it up, but I did not do anything with him nor with anyone else” (fol.
172v). Ascanio, too, continued to affirm his own version of events pointingout
that this happened not only at Lando’s slaughterhouse, but once also at
Fontebranda (where Ascanio refused to go along with the attempted sodomy). When
Lando kept saying that the accusation was levelled at him because of the
beating he had given Ascanio, the latter asked the judge call other witnesses
saying, “let the shop boys come here and they will tell you what I told you”
(fol. 173r). In the end, Ascanio’s situation became quite complicated as he
paradoxically changed from being the accuser to being the accused. He was
jailed (allegedly on charges of sodomy), but on 25 December, in celebration of
the Nativity, he was pardoned and released “by decree of the lords” (fol.
173r).34 Several factors worked against Ascanio. His position as an apprentice
was perhaps too weak to sustain the charges he levelled against a master
butcher such as Lando, or to raise doubts about the truth of Lando’s
deposition. In a situation such as this, the court seems to have given credence
to the more senior and more socially respectable individual. Similarly, the
fact that Ascanio’s employer failed to support him in his case must have raised
suspicions. Lastly, Ascanio’s admission of having previously engaged in
same-sex intercourse with soldiers both in Siena and in Montalcino worked
against him. Although Ascanio had the courage to denounce a superior for a
sexual crime that was not uncommon, his social status and his previous sexual
encounters with men not only placed his testimony in doubt, but actually served
to find him guilty and put him in jail.The clergy and violence After Siena fell
to Florentine forces in 1555 the Sienese government and part of the Sienese
population moved to Montalcino, a small town about 40 km due south of Siena, in
a last attempt to resist the conquest and preserve the centuriesold republic.
Among the volumes of deliberations that have survived from the “Republic of
Siena retired in Montalcino” (Repubblica di Siena ritirata in Montalcino) there
is the denunciation deposited by Mona Antilia di Andrea, a woman living in
Castelnuovo dell’Abate, in which she asks for justice for her eight-yearold son
who, she reports, has been “damaged” ( guasto) by the French friar Carlo who
worked at the ospedale (hospital or hospice) attached to the Olivetan abbey of
Sant’Antimo, in the plains just below Castelnuovo.35 The Sienese authorities
summoned the friar to appear in court within three days to defend himself
against the accusation that “he had had sodomitical intercourse with the said
young boy and had broken his ass” (“di havere fatto culifragio”). Because the
friar was French, the court decided to inform the French Marshal Blaise de
Lasseran-Massencome, seigneur de Monluc, who had commanded the French troops
during the defense of Siena and had then moved to Montalcino with the Sienese
government and exiles. A week later, Monluc was informed that the friar had
been arrested in Piancastagnaio where the podestà was told to keep the
Frenchman in jail and under close surveillance until further notice. About a month
later, the friar was transferred to the Franciscan convent in Montalcinowhere
the friars were advised of his alleged crime, told to guard him well, and await
further orders. At this point, the documents fall silent and we do not know
what further ensued with Friar Carlo. We are thus left with no information on
what he might have said in his defense, what further evidence the mother and
the boy might have brought into consideration against him, or what
the final verdict might have been. What we do have, however, is the record
of a mother asking for justice against a foreign clergyman who was the subject
of, and possibly defended by, a powerful foreign military figure in the region,
this during a difficult moment in a war that had devastated the countryside and
brought about the near-total collapse of the government and the republic. Civic
and moral regulations were still in effect, but the silence of the incomplete
records and the transfer of the accused friar to another convent, rather than
to a city jail, seem to imply that such regulations had not been strictly
applied and that the friar probably escaped justice. The Sienese government,
whether in exile or not, was not the only jurisdiction to deal with sexual
violence by the clergy. Ecclesiastical courts also dealt with sexual crimes, as
we can see from the records in the fonds of Cause criminali housed at the
Archiepiscopal Archive in Siena.36 The collection includes the precepts, that
is the summons to appear in court, and some of the trial records, but once
again many of the files are incomplete. In fact, in the majority of documents
and final sentences issued by the archbishop’s vicar are missing, so this case
can only be known in its general outlines.Menica and the priest Ser Mauro Criti
One case for which we do have a complete set of documents deals with the
charges levelled against the priest Ser Mauro Criti, rector of Campriano di
Murlo, a hamlet 17 km south of Siena.37 According to the charges brought forth
by the victim’s father, the priest used an excuse to enter the accuser’s house
and, finding the man’s twelve- or thirteen-year-old daughter Menica alone at
home, tried to sweet-talk her by asking her if she wanted him to buy her a pair
of shoes. Aware of the priest’s intentions, Menica responded with “I want God
to give you a misfortune.” Ser Mauro “then reached out for her neck and kissed
her and tried to do something else, but she yelled.” Menica’s shouts were heard
by Laura Pasquinetti, a nine-year-old girl who arrived just in time to see the priest
leave. He pretended to throw some snow against the window, and said to Menica:
“Be quiet, you little beast, I’ll buy you a pair of shoes.” Menica’s father
asked that the priest be justly punished, having damaged both his and his
daughter’s honor, even though he had to admit that “he could not prove the
fact, except as he had told it, because when it happened there was no one else
at home.” Although the evidence came from two under-age girls, Menica and
Laura, the court was nonetheless obliged to pursue the case. A note signed by
FilippoAndreoli, secretary of the Governor of Siena, Federico Barbolano di
Montauto, laid out the guidelines the vicar was to follow: The very reverend
vicar of the most reverend lord archbishop of Siena will make sure that in the
states of His Highness [Duke Cosimo I de’ Medici] crimes committed by priests
will not go unpunished and he will not fail to ensure that both public honesty
and private interest are upheld. With this note, Andreoli was referring to the
1558 Florentine law on sexual violence and Cosimo’s determination that it be
applied evenly and universally. The trial, which lasted almost a year, gathered
testimonies not only from the two girls who had been ocular witnesses, but also
from many other people, and brought to light the fact that the priest was no
saint. At first, the interrogation of Ser Mauro revolved around what he did
that day. His responses claimed that his conduct had not been socially
improper—he said that when he called at the house and realized that no adult
was present he simply went away (fol. 4v). He stubbornly denied having thrown
snow at the window, but admitted to having thrown snow elsewhere that day, as
confirmed by other witnesses. Brought in for questioning once again, this time
with Menica in the room, Ser Mauro reacted with surprise and fear at seeing the
girl (fol. 13r), who accused him without fear (fol. 13v). From the examination
of other witnesses, the vicar learned that Ser Mauro had also been physically
and sexually violent with Caterina, a young girl about fourteen years old,
unmarried, who had been brought up by a certain Bernardino. According to
testimony, Ser Mauro had “misled and kidnaped Caterina [. . .]
brought her to his house, where he kept her for several weeks, raping her and
using her contrary to the law [contra forma iuris]” (fol. 23v). He also sought
to take advantage of Hieronima, the servant of a priest who had previously been
stationed in Campriano. Ser Mauro asked her to wash his clothes in exchange for
his giving lessons to one of her sons and then added that he would “give her
more affection than the other priest”, and this contrary to the law [contra
forma iuris] (fol. 23v). Other witnesses reported that the priest was a
confirmed card player and always had with him a deck of cards “that he says is
a present from a beautiful girl” (fol. 30v). Ser Mauro denied everything, even
under torture, but was found guilty nonetheless and fined 100 lire, removed
from his church in Campriano, and confined in Siena for two years.Filippo and
the presbyter Ser Cristofano Another case heard by the bishop’s court in
Grosseto deals with a mother who brought charges against a priest who had raped
her son. Monna Caterina, a thirty-year-old widow living in Campagnatico, in the
outskirts of Grosseto, reported that the presbyter Ser Cristofano “has raped my
little son Filippo.”38 The narrative she provides illustrates a mother’s care
and a young victim’s shame. “For the past year I have sent my Filippo to his
[Ser Cristofano’s] school andone evening when he came back one I noticed he was
unhappy and very sad.” Caterina asked what was going on, but Filippo refused to
answer. Later that evening, when she was “undressing him to put him in bed, I
saw his shirt very bloody and I asked him what blood was this.” Filippo
confessed that on that day, the priest had called him in his bedroom and had
given him a book and he had approached him and while he pretended to teach him,
he did that horrible thing on the back, and because the little boy yelled, he
hit him few times. Ser Cristofano threatened the boy not to reveal anything to
me nor to someone else and so, “looking carefully at the boy, I saw that he had
hurt him and had broken his ass and so I decided he would not attend school
anymore.” In her testimony, Caterina also reported that she heard that Ser
Cristofano had raped “Monna Lena, a widow at that time” and that rumor went
around the entire countryside that “he torn her behind.” But what troubled
Caterina more was that she and Ser Cristofano were cousins39 —presumably, she
did not understand the reason behind his “bad behavior” against his
twelve-year-old nephew Filippo. When the bishop’s vicar interrogated young
Filippo, the story matched closely with what his mother had reported. Both
accounts pointed to a familiar closeness and confidence that the presbyter had
showered on Filippo in order to sodomize him. Filippo recounted: I know Ser
Cristofano of Ventura, the priest in Campagnatico and my kin, and I attended
his school for a year or perhaps more and one evening, after the other pupils
had left, I remained there to serve him at dinner and after he had dined he
stood up and he went to sit on a chair in his bedroom and he called me. After I
made the bed, we went back and he sat again on the same chair. Then he gave me
an illustrated book and he put me between his legs: he untied my pants and
lifted up my shirt and put his thing into my ass and caused me pain. I started
to scream and asked him to let me go, but he was holding me and he was thrashing
and kept telling me “be quiet, be quiet” and he closed my mouth so I could not
scream and he put his thing into my ass and then he let me go. I went home and,
along the way, I could not walk because he hurt me in the ass and I was
bleeding and I went to bed and my mother saw my shirt and I think she believed
it was scabies because at that time I had it, and then I told her: and she did
not want me to go to school again and I did not go anymore. In response to a
direct question, Filippo answered, “I never saw nor do I know whether Ser
Cristofano did something like this to any other student.”40 Family relation was
the justification Ser Cristofano used to keep Filippo back, have him serve
dinner, and make the bed. Once there, he used the “illustrated book” to entice
the boy enough to sodomize him, counting on the fact that Caterina, as a widow,
did not have a husband to defend the family or take action against the
presbyter, whose social and cultural position in town served, in part, to
protect him.Reading the document with modern eyes, we note Caterina’s maternal
sensitivity: she immediately realized that Filippo was unhappy and hiding
something. Her understanding of her son and her emotional connection with him
were strong and deep. She also had aspirations for her son, enough to send him
to be educated by a learned relative who might open doors in life for the boy.
In spite of this, Caterina was not about to accept her cousin’s violence
against her son and reacted quickly and with determination: “I did not want him
to go to his school anymore” she told the vicar’s notary, and then, perhaps to
temper her rage, added “I consider him [Ser Cristofano] wicked man [tristo]41 because he raped my
little boy Filippo.” Although Filippo was about twelve years old at the time,
Caterina referred to him as a citto (little boy), using a typically vague term
for a child that could be adapted to the legal necessities of the moment—in her
eyes, Filippo was an innocent child and not a possibly compliant youth. In
fact, the records do point to Filippo’s physical weakness and to his inability
to deal forcefully enough with the situation to avoid the rape—caught by
surprise, he reacted strongly and screamed, but to no avail because the
priest’s adult strength, his shutting Filippo’s mouth to prevent the boy from
screaming, and his repeated command to the boy to “be quiet” while he raped him
all contributed to overpower and subdue Filippo. The consequences of the
priest’s violence were not only physical—lacerations, bleeding, pain—but also
psychological—the boy’s depression and silence on his return home. While in
cases of anal rape in Venice, the authorities, already in the fifteenth
century, sought the help of surgeons and barbers to examine and report on the
lesions and physical damage done to the victim’s body,42 this was not the case
in Siena. There is no trace of such provisions in the surviving statutes of the
Sienese barber surgeons’ guild.43 The only reference I have found to an
obligation to report on wounded persons is a decree of February 1556 (reissued
in 1563) signed Governor Ferdinando Barbolani di Montauto, which refers to
wounds in a general way, and not to wounds specifically caused by sexual
violence or sodomy.44 In a case of some years later, a certain Arcangelo charged
the chaplain Ser Andrea with having sodomized his eight-year-old son Sabbatino,
who had been a boarding student in the chaplain’s school, and with having
threatened him (Arcangelo) with a weapon.45 Arcangelo reported that “one night,
while sleeping in bed with Sabbatino, Ser Andrea sodomized him forcibly and
against Sabbatino’s will, so that he broke his ass and then abandoned him.” As
he was being raped, the young boy screamed and was heard by a neighbor. The
physical damage done to Sabbatino was such that he could not walk. Archangelo
heard of this from a local miller who presumably heard the news through the
small talk of the neighbors, and went to the chaplain’s house to get his son
and take him home. A few days later, Arcangelo went to pick Sabbatino’s things,
but the chaplain refused to return them. In front of other people, the chaplain
threatened Arcangelo with a hatchet while “another man who is in his house took
an harquebus.” Ser Andrea’s violent behavior was not limited to
Sabbatino:Arcangelo reported that “he has sodomized four more little boys,”
among them two of the miller’s sons.Conclusion The case studies presented in
this essay point to a much larger corpus of documents dealing with legal cases
against perpetrators of crimes of sexual violence. A first observation we might
draw from the evidence presented is that, ten years after the publication and
implementation of the 1558 Florentine law against sexual violence, cases were
still being handled with leniency towards the accused—at least in Sienese
territory. In spite of mounting evidence that included precise and detailed
information from the victims, supporting evidence from eye-witnesses and other
people, and in spite of the use of torture (in a few cases) to extract further
information or confirm previously given information, alleged culprits seem
generally to have received lenient sentences that spared their life. What is
also striking is that all defendants denied the allegations raised against
them, even under torture. In their defense, the accused used standard diversion
tactics in order to have the case dismissed or the penalty reduced. This
included suggesting that the children’s allegations were reliable because of
their young age, or the fact that the children may have been prompted by others
to say things that were not true, or that they had been instructed on what to
say in order to build a case against the accused. Was this sexual violence
against minors “normal” at the time? To modern eyes, the cases and evidence
presented here may seem extreme and even unbelievable, and some contemporaries
probably felt the same way. Yet, as Ottavia Niccoli reminds us, we must not
imagine a constant in “human nature” that might allow us to apply our criteria,
our sensibility, our perceptions to people who lived five or six hundred years
ago, except in very general terms. The mental frame of our ancestors was, in
fact, and at least under some aspects, very different from ours.46 We can
observe that those mothers, fathers, and relatives who sought justice for their
victimized children did so without fear of the court, or public opinion, or the
bureaucratic lengths of time the process would entail. We can also note how
local communities were not sympathetic towards people in positions of authority
who behaved in improper ways towards the young people they were supposed to
educate, defend, and protect. The Sienese evidence suggest that these cases,
unlike those in Florence or Venice, were not about voluntary choices.47 These
were not cases of same-sex consensual sodomy or prostitution for profit. These
were violent acts perpetrated by men in power over young people who could not
defend themselves. As Patricia Labalme aptly said, “although there is herein
much to pity and much toprotest, this is a story without a moral.”48 The
evidence from the Sienese records points to the same conclusion.Notes 1 Di
Simplicio, “La criminalità.” For the later period, Di Simplicio, Peccato
penitenza perdono. 2 For the case of violent behavior in Bologna see Niccoli,
Il seme della violenza. 3 Archivio di Stato di Siena (hereafter ASSi), Guida
Inventario, 105, 119–23. 4 Ibid., 105. 5 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 120. 6 ASSi, Guida Inventario, 121. 7 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 120. 8 ASSi, Guida Inventario, 123. 9 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 117. 10 For social aspects, see Rocke, Forbidden Friendships. For
statistical aspects, see Zorzi, “The Judicial System.” 11 Ascheri, ed.,
L’ultimo statuto, III. 76 “De poena adulterii, stupri et raptus,” 315. 12
Brackett, Criminal Justice, 111. 13 Ascheri, ed., L’ultimo statuto, III. 79 “De
poena sogdomitarum,” 316. 14 Cantini, Legislazione Toscana, Archivio di Stato
di Firenze (hereafter ASFi), Mediceo del Principato (hereafter MdP) 1869, fol.
13r (February 16, 1559). 17 Giansante, “Camaiani Onofrio.” 18 ASFi, MdP 1869,
fol. 27r. 19 It may be possible that she is “domina Francisca relicta quondam Michelagnoli
Iacobi de Belforte” with whom Terenzio had disagreements for some quantities of
wheat, ASSi, Curia del Placito 750, not foliated (November 4, 1555). 20 He does
not appear in ASSi, Ms A 33, fol. 305r (battezzati), a compilation of baptismal
records from church registers in the Baptistery and civic records in the office
of the Biccherna. 21 ASSi, Ms A 39, fol. 203r (riseduti). 22 ASFi, MdP 1869,
fol. 21bisr. 23 ASSi, Notarile ante cosimiano 99, not foliated. Pietro was also
legum doctor. 24 ASSi, Concistoro 2453 ad datam (April 18, 1554). 25 ASSi,
Capitano di giustizia 645, fols. 17r–19r (August 1570). 26 ASSi, Repubblica di
Siena ritirata in Montalcino 63, passim (1557). 27 ASSi, Biccherna 1127, fol.
24v (1544); ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 94r–v (July 1571). 28 ASSi,
Governatore 436, fol. 86r–v (June 28, 1571). 29 ASSi, Concistoro 2081, not
foliated (March 20–24 1524). 30 ASSi, Concistoro 2080, not foliated (April 26,
1524). 31 ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 78r–v (May 29, 1571). 32 ASSi,
Capitano di giustizia 611, fols. 138v–139r (April 8, 1567). 33 ASSi, Capitano
di giustizia 150, fols. 169v–173r (November 2, 1555). 34 It was common custom
to free some prisoners during the most important religious celebrations. 35
ASSi, Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5, not numbered Archivio
Arcivescovile di Siena (hereafter AASi), L’Archivio Arcivescovile di Siena, ed.
G. Catoni and S. Fineschi (Rome: 1970). 37 AASi, Cause criminali 5509, insert 3
(January 23–December 6, 1569). 38 AASi, Cause criminali 5502, insert 4 (May
5–September 1, 1552). 39 “To me he is a cousin brother” (“a me è fratello
consobrino”), that is, a cousin born to a sister of Caterina’s mother.40 “For a
similar case, see Marcello, “Società maschile e sodomia.” 41 The Treccani
Italian vocabulary defines as tristo a person who has a bad attitude. 42 In
1467 the Council of Ten issued a law that obliged doctors to report “anyone
treated for damages resulting from anal intercourse”; see Ruggiero, The
Boundaries of Eros, 117. 43 ASSi, Arti 37 (1593–1776). 44 ASSi, Statuti di
Siena 64, fol. 72r. 45 AASi, Cause criminali 5504, insert 4 (February 19–March
5, 1559). 46 “Non dobbiamo immaginare una costanza della ‘natura umana’ che ci
consenta di applicare i nostri criteri, la nostra sensibilità, la nostra
attitudine percettiva a chi è vissuto cinque o seicento annifa, se non in
termini generalissimi. L’attrezzatura mentale di quei nostri antenati era
infatti, almeno sotto alcuni aspetti, molto differente dalla nostra.” Niccoli,
Vedere, vii. 47 For Florence, see Rocke, “Il fanciullo” and Rocke, Forbidden
Friendships. For Venice and the Veneto see Ruggiero, The Boundaries of Eros. 48
Labalme, “Sodomy,” 217.Bibliography Archival sources Archivio Arcivescovile di
Siena (AASi) Cause criminali 5502 and 5509 L’Archivio Arcivescovile di Siena.
Edited by G. Catoni and S. Fineschi. Rome: 1970. Archivio di Stato di Firenze
(ASFi) Mediceo del Principato (MdP) 1869 Archivio di Stato di Siena (ASSi) Arti
37 Biccherna 1127 Capitano di giustizia 150, 611, and 645 Cause criminali 5504
Concistoro 2080, 2081, and 2453 Curia del Placito 750 Governatore 436 Guida
Inventario. Rome: 1994. Manuscript A 33 and 39 Notarile ante cosimiano 99
Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5 and 63 Statuti di Siena
64Published sources Ascheri, Mario, ed. L’ultimo statuto della Repubblica di
Siena (1545). Siena: Accademia senese degli Intronati, 1993. Brackett, John K.
Criminal Justice and Crime in Late Renaissance Florence, 1537–1609. Cambridge:
Cambridge University Press, 1992. Cantini, Lorenzo. Legislazione Toscana.
Volume 1, 3, and 4. Florence: nella stamperia Albizziniana, 1800. Di Simplicio,
Oscar. “La criminalità a Siena (1561–1808): Problemi di ricerca.” Quaderni
Storici Peccato penitenza perdono, Siena 1575–1800: La formazione della
coscienza nell’Italia moderna. Milan: Franco Angeli, 1994.Giansante, Mirella.
“Camaiani Onofrio.” In Dizionario Biografico degli Italiani 17, 1974. Labalme,
Patricia. “Sodomy and Venetian Justice in the Renaissance.” Tijdschrift voor
Rechtsgeschiedenis Marcello, Luciano.
“Società maschile e sodomia: Dal declino della ‘polis’ al Principato.” Archivio
Storico Italiano 150 (1992), 115–38. Niccoli, Ottavia. Il seme della violenza:
Putti, fanciulli e mammoli nell’Italia tra Cinque e Seicento. Rome-Bari:
Laterza, 1995. ———. Vedere con gli occhi del cuore: Alle origini del potere
delle immagini. Rome-Bari: Laterza, 2011. Rocke, Michael. Forbidden
Friendships: Homosexuality and Male Culture in Renaissance Florence. New York:
Oxford University Press, 1996. ———. “Il fanciullo e il sodomita: pederastia,
cultura maschile e vita civile nella Firenze del Quattrocento.” In Infanzie:
Funzioni di un gruppo liminale dal mondo classico all’Età moderna. Edited by
Ottavia Niccoli, 210–30. Florence: Ponte alle Grazie, 1993. Ruggiero, Guido.
The Boundaries of Eros: Sex Crimes and Sexuality in Renaissance Venice. Oxford:
Oxford University Press, 1985. Zorzi, Andrea. “The Judicial System in Florence
in the Fourteenth and Fifteenth Centuries.” In Crime, Society and the Law in Renaissance
Italy. Edited by Trevor Dean and K.J.P. Lowe, 40–58. Cambridge: Cambridge
University Press. Residence, community, and the sex trade in early modern
Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas TerpstraEarly seventeenth-century Bologna
was unique for its relatively tolerant legislation on female prostitution.
Rome, Florence, and Venice required meretrici (prostitutes) and donne inhoneste
(dishonest women) to inhabit designated areas and streets. Romans settled on
the large area of Campo Marzio for their residence, Venetians ordered women to
reside in the old medieval civic brothel known as the Castelletto near the
city’s commercial center, the Rialto, and Florentines designated a few streets
located in the poorest areas of each city quarter.1 Segregation was motivated
by concerns about morality as well as the more pragmatic issues of civic
disorder, noise, an policing.
Containment protected sacred spaces and pious inhabitants from the immorality
and disruption of prostitutes and their clients and made it easier for
authorities to locate and arrest violators, thereby increasing order as well as
the fees and fines collected.2 By contrast, Bologna permitted registered
prostitutes to live across the city, and the records of its prostitution
magistracy demonstrates that they did. The extant annual registers from 1583 to
1630 provide a rare opportunity to map where hundreds of registered prostitutes
lived in the city, and to trace individual women’s movements. Only about half
lived on streets with ten or more prostitutes, and very few dwelt on streets
with twenty or more. Consequently, most Bolognese could count prostitutes and
dishonest women as near neighbors, and for many laboring-poor, prostitution and
prostitutes per se were not a serious problem.3 Regulation and enforcement in
Bologna show that secular and religious civic authorities and the general
populace approached prostitution primarily as an issue of economics and public
order, and only secondarily as an issue of morality and public decorum. Due to
the city’s economic reliance on university students, civic authorities had long
regulated prostitution as a commercial issue and prostitutes as fee- and
fine-paying workers governed by a civic magistracy known as the Ufficio delle
Bollette (Office of Receipts). Established in 1376, theBollette registered
“Foreigners, Jews, and Whores” (Forestiere, Hebrei, et Meretrici ). After
having tried civic brothels and sumptuary regulations in the fourteenth and
fifteenth centuries, and residential zones in 1514 and 1525, Bolognese civic
authorities of the later sixteenth century bucked prevailing trends with
comparatively relaxed legislation that underscored the connections between
prostitutes, Jews, and foreigners as coherent communities living and working in
the local body social while remaining legally outside the body politic.4 The
Bollette’s officials and functionaries negotiated between legislation, their
own interests, and the needs of individual prostitutes when enforcing
regulation. The hundreds of women who registered annually as prostitutes were
integrated into local communities through residence and through familial, work,
and affective relationships, and had greater opportunities for agency than
broader cultural, religious, and social ideals would lead us to expect. There
were bumps on the road to this more relaxed regime. In the late 1560s, the
Tridentine reforming Bishop Gabriele Paleotti attempted to separate prostitutes
and other dishonest women from most of Bolognese society through residential
confinement. Citing the desire “to restrain their wickedness and uncontrolled
freedoms of life” and to stop them from polluting others with their “filth,”
Paleotti and the papal legate published three decrees that ordered all
prostitutes, courtesans, and female procurers to live in a handful of specific
city streets. Yet Paleotti was overstepping his jurisdiction. His ambitious
reforms failed within eighteen months, and by 1571 the civic government had
regained exclusive control over regulation.5 It returned to the more tolerant
strategy employed before the bishop’s intervention: all prostitutes and
dishonest women were required to register and purchase moderately priced
licenses from the Bollette, but they were neither required to wear
distinguishing signs nor to live in assigned streets or areas. They were free
to live throughout the city. Scholars of Roman, Venetian, Milanese, and
Florentine prostitution have tracked the contrasts between strict legislation
and lax prosecution. Prostitutes regularly lived outside of designated streets
and areas, sometimes thanks to exemptions sold by the magistrates.6 Yet these
cities kept their stricter legal regimes on the books. What was distinct about
a city that largely abandoned that regime? This essay examines the residential
and social integration of prostitutes in Bologna’s neighborhoods. It first maps
their distribution across the city in order to examine how far residential
“freedom” extended in practice. While about half of registered prostitutes
clustered on sixteen specific streets, the other half lived on eighty-five
other streets with ten or fewer other prostitutes. It then reviews registrants’
sometimes complex and contested relationships with family, clients, lovers,
friends, and neighbors using evidence recorded in the annual registers and
testimonies given to the Bollette’s officials. Most were integrated into local
networks through the familial, affective, and working relationships they had
with other local men and women, and they gave and received support and companionship.
Finally, it examines late sixteenth- and early seventeenth-century
proclamations forbidding prostitutes from residing in specific city streets.
Thesedecrees ref lect the civic government’s pragmatism: they were issued in
response to the specific complaints of powerful convents, churches, and schools
located in areas with large prostitute populations. Trial records, cultural
sources, and recent scholarship on gossip and visibility shows that most
neighbors were aware of what these women did and that they were not troubled by
it. What they did find troubling were the displays of wealth by individual
women, the noise and disorder that some brought to their neighborhoods, and
instances where neighbors lost control over their communities. The Bollette
provided a vehicle for handling these complaints without criminalizing the
prostitutes. Taken together, the residential and legal evidence demonstrates
that prostitutes lived in most workingpoor neighborhoods of early modern
Bologna and that they were largely tolerated as a fact of life.The geography of
early modern Bolognese prostitution The majority of registered prostitutes
lived in the area between the second and third sets of city walls (see Figure
4.1), the “inner suburbs” where the urban poor typically clustered in Italian
cities.7 Only a handful of prostitutes lived near the city center, usually on
short alleys hidden behind larger publicFIGURE 4.1Agostino Carracci, Bononia
docet mater studiorum, 1581.56buildings that had been licensed for prostitution
in earlier centuries.8 The civic brothel noted in the 1462 Bollette regulations
had been immediately south-west of the Piazza Maggiore and civic basilica of
San Petronio, and some prostitutes worked by particular gates and markets, but
from the sixteenth century Bolognese meretrici moved to houses across the
low-rent inner suburbs.9 Table 4.1 charts the number and percentage of
registrants who lived in each quarter in 1584, 1604, and 1624. The quarters
differed in size and population as Figure 4.1 shows, and the larger quarters of
Porta Procola and Porta Piera housed more prostitutes. Few lived by the
north-western city wall in Porta Stiera, which appear on Agostino Carracci’s
1581 map (reproduced here) as dominated by fields.10 The sharp rise and fall in
the number of women registering demonstrate the inconsistencies of early modern
bureaucracy, with total numbers increasing by 327 from 1584 and 1604 (from 284
to 611) and then plummeting by 466 between 1604 and 1624 (from 611 to 165).
Lucia Ferrante has argued that in 1604 the Bollette was operating with unusual
efficiency, and perhaps even over-zealously.11 The f luctuations tell us more
about where the Bollette concentrated its work than about where all the
prostitutes and dishonest women actually lived. Charting residence by quarter
demonstrates that prostitutes spread themselves fairly evenly throughout the
outskirts of the city, and across each quarter. In 1604, registrants lived on
at least 102 streets, yet only eight streets had twenty or more women, and only
eight were home to ten to nineteen women (see Table 4.2). A few streets
housed larger numbers, like Borgo Nuovo di San Felice, in the western quarter
of Stiera by the city wall, and Campo di Bovi, located by the eastern city wall
in the quarter of Porta Piera.12 Women also clustered in the ghetto after the
Jews were expelled from the Papal States for a final time in 1592.TABLE 4.1
Residence of registered prostitutes in Bologna’s quarters1584Porta Piera Porta
Procola Porta Ravennate Porta Stiera Total16041624Number of resident
prostitutesPercent of total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of
total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of total registrants. This
table includes only those women with identifiable addresses. In 1584, this was
88% of all registrants (250 of 284 total registrants), in 1604 it was 91.8%
(561 of 611), and in 1624 it was 92.7% (153 of 165). Sources: Campione delle
Meretrici 1584, 1604, 1624.The sex trade in early modern Bologna 57 TABLE 4.2
Streets with ten or more resident prostitutes in 1604, by quarterQuarter of
Porta PieraQuarter of Porta ProcolaQuarter of Porta StieraCampo di Bovi:
36Senzanome: 36Jewish Ghetto: 21Frassinago: 21Borgo Nuovo di Fondazza: 29 San
Felice: 47 San Felice by the Broccaindosso: 10 gate: 13 Avesella: 10Borgo di S.
Giacomo: 20 Borgo di Santa Caterina di Saragozza: 21 Torleone: 18 Borgo degli
Arienti: 14 Borgo di San Marino: 17 Bràina di stra San Donato: 13 Gattamarza:
13Quarter of Porta RavennateSource: Campione delle Meretrici 1604.This was an
ironic reversal of the situation in Florence, where the ghetto was deliberately
located within the old brothel precinct in 1571.13 In 1604, twentyone women
lived in this area. Most streets in Bologna’s inner suburbs numbered only a few
prostitutes. In 1604, 84 percent (86 of 102) of the streets on which they
registered housed nine or fewer prostitutes, and these women accounted for
almost half of all registrants that year (44 percent). Further, 66 percent (68
of the 102 streets) housed five or fewer. Consequently, many of these women
lived on streets that were not dominated by prostitutes. A typical example of
this is the south-western corner of the city (see Figure 4.2). In 1604, three
of the area’s streets were heavily populated by prostitutes: Senzanome housed
36, Frassinago housed 21, and Borgo di Santa Caterina di Saragozza housed
twenty-one. However, the majority of the neighborhood’s streets had five or
fewer resident prostitutes and dishonest women: five women lived on Altaseda,
four on Nosadella, and three on Capramozza. The surrounding streets of Bocca di
lupo, Belvedere di Saragozza, Borgo Riccio, and Malpertuso had two or fewer. On
these streets prostitutes mixed with day-laborers, artisans, and merchants.
They rented rooms from pork butchers and shoemakers, lived in inns, and resided
next to potters.14 These were their immediate neighbors, separated only by the
porous boundaries of walls, stairways, doorways, and windows where they had
frequent day-to-day interactions.15 Like other working-poor women, they were
not confined to the streets that they lived on, but could and did move through
the surrounding area buying food, engaging in chores, finding work, visiting
friends, and going to the Bollette to buy their licenses.16 As Elizabeth S.
Cohen writes, prostitutes were both “seen and known” in their
neighborhoods.FIGURE 4.2Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum,
1581.Networks, neighborhoods, and communities The Bollette’s records reveal
prostitutes’ affective social and familial circles. Some women were registered
as living in their mother’s, sister’s, and (more rarely) cousin’s homes, while
other women’s female kin, housemates, lovers, and servants bought their
licenses. Notaries did not consistently record such details, making
quantitative analysis difficult.17 While men regularly appear in the registers
paying for licenses, the specifics of their relationships with the women were
almost never recorded. The Bollette’s records, particularly testimonies in
cases of debt against clients and long-term partners, provide rich information
aboutThe sex trade in early modern Bologna 59women’s familial, social, and work
relationships. However, the tribunal devoted more effort to investigating
unregistered women suspected of prostitution, than to the hundreds of women who
had bought licenses. The Bolognese evidence can be placed in the context of
evidence from other northern Italian cities demonstrating how prostitutes were
surrounded by family, housemates, and allies. In early seventeenth century
Venice, three-quarters of 213 prostitutes noted in a census lived with other
people. Most headed their own households, but some were boarders or lived with
their mothers. The majority of those who headed households sheltered dependent
female kin, children, and a variety of unmarried women, including servants and
other prostitutes. A few heads of households (6 percent) lived with men, who
were either their intimates or boarders.18 Roman parish censuses from 1600 to
1621 show similar cohabitation patterns: 47 percent of prostitutes lived with
at least one family member, mostly children but also siblings, nieces and
nephews, and widowed mothers.19 Everyone within the household economy
benefitted from the income and goods earned by these women. Bologna’s registers
give examples of sisters as registered prostitutes, like Dorotea di Savi,
called “Saltamingroppa” (literally “Jump on my behind”) and her sister
Benedetta, who lived together with their servant Gentile on Broccaindosso.20
Similarly, Margareta and Francesca Trevisana, both nicknamed “La Solfanella”
(“The Matchstick”), lived together on Borgo di Santa Caterina di Saragozza for
eight years. While Francesca registered annually from 1598 to 1605, Margareta
did so only in 1602, 1604, and 1605.21 Before registering, Margareta likely
enjoyed the income that her sister earned through prostitution and may have
assisted in preparing for and entertaining clients. The Bollette suspected that
she had, and so launched an investigation against her when she became pregnant
in 1601.22 Mothers and daughters also lived and worked together, like Lucia di
Spoloni and her daughter Francesca, who lived on San Mamolo by the old civic
brothel area, and Anna Spisana and her mother Lucia, who lived together on
Borgo degli Arienti.23 In 1604, Domenica di Loli bought licenses for her
daughters Francesca and Margareta, and all three lived just south of the church
and monastery of San Domenico on Borgo degli Arienti. Francesca had lived on
the street since at least 1600, and while she was no longer registering in
1609, her sister still was. Margareta continued to live on Borgo degli Arienti
until 1614, perhaps with her mother and sister.24 Prostitutes often lived
together in rented rooms, small apartments, and inns. Residential clustering
was not uncommon for unmarried women, who shared the costs of running a
household through lace making, street-peddling, prostitution, and laundering.25
The largest could count as brothels, though there were relatively few of them.
In 1583, twenty-one dishonest women lived in the house of Gradello on Bologna’s
heavily populated Borgo Nuovo di San Felice, by the eastern wall. Yet while
registrations climbed in the 1580s, the group at Gradello’s shrank to fourteen
women in 1584, and eleven in 1588.26 Moreover no other large houses appeared
through this period. In 1604, the street with mostregistrations was Borgo Nuovo
di San Felice, with forty-seven women, and the largest single group was
thirteen who gathered in the house of Lucrezia Basilia, while the rest had five
or fewer.27 On the second and third most populated streets, Campo di Bovi and
Senzanome, no house had more than six registered prostitutes living in it.28
These larger clusters were often inns, where prostitutes benefitted from the
presence of other women and the protection of innkeepers. Inns popular with
prostitutes included those of Matteo the innkeeper (“osto”) on Frassinago and
of Angelo Senso on Pratello. Seven registered women lived at Matteo’s inn in
1589, and ten lived in Angelo’s inn in 1597.29 Few women stayed at inns for
more than a year and most registered without surnames, but instead with
reference to a town, city, or region, like Flaminia from Ancona (“Anconitana”),
Francesca from Fano (“da Fano”), and Ludovica from Modena (“Modenesa”) who
lived at Matteo’s place in 1598. These could have been recent migrants or women
identifying by parents’ origins or using pseudonyms. The inns and brothels
helped them build social networks as they secured places of their own. Yet, it
was more common for women to live with one or two other prostitutes in rented
rooms and small apartments. In 1597, Lucia Colieva lived with Elisabetta di
Negri on Borgo di San Martino, and the following year she joined another
registered prostitute, Vittoria Fiorentina, on Senzanome.30 Similarly, in 1601
Isabella Rosetti, Giulia Bignardina, and Cassandra di Campi all lived together
in Isabella’s home on Frassinago. A year later Giulia had died and Cassandra
was no longer registered.31 For just under ten years, Madonna Ginevra Caretta,
who was unregistered, managed a small apartment where six to eight registered
prostitutes lived.32 Unlike Bologna’s inns and taverns, Ginevra’s household was
mobile, moving across town and back again over the years it operated. In 1588
it was located on Saragozza, in the south-western corner of the city, and the
next year it moved to San Colombano in the northwest quarter of Stiera. At
least one woman, Lena Fiorentina, followed Ginevra to the new street, where she
remained for almost a decade before moving to Paglia.33 A few of the
prostitutes lived with Ginevra for years, like Pelegrina di Tarozzi, who stayed
for four years, and Chiara Mantuana, for three.34 Domenica Cavedagna,
registered for thirteen years (1597–1609), ran a house on Centotrecento and
then on Bràina di stra San Donato.35 Seven other prostitutes lived with her in
1604, and a year later three had left but six new women had moved in. A few
stayed with her for four or five years.36 The Bollette’s registers explain why
some of the women moved out of the homes run by women like Ginevra Caretta and
Domenica Cavedagna. Some entered service (either domestic, sexual, or both)
while others moved to different streets or left Bologna entirely to try their
luck elsewhere.37 While living with other prostitutes could bring economic,
professional, and even personal security, it could also bring personal rifts or
increased attention from the police (sbirri ), who saw these homes as easy
targets for making arrests. Men interacted with registered prostitutes as
occasional clients, long-term amici, absentee husbands, jealous lovers, and as
acquaintances, if not friends.Single women, whether unmarried or widowed, were
financially and socially vulnerable, subject to sexual slander, to charges of
magic and sorcery, and to general suspicion by neighbors and authorities
alike.38 Relationships with men afforded them a degree of protection from the
financial and social marginalization they experienced because of their gender,
economic status, and work, and so women turned to them not just for income and
companionship but also for a measure of protection. The civic government had
always prohibited married women from prostituting themselves, since by doing so
they committed adultery. The 1462 statutes ordered whipping and expulsion for
the women, and fines of 100 lire for officials who looked the other way.39
Women living with husbands could not register with the Bollette, though
abandoned wives sometimes could. Francesca di Galianti claimed in 1604 that her
husband Bartolomeo di Grandi went to war three or four years previously,
leaving her with a three-year-old daughter to feed. She had since given birth
to a daughter with a cloth worker Giovanni, with whom she had been living for
about a year “to make the expenses.”40 For the Bollette, the question of
whether abandoned women like Francesca could and should register was a
practical one since women who registered were women who paid fees. These women
appealed to the sympathy of Bollette officials by claiming that they were
married but had not seen their husbands in many years, leaving unanswered the
question of whether their husbands were alive or dead. This ambiguity about the
ultimate fate of their husbands would have freed them from charges of adultery
at the archbishop’s tribunal (if the husband was alive) while at the same time
freeing them from registration with the Bollette (if he were dead). Francesca
did not state whether she thought her husband was dead or alive, and ultimately
a kinsmen Vincenzo Dainesi swore that he would ensure she left her “wicked
life” (“mala vita”) and take her into his home to live with him and his wife.41
The officials were satisfied with this, and so Francesca remained unfined and
unregistered. In 1586, Vice Legate Domenico Toschi authorized police to seize
“all married women who do not live with their husbands” caught at night in bed
with their lovers (amatiis).42 Archbishop Gabriele Paleotti believed such women
were clearly committing adultery, and Pope Sixtus V’s bull Ad compascendum
(1586) ordered that any married person whose spouse was alive and had sex with
another person—even if they had a separation from an ecclesiastical court
—should be sentenced to death.43 Toschi’s decree was reconfirmed ten years
later by the new vice legate, Annibale Rucellai, and a third time in 1614.44 If
a woman returned to her husband, she was to be immediately deregistered and
could not be allowed to practice prostitution. If she continued, she was no
longer under the Bollette’s jurisdiction, but rather that of the archbishop.
Stable relationships with men, referred to in Bologna as amici, “lovers,” or as
amici fermi, “firm friends,” offered a measure of economic security for
prostitutes by providing money, clothing, and food in varying amounts depending
on the men’s own status.45 When Arsilia Zanetti sued Andrea di Pasulini, notary
of thearchbishop’s tribunal, for compensation for their three-year sexual
relationship (“amicitia carnale”), she noted he had given her three pairs of
shoes, a pair of low-heeled dress slippers, and a few coins (a ducatone, half a
scudo, and a piastra, a Spanish coin).46 Buying the woman’s licenses could also
be part of the arrangement, as Pasulini had also done for Arsilia.47 Even
though Bologna’s monthly rate of five soldi, and annual rate of three lire, was
extraordinarily low—only onefifth of what Florentine prostitutes paid—this was
another expense that women did not have to worry about and suggested commitment
on the part of the men.48 Lovers and friends helped women in their interactions
with the law. The cavalier Aloisio di Rossi had a three-year sexual
relationship with Pantaselia Donina, alias di Salani, and when her landlord
complained to the Bollette that she had not paid the rent, di Rossi acted as
her procurator and ultimately paid the landlord.49 Other prostitutes maintained
relationships with local, low-level arresting officers (sbirri); Elizabeth S.
Cohen has uncovered many relationships between prostitutes and such men, noting
that “the two disparaged professions often struck up alliances in which the
women traded sex, companionship, and information for protection and money.”50
Such partnerships were not unusual in Bologna. In May 1583, the sbirro Pompilio
registered Francesca Fiorentina as his “woman” (“femina”) and got her a
six-month license for free.51 In 1624 three women registered as living in the
“casa” of the Bollette’s esecutore, Pietro Benazzi, on Borgo di San Martino.52
Pietro registered Caterina Furlana on January 11, 1624 and paid for her one-month
license. She was subsequently de-registered because “she went to stay in order
to serve Pietro Benazzi.” When Caterina di Rossi moved out of her place on
Borgo degli Arienti and into Pietro’s house, she paid for one month and never
again.53 Though these Bollette functionaries could not keep these women’s names
out of the registers, they could keep them from paying for licenses, even when
they were most likely still living by prostitution, and may have protected them
from harassment by other court officials. Male friends could also be rallied
for support, particularly by women who had lived in one street or area for a
substantial period of time, building reputations and financial and social ties
with their neighbors. When Margareta Trevisana “The Matchstick” (Solfanella)
was investigated by the Bollette in 1601, she had been living on Borgo di Santa
Caterina di Strada Maggiore with her sister for at least eight years. She
confessed that three years earlier she had given birth to the child of Messer
Antonio Simio, a married man.54 The Bollette had investigated her then,
allowing her to remain unregistered on the promise that she would reform her
life and go to live with an honorable woman. In 1601 she was pregnant with the
child of another man and was living with her sister Francesca, a registered
prostitute.55 Margareta produced statements signed by two male neighbors who
described her as a good woman (“donna de bene”) the whole time they had known
her, while her parish curate confirmed that she had confessed and taken
communion the previous Easter.56 On further questioning by the Bollette, the
priest claimed that he had known Margareta for about ten or twelve years,
having first met herwhen he lived in the same house as she and her sister. He
claimed not to know what kind of life Margareta led, but admitted that she
appeared pregnant, and was, as far as he knew, not married. The priest’s
testimony cleared her of charges of adultery, but could not save her from
registration, a three-lire fine, and probation.57 In May 1602, Margareta
produced statements about her “honest life and reputation” provided by two
different neighbors and another curate at Santa Caterina di Saragozza, and her
name was removed from the register.58 Margareta lived on the same street for
ten or twelve years, had relationships with neighbors and housemates, had a
sister with whom she lived, and was able to rally four male neighbors and two
parish priests to support her. She and others moved amongst family, friends,
long-term lovers, and occasional clients, building relationships on reciprocal,
if uneven, bonds of financial, emotional, and legal support and protection.
They were not just physically a part of Bologna’s working-poor neighborhoods,
but also socially and affectively integrated into their communities.Bad
neighbors While Bolognese civic law tolerated prostitution and permitted
prostitutes to reside throughout the city, public disorder was always a
concern. Decrees published by the Bolognese legate, at the request of convents,
churches, confraternities, and schools, frequently lamented the dishonest words
and daily and nightly reveling by prostitutes and other disreputable people.59
Men socialized in prostitutes’ homes, eating, making music, and talking.60
While some parties remained relatively quiet, others filled the neighborhood
with winefueled singing, laughing, and the sounds of dancing and of fights over
games of chance. The noise was intrusive, disruptive, and alarming: blasphemous
words, violent acts, and sexual slander carried through windows, over walls,
and into streets, squares, and other residences. Broadsheets illustrating
prostitutes’ lifecycles usually included knife fights by men who discovered
that “their” woman had another lover.61 Barking dogs, brawling men, and
screaming women heard through f limsy walls and open windows added to the noise
of crowded squares, laneways, and streets.62 Men also fought in doorways and on
streets in full sight and hearing of neighbors. To reduce these disturbances,
Papal Legate Bendedetto Giustiniani forbade prostitutes from throwing parties (
festini ) or “making merry” (trebbi ) in the homes of honest people, or even
from eating or drinking in taverns and inns. Other decrees forbade games of
chance and betting, like dice and cards.63 Lawmakers recognized that it was
less the prostitutes than the men with them who were the problem. In 1602
prostitutes were forbidden from travelling through the city at night with more
than three men, under fine of 100 scudi for the men and whipping for the
women.64 Eight years later, Legate Giustiniani forbade prostitutes from going
through the city at night with any men, under penalty of whipping for both the
men and the prostitutes.65Enclosed communities of male and female religious
frequently complained about the noise of prostitution. Bolognese authorities
attempted general exclusionary zones around convents in the 1560s without
success and so moved to proclamations expelling prostitutes and other
disreputable people from specific streets; this was similar to Florence, where
the streets designated for prostitution were de facto exclusionary zones around
most convents.66 Between 1571 and 1630, at least fifty proclamations cleared
twenty-five distinct streets in Bologna, about one-quarter of all the streets
inhabited by prostitutes in 1604. Most proclamations concerned eight specific
convents on the city’s outskirts, though a few male enclosures were also
protected.67 All either had elite connections or were newly built, and most
were near streets heavily populated by prostitutes. In 1603 Vice Legate
Marsilio Landriani forbade all prostitutes, procurers, and other dishonest
women from living on a cluster of streets bordering the Poor Clares’ house of
Corpus Domini, established in 1456 by S. Caterina de’ Vigri, and the Dominican
convent of Sant’Agnese (est. 1223), one of the city’s richest and most
prestigious convents with over 100 nuns.68 Landriani’s proclamation stated that
the nuns were greatly disturbed and scandalized by the daily and nightly reveling
of prostitutes, procurers, and other disreputable people, the “dishonest” words
that they spoke, and the wicked examples they posed.69 Prostitutes had just
over a month to move out, and those found there after the deadline would be
publicly whipped, while their landlords would be fined fifty gold scudi and
lose their outstanding rents.70 Yet few prostitutes were actually registered on
these streets.71 While registrations generally dropped dramatically in the
1610s and 1620s, these streets declined the most, with only two prostitutes
remaining by 1614.72 In 1622, the expulsion was repeated almost verbatim with
the addition of two neighboring streets that housed a handful of prostitutes;
none remained by 1624.73 Concerns about pollution continued, particularly
around shrines. The confraternal shrine of the Madonna della Neve was built in
1479 to shelter a miraculous image of the Virgin on the street Senzanome at the
south-western corner of the city.74 Senzanome had twenty-three registered
prostitutes in 1594, thirty-six in 1604, and thirty-five in 1609. Yelling,
singing, mocking, and jesting disturbed the peace, interrupted the Mass and
other divine offices, and forced young, unmarried girls and respectable
residents to hide in their houses. Confraternal brothers repeatedly complained
to the legate about the noise of Senzanome’s prostitutes and other “people who
have little fear of God and his most holy mother.” 75 Between 1587 and 1621
four proclamations expelled dishonest people and prostitutes from Senzanome and
around Santa Maria della Neve.76 One of 1608 threatened women caught residing
or lingering in the street with a fine of ten scudi the first time, and
expulsion the second time.77 Men could be fined ten scudi the first time, and
another ten scudi and three lashes the second time. This proclamation even
named three specific women, Giulia da Gesso, Doralice Moroni, and Ludovica
Giudi, “as well as every other meretrice.” 78 A year later all three of these
women were still living on Senzanome, with Doralice Moroni registeredin the
house of the priest Campanino and Giulia da Gesso in the house of a priest of
San Niccolo.79 Moreover, they shared the street with thirty-five other
registered prostitutes. Yet the prostitutes gradually did move away, and in
1614 and 1624, only two women registered on Senzanome.80 The Legate’s 1621
decree ordered dishonorable people living on Senzanome to move to Frassinago,
to Borgo Novo, or to “another street appointed to similar people” where there
were no convents, churches, or oratories.81 Neighbors had direct, day-to-day
contact with prostitutes and knew details about their lives. Gossip—the sharing
of local and extra local information— typified neighborhoods and formed the
basis of community self-regulation.82 People constantly watched and listened to
their neighbors from the streets, in doorways, through windows, on balconies,
and through f limsy walls.83 Early modern prostitution was public and visible.
Michel de Montaigne remarked that prostitutes sat at their widows and leaned
out of them, while others observed that the women promenaded proudly through
the streets.84 In his Piazza universale di tutte le professioni del mondo
(1616), Tommaso Garzoni described how prostitutes worked to catch men’s eyes
while sitting at their widows, gesturing and bantering with them.85 Some called
attention to themselves by wearing brightly colored gowns with ostentatious
decorations and jewels on their fingers and at their necks.86 Contemporary
Italian broadsheets depict women sitting at their widows and in their doorways
while older women act as go-betweens.87 Bollette testimonies show that
Bolognese knew a great deal about the prostitutes who were their neighbors.
Witnesses often claimed that they had seen women going through the streets or into
buildings and apartments with men. In 1601, Caterina Marema told that when she
lived in the same casa as Lucrezia Buonacasa, she frequently saw the tailor
Gian Domenico Sesto come to stay and sleep with her.88 Others saw more intimate
behavior, like Bartolomea, daughter of Antonio di Miani, who claimed that she
knew her neighbors Margareta and Cornelia were “meretrici” because she saw them
laughing, dancing, embracing, and kissing men. She also heard that they went to
register with the Bollette.89 Still others testified more simply that “everyone
in the neighborhood considers her to be a whore,” or, “everyone says that she
is his whore.” Finally, some men talked with each other about their sexual
relationships with women. Silvio, son of Rodrigo di Manedini, claimed that over
the previous three years his friend Tarquino, a sbirro, told him repeatedly
that he was “screwing” (chiavava) Lucrezia Buonacasa.90 In this case, Silvio
claimed also to have first-hand knowledge of their relationship: he said that
he had seen the two in bed together at Lucrezia’s house on via Paradiso and at
the watch house of the sbirri. In a close knit, intensely local world like
this, prostitutes and dishonest women would have been hard-pressed to keep
their relationships and work a secret. In pragmatic terms, some women may not
have wanted to keep their work a secret: gossip and visibility acted as
advertisement and could attract better clients. Local knowledge of women’s
attachments to men might also earn them a measure of respect, even if only
while the relationship continued, especially ifthe man was honored locally
because of his wealth or status. These relationships could bring a sort of
social protection. Whether or not women or their clients and lovers made
spectacles of themselves, prostitution was both seen and known. Most
working-poor people were not overly scandalized by the fact that their
neighbors lived by prostitution, or perhaps they had resigned themselves to
living amongst them. No evidence has come to light that working-poor women and
men made a concerted effort to drive prostitutes and dishonest women as a group
out of their neighborhoods. Most streets on which registered prostitutes lived
housed ten or fewer such women, and prostitutes may have been quieter and less given
to overt public display, since they did not have to compete with each other for
the attention of the men and youths who came in search of their services. With
fewer women there was less of the serenading, violence, and harassment by rowdy
students and drunken men that offended neighbors, and less attention from
patrolling officers looking to fill their purses with rewards for arrests.91
Tessa Storey has argued that as long as Roman prostitutes maintained local
order and the appearance of respectability, neighbors did not see them as an
exceptional problem. A few written complaints requesting the eviction of
specific prostitutes from their streets identified only the most scandalous and
the loudest, on grounds that they posed bad examples by “touching men’s
shameful parts and doing other extremely dishonest acts” in the streets.92
Those who were well behaved—and these were actually listed by name—were welcome
to stay provided that they continued to behave. Working-poor neighbors who
found the women’s work immoral or offensive or their noise and disorder
overwhelming could move to one of the 100 or so other city streets that were
not heavily populated by prostitutes. Even in 1604, the year when the highest
number of prostitutes and dishonest women registered with the Bollette, only
sixteen streets had ten or more registrants living on them, and only eight had
more than twenty. At least half of all Bolognese prostitutes were more widely
dispersed through the city, and this may explain why we see no concerted
efforts to dispel them as a group. Beyond this, it became increasingly
difficult to successfully prosecute violations like adultery or the lack of
license. A 1586 order from the vice legate to the Bollette’s officials
suggested that small-scale rivalries were behind too many frivolous
denunciations. Henceforth, unless a woman was found in flagrante with a man,
the testimonies of two neighbors of good repute and the local parish priest
would be required in order to find her guilty.93Conclusion For many working-poor
Bolognese men and women, living amongst prostitutes was a fact of life. Whether
they respected these neighbors or not, they learned to live with them.
Prostitutes and dishonest women had their places in the local kinship, social,
and economic networks of their neighborhoodsand the larger city. This is not to
say that they were not mocked, or that those who treated them with courtesy
fully respected them. Yet while some prostitutes annoyed, overwhelmed, and
frightened some neighbors with their noise, scandal, and violence, they were
also the sisters, mothers, lovers, and friends of many others. Elizabeth S.
Cohen has argued that “[prostitute’s] presence corresponded to an intricate
engagement in the social networks of daily life. In practice, if not in theory,
the prostitutes occupied an ambiguous centrality.”94 Tessa Storey suggests that
restrictive legislation, especially residential confinement, elicited sympathy
from Romans, who were not overly concerned about the immorality of
prostitution.95 This was also true in Bologna, where prostitutes were far more
widely distributed across the entire city. Religious authorities like Gabriele
Paleotti found them immoral and disruptive, posing bad examples and needing to
be separated and marginalized. Yet civic authorities and most lay people appear
to have held more nuanced attitudes, engaging prostitutes in the body social
and using bureaucratic registration to mediate their place in the body politic.
The sources generated by the Ufficio delle Bollette in the later sixteenth and
early seventeenth centuries reveal these women operating within networks of
sociability, work, and family. They demonstrate women who fit within their
communities, more uneasily at sometimes than others, and who both gave and
received the resources of support, companionship, and security that
characterized the community-centered world of early modern Italy.Notes 1 Cohen,
“Seen and Known,” 402. Hacke, Women, Sex, and Marriage, 179. Brackett, “The
Florentine Onestà,” 291–92 and 296. Terpstra, “Locating the Sex Trade,” 108–24.
2 Brackett, “The Florentine Onestà,” 290–91 and 295; Cohen, “Seen and Known,”
404– 05; Storey, Carnal Commerce, 70–94; Ruggiero, Binding Passions, 48–49. 3
For expanded analysis and archival documentation, see: McCarthy,
“Prostitution.” 4 Biblioteca Universitaria Bologna (hereafter BUB), ms. 373, n.
3C, 151v–152v. Terpstra, Cultures of Charity, 205–06, 329. McCarthy,
“Prostitution, Community, and Civic Regulation,” 40, 54–61. 5 Archivio di Stato
di Bologna (hereafter ASB), Boschi, b. 541, fol. 170v, “Bando sopra le
meretrici et riforma de gli altri bandi sopra a cio fatti” (January 31 and
February 1, 1568). For more on this episode and the gendered politics of social
welfare reform in sixteenthcentury Bologna: Terpstra, Cultures of Charity,
19–54, 206–07. For the comparatively loose regime in the Convertite: Monson,
Habitual Offenders. 6 Cohen, “Seen and Known,” 403 and 405–08; Ruggiero,
Binding Passions, 49; Brackett, “The Florentine Onestà,” 292. Terpstra, “Locating
the Sex Trade,” 116-21. 7 Miller, Renaissance Bologna, 16–17. Terpstra, “Sex
and the Sacred.” 8 For example, Isotta Boninsegna and Giovanna di Martini. In
1604 Polonia, daughter or widow of Domenico Galina of Modena lived on Simia,
while in 1614 Maria Roversi did, and in 1630 Domenica Borgonzona lived there.
ASB, Ufficio delle Bollette 1549– 1796, Campione delle Meretrici (hereafter C
de M) 1584, [np] “I” and “G” sections; 1604, [np] “P” section; 1614, 190; 1630,
[np] “D” section. 9 This street was called variously the “via stufa della
Scimmia,” the “postribolo,” or “lupanare Nuovo,” as well as the Corte dei
Bulgari. Fanti, Le vie, vol. 2, 516–17. McCarthy, “Prostitution,” 20–67.10
Biblioteca Comunale di Bologna (hereafter BCB), Gabinetto disegni e stampe, “Raccolta
piante e vedute della città di Bologna,” port. 1, n.
14. mappe/14/library.html 11 Ferrante, “‘Pro mercede carnale,’” 48.
12 Borgo Nuovo di San Felice was one of the streets that Bishop Gabriele
Paleotti had ordered prostitutes to live in. ASB, Boschi, b. 541, fols.
170r–171v, “Bando sopra le meretrici” (January 31 and February 1, 1568). Zanti,
Nomi, 16. 13 Muzzarelli, “Ebrei a Bologna,” 862–70. 14 Francesca Ballerina
rented from Giacomo the pork butcher (lardarolo) on Frassinago. Giacoma di
Ferrari da Reggio, Ursina de Bertini, and Lucrezia di Grandi all lived in the
house of Giovanni Pietro the shoemaker (calzolario) on Senzanome. Lucia
Tagliarini lived on Frassinago in the inn of Zanino. Giovanna Querzola, alias
Stuarola, lived on Nosadella between the potter (pignataro) and the shoemaker
(calzolaro). C de M 1604, [np] “F”, “I”, “V”, “L”, “T”, and “G” sections,
respectively. 15 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” especially 64 and 68–69. 16
Chojnacka, Working Women; Cohen, “To Pray.” 17 For instance, in 1604, 611 women
registered and only eleven mothers and four sisters were recorded as purchasing
licenses for their kin. McCarthy, “Prostitution,” 220–21. 18 Of the 213
prostitutes who appeared in the censuses, one-third had children. Chojnacka,
Working Women, 22–24. 19 Storey, Carnal Commerce, 128–29. On widowed mothers,
114. 20 Benedetta was listed as “sorella di Saltamingroppa.” C de M 1604, [np]
“B” and “D” sections. 21 C de M 1605, 175. For Francesca, see C de M 1598, 56;
1599, 49; 1600, 68; 1601, 60; 1602, 72; 1603, 72; 1604, [np] “F” section; 1605,
86. For Margareta, see C de M 1602, 201; 1604, [np] “F” section; 1605, 175. In
1605, Margareta was deregistered when she began working as a wet nurse for the
Ercolani, a senatorial family. As the register reads: “Sta per balia del 40
Hercolani.” 22 C de M 1601, 140. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Inventionum 1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601). 23 C de M 1584, [np] “L”
section. Both were registered under Lucia’s name. C de M 1624, [np] “A” and “L”
sections. 24 C de M 1600, 73; 1604, [np] “F” and “M” sections; 1609, 171; 1614,
172. Domenica was not registered. 25 Hufton, “Women without Men.” Chojnacka,
Working Women, 18–19. Cohen, “Seen and Known,” 406. 26 C de M 1584 and 1588. 27
Of those who registered, almost all gave their street and residence (44 of 47).
For names of co-habitants: McCarthy, “Prostitution, Community, and Civic
Regulation,” 224–25. 28 A total of twenty-seven (75 percent) of the thirty-six
women who lived on Campo di Bovi identified their homes: five lived in the
“casa” of Messer Filippo Scranaro, and the rest lived with two or fewer other
prostitutes. A total of thirty (87 percent) of the thirtyfive women who
registered on Senzanome identified their homes: six lived in the “casa” of
Giulia di Sarti, called l’Orba (the Blind), who was not registered, and four
lived in the “casa” of Giovanni Pietro the shoemaker. Otherwise, all the rest
lived with two or fewer other prostitutes. C de M 1604. 29 C de M 1589 and
1597. 30 C de M 1597, 61 and 86 respectively; C de M 1598, 95 and 142
respectively. 31 C de M 1601, 99, 78, and 176 respectively. 32 This was between
1588 and 1597. Ginevra registered once, in January 1588, when she paid for a
one-month license. C de M 1588, [np] “G” section. In 1588, six registered
prostitutes lived with her, in 1589 seven did, and in 1594 and 1597 eight did.
C de M 1588; 1589; 1594; 1597. 33 C d M 1589, [np] “L” section; 1594, [np] “L”
section. C de M 1599, 28. Ginevra was still there in 1601, when Margareta Tinarolla
lived in her home. See C de M 1601, 130.34 C de M 1594, [np] “P” section; 1597,
[np] “P” section. C de M 1597, [np] “C” section; C de M 1599, 28. 35 For her
first registration, see C de M 1597, [np] “D” section. 36 Eg., Gentile di
Sarti, C de M 1601, 79; 1605, 100, and Domenica Fioresa, C de M 1604, [np] “E”
section; 1609, 66–67. 37 Lucia Fiorentina left Ginevra’s to serve in the house
of a local scholar (“Signor Dottore”). C de M 1589, [np] “L” section. Diana di
Sacchi Romana lived in Ginevra’s casa in January 1594, but moved twice more
that year, to Borgo Polese and then to Altaseda. C de M 1594, [np] “D” section.
C de M 1594, [np] “L” section, Lucia Fiorentina. It is unclear but possible
that this was the same Lucia who entered service in 1589. 38 Chojnacka, “Early
Modern Venice,” especially 217 and 225. McCarthy, “Prostitution,” 253–314. 39
See ASB, Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Scritture
Diverse, busta 1, “Statuti,” [np] fol. 8r. 40 ASB, Ufficio delle Bollette
1549-1796, Filza 1604, [np] “Die 21 May 1604,” fol. 1r. 41 Vincenzo is
described as Francesca’s “cognatus.” Ibid., fol. 1r–v. 42 This permission was
copied into the 1586 register and the 1462 illuminated statutes: C de M 1586,
[np] “Z” section (28 June 1586); ASB, Ufficio delle Bollette e Presentazioni
dei Forestieri, Statuti, sec. XV, codici miniati, ms. 64, 28. 43 For Paleotti’s
reaction, see BUB, ms. 89, fasc. 2, Constitutiones conclilii provincialis
Bonon. 1586, fol. 95v, cited in Ferrante, “La sessualità,” 993. 44 ASB, Ufficio
delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Decreto d[e]lle bolette” (November
20, 1596); Filza 1614, [np] “Dalla letura delli statuti si cava che le Donne di
vita inhonesta si possono descrivere nel campione in 4 modi” (undated). 45 John
Florio defines “amico” as “a friend, also a lover.” Florio, Queen Anna’s, 24.
See also Cohen, “Camilla la Magra.” 46 The suit was brought to the Bollette.
ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Arsilia Zanetti”
(November 12, 1601). For a detailed study of Bolognese registered prostitutes
who took clients to the Bollette’s tribunal for debt, see Ferrante, “‘Pro
mercede carnale.’” 47 Pasulini bought her two six-month licenses in July 1598
and January 1601. Arsilia’s son, Giovanni Battista, paid for the other months.
C de M 1598, 48; 1599, 3; 1600, 4; 1601, 4. 48 Archivio di Stato di Firenze
(hereafter ASF), Onestà, ms 1, ff. 27r–31v. Terpstra, “Sex and the Sacred,” 77.
49 Ludovico Pizzoli, the Bollette’s esecutore, claimed that for three years
Rossi had purchased her licenses because he was having a continuous sexual
relationship with her even while she was having sex with other men: ASB,
Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1606, “Cont[ra] Pantaselia Donina[m]
al[ia]s de Salanis” (August 19, 1605), fol. 1r. John Florio defines “amicítia”
as “amity, freindship [sic], good will.” Florio, Queen Anna’s¸ 24. The
Bollette’s 1602 register confirms that Rossi paid for her licenses in person as
well as giving money to Pizzoli to pay on his behalf. C de M 1601, 160; 1602,
154; 1603, 170. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, “Molto
Ill[ust]re et Ecc[ellen]te Sig[no] re” (May 14, 1601). 50 Cohen, “Balk Talk,”
101. 51 The record in the register does not say why it was given for free, only
that Pomilio “solvet nihil.” C de M 1583, [np] “F” section. 52 These were
Angelica Bellini, Caterina Furlana, and Caterina di Rossi. C de M, 1624, [np]
“A” and “C” sections. 53 Both in Ibid., [np] “C” section. 54 This was according
to the curate of her parish church. ASB, Ufficio delle Bollette 1549– 1796,
Inventionum 1601, [np] fols. 20v–21v (June 20, 1601; July 2, 1601). For her
sister Francesca’s registrations: C de M 1598, 56; 1599, 49; 1600, 68; 1601,
60. 55 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] fol. 19v
(June 28, 1601) and fol. 20r–v (June 30, 1601).56 ASB, Ufficio delle Bollette
1549–1796, Filza 1601, [np] “Malg[are]ta Sulfanela” (June 27, 1601). 57 ASB,
Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] fols. 20v–21v (July 2,
1601). 58 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1603, [np] (26 June
1602). C de M 1602, 21. The Convertite confirmed this removal: ASB, Ufficio
delle Bollette 1549–1796, Filza 1603, [np] untitled (October 12, 1602). 59 See,
for instance, BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r, untitled, begins “Non essendo
conveniente che presso li Monasteri j di Monache” (March 24, 1603). McCarthy,
“Prostitution,” 131–97 60 Cohen, “‘Courtesans,’” 202. 61 “Vita et fine
miserabile delle meretrici” (“Life and Miserable End of Prostitutes”), ca.
1600, in Kunzle, History of the Comic Strip, 275. Giuseppe Maria Mitelli, “La
vita infelice della meretrice compartita ne dodeci mesi dell’anno lunario che
non falla dato in luce da Veridico astrologo” (1692), Museo della Città di Bologna,
2470 (re 1/425). 62 Cohen, “Honor and Gender,” especially 600–01. Terpstra,
“Sex and the Sacred,” 71, 79–80. 63 ASB, Assunteria di Sanità, Bandi
(XVI–1792), Bandi Bolognesi sopra la peste, 45, “Bandi Generali del
Ill[ustrissimo] et Reverendiss[i]mo Monsignor Fabio Mirto Arcivescovo di
Nazarette Governatore di Bologna,” (February 17, 18, and 19, 1575), fol. 2v;
BCB, Bandi Merlani, V, fol. 64r, “Bando Sopr’al gioco, & Biscazze, alli
balli nell’Hosterie, & che le Donne meretrici non vadano vestite da huomo”
(December 9, 1602). 64 Ibid. 65 Thomas Fisher Rare Book Library (hereafter
Fisher), B-11 04425, “Bando generale dell’Illustrissimo, & Reverendissimo
Sig. Benedetto Card. Giustiniano Legato di Bologna” (June 23 and 24, 1610),
“Delle Meretrici. Ca XXVIII,” 60–61. 66 In 1565, Governor Francesco de’Grassi
set the exclusionary zone at 30 pertiche (approximately 114 meters), while in
1566 Francesco Bossi extended the zone to 50 pertiche (190 meters). See
Martini, Manuale di metrologia, 92. ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 3,
fol. 16r (February 1, 1565); ASB, Boschi, b. 541 (February 1 and 8, 1566), fol.
115r. Florence reduced its exclusionary zone from 175 to 60 meters in this time
(i.e., from 300 braccia to 100): ASF, Acquisti e Doni 291, “Onestà e Meretrici”
(May 6, 1561). Terpstra, “Sex and the Sacred,” 78–79. 67 These convents were
San Bernardino, Santa Caterina in Strada Maggiore, San Guglielmo, San Leonardo,
San Ludovico, Santa Cristina, San Bernardo, Corpus Domini, and Sant’Agnese.
Proclamations also protected the new monastery of San Giorgio, the Benedictine
monastery of San Procolo, the college of the Hungarians, the Jesuits and their
school, the new church of Santa Maria Mascarella, and the shrine of the Madonna
della Neve. McCarthy, “Prostitution,” 131–97. 68 Zarri, “I monasteri
femminili,” 166, 177. Johnson, Monastic Women, 235–37. Fini, Bologna sacra, 14.
69 BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r, untitled, begins “Non essendo conveniente
che presso li Monasterij di Monache” (March 24, 1603). 70 One-third of each
fine was to go to the accuser, one-third to the city treasury, and onethird to
the esecutore. 71 In 1601, one woman registered on Bocca di lupo, two on
Capramozza, and four on Belvedere di Saragozza. In 1604, one registered on
Bocca di lupo, three on Capramozza, and one on Belvedere di Saragozza. C de M
1601 and 1604. One of the women who lived on Belvedere in 1601 continued to do
so in 1604, while another had moved three blocks west to Senzanome, and a third
had moved across town to Campo di Bovi by the north-eastern wall. These were
Vittoria Pellizani, Gentile di Parigi, and Angela Amadesi, called “La Zoppina.”
For Vittoria: C de M 1601, 204 and 1604, [np] “V” section. For Gentile: C de M
1601, 74 and 1604, [np] “G” section. For Angela: C de M 1601, 136 and 1604,
[np] “A” section. 72 These were Camilla di Fiorentini, who lived in the house
of Caterina the widow, and Cecilia Baliera. C de M 1614, 288 and 39
respectively.73 See BCB, Bandi Merlani, XI, fol. 28r, untitled, begins “Non
essendo conveniente, che appresso li Monasterij di Monache” (January 18, 1622).
In 1624, four women lived on Altaseta and none on Mussolina. 74 Guidicini, Cose
notabili, vol. III, 179–80 and volume III, 346–50. 75 The proclamation clearly
states that the order was made at the insistence of the “Huomini della Madonna
dalla Neve, Confraternità di essa, e persone honeste di detta strada.” BCB,
Bandi Merlani, X, fol. 128r (August 20, 1621). 76 These were published in 1587,
1602, 1608, and 1621. BCB, Bandi Merlani, I, fol. 449r, untitled, begins
“Devieto di affitare a persone disoneste nella contrada di S. Maria della Neve”
(April 26, 1587); ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 15, fol. 198r, untitled,
begins “Essendo la Contrada di Santa Maria dalla Neve sempre stata Contrada quieta”
(January 31, 1602); ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r, untitled,
begins “Havendo l’Illustriss[im]e Reverendiss[ime] Sig[nor] Car[dinal] di
Bologna pien notitia” (June 6, 1608); BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r, “Bando
Contra le Meretrici, & Persone inhoneste” (August 20, 1621). 77 “non possa,
ne possano, ne debbano sotto qual si vogli pretesto, a quesito colore fermarsi,
o star ferme per detta strada, sotto il portico, suso il lor’uscio, o d’altri,
o suso l’uscio dell’ Hostarie.” ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r
(June 6, 1608). 78 “comanda espressamente all GIULIA da Gesso, all DORALICE
Moroni, alla LUDOVICA Guidi, & ad ogn’altra MERETRICE [sic].” ASB, Legato,
Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r (June 6, 1608). 79 C de M 1609, 73, 121, and
151, respectively. 80 These were Agata Martelli, alias Bagni, from Castel San
Pietro and Lena di Stefani who lived in the casa of Messer Domenico Bonhuomo. C
de M 1614, 19 and 1624, [np] “L” section. 81 BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r,
“Bando Contra le Meretrici, & Persone inhoneste” (August 20, 1621). Though
Savelli did not specify which “Borgo Nuovo” they should move to, in all
likelihood he meant Borgo Nuovo di stra Maggiore, which had no convents or
churches on it. 82 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” 67–68. 83 Cowan, “Gossip,”
314–16; Cohen and Cohen, “Open and Shut,” 68–69. 84 Cohen, “‘Courtesans,’”
204–05; Cohen, “Seen and Known,” 396–97. In a later article Cohen argues that
“[t]hough typically noisier and more abrasive than feminine ideals would
dictate, much of prostitutes’ street behavior was not radically distinct;
rather it fell toward one end on a spectrum of working class practices.” Cohen,
“To Pray,” 310. 85 Tommaso Garzoni, Piazza universale di tutte le professioni
del mondo, nuovamente ristampata & posta in luce, da Thomaso Garzoni da
Bagnacavallo (Venice: Appresso l’Herede di Gio. Battista Somasco, 1593), 598.
Available online from the Università degli Studi di Torino OPAL Libri Antichi
internet archive GIII446MiscellaneaOpal,
cited in Cohen, “Seen and Known,” 397, n. 18. 86 Ibid., especially 396–97 and
399; Storey, Carnal Commerce, 172–75. 87 “Mirror of the Harlot’s Fate,” ca.
1657, reproduced on 278–79 in Kunzle, History of the Comic Strip: Volume 1 and
Storey Carnal Commerce, 37. Vita del lascivo (“The Life of the Rake”), ca.
1660s, Venice, reproduced on 39–44 of Storey, Carnal Commerce. 88 ASB, Ufficio
delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] January 22, 1601. 89 Ibid.,
[np] July 23, 1601. 90 Ibid., [np] January 22, 1601. John Florio defines
“chiavare” as “to locke with a key. Also to transome, but now a daies abusively
used for Fottere.” He defines “fottere” as “to jape, to flucke, to sard, to
swive,” and “fottente” as “fucking, swiving, sarding.” Florio, Queen Anna’s, 97
and 194, respectively. 91 On the attraction of lawmen to streets known for
prostitution, gambling, and drinking: Cohen, “To Pray,” 303; Storey, Carnal
Commerce, 99–100. 92 The complainants referred to themselves as honorati and
gentilhuomini, curiali principali, and artegiani buoni e da bene. Storey,
Carnal Commerce, 91, n. 103. She dates the two letters from 1601 and 1624.93
For the vice legate’s order, as transcribed into the 1586 register: C de M
1586, [np], untitled, begins “Ill[ustrissim]us et R[everendissi]mus D[ominus]
Bononorum Vicelegatus in eius Camera” (June 28, 1586). 94 Cohen, “Seen and
Known,” 409. 95 Storey, Carnal Commerce, 1–2.Bibliography Archival sources
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patria per le province di Romagna. Adulteresses in Catholic Reformation Rome
Elizabeth S. CohenAdultery was no simple sexual lapse. Intricately bound to the
fundamental institution of marriage, it threatened honor, family, and
livelihood. Traditionally, this grave offense merited harsh punishments like
stoning, although by the sixteenth century these had much softened. A sin, a
crime, and a breach of contract, in early modern Italy it could be prosecuted
under several kinds of law. Beyond canon law’s jeopardy for both spouses, under
Roman law enshrining patria potestas, adultery was overwhelmingly a wife’s
transgression, to which, furthermore, she was presumed to have consented.1 So,
a vengefully passionate husband or kinsmen who killed a wife found f lagrantly
abed with a lover could claim immunity from prosecution for murder.2 The
adulteress herself figured ambiguously as a theme in Italian paintings, prints,
and stories. Nevertheless, neither law nor broader cultural norms ref lected
adultery’s complexities as social experience on the ground. To juxtapose
prescriptive and lived understandings and to test the crime’s notoriety, we
turn to judicial records. For contrast with our culturally framed expectations
and to glimpse the everyday worlds of most early modern people, this essay
reconstructs four stories from adultery prosecutions in the Roman Governor’s
court circa 1600. The particular crimes of these non-elite women and men
involved companionship and sex, but little else was directly at stake. My
accounts seek to represent both social dynamics and a vernacular culture of
sexuality accessible alike to the educated and the illiterate. I highlight a
cluster of adulteresses who cultivated not primarily instrumental, but rather
personal, alliances outside marriage. The lovers’ choices transgressed and had
consequences both at home and in the public courts. Nevertheless, their
misconduct was not radically out of step with an everyday culture of sexuality
that endured even in Catholic Reformation Rome. Adultery had a lengthy history
as a cultural, legal, and behavioral problem. From the twelfth century, an
ambivalent medieval literature on humanlove—from Andreas Cappelanus to
Gottfried von Strassburg—suggested that passion and marriage did not mix.
Despite the Renaissance emergence of more positive takes on sex, the notion
persisted that intense eroticism was seldom the business of husbands and
wives.3 The church still taught that marriage was the only licit setting for
sex, while discouraging the pursuit of pleasure for its own sake. The
iconography of love on domestic objects linked to betrothals and weddings
promoted family policy as much as private spousal gratification.4 Although
married people may not have behaved as they were told, they have left few words
about sex. If conjugal relations did often tend to routine, adultery could be
easily imagined by contemporaries, and by scholars since, as an agreeable
alternative. Popular histories have repeatedly featured swaggering Renaissance
noblemen, including prelates, who dallied sensuously with mistresses and
fathered bastards. Their female partners, who ranged from servants to
gentlewomen, were often married, and so adulteresses.5 A wife’s adultery posed
problems for both her spousal household and her natal family, but sometimes
brought them benefits as well. Under ancient Roman law still frequently cited
in the Renaissance, uncertainty about paternity and corruption of the lineage
was one major cost.6 Adultery also rattled the public honor of a patriarchal
family that could not control its assets, including the chastity and fertility
of its women. These concerns appear as conventional rhetoric, but it is far
from clear how much they actually drove Renaissance husbands’ retribution.
Certainly, charges of adultery were invoked to instigate violence against an
inconvenient kinswoman and to cover other, less high-minded goals. On the other
hand, where doctrines of sexual exclusivity could bend in practice,
adulteresses might reap rewards rather than punishments for their liaisons,
especially with powerful men. For example, Giulia Farnese, wife of the Roman baron
Orsino Orsini and the mistress of Pope Alexander VI in the 1490s, arranged a
cardinal’s hat for her brother, Alessandro, the future Pope Paul III.7 Even
bastards could be absorbed and their mothers supported. In the 1460s Lucrezia
Landriani, married conveniently to a Milanese courtier, bore four illegitimate
children to the young Galeazzo Maria Sforza before he became Duke of Milan and
took a bride. Bearing their father’s name and raised in his court, Lucrezia’s
brood included Caterina Sforza, the future indomitable Countess of Forlí.8 The
husbands of these high-f lying adulteresses managed their role, its perks and
its costs, more and less deftly. In Florence, the husband of Bianca Cappello,
the mistress and later wife of Grand Duke Francesco I, retaliated by
intemperate womanizing of his own, and died at the hands of his paramour’s
kinsmen.9 Husbands did not take adultery lightly, but there might be multiple
stakes and more than just one bloody end. The dark emotions of
adultery—jealousy and anger—struck men and women alike. Legends of aristocratic
adulteresses killed in flagrante delictu by vengeful husbands arouse pity,
horror, and titillation in later readers. Although the threat and the rhetoric
surely circulated, documented historical examples are few.10 More modest women,
too, had reason to fear even unmerited spousal violence.For example, in a
miracle attested in 1522, the Madonna della Quercia of Viterbo saved a woman
mortally assaulted by a suspicious husband, egged on by his mother.11 More peaceably,
a Quattrocento necromantic recipe promised that to make a wife “persevere in
honest alliance with her husband.”12 Moreover, although adulterers were rarely
prosecuted, women deeply resented their husbands’ philandering. In the 1550s a
pious Bolognese gentlewoman, Ginevra Gozzadini, asked her spiritual director if
she owed the marital debt to her errant husband. Though reluctant to release
his disciple from godly duties, Don Leone Bartolini allowed her to decline if
her husband refused to forgo his “public adultery and also grazing on his wife
like a pig and not a Christian.”13 Renaissance Italian visual and literary
culture depicted four roles in adultery’s drama: the wife; the husband or
cuckold; the lover; and the chorus of the public. Though shadowed by misogyny,
views of women were mixed. Ancient and medieval texts widely posited female
propensities to falling in love and to undisciplined and mercenary carnality.
Beauty, coupled with fickle mind, made women at once temptresses and easy prey
to seducers. These risky frailties in turn justified tightly constraining
rules. In parallel, novelle, poetry, madrigals, and commedia dell’arte evoked
both woe and delight with representations of love and romantic adventure.
Magic, too, offered women and men ways to attract and bind a lover.14
Mainstream cultural norms often lumped non-conforming women together as sexual
transgressors. Yet prestige and class, singled out some for celebration. Thus,
as whores, prostitutes stood for the obverse of female virtue, but courtesans,
especially those dubbed counterintuitively “honest,” earned renown among elite
men for their manners and cultural finesse. Even Saint Mary Magdalene appeared
in paintings as the brightly dressed, or undressed, playgirl who was the foil
to her model penitent. The adulteress partook of this generic bad girl, at once
attractive and corrupt, but her jeopardy under law invited ambivalence. For
example, many early modern artists represented the Gospel story of the woman
“taken in adultery.”15 Sixteenth-century Italian paintings usually depicted a
beautiful, young woman, thrust by the Pharisees’ heavy legal hand to stand
alone before a crowd to be judged. Although conventional language suggested
that she was in some sense caught or trapped, she was still deemed to have
consented to dire offense. Viewers would hear Jesus first chide her
persecutors, “Let he who is without sin cast the first stone,” and then tell
her to go and sin no more. All were sinners, not least the adulteress, but law
must not trump Christian mercy. Among the men’s roles, not the male adulterer
nor the wife’s lover, but rather the husbandly cuckold claimed a share of
cultural preoccupation. The aristocratic choice between familial vengeance or
instrumental accommodation often came down on the latter side. Instead of
destroying the adulteress, the cuckold had his reasons for complacency. In
visual imagery, art historians have shown betrayed husbands responding as much
with dismayed forbearance as with hot ire. Comparing paintings of Joseph, the
helpmate of the Virgin Mary, and Vulcan, the spouse of Venus, Francesca Alberti
explained how the aging husbands ofexceptional wives, though vulnerable to
mockery by artists and viewers, served divine ends.16 Louise Rice tracked
Italian depictions of the cuckold from a nasty late fifteenth-century
allegorical engraving through sixteenth-century literary parodies from Aretino
and Modio, and finally to Baccio del Bianco’s drawings. These last offered
whimsically ironic scenes that normalized both the cuckold and the
adulteress.17 Ambivalently allotting pleasure and agency to women and
complicating the revenge narrative, novelle offered socially more varied
cultural constructions of adultery. In the Decameron, Boccaccio exploited these
possibilities in more than twenty-five stories featuring adultery that
fancifully permuted its spousal roles.18 The married women of the novelle,
again almost always beautiful, pursued love and reaped their adulterous
pleasures with ambiguous culpability. At the expense of dull or aging husbands,
some wives schemed cleverly both to achieve their desires and to elude
discovery and punishment.19 Others, honest, virtuous, and alluring, had to be
tricked by would-be lovers into learning that sex outside marriage was more fun.20
Lucrezia in Machiavelli’s Mandragola found similar fortune. Although female
delight was only a means to an end in the Decameron’s elegantly ironic lessons,
a more literal reading of the stories at least gave a space to imagine wives’
extra-domestic enjoyment. Boccaccio’s cuckolded husbands reacted variously to
adultery’s challenges to honor and to its remedies in law. In Day 4, Story 9, a
gentlewoman let herself fall to her death after her vindictive husband fed her
the heart of her paramour. Explained the woman, since she had given her love
freely, she was the guilty one and not the lover. In a lighter vein, Day 3,
Story 2 parodied the narratives of murder in f lagrante and, less directly, of
Christ forgiving the adulteress. A king, discovering his wife and a groom
asleep together, cut the man’s hair to mark his guilt. When the lover woke, he
scotched his jeopardy by similarly tonsuring other servants. In the end, the
king, rejecting a petty vendetta that would broadcast his dishonor, announced
cryptically to his assembled entourage: “He that did it, do it no more, and may
you all go with God.”21 In Day 6, Story 7, a hapless husband, fearing penalty
if he killed his adulterous wife himself, hauled her before the public court,
where, by statute, she faced a sentence of death by fire. Unlike the Gospel’s
submissive adulteress, the respected Madonna Filippa staunchly defended herself
with two claims. First, as in the tragedy of Day 4, she did it for her “deep
and perfect” love for Lazzarino. Secondly, having gotten her husband to agree
that she had always satisfied his every bodily wish, she asked: “what am I to
do with the surplus? Throw it to the dogs? Is it not far better that I should
present it a gentleman who loves me more dearly than himself, rather than allow
it to turn bad or go to waste?” The gathered populace of Prato greeted this
charming riposte with approving laughter and, at the judge’s suggestion,
altered the harsh statute to punish only adulteresses who did it for money.22
Christian rules as implemented through ecclesiastical courts also ref lected
more everyday cultural norms. Although by medieval canon law both spouses owed
the marital debt, in customary practice expectations differed for husbandand
wife. As historian Cecilia Cristellon shows, the church courts of preTridentine
Venice aimed less to police sex than to stabilize marriages and to minimize
scandal.23 Many proceedings, often brought by women, sought to formalize
separations or annulments of couples who had long since parted company.
Adultery by wife or husband was a charge to blacken character but was seldom
advanced as the source of a broken marriage.24 In fact, among the lower orders,
adultery was a common product of widespread, informal serial monogamy. Finding
themselves for various reasons without present spouses, people readily took up
new heterosexual partnerships. Although adulterous, such concubinage, sometimes
with a formal blessing that made it bigamy, was often marriage-like and, in the
absence of contrary evidence, usually accepted by the lay community. In the
face of these popular habits, fifteenth-century church courts worked to sharpen
the boundaries of marriage, and the Council of Trent’s legislation assimilated
concubinage more and more to prostitution.25 Even so, ecclesiastical judges
continued less to punish adulterous sex by itself than to seek better moral and
spiritual discipline around marriage as a whole. Let us turn now to Rome at the
end of the sixteenth century to gauge the moral climate and social textures in
which our everyday adulteries took place. For some decades Catholic reformers
had worked to burnish Rome’s reputation as a fitting capital for a resurgent
church. Issuing repeated regulations (bandi ) to suppress blasphemy and vice,
local authorities particularly targeted gambling and adultery.26 Yet these
official pronouncements better registered moralistic concern than they
energized a thorough cleansing of the civic body. Parallel rules sought to
constrain the practice of prostitution, although that trade and fornication by
the unmarried were transgressive but not criminal. The magistrates’ concerns
turned mostly on guarding sacred sites from taint and restraining violence and
disorder by prostitutes’ clients. Yet enforcement of decrees around illicit sex
remained sporadic. Pius V’s ghetto for prostitutes of the late 1560s at the
Ortaccio did not last long as either structure or policy. That moment was the
reformists’ exception rather than the trend. The early sixteenth-century
celebrity of Rome’s honest courtesans had certainly waned, but in 1580 the
gentleman traveler Montaigne was still keen to admire and visit their kind.27
More generally, the historian of crime Peter Blastenbrei concluded that, for
two decades immediately post-Trent, Rome was de facto quite accommodating of
heterosexual irregularities and sometimes attracted couples seeking to escape
sharper discipline elsewhere.28 All told, by 1600, reform in the papal city had
subdued the Renaissance culture of f leshly pleasures, but effective suppression
of non-marital sex was scarcely true on the ground. The labyrinth of Rome’s
institutions and, especially, the mobile demography of its residents
consistently subverted the religious and moral aspirations of its leadership.29
The city’s population swelled, from 35,000 in 1527, after the catastrophic Sack
by Hapsburg imperial troops, to around 100,000 in 1600.30 Few people were
native Romans. Visitors and migrants f lowed in—men and women, of all social
ranks from ambassadors and nobildonne to pilgrims, cattledrivers,and servants.
Many also left town. In a f luid residential geography, most people rented
their accommodations and often moved house. Although many households had a
nuclear core or its remnants, complete families were fewer than in many cities.31
Lodgers and informal clusters of housemates were common. People also changed
jobs frequently, and some worked in one part of the city but, regularly or
occasionally, ate and slept elsewhere. As a result, ordinary Romans had
repeatedly to renegotiate the personnel and terms of daily life. Furthermore,
Rome’s sharply skewed sex ratio yielded distinctive economic and marital
dynamics. The urban population counted, roughly, only 70 women for every 100
men. Celibate clerics were not the primary culprits. Many of the surplus men
came to the city to provide for the needs and comforts of a courtly society, by
serving in great households of prelates or secular lords or by supplying
goods.32 With males doing much of the domestic work and without a major textile
industry, the market for female labor in turn was weak. Of the many men, some
married in Rome to help establish themselves, but others had wives elsewhere,
or were young and not ready to settle down.33 Although some, nubile, women
found husbands readily, many others were left to improvise when fathers died or
spouses left town for shorter or longer absences. Typically, they struggled to
live piecemeal from laundry, spinning, and sewing. As in Venice, concubinage
was common. Prostitution, too, though never as rampant as some hysterical
reformers claimed, was another, potentally better paid recourse. Often
informally and intermittently, younger, more presentable or gregarious women
offered mixes of sexual, social, and domestic services to a shifting contingent
of unpartnered men, and to some husbands as well. As a concubine or prostitute,
a married woman faced legal jeopardy for adultery. When a husband did not, as
obligated, support his wife, she had to find alternatives. Sometimes, he had
wasted the dowry. Often, he had been long away, having intentionally or not
abandoned his wife. A woman, in turn, unknowing if her spouse had died, often
proceeded as if he had and set up new partnerships. In the absence of contrary
information, neighbors tended to presume legitimacy for couples who lived
appropriately, including taking the sacraments at church. Nevertheless, married
women living as prostitutes, concubines, or even bigamist wives were liable, if
denounced, to prosecution. The discipline and prosecution of adultery in early
modern Rome has left only erratic traces. No trial records survive from the
tribunal of the Vicario, who bore many of the city’s episcopal functions for
the pope. 34 As an offense of “mixti fori,” however, adultery sometimes came
before the criminal courts.35 Killing women for honor was rare, especially in
the city, and the ferocity of the ancient law had attenuated. Going to law,
though risking unwelcome publicity, became more common, even for noblemen.36 In
the 1580 edition of Rome’s Statuta, carnal and associated crimes occupied a
brief three pages and mostly specified due punishments.37 In practice, these
penalties were often negotiated down, so the statutory guidelines are
interesting mostly as a ref lection of judicial thinking and broader cultural
values. This section began with sodomy and a tersepronouncement of death by
burning. Next, a longer paragraph, De Adulterio e incestu, spoke first of
“adultery with incest,” before turning to “simple adultery.” For this last,
punishments were calibrated to the woman’s honesty and the man’s social rank.
For sex with an “honest” wife, a plebian man faced a hefty fine of 200 scudi
and three years of exile. A gentleman owed double the fine and the exile, and a
baron triple. Notably, this scale of penalties targeted the common circumstance
of high-status men making alliances with women of lower rank. On the other
hand, the chance that even a middling family would successfully haul a nobleman
into court was slim. Continuing, the statute declared that if the wife was poor
and “inhonesta, but not a public prostitute,” the penalties were halved.38
Reputation ( fama) in the neighborhood legally determined a woman’s
“honesty.”39 At the same time, where early modern criminal law recognized that
virgins might resist forcible def loration (stupro), wives were still held
complicit in adultery.40 Thus, every proven adulteress was, in principle, to be
sequestered for correction in a casa pia for errant wives (malmaritate), where
her husband or family paid her expenses. From the later sixteenth century,
adultery came before the Governor’s court by two routes. By legal tradition,
reiterated in the Statuta, sexual crimes involving respectable women received
public intervention only when brought by a kinsman with honor at stake.
Institutional justice, seeking to promote itself and to tame the violence of
self-help vendetta, encouraged this recourse with some success. Thus, husbands
initiated many of the Governor’s adultery trials, although typically with a
keen eye to retaining spousal property.41 On occasion, angry women prosecuted
their husbands for adultery.42 To note, the Governor’s criminal court in
general took seriously women’s complaints, even without male backing. Their
testimony as accused or witness, usually recorded under the same intimidating
circumstances as men’s, bore analogous weight. Especially for offenders from
the lower social ranks, adultery also came to the court’s attention by an
investigation ex offitio, on the state’s initiative. Usually, a secret report
by a mercenary spy or grouchy neighbor launched the case, followed by a police
raid.43 Such arrests were often handled by summary justice that imposed a fine
and issued an injunction against further misconduct.44 A few cases led to full
trials, and my stories here of “simple adultery” are among them.45 Although
these examples were not formally typical, they involved ordinary people getting
into relatively routine kinds of trouble. Bodies and honor were at stake, but
neither money nor property were central for either husbands or wives. All the
women had engaged actually or potentially in sex with men of their own choosing
outside the bonds of marriage. From the tales of these willing adulteresses who
ended up in court, we can learn about a range of possibilities for extramarital
adventures and about the narratives and discourses that explained them and
hoped to extenuate culpability. These women, though several years married, were
often young. In other Governor’s court trials around f lawed marriages the
wives typically complained of mistreatment to justify their straying. In none
of these four stories, however, did that rhetoric appear. The husbands, when
theysuspected or learned what was afoot, were angry, but the trials were not
about ending a marriage. The lovers, themselves unmarried, were among the many
unattached men in Rome, and met the adulteresses through family and local
connections. Also telling are the ways that neighbors and colleagues took part,
both in the trysts and in their discovery and discipline. In my first two
adultery stories, unhappy husbands tried, more and less cannily, to corral
their wandering wives. For both, events transpired close to home. In the first
case, the spouses spoke of Tridentine teachings to repair a troubled marriage.
The pastoral discipline had failed to work, however, and the next time the
irate husband resorted to self-help, seriously beating his incorrigible wife.
The domestic violence brought the problem to public notice. In the second
story, the husband confronted his wife with her misconduct reported by
neighbors. When she faced down his efforts at proper spousal correction and
still continued to roam, the husband turned for help to the ecclesiastical and
public authorities. They, in time, intervened, but notably declined to rush
into a private matter without good cause. The first tale provocatively mixed
elements of Boccaccio with Catholic reform teaching to the laity. A very short
trial from May 1593 recounted adultery trouble that exploded within the cramped
premises of a fruit and vegetable seller in central Rome.46 After the
beleaguered husband, Hieronimo, had resorted to self-help, the resulting
domestic violence led an unnamed informant to alert the police. In this
instance, probably because the wife, Caterina, lay injured, instead of
collecting testimony at the prison, the notary first hurried to the respectable
shopkeeper’s premises to interview both spouses. Husband and wife testified
immediately in the heat of events and again, later, in jail. The would-be
lover, the shop assistant Leonardo, nimbly decamped before the law arrived. As
was common for many city dwellers, Hieronimo Ursini from Milan kept shop on the
street f loor and lived upstairs with his wife, Caterina, but evidently had no
children. Two garzoni (shop assistants) slept in an adjacent room. The
fruitseller had good reason to suspect his young wife. By his account,
Caterina, whom he spied often f lirting in the window “with this one and that
one,” had repeatedly tried his patience. Worse, he once had caught her at her
mother’s house, “almost in the act” of having sex with a tavern keeper.
Nevertheless, Hieronimo averred piously, “I forgave her, and she promised to do
no more wrong, and we confessed together to the parish priest and took communion,
and I took her back and led her home, pardoning everything and keeping her
always as well as possible” (ff. 1125r–v). Portraying himself as a pious and
forgiving husband, Hieronimo sought to meliorate the court’s view of his later,
less irenic, behavior. The testimony, which likely was approximately true,
shows us a man of modest status deftly invoking good Catholic teaching.
Caterina in turn confessed, “Truly, I did wrong (torto) to do what I did to my
husband, because I once fell into error (errore) at my mother’s house, where I
had sex with Giovanni Angelo the tavern keeper, and even so, my husband forgave
me and took meback into the house” (ff. 1128r–v). Here she acknowledged not
only Hieronimo’s forbearance, but also her own inclinations to illicit
pleasure. Hieronimo’s jealousy thus primed, on a May morning he climbed early
out of the bed that he shared with his f lirtatious wife. According to his
testimony, he intended to go to a garden on the edge of the city to cut
artichokes for the shop. He tried to rouse his two garzoni who were sleeping in
another room. One got up, but Leonardo, also from Milan, claimed to be sick and
would not rise. Suspecting the lay-a-bed of setting a “trap,” Hieronimo sent
the other assistant out to collect the produce, but he himself slipped into the
shop and hid behind a barrel. After a while, Leonardo entered the shop,
“sighing,” according to the hidden Hieronimo, “an amorous sigh.” A few minutes
later, Caterina appeared, asking where her husband was. “Gone to cut artichokes,”
replied Leonardo. Immediately, said Hieronimo, Caterina began to adjust the
garzone’s ruff ( fare le lattughe), and quickly the two became playful and
kissed each other. The husband, seeing that “Leonardo wanted to lift her skirts
and do his thing ( fare il fatto suo),” burst out of hiding shouting, “Oh
traitor, oh traitor, you do this to me!” Seeing his master thus enraged,
Leonardo, expediently, slipped out the shop door and disappeared from the
story. Caterina retreated hastily up the stairs, and Hieronimo surged after,
beating her with a broomhandle, a domestic weapon of choice for women as well
as men, with his fists, and with his belt. So incensed was he that he pinned
her down with his knees on her belly and then on her shoulders, while hauling
on her braids, so that he left her “as if dead,” swollen, bloody, and with
bruises “blacker that your Lordship’s hat”. Hieronimo volunteered all these
details, and one suspects that he may have shocked even himself with his
ferocity. Caterina’s tale of the putative adultery and its sorry aftermath
provides another perspective. Not surprisingly, she presented herself as
aggrieved and “mistreated.” Nevertheless, she reported a similar account
leading to the f lirtatious exchange with Leonardo. Her husband, having left
early without a word, she rose two hours later. Going into the next room,
Caterina rousted Leonardo to get up and open the shop, while she swept. When
she went down for a basket to hold the sweepings, she found Leonardo, wrestling
with a pair of sleeves. He asked for help in attaching them, and the two began
laughing as they struggled with the laces. Just then, Hieronimo sprang out and
began to assault his wife. Confirming Hieronimo’s confessed details and adding
blows with the head of a hatchet, Caterina claimed that he wanted to kill her.
But, “please God,” he had not (f. 1125v). Later, pressured by the court at a
second interrogation, the wife admitted to some greater provocation of her
husband. In this version, as she came into the shop, Leonardo asked that she
help lace his sleeves and moaned about not feeling well. She joked that he was
not going to die, and they began to play so that, as in Hieronimo’s account,
the garzone had kissed her “lustfully (lusuriosamente)” on the cheek and she
responded in kind (f. 1128r–v). Though more theatrical than some tales, this
domestic drama had several points in common with other neighborhood adulteries.
First, illicit relationssprouted very close to home. These were the
settings—through work and domestic propinquity—in which wives were likely to
meet other men. Perhaps surprisingly to us, these were also the spaces in which
adultery—its initiations and often its consummations—took place. People
understood the risks and costs of getting caught; at the same time, privacy,
such as we imagine it, was simply not a reality for most people. While married,
Caterina had practiced serious f lirtations first in her mother’s house and
then in her husband’s, with one of their live-in employees. Even if no real sex
had transpired with Leonardo, Caterina saw the wrongful pattern of her conduct.
She evidently enjoyed the play and appreciation of her guilty encounters, but
she gave little sign of personal feelings for her lovers. In contrast, there
does seem to have been some commitment, however f lawed on both sides, between
the spouses. While we may doubt that Caterina changed her ways, she did express
a sense of responsibility and a belief that she should make peace with her
husband. The brevity of the trial suggests that the magistrate was content to
dispatch the matter quietly. Both spouses had to answer for their
transgressions— Caterina’s sexual misconduct and Hieronimo’s excessive
correction.47 The second story of adultery is the only one of the four where
the husband himself brought his private troubles to the authorities.48 For more
than six months, Bartolomeo from Genoa, alerted by friends, investigated
suspicions and then sought to correct his errant wife, Isabetta from Rome. He
had tried several times in previous months to enlist the help of the Vicario’s
ecclesiastical tribunal, but in vain. Recently, however, he had procured a
warrant, probably from the Governor’s court (ff. 832r–v, 834r). So, a police
patrol met Bartolomeo outside the building where the lovers had been seen and
at his direction made arrests that led to the trial.49 Events took place in a
shared neighborhood and within a community of workers, several of whom
testified. In this slightly larger, but still face-to-face social terrain,
friends and neighbors, notably men this time, had a crucial role in managing
their comrade’s disarray. On Saturday, October 22, 1604, right after the
arrests, Bartolomeo, coachman to a Monsignor Dandini, complained formally
against his wife and Francesco Cappelli from Florence (ff. 831r–v). Bartolomeo
had married Isabetta six years earlier; although native Roman women were few,
they often married men from outside who sought to establish themselves in the
capital. It was a second marriage for Isabetta, who had a grown stepson and a
son who lived together in another neighborhood (f. 840v). Bartolomeo lived with
Isabetta and their young son near San Pantaleone in the city center. The
accused lover, a twelve-year resident of Rome who served as coachman to another
churchman, the Archbishop of Monreale, worked from a stable nearby.
Bartolomeo’s complaint charged Isabetta with spending “unusually much ( piu
dell’ordinario)” time with Francesco. According to reports from several men,
including a third coachman, while Bartolomeo lay on his sick bed, Isabetta came
and went late in the evening from the stables where Francesco worked. Once
healthy again, Bartolomeo berated his wife for her visits and threatened her
with arrest and public whipping (f. 831r). She, however, denied all charges and
challenged her husband to do his worst(f. 831v). Nevertheless, Bartolomeo
asked his friends to spy on her movements (ff. 833v–834r). One morning
Bartolomeo’s nephew brought word that Isabetta had been spotted a few streets
away going with Francesco into the Palazzo de Picchi. Bartolomeo sent a
messenger to alert the city police. When they arrived, Bartolomeo told them to
arrest Francesco, then descending the stairs. The husband entered the building,
collected Isabetta, and sent her, too, off to jail (f. 831v). Note that the
Governor’s police were willing to act, but left it to the respectable husband
to hand over his wife. After the arrests, neighbors and colleagues testified to
having seen Francesco and Isabetta often together over many months and hearing
talk in the piazza of their being lovers. One man observed her three or four
times in the last month taking advantage of walking her son to school to stop
to talk with Francesco in the courtyard of the Massimi family palace (f. 837v).
Another neighbor, Alfonso, intervened directly. Because, he said, Isabetta was
his commare, his spiritual kinswoman, he had invited her a month earlier to his
house. There, with his own wife present, Alfonso told the wayward Isabetta of
the rumors that she was in love (inamorata) with Francesco and having sex with
him. Alfonso urged to her to smarten up (stesse in cervello) and amend her
ways, because her husband knew and had a warrant to send her to jail, and
because it dishonored Alfonso himself, who had helped marry her so respectably
(ff. 834r–v). In their early testimonies, the lovers took different tacks. The
unattached Francesco downplayed the whole business. He acknowledged, as did
Isabetta, that they had known each other in the neighborhood for three or four
years. Yet Francesco dismissed her presence in his room or any adulterous
reasons for it, “I cannot know the heart of that woman or why she came up” (f.
835v). Isabetta, pressed hard through several interrogations, tried
ineffectually to parry the court’s questions. She garbed herself conventionally
as a dutiful housewife who minded her own business and seldom went out: “I have
to keep working if I want to live” (f. 841r). Accordingly, she implausibly
denied knowing local geography; then, insisting that she had never set foot in
the stables, she fudged the meanings of being “inside” a place (f. 839r). She
invoked her own good name, though in an elaborately conditional mode: “What do
you imagine, your Lordship, if I had gone out while my husband was sick, that
would have been a fine honor from me” (f. 839v). Blaming her neighbors for
their spiteful testimony, she invoked the chronic enmities of local life: “what
fine witnesses are these? this is how they repay the courtesies and good will
that I have used with them” (f. 843r). Later, however, she backtracked on some
of these claims with a pathetic tale of going out at night to fetch some greens
to feed the ailing Bartolomeo. Passing by the stable’s open door, she said,
Francesco had called out to her, “‘how is your husband?’ I, in tears, answered
that the doctor offered little hope, and then Francesco responded, ‘look, if
you need anything, be it money or anything else, just ask’” (ff. 843r–v). Spun
this way, the errant wife’s visit to the stable got folded into a stirring
picture of her desperate efforts to help her husband and of the fellow
coachman’s sympathetic offer of aid.Near the end of the trial, the accused
lovers, confronted with repeated testimony to their private meetings at the
stable and in the palazzo, were pushed to address the presumption that they met
for sex. As a judge said in another trial, “solus con sola, one does not
presume they are saying the paternoster.”50 When pressed, Francesco exclaimed,
“Your Lordship, I will take 100,000 oaths that I had no carnal doings with
Isabetta!” He continued, “I can show your Lordship that only with great
difficulty can I go with women, and when I do, it is rarely and to my great
injury (danno), because four ribs got cut by a Turkish scimitar when I served
as a soldier on the galleys of the Grand Duke” of Tuscany (f. 849v). Here we
have detail so baroque that we may have to believe it. Francesco aimed to
suggest, with timeless logic, that his encounters with Isabetta were not,
actually, sex. Whatever it was, however, he feared culpability and had tried,
with various moves, to def lect it. Interestingly, Isabetta’s final remarks
also denied a sexual relationship by alluding to Francesco’s behavior. In her
words, “if he were as proper (netto) with other women as he is with me, he
would never have had sex with any woman.” Then, reaffirming her veracity, she
concluded with a shift to a rhetoric of intention and sin, “If I had done wrong
(errore) and if Francesco had sex with me, I would say so freely and ask for
forgiveness, but because I did not do it, I cannot say I did” (ff. 850v–851r).
Much more was at stake for Isabetta than for her lover. Knowing well that, in
sneaking around while her husband was ill, she had erred in the eyes of her
peers, she did not counter Bartolomeo’s charges with complaints of
mistreatment. Yet she stood on her word that she could not confess a lie. There
the trial record ended with the usual legal instruction that both accused
parties be released into the jail’s public rooms (ad largam) with three days to
prepare a defense. Accumulated circumstantial evidence, rather than catching
lovers in the sexual act, was sufficient for neighbors and, in turn, their
publica vox et fama attesting to the offense had weight in court. Nevertheless,
perhaps fearing retaliation, people appear not to have turned each other in too
quickly. Once an adulterous coupling became common, local knowledge, a friend
or associate might assay an informal warning to wife, husband, or lover.
Consensus likely deemed these matters family business, better handled privately
and with minimal scandal. In this case, Bernardino not only chose official
help, but had to persist to get it. In two other stories private adultery and
its public prosecution unfolded in different circumstances. Here the
adulteresses took advantage of wider urban terrains when pursuing their
romantic yearnings. The husbands, although present in the city, were not
principal players in bringing the cases to court. Neighbors, on the other hand,
took active part, facilitating the alliances or tolerating them for some time,
until a moment arrived when someone alerted the authorities. These times, when
the police raided an illicit rendezvous, they acted ex offitio, on the newer
legal premise that the court could intervene directly, without a kinsman’s
request, to ensure order among the city’s lower-status residents. In a third episode
of simple adultery, prosecuted in January 1605, the husband, Giovanni Domenico,
was in fact the last to know. The short trial consists of apolice report and
testimonies from several neighborhood witnesses.51 Neither wife nor lover spoke
on record, but procedural annotations at the document’s end register their
choice not to challenge any of the witnesses. Most likely, the adulterers
accepted a summary decision that ordered them to pay fines and agree formally
not to consort any more. Giovanni Domenico di Mattei from Lombardy and his
wife, Madalena, lived on the Tiber Island with their two young children and an
orphan boy whom they kept “for the love of God” (f. 145v). Husband and wife
shared a business selling doughnuts from their home (f. 143r). Giovanni
Domenico also commuted daily across the city to Piazza Capranica to work as an
assistant to a doughnut-maker (ciambellaro) (f. 145r). The job required his
being away overnight, but every morning he returned to his family quarters,
evidently bringing pastries to sell. One Wednesday morning, Giovanni Domenico
came home to find that Madalena had been arrested, along with Pietro Gallo from
Parma, a twenty-five-year-old barber’s garzone who lived two doors down the
street (ff. 144r, 145v). According to the official report, a neighbor’s
denunciation had informed the authorities that “every night after four hours
(10 p.m.) Pietro habitually goes to sleep with Madalena” (f. 143r). Receiving
word again last night that the barber was there, the police raided the house
late on a chilly January evening. With professional savvy, the lieutenant
posted men to watch the exits before knocking on Madalena’s door, which she
opened after a few minutes’ delay. While a search inside found no man, a loud
noise overhead alerted the police to visit the roof, but in vain. They did soon
discover the barber in his nightshirt in his own bed, where he protested that
he had been checking the premises above on behalf of his absent landlord.
Unconvinced, the police led the two lovers off to jail (ff. 143v–145r). When
Giovanni Domenico came home to the unpleasant surprise of his wife’s arrest, he
learned that Pietro the barber, carrying a sword (a further offense), had been
in the house at night with Madalena. The cuckolded husband went immediately to
make a formal complaint and to demand, according to the protocol, the severest
punishments for Pietro, Madalena, and anyone with a part in “leading him to
her” (ff. 145r–v). The young orphan, Giovanni Santi, nicknamed Scimiotto
(Little Monkey), also testified then under his master’s auspices. The boy
explained that, during the four months that he had lived in the household,
Madalena had many times sent him to invite the barber to eat, and that, when
Giovanni Domenico was away, Pietro stayed to sleep. He shared the bed with
Madalena and the two children, while the young witness slept on the f loor in
the same room. The lover usually entered through the door, but sometimes
through a window belonging to a laundress (ff. 146r–v). During her husband’s
nightly absences and in plain view of the neighbors, Madalena had carried on
adulterously with, like the other women, a young, unmarried man who lived
nearby. The affair (amicizia) had been going on for as much as two years,
according to gossip in the local wineshop (f. 148v). A hatmaker who lived in
the house between the two lovers had for six months heardlocal “murmuring” that
Pietro was having sex (negotiava) with Madalena. In passing back and forth, the
neighbor had many times seen the barber in her house, their “talking and
laughing together publicly . . . sometimes in the morning,
sometimes after eating, sometimes toward evening” (f. 147r). Often, said the
hatmaker, other men also hung out convivially at the shop, eating doughnuts,
or, in season, roasted chestnuts (f. 148v). Giovanni Domenico must have been
around sometimes when such sociability, presumably good for business, took
place. Yet, about a month before the arrests, the hatmaker saw fit one day in
his shop to warn the young barber: “the people of Trastevere say you’re having
sex with the doughnut-maker’s wife; if you don’t straighten up, you’ll go to
jail.” When Pietro denied it, the hatmaker replied that it was not his
business, but that the barber had better mind his (f. 147r). Cesare the tavern
keeper had also challenged Pietro. Several weeks ago, Cesare had gone to
Madalena’s to borrow matches and found her eating with the barber and another
man. Seeing the tavern keeper, Pietro had slipped away to hide. Later that day,
Madalena’s small son came to Cesare’s house to get a light. Jokingly, he asked
the boy: “who was sleeping with your mother last night?” (f. 148r). Later
still, Pietro stormed into the tavern and began to threaten the host, saying
that he should take care of his own house and not speak of others, or that he
would get his head stove in. Cesare, figuring out how his words had passed from
the child to his mother and to Pietro, protested that he had only spoken in
jest (f. 148r). Although propinquity and opportunity during Giovanni Domenico’s
regular absences clearly favored the liaison, we must guess at what drew these
two lovers together. The unmarried barber could readily have found sex and even
a quasi-domestic companionship elsewhere among the city’s prostitutes. The
illicit pair seemed to enjoy each other’s company, alone together and also in
groups. In Rome where many men were on their own, taking meals in others’
houses, sometimes in return for a contribution in food or money, was not
unusual. Pietro’s sleeping over, especially when he lived so close by, was less
acceptable. Interestingly, though, no one called Madalena a whore or said that
she was in it for money. This suggests that there was something companionable
about the connection, and that may have colored local reactions, at least
initially. Some shift of neighborhood opinion in recent weeks, however, had led
the hatmaker to confront Pietro and the tavern keeper to make his tactless joke
to Madalena’s son. How, then, did the cuckolded husband not suspect? Seemingly,
none of the neighbors said anything to him. At least, when he came home to
discover the arrests, he hastily adopted a posture of righteous ignorance and
mustered shreds of domestic mastery by adding his complaint to the magistrate’s
file. Nevertheless, given local practices, the marriage probably muddled on.
The fourth case shows a different pattern of adulterous assignation.52 The
lovers had been acquainted through family connections for several years. The
older married woman, infatuated with a younger man, a cloth dealer, organized
their sexual trysts. Completely absent from the trial, the cuckolded husband
figured only as an angry specter in his wife’s mind. Here again, a neighbor’s
denunciationlaunched the official investigation. Testimonies from the two lovers
and from several women neighbors arrested with them confirmed and extended the
police report. On Saturday, March 23, 1602, in mid-afternoon, a police patrol
raided a modest upstairs room in the Vicolo Lancelotti near the Tiber river.
According to their lieutenant, an unnamed local informant reported that a
married woman had been meeting a lover there on Saturdays for some months (ff.
1219r–v). The lodging belonged to Filippa from Romagna, a weaver and the wife
of Hieronimo Morini, though evidently alone in Rome (f. 1220r). Two other women
on their own, including Filippa’s commare Marcella, also shared the staircase.
On Saturday, hearing men barge into the building, the weaver was able to warn
the lovers, so that the police arrived to find the pair, both fully clothed,
the man sitting on the bed and the woman standing beside him. But when the man
rose, lifting his cloak from the bed, the lieutenant spotted a “shape” ( forma)
betraying the couple’s activity (f. 1219r). The woman, Livia, was known to all
present as the wife of Pietropaolo Panicarolo, a carpenter from Milan (f.
1224v). Confronted by the police, she threw herself tearfully on her knees and
begged not to be taken to prison, because “this is the time” that her husband
would kill her. The man, Marino Marcutio from Gubbio, took an officer aside,
saying “I am a merchant” and offering money or whatever he wanted in order to
let them go, the woman in particular (ff. 1219r–v). But the righteous policeman
refused the bribe, bound the pair, and sent them to jail. The adultery’s
backstory emerged from the interrogations. Livia testified that she had been
married for twenty-six years, although she likely included a brief first
marriage contracted when she was very young (ff. 1225r–v). That husband had died
before she was old enough to go live with him, and probably she had been wed
soon again to Pietropaolo. In any case, in 1602 Livia must have been at least
thirty-five and maybe older. She lived with her husband, but, like Caterina and
Hieronimo in the first story, they had no children. Besides Livia’s fear of
Pietropaolo’s violence should he discover the adultery, we know nothing of
their relationship. As in the third case, the geography in this one spread out
across the center of the city. Livia lived currently not far from the Trevi
Fountain and was accustomed to moving good distances around the city on her own
(f. 1221v). Marino, a younger man, kept shop across town on a corner where the
street of the Chiavari met the Piazza Giudea (f. 1220v). Livia had come to know
Marino eight years before in her own home, where she nursed his seriously ill
cousin, who later died (ff. 1227r, 1229r). Marino had also shared recreation
and games with her husband, Pietropaolo, and the merchant’s parents had more
recently lodged in the carpenter’s quarters during the Holy Year of 1600 (f.
1229r). Through these domestic encounters, Livia had fallen in love with Marino
and had long strategized to meet him discreetly for sex. Livia had known
Filippa for two years, during which time the weaver, who worked on a loom in
her room, had made three cloths for the more aff luent carpenter’s wife (f.
1221r). Filippa had visitedLivia’s house to collect yarn for the loom and to
deliver finished cloth, and Livia had called in the Vicolo Lancelotti, although
it was a good way from her home. So, bumping into Filippa at various spots
around town, Livia importuned her repeatedly for the use of her room to meet
Marino (f. 1221v). Though reluctant, Filippa eventually gave in to the woman
who gave her work. At risk of being charged as a go-between, the weaver said
she had refused any compensation, but Livia said that she had given Filippa
five giulii for the two recent assignations (f. 1227v). In Livia’s own
words, she had loved and been in love (inamorata) with Marino for years, and
her infatuation had propelled her to arrange a series of private encounters
“not having opportunity to enjoy him ( goderlo) in my house out of respect for
my husband” (f. 1225r). Livia and Marino both acknowledged having met privately
a number of times at Filippa’s room, and twice in the last week that was the
focus of the investigation. On the Monday before the arrests, the pair had had
a rendezvous at Filippa’s house. Duly chaperoned by a nephew, who left
immediately, Livia arrived first after the midday meal and joined the weaver in
her room. Marino appeared about a half hour later, bringing some collars for
starching as a standard cover story for his presence. After chatting brief ly,
Filippa withdrew and left the pair alone. Sometimes, the door was open during
the couple’s visits, but on this, as on another, occasion they had been locked
inside for about an hour (f. 1221r). When later the policeman asked Filippa
what the couple had been doing, she replied, “you know very well that when a
man and a woman are together, it is not licit to see what they are doing” (f.
1219v). Although all the women witnesses echoed the sentiment that Livia was in
love, it was not clear whether, when the couple next met on Saturday, they had sex.
Livia was angry with Marino, because she thought that he was chasing another
woman, and they had had words. She also insisted with dubious piety, “on
Saturday I don’t commit sin, not even with my husband (il sabbato non fo il
peccato, ne anco con mio marito)” (ff.1221r, 1225r). Although during the
arrests Marino had tried to protect Livia, under interrogation his story aimed
first to exonerate himself. He acknowledged that he had met Livia once before
Christmas, twice before Carnival, and another two times during Lent, but, he
insisted, only to talk. Making the implausible claim that he only sought the
carpenter’s wife’s help in order to secure a “simple benefice” for his brother
who was a student, he denied sex altogether (f. 1229v). Describing their emotional
bond, he notably cast the feelings in terms of Livia’s warmth toward him, “she
is a friend to me and loving because she has helped me (mi e amica et amorevole
perche mi ha fatto de servitii ),” referring to her nursing his mother and
cousin (ff. 1231v–1232r).53 To dislodge the lovers’ conf licting testimony and
to convict Marino, the court proceeded to torture the adulteress in front of
the merchant (f. 1234r–v). Using the lighter instruments of the sibille that
compressed the hands, this formal act of judicial stagecraft intended, as in
Artemisia Gentileschi’s case, to authorize the claims of the sexually
compromised woman.54 The tactic failed, nonetheless, to elicit a change in
Marino’s testimony that denied any sex, or touch, or kisses,or even hearing
that Livia was in love with him (f. 1236v). The judge probably did not believe
Marino, but legally his respectability and his adamancy held good weight.
Livia’s unknown fate, on the other hand, would have lain in part with her
invisible husband. If less dramatic than high culture’s renderings of adultery,
adorned by the heft of law, familiar biblical tropes, and colorful narrative in
paint and words, these everyday stories of wives seeking illicit moments of
love and fun have their own art and pathos. For example, there is the coachman
Francesco’s alleged sexual impairment due to a Turkish scimitar injury. Or the
hardworking doughnut guy cuckolded by the young barber. Or Filippa the poor
weaver, who got into trouble because her friend and employer Livia wore down
her resistance to playing hostess to a sexual rendezvous. Paradoxically
perhaps, the criminal court’s address to transgression here tells us more about
what really happened, and what happened to most people some of the time than
the great dramas of high art. Despite reformers’ efforts to discipline marriage
and sex, a customary culture that tolerated various forms of heterosexual error
persisted in Rome long after Trent. In these four cases, only one husband
sought the court’s help. In the others, neighborhood informants alerted the
authorities to a public disorder, but only after an adulterous liaison had been
known in their midst for some time. While the Governor’s court prosecuted
lovers as well as errant wives, the women usually had more to lose, but also
perhaps to gain. Even if unwise, some married women broke the rules and went
looking for love. What they found was usually close to home so that their
adventures took place under the eyes of a local community. These neighbors knew
often well before the law got involved and responded in diverse ways. Adultery
posed a social problem that demanded a solution, sooner or later. Although the
law had its own ambitions, in these sorts of everyday misdeeds justice did not
intervene with a devastating external discipline.Notes 1 Cristellon, “Public
Display,” 182–85, summarizes Italian legal and customary views of adultery. 2
Clarus, Opera omnia, 51b. 3 Besides essays in Matthews-Grieco, ed., Erotic
Cultures, see Bayer, ed., Art and Love, including essays by Musacchio (29–41)
and Grantham Turner (178–84). 4 Ajmer-Wollheim, “‘The Spirit is Ready’” 5
McClure, Parlour Games, 36–38. 6 Esposito, “Donna e fama,” 97–98, states this
standard view. 7 Cussen, “Matters of Honour,” 61–67. 8 Lev, The Tigress of
Forlì, 3–20. 9 Musacchio, “Adultery, Cuckoldry,” 11–34; on Piero’s death 17–18.
10 On wife-killing by nobleman Carlo Gesualdo in Naples, 1590, see Ober,
“Murders, Madrigals”; on Vittoria Savelli in the Roman hinterland, 1563, see
Cohen, Love and Death, 15–42. Killings of noble wives not caught in flagrante
delictu often had motives linked to claims on property or power rather jealous
rage. 11 Esposito, “Donne e fama,” 47 48
49Elizabeth S. CohenGal, Boudet, and Moulinier-Brogi, eds., Vedrai mirabilia,
241. Kaborycha, ed., A Corresponding Renaissance, 172 + n. 19. Gal, Boudet, and
Moulinier-Brogi, Vedrai mirabilia, 251. Examples include: Titian (1510); Rocco
Marconi (1525); Palma il Vecchio (1525–28); Lorenzo Lotto (1528); Tintoretto
(1545–48); Alessandro Allori (1577). Alberti, “‘Divine Cuckolds.’” Rice, “The
Cuckoldries.” Boccaccio, Decameron. For example, Day 3, Story 3; Day 7, Story
2. For example, Day 3, Story 2; Day 4, Story 2. Ibid., 241–46. My translation
of the quote. Ibid., 500–01. Cristellon, Marriage, the Church, 14–19, 159–90.
For French parallels, see Mazo Karras, Unmarriages, 165–208. Ferraro, Marriage
Wars also includes cases in secular courts, where issues of property, often
pursued by husbands, have greater visibility; yet women brought many more suits
than men, 29–30. In the complaints, adultery was generally subordinate to other
concerns, 71. Cristellon, “Public Display,” 175–76, 180–85, Scaduto, ed.
Registi dei bandi, vol. 1 (anni 1234–1605), passim. Storey, Carnal Commerce,
108-14, 242–43. Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 274–75. Cohen and Cohen,
“Justice and Crime.” Sonnino, “Population,” 50–70. Da Molin, Famiglia, 93–95.
Sonnino, “Population,” 62–64. See also, Nussdorfer, “Masculine Hierarchies.” Da
Molin, Famiglia, 243. The unexplained disappearance of Vicariato tribunal
records precludes Roman comparisons with Venice. Marchisello, “‘Alieni,’”
133–83. See also in the same volume, Esposito, “Adulterio.” Blastenbrei,
Kriminalität im Rom, 273, n. 160. Statuta almae urbis Romae, 108–09, for what
follows. Forcibly abducting prostitutes was a crime. Ibid., 109. Esposito,
“Donna e fama,” 89–90. Marchisello, “Alieni,” 137, 166–68; Esposito,
“Adulterio,” 26–27. Alternatively, the legal narrative for the charge of
sviamento, leading astray, shifted more blame onto the lover. For example,
Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale criminale (hereafter ASR
GTC), Processi, xvi secolo, busta 256 (1592), ff. 540r–62; see also,
Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 272, 275. For example, ASR GTC, Processi, xvii
secolo, busta 25, ff. 17r–26v; (1603); busta 91, ff. 1153r–1159r (1610). In
parallel, the Statuta almae urbis Romae, 110, declared that men keeping
concubines were liable for fines of 50 scudi. Counts based on small numbers of
surviving records do not reflect behaviour or even patterns of prosecution.
Nevertheless, it may be useful to note that this type of “simple adulteries”
represent about a quarter of the adultery prosecutions between 1590 and 1610.
ASR GTC, Processi, xvi secolo, busta 270, ff. 1124r–1128v. References to
specific folios appear in parentheses in text. The trial record ended with the
usual note that those charged had three days to prepare their formal defense. I
have found no record of a judgment, but it is likely that the couple were fined.
ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 37, ff. 830r–851r. The charge preteso
adulterio (appearance of adultery) carried a lesser burden of
proof.Adulteresses in Catholic Reformation Rome50 51 52 53ASR GTC, Processi,
xvii secolo, busta 36, f. 63v. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 44, ff.
142r–149r. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 17, ff. 1218r–1238r. The range
of colloquial meanings for “amica” and “amorevole” was broad. Here Marino used
these words to indicate friendship and affiliation, rather than romantic or
sexual alliance. 54 Cohen, “Trials of Artemisia Gentileschi,” Archival sources
Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale Processi, xvi
secolo, busta 256 (1592) Processi, xvi secolo, busta 270 (1593) Processi, xvii
secolo, busta 17 (1602) Processi, xvii secolo, busta 25 (1603) Processi, xvii
secolo, busta 36 (1604) Processi, xvii secolo, busta 37 (1604) Processi, xvii
secolo, busta 44 (1605) Processi, xvii secolo, busta 91 (1610)Published sources
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and gender. The case of the early seventeenth-century “lesbian nun” Benedetta
Carlini Patricia SimonsOn November 5, 1623, two Capuchin friars sent by a papal
nuncio finished their investigation regarding whether abbess Benedetta Carlini
was a valid mystic. An earlier, local study drawn up for Pescia’s provost in
1619 had been amenable to her claims. In July 1620, she became the first abbess
of the newly enclosed convent, a prestigious appointment that suggests belief
in her story. Yet Benedetta’s authority within the nunnery was not universally
accepted and she lost the support of the civic establishment, leading to the
new investigation by more distanced authorities. They decided that she had been
deceived by the devil because, according to evidence from disaffected nuns,
signs such as her stigmata were faked. New evidence also included the testimony
of the abbess’ assistant, Bartolomea Crivelli (often called Mea), who
unexpectedly told the men, in explicit detail, about sexual relations between
the two women. Most scholars were similarly surprised when Judith Brown
published the supposedly “unique” case in 1986, in Immodest Acts: The Life of a
Lesbian Nun.1 Responses were varied, the lengthiest being Rudolph Bell’s
evaluation in 1987, which argued that the nuncio was already determined to
silence Benedetta and that her subsequent lengthy imprisonment in the convent
was imposed by the nuns rather than external authorities, a claim refuted by
Brown.2 The details of the internal, civic, and ecclesiastical power plays
cannot be definitively known, but the sexual dynamics are clear. Over thirty
years later, it is time to reconsider this case, neither adhering to a
modernist notion of strict sexual identity nor relegating Benedetta and Mea to
the margins. In keeping with Konrad Eisenbichler’s ability to draw out erotic
implications from literary and archival evidence, this essay respects the
reality of the women’s intimacy and examines textual and visual materials in
order to situate them in their spiritual and sensual context. This case offers
specific details and terminology for what might be called corporeal
spirituality, the unequivocal coexistence of amorous language, sexual deeds,
pious rhetoric, and religious faith.3Since Benedetta’s visions entailed
visitations from Christ, whom she married in a public ceremony, and messages
from angels such as Splenditello, in whose voice she often spoke, Brown claimed
the two nuns were engaged in a heterosexualized affair: The only sexual
relations she seemed to recognize were those between men and women. Her male
identity consequently allowed her to have sexual and emotional relations that
she could not conceive between women. . . . In this double role of
male and of angel, Benedetta absolved herself from sin and accepted her
society’s sexual definitions of gender.4 Brown’s judgment associates male sex
with masculine gender, and in turn a presumed dichotomy between the two women
is seamlessly laminated onto their sex acts. However, this does not accord with
either the women’s physical actions, or with possibilities engendered by the
sensual spirituality of premodern Catholicism. The souls and f lesh of nuns
were not as neatly divided as a later, secular view imagines. Despite the
Foucauldian point that discourses of repression can generate the very thing
they seek to silence, the presumption of religious “purity” and feminized
innocence has hardly disappeared. Benedetta’s case remains nearly ignored in
studies of European religion or is cited brief ly with no new interpretation.5
It is seen as an aberration on two counts: she was a nun with a sex
life—considered an oxymoron—and her sexual activity was with another
woman—thought to be impossible in her time and setting. Documented cases of
nuns having sex with clergy or secular men, as well as anti-clerical, fictional
stories about such conjunctions, are taken as ordinary, natural, feminine acts
by women who were supposedly frustrated in an entirely earthly way.6 But
Benedetta, it seems, must be a “unique” case, even “bizarre,” who assumed a
male guise and cannot be assimilated into religious history.7 My point here is
to remove her from the interdependent frameworks of deviance and
heterosexuality, and to reintegrate her into a religious context. Benedetta
literally acted out what was usually a world of visual and imaginary culture.
Here I try to reconstruct a premodern nun’s agency and the imagination of
religious women, who were not necessarily repressed victims with no recoverable
history of any import. Nunneries were loci of social and economic power,
particular inhabitants inf luenced secular women and male authority figures
ranging from fathers to confessors, and some women like Benedetta negotiated
rich emotive lives for themselves. We tend to think of nuns as women restricted
by institutional confines and discourses that denied them their bodies, but
Benedetta’s story urges us to examine the materiality of passion, of art, and
of past lives. Only the report of the Capuchins told of Benedetta’s sexual
transgressions— f lirting with two male priests as well as “immodest acts” with
a woman—and only at the end of its account.8 The inquiry concluded that her
visions andecstasies were “demonic illusions.”9 Along with her disturbingly
erotic behavior, the inquirers were concerned by their discovery that apparent
signs of her special favor, the stigmata, nuptial ring, and a bleeding
crucifix, were all forged. The friars integrated Carlini’s sexual behavior with
her spiritual behavior—all were sinful and diabolically inspired. In an
important sense, we need to take this contemporary contextualization seriously,
understanding that Benedetta’s visions were not utterly divided from her
corporeal acts. The aspiring mystic, then in her early thirties, had been
having regular sex with Mea for at least two years. Neither investigation was
sparked byrumors of sexual sin, nor is it clear how central that particular
misconduct was to her lifelong imprisonment within the convent.10 Benedetta’s
story most resembles cases of what Anne Jacobson Schutte has called “failed
saints,” or what Inquisitors termed “pretended holiness” (affetata santità).11
Sixteenth- and seventeenth-century penance for a nun’s sexual sin ranged from
expulsion or permanent incarceration in the convent to just two years of
penance there.12 No witnesses or other evidence confirmed Mea’s testimony and
if she had not made a voluntary confession, no one could have uncovered the
information. The demoted abbess Carlini herself renounced her past and never
acknowledged Mea’s claims. The unusually visible sexual aspects may not be
unique. Recalling her secular life of the 1670s, and her enjoyment of men
courting her, St. Veronica Giuliani later emphatically interrupted one of her
autobiographies. A sentence written in capital letters alluded to imprecise
errors, implicitly sexual: “I bore great tribulation for the sins I committed
with those spinsters and I did not know how to confess them.”13 Cloistered
women may have enjoyed undocumented but thoroughly physical relationships in
secluded spaces. From at least the twelfth to the seventeenth century,
incidents of same-sex eroticism within female convents are recorded. Around
1660, nuns at Auxonne accused their mother superior of bewitching them, of
wearing a dildo, of kissing, and penetrating them with fingers.14 Sixteenth-
and seventeenth-century women in Italian religious refuges for convertite
(ex-prostitutes) and malmaritate (abused wives) became friends and in some
cases nearly half the inhabitants formed couples sharing rooms, where
“officials discovered women who were sexually involved with other women.”15
Close living and supportive conditions also obtained in non- or semi-cloistered
communities of pious laywomen. Bell’s critique of Brown usefully corrected
various errors, while nevertheless making new mistakes. His chief point was
that the male investigators “had no lack of imagination or conceptual framework
for describing love between two women” and that it was the nuns rather than the
Church officials who condemned Benedetta to life-long imprisonment.16
Certainly, she seems to have been a demanding, imperious abbess who could not
cope with the dissension her rule engendered, perhaps in part due to newly
instigated clausura. Brown’s label of “lesbian,” despite her careful
acknowledgment that it was anachronistic, provoked much criticism. One reviewer
of the book, using yet more historically inappropriate terms, insisted that
“Carlini is heterosexual or, more properly,bisexual in both her inclinations
and conduct.”17 Disagreements over labels and details should not distract from
the fundamental fact that physical, sexual contact took place between two nuns.
Too often, a series of dichotomies misinform discussions of sexual practices. A
binary between the mind and the body, the soul and its vessel, is often mapped
onto other seemingly concomitant divides, not only between masculine and
feminine but also the celestial and the mundane. The presumption is that
religious ideologies constantly repress bodily desires and only secular,
putatively modern, frameworks are capable of acknowledging material passion. In
a similar vein, a contrast is regularly drawn between “real sex” (whatever that
is) and “Romantic Friendships” amongst women. Both the abbess’s visions and her
sexual deeds were informed by conventions shaping the lives of all nuns as
brides of Christ at a time when dualism was not naturalized. Discussing the
exegetical tradition regarding the biblical Song of Songs as an allegory about
the soul’s union with the divine, E. Ann Matter noted that the text was “the
epithalamium of a spiritual union which ultimately takes place between God and
the resurrected Christian—both body and soul.”18 Benedetta’s mysticism links
her to a tradition of female spirituality “that made the body itself a vehicle
of transcendence. . . . Corporeal images were the stuff with which
nuns described their experiences.”19 Heterosexualization of the story is too
simplistic, too ignorant of complex issues related to gender dynamics as well
as intersex and transgender bodies. What Brown calls Benedetta’s “double role
of male and of angel” and “her male identity” was not a consistent performance
of masculinity. Speaking on occasion as an angel named Splenditello or as
Christ, the nun was a medium for the divine rather than for her “self ” in a
modern sense of individual identity, and none of her contemporaries, including
Mea, considered her male. During sex, neither seventeenth-century woman
believed the other was transformed into a man, and their sex did not
necessitate resort to “instruments” or dildos, devices that so obsessed
confessors. For two or more years, “at least three times a week,” when the
women shared a cell as mistress and servant, they had sex, in the day as well
as at night or in the early morning.20 Although Mea sought to protect herself
by claiming she was always forced, and a degree of intimidation or overbearing
insistence may well have been involved, she implicitly admitted pleasure.
“Embracing her,” the abbess “would put her under herself and kissing her as if
she were a man, she would speak words of love to her. And she would stir on top
of her so much that both of them corrupted themselves.” The women did much more
than engage in what Brown and Bell describe, using the dismissive misnomer, as
“mutual masturbation.”21 They touched each other until orgasm, in vigorous and
multiple ways, including actions that were not possible for a single person,
and had no need of a phallus. Rubbing or “stirring” their genitals together to
the point of “corruption,” they also manually penetrated each other and
actively used their mouths. Presenting herself as more passive, Mea recounted
how even during the day the abbess grabbed her handand putting it under
herself, she would have her put her finger into her genitals, and holding it
there she stirred herself so much that she corrupted herself. And she would kiss
her and also by force would put her own hand under her companion and her finger
into her genitals and corrupted her.22 A slightly later expansion of the
account accentuated Benedetta’s inventive pursuit of pleasure, saying that “to
feel greater sensuality [she] stripped naked as a newborn babe,” and “as many
as twenty times by force she had wanted to kiss [Mea’s] genitals.”23 The
document, although stressing the younger woman’s reluctance, also showed a
comprehension of how satisfying the actions could be: “Benedetta, in order to
have greater pleasure, put her face between the other’s breasts and kissed
them, and wanted always to be thus on her.” During the day in her study, while
teaching her companion to read and write, the abbess again enjoyed sensual
contact, having Mea “sit down in front of her” or “be near her on her knees
. . . kissing her and putting her hands on her breasts.” Despite the
reticence Mea tried to convey in her statement, it was clear her lover sought
mutual delight. When manually arousing Mea, Benedetta “wanted her companion to
do the same to her, and while she was doing this she would kiss her.” The older
woman was presented as active and insistent. If Mea tried to refuse, the abbess
went to the cot “and, climbing on top, sinned with her by force,” or she would
arouse herself (“with her own hands she would corrupt herself ”). Hence, in a
phrase recorded only a few times in Mea’s testimony, the younger woman
conceptualized her vigorous, forceful lover in standard terms, saying “she would
force her into the bed and kissing her as if she were a man she would stir on
top of her.” Mea probably had no sexual experience with men, so her comparison
was not based on a Freudian model of the phallus or anatomical knowledge of a
penis, but on a sense of gendered roles whereby the man took a physically
dominant position. Benedetta and Mea enacted substantive, varied sex, in a
range of modes, positions, times, and locations. Benedetta’s case spurs us to
ask questions about the management of nunneries. How did seemingly “innocent”
and “repressed” women learn about sexual details and inventively contravene
prohibitions? A stock opposition between knowledgeable yet repressive male
authorities, and ignorant nuns without any agency, cannot satisfactorily apply.
Some inhabitants of nunneries shared a degree of sexual experience and innuendo
with their companions. Dedicated to God after her mother survived difficult
labor in 1590, Benedetta was a nine-year-old villager when she entered the
religious life.24 Most other entrants (and boarders) were similarly
prepubescent or in their early teens, but some were older, sexually experienced
women, such as widows or former prostitutes. Heterogeneity was increased by the
presence of converse, servants and lay sisters who entered at slightly older
ages, did not profess, and sometimes frequented the outside world, although the
growth of post-Tridentine enclosure made this less likely from the late
sixteenth century onward. The popular and much reprinted Colloquies (1529) by
Augustinian friar Erasmus suggested that nunneries were filled with “morewho
copy Sappho’s behavior (mores) than share her talent,” and that “All the veiled
aren’t virgins, believe me.”25 Through whatever means, cloistered women could
have clear ideas about how to attain sexual pleasure. An anonymous nun,
literate in Latin, wrote a love poem to another religious woman in the twelfth
century, noting that “when I recall how you caressed / So joyously, my little
breast / I want to die.”26 Confessors and canonists educated women in their
obsessive sense of sexual sin. Due to the urging of questioners, or to a sense
of guilt that welcomed the relief of voluntary confession, Venetian Inquisitors
heard in the 1660s about how the “failed saint” Antonia Pesenti fought in the
nighttime against diabolic temptations to masturbate.27 St. Catherine of Siena
(1347–80) was tormented by sexual visions.28 Such a woman, who strenuously
resisted association with secular men outside her family ever since she was a
girl and refused to place herself on the marriage market, nevertheless had some
comprehension of the conventions of sexual sin. Secular inspirations included
farmyard sights, carnival songs, and oral jokes. Sermons, or the queries of a
confessor, further embedded a degree of simple knowledge, horrifying yet
fascinating. Nuns were governed by regulations suspicious of erotic activity in
all-female environments, such as the provision since the early thirteenth
century of night-lights to deter illicit entries into cells, regular checks on
sleeping arrangements, supervision of female as well as male visitors, and
careful control of the grille and other points of contact with the wider world.
Yet those very rules made everyone aware of the possibility of contravention.
Many penitentials and texts of canon law voiced a concern about nuns erotically
touching or using “instruments” with each other, possibilities paradoxically
furthered through inquiries in the confessional.29 Visual culture, including
widely circulated prints and paintings of the damned, was another means whereby
nuns were incorporated into a communal imagination regarding both sin and
sensual piety. Explicit condemnations of same-sex activities led occasionally
to illustrations in religious texts or on the walls of convents.30 Sensitive
contact was also represented. Mutual tenderness and awe between the embracing
Mary and Elizabeth at the Visitation, liturgically celebrated in the musical
crescendo of the Magnificat (Luke 1:46–55) sung every day at Vespers, was powerfully
pictured by artists such as Domenico Ghirlandaio, Jacopo Pontormo, and
Parmigianino ( Figure 6.1).31 Saints’ lives contained legends like Catherine of
Siena suckling at Mary’s breast or St. Catherine of Genoa tenderly kissing a
dying woman on the mouth.32 A woman’s understanding of sex and sensuality might
have been based more on discursive than experiential practices, but it could
seem all the more real in its visionary presence. The chief focus of my study
is legitimized, mystical eroticism in convents, leading to Benedetta’s
mistaken, kinetic literalization of spiritual metaphors. Her pious and sexual
performances intertwined on at least three levels of efficacy. Instrumentally,
her access to the divine persuaded the younger, initially illiterate Mea to be
a witness to the visionary experiences and to become a sex
partner.Parmigianino, Visitation, pen and wash. Galleria Nazionale, Palazzo
della Pilotta, Parma.FIGURE 6.1De Agostini Picture Library/A.
DeGregorio/Bridgeman Images.Whether the ambitious nun was a self-aware
manipulator throughout, or convinced by her own delusions, is neither knowable
nor particularly pertinent. For some time Mea and the other nuns, the
confessor, local officials, and the townspeople were all caught up in a
visionary scenario they wanted to believe. At Benedetta’s funeral in 1661, the
populace had to be kept away from a body they stillthought capable of
miracles.33 The investigators eventually judged Benedetta a “poor creature”
deceived by the devil, and she agreed that everything was “done without her
consent or her will.”34 That defense of unconscious possession was already
evident during the days of her acceptance by the community, but it shifted from
being divine favor and spiritual rapture to becoming demonic deception. On the
psychological level, the two women were provided with an effective way to cope
with guilt. Until Mea “confessed with very great shame” about their sex, the
angel Splenditello convinced her the women were not sinning. 35 Initially
hesitating, in the presence of a host of saints led by Catherine of Siena, to
obey Christ’s command to disrobe so he could place a new heart in her body,
Benedetta was reassured by Jesus, who said “where I am, there is no shame.”36
The Capuchin investigators thought her putative ecstasy “partook more of the
lascivious than of the divine” but the earlier inquiry, and the convent’s
inhabitants like Mea, had not taken it amiss. After all, Saints Catherine of
Siena, Catherine de’ Ricci (1522–90), and Maria Maddalena de’ Pazzi (1566–1607)
received hearts from Christ, and numerous images in printed or painted form
continued to disseminate this aspect of female sanctity’s typology.37 Secular
poetry and pictures also represented the gifting of manly hearts as a token of
a courtly love that metaphorically elevated carnal desire into an idealized
realm, without losing sight of erotic thrill.38 Nuns were increasingly devoted
to Christ’s wounded heart, and imagined their own hearts as inner loci to be
entered by their heavenly groom. The crucial difference was that Benedetta’s
imagination was so inventive, and her belief system so literal, that
representation of her participation in this mystic ritual included
physical—“lascivious”—details. Thirdly, on the affective level, Benedetta’s
mysticism heightened her sense of desire, not only for union with the divine,
but for sex aided by angels. Equally, it could be said that her yearnings
exacerbated her mysticism. Recourse to mystical fantasy endowed her passion
with a structure and rhetoric. Rather than sublimation through piety,
Benedetta’s case history indicates an intensifying of acts spiritual and
sexual. Much of her complex psyche is summed up by the striking act of
benediction she performed after sex: as Splenditello, “he made the sign of the
cross all over his companion’s body after having committed many immodest acts
with her.”39 Priest, angel, nun, lover, guilty and grateful, powerful and
placatory, Benedetta moved her hand over a body she rendered simultaneously
sacral and sensual. Alongside a renewed disciplinary zeal regulating cloistered
life, CounterReformation culture witnessed a heightening of the emotive
register of piety. In doing so, the Catholic Church accentuated a venerable,
central heritage that used human bodies to imagine spiritual passions. So, in
the Mystic Nativity of 1500–01 (National Gallery, London), Botticelli’s angels
reenact the ritual of the kiss of peace, a regular liturgical moment, but
potential eroticization is indicated by its conjunction with a nuptial kiss and
by the exclusion of sinners from the ritual.40 Primarily same-sex pairs kiss
and embrace in Giovanni di Paolo’s midfifteenth-century panels representing
eternal paradise ( Figure 6.2).41 Angels andFIGURE 6.2 Giovanni di Paolo,
Paradise, 1445, tempera and gold on canvas, transferred from wood, 44.5 × 38.4
cm. New York, Metropolitan Museum of Art. Open access.souls of the blessed
greet each other, and the blissful unions are all manifested as moments of
physical intimacy. Men in religious costume embrace, two secular women tenderly
touch, near them two Dominican nuns entwine in one unit, and angels enfold men
into the sweet realm of grace. Some female mystics were blessed with a miracle
of lactation.42 Catherine of Siena’s experiences especially inf luenced
Benedetta because her mother was devoted to Catherine and the convent was under
her aegis as its patron saint.43 That role model’s mouth drained pus from a
woman’s breast and the abnegation was rewarded by what her confessor termed an
“indescribable and unfathomableliquid” f lowing from Christ’s side.44 Both
scenes featured in one of the prints comprising a well-disseminated series
illustrating Catherine’s life, designed by Francesco Vanni and first issued in
1597, then reissued in 1608 ( Figure 6.3).45 Her confessor Raymond of Capua
presented Christ as Catherine’s sensual lover: “putting His right hand on her
virginal neck and drawing her towards the wound in His own side, He whispered
to her, ‘Drink, daughter, the liquid from my side, and it will fill your soul
with such sweetness that its wonderful effects will be felt even by the body.’”
Raymond brief ly noted that an earlier confessor had written about how “the
glorious Mother of God herself fills her [i.e. Catherine] with ineffable
sweetness with milk from her most holy breast.”46 Nurtured at the breasts of
Christ and Mary, and moaning that “I want the Body of Our Lord Jesus Christ” in
church before his body f luid miraculously satisfied her so that “she thought
she must die of love,” Catherine’s inf luential model of sanctity encouraged
women such as her follower Benedetta Carlini to believe in sensate relief of
their spiritual desires.47FIGURE 6.3 Francesco Vanni, St. Catherine of Siena
orally draining pus from an ill woman and being rewarded with liquid from
Christ’s wound, 1597, engraving, 25.7 × 28.9 cm. Amsterdam, Rijksmuseum. Open
access.Benedetta’s maleness supposedly derived from her role-playing as Jesus
or an angel, yet neither Christ nor angels were unequivocally male. In a
fundamental sense, of course, Christ was masculine, the son of God endowed with
visible, male genitals to prove the infant’s assumption of Incarnational
humanity.48 His adult manifestation was also primarily masculine and
patriarchal. Imitative adoration of their heavenly spouse could lead to
mortification and even stigmatization, but nuns were not masculinized through
such actions and they did not automatically become lovers of men. Stigmatized
like Christ or speaking at times as though Christ was delivering a message,Benedetta
was not Jesus, but his bride and servant. Cloistered women were privileged
followers of Mary’s role as sponsa, the heavenly bride reenacting the Song of
Songs and enjoying sensual relations with an adult, loving Christ. But when a
German cleric regretfully noted that “it properly is the prerogative of his
[i.e. Christ’s] brides” alone to enjoy sensual union with a celestial
bridegroom, he nevertheless vicariously enjoyed a homoerotic fantasy by
instructing nuns to kiss Christ “for my sake.”49 As scholars have shown, in
many ways the metaphorical body of Christ was “feminine” or homoerotic or,
rather, polymorphous in its sensual charge.50 Nuns imagined themselves as
suckled infants, nurtured adults, mothers, spouses, female friends, all sharing
an affinity as “sisters and daughters in Jesus Christ,” as Catherine de’ Ricci
addressed a group of nuns in October 1571 after the death of “your dearest
mother,” their abbess.51 While Christ was their child and groom, and Mary their
exemplar, nuns were also enfolded in a female genealogy of succession and a
feminine household of multiple sisters, daughters and mothers. Fellow nuns
tenderly support Catherine of Siena when she is so affected as to faint after
receiving the stigmata, painted by Sodoma in the mid-1520s for the Sienese
chapel dedicated to her within the Dominican headquarters of her cult (Figure
6.4).52 Catherine is shown with exemplary female acolytes whose intimate,
gentle regard for her swooning body suggests a bodily care and unselfconsciousness
that requires no masculine intervention. Nuns took on more than one persona in
this labile community of affection. After Benedetta married Christ in a special
ceremony on May 26, 1619, a brief investigation did not distrust her mysticism,
and on July 28, 1620 her religious sisters elected her abbess, head of the new
Congregation of the Mother of God.53 As such, “mother” abbess Benedetta
embraced her “daughter” and fellow “sister” Mea. Brown conf lates being male
with taking on an angelic guise, but Benedetta took on no such “double role of
male and of angel.” When using the voice of an angel, she was not adapting a
role assigned to unambiguously male figures. Since theologians such as Aquinas
believed angels might assume f lesh but had no natural bodies or functions, the
ethereal creatures were officially asexual. Names, pronouns, and visual
representations implied a degree of masculinity about God’s messengers, but
often of a childlike or pubescent and androgynous kind. At the very moment when
Gabriel carried the message transmitting the Logos into the body of the Virgin
Mary, that archangel was often depicted as especially androgynous. It was
probably to a frescoed Gabriel that the orphan,Sodoma, Giovanni Antonio Bazzi,
Scenes from the Life of Saint Catherine of Siena: The swooning of the saint,
1526, fresco. Siena, S. Domenico. Scala/Art Resource, NY.FIGURE 6.4The “lesbian
nun” Benedetta Carlinilater Beata, Vanna of Orvieto pointed on a church wall
when she said “this angel is my mother.”54 Splenditello and Benedetta’s other
angels empowered rather than masculinized her. Splenditello and company were
celestial, barely gendered embodiments of winged eros or desire, rather than of
a particular lover. Mea’s account moved directly from details of their sex to
the statement that the mystic “always appeared to be in a trance (ecstasi )
. . . Her angel, Splenditello, did these things, appearing as a
beautiful youth (bellisimo giovane) of fifteen years.”55 The attractive
adolescent was endowed with the kind of homoerotic potential celebrated in
contemporary paintings such as Caravaggio’s The Stigmatization of St. Francis
produced in the first decade of the seventeenth century (Figure 6.5).56 Like
the contemporaneous Splenditello, the seraphic spirit of celestial love who
gently supports Francis is a creature ostensibly male but fundamentally
symbolic of an eroticism which does not insist on singular identifications of
gender or sex. The saint swoons in the arms of a lover whose pictorial form
embodies the ineffable and polymorphous. Francis’s pious identification with
the supreme exemplar Christ is physically and metaphorically consummated as he
receives the stigmata in a mystical experience necessarily represented in
erotic terms. A little more than twenty years after Mea’s confession,
Gianlorenzo Bernini began work on a three-dimensional figuration of The Ecstasy
of St. Teresa (Figure 6.6). With caressing gaze, divine light, a conventional
arrow of Love, andFIGURE 6.5 Caravaggio, Saint Francis receiving the stigmata, ca.
1595–96, oil on canvas, 94 × 130 cm. Wadsworth Atheneum Museum of Art.Photo
credit: Nimatallah/Art Resource, NY.FIGURE 6.6Bernini, The Ecstasy of St.
Teresa, marble, 1645–52. Rome, S. Maria dellaVittoria. Photo credit:
Alinari/Art Resource, NY.delicate gestures, Bernini’s embodiment of celestial
spirit visits upon Teresa an experience of divine transport. A childlike member
of the ranks of the cherubim gently strips Teresa of her worldly garments,
lifting the robe so that blissful fire will sear her soul with what she called
“a point of fire. This he plunged into my heart several times so that it
penetrated to my entrails.”57 As Teresa described her rapture in the early
1560s, “this is not a physical, but a spiritual pain, though the body has some
share in it—even a considerable share.” Corporeal sensation was certainly
perceived by an anonymous critic who, around 1670, accused Bernini of having
“dragged that most pure Virgin not only into the Third Heaven, but into the
dirt, to make a Venus not only prostrate but prostituted.”58 Contemporaries, in
other words, were quite aware of the fine line between sensuality and
spirituality, a boundary crossed not only by Benedetta but by the renowned
artist Bernini. Benedetta’s staging of such favors as her stigmatization and
her nuptials with Christ were eroticized events akin to those depicted by
artists. She involved an entire community of nuns and a local populace in
earthly manifestations of the divine, just as Caravaggio did in oil paint,
Bernini in marble, or preachers with words. Miracles were understood to be
physically manifest, and visions subtly brought the divine into the corporeal
realm. The late thirteenth-century mystic Gertrude of Helfta wondered why God
“had instructed her with so corporeal a vision.” Her question was rhetorical,
as any acceptable mystic knew: spiritual and invisible things can only be
explained to the human intellect by means of similitudes of things perceived by
the mind. And that is why no one ought to despise what is revealed by means of
bodily things, but ought to study anything that would make the mind worthy of
tasting the sweetness of spiritual delights by means of the likeness of bodily
things (corporalium rerum).59 As the seamstress and “failed saint” Angela
Mellini knew about her visions in the 1690s, “one never sees things with the
eyes of the body, but everything is seen intellectually.”60 On the other hand,
this reassuring statement was delivered to an Inquisitor, whereas a note
written by her halting hand understood that emotional passion had very real
effects. Thinking of such things as the pains she suffered in her heart, in
imitation of Christ’s passion, she observed that “love makes me experience the
truth of sufferings through the senses, now it beats, now it purges, now it
hurts and now all sorts of torments are felt.” In order to truly convey the
exactitude and reality of her sensate love, in September 1697 she sketched a
diagram of her wounded heart, complete with lance, nails, hammer, cross, and
crown of thorns. That drawing was produced for her confessor, a man she desired
so much that she felt “great heat in all the parts of my body and particularly
of movements in my genitals.”61 Like a courtier offering a heart to the
beloved, and like the related love-imagery for the soul’s yearning after the
divine, Angela availed herself of religious rhetoric and resorted to physical
signs when lovingChrist and wooing her priest. Similarly, on Caravaggio’s
canvas and in Bernini’s chapel, light is divine and natural, the ecstasy
spiritual and embodied. So, too, Benedetta’s sensate and emotive life was a
continuous blend of illusion and reality, spirit, and similitude. Echoing her
model, Catherine of Siena, Benedetta experienced visions, stigmatization, the
exchange of hearts, and a marriage with Christ. Catherine’s reception into
heaven after her death, disseminated in Francesco Vanni’s engravings and
various paintings, entailed a tender, intercessory greeting by Mary.62
Catherine’s charitable nursing brought her mouth into contact with one dying
woman’s breast (Figure 6.3), and on another occasion she transformed an ill
woman into her spouse.63 “Full of burning charity,” Catherine rushed to the
hospital to tend a bereft woman, “embraced her, and offered to help her and
look after her for as long as she liked.” She motivated herself by “looking
upon this leper woman, in fact, as her Heavenly Bridegroom.” Benedetta took the
actions of her exemplar further, embracing another woman in a relationship
where each was a spouse, each a bride. At some level, she perhaps believed the
words God spoke to Catherine, that “In my eyes there is neither male nor
female.”64 To have an impact, mysticism had to present a degree of spectacle,
and thus cross into the physical realm. The special favors bestowed on some
mystics were invisible, but then other signs had to appear, especially as the
Church grew more cautious about legitimizing local cults, feminine excesses,
fakery, and piety which might turn out to be diabolical in origin. Lucia
Broccadelli’s stigmata arrived during Lent in 1496 but only becoming visible at
Easter, after Catherine of Siena’s supplication in heaven persuaded Christ
“that the stigmata should be visible and palpable in me.”65 For several years,
the Dominican visionary was highly favored by the lord of Ferrara, Ercole
d’Este, and officials, including the Pope’s physician, examined her wounds to
their satisfaction. But the fortunes of this “living saint” suffered a reversal
when her ducal patron died in 1505. The sisters, chafing under her strict rule,
were able to mount a counter-offensive because the stigmata had disappeared.
Lucia was imprisoned for fraud within the convent for nearly forty years, until
she died in 1544. A potential mystic impressing only a relatively small town
and without a powerful supporter, Carlini also encountered a backlash from her
fellow religious and was investigated in an even more stringent climate. Once
the Counter-Reformation took hold, especially after the Council of Trent
(1545–63), there was an increase in cases of women ultimately judged “failed
saints” or diabolically possessed. Concomitantly, the number of female
canonizations decreased, with a suspicion of women deemed credulous and
excessive further abetted by Urban VIII’s more strict procedures for
canonization.66 Two hundred years earlier, Catherine of Siena’s confessor,
Raymond of Capua, later Master General of the Dominican Order, was persuaded of
the veracity of her mystical experiences, despite the invisibility of her
marriage ring and stigmata, by “watching the movements of her body when she was
in ecstasy.”67 Maria Maddalena de’ Pazzi begged Christ that her mystical ring
andThe “lesbian nun” Benedetta Carlini113stigmata be invisible, but the impulse
for humility was neatly balanced by kinetic and audible theatre similar to
Catherine’s. Her very wish not to be singled out became itself part of the
record collected by her community. In May 1619, Benedetta staged an elaborate
wedding witnessed by the secular elite of Pescia. The first inquiry into her
holiness began the very next day. But her renewal of the ring (with saffron)
and stigmata (with a large pin) only emerged in the course of the later
investigation.68 Judged fraudulent by Bell, Benedetta may nevertheless have
been acting in good faith, marking her body artificially only when doubts grew,
trying to persuade the sceptics by secondary, external signs that she truly
believed were there on her soul.69 When a Capuchin nun, the blessed Maria
Maddalena Martinengo (1687–1737), piously took a needle to her own body, it was
not counted diabolical. She embroidered the instruments of the Passion “with
the needle threaded with silk . . . into her own f lesh, nice and
big, as chalice-covers are embroidered, nor without bleeding.” 70 To retain her
status and stem the tide of opposition in an increasingly fractious convent,
Benedetta may have inscribed her body without thinking that the act was
forgery. Self-mutilation recurs in the lives of mystics, including Angela of
Foligno’s searing of her genitals, Margaret of Cortona’s desire to cut her
face, and Maria Maddalena de’ Pazzi’s gouging of her f lesh.71 Benedetta’s
piercing, documented by a hostile witness who came forth only after the convent
turned against their imperious abbess, may have been motivated in part by a
genuine element of imitatio Christi. Rather than judge her by later standards
of verisimilitude and honesty, it would be more appropriate to understand her
actions, and subsequent downfall, as a naïve, over-literal, and undisguised performance
of spiritual conventions that found no meaningful political support amongst
higher authorities or in a discordant convent. Like other aspirants to
mysticism, Benedetta displayed her celestial vision through mime, “motioning
with her hands as if she were taking” souls out of purgatory, for instance, but
her choreography went so far as to publicly process in a prearranged mystic
marriage, and to act out her erotic drive with Mea.72 Maria Maddalena de’ Pazzi
also kinetically staged her exceptionality. She mimed her wedding with Christ,
or in pantomime indicated to the novices under her care that she was being
stigmatized. Her charges reported that “she held her hands open, staring at a
figure of Jesus that she had on top of her bedstead; she looked like St.
Catherine of Siena. So, we thought that at that point Jesus gave her his holy
stigmata.” 73 Eroticizing a dormitory, looking at one image and mimicking
another, Maria Maddalena involved her young female audience in a highly visual
fantasy that drew on widely familiar iconography of female mysticism. Those
visualizations were further instilled through skills of internalized sight.
Trained, like all Catholics, in contemplative techniques merging the inner and
outer eye, Maria Maddalena and her faithful novices witnessed the material
reality of a vision. Meditative practices imagined narratives set in
contemporary settings, with familiar faces, placing a premium on immediacy and
recognition that was also highly valued in visual culture. Visions were regularly
made tangible,when nuns cared for and dressed dolls of the Christ Child, acted
out the stigmatization, wrote and performed religious plays, or, in Catherine
of Bologna’s case, painted and drew images inspired by her raptures.74 To make
fantasy real, to don the mantle of holy figures, was orthodox rather than
perverse. Benedetta’s concrete sexualization of her religious scenario was not
unique. In the early sixteenth century, a Spanish canon lawyer had justified
his inordinate lust for some nuns in Rome by arguing that since, as a cleric
“he was the bridegroom of the Church and the nuns were brides of the Church,”
they could have “carnal relations without sin.” 75 Imprisoned until he
renounced these beliefs, the educated man had muddled certain doctrines, but
his conf lation of spiritual allegory and physical desire was present in the
writings of many a mystic and it was visualized in numerous visions or works of
art. By making her desires earthly as well as divine, Benedetta misunderstood
conventions, but she did not invent outside a context. While she cannot be
posited as a mainstream example of premodern religiosity, there was a logic to
Benedetta’s actions that does not rely on a reading of her as a skeptical,
manipulative fraud. Angelic disguise transformed the mystic aspirant Benedetta
into a forceful seductress, whose tenderness and ecstatic passion was not
rigidly fixed along differently sexed lines. Mea reported: This Splenditello
called her his beloved; . . . [and said] I assure you that there is no
sin in it; and while we did these things he said many times: give yourself to
me with all your heart and soul and then let me do as I wish.76 Like the
facilitating angel in the mystic encounters represented by Caravaggio and
Bernini, Benedetta’s guardian angel was imagined as a beautiful, curlyhaired
youth dressed in gold and white.77 The young angel was an instrument of
persuasion, the abbess a figure of command and intimidation. Splenditello’s
power derived from a patriarchal hierarchy in heaven, but he sounded like a
youth rather than a god. His counterpart in Caravaggio’s painting does not
heterosexualize that encounter; and in Bernini’s ensemble the young angel
eroticizes a spiritual ecstasy that cannot be crudely reduced to phallic
penetration by an adult man. Nor does Splenditello’s presence amidst the
couplings of Benedetta and Mea reduce them to a differently sexed twosome.
There was a third, disembodied protagonist in each of these raptures. The
divine was elemental light in Caravaggio’s painting and Bernini’s sculpture. In
Benedetta’s visions, as in her sex with Mea, the divine was literally
articulated, through voice. Christ or Splenditello was a pivot in a
triangulation of desire in which one of the results was frequent, very real sex
between two women.78 The interpretation of Benedetta’s acts within the
framework of a heterosexualized bride of Christ points to the need to
reconsider in quite what ways Jesus was a spouse. Three kinds of marital
imagery informed the regulation of female religious: liturgical, allegorical,
and mystical. While all nuns were incorporated liturgically and could picture
their souls as allegorical spouses of the heavenlybridegroom, only mystics
experienced additional nuptials. In 1619, Benedetta’s mystic marriage was an
overt, preplanned, public festival, as was her first marriage to Christ in 1599
at the age of nine, taking the veil, ring, and crown at a ceremony celebrated
by a bishop, though occasionally the celebrant was an abbess.79 In a drawing by
an anonymous German nun around 1500, enthroned Virgin Mary/Ecclesia replaces
the priest (Figure 6.7).80 Strikingly, the figure of Christ, particularly as an
adult, is absent from many such images. When he does appear, as in an
illuminated manuscript of the rule of St. Benedict produced for Venetian nuns,
he can bestow the nuptial crown on two Brides at once.81 Describing the ritual
as one involving “the giving of a woman to a man” and using the term “heavenly
husband” mistakenly suggests a scenario akin to a modern, secular, nuclear
family.82 Analogy should not be confused with actuality. The acculturation
entailed complex, multiple interchanges, evident in the drawing (Figure 6.7).
Its scroll carries the inscription “Take this boy and take care of [i.e.
suckle] me (nutri michi). I will give you your reward.”83 Like a priest
offering the veil, ring, and crown, and then the eucharist, the Virgin begins
to speak, licensing the earthly virgin to embrace the baby. But the infant
takes over, urging the young nun to suckle him and promising her eternal
reward. Her spouse is an infant, not a dominant patriarch, nor an earthly
“husband.” Christ was a communal groom, and a commonly nurtured babe. He was
more visible, and more often adult, in images of the allegorical and mystical
levels of marriage.84 Mystic marriages of saints show the adult, or often
infant, Christ as the pivotal locus of mediation, yet the rhetoric and ritual
of marriage also visually and symbolically bonds two or more female characters Anonymous
German nun, Consecration of Virgins, ca. 1500.Photo credit: Jeffrey Hamburger.
Used with permissionwho are devoted to God’s son. Catherine of Siena imitated
St. Catherine of Alexandria’s mystic marriage with Christ, and thereafter the
subject of union became popular.85 Female saints, especially the earlier
Catherine, are usually depicted in the act of espousal to an infant Christ
offered by his mother Mary, just as the German nun remembered (Figure 6.7).
Thereby, two holy women engineer a mystical union over the body of a small
child. To say that Christ becomes “the object of exalted maternal instincts
rather than sublimated sexual desire,” however, is to assume that a nurturing
woman’s affection has no component of passion, and that all female desire must
be focused on a male object.86 The child-groom can be shown as a young,
unknowing instrument guided by his mother, as in a painting by Correggio, where
the interplay of hands is particularly sensitive.87 Courtly decorum amongst
adults becomes in Correggio’s visualization an intimate, gentle affair in which
the child is too young to grant seigneurial permission. Held close so that his
body is subsumed in his mother’s, at other times he is a virtual extension of
her body, helping to connect through compositional line and symbolic gesture a
succession of two or more female figures. His small arms and shoulder stand in
for Mary’s left arm in a later painting by Ludovico Carracci, so that his torso
becomes especially symbolic of a presence that almost need not be there.88
Guercino’s painting of 1620 depicts a gentle touch between the two women, and
tender glances link the three characters, but Christ is relegated to the
opposite side.89 Visual management of nuns’ fantasies could imagine them in
very physical, explicit actions. A cycle on the Song of Songs painted in the
mid-fourteenth century on the walls of a nun’s gallery at Chelmno in eastern
Prussia imagined Sponsa eagerly pulling her spouse into her bedchamber.90 It
literalizes the Canticle: “I will seize you and lead you / into the house of my
mother” (8:2). Such pictures made manifest an emotive intensity that the
all-female audience knew they were meant to share with other women.91 In
Northern Europe, the instructional habit of elaborating the amorous interchange
between Christ and the soul produced a sequential narrative version illustrated
in comic-strip fashion, Christus und die minnende Seele (Christ and the loving
soul), written in German in the late fourteenth century, later disseminated in
printed sheets and books.92 The divine lover embraced the soul, wooed her with
music, and crowned her in a ritual reminiscent of a wedding ceremony. She
obeyed Christ’s command to divest herself of worldly garments when he said “If
you wish to serve me, you must be stripped bare.” It is unlikely that Italian
nuns like Benedetta knew this particular text or its imagery, but the practice
of encouraging a religious woman’s fantasy through narrative, whether in
sermons, sung words, wall paintings, prints, books, or paintings, fostered a
widespread, eroticized imagination. The soul’s rapturous reach toward its
divine lover from a supine position on a bed, as represented in the Rothschild
Canticles, was echoed in Bernini’s marble display of Ludovica Albertoni arching
up from a bed where the disarranged sheets are even more telling a sign of the
soul’s ecstasy.93 Within this ideological structure, BenedettaCarlini could
imagine herself as a privileged soul experiencing ecstatic union with the
actual body of Mea. On one of the three occasions when she addressed Mea in
Christ’s voice, “he said he wanted her to be his bride, and he was content that
she give him her hand; and she did this thinking it was Jesus.”94 Even if the
abbess was a manipulative faker, as a crude and cynical reading might have it,
Mea believed the illusion, according to her self-protective testimony. If
neither woman was skeptical at the time of the conversation, then the words and
gesture performed a tangible, if unconventional, enactment of bridal mysticism.
Christ was manifest in a human—and female—body rather than only present to the
mind’s eye, yet the two believers went on with the corporeal pantomime. If one
or both of the earthly players did think that Christ was not speaking, then at
least one of them heard a marriage proposal being offered by one woman to
another yet did not rebuff or denounce it at the time. Benedetta utilized the
traditional metaphors and scenarios of erotic mysticism, but at certain moments
she took the logic beyond doctrinal limits. She only assumed Jesus’ voice
during three conversations with Mea.95 Twice she spoke “before doing these
dishonest things,” first when Jesus took Mea’s hand and suggested marriage. The
second time was in the choir, “holding [Mea’s] hands together and telling her
that he forgave her all her sins.” “The third time it was after [Mea] was
disturbed by these goings on,” and was reassured that there was no sinfulness,
and that Benedetta “while doing these things had no awareness of them.” All
three occasions offered comfort and framed sex, occurring either before or
after their “immodest acts,” but Benedetta did not present herself as a
sexually active Christ. However much bridal mysticism structured Benedetta’s
actions, she never took on the persona of Christ during sex with Mea, instead
acting through an angel when she used any guise at all. Perhaps she is best
described as a mystic playwright, someone who wrote scripts during visionary or
ecstatic experiences but who acted out rather than wrote down the dramas, for
an audience that included not only Mea but also on occasion the other nuns and
the local populace. Plays by nuns were performed by inmates who cross-dressed
for the male roles.96 In 1553 Caterina de’ Ricci played the part of
twelve-year-old Jesus speaking, with “signs of particular love,” lines from the
Song of Songs to a fellow nun who was acting as St. Agnese.97 Taking multiple
roles, such as Christ or angels with a variety of dialects and ages, as well as
sponsa and anima, Benedetta was a consummate performer whose voice and
appearance fitted the occasion.98 The mutual gestures of Benedetta and Mea
literally followed the Song of Songs: “My beloved put forth his hand through
the hole / and my belly trembled at his touch / I rose to open to my beloved /
my hands dripped myrrh / . . . / I opened the bolt of the door to my
love” (5:4–6). Mea’s account of how Benedetta “put her face between the other’s
breasts and kissed them, and wanted always to be thus on her” recalls the
Canticle’s enjoyment too. In the adaptation of the biblical Song in the
Rothschild manuscript compiled for a nun, Sponsus delightsin breasts: “between
my breasts he will abide . . . Behold my beloved speaketh to me: How
beautiful are thy breasts, thy breasts are more beautiful than wine.”99 The phrase
“sister my bride (soror mea sponsa)” was particularly apt. It occurs four times
in the Song (4:9, 10, 12; 5:1), along with “open to me, my sister my friend”
(sor mea amica mea) (5:2). Imitating the soul’s statement in Christus und die
minnende Seele that “I must go completely naked,” Benedetta “stripped naked as
a newborn babe.” Each recalled the Song’s bride: “I have taken off my garment”
(5:3). The sequential narrative of the romance between Christ and the soul also
had the womanly soul say “I cannot read a book unless you are my master” and “I
will tell no-one, love, what I have heard from you,” each lines Mea could have
uttered to her abbess.100 Benedetta spoke another line, taking on the voice of
Christ to offer the symbolic emblem of mystical marriage: “Since you delight
me, love, I set a crown upon you.” She lay on top of Mea, “kissing her as if
she were a man [and] she would stir on top of her so much that both of them
corrupted themselves,” an arrangement, and finale, which bears comparison with
the miraculous levitation experienced by the Capuchin nun Maria Domitilla in
Pavia at the very same time, 1622. She recorded that Christ united his most
blessed head to my unworthy one, his most holy face to mine, his most holy
breast (petto) to mine, his most holy hands to mine, and his most holy feet to
mine, and thus all united to me so very tightly, he took me with him onto the
cross . . . I felt myself totally af lame with the most sweet love of
this most sweet Lord.101 Benedetta’s models, such as the sponsa, the anima, and
Catherine of Siena, were feminine, metaphorical, or legendary, and her mistake
in dogma was to take the symbolic literally. Benedetta acted as though the
material was the spiritual: stripping for Christ or Mea like an obedient and
pleasured soul in the Northern sequential romance; kissing a woman or suckling
at a breast as did certain female mystics or saints; engaging in mutual, manual
penetration of an orifice in line with the Song of Songs; proposing and
performing marriage as though she could take both roles in a mystical drama.
Her sex partner, Mea, was always a female figure, assigned a feminine part.
Benedetta enjoyed repeated sex with a woman, not because that was the only body
available to her, but because their religious beliefs were not predicated upon
some exclusionary, modern notion of heterosexual identity. Through the
vicissitudes of confession and documentary survival, we happen to know that in
the early 1620s two under-educated women in a provincial Tuscan convent took
religiously legitimized and visualized passion to a literal level. Brides of
Christ, nurtured on the notion that their cells were bedchambers for nuptial
union with a shared, metaphorical spouse, became in those very spaces lovers on
an earthly plane. In seventeenth-century Pescia a patriarchal logic led to an
alternative rite of passion. This does not mean that the women’s sexual arousal
was incidentalor insignificant, but that their sensual and spiritual
inspirations were neither entirely insincere nor irreligious. Benedetta Carlini
was a nun, abbess, articulate angel, feminized soul, female mystic, and woman’s
lover.Notes 1 Brown, Immodest Acts, 4; Bell, “Renaissance Sexuality,” with
“virtually unique” on 487, Brown’s response, 503–09, and Bell’s reply, 510–11.
I am grateful to Professor Bell for sharing his microfilms of the documents.
The Italian of two missing frames, his figs. 1 and 2, was partly published in
the Italian edition of Brown’s book, Atti impuri, esp. 184– 86. I will endeavor
to place digital copies of the documents in the Deep Blue repository of the
University of Michigan. Ideas here were first explored in a talk at the
University of Michigan (January 2000). I am grateful for everyone’s attention
in numerous audiences since then, but for conversations I especially thank
Louise Marshall and Vanessa Lyon. 2 Bell, “Renaissance Sexuality,” 501–2,
Brown’s response, Immodest Acts, 507. 3 Partner, “Did Mystics Have Sex?”
296–311; Salih, “When is a Bosom,” 14–32. 4 Brown, Immodest Acts, 127. 5 An
exception is Matter, “Discourses of Desire,” 119–31. 6 Documented cases include
Brucker, ed., The Society of Renaissance Florence, 206–12; Chambers and Pullan,
with Fletcher, eds., Venice. A Documentary History, 204–05, 208. 7 Matter,
“Discourses of Desire”, 122–23: “the nature of Benedetta Carlini’s sexual
encounters with her sister nun is so bizarre as to defy our modern categories
of ‘sexual identity.’” 8 Brown, Immodest Acts, 161–64. 9 Ibid., 110–14, 160–64;
Bell, “Renaissance Sexuality,” 491. 10 Carlini’s imprisonment “in penitence”
ended when she died in August 1661: ibid., 132. Upon Mea’s death in September
1660, the recorder referred to Benedetta’s fraud rather than sexual deeds: when
Benedetta “was engaged in those deceits” Mea “was her companion and was always
with her.” But Mea was not imprisoned: ibid., 135. 11 Jacobson Schutte, “Per
Speculum in Enigmate, 187, 195 n. 11. For another case see Ciammitti, “One
Saint Less.” 12 Brown, Immodest Acts, 7–8, 136; Rosa, “The Nun,” 221; Velasco,
Lesbians in Early Modern Spain, 92. 13 Bell, Holy Anorexia, 70. 14 Barstow,
Witchcraze, 72, and further cases, 139–41. Others include Velasco, Lesbians in
Early Modern Spain, 113–24. 15 Cohen, The Evolution of Women’s Asylums, 92–93,
208–09 n. 65. 16 Bell, “Renaissance Sexuality,” 498. 17 Cervigni, “Immodest
Acts,” 286. 18 Matter, The Voice of My Beloved, 142. 19 Hamburger, The
Rothschild Canticles, 4. 20 Unless otherwise indicated, quotations are from
Brown, Immodest Acts, 117–18, 120– 22, 162–64 passim (with emphases added). 21
Brown, Immodest Acts, 120; Bell, “Renaissance Sexuality,” 486, 495, 497, 499.
22 Ibid. 23 Ibid., 498 (“le ha voluto baciare le parti pudente”); Brown,
Immodest Acts, 120. 24 Ibid., 21–22, 27–28. 25 Collected Works of Erasmus, vol.
39: Colloquies, 290. 26 Coote, ed., The Penguin Book of Homosexual Verse,
118–21 for this and another example. 27 Schutte, “Per Speculum in Enigmate,”
192. 28 Raymond of Capua, Life of St Catherine of Siena, 91–93. 29 Payer, Sex
and the Penitentials, 43, 61, 99, 102, 138–39, 149–50, 172 n. 136.30 For a
female couple sinning sexually in a Bible Moralisée of c. 1220, see Camille,
The Medieval Art of Love, 138–39, fig. 125. For the 1468 fresco of the Inferno
situated in an upper room of the convent founded by St. Francesca Romana, with
a couple of indeterminate sex, but probably male, lying side by side on the
lowest (and most easily seen) register, see Bartolomei Romagnoli, Santa
Francesca Romana, Pl. 27. 31 Ghirlandaio’s panel is in the Louvre, Pontormo’s
remains in Carmignano. 32 See n. 43 below; Jorgensen, “‘Love Conquers All,’”
102–03. 33 Brown, Immodest Acts Bell, “Renaissance Sexuality,” 502. 34 Brown,
Immodest Acts, 108, 129, 130. 35 Ibid., 163–64. 36 Ibid., 63, 158, with
subsequent quotations from 107, 117, 164. 37 Raymond of Capua, Life of St
Catherine, 165–67; Kaftal, St Catherine in Tuscan Painting, 72–77; Bianchi and
Giunta, Iconografia di Santa Caterina da Siena, 112–14 and passim; Maggi,
Uttering the Word, 176 n. 15; Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de l’ame,
nos. 147, 169; Brown, Immodest Acts, 63–64. 38 Camille, Medieval Art of Love,
111–19, and passim, including figs. 19, 55, 80. 39 Brown, Immodest Acts, 163.
40 Payer, Sex and the Penitentials, 105; McNeill and Gamer, eds., Medieval
Handbooks of Penance, 81, 152. When Ercole d’Este married Renée of France in
Paris in June 1528, at the Pax they kissed each other: Gardner, The King of
Court Poets, 194. 41 The quotation is from Rosa, “Nun,” 222. A detail of
embracing Dominican women from the panel in Siena’s Pinacoteca appears on the
cover of Brown’s book. 42 Walker Bynum, Holy Feast and Holy Fast, 101, 126,
131–32, 157, 165–80, 270–73, and passim. 43 Brown, Immodest Acts, 26, 41. 44
Raymond of Capua, Life of St Catherine, 141, 147–48 (hereafter quoted from
148). 45 Marciari and Boorsch, Francesco Vanni, 118–27. 46 Raymond of Capua,
Life of St Catherine, 179. 47 Ibid., 170–71. 48 Steinberg, The Sexuality of
Christ. 49 Hamburger, The Visual and the Visionary, 390. 50 Walker Bynum, Jesus
as Mother; Rambuss, Closet Devotions. 51 St. Catherine de’ Ricci, Selected
Letters, 39 (no. 47). Subsequent quotations come from Letters 19, 46. 52 For
the frescoes by Sodoma and an earlier one by Andrea Vanni in the same church
see Riedl and Seidel, Die Kirchen von Siena, II, pt. 2, pls. VII, 596, 627–28
(and pl. 276 for Rutilio Manetti’s canvas of 1630). 53 Brown, Immodest Acts,
41. 54 Frugoni, “Female Mystics, Visions, and Iconography,” 139. 55 Brown,
Immodest Acts, 163, a translation here adjusted according to the cropped
photograph of the passage in Bell, “Renaissance Sexuality,” 501 (fig. 2),
because Brown conflates the information on Splenditello and on another angel
Radicello (a fanciullo) aged eight or nine. The common misperception is thus
that Splenditello was a boy. 56 Gregori, “Caravaggio Today,” no. 68. 57 Teresa
of Ávila, The Life of Saint Teresa of Ávila, 210 (ch. 29). 58 Bauer, ed.,
Bernini in Perspective, 53. 59 Hamburger, Rothschild Canticles, 165–66;
Hamburger, Visual and the Visionary, 147. 60 Ciammitti, “One Saint Less,” 149.
61 Ibid., 150–52, fig. 3. 62 Bianchi and Giunta, Iconografia, nos. 43, 438, p.
126. 63 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 131, 133. 64 Ibid., 108–09.
During her visionary union with God, the medieval mystic Hadewijch noted that
God “lost that manly beauty” so that he dissolved and “then it was to me as if
we were one without difference”: Bynum, Holy Feast, 156. 65 Gardner, Dukes and
Poets in Ferrara, 366–81, 401–05, 431-32, 464–67, 562.The “lesbian nun”
Benedetta Carlini66 Weinstein and Bell, Saints and Society, 141–42, 220–38;
Bell, Holy Anorexia, 151, 170–71. Raymond of Capua, Life of St Catherine, 100,
175–6. Brown, Immodest Acts, 160. Bell, “Renaissance Sexuality,” 493. Rosa,
“Nun,” 201–02. Bell, Holy Anorexia, with other cases passim; Tibbetts
Schulenburg, “The Heroics of Virginity,” 29–72. Brown, Immodest Acts, 159.
Maggi, Uttering the Word, 34 (my emphasis). On Catherine of Bologna see Wood,
Women, Art and Spirituality. Weyer, De praestiis daemonum, 184–85. Brown,
Immodest Acts, 163; Bell, “Renaissance Sexuality,” fig. 2. Brown, Immodest
Acts, 64–65, 122. On erotic triangulation, see the classic study Kosofsky
Sedgwick, Between Men, esp. Ch. 1. Hamburger, Nuns as Artists, 56–61, 240 nn.
125–26; Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” esp. 43; Vandenbroeck, et
al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 168, 172. Hamburger, Nuns as Artists, Pl. 7.
Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” fig. 3. The phrases are in ibid.,
which often uses “heavenly husband” and has the other phrase on 44. But at 56ff
she points out how often Christ is absent from images, although the essay’s
point is to suggest parallels between the secular and religious ceremonies.
Hamburger, Nuns as Artists, 56–58. Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de
l’ame, nos. 148, 178 and fig. 106a; Hamburger, Rothschild Canticles, 113–15.
Raymond of Capua, Life of St Catherine, 99–101, explicitly noting the
antecedent with “another Catherine, a martyr and queen.” Hamburger, Nuns as
Artists, 57, 239 n. 118. Ekserdjian, Correggio, 137–38. Emiliani and
Feigenbaum, Ludovico Carracci, no. 1. In Parmigianino’s red chalk drawing of
the subject for an altarpiece, c. 1523–24, the Child does not appear at all:
Franklin, The Art of Parmigianino, 104–06. Stone, Guercino, 84 n. 62.
Hamburger, Rothschild Canticles, 85–87, fig. 156 (and see fig. 159); Hamburger,
Visual and the Visionary, 409–10, fig. 8.5. Wood, Women, Art and Spirituality,
128ff, 252 n. 31, 253 n. 37. Gebauer, “Christus und Die Minnende Seele. Both
nuns and secular women were readers. Hamburger, Rothschild Canticles, 106–10,
155–62, f. 66r (Pl. 7); Perlove, Bernini and the Idealization. Bernini’s
motives included wanting to atone for his brother Luigi sodomizing a boy in St.
Peter’s (13–14). Brown, Immodest Acts, Weaver, “Spiritual Fun,” 177, 181–83.
Trexler, Public Life in Renaissance Florence, 194–96. Splenditello spoke in
three dialects: Brown, Immodest Acts, 160. Hamburger, Rothschild Canticles, 82,
179, cf. Song of Songs Kunzle, History of the Comic Strip, vol. 1, 23. Brown,
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Thomas V. CohenLet us take two tawdry events, male affronts to women, with
social history’s eye to assets, both cultural and material, and to the subtle
exchanges that bound men to men, women to women, and one gender to the other.
This is social history in nearly-literary mode, keen to read texts closely. We
have text of two kinds—first the words on paper provided by a small tangle of
criminal trials. If not the actual words spoken before and by the court or in
the streets, taverns, and brothels, still these records do come close. The
conventions and imperatives of the court itself, and the imperfect scribal hand
have, as always, refracted actual speech, but the Roman-legal habits of
verbatim transcription still offer material for close, thoughtful reading.
Second comes the fabric of the city itself, for our scoundrel and his allies
prowled and enjoyed their small corner of Rome, with its streets, squares, and
assorted monuments, an urban backdrop and firm anchorage for memories. The
urbanscape, so prominent both in what happened and in the telling, in itself
invites a reading no less close than the one we accord words on paper. So,
before turning to the deeds, note the spaces where they took place. We are in
Rome’s Rione Regola, or Arenula, a zone sometimes little changed from the 1550s
and 1560s of our stories. Nevertheless, the urbanism of first united Italy and
then the Duce made drastic alterations. In the later 1880s, the wide Via
Arenula ripped inwards from the Tiber, obliterating a web of streets and
squares, and demolishing the church and convent of Santa Anna, right under the
grand 1890 apartment where I once lived and wrote. The church survives only in
the names of Via Santa Anna, and of a pleasant trattoria whose menu depicts my
own abode. A second nineteenth-century destruction obliterated the ghetto,
replacing it with a grand synagogue and some lumpish buildings. And then, under
Mussolini, nostalgia for the Caesars erased the medieval fabric around the fish
market at Pescheria, reducing tight neighborhoods to sterile archeology.So, to
trace our scoundrel and his entourage, we must fall back on the old maps,
especially the splendidly accurate Nolli Plan of 1747, and read street plans,
the surviving urban fabric, and words in court, together. The Nolli plan shows
how, from 1555, once the ghetto gates went up, a street our witnesses call the
strada dritta became crucial for mobility, especially at night. It is hard today
to recapture that very ancient urban street, today the Via del Portico
d’Ottavia. Down by the old ghetto, it is now so wide that restaurants sprawl
into it to hawk carciofi alla giudia, and, on their Sabbath, Rome’s Jews gather
after services for a great chiacchiera —communal conversation. Further north,
Via Arenula and the unkempt park in Piazza Cairoli, and a vague piazza before
the baroque facade of San Carlo, have all smudged the profile of this street,
which, in the sixteenth century, was no less tight than straight. Moreover, it
was handy, skirting the ghetto to link the fishmongers’ square at Pescheria to
Piazza Giudia. It then passed the palace of the Santa Croce, Renaissance in
spirit but, like Palazzo Venezia, still half-medieval in shape, with an
ornamental square tower today lopped short. The Santa Croce, banished by Sixtus
IV, had lost their houses; readmitted, they threw up this palace, with its
elegant diamond-studding on the wall. As the Nolli map shows, heading
northwest, the street, at a bivio (a fork), slotted into Via Giubbonari, a
curving passage today still narrow. Joseph Connors, in his “Baroque Urbanism,”
discusses the extremely ancient streets of this part of Rome, pointing out how
they wander eastwards from the bridge from Hadrian’s Tomb, now Castel
Sant’Angelo, forking as they go.1 The Renaissance papacy used these roads
often, as a way to San Giovanni in Laterano and across Rome, and palaces of the
early Renaissance clustered along them. For our nocturnal misdeeds, the wide network
mattered little, but the local Strada Dritta bore much social traffic. Our
louche central character straddled lines—moral, social, sexual, and religious.
A liminal man, he was and is hard to place, and his actions, crossing
boundaries ethical and social, remind us not to put Rome and Romans into boxes.
His name reveals his hybrid nature—Ludovico Santa Croce. At first glance,
nothing strange there, but, as genealogies show, the civic noble Santa Croce,
descending, they believe, from Publius Valerius Publicola, anti-Tarquin and one
of Rome’s first consuls, in the sixteenth century named their children almost
exclusively from Livy, Sallust, and Tacitus: not a Ludovico in sight. Moreover,
law courts called him “the son of the late Giovanni Antonio de Franchi” so, if
he was a Santa Croce, the noble house somehow adopted him.2 A friend, aware of
this f limsy identity, says of him, “The said Messer Ludovico si fa romano de
casa de Santa Croce et per romano il tengo.”3 Close reading: the friend does
not call him a Santa Croce: just “si fa”—“he claims to be”; the friend readily
affirms his Roman identity but, as to family, balks. But Ludovico, clearly,
grew up some at the family’s palace. A friend recalls: “I have known him for
more than twelve years in Rome and I knew him when he was a lad [ putto] here
at the Santa Croce [qui alli Santa Croce].”4 Magrino, the witness, a very
recent Jewish convert (Feast of the Annunciation, 1556), testifies not at the
prison as is usual, but at home, asIn bed with Ludovico Santa Croce 127he is
sick, and with his “here at the Santa Croce” shows how, now fatto christiano,
he has moved a mere block or so beyond the ghetto gate at Piazza Giudia to
lodgings near the Santa Croce palace. Ludovico is sufficiently Santa Croce
that, back in Carnevale of 1557, a noble Santa Croce helped bail him out of
prison.5 But he is no signore; his cronies call him messer instead. This title
f lags both his status and its ambiguity. In 1557, at his first trial here,
Santa Croce is “about twenty-six, as he asserts.”6 If so, then either his
friend Magrino knew him longer than twelve years or, back then, age fourteen,
he had become a fairly lanky putto. He was born in 1531 or so. By 1565, at the
second trial, he would be thirty-four. No sign of a marriage. His loves, we
will see, were all casual, among the whores. No sign, either, of a craft,
trade, or civic office. He probably still lived at the palace as, for sex, he
took his hireling women to the bathhouse (stufa) or bunked down with them at
friends’ and seldom, if ever, took them home. So how did he pass the days? He
hung out at the Pescheria, the fish market at one end of the Strada Dritta. And
the company he kept: fishmongers, Jews, and recent converts. Plus prostitutes.
He ate, drank, caroused, and got into abundant trouble. In 1565 the court asks
for his criminal record: I have been in prison three or four times, here in Tor
di Nona and in Corte Savelli. I don’t remember why. And his lordship asked him
that he at least tell for what crimes and excesses he was investigated and
tried. He answered: I cannot remember things that are fifteen or sixteen years
old, but I know well that I have not been under investigation either for
homicides or for ugly things [cose brutte]. It is true that I remember that I
was in jail in Corte Savelli for having had a brawl with another gentilhomo,
and for it I paid ten scudi to Messer Pietro Bello.7 Here, Ludovico is as
evasive as his memory is fuzzy; cose brutte indeed came up in court. The court
asks after a jailbreak.8 The fight was probably in Carnevale, 1557, when Pietro
Bello was a judge on staff.9 In June, 1563, Ludovico was wounded in a brawl
where he, a reluctant fighter, stabbed a spice-trader in the chest.10 In a
trial of another unruly gentleman, the court asks the suspect’s serving woman
if her master ever wanted to kill our Ludovico. “I don’t know,” she says, “but
know that the said Ludovico was wounded once and that [my master] Pietro de
Fabii rejoiced.”11 So Ludovico is a man on many margins. A self-proclaimed gentilhomo,
he haunts the edge of his foster-family, in a neighborhood strung between Jews
and Christians, and his socializing crosses boundaries of station, ethnicity,
family, community, and moral action. So let’s join him for the evening. We
begin not along the Strada Dritta, but atop Piazza Navona, by Torre Sanguigna
and the Pace church, with two Christians, doublet-makers both. It was before
Christmas, 1556.12 Antonio Scapuccio and Mario di Simone came offwork at the
Ave Maria sunset bell. Mario, aged twenty, lived across town, by Santissimi
Apostoli. With Antonio he went back three years, from their work.13 As for
Ludovico, Antonio had known him since childhood: “at the time I and he were
lads, we had a close friendship.”14 Antonio, via Ludovico, knew that Fabritio,
another convert, kept a house where friends gathered. “Antonio brought me to
the house of Fabritio, Jew-made-Christian, who sells ironware.”15 When the
doublet-makers arrived, Ludovico was there, with Magrino, and one Giulio
Matuccio, and the host, Fabritio.16 So began their evening. “We all decided, in
agreement, to go find a Signora called Vienna Venetiana, friend of the
aforesaid Giulio Matuccio.”17 Mario adds: And when we were at Vienna’s
house—she lived at Torre Sanguigna— Antonio Scapuccio knocked on the door, and
the mother, if I remember, said that she had hurt her arm and could not keep us
company, and that we should let her off.18 Torre Sanguigna was far from
Ludovico’s haunts. “We left and went to a pie-shop, also near Torre Sanguigna,
and got ourselves a pasticcio. And I don’t remember which of us paid for it.”19
Magrino, a convert, adds that the pie contained a shoulder of pork.20 Ludovico
stepped in, announcing as they walked: let’s fetch my whore!21 So entered
Betta, a cortigiana grande, says Mario, meaning not a top-rank prostitute, but,
as Magrino says disparagingly, a big tall woman—“una donna grande longaccia.”22
Betta lived near the stufa of Felice, near the Cavaglieri family palace, two
blocks north of the strada dritta.23 As the five trailed after him, Ludovico
vaunted his sex with her: And Ludovico said it again, while he was going with
us for that woman, and he was heading to knock on her door . . . that
last night he had slept with this woman, and he said that she had a fine ass
and that it gripped firmly.24 At Betta’s lodgings, the men remained outside.
Ludovico called or knocked and the prostitute came down, and, oddly, if she
really had slept with him the night before, in error she embraced the wrong
man, as if Ludovico, though a gentilhuomo, was hard to tell from the company he
kept.25 “And we asked her if she wanted to come to dinner with us, showing her
the pasticcio, and she said yes, and came away. And going down the street
Messer Ludovico and she went arm in arm.”26 The passage illustrates handsomely
some workings of Roman prostitution. Note how complex were the exchanges
between these women and their customers. Roman prostitution was seldom simple
sex for plain cash. Like many transactions in the economia barocca, it had wide
bandwidth and complex linkages forward, backward, and across society.27 Betta
here accepted a promise of food and entertainment, and furnished public
gestures of affection, a gift to Ludovico, who could f launt her to posse and
to street.In bed with Ludovico Santa Croce 129The party, with Betta making
seven, retired to Ludovico’s hang-out, the inn at Pescheria, called after its
owner Domenidio.28 It was some hour after nightfall.29 “All of us, in company,
went to dinner at the aforesaid inn, and we brought with us a pasticcio, and we
ate.”30 To this osteria, patrons readily brought food. After dinner, the whole
group went to spend the night at Fabritio’s dwelling, near Ludovico’s own
house, where Ludovico, other times that winter, sometimes brought women: “in
the time that he was made Christian . . . he lent me the room.”31 On
the way, the men say, Ludovico again boasted of anal sex with Betta.32 The room
had but a single bed; Fabritio, leaving the bed to his gentleman guest,
hospitably withdrew to a little attic, a solarello —“no great thing”—and
slept.33 Magrino “gave the command to fetch from home a mattress, which we
threw on the f loor.”34 Ludovico and Betta undressed at once and slipped under
the covers.35 There was a bed curtain. It would have had many colors, and it
was mine [Magrino’s]. And to a question he answered: It was not spread around
the bed but gathered to one side.36 Ludovico, in his account, avers that the
curtain was draped around the bed. 37 While Magrino settled somehow on a chair,
clothed, to spend the night, the two doublet-makers and Giulio huddled on the
mattress. Ludovico, meanwhile, lay snugly in one convert’s bed and another
convert’s hangings, in a convert’s house. “Before the light was put out we were
all joking and chatting, and Messer Ludovico told us please to put out the
light.”38 And then, as men settled for the night, Ludovico thrust his arm out
from the covers, making a letter “O” with his index and middle finger.39 Lest
he shame Betta he said nothing, Antonio avers, but Mario claims he boasted
loudly.40 Mirth erupted. Everybody laughed at that and said to one another, “He
has fucked her in the ass. Fire! Fire!”41 The stake, of course. And slim regard
for Betta! What is going on here? The social psychology of this scene is
tangled. We have three Christian artisans, two ex-Jews on the f luid boundary
of the ghetto, and one semi-gentleman half outside his noble family, a troop
cemented, perhaps, by Ludovico’s leadership, occasional largess, and arrant
breach of sexual and moral rules. All six men share in Betta’s humiliation.
Ludovico parades his transgression and the risks he runs and, laughing, the
cronies applaud and, vicariously, thrill to his vulnerability. Collusion
cements this solidarity. Ludovico and Betta were the first to fall asleep.42
Much later, say the others, invited by Ludovico to join them in the bed,
Magrino left the chair, climbing in still clothed, and fell asleep.43And then
awoke, jostled by the bounce of sex. I could feel it when he was screwing her, and
she had her bottom towards Ludovico and she was turned with her face toward me.
And it was one time that I felt it, and I did not see him stick it in because
it was no affair of mine. I know well that he was screwing her, and he was
shoving her towards me, so that it made me wake up.44 Magrino is remembering
events before Christmas, almost nine months earlier. The trial took place in
August, 1557, first at the Inquisition, at the Ripetta. Halfway through,
interrogations moved to the prisons of the Governor of Rome. That is why this
record survives. Precisely two years later, when Paul IV died, Rome’s most
tumultuous Vacant See broke out. Mobs attacked the Inquisition’s Ripetta
offices, burning the papers, and ransacked the house of the tribunal’s notary.45
Later, Napoleon’s supporters would destroy the Inquisition’s later trials, so a
transcript such as this is rare indeed. Both at Ripetta and later, this trial
has a Holy Office feel; the magistrates treated the courtroom as a
confessional, sparing neither shame nor feelings with their swift, intrusive
questions. Why did the matter slip to the criminal court? The crime in
question, though moral and involving converts, revealed no taint of heresy.
Prostitution in mixed company was no crime and the court was after anal
intercourse. He was asked if on that night he the witness heard the said Betta
moaning and crying out, because the said Messer Ludovico was having intercourse
and fucking her [ futuebat] from the back. He answered: “I could hear it when
she was screwed the first time by Messer Ludovico. She was crying out [si
lamentava]. But one can cry out for several things.” And to a question of me
the notary he said: “She can cry out the way women do.” And I the notary asked,
“And how do women do?” He said, “They can cry out because it pleases them and
they can cry out because it hurts them too. But, one time, as I said, I felt it
when he screwed her.”46 When the Inquisition hauled her in, Betta did her all
to prove it wasn’t so. Her testimony about what went on in bed surely did her
little good, as, on point after point, she lied elsewhere about her history
with Ludovico, shown as far skimpier than others alleged. Her testimony, earthy
and vehement, catches well a prostitute’s voice in court. He never did it to me
in that place. It is true that Messer Ludovico told me to turn around, that he
wanted to do it cunt-backwards [a potta retro], and I told him, “You want to
trick me. You want to stick it in contrary-wise.” And he said no, that he
wanted to do it cunt-backwards, and so I turned around and he did it to me
cunt-backwards. I know where he went in, and if he was fooled, I was not
fooled.47In bed with Ludovico Santa Croce 131Betta appears twice in the record.
The first time, to cover for the weakness of her case, she regales the judge
with promises to live in virtue. If I had consented to the other way, it would
seem to me that God would not keep me on earth. And if I have done wrong in one
way, I don’t want to do wrong in the other. And if I get out of this I want to
go to Santa Maria di Loreto, and then to my home to do good works, and I want
to go this September. And if he wants to say that he did it to me from behind
against Nature, he is lying through his throat, and he is tricked, and, me, I
am not tricked, because I protect myself from this the way I do from fire.48
The next morning, Betta, Ludovico, and most of the posse stayed. (Mario,
sleeping clothed, had slipped off early to his shop.)49 At breakfast, the
boasts went on: She never heard a word when Messer Ludovico told us that he had
twice screwed Betta in the ass, but he said it at length to us. He was asked if
the said Betta was at the table eating with them, how could Ludovico have said
those words, since they could be heard by Betta. He answered: I will tell you.
We were kidding Ludovico . . . and when he said it at the table she
had not yet sat down.50 As current events show sadly, Renaissance Italy was
hardly the only place where, for some admirers, the swaggering abuse of women gives
callous men allure. Jump eight years ahead. It was 1565, not 1557, and Ludovico
was now some thirty-four years old. Still unmarried, still at loose ends, he
haunted the same tight quarter, up to little good. He had a new entourage; none
of the same men turn up. At the center, as ever, sat that osteria of Domenidio,
in Pesheria. His cronies were, this time, two or three fishmongers and one
Cesare Vallati, son of the civic noble family that owned a palace on the
square, facing its ghetto gate. The Vallati house still stands, pared back to
its medieval core, which now bears sad plaques about Roman Jewish deaths at
Nazi hands. Cesare was gentleman enough to hold, they said, a civic office.51
On Friday, November 23, the friends stirred up dinner at the inn. Meo, fishmonger,
says: Ludovico Santa Croce came to me, as I was in Pescheria. It may have been
a half-hour after dark, and he asked me if we wanted to go to dinner together
at the osteria of Domenidio. I said yes and so I picked up some fish, and along
with Grillo and Ludovico we went to the osteria of Domenidio, and while we were
setting up to eat Cesare arrived and said, “I want to eat with you,” and so he
too sat at the table and we were four in all.52Meo reports that, when he left
his fish-bench, he brought sardines, while Grillo fetched clams.53 In the midst
of dinner, “a Jew”—nobody names him, ever— joined the group; no sign he ate
with them.54 After dinner, except Grillo, all left together. “Let’s go to the
house of my whore,” said Ludovico. “We said, ‘let’s go!’ and Cesare said, ‘I
want to join you.’”55 The court asks later, did Cesare and Ludovico go with
sword in hand?56 Probably. The men took the strada dritta, the ghetto to their
left, the Santa Croce tower to the right, over to Il Crocefisso, behind or under
where the big church of San Carlo later stood.57 Ludovico’s woman of the month
was Olimpia, who, it turned out, was off with an amico, a regular of hers, who,
she says, felt ill, so she headed homeward with a Lorenzo stufarolo in tow.58
But when Ludovico and his cronies arrived, only the house’s mistress, Lucretia,
was yet home. Olimpia calls Lucretia the house padrona; in court, Ludovico will
call her a whore, whom he has known for years, presumably hooking up with
tenant after tenant.59 At Olimpia’s front door, the four men, masking voices
and pretending to speak Spanish, shouted, “Open up the door!” Lucretia: “They
banged six or seven times, for I was not of a mind to open, ever.”60 At last I
went to the window and told them that I did not want to open for them under any
circumstances, and told them to change their talk because no way could I not
recognize them. I knew them just fine, but, with my tenant not home, and
because, I knew, they wanted nothing of me, I had no intention of opening for
them. Instead, I said, I would throw water on their heads if they did not get
away from the door.61 The four men loped east to Via dei Chiavari, still in
Lucretia’s sight.62 There they encountered a second Lucretia. Wife of wealthy
Cyntho Perusco, and mother of two children, she was returning with a
servant—but with no light, lest she be seen and recognized—from a call on her
procurator.63 Two men armed with swords and daggers, with their swords under
their arms and the daggers in hand unsheathed, came at us and at once they
stopped me and one of them put his hand to my neck, feeling my neck, thinking
that perhaps I had some chain necklace or string of gems.64 And I said to them,
“I am a poor woman. What do you want of me?” And I was screaming, “Thieves
thieves!” When they heard that, they let go of me.65 Giovanni Maria, the
servant, thought he recognized one of the four assailants: “Ah Meo, why are you
doing this to us?”66 Meo at once hid his face behind his cape.67 Giovanni
Maria’s assailants, Meo and the Jew, grabbed him. “They were holding on to me
and they told me to keep silent, and they held the naked daggers to my neck.”68
The assailants released their quarry, only brief ly. Lucretia will tell the
Governor: “When we had walked three or four paces, the same men,In bed with
Ludovico Santa Croce 133with some others, made a circle around me and some of
them grabbed me from one side and some from the other, putting their daggers to
my throat.”69 Giovanni Maria tells the Governor: “they began punch me and shove
me and they threw me to the ground.” 70 Adds Lucretia: And they took from him a
pouch. In it were ten giulios, between testoni coins and giulio coins, and a
gold ring that was mine, with a Jesus on the top, and on the bottom, there is a
“claw of the great beast” [a fabled stone with curative powers], which was also
in that pouch, and they took from it also the belt and a handkerchief. The ring
contains 18 giulii of gold.71 Giovanni Maria adds that the pouch had been tied
to his waist and that Lucretia had removed her ring to wash her hands.72 One of
the band of four, almost certainly Cesare Vallati, as Ludovico was by now no
youngster, may have had second thoughts: When this [theft] was done one of
those youngsters took me by the hand and told me, “Come here. I promise you as
a gentleman that I will not hurt you.” And he asked me, who was that woman. And
I told him that she was not for them, and that they should let her go, and that
she was the wife of Messer Cynthio Perusco.73 Ludovico had other ideas. One of
the two underlings, probably not the Jew but Meo, asked him “Messer, what are
we to do?” “Carry her off, carry her off!” 74 And they tried with all their
might to lead me to a house, for they took me by force and they dragged me
. . . But I cried out, “Thieves! Thieves! Is this how you assassinate
people in the street!” And I told them that I had nothing on me and that they
should come to my house, that was near there.75 The assailants hauled Lucretia
into an alley.76 Lucretia was convinced that they wanted to drag her to a
stufa, a bath house of the sort Ludovico haunted. As they pulled her, Lucretia
fell in the mud, losing her pianelle, her clogs. “She told them that her clogs
had fallen off, and they told her to keep walking, and they were making her
walk up that alley, leading her, as there were three or four around her.” 77
And then, providentially, down the alley came two men, in front a servant with
a torch, and, behind him, his master, Agostino Palloni, a man of substance
whose house stood close to the Santa Croce palace.78 And when the light
arrived, I recognized the gentleman, and I begged him for the love of God to
help me. And while I was saying those words, one of those young men, who had
dragged me, as he thought that the light was not coming from that side and that
he would not be seen—Messer Agostino recognized one of those young men, who is
called Cesare Romano.And at that Messer Agostino said, “Ah Cesare, what are you
doing [che fai]. What is this! Do you see that you [tu] are doing wrong?79
Turning towards Agostino, says Giovanni Maria, Lucretia tripped on an iron
grate and once more fell and then, as supplicant, grasped his cape: “Ah, Messer
Agostino, don’t abandon me . . .!”80 Agostino, Lucretia, and Cesare
then stood together, a threesome. First off, Cesare, to catch his social
balance, tried to place Lucretia as a Roman matron. Then Agostino did the same.
Giovanni Maria tells the Governor: The man whom Agostino had called Cesare
asked Madonna Lucretia if she knew Cyntho Perusco. She said, “Yes, I know him,
and I have two children with him, and he is my husband.” And Messer Agostino
asked Madonna Lucretia if she knew Messer Francesco Calvi, and she said yes,
and if he came to her house with her she would show him her daughter.81
Gentleman to gentleman! Cesare Vallati, in night’s shadow, had strayed well
outside his class’s code of conduct, and Agostino’s torch jolted him back from
the abyss. He switched codes as nimbly as he could. Then Messer Agostino turned
to Cesare and told him, “Cesare, son, you have done wrong.” And then Cesare
told Messer Agostino to leave, and said that he would have Madonna Lucretia
escorted by a servant of his.82 No such thing happened, of course. After
questions to Lucretia about how she came to be out after dark, Agostino, with
his torch and serving man, conveyed them both back home.83 At her window, the
other Lucretia, the madam, had seen and heard the fracas. Outraged, woman to
woman, she strove to allay the trouble. I heard a woman who was starting to
scream, and when I looked toward where I heard that cry, I looked and saw a
woman with a man, and she was screaming, “What do you want with me, brothers,
pull the door rope for me, pull the door rope for me!” and when I heard those
words, I feared it might be some neighbor, and I knocked on the window of Diana
and told her, “Listen to your sister who is screaming,” and she answered, “My
sister is here at home.”84 While Cesare and Agostino parleyed, the other three
miscreants probably crept away, and soon, all four were back at Olimpia’s door.
This time they had luck, as Olimpia turned up, with Lorenzo her bathhouse
worker, and his lute. “I came back home and I found Ludovico Santa Croce there
at my door, along with Meo the fishmonger and with two others whom I did not
know, but there was aIn bed with Ludovico Santa Croce 135Jew.”85 Lucretia
opened for Olimpia and, willy-nilly, in came all the others, with Ludovico, as
usual, in the lead.86 Note Lucretia’s version: At that moment, my tenant called
Olimpia arrived, along with an amico called Lorenzo the bathhouse worker, who
played the lute, and I had to pull the rope, and then there came in, along with
my tenant, Ludovico Santa Croce, Meo, Cesare Vallati, and a Jew.87 We learn
from Olimpia several things. For one, the Jew was a stranger, known only,
presumably, by his obligatory Jew’s cap. For another, Cesare Vallati had
rejoined the crew. And, for a third, while she knew Meo, Vallati, a stranger to
her if not to the madam, was less central to Ludovico’s habitual posse. Neither
he nor the Jew had been part of the dinner’s start; though locals, they were
hangers-on. When the men entered, Lucretia, the madam, upbraided them. “And
when they were up the stairs, I said to them, ‘Oh this is a fine state of
affairs! Poor women cannot go in the street.’ And they told me that they
weren’t the ones who did it.”88 Lorenzo, with the lute, would prove Ludovico’s
undoing. The men all stayed a while in Olimpia’s room, listening to him play.
And then Ludovico led Olimpia off to the Santa Anna stufa to spend the night.
The other three escorted him down the block, then went their separate ways.89
We catch a bit of the denouement via Barbara, Meo’s ex-puttana, who, she tells
the court, had after three years broken with him because he owed her big money
on borrowed goods. Barbara had moved to Monte Savelli, just a block down-river
from Pescheria.90 I went to bed without dinner because I felt ill, and while I
was in bed with Annibale the fish-monger I heard passing in the street Cesare
Vallati with other people whom I did not see, and he said, “Your faithful
servant, Signora Barbara, my heart!” I made no answer.91 Annibale and Barbara
went back, she says, three years; she swam as easily among the fishmongers as a
mackerel in the sea. But Cesare Vallati, clearly, slipped through these same
waters; in the intimate spaces of the city, these men and women moved up and
down class lines. Annibale, when asked, would tell Madonna Lucretia what he
knew about the crime. Small world!92 The very next day, Madonna Lucretia sent
her servant to scout the local bathhouses. Lorenzo, the fellow with the lute, a
paesano, led Giovanni Maria to Ludovico and Meo, who would be arrested on
Monday, together.93 At Olimpia’s, the four men, said Lorenzo, had been “in a
terrible mood and all of them distressed.”94 Agostino Palloni, meanwhile,
refused to help Lucretia—“he sent word to me through Cynthio that it wasn’t a
gentleman’s role to accuse anybody, and that was it was enough that I had
suffered no harm.”95 Citing class solidarityhe covered for Cesare Vallati, who
either f led or ducked prosecution. The Jew, luckily nameless, got away. We
have neither a sentence nor knowledge what our four villains did with the rest
of their lives. Our story of status slippage and hasty re-calibration, coarse
male solidarity, callous abuse of women, and female resilience models a careful
reading of words, places, and actions, with an eye to the density of webs and
the fine-grained texture of lives in time and space, to lay out the ref lexes
with which Romans navigated their city. Ludovico, uneasily perched on several
margins, could build coalitions, trading his noble connections, hospitality,
slovenly rapaciousness, and access to paid female sex and company for male
support and applause. To Cesare he offered a pathway down, to the others
perhaps a step upwards. These male solidarities in a moral grey zone show the
porosity of Rome’s social boundaries and its alliances’ often easy give.Notes 1
Connors, “Alliance and Enmity,” 208–09. 2 Archivio di Stato di Roma,
Governatore, Tribunale Criminale, Processi (16o secolo), busta 38, case 23,
folio 568r: “Ludovicus de S. Cruce filius q. Io. Ant. d. Franchis.” Henceforth,
I give busta and folio only. 3 38.23, 559v: Antonio Scapuccio, August 15, 1557,
to a notary at the Holy Office. 4 38.23, 573r, Magrino, August 26, 1557, at
home sick, to a notary. 5 38.23, 579v: Ludovico cites Valerio Santa Croce and
noble Mario Mellino. For Magrino’s conversion at the Annunciation in 1555:
38.23, 573r, Magrino. 6 38.23, 568r. 7 Busta 103, 909r: Ludovico Santa Croce:
“. . . costione con un altro gentil’homo . . .” 8 103,
909v: “fregit carceres et unde exivit.” 9 38.23, 572v: “questo carnevale [1557]
. . . messer Ludovico uscii di pregione in Corte Savella.” 10
Investigazioni 80, 181v–183v, for 23–24, from June, 1563. 11 38.19, 461v:
“. . . se ne reallegrava.” 12 38.23, 577v: Betta: “. . .
avanti natale.” 13 38.23, 562v-563r: for age and employment; for the friendship
and the workplace: 38.23, 562v–563r. 14 38.23, 559v: “eravamo regazi havevamo
amicitia intrinseca insieme.” 15 38.23, 562v: Mario: “Fabritio giudio fatto
Cristiano che venne li ferri.” 16 We know little about Giulio, never
interrogated. Ludovico seems to place him among the converts: 38.23, 570r–v:
“Vi pratica in questa casa Julio Mattuzzo, Fabritio doi o tre altri giudei
facti christiani . . . de continuo li se ce vengono giudei et d’ogni
sorte de generatione.” But no other witness calls Giulio a convert. 17 38.23,
563r–v: Mario. 18 38.23, 563v: Mario: “. . . lei o la madre
. . . disse che era ferita in uno braccio et che non posseva abadarci
et che lavessemo per scusata.” 19 Ibid.: Mario: “. . . a un
pasticciero pur presso Torre Sanguigna et pigliassemo un pasticcio
. . .” 20 38.23, 574r: “comprassemo una spalla de porco.” 21 38.23,
564r: Mario: “. . . disse per la strada che voleva pigliar detta
cortigiana.” 22 38.23, 573v. 23 38.23, 563v: Mario: “apresso la stufa de Felice
presso li Cavalieri.” 24 28.23, 561r: Antonio Scapuccio: “. . . ando
con noi per dicta donna et voleva bussare la porta . . . che haveva
bravo culo et teneva bene.”In bed with Ludovico Santa Croce 13725 38.23, 574:
Magrino, for Ludovico’s call: “Messer Ludovico chiamandola . . .”;
38.23, 564r: Mario: “credendosi di abracciar messer Ludovico abraccio un altro
in loco suo in cambio.” 26 38.23, 564r: Mario: “Mostrandoli il pasticcio et per
la strada messer Ludovico et liei andavano abracciati insieme.” 27 Ago, Economia
barocca. 28 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “l’ostaria de Domenidio in
Piscaria.” 38.23, 574r: for the name’s origin. 29 38.23, 564r: Mario, for the
time. 30 38.23, 560r: Antonio di Scapuccio: “tutti de compagnia . . .
portassimo . . . un pasticcio . . .” 31 38.23, 568v:
Ludovico Santa Croce: “. . . Fabritio giudio facto christiano apresso
. . . [a] casa mia nel tempo che e facto christiano et lui me
impresto la stantia”; 38. 560r: Antonio Scapuccio: “presso la casa de Santa
Croce.” 32 28.23, 561r: Antonio Scapuccio for the boast: “et di poi che
andassemo a magnar a l’ostaria . . .” 33 38.23, 574v: Magrino: “un
solaretto di sopra quale era poca de cosa”; 38.23, 572r: Fabritio: “dormivo io
sopra una solarello.” 34 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “. . . un
matarazo quale lo buttassemo in terra.” 35 38.23, 574v: Magrino:
“. . . spogliati si misero sotto li panni.” 36 38.23, 574v–575r:
Magrino: “un paviglione che saria de piu colori quale era il mio
. . . radunato da una banda.” 37 38.23, 569r. Ludovico claims to have
closed the curtain: “mettevo il paviglione atorno.” 38 38.23, 564v: Mario: “et
avanti che la lume fosse svitata stavamo a burlare et
ciancinare . . . che di gratia volessemo svitar la lume.” 39
38.23, 561v: Antonio Scapuccio: “. . . facendo un zeno con il deto
grosso et con il deto indice facendo uno O designando che lui haveva chiavato
nel culo dicta donna”; 38.23, 564v: Mario: “Dicendo forte con noi altri Nel
proprio facendo con il detto grosso et con il indice il tondo.” 40 38.23, 561v:
Antonio Scapuccio: “lui non diceva chiaramente per rispecto de dicta donna che
non volea svergognarla”; Loudly: Mario: “Dicendo forte.” 41 Ibid.: Antonio
Scapuccio: “. . . la chiavata in culo foco foco.” 42 38.23, 574v:
Magrino: “forno primi messer Ludovico et la donna.” 43 38.23, 574r: Magrino,
for sleeping clothed: “et io ancora dormi . . . vestito”; for much
later: 38.23, 560r: Scapuccio: “Giovanni Maria . . . dipoi a un gran
pezo . . . se ando a corigare nel medemmo lecto.” 44 38.23, 575r:
Magrino: “io ho inteso quando lui la chiavava et lei teneva le natiche verso
Ludovico et lei voltata con il viso verso di me et io una volta il sentia et io
non lho visto metter dentro perche io non ce ho tenuto le mane. So bene che la
chiavava et lui sbatteva detta [no noun] verso di me che mi fe svigliato.” 45
Hunt, The Vacant See, 183–84. 46 38.23, 575v: notary and Magrino:
“. . . langere et lamentare eo quia . . . ipsam retro
negotiabat et futuebat. Respondit io sentivo che le quando fu chiava[ta] la
prima volta da messer Ludovico si lamentava. Ma si posseva lamentare de piu
cose . . . Si posseva lamentare come fanno le
donne . . . Se posono lamentare che li sappia bono et si posono
lamentare che se li faccia male ancora. Ma io una volta come o detto o sentito
che l’habia chiavata.” 47 38.23, 577v: Betta, August 23, 1557: “lui mai ha fato
in tal loco e e ben vero che messer Ludovico mi disse che mi voltassi che me lo
voleva far a potta retro et io li disse tu me voi gabare tu me voi mettere al
contrario et lui disse de no che il voleva fare a potta retro et cossi io mi
voltai et mi fece a potta retro. Io so dove intro. Si lui se e gabbato non me
sonno gabbata io.” 48 38.25, 567r: Betta, August 21, 1557: “. . . mi
parrebbe che dio non mi tenesse sopra la terra et se ho fatto male per una via,
non voglio far male per laltra, et si io ne esco voglio andare a Santa Maria de
Loreto et poi a casa mia a far bene . . . et se si gabba lui non mi
gabbo io, perche me ne guardaro come dal fuoco.”49 38.23, 565r: Mario. 50
38.23, 576r–v: “Lei non intese mai parole . . . Noi davamo la baia
a Ludovico . . . quando lui il diceva a tavola lei non se ce era
messa ancora.” 51 103, 911r: Ludovico: “me pare che sia cancelliero de
conservatori.” 52 103, 906v: Meo: “. . . voleamo andare a cena
al’hostaria de domenedio insieme . . . et cosi righai certo piscio et
. . . andammo alhosteria . . . et mentre voleamo cenare
arrivo li Cesare . . . lui se messe a tavola et cenammo tutti quatro
insieme.” 53 103, 907r: Meo: “portai certe sarde . . . et Grillo
porto certe telline.” 54 103, 907v: Meo: “un’hebreo . . . venne
. . . mentre che magnammo.” 55 103, 907r–v: Meo: “voliamo andar a casa
della mia puttana et noi dicemmo andamo et Cesare ancora disse io ve voglio
fare compagnia.” 56 103, 911v. 57 The present Via del Monte della Farina was
then Via del Crocefisso, named for church, San Biagio del Crocefisso (or del
Annulo), demolished circa 1617 to expand San Carlo: Lombardi, Roma, 222; Delli,
Le Strade, 339; Gnoli, Topografia, 91; Adinolfi, Roma, 171. Olimpia probably
lived towards San Biagio. 58 103, 913r: Olimpia: “da uno amico mio quella sera
. . . tornai a casa et trovai Ludovico Santa Croce li alla mia
porta”; 913v for the name Lorenzo. 59 103, 918r: Ludovico: “sono parecchi
anni.” 60 103, 917r: Lucretia the madam: “parlando spagnolo et contrafacendo il
parlare loro solito . . . apri qua la sporta che batterno sette o
otto volte ch’io non li volsi mai aprire.” 61 Ibid.: “. . . non li
volevo aprire . . . dovessero mutare parlare perche non potessi di
non cognoscerli, . . . ma per non ci esser’ la mia pigionante in casa
et sapendo che non voleano niente da me io non li volsi aprire anzi
. . . haverci buttato del acqua in testa se non si fussero levati
dalla porta.” 62 Ibid.: “correre verso li Chiavari.” 63 103, 889r: Lucretia the
wife: “retornandome . . . senza lume et con una cannuccia in mano per
non esser vista ne conosciuta.” One Cynthio Perusco lodged by the Minerva:
Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma 29, 15. One puzzle:
on October 7, 1567, a Cinzio Perusci by San Marcello, not the Minerva, buried a
wife named not Lucretia but Ortensia. de Dominicis, Notizie biografiche, 275;
And, at court, (103, 899r) Lucretia appears as “Lucretia q. Petri”—no father’s
family name, no husband’s name. Is Lucretia a femina, a semi-wife? 64 Ibid.,
r–v: Lucretia: “Doi armati . . . me si ferno incontro et subbito me
fermorno et un di loro me misse la mano al collo tastandomi il collo pensando
forsi ch’io havessi qualche collana o vezza.” 65 Ibid., v: “. . . io
son poveretta che volete da me strillando ai ladri ai ladri . . . me
lasciorno”; the servant confirms this and notes that other men were also
holding Lucretia: 103, 902r. 66 103, 902r: 25: “. . . perche questo a
noi.” 67 Ibid.: “se misse la cappa inanti il viso et pero non posso saper’ ne
poddi veder’ se l’era quel Meo.” 68 Ibid.: “. . . pugnali nudi
presso alla gola.” Why daggers? The gentlemen, with their swords, held
Lucretia. 69 Ibid.: Lucretia: “. . . un cerchio intorno et chi mi
pigliava da un canto et chi dal altro mettendomi li pugnali alla gola.”
Giovanni Maria: Ibid., 902r: “ci fermamo per paura.” 70 Ibid.: Giovanni Maria:
“. . . dar de i pugni et d’urtoni et mi buttorno in terra.” 71 103,
900r: Lucretia: “. . . con un yesu di sopra et di sotto c’e l’ongia
della gran bestia . . . ancho la cintura et un fazzoletto: che
l’anello ci e 18 giulii d’oro.” This “yesu” may have been a monogram. Giovanni
Maria confirms almost all these goods. 72 103, 902r–v: Giovanni Maria: “una
scarsella che io portava cinta. . . . a tenere lavandosi la mano
. . . messo in la scarsella.” 73 103, 902v: Lucretia:
“. . . vi prometto da gentilhuomo de non ti far dispiacer
. . . che non era per loro . . . che era moglie di Messer
Cynthio Perusco.” Cesare had yet to hurt the servant.In bed with Ludovico Santa
Croce 13974 Ibid,: Giovanni Maria: “messer che volemo fare . . .
menavola via menavola via.” See also Lucretia: 103, 899v: “menala su menala su
strascinala.” Why do we say Meo and not the Jew? Note Meo’s ongoing
relationship with Ludovico, their habit of joint action, plus that prompt
“Messer.” 75 103, 899v: Lucretia: “. . . con molta instanza di
menarmi in una casa che . . . per forza . . . me
strascinavano . . . a i ladri a i ladri a questo modo si assassina
alla strada, . . . che venessero in casa mia . . .” Why
this invitation? Probably demonstrate her station, not to proffer loot. 76 103,
199v: Lucretia: “per andare al arco delli catinari.” The present Via dei
Falegnami then was Via dei Catinari: Gnoli, Toponomia, 69. This Arco was
demolished for San Carlo ai Catinari: Gnoli, Toponomia, 11. 77 103, 903r:
Giovanni Maria: “. . . gl’era cascate le pianella . . .
diceano che caminasse . . . la faceano camminar . . . tre o
quattro attorno.” See also Lucretia: 103, 899v: “cascai in terra in un fangho
et lasciai li pianelle.” 78 For Agostino Pallone’s house, see Cohen and Cohen,
Words and Deeds, 136. For the two men: 103, 903r: Giovanni Maria: “arrivò quel
che portava la torcia accesa et . . . mr Agostino Palone
. . . per il medesimo vicolo.” In 1577, Agostino would be buried in
Santa Maria in Publicolis, the Santa Croce family church: de Dominicis, Notizie
biografiche, 267. 79 103, 899v–900r: Lucretia: “. . . cognobbi detto
messer . . . per l’amor de dio che me aiutasse . . .
pensandosi che il lume non venesse da quella banda et de non esser visto detto
mr Augistino cognobbe . . . Cesari romano, al quale disse Mr.
Augustino ah Cesari che fai, che cosa e questa[!] . . .” 80 103,
903r: Giovannia Maria: “casco con una gamba in una ferrata et . . .
se attacò alla cappa di Messer Augistino . . . Mr Augustino di
grazia. non me abbandonate per l’amor de Dio.” 81 103, 903r–v: Giovanni Maria:
“. . . se conosceva Cyntho Perusco, et lei disse si che lo cognosce
et ho doi figli con lui et e mio marito et . . . se la conosceva
messer Francesco Calvi et lei disse de si . . . se li andava in casa
con lei che li mostraria la figlia.” 82 103, 903v: Giovanni Maria:
“. . . Cesari figlio tu hai fatto male . . . che andasse
via che farria accompagnare Madonna Lucretia da un suo servitore.” 83 Ibid.;
Lucretia: “m’accompagno con la torcia.” 84 103, 917r–v: Lucretia the madam:
“. . . guardai et viddi una donna con un’homo che cridava: che diceva
che volete da me fratelli che volete da me fratelli et diceva tiratimi la corda
tiratimi la corda . . . dubitando io che non fusse qualche vicina, io
bussai alla fenestra della Diana . . . senti quella tua sorella che
crida . . .” “Tiratimi la corda” here refers to Lucretia’s door-rope:
“open up for me!” with a dative. 85 103, 913r: Olimpia: “. . . trovai
Ludovico Santa Croce li alla mia porta assieme con Meo pescivendolo et con doi
altri . . . ci era un’hebreo.” 86 Ibid.: Olimpia: “. . .
Ludovico fu il primo”; 103, 918: Ludovico Santa Croce: “il primo io d’intrare
in casa.” 87 103, 917r: Lucretia the madam: “. . . Olimpia insieme
con un’ suo amico che si chiama Lorenzo stufarolo, quale sonava di liuto. Et me
bisogno tirar’ la corda et alhora intro . . . Ludovico Santa [Croce]
Meo Cesar Vallati et un hebreo.” 88 103, 917v: Lucretia the madam:
“. . . o bella cosa, le povere donne non ponno andare per la strada
et loro dissero che non erano stato.” 89 103, 913v: Olimpia, “Meo et l’altri ci
accompagnorno sino alla stufa et poi se ne andorno con dio”; 914v: Meo: “insieme
alla stufa et poi io me ne tornai a casa mia e Cesare e l’hebreo andorno a fare
i fatti suoi.” 90 103, 922r: Barbara claims Meo has been her amico for three
years; 103, 904r: Barbara: “e un mese ch’io l’ho lassato perche non mi piace
piu l’amicitia sua et perche ha dieci scudi delli mei in mano.” Monte Savelli
is today’s Teatro di Marcello, now stripped bare by archeology. 91 103, 922r:
Barbara: “me ne andai a letto senza cena perche io me sentivo male et mentre
ch’io stavo a letto con Annibale pescivendolo sentei passare per la strada
Cesare 92 93 94 95Vallata con altre genti . . . et disse servitor’
Signora Barbera cor mio ch’io non li resposi altrimente” 103, 914r: Giovanni
Maria: “madonna Lucretia domando a . . . pescivendolo predetto per
che causa fussi preso questo messer Ludovico et . . . rispose che
fu preso perche haveva preso una donna nella strada.” 103, 905v: Meo, on
Tuesday: “io fui preso hiermatina in Ponte ch’io non so perche causa assieme
con Messer Ludovico Santa Croce.” 103, 901r: Lucretia the wife: “et che stavano
molto di mala voglia et tutti afflitti.” 103, 900v: Lucretia: “lui mi mando a
dir per il detto Cynthio che non era offitio da gentilhomo di accusar nesuno e
che mi bastava che io non havessi ricevuto mal nesuno.”Bibliography Archival
sources Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale Processi
(16° secolo), busta 38, case 19 Processi (16° secolo), busta 38, case 23
Processi (16° secolo), busta 38, case 25 Processi (16° secolo), busta
103Publisd sources Adinolfi, Pasquale. Roma nell’età di mezzo, rione Campo
Marzo, rione S. Eustachio. Florence: Le Lettere – LICOSA, 1983. Ago, Renata.
Economia barocca: mercato e istituzioni nella Roma barocca. Rome: Donzelli,
1998. Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma 29 Cohen,
Thomas V. and Elizabeth S. Cohen. Words and Deeds in Renaissance Rome. Toronto:
University of Toronto Press, 1993. Connors, Joseph. “Alliance and Enmity in
Baroque Urbanism.” Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana 25 (1989): 207–94.
de Dominicis, Claudio. Notizie biografiche a Roma nel 1531–1582, desunte dagli
atti parrocchiali. Rome: Academia Moroniana, n.d. Delli, Sergio. Le Strade di
Roma. Rome: Newton Compton, 1975. Gnoli, Umberto. Topografia e toponomastica di
Roma medioevale e moderna. Rome: Edizioni dell’Arquata, 1984. Hunt, John M. The
Vacant See in Early Modern Rome: A Social History of the Papal Interregnum.
Leiden: Brill, In two unrelated sixteenth-century texts, a Renaissance prince
was described as vulnerable to assassination because of a f lawed fashion
judgment. In his Historia patria (published 1503), the courtier Bernardino
Corio recounted that just before Galeazzo Sforza left his castle on December
26, 1476, he put on and then took off his corazina because he felt that the
chest armor made him look “too fat.”1 The lack of armored protection was
crucial as Galeazzo was famously stabbed to death during mass later that day.
In his analysis of the event, Timothy McCall provocatively suggests that
Galeazzo’s fatally bad judgment was determined by fashion; Galeazzo, according
to McCall, was inf luenced by the growing pressure to conform to cultural
expectations of a slim masculine figure.2 Sixty years later, a Florentine
prince was murdered by stabbing, and similar to the description of Galeazzo
Sforza, a chronicler of the episode points to clothing’s role in the affair.
Benedetto Varchi’s Storia fiorentina (incomplete at his death in 1565) recounts
that just before Duke Alessandro de’ Medici left his bedchamber on the night of
his murder in 1537, he contemplated whether he should wear his gloves “da
guerra” (for war) or his perfumed gloves “da fare all’amore” (for making
love).3 According to the story, Alessandro chose the love-gloves as they better
matched his sablelined cape and were suited to his planned sexual escapade. He
apparently chose unwisely. Elizabeth Currie argues that Varchi added this
presumably invented anecdote about gloves in order to communicate—through
sartorial metaphors—the gap between Duke Alessandro’s expected dutiful behavior
and his actual irresponsible conduct.4 To Currie’s analysis, I add that the
glove anecdote also participates in what had become a literary pattern of
associating men’s clothing with physical weakness. If, in the first episode, the
author indicates how a soft doublet made Galeazzo defenseless to the knife
blade, in the second, the writer implies that the outcome of Alessandro’s
evening might have been different had the princechosen his gloves “da guerra.”
The two historiographical accounts of Galeazzo’s and Alessandro’s murders
underscore not only the high stakes of men’s clothing choices but the
relationship between literary representations of dress and elements of
masculinity. Varchi, like so many writers of the fifteenth and sixteenth
century, chose to articulate men’s dress as integral components in
representations of violence, war preparedness, moral virtue, and sexuality.
Clothing was thus fundamental to Renaissance discourses of masculinity. While
masculine subjectivity as performed through dress has been the focus of several
excellent studies by fashion and art historians, what has gone somewhat
unexplored is how clothing functioned in such discourses of masculinity.5 Was,
for example, clothing presented as a symptom of men’s loss of masculine virtue
or did writers claim that clothing had a more active role in the imperilment of
men? Did so-called effeminate clothing cause men to weaken, or was it merely a
byproduct of a so-called anima effeminato? This essay will address these
questions by looking at the interconnection of male dress, effeminacy, and
militarism in Baldassare Castiglione’s Libro del cortegiano (Book of the
Courtier). I have chosen to concentrate on Castiglione’s Courtier because of
its prominent place in the history of dress and fashion as well as its role in
the history of masculinity.6 The Courtier presents male dress as a high-stakes
enterprise; a misstep in clothing not only had grave consequences for a man’s
reputation, it was also a question of life or death. Like the gloves of
Alessandro de’ Medici and the cuirass of Galeazzo Sforza, a man’s clothing
choice could lead to glory or personal injury, and it could also result in (at
least in Castiglione’s assessment) large-scale military defeat.Arms in the Courtier
Very early in the book, Ludovico da Canossa declares arms to be the primary
profession of the courtier [1.17].7 Yet, the privileged status of arms is not a
settled question, and it is destabilized during a debate of arms vs. letters.8
The debate is framed by the same Ludovico, who asserts that the French only
respect arms and abhor letters. Ludovico extols the value of letters by
describing several successful military generals who trotted off to battle with
copies of the Iliad or other literature at their side. His examples of
successful and literary generals are offered as proof that the French were
erroneous in their belief that literature damaged a man’s ability to fight: “Ma
questo dire a voi è superf luo, ché ben so io che tutti conoscete quanto s’ingannano
i Francesi pensando che le lettre nuocciano all’arme” (1.43, p. 92) (But there
is no need to tell you this, for I am sure you all know how mistaken the French
are in thinking that letters are detrimental to arms) (1.43, p. 51).9
Ludovico’s accusation of the misguided French could as well have been leveled
against Italian contemporaries of Castiglione, since none other than Niccolò
Machiavelli himself was proclaiming that letters were injurious to arms in both
his Art of War as well as his Florentine Histories.10Contrary to the view of
the French (and Machiavelli), Ludovico proposes that letters are beneficial to
arms; letters bring glory, and glory inspires courage in warfare: “Sapete che
delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il vero stimulo è la
gloria. . . . E che la vera gloria sia quella che si commenda al
sacro tesauro delle lettre” (1.43, p.92) (The true stimulus to great and daring
deeds in war is glory. . . . And it is true glory that is entrusted
to the sacred treasury of letters) (1.43, p. 51).11 When Ludovico notes that
literature, like the Iliad, could have a positive effect on soldiers, he shifts
the debate that began with the hierarchy of arms and letters to the correlative
and causative relationship between arms and letters.12 For Ludovico, arms and
letters are “concatenate” (conjoined) (1.46). Ludovico’s assessment of the
positive effects of letters on arms is troubled by the fact that France, at
least since 1494, had proven itself to be militarily superior to Italy. He hedges
his argument in a prebuttal, acknowledging that others might cite recent French
military success as evidence against his claim: “Non vorrei già che qualche
avversario mi adducesse gli effetti contrari per rifiutar la mia opinione,
allegandomi gli Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco valor
nell’arme” (1.43, p. 93) (I should not want some objector to cite me instances
to the contrary in order to refute my opinion, alleging that for all their
knowledge of letters the Italians have shown little worth in arms) (1.43, p.
51). To this objection, Ludovico states that the defeat of literate Italians by
illiterate French is the fault of only a few men: “la colpa d’alcuni pochi aver
dato, oltre al grave danno, perpetuo biasimo a tutti gli altri” (1.43, p. 93)
(the fault of a few men has brought not only serious harm but eternal blame
upon all the rest) (1.43, p. 52). The debate of arms and letters in the
Courtier raises two key points for my analysis on dress and militarism. The
first is that there is an anxiety among the speakers that the actions of a “few
men” can bring shame on all men.13 The book’s project of social control depends
in great part on this anxiety. Indeed, the belief that massive military defeat
was caused by a few deviant men gives urgency to the entire masculine
normativizing process (i.e., the ideal courtier). The second point, related to
the first, is that men’s ability to win wars could be affected (positively or
negatively) by what are presumably unrelated aspects of a courtier’s masculine
identity. Throughout the Courtier, not only letters but music, dance, and of
course dress are all placed in a context of their relationship to warfare.14
When, for example, one speaker condemns music as effeminate, another will
anxiously argue that music stirs soldiers to combat, and thus it is rightfully
masculine (I.47). The book delineates the court and the battlefield as discrete
yet interrelated spaces. The courtier-soldier is expected to shuttle between
the two while performing hegemonic masculinity in both.15 The challenge is that
certain practices of masculinity were viewed as causing a negative effect in
one or the other space. The battlefield, in particular, is shown as vulnerable
to the presence of courtly practices. Analogously, the court’s refined spaces
were shown as incompatible with certain military behaviors.16 Nonetheless, the
court often measured itself against a functionality in war (e.g., music was
useful in war) just as men in court adopted martial aesthetics (e.g., court
dress was an adaptation of the military tunic).17 There thus arises a tension
within the Courtier between the masculinity of courtly practices and the
masculinity of warfare, and this tension is routinely expressed as a fear that
practices at court are deleterious to combat. The speakers never clearly
articulate how dress, letters, and music might endanger war tactics and
strategies, but they do repeatedly imply that refined behavior threatens
masculinity. The reader is then left to leap the epistemological gap that assumes
such a claim to be true. The cumulative effect of this rhetorical technique is
that a fear of effeminacy underlies the entire project to produce an ideal
courtier, and this fear is often articulated in terms of dress and
aesthetics.18Aesthetics and masculinity before Castiglione The association of
men’s dress and aesthetics with effeminacy has a literary tradition that stretches
at least back to Classical antiquity. Craig Williams’ groundbreaking text,
Roman Homosexuality, provides scores of ancient examples of writers reproaching
men’s aesthetics. In Roman texts, clothing, perfumes, and grooming habits were
frequent subjects of scorn. According to Williams, men’s aesthetics were
invoked as part of accusations of effeminacy in what was consistently a
reproach of men’s loss of dominion and self-mastery.19 More recently, Kelly
Olson’s Masculinity and Dress in Roman Antiquity has provided a systematic look
at dress in ancient Rome, and she usefully pinpoints specific elements of
dress, perfumes, and grooming to show how the Roman man “walked a fine line”
between expected grooming and dressing practice and what was considered
effeminate.20 As we move into the Middle Ages and Renaissance, writers adopted
these Classical condemnations of men’s dress and added their own brand of
Christian morality. Renaissance legal codes and prescriptive literature
justified the regulation of male dress under the auspices of protecting state
expenditures, preventing deviant sexuality, or ensuring the salvation of the
soul.21 For example, Francesco Pontano (f l. 1424–41), a professor in
republican Siena, attacked male hair styling, cosmetics, and ornate garments as
a civic and Christian moral problem.22 In his treatise Dello integro e perfetto
stato delle donzelle (On the whole and perfect state of girls), a work written
primarily about women’s vanities, the author states that “vain and superf luous
ornament” should be disdained by all males “who want to be called real men.”23
Certain men, he states, do not care if they are esteemed as masculine, and thus
they spend extraordinary amounts of time on hair and skin care.24 He complains
that men multiply the effect of their grooming habits by fussing over dress as
well: “Ma i maschi moltiplicano questo errore or co’ lisciamenti or con
continui increspamenti di falde, e arrondolamenti de’ cappucci a diadema, e
infiniti altri loro frenetichi e babionerie” (But men multiply this error,
sometimes using cosmetics and at other times with their continual ruff ling of
crinoline and swirls of hoods in the shape of a tiara, as well as their
infinite other frenzies and buffooneries) (Pontano 22). For Pontano, so-called
luxurious dress muddied the gender binary as well as presented a peril to
Christian morality since, as he states, vanities and ornament debased men, who
were “made to be equal to the angels” to a status “below pigs.”25 Dress
imperiled the body and the very soul of men. Effeminate dress, he states,
showed disrespect for God. The crowd of ornate men “non crede che Dio sia, e
che non sia alcuno altro iudice che quegli del podestà ovver del capitano”
(does not believe that God exists, and that there is no other judge than the
podestà or commander) (Pontano 22). Pontano made so-called effeminate dress a
moral and theological issue. Similarly, other writers of the fourteenth and
fifteenth centuries voiced concern about the morality of dress with respect to
sexuality and class status. The chronicler Giovanni Villani (c. 1280–1348)
worried that men’s fashion could create dangerous alliances with foreign powers
and blur class differences, and San Bernardino da Siena (1380–1444) complained
that young men’s short tunics and tight hose were too erotic.26 Ironically,
those same tight hose were reevaluated in the sixteenth century as evidentiary
proof that the male youths of the past were uncorrupted.27 There has as yet
been no systematic study of the condemnations of men’s dress in early modern
Italy, but such a study would aid our understanding of possible thematic
shifts. Not only did the targets of these condemnations vary (e.g., short
tunics, tight hosiery), so too did the rhetoric used to vilify certain dress
undergo changes. There seems to be one significant moment in the history of
dress and masculinity at the beginning of the sixteenth century, when
condemnations of so-called effeminate male dress shifted from threats of
Christian imperilment to failed militancy.28 The anxiety over dress and
militarism had real-world implications such as the standardized military
uniform, just as it may have also inspired some unexpected rhetoric, such as
the praise of an unkempt look.29 Most importantly, it made the abstract notions
of dependency and autonomy visible; men’s clothing carried the meanings of
military victory or loss. Castiglione’s Courtier has a distinct place within
the normativization process of the militaristic masculine body as it is an
early—possibly the earliest— example of sixteenth-century rhetoric of
effeminacy, dress, and military defeat. Castiglione began writing his text
during the chaotic years between the invasion of France in 1494 and the Sack of
Rome in 1527. In this period of instability, he chose to point to certain
courtly behaviors, including dress, in relation to the military losses that
were still potentially viewed as reversible. The Courtier blames the
subjugation of the Italian people on certain refined masculine behaviors that
were otherwise unrelated to militarism, but so, too, it suggests that the
salvation of Italy lay in the hands of this same class of men, men who often
marked their class by the very dress that undermined their masculinity. There
are two moments in which Castiglione suggests that men’s clothing played a role
in military loss. I will analyze these passages along with other textual
examples of men’s aesthetics and dress to demonstrate that Castiglione is in
effect not only making pronouncements about dress but, more importantly, is
establishing a practice whereby men can redeem their masculinity through
speaking about the effeminizing power of aesthetics. The spoken condemnation of
courtly dress purportedly critiques gender and class structures, but like the
dress itself, this very speech is what marks the speaker as belonging to the
properly masculine elite.30Male aesthetics and dress in the Courtier Book One:
sprezzatura and gender nonconformity In Book One, the primary speaker, Count
Ludovico da Canossa, says that the ideal courtier should have a manly yet
graceful face. What is to be avoided, he exclaims with disgust, are certain
male grooming habits: [your face] has something manly about it, and yet is full
of grace. . . . I would have our Courtier’s face be such, not so soft
and feminine as many attempt to have who not only curl their hair and pluck
their eyebrows, but preen themselves in all those ways that the most wanton and
dissolute women in the world adopt; and in walking, in posture, and in every
act, appear so tender and languid that their limbs seems to be on the verge of
falling apart; and utter their words so limply that it seems they are about to
expire on the spot; and the more they find themselves in the company of men of
rank, the more they make a show of such manners. These, since nature did not
make them women as they clearly wish to appear and be, should be treated not as
good women, but as public harlots, and driven not only from the courts of great
lords but from the society of all noble men. (1.19, p. 27) Certo quella grazia
del volto, senza mentire, dir si po esser in voi . . . tien del
virile, e pur è grazioso . . . . di tal sorte voglio io che sia lo
aspetto del nostro cortegiano, non così molle e femminile come si sforzano
d’aver molti, che non solamente si crepano i capegli e spelano le ciglia, ma si
strisciano con tutti que’ modi che si facciano le più lascive e disoneste
femine del mondo; e pare che nello andare, nello stare ed in ogni altro lor
atto siano tanto teneri e languidi, che le membra siano per staccarsi loro
l’uno dall’altro; e pronunziano quelle parole così aff litte, che in quel punto
par che lo spirito loro finisca; e quanto più si trovano con omini di grado,
tanto più usano tai termini. Questi, poiché la natura, come essi mostrano
desiderare di parere ed essere, non gli ha fatti femine, dovrebbono non come
bone femine esser estimati, ma, come publiche meretrici, non solamente delle
corti de’ gran signori, ma del consorzio degli omini nobili esser cacciati.
(1.19, pp. 49–50) For Ludovico, the so-called effeminate courtiers are not by
nature “molle” (soft) or “ femminile” (feminine), but they work very hard (si
sforzano) to make themselvesappear to be so. Moreover, he links aesthetics to
acts of despised behavior, particularly obsequious dependency. This condemned
behavior occurs when, as Ludovico explains, men affect their appearance and
speech around other men of rank. We can situate these despised men within the
context of Ludovico’s own theory of sprezzatura. Coining a new term, Ludovico
describes sprezzatura as the art of “ciò che si fa e dice venir fatto senza
fatica e quasi senza pensarvi” (1.26, p. 60) (making whatever is done or said
appear to be without effort and almost without any thought about it) (1.26, p.
32).31 In the case of the men who plucked their eyebrows, curled their hair,
and augmented certain behaviors around men of rank, they have failed at this
art. Rather than concealing a performance, as sprezzatura demands, these men
drew attention to the act of ingratiating themselves to men of authority. Their
failed performance of sprezzatura thus resulted in the loss of reputation and
power, a point also made by Ludovico in his definition of the new term:
Accordingly, we may affirm that to be true art which does not appear to be art;
nor to anything must we give greater care than to conceal art, for if it is
discovered, it quite destroys our credit and brings us into small esteem.
(I.26, p. 32) Però si po dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né
più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta,
leva in tutto il credito e fa l’omo poco estimato. (1.26, p. 60) Successful
sprezzatura, on the other hand, offered the courtier an ability to perform a
“compelling” version of himself that masked a very different, perhaps less
putatively masculine identity.32 This “manly masquerade,” however, risked
pointing to both a fantastic masculine ideal as well as to the absence of that
ideal.33 Dress and aesthetics, or more precisely, the discussions of dress and
aesthetics in the Courtier, form a paradox in the logic of sprezzatura. When
the speakers complain of the “effeminate” dress or grooming habits of men, they
imply that some idealized masculine version of these men existed before the
offending grooming or dressing occurred.34 However, this anchoring of
essentialist manhood is dismissed in the Courtier. Instead, the speakers reaffirm
that since very few men are born with the qualities of the ideal courtier, the
ideal (read masculine) courtier manipulates his body, behaviors, and dress. If
the ideal courtier is therefore a man who must alter his person in order to be
masculine, then the ideal masculine pre-altered courtier—much like the
idealized Urbino court itself—is a pastoral fantasy.35 The men who alter their
hair and posture when among men of rank, in effect, draw attention to this
absence of essential masculinity in all but the rarest courtiers. These men
fail at a sprezzatura of masculinity not because they ornament themselves, but
because they have exposed the necessity of ornamenting themselves. It is so
great an infraction that Ludovico angrily condemns these men to be punished not
as women but as “public harlots.” Of course, the reference to prostitution is
significant for it foreshadows an episode (discussed below) in Book Four where
Ottaviano explains that all courtiers must use their bodies, speech, and
behavior to gain princely favors. The irony is that the principal difference
between the despicable groomed courtier with plucked eyebrows and the masculine
courtier with less apparently plucked eyebrows is solely aesthetic; both sell
themselves for favors. The offending behavior of the groomed courtier is
therefore that he has failed to conceal this economy.Book Two: foreign dress
and foreign occupation Given the gravity of the punishment that Ludovico doles
out to certain courtiers, it is apparent that a mistake in styling and grooming
could pose a serious threat to masculinity. Thus, choosing proper male dress
also caused anxiety for the upwardly mobile courtier. In Book Two, Giuliano de’
Medici expresses his personal difficulty regarding the variety of dress
available to men, and he asks for assistance “to know how to choose the best
out of this confusion” (2.26). Federico Fregoso responds to this question by
stating that men should dress according to the “custom of the majority.”
Fregoso then states that the majority of Italians wore the styles of various
foreign cultures and that these foreign fashions signaled which cultures would
dominate Italian men.36 But I do not know by what fate it happens that Italy
does not have, as she used to have, a manner of dress recognized to be Italian:
for, although the introduction of these new fashions makes the former ones seem
very crude, still the older ones were perhaps a sign of freedom, even as the
new ones have proved to be augury of servitude . . . Just so our
having changed our Italian dress for that of foreigners strikes me as meaning
that all those for whose dress we have exchanged our own are going to conquer
us: which has proved to be all too true, for by now there is no nation that has
not made us its prey. (2.26, pp. 88–89) Ma io non so per qual fato intervenga
che la Italia non abbia, come soleva avere, abito che sia conosciuto per
italiano; che, benché lo aver posto in usanza questi novi faccia parer quelli
primi goffissimi, pur quelli forse erano segno di libertà, come questi son
stati augurio di servitù . . . cosí l’aver noi mutato gli abiti
italiani nei stranieri parmi che significasse, tutti quelli, negli abiti de’
quali i nostri erano trasformati, dever venire a subiugarci; il che è stato
troppo più che vero, ché ormai non resta nazione che di noi non abbia fatto
preda. (2.26, p. 158)Fregoso’s fashion advice poses a host of problems
regarding identity and autonomy. By suggesting that men “follow the majority,”
he undermines agency, sovereignty, and control, themes often repeated as
central to masculinity by fifteenth- and sixteenth-century authors. Manliness
is the ability to look like others, to disappear in the crowd; but it is also
ironically defined as following the crowd’s errors. For, as Fregoso states, the
majority of Italians have made a grave error and adopted foreign dress, which
leads to invasion and occupation.37 If fitting in is a masculine virtue, it
could even mean implicating oneself in Italy’s political and military losses.
Fregoso’s concern about foreign dress is a Classical trope that has
considerable fortune in the Renaissance, where French and later Imperial
invasions were not infrequently associated with foreign fashions. 38 The
epistemological link of fashion and invasion was so imbedded in the culture
that even one hundred years after Castiglione wrote his Courtier, the Spanish
priest Basilio Ponce de Leon suggested that God castigated Italy with invasion
in 1494 precisely because Italian men wore French fashions.39 Within the
Courtier itself, foreign fashion does not incur God’s wrath, but rather, it
beckons other nations to “venire a subiugarci” (come and subjugate us). Such a
logic—where large scores of men were responsible for invasion because of their
fashion choice—stands in contrast to Ludovico’s claim in Book One when he
claimed that the collapse of Italy was caused by a “few men.” Book Two thus
broadens the guilty parties of Italy’s subjugation from a “few men” to a
“majority” of (upper class) men, who, like Castiglione himself, were bedecked
in the latest Spanish and French trends.Books One and Two: fashion theory and
agency The first two books are differentiated also by the way they discuss
men’s aesthetics. In Book One, for example, there is no association between
aesthetics and military loss. Ludovico did not state that plucked eyebrows and
curled hair brought about military defeat. Rather, his complaint was limited to
gender nonconformity. On the other hand, Book Two draws a direct line between
aesthetics (foreign dress) and military failure. This shift from Book One to
Book Two might be explained by the general ideological difference that
distinguishes the two books. Virginia Cox has convincingly argued that Book One
proclaims that a courtier’s virtue ensures him success, while in the more
cynical Book Two, success at court is depicted as at the whim of the prince.40
In particular, military bravery is praised only when it can be observed by
others, particularly by the prince. To risk one’s life when no one is watching
would be a waste of one’s personal resources. Virtue, therefore, is whatever
the courtier makes seen in the eyes of others. In the context of Book Two,
where the courtiers participate in an economy that trades in appearance of
virtue rather than intrinsic virtue, clothing takes a central role in masculine
identity construction. It thus follows that Fregoso attempts to draw a direct
relationship between appearance and essence. He statesthat one must be
attentive to what type of man he wishes to be taken for, and then act and dress
accordingly, “aggiungendovi ancor che debba fra se stesso deliberar ciò che vol
parere e de quella sorte che desidera esser estimato, della medesima vestirsi”
(2.27, p. 160) (I would only add further that he ought to consider what
appearance he wishes to have and what manner of man he wishes to be taken for,
and dress accordingly) (2.27, p. 90). Such action is necessitated by the belief
that external appearance (including mannerisms) communicates a person’s
identity: “tutto questo di fuori dà notizia spesso di quel dentro” (2.28, p.
161) (all these outward things often make manifest what is within) (1.28, p.
90). The body makes legible the soul, and this externalization of virtue and
morality is problematized by the fact that the courtier is taught to manipulate
the body according to his fashion. One speaker, Gasparo Pallavicino, pushes
back on the theory that dress determines personal character. He states that one
should not “judge the character of men by their dress rather than by their
words or deeds” (2.28, p. 90). To Gasparo’s comment, Fregoso responds that
although deeds and words are more important than dress, dress is “no small
index” (non è piccolo argomento) (2.28) of the man. Fregoso’s insistence that
dress is ref lective of the essence of man is, however, hard to reconcile with
the fact that one’s projected image, as Fregoso himself states, can be false:
“avvenga che talor possa esser falso” (2.28) (although it can sometimes be
false) (2.28, p. 90 translation altered to ref lect original). Despite
Fregoso’s suggestions otherwise, behavior, dress, and bodily adornment do not
convey an unproblematic version of the self. In the elegant fishbowl of the
court, courtiers manipulate dress with the hopes that others might be duped
into believing that it represents an intrinsic identity. Fregoso’s fashion
theory, though not cohesive, does communicate to other men that a fashion faux
pas imperils the courtier’s masculinity in two ways: it points to a perceived
essential effeminacy, or it demonstrates an inability to mask this
effeminacy.Book Four: Ottaviano’s paradox The last mention of dress in the
Courtier is in Book Four, and it famously gives elegance of dress a virtuous
purpose. In Book Four, Federico Fregoso’s brother, Ottaviano, declares that
dress, manners, and pleasantries permit the courtier access to the prince so
that he can provide the ruler with wise counsel. According to Ottaviano, the
courtier must fashion himself with this mask of the “perfect courtier” so that
he can lead the prince away from the ills of vice through deception,
“ingannandolo con inganno salutifero” (beguiling him with salutary deception)
(4.10, p. 213). Ottaviano’s interjection has received much scholarly attention
in part because it exposes the fashioning of the perfect courtier as a
performance of deceit.41 Berger, in particular, has noted how this deceit can
have an effect on the integrity of the courtier: The byproduct of the
courtier’s performance is that the achievement of sprezzatura may require him
to deny or disparage his nature. In order tointernalize the model and enhance
himself by art, he may have to evacuate – repress or disown – whatever he finds
within himself that doesn’t fit the model. (20) If sprezzatura requires the
courtier to deny or disparage his own nature, then there is an implicit notion
that the courtier also risks destabilizing his identity, including his
masculine identity.42 This is no more apparent than when we consider how a
courtier’s agency is compromised by the act of sprezzatura, an act of self-fashioning
that is dependent on the will of others. Ottaviano addresses this very process
head on. He states that elegance of dress, along with singing, dancing, and
general enjoyment, change a man and make him effeminate. Relevant here, this
effeminacy has consequences not only on a courtier’s identity but also on state
security: I should say that many of those accomplishments that have been
attributed to our Courtier (such as dancing, merrymaking, singing, and playing)
were frivolities and vanities and, in a man of any rank, deserving of blame
rather than of praise; these elegances of dress, devices, mottoes, and other
such things as pertain to women and love (although many will think the
contrary), often serve to merely make spirits effeminate, to corrupt youth, and
to lead to a dissolute life; whence it comes about that the Italian name is
reduced to opprobrium, and there are but few who dare, I will not say to die,
but even to risk any danger. (4.4, p. 210) anzi direi che molte di quelle
condicioni che se gli sono attribuite, come il danzar, festeggiar, cantar e
giocare, fossero leggerezze e vanità, ed in un omo di grado più tosto degne di
biasimo che di laude; perché queste attillature, imprese, motti ed altre tai
cose che appartengono ad intertenimenti di donne e d’amori, ancora che forse a
molti altri paia il contrario, spesso non fanno altro che effeminar gli animi,
corrumper la gioventù e ridurla a vita lascivissima; onde nascono poi questi
effetti che ’l nome italiano è ridutto in obbrobrio, né si ritrovano se non
pochi che osino non dirò morire, ma pur entrare in uno pericolo. (4.4, pp.
367–68) Ottaviano’s claim marks a critical shift from the other cited passages.
It is the only time in the Courtier where clothing (along with other courtly
behaviors) is described as rendering men effeminate. In Book One, distasteful
grooming habits are practiced by those men who “wish” that they were women, and
in Book Two, foreign dress beckons military defeat. In Book Four, clothing
causes effeminacy, and the effeminized man loses wars. The passage is not only
a significant moment in the Courtier, it is an important moment in the history
ofeffeminacy. To my knowledge, it is one of the earliest Renaissance texts that
figures clothing and other behaviors as the agents that cause effeminacy
leading eventually to military defeat.43 Ottaviano’s brief interjection on
clothing would have provided the attentive listener with (again) some troubling
fashion advice. The passage forms what I call Ottaviano’s paradox: on the one
hand, Ottaviano affirms that elegant dress may be necessary to ingratiate the
prince and engender virtue, while on the other, he warns that dress has
deleterious effects, effeminizing the courtier’s soul and bringing shame to him
and Italy. If the courtier performs his requisite duties (which include
ingratiating the prince with dress, dancing, music, etc.), he cannot escape
losing his own masculinity. It is unclear how the reader is to navigate this
paradox. Castiglione may have been genuinely concerned with the possible
effeminizing effects of dress, or there may have been some irony in placing
these words in the mouth of Ottaviano.44 Ottaviano had, in fact, been derided
for his unusual dress in the earlier version of the book known as the seconda
redazione (written 1520–21).45 Moreover, Castiglione was himself quite the
fashionista. His letters tell us that he was deeply concerned with his own
dress, both at court and during military operations. Many of his letters to his
mother refer to his need for appropriate clothing, and on some occasions, he
refers to this clothing as necessary for exercises carried out in a context of
war.46 The fact that Castiglione has left us extensive writing on dress from
the period raises hermeneutical questions about Ottaviano’s statement that
courtly dress and activities “make spirits effeminate and corrupt youth” and
eventually lead to the shame of Italy. Surely the author was not suggesting
that winning wars merely a matter of changing clothing. I propose that
Castiglione was less interested in changing the garments and grooming habits of
Italians than he was in investigating how the rhetoric about aesthetics
functioned in defining identity and motivating social groups. His book explores
how courtly practices, including dress, determined the boundaries of an elite
ruling class, but so too does it explain how the language used to discuss these
practices could shift the values added to such practices. Thus, Ottaviano’s
paradox—where the courtier is virtuous if he ingratiates the prince but loses
his virtue of masculinity by doing so—is in effect a masterful demonstration of
sprezzatura. When Ottaviano utters his words, he not only explains how
courtliness denigrates a man for a virtuous cause, he also reveals how a
courtier can assume an intentional and masculine participation in this virtuous
cause. He derides the very courtly practices that he himself performs and then
engenders them with virtue.47 By showing that a courtier sacrifices his
masculinity on the altar of state security, Ottaviano offers a reclamation of
masculinity for any courtier. The trick is, however, that the courtier must be
willing to decry the very practices that make him a courtier in order to claim
this masculinity. Ottaviano states, in effect, “I criticize the grooming of men
as effeminizing, but I will also perform these acts for the larger good of
pleasing the prince.”By way of a conclusion, we will turn to this same moment
in the second manuscript edition, or seconda redazione.48 Here Ottaviano’s
passage appears in Book Three (the final book of the manuscript). It is spoken
by Gasparo and, most importantly, the condemned effeminate activities are not
routine courtly behavior, but belong to young courtiers in love: Do you not
believe that the young would be doing a much more praiseworthy thing if they
were to concentrate on arms to defend the patria, their own honor, and the
dignity of Italy, rather than to go around with their hair all coiffed,
perfumed, and strolling through the neighborhoods with their eyes glued to the
windows above without considering anything in the world except their own
priorities? And what purpose do these devices and mottoes and elegances of
dress serve other than vanity and frivolity? And what is the point of dancing
at balls and masquerades as well as games and music (and other such things that
you praise so much)? What do these things offer other than to give birth to the
effeminizing of men’s spirits as well as corrupting and reducing youth to a
delicious and lascivious life? Whence, as Signor Ottaviano so well says, it
comes about that the effect of all this is that the Italian name is reduced to
opprobrium, and one cannot find a man who dares, I will not say die, but even
to risk any danger. And all of this is the cause of women. (Translation mine)
Non credete voi che li giovani facessero opera più laudevole, se attendessero
all’arme per difender le patrie e l’onor loro e la dignità de Italia, che andar
con le zazare ben pettinate, profumati, passeggiando tutto dì per le contrade,
con gli occhi alle finestre senza pensare cosa alcuna di quelle che più
gl’importano? e queste imprese e motti et attillature insomma a che servano
altro che a vanità e leggiereze? e danzare e ballare e mascare e giuochi e
musiche e tai cose, fatte con tanta diligenzia e che voi tanto laudate, infine
che partoriscono altro che effeminare gli animi, corrompere la gioventù e
ridurla a vita deliziosa e lascivissma? Onde, come ben talor dice el signor
Ottaviano, ne nascono poi questi effetti che il nome italiano è ridutto in
obrobrio, né si truova uomo che osi non dirò morire, ma purentrare in un
pericolo. E di tutto questo sono causa le donne. The manuscript passage, like
that of the final 1528 version of the Courtier quoted earlier, tells us that
men’s dancing, games, music, and elegance of dress are dangerous to Italian
sovereignty. However, there are important differences between these two textual
examples. In the seconda redazione, dressing and music, etc. are presented as
the vices specific to young lovers. This characterization of lovers fits
clearly within Gasparo’s stated distaste for any action that involves the
courtship of women. Additionally, Gasparo explains the relationship between
warfare andeffeminate behaviors in simple terms of time allocation; men should
choose to spend time fighting to “defend their homelands,” but instead they
focus on love. Thus, when he states that dancing, masquerades, and games
effeminize men’s spirits, it follows that this causal effect is at least in
part due to the fact that men are busied with these activities and not
fighting. When the author adapted the passage for the final version, he changed
not the effeminizing practices but the cast of the shameful men, and he removed
the phrase that explains that these practices simply took up too much of the
courtiers’ time. In Courtier Book Four, the list of mottoes, devices, dancing,
and dress are not described as what courtiers do to woo women, but rather, they
are general courtly practices. Indeed, Ottaviano mentions the previous
evenings’ discussions and takes aims at these activities and practices that are
described by Ludovico and Fregoso in Books One and Two.49 These courtly
practices were not performed to attract only the attention of women, but also
(and primarily) of men; in particular, these practices attracted the attention
of other courtiers and, most importantly, the prince. What Ottaviano offers his
peers is the chance to reclaim a masculinity of purpose, even while operating
in a gender paradox where dress and acts necessarily effeminized the men who
pursued this purpose. Ottaviano reclaimed courtly masculinity by denigrating
the necessary courtly practices and dress that enabled the courtier to pursue
virtue. His accusatory rhetoric allows the disempowered male to assert
masculinity even in the performance of dependency. Castiglione’s book enacted
the same performance as Ottaviano’s utterance; the book as a whole takes aim at
dress as effeminizing while explaining that such dress typified the ideal,
masculine, and virtuous courtier. These accusations of the practices of men
also served the larger function of the Courtier’s normativizing project, where
the “few men” who were responsible for the shame of Italy might be refashioned
into warrior heroes. The nagging question is just how aesthetics figured into
this degradation of Italy. It is doubtful that Castiglione (or any other
Renaissance writer) would suggest that changing one’s ruff les and sleeves
would be the key to defeating the French or the Habsburg empire, but why, then,
we should ask, did writers frame military defeat in terms of silks and ruff
les? It would seem that we still have much to learn about how aesthetics and
militarism functioned in the Renaissance projects of social control.Notes 1
Corio, Storia di Milano, 2: 1398–99: “il duca se misse una corazina, quale cavò
dicendo parebbe troppo grosso, puoi se vestì una veste di raso cremesino
fodrata di sibelline e cinto con uno cordono di seta morella la biretta.” 2
McCall, “Brilliant Bodies,” 472. 3 Varchi, Storia Fiorentina, Vol. 3, Book 15,
186. 4 Currie, Fashion, Introduction. 5 See, for example, Simons,
“Homosociality and Erotics,” Currie, Fashion, Biow, On the Importance, and
Eisenbichler, “Bronzino’s Portrait.” 6 Paulicelli, Writing Fashion, 3. On masculinity
and dress in the Courtier see Quondam, Tutti i colori and Currie, Fashion.7 All
Italian quotes of the Cortegiano are from the Garzanti edition. All English
quotes are from the Javitch edition (2002) of the Singleton translation. 8
Najemy, “Arms and Letters.” The hierarchy of arms is challenged by Ludovico
himself, who states that letters are the “true and principal” adornment of the
courtier. Moreover, Bembo argues that arms are actually the adornment of
letters; see ibid., 211. 9 Castiglione’s references to France change from
manuscript to print edition. In one of the earliest manuscript editions of the
book, he calls those who do not appreciate letters, barbari. Pugliese, “The
French Factor.” 10 For a discussion of Machiavelli’s position on arms and
letters see Najemy, “Arms and Letters,” 207–08. For a later discussion on the
danger of letters to arms see Stefano Guazzo’s “Del paragone dell’arme et delle
lettere” in which an interlocutor suggests that some people fear that letters
“si snervassero gli huomini Martiali,” Stefano Guazzo, Dialoghi piacevoli
(Piacenza: Pietro Tini, 1587), 167. 11 See Albury, Castiglione’s Allegory, 65.
12 Ludovico is here discussing the influence of literature on war rather than
the study of combat manuals. On Urbino’s master at arms, Piero Monte, who
published the “first significant combat manual ever to be printed,” see Anglo,
The Martial Arts, 133. 13 My reading on this passage differs from Najemy’s,
which argues that Ottaviano, in Book Four, implicates the courtiers as the few
bad men, responsible for Italy’s decline. 14 In Book One, Gasparo states that
music and other “vanities” “effeminar gli animi” of men. Quondam’s published
edition of Manuscript (L) Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnhamiano 409
shows that Castiglione originally phrased his concerns differently, without
using the word “effeminize”: “e cosi fatte illecebre enervare gli animi.”
Quondam, Il libro del Cortegiano. 15 On hegemonic masculinity, see Connell,
Masculinities, 77. 16 Although warfare is typically shown to be endangered by
courtly behaviors, there are some moments in which the court is shown to be
negatively affected by the presence of warriors; see Book I.17. 17 Newton,
Fashion, 1–5; Blanc, “From Battlefield to Court.” 18 On effeminacy in the
Courtier see Milligan, “The Politics of Effeminacy.” On effeminacy in the study
of pre-modern texts, see Halperin, “How to Do.” 19 Williams, Roman
Homosexuality, 125–58. 20 Olson, Masculinity and Dress; see chapter four in
particular. 21 See Blanc, “From Battlefield to Court” for a discussion about
several fourteenth-century chronicles that blame a sudden change in dress for
battles and plague. See also Muzzarelli, Breve storia; Mosher Stuard, Gilding
the Market; Sebregondi, “Clothes and Teenagers”; Muzzarelli, Guardaroba
Medievale. 22 Francesco Pontano, along with his brother Ludovico Pontano, was a
professor at the university of Siena. On Francesco Pontano see Marletta,
“L’umanista Francesco Pontano.” 23 “Il quale tanto più è vituperoso in loro in
quanto debbono in tutto essere rimoti da ogni vano e superfluo ornamento,
s’eglino debbono e vogliono esser detti veri maschi.” Pontano, “Dello integro e
perfetto stato,” 22. All translations are mine unless otherwise noted. 24 “Li
quali non minor tempo e industria mettono raschiamenti di coteche e
scialbamenti di gote e di collo e de’ vari pelatogi e scorticatogi, e di bionde
e d’acque sublimate e stillate, che si facciano le femine.” Ibid. 25 “Talché
oggidì l’uomo che fu fatto presso che pari agli angeli ’e di sotto a’ porci e a
qualunque altro sporco e vile animale.” Ibid. On dress and gender confusion in
early modern England see the essays by Epstein and Straub, Body Guards. 26 See
Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” which shows how preachers such as San
Bernardino da Siena complained about the erotic elements of tight hose and
short doublets. Ibid., 31 cites Sermon 37 of Prediche di San Bernardino vol. 3.
27 Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” 36. 28 Not all writers condemned male
dress. Leonardo Fiorivanti states that the only way to make this “miserable
world” better is to dress well and eat well, and that young men dress
extravagantly and then change their dress when they reach the age to marry and have
children. Fiorivanti, Dello specchio, Book I, chapter 9, 27. On the other hand,
Anton Francesco Doni (1513–74) and Scipione Ammirato (1531–1601) both criticize
military failings while discussing men’s dress and aesthetics. In language that
is contrary to modern notions of military discipline, writers such as Pio De
Rossi (1581–1667) suggested that the most courageous warriors were slovenly,
dirty, and untidy. De Rossi, Convito morale, 42. On Rossi see Biondi, “Il
Convito.” This mechanism functions similarly to the “hypocritical rhetoric of
self-censorship” identified by Carla Freccero in that an utterance pretends to
do one thing while performing a different function. Freccero, “Politics and
Aesthetics,” 271. On scholarly interpretations of sprezzatura see Javitch;
Rebhorn, Courtly Performances; and Berger Jr., The Absence of Grace. On the
“more compelling figure” see Rebhorn, Courtly Performances, 38; on the virility
of sprezzatura see Berger, Absence of Grace, 11. I borrow the term “manly
masquerade” from Finucci, The Manly Masquerade. How Renaissance writers
characterized the pre-dressed (naked) man as masculine or effeminate is
discussed by Paulicelli, Writing Fashion, ch. 3. According to Berger,
Castiglione casts an idyllic, unreal version of Urbino. Berger describes how
Castiglione discloses to the reader his process of casting Urbino as unreal in
a “metapastoral” gesture Berger, Absence of Grace, 119–78. On this passage see
Quondam, Questo povero cortegiano and Milligan, “The Politics of Effeminacy.”
See Currie, Fashion; Paulicelli, Writing Fashion. On Classical examples see
Williams, Roman Homosexuality. Castiglione himself cites an ancient anecdote of
Darius III, King of Persia (336–330 b.c.), told by Q. Curtius Rufus,
Historiorum Alexandri Magni III, 6. For Renaissance examples see Lando, Brieve essortatione,
which states that the Syrians have dominated the Italians through their
perfumes, and Lampugagni claims that Italians follow French fashions like
monkeys, Della carrozza da nolo. Lampugnani also complains of women who seek to
“dis-Italianize” themselves by adopting foreign fashions. De Leon, Discorsi
novi, published in Spanish in 1605. “E, quando in Italia cominciarono a
vestirsi all’usanza di Francia, molti ciò mirando con prudenza temerono, che i
Francesi havessero a mal trattargli; e non s’ingannò l’anima loro, come fra
pochi giorni mostrò il successo. Di modo che la natione, che lascia la sua
foggia di vestito antica, e naturale per imitare quella de’ Regni stranieri,
ben può temere, che Dio non la castighi con guerre, persecutione, rubamenti, e
mali trattamenti che le faranno fatti da coloro, i cui habiti ella va
imitando,” 628. Cox, The Renaissance Dialogue, 54. On Ottaviano’s interjection
see Rebhorn, Courtly Performances, Albury, Castiglione’s Allegory, and Quondam,
Questo povero cortegiano. Berger does not characterize courtliness as weak or
effeminizing; he instead states that the successful performance of sprezzatura
demonstrates a certain virile mastery. Berger, Absence of Grace, 1–12. In his
“Education of Boys” Aeneas Silvio Piccolomini suggests that clothing can make
boys soft and effeminate. He particularly warns against feathers and silk.
Piccolomini, “The Education of Boys,” 71. Basilio Ponce de Leon, Discorsi
(Italian Translation 1614) suggests that clothing makes spirits effeminate and
soft “Legislatori antichi giudicarono così (e la isperienza lo insegna) che non
tanta delicatezza di vestiti si assottigliano gli animi, e di virile, e forti
divengono bassi effeminate e molli,” 626. Some assert that Ottaviano’s response
might be due to his “republican” leanings. This seems to be overstated given
that Ottaviano was the nephew of Guidobaldo de Montefeltro, spent much of his
childhood at the Urbino court, and was himself a prince of Sant’Agata Feltria.
In response to how a courtier should dress, Federico responds “Voi lasciate una
sorte de abiti che se usa, e pur non si contengano tra alcuni di questi che voi
avete ricordati, e sono quegli del signor Ottaviano.” Castiglione, Seconda
redazione, II.26, 110.46 See, for example, letters 29 and 30. Castiglione, Le
lettere, Ottaviano’s censoring of courtly dress follows Carla Freccero’s
analysis of “’hypocritical’ rhetoric of self-censorship,” in that it is as much
about establishing identity groups as it is about a sincere rebuke of argument.
Freccero, “Politics and Aesthetics,” 271. 48 For a useful review of the
manuscript revisions to the text, see Pugliese, Castiglione’s “The Book of the
Courtier”, 15–24. 49 “Estimo io adunque che ’l cortegiano perfetto di quel modo
che descritto l’hanno il conte Ludovico e messer Federico, possa esser
veramente bona cosa e degna di laude; non però simplicemente né per sé, ma per
rispetto del fine al quale po essere indirizzato” (4.4) Castiglione, Il libro
del Cortegiano, ed. Nicola Longo, 367.Bibliography Albury, W.R. Castiglione’s
Allegory: Veiled Policy in the ‘The Book of the Courtier’. Farnham: Ashgate,
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How the sausage and carne battled for gastronomic and social prestige in
Renaissance literature and culture Laura GiannettiIn Girolamo Parabosco’s
comedy La fantesca (published in 1556) the sexual activities of a maid, the
young cross-dressed Pandolfo who impregnated his young lover Giacinta, were
humorously referred to with a culinary metaphor, that of inserting meat in the
oven: People, the female servant has become a male in two houses at once as you
have seen. And she has shown that she is a better cook than a housekeeper,
because she knew better how to put the meat (carne) in the oven than make beds
or sweep the house. (V, c. 94)1 The Italian word carne with its multiple
meanings of meat, f lesh, and the masculine sexual organ commonly served as a
tool for clever word play in Italian literature from the Decameron to the Canti
carnascialeschi and enjoyed a renaissance of its own in sixteenth-century comic
prose, poetry, letters, and everyday language.2 The early modern dietary corpus
reinforced the religious association between eating meat, gluttony, and lust.
All nutritious food, in particular meat, created more blood than needed by the
body; therefore the surplus translated into an extra production of sperm, which
in turn fueled the sex drive.3 A traditional view of the link between gluttony
and lust holds that biblical accounts of the Fall considered gluttony the
opening door to lust, although the Garden of Eden’s transgression consisted in
eating the forbidden fruit, a fig or an apple according to different versions,
and not eating immoderately. Many medieval theologians and then Pope Gregory
the Great, a medieval doctor of the Church, defined gluttony mainly as a desire
to stimulate the palate with delicacies, while also exceeding what was considered
necessary for basic nourishment and health.4 But then he drew a more precise
connection between the two sins and differentorgans of the body: “when the
first (stomach) fills up excessively, inevitably, the other are also excited to
sin.”5 Gluttony excites the senses and therefore can carry the sinner to sins
of the f lesh. In Dante’s Inferno, and following Aristotle’s Nicomachean
Ethics, incontinence (of desire) was the link between gluttony and lust. Paolo
and Francesca in Canto V are among the “peccator carnali, / che la ragion
sommettono al talento” [Inf. 5.38–39]). Although for Dante gluttony was a sin
worse than lust, the common vision at his time was that eating immoderately and
lusting were both sins of carne, the f lesh.6 If early theologians’ readings
discussed gluttony without referring to a particular food, it was meat that
later became the preferred target of moralists and came to be associated with
ideas of lasciviousness and lust. Traditionally, animals such as the boar, pig,
wolf, and/or ape in late medieval and early Renaissance visual and prescriptive
sources represented luxuria7 and gluttony, as inextricably and negatively
bonded together.8 Sixteenth-century prints, paintings, broadsheets, and emblem
books kept those associations alive in society and culture even as the
associations between those animals and gluttony or voracity often surpassed
their association with luxuria.9 Sins of the f lesh were often symbolized as
sins of carne in the sense of meat.10 But before delving into the imaginative
perceptions and symbolism attributed to meat-eating it is advisable to recall
brief ly what the lived practice and experience of consuming meat in medieval
and Renaissance Italy involved. Symbol of power and violence, masculinity and
aggressive sexuality, luxury and abundance, meat was often associated with the
aristocracy and its lifestyle.11 As Massimo Montanari and Alberto Capatti have
shown, in the Middle Ages the noble table first saw a triumph of big game
gained through hunting but later the preference was directed more toward
smaller game such as pheasants, quails, and/or farmed animals, like geese and
capons. The new court nobility of the twelfth century no longer identified with
the warriors’ taste for big, bloody game.12 Gross and nutritious meat was now
left to peasants, usually in the form of pork. City dwellers also enjoyed the
meat of the pig in the form of sausages but strove to differentiate themselves
from the rural inhabitants by buying and eating veal, beef, and small birds.
Although Fernand Braudel famously called “carnivore” the period in Europe
between 1350 and 1550,13 Italians of the period had other food resources and
could not, and often did not care to eat meat every day. Nonetheless, eating
meat, and especially good meat, remained an indicator of social elevation and
offered the promise of good health. The preference of the new court nobility
for small birds and farmed animals received the approval of contemporary
doctors, who exalted birds as a source of exceptional nutritional value, with
the caveat that it was best suited to an aristocratic diet.14 It was not just
the symbolic and nutritional value that was considered important; in dietetic
tracts partridges and quails excelled also for their delicate taste and their
lightness. But not all agreed. Vatican librarian and gastronome Platina
(1421–81) was more open to the pleasures of eating a much wider range of meats,
demonstrating more catholic tastes. His De Honesta Voluptate et
Valetudine(first Italian edition 1487) is full of numerous recipes that
included poultry, organ meats, fowl, pork, and sausages. Still much like many
doctors, cooks, and courts stewards, he agreed that meat in general was a food
healthier than others and had an elevated nutritional value.15 The reputation
of meat as a primary source of nourishment and good health continued in the
sixteenth century, and was particularly strong among surgeons, medical
practitioners, and professors of “secrets.” A Spanish “surgeon and empirical
doctor”16 who lived in Rome, Giovan Battista Zapata (ca. 1520–86), claimed that
all meat products sustained good health, as long as they were roasted with a
rosemary oil and a mixture of other herbs and spices, and were accompanied by
good wine.17 Zefiriele Tommaso Bovio (1521–1609)—a Veronese nobleman and lawyer
who later became a medical practitioner—wrote a treatise at the end of the
sixteenth century against the “medici rationali ” who wanted to impose a strict
meatless diet on sick people. He claimed that doctors knew that eating good
meat and drinking wine had the power to restore health but kept the secret to
themselves for fear of losing fees from patients who recovered from illness and
stayed healthy eating meat.18 The nutritional value of meat was thought to rest
on the idea that meat could transform into the substance, the very carne, of
the human body. The steward Domenico Romoli affirmed in his cooking manual that
those who invented the eating of meat did it both for taste but especially for
health reasons: they knew that “more than any other food, it is meat (carne)
that makes f lesh (carne).”19 In his view eating meat meant literally giving
nutriment to human f lesh.20 Renouncing meat, however, was a crucial
requirement for early Christian hermits and monks. It represented unequivocally
the mortification of the f lesh and contempt for the body, although numerous
sources show that meat-eating in many monasteries was fairly normal. In
general, the suspicion of meat running through Christian texts in the period
appeared to be based on an association of the eating of meat with fears of the
f lesh and sexual incontinence. San Bernardino’s preaching in the fifteenth
century aggressively linked meat consumption with unruly sexuality and was
particularly severe on policing widows and youths’ eating practices. He
represented the extreme side of a widespread religious censure of culinary
pleasures and the sense of taste, emphasizing the presumed dangers of uniting
desire for meat and unruly sexuality.21 Outside of the monastic world,
religious proscriptions on food dictated that for periods of fasting, such as
Lent, abstinence from animal f lesh, meat, poultry, and eggs, was mandatory to
mortify the body and its appetites. And Lent was not just the forty days that
followed Carnival; every Friday and many vigils during the year were Lenten
days when meat was proscribed as well.22 How much weight did this religious
censure or the ideology of the ascetic abstention from eating meat actually
have? Apparently not much in everyday life or culture. The desire for meat,
originally condemned as gluttony and a carnal practice that took one away from
the life of the spirit, was often identified in theliterary imagination with
positive expressions of sexual desire. The longstanding Christian prohibition
against eating meat associated gluttony and illicit sexuality, and the Galenic
dietary theory reinforced this, claiming that the body of the meat eater would
have a surplus of blood and thus an increased sex drive. Literary sources
valorized the gastronomic desirability and sexual powers promised by eating
meat. Slowly but surely the sexual/alimentary play on carne as food and f lesh,
positively portrayed in imaginative literature and culture of the sixteenth
century, battled successfully against earlier moralistic discourses insisting
on restraint of the body and its instincts.23 The emerging cultural war of the
period opposed a disciplining view of the body and posited the increasing
importance of pleasure and taste in both life and literature, with the
enjoyment of meat, carne and f lesh, at their very center.Appetite for meat in
literature Returning to the courtly taste for birds in the Renaissance, the
link between eating birds and the lustful consequences that followed was
visible in literary texts, fresco cycles, and dietary discourses, albeit with
different meanings. While Dantesque Inferno punishment scenes in late medieval
Italian dietary treatises and church fresco cycles dwelt on the negative
consequences of eating birds or eating too much meat, literary texts presented
a competing discourse. Giovanni Boccaccio’s Decameron, novelle collections such
as those by Niccolò Sacchetti (ca. 1332–1400), Giovanni Sercambi (1348–1424),
Anton Francesco Grazzini (1503– 84), and Niccolò Bandello (1485–1561), and many
satirical and licentious poems, all exploited the phallic meat metaphor to
elicit laughter as well as sexually allusive word-play.24 Boccaccio made clear
in his Conclusione to the Decameron that the obscene language he had used came
from everyday usage and included words from the culinary world: It is not more
shameful that I have written words that men and women spell out continuously
such as hole, peg, mortar, pestle, sausage, and mortadello. Dico che più non si
dee a me esser disdetto d’averle scritte che generalmente si disdica agli
uomini e alle donne di dir tutto dì foro e caviglia e mortaio e pestello e
salsiccia e mortadello. Many contemporary tales depict adulterous lovers or
lovers-to-be enjoying meals with game, fowl, and poultry in preparation for the
carnal pleasures to come. The “carne” metaphor to designate the male member had
a notable literary tradition. Giovanni Sercambi’s Novelliere (written ca.
1390–1402) presents many instances of the metaphorical/sexual use of the word
carne, in some cases distinguishing between “raw” and “cooked” meat to indicate
the male sexual organ and actual meat.25 In the novella “Frate Puccio e Madonna
Alisandra,” Pseudo-Sermini26 plays on the double meanings of food and sex and
the pleasureof tasting the meat and its f lavor.27 The metaphor of “fresh meat”
to indicate the male sexual organ continued unabated in the sixteenth century
as seen in a laughing novella by the Sienese Pietro Fortini (ca. 1500–ca. 1562)
where a lusty friar offers a pound of “carne fresca” for free to a young woman
with the excuse that religion does not let him enjoy meat that day. The novella
naturally ends with the friar being beaten by the woman’s husband and with the
laughter of the brigata listening to the story.28 The offer of an attractive
bird for a meal often opened the way to a carnal relationship. In one
sixteenth-century novella by Grazzini, the priest Agostino, enamored of his
parishioner Bartolomea, decided to entice her with the offer of a large and
plump duck. Bartolomea, who was a woman of “easy taste” (buona cucina), let him
inside her house and made love to him with the hope of gaining the duck. But
the early return of her husband allowed the priest to escape with his duck,
leaving her literally empty handed. Agostino bragged cleverly that she would
never find another duck, or another member, so large and plump. But, as often
happens in Italian novelle, women were cleverer than their lovers. Bartolomea
was no exception; when Agostino came back with a duck and two capons to make
peace and love again, she got her revenge. With the help of her husband she
beat him and sent him away barely able to walk, keeping the birds to enjoy with
her husband.29 In this novella, birds carried out their multiple roles: they
were an enticing and valued meat, able to stimulate the senses at many levels
but also able to transform gluttony and lust into laughter and pleasure. In
sixteenth-century comedies, birds such as partridges and pheasants could serve
as domestic aphrodisiacs, for both old men and young. In Donato Giannotti’s
comedy Il vecchio amoroso (written ca. 1533–36), old Teodoro, in love with the
young female slave his son has brought home from Sicily, organizes a banquet
where the food includes delicacies like fat capons, birds (starne), and
pigeons, served with wine and sweets, in order to prepare him for the rigors of
lovemaking.30 The meat of birds was believed to arouse lust because it was seen
as hot and moist; for this reason Messer Nicomaco, in the comedy Clizia, plans
to eat a half bloody pigeon before his night of love with the young Clizia.
Perhaps because of this popular belief, or perhaps because it was the most
prized and elegant type of meat, Pietro Aretino, in one of his letters from
Venice in 1547, invites the painter Titian to a dinner at his house with a
famous courtesan, Angela Zaffetta, promising that the main dish to be served
would be roasted pheasants.31 Adulterous lovers with their lascivious dinners
were the protagonists of a great number of plays and novella. Some specific
language used in sixteenthcentury poetry, dialogues, and comedies also
suggested that the desire for meat was closely connected to the practice of
sodomy.32 A type of meat that was used euphemistically to signify sodomy,
either with men or women, was the young male goat or “capretto.” Pietro Aretino
in his Ragionamento (1534) used the masculine gender and the diminutive form of
“capretto” to indicate the act of sodomy with a nun, in obvious contrast with
the word “capra,” the adult goat used to refer to vaginal sex. In describing a
moment at an orgy in a convent, Aretino exploited the culinary metaphor of meat
to its fullest: Tired, at the first morsel of the goat he asked for the young
goat . . . I tell [you] that as soon as he got it, he stuck inside
the meat knife and madly enjoyed seeing it in and out . . . stucco al
primo boccone della capra, dimandò il capretto [. . .] dico che
ottenuto il capretto, e fittoci dentro il coltello proprio da cotal carne, godea
come un pazzo del vederlo entrare e uscire. (Emphasis mine) 33 Matteo Bandello
similarly narrates a tale about Niccolò Porcellio, humanist, poet, and
historian at the court of Francesco Sforza in Milan, and well known for his
notorious passion for young boys. Bandello expresses Porcellio’s desire with
the culinary euphemism: he loved “la carne del capretto molto più che altro
cibo” (he always preferred the meat of the young male goat much more than any
other food). In his final confession, he justified his vice as the most natural
thing in the world because it corresponded to his natural taste, and it was a
“buon boccone”: Oh, oh, Reverend Father, you did not know how to interrogate
me. Playing with young boys is for me more natural than eating or drinking to a
man . . . go away as you do not know what a good morsel is
. . . oh, oh padre reverend, voi non mi sapeste interrogare. Il
trastullarmi con i fanciulli a me è più naturale che non è il mangiar a il ber
a l’uomo . . . andate andate che voi non sapete che cosa sia un buon
boccone.34 Porcellio insisted that his sexual behavior—the preference for young
male goat meat—was as natural as it was natural to eat and drink for humans.
His narrator Bandello explained first that Porcellio was forced to marry by the
Duke in order to soften the opinion people had of him as someone who always
preferred “the meat of young goat.”35 The food metaphor, so widely employed in
the novella, was indeed perfect to address his sexual desire as a manifestation
of taste, which can vary according to different people. Contemporary literature
of the Land of Cockaigne included fantastic maps of Cuccagna [Cockaigne in
Italy] where meat, in all of its incarnations, for rich and for poor, was
center stage, while the theatrical Battaglia fra Quaresima e Carnevale regularly
ended with the victory of Carnival and meat eating.36 The carne of the
lascivious goat and luxurious hot birds were generally enjoyed by the rich. Yet
it was the meat of the more humble pig, in the form of sausages that became
dominant in sixteenth-century literature as a food easily conducive to sexual
play, gastronomical delights, and a festive world.The triumph of the sausage
The Allegory of Autumn by Niccolò Frangipane, a follower of Titian, is a
remarkable painting displaying a lascivious satyr who sticks one finger into a
split melon and with his other hand grabs a sausage on top of a table full of
other autumn produce. In the cultural imaginary and in the common understanding
of the period, that sausage in hand proclaimed with a perverse smile that it
was known as a type of meat that promised and was well suited for indulgence,
alimentary and sexual.37 The metaphorical use of the term “salsiccia” was not
new. Many tales in Sercambi’s Novelliere, fifteenth-century carnival songs, and
humorous and popular print allegories of Carnival used the same metaphor
associating the consumption of meat/sausages with the pleasures of the senses,
especially sexual pleasures. In one novella by Sercambi, a libidinous widow
living with her brother, who had not arranged for her to marry again, realizes
that there is a similarity between the sausages her brother brought home and
the instrument with which her dead husband had made her happy. She decides to
satisfy “the need she had of a man” using those sausages as an instrument of
pleasure and consumes them little by little until discovered by her brother. 38
A popular sixteenth-century print studied by Sara Matthews-Grieco shows an old
lower-class woman selling a sausage during Carnival, just before the time of
Lent, when both meat and sexual intercourse will have to be forgotten. While
Sercambi’s humorous novella does not attack the widow, who is described as
young and naturally deprived of sexual pleasure, the prints and grotesque
portraits studied by Matthews-Grieco, more often cruelly satirize old
lower-class women desirous of sausages. 39 Pork occupied a particular cultural
space in the realm of meat of the time. Far from high-class birds, or
middle-class poultry and veal, the pork sausage was the food of the poor, the
peasant, or at best, the uneducated.40 Sausages, particularly pork sausages,
were a food appealing to taste but otherwise problematic as gross, humid, full
of fat, and unsuited to a delicate stomach—or so claimed several early modern
doctors and apothecaries. Humoral physiology dictated that the f lesh of a hot
and humid animal would be beneficial only to a person with a cold temperament
who needed to adjust his/her complexion: people with predominantly moist/hot
humors should therefore avoid pork.41 Practice was, however, more complex. Some
doctors associated with the Galenic revival of the fifteenth and sixteenth
centuries promoted the meat of pig as nutritious and easy to digest, although
more suited to physical workers. In fact, for all the undesirable
characteristics noted, the idea that pork was nourishing and healthful enjoyed
wide circulation in dietaries and medical treatises. From there, it was added
as a significant qualifier to the traditionally unfavorable descriptions of
pigs, and ultimately found its way into comic and burlesque literature, where
it merged with the well-established carnivalesque passion for fat meat and
gastronomical excess. The Galenic revival maintained descriptionsof pork as
gross and humid, but gave more positive press by affirming that it was a
nutritious meat. Indeed, despite these warring visions, the sausage and pork
continued to win their battles in both literature and life.42 Even with their
negative medical and social reputation, sausages had had their partisans in the
gastronomical world for at least two centuries. Platina provided a general and
expected warning against the meat of pork at the beginning of Book VI (“you
will find pork not healthful whatever way you cook it”) but then offered three
recipes for sausages, all derived from maestro Martino: pork liver sausages,
blood sausages, and the range of sausages known as the Lucanica.43 Platina was
more interested in showing how to cook and smoke the meat of pork than in
talking about social suitability. He included an elaborate recipe for roast
piglet stuffed with a mixture of herbs, garlic, cheese, and ground pepper,
beaten eggs, slowly cooked over a grill. At the end of this tempting recipe, he
added the usual medical advice: “The roast piglet is of poor and little
nourishment, digests slowly, and harms the stomach, head, eyes, and liver.”44
While the roast piglet was ostensibly not a fare suitable for higher classes,
Platina’s detailed recipe and the ingredients used meant that the medical
proscriptions against pork were losing ground to the culinary practices of
courts and an emerging gastronomical culture. In a similar way, Marsilio
Ficino, who considered pork a meat more suitable to laborers who already had
pig-like physical features, admitted that dressing pork with expensive and
luxurious spices could transform it into a valuable food.45 Significantly, in
this vein, a testimony by Cristofaro da Messisbugo (late
fifteenth-century–1548), steward at the court of the Este in Ferrara, showed
how dressing up pork and sausages elevated such meat above its common status as
a food prescribed for rustic people. Messisbugo’s cookbook, Banchetti,
composizioni di vivande et apparecchio generale (published in 1549), exalted
the famous “salama da sugo,” still today a renowned Ferrarese specialty. In his
recipe he explained how the less noble parts of pork were mixed together with
expensive spices such as cloves, nutmeg, and cinnamon to create a dish that the
Este family appreciated. Apparently, the salama was served especially at
wedding banquets because of the reputed aphrodisiacal quality of its spicy
sauce.46 Sex, pleasure, and taste were clearly winning battles for the
once-humble sausage. The salsiccia, fresh or cured, also took center stage
among a group of bawdy poems on fruit, vegetables, and other humble foods,
authored by three of the most representative poets writing in the bernesque
style, Anton Francesco Grazzini, Agnolo Firenzuola (1493–1543), and Mattio
Franzesi (ca. 1500–ca. 1555). Firenzuola composed a canzone, and Grazzini and
Franzesi capitoli, praising pork sausage for its alimentary and sexual
properties, and demonstrating its social primacy over “superior” foods such as
pheasants and capons. And, as if in a philosophical debate, these poems
regularly elicited long, scholarly, and often obscene prose comments. The
erotic allusions of their verses were clearly associated with the consumption
of meat during Carnival, suggesting both the literal consumption of carne as
meat and of carne as f lesh of a more sexual variety.47 As we have alreadyseen,
pig meat had a mixed reputation because it was considered dangerous on one hand
and nutritious on the other. Imaginative literature built upon medical and
gastronomical culture to produce a more complex vision that allowed
considerable room for ambiguity and ambivalence. Pork never entirely lost its
reputation for promoting debased gluttony and pig-like manners, but it also
gained a more positive reputation as a pleasurable food suitable for both
peasants and upper classes to enjoy, as these poems demonstrate.48 The “Canzone
del Firenzuola in lode della salsiccia,” written between 1534 and 1538 by the
Florentine poet and dramatist,49 boasts of the primacy of his writing on the
sausage and plays on the double erotic sense: “Since no fanciful poet / has
dared yet / to fill his gorge with the sausage” (“poi ch’alcun capriccioso /
anchor non è stato oso / de la salsiccia empirsi mai la gola”).50 He concludes with
an invocation to the canzone itself to go and tell the poets’ friends in
Florence the secrets of this most perfect food.51 Probably written in Rome
while he was a member of the academy known as the Virtuosi52 and followed by an
ironic prose commentary signed by a mysterious Grappa,53 the poem recognizes
its affiliation with the bernesque poets. Yet it humorously affirms that they
deserved an herb crown on their head because they lauded the oven, figs, and
“boiled chestnuts” but not the sausage, “the most perfect food.”54 Firenzuola
presented the pork sausage produced in Bologna as a food worthy of poets but
good also for rich priests and lords, learned men, and beautiful women. He
argued that it had a better reputation than the highest priced meat of the
time, veal. The poem blended sexual innuendos and gastronomical discussion in
its overtly simple description of how to make the sausage. And following the
bernesque tradition, it mocked doctors’ recommendations about when to eat
certain foods and reassured readers that the sausage “is good roasted and
boiled, for lunch or for dinner, before or after the meal”; all these
prepositions suggested different parts of the body and different types of
sexual intercourse.55 Firenzuola then adds what he labels a “beautiful secret”:
never use the sausage during the hot months of summer but wait until August has
passed. According to Aristotelian physiology, men who are already by nature hot
and dry are less potent in the summer when the excessive heat of the season
takes away their sexual force.56 Nonetheless, he argues that even old men who
have lost their heat can be young again thanks to the mighty sausage.57
Finally, and appropriately, for his reportedly polymorphous tastes, Firenzuola
concluded that one could make sausages with “every type of meat,” referring to
all possible sexual practices.58 The sausage’s morphology, then, links it to
the male member and to its features that could be seen both as gastronomic and
sexual: Sausages were ordered from above / to amuse those who were born into
the world / with that grease that often drips from them; and when they are
cooked and swelled / you can serve them in the round dish, although a few today
want them with the split bread. Fur le salsiccia ab aeterno ordinate / per
trastullar chi ne veniva al mondo / con quell’unto che cola da lor spesso; et
quando elle son cotte e rigonfiate, le si mettono in tavola nel tondo. / Altri
son, che le vogliono nel pan fesso, / ma rari il fanno adesso; / che il tondo
inver riesce più pulito, / né come il pan, succia l’untume tutto.59 When a
sausage is cooked and ready to serve, Firenzuola advised, it would be best to
display it on the table “nel tondo” (the round dish and, metaphorically, the
bottom) although others preferred it served with the “pan fesso” (split bread
or, metaphorically again, a woman’s genitals). But there are few who prefer the
latter today, Firenzuola added. As a Florentine, he prefers the domestic
Florentine sausage, large and firm, red and natural, and encased in clean skin.
The metaphors roasted or boiled and the adjectives “tondo” and “ fesso” (round
and split/foolish), refer to sodomitical and heterosexual encounters, while
also alluding to different gastronomical appetites. The poem concludes in an
ecumenical and procreative tone, affirming that the creation of sausages was
intended to give pleasure and utility to everyone, but in the end the good
sausages would always be the reason why men and women were born into this
world.60 Firenzuola’s poem affirms that while the sausage is for everybody and
every taste, gustatory and sexual, when served “after” and roasted it is good
only for upper classes. Like other bernesque poets, he seems eager to assign a
higher social status to this “popular” (and economic) food. In fact, usually it
was roasted fowl and roasted meat that was theoretically reserved for upper
classes. Since he is suggesting sodomy with the reference to roasted meat, that
sexual practice is seen as the nobler activity, although forbidden. Elevating a
lower-class food to a higher status was the perfect metaphor for speaking in
favor of sodomy and introducing social values along with the sexual. What
function did this type of poetic imagery serve in a period when sodomy was a
crime and even the depiction of non-sodomitical sexual acts in an artistic work
such as I Modi proved to be so controversial? It seems likely that images had
more power to move viewers than writings, but in an era of printing
reproduction, cheap copies of poetry, like the one produced in the Vignaiuoli
and Virtuosi circle, could circulate outside an intended audience of
intellectuals and fellow poets. It is therefore difficult to assess the impact
of these texts, but the humor and the metaphorical language dedicated to meat,
vegetables, and fruits may have helped allay the anxiety among authorities,
both religious and civic, about the diffusion and circulation of writings
exalting sodomy.61 The long Capitolo in lode della salsiccia by Anton Francesco
Grazzini, which is followed by an erudite and playful prose commentary by the
same author, extolled the sausage mainly from a gastronomical point of view,
humorously contrasting its attractions with moralizing medical lore, and
interweaving it once again with sexual innuendos.62 Presenting himself as a
knowledgeable gastronome, Grazzini also praised the primacy of the Florentine
sausage, superior to capons, partridges, and all the meat of birds, as well as
to highly prized fish such as lampreys and eels.63 After defining it as a meal
worthy of poets and emperors, and begging Greece and Rome to recognize the
superiority of the sausage made in Florence, Grazzini once again lauded its
colors and its appearance. In addition, much like the cookbooks of his day, he
listed its ingredients: well-ground lean meat and fat from the pig, salt and
pepper, cloves, cinnamon, oranges, and fennel, all stuffed in a case of animal
intestines.64 However, he clarified that his intent was not to explain how to
make it but to laud the sausage’s beauty, taste, and goodness. And citing the
process of stuffing, “imbudellar la carne,” Grazzini took the opportunity to
shift the poem from the culinary to the sexual. He saluted women who always
wanted to have their body full of sausages because they are good and
healthy—another battle won in the same sausage wars.65 The prose Comento sopra
il Capitolo della salsiccia di maestro Niccodemo dalla Pietra al Migliaio, also
authored by Grazzini, makes clear that although women love the sausage, the
double sense is again a reference to sodomy. The “buona carne,” well done, well
cut, and making a good show when displayed in the round dish, once again is a
pretext to laud the male bottom. Furthermore, the view of the tagliere wins
over all the other poetic images (including those taken from fragments of
Petrarch’s poems) such as eyes, hair, breasts, or feet of Beatrice and Laura.66
A long section of the Comento on the gastronomical virtues of pork begins with
a verse from a sonnet by Petrarch dedicated to the name of Laura: “O d’ogni
riverentia et d’honor degna.” In this line he humorously shifts abruptly from
Petrarch’s words honoring his beloved Laura to the more mundane culinary and
sexual wonders of pork, the only meal worthy of poets and emperors.67 Even
Petrarch’s untouchable Laura takes her blows in the sausage wars. Throughout
the long prose comment on his own poem on the pork sausage, Grazzini attacked
Petrarchan poetry and current medical lore regarding sausages and pork’s meat.
The playful observations on the ability of the sausage to heal every
illness—while maintaining a sexual overtone—reads like a learned medical
prescription listing several herbs and substances used by apothecaries to
prepare their confetti, pills, and tonic drinks.68 Yet Grazzini also made the
straightforward culinary point that Florentine pork and lard, key ingredients
in their sausages, were exceptionally good for roasting and frying as well as
the essential ingredient for making the popular bread with lard called pan
unto. The attraction to lard, the white fat of pork, was echoed in a poem by
the author and translator Lodovico Dolce (1508–68), “Salva la verità, fra i
decinove,”69 dedicated to a gift of wild boar he had received from a friend.
This wild pork is defined as “a magnificent and regal gift” whose rich fatty f
lavor “will make Abstinence die of gluttony and Carnival lick his fingers.” 70
His enthusiasm for lard in the poem leads to a dream where Dolce witnessed
himself, in an Ovidian fashion, metamorphosed into a succulent sausage, rich
with fat dripping from the extremities of his body.71 Dolce gave the transference
theory of Renaissance doctors a positive spin, since eating pork actually
transformed him if not into the animal itself, into its gastronomical essence
and pleasure. Accordingly, his poem exploited the common ideaof closeness and
fratellanza between pigs and humans in an iconic and paradoxical way that
privileged the sausage.72 The third poem on sausages was written by Mattio
Franzesi who dedicated it to a certain “Caino spenditore,” a friend presumably
in charge of food provisioning in Florence.73 Franzesi employs the language of
gastronomy in an amusing pairing with quotidian language referring to sodomy.
The sausage is called “buon boccon” (excellent morsel) and “boccon sì ghiotto
and divino” when it is paired again with the beloved specialty panunto, declared
superior to two famous upper-class foods, the impepato and marzipan.74
Franzesi, like Dolce, describes the panunto or slices of bread with sausage
inside as a divine and gluttonous morsel, definitely superior to luxury foods
like the beccafico, a fat and fresh songbird.75 Moreover, the salsiccia does
not cost much and can be used in many different ways to sustain a meal: it can
substitute for a salad (i.e., a woman)76 and priests in particular use it often
because they do not need to cook it but can just warm it up between their
hands. All the affirmations in Franzesi’s poem can be read in a double sense,
as gastronomical discussion or as a metaphorical way of talking about the
phallussausage and its pleasures. He refers with technical precision to the gastronomical
side of sausages, even when metaphorically discussing sexual acts.77 The
sausage is better than prosciutto (both come from pork), when boiled (used with
women), and is a good meal for sauces and “guazzetti ” (sauces). Moreover, all
the birds in the world would be like truff les without pepper and confetti
without sugar, if not accompanied by sausages. A meal with sausages is a meal
for taste and pleasure, not a meal for nourishment. Franzesi then describes its
shape, and how to make a good-tasting, good-smelling sausage, using spices,
herbs, and the unique ingredient for Florentine sausages, fennel. The poem ends
with a list comparing the sausage in the panunto as equal to Florentine
gastronomical specialties, such as the ravigiuolo cheese with grape, cheese
with pears, old wine with stale bread, and others. Exalting a humble subject
fitted well with the agenda of the bernesque poetry that lauded simple
foodstuffs and everyday objects. But privileging sausages over songbirds was
clearly not just a rhetorical ploy because it implied a comparison between a
food for rustic people and a luxury food. Franzesi, like Grazzini before him,
contributed in his poem to elevating the social status of the pork sausage. It
was not simply a food “da tinello,” for poor courtiers used to eating the
leftovers of their lord, but a meal worthy of rich people and important
prelates.78 In sum, poets, novellieri, and dramatists from the fourteenth to
the sixteenth centuries took full advantage of the possibilities offered by the
different meaning inherent in the word carne. It allowed them to discuss
virility, sexual potency, masculinity, and sodomy under the guise of the
gastronomical discourse. The sausage poems fit well with the constant
preoccupation and advice of medical and dietary literature of the time on how
to ensure sexual potency. The novelle discussed sexuality between men and
women, endorsing a decisively masculine and traditional view that depicted
women as lusty and desirous of raw carne,which is able to heal every illness
and satisfy every need. The poems on sausages confirm this hierarchical vision
of sexuality dominated by the mighty phallus. Yet they also endorse a concept
of diverse gastronomical taste, lesso and arrosto, nel tondo or nel fesso, to
offer a variety of views of sexuality that responded to every gusto. These
poems on sausages were written in the cultural circle of the Vignaiuoli and
Virtuosi academies, well known in the period for their substantial corpus of
poetry dedicated to the comparison of fruit and vegetables to sexual organs and
sexual acts. The not-so-covert sexual sense of most of those poems exalted
sodomy, in their praise of peaches or carrots, or sexuality with women in poems
on salads and figs. Poems on the mighty sausage covered all the bases of
sexuality, although with a preference, often openly stated, for male–male
sexuality. Intriguingly, the poetic and linguistic play on carne in the form of
sausage allowed lengthy descriptions of an Italian and Florentine gastronomic specialty
of the time, totally ignoring the negative vision of pigs as gluttonous, dirty
animals presented by dietary literature. Since gluttony was the quintessential
behavior represented by pigs, what better way to reclaim pork in the sausage
wars than to use it to symbolize gastronomical richness and sexual variety? If
sins of the f lesh were often symbolized as sins of carne in medieval times,
now in a perfect reversal the pleasures of the f lesh were symbolized by the
pleasures of eating meat in all of its variety, thanks in part to these sausage
wars. Thus, while a moral and disciplinary vision tried to control the
discourse on food and eating in medical and dietetic treatises of the sixteenth
century, a counter-argument advanced playfully in literature and bernesque
poetry presented carne as a metaphor for the pleasures of the senses.79 The
conceptual pairing of gluttony and lust in medieval tradition began to lose
ground to a much more complex world of food, taste, and pleasure, and the no
longer quite so humble sausage led the way.Notes I would like to thank
Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra for inviting me to contribute to this
volume in honor of Konrad Eisenbichler, a friend and scholar who always
supported my work and my career. The research and writing of this essay took
place when I was a fellow at the Institute for Historical Studies at the
University of Texas, Austin, in 2016–17. Some of the topics of this essay were
discussed at events at the University of Toronto in 2015 and University of Melbourne
in 2012. Belated thanks to Konrad Eisenbichler and Catherine Kovesi. This essay
is part of my forthcoming book Food Culture and the Literary Imagination in
Renaissance Italy. 1 Girolamo Parabosco, La fantesca, quoted in Giannetti,
Lelia’s Kiss, 143. 2 The popularity and frequency of the word carne to indicate
the male sexual organ was matched in Renaissance literature and culture by the
use of bird terminology to indicate the virile member as well as, less
frequently, the female organ and sexual intercourse. Allen Grieco has recently
catalogued and analyzed the numerous references to birds in imagery and
literary sources and has studied birds and fowl as food to understand the
connection between eating birds and fowl, and sexuality. He has uncovered the
widely shared humoral perception of birds as a “hot” food which tended to
over-stimulateThe sausage wars the senses. In this way he was able to give a
deeper explanation of the theological link between gluttony and lust typical of
the period, pointing out the reason why, in common perception, the consumption
of luxurious and heating food, especially birds, stimulated the sexual
function. According to the taxonomy of the Great Chain of Being, birds belonged
to air and they were hot and humid: when eaten they would transfer their
properties to the body and stimulate carnal appetite. See Grieco, “From
Roosters to Cocks.” Albala, Eating Right, 144–47. Quellier, Gola, 15–16. Cited
in Grieco, “From Roosters to Cocks,” 123. Much later, gluttony was defined as the
consumption of luxury foods, particularly birds. On Dante’s conceptualization
of sins see Barolini, Dante, chapter 4. The Latin word “luxuria” meant
extravagant/excessive desire (for power, food, sex, money, etc.) and in the
Italian form “lussuria” became the word for lust in medieval Italy. In Inferno
“lussuriosi” sinners are those who had excessive love of others, thus
diminishing their love for God. Gluttony is a sin of incontinence like lust. In
medieval bestiary and other iconographic sources especially north of the Alps
gluttony is often represented as a fat man holding a piece of meat and a glass
in his hands and riding a swine or a wolf. Quellier, Gola, 15–23. For medieval
bestiaries see chapter one in Cohen, Animals. In Italy church frescoes represented
gluttons in Hell suffering the tantalic punishment. At the end of the sixteenth
century, in the first edition of Cesare Ripa Iconologia (without images)
Gluttony (Gola) is described as “donna a sedere sopra un porco perché i porchi
sono golosi . . .” and Gourmandize (Crapula) is identified with a
“donna brutta grassa . . .” Iconologia, 111 and 54. This helps
to explain, for instance, why the famed preacher San Bernardino da Siena in his
Lenten sermons in fifteenth-century Florence condemned the desire of Florentine
young men for capons and partridges, claiming they opened the doors to a life
of sensual foods and sensual pleasure. In particular, he linked gluttony to
lust and sodomy. Bernardino da Siena, Le prediche volgari, ed. Ciro Cannarozzi
(Pistoia: Tip. A. Pacinotti, 1934), II: 45–46, quoted in Vitullo, “Taste and
Temptation,” 106. Montanari, “Peasants,” 179. Montanari and Capatti, La cucina
italiana, 76–77. Pheasants and partridges represented the ideal components of a
refined and tasty banquet, possible only for people with means. Braudel,
Capitalism, 129. “Danno ottimo nutrimento, risvegliano l’appetito, massime a’
convalescenti e sono cordiali. Nuocono a gli infermi, e massime à quei che
hanno la febre e fanno venir tisichi i villani.” Residing on a high position on
the Great Chain of Being, they represented powerful people and, accordingly,
were sternly cautioned against for rustic people, to whom, according to
Pisanelli, they could be dangerous. Pisanelli, “De beccafichi, Cap. xxvi” in
Trattato de’ cibi, 33. Similarly, pheasants and partridges are responsible for
provoking asthma in rustic people (Cap. xxvii and xxix). In his work,
Bartolommeo Sacchi, known as Platina, paid much attention to the idealistic
principle of moderation derived from the Greek and Roman world, along with his
interest in the revival of Epicureanism. Platina, On Right Pleasure. Eamon,
Science, 163. Giovan Battista Zapata, Li maravigliosi secreti di medecina, et
chirurgia, nuovamente ritrovati per guarire ogni sorta d’infirmità, raccolti
dalla prattica dell’eccellente medico e chirurgico Giovan Battista Zapata da
Gioseppe Scientia chirurgico suo discepolo (Venice: Pietro Deuchino, 1586; 1st
ed. Rome, 1577), 37–41, quoted in Scully, “Unholy Feast,” 85. Eamon, Science, 188.
Bovio, Flagello. He gives the example of a doctor whose wife was sick and how
he cured her with a diet of French soup, capon, and wine but could not apply
the same treatment to his other patients in fear of losing business; see 45–46.
“più facilmente di carne si faccia carne che di qualunque altra sorte di cibo.”
Romoli, La singolare dottrina; “Delle carni in generale,” 205r. Domenico Romoli
(n.d.) previously Laura Giannettiworked as a cook with the name of Panunto
(oiled bread) and then became steward for Pope Julius III. For poor people and
peasants in particular, pork continued to be the meat of choice; and although
it had a negative reputation, in the case of people occupied in heavy physical
work, pork was reputed nourishing and healthful. Florentine communal statutes
of 1322 prohibited innkeepers from serving up culinary delights because they
could attract men and boys and incite them to commit the unspeakable sin of
sodomy. Rocke, Forbidden Friendships, 159. During Cosimo the Elder’s regime
Florentine Archbishop St. Antonino—in his confessor’s manual—warned against
sloth, excess food, and drink as causes of sodomy. Toscan, Le Carnaval, vol. I:
190. See Giannetti Ruggiero, “The Forbidden Fruit,” especially pages 31–33.
Later in the seventeenth and eighteenth centuries the Church allowed
consumption of eggs, butter, and cheese during famines and epidemics. See
Gentilcore, Food and Health. One of the most important representatives of this
tendency was the Venetian noble Alvise Cornaro who wrote the extremely
successful Trattato della vita sobria in 1558. In general, moralists’ writers
of the later Middle Ages and early Renaissance continued to advise against
eating food that would produce excessive heating of the body. The dietetic
literature, particularly the influential earlier author Michele Savonarola and
the later Baldassar Pisanelli, supported the restriction of birds and fowl to
particular categories of people held to be more capable of controlling the
passions they induced, such as the powerful and rich or those needier of
stimulation such as the sick and the ailing. Grieco, “From Roosters to Cocks,”
115. See novella “De Novo Ludo” (Sercambi, Novelliere) available online at
www.classicitaliani. it/sercambi_novelle_08.htm where Ancroia enjoys her time
with the priest: “la donna, come vide Tomeo fuora uscito, preso un fiasco del
buon vino, una tovagliuola, alquanti pani e della carne cotta per Tomeo, et al
prete Frastaglia se n’andò e con lui si diè tutto il giorno piacere, pascendosi
di carne cruda e carne cotta per II bocche . . .” Apostolo Zeno in
the eighteenth century attributed the author name Gentile Sermini to the two
anonymous caudexes containing the novelle. Monica Marchi in her critical
edition of the novelle prefers to use Pseudo-Sermini instead of the
conventional name Gentile Sermini. See Marchi, “Introduzione,” in
Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, 10–22. The novelle were written in the first
half of the fifteenth century. “[ . . . ] non altramente fece la
valente madonna Alisandra che, agustandole molto la carne e ‘l savore, per
quello dilettevole giardino, preso insieme d’acordo giornata . . .”
Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, xi, 270. Fortini, Le giornate, I, xvi,
296–300. Grazzini (Il Lasca), Le Cene, I: vi, 80–94. Giannotti “Il vecchio
amoroso,” II: i, 40–41. On remedies for impotence, and early modern drama, see
Giannetti, “The Satyr.” “A Tiziano,” in Aretino, Lettere, 67–68. This section
is partially based on Giannetti Ruggiero, “The Forbidden Fruit,” 31–52. See
“Ragionamento Antonia e Nanna,” in Aretino, Sei giornate, 38. “The Roman
Porcellio Enjoys the Trick Played on the Friar in Confession,” in Bandello,
Novelle, vi: 125. See the discussion of the tale in Giannetti, Lelia’s Kiss,
181–82. Ibid., 181. On the battles between Quaresima and Carnival see
Ciappelli, Carnevale. Albala, Eating Right, 168 and 181. The painting is now in
the Museo Civico of Udine. Sercambi, “De vidua libidinosa” in “Appendice,”
Novelle inedite, 417–18. Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Several
novelle, from Boccaccio to Sacchetti, related the closeness in everyday life of
pigs and humans in rural and urban areas and the importance of pork for
sustenance, but also the negative perception of pigs and filthy and gross
animals. For instance, see Sacchetti LXX, CII, CXLVI, CCXIV. For Boccaccio see
“Calandrino e il porco.” Already in the Middle Ages, from the perspective of
the Great Chain of Being, pork and the quadrupeds occupied a questionable
position—they were not part of Air like birdsThe sausage wars nor of the Earth
but somewhere in between; and pig in particular occupied one of the lowest
position among all quadrupeds. Grieco, “Alimentazione e classi sociali,”
378–79. Pigs were voracious animals and, according to the Galenic doctor,
eating their fattening meat would transform a person in a pig, as a later image
of Gola as a woman sitting on a pork would make really explicit. For instance,
in the second half of the sixteenth century, Baldassar Pisanelli advised eating
sausages and salami in moderation, but recognized in them some positive
characteristics such as reawakening of appetite and helping to make drinking
more pleasurable. Pisanelli, Trattato de’ cibi, c. 13. Platina, On Right
Pleasure, Book VI, 281. Ibid., 277. Ficino, Three Books on Life, Book 2, 181.
See the section “Sausages and Salami” in Matthews-Grieco, “Satyr and
Sausages.” Pietro Aretino in his comedy Il Filosofo summarizes well this new
ambivalence about pork when he had one of his characters resolutely affirm:
“refined sugary confections (the biancomangiari) and quails do not stimulate
taste as do steaks and sausages.” Pietro Aretino, Il Filosofo, III, 15. See the
text in Romai, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 313–15.
Firenzuola is also author of the famous dialogue On the Beauty of Women. vv.
12–14. “Canzon, vanne in Fiorenza a quei poeti,” v. 76 The Virtuosi academy was
the continuation of the Vignaiuoli academy, one of the first “academies” of
sixteenth-century Italy, an informal gathering of intellectuals that met for
dinner, witty conversations, music, and poetry in the early 1530s. Around 1535
or slightly later, the Vignaiuoli renamed themselves Academia della Virtù
and/or Reame della Virtù and continued their activities until ca. 1540.
Meetings, often held at Carnival time, featured improvised speeches and the
recitation of poems, frequently accompanied by music. The Vignaiuoli was one of
the first academies in Italy to privilege the usage of vernacular and became
most famous for the poetic production of so-called “learned erotica,” as well
as for their anti-Petrarchan and anti-classicist poetic stance. Grappa, now
identified with Francesco Beccuti, comments on Firenzuola’s poem. See Grappa,
Il Comento. On Beccuti see Fiorini Galassi “Cicalamenti.” The allusion here is
to the poem Sopra il forno by Giovanni della Casa, De’ Fichi by Francesco Maria
Molza, and In lode delle castagne by Andrea Lori. All three are poems dedicated
to the female genitals. “Mangiasi la salsiccia innanzi et drieto / a pranso, a
cena, o vuo’ a lesso o vuo’ arrosto / arrosto et dietro è più da grandi assai;
/ innanzi et lessa, a dirti un bel segreto / non l’usar mai fin che non passa
Agosto.” vv. 30–35. “Perchè in estate gli uomini sono meno capaci di fare
l’amore, le donne invece lo sono di più [. . .]? Perché gli uomini
sono più inclini a fare l’amore d’inverno, le donne in estate? Forse perché gli
uomini sono di natura più caldi e secchi [. . .]?” Aristotele,
Problemi, ed. Maria Fernanda Ferrini (Milan: Bompiani, 2000), IV, 25–28, quoted
in Pignatti, ed., Ludi Esegetici II, 200. “O vecchi benedetti! / questo è quel
cibo che vi fa tornare giovani e lieti, et spesso ancho al zinnare” vv. 58–60.
“Fassi buona salsiccia d’ogni carne: /dicon l’istorie che d’un bel
torello/dedalo salsicciaio già fece farla /e a mona Pasife diè a mangiarne?
Molti oggidí la fan con l’asinello . . .” vv. 46–50. vv. 61–65.
“Basta che i salsiccioli/cotti nei bigonciuoli, / donne, dove voi fate i
sanguinacci, / son cagion che degli uomini si facci.” vv. 72–75. On the cultural
function of humor see Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages,” 37.62 For the text
of the canzone, see Grazzini, “In lode della salsiccia,” in Romei, Plaisance,
and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 227–30. For Grazzini “Comento di maestro
Nicchodemo dalla Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia del
Lasca,” see ibid., 231–309. There is no secure date regarding the writing of
the Comento but it should have been written around 1539–40. See Franco
Pignatti, “Introduzione,” in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi
esegetici, 163. 63 Ibid., vv. 22–33. 64 Ibid., vv. 76–81. 65 Ibid., vv. 94–111.
66 “La bellezza del tagliere non è come forse molti credono, e non consiste in
l’esser bianco, non di buon legno, non tondo, non ben fatto, ma si bene
nell’essere pieno di buona carne ben cotta e ben trinciata; . . .
tolghinsi pur costoro i capelli di fin oro, la fronte più del ciel serena, le
stellanti ciglia . . . come dire le Laure, le Beatrici, le Cintie e
le Flore!” Grazzini, Comento di Maestro, 240–41. 67 Sonetto n. 5 of Canzoniere
on the name of Laura: “Quando io movo i sospiri a chiamar voi” 68 “Perciò che
quei traditori de’ medici la prima cosa levono il porco e non vogliono a patto
nessuno che n’habbia l’ammalato per mantenergli bene il male addosso, sendo il
porco e maggiormente la salsiccia, habile e possente a guarir d’ogni malattia e
più sana che la sena, più necessaria che la cassia, più cordiale che il
zucchero rosato, più ristorativa che il manicristo, et insomma ha più virtù che
la bettonica.” Grazzini, Comento di Maestro, 280–81. The terzina commented is
103–05: “Io crederria d’ogni gran mal guarire/ quando haver ne potessi un
rocchio intero,/ancor ch’io fussi bello e per morire.” 69 In Dolce, Capitoli.
70 “dono invero magnifico e reale,/da far morir di gola l’astinenza/e leccarsi
le dita a Carnevale.” Ibid., vv. 10–12. 71 “E chi m’avesse allora allora
punto/aria veduto uscir liquor divino/del corpo, ch’era pien di grasso e
d’unto.” Ibid., vv. 43–45. 72 Some authors trying to dignify pork, recycled Galen’s
idea expressed in De alimentorum facultatibus where he argued troublingly that
pork was pleasurable because it was similar to human’s flesh. For instance “Le
carni del Porco fra tutte le altre carni dei quadrupedi han vittorie in nutrire
e dar più forza ai corpi perché cosi nel gusto come nello odore par che
habbiano una peculiar unione e fratellanza col corpo umano si come da alcuni si
è inteso che per non sapere hanno gustato la carne dell’huomo” [For taste as
well as for odor, it seems that the meat of pork has a peculiar unity and
likeness with the human body, as some reported, who tasted human flesh while
not knowing it] in Un breve e notabile trattato del reggimento della sanità,
ridotto dalla sostanza della medicina di Roberto Groppetio 362–63 v. The little
volume is attached to La singular dottrina. It is not clear whether it was
written by Panunto himself or not. For a similar affirmation see also: Della
natura et virtù de’ cibi, 68v. Not all agreed with this troubling similarity
but it was quite a common affirmation in many medical treatises and in some
literary works of the time. 73 In Romei, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi
esegetici, 316–18. 74 “Qui non è osso da buttare al cane, / e’l suo santo
panunto è altra cosa/che lo impepato overo il mrzapane,” vv. 25–27. 75 “Dicon
che la midolla del panunto,/incartocciata come un cialdoncino, / tal che di
sopra e di sotto appaia l’unto, / è un boccon sì ghiotto e sì divino, / che se
lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco e grassellino,” vv. 38–42. It
should be noted that even the luxury food, the beccafico, had strong sexual
overtones. 76 The cultural discourses that surrounded salad in early modern
Italy and Europe were complex and rich, ranging from sexuality and manners, to
taste, gastronomy, and class identity. See Giannetti, “Renaissance
Food-Fashioning.” org/uc/item/1n97s00d.
77 “è un boccon sì ghiotto e sì divino, / che se lo provi ti parrà
migliore/ch’un beccafico fresco e grassellino,” vv. 40–43. Franzesi, “Capitolo
sopra la salsiccia,” 316–18.78 “Questo non è già pasto da tinello/ma da ricchi
signori e gran prelati / che volentieri si pascon del budello.” Ibid., vv.
79–81. 79 On the disciplining vision of the sixteenth century and a
counter-discourse in dramatic literature see Giannetti, “Of Eels and
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Senses and Society 5, Visualizing sexuality in word and image10Homosexuality in
art, life, and history James M. SaslowFrom his mid-thirties, the
Lombard-Sienese painter Gianantonio Bazzi (1477– 1549) was publicly known as
“Il Sodoma.” This epithet translates as “Sodom,” the biblical city eponymous
with sexual transgressions that were then both a sin and a crime. Sodomy
bracketed multiple acts, but most commonly referred to love between men; so,
his nickname might be freely rendered as “Mr. Sodomite.” Our principal
biographical source is Giorgio Vasari, whose Vita of Bazzi (1568) recounts
several revealing or scandalous episodes. A few are exaggerated or false,
skewed by Vasari’s disdain for both homosexuality and Siena. However, his
plausible explanation of how the artist earned his sobriquet is not refuted by
other evidence. Vasari describes him as a gay and licentious man, keeping
others entertained and amused with his manner of living, which was far from
creditable. . . . [S]ince he always had about him boys and beardless
youths, whom he loved more than was decent, he acquired the by-name of Sodoma.1
While sources for private feelings are scanty and often problematic for this
period, and Sodoma left little first-person testimony, this and other records
suggest a prima facie case for the artist’s erotic interest in other males. He
is unique in Renaissance Italy as the only artist whose homosexuality was
frankly avowed and widely known. His character and sexual interests offer a
provocative case study of the intersections between eros and creativity, and
how that sensibility was manifested in his imagery. His experiences further
suggest that there were overlapping audiences eager to receive and respond to
that sensibility. Sodoma exhibited other character traits also considered
eccentric or insolent, and was fond of capricious pranks; the monks at
Monteoliveto Maggiore, his first large commission, referred to him as “Il
Mattaccio,” the “crazy fool.”2 Hewas an impudent mocker of moral decorum:
Vasari reports indignantly about the nickname Sodoma that “in this name, far
from taking umbrage or offence, he used to glory, writing about it songs and
verses in terza rima, and singing them to the lute with no little facility.” He
was also infamous for his f lamboyant clothing and for keeping an entire
menagerie in his home, including pet birds, monkeys, squirrels, and race
horses; Vasari called the house “Noah’s Ark.”3 He entered his horses in public
contests, and we can date his sobriquet back to a series of races in Florence
from 1513 to 1515. When his steed won, the heralds asked what owner’s name to
announce; Bazzi replied, “Sodoma, Sodoma,” indicating that he was already known
by that name and willing to be associated with it. The incident also reveals
the precarious social landscape that known or suspected sodomites had to
negotiate. Thumbing his nose at a mocking public backfired: a group of outraged
elders incited a mob attack, during which he narrowly escaped being stoned to
death.4 Anecdotes and documents notwithstanding, historians have long tried,
for widely differing reasons, to chip away at the foundations of a
historiographical tradition dating back to Vasari himself. For it was Vasari,
unwittingly anticipating modern queer scholarship, who first understood Sodoma
as having homosexual desires and assumed some connection between his sexuality
and his work.5 To the prudish chronicler, that connection was negative: Vasari
blamed Sodoma’s failure to achieve greatness on his excesses of character, from
laziness to carnality, scolding that if he had worked harder, “he would not
have been reduced to madness and miserable want in old age at the end of his
life, which was always eccentric and beastly.”6 Value judgment aside, the
assumption that artists’ personalities and passions are intimately imbricated
with their work runs throughout Vasari’s biographies. Modern generations,
beginning with the homophile Victorian critic-historians John Addington Symonds
and Walter Pater, acknowledged the same connection with a positive valence,
reading Sodoma’s androgynous figures and distinctive iconography as revealing
glimpses into the sensibilities of a man aware of both his own desires and the
gap separating that passion from social norms. The path they laid down guided
post-Stonewall gay studies through the early 1980s.7 More recently, postmodern
theoreticians, stressing the ever-shifting social constructions of sexuality
and identity, have countered such attempts to posit any individual sexual
identity or group homosexual consciousness, however embryonic and sporadic, in
that era. Their methodology, inspired by scholars from Michel Foucault to Eve
Sedgwick and David Halperin, dismisses such formulations as anachronistic
over-reading.8 The generational shift in goals and methods, from “gay and
lesbian studies” to “queer studies,” instigated an ongoing debate. These
theoretical polarities have implications for the present study, which aims to
excavate the embodied passions and creative process of an individual who felt
homosexual desire, and to reconstruct, to whatever extent possible, an early
moment in the gradual, fitful emergence of self-aware homosexual sensibilities
and self-expression.Although I defer consideration of this theoretical
controversy until the essay’s end, my working hypothesis parallels the nuanced
historiography of Christopher Reed, who reminds us that, although readings of
Renaissance homosexuality as similar to modern conceptions were convincingly
challenged by Foucault’s insistence that [the modern] sexual typology was not
invented until the nineteenth century, [nevertheless] no idea is without roots,
and subsequent scholarship provided evidence that convinced even Foucault to
recognize stages in the eighteenth, the seventeenth, and even the sixteenth
century leading to the invention of homosexuality as a personality type.9 As a
personality, Sodoma was among the few early modern artists who visualized
homoerotic desire. This essay investigates that process along three intertwined
axes: life, work, and historiography. His biography provides a unique
microhistory of an early avowed homosexual and his culture’s understanding of
that inclination. His works gave visual expression to his erotic sensibility,
and contemporary patrons and spectators, from pederastic monks to libertine
aristocrats, were ready to receive it sympathetically. Finally, I conclude with
a more personal historiographical meditation on the controversy over whether
embryonic homosexual consciousness can be located in early modern culture.Early
religious works Arriving in Siena as a young man, Sodoma established relations
with the Chigi family and the Benedictine order, who commissioned numerous
works, mainly on sacred themes.10 Officially, since Christianity condemned all
non-procreative sex, theological narratives offered next to no scope for
“homo-representation”; but his religious pictures nonetheless provide material
for queer readings. If a subject contained any potential for imagining or
accentuating a homoerotic subtext, Sodoma exploited it more than any artist of
his time except Michelangelo (also a lover of men), seldom missing an
opportunity to foreground male beauty or intimacy in nude or suggestively clad
bodies. Many images celebrate the boyish, androgynous type that was the most
common object of adult male desire at the time, while a few idealize the more
heroic male adult body; he often derived both figure types from classical
sculptures with a homoerotic pedigree. And many members of the audience for his
imagery, both clerical and lay, were likely to appreciate this eroticized
beauty. The first example of the interlinked sensibilities of artist and
spectators is his fresco cycle for the abbey at Monteoliveto Maggiore, outside
Siena (1505–08), depicting the life of the order’s founder, St. Benedict.11
Payment records confirm several Vasarian details about the artist, from his
early nickname, Mattaccio, to his use of apprentices ( garzoni ) and his
fondness for extravagant finery. Although the austere life of the founder of
monasticism was unpromising terrain,Sodoma found novel pretexts for inserting
numerous visual features—often rare or unique inventions—that would appeal to
the homosexual or bisexual gaze. Most striking in its novel and ironic
departure from the subject’s nominal moral is the illustration of Benedict
seeking relief from a female devil’s sexual temptation by stripping off his
clothes and f linging himself into spiny briar bushes12 (Figure 10.1). Unlike
the few earlier representations of this scene, Sodoma renders the vegetation
soft and unthreatening: rather than conveying mortification of the f lesh, he
presents in full frontal view a nude of heroic proportions, reclining
comfortably in a pose modeled on classical prototypes. The all’antica beauty of
the body displaces attention from the saint’s physical self-abnegation onto his
potential to arouse erotic desire—precisely what Benedict is trying to
suppress.13 The most personally revealing of the frescoes is the Miracle of the
Colander (Figure 10.2), in which the saint and his homespun miracle (repairing
a household sieve) are shunted to the left, leaving the central focus on the
figure of Sodoma himself, showing off his legendary wardrobe. His self-portrait
corroborates Vasari’s disdainful take on him as a fop, “caring for nothing so
earnestly as for dressing in pompous fashion, wearing doublets of brocade,
cloaks all adorned Sodoma, Abbey of Monteoliveto Maggiore, Saint Benedict Is
Tempted by a Female Devil, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i
Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.Gianantonio Bazzi, called “Il
Sodoma”Sodoma, Monteoliveto, Miracle of the Colander, fresco, 1505–8.Photo
credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.with
cloth of gold, the richest caps, necklaces, and other suchlike fripperies only
fit for clowns and charlatans.” Here, as elsewhere, Vasari seems well informed
about specific details of Sodoma’s life and work: his comment is supported by
the abbey account books, which describe a garment much like the one Sodoma
wears here, an embroidered gold cape listed among elaborate items of apparel as
a form of payment from the monks, who had received it from a wealthy
nobleman.14 The artist also surrounds himself with exotic animals, just as
Vasari noted he liked to do: birds and two pet badgers. Sodoma’s sartorial
tendencies and other biographical details connect him to a contemporaneous
homosexual demimonde in ways that Vasari himself was perhaps unaware of, but which
is well attested in social history of the period. His clothing, fondness for
androgynous youths, and writing of satirical poetry are all behaviors then
associated with sodomites as an identifiable group with its own recognizable
customs. Research by Michael Rocke, Guido Ruggiero, and others into the
prevalence of sodomy and the emergence of urban homosexual networks in early
modern Italy has revealed that they were so widespread they can scarcely be
called a “subculture.” As Rocke puts it, Bazzi’s brand of sexuality became “an
increasingly common feature of the public scene and the collective
mentality.”15 In Florence, a special sodomy court heard hundreds of
casesannually until 1502; a substantial percentage of males passed through at
some time in their lives.16 Hence “sodomy was . . . a common part of
male experience that had widespread social ramifications.” Rocke notes that
“this sexual practice was probably familiar at all levels of the social
hierarchy” and among a wide range of professions.17 Among those occupations are
the “beardless boys” whom Vasari blames for the artist’s nickname, probably his
apprentices and workshop assistants. Artists’ studios being all-male, “the
potential for homoerotic relations in such an environment was high,”18 and
intimate, sometimes sexual relations between assistants or models and their
masters are suggested by documents on artists from Donatello to Leonardo da
Vinci and Botticelli. Closer to Sodoma’s time, the bisexual sculptor Benvenuto
Cellini was taken to court by the mother of one apprentice for coercing him
sexually.19 This common social pattern gives Sodoma’s behavior wider
implications, since his actions were shared with countless other men. His
wardrobe is the clearest exemplar of those erotic implications. Helmut Puff has
documented the role of material culture in formulating and enacting sexual
subcultures, and how extravagant clothing was a marker of effeminacy and sexual
deviance. Exchange of rare and costly textiles or clothing could betoken
homosexual relationships, either as gifts for love or payment for services.20
By the mid-fifteenth century, San Bernardino da Siena’s sermons thundered
against boys’ receiving clothing and money for sex.21 Within the field of
costume studies, which asserts “the centrality of clothes as the material
establishers of identity itself,” clothing is understood as a set of
materialized symbols with social functions and meanings. As Jones and
Stallybrass have explored, clothes can either embody and reinforce submission
to normative social roles (uniforms) or, when deployed in violation of
sumptuary standards, mark the wearer as consciously rejecting those norms—as
Sodoma did by appropriating the dress of an aristocrat.22 Thus, portraying
himself in extravagant, coded finery was a subversive act of
self-identification with a marginalized minority: in Andrew Ladis’s phrase, “a
pose of arrant foppishness, as if the painter personified the very diabolical
temptations of the f lesh that he painted and lived, not excluding what was commonly
known as ‘the monastic vice’”23 —a revealing euphemism for sodomy. The artist
gives freest play to erotic signifiers in the scene of St. Benedict welcoming
two disciples, Saints Maurus and Placidus, amid the wealthy youths’ retinue and
onlookers24 (Figure 10.3). While the disciples are modestly clothed and posed,
both the epicene youth on the center axis and the African groom at right are
shown da tergo, Italian for a rear view that spotlights the buttocks. The
central youth and his mirror image at far left are boyish androgynes, embodying
the predominant pattern of pederasty, in which mature men sought stillfeminine
adolescents for anal intercourse. Thus, some viewers, at least, would have
appreciated the erotic implications of the motif.25Gianantonio Bazzi, called
“Il Sodoma”Sodoma, Monteoliveto, St. Benedict welcomes Sts. Maurus and
Placidus, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività
Culturali/Art Resource, NY.Reinforcing this erotic interpretation, the two
youthful onlookers at center and left also sport versions of Sodoma’s own
elaborate clothing, as does the groom to the right of center. They f launt the
styles associated with homosexual seduction: tight multicolored stockings, long
hair, and extravagant fringes, hats, and colors.26 Such clothing had long been
associated with sodomites; Alainof Lille’s De planctu naturae (ca. 1160)
lamented that these men “over-feminise themselves with womanish adornments.”27
San Bernardino da Siena inveighed against parents who let their sons wear short
doublets and “stockings with a little piece in front and one in back, so that
they show a lot of f lesh for the sodomites,” resulting in such an appealing
adolescent always “having the sodomite on his tail.”28 These suggestive details
may have been projections of Sodoma’s erotic mindset, but it is highly likely
that they resonated with some of the monks who were his primary audience.
Shifting our focus from the artist, we should also examine the mental world of
his viewers. Reception theory or spectator theory asks not what did the artist
put into the work, but, rather, what did the audience take out of it? What
interests, beliefs, or habits of seeing did his audience have, and how did that
subject-position influence their reading of his messages? As Adrian Randolph
observed regarding the reception of Donatello’s homoerotic bronze David, an
artwork can function as “a receptacle for the beholder’s imaginative concerns.”
His and other studies have explored how reception of religious art was determined
by the viewers’ gender, particularly in convents, where nuns often specified
subjects relevant to their experience; these insights can be extended to male
religious and to sexuality as well as gender.29 Sodoma’s audience here was
exclusively male clergy, proverbially stereotyped as sodomitical.30 Temptations
were exacerbated by the enforced closeness of clerical living arrangements:
several scenes depicting Benedict and his monks highlight their day-to-day
intimacies both emotional and physical.31 To head off such dangers, the rules
of the order specified that no brother is permitted to enter the cell of
another without permission of the abbot or a prior; if this is permitted, they
may not remain together in the cell with the door closed. And no monk may touch
another in any way . . . A light was to burn all night in the
dormitory area and latrine, presumably to prevent secret trysts under cover of
darkness.32 Such precautions were not entirely effective, as a few visual
examples attest. A near-contemporary satirical painted plate depicts a monk
pointing to a youth’s bare bottom; the caption explains, “I am a monk, I act
like a rabbit” (Figure 10.4)—then, as now, a symbol of tireless sexuality,
particularly homosexuality.33 A Flemish print depicts a 1559 event in Bruges in
which three monks were burned at the stake for “sodomitical godlessness.”34
These starkly contrasting examples dramatize the contradictory culture within
the religious world: male–male sex was acknowledged, though officially taboo and
sometimes severely punished, yet often tolerated and even laughed about.
Outside monastery walls, free from Church proscriptions, Sodoma found more
overt opportunities to celebrate such love. Majolica plate, attributed to
Master C.I., ca. 1510–20. Musée national de la Renaissance, Écouen,
France.Photo credit: ©RMN-Grand Palais/Art Resource, NY.Secular subjects Sodoma
illustrated secular subjects for private patrons and domestic settings. His most
career-boosting painting depicted the Roman heroine Lucretia, whose suicide to
preserve family honor after she was raped symbolized the ideal of married
women’s honorable chastity; gifted to Pope Leo X, it earned the artist a papal
knighthood.35 When the opportunity arose, however, as with sacred images,
hepaid unusual attention to the homoerotic elements of myth and history, which
offered explicit exemplars of male devotion and passion. And the audience for
his best-known classical project, a fresco cycle for the papal banker Agostino
Chigi, was the sophisticated, libertine Roman society who were as likely to
share his sexual interests and habits of spectatorship as were the monks at
Monteoliveto.36 In 1516–17, Chigi commissioned Sodoma to decorate the bedroom
of his villa, now called the Farnesina. The wealthy financier’s love nest,
shared with his mistress Francesca Ordeaschi, offers a revealing microcosm of
the hedonistic, tolerant atmosphere of High Renaissance Rome, where even popes
had mistresses and bastards, and humanist classical culture provided justification
for libertine bisexuality all’antica.37 Numerous rooms were painted with erotic
myths both heterosexual and homosexual.38 Given Chigi’s personality and
interests, Sodoma was a sympathetic addition to his creative team. Although
Sodoma married in 1510, his nickname was public knowledge by 1513, when he
registered as “Sodoma” in a list of racehorse owners, and two years later had
the heralds call that name. After describing our artist’s clothes, manners, and
mocking spirit, including the racing incident, Vasari reports that “in [these]
things Agostino, who liked the man’s humour, found the greatest amusement in
the world.” The appreciative patron requested episodes from the life of
Alexander the Great, historically implied as bisexual.39 The principal scene
recreates a lost Greek painting of Alexander’s marriage to Roxana, known
through an ancient ekphrasis—a classicizing tribute to Chigi and his beloved40
(Figure 10.5). The emperor proffers a marriage crown to the princess, while
putti cavort in playful eroticism. To the right stand two idealized men: nude
Hymen, god of marriage, and torch-bearing Hephaestion, Alexander’s intimate
companion and, in some accounts, lover. Both figures are based on a well-known
Greek statue, the Apollo Belvedere, depicting the most vigorously bisexual of
the gods.41 While principally a heterosexual scene, then, the picture’s
sub-theme is nude male beauty and the passion Hephaestion represents. Sodoma’s
audience was predisposed to appreciate this story’s erotic duality. Many patrons
and viewers had bisexual or homosexual desires; an anecdote in Castiglione’s
Book of the Courtier (ca. 1514) reports that “Rome has as many sodomites as the
meadows have lambs.” The erotic tone among these clerics, aristocrats, artists,
and writers was light-hearted; while sodomy was outlawed, enforcement was
spotty and penalties light.42 Eyewitness testimony for “queer visuality” at the
Farnesina comes from raunchy bisexual author Pietro Aretino, who spent time
there while Sodoma was painting. Aretino recorded an ancient statue of a satyr
chasing a boy, an explicit complement to the loftier male love in Sodoma’s
fresco. He wrote to Sodoma twenty-five years later, expressing nostalgia for
their shared youth, and wishing that “we were embracing each other now with
that warm feeling of love with which we used to embrace when we were enjoying
Agostino Chigi’s home so much.”43 One glimpses the atmosphere of an
affectionately demonstrative, pansexual pleasure-palace. Like the life it
looked out upon, Sodoma’s picture is a mélange of sexualities, with intimacy
between men given “equal time.”FIGURE 10.5 Sodoma, The Marriage of Alexander
and Roxana, Villa Farnesina, Rome, fresco, 1517–19.Photo credit: Scala/Art
Resource, NY.Further evidence for the casual attitude toward
homosexuality—Sodoma’s in particular—is a set of epigrammatic couplets
published in 1517 by Eurialo d’Ascoli, a poet in the circles around Chigi,
Aretino, and Leo X, bluntly informing his readers that “Sodoma is a pederast.”
The poem celebrates Sodoma’s painting of Lucretia, which earned his knighthood;
only the final verses turn comic. Having praised the artist for verisimilitude
that brings Lucretia back from the dead, Eurialo imagines her interpreting this
miracle as an opportunity to convert the artist sexually. The narrator then
asks her his own facetious question, implying that as a sodomite the artist
would not normally be inspired by female subjects: Now beautiful Venus grants
me the nourishment of light breezes [i.e., earthly life], So that I can reclaim
you, Sodoma, from tender youths. Sodoma is a pederast; why then, Lucretia, did
he make you So lifelike? He has our buttocks instead of Ganymede. Nunc mihi
pulchra Venus tenui dat vescier aura, Ut revocem a teneris, Sodoma, te pueris.
Sodoma paedico est; cur te Lucretia vivam Fecit? Habet nostras pro Ganimede
nates.44Sodoma’s knighthood was cited by whitewashing early scholars as proof
that the artist could not have been homosexual, since such sins would have
disqualified him from religious honors.45 But here we see again how casually
this milieu treated sexual transgressions. The fabulously wealthy Chigi married
Ordeaschi in 1519, and Leo X—himself a reputed sodomite who, Vasari records,
“took pleasure in eccentric and light-hearted figures of fun such as [Sodoma]
was”— legitimized their four children.46 Worldly success was hardly evidence
against impropriety. Eurialo’s couplets recall Vasari’s statement about
Sodoma’s nickname that “he used to glory [in it], writing about it songs and
verses in terza rima, and singing them to the lute.” As with clothing, Sodoma
was participating in another cultural tradition that linked artists, writers,
and readers of non-normative sexuality in a web of self-expression. Bawdy
burlesque poetry treated all sexuality with lighthearted comedy; Sodoma’s texts
have not survived, but we can garner some sense of their contents and tone from
verses by contemporaries. What Deborah Parker labels “a poetry of
transgression,” full of sexual innuendo and whimsical exaggeration, circulated
in manuscript, public readings, and print.47 The father of burlesque poetry,
Francesco Berni, was banished from Rome in 1523 for too openly mourning a young
male lover.48 The genre became popular among visual artists eager to establish
their intellectual credentials through writing, including such homosexuals or
bisexuals as Michelangelo, Bronzino, and Cellini.49 Sodoma’s personality chimed
perfectly with the genre’s subversive insolence. Bronzino’s capitolo “In Praise
of the Galleys,” for example, unashamedly eroticizes the all-male world of
oarsmen on ships, muscular and sweaty males confined in close quarters where
sex among themselves was the only outlet: here “boiled and roasted meats are
hardly ever mixed,” a common metaphor for vaginal (wet) versus anal (dry) sex.
Berni, expanding on the trope that priests are sodomites, declares that their
example is infecting monks, using a fruity symbol for boys’ buttocks: Peaches
were for a long time food for prelates, But since everyone likes a good meal,
Even friars, who fast and pray, Crave for peaches today. Le pesche eran già
cibo da prelati, Ma, perché ad ognun piace i buon bocconi, Voglion oggi le
pesche insin ai frati, Che fanno l’astinenzie e l’orazioni.50 The sardonic,
guilt-free humor of such texts suggests, as Domenico Zanrè describes, “a
marginal undercurrent operating within an official cultural environment,” and
demonstrates that “certain individuals were able to produce alternative
literary responses within a dominant . . . milieu that attempted to
contain and, insome cases, exclude them.”51 An incident around 1530
corroborates Sodoma’s own refusal to accept derogatory comments from authority:
when a Spanish soldier insulted him, the artist got revenge by drawing his
portrait and identifying him to his superiors.52 San Bernardino was furious
precisely because so many sodomites seemed unrepentant and unafraid of divine
judgment. What enraged him and Vasari was not these men’s behavior alone, but
the quality Italians call faccia tosta—“cheek” or “a big mouth”—refusal to give
even lip service to official mores.53 The burlesque mode evinces the first buds
of an oppositional response to social disapproval: a selfaware articulation of
outsider status, and an emerging rebellion against social convention that
opened a space, however narrow, for asserting alternative consciousness and
self-affirming values.54 Greco-Roman texts and images served Sodoma, like other
homosexual artists and patrons from Michelangelo to Caravaggio, as validation
for their all’antica desires and pretexts for visualizing male beauty and
eros.55 Within educated elites, a tolerant, classically inspired hedonism held
its own against legal and clerical taboos until late in Sodoma’s lifetime, when
the Council of Trent began its anticlassical reform (1545). In this libertine
culture, an artist widely known for sexual nonconformity was able to smilingly
adopt a derogatory nickname as a public identity and even f launt his sexual
interests in word and image, with little harm to his string of major
commissions and honors.Later religious works Sodoma’s late commissions were
predominantly religious. As at Monteoliveto, these images emphasize the erotic
appeal of figures who are nominally not sexual: saints, angels, and soldiers.
Whereas at the monastery it was possible to analyze the reactions of a specific
clerical audience, commissions for more public locations could be viewed by the
whole cross-section of society, some proportion of which, as outlined earlier,
would have understood and welcomed homoerotic allusion. As Patricia Simons has
explained, “Renaissance imagery might appear to condemn non-normative sex
. . ., but it was possible for viewers to take works in other,
imaginative directions.”56 Sodoma’s best-known work, depicting Saint Sebastian
(1525), epitomizes his typical traits: androgynous classicizing male beauty,
emotional pathos and sensuous chiaroscuro (Figure 10.6).57 Iconographically, it
offers a prime example of his sensitive antennae for elements of religious
narrative with specialized appeal. Sebastian was a Roman soldier who refused to
renounce Christianity, for which Emperor Diocletian, despite their intimate
personal relationship, ordered him shot by archers. Saint Ambrose’s hagiography
establishes their strong emotional bond, open to erotic interpretation: he
notes that Sebastian was “greatly loved” by Diocletian and his co-emperor
Maximian (intantum carus erat Imperitoribus).58 Sodoma paints a virtually nude,
Apollo-like Sebastian with blood trickling from several wounds. He looks
longingly at the angel bringing a martyr’s crown—his reward for loving
sacrifice to God—with an expression that could Sodoma, Saint Sebastian,
processional banner, Pitti Palace, Florence,1525. Photo credit: Scala/Ministero
per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.equally connote divine or
earthly ecstasy. While his bond with the emperor offered a secular hint at
Sebastian’s sexual inclinations, the implied passion between Sebastian and the
godhead is a more important, and universal, emotional dynamic, with a profound
yet ambivalent homoerotic subtext. For all Christians, intense, loving union
with Christ was the ultimate spiritual goal; for men, however, exhortation to
the symbolically feminine ideal of passive, ecstatic submission to another male
raised the specter of sodomy. The phallic arrows piercing Sebastian evoke
sexual penetration, a symbol of the saint’s necessary, but problematic,
feminization;59 they also recall Cupid’s love-inducing shafts, multiplying the
signals for an erotic response. Cinquecento image-makers were expected to
encourage such a passionate response because, as Simons observes in relation to
Christ, for Sebastian too “the visualization of supreme beauty was necessary in
order to induce reverence.”60 Theoretically, religious images could function on
these two levels simultaneously, without contradiction: the lure of physical
beauty would hopefully lead the viewer to a higher spiritual adoration. In
practice, however, it was difficult to police the borders between earthly and
heavenly passion. We know that Sebastian’s beauty was experienced as
problematically titillating by at least one sex: the Florentine artist-monk Fra
Bartolommeo painted a nude image of the saint so appealing that female
parishioners admitted in confession that it stimulated carnal thoughts, after
which it was taken down.61 It was just such temptations that the Council of
Trent acknowledged when it set out to purge church imagery of eroticism. So, it
is not difficult to imagine that men, as well as women, were attracted to
Sodoma’s provocative Sebastian in the physical sense.62 The “seeming
contradictions of deliberately evoking erotic desire in religious painting”
have been parsed by Jill Burke, who sees in this practice “a deep and knowing
ambivalence toward sexuality” that signals “a huge variance between official
rhetoric and widely accepted practice.”63 By including formal and iconographic
cues to a homoerotic response, Sodoma could appeal to men who, like himself,
experienced love and desire in male terms. Like extravagant dress and burlesque
poetry, pictorial ambiguity opened another narrow cultural space for expressing
alternative sexuality.Historiography: a modest proposal This essay has aimed to
demonstrate three propositions: that Sodoma was known for, and acknowledged,
desire for men; that his work evinces a distinctive mode of seeing and
representing that expresses that erotic inclination; and that contemporaneous
audiences would have appreciated that sensibility. As Ruggiero asserts, It is
no longer possible to ignore the general shared culture of the erotic and its
omnipresence in daily exchange, nor is it possible to overlook the particular
subcultures that coexisted at the time and that were such a central part of
daily life.64Without claiming anachronistically that this evidence establishes
anything so coherent and exclusive as a modern “gay identity,” I submit that
these emerging networks and customs, alongside visual and literary production
on homosexual themes, constitute early shoots of an alternative sexual
consciousness that would reach critical mass only during the Enlightenment. I
accept the historiographic formulation of the Renaissance as “early modern,”
which stresses continuities from that culture into the modern era, presupposing
a model of cultural change that is gradual and evolutionary rather than abrupt
and discontinuous. To quote Reed again, “If modern ideas of sexual identity and
artistic self-expression cannot be simply mapped onto the Renaissance . . .
it is nevertheless true that these notions have Renaissance roots.”65 However,
to seek the “roots” of anything “modern” in anything “past” has become
problematic since the advent of postmodern theory. There are now, as Reed
observes, “wildly varying interpretations of Renaissance art’s relationship to
homosexuality”66 —more broadly, of relationships among desire, behavior,
identity, and self-expression. To social constructionists, the search for
glimmers of an alternative, proto-modern awareness in Sodoma’s ambiente is
misguided. There can be no transhistorical connections between sexual actors in
different periods, because sexual identity is not innate or fixed; rather, it
is created through social discourses that define and control sexuality, an
unstable product of external forces acting on the passive individual. There
were no homosexual persons, only homosexual acts. Puff ’s formulation: “Sodomy
was not thought of as a lifelong orientation, let alone a social identity,” is
echoed by Reed’s: “[S]exual behavior in Renaissance Italy was not seen as a
basis for individual identity.”67 This school coined the term “essentialist” to
disparage earlier researchers who, from Symonds to John Boswell, saw sufficient
commonality with those in earlier times who desired other men to justify
searching the Middle Ages and Renaissance for branches of a sexual family tree
dating back before 1867 (when “homosexual” was coined). Without accepting all
the methodological baggage identified with an often over-simplified
“essentialism,” one can still maintain that someone calling himself “Mr.
Sodomite” seems a prime excavation site for evidence of such genealogical
links, since his name rendered his erotic proclivity a “lifelong social
identity.” Like a genetic mutation that may crop up in random individuals, and
only gradually spread across a species’ gene pool, Sodoma constituted an
irruption of anomalous possibilities that, while not yet fully articulated,
began to diffuse new forms of sexual identity and self-expression that increased
over the next several centuries. These methodological disagreements center on
two questions: one external and sociological, the cultural categorization of
homosexual behavior; the other internal and psychological, the conscious
experience of individuals who desired other men and their degree of agency
within a hostile official discourse. There was clearly a dominant conceptual
structure of canon and civil law that confined homosexuality to taboo acts that
might potentially tempt anyone, within whichour modern notion of inherent
sexual “orientations” was not officially recognized. Just as clearly, however,
no culture is monolithic, and a complex of alternatives operated alongside
these formal structures. As we have seen, the elements of this quasi-underworld
were in place by the sixteenth century: meeting places, distinctive behaviors,
and cultural expressions.68 As Ruggiero has outlined, such “illicit worlds had
their own coherent discourse,”69 which viewed male–male sexuality as an amusing
peccadillo; suggested that some individuals were drawn to it by distinctive
character traits; and expressed awareness of (and resistance to) the gap
between official values and their own experience. The solution to this impasse
lies in moving beyond an “either–or” cultural analysis to a “both–and”
approach. Instead of setting arbitrarily precise boundaries to ever-shifting
conceptions of sexuality, it would more accurately ref lect Sodoma’s
transitional environment to acknowledge the temporal overlapping of contrasting
systems of thought and behavior, and to explore the realities of those who
negotiated the dialectic between them. Two tendencies in current scholarship,
however, militate against such open-ended rapprochement. The first is
reluctance to accept evidence for alternative sexual consciousness; the second
is ascribing to cultural discourses an unrealistic power over against embodied
experience. What follows is part summary, part personal statement: a roadmap
out of an increasingly pointless stalemate, and a brief for greater attention
to the lived experience of men-who-had-sex-with-men and its genealogical links
to later generations. Two principal examples of the discord over what “counts”
as evidence of sexual desire and identity are the tendency to downplay or deny
evidence for Sodoma’s sexuality, and the disregard of alternative language
imputing distinct personality to sodomites. First, the present examination of
how Sodoma expressed his homoerotic desires depends on establishing that his
nickname was in fact a marker of his sexuality, which raises the question: how
reliable is Vasari? Unfortunately, as Paul Barolsky notes, “How we read Vasari
depends on our sensibility and taste. We all ride our own hobbyhorses.” 70
Since the Victorians, homophobic scholars have attempted to discredit Vasari
and defend a respected Old Master against any implication of immorality in “his
evil-sounding sobriquet.” 71 Efforts to give it a non-sexual meaning are highly
speculative: Enzo Carli supposes the nickname was simply Bazzi’s own little
joke, “with which . . . he loved to glorify himself
facetiously,” but it strains credibility that a heterosexual man would consider
a false claim of deviancy “glorifying.” 72 When such dismissals are echoed by
queer-studies scholars, the hobby-horse is epistemological caution rather than
morality, but the effect is the same: to erase facets of queer history that
conf lict with a higher belief—that homosexuality did not (yet) exist.73 We do
have to read Vasari cautiously: despite the author’s claims, Sodoma’s wife
never left him, nor did he die poor.74 Because few details in Vasari’s
psychological profile are confirmed by other sources, postmodern skepticism
insists that any statement not independently documented is probably false. But
Vasariis generally most informed about artists close to his own time, many of
his artistic facts are documentable, and details in the Vite of Sodoma and
Beccafumi indicate that he visited Siena, saw artworks, and interviewed
informed sources. Moreover, his characterization of Sodoma as capricious,
insolent, and sodomitical is corroborated by three period sources: Eurialo
d’Ascoli’s couplets, Paolo Giovio’s life of Raphael (“a perverse and unstable
mind bordering on madness”), and Armenini’s account of Sodoma’s revenge for an
insult.75 Thus, this essay has followed a less restrictive approach, accepting
any statement that is not contradicted by external sources as possible and
perhaps likely. All historical reconstructions involve judgments of
probabilities; giving one’s sources “the benefit of the doubt” can make up for
any loss of positivistic certainty with gains in breadth, depth, and detail.
Secondly, there is linguistic evidence that particular psychological traits
were becoming attached to habitual sodomites; but this suggestive vocabulary is
often brushed aside to “save the phenomenon” of an episteme of acts, not
personalities. I agree with Simons that “both categorical approaches are
problematic.” A more subtle, inclusive view is adumbrated by Robert Mills, who
demonstrates that the juridical focus on potentially universal acts was in
tension with moral, Church perspectives which also sought to make an identity
of the sodomite . . . by characterizing sodomy as a more enduring
kind of practice, a vice for which one had a particular disposition, tendency
or taste. . . . [S]uch perspectives developed unevenly, over long
periods of time, [but there are] signs that some medieval thinkers
. . . wished to pin the sin down to particular bodies and selves.76
Examples of how “Sodoma” might thus denote an individual with an inborn sexual
preference include one of Matteo Bandello’s humorous tales (novelle), ca. 1540,
in which the dying Porcellio, pressed by his confessor to admit that he
performed acts “against nature,” claims to misunderstand the question because,
he says, “to divert myself with boys is more natural to me than eating and
drinking.” 77 Similarly, Giordano Bruno’s Spaccio della bestia triunfante
(1584) praises Socrates for resisting “la sua natural inclinatione al sporco
amor di gargioni” (his natural inclination toward the filthy love of boys).78
Dall’Orto has surveyed numerous Renaissance Italian terms for those who commit
homosexual acts, notably inclinazione, which implies “leaning” in a particular
direction.79 Similar spadework for the French cognate inclination has been
performed by Domna Stanton, while numerous other French and English tropes,
such as “masculine love,” have been catalogued by Joseph Cady.80 Language was
clearly emerging at this point articulating distinctive traits among those
drawn to sodomy: not yet an “identity” in the modern sense, but a critical
shift toward notions of internal difference. If postmodernism underplays
evidence of sexual self-awareness, it conversely overestimates the power of
discourse, unduly minimizing individual agencyand the imperatives of the
embodied self. The ability of collective discourse to enforce social norms is
never absolute. It engages in perpetual dialectic with the potentially anarchic
desires of society’s diverse individual members, a situation in which “lived
eroticism did not always conform to the rules of social hierarchy,”81 from
Romeo and Juliet to Sodoma and his apprentices. This ineluctable tension arises
because discourse is inculcated into the mind, whereas sexual desire is
grounded in parts of the biological organism less susceptible to rational
suasion. Embodied experience is transhistorical: lust, like hunger, pre-exists
cultural conditioning, and “the recalcitrant realities of human conduct”82 are insistent
enough when unsatisfied to overcome any social convention. This essay has
marshalled evidence that Sodoma, and his contemporaries with similar
inclinations, felt a dissonance between their desires and the dictates of
society, and they possessed sufficient agency to imagine alternative
values—what Walter Pater viewed as a signal Renaissance development, a “liberty
of the heart” that enabled nonconformists to move “beyond the prescribed limits
of that system.”83 Individual bodies are not mere passive receptacles for an
overpowering discourse “poured into” them, but are capable of awareness of that
effort at marginalization, and of active resistance. The ultimate question
lying behind such methodological differences is: why do we do queer history? Here
again, divergent answers ride different hobbyhorses: postmodernists focus on
epistemology, while those open to historical continuity are more interested in
phenomenology. The former philosophize, “How and what can we know about
Renaissance sexuality?” answering that we can comprehend little about a
shifting discourse in which “sexuality” did not exist; the latter
psychoanalyze, “How did it feel for sexual outsiders to negotiate this social
regime?,” and seek clues in intimations of difference in life, language, and
art. While the former stress chronological discontinuity, the latter seek a
“usable past,” a narrative that produces affinities and resonances across time.
The latter project is inherently political: as George Chauncey characterizes
emerging queer studies in the late nineteenth century, claiming certain
historical figures was important to gay men not only because it validated their
own homosexuality, but because it linked them to others. . . . This
was a central purpose of the project of gay historical reclamation.
. . . By constructing historical traditions of their own, gay men defined
themselves as a distinct community.84 Put another way, this school, and this
essay, seek to recover evidence of homosexual desire and expression—however
fragmentary, ambiguous, and carefully historicized—to counter centuries of
suppression, and it seems ironic when social constructionism abets the same
historical erasure. A final image, recently attributed to Sodoma, provides an
enigmatic but tantalizing coda to this discussion85 (Figure 10.7). His hair
garlanded with leaves, beard and brows untamed, “Allegorical Man” leers like a
satyr while his rightJames M. SaslowFIGURE 10.7Sodoma (attributed), Allegorical
Man, ca. 1547–8, oil, Accademia Carrara,Bergamo. Photo credit: Scala/Ministero
per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.hand makes the contemptuous
gesture of “the fig,” an insult that, since Martial’s Epigrams (2:28), can
imply that the receiver is a sodomite. The picture’s precise iconography remains
unexplored; Radini Tedeschi suggests the gesture alludes to Sodoma’s nickname,
and the picture may thus be a final self-portrait, literally or symbolically.
If so, it contrasts poignantly with the artist’s first self-portraitforty years
earlier ( Figure 10.2). Once young and beardless, his foppishness a silent
assertion of nonconformity, he has aged to a still elaborately costumed but
more overtly defiant graybeard, telling the world in gesture what his burlesque
poems expressed in words: I am what I am, I’ve survived your derision, and I
still don’t care what you think. Admittedly, this interpretation remains
speculative, but it would effectively bookend the scenario of Sodoma’s life and
work presented here. Our ability to entertain such a hypothesis depends,
however, on more than attribution and iconography. The potential to recover the
self-expression of creative Renaissance sodomites also requires a polyvalent
openness to a range of both personal and cultural evidence and interpretive
methods. Hearteningly, many seminal postmodern theorists are more accepting of
multiplicity than their acolytes. Foucault praised Boswell’s conception of
“gay,” while Carla Freccero deploys Foucault’s own theoretics against his
discontinuity between early modern and modern sexuality. She approvingly cites
David Halperin’s suggestion that we supplement rigidly compartmentalized ideas
of identity with concepts of “partial identity, emerging identity, transient
identity, semi-identity . . .,” the better to “indicate the
multiplicity of possible historical connections between sex and identity.”86
Murray reassures us that “the alternative to intellectual conformity is not a
lack of coherence but rather a series of interwoven, complementary
. . . approaches.”87 Perhaps the most balanced and inspiring
methodological f lag has been raised by Valerie Traub, who recalls that, while
seeking traces of early modern same-sex eros, she assumed “neither that we will
find in the past a mirror image of ourselves nor that the past is so utterly
alien that we will find nothing usable in its fragmentary traces.”88 I have
sought in Sodoma not a mirror-image, but a family resemblance. He is “usable”
as our ancestor: someone with whom we share an identifiable lineage of desire
and self-expression, in whose uniquely chronicled creative life we can
recapture the origins of an increasingly prominent familial trait.Notes1 2 3 4
5This essay grew from a paper delivered at a 2007 conference at University of
Toronto organized by Konrad Eisenbichler. Thanks to Patricia Simons for her
constructive suggestions. Vasari, Le vite, 6: 380; Vasari, Lives, 7: 246.
Vasari repeats these accusations in his Vita of Domenico Beccafumi, ed.
Milanesi, 5: 634–35. Vasari, Le vite, 6: 382; Vasari, Lives, 7: 247. Vasari, Le
vite, 6: 381; Vasari, Lives, 7: 246. Vasari, Le vite, 6: 389–90; Vasari, Lives,
7: 251, records the old men’s protest; for documents for the 1513 and 1515
races, see 6: 389 n. 3, 390 n. 1; Bartalini and Zombardo, Giovanni Antonio
Bazzi, 44–45, nos. 15–19. A note on terminology: I use “homosexual” throughout
in the narrow descriptive sense, to refer to sexual desire or behavior between
persons of the same sex. Although modern audiences read “homosexual” with
broader connotations of psychology and identity, here it is only shorthand for
“male–male sex.” In modern typology, Sodoma would be considered bisexual, since
he was also married and a father.6 Vasari, Le vite, 6: 379; Vasari, Lives, 7:
245. The artist did not die destitute or insane: see below, n. 74. 7 Fisher, “A
Hundred Years,” 13–39, outlines the activist project of research into
Renaissance homosexuality since the nineteenth century. 8 For an overview of
this position, see Grantham Turner, “Introduction,” 8, n. 3. 9 Reed, Art and
Homosexuality, 54–55. 10 Bartalini, “Sodoma.” 11 The standard English monograph
remains Hayum, Giovanni Antonio Bazzi; for Monteoliveto see 93, cat. no. 4. See
further on the abbey Radini Tedeschi, Sodoma, 138–47; Batistini, Il Sodoma;
documents in Bartalini and Zombardo, Fonti, 15–31, no. 7. 12 Hayum, Giovanni
Antonio Bazzi, 93, no. 4.8; Batistini, Il Sodoma, no. 8. The incident is
recorded by Gregory the Great, Life of St. Benedict, chap. 2. 13 Only a few
illustrations of this subject are known: both a fresco by Spinello Aretino (San
Miniato, Florence) ca. 1387 and a panel by Ambrogio di Stefano Bergognone, ca.
1490, show a pale, unidealized body among prominent briars. A sexual reading of
the series is supported by Kiely, Blessed and Beautiful, chap. 7, “Sodoma’s St.
Benedict: Out in the Cloister.” 14 Vasari, Le vite, 6: 383; Vasari, Lives, 7:
248, for the quote and cloak. The gift, along with other payments of fabrics
and clothing, is transcribed by Bartalini and Zombardo, Fonti, 18–19, 266. See
also Radini Tedeschi, Sodoma, 78–80. 15 Rocke, “The Ambivalence,” 57. 16 Rocke,
Forbidden Friendships, 3–6; his book provides extensive data and analysis of
fifteenth-century Florence. On sodomy elsewhere, see Ruggiero, The Boundaries
of Eros; Crompton, Homosexuality and Civilization, chap. 9; Mormando, The
Preacher’s Demons. For a Europe-wide perspective, see Crompton, Homosexuality
and Civilization, chaps. 10–12; Puff, “Early Modern Europe,” 79–102. 17 Rocke,
Forbidden Friendships, 112, 134. 18 Simons, “The Sex of Artists,” 81. 19 Rocke,
Forbidden Friendships, 163; Crompton, Homosexuality and Civilization, 262–69.
20 Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 251–72. 21 Bernardino da Siena, Le prediche
volgari, ed. Pietro Bargellini (Milan: Rizzoli, 1936), 796–97, 898, cited and
discussed in Dall’Orto, “La fenice,” 5, and n. 27 and n. 28. See also Rocke,
“Sodomites.” 22 Jones and Stallybrass, Renaissance Clothing, 2–7. 23 Ladis,
Victims, 109. 24 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 94, no. 12. 25 On anal sex as
social practice and artistic motif, see Saslow, Ganymede, chaps. 2–3; Rubin,
“‘Che è di questo culazzino!’”; Grantham Turner, Eros Visible, 274–99. Sodoma’s
Deposition, ca. 1510, similarly spotlights the rear view of a soldier: Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 117, no. 7. Other artists emphasized rear views, often
motivated by the formalintellectual challenge of the paragone: Summers,
“‘Figure come fratelli.’” When we have evidence of an artist’s sexual
proclivities, as with Sodoma, it is reasonable to explore whether he imbued the
motif with personal erotic interest; lacking such evidence, however, we cannot
know which other artists might have done the same. Regardless of artistic
intent, similar stimuli would invite similar audience responses. 26 Similar
figures appear in scenes no. 1, 30, and 36 as catalogued by Batistini (Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 93–4, nos. 1, 20, 26). 27 Alain of Lille, The Plaint of
Nature, trans. James Sheridan (Toronto: Pontifical Institute, 1980), 187, cited
in Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 260. 28 Bernardino, as quoted by Rocke,
“Sodomites,” 12, 15; cited in Simons, The Sex of Men, 99. 29 Randolph, Engaging
Symbols, 151, chap. 4. For nuns, see Hayum, “A Renaissance Audience”; for both
sexes, Hiller, Gendered Perceptions. 30 On the prevalence of clerical sodomy
see Boswell, Christianity, Social Tolerance; Mills, Seeing Sodomy, chap. 4;
Rocke, Forbidden Friendships, 136–37. See also Parker, Bronzino, 37: “burlesque
poets tended to present clerics as sodomites.”31 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi,
93–94, nos. 4.13, 4.14, 4.21; Batistini, Il Sodoma, nos. 13, 14, 31 (illns. 59,
60, 68). 32 The regulations are in the monastery’s fourteenth- and
fifteenth-century chronicle: Regardez le rocher, 182–83, 418–19 (my
translation). 33 Illustrated and discussed in Saslow, Pictures and Passions,
103–04. 34 Frans Hogenberg, Execution for Sodomitical Godlessness in Bruges,
1578; illustrated in Crompton, Homosexuality and Civilization, 327. 35 Vasari,
Le vite, 6: 387; Vasari, Lives, 7: 250. 36 On the city’s licentious paganism,
see Bartalini, Le occasioni, 39–86. 37 Rowland, "Render unto Caesar.” 38
Other homoerotic images are in the Sala di Psiche, where Ganymede appears
twice, and one spandrel depicts Jupiter kissing Cupid; Saslow, Ganymede in the
Renaissance, 135–40; Turner, Eros Visible, 109–33. 39 Vasari, Le vite, 6:
384–88; Vasari, Lives, 7: 248–50. Alexander and Hephaestion’s love is alluded
to by Aelian, Various History, 12: 7, and other ancient authors. 40 Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 164–77, no. 20; Bartalini, Le occasioni, 78–81; Radini
Tedeschi, Sodoma, 193–94, no. 56. 41 On Sodoma’s use of classical sources and
gender ambiguity see Smith, “Queer Fragments.” 42 Baldassare Castiglione, The
Book of the Courtier, book 2, chap. 61. On the sexual tone in Rome, see
Crompton, Homosexuality and Civilization, 269–90; Talvacchia, Taking Positions.
Leo X’s Rome also associated sartorial effeminacy with homosexuality:
pasquinades mocked Cardinal Ercole Rangone and sodomite friends for “going
around disguised as nymphs”: Burke, “Sex and Spirituality,” 491. 43 Aretino,
Lettere sull’arte, vol. 1, no. 68 (1537), vol. 2, no. 244 (1545); Aretino, The
Letters, 123–25, no. 58. Other sources record a sculpted Antinous, Hadrian’s
lover: Bartalini, Le occasioni, 73–75. 44 d’Ascoli, Epigrammatum, 11v–12r; Bartalini
and Zombardo, Fonti, 64–67, no. 29; Radini Tedeschi, Sodoma, 71–72. 45 Ibid.,
23. 46 Vasari, Le vite, 6: 386–88; Vasari, Lives, 7: 250. On Leo’s sodomitical
reputation see Giovio’s biography, in Le vite di dicenove, 141v–142v. 47
Parker, Bronzino, chap. 1; Parker, “Towards;” Rocke, Forbidden Friendships,
3–5; Tonozzi, “Queering Francesco”; Zanrè, Cultural Non-conformity, chap. 3. 48
Tonozzi, “Queering Francesco,” 589–91. 49 On these artist-authors see Parker,
Bronzino; The Poetry of Michelangelo; Gallucci, Benvenuto Cellini. 50 Fisher,
“Peaches and Figs,” 158–59. 51 Zanrè, Cultural Non-conformity, 1-2. 52
Armenini, De’ veri precetti, 42–43; Vasari, Le vite, 6: 393; Bartalini, Le
occasioni, 17. 53 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 71-72, quoting Bernardino,
in Le prediche volgari, ed. C. Cannarozzi (Pistoia: Pacinotti, 1934), 277. A
document dated 1531, purportedly Sodoma’s tax declaration, is even more
insolent, signed with a sexual vulgarity; Bartalini and Zombardo, Fonti,
131–33, 281–92. While now considered a seventeenth-century forgery, it
demonstrates that a “legend” about Sodoma’s sexual brazenness persisted after
his death. 54 See Milner, “Introduction.” 55 Sodoma depicted anther homoerotic
myth distinctively: his Fall of Phaeton is almost unique in including Phaeton’s
cousin Cycnus, with whom literary sources imply a loving relationship (Hayum,
135, no. 12). Suggestively, the only other artist to include Cycnus was
Michelangelo. 56 Simons, “European Art,” 135. 57 Vasari, Le vite, 6: 390;
Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 191, no. 24; Radini Tedeschi, Sodoma, Acta
sanctorum, 2: 629, 20 Januarii; Jacopo da Voragine’s thirteenth-century Golden
Legend repeats this phrase (s.v. “St. Sebastian”).59 On arrow symbolism,
including homoerotic potential, see Cox-Rearick, “A ‘Saint Sebastian,’” 160–61.
60 Simons, “Homosociality,” 38. 61 Vasari, Vita of Fra Bartolommeo. For
additional complaints about sexualized Sebastians, see Bohde, “Ein Heiliger,”
86, n. 18. 62 Sodoma’s later depictions of Sebastian evoke the same erotic
subtext. In his Madonna and Child with Saints, ca. 1541–44 (Hayum, Giovanni
Antonio Bazzi, 257, no. 43), Sebastian stares at Jesus, who toys with the
saint’s arrow—a phallic detail seen in no other image. Similarly unique is
Sodoma’s Resurrection, 1535 (Hayum, 235, no. 33) in depicting the angels as nude
putti. 63 Burke, “Sex and Spirituality,” 488–92. 64 Ruggiero, “Introduction,”
2. 65 Reed, Art and Homosexuality, 43. 66 Ibid., 47. 67 Ibid., 43; Puff, “Early
Modern Europe,” 84–85. 68 On this alternative culture in various cities see
Puff, “Early Modern Europe,” 87; Ruggiero, “Marriage,” 23–26; Dall’Orto, “La
fenice di Sodoma,” 61–64, 79. 69 Ruggiero, “Marriage, Love,” 11. 70 Paul
Barolsky, “Vasari’s Literary Artifice,” 121. 71 Cust, Giovanni Antonio Bazzi,
10. 72 Carli, Il Sodoma, 9–12; Carli, “Bazzi.” 73 See, e.g., Patricia Simons,
“Sodoma, Il,” 286. 74 Vasari, Le vite, 6: 379, 398, citing contradicting
documents, 399 n. 1. 75 On Eurialo see above, n. 44; Armenini, n. 52. On
Giovio’s biographies see n. 46; for his comment on Sodoma (“praepostero instabilique
iudicio usque ad insaniae affectationem”) see Bartalini and Zambrano, Fonti,
83–86, no. 35. 76 Simons, “Homosociality and Erotics,” 48, n. 4; Mills, “Acts,
Orientations,” 205. 77 Bandello, Tutte le opera, ed. Flora, 1: 95, novella 6;
Bandello, Tutte le opera, trans. Payne, 1: 94–8. 78 Bruno and Campanella,
Opere, 321. 79 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 74–76; Dall’Orto, “‘Socratic
Love,’” esp. 34–35, 46–50. 80 Stanton, “The Threat.” See further Stanton, ed.,
Discourses of Sexuality; the historiographic overview by Smith, “Premodern
Sexualities”; Cady, “The ‘Masculine Love.’” 81 Puff, “Early Modern Europe,” 87.
82 Brundage, “Playing,” 23. 83 Pater, The Renaissance, 3–6, 18–19; Fisher, “A
Hundred Years,” 19–23. 84 Chauncey, Gay New York, 285–86. 85 Radini Tedeschi,
Sodoma, 257, no. 118. 86 O’Higgins, “Sexual Choice,” 10; Halperin is quoted and
discussed in Freccero, Queer, 48. 87 Murray, “Introduction,” xiv. 88 Valerie
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Non-conformity in Early Modern Florence. Burlington: Ashgate, 2004.Piccolomini’s
Raffaella and Aretino’s Ragionamenti Ian Frederick MoultonIn 1539, Alessandro
Piccolomini, a thirty-one-year-old Sienese nobleman living in Padua, published
a short dialogue: La Raffaella, ovvero Dialogo della bella creanza delle donne [Raffaella,
or a Dialogue on women’s good manners].1 Piccolomini’s dialogue, in which an
older woman encourages a younger one to commit adultery, owes much to the
example of Pietro Aretino’s scandalous Ragionamenti (1534, 1536),2 in which an
experienced courtesan teaches her daughter how to become a prostitute. While
the filial relationship between La Raffaella and the Ragionamenti has long been
noted, the cultural and ideological significance of this relationship remains
largely unexamined. Both texts imagine private female conversations: what do
women talk about when no men can hear? The answer in both cases is men. Men and
sex. (What else would men think that women talk about?) Both texts are male
fantasies of female pedagogy and sexual knowledge, in which male authors adopt
a voice of experienced femininity to articulate imagined feminine perspectives
on sex, gender relations, and gender identity. In the Ragionamenti, the women’s
conversations are scandalous, but also, at times, radical and transgressive,
questioning fundamental norms of gendered behavior and exploring the role of
power in gender relations.3 Despite Aretino’s ambivalent misogyny, the
Ragionamenti imagine possibilities of female agency and power. Piccolomini’s
Raffaella, on the other hand, merely encourages women to subvert one form of
male authority in order to submit to another; it imagines freeing wives from
their husbands the better to subordinate them to their male lovers. Piccolomini
playfully suggests that this shift is doing women a favor because it
acknowledges their need for sexual pleasure.4 His text takes the subversive
energy of the Ragionamenti and turns it into a safe, sly joke. Women, it turns
out, do not want autonomy: they want to submit to younger, sexier men. In La
Raffaella, female agency is not a threat to male dominance—it simply rewards
ardent male lovers over dreary husbands.The conversations of Aretino’s
Ragionamenti take place over six days. An experienced courtesan named Nanna is
discussing with a younger prostitute named Antonia what way of life would be
best for her teenaged daughter Pippa—should she grow up to be a nun, a wife, or
a whore? Nanna spends the first three days of the dialogue recounting her own
experiences in each of these roles; at the end of the third day she
and Antonia decide that Pippa should be a prostitute. They reason that while
nuns break their vows and wives are unfaithful to their husbands, prostitutes
(for all their faults) are not hypocritical—they are simply doing the necessary
work they are paid to do.5 This ends the first volume. In the sequel, having
decided Pippa’s future, Nanna and Antonia teach her the things she will need to
know. On the fourth day, they instruct her how to be a successful courtesan; on
the fifth, they discuss men’s cruelty to women; and on the sixth they listen
while a midwife teaches a wetnurse how to make a living procuring women for sex
with men. In all the discussions about prostitution, Nanna’s instruction
focuses not on how to satisfy men but on how to manipulate them. The condition
of a prostitute is inherently hazardous, and Nanna and Antonia teach Pippa how
to survive and thrive in a world of gender warfare, where men are always
seeking to exploit women, sexually, physically, socially, and financially. Throughout
the Ragionamenti the text takes an ambivalent attitude to its speakers. On the
one hand, Nanna and Antonia are monstrous women who embody a wide range of
misogynist stereotypes. They are deceitful, amoral, gluttonous, greedy,
garrulous, and fickle. On the other hand, they are cunning tricksters, who use
their superior intellect to dupe those who try to exploit and manipulate them.
Nanna is at once a shocking figure of feminine excess and an insightful
satirist who bears more than a passing resemblance to Aretino’s own persona as
an epicurean scourge of powerful hypocrites.6 The Ragionamenti contain
shockingly explicit descriptions of a wide range of sexual activity, but almost
all of these are in the early chapters of the text, in which nuns betray their
vows in endless orgies and wives betray their elderly husbands to find
satisfying sex elsewhere.7 The chapters on prostitution focus not on sexual
pleasure or technique, but rather on how best to earn money and swindle
clients. Aretino’s whores are not particularly interested in sexual
pleasure—they want money, power, and status instead. And the best way to attain
all three is by selling the promise of sexual availability while deferring
sexual activity for as long as possible; the ideal relationship is one where a
man is paying large amounts of money without ever actually managing to have
sexual relations with the woman he is buying. As Nanna puts it, “lust is the
least of all the desires [whores] have, because they are constantly thinking of
ways and means to cut out men’s hearts and feelings.” (“La lussuria è la minor
voglia che elle abbino, perché le son sempre in quel pensiero di far trarre
altrui il core e la corata.”)8 Through a series of cunning tricks, deals, and
lies, Nanna ends up living in luxury in a fashionable house protected by gangs
of armed men whom she employs to remove unwanted suitors.9 She survives and
thrives by manipulating male desire and profiting from male gullibility.Nanna’s
worldly success is, of course, a fantasy that bears little relation to the
actual living and working conditions of most early modern prostitutes,10 but
the Ragionamenti admit this as well. Nanna knows she is not normative, and that
her position remains precarious: “I must confess that for one Nanna who knows how
to have her land bathed by the fructifying sun, there are thousands of whores
who end their days in the poorhouse.” (“Ti confesso che, per una Nanna che si
sappia porre dei campi al sole, ce ne sono mille che si muoiono nello
spedale.”)11 On the sixth day, the Midwife agrees: “A whore’s life is
comparable to a game of chance: for each person who benefits by it, there are a
thousand who draw blanks.” (“E so che il puttanare non è traffico da ognuno; e
percìo il viver suo è come un giuoco de la ventura, che per una che ne venga
benefiziata, ce ne son mille de le bianche.”)12 Consequently, Nanna makes sure
to spend a lot of time warning her daughter Pippa about the many ways that men
can harm the women in their power. In contrast to Aretino’s earthy dialogue of
whores, Piccolomini’s La Raffaella consists of an imagined discussion between
two upper-class women: Raffaella, an elderly, impoverished, but well-born
woman, and Margarita, a newly married wealthy young noblewoman. The tone of
conversation in La Raffaella is certainly more polite and decorous than Nanna
and Antonia’s profane and bawdy language in the Ragionamenti.13 Raffaella, a
friend of Margarita’s late mother, presents herself as a pious widow, eager to
help Margarita adjust to the challenges of being an adult woman and the
mistress of a household. Throughout her talk of pass-times, cosmetics,
deportment, and fashion, Raffaella advises Margarita to take full advantage of
youthful pleasures; if a woman does not enjoy herself while she is young and
beautiful, she is sure to become bitter in her old age: As for God, as I said
earlier, it would be better, if it were possible, to never take any pleasure in
the world, and to always fast and keep strict discipline. But, to escape even
greater scandal, we must consent to the small errors that come with taking some
pleasures in youth, which can be taken away later with holy
water. . . . And moreover, in all this I’m telling you, presuppose
that this little necessary sin will bring you much honor in the world, and that
these pleasures that must be taken can be managed with such dexterity and
intelligence that they will bring no shame from anyone. Quanto a Dio, già t’ho
detto che sarebbe meglio, se si potesse fare, il non darsi mai un piacere al
mondo, anzi starsi sempre in digiuni e disciplina. Ma, per fuggir maggior
scandalo, bisogna consentir a questo poco di errore che è di pigliarsi qualche
piacere in gioventù, che se ne va poi con l’acqua
benedetta. . . . E però in tutto quello che io ti ragionerò
presupponendo questo poco di peccato, per esser necessario, procurerò quanto
piú sia possibile l’onore del mondo, e che quei piaceri che si hanno da
pigliarsi sieno presi con tal destrezza e con tal ingegno, ch non si rimanga
vituperato appresso de le genti.14Margarita’s husband is constantly away on
business; she is bored and feels neglected. By the end of the dialogue,
Raffaella has convinced Margarita to embark on an adulterous affair with a
young man named messer Aspasio (who bears more than a passing resemblance to
Piccolomini himself ).15 It becomes abundantly clear to the reader that
convincing Margarita to sleep with messer Aspasio has been Raffaella’s goal all
along. As the dialogue ends, Margarita looks forward eagerly to her planned
affair, completely unaware of how she has been manipulated by the older woman.
She exults, Having learned today through your words that a young woman needs,
to avoid greater errors, to pour out her spirit in her youth, and having heard
certainly from you the good words of messer Aspasio and the love he bears me, I
am resolved to give all of myself to him for the rest of my life. And thus
having pledged eternal fidelity to messer Aspasio—whom she has barely
met—Margarita goes on to offer the impoverished Raffaella bread, cheese, and ham
as a reward for her kindness.16 Given its subject matter, it is not surprising
that some readers interpreted La Raffaella as an attack on women’s moral
character: older women are presented as corrupt and amoral; younger women as
hedonistic and naive. Women of all ages, it seems, are concerned primarily with
deceiving men to obtain sexual pleasure. Beyond its general cynicism regarding
female virtue, La Raffaella also gives precise and effective direction on ways
to deceive one’s husband and to discreetly carry on long-term affairs.
Raffaella warns Margarita against writing love letters—especially if her lover
is married.17 She recommends that her lover be unmarried, if possible (messer
Aspasio is a bachelor!).18 Raffaella tells Margarita she will need a trusted
servant to communicate with her lover, and that she should choose that person
with great care.19 She recommends a rope ladder for giving a lover access to
private rooms without anyone in the household knowing.20 Raffaella encourages
Margarita to take full advantage of the pleasures that wealth and leisure can
bring, but she insists that all these pleasures are worthless without the final
consummation of adulterous sex: What’s love worth without its end? It’s like an
egg without salt, and worse. Holidays, dinners, banquets, masques, plays,
gatherings at villas and a thousand other similar pleasures are icy and cold
without love. And with love they are so pleasurable and so sweet that I don’t
believe that one could ever grow old among them. In every person love inspires
courtesy, nobility, elegance in dress, eloquence in speech, graceful gestures,
and every other good thing. Without love, they are little esteemed, like lost
and empty things. E amore poi che val, senza il suo fine? Quel ch’è l’uovo
senza’l sale, e peggio. Le feste, i conviti, i banchetti, le mascere, le
comedie, i ritruovi di villae mille altri cosí fatti solazzi senz’amore son
freddi e ghiacci; e con esso son di tanta consolazione e cosí fatta dolcezza,
ch’io non credo che fra loro si potesse invecchiar mai. Amor riforisce in
altrui la cortesia, la gentilezza, il garbo di vestire, la eloquenza del
parlare, i movimenti agraziati e ogni altra bella parte; e senza esso son poco
apprezzate, quasi come cose perdute e vane.21 The “end” of love, which in
Neoplatonic treatises was seen as a beatific transcendence of earthly desires,
is here clearly redefined simply as sex.22 As a result of passages like this,
La Raffaella was attacked both as an insult to women and as an instruction
manual for adultery.23 That the text was explicitly dedicated by Piccolomini to
“the women who will read it” (“A quelle donne che leggeranno”) only made
matters worse.24 Piccolomini was destined from youth for an ecclesiastical
career,25 and at the time he wrote La Raffaella he was starting to make a name
for himself in Italian intellectual circles.26 He had published La Raffaella
under his academic pseudonym, Stordito Intronato, but this did little to
conceal his identity. Responding to criticism of the dialogue, Piccolomini
disavowed La Raffaella almost immediately, writing in 1540 that the text was a
“joke,” written only for his own amusement.27 Clearly, he felt that La
Raffaella’s scandalous reputation was not suitable for his public image and
future aspirations. Unlike Aretino, who published the Ragionamenti in two
installments, Piccolomini not only never published a sequel to La Raffaella, he
never wrote anything like it again.28 In his retractions, Piccolomini insisted
that he had meant no insult to women in La Raffaella, and compared his work to
the licentious novelle in Boccaccio’s Decameron, intended to give “a certain
pleasure to the mind, that cannot always be serious and grave” (“per dare un
certo solazzo a la mente, che sempre severa e grave non può già stare”).29
Although Piccolomini consistently downplayed the dialogue’s significance, La
Raffaella remained in print and remained popular. There were nine Italian
editions in the sixteenth century, as well as three separate translations into
French.30 Indeed, La Raffaella is the most frequently republished of all
Piccolomini’s texts, and one of the few still in print in the twenty-first
century.31 Though criticized for its licentiousness, generically La Raffaella
was in the mainstream of the literature of its time. Neoplatonic dialogues
dealing with love and sexuality were a staple of Italian literary and academic
culture, from Bembo’s Asolani (1505) and Judah Abrabanel’s Dialogi d’amore, to
Sperone Speroni’s Dialogo d’amore, and Tullia d’Aragona’s Dialogo
. . . della infinità d’amore (1547). Along with books on love, books
on the status of women and on feminine deportment were also produced in great
numbers in Italy in the midsixteenth century. Advocating adultery may have been
scandalous, but men telling women how to behave was commonplace. Besides
internationally inf luential texts such as Juan-Luis Vives’ De institutione
feminae christianae (1523)32 and Baldassare Castiglione’s Cortegiano (1528),33
there were dozens of lesser known or more specialized books, such as Giovanni
Trissino’s epistle on appropriate conduct forwidows (1524),34 and Galeazzo
Flavio Capella’s treatise on the excellence and dignity of women (1526).35 The
vast majority of these texts were written by men, and many were prescriptive
works that attempted to define appropriate female conduct.36 Of 125 works
listed by Marie-Françoise Piéjus dealing with the status of women published in
Italy between 1471 and 1560, only two were authored by women: Tullia d’Aragona’s
1547 Dialogo . . . della infinità d’amore and Laura Terracina’s 1550
Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando Furioso.37 Given Piccolomini’s
deep engagement with academic and literary culture, it is not surprising that
La Raffaella draws on a wide range of contemporary texts. The character of
Raffaella herself has a strong resemblance to the central figure of the
procuress from Fernando de Rojas’ La Celestina,38 and passages in Piccolomini’s
dialogue closely echo debates over proper feminine dress in Castiglione’s
Cortegiano.39 But arguably the most important model for La Raffaella remains
Aretino’s Ragionamenti.40 To begin with, there are precise textual echoes: La
Raffaella’s discussion of cosmetics closely follows passages from Aretino’s work,41
as does Raffaella’s reference to the illicit sexual activities of nuns.42 Even
Raffaella’s notion, quoted above, that youthful sins can be removed with holy
water, recalls a speech by Antonia about the relative insignificance of the
sins committed by whores.43 Beyond her similarity to the title character of La
Celestina, Piccolomini’s Raffaella also recalls the Midwife from the sixth book
of the Ragionamenti. Certainly, the Midwife’s following account of her own
techniques are a good description of Raffaella, who comes across as a pious
churchgoer, says she loves Margarita like a daughter, and has endless advice on
fashions and hairstyles: It was always my habit to sniff through twenty-five
churches every morning, robbing here a tatter of the Gospel, there a scrap of
orate fratres, here a droplet of santus santus, at another spot a teeny bit of
non sum dignus, and over there a nibble of erat verbum, watching all the while
this man and that girl, that man and this other woman. . . . A bawd’s
work is thrilling, for by making herself everyone’s friend and companion,
stepchild and godmother, she sticks her nose in every hole. All the new styles
of dress in Mantua, Ferrara, and Milan follow the model set by the bawd; and
she invents all the different ways of arranging hair used in the world. In
spite of nature she remedies every fault of breath, teeth, lashes, tits, hands,
faces, inside and out, fore and aft. Io che ho sempre avuto in costume di
fiutar venticinque chiese per mattina, rubando qui un brindello di vangelo, ivi
uno schiantolo di orate fratres, là un giocciolo di santus santus, in quel
luogo un pochetto di non sum dignus, e altrove un bocconicino di erat verbum, e
squadrando sempre questo e quella, e quello e questa. . . . Bella
industria è quella d’una ruffiana che, col farsi ognun compare e comare, ognun
figilozzo e santolo, si ficca per ogni buco. Tutte le forge nuove di Mantova,
di Ferrara, e di Milano pigliano la sceda da la ruffiana: ella trova tutte
l’usanze de le acconciaturedei capi del mondo; ella, al dispetto de la natura,
menda ogni difetto e di fiati e di denti e di ciglia e di pocce e di mani e di
facce e di fuora e di drento e di drieto e dinanzi.44 In his Novelle (1554),
Matteo Bandello mistakenly attributed La Raffaella to Aretino, in part because
of its resemblance to the Ragionamenti.45 Clearly, the similarity of the two
texts was apparent to contemporary readers. Socially and intellectually,
Piccolomini and Aretino were on friendly terms in the years immediately
following La Raffaella’s publication. Piccolomini wrote to Aretino in December
1540, publicly praising his satirical attacks on the abuses of the powerful.46
And in 1541, two years after La Raffaella appeared in print, Piccolomini
invited Aretino to join the newly founded Accademia degli Infiammati in Padua.
As Marie-Françoise Piéjus has suggested, both the Ragionamenti and La Raffaella
function as parodies of the ubiquitous conduct books addressed to women in the
mid-sixteenth century. The Ragionamenti and La Raffaella are “provocative
text[s], animated by an ironic cynicism that, parod[ies] point by point the
lessons habitually taught to women.” By focusing on women’s sexual lives, both
Aretino and Piccolomini “attest to the divorce between openly affirmed
principles and the daily conduct of [their] contemporaries.”47 What makes these
texts parodic is their sexual subject matter; they both, in differing ways,
affirm women’s fundamental sexuality and attest to the central role of sexual
desire in women’s lives. This is precisely the aspect of femininity that most
of the conduct books are trying most urgently to restrain, repress, and police.
The vast majority of sixteenthcentury conduct books written for women are
designed to make women into good wives: chaste, silent, and obedient—pleasing
to their husbands and compliant to the wishes of their male relatives.48 It is
telling that these two parodic texts are both written in the voice of women.
Rather than having a male author lay down the law for women (like Vives does),
or imagining a conversation where women listen silently as men debate (as in
Castiglione), both the Ragionamenti and La Raffaella imagine female
conversations with no men present. In Ventriloquized Voices, her study of early
modern male authors’ adoption of female voices, Elizabeth Harvey has argued
that “in male appropriations of feminine voices we can see what is most desired
and most feared about women.”49 If Harvey is right, what Aretino and
Piccolomini most desired and feared about women was their sexuality—and the
ways their sexuality creates possibilities for female agency. In both the
Ragionamenti and La Raffaella, an older woman instructs a younger one on issues
of gender and sexuality—and on ways to trick men to get what they want. In both
cases, the absence of male auditors creates the illusion that the reader is
privy to the secret truth of feminine speech. It is significant that both
Aretino and Piccolomini imagine that the main topic that women discuss in
private is their sexual relations with men. While the conversation in both the
Ragionamenti and La Raffaella is wide-ranging, both dialogues arguably fail the
Bechdel test—an assessment that asks whether or not a work of fiction has
twonamed female characters who talk to each other about something other than
their relationships to men.50 In both works, the women are constantly concerned
about their interactions with men and how their actions are perceived by men.
The very categories of female life as set forth in the Ragionamenti—nuns,
wives, and whores—are defined by the ways in which women’s sexual relations
with men (or their lack) are structured and determined. In their desire to hear
the truth of female sexuality, both the Ragionamenti and La Raffaella
metaphorically echo a tradition of masculine fantasy in which female genitalia
are compelled to speak. In the thirteenth-century French fabliau Du Chevalier
qui fist les cons parler [The Knight Who Made Cunts Speak], a poor, wandering
knight who treats some bathing fairies with courtesy and discretion is rewarded
with the magical power to make vaginas talk.51 He uses this power to discover
the truth in situations where people are lying to him: when he encounters a
miserly priest riding on a mare, he makes the mare’s vagina tell him how much
money the priest is hiding. When a countess sends her maid to seduce the
knight, he makes the maid’s vagina reveal the plot. Eventually, he makes even
the countess testify against herself by compelling her nether regions to
speak.52 The vagina, it seems, always tells the truth. This provocative trope
reappears most famously in Denis Diderot’s 1748 libertine novel Les Bijoux
indiscrets [The Indiscreet Jewels], in which a sultan has a magic ring that
makes vaginas tell all. While there is no evidence that either Aretino or Piccolomini
were aware of such tales of talking vaginas, the gender dynamics of their texts
are remarkably similar. The trope of a man magically forcing a vagina to speak
is culturally resonant on a number of levels. On the most basic level, these
stories are fantasies of masculine power: the masterful male commands the
female body to do his bidding and reveal its knowledge. There is comedy, of
course, in the blurring of function between vagina and mouth—the earthy lower
body inevitably tells a tale that refutes the refined upper body. It is
important to note that what the vagina says does not merely contradict what the
mouth says; it unerringly reveals the hidden truth of the situation. Just as
the Ragionamenti and La Raffaella ironically imagine the sexual desires hidden
behind a public façade of decorous femininity, in these stories, the mouth
tells lies, but the vagina tells the truth of the body; it cannot lie. Indeed,
in all these texts, the vagina is the truth, the essence, the thing itself. The
truth of woman is her sex. The same assumption underlies Eve Ensler’s popular
1996 feminist play The Vagina Monologues, an episodic work in which women of
various ages and backgrounds recount their sexual experiences, some positive,
others negative. While the play was acclaimed for giving voice to women’s
sexuality, it was also criticized for reducing women to their genitalia: as
feminist scholars and activists Susan E. Bell and Susan M. Reverby wrote, “The
Vagina Monologues re-inscribes women’s politics in our bodies, indeed in our
vaginas alone.”53 But of course, in Ensler’s work, the author who wrote the
lines and the actors who perform them are all women. The voices we hear are the
women’s voices—not men’s imagination of what a woman’s voice might sound like if
there was no man there to hearand record it. In Aretino and Piccolomini’s
vagina dialogues, it is always only men talking—even if the characters are
female. Piccolomini’s ventriloquized fantasy of female speech in La Raffaella
is all the more remarkable given that the Academy of the Intronati,54 the
organization under whose auspices he published the dialogue, was more arguably
more open to women than any other sixteenth-century Italian academy. The
Accademia degli Intronati [the Academy of the Stunned] was founded in 1525 by a
group of six Sienese young men. The avowed object of the group was “to promote
poetry and eloquence in the Tuscan, Latin and Greek languages” and their motto
was: Orare, Studere, Gaudere, Neminem laedere, Neminem credere, De mundo non
curare [Pray, Study, Rejoice, Harm no one, Believe no one, Have no care for the
world].55 Membership in the Intronati was restricted to men, but as Alexandra
Coller has argued, “women were awarded much more than a merely ornamental
presence within the context of the academy [of the Intronati], whether as
sources of inspiration, correspondents in educationally-oriented literary
exchanges, or as discussants in female-centered dialogues.”56 Sometime around
1536, not long before he wrote La Raffaella, Piccolomini himself wrote a brief
Orazione in lode delle donne [Oration in Praise of Women]. He delivered the
oration to the Intronati in person on his return to Siena from Padua in 1542
and it was published three years later.57 Utterly rejecting La Raffaella’s notion
that love must be sexually consummated to have any real value, Piccolomini’s
oration draws heavily on the Neoplatonic idealization of love articulated in
Pietro Bembo’s Asolani, and in Bembo’s concluding speech in the Fourth Book of
Castiglione’s Cortegiano. In this discourse, love is primarily a spiritual
discipline that paradoxically leads to a transcendence of physical desire.
Women’s beauty is an earthly echo of divine Beauty, and Beauty can be used by
the lover to reach a higher plane of spiritual awareness.58 Women are thus to
be served, adored, and obeyed, in the way that a Courtier should serve, adore,
and obey his Prince.59 Many texts written by members of the Intronati were
dedicated to female patrons, including a translation of six books of Virgil’s
Aeneid and Piccolomini’s own 1540 translation of Xenophon’s Oeconomicus, a
classic treatise on household management.60 A text from the later sixteenth
century, Girolamo Bargagli’s 1575 Dialogo de’ giuochi [Dialogue on Games],
describes the activities of the Intronati in the 1530s, and attests to the
support of the Academy by “many beautiful and noble ladies” (“Molte belle e
rare gentildonne”).61 Some scholars have suggested that women may have even
participated in meetings of the Academy, a rare occurrence in sixteenth-century
Italian intellectual culture.62 An unpublished dialogue by Marcantonio
Piccolomini, a kinsman of Alessandro and a founding member of the Intronati,
imagines a scholarly dialogue between three Sienese gentlewomen on whether God
created women by chance or by design.63 At the outset, however, not all the
Intronati were so welcoming to women— at least if Antonio Vignali’s Cazzaria
(1525) is any indication. Vignali’s dialogue, in many ways a defense of sexual
relations between men, is a fiercely and crudelymisogynist text, a product of
an exclusively male environment that denigrates women at every turn.64 The
Cazzaria was a scandalous text. It was initially circulated in manuscript among
the Academy’s members and was probably printed without its author’s consent.
Although it was not publicly acknowledged or defended by the Intronati at any
point, it was nonetheless written by one of the Academy’s founding members and
was one of the most prominent products of the Academy’s early years.65
Piccolomini was surely familiar with the text— indeed, his kinsman Marcantonio
Piccolomini (Sodo Intronato) appears as one of La Cazzaria’s main characters.66
However eccentric and outrageous it may be, La Cazzaria is arguably an accurate
ref lection of the attitudes towards women of at least some of the Intronati’s
founding members. If the Intronati’s respectful and inclusive attitude towards
women represented in Bargagli’s Dialogo de’ giuochi is to be believed, things
must have changed a lot by the late 1530s. But it is quite possible that the
Intronati’s relatively positive public attitude towards women masked more
negative private views. Perhaps Alessandro Piccolomini’s ironic attitude
towards women in La Raffaella is a product of this conf lict. As we have seen,
the Ragionamenti ’s attitude towards its female speakers is always ambivalent.
But La Raffaella’s presentation of its speakers is much more straightforward.
Raffaella is a manipulative woman who is working throughout with a very
specific goal in mind—to convince Margarita to have an adulterous affair with
messer Aspasio. Margarita is simply a dupe. Whatever Piccolomini’s praise of
women, whatever support the Intronati gave and received from Sienese
noblewomen, La Raffaella ironically suggests that women are fundamentally
submissive to male desire. Raffaella’s considerable ingenuity is entirely
subordinate to the schemes of messer Aspasio. She has no other function than to
help him obtain his desires, and she is in many ways an abject character, forced
to make her living by tricking young women into having sex with manipulative
men. Piccolomini’s idealistic role as defender of women in his Orazione and
elsewhere has an ironic echo in the dedicatory epistle to female readers that
prefaces La Raffaella. Here Piccolomini insists that he has always been a
staunch defender of women against their detractors. He claims that La Raffaella
clearly shows “the appropriate life and manners appropriate for a young, noble,
beautiful woman,” and holds up the character of Raffaella as proof that women
are capable of “great concepts and profound statements and good judgment.”67 He
decries the double standard that sees extra-marital affairs as “honorable and
great” for men, and “utterly shameful for women.” He admits that if a woman
were to be so foolish as to conduct an affair in a way that would arouse
suspicion, that would be “a great error,” but he trusts that his female readers
“will be full of so much prudence, and temperance that [they] will know how to
maintain and enjoy [their] lovers” for years and years. “There is nothing more
pleasing nor more worthy of a gentlewoman than this.”68 In the epistle,
Piccolomini is doubling down on the joke that underlies La Raffaella as a
whole: what women want most of all is satisfying sex with anattractive and f
lattering young man. Anyone who helps them attain this goal becomes their
greatest champion.As we have seen, Aretino’s Ragionamenti argue at length that
at least some women prefer money, status, and power to sexual pleasure. But
this is largely because the whores of the Ragionamenti are not comfortable,
upper-class women like those in La Raffaella. Aretino’s whores want power, but
his nuns and wives, whose material well-being is secured either by the Church
or by their husbands, want sex. In the more elevated world of La Raffaella, the
wealthy and well-born Margarita lives in luxury; all that is missing from her
pleasurable life is a satisfying sexual partner. The condition of Nanna, Pippa,
Antonia—and indeed of Raffaella, Piccolomini’s impoverished elderly bawd—is
much more precarious. The single-minded pursuit of sexual pleasure, it seems,
is a privilege of the upper classes, of those women who are not compelled to
participate directly in a capitalist market for goods and services in which
their sexuality is primarily a commodity used to raise capital. Aretino’s
attitude to women is often disdainful and dismissive; Piccolomini almost always
f latters his female readers. And yet, it is the Ragionamenti that imagine autonomous
women who manage to hold their own in conf lict with men, whereas La Raffaella
presents women who are entirely dominated by men in one way or another. The
Ragionamenti fantasize about the ways in which women trick men; La Raffaella
fantasizes about the ways women can be tricked. Aretino’s Nanna provides a
powerful contrast to Piccolomini’s fantasy of feminine submission. In Book 2 of
the Ragionamenti, when Nanna recounts her experiences as a wife, she does
exactly what Raffaella urges Margarita to do— she takes young lovers who can
satisfy her sexually in ways her impotent husband cannot. But the key
difference is that Nanna makes that choice for herself—she is not tricked into
it by a male suitor who is using a female confidant to manipulate her. Even
before becoming a prostitute, Nanna is always looking out for herself. She
tricks her lovers in the same way she tricks her husband. She plays to win and
is never duped. And unlike Margarita, who promises to devote herself
exclusively to messer Aspasio, Nanna’s adultery is utterly promiscuous: Once I
had seen and understood the lives of wives, in order to keep my end up, I began
to satisfy all my passing whims and desires, doing it with all sorts, from
potters to great lords, with especial favor extended to the religious
orders—friars, monks, and priests. Io, veduto e inteso la vita delle maritate,
per non essere da meno di loro, mi diedi a cavare ogni vogliuzza, e volsi
provare fino ai facchini e fino ai signori, la frataria, le pretaria, e la monicaria
sopra tutto.69 Eventually she ends up stabbing her husband to death when he
assaults her after catching her having sex with a beggar.70 It is hard to
imagine Piccolomini’s wellbred Margarita acting in a similar manner should her
husband ever catch her with messer Aspasio. Piccolomini’s Raffaella fits into
larger trends in the ways in which Aretino’s Ragionamenti were read and
assimilated into mainstream early modern culture.Broadly speaking, texts that
were inspired or inf luenced by the Ragionamenti adapted Aretino’s text in ways
that made it less subversive and conformed better to traditional ideas of early
modern gender relations. Later editions, translations, and adaptations of the
Ragionamenti focused on Book 3 of the first day, on the life of whores, and
presented the text to readers simply as a catalogue of female deceit and
monstrosity in which the satirical and subversive elements of Nanna’s character
were downplayed in order to make her a purely negative figure.71 In a similarly
reductive move, La Raffaella takes the notion that women will attempt to
deceive men, and limits it to the particular case of aristocratic wives
deceiving their husbands—a model which fits well into traditional discourses of
courtly love that go back to the twelfth century.72 Women are represented as
fundamentally passionate creatures that desire physical pleasures above all
else, and these are found more naturally with young men in adulterous
relationships than with respectable, mature, and neglectful husbands.
Margarita’s husband spends too much time on “business” and not enough with his
wife, and the well-bred and discreet messer Aspasio is the natural solution to
Margarita’s problems. Raffaella the bawd is not disrupting traditional
aristocratic patterns of behavior, she is facilitating them. As long as the
affair remains discreet, everyone will benefit and no one will care.
(Machiavelli makes much the same point in his play Mandragola, but in that case
the satiric irony is obvious.) In La Raffaella the extent to which Piccolomini
supports Raffaella’s argument is not clear. As we have seen, he explicitly
endorses her point of view in his dedicatory epistle to his female readers. But
the degree of irony in the epistle is an open question. It is enough that
Piccolomini had deniability when he needed it—La Raffaella, as he later
claimed, was obviously a youthful joke. Later commentators agreed that the
dialogue, though seemingly immoral, was actually a witty jeu d’esprit. The
nineteenth-century scholar and editor Giuseppe Zonta called La Raffaella a
“jewel of the Renaissance, the most beautiful ‘scene’ that the sixteenth
century has left us, in which didactic intent develops deliciously out of a
comic drama” (“gioiello della Rinascita, la più bella “scena” che il
Cinquecento ci abbia lasciato, dove l’intento didattico deliziosamente si
svolge di su una comica trama”).73 Many things have been said about Aretino’s
Ragionamenti, but no one ever claimed that they were a beautiful jewel.Notes 1
On sixteenth-century editions of La Raffaella, see Zonta, ed., Trattati
d’amore, 379–82; Cerreta, Alessandro Piccolomini, 175–77. There are no known
surviving copies of the 1539 edition. Zonta believes the first edition may have
been published in 1540. 2 Aretino, Ragionamento della Nanna; and Dialogo di M.
Pietro Aretino. 3 Moulton, Before Pornography, 132–36. 4 See the dedicatory
epistle to “quelle donne che leggeranno,” Piccolomini, La Raffaella, 31. Unless
otherwise indicated, all references to La Raffaella are to this edition. 5 On
prostitution as a form of labor and commerce in the Ragionamenti see Moulton,
“Whores as Shopkeepers,” 71–86.6 Moulton, Before Pornography, 132–36. On
Aretino’s public image, see Waddington, Aretino’s Satyr. 7 Moulton, Before
Pornography, 130–31. 8 Aretino, Sei giornate, 132–33. English translation:
Aretino, Aretino’s Dialogues, 116. All English quotations from the Ragionamenti
are from this edition. 9 Aretino, Sei giornate, 115–16; Aretino’s Dialogues,
102–03. 10 See Larivaille, La Vie quotidienne, esp. chapter 6 on the economic
and personal exploitation of whores and chapter 7 on syphilis. On hierarchies
of prostitution, see Ruggiero, Binding Passions, 35–37. 11 Aretino, Sei
giornate; Aretino’s Dialogues, 135–36. 12 Aretino, Sei giornate, 283–84;
Aretino’s Dialogues, 310. 13 Baldi, Tradizione, 106–07. 14 Piccolomini, La
Raffaella, 41. All translations from La Raffaella are my own. 15 Piéjus, “Venus
Bifrons,” 121. 16 Piccolomini, La Raffaella, 119. 17 Ibid., 101–02. 18 Ibid.,
94. 19 Ibid., 112. 20 Ibid., 113. 21 Ibid., 110. 22 Ibid., 135 n. 120. 23
Piéjus, “Venus Bifrons,” 82–83. 24 Piccolomini, La Raffaella, 27. 25 Piéjus,
“Venus Bifrons,” 86. 26 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 10–48. 27 “Molte cose
che per scherzo scrisse già in un Dialogo de la Bella Creanza de le Donne,
fatto di me più per un certo sollazzo, che per altra più grave cagione.”
Dedicatory epistle to Piccolomini, De la Institutione. See Piccolomini, La
Raffaella, 7. 28 He did publish two comedies: L’Amor costante (1540) and
L’Alessandro (1545). See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 177–78, 187–88. 29
Piccolomini, De la Institutione (f. 231r-v). See Piccolomini, La Raffaella, 8.
30 Piéjus, “Venus Bifrons,” 81, 161. 31 See the 1960 bibliography of
Piccolomini’s published works in Cerreta, Alessandro Piccolomini, 173–96. 32 An
Italian translation of Vives’ De institutione feminae christianae was published
in Venice in 1546 under the title De l’institutione de la femina. A second
edition appeared in 1561. Vives’ treatise was also the model for Ludovico
Dolce’s Della Institutione delle donne (Venice: Giolito, 1545). Further
editions of Dolce’s text were published in 1553, 1559, and 1560. 33 Burke, The
Fortunes of the Courtier. 34 Trissino, Epistola. 35 Capella, Galeazzo Flavio
Capella Milanese. 36 Kelso, Doctrine for the Lady. 37 See the chronological
bibliography of 125 works on women published in Italy between 1471 and 1560,
Piéjus, “Venus Bifrons,” 156–65. Women did address the issue in unpublished
texts, such as the collected letters of Laura Cereta (ca. 1488). See Cereta,
Collected Letters. Published texts by women were more common is the later years
of the sixteenth century. For an overview of “protofeminist” writing in early
modern Italy see Campbell and Stampino, eds. In Dialogue, 1–13. 38 Baldi,
Tradizione, 99–102. Piccolomini, La Raffaella, 11–15. 39 Piéjus, “Venus
Bifrons,” 108. On the larger influence of the Cortegiano on La Raffaella, see
Baldi, Tradizione, 86–90. 40 Piccolomini, La Raffaella, 9. Baldi, Tradizione,
100–07. 41 Piéjus, “Venus Bifrons,” 106, 118, 126. 42 Piccolomini, La
Raffaella, 43.43 Aretino, Sei giornate, 139; Aretino’s Dialogues, 158. 44
Aretino, Sei giornate, 285, 291; Aretino’s Dialogues, 312, 318. 45 Bandello,
Novelle, 1.34. Included in a list of licentious books, along with the poems of
Petrarch, Boccaccio’s Decameron, and Ariosto’s Orlando Furioso. See Piéjus,
“Venus Bifrons,” 83. 46 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 43–44. Piccolomini and
Aretino corresponded in 1540– 41. Five letters from Piccolomini to Aretino are
included in Marcolini, ed., Lettere scritte. See also Cerreta, Alessandro
Piccolomini, 253–54. 47 “De là naît, comme dans les Ragionamenti, un texte
provocateur, animé pare une ironie cynique qui, parodiant point par point les
leçons habituellement données aux femmes, renverse la finalité d’une conduite
désormais subordonnée à la recherche du plaisir”; “Piccolomini constate, comme
l’Arétin, un divorce entre les principes ouvertement affirmés et la conduite
quotidienne de ses contemporains.” Piéjus, “Venus Bifrons,” 147–48. My
translation. 48 Kelso, Doctrine, 78–135. 49 Harvey, Ventriloquized Voices, 32.
50 The Bechdel–Wallace test was first outlined in 1985 in Allison Bechdel’s
comic strip Dykes to Watch Out For. See Alison Bechdel, “The Rule,” in Dykes to
Watch Out For (Ithaca, NY: Firebrand Books, 1986), 22. Bechdel attributes the
idea to her friend Liz Wallace, and says the ultimate source is a passage in
Virginia Woolf ’s A Room of One’s Own. See also Selisker, “The Bechdel Test.”
51 Rossia and Straub, eds., Fabliaux Érotiques, 199–239. 52 In order to silence
her vagina, the Countess stuffs it with cotton, but the Knight is able to make
her anus speak as well, and all is revealed. 53 Bell and Reverby, “Vaginal
Politics,” 435. 54 On the Intronati, see Constantini, L’Accademia. 55
Maylender, Storie delle accademie d’Italia, vol. 3, 354–58. 56 Coller, “The
Sienese Accademia,” 223. See also Piéjus, “Venus Bifrons,” 86-103. 57 Coller,
“The Sienese Accademia,” 224. A second edition of the Orazione appeared in
1549. See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 189. 58 Moulton, Love in Print,
48–53. 59 Piéjus, ‘L’Orazione, 547. Coller, “The Sienese Accademia,” 225. 60
Piccolomini translated one of the six books of the Aeneid. For these and other
examples, see Piéjus, “Venus Bifrons,” 91–96. 61 Bargagli, Dialogo de’ giuochi,
22. Piéjus, “Venus Bifrons,” 89. 62 Ibid. She cites Elena De’ Vecchi,
Alessandro Piccolomini, in Bulletino Senese di Storia Patria (1934), 426. 63
Piéjus, “Venus Bifrons,” 93–96. The untitled dialogue is roughly contemporaneous
with La Raffaella. 64 Vignali, La Cazzaria, 40–41. 65 Ibid., 21–26. 66 As well
as appearing in La Cazzaria and being the author of the aforementioned
scholarly dialogue between three women, Marcantonio Piccolomini (1504–79) also
appears as the primary speaker of Bargagli’s Dialogo de’ giuochi. 67
Piccolomini, La Raffaella, 29. 68 “Io vi confesso bene, poiché gli uomini fuori
di ogni ragione tirannicamente hanno ordinato leggi, volendo che una medesima
cosa a le donne sia vituperosissima e a loro sia onore e grandezza, poich’egli
è cosí, vi confesso e dico che quando una donna pensasse di guidare un amore
con poco saviezza, in maniera che n’avesse da nascere un minimo sospettuzzo,
farebbe grandissimo errore, e io piú che altri ne l’animo mio la biasmarei:
perché io conosco benissimo che a le donne importa il tutto questa cosa. Ma se,
da l’altro canto, donne mie, voi sarete piene di tanta prudenza e accortezza e
temperanza, che voi sappiate mantenervi e godervi l’amante vostro, elletto che
ve l’avete, fin che durano gli anni vostri cosí nascostamente, che né l’aria,
né il ne possa suspicar mai, in questo caso dico e vi giuro che non potete far
cosa di maggior contento e piú degna di una gentildonna che questa.” Ibid.,
30–31.69 Aretino, Sei giornate, 89; Aretino’s Dialogues, 102. 70 Aretino, Sei
giornate, 90; Aretino’s Dialogues, 103. 71 Such texts include Colloquio de las
Damas (Seville, 1548); Le Miroir des Courtisans (Lyon, 1580); Pornodidascalus
seu Colloquium Muliebre (Frankfurt, 1623); and The Crafty Whore (London, 1648).
See Moulton, “Crafty Whores,” and Moulton, Before Pornography, 152–57. 72 On
Courtly Love as a cultural phenomenon, see Newman, ed., The Meaning of Courtly
Love. On the cultural origins of courtly love, see Boase, The Origin and Meaning.
73 Zonta, ed. Trattati d’amore, 377.Bibliography Abrabanel, Judah (Leone
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Aretino, Pietro. Aretino’s Dialogues. Translated by Raymond Rosenthal. New
York: Marsilio, 1994. ———. Dialogo di M. Pietro Aretino, nel quale la Nanna il
primo giorno insegna a la Pippa sua figliola a esser puttana, nel secondo gli
contai i tradimenti che fanno gli huomini a le meschine che gli credano, nel
terzo et ultimo la Nanna et la Pippa sedendo nel orto ascoltano la comare et la
balia che ragionano de la ruffiania. Turin?: 1536. ———. Ragionamento della
Nanna e della Antonia, fatto in Roma sotto una ficaia, composto del divino
Aretino per suo capricio a correttione de i tre stati delle donne. Paris?:
1534. ———. Sei giornate. Edited by Giovanni Aquilecchia. Bari: Laterza, 1969.
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Giuseppe, ed. Trattati d’amore del Cinquecento. Bari: G. Laterza,Della Porta’s
brief thirty-two-page treatise on the art of memory1 appeared in print in
Naples in 1566. There was another edition in 1583; in 1602 Della Porta
published a revised Latin version of the text under the title Ars reminscendi.2
Despite the fact that The Art of Remembering did not see nearly as many press runs
as Della Porta’s more famous works on natural magic and physiognomy, and
despite (or because of?) its brevity, his art of memory was frequently utilized
by seventeenth-century preachers.3 Given its author’s dubious reputation with
Catholic orthodoxy—and his constant difficulties with the Inquisition—this
popularity might seem quite amazing.4 In both a series of articles and a book
chapter, Lina Bolzoni has discussed The Art of Remembering; my contribution
here seeks to elaborate on Bolzoni’s work by examining the function of a
peculiar sequence of images appearing in Della Porta’s text—images that inf
luence the entire structure and character of The Art of Remembering. Della
Porta recommends the use of explicit sexual fantasies as the most powerful images
for organizing the process of recollection. The use of erotic images was not
uncommon in the medieval and early modern tradition of the art of memory. Yet
in Della Porta’s text, images depicting sex between human beings and animals
are amazingly prominent (and especially in the two Italian versions of the Arte
del ricordare than in the later Latin Ars reminiscendi ). Here I will argue
that Della Porta’s use of pornographic and even, in the modern sense of the
word, sodomitic imagery is not merely a consequence of the more innovative
aspects of his instructions for developing the capacities of memory. Rather,
these images resonate in other of Della Porta’s numerous and highly inf
luential texts—namely, his texts for the theater, on human physiognomy, natural
magic, cross-breeding, and marvels (meraviglia) in general. Such pornographic
images thus refer to the core topics of his most important texts—and,
accordingly, to his general endeavors as an early modern magus.5The art of
memory Basically, the art of memory consists of imagining a spatial
structure—for instance, a house with different rooms (loci )—and then
furnishing these spaces with objects and persons (imagines).6 The next step is
to walk through the rooms of this imagined building and to assign to each one
item one wishes to recall, in the precise order of movement through the
architectonic structure. Originally developed in classical antiquity for public
orators, this method allows a speaker to recall the general content and order
of a speech, but the “art of memory” was also used to recollect specific
sequences of words. In this “art,” it is crucial to visualize and memorize a
mental structure, with its loci and imagines, in the greatest possible detail.
To facilitate this formidable task, the masters of the art of memory frequently
recommended that the images have a strong emotional nature (imagines agentes).
Conspicuously, manuals for the art therefore often recommend erotically charged
images as imagines agentes.7 Remembrance thus becomes dependent on—and
simultaneously synonymous with—exercising vivid (and, as we shall see,
predominantly male) sexual fantasies. The imaginary loci populated by a
sequence of well-ordered and striking images tend to acquire a life of their
own. As Bolzoni writes: “it is easy to imagine how centuries of experience in
memory techniques have given scholars some idea of the complex nature of mental
images and their capacity to inhabit their creators, to come alive and escape
their control.”8 And yet the affective movement of the soul, produced by
recalling a set of emotionally charged images, clashes with the imperative of
order that is the other vital aspect of the art of memory.9 Thus—in contrast to
modern literary authors who acknowledge and actively employ this same phenomenon
in developing their texts—the masters of memory were faced with the arduous
task of restraining the life of their own figments.10Della Porta’s
mnemotechniques Della Porta’s approach to the topic is characterized by a
methodical pluralism that is typical for the art of memory. Along with the
basic principles outlined above, he presents different ways of organizing
memory.11 For example, he recommends memorizing a group of ten to twenty women
whom one has loved to organize a system of pleasant and striking mnemonic
images. He contends that when employing the phantasmata of women one has made
love to or one has desired, one can succeed in remembering not only one word,
but an entire verse or even several verses.12 Della Porta also states one
particular system as his most innovative and preferred innovative contribution
to the art. For setting up the loci, he recommends memorizing little neutral
cubicles eight palms long, each populated with different impressive personae:
here, the sexually attractive women one has made love to or has been in love
with are placed alongside cubicles occupied by friends, jesters, noblemen, and
matrons.13 Della Porta accordingly recommends the use not only of men and women
personal acquaintances, but also of charactertypes—especially from comedy—that
during the sixteenth century were populating contemporary stage plays. In this
respect, The Art of Remembering follows a widespread tradition in
sixteenth-century treatises, as seen for example in Lodovoco Dolce’s
contemporaneous Dialogo del modo di accrescere e conservare la memoria
(1562).14 Another important precept in Porta’s Art of Remembering is that the
sequence of personae must vary; for example, he suggests “a woman, a boy, a
girl, a relative, an elderly man.”15 It is crucial to note that this succession
of personae is as fixed as the structure of the cubicles where they are
placed—which they “inhabit,” as it were. This implies that the personae become
part of the spatial setting, of the architecture of the memory palace, the
locus.16 These loci/personae determine the temporal sequence in which the
imagines appear, and in turn the content to be memorized in the correct
sequence (this content I will term the memorandum). In contrast to the fixed
personae, Della Porta defines the images as “animated pictures” which we
construct or spin out ( fingere/recamare) using the faculty of fantasy to
represent things and words.17 The images are mobile and variable: they
constitute what the personae in their fixed sequence do. And these activities
must be extraordinary in every respect; clothed in lavish and shining robes,
the personae’s movements should resemble larger-than-life actors, presenting
the mind with a “painting that is new, strange, marvelous, unusual, pleasant,
varied, and horrific (spaventevole).”18 Moreover, an image should also be
composed of a variable set of living and dead objects, which, like stage props,
are added to the persona—for instance, a cornucopia or a swan. Della Porta
recommends the use of relatively few loci/personae, condensing the sequence of
memoranda to a maximum of ten images agentes, as comic and tragic playwrights
would.19 One cannot help speculating that Della Porta discloses here a vital
aspect of his writing techniques as a prolific and inf luential author of
comedies.20 He obviously followed the advice of his predecessors, shaping his
personae in ways reminiscent of the exceedingly grotesque personae in his
mannerist comedies.21 The most salient feature of these plays is that they use
a limited set of characters whose social roles and statues are fixed in a set
of stock scenes.22 The practicability of this system is obvious, because there
is no need to memorize hundreds of loci and imagines. Yet there is one obvious
difficulty. This artificial memory is rather limited, because it will only
allow the practitioner to memorize one story (or a sequence of ten words).Della
Porta’s ars oblivionis This limitation is, of course, a general difficulty for
the art. From the time of its invention, the ars memoria has entailed an ars
oblivions, an art of forgetting, that in turn allows for the memory to be
organized anew. This is a difficult task, because laboriously constructed
chains of association between personae, imagines, and memoranda must now be
erased.23 Della Porta says that if we wish to remember a new story or a new set
of words, we can assign the same set of personae, in the same sequence, the
task of forging a new sequence of images.To this aim, we must imagine the fixed
sequence of personae in their cubicles, with these “usual suspects” stripped
naked or merely covered in white sheets, all in identical upright posture,
leaning with their shoulders against the walls of their cells.24 In Della
Porta’s system, the sequence of personae set in neutral cubicles is a permanent
pattern. He compares the personae to the lines on a specially varnished sheet
for musical compositions; it is inscribed with permanent lines, but what is
written onto them can be washed off. Thus, just as the musical notes (or signs)
are impermanent and can be reinscribed onto that sheet in a new order, creating
a new melody, so the old imagines agentes may be erased, with the personae free
to assume the pose of new imagines agentes.25 It is not only the architectonic
structure that functions as locus; the personae (who are usually classified as
“images”) become an aspect or a part of “place.”26 The personae assume the
paradoxical role of living statues—and this oxymoron aptly circumscribes the
self-contradictory function of the memory images: in order to impersonate new
imagines agentes, they should be plasmatic, but at the same time their bodies
must remain precisely fixed in dress, comportment, gesture, and the
corresponding affects communicated by these visual traits. However, Della Porta
prescribes that even when the personae are imagined naked, leaning against the
wall—in order to prepare them for a new role in another story—they should not
be the neutral recipients of images. Rather, they must be imagined in a highly
individualized form. And their actions are not arbitrary: Della Porta
prescribes constructing these stock characters of the imagination in the most
fitting way with respect to “age, facial traits, occupation, and comportment
(mores).”27 The personae’s actions are predetermined by their sex, social
status, and concomitant habits. Moreover, these actions of the personae—who
become the permanent abodes of the variable imagines—have to be related to the
content of the word or the story to be remembered. Della Porta’s technique of
character development was an important and original modification of the
traditional system of loci and imagines.28 In this way, the formal structure of
the memory is brought into a strong— and reciprocal—relationship with the
content that is to be memorized. In a key example, Della Porta writes that the
entire story of Andromeda can be remembered by the image of a naked, shivering,
and wailing woman chained to a rock.29 The setup of highly individualized
loci/personae is vital for the intricate task of memorizing a sequence of
individual images. Since more than one image is required, the spatial
arrangement of the personae/imagines becomes very important. The Latin version
of The Art of Remembering supplies the following example: if the word to be remembered
is avis (bird) and the cubicle is inhabited by the persona of a boy, then he
should be Ganymede; if it is “cook” then he cooks the bird;30 if the word is
taurus (bull) and a robust boy inhabits the cubicle, then we should imagine
Hercules wrestling with Achelous;31 if we wish to remember horn (cornus) and a
virgin inhabits the cubicle, we visualize her covered in f lowers and fruits,
like a Naiad with a cornucopia in hand.32The Italian Arte del ricordare gives
different examples.33 If we suppose the word “bird” to be the memorandum for a
prostitute (meretrice), Della Porta suggests constructing an image of Leda
during sexual intercourse with Jupiter in the guise of a swan.34 This direction
is confirmed in many other examples: for instance, under the memorandum “bull”
in the locus/persona of a virgin, we might imagine the rape of Europa.35 If the
memorandum “bull” embodies the locus/persona of a meretrice (prostitute), then
we should forge an image of Pasiphaë having sexual intercourse with the bull.36
There is no doubt that the imagery of the vernacular Arte del ricordare is more
graphic, more sexually explicit, and less polished than the later Latin
version. Yet all the versions recommend sexually explicit, or at least
erotically charged, imagines agentes. Another striking feature of Della Porta’s
examples is that all memoranda— the “bulls,” “horns”— are words with sexual
connotations. Of course, uccello “bird” in Italian denotes the penis; thus, the
sexual connotation is as present in the memorandum as in the image. 37 This
intimate thematic connection highlights the rule that imago and memorandum must
be as closely related as possible. These examples reveal that Della Porta
wishes his readers to entwine their individual memories of (present or former)
personal acquaintances with the stories of classical mythology to construct
imagines agentes; like interlacing arches, they support the architecture of the
memory palace. It seems that the thematic link between imago agens and
memorandum is rather uncommon in the art of memory. Usually the imagines
agentes are used as placeholders for any content; for example, one could use
the imagines agentes of naked women to remember any sort of text, not only
erotic topics. Della Porta’s thematic over-determination would seem to imply
that his true interest lay in the actual topics to which the imagines agentes
and their corresponding memoranda refer; namely, a discourse concerning the
human body, the porous boundaries between human beings and animals. Inherent in
these tales of sex with animals is the generation of
monstrous—marvelous—offspring.Panoptic visions and living statues From a
Foucaultian perspective, Della Porta’s vision of the defenseless personae in
their mental prison cells has a panoptic character (though the term here is
used, of course, anachronistically). Whereas gazing at naked or sparsely
dressed human bodies, even in the imagination, can be considered a form of
symbolic violence, it is a technique of visualization in which the different
qualities of men and women of various ages, sexes, and professions become—quite
brutally— reduced to their physical features, because they are bereft of their
clothing and the social insignia, which denote, circumscribe, and protect their
social status and their moral integrity. This practice of examining the
physical features of naked men and women is echoed in the art of physiognomy of
which Della Porta considered himself a master. In fact, in his lavishly
illustrated works on the topic we find many depictions of the naked bodies of
men and women, with textssupplying the reader with the character traits (mores)
ascribed to various medical complexions; that is, the constituent factors of
human bodies and their affinities within the animal world.38 Measuring and
classifying naked human bodies according to their occupational and concomitant
social status was a widespread artistic practice during the fifteenth and
sixteenth centuries following the techniques for painters described in Leon
Battista Alberti’s De pictura (On Painting, 1435). Della Porta very closely
echoes and even plagiarizes Alberti, adapting Alberti’s instructions for
painters into his art of memory. In order to create images that appear lifelike
and therefore suited for communicating human emotions, Alberti recommends that
painters first draw human figures naked and only subsequently dress them (“ma
come a vestrie l’uomo prima si disegna nudo poi il circondiamo i panni”). 39 In
this context, the parallels between Alberti’s and Della Porta’s ideas are
obvious. In order to create emotionally charged imagines agentes they must be
as lifelike as possible, which means—especially in the case of erotic
imagines—that we undress the personae. Yet, whereas Alberti had pointed to the
appropriate decorum of his images, Della Porta opts for
larger-than-life-personae—for grotesque and exaggerated representations.40
Another point of reference between the De pictura and The Art of Remembering is
that Alberti links his measurements of human bodies to the proportions of
buildings. In Alberti’s context, an implied relation of architecture and body
clearly results from the process of constructing representations of irregular,
organic forms in central perspective. The architectural space must be
circumscribed before inserting the non-geometrical figures which are to
“inhabit” that space. The parallel to Della Porta’s The Art of Remembering is
striking, since for him as well the personae are an integral part of the loci
they inhabit. Paradoxically, Della Porta’s personae can be considered moving
statues. On the one hand, they must be imbued with as much life as possible; on
the other hand, they must freeze in one position, like a tableau vivant. But
the idea that moving statues are sexually arousing is much older than Della
Porta; Andromeda (one of the key examples in Della Porta’s The Art of
Remembering) is described by Ovid as sexually arousing to Perseus, her
liberator, because her naked body resembles a marble sculpture. “When Perseus
saw [Andromeda], her arms chained to the hard rock, he would have taken her for
a marble statue (“marmoreum esset opus”), had not the light breeze stirred her
hair, and warm tears streamed from her eyes. Without realizing it, he fell in
love (“trahit inscius ignes”).”41 When viewed from the perspective of
contemporary theater, Ovid’s erotic statue of Andromeda brings to mind the
“living statue” of Hermione in Shakespeare’s Winter’s Tale (V, 3) or Othello’s
description of Desdemona’s body as “whiter skin . . . than snow” and
as “smooth monumental alabaster” (Othello V, 2, 4–5). On Shakespeare’s stage,
this transformational power from living being to statue (and back again, in the
mode of comedy) is associated with male violence against women caused by
jealousy. Such marble statues may also play an important role in imaginings of
pregnant women. In a more general context, tales of walking statues are
associated with magical arts, as demonstrated in Apuleius’Metamorphoses, a work
closely associated with magic. Lucius, the protagonist of this second-century Roman
novel, describes his arrival in Corinth, the capital of Greek witchcraft: There
was nothing I looked at in the city that didn’t believe to be other than it
was: I imagined that everything everywhere had been changed by some infernal
spell into a different shape – I thought that the very stones I stumbled
against must be petrified human beings, . . . and I thought the
fountains were liquefied human bodies. I expected statues and pictures to start
walking, walls to speak, oxen and other cattle to utter prophecies, . . .42
A magician’s power thus is akin to what a master of memory does: turning one
thing into another. This topic is intimately linked to Della Porta’s other
interests in the arts of cross-breeding, of physiognomy, and of natural magic.
Yet the relationship between Della Porta’s imagines agentes and contemporary
painting becomes even more striking upon a closer examination of the individual
imagines agentes ref lected in contemporary media.Ovid’s Metamorphoses as
represented by Titian’s paintings Virtually all the examples in Della Porta’s
The Art of Remembering refer to the thicket of myths recorded in Ovid’s
Metamorphoses. This is no wonder; as the most inf luential “pagan” text of the
Middle Ages and beyond, the Metamorphoses43 constitute a substantial
encyclopedia of the transformations of the bodies of gods and human
beings—transformations caused mostly by violent sexual acts of transgression on
the part of gods, heroes, or powerful men upon their helpless victims. Ovid’s
text is thus a rich source for the primary task of Della Porta’s art of memory:
not only to associate but to exchange one image for another. Moreover,
Andromeda, Leda, Ganymede, Io, and Actaeon, to mention but a few of the
imagines mentioned in the Ars reminiscendi, were highly popular subjects for
contemporary artistic representation. It is thus no wonder that Della Porta
explicitly refers to the paintings of Michelangelo, Rafael, and Titian in his
writings.44 In the mode of synecdoche, these imagines agentes serve as abbreviations
for entire stories that are reduced to one single imago agens, just as Della
Porta had postulated in the case of Andromeda. Accordingly, Titian’s most
famous works supply the reader with instructive illustrations for Della Porta’s
The Art of Remembering. His key example, Andromeda (in Perseus and Andromeda
1554–56), is represented by Titian with a body as white as a marble statue,
chained to her rock, with a vivid facial expression, her arms depicted in an
unusual, expressive pattern of movement. The same applies to Europa (in Rape of
Europa 1559–65), with the major difference that she is not shown in an upright
position like Andromeda, but instead reclining against the back of the
bull/Zeus; both female figures are naked, their sexual organs barely covered by
a piece of white transparent garment. In all likelihood, this is whatDella
Porta imagined as the lenzuola with which the bodies of his personae should be
covered in their ground positions. Of course, Titian created many striking
erotic female figures. One thinks of his many Venuses, but also his renderings
of a seductive St. Mary Magdalen (1530–35) or St. Margaret (ca. 1565),
paintings also remarkable for the impressive movements of their subjects’ arms
as well as gesture, (lack of ) apparel, and extravagant demeanor. The myth of
Actaeon is the subject of two of Titian’s most impressive paintings: the Death
of Actaeon (1559) and The Fate of Actaeon (1559–75). In the latter painting,
the hunter’s head is already transformed into the form of a horned stag. With
the exception of Leda and the Swan (by Michelangelo), nearly all the
mythological subjects mentioned in Della Porta’s treatise are represented in
Titian’s most famous works. We thus do not lack examples of contemporary
paintings illustrating the imagines agentes in Della Porta’s The Art of
Remembering. Yet there is one notable exception: the story of Pasiphaë (on whom
see below). Like the imagines agentes in The Art of Remembering, Titian’s
figures seem to be frozen in their movements, despite their vividness. An
entire story is reduced to one spectacular moment—a snapshot (to use an
anachronistic term). This reduction is not merely a convenient tool for
remembering a myth in a wink of time. It also constitutes an intervention
eclipsing all other aspects of the story that are not represented in the one
imago agens. Titian’s paintings, like Della Porta’s imagines, are evocations of
a story in the mode of synecdoche. Alive and dead at the same time, they are
fetishistic representations catering to a male gaze, for a specific set of
sexual fantasies. Moreover, the fragmentation implicit in this process also
allows for a reduction of different myths to a limited set of structural
elements or topics which all point to one and the same topic. This is exactly
what Della Porta does in the examples given in The Art of Remembering; he
evokes one and the same topic (for instance, a bull) in various loci/personae
and the concomitant imagines agentes they enact. Moreover, all the different
topics he uses as examples for memoranda (bull, horn, bird) may be subsumed
under one single general topic: sex between human beings and animals.Pasiphaë
As I shall argue in what follows, the myth of Pasiphaë fulfills a paradigmatic
function for Della Porta’s memory technique, since it corresponds so precisely
with his preferred focus in natural magic, the mating of different species and
the creation of marvelous monsters. The myth is well known. Pasiphaë falls in
love with a bull, has intercourse with the animal, and conceives the Minotaur.
The sexual act leading to this monstrous birth is made possible through the
cunning intercession of Daedalus. This archetypal male master-engineer from
classical antiquity constructs a cow-shaped wooden frame in which Pasiphaë
could hide while being penetrated by the bull.45 The remarkably imaginative and
colorful myth of Pasiphaë thus conjoins illicit sex, the art of the engineer,
and the tale of a monstrous offspring.Pasiphaë is a woman in love with an
animal. She has sexual intercourse with a real bull, with her desire thus
inclined toward the animal world. Ergo, she impersonates a highly negative
image of women in the patriarchal societies through which the myth has
travelled. This gender bias is highlighted when we compare Pasiphaë to the rape
of Europa.46 Both Pasiphaë and Europa are situated in a liminal territory of
intersection between the animal, human, and divine— between bodies, souls, and
noumenal entities. Indeed, Europa is an inversion of Pasiphaë’s story. Zeus
here figures as a male lover and a god disguised as a bull who has sexual
intercourse with the maid Europa. Her fate is oriented towards the stars. To
have sex with a god in animal guise is a ticket to immortality. To have sex as
a woman with a real animal leads to ostracism and to the birth of monsters.
Thus, it is no wonder that there are copious visualizations in fine art of the
myth of Europa, but virtually none of Pasiphaë. From the perspective of the art
of memory, we may say that Pasiphae and Europa, as imagines agentes, are
inversions of each other. The mode of synecdoche, whereby an imago agens
embodies the stories of Europa and Pasiphaë, invites a synoptic perspective on
both myths, connecting as intersecting arches in the image of a woman having
sex with a bull. But this contradicts the specific image of Pasiphaë observed
in the myth, where the woman engaged in sexual intercourse with the animal was
a (real) bull covering a (dummy) cow. Pasiphaë in fact disguises herself in
what one could call a statue of a cow-like imago in the art of memory, thus
transforming the dummy cow into a caricature of a “living statue.”47 Yet this
image, on face value, shows an act that can be observed frequently. The myth’s
image of a cow and a bull mating (again, on face value) cannot qualify as an
imago agens, nor is it clear why it should be used in Della Porta’s The Art of
Remembering in the locus of the meretrice. This does not mean the wooden cow is
irrelevant to the phantasmatic transactions that characterize the basic method
of the art of memory, namely to exchange one image for another. For the myth of
Pasiphaë points in an oblique way to Daedalus’s sublime craftsmanship, his
ability to fabricate a wooden image which deceives a bull. Despite the fact
that Pasiphaë is a witch (Circe’s sister), she seemingly has not been able to
concoct a magical love potion that would sexually attract the bull. In order to
fulfill her desire, she needs the help of a male master engineer. In Greek
philosophical terminology, this ability to produce potentially eternally
lasting objects (like tables) is called “poetic.” Daedalus is thus pursuing an
activity that he shares with the poets. Indeed Daedalus’ prop is a powerfully
poetic cow, and the image he created has the power to evoke a series of
(brutally violent) images which are not the image: they are quite literally
“in” the image. The dummy cow (with its dark inside where the male imagination
can pursue its most graphic phantasies of penetration) is a model for the
associative processes at work in the art of memory—but it is in itself not an
imago agens. In marked contrast to Ovid’s version of the story, where Pasiphaë
is disguised in a dummy cow, Della Porta apparently wishes his readersto create
an imago agens in which a prostitute has sexual intercourse with a bull without
recourse to Deadalus’ prop. Pasiphaë’s myth points to the idea that the birth
of monsters, in this case the Minotaur, requires the intervention of a male
mastermind, who not only helps to beget the deviant creature, but also provides
the means to contain the dangers arising from it, for it is Daedalus who
constructs the famous maze in which Pasiphaë’s child is imprisoned.48 This
image of Deadalus as creator and container of monsters or marvels epitomizes
the role Della Porta wished to assign to himself as a cunning magus.49 Here, at
the crossroads between mechanical device and intervention into the organic
body, Della Porta’s particular form of late Renaissance natural magic,
physiognomy, and the theater unfolds. Actually, the imago agens of a woman
having sex with a bull has an interesting relationship to Della Porta’s Magia
naturalis. Here we learn of Della Porta’s keen interest in practices of
cross-breeding between human beings and animals. To bolster his claims, he
cites the usual suspects for such stories: Pliny, Herodotus, Strabo and their
tales of women who were raped by billy goats, producing monstrous offspring.50
This leads him to believe that “some of the Indians have usual company with
bruit beasts; and that which is so generated, is half a beast, and half a man”
(Magick 2, 12, 43). Della Porta also contends that it would be possible for a
man to inseminate a fowl under the right astrological constellation and the
right medical complexion.51 In order to create a human/animal monster, Della
Porta does not resort to the kind of contraption Deadalus constructed for
Pasiphaë, but relies instead on his expertise in measuring, not the proportions
of the head as did Alberti, but rather the lengths and depths of male and
female sexual organs, the course of the stars, and the assessment of the
medical complexions inscribed in the physical traits of human beings and
celestial bodies alike. These parameters—basically a doctrine of signatures—are
also the most decisive indicators in Della Porta’s texts on physiognomonics,
where he postulates the close resemblance of human beings to certain animals,
with attendant implications for the human character.52Apuleius’ Metamorphoses
This impression is confirmed by looking at another imago agens where a woman
has sex with an animal. In both the Italian and Latin versions of The Art of
Remembering, Della Porta claims that we remember the woman having intercourse
with the ass from Apuleius’ Metamorphoses better than we do the heroism of a
Muzius Scevola.53 Apuleius’ Metamorphoses, the second-century novel better
known as The Golden Ass, is an interesting source for The Art of Remembering,
because Apuleius describes the sexual act between an ass (not a bull) and a
woman in great detail.54 Lucius, the protagonist of The Golden Ass, is a young
man obsessed by witchcraft who is transformed into an ass after he applied the
magical unguent concocted by Pamphile, a powerful Thessalian witch. In the
shape of an ass—although never losing consciousness that he is a man—Lucius
livesDella Porta’s erotomanic art of recollectionthrough a veritable odyssey
during which he is beaten and mistreated. When one of his many keepers
discovers that this ass is particularly clever, he makes Lucius the object of
special exhibitions and a rich woman falls in love with the ass and hires it.
In contrast to Pasiphaë, this woman has sex with the animal without any
recourse to a prop. Both Lucius and the woman seem to enjoy the act, in spite
of his asinine and—hence proverbially large—sexual organ. This changes as soon
as Lucius has to perform the act again, this time as a cruel public
entertainment in an amphitheater, where a female convict, before being devoured
by wild beasts, is sentenced to have intercourse with the ass. Lucius deeply
resents this act and manages to escape.55 It is interesting to note that
Apuleius explicitly links his salacious story of the wealthy woman who has sex
with the ass to the myth Pasiphaë, given he calls the woman asinaria Pasiphaë
(an ass-like Pasiphaë).56 The story is thus marked as a parody of the myth of
Pasiphaë in the form of a blunt satire on late Roman mores. Upon closer
scrutiny, this story of the noblewoman and the ass is—again structured by a set
of inversions, an oblique evocation of the myths of the rape of Europa as well
as of Pasiphaë. In Apuleius it is a man, Lucius, who has been turned into the
shape of an ass—neither a god ( Jupiter) who willfully changes his shape into a
bull (as in the Europa myth), nor a witch (Pasiphae) who desires a real bull
and who needs the help of a male engineer to fulfill her desire. Instead,
Lucius is a man who has been changed into an animal, not by a Pasiphaë (who was
incapable of doing that job for herself ) but by another relative or follower
of Circe—Pamphile. The sexualized content with a specific violence towards
female bodies is deeply inscribed into the story of Apuleius and, consequently,
in the imago agens prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering, which
again condenses the stories of Pasiphaë (the prostitute has sex with a bull)
and the story of the sodomite noblewoman in Apuleius, as well as including the
plan to showcase the act with female convict. The extremity of this imago agens
is enhanced by the fact that such acts of bestiality were a capital crime in
Della Porta’s time, primarily because they were believed to engender monstrous
offspring, to humanize the animal world, and simultaneously to animalize the
human perpetrators.57Io: more cows Another myth Della Porta mentions in his The
Art of Remembering —this time, as an imago agens for remembering the word
“horns”—is the story of Io.58 Her story is most pertinent because it concerns a
beautiful Naiad who is raped by Jupiter and subsequently transformed into what
Ovid describes as an extremely beautiful cow. In this shape, Jupiter wishes to
protect the girl he has violated from the wrath of his ever-jealous wife.
Unexpectedly, however, Juno likes the animal and receives it as Jupiter’s gift.
Suspecting some ruse from her husband, she proceeds to have the animal
protected by Argos, the moment in the story Della Porta employs as imago agens.
According to Ovid, Io did not lose consciousness of herreal identity but,
rather, terrified by her transformation, she seeks the company of her (human) family.
Io’s father suspects that the tame, suspiciously human cow is his daughter. He
exclaims in desperation that he had been “preparing and arranging a marriage
(thalamos taedasque praeparam I, v 558), hoping for a son-in-law
. . . now you must have a bull from the herd for husband, and your
children will be cattle (de grege nunc tibi vir, nunc de grege natus habendus.
v.660).” Eventually, Juno discovers Io’s true identity, her wrath subsides, and
Io is fully restored to her former human shape. Similar to Apuleius’ story of
Lucius in his Metamorphoses, Ovid describes Io’s transformations from human
being into cow and back again in great detail.59 Io’s story is constructed as a
set of inversions of the story of Europa. Jupiter approaches Io in the form of
a human being (not as a handsome bull) and he transforms not his own body but
that of the maid into the shape of a beautiful cow, a body in which the
sexually abused girl is deeply unhappy. However, the affinities between Lucius
and Io are even more striking; their stories appear as mirrored inversions
along the gender divide. Both their bodies are transformed into the shapes of
animals (a cow viz. an ass), both are beautiful and attractive in that guise (
Juno unexpectedly takes a liking to the cow, the noblewoman has sex with
Lucius), neither of them lose consciousness of their human nature and suffer in
their shape as animals (but Io seeks the company of her father, whereas Lucius
wants his girlfriend back), both are subsequently transformed into human shape
again, and both were originally transformed in order to escape imminent
persecution. (Io is turned into a cow by Jupiter in order to protect her from
Juno’s wrath, Lucius is mistakenly transformed into an ass in order to escape
from the law.) The specific aspect making the stories of Europa, Io, Pasiphaë,
and Lucius so significant for Della Porta’s The Art of Remembering is the
constant interplay of various but related inversions of plots. Indeed, this
method is intrinsic to the modes of transformation prescribed by this
particular art.60 Interchangeability arises from the set of oblique
inter-textual references and inversions of plots, as amalgamated in a given
imago agens.61 In the mode of synecdoche, an imago agens is designed to
represent an entire story in one image. This is a constitutive strategy of
Della Porta’s mnemotechnique, which aims at the thematic interconnecting of
persona/locus, imago agens, and memorandum. For example, a prostitute Della
Porta has slept with (persona/locus) in turn embodies Leda having sex with
Jupiter (imago agens) in order to remember the word bird (memorandum). Della
Porta’s personal (phallic) imagination thus becomes entwined with classical
myth. Within the positional logic of loci/personae in Della Porta’s The Art of
Remembering, therefore, Leda, Io, Europa, Pasiphaë, the Roman noblewoman, and
the female convict all become different imagines agentes into which one and the
same memorandum may be inscribed. Thus, the porous boundaries between human
beings and animals integral to Della Porta’s imagines agentes not only indicate
his personal taste for a bizarre and grotesque imaginary and his studiesin
physiognomy; they embody the basic principles of the Renaissance natural magic
tradition of which Della Porta was a late (yet inf luential) exponent. It
allows for a “syn-opsis,” a viewing together of very different stories that
bolsters one of the foundational tenets of Renaissance natural magic: the
universal drive for wholeness permeating the entire enlivened and sexualized
cosmos, where the male and female aspects strive to unite. By dint of his
profound knowledge of the occult sympathies and antipathies between things, the
natural magus has the power to tap and organize these cosmic erotic forces so
that he may produce his marvels.62 Within this Renaissance tradition, the human
imagination has not only a specific capacity of the soul for evoking and then
transforming images that originate from sensory perception. The human
imagination also had the power to shape the body it inhabited, as well as other
bodies.The formative power of maternal longings Renaissance natural magic
coopted an ancient belief in order to exemplify the extraordinary formative
powers of the human imagination. If a woman was exposed to a strong sensation
or harbored an intense longing during intercourse or pregnancy, this state was
thought to inf luence the formation of the embryo in her womb. Renaissance magi
thus believed that the image of its mother’s obsession was impressed on the
fetus and the future child would physically resemble the entity she had longed
for during intercourse. Della Porta makes direct reference to such ideas and
related practices. Initially, it appears that he is simply repeating the highly
popular theories on maternal longings encountered in authors as diverse as
Ficino and Castiglione.63 In the circular reasoning characteristic of natural
magic, this set of beliefs about the imagination also opened implications for
purposefully shaping future children, by positively conditioning the
imagination of the mother. A frequently repeated segreto for creating beautiful
children recommends exposing women during intercourse and pregnancy to
paintings or sculptures of beautiful children, inf luencing the future child’s
shape via beautiful imaginamenta.64 Della Porta refers directly to this
bedchamber practice: place in the bed-chambers of great men, the images of
Cupid, Adonis, and Ganymedes; or else [. . .] set them there in
carved and graven works in some solid matter, [. . .] whereby it may
come to passe, that whensoever their wives lie with them, still they may think
upon those pictures, and have their imagination strongly and earnestly bent
thereupon: and not only while they are in the act, but after they have
conceived and quickened also: so shall the child when it is born, imitate and
expresse in the same form which his mother conceived in her mind, when she
conceived him, and bare in her mind, which she bare him in her wombe.65 It is
fascinating that Della Porta’s two discourses on memory and on what one could
call family planning are also interconnected through his choice of
visualexamples, of imagines agentes. As in The Art of Remembering, we again
encounter the images of Adonis and Ganymede and of Cupid. Significantly, in
contrast to Della Porta’s The Art of Remembering, where predominately female
personae cater to male sexual fantasies, all of the images that Magia naturalis
prescribes for pregnant women are of beautiful boys. Della Porta’s ideas on the
power of maternal longings entail a creative female capacity to produce such
images in the shape of children; her imagination is engaged with the future. A
master of the art of memory, on the other hand, is engaged in recollecting the
past. Hence, the process in the pregnant woman’s imagination constitutes an
inversion of the process prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering:
the woman’s imagination allows a marble statue to come alive, whereas the
(male) master of the art of memory seeks to freeze the image of a living person
(preferably a sexualized woman) into an imago agens—that is, he turns the
figment to stone, symbolically killing the persona just when it appears to be
most alive. This excursion into beliefs about the effects of maternal longings
allows us to re-contextualize the mental process structuring Della Porta’s The
Art of Remembering. The imagination is a faculty of the human soul capable of
producing loci and imagines agentes, to be frozen into statues, into tableaux
vivants. The story of the maternal longings confirms Della Porta’s creed that
the human imagination can also materialize its products; in both cases, the
image may be unfrozen and directed back to its starting position to assume a
new pose. The master of Della Porta’s art of memory thus arrogates for himself
a phantasmatic power over life and death, inherently a much greater power that
the pro-creative capacity he has ascribed to women. The asymmetric gender bias
that emerges in this account is instructive. As in the story of Daedalus and
Pasiphaë, the art of memory also refers to the preeminent ability of the male
magus to create monsters through artificial cross-breeding, whereas the
imagination of a pregnant woman requires male protection and guidance to its
power to shape future children.Conclusion The evidence for my claim that
Porta’s choice of memory images in his The Art of Remembering is not arbitrary,
but instead it is closely related to the overreaching project he pursued as
author of texts on (and a practitioner of ) natural magic, physiognomy, and the
theater. A set of classical myths—Andromeda, Europa, Io, Pasiphaë, and
Aktaion—handed down by Ovid, parodied by Apuleius, and painted by Titian, was
put to a specific use in Della Porta’s The Art of Remembering. In the mode of
synecdoche, he instructs the reader on how to reduce an entire story to a
single imago agens (for instance, the image of naked Andromeda chained to her
rock). The imago agens thus functions as a synopsis of the entire myth. This
oscillation between the modes of synopsis and of synecdoche—entailing a
constant process of re-focalization—in effect constitutes the basic cognitive
operation in Della Porta’s The Art of Remembering. Since it reduces a whole
welter of ancientmyths to one common narrative, the mode of synecdoche facilitates
the perception of thematic or structural affinities between different myths.
Accordingly, a series of imagines agentes referring to very heterogeneous
stories allows a leveling in our perception of these different narratives and
their content. The mode of synecdoche is conducive to focalization on a single
topic via myriad topical affinities (which become highlighted in the mode of
synopsis). In Della Porta’s mnemotechnique, this re-focalization of a series of
stories may transpire not only through a heightening affinity, but also in the
mode of inversion (for instance, in the myths of Europa and Pasiphaë). In The
Art of Remembering, this results in the reduction of the stories of Io,
Pasiphaë, and Europa (as well as Apuleius’ asinaria Pasiphaë ) to the topic of
women having sex with animals and generating monstrous offspring (bulls, cows,
asses). This topical affinity is also pertinent to the relationship between of
sexualized imagines agentes and memoranda (bulls, horns, birds). The imagines
agentes operate within the imagination of the master of the art of memory. This
particular mental faculty not only receives such images; it also has the
capacity to transform them into new images—images which in turn have the power
for transforming the human body. Not only does Della Porta’s laboratory of
monstrous hybridization constitute a hotbed for the literary imaginary, but the
literary image also models the reader’s imagination, and once the imagination
is infected by an image, these images may acquire a life of their own. This
reasoning has its ultimate proof in the belief that a pregnant woman’s
fantasies inf luence the form of the future child. At the thematic
intersections of literature, visual art, physiognomonics, natural magic, the
core topic—sex with animals and the generation of monstrous offspring—becomes
embedded (in the literal sense of the word) with personal erotic experiences.
The women who have intercourse with animals are impersonated by the women with
whom Della Porta has had—or wished to have—intercourse. As mnemonic
personae/loci and hence as slaves of his erotic fantasy, they are forced to
embody any role assigned to them by their master. Della Porta is thus obliquely
portraying himself in the process of recollecting his own memories—living
statues of women who have sex with animals who may be seen as surrogates for
him. In a series of constant mise en abimes mirroring a phallic erotic
imagination, Della Porta points his readers (and himself ) towards the center
of a truly mannerist Minotaur’s abode.Notes I wish to thank Marlen
Bidwell-Steiner for many invaluable discussions and comments. 1 On the art of
memory, see Yates, The Art of Memory; Bolzoni, The Gallery of Memory;
Carruthers, The Book of Memory. 2 The Latin Ars reminiscendi was published
1602. L’arte del ricordare was purported to be the Italian translation by a
Dorandino Falcone da Gioia, but this was in all probability a pseudonym for the
author himself. Both texts are edited in Della Porta, Ars Reminiscendi: L’arte
di ricordare. For the first English translation of the Italian version and a
well-informed introduction to the text in English, see Della Porta, The Art of
Remembering/L’arte del ricordare. On the differences between the Italian and
the Latin versions, see in that edition Baum, “Writing Classical Authority”;
also Bolzoni, “Retorica, teatro, iconologia, 340, with footnote 5; Maggi,
“Introduction,” in Della Porta, The Art of Remembering/L’arte del ricordare,
29–30; Balbiani on the fortuna of Della Porta’s Magia naturalis in La Magia
naturalis. Bolzoni, The Gallery of Memory, 175. Valente, “Della Porta e
l’inquisizione.” On which see Kodera “Giambattista della Porta,” in Stanford
Encyclopedia of Philosophy. For a succinct and highly influential discussion of
the medieval technique of the art, see Rhetorica ad Herennium, ed. and trans.
Nüsslein, 164–80 (bk III, §§ 28–40, XVI–XXIV); Yates, The Art of Memory,
63–113. On the medieval use of memory images, Carruthers, The Book of Memory,
59, writes: “Most importantly, it is ‘affective’ in nature, that is, it is
sensorily derived and emotionally charged.” See also ibid., 109, 134, and 137.
Bolzoni, The Gallery of Memory, 130–31. Della Porta, Ars Reminiscendi, 75. See
for instance Dolce, Dialogo del modo, 26–32. As Bolzoni, The Gallery of Memory,
p. 137 (with footnote 12) has pointed out, it is interesting to note that the
Ars reminscendi explicitly warns against the use of medicines or drugs for
enhancing the capacitances of memory, whereas in Della Porta had presented such
recipes in his Magia naturalis. Della Porta, Ars Reminiscendi, 68. On the
notion of phantasmata in Della Porta, see Kodera, “Giovan Battista della
Porta’s Imagination.” Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. See Dolce, Dialogo del
modo, 92 and the attendant notes directing the reader to medieval sources of
this method. Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. Dolce, Dialogo del modo, 33–34,
for example, does not try to assimilate the personae to the loci, but instead
distinguishes between them. Della Porta, Ars Reminiscendi, 17. It is
interesting to note that Della Porta does not seem to be picky about
terminology, as for him very different notions—similitudo, idea, forma,
simulacrum are synonyms with imago. Ibid., 79. Galileo loved exactly such
character traits in Ariosto’s heroes; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 211.
Della Porta, Ars Reminiscendi, 17–18. Bolzoni, The Gallery of Memory, 167 has
pointed to the fact that Della Porta is here quoting almost verbatim from Leon
Battista Alberti’s, De pictura, 2. 40, arguing that “the theatrical tradition
becomes a point of reference to the painter who has to paint an istoria.” For a
discussion of the number of loci from a different contemporary perspective see
Dolce, Dialogo del modo, 39–43 with many references to earlier sources.
Bolzoni, The Gallery of Memory, 162–63; Dolce, Dialogo del modo, 145, footnote
345 with much scholarly literature on the connections between the art of memory
and theater. Kodera, “Bestiality and Gluttony.” Clubb, “Theatregrams,” has
called these variable parts theatergrams. One possibility is to generate a
locus which is then invariably used, because it is recharged with new imagines
that have the capacity to store a new set of memoranda. Yet if this process of
re-inscription of the extant structure proves impossible, one must destroy the
entire setup. In order to do this, many masters of memory suggested methods
that were outright iconoclastic; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 142–44.
Della Porta, Ars Reminiscendi, 18. Ibid. Carruthers, The Book of Memory, 131 on
the pictorial turn of medieval art of memory. Della Porta, Ars Reminiscendi,
76. Ibid. Ibid., 17–18.30 This otherwise puzzling imago seems to be a remnant
from a manuscript version of the Arte del ricordare, which refers as examples
for imagines agentes to one of Boccaccio’s Novellae, on Chichibio, of the
Decameron VI, 4 (Della Porta, Ars Reminiscendi, 77); in that version Della
Porta also mentions two more highly salacious stories from the Decameron (III,
10 and VIII, 7); see Della Porta, Ars Reminiscendi, 79 and 95; see also Baum,
“Writing Classical Authority,” 159. 31 The hero Hercules and the river god
Achelous were fighting over Deianeira, the daughter of Dionysius. During the
battle between the two rivals, the bull-headed river god turned first into a
snake and then into a bull, whose right horn is broken by Hercules; according
to one version, Hercules took that horn down to Tartarus where it was filled by
the Hesperides with golden fruit and is now called Bona Dea (cornucopia).
Graves, The Greek Myths, 553–54; Ovid, Metamorphoses, bk. IX, vv. 1–92. Observe
that the cornucopia appears in the next imago agens. 32 Della Porta, Ars
Reminiscendi, 18. 33 This increasing prurience is a general tendency in Della
Porta’s works and is probably due to the increasingly intolerant intellectual
climate characterizing the last decades of the sixteenth century; on this see
Kodera, “Bestiality and Gluttony,” 86–87 with references. 34 Della Porta, Ars
Reminiscendi, 77. 35 Della Porta here had openly referred to the myth, whereas
in the Ars reminiscendi he only alluded to it—namely, by describing the
iconography of one of Titian’s most famous paintings (the persona of a virgin
sitting and playing on a bull and holding a crown over the animal’s head). 36
In the Latin version the prostitute was substituted with the lover of one’s
wife. In the Latin version, ibid., 22, Leda is completely omitted. 37 The word
ucello (bird) denotes penis, with birds commonly looming large in all kinds of
erotic metaphors; on the semantics of ucellare (the word denoting prostitution,
ridicule, and penis) see Alberti, “Giove ucellato,” 59–64; for similar contexts
in Della Porta’s theater, see Kodera, “Humans as Animals,” 108–09. 38 Compare
Schiesari, Beasts and Beauties, 61–64 for perceptive remarks on the gender bias
of Della Porta’s Physiognomy. 39 Alberti, Della pittura, 122–24 (bk 2, §36) For
a discussion of the relevant passages, see for instance Heffernan, Cultivating
Picturacy, 71–73. 40 Bolzoni, The Gallery of Memory, 167. 41 Ovid,
Metamorphoses IV, vv 671–675; 112. 42 Apuleius, Metamorphoses: The Golden Ass,
Book ii, § 1, 22. 43 See Innes, “Introduction,” 19–24. 44 So does Dolce,
Dialogo del modo, 146-47, mentioning Titian’s Europa and Akataion. 45 Ovid, Ars
amatoria libri tres, 26–28, bk. I, v. 289–326, Ovid., Metamorphoses, bk. VIII,
v. 134–36; Graves, The Greek Myths, 293–94. 46 On Europa, see ibid., 194–97. 47
A caricature of the animation of statues by Egyptian magi, as described by
Hermes in the Corpus Hermeticum, an account which it is well known, and haunted
many renaissance minds; for a commented edition, Copenhaver, Hermetica. 48 A
labyrinth, i.e., an architectural structure designed expressly to get lost in,
as opposed to orderly architectural structures—and also the inversion of the
clearly represented structure of loci in the art of memory. 49 See Kodera,
Disreputable Bodies, 275–93 and Della Porta, De i miracoli, 23–25, bk I, ch. 9.
50 Della Porta, Natural magick, 43, bk 2, ch. 12. 51 Kodera, “Humans as
Animals,” 109–15; Della Porta, Magia naturalis libri XX, 76, bk II, ch. 12.
This passage is an elaboration of Aristotle on crossbreeding, from De
generatione animalium 4.3, 769b. In this case Della Porta’s credulity is
greater than that of many of his educated contemporaries, who were usually more
skeptical about the possibility of producing offspring through sex between
humans and animals. For a very interesting24452 53 54 55 56 57 58 59 60 61 6263
64 65Sergius Koderacontemporary discussion of the topic, which clearly accentuates
the ways in which Della Porta is bending his evidence, see Varchi, “Della
generazione dei Mostri,” 99–106. On this see MacDonald, “Humanistic
Self-Representation,” Kodera, Disreputable Bodies, and Schiesari, Beasts and
Beauties. Della Porta, Ars Reminiscendi, 78–79. Cf. Apuleius, Metamorphoses
lib. X, §§ 19–22. For a succinct introduction to that text, and relevant
secondary literature, see Kenney in Apuleius, Metamorphoses, ix–xli. Ibid.,
84–186; 190–94, bk 10, § 19–23; § 29–35. Apuleius, Metamorphoseon, bk. 10, §
19, l. 3. See Liliequist, “Peasants against Nature,” 408. On the increasing
belief in the real existence of such hybrid animals in the later Middle Ages,
see Salisbury, The Beast Within, 139 and 147. Ovid, Metamorphoses, bk I, vv. 588–662
and 724–45, Graves, The Greek Myths, 190–92. Just see the example of the
re-transformation: Ovid, Metamorphoses, bk I, vv 737–46, trans. Mary M. Innes,
48. For Lucius’ transformations into an ass and back again, see Apuleius,
Metamorphoses, 52, bk 3, § 25 and ibid., 202–03, bk 11, § 13–14. In that vein
of thought, many more things could be said also on the story of Hercules and
the bull-headed river god Achelous (on whom, see above, endnote 31). The Arte
del ricordare mentions not only association from the same (dal simile, Della
Porta, Ars Reminiscendi, 80 and 81) but also aggiungere, mancare, trasportare,
mutare, partire (ibid., 85) and trasponimento dal contrario (ibid., 95).
Kodera, “Giambattista della Porta,” 8–9 for a short introduction to the idea
that all things in the universal hierarchy of being are moved by the
(irrational) forces of attraction and repulsion they feel for one another.
Porta provides an impressive description of the macrocosmic animal, the male
and female aspects of which mingle in a harmonious and well-coordinated way;
cf. Della Porta, Magia naturalis, bk. 1, ch. 9. Della Porta, Natural magick,
51: “Many children have hare-lips; and all because their mothers being with
child, did look upon a hare.” For an earlier source see Ficino, De amore, 252.
For an introduction to the history of these seemingly widespread practices and
the related artwork during the Renaissance, see Jacqueline Musacchio, The Art
and Ritual of Childbirth, 128–39. Della Porta, Natural magick, 53.Bibliography
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London: Penguin, 1969.13 “O MIE ARTI FALLACI” Tasso’s saintly women in the
Liberata and Conquistata Jane TylusThe second half of Torquato Tasso’s
tormented life was taken up by his epic poem Gerusalemme liberata and the
painstaking revisions he made to it following its unauthorized publication in
1581. Posterity has canonized the 1581 poem rather than its more sprawling
successor, Gerusalemme conquistata, which Tasso proudly dedicated to Pope Clement
VIII’s nephew when he published it in 1593. Posterity notwithstanding, Tasso
claimed that his “poema riformato” was far superior to the earlier work largely
because of “the much more certain knowledge I now have of myself as well as of
my writings” (“la certa cognizione ch’io ho di me stesso e de le mie cose”).1
One result of this new certainty seems to have been if not the eradication of
the Liberata’s female characters, at least the curtailing of their inf luence.2
The enchantress Armida virtually disappears after Canto 13, lamenting her
failures to keep the Christian army’s strongest knight with her forever, and no
longer converting to Christianity as in the surprising end of the Liberata. The
princess of Antioch, Erminia, is denied her remarkable role in the Liberata as
the discoverer and healer of the Christian knight Tancredi’s wounded body and
the revealer of a secret plot against his captain, Goffredo. Two extraordinary
Christian women are completely excised from the Conquistata: Gildippe, who dies
fighting by her husband’s side in the Liberata’s twentieth canto, and Sofronia,
who offered her life to save the Christian refugee community in a captive
Jerusalem, and who, in turn, is saved by the Muslims’ most celebrated woman
warrior, Clorinda. Only Clorinda’s tale is relatively untouched—with the
exception of her rescue of Sofronia. Both the Liberata and the Conquistata tell
of her strident independence and her baptism into her mother’s Christian faith
as she lies dying by the hand of Tancredi, who has killed what he loved. This
essay will not so much catalogue the Conquistata’s many revisions as attempt to
gauge the changing role of the female body in Tasso’s epic practiceTylusand its
relationship to Tasso’s growing ambivalence about the status of the “arti
fallaci” in his poetry—a phrase, as we will see, that is uttered by the much
altered character of Erminia toward the end of the Conquistata. And even if
Clorinda and Armida continue to stand out in their memorable particularity in
the Conquistata, they are joined by a new host of women who exist largely to
create a “dynamic that is reassuringly familial,” as Claudio Gigante has
observed, and who no longer possess the self-conscious artfulness that
characterized female characters in the Liberata.3 The contrast allows us to see
how potentially radical the Tasso of the Liberata was and at the same time how
his transformations of women in the Conquistata are tied to his
reconceptualization of himself as an epic poet.4 I will elaborate some of these
arguments by turning to developments that led to the Conquistata, necessarily
addressing selective incidents within both poems in order to depict the nature
of Tasso’s poetic transformation. One episode in particular offers itself up
for special consideration. It concerns a female figure in the Liberata who has
not attracted much attention, and who, as mentioned above, is nowhere to be
found in the revised poem: Sofronia.5 Willing to die in exchange for the
salvation of her fellow Christians, she is rescued and subsequently exiled from
Jerusalem. The contrast between this stirring episode in the Liberata and its
muted aftermath in the Conquistata could not be greater, as the following pages
will show. At the same time, they attest to what might be called Tasso’s desire
for the organicity of his revised epic, a poem in which individual characters
would be immune from the criticism launched against Sofronia herself. For
according to the Gerusalemme’s first readers, the episode that centered on her
in Canto 2 was “poco connesso” to the Liberata as a whole.6 This lack of
continuity, in turn, has a stylistic echo in the infamous critique of Tasso’s
language as “parlar disgiunto” or disjointed speech—a disjointedness even Tasso
acknowledged when he claimed to have learned it from Virgil, admitting that it
can tempt one to swerve dangerously from the “truth” in its pursuit of
fallacious artistries.7 The path toward wholeness in the Conquistata thus marks
a turn away from Virgil and toward the more narratively f luid Homer, as
readers of Tasso (and Tasso himself ) have readily ascertained.8 But this path
also goes through the body of the female, inscripted into the Conquistata as
bearer of a new epic model of integration and personal loss. It is a body that
the chastened Tasso, in his final critical writings on his poetic output, may
also have recognized as his own. * ** In the early
1680s, the prolific Luca Giordano executed a series of paintings for a Genovese
palazzo recently acquired by the nobleman Eugenio Durazzo. Among the works
Giordano designed for the entryway into a palace that was on the “must-see”
list of every foreign visitor to Genova, were portraits of the death of Seneca
and the Greek hero Perseus. But his paintings also featured a large canvas
depicting an event from the Liberata’s story of Sofronia, the brave young woman
who volunteers to die for her fellow Christians and who, along with the man who
loves her, is saved by Clorinda. Moved by the taciturn stance of thefemale
victim before her, Clorinda asks Aladino, Jerusalem’s king, to free the two
Christians in exchange for her promise that she will perform great deeds in
Jerusalem’s defense, and Giordano chooses to display this moment in his work9
(Figure 13.1).10 At the same time, Clorinda’s back is turned, so that the real
savior of the two Christians bound at the stake seems to be a painting of Mary
which angels are holding aloft—suggesting that Giordano’s work may also be
about the salvific powers of art. Mariella Utili has written of Giordano’s intent
to throw into relief the religious aspect of the story: “the exaltation of
Christianity, which had been the basis for the immediate success of Tasso’s
poem and which many other artists before Giordano had noted as well.”11 Yet
with respect to the episode of Sofronia and her would-be lover Olindo, who begs
to die with her, such a remark might seem ironic. For this story provoked
almost more than anything else in the epic the concerns of the poem’s
Inquisitorial readers, and in turn Tasso’s worries aboutFIGURE 13.1Luca
Giordano, “Olindo e Sofronia,” Palazzo Reale gia’ Durazzo (Genova).Photo
credit: Zeri Photo Archive, Bologna, inv. 110885.the extent to which its
inclusion would threaten the Liberata’s publication. So much so, that in a
telling letter written on April 3, 1576 to his friend and literary confidant
Scipione Gonzaga he writes, “Io ho giá condennato con irrevocabil sentenza alla
morte l’episodio di Sofronia” (“I’ve already condemned the episode of Sofronia
to death, and my decree is absolute”).12 Having barely escaped death at the
hands of Jerusalem’s king, Sofronia was condemned anew by Tasso. The reasons
for this condemnation are several, even as the episode contains within itself a
germ of the process that will define Tasso’s method in the Conquistata. One
reason certainly has to do with the painting which Giordano has f loating in
the sky—a touch unaccounted for in the Liberata itself, but prepared for by the
odd narrative Tasso weaves in the opening of Canto 2. For the catalyst that set
off a tyrant’s rage, leading him to sentence Jerusalem’s Christians to death,
is indeed a work of art: an image of Mary taken from the Christians’ church by
the magician and former Christian Ismeno, who is convinced of its supernatural
abilities to protect the walls of the city against the Crusaders. He places
Mary’s picture in a mosque so as to provide “fatal custodia a queste porte.”13
For reasons on which Tasso coyly refuses to pronounce—(“O fu di man fedele opra
furtiva, / o pur il Ciel qui sua potenza adopra, / che di Colei ch’è sua regina
e diva / sdegna che loco vil l’imagin copra: / ch’incerta fama è ancor se ciò
ascriva / ad arte umana od a mirabil opra”; “It was either the work of a
stealthy hand, or heaven interposed its potent will, disdaining that the image
of its queen be smuggled somewhere so contemptible” [2: 9]14)—the immagine
mysteriously disappears from the mosque into which Ismeno has smuggled it.
Certain that the Christians have contrived to steal it back, Aladino plots for
them universal slaughter, until the beautiful Sofronia steps forward to take
the blame so that her people will not die, a confession the narrator describes
as a “magnanima menzogna,” a magnanimous lie. In a letter, however, written
soon after he released the poem to an official reading, Tasso seems fearful
that the stolen immagine has invoked the ire not of Aladino but of Silvio
Antoniano, the Roman Inquisitor and official in charge of granting the right of
nihil obstat for books published in Rome. Writing to Luca Scalabrino on a later
occasion, he continued to insist on excising the “episodio di Sofronia”:
“perch’io non vorrei dar occasione a i frati con quella imagine, o con alcune
altre cosette che sono in quell’episodio, di proibire il libro” (“I don’t want
to give the friars a chance to condemn the book because of that image, or
because of any other little things found in the episode”).15 Much of interest
has been written of the status of images in the aftermath of Trent, some of it
in regard to the poem’s second canto. As Naomi Yavneh has pointed out, Trent
was preoccupied with limiting the role that excessive popular devotion played
in religious life, and its stance on images was no exception: it perforce
needed to clarify the extent to which “immagini” were only the simulacri for
the things to which they pointed. As such, the importance of an object in
referencing beyond itself—its deictic function—was accentuated by the orthodox
proclamations from the 1570s and 1580s. One typical characterization of the
post-Tridentine image, although from the Seicento, is offered by the
JesuitGiovanni Domenico Ottonelli. He suggests that in gazing at a painting,
“which represents something other than the thing which it resembles, and from
which it takes its name” (“che rappresenta un’altra cosa, di cui tiene la
simiglianza, e prende il nome”), one must recognize that “while the image
renders visible what is invisible, the image is only worthy of honor by virtue
of resemblance, not substance.”16 Moreover, as Yavneh goes on to point out, in the
episode from Tasso’s Liberata, the transformation of the painting of Mary into
a thing of “substance”— i.e., it alone can save Jerusalem from harm—is
initiated by the renegade Christian, Ismeno, unable to leave his former
religion completely behind him (“Questi or Macone adora, e fu cristiano, / ma i
primi riti anco lasciar non pote; / anzi, in uso empio e profano / confonde le
due leggi a se’ mal note”; “He adores Mohammed, as once he adored Christ, but
cannot now abandon the first way, so often to profane and evil use confounds
the two religions out of ignorance” [2: 2]). It is Ismeno who recommends that
Aladino place “questa effigie lor” of Mary, “diva e madre” or goddess and
mother of the Christian’s god (2: 5) into the mosque because of its talismanic
status—an idolatrous reading in which the Christians, who leave their offerings
before the “simulacro” do not, apparently, concur.17 One can only speculate as
to what about the “immagine” in Canto 2 might have angered Tasso’s
inquisitorial reader; the letter from Antoniano detailing his objections to the
Liberata does not survive. But it is striking that another vergine, Sofronia,
proclaims for herself the protective status Ismeno gave to the immagine of
Maria. Her sacrifice thus effects a substitution originally engineered by the
apostate. She too adopts the language of female uniqueness when boldly stating
to the king Aladino her “crime”: “sol di me stessa, sol consigliera, sol
essecutrice” (“I was the only one [who knew of it], one counselor, one executor
alone”; 2: 23). When Olindo challenges Sofronia’s magnanimous lie, arguing that
a mere woman would be unable to carry out the theft, she insists again on her
autonomy: “Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede / di bastar solo, e
compagnia non chiede” (“I too have a heart, confident it can die but once. It
does not ask for company”; 2: 30). But Tasso links her in other ways to the
Madonna that Ismeno made into a singularly potent object. As commentators have
noticed, Tasso compares her to the stolen image when her veil and mantle are
roughly taken from her when she is led to the stake.18 Just as Mary’s image,
“enveloped in a slender shroud” (“in un velo avolto”; 2: 5) was seized
(“rapito”) by Ismeno, so are Sofronia’s veil and mantle seized from her (“rapit[i]
a lei [Sofronia] il velo e ’l casto manto”; 2: 26). And an allusion to Mary’s
face (“il volto di lei”) returns with “smarrisce il bel volto in un colore /
che non è pallidezza, ma candore” (“the lovely rose of [Sofronia’s] face is
lost in white which is not pallor, but a glowing light”; 2: 26). And yet the
resonances between Sofronia and an inimitable female figure do not end here.
Giampiero Giampieri has noted that the white coloring of Sofronia at the stake
is echoed eleven cantos later when Clorinda, the third vergine of the canto,
dies at Tancredi’s hands. This pale demeanor at death’s arrival in turn has its
haunting origins in the phrase accompanying the suicides of Virgil’smost
prominent female character, Dido, and the historical figure on whom she is
partially modelled, Cleopatra. These intertextual allusions thus trace an
unsettling historical trajectory, insofar as far from being “vergini,” unlike
their Tassian counterparts, both women are known for their sensuality and, in
Dido’s case, unrequited passion. At the same time, Clorinda, like Sofronia,
occupies the role enjoyed by Dido and Cleopatra before romantic liaisons led
them astray. They are all the singular, female supports of their people. When
Islam’s powerful woman warrior enters Jerusalem in Canto 2, Clorinda is defined
as the self-sufficient savior of a people that Sofronia and—according to
Ismeno—the immagine of Mary have been before her. In greeting Clorinda, Aladino
bestows on her the signal distinction of the warrior who alone can protect the
city (“non, s’essercito grande unito insieme / fosse in mio scampo, avrei più
certa speme”: “though a whole host should come to rescue me, I would not hope
with greater certainty”; 2: 47). Not only does he concede to her his scepter
(“lo scettro”) but he adds, “legge sia quel che comandi” (“let the law be what
you command”; 2: 48), an honor that prompts Clorinda to ask for her reward in
advance: the release of the two Christians.19 Even as Clorinda will exact
bloody penalties on the Christians who attack the city to which she pledges her
protection, this fantasy of female potency that begins in Canto 2 will be
eclipsed outside Jerusalem’s walls when Clorinda is killed by Tancredi:
Meanwhile they whispered of the bitter chance behind the city wall confusedly
till finally they learned the truth. At once through the whole town the bad
news made its way mingled with cries and womanly laments, as desperate as if
the enemy had taken the town in battle and f lew to raze houses and temples and
set the ruins ablaze. Confusamente si bisbiglia intanto del caso reo ne la
rinchiusa terra. Poi s’accerta e divulga, e in ogni canto de la città smarrita
il romor erra misto di gridi e di femineo pianto; non altramente che se presa
in guerra tutta ruini, e ’l foco e i nemici empi volino per le case e per li
tèmpi. (12: 100) The defeat of a city in wartime evoked in this moving simile
is the fate that Ismeno believes Jerusalem will avoid if Mary’s image is placed
in the mosque; that Sofronia believes her people will avoid if she dies at the
stake; and thatAladino believes his kingdom will avoid if Clorinda agrees to
defend his city. And the moment, of course, looks backward again to Virgil, and
to the demise of another city, Carthage, upon the death of another singular woman.
“The palace rings with lamentations, with sobbing and women’s shrieks, and
heaven echoes with loud wails—even as though all Carthage or ancient Tyre were
falling before the inrushing foe, and fierce f lames were rolling on over the
roofs of men, over the roofs of gods” (IV: 667–71).20 The “città smarrita,” the
urbs in ruin: in both Aeneid 4 and the Liberata, the figurative collapse of the
city, portrayed in a simile that reveals the grim devastations of war, is tied
to the death of a woman characterized as savior. And in both cases, the two
cities of these respective poems will be invaded by the enemy—one during the
Punic Wars that are only predicted in the Aeneid, the other in Canto 20 of the
Liberata. At the same time, the simile of Canto 12 following Clorinda’s death
can be said to silence the diabolical suggestion that women’s bodies might be
sufficient protection for Jerusalem’s community; or in rhetorical terms, that
the female body stands in an analogical relationship to the city and can
procure its health. Sofronia’s self less action in Canto 2 procures temporary
salvation for the Christians. But genuine salvation arrives only eighteen
cantos later, when Goffredo’s troops invade Jerusalem and secure it for its
“rightful” owners. In the meantime, Sofronia, like the Madonna’s image, has
been withdrawn forever from the poem. Following her rescue by Clorinda, she
does not refuse Olindo her hand in marriage, and with him and others “di forte
corpo e di feroce ingegno” (whose bodies are robust and spirits bold; 2: 55)
she is banished, so fearful is Aladino of having so much virtue nearby (“tanta
virtù congiunta . . . vicina”; 2: 54). Some of the banished wandered
aimlessly (“Molti n’andaro errando”; 2: 55) while others traveled to Emmaus
where Goffredo’s troops are gathered. Of Sofronia and Olindo, however, no more
is heard. All Tasso divulges of their fate is that they both went into exile
beyond the bounds of Palestine (2: 54). Such a finale to Sofronia’s sacrificial
offering ensures—intentionally, it would seem— that the episode is indeed “poco
connesso” to the rest of the poem. Inserted into the beginning of the Liberata,
the story of Sofronia operates as a virtually self-contained unit, ending with
its main protagonist banished from Jerusalem. That the episode can be said to
trace Tasso’s ambivalences regarding “tanta virtù congiunta” in not one, but
three, female characters, is suggested by both Sofronia’s and the immagine’s
summary dispatch from the poem—as though to insist on the heretical nature of
Ismeno’s view of the painting, and the women’s views of themselves, as
sufficient to protect a city.21 But there may be another link between the
exiled women and the immagine. The latter is both more and less than an icon:
it is a work of art, in ways which the woman themselves may replicate. Much of
the threat represented by Sofronia has to do with her inscrutability, which
mirrors the unknowability of the immagine’s fate and of the painting itself.
Moved by generosity and “fortezza,” Sofronia exits alone among the people (“tra
’l vulgo”) after Aladino orders the Christians’ houses burned. But as she
journeys publicly to meet the king, Tassointroduces some seemingly gratuitous
phrases: she neither “covers up her beauty, nor displays it,” and “Non sai ben
dir s’adorna o se negletta, / se caso od arte il bel volto compose” (“If chance
or art has touched her lovely face, if she neglects or adorns herself, who
knows”; 2: 18). Similarly, she is described in relationship to the young
Olindo, who has loved her desperately from afar, as either “o lo sprezza, o no
‘l vede, o non s’avede” (“she scorns him, or does not see him, or takes no
note”; 2: 16), and of her considerable beauty, she “non cura, / o tanto sol
quant’onesta’ se ’n fregi” (“cares not for it, or only as much as required by
honor’s sake”; 2: 14). Even as Tasso depicts her as a “virgin of sublime and
noble thoughts” (“vergine d’alti pensieri e regi”), he wastes no time in adding
that she is also “d’alta beltà” (2: 14), suggesting that we do not know whether
Sofronia is aware of her beauty’s effect on her admirers. In short, she is the
product of an artfulness that at once belies her sincerity and renders her
inaccessibility to public scrutiny even more pronounced. Indeed, Sofronia is
impugned throughout Canto 2 in various ways that can only force the reader to
suspect if not her motive—which emerges following her struggle to balance
masculine virility or “fortezza” and female modesty (“vergogna”)22—then at
least her self-presentation in a public space. And because she is a woman,
“amore” emerges as the vehicle through which her integrity can be compromised.
Or as Tasso says in introducing Olindo and in returning to the language used
only several stanzas before of the chaste image of Mary and its supposed ability
to provide “fatal custodia” to the gates of Jerusalem: “tu [amor] per mille
custodie entro a i più casti/ verginei alberghi il guardo altrui portasti”
(“although a thousand sentinels are placed, you [Love] lead men’s glances into
the most chaste of dwellings”; 2: 15). The uncertain status of Sofronia’s
agency and her inability to control the reception of her offer are highlighted
again after the king, furious over her assertions that she was right to steal
the image, orders her to be burned: “e ’ndarno Amor contr’a lo sdegno crudo /
di sua vaga bellezza a lei fa scudo” (“too slight a shield is womanly grace for
Love to f ling against the crude resentment of the king”; 2: 25): as though
she—or Love working through her—might cunningly be able to soften the tyrant in
his resolve. The manner in which Sofronia is tied to the stake—her veil and
“casto manto” stripped violently from her and used to tie “le molli braccia”
(2: 26)—and the ensuing appearance of Olindo beside her, “tergo al tergo,”
heighten the barely suffused sensuality of the preceding stanzas in which
Sofronia’s ambiguously constructed femininity has been a muted but persistent
theme. “O caso od arte.” This is the phrase that threatens to turn Sofronia
into the seductress Armida, who appears two cantos later at the threshold of
the Christians’ camp to lure the Crusaders away from war. Sofronia is no
Armida. Yet in depicting Sofronia’s inner conf lict between “fortezza” and
“vergogna,” while refusing to declare the extent of Sofronia’s artful self-consciousness,
Tasso highlights the problems that emerge when a woman thrusts herself into the
public gaze.23 The questioning presence of male spectators, a group into which
Tasso inserts the (male) reader by way of the narrator’s interventions,
ultimately pointsto the inability of Sofronia—and by extension, of the immagine
of Mary and of Clorinda, who has already unknowingly inspired the passion of
the Christian knight Tancredi—to control the effects of her self-presentation.
Like the Didos and Cleopatras before her, she is unable to escape from the
controlling system of gender that makes her into the object gazed upon and
fantasized about as though she were a work of art. At the same time, what
prevents Sofronia from becoming a martyr and hence giving her life for her
people is another woman, Clorinda: who at first appears to the populous as a
male warrior (“Ecco un guerriero [ché tal parea]”) but who is betrayed as a
woman by her insignia, the tiger. When Clorinda enters into the crowded piazza
where the two Christians are tied to the stake, she notes Olindo weeping “as a
man weighed down with sorrow, not pain” (“in guisa d’uom cui preme / pietà, non
doglia)” while Sofronia is silent, “con gli occhi al ciel si fisa / ch’anzi ‘l
morir par di qua giù divisa” (“her eyes so fixed on heaven that she seems to be
leaving this world before she dies”; 2: 42). Clordina’s response to this
sight—a Clorinda raised in the woods and led to disdain female pastimes such as
sewing and embroidery—is extraordinary: “Clorinda intenerissi, e si condoles /
d’ambeduo loro e lagrimonne alquanto” (“Clorinda’s heart grew tender at this
sight; she grieved with them, and tears welled up in her eyes”; 2: 43). Such
tenderness leads her to ask for the two Christians as a gift in advance of her
promised salvation of the city: a salvation, as we will soon know, she can
never achieve. Her pity for a woman like herself—at once self-contained and yet
vulnerable to others’ fantasies about her sexuality—breaks through the
religious and ethnic differences on which the Liberata as a whole depends, and
arguably questions for Muslims and Christians alike the very premise of the
war. Clorinda will be revealed later in the poem as the daughter of a Christian
mother, and in retrospect one might see her recognition of herself in Sofronia
as a premonition of her true identity. Yet, at this early point in the poem,
her alignment of herself with Sofronia, along with Tasso’s allusions to
Virgil’s fateful women, creates a potentially scandalous community of women
whose unpredictable and often unreadable actions threaten to undo the
transcendental militarism on which the poem is based. The crisis of the
immagine, in Ismeno’s feverish recasting of its significance, is like that of
the women who are endlessly substituted for it: complete within itself, it has
no deictic function, failing to refer beyond itself to heavenly powers.
Sofronia, too, points only to herself (“Sol essecutrice”), a presumed
self-sufficiency that Tasso’s narrator translates into inaccessibility. It
creates for Sofronia the same unknowable status of the stolen painting, and an
unknowability Clorinda can only admire, and in which she similarly partakes.
Tasso’s simile of the city that dissolves into f lames upon Clorinda’s death
ten cantos later is thus ultimately a failed simile. That he will go on to
banish all of his Christian women from the end of the Liberata suggests both
his attempt to contain the threat represented by the female figures of Canto 2
and his inability to integrate Christian and Muslim women alike into the
culminating events of the poem. Clorinda and Gildippe are dead, Erminia is in
an “albergo” somewherewithin the city, Armida utters words of conversion but
only on Jerusalem’s outskirts, and Sofronia has disappeared forever. To be
sure, on the one hand, Tasso’s poem generally refuses to allow any character to
stand in for the whole and thus represent the city, earthly or celestial, by
him or herself, as the belated “Allegoria del Poema” attests and as numerous
episodes involving Rinaldo and Goffredo suggest.24 In an early letter, Tasso
protests the custom of romance that allows single characters to decide the fate
of entire empires: “non ricevo affatto nel mio poema quell’eccesso di bravura
che ricevono i romanzi; cioè, che alcuno sia tanto superiore a tutti gli altri,
che possa sostenere solo un campo” (“In my poem, I don’t allow that excess of
bravura that the romance welcomes, in which one figure emerges as greater than
all the others, capable of defending the battlefield all by himself ”).25 To
this extent, transforming the painting of Mary or the body of Clorinda into
singularly protective forces copies the excess of romanzi which Tasso claims to
avoid. Only the uniting of Goffredo’s “compagni erranti” or wandering companions
under “i santi segni” can win for the Christians their city (1:1). The
liberation of Jerusalem is the work not of women, but of men; and not of a
single man, but many. On the other hand, unlike Goffredo or Rinaldo, these
“virtuous” women do indeed disappear from the poem, suffering the fate of the
“poco connesso” and summarily excluded from the larger body into which Tasso
incorporates his men in the “Allegoria.”26 Yet is such exclusion ultimately a
penalty? While at work on the Liberata, Tasso was penning his brief pastoral
play, the Aminta, where he experiments with the inaccessibility of a vergine in
the figure of Silvia, whose own near-violation while tied to a tree is
reminiscent, even in its phrasing, of Sofronia’s violent torture. The
Liberata’s “Già ’l velo e ’l casto manto a lei rapito, / stringon le molli
braccia aspre ritorte” (“they tear away her veil and her modest cloak, bind
hard her tender hands behind the back”; 2.26) echoes Silvia’s victimization at
the Satyr’s hands.27 But the exposure of Silvia’s and Sofronia’s bodies is in
turn contrasted with the degree to which they refuse to be contaminated by the
violence that surrounds them even as they are vulnerable to varying
interpretations of their sincerity. The fact that following their rescues
neither female character is seen again suggests an additional layer of
inscrutability, as though Tasso chose to protect the privacy of his vergini
from those who would compromise their virtue.28 Perhaps only in a world where
epic values— the seizing of Jerusalem from the renegade Ismeno and the infidel
Turks—are unequivocally positive can Sofronia’s premature departure be
construed as a loss, rather than a gain. The phrase used with respect to the
mosque from which Mary’s image is taken—“a vile place heaven holds in
disdain”—might stand in for the contaminated city as a whole that Sofronia
inhabits with other embattled Christians. Tasso’s own narrative gesture with
regard to all women of “fortezza,” Clorinda included, saves them from the
bitter militarism that informs the second half of his poem, preserving for them
a space offstage—or above it. But Tasso continued to ponder the ideal
relationship of the female body to his epic project, one which would rely on
integration rather than separation. Such integration demanded a very different
kind of poem from the Liberata, whoseMuslim male warriors, if not its women,
are diabolical figures from whom the city must be wrested. The Conquistata has
typically been glossed as a work that celebrates the Counter-Reformation Church
in all its militancy. But attentiveness to the new women of the revised poem,
beginning with a lamenting Mary who has stepped out of the painting to become a
character, may suggest otherwise.29 * ** Death appears
in the Conquistata’s opening stanza, where the triumphant prolepsis of
“compagni erranti” joining together under “santi segni” no longer exists, and
where the explicit allusions to the failures of hell, Asia, and Africa to
defeat the Crusaders is replaced by a description of how Goffredo’s military
feats “di morti ingombrò le valli e ’l piano, / e correr fece il mar di sangue
misto” (“filled the plains and valleys with the dead, and made the sea run red
with blood”). With death, there is mourning—and a world, as Tasso will call it
late in the poem, of “femineo pianto” female lament (23:117). And the first
evidence of female mourning that we see in Tasso’s “poema riformato” is that of
the Virgin Mary, who makes a surprising cameo appearance at precisely the
moment occupied in the Liberata by the episode with Sofronia. Threatened, as
before, by the impending arrival of Crusaders, Aladino decides that the
Christian community within the walls poses a danger, and in his rage swears to
put them all to death. A stolen painting no longer exists to provoke his anger,
but almost immediately the subject of that painting appears, as Tasso’s
narrator redirects our gaze from the cowering Christian citizens of Jerusalem
to heaven, in two entirely new stanzas: Holy Compassion, you did not keep your
thoughts hidden to yourself, as you gazed down from the celestial and sacred
realm onto the site where the King had lain buried, and at his faithful f lock.
Thus: “Lord,” you cried, “help, help—for now I alone am not sufficient to save
their lives.” Upon seeing those moist eyes—the eyes that had wept for her Son
who died on the cross—the Father said, “now let me turn my attention to their
fear” . . . and the savage man [Aladino] tempers his insane rage. Non
fu ’l pensier, santa Pietate, occulto a te ne la celeste e sacra reggia, donde
guardavi il luogo in cui sepulto il Re si giacque, e la fedel sua greggia.
Pero’: – Signor, gridasti, aita, aita, ch’io non basto a salvarli omai la vita.
Vedendo il Padre rugiadosi gli occhi di lei che pianse in croce estinto il Figlio,
– Vo’ – disse – ch’al Timor la cura or tocchi – . . . . [e] Tempra
dunque il crudel la rabbia insana. (2: 11–13) 30Thanks to this heavenly
intervention that happens in the blink of an eye (“ad un girar di ciglio”),
Aladino will “temper his rage” by burning the fields where the Crusaders might
have found food and by exiling, rather than killing, the faithful—excepting “le
vergini”—from Jerusalem, who depart in tears (“gemendo in lagrimosi lutti”; 2:
53). But their laments will not endure for long. When they come upon the
Crusaders in their camp, they offer their services to Goffredo and participate,
presumably, in the final attack on their former city in the closing cantos of
the new poem. As in Canto 2 of the Liberata, we have a threatened community, and
once again Mary figures in its protection. But for those familiar with the
Liberata, this episode in the Conquistata’s second canto represents a loss
rather than a gain, albeit a puzzling loss. Having omitted the episode of
Sofronia that apparently, he, and many of his first readers, found so
troubling, Tasso leaves us with the mere shadow of the women who once occupied
the status, rightly or wrongly, of Jerusalem’s saviors: a mourning mother. When
Mary calls upon God to temper Aladino’s wrath, she is gazing at a tomb: “il
luogo in cui sepulto/ il Re si giacque.” Jerusalem is a place of death, both
past and imminent, and Mary is not celebrating her son’s resurrection, but
weeping for his demise on the cross. Her grief is rehearsed again in the
following canto in stanzas also new to the Conquistata, where it will be shared
by other mothers—many of them Muslim. On tapestries which Goffredo shows the
two ambassadors who have arrived from the enemy’s forces—one of them, Argante,
“intrepid warrior” (“intrepido guerriero”; 2: 91)—is the thunderous defeat of
Antioch, which the Christians have just taken. Tasso lingers not over the
victorious assault on the city but on the artist’s attentiveness to women’s
loss as they watch their sons die below them: talented artist, you made the
faces of their mothers’ pallid and pale, for life no longer was welcome to
them. From above each one gazed at her dead child, who lay on the earth by
enemies oppressed, his head affixed to the enemy lance; and tears bathed their
dry cheeks. And so he created great variety among these images of grief
. . . con viso vi [il maestro accorto] feo pallido e smorto le madri,
a cui la vita allor dispiacque. D’alto mirò ciascuna il figlio or morto che tra
nemici oppresso in terra giacque, e’l capo affisso a la nemica lancia; e di
pianto rigò l’arida guancia. E variò le imagini dolente . . . (3:
48–9) The resulting “istoria” tells of a “Città presa, notturno orror, tumulto,
/ ruine, incendi e peste”, to which the artist adds “Fuga, terror, lutto, e mal
fido scampo / . . . . e correr feo di sangue il campo” (“A city
seized, nocturnal horrors, tumult, ruin, firesand plague . . .
flight, terror, grief, and luckless escape, and he made the field run with
blood”; 50). Argante, the Christians’ enemy, is gazing on these images, and one
could argue that his perspective inf lects the presentation of the tapestries,
much as Aeneas’s grief in Book 1 colors his reception of the carvings in
Carthage that detail the fall of Troy. Yet, elsewhere in the descriptions, we hear
of the “pious Goffredo,” the “good Beomondo,” the “great Riccardo.” Moreover,
the direct apostrophes to the Christian reader (“Italici e Germani uscir
diresti . . .” [2: 17]) suggest that it is Tasso’s narrator—and Tasso
himself—who lingers over the mournful details. In fact, the singular
concentration on the Conquistata’s women as vehicles of lament suggests that
Tasso is far from making their response to loss yet another diabolically tinged
inspiration. Riccardo, formerly the warrior Rinaldo, now also has a mother, who
like Thetis, emerges from sea-depths to comfort her son when his friend Rupert
dies. The prayers of Riccardo in turn are carried by heaven to a female figure
who with tearful face (“con lagrimoso volto” 21: 74) asks God, as did Mary much
earlier, to bring aid by turning “your pitying face to my warrior” (“al mio
guerrier pietoso ’l ciglio”; 72). But as the scenes of the tapestry suggest,
women’s presence as mourners is most visible in the sections devoted to
Argante, scourge of the Christians, and in the Conquistata clearly meant to be
a double for Hector from Homer’s Iliad. To strengthen this parallel with the
Homeric poem, Tasso had to give Argante a wife to protest his going out into
battle as Andromache did with Hector, and a mother—and a Helen—who will mourn
him when he dies.31 In the Liberata, this “intrepido guerriero” was killed by
Tancredi after a bloody duel outside Jerusalem’s walls. The wandering Erminia,
in love with Tancredi, literally stumbles over the bodies when she is escorting
the spy Vafrino back to the Christians’ camp, and restores Tancredi to health
with pious prayers and herbal medicines. Argante is summarily ignored by the
pair until Tancredi insists that they carry his bloody corpse with them to
Jerusalem: “non si frodi / o de la sepoltura o de le lodi” (do not deprive him
of burial or of praise; 19: 116). But we hear no eulogies, nor do we witness
Argante’s burial, and he is as arguably isolated in death as in life. The
Argante of the Conquistata receives a very different fate after he dies at
Tancredi’s hands. His body is given to the women of Jerusalem, who eulogize him
at the close of Canto 23 as husband, father, and son, as well as fierce
protector of his city. This last role is given explicitly to him by Erminia,
rechristened Nicea in the Conquistata, who laments her inabilities to save him
in the plaintive cry “O arti mie fallaci, o falsa spene! / A cui piú l’erbe
omai raccoglio e porto / da l’ime valli e da l’inculte arene? / Non ti spero
veder mai piú resorto, / per mia pietosa cura” (“O my fallacious arts, o my
false hope! What use now the herbs that I gather and carry from the dark
valleys and the hidden sands? I no longer hope to see you risen, saved by my
compassionate healing”; 23:126). The woman who in the Liberata had collected
medicinal herbs for her beloved Tancredi, and who is addressed by him as
“medica mia pietosa” after she saves him from death, here reproaches herself
for having failed to rescue Tancredi’s enemy Argante. Ifshe saved Tancredi and
Goffredo—and the Christian cause—in the Liberata, here she can confess only her
failed arts, and in the context of prophetically imagining a future of grief
and destruction in the wake of Argante’s death: “Sola io non sono al mio dolor;
ma sola / veggio, dopo la prima, altre ruine, / altri incendi, altre morti: e
grave e stanca, / quest’alma al nuovo duol languisce e manca” (“I’m not alone
in my grief, but I alone can see after this first destruction, more ruin, more
fiery blazes, more deaths; and tired and heavy, this soul will languish and
expire, sickened by new sorrows”; 127).32 These three weeping women—mother,
wife, and friend whose arts cannot save a dead man—integrate Argante not only
into the life of the city and the family, but into the future, as the women who
survive him imagine their fates as vividly as the female survivors of Hector in
the Iliad imagine theirs. Or as Argante’s wife, Lugeria, laments, “Ne la tenera
etate è il figlio ancora, / che generammo al lagrimoso duolo, / tu ed io
infelici . . . / non vedrá gli anni in cui virtù s’onora, / Né la
fama tua” (“Our son whom you and I—unhappy— conceived only for tearful sorrow
is still in his tender years . . . he will see the years in which
virtue is bestowed on him, nor will he know your fame” (23:119). For herself,
she can envision only “foreign shores” (“lidi estrani”) and service in the
entourage of some proud, Christian lord. The lines closely follow those of
Andromache in the Iliad, much as the lament of Argante’s mother (“Difendesti la
patria, e palme e fregi / n’avesti, or n’hai trafitto il viso e ’l petto”; “You
defended our country, and had honors and laurels; now your face and breast are
pierced [by a lance]”) repeats that of Hecuba in Iliad 24. Thus just as in the
Iliad, as Sheila Murnaghan has written, female lament has the function of tying
the hero back into his community, while making it clear that the hero’s kleos
or fame is achieved at women’s expense.33 Such a constitution of a larger, more
sorrowful, poem can be allied in turn with Tasso’s new relationship to epic.
Even for a poet as relentlessly psychoanalyzed as Tasso, the creation in the
Conquistata of the familial contexts that Tasso may have longed for after the
death of his mother, never knew, may come as a surprise.34 Tasso’s redefinition
of the epic poet in his unfinished Giudizio del poema riformato, the last of
his critical works, may instead have been in response to those readers of the
pirated Liberata who complained about the inauthenticity of some of the
characters’ emotions that drove the poem. In particular, he argues forcefully
in the Giudizio for the new sentiment he seeks to generate throughout the
Conquistata: pity, or “la commiserazione e de la purgazione de gli affetti”
(“commiseration and purgation of its effects”; 165). With respect to Argante,
whom he explicitly declares to have now fashioned as “most similar to Hector”
(“similissimo ad Ettore”), he comments, where Argante earlier was not wretched,
now he’s completely so, because he’s been changed from a foreign and mercenary
soldier into the son of a king and a Christian queen, and has become the
natural prince of the city: defending his father, loving his wife, and constant
in his defense and in hisfaith; and so that pity that is denied him by
[Christian] law can be granted out of natural and human sentiment. dove la
persona d’Argante prima [nella Liberata] non era miserabile, ora è divenuta
miserabilissima, perché di soldato straniero e mercenario è divenuto figliuolo
di re e di regina cristiana e principe natural di quella città, difensor del
padre, amator de la moglie e costante ne la difesa e ne la fede; e però quella
pietà che si niega a la legge si può concedere a la natura ed a l’umanità.
(164) Arguing against the likes of Dion Crisostomos who complained about the
scenes of mourning in Homer (“Defunctum vero memoria honorate non lachrymis”
[“the memory of the dead are not honored by tears”]), Tasso strives for a
poetics “that is more humane and more appropriate to civil life” (“piú umana e
piú accommodata a la vita civile”), resisting not only Dion but Plato and the
Pythagoreans as “too rigid and severe” (“troppo rigida e severa”). Taking sides
with that “most excellent Aristotle,” Tasso argues for a poetry that will
motivate the sentiment of compassion “even for the enemy” (“ancora da’ nemici”;
178), and hence for the creation of a human community in which one takes stock
not so much of differing religious beliefs, but of the parallels that make all
humankind members of a single family. Thus, for example, the king Solimano is
to be considered not as the emperor of the Turks, but as a valorous prince and
father of a valorous and compassionate son. . . . If they were
deprived of the theological virtues, they did not lack natural virtue, nor
those bred by custom. non come imperator de’ Turchi, ma come principe valoroso
e padre di valoroso e di pietoso figliuolo . . . quantunque fosser
privi de le virtú teologiche, non erano senza le virtú naturali e quelle di
costume. (177) As a result, as Alain Goddard has observed, Solimano and Argante
both now fail to embody “a code of values opposed to that of strict Catholic
orthodoxy” (“un code de valeurs opposé à celui de la stricte orthodoxie
catholique”)35 —a failure that unleashes “a tide of ambivalence” despite the ideological
claims made throughout for Catholicism’s supremacy. And the figures who help to
generate such ambivalence and, in particular, compassion for those with
“natural virtues” are largely Tasso’s women, as the Conquistata shapes not only
a new definition of masculinity but a new role for its women.36 Tasso’s early
readers may have challenged the authenticity of Armida’s conversion, the
“saintliness” of Sofronia, the status of the missing “immagine,” and the
rationale for Erminia’s midnight foray into the Christian camp, and her
supposed self lessness when ministering to a wounded Tancredi.37 The
Conquistata seems dedicated rather to making female behavior transparent and
unquestionably sincere, a sincerity that Erminia/Nicea’s rebuke of her
“artifallaci” confirms. The ubiquitous female mourner, for whom Mary is
paradigmatic, embodies the essence of non -theatricality, conveying a spiritual
intensity which Tasso himself longed to experience as clear from his late
canzone to the Virgin, “Stava appresso la Croce,” in which he asks Mary to
become the guarantor of his own prayerful sincerity: “Fa ch’io del tuo dolor /
senta nel cor la forza” (“Grant that I may sense in my own heart the power of
your grief ”), and later in the poem, “Fa ch’l duol sia verace / e ’l mio
pianto sia vero” (“Enable my grief to be authentic, my lament sincere”).38
If—with the exception of Clorinda—there was no place for this expression of
commiseration in the Liberata, fixated as it was on the triumphant attaining of
the city, the Conquistata ensures with its weeping mothers and, on occasion,
fathers and friends, that we see Jerusalem’s conquest as mixed a blessing as
was the defeat of Troy. If the body recognized in the Liberata’s “Allegoria” is
an exclusively militaristic one, the corpus of the Conquistata is familial, in
which men are humanized, perhaps feminized, through their claims to having
mothers, wives, or children. In the meantime, Erminia’s pious arts of healing,
Sofronia’s daring sacrifice, and the immagine itself—aspects of feminine
“artistry” not easily assimilable to this model—are gone. * ** One final
glance at Luca Giordano’s painting may help to clarify the trajectory I have
attempted to chart throughout this essay. The interesting detail of Mary’s
image, lifted high above the scene of impending death, can be said to resolve
for Genova’s Counter-Reformation audience the identity of the “thief ” which
Tasso had left in abeyance. Clearly the “mano” that perpetrated the theft was
that of the queen of Heaven herself, who forcibly intervenes when her image is
placed in a mosque, and who exhibits her power by rescuing not only her
“immagine” but the brave Sofronia. Giordano restores Mary’s protective
immagine, letting us “see” it for the first time as he rescues Mary herself
from oblivion in a work that makes the exaltation of Christianity derive from
her comforting presence. To this extent, the painting confirms the overtly
Catholic structure on which the Conquistata insisted. But it does so by
countering the very notion, emphasized by Mary herself in the Conquistata’s new
second canto, that she is “not enough now to save their lives” (“io non basto a
salvarli omai la vita”). Perhaps the key word in the passage is “omai”: now, as
opposed to some earlier time when Mary presumably was sufficient. Reading
backward from Mary’s phrase in Canto 2 of the Conquistata, one emerges with a
nostalgic vision of female sanctity which the Liberata never intended to
confirm; but a vision which for Tasso may have resided in a not-so-distant past
before Trent, found in a work such as the Divina commedia, in which the Virgin
has power to do more than weep. Her compassion can be said to have generated an
entire poem, and it is thanks to her example that Beatrice is able to say to
Virgil in Inferno 2, “amor mi mosse” (“love moved me and made me speak”).
Giordano’s late seventeenthcentury painting willfully misreads the Liberata, as
it envisions a world in which Mary can glowingly transmit her power to the two
central women of Canto 2in the form of light radiating from her painting. The
work of art thus comes to possess a divine, unambiguously protective status
such as a renegade Christian, the wizard Ismeno, would confer on it—even if
Tasso himself would not. 39 This was a world that never did exist in the
Liberata. But that may finally be beside the point. Yet as Tasso tried to
create a poem “senza arti fallacy,” newly directed toward the compassionate
involvement of all its personaggi, Muslims and Christians alike, in the family
of the “vita civile,” Mary and the women like her enable a different kind of
salvation, albeit of a less dramatic kind. If threats of “parlar disgiunto” and
episodic discontinuity hang over the Liberata; if the three women of Canto 2
both embodied and actualized these threats, once we arrive at the inclusive
poem that is the Conquistata, the lonely isolation of heroic difference is no
longer a danger. And as a result, there are no more female heroes.40Notes 1
Tasso, Lettere, ed. Guasti, 5: 72; the letter is from July 1591, when he had
almost completed the Conquistata. 2 For a summary of how female characters
change in the Conquistata, see Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’”
236–38. Also of interest is Picco, “Or s’indora ed or verdeggia.” 3 See
Gigante’s introduction to Tasso’s Giudicio sovra la Gerusalemme riformata,
xlviii, as well as his discussion of the Giudicio and Conquistata in Tasso,
chapter 13. 4 That the female figures of the Liberata are intriguing mirrors
for Tasso himself is not a new argument; particularly in the wake of a feminist
criticism that has focused on Armida and Clorinda. In some cases, such as
Stephens’ article on Erminia (“Trickster, Textor, Architect, Thief ” or
Miguel’s “Tasso’s Erminia,” 62–75, a female character’s narrative and artistic
capabilities are put forth as convincing evidence for self-portraits of the
author/artist. 5 For two recent studies devoted to the episode of Sofronia,
Giamperi, Il battesimo di Clorinda and Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 270–94;
also see the few pages dedicated to Sofronia in Hampton’s Writing from History,
116–18. 6 Some early readers of the Liberata considered the episode “poco
connesso e troppo presto,” a point with which Tasso concurred; e.g., the letter
to Scipione Gonzaga from April 3, 1576; Lettere di Torquato Tasso, vol. I,
letter #61; 153. Molinari’s edition of the Lettere poetiche of Tasso contains
this letter with ample critical text; 374. The debate over the episode went on
for a period of many months in 1575 and 1576; see the excellent account of
Güntert, L’epos dell’ideologia regnante, 81–85. 7 The syntactic “difetto” or
defect that Tasso claims he learned from reading too much Virgil is that of
“parlar disgiunto”: “cioè, quello che si lega più tosto per l’unione e
dependenza de’ sensi, che per copula o altra congiunzione di parole
. . . pur ha molte volte sembianza di virtù, ed è talora virtù
apportatrice di grandezza: ma l’errore consiste ne la frequenza. Questo difetto
ho io appreso de la continua lezion di Virgilio . . .” (Lettere, vol.
I, 115). Fortini calls attention to the symptomatic crisis of “parlar disgiunto”
in relationship to Canto 2 in Dialoghi col Tasso, 81, describing it as “la
frattura degli elementi del discorso per ottenere maggior rilievo, maggiore
drammatizzazione e magnificenza.” 8 Tasso’s references to Homer in his Giudicio
are extensive, as are his spirited defenses of Homer against those who would
call him a liar; he often invokes Aristotle’s praise of the poet. 9 On Tasso’s
impact on and interest in the visual arts more generally, see Waterhouse,
“Tasso and the Visual Arts,” 146–61 and, more recently, Unglaub’s Poussin and
the Poetics of Painting and Traherne’s “Pictorial Space and Sacred Time,”
5–25.Jane Tylus10 The image is item 176 in the catalogue Luca Giordano, ed.
Ferrari and Scavizzi. 11 See Utili’s entry on Giordano’s Olindo e Sofronia in
Torquato Tasso, 313. 12 From the letter to Scipione Gonzaga of April 3, 1576;
in Lettere di Torquato Tasso, 153; Lettere poetiche, 374. This came less than a
month after Tasso had informed Luca Scalabrino on March 12, that he was going
to add “eight or ten stanzas” to the end of the Sofronia episode, in the hope
of making it seem “more connected” (“che ‘l farà parer più connesso”); ibid.,
339. 13 I use the edition of Fredi Chiappelli; II: 6. 14 Translations of the
Liberata are from Jerusalem Delivered, trans. Esolen; occasionally modified. 15
Lettere, I, 164; also in Letter poetiche, 406; italics mine. 16 Yavneh, “Dal
rogo alle nozze,” 272–73. 17 Giampieri, Il battesimo di Clorinda, 27, has noted
in the “casto simulacro” of Mary a parallel with the famous Palladium of Troy:
Mary’s image takes the place of the Palladium, and this substitution is
extended further when Sofronia herself “porta quella salvezza che tutti si
aspettavano dall’efige della Madonna” once the Madonna is gone. 18 See Yavneh,
“Dal rogo alle nozze,” 150, as well as Warner, The Augustinian Epic, 86. 19
This line is echoed by Armida eighteen cantos later, when she proclaims herself
Rinaldo’s “ancilla,” and observes that his word is her law: “e le fia legge il
cenno” (20: 136). Intentionally or not, the line brings us full circle to the
missing image of Mary, but reducing the supposed potency of that image and the
women who mirror it to a gesture of submission to a “conquering” Gabriel. 20
Virgil, Eclogues, Georgiecs, Aeneid I–VI, 441. 21 The Judith echoes are
relevant as well, on which see Refini, “Giuditta, Armida e il velo,” esp.
87–88. But unlike Judith, who dominates the second half of the apocryphal book
of Judith, Sofronia and Clorinda disappear long before the ending. 22 “A lei,
che generosa è quanto onesta, / viene in pensier come salvar costoro. / Move
fortezza il gran pensier, l’arresta / poi la vergogna e ‘l verginal decoro; /
vince fortezza, anzi s’accorda e face / sé vergognosa e la vergogna audace” (2:
17). 23 Eugenio Donadoni remarked on Tasso’s “incapacità di ritrarre una
santa,” and while he doesn’t elaborate, he clearly has in mind the puzzling
presentation of Sofronia herself. Torquato Tasso, 324. 24 As Lawrence F. Rhu
nicely puts it, the “Allegoria,” first composed in 1576, probably functioned
“as a guarantor of acceptable intentions in the face of potential
censorship . . . rather than as a sure guide in the right
direction for a comprehensive interpretation of his poem”; The Genesis of
Tasso’s Narrative Theory, 56. At the same time, with regard to the conflict
between the “one and the many,” the poem, with its announced attention to bring
together Goffredo and his “compagni erranti,”and the Allegoria, focused on
demonstrating how the bodies of the (male) warriors are eventually incorporated
within the body of the army, seemingly speak with a single voice. 25 Lettere,
vol. 1, 84. Interestingly, Tasso will exempt Rinaldo from this rule. 26 On the
possibility that Tasso resists making his female warriors stronger than the
men, see Günsberg, The Epic Rhetoric of Tasso, 128: “female valour is described
essentially in terms of negative comparatives. This culminates in male
supremacy over a femininity that is already fragmented, and in an act
characterized by sexual overtones”—such as the deaths of Clorinda and Gildippe.
27 See Act III, scene 1, from Aminta, and Tirsi’s description of the Satiro’s
would-be rape of Silvia: She is tied with her own hair, to a tree, while “‘l
suo bel cinto, / che del sen virginal fu pria custode, / di quello stupro era
ministro, ed ambe / le mani al duro tronco le sstringea; / e la pianta medesma
avea prestati / legami contra lei . . .”; lines 1237–42; from Opere
di Torquato Tasso, Volume 5: Aminta e rime scelte. 28 For a more sustained
reading of the Aminta and Tasso’s protectiveness of his two main characters,
see my chapter in Writing and Vulnerability, 82–95. 29 In truth, a more nuanced
criticism of the Conquistata has emerged in recent years, including that of
Goddard and of Residori, L’idea del poema, as well as in the recent article of
Brazeau, “Who Wants to Live Forever?” Yet critics have been overly hasty to
dismiss the30 31 323334 35 3637 38 39 40265later poem as the project of Tasso’s
new Counter-Reformation orthodoxy. This may be the case, but surely only in
part; as the Giudicio and contemporary letters attest, Tasso was involved in a
continuing dialogue with ancient authors, and the Conquistata attests to his
desire to write a poem that creates more of a balance between opposing forces.
Gerusalemme conquistata, II: 11–12. Luigi Bonfigli’s edition, which comprises
part of his five-volume Opere di Torquato Tasso, regrettably has no notes;
there is still no fully annotated modern version of the poem. Shortly after
Argante’s death a trio of female mourners lament his loss in a passage taken
directly from Iliad 24; the fact that they appear in the Conquistata’s
twenty-third canto makes the connection structural as well as thematic. See
Stephens, “Trickster, Textor, Architect, Thief,” on Erminia, in which he talks
about Erminia’s imitation of Helen; while he finds in the Conquistata allusions
to Helen’s weaving (Canto 3), he does not consider the Homeric echoes in Canto
23. Also see my “Imagining Narrative in Tasso.” Murnaghan, “The Poetics of Loss
in Greek Epic,” 217: “As she gives voice to her role as the bearer of Hector’s
kleos, Andromache’s words fill in what Hector’s gloss over . . .
[she] insists that the creation of kleos begins with grief for the hero’s
friends and enemies alike. . . . Before it can be converted into
pleasant, care-dispelling song, a hero’s achievement is measured in the
suffering that it causes, in the grief that it inspires.” Ferguson’s Trials of
Desire and Enterline, The Tears of Narcissus explore psychoanalytic material.
Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’” 240n. I want here to make note
of Konrad Eisenbichler’s suggestive work with respect to new versions of
masculinity articulated in early modern Europe, and especially to his generous
support of the volume that Gerry Milligan and I edited for his series at the
University of Toronto, The Poetics of Masculinity in Early Modern Italy and
Spain (Toronto: Centre for Renaissance and Reformation Studies, 2010). The
letters that take up these various episodes, surely to be read in the larger
context of Tasso’s oeuvre, include a majority of the letters in Molinari’s
Lettere poetiche, which date from March 1575 through July 1576. Opere di
Torquato Tasso, vol. V, 583. See Traherne, “Pictorial Space and Sacred Time,”
for a bracing discussion as to why Tasso refused to indulge in any ekphrasis of
sacred images in his work—as in his late poem, Lagrime. In the Conquistata,
Tasso adds eight stanzas (15: 41–8) representing a prophetic dream regarding
Clorinda’s future baptism as a Christian—a future less certain in the Liberata,
when a number of verbs suggest the possibility of an only apparent conversion
(“pare,” “sembra,” etc.).Bibliography Brazeau, Bryan. “Who Wants to Live
Forever? Overcoming Poetic Immortality in Torquato Tasso’s Gerusalemme
Conquistata.” Modern Language Notes 129 (2014): 42–61. Donadoni, Eugenio.
Torquato Tasso. Florence: La Nuova Italia, 1967. Enterline, Lynn. The Tears of
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au ‘cavalier sovrano’: Godefroi de Bouillon dans la Jérusalem conquise.” In
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et présentés par Marie-Françoise Piéjus, Michel Plaisance, Matteo Residori,
101–11. Paris: Université de la Sorbonne Nouvelle-Paris III, 2012. “Fils de la
louve: Blaise de Monluc et les femmes de Sienne.” Renaissance and Reformation/
Renaissance et Réforme 37, vol. 2 (Spring 2014): 5–18. “Sex and Marriage in
Machiavelli’s Mandragola: A Close(t) Reading.” Renaissance and
Reformation/Renaissance et Réforme -- abandoned women 61 Abrabanel, Judah 215
Accademia degli Infiammati 217 Accademia degli Intronati 219–20 Actaeon 233–4,
240 Ad compascendum (papal bull) 61 adultery: as crime of violence 36; cultural
narrative of 75–8; in fiction 211, 214–15; legal definitions of 9; locations of
83–4; prosecutions for 75, 78–91, 92nn24, 45; and prostitution 61, 63 Aeneid
219, 224n60, 253, 259 aesthetics: and masculinity 144–5, 147; and military
prowess 149, 152, 156n29; and social control 12, 154 agency: of courtiers 151;
female 14, 54, 78, 211, 217 Agnoletto the Corsican 39 Agnolo di Ipolito 40–1
Alain of Lille 189–90 Alberti, Francesca 77–8 Alberti, Leon Battista 232,
242n19 Albertoni, Ludovica 116 Alessandro de’ Medici, Duke 141–2 Alexander the
Great 192, 193 Alexander VI, Pope 76 Altaseda 57, 69n37 Amadesi, Angela 70n71
Aminta (Tasso) 256, 264n27 anal penetration 10, 51n42, 129–30, 188, 204n25; see
also sodomyAndreoli, Andreoli 45–6 androgyny 107, 185, 187–8, 195 Andromeda
230, 232–3, 240 Angela of Foligno 113 angels, Carlini invoking 100, 104, 107–9,
114 animals, sex with 14, 43, 227, 231, 234–7, 241, 243–4n51 Antoniano, Silvio
250–1 Apuleius 232–3, 236–8, 240–1 Arenula 125–6 Aretino, Pietro: and Il Sodoma
192–3; and Piccolomini 217; Ragionamenti 14, 164–5, 211–13, 215–18, 221–2
aristocratic behaviour 221–2 Aristotle 32n2, 161, 168, 243n51, 261, 263n8
Armida 247–8, 254, 256, 261, 264n19 “arti fallaci” 248, 263 autonomy 145, 149,
211, 251 Averani, Pietro 38 badgers 187 Baliera, Cecilia 70n72 Ballerina,
Francesca 68n14 Bandello, Matteo 165, 200, 217 Bandello, Niccolò 163 Bargagli,
Girolamo 219–20, 224n66 Barolsky, Paul 199 bastards 76, 192 beastliness
32n2Bechdel Test 217–18, 224n50 beffa 31n1, 33n14 Belforte 37 Bell, Rudolph 11,
97, 99, 113 Bellini, Angelica 69n52 Belvedere di Saragozza 57, 70n71 Bembo,
Pietro 215, 219 Benazzi, Pietro 62 Benedek, Thomas G. 12 Benedict, Saint 185,
186, 188, 189, 190 Benedictine order 70, 185 Bernardino da Siena, Saint 145,
162, 173n10, 188, 195 bernesque poetry 167–8, 171–2 Berni, Francesco 194
Bernini, Gianlorenzo 110, 111–12, 114, 116, 121n93 bestiality see animals, sex
with Betta la Magra 11, 128–31 Bianco, Baccio del 78 bigamy 80 Bignardina,
Giulia 60 birds: eating 163–4, 172–3n2, 174n24; symbolising the penis 231
bisexuality 100, 186, 192, 194, 203n5 blasphemy 35, 38, 63, 79 Blastenbrei,
Peter 79 Bocca di lupo 57, 70n71 Boccaccio, Giovanni 8, 21–2 Bollette see
Ufficio delle Bollette Bologna: Borgo degli Arienti 59, 62; Borgo di San
Martino 59–60, 62; Borgo di Santa Caterina di Saragozza 57, 59; Borgo di Santa
Caterina di Strada Maggiore 62; Borgo Nuovo di San Felice 56, 59–60; Borgo
Riccio 57; Broccaindosso 57, 59; men’s relationships with prostitutes in 61–2;
regulation of prostitutes in 61, 63–5, 68n17; residencies of prostitutes in
8–9, 53–60, 55, 56, 66–7; sausages of 168 Bolzoni, Lina 227–8 The Book of the
Courtier (Castiglione) 1, 11; arms and letters in 142–4; dress and aesthetics
in 146–54; homosexuality in 192; on women’s behaviour 215–16, 219 Bossi,
Francesco 70n66 Boswell, John 2–5, 198, 203 Botticelli, Sandro 104, 188 Bovio,
Zefiriele Tommaso 162 Bràina di stra San Donato 57, 60 Braudel, Fernand 161
Brizio, Elena 8 Bronzino (Agnolo di Cosimo) 194brothels 54, 57, 59–60, 125; see
also prostitution Brown, Judith 4, 11, 97–8, 107, 120n55 Bruno, Giordano 200
Buonacasa, Lucrezia 65 Burckhardt, Jackob 1, 7 burlesque literature 166, 194–5
Cady, Joseph 200 Camaiani, Orazio 37 Campi, Cassandra di 60 Campo di Bovi 56,
60, 68n27, 70n71 canon law 75 Canossa, Ludovico da 142–3, 146–9, 154 Capatti,
Alberto 161 Capella, Galeazzo Flavio 216 Cappelli, Francesco 84–6, 91 Cappello,
Bianca 76 Capramozza 57, 70n71 Captain of Justice (Siena) 35–40 Caravaggio,
Michelangelo Merisi da 109, 111–12, 114, 195 Caretta, Madonna Ginevra 60,
68n32, 69n37 Carli, Enzo 199 Carlini, Benedetta: becoming abbess 107; entry
into religious life 101; imprisonment of 119n9; investigation into 97–9;
marriage to Christ 113, 115–17; modern controversy over 99–100; sexual contact
with Mea 100–1, 104, 114–15, 117–19; spirituality of 102–4, 109, 111–14 carne,
multiple meanings of 12, 160–5, 170–2 Carnevale (neighbourhood) 127 Carnival
90, 102, 162, 165–7, 170, 175n52 Carracci, Agostino 55, 56, 58 Carracci,
Ludovico 116 Castiglione, Baldassare 1, 11–13, 142, 145, 152, 156nn35, 38, 239
castration 10 Catherine de’ Ricci, Saint 104, 107, 117 Catherine of Alexandria,
Saint 116 Catherine of Bologna, Saint 114 Catherine of Genoa, Saint 102
Catherine of Siena, Saint 11, 102, 104–7, 106, 108, 112–13, 116, 118 Cavedagna,
Domenica 60 Cazzaria (Vignali) 219–20 Cellini, Benvenuto 13, 188, 194 Chauncey,
George 201 Chigi family 185, 192–4 Christ: Carlini speaking as 100, 117;
Carlini’s visitations from 98, 104, 111;forgiving the adulteress 77–8; gender
of 107; loving union with 106, 114–16, 115, 121n81, 197 Christianity: and
eating meat 162–3; and masculinity 144–5; and sexuality 185 Circe 235, 237
Clarke, Paula 7 Clement VIII, Pope 247 Cleopatra 252, 255 clergy: sexual
violence by 35, 44–9, 98; and sodomy 190, 194 Clorinda 248–9; baptism of
265n40; body of 256; death of 247, 251–3, 264n26; and Sofronia 255 clothing:
foreign 148–9; and masculinity 11–12, 141–2, 144–7; and military defeat 152;
and sexual deviance 188–90 Cockaigne, Land of 165 Cohen, Elizabeth 7, 9, 57,
62, 67, 71n84 Colieva, Lucia 60 Coller, Alexandra 219 Colloquies (Erasmus)
101–2 “compagni erranti” 256–7, 264n24 concubines 80, 92n44 conjugal debt 5,
77–8 Connors, Joseph 126 Conquistata see Gerusalemme conquistata convents:
power of 98; prostitution and 55, 63–4; sexuality within 4–5, 97, 99, 101–2
Corio, Bernardino 141 Cornaro, Alvise 174n23 Correggio, Antonio da 116 cose
brutte 127 Cosimo I de’ Medici, Duke 8, 37, 46 cosmetics 144, 213, 216 Council of
Trent 8–9; and adultery 79, 82; and failed saints 112; and images 250–1;
nunneries after 101; and sodomy 195 Counter-Reformation 104, 112, 257, 265n29
court ladies 1, 6 courtesans: in fiction 211–12; idealized depiction of 1, 6–7;
in Rome 79 courtiers: ideal 1, 6, 143–4, 146–7; sacrificing masculinity 150–2
Crawford, Katherine 6 Criminal Judge (Siena) 36 Cristellon, Cecilia 79
Crivelli, Bartolomea (Mea) 11, 97, 99–104, 109, 113–14, 117–18, 119n10
cross-breeding 14, 227, 233–4, 236, 240, 243n51 cuckoldry 77–8Currie, Elizabeth
141 Cycnus 205n55 Daedalus 234–6, 240 Dante Aligheri 2, 32n2, 34n32, 161, 163
d’Aragona, Tullia 215–16 d’Ascoli, Eurialo 193, 200 de Bertini, Ursina 68n14 de
Montaigne, Michel 65 Decameron: adultery in 78; Branca’s edition of 31n1; culinary
language in 163; and Dante 34n32; and della Porta 243n30; female heroines in
33n21; Griselda and Gualtieri in 8, 21–31; and La Raffaella 215; Walter of
Brienne in 32n8 deceit, courtiers and 150 de’Grassi, Francesco 70n66 della
Porta, Giovan Battista 14, 227; Art of Memory 228–31, 240–1, 241–2n2; and myth
234–8; and natural magic 239–40, 242n11; and nudity 231–2; and Titian 233–4
d’Este, Ercole 112, 120n40 the Devil, and sexual violence 39–40 di Loli family
of prostitutes 59 Dido 252, 255 dildos 13, 99–100, 102, 166 discourse, and
social norms 200–1 Dolce, Ludovico 170–1, 223n32, 229 Domenidio, inn of 129,
131 Domitilla, Maria 118 Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi) 188, 190
Donina, Pantaselia 62 dress see clothing Durazzo, Eugenio 248–9 ecclesiastical
courts 9, 45, 61, 78–9 effeminacy: in clothing 12, 142–7, 150, 155n14, 156n43,
188, 205n41; and military defeat 151–4 Eisenbichler, Konrad v–vi, 97, 265n36,
268–70 Elbl, Ivana 5 Elliott, Dyan 5 embodied experience 199–201 England, debts
to Florence 32n6 Ensler, Eve 218 epistemological caution 199, 201 Erminia/Nicea
247–8, 255, 259–62, 263n4, 265n32 erotic forces, cosmic 239 erotica, learned
175n52 essentialism 2, 147, 198 Europa 235, 237Fabritio 128–9 faccia tosta 195
fallacious artistries 15, 248 Farnese, Giulia 76 the Farnesina 192 female
bodies 7, 218, 237, 247–8, 253, 256; see also genitals, female Ferrante, Lucia
56 Ferrara 7, 112, 167, 216 Ferrari da Reggio, Giacoma di 68n14 Ficino,
Marsilio 167, 239 Finucci, Valeria 13 Fiorentina, Francesca 62 Fiorentina, Lena
60 Fiorentina, Lucia 69n37 Fiorentina, Vittoria 60 Fiorentini, Camilla di 70n72
Firenzuola, Agnolo 167–9 Florence: annexation of Siena 8; bank failures in
32n6; conquest of Siena 38, 44; ghetto of 57; homosexuality in 4, 187–8; laws
on sexual violence 46, 49; nobility and tyranny in 23, 25–8, 30–1, 32n11;
prostitution in 53, 64, 70n66; sausages of 169–71 forgetting, art of 229–30
fortezza 253–4, 256 Fortini, Pietro 164 Foucault, Michel 2–6, 13, 184–5, 203
Fra Bartolommeo 197 France: in Book of the Courtier 155n9; humiliation of Italy
142–3, 145, 149, 152, 154, 156n38 Francesco I, Grand Duke 76 Franchi, Giovanni
Antonio de 126 Francis, Saint 109 Franco, Veronica 7 Frangipane, Niccolò 166
Franzesi, Mattio 167, 171 Frassinago 57, 60, 65, 68n14 Freccero, Carla 156n30,
203 Fregoso, Federico 148–50 Fregoso, Ottaviano 148, 150–4, 155n13, 156n44
Furlana, Caterina 62, 69n52 Gabriel, Angel 107–9 Galen 12, 163, 166, 175n41,
176n72 Galianti, Francesca di 61 Gallucci, Margaret 13 gambling 63, 79 Ganymede
14, 193, 205n38, 230, 233, 239–40 Garzoni, Tomazzo 65gender: and art 14–15;
Foucault and Boswell on 3 gender bias 235, 240 gender nonconformity 146, 149
genitals: of animals 237; female 39, 100–1, 111, 113, 169, 175n54, 218, 224n52;
male 107; mediaeval theories about 12 Gentileschi, Artemisia 90 Gertrude of
Helfta 111 Gerusalemme conquistata (Tasso) 14, 247; female characters in
257–63; as orthodox 264–5n29; and Sophronia episode 250 Gerusalemme liberata
(Tasso) 14, 247; female characters in 247–8, 253–6, 263n3; Sofronia episode in
248–51, 263n6 Gesso, Giulia da 64–5 Ghirardo, Diane Yvonne 7 Giampieri,
Giampero 251 Giannetti, Laura 12 Giannotti, Donato 164 Gigante, Claudio 248
Gildippe 247, 255, 264n26 Giordano, Luca 248–50, 249, 262–3 Giovanni Maria 132–5
Giudi, Ludovica 64 Giustiniani, Benedetto 63 gluttony 12, 160–4, 168, 170–2,
173nn3–9, 212 Goddard, Alain 261 Goffen, Rona 5 Gonzaga, Scipione 250, 263n6
gossip 55, 65, 87 Gozzadini, Ginevra 77 Grandi, Lucrezia di 68n14 Grazzini,
Anton Francesco 163–4, 167, 169–71 Gregory the Great, Pope 160 Grosseto 46
group sex 11 Hadewijch 120n63 Halperin, David 184, 203 Harvey, Elizabeth 217
hearts, gifting of 104 Hercules 230, 243n31 Homer 14, 259, 261, 263n8, 265n32
homoeroticism: between nuns 99, 102; in master-apprentice relationship 188; in
religious imagery 107–11, 120n30, 185, 188–90, 189, 195–7, 196; in in
Renaissance Italian art 194–5, 205n38; in Sodoma’s secular work
192homosexuality: among clergy 190, 191; clothing denoting 188–90, 205n42; in
early modern Italy 187–8; Il Sodoma and 183–4, 193–5, 199; in Renaissance
scholarship 2–4, 13–14, 184–5, 198–9, 201; Saslow’s use of term 203n5; see also
lesbians; sodomy honour: and adultery 75–6, 81, 85; in Decameron 21, 24, 26–31,
33n19; male 7; and sexual violence 37–41 honour killings 80, 91n10 Il Sodoma
(Gianantonio Bazzi) 13–14; “Allegorical Man” 201–3, 202; biography of 183–4,
205n53; early religious works 185–90; historiography of 197–201; later
religious works of 195–7, 206n62; painting of Catherine of Siena 107, 108;
secular art of 191–5 Iliad 142–3, 260, 265n31 images: holy 250–3, 255, 261–2;
sexual 9, 14, 227–8, 231 imagination, phallic 235, 238, 241 imagines agentes
228, 231, 233–8, 240–1, 243nn30–1 imitatio Christi 113 immagine see images,
holy impotence 10 incest, laws on 81 incontinence of desire 161–2, 173n8 inns,
and prostitution 57, 59–60 Inquisition 3, 10, 99, 111, 130, 227, 249–51
instruments see dildos interdisciplinarity 5 intersectionality 15 inversions
235, 237–8, 240–1, 243n48 Io 233, 237–8, 241 Italian Renaissance: idealised
image of 1; scholarship on sex and gender in 3–5 Jews: and prostitutes 54,
56–7; in Rome 126–9 Job 28–9, 34n27 Kodera, Sergius 14 La Raffaella
(Piccolomini) 14, 213–14; and Aretino’s Ragionamenti 211; depiction of women 214–15,
220–1; textual sources 216–17 Labalme, Patricia 49 labyrinth 243n48 lactation,
miracle of 105Landriani: Lucrezia 76; Marsilio 64 lavoratori 28 Leda and the
swan 14, 231, 233–4, 238, 243n36 lenzuola 234 Leo X, Pope 191, 193–4, 205n41
Leonardo da Vinci 188 lesbians, use of term for Renaissance women 3–5, 11, 99
levitation 118 Liberata see Gerusalemme liberata loci, in art of memory 228–32,
234–5, 238, 240, 242nn19, 23, 243n48 Lorenzo the bathhouse worker 132, 134–5
love: in La Raffaella 214, 222; masculine 200; Neoplatonic discourse of 215,
219 Lucanica sausages 167 Lucretia, wife of Cynthio Perusco 132–5, 138n63
Lucretia (Roman heroine) 191, 193 Lucretia the madam 132, 134–5 Lugeria 260
lust 114, 160–1, 164, 172, 173nn3–10, 201, 212 luxuria 161, 173n7 Machiavelli,
Niccolò 78, 142–3, 155n10 magic: charges of 61; and love 77; natural 227,
233–4, 236, 239–41, 244n62 Magrino 126–30 male dress 142, 144–5, 148, 155–6n28;
see also clothing, and masculinity male solidarity 136 malmaritate 81, 99
Malpertuso 57 manly masquerade 147, 156n33 Mantuana, Chiara 60 Marcutio, Marino
89 Marema, Caterina 65 Margaret of Cortona 113 Maria Maddalena de’ Pazzi, Saint
104, 112–13 marital debt see conjugal debt marriage: arranged 23–4, 33n19;
mystical 115–16, 118; and passion 76 married women, sexual laws about 36, 61,
80, 88–9 Martelli, Agata 71n80 Martinengo, Maria Maddalena 113 marvels 227,
234, 236, 239 Mary Magdalene, Saint 77, 234 Mary mother of Christ: and
Catherine of Siena 112; in Gerusalemme conquistata257–9; images of 249–54, 256,
262–3, 264nn17, 19; as mourner 262; and mystical marriage 107, 115, 116;
Visitation of 102, 103 masculinity: arms and letters in 143–4; as conformity
148–9; and courtiers’ self-presentation 144–8, 150–2, 154; Renaissance 1, 11–13
masturbation 100, 102 maternal longings 239–41 Mattei, Giovanni Domenico di
86–8 Matthews-Grieco, Sara 9 Matuccio, Giulio 128–9, 136n16 Mauro Criti 45–6
McCall, Timothy 141 McCarthy, Vanessa 8 Mea see Crivelli, Bartolomea meat:
eating 160–3, 165, 167, 172; and sexuality 162–5, 169; see also carne; sausages
memory, art of 14, 227–33, 235, 239–41, 242n7 Meo 131–5, 139n74 Messisbugo,
Cristofaro da 167 Michelangelo 14, 185, 194–5, 205n55, 233–4 militarism 12,
142–3, 145, 154, 255–6, 262 Mills, Robert 200 Minotaur 234, 236 misogyny 5, 13,
77, 211–12, 220 mixti fori 80 monogamy, serial 79 monstrous offspring 234,
236–7, 241 Montalcino 43–4 Montanari, Massimo 161 Montauto, Federico Barbolani
di 46, 48 Monte of the Riformatori 38 Monteoliveto Maggiore 183, 185, 186–7,
189, 192, 195 Moroni, Doralice 64 Moulton, Ian Frederick 10, 14 Murnaghan,
Sheila 260 Muslim women 247, 255, 257–8, 263 mysticism: erotic 11, 100, 102,
104, 117, 197; physical signs of 112–13 myths, classical 14, 192, 205n55,
230–1, 233–5, 237–8, 240–1 naked bodies: physiognomy of 231–2; in Titian 234
Negri, Elisabetta di 60 Neoplatonism 215, 219 Niccoli, Ottavia 49Nolli Plan 126
normative codes 8–9 Nosadella 57, 68n14 novelle 21, 77–8, 163–6, 171, 174nn26,
40, 200, 215, 217 nunneries see convents nuns: as brides of Christ 104, 107; in
fiction 212; lust of clergy for 114; and prostitutes 64; sexual activities of
4–5, 97–100, 216 Office of the Night 4 Olimpia 132, 134–5, 138n57 Ordeaschi,
Francesca 192, 194 Ordinances of Justice 25, 28, 33n18 Orsini, Orsino 76 Otto
di custodia 35 Ottonelli, Giovanni Domenico 251 Ovid (P. Ovidius Naso) 170,
232–3, 235, 237–8, 240 Paleotti, Gabriele 9, 54, 61, 67 Pallavicino, Gasparo
150, 153, 155n14 Palloni, Agostino 133–6, 139n78 Panicarolo, Pietropaolo 89
panopticon 231 Paolo, Giovanni 104, 105 Parabosco, Girolamo 160 Parigi, Gentile
di 70n71 Parker, Deborah 194 parlar disgiunto 248, 263n7 parodies 78, 217, 237
parties, prostitutes throwing 63 Partner, Nancy 5–6 Pasiphaë 231, 234–8, 240–1
Pasulini, Andrea di 61–2, 69n47 Pater, Walter 184, 201 patria potestas 75 Paul
III, Pope 76 Paul IV, Pope 130 pederasty 188, 193; pedagogical 10 Pellizani,
Vittoria 70n71 personae, in art of memory 228–32, 234, 242n16 Perusco, Cynthio
132, 134, 138n63 Pesenti, Antonia 102 Petrarch, Francesco 170; version of Griselda
story 21, 24, 29, 31, 33n19 Phaeton, Fall of 205n55 phallus, sexuality centred
around the 100–1, 171–2; see also genitals, male Philip II of Spain 37
physiognomy 227, 231, 233, 236, 239–40 Piazza Navona 127Piccolomini, Alessandro
211, 215–16, 224n60; Oration in Praise of Women 219–20; see also La Raffaella
Piccolomini, Marcantonio 219–20, 224n66 Piéjus, Marie-Françoise 216–17 Pietro,
Giovanni 68nn14, 27 piety, emotive register of 104 pity 49, 76, 255, 260–1 Pius
V, Pope 79 Pizzoli, Ludovico 69n49 Platina (Bartolommeo Sacchi) 161–2, 167,
173n15 “poco conesso” 248, 253, 256, 263n6 poetry, and homosexuality 184, 194
Ponce de Leon, Basilio 149 Pontano, Francesco 144–5 Poor Clares 64 Porcellio,
Niccolò 165, 200 pork: poetic praise of 170, 172; social attitudes to 161,
166–8, 174n21, 174–5nn40, 41, 176n72 pork sausage 166–8, 170–1 Porta Piera 56–7
Porta Procola 56–7 Porta Stiera 56–7 postmodernism 3, 184, 198–201, 203 power,
in gender relations 211–12 printing, transformative effects of 14 procuresses 54,
212, 216 prostitution: behaviour associated with 63–5; and courtesans 7; and
courtiers 148; in della Porta 231, 236–8, 243n36; evidence of 3; ex-prostitutes
99; in fiction 211–13, 216, 221–2; and Ludovico Santa Croce 127–8; male 10;
men’s interaction with female 60–3; residential patterns in Bologna 8–9, 53–6,
55, 57; social and familial circles of 58–60, 65–7 Puff, Helmut 188, 198 queer
studies 184, 199, 201 queer visuality 192 Querzola, Giovanna 68n14 Randolph,
Adrian 190 rape see sexual violence Raphael (Raffaello Sanzio da Urbino) 14,
200, 233 Raymond of Capua 106, 112 reception theory 190 Reed, Christopher 185,
198 re-focalization 240Renaissance Italy see Italian Renaissance Renaissance
scholarship, sexuality and gender in 1–6 Renaissance sex 3, 13 Rice, Louise 78
the Ripetta 130 Rocke, Michael 4, 10, 187–8 Rojas, Fernando 216 Roman
antiquity, effeminacy in 144 Roman law 75–6 romance 9, 118, 256 Romantic
Friendships 100 Rome: adultery trials in 9, 82–91; early modern street plan
125–6; prostitution in 53, 59, 66–7, 79–80, 128; regulation of illicit sex in
79–82; Renaissance demography of 79–80; sexual bohemianism in 192–3 Romoli,
Domenico 162 Rosetti, Isabella 60 Rossi, Aloisi di 62, 69n49 Rossi, Caterina di
62, 69n52 Ruggiero, Guido 3–4, 8, 13, 187, 197, 199 Sacchetti, Niccolò 163
Sacchi Romana, Diana di 69n37 Sack of Rome (1527) 79, 145 saints, failed 99,
102, 111–12 same-sex eroticism see homoeroticism San Colombano 60 Santa
Caterina di Saragozza 63 Santa Croce, Ludovico 11, 126–36 Santa Croce family 126,
139n78 Sarteano 40–1 sausages 11–12, 161–3, 165–72, 175n42 Savi, Dorotea and
Benedetta di 59 sbirri 60, 62, 65 Scapuccio, Antonio 127–9 Schutte, Anne
Jacobson 99 Sebastian, Saint 195–7, 196, 206n62 Sedgwick, Eve 184
self-expression 184, 194, 198, 203 self-fashioning 151 self-harm 113 semen
12–13 sensuality: in Renaissance Italy 9–10; and spirituality 98, 101–2, 111;
women known for 252 Senzanome 57, 60, 64–5, 68nn14, 27, 70n71 Sercambi,
Giovanni 163–4, 166 sex crimes 4 sex ratio, in Rome 80 sexual fantasies 227–8,
234, 240sexual identity 4–5, 11, 13, 97, 119n7, 184, 198–9 sexual innuendos 10,
168–9, 194 sexual non-conformity 195, 201 sexual positions 13 sexual violence:
against women and young girls 37–8; against young boys 41–4; in art 191; in
classical myth 231; by clergy 35, 44–9, 98; laws on 4, 36–7, 49; in Renaissance
Italy 8 sexuality: female 217–18; Foucault on 2–3, 13; male 10, 172 (see also
phallus); and meat eating 162; Neoplatonic discourse on 215; newer approaches
to 3–6, 12; in poetry 194; see also homosexuality Sforza, Caterina 76 Sforza,
Galeazzo 141–2 Shakespeare, William 2, 232 shrines, prostitution around 64
sibille 90 Siena: administration of justice in 35–6; Il Sodoma in 185; sexual
violence in 8, 35–50; Vasari on 183 Simio, Antonio 62 Simon, Patricia 5 Simone,
Mario di 127–9, 131 Simons, Patricia 5, 11–13 sin, sexual 2, 42, 99, 102 single
women, vulnerability of 61 Sixtus V, Pope 61 slander, sexual 61, 63 social
constructionism 198, 201 social control 2, 12, 35, 143, 154 Socrates 200 sodomy:
defences of 10; in early modern Italy 187–8, 198–200, 203; and meat 164–5, 169,
171–2, 174n21; preachers against 173n10; regulating 4; Roman laws on 80–1;
Sienese laws against 37, 42–4, 47–9; use of term 9; see also anal penetration;
homosexuality; Il Sodoma Sofronia: episode of 247–52; Giordano’s paintings of
248, 249, 262; inscrutability of 253–6 Song of Songs 100, 107, 116–18 Speroni,
Sperone 215 spirituality, sensual imagery of 97, 100, 104–12 Spisana, Anna and
Lucia 59 Splenditello 98, 100, 104, 109, 114, 120n55, 121n98 Spoloni, Lucia and
Francesca di 59 sponsa 107, 116–18 spousal violence, and adultery 76, 82–3 sprezzatura
1, 146–7, 150–2, 156n42 Stanton, Domna 200 statues, living Statuta 80–1, 92n44
Stefani, Lena di 71n80 Stiera 56, 60 stigmata 97, 99, 107, 109, 111–14 Storey,
Tessa 7, 66 strada dritta 126–8, 132 stufa 127–8, 133 subcultures 187–8, 197
Symonds, John Addington 184 synecdoche 233–5, 238, 240–1 synopsis 239–41 Tagliarini
Tarozzi Tasso “Allegoria del Poema” 256, 262, 264n24; and female bodies 247–8;
Giudizio del poema riformato 260–1; and Sofronia episode 249–50; see also
Gerusalemme conquistata; Gerusalemme liberata Taylor, Andrew 6 Tedeschi, Radini
202 Teresa, Saint 109–11, 110 Terracina, Laura 216 Titian (Tiziano Vecelli) 5,
14, 92n15, 164, 166, 233–4, 240, 243n35 Torre Sanguigna 127–8 torture 41–2, 46,
49, 90 Toschi, Domenico 61 transgender 15 Traub, Valerie 203 Trevisana,
Margareta and Francesca 59, 62–3 Tridentine rules see Council of Trent Tuscany,
duchy of 37 Tylus, Jane 14 Ufficiali sopra la pace 35 Ufficio delle Bollette
Urban VIII, Pope 112 Ursini, Hieronimo 82–4 Usinini, Terenzio Utili, Mariella The
Vagina Monologues 218 vaginas see genitals, female Vallati Vanna of
Orvieto Vanni, Francesco Varchi,
Benedetto Vasari, Giorgio Venetiana, Vienna Venice: prostitution in sex crimes
in Veronica Giuliani, Saint Via del Portico d’Ottavia Via Santa Anna Vicario Vignaiuoli Villani, Giovanni Virgil
Virgil virtù: in Boccaccio in Tasso
Virtuosi visions, religious
visual culture Vives, Juan-Luis Walter of Brienne whores see prostitution witchcraft 1 see also
magic women: abuse of depictions in Renaissance culture honest and dishonest (see also prostitution); in the Intronati men
writing about men writing for 2in myth
published and unpublished texts by see also female bodies women’s
history word play Yavneh Zanetti Zanrè Zapata Zonta. Giovanni Battista Modio.
Modio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Modio” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Moiso – la filosofia della mitologia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Moiso; I would think my two favourite of his treatises is one on the ‘filosofia
della mitologia’ (think Beowulf!) --; the other is a consideration on Goethe on
‘nature and her forms’ – having built my career on the natural/non-natural distinction,
it cannot but fascinate me!” Esperto
di storia della filosofia e della scienza di fama internazionale, ha insegnato
nelle Torino, Macerata e Milano. Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia
post-kantiana, con particolare attenzione al pensiero di Salomon Maimon,
l'idealismo tedesco, con ricerche su Kant, Fichte, Schelling e Hegel, Goethe e
l'età goethiana, Achim von Arnim, il concetto di esperienza ed esperimento nel
Romanticismo, la filosofia di Nietzsche nel suo rapporto con le scienze, il
pensiero di E. Mach. È stato membro della Schelling Kommission per l'edizione
critica di Schelling. Ha partecipato alla Enciclopedia Multimediale delle
Scienze Filosofiche di Rai Educational con due interventi sulla La filosofia
della natura tedesca e sulla "Scienza specialistica e visione della natura
nell’età goethiana". Presso l'Udine è stato istituito il Centro
Interdipartimentale di Ricerca sulla Morfologia. Fondamentali per la ricerca
filosofica e le oltre 100 pagine dedicate a “Pre-formazione ed epigenesis”, in
“Il vivente -- aspetti filosofici, biologici e medici,” – Grice: “Interesting
idea, ‘il vivente’ – we don’t have that thing in English, ‘a loose liver’ --.
Verra, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Caratteristica degli suoi
studi è la connessione tra ricerca storico-filosofica e impianto teoretico,
fatto particolarmente evidente in suo saggio su Schelling. “La filosofia
di Maimon” (Milano, Mursia); “Natura e cultura” (Milano, Mursia); “Vita, natura
libertà” (Milano, Mursia); “Pre-formazione ed epigenesi nell'età goethiana, in “II
problema del vivente” Aspetti filosofici, biologici e medici, Verra, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana); Nietzsche e le scienze” (Milano, Martino)--
Grice: cf. ‘gaia scienza’ – “Tra arte e scienza” (Milano, Marino);“La natura e
le sue forme,” C. Diekamp (Milano,
Mimesis); “La filosofia della mitologia,” M. Alfonso (Milano, Mimesis); “Il
nulla e l'assoluto” "Annuario Filosofico", “Teleo-logia dopo Kant” in:
Giudizio e interpretazione in Kant. Convegno sulla Critica del Giudizio
(Macerata, Genova, Idee in Schelling, in IDEA Colloquio, Roma, M. Fattori e M. Bianchi (Olschki,
Firenze); Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà
umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper e O.
Höffe (Milano, Guerini); Le Ricerche:
una svolta in Schelling?, in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza
della libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi (Milano, Guerini); “Dio
come persona,” in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della
libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper
e O. Höffe (Milano, Guerini); “I paradossi dell'infinito, in:
"Romanticismo e modernità", Torino, La scoperta dell’osso inter-mascellare
e la questione del tipo osteologico, in G. Giorello, A. Grieco, Goethe
scienziato” (Torino, Einaudi); “Schelling: il romano antico nella filosofia
dell'arte, in "Rivista di estetica", Torino, pensatore e narratore
dell'Europa, Milano, Gargnano del Garda, Milano: Cisalpino (Acme/Quaderni); E
ho visto le idee addirittura con gl’occhi, in: Goethe: la natura e le sue forme,
atti del Convegno Arte, scienza e natura in Goethe; Torino (Milano, Mimesis); C.
Diekamp,
Experientia/experimentum nel Romanticismo, in M. Veneziani, Experientia”
(Firenze: Olschki); “L'albero della malattia -- motivi della medicina in età
romantica, in Atti della sofferenza. Atti del seminario di studi. Udine, C.
Casale e G. Garelli, Itinerari, La
percezione del fenomeno originario e la sua descrizione, in: Arte, scienza e
natura in Goethe. Torino, R. Pettoello, In memoriam, "Acme", Alfonso,
Matteo, In guisa di introduzione. La filosofia della luce di Fichte, in
"Rivista di storia della filosofia,” M. Ivaldo, La fichtiana dottrina
della scienza, In memoria di Moiso. La
filosofia della natura, in "Annuario Filosofico", P. Ziche, "Un
terzo più alto, la loro sintesi comune". Teorie della mediazione, In
memoria di Moiso. La filosofia della
natura, in "Annuario Filosofico",
S. Poggi, Dopo Schelling, dopo Goethe. lettore di Mach, La filosofia
della natura, in "Annuario Filosofico", F. Vercellone, Da Goethe a
Nietzsche. Tra morfologia ed ermeneutica, in In memoria di Moiso. La filosofia
della natura, in "Annuario Filosofico", Giordanetti, Interprete di
Kant", in Rivista di storia della filosofia, G. Frigo, Natura della forma
e storicità della sua comprensione, testimonianze di colleghi e allievi,
Torino, La responsabilità dell'uomo per
la natura nel pensiero degli scienziati romantici in Testimonianze (Torino,
Trauben); F. Cuniberto, Corpo e mistero, in Testimonianze (Torino, Trauben, M. Alfonso,
I corsi: una lezione di ricerca, in Testimonianze (Torino, Trauben); P. Giordanetti,
Il kantismo di Nietzsche, Testimonianze” (Torino, Trauben); L. Guzzardi, Tra
filosofia della natura e morfologia dei saperi: un ruolo per l'enciclopedismo,
in Testimonianze” (Torino, Trauben); F. Viganò,
Morfologia e filosofia: la filosofia della natura come "tropica" del
reale, in Testimonianze (Torino, Trauben); A. Potestio, Lo Schelling di Heidegger (Torino,
Trauben); A. Mainardi, L'estetica
pittorica di Friedrich, Testimonianze, Torino, Trauben, A. Cazzaniga, La
filosofia dell'evoluzione, testimonianze Torino, Trauben, La natura osservata e
compresa: saggi in memoria, F. Viganò, Milano, Guerini, N. Moro, In ricordo , in "Rivista di
Storia della Filosofia", J. Jantzen,
In memoriam: In ricordo, Università degli Studi di Milano, Sala Crociera Alta, La rivoluzione di Lavoisier, in Enciclopedia delle
Scienze, Goethe e la natura, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Goethe
poeta e scienziato, in Enciclopedia delle Scienze La ri-culturalizzazione della
scienza, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Scheda biografica su Mimesis.
Grice: “Plato is clear about this: other than predicated of ‘shape’ (forma),
‘beautiful’ has no SENSE! Moiso learned that from Gothe –problem with Goethe is
that he was interested in the German mandibule!” Grice: “Pliny understood this
best: it’s one boring thing to see Apollo Belvedere, larger than life. The good
thing is to see or experience a ‘symtagm’, such as ‘I lottatori’ della Tribuna
– a statuary group of two males – one may say there is ONE form in the
Lottatori – Goethe would say that each body is a form – and so there are two
forms. -- Francesco Moiso. Moiso. Keywords:
la morfologia e la fisiologia del vivente --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Moiso” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mondin – il ritorno dell’angelo – la semantica filosofica – semantica pel
sistema G – interpretazione e validita -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Monte
di Malo). Filosofo italiano. Grice:“Trust
an Aquino to provide a systematic philosophy! Mind, I’ve been called a
systematic philosopher, too!” Grice:
“At Oxford, we are very familiar with angels – but only Mondin takes angeologia
seriously! Trust an Italian! Ponte Sant’Angelo comes to mind!” Dottore di Filosofia e Religione a
Harvard. È stato decano della Facoltà di Filosofia presso la Pontificia
Università Urbaniana di Roma. Mondin membro della Congregazione dei
Missionari Saveriani. Nei suoi studi, le principali figure di riferimento sono
state Tommaso d'Aquino e Paul Tillich, da cui ha tratto l'ideale di un accordo
e di un mutuo sostegno tra filosofia e teologia. “Etica, Etica e
politica, Filosofia, Antropologia filosofica, Manuale di filosofia sistematica,
La Metafisica di Aquino e i suoi interpreti,” “Storia dell'antropologia
filosofica” Antropologia filosofica e filosofia della cultura e dell'educazione;
“Epistemologia e cosmologia; “Logica, semantica e gnoseologia; Ontologia e
metafisica Storia della metafisica, Storia della metafisica, Storia della
metafisica, “Ermeneutica, metafisica, analogia in Aquino; Storia della
filosofia medievale Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale Il
sistema filosofico di Aquino Corso di storia della filosofia, L'uomo: chi è?
Introduzione alla filosofia. Problemi, sistemi, filosofi La filosofia
dell'essere di Aquino Teologia, Piccolo trattato di mariologia “Il ritorno degl’angeli”
-- trattato di angelologia, Roma, Pro Sanctitate. Ospitato su archive.is.
Dizionario storico e teologico delle missioni Dizionario enciclopedico del
pensiero di Aquino, Essere cristiani
oggi. Guida al cristianesimo Il problema di Dio. Filosofia della religione e
teologia filosofica La cristologia di Aquino. Origine, dottrine principali,
attualità Storia della teologia Storia della teologia Storia della teologia
Storia della teologia, Gli abitanti del cielo Gesù Cristo salvatore dell'uomo
La chiesa sacramento d'amore La trinità mistero d'amore Dizionario dei teologi
Introduzione alla teologia Dio: chi è? Elementi di teologia filosofica Scienze
umane e teologia Cultura, marxismo e cristianesimo I teologi della liberazione,
“Il problema del linguaggio teologico dalle origini ad oggi” Filosofia e
cristianesimo I teologi della speranza I grandi teologi Professore I grandi teologi Professore I teologi della morte di Dio Dizionario
enciclopedico di filosofia, teologia e morale. Software Filosofia della cultura
e dei valori Le realtà ultime e la speranza cristiana Religione Nuovo
dizionario enciclopedico dei papi. Storia e insegnamenti Commento al Corpus
Paulinum (expositio et lectura super epistolas Pauli apostoli) La chiesa
primizia del regno. Trattato di ecclesiologia Mito e religioni. Introduzione
alla mitologia religiosa e alle nuove religioni L'uomo secondo il disegno di
Dio. Trattato di antropologia teologica Preesistenza, sopravvivenza,
reincarnazione Teologie della prassi L'eresia del nostro secolo Società Storia
dell'antropologia filosofica Antropologia filosofica. L'uomo: un progetto
impossibile? Philosophical anthropology Una nuova cultura per una nuova
società. In ricordo di Mondin. Un
tomista ed "oltre" del XX secolo: Battista Mondin di Pierino Montini,
Congresso tomista internazionale, Roma,
nel sito "E- Aquinas" Studium thomisticum. Grice: “Mondin
attempts a systematic semantics. Rather he has a section on ‘semantics’ --. The
expressions have to be used carefully. System itself, should be used alla
Gentzen, or as Myro does with System G in my gratitude. A semantics for System
G should include an interpretation and provisions for validity and truth!” – Grice:
“Most likely, as most Italian philosophers who haven’t read me do – he uses
‘system’ and ‘semantic’ in a rather pompouns way!” -- Battista Mondin.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mondin” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mondolfo – la filosofia
romana – antica filosofia italica -- la filosofia italiana – Luigi Speranza (Senigallia). Filosofo italiano. Grice:
“Mondolfo is one of the few who have focused on ‘gli eleati’ as involving a
locus – pretty much as I do when I talk of Oxonian dialectic.” Grice:
“Mondolfo’s study of the politics of Risorgimento is good; especially since
every Englishman seemed to endorse it!” -- essential Italian philosopher. Like
Grice, Mondolfo believed seriously in the longitudinal unity of philosophy and
made original research on the historiography of philosophy, especially during
the Eleatic, Agrigento, and later Roman periods. Figlio di Vito Mondolfo
e Gismonda Padovani, una famiglia benestante di commercianti. Aderisce alle
idee marxiste e socialiste. Studia a Firenze. Si laurea con F. Tocco,
discutendo una tesi su Condillac dal titolo: "Contributo alla storia della
teoria dell'associazione", un saggio da cui saranno poi tratti alcuni dei
suoi primi saggi di storia della filosofia. Frequenta un gruppo
socialista. Insegna a Potenza, Ferrara, Mantova, Padova, Torino, e Bologna. Consigliere
comunale nelle file del Partito Socialista. Collabora con la rivista
"Critica Sociale" fino a quando viene soppressa dal regime
fascista. Compone "Saggi per la storia della morale utilitaria"
di Hobbes ed Helvetius”; "Tra il diritto di natura e il comunismo", "Rousseau
nella formazione della coscienza moderna", "Il materialismo storico
in F. Engels" (Formiggimi, La Nuova Italia) "Sulle orme di Marx".
E tra i firmatari del manifesto degli
intellettuali anti-fascisti, redatto da Benedetto Croce. Si dedica alla
filosofia italica antica. Ciò nonostante, pur in questo periodo, grazie alla
politica di Gentile che volle coinvolgere filosofi di diverso orientamento nell'impresa,
collabora con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Compone la voce Socialismo.
In seguito alle leggi razziali fasciste che vietavano agli ebrei di ricoprire
cariche pubbliche, Mondolfo scrisse il proprio curriculum di benemerenze e vi
inserì lo stesso Gentile come testimone il quale ha a propormi per il Premio
Reale di filosofia presso i lincei". Gentile autorizza Mondolfo a citarlo
tra i testimoni e tenta inutilmente di farlo ri-entrare tra gli esclusi dalle
leggi razziali. Costretto a lasciare l'Italia Gentile scrive ad Alberini e lo
aiuta a trovare lavoro in Argentina. Il suo archivio personale è depositato in
parte a Firenze presso la Fondazione di Studi Storici Filippo Turati ed in
parte presso Milano. Altre saggi: Sulle orme di Marx,” – Grice:
“Whitehead used to say that metaphysics has been but footnotes to Plato; and
Strawson used to say that to rob peter to pay paul you must show first that
pragmatics is but footnotes to Grice!” --
Grice: “But of course a footnote is not a footprint – only similar!” –
Grice: “While ‘footprint’ involves Roman pressum, ‘orma’ obviates that!”
-- Cappelli); “L'infinito nel pensiero
dei greci, Felice Le Monnier, La Nuova Italia); “Problemi e metodi di ricerca
nella storia della filosofia” (Zanichelli, La Nuova Italia, Firenze, Milano,
Bompiani, “Gli albori della filosofia in Grecia,” «La Nuova Italia», Editrice
Petite Plaisance, Pistoia,. La comprensione del soggetto umano nella cultura
antica, La Nuova Italia (Milano, Bompiani ). Alle origini della filosofia della
cultura, Il Mulino, “Il pensiero politico nel Risorgimento italiano,” Nuova
accademia, Cesare Beccaria, Nuova Accademia Editrice,. “Moralisti greci: la
coscienza morale da Omero a Epicuro,” Ricciardi, “Da Ardigò a Gramsci,” Nuova
Accademia, “Il concetto dell'uomo in Marx,” Città di Senigallia, “Momenti del
pensiero greco e cristiano,” Morano, “Umanismo di Marx. Studi filosofici, Einaudi,
“Il contributo di Spinoza alla concezione storicistica, Lacaita, Polis, lavoro
e tecnica, Feltrinelli, Educazione e socialismo, Lacaita, “Gli eleati,”
Bompiani,. Note Vedi Paolo Favilli, Dizionario Biografico degli Italiani,
riferimenti in. Fu una delle prime donne
italiane a conseguire la laurea (cfr. Le donne nell'Firenze). Sposò civilmente
a Firenze in Palazzo Vecchio Cesare Battisti. La sorella di Ernesta, Irene,
sposerà Giovanni Battista Trener, per anni collaboratore di Cesare. Amedeo Benedetti, L'Enciclopedia Italiana
Treccani e la sua biblioteca, "Biblioteche Oggi", Milano, Enciclopedia
Treccani, vedi alla voce futuro di Cesare Medail, Corriere della Sera, Archivio
storico. «SOCIALISMO» la voce nella
Enciclopedia Italiana, Volume XXXI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Paolo
Simoncelli41. Paolo Simoncelli42.
Paolo Simoncelli43. Vedi Fabio Frosini, Il contributo italiano
alla storia del PensieroFilosofia, riferimenti in. Archivio, Inventari Stefano Vitali e Piero
Giordanetti. Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per
i beni archivistici. Archivio Rodolfo
Mondolfo. Inventari, Stefano Vitali e Piero Giordanetti, Roma, Ministero per i
beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per i beni archivistici, Paolo
Simoncelli "Non credo neanch'io alla razza" Gentile e i colleghi
ebrei, Le Lettere, Firenze, L. Vernetti,
R. Mondolfo e la filosofia della prassi, Morano, E. Bassi, Rodolfo Mondolfo nella vita e nel
pensiero socialista, Tamari); A. Santucci, Pensiero antico e pensiero moderno
in Mondolfo, Cappelli, Bologna); Bobbio, Umanesimo di Rodolfo Mondolfo, in
Maestri e compagni, Passigli Editore, Firenze 1984. M. Pasquini, Del Vecchio,
il kantismo giuridico e la sua incidenza nell'elaborazione di Rodolfo Mondolfo
(Alfagrafica, Città di Castello); C. Calabrò, Il socialismo mite: tra marxismo
e democrazia, Polistampa, Firenze); E. Amalfitano, Dalla parte dell'essere
umano. Il socialismo di Rodolfo Mondolfo, L'asino d'oro, Roma.
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su siusa.archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere Fabio Frosini, MONDOLFO, Rodolfo, in Il contributo italiano alla storia
del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Vita opere e
pensiero Diego Fusaro, sito "filosofico.net". Fondo Rodolfo Mondolfo
Università degli Studi di Milano. Biblioteca di Filosofia. Fondo Rodolfo
Mondolfo Fondazione di Studi Storici Filippo Turati. Italiani emigrati in Argentina – Antica
filosofia italica. La filosofia italica sin dai tempi antichi era cosi deita, e
quel che più monta, dai Greci stessi, e l'autorità non sospetta di un Platone e
di un Aristotele, che non la chiamarono con altro nome, ci sembra dar peso alle
ragioni di quanti la vogliono originaria, contro l'opposta opinione di chi tra
noi la dice portata dalle colonie greche. Comunque sia, certo è che in questa
seconda supposizione, l'Italia non perde tutto il suomerito, perchè la scienza
quisorse più splendida mercè il concorso del genio e il sussidio delle
tradizioni italiane. Le scuole di cui essa può menar vanto sono due, la di
Crotone/Ponto/Taranto e la dei velini. La setta di Crotone e fondata da
Pitagora, di cui si tiene incerta così l'origine come iltempo della nascita;
l'origine, perchè è dubbio s'ei nascesse à Samo della Ionia od a Samo della
Magna Grecia; il tempo, perchè chi lo vuol nato nell'anno 584 av. C.,chi nel
608,e chi ancor prima, ai tempi di Numa, il quale, come ciè noto, mori nel 672,
dopo quarantatrè anni di regno. Tra i filosofi che vi appartennero, chiamati
ancor essi pitagorici, con un ARCHITA di TARANTO (il più celebre di tutti), che
capitana più volte gl’eserciti, e non fu mai sconfitto, si ricordano un FILOLAO,
probabilmente di Crotone, un TIMEO di LOCRI, ed un OCELLO di LUCANIA. Taciamo i
minori o dimen nota dottrina, come LISIDE, CLINIA, EURITE, ZELEUCO, e CARONDA
-- i quali due ullimi, legislatori entrambi, di Locri l'uno, l'altro di CATANIA,
insigni rese l'efficacia che, per loro opera specialmente, ha allora la
filosofia negl’ordini civili, quando, mutata la forma, i governi regi si
convertirono in popolari. La setta di CROTONE ha vita dal bisogno di una
scienza, che, professata da uomini austeri e ornati di grandi virtû, e con
giunta all'operosità civile -- in ciò la consorteria pitagorica, chè tale fu
veramente, distinguesi dalle indiane -- serve di criterio per una riforma
riconosciuta necessaria in mezzo al guasto ognor crescente della religione, dei
costumi e della libertà; lo che ci spiega le persecuzioni a cui andò soggetto.
Scuola pitagorica. -Nuovo affatto è nella scienza il metodo recatovi dai CROTONESI.
Questo metodo -- e lo stesso dicasi del linguaggio -- è il matematico; il quale consiste
nell'applicare le idee di quantità alla natura interna ed esterna, ed al
principio sommo della medesima; metodo che, tutto essendo nel mondo capace di
numero e di misura, non sarebbe forse tanto strano quanto a prima vista appare,
se non fosse che i Crotonesi all'esperienza, che la verità ci rivela
nell'ordine dei contingenti, il più delle volte preferirono il ragionamento a
priori, error palese a chi consideri che dal concetto, per esempio, di circolo,
di triangolo, di pentagono, non si può argomentare che questi tipi si
effettuino in natura, e chi lo fa si espone al pericolo manifesto di costruire
da sè un mondo fantastico, un mondo che non esiste fuori della sua mente. Ma i crotonesi
sono educati allo studio delle matematiche; perciò non è meraviglia cheil
metodo di queste scienze trasportassero nelle regioni della filosofia. Il gran
problema metafisico dei CROTONESI riducesi adunque al seguente: trovare la legge
mentale della quantità effettuate nella realtà, e con queste salire alla prima
cagione. Ed ecco perchè tutto è numero nel loro sistema. I principi delle cose
sono i numeri. Un numero, una unità parziale è ogni cosa. Un numero, una unità
generale il loro complesso, cio è l'universo o mondo, il quale comprendendo in
sè tutti i numeri od unità parziali, à in sè la pienezza d'ogni grado di
entità, epperciò è decade; e la prima cagione, il principio di tutti iprincipi
delle cose, la causa che ad ogni altra causa antecede, è numero essa pure, ma
il numero per antonomasia, e quindi può chiamarsi l'unità, la diade, la triade,
il quadernario (o solido), il settenario e la decade. Ma lasciamo da banda
questo gergo simbolico, e vediamo che di sostanziale si peschi in fondo alla
dottrina dei Crotonesi, e come s'abbia a intendere la sua formula. Ogni cosa è
un numero. Che cosa è il numero per eccellenza, la Monade somma, infinita, il divino
dei Crotonesi? E che sarà l'essere individuo? Che cosa il mondo od universo? Il
divino èl'ente che in sè contiene la propria essenza e quella di tutti gl’esseri,
epperò tutti i contrari, cioè le cose più opposte e disparate (inito ed
infinito, dispari e pari, uno e più, positivo e negativo, quiete e moto, luce e
tenebre, bene e male, ecc.), ed inoltre la moltiplicità loro insieme concilia,
risultandone una suprema unità, un'armonia universale. Il divino, insomma, è
l'unità suprema di tutti icontrari. Le cose particolari, gl’esseri derivati da lei
sono immagini sue, epperò consteranno anch'esse di elementi contrari, a unità
ed armonia ridotti; dunque ogni essere è un numero ed armonia parziale. Poni
assieme tutti questi numeri, tutti gl’esseri finiti, e in modo che i contrary non
cozzino, ma formino un solo numero , una sola unità vastissima, immagine
essa pure della monade divina. Tale il mondo od universo dei crotonesi, il
quale e l'assieme dei contrari, non già nell'unità somma inesistenti, ma in
atto e dal divino ridotti ad armonia. Ora, in qual modo la generalità dei
contrari, cioè la decade, il mondo in esi steva nell'unità per eccellenza, nel
divino? Qui crotenesi tacciono, di modo che nulla di positivo e certo può
rilevarsi dalla loro dottrina. Bensi e'ci apprendono come l'universo o mondo si
venisse formando per ispirazione od aspirazione.La monade universale e suprema,
contenente in sè le unità particolari, da principio e una, continua, indivisa,
ma non indivisibile, e da ogni parte circondata da un vuoto immenso; il quale, aspirato
da essa,come l'aria entra nei polmoni, si introduce fra i contrari,ossia fra le
monadi particolari, e cosi separandoli, individuolli, e produsse la grande
moltiplicità delle cose mondiali. La formolaesprimentel'armoniauniversale
(tuttoènumero) per la scuola pitagorica può dirsi il principio di tutta la filo
sofia, dappoichè essa l'applicò in tutti tre gl’ordini --metafisico, logico e
morale. Che cosa è l'anima umana , la quale, dice Filolao, giace nel corpo come
in un sepolcro? Risponde il crotonesi: un numero, un'armonia, insieme
conciliando essa due contrari, cioè i sensi e la ragione, che sono ilnegativo
ed il positivo, l'irragionevole ed il ragionevole. E la verità, la co gnizione
che cosa è mai ? Un numero, un'armonia, come fuor dell'armonia è l'errore,
essendo che per l'acquisto della medesima cooperano gli stessi contrari,
quantunque la ragione si spinga più oltre dei sensi, i quali non escono dalla
sfera dei contingenti o fenomeni. E che sarà, infine, la virtù? Un numero,
un'armonia, che risulia anch'essa dall'accordo dell'irragionevole col
ragionevole, essendo la virtù riposta nella soggezione dei sensi all'impero
della ragione, toltalaquale, all'armonia sotten traladisarmonia, alla virtû il vizio.
Vadasè che la virtù ci rimena alla monade suprema, all'ordine od armonia
universale, che d'ogni essere è principio e fine. Critica. Bene esaminando la
dottrina dei crotonesi, si scuopre nella medesima un error capitale, che à per
sorgente l'abuso del metodo trascendentale, come quello che li condusse a
trasportare nell'ordine delle realtà le astrazioni della matematica, e a
concepir il divino quasi unità generica o numero per eccellenza, che è come
dire quale un'essenza in cui si contengono e si immedesimano le cose tutte quante.
Nè a salvarli dal panteismo implicito bastano le alte verità frammischiatevi, eladichia Senofane,
schernitore dei politeisti, i qualiammettono più dei, e degli antropomorfisti,
che li fingono a loro immagine e somiglianza, insegna che il divino è
potentissimo, uno ed eterno; potentissimo, perchè egli è l'ente (entità, forza,
energia e potenza per la scuola italica sono termini sinonimi). Uno, perchè,
tra più dèi uguali, nessuno è potentissimo per l'uguaglianza, e se inferiori,
nessuno è potentissimo per inforiorità; eterno, perchè l'ente non può non
essere, e il non ente non può divenire. Si fosse egli qui arrestato! ma fra gli
altributi divini ne annovera un quinto, dal quale poi con falsa logica deduce
una (1) Colonia ionica di Elea. (2) Velia ha un'altra scuola, fondatavi da
Leucippo e Democrito, i quali spiegavano la formazione del mondo con ammettere
nel vacuo immenso una infinità di atomi eterni, il cui fortuito accozzamento
avrebbe dato origine a tutte cose (atomismo). Questa scuola,chiamata fisica,non
siconfonda coll'eleaticasemplicemente detta, e denominata anche metafisica per
distinzione. Uno razione di Filolao, Dio essere imperatore e duce sommo,
ed eterno, potentissimo, supremo e diverso dalle altre cose; per chè d'uopo è
che accetti le conseguenze chi non rinunzia al l'erroneità dei principi. E
l’erroneità del principio pitagorico sta appunto nel far di Dio un tutto, un
numero che comprende in sè ogni altro numero. « Il sentimento religioso e
morale, scri ve il dottissimo Bertini (Idea d'una filosofia della vita) induce
va i Pitagorici a collocare Dio molto al dissopra del mondo;ma il fato della logica
li forzava sovente ad immedesimarli in una sola sostanza, e ricacciavali nel
panteismo ». La scuola eleatica ebbe tal nome da quello della città dove sorse,
poco dopo la di Crotone, per opera di Senofane, che, nato a Colofone della
Ionia tardi migra di là per l'invasione della patria,e venuto nella Magna
Grecia, prenfr stanza in Velia, e vi morì nella grave età di oltre a cent'an
ni.- SenofaneebbediscepoloParmenide,eParmenideZenone, buon patriota, che,
condannato a morte da un tiranno, corag giosamente sostenne ilsupplizio.Questi
due,d'Elea entrambi, con Melisso di Samo, il quale capitano gl’Italioti contro
Pericle, continuarono la dottrina del primo, e vi dettero forma più rigorosa,
se non incremento. D'altri nomi più famosi non la menzione la storia della
filosofia eleatica. Una dottrina si ripugnante al senso comune non poteva
menarsi per buona; perciò si levarono a impugnarla e combat terla gli
empiristi, o fautori del metodo a posteriori, sostenendo contro gli Eleati
el'esistenza reale di sostanze finite, e la loro contingenza e varietà, e la mutabilità
loro, attestata dall'evidenza dei fatti. Zenone, quel valente Zenone che
Aristotele riconobbe quale inventore della dialettica -- scienza ed arte di
ragionare e disputare -- come lo fu senza dubbio tra gli Occidentali, a sua
volta non lascia senza difesa la filosofia della sua scuola e del suo maestro, anzi
incalzò gliavversari con molta lena e con buona copia d'argomenti diretti a
dimostrare, per una parte la fallacia dei sensi e l'autonomia della ragione,
per l'altra, e con sofismi ad homincm , che l'empirismo, ilquale all'autorità
della ragione oppone quella dei sensi, contiene in sè contraddizioni ben più
gravi di quelle che si dicevano implicite nella metafisica eleatica. Ed allora,
se la memoria non ci falla, sorse la prima delle po lemiche che, per la loro
importanza, ànno meritato una pagina nella storia della scienza. ~ Famoso
argomento di Zenone deyto l'Achille. strana conseguenza: l'ente è tutto
od intiero, epperò nulla a lui può aggiugnersi; donde segue che nulla può
incominciare ad essere.Qui l'error di illazione, il sofisma del conseguente è
manifesto; quanto viene all'esistenza è forse un che d'aggiunto
all'infinitudine divina? D'altronde, se nulla può nascere o di venire, che
pensare degli esseri contingenti e mutabili, cosi detti perchè nei vari momenti
del tempo sono e non sono, e mutano continuamente ? Senofane se la spicciò
nettamente con negare a dirittura l'esistenza delle sostanze finite, e
sentenziò: « Tali cose non ànno altra vita fuorchè l'apparenza, ed appartengono
all'opinione. O che! sarà dunque menzognera sempre la voce dei sensi ? E ci
ingannerà di continuo l'intimo sentimento ? Che si, rispondono in coro gli
Eleati , quanto ci rilevano i sensi altro non è che illusione; e la ragione è
il mezzo unico per giungere al vero; e il vero è che tutto è uno, e l'uno è
tuito. Critica. Ma l’arte dei Zenoni, che con sofismi strani pro pugnano la
falsità del vero, e quel che è più, l'incertezza del l'evidente, e, prova non
dubbia di grande acume, perfin riesco no a dimostrare, contro la possibilità
del moto, che nella più rapida sua corsa il più celere cavallo non raggiungerà
mai una tartaruga,quantochè tardissima, la quale anche di poco la pre ceda
("), tutta l'arte dialettica, ripeto, non sarà mai da tanto che possa
collocare sopra una base solida isistemi della scuola Filosofia
presso i Greci antichi. Principio, mezzo e fine; infanzia,virilità e
decrepitezza, o decadimento, ecco i tre stadi o periodi, le tre età dell'antica
fi losofia greca. Tra il principio e la fine corrono ben sette secoli,
all'incirca; ma noi li percorreremo in minor tempo, se non ci manchi lena. da
l'alete a Socrate. La prima età della filosofia greca antica incomincia con
Talete, e termina al comparire della filosofia socratica. Talete, già è delio,
nacque 600 anni av. C. e Socrate nel 170 ; qui dunque abbiamo press'a poco un
periodo di centotrenť anni, durante i quali sorsero due scuole, la ionica e la
sofistica; le quali, aggiunte alla pitagorica ed all'eleatica, ci dànno in com
plesso l'antica filosofia designata col nome di italo-greca. Scuola ionica.
Fondata in Mileto della Ionia, sua patria, da Talete,primo tra i filosofi greci
conosciuti, ma forse non tale veramente, que sta scuola è, come vedremo, la men
filosofica di tutte le pre cedenti. Nè la ragione è difficile a comprendersi da
chi sappia che la scienza ebbe allor contrari i voluttuosi costumi e la ser
vitù di quelle cit tà, soggette ai Lidi ed ai Persiani, e che , a
giudicarnedalsilenzioe daipochicennidellastoria,coloroi quali la professavano
erano ben lontani dalle virtù che adorna vano i pitagorici; virtù che col venir
meno a poco a poco, pois cleatica; e sono tre: l'idealismo logico, perchè
si nega l'au torità dei sensi, per riconoscere soltanto quella della ragione;
l'idealismo metafisico, perchè si esclude la materialità, ilmolte plice ed ogni
mutamento; e, conseguenza di ciò, ilpanteismo, che ammette la sola esistenza
dell'ente immutabile ed eterno, e cosi rimuove ogni concetto di creazione. Il primo
nacque colla scuola pitagorica,mada Senofane fu recatoasistema;ilsecon do venne
accolto dagli Eleati per evitare le contraddizioni della medesima, che nell'uno
identificava le cose più opposte; il terzo sidirebbe comune alle due scuole,se
non fosse che nell'eleatica si lasciò da banda la parte corporea e mutabile, e
così si riusci a un panteismo parziale, al panteismo idealistico.Grice: You
have to love Mondolfo. As a Jew he was into Sartre’s existentialism, and the
rest of it – when Gentile inhibited Jews from teaching Italians, Mondolfo had
to stream his energy into the study of ‘antica filosofia italica’! for our
glory!” -- o ABBAHU di Cesarea
(Rabbi) 515, Abraham (= educazione, in Fi-lone) 521. Achei 81,
404. Acheronte 108, 446, 450. Acherusia, vedi Acheronte.
Achille 12, 81, 400. Adamo 406, 422, 424, 425, 426, 436, 441,
585. Adamson R. 59. Ade 400, 416, 448, 449, 488, 565, AEZIO
90, 144, 200, 201, 281, 288. Africa, africani 9. Afrodite 86, 87,
88, 92, 93, 417. Agamennone 81, 86, 400, 404, 410, 417, 420,
433. ACATARCO 599. AGATONE 601. Agostino (S.) 27, 29, 36, 37,
61, 215, 218, 223, 356, 362, 363, 373, 374, 377, 380, 381, 387, 423,
424, 425, 426, 442, 497, 709; agostiniana corrente 423;
— filosofia 569. Aiace 400. Albertelli P. 128. ALcEO
64. Alcibiade 171, 178. ALCMEONE 687. ALESSANDRINA FILOSOFIA
59. ALESSANDRINI MATEMATICI 608. Alessandro, vedi Paride.
ALESSANDRO Afrodisia 360, 367, 368, 378, 382, 383, 386.
Alessandro Magno 317, 699. ALESSIDE 602. Alfieri V. E. 16, 94, 98,
101, 104, 105, 124, 138, 139, 140, 254, 267, 274, 283, 284, 285,
648. Altamura 447. Ambrogio (S.) 104. Amerio R. 101, 102,
108, 512. Amicizia 86. Amleto 11. Amore 235. ANACARsI
di Scizia 594, 693. ANACREONTE 64. Ananke 490. ANASSACORA 50,
54, 122, 140, 141, 192, 206, 234, 238-241, 242, 254, 256, 266, 276, 277,
278, 591, 596, 599, 600, 607, 619, 622, 624, 629, 632, 633, 648,
649, 651, 708, 709, 711, 715, 716, 717; DISCEPOLI di - 634..
ANASSIMANDRO 46, 48, 66, 68, 122, 408, 436. ANASSIMENE 122.
Anfione 671. Anima universale 226. Anselmo (S.) 143, 144.
ANTICHI POETI E SAGGI 237, 270. ANTICHITÀ CLASSICA, antica scien-za,
cultura, antico spirito, pen-siero, etc. ix, x, 11, 15, 16, 17, 22, 24,
27, 28, 31, 34, 43, 59, 60, 61, 62, 108, 112, 113, 117, 387, 393,
431, 461, 465, 491, 547, 568, 578, 579, 583, 586, 603, 626, 627,
629, 630. ANTICO TESTAMENTO 32. ANTIFANE 602. ANTIFONTE
53, 92, 93, 133, 135, 168, 206, 249, 402, 416, 452,
453, 470, 471, 484, 491, 522, 567, 602, 655. Antigone
432. ANTIcoNo di Caristo 316, 317. ANTISTENE 174, 205, 298, 312,
482, 483, 611, 613. Apatia stoica 560. Apocalissi di Pietro
451. Apollo 419, 420, 429, 552. Apollo Lairberos (santuario
di) Aquitania 717. ARCAICo pensiero 124. ARcESILAO 204,
313. ARCHELAO 647, 649. ARCHILOCO 48, 64, 65. ARCHIMEDE 608,
609, 625. ARCHITA 141, 142, 158, 596, 608, 629, 630, 664, 688,
735. Ardizzoni A. 413. AREIOs DIDYMOS 376. Areopago 430,
717. Aridea, vedi Thespesio. ARISTARCO 611. ARISTIPPo di
Cirene 297, 298, 299, 300, 303, 610. ARISTOCLE 299, 303, 319, 320,
675, 676, 680, 684, 735, 737, 739. ARISTOFANE 448, 450, 653,
654. ARISTOSSENO 64, 162, 173, 534, 625, 700. ARISTOTELE 23,
25, 27, 29, 31, 34, 69, 72, 93, 138, 141-143, 144, 157, L95:199
20092559257 225, 2449 255, 236, 239, 240, 241, 246, 254, 255, 256,
265, 266, 267, 268, 269, 272, 273, 274, 275, 280, 281, 284, 286,
287, 288, 289, 290, 300, 301, 302, 304, 325, 330, 332, 346-376,
377, 378, 380, 381, 382, 383, 386, 387, 396, 398, 435, 440, 441,
453, 471, 480, 497-503, 505, 507, 510, 526, 534, 590, 593, 598,
603, 606, 607, 609, 610, 618-625, 627, 630, 631, 648, 674688, 689,
691, 693, 697, 700, 701, 706, 708, 709, 710, 711, 712, 715, 718,
724, 734, 735. Armstrong H. 101. Arnauld A. 424. Arnim J. von
127, 320, 376, 483, 504, 510, 690. ARTE (9 511), 28,17% t,
305S. Artemide 433, 434. ASCLEPIo (commentatore di Ari-stotele)
676, Asclepio (dio) 615, 654. Asia minore 593. Asiatico
principio 17. AssIoco 449. Atarassia epicurea 560. Atargatis
(dea) 454. Ate 410, 418, 420, 421, 422. Atena 87, 429, 650, 668,
677, 698. Atene, ateniesi 393, 407, 436, 447, 588, 605.
ATENIONE di Atene 641. ATOMISMO, ATOMISTI 126, 138-140, 141, 145,
267, 269, 281. Atreo 413, 420. Atride 81. Augusto 458, 713,
715. Aulide 433. Aymard A. 590. Baccanti 411. Вассо
646. Bacone F. 718. Bacone R. 579. Baeumker C. 241.
Bailey C. 101, 103. Baius 424. Barbari del nord 17, 21. Barth
201. BASILICA PITACORICA della Porta Maggiore a Roma 452.
Battaglia F. 27, 29, 62, 578, 585, 588, 613, 624. Bauch B.
127. Beare J. J. 357. Becker 0. 377. Behaviourismo 70.
Bello 225. Bene 223, 224, 226, 227. Bergk T. 414.
Berkeley G. 284, 303, 314, 316. BIANTE 152, 656. BIBLICA tradizione
586. Bignone E. 53, 101, 102, 103, 105, 106, 133, 205, 507, 509, 510,
511, 577, 655, 675, 676, 684, 687, 694, 695, 696, 698, 699,
700. Bill A. 407. Billeter G. 635. Binder W. 691.
Blanchet L. 373. Blankert S. 691. Blondel M. 27, 30. Boas G.,
vedi Lovejoy A. 0. Boemia 424. Bolland G. J. 42, 87. Bossuet
J.-B. 579. Bovis A. de 526, 529, 532, 534, 535, 539, 541, 542,
544. Bréhier E. 29, 57-59, 201, 207, 320, 351, 367, 368, 370, 371,
379, 469, 514, 516, 517, 518, 520, 521, 522, 523, 524, 528, 534.
Breier F. 241. Brochard V. 201, 312, 313, 320, Brune C: 28, 221,
561, 630, 665, 684, 712, 713, 714, 718, 719, 724, 730, 731,
738. Buccellato M. 166, 168, 182. Buonaiuti E. 402. Burnet J.
128, 136, 162, 478. Bywater I. 136, 675. CARNEADE 313, 314, 315,
319, 320, 505, 506, 507. CARONDA 250, 692. Carteron H.
480. Cartesio, cartesiano 25, 28, 127, 139, 280, 294, 314, 371,
372, 387. Cassandra 420. Cataudella Q. 640, 653,
654. Cattolicesimo 424. Cattolici filosofi, storici
30. Cefalo 448, 488, 489. CELSO 38. CENSORINO 676.
Centimani 406. Ceramone 612. Cerbero 108, 417. Cesarea
515. Charisio 454. Charu 446. Cherecrate 485. CHEREMONE
637. Cherniss H. 72, 126, 128, 133, 135, 137, 163, 251, 269, 274,
288, 480, 655. Chimera 129. Chronos 91. Ciaceri E.
641. Cibele 83. CICERONE, ciceroniano 47, 66, 93, 100, 102,
144, 146, 201, 202, 203, 204, 284, 285, 304, 314, 377, 424, 442,
501, 504, 505, 506, 548, 643, 653, 678, 691, 706, , 707,
708-713, 715, 716, 717, 724, 738. Ciclopi 670. Caino
457. Cairo 414. Calcidio 153, 154, 199, 200. Callahan J. F.
94. CALLICLE 52. CALLIPPO 683, 684. Calogero G. 33, 34, 35,
123, 121, 126, 128, 167, 198, 258. Calvino 423, 424, 425, 426,
431. Cameron A. 455. Campanella T. 387, 640, 666, Campidoglio
717. Canosa 447. Cantarella R. 406. Carcopino J. 452.
Carlini A. 16, 369. Cilento V. 382. Cilonidi 436. CINICI 205,
207, 209, 311, 416, 483, 589, 593, 614, 625, 634, 641, 690, 722,
723. CIRENAICI 41, 242, 264, 265, 297. 310, 311, 319, 321, 322,
323, 329, Classicista concezione ix, 10, 15. CLASSICO spirito,
mondo, CA cultura ix, x, 15, 462, 463, Claudio 452. CLEANTE
101, 201, 510, 513, 690. CLEIDEMO 234. CLEMENTE alessandrino 42,
87, 94, 127, 155, 156, 157, 222, 483, 520. Clitennestra 410, 417,
419, 420, 429, 433, 492, 542, 545. Clodd E. 47. Cohn J. 675,
688. CoLòTE di Lampsaco 275. Colchide 717. Combarieu J.
84. COMMEDIA DI MEZZO 518. COMMENTATORI DI ARISTOTELE 363,
378. Comparetti D. 443. Comte A. 579. Condillac E. B.
de 263, 264, 303, 325, 338. CoNoNE di Samo 608. Contese
86. Croiset M. 413. Croce B. 4. Cusano N. 203. Cypselo
(arca di) 447. Dahlmann J. H. 660, 661. Daimon 172, 182, 490, 492,
499. Dal Pra M. 204, 312, 313, 317, 319, 320, 327, 506, 685,
694. DAMONE 596, 622. Danaidi 108, 418, 447. Dante 451.
Dardania, Dardano 676. Daremberg Ch. e Saglio E. 447. Dario
418. Dedalo 656, 671, 692. Controriforma 424. Copernico N.
684. Coribanti 83. Corinto, corinzi 588, 604. Conford F. M.
240. CORPUs HIPPOCRATICUM 648, 656- 658. COSMOLOGHI (primi)
01. Couissin P. 204, 313, 506. Cousin V. 579. Covotti A. 128,
136. CRATETE 483. CRATILO 300, 301, 302, 303, 306. Credaro L.
146, 313, 506. Creso 414. Creta 443. Crimine oggettivo
401. CRISIPPO 145, 146, 199, 200, 376, 377, 504.
Cristianesimo, cristiano spirito, pensiero, cristiana era, na, filosofia,
etc. 1x, x, 16, 17, 19, 20, 22, 23, 24, 25, 27, 28, 29, 30, 31,
32, 35, 36, 37, 38, 39, 41, 42, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 388,
399, 401, 423, 431, 460, 461, 462, 463, 491, 539, 541, 547, 550,
568, Cristo 20, 32, 395. CRITIA 89, 90-92, 94, 96, 97, 100, 108,
413, 472, 473, 603, 636, 646, 656, 665. Criticismo kantiano
119. Critone 486. Ctesibio 700. Delatte A. 98, 156, 443, 467,
468, 469, 517. DELFICA religione, DELFICO «ePto, le a 170,
469, 478, 55%. Delfi 96, 446. Del Grande C. 403, 405, 406,
408, 409, 413, 414, 435, 571. Del Re R. 554. Delvaille J.
580, 581. Demetra 646, 654. DEMETRIo cinico 535. DEMETRIO
LACONE 697. DEMOCRITO 50, 89, 90, 92, 93, 94, 96, 97-100, 101, 107,
108, 113, 138, 139, 140, 238, 241, 242, 254, 255, 256, 266,
267-297, 298, 308, 314, 316, 317, 319, 451, 452, 462,
471, 472-478, 482, 487, 494, 497, 498, 509, 516, 527,
542, 572, , 596, 599, 603, 629, 630, 634, 647, 648, 649, 651,
669-665, 677, 681, 691, 693, 697, 698, 699, 700, 701, 702, 704,
708, 711, 712, 715, 717, 735, 736; DEMOCRITEA tradizione 453;
DEMOCRITEO-ARISTOTELICA stinzione 737. di- Demoni del
cristianesimo 401. DEMOSTENE 152, 430, 446, 448. Deonna W., vedi De
Ridder A. Derenne E. 100. De Ridder A. e Deonna W. 446.
Derketo 454. De Ruggiero G. 33, 34, 35, 582, Descartes, vedi
Destino 491, 503. De Strycker E. 480. Deucalione 669,
676, 678. Dewey J. 112, 113, 114, 142. Dialettica moderna 34.
Diano C. 102, 103, 107. DICEARCO 675, 684, 688, 691, 694. Diderot
D. 263, 338. Diela H. 52, 92, 93, 104, 129, 133, 135, 138, 140, 150, 151,
152, 156, 233, 234, 235, 255, 267, 268, 270, 272, 273, 274, 275,
276, 280, 281, 282, 284, 285, 288, 289, 290, 291, 416, 441, 443,
444, 452, 453, 469, 470, 473, 482, 517, 532, 597, 600, 602, 608,
629, 630, 646, 649, 660. Diels H. e Kranz W. 137, 162, 168, 169, 206,
222, 236, 285, 534, 032, 049, 052, 053, 655, 001. Diès A. 357,
480. Dieterich A. 443, 447, 448. Dike 407, 408. Diller H.
276, 277. Dimenticanza 86. Dio 19, 26, 27, 31, 32, 42, 81, 82, 83,
110, 143, 206, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 228, 395, 408, 411,
412, 414, 424, 425, 426, 431, 432, 457, 469, 481, 490, 491, 498,
517, 518, 519, 520, 521, 522, 523, 524, 528, 529, 530, 531, 532,
534, 535, 536, 550, 554, 563, 565, 566, 567, 568, 570, 571, 586,
691, 726, 727; - natura 31; persona 31. DIODORO CRONO 501,
504. DIODORO SICULO 660, 661, 662, 664, 698, 706. DIOGENE di
Enoanda 205, 283, 316, 317, 688, 691, 697, 698, 701, 703. DIOGENE
di Sinope 483, 722. DIOCENE LAERZIO 100, 101, 144, 159, 201,
275, 284, 285, 299, 303, 311, 312, 313, 316, 317, 376, 614, Dione
314. DIONE CRISOSTOMO 483, 691. DIONISIACO culto, spirito 13,
83. Dioniso 411, 441, 448, 654. Discordia 67, 86, 235.
Discorsi menzogneri 86. Aiacol Royor 176, 257. Divinazione
85. Doering A. 136. Dornseiff Fr. 593. Dostoiewski F. 431,
461. DRACONE 430. Ducati P. 446. Dümmler _F. 158, 297, 655,
691. Dupréel E. 133, 135, 162, 166, 169, 176, 185, 186, 251,
252, 253, 254, 256, 257, 258, 265, 266, 290, 479, 655,
656. EBRAICO-CRISTIANE eredenze, reli- gione, tradizione 422, 441,
585, 586. EBRAISMo, ebrei 27, 59, 515, 586; EBRAICA religione
223; EBRAICHE suggestioni ed ispirazioni 155; EBRAICE elementi
515. Ecabe 87, 88, 417. Ecate 83, 448, 451. EcATEo d'Abdera
648, 660, 661, 706. EcATEo di Mileto 48. Eden 436, 586.
Edipo 410, 420, 432. Efesto 650, 654, 668. EcESIA di Cirene
11. Egisto 81, 82, 85, 405, 420. Egitto 593, 604, 623, 669,
681. Egizi 186; EGIZIANO tradizionalismo 672. ELEATI,
ELEATISMO, scuola, dottrina, 125, 128, 132, 133, 134, 136,
138, 139, 142, 145, 148, 149, 169, 176, 231, 232, 267, 276, 279,
283, 289, 290, 296, 372, 697. Elena 87, 400, 404, 417.
Elettra 88, 429. Eleusi 728. Eleutherna 444. ELLENICO
genio, spirito, pensie- ro, etc. 10, 12, 15, 21, 34, 35, 43,
66, 77, 401, 441, 446; ELLENISMO 38, 59; ELLENISTICA eredità
37. ELLENISTICA ROMANA filosofia 29. ELVIDIO PRISCO 549.
EMPEDOCLE 46, 50, 138, 157-158, 234-236, 238, 239, 242, 254,
256, 266, 273, 276, 277, 278, 355, 402, 443, 445, 458, 631, 633,
648, 649. EMPIRISTICHE correnti 231. Empusa 451. Endimione
621. Enea 449, 456. ENESIDEMO 277, 317, 319, 320, 329.
Enoanda 698. Enoch (= pentimento, in Filo- ne) 515,
521. Enos (= speranza, in Filone) 521. Enriques F. e
Mazziotti M. 648. E3, 524, 532, 600, 602, 610470, EPICARMICO
principio 169. EPICUREI, EPICUREISMO 103, 108, 109, 110, 111, 112, 142,
283, 483, 503, 513, 514, 520, 553, 572, 688, 691, 694. EPICURO 89,
99, 101.107, 109, 143-146, 205, 277, 312, 452, 453, 462, 471, 503,
504, 505, 507, 508, 510, 511, 512, 513, 519, 520, 521, 523,
524, 538, 542, 544, 581, 661, 688, 691, 695, 696, 697, 699, 700,
701, 702, 705, 706, 708, 735. Epidamno 588, 606. Epifanio 93, 285,
053. EPIMENIDE 436, 671. Epimeteo 650. EPITTETO 501, 524,
525, 528, 548- 550, 552, 560. Er armeno (mito di) 449, 450, 489,
490, 564. Era 87. Eracle 206, 315, 413, 483, 593, 610, 614,
654. ERACLIDE PONTICO 684. ERACLITO 46, 48, 50, 66, 68, 122, 125,
126, 149, 150-157, 158, 184, 192, 193, 199, 262, 301, 317, 469, 517, 520,
598; FRACLITEA dottrina 297; esigenza 221; — proposizione
240; ERACLITISMO 302. BRASISTRATO 625. BRATOSTENE 317,
608. Brinni 81, 86, 410, 419, 420, 421, 422, 429, 447, 470,
518. ERMIPPO 661, 662, 663. ERMOTIMO 709. Ernout A.
103. Erodico di Selimbria 615. ERODOTO 152, 251, 402, 414, 593,
604, 634. ERoFILo di Calcedone 625. Eros 67, 86, 175, 187, 188,
189, 191, 224, 225, 674. Esaminatore interno (elenchos) 519.
ESCHILO 83, 86, 96, 153, 407, 409, 410, 413, 414, 415, 417, 418, 421, 423, 427,
430, 431, 433, 434, 435, 492, 567, 600, 636, 637, 638, 639, 642, 643, 644.
ESCHINE 301, 302. Esculapio 102, 105. ESICHIO 414. EsIoDo 80,
86, 91, 92, %6, 150, 206, 209, 402, 405-407, 412, 422, 435, 437, 438, 43%, 440,
441, 447, 472, 473, 552, 561, 585, 587, 590, 591- 593, 600, 602, 610,
612, 613, 629, 631, 638, 713; ESIODEO principio 169. Espero
498. Età post-omerica 591. Eteocle 415, 420, 427, 447. ETICA
ANTICA, CLASSICA X, 391, 392, 393, 496, 572, 573, 651; — cristiana e
moderna 497, 572, 573; — GRECA 69, 397; →, morale moderna 391, 392,
393; - STOICA 397, 520. Etiopi 80, 233. Ettore 81, 400,
404. Eucken R. 10-11, 108, 497. EUDEMO 502, 593. EuDosso 608,
677, 683, 684. Eumenidi 429. Eumeo 406. Euromo di Polignoto
187. EURIPIDE 11, 54, 65, 66, 83, 87-90, 93, 96, 156, 305,
410, 411, 413, 414, 417, 421, 422, 427, 431, 432, 433, 434,
435, 437, 470, 517, 518, 519, 564, 600, 636, 639, 640, 641, 642,
643, 644, 652, 653. Euristeo 315. Eusebio 102, 176, 285, 299,
303, 319, 320, 511. Eva 436. Evangeli 393, 401, 539,
548; evangelico messaggio Fabre P. 539. Falaride, toro di,
206. Farrington B. 50, 67, 71-74, 100, 101, 102, 103, 104, 105,
109, 253, 578, 589, 590, 595, 597, 606, 657. Fatica 86. Fato
81, 401, 404, 405, 407, 410, 413, 425, 427, 504. Fedra 83, 434,
437. FERECRATE 634, 641, 646. Festa N. 690. Festugiere A. J.
59, 101, 103, 104, 105, 109, 447, 448, 455, 539, 675. Feuerbach L.
68, 88, 89. Fichte J. G. 51, 723. Ficino M. 28, 221, 666.
Fidia 624, 656. Fiere 448. FILEMONE 602, 636. FILISCO
602. Fränkel H. 128, 317, 444. Frazer J. 47. Friedländer P.
298. Frigia 455, 717. Frinide 683. Furie 88, 108, 448,
449. GALENO 275, 281, 282, 284, 285 287. Galileo 75, 139,
280, 294, 297. Callavotti C. 64, 65. Gallia 717, 725. Ganter 201.
Gassendi P. 101, 102. Gea 639. Geffcken J. 413. Geiger
516. GELLIO AULO 636. Gelosia degli dei 414. Genius malignus
di Cartesio 314. Gentile G. 22-27, 29, 32-33, 35, 39, 41, 61, 175,
396, 578, 580, 581, 630, 665, бб6, 712, 713, 719, 724,
730. GEREMIA 515. Germani 21. Сет, 416, 121, 030, 03, 107,
409, FILODEMO 93, 94, 102, 104, 105, 144, 508, 653, 654.
FILOLAO 136, 137. FILONE 110, 157, 205-214, 221, 222, 223, 228,
230, 231, 232, 320, 331- 333, 334, 335, 398, 453, 454, 456, 457,
458, 461, 469, 514-524, 527, 528, 529, 532, 534, 542, 545, 552,
558, 675, 688, 689, 722, 726, 727; FILONIANO testo 690. Filoponia
600, 601, 616, 625, 626. FILOSOFIA NATURALISTICA (ionica)
198. FILOSOFIA OCCETTIVISTICA 43. FILOSOFIA PRESOCRATICA 63.
FILOSSENO 700. FILOSTRATO 168, 169. FISICI ANTICHI 124.
Fitzralph R. 314. Flegias 455. Flint R. 580, 581. FoCILIDE
615. Fougères G. 447. Frank E. 136, 138, 141. Gerusalemme
393. GesÚ figlio di Sirach 606. GIAMBLICO 173, 191, 380, 381,
441, 534, 620, 676. Giansenio C. 61, 423, 424, 425. Gige,
anello di, 90, 91, 96, 97, 407, 414, 472, 496. Gigon 0. 126, 260,
479. Gileon É. 29, 30. GIMNOSOFISTI indiani 317. GIoBBE 535,
536. Giovanni di Rodington 314. GIOVANNI FILOPONO 142, 273,
288, 675, 676, 680, 684, 689, 701, 735, 739. Giove 344, 714.
GIOVENALE 715. GIUDAISMO, giudaica chiesa, etc. 27, 395.
Giuliano imperatore 109. Giuliano di Eclano (pelagiano) 442.
Giussani C. 694. Glaser K. 163. Glauco di Chio 594. Glotz G.
404, 409, 588, 589, 606, 607, 624. GNoMIcI poeti 76; CNOMICA
saggezza 332. GNOSEOLOGIA ANTICA X; GRECA
118; medievale 60; NEOPLATONICA 230. Goedeckemeyer A. 312. Gomar
F. 424, 425, 426. Gomperz H. 167, 168, 240. Gomperz Th.
12, 102, 105, 133, 135, 249, 251, 297, 298, 306, 634, Goodenough E.
R. 516. GORCIA 54, 128, 129, 131-132, 133, 134, 136, 162-168, 176, 257,
258- 266, 302, 303, 306, 307, 324, 337, 338, 340,
341, 343, 352, 361, 363, 364, 388, 480, 644, 652,
656. Gorgoni 448. Gottschalk 424. Grande Anno 679.
GRECA morale 12. GRECA tragedia, vedi TRAGEDIA. GRECI, greco
pensiero, popolo, spirito, etc.; greca anima, arte, cultura, filosofia,
etc. 10, 11, 13, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 27, 28,
29, 30, 31, 32, 35, 36, 37, 38, 42, 43, 44, 45, 47, 48, 49, 50, 57,
58, 59, 61, 65, 66, 69, 71, 74, 79, 83, 156, 157, 177,
234, 391, 392, 393, 398, 412, 423, 444, 569, 582,
588, 635. Grecia 20, 25, 42, 47, 76, 80, 91, 405, 406,
422, 441, 473, 481, 518, 587, 588, 590, 594, 603,
604, 611, 634, 635, 614, 678, 706. Greene W. Ch. 401, 402, 403,
Grilli A. 675, 676, 691, 695, 697, 698, 700, 701. Grousset R. 38,
59. Guthrie W. K. C. 444, 445. Guyau J. M. 580, 694, 698,
700. Halbfass W. 241. Harnack A. 27. Hegel G. 3, 410, 17-21,
22, 28-29, 32, 34, 35, 41. 42, 48, 87, 394,.395, 396, 686. Heidel W. A.
128, 133, 136, 598, 634, 657, 658. Heinemann F. 691. Heinze
R. 201, 449. Henz G. 673. Herbertz R. 128. Herder J. G.
579. Hermann G. 639, 644. Hermes 81, 89, 217, 248, 650, 697.
Hildebrand G. H. 581, 629, 652, Himeros 86. Hirzel R. 313, 708.
Hobbes Th. 60. Hoffmann E. 128. Howald E. 413. Hume D. 303,
316. Hus J. 424, 425. Huyghens Ch. 280. Hybris 403, 406, 407,
409, 110, 414, 418, 435, 438. Ida 676. Idealismo assoluto 28, 29,
32, 33; cristiano 32; GRECO 32; postkantiano
32. Idealisti 29, 45, 51, 60, 231, 578. Idra 448. IEROCLE
376. Ifigenia 433. Ilio 676. ILLUMINISMO, ILLUMINISTI,
etc. 96, 97, 100. Musionismo 163. Indiani 42. Inferi
(Enfers) 448. Inganno 86. Inge W. R. 570, 571. Innocenzo III
708. Intelletto 226, 227. Invidia degli dei 436. lo 427, 428.
Ionia, ionico mondo, ionica civil- ta, etc. 63, 65,68,414. JONICA
poesia 48, 49, 63; IONICI poeti 49, 67.IONICI (Glosofi) 48, 71, 72,
122, 123, 125, 173; IONICA filosofia 63, 198; - scienza
677. Ipermestra 427. IPPIA (sofista) 133, 162, 163, 185, 257,
258, 260, 400, 595, 651, 655, 656, 665. IP POCRATE,
IPPOCRATICI, ippocrati- ci scritti, trattati, etc. 133, 208,
209, 276, 74, 75, 277, 298, 591, 595,
597, 598, 599, 619, 622, 629, 609, 630,
634, 647, 649, 654, 655, 656-660, 005, 084. Ippolito
649. Ippolito 433, 434. Iris 681. Isaac (= natura, in Filone)
521. Isaac (Abn Jacob Jsaac?) 121. ISAIA 155, 520. Isdoso
scolastico 154. Isis 460; isiaco culto 459. ISOcRATE,
pseudo, 276, 453, 487, 518. Issione 447. Jaeger W. 12, 48-57,
63, 65, 66, 67, 68, 69, 71, 72, 74, 76, 82, 90, 93, 94, 96, ,
100, 101, 123, 126, 128, 142, 143, 173,
177, 187, 188, 159, 160, 191, 198, 242,
256, 267, 290, 404, 405, 408, 413,
437, 491, 492, 498, 501, 587, 643, 650, 670, 675,
677, 679, 687, 688, 691. Jago 411. Jacob (= ascetismo e
perfezione, in Filone) 521. Janet P. 579. Jardé A. 603.
Jehova 436, 586. Jeat K, 5, 448, 49, 50, 63, 66, 67, 71, 74,
128, 133, 207, 595, 611, 654. Kaibel G. 150, 469, 641. Kant
I. 28, 33, 127, 346, 392, 477, 498. Kêr, Kêres 447. Kern O.
441, 443, 632. Kierkegaard S. 394, 541. Kirk G. S. 301. Kitto
H. D. F. 413. Kleingünther A. 94, 654. Klimke 30. Kock Th.
454, 523, 566. Kranz W. 413, 414; v. Diels H. Krokiewicz A. 101.
Kronos 667. Laas E. 241. Laberthonnière L. 27, 30-32, 33,
Labriola A. 600. Lachesi 490, 492. Lachete 636. Laconia
603. Laio 413, 420. Lamennais F. 424. Lamenti 86.
Laminette auree 443, 444, 445. Lana I. 139, 158, 161, 162, 250,
253, 641, 642, 643, 648, 661, 695, 700, 701. Langerbeck H.
242, 246, 254, 267, 284, 298. Latini 569. Lattanzio
529. . Latzarus B. 449, 450, 566, 568. Laurent F. 579.
Lavagnini B. 414. Leibniz G. 60, 121. Leonardo da Vinci 595,
599. Leone Ebreo 28. Leonte di Salamina 549. Leonzio
102. Leroux P. 579. Lesky A. 413. LeuCIPPO 13, 13 139,
268, 281, 648, 649, 696. Levi A. 90, 240, 547. Levi Al. 401,
407, 408, 409, 422, 435. Lévy-Bruhl L. 84. Licurgo 692.
Lidia, Lidi 455, 604. Liénard E. 463. — IONICO-EOLICA 66.
LISIA 152, 408, 448. Locke J. 139. Lodge R. C. 673.
LOGICA ANTICA 34. Logos divino 517, 519. Loisy A. 30, 33.
Losacco M. 441, 582. Lotte 86. Lovejoy A. 0. e Boas G. 635.
LUCIANO 449, 451, 483, 734-738, Lucido 424. Lucifero 498.
Lucilio 726. LUCREZIO 31, 94, 99, 106, 107, 449, 451,
462, 505, 511, 512, 648, 688, 695, 701, 702, 704, 706,
708, 713, 715, 717. Lugdunum (Lione) 725. Luria S. 257,
655. Lusitania 717. Lutero M. 424, 586. Maddalena A. 413,
418, 427. Magalhães Vilhena Y. de 169, 177, 479, 481, 605, 671,
673. Magia 163-164. Maieutica 41. Maier H. 90.
Malcovati E. 634, 635. Mancini G. 215, 218, 223, 374, 379,
381. Manetti G. 640, 713. MANICHEISMO 554. Marbach G. O.
3. Marchesi C 533, 534, 544, 546, Marchesini G. 92. MARCO
AURELIO 524, 547, 548, 550, 551, 552, 560. Mario Vittorino
374. Marouzeau J. 260. Marsia 171, 671. Martin J. 457.
Martinazzoli F. 12, 13, 65, 101, 152, 402, 406, 438, 439, 593.
Marx K. 671, 721. MASSIMO TIRIO 691. Mazziotti M., vedi Enriques
F. Meautis G. 413, 447. MEDICI 48, 63; — EMPIRICI O
METODICI 310; - IPPOCRATICI 298, 622, 634, 647; mediche
scuole 598. Medievale gnoseologia, scienza, filosofia, teologia 26, 27,
29, 60; — coscienza 401. Medio Evo 27, 314, 569. MECARICA
teoria 501; MECARICI 504. Meineke A. 636. MELIsso di Samo
129. MENANDRO 454, 455, 523, 566, 602, 636. Menelao 422, 452,
470. Menzel A. MENONE 125,276, 179, 188. Mercier D. 117.
Messaggio evangelico, ellenizza- zione del, 27. METRODoRo di Chio
140, 285. Milesi 73. Mill J. 306. Milton J. 586.
Minucio Felice 93, 653, 654. MISTICA, MISTICA soggettività,
MI-CORRENTI, CRECO 44, 45, 48, 63, 76, 529; - (medievale) 27.
MITOLOGIA ANTROPOMORFICA 43; - CRECA, mitologiche rappresentazioni 43,
44, 79, 80; — OMERICO-ESIODEA 232. Mitre 102.
Modernismo 30, 32. Moderni, moderno spirito, pen- cultura,
hlosofia, sia, etc. Ix, 12, 15, 16, 17, 20, 21, 22, 24, 33,
35, 37, 44, 59, 60, 61, 112, 113, 139, 387, 388, Moeller C. 11, 36,
37-39, 41, 393, 394, 399, 400, 403, 410, 412, 423, 426, 431,
432, 433, 452, 461, 491. Moira 408. Momigliano Arn.
569. Mondo classico 463; — cristiano 463; greco precristiano
444; — ionico arcaico 65; - orientale, greco, romano, germanico 9,
394, 395. Mondolfo A. 657. Mondolfo R. 16, 52, 67, 68, 71,
76, 77, 81, 82, 88, 90, 96, 97, 128, 137, 138, 139,
140, 150, 169, 173, 175, 356, 402, 405, 407, 450,
466, 469, 472, 482, 501, 578, 590, 595,
597, 673, 683, 708; vedi Zel-Monoteismo cristiano e greco MORALISTI GRECI
392. Morrison J. S. 661. MOSCHIONE 636, 641, 645, 700. Mose
211, 586. Mullach G. A. 482. Murray G. 413. MUSoNIo RUFo 548,
625, 626. Nardi B. 192, 193, 314, 332, 354, 374, 375, 401,
582. Natorp P. 297. NATURALISMO PRESOCRATICO, NATURALISTI
PRESOCRATICI 34, 44, 45, 46, 49, 66, 71, 72, 74, 77, 123, 164, 631.
Nauck A. 414, 600, 601, 629, 636, 637, 639, 644, 645, 646, 653.
Nausicaa 432. Neikos 86. Nekyia omerica 447, 448. Nenci G.
153. NEOACCADEMICI 312, 313, 314. Neohegeliani 17, 21, 22, 61,
394, NEOPITAGORICI 443, 458. NEOPLATONICI, NEOPLATONISMO,
NEOPLATONICA teoria, etc. 20, 223, 230 314, 330, 381, 337 363, 539,
572, 582 380, 381, 387, Nestle W. 52, 90, 92, 257, 480, 640,
653. Nestore 168. Newmann J. H. 30, 31, 33. Nicia di Atene
447. Nietzsche F. W. 38, 43, 44, 61, 393, 394. Noè (-
giustizia, in Filone) 521. Norden E. 449, 456, 660. Norsa M.
414. NUMENIO 176. Nuovo Testamento 32. Occhio di Zeus 407.
Occhio vendicatore degli dei 91, 406, 473. Oceanidi 418.
OCCETTIVISMO ANTICO 26, 59. Olimpica religione 13. Olimpo, olimpici
dei 86. Olimpo Olivieri A. 150, 443, 508. OMERO
82, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 92, 152, 355, 400, 403, 404,
406, 412, 421, 435, 437, 473, 593, 670, 677; OMERICHE concezioni
440. Ontologica prova 142; ontologico argomento 143. ORACOLO
DELFICO, lemma dell', vedi DELFico precetto. Oratorio 27.
ORAZIO 580, 706, 715. Oreste 81, 410, 420, 729, 430, 452,
470. Orfeo 671. ORFICI, ORFICO misticismo, reli- gione,
etc., oRFISMO 13, 96, 109, 176, 402, 422, 424, 440, 441, 442,
443, 444, 445, 449, 452, 456, 465, 466, 469, 470,
510, 569, 632, 635. Oriente, orientali 19, 42, 604.
Origene 424. Otium 606, 621, 664. Otto F. W. 13. OVIDIO 443,
458-461, 462, 542, 585, 707, 708, 713, 714. Pacioli L. 598.
PAGANESIMO, PAGANI FILOSOFI, etc. 30, 539, 541, 568. Palamede 639,
645, 671. Pan 83, 419. PANEZIO 526, 548, 680, 706, 707, 708,
715, 716, 717. Paolo (S.) 27, 30, 38, 401, 462, Paratore L. 101,
102, 107. Parche 86, 490.Paride 87, 400, 404, 419. PARMENIDE: 123,
124-129, 131, 132, 134, 136, 138, 234, 239, 242, 256, 290;
DISCEPOLI di — 129, 131; parmenideo ente 123; — mondo 47;
parmenidea 865x 266, 269, 323. Pascal B. 27, 424, 579. Pascal C.
446. Pasquali G. 82, 405, 413, 414, 415, 417. Patristica 27, 30,
463; patristica eredità Pearson A C. 690, 691. Peipers
D. 298. Pelagio, pelagianismo 423, 442. Pelasgo 418. Pelope
420. Penía 188. Pericle 250, 605. PERIPATETICI, PERIPATETICA
teo-ria, etc. 215, 534, 688. Пері téXvNS 133-136. Perrotta G. 90,
413. Perse 592. Persiani 414, 418, 604. Pesce D. 499, 501,
548, 549, 550. Petelia 444. Petersen E. 413. Petrarca F.
27. Pettazzoni R. 454, 455, 456, 458, Philippson R. 101, 105, 144, 511, 661.
Piat Cl. 192. Pico della Mirandola G. 28, 640, 709.
Pieper 1F. 578, 606, 621. Pilade 429. PINDARO 52, 65, 69, 173, 444,
489, Piriflegetonte 451. PIRRONE 310, 312, 316, PITAGORA 47, 162, 192,
443, 458, 466, 692. PITAGORICI, PITACORISMO, etc. 46, 91, 126,
136-138, 141, 142, 156, 158, 162, 163, 169, 170, 173,
234, 236, 238, 246, 250, 257, 266, 269, 323, 349, 364, 371,
398, 443, 453, 458, 465-472, 475, 478, 482, 487,
508, 509, 513, 516, 517, 519, 520, 523,
525, 534, 538, 553, 558, 559, 572, 596, 631, 651,
688. Pittura greca 446; etrusca 446. PLATONE 12, 25, 26, 27,
33, 34, 159, 166, 162, 165, 166 170, 174, 173-190, 191, 199,
229, 242, 244, 248, 261, 274, 281, 301, 302, 303, 307,
338-346, 355, 356, 357, 359, 388, 402, 414, 435, 439, 441,
445, 448, 475, 479, 487-497, 499, 522, 526, 554, 561, 564,
580, 589, 590, 593, 594, 608, 609, 610, 614-618, 624, 627, 629,
644, 648, 652, 655, 656, 665-674, 676, 680, 681, 684, 687,
689; PLATONICO mito 57; PLATONISMO 694. PLAUTO 446.
Pleiadi 666. PLINIO 447, 707, 712. PLOTINO 110, 127, 157,
214-230, 363, 367, 374, 377, 378-388, 569-573, 734.
PLUTARCO 42, 51, 52, 87, 92, 98, 151, 156, 157, 168, 169,
205, 213-214, 221, 275, 282, 290, 304, 408, 416, 439,
449, 450, 455, 457, 461, 511, 523, 534, 552-569,
572, 589, 593, 608, 609, 624, 629, 630, 664, 734, 735. POETI COMICI
602, 665; TEOCONICI 70; TRAGICI 600, 601, 630, 665.
Pohlenz M. 201, 376, 377, 413, 519, 691. PoLIBIO 58, 100, 451, 462, 516,
519, 680. Policleto 596, 622, 624. POLICRATE 605. Polignoto
di Taso 96, 446, 447. Polinice 420, 432, 447. POLITEISMO GRECO
95. PoLo 496, 596, 622. Poppe W. 691. PORFIRIO 374, 454,
566. Puech A. 30. Póros 188. Porzig W. 413. Posidone
418. PoSIDONIO 449, 526, 548, 594, 596, 691, 692, 674, 700,
706, 20, 715, 117, 23. POSTARISTOTELICA epoca, filoso- fia,
etc., POSTARISTOTELICI FILO-SOFI 22, 471, 483, 503, 504, 507, 521,
625. Praechter K., vedi Ueberweg F. Pragmatismo, pragmatisti
113, 155, 245. Predestinaziani 424. Positivismo,
positivisti 29, 578. PRESOCRATICI FILOSOFI, NATURALI-STI, etc.,
PRESOCRATICA filosofia 25, 44, 45, 49, 63, 6б, 71, 72, 74, 77, 117,
123, 152, 157, 241, 242, 267, 269, 469, 580, 591,
594, 595, 596, 597, 598, 619, 622, 631, 648, 738.
Priamo 400. PRIMI FILOSOFI 124. Primitivi popoli 84. PROCLO
109, 110, 232, 331, 333, 334, 335. PRODICO 55. 89, 92, 93, 94, 96,
97, 101, 16% 206, 207, 480, 602, 610, 641, 653, 654, 650, 008, 084, 689,
693. Prometeo 247, 405, 418, 428, 437, 441, 639, 645, 646, 650,
663, 668. PROTAGORA 51, 52, 53, 54, 55, 90, 92, 95, 96, 100, 113,
133, 158- 165, 166, 168, 231, 240, 241, 242-257, 258,
261, 262, 264, 267, 272, 273, 274, 275, 286, 287,
290, 298, 303, 308, 309, 310, 316, 319, 435, 480, 629, 641, 643,
648, 649, 651, PROTACORIS NO 3035, 671, 700;
PROTAGORISMO Protestanti, protestantesimo 61, 423, 424, 425,
586; protestante storiografia 27. Provvidenza 504. PSICOLOGIA
« behaviourista», del comportamento 70, 323; — platonica 357.
Radamanto 456. Radermacher L. 640. RAFFINATI del Teeteto 201,
297. 310, 338, 340, 342, 343. Ragione divina 151. Regenbogen
0. 276, 277. Regnum hominis 26. Reinach S. 449. Reinhardt K.
123, 126, 127, 413, 648, 660, 691. Reminiscenza platonica
181, 182, 184, 189, 190, 194, 219. Rey A. 138, 598.
Rinascimento 15, 24, 45, 58, 75, 221, 595, 598, 630, 640, 709, 738;
rinascimentale distinzione 139; - rivoluzione 61;
rinascimentali 666; celebrazioni — innovatori 294; -
scrittori 713. Ritter H. 3. Rivelazione 461. Rivaud A. 298,
443, 635. Robin L. 185, 312, 313, 314, 317, 320, 357, 397, 398, 491, 493,
500, 501, 505, 506, 671, 694. Rohde E. 13, 76, 443, 446, 448.
Roma 443, 444, 445, 706, 707, 725. Romanticismo 45. Rosmini A.
27. Ross D. 342, 359. Rossi M. M. 578, 606, 621. Rosei P.
169, 541. Rostagni A. 63, 162, 257, 143, 458, 534. Rousseau
J.-J. 634. Rudberg G. 691. Ruvo 447. Saffo 64. Saglio
E., vedi Daremberg Ch. Saitta G. 33, 34, 92, 168, 221. SALLUSTIO
103, 109, 111, 112, 113, 572, 707. SALOMONE 155. Satana
401. Saturnia età 707, 713, 714, 715. Saturno 713, 714.
SCETTICI, SCETTICISMO 22, 41, 146- 148, 214, 242, 257, 263,
310-331, 332, 505, 506, 552; SCETTICA critica 136. Schaerer
R. 491, 568. Schiller J. 158. Schleiermacher F. 297, 298.
Schmid W. 92, 641, 648. Schuhl P.-M. 164, 276, 277, 371, 372, 469, 517,
578, 586, 590, 596, 597, 606, 607, 667. Sciacca M. F. 16.
Scilla 129. Seiti 604. Scolastica, etc. 24, 27, 28, 30, 62,
118, 335, Scrittura, Scritture (Sacre) 515, Segni indicativi,
teoria dei, 322. Segni memorativi, utilizzazione dei, 323.
SENECA 144, 205, 246, 377, 416, 461, 462, 471, 475, 507, 509, 510,
511, 512, 513, 519, 520, 521, 524, 525, 526-548, 550, 551, 560,
561, 562, 563, 566, 567, 568, 569, 572, 579, 580, 581, 594, 689,
691, 692, 693, 694, 721-734, 737, 738. SENOFANE 50, 80, 87, 88, 95,
149- 150, 158, 232-234, 629, 630, 632, 633, 635, 649. SENOFONTE
152, 174, 206, 207, 479, 480, 483, 484, 485, 528, 550, 560, 590, 597,
602, 603, 606, 610-613, 627, 643. Senso comune aristotelico
357. Senso interiore agostiniano 357. Serse 418. Sertillanges
A.-D. 117. SESTIO, SESTIL, scuola dei, 513, 519, 525,
560. EMPIRICO 90, 93, 94, 131, 136, 139, 146, 148, 150, 151,
201, 202, 203, 204, 214-215, 240, 241, 246, 258, 259, 270, 274,
275, 276, 277, 282, 284, 287, 289, 299, 300, 303, 304, 307, 308,
311, 312, 313, 314, 315, 316, 318, 319, 320, 321, 327, 328, 332,
505, 632, 635, 653, 654. Sette savi 76, 677. Shakespeare W.
11, 411. Shorey P. 480. Sibari 250. Sibilla 713.
SIMONIDE di Ceo 52. SIMPLICIO 140, 380, 381. SINESIO 64. Siri
454, 523, 566. Sisifo 108, 413, 447, 448. Snell B. 413.
SOCRATE 20, 21, 23, 30, 33, 34, 41, 47, 50, 55, 56, 57, 159, 162, 166,
169-175, 177, 178, 179, 182, 189, 199, 205, 213, 242, 247, 266,
301, 302, 309, 339, 340, 341, 344, :396, 416, 472, 475, 478-487,
488, 493, 494, 496, 497, 516, 528, 549, 550, 560, 567, 589, 590,
597, 602, 603, 605, 610, 611, 612, 613, 614, 615, 617, 618, 685;
SOCRATICA esigenza 195; esperienza 56; predica
57. SOCRATICI, SOCRATISMO 56, 416, 481. Sofferenze 86.
SOFISTI, SOFISTICA, etc. 11, 34, 41, 47, 50, 52, 53, 54, 55, 60,
63, 90, 94, 113, 158, 159, 162, 166, 167, 168, 169, 173, 256,
257, 266, 290, 480, 595, 600, 602, 622, 634, 643, 647, 649, 656,
657. SOFOCLE 410, 413, 414, 415, 421, 422, 600, 629, 630, 636, 639,
640, 709. Sofronisco 478. Soggettivismo
cristiano-moder- no 59. Sogni 86. Solari G. 414.
Soliman 121. SOLONE 48, 150, 206, 400, 407, 408, 412, 435, 437, 440, 564,
593, 692. Sorley W. R. 59. Sparta 588, 590, 603, 604, 606.
Spencer H. 61. Spengel L. 193, 355, 502. Spengler 0. 61.
SPEUSIPPO 631. Spinoza B. 60. Spirito classico antico ix; —
cristiano moderno ix, x, 10; greco classico 10.
Spiritualisti cristiani, spiritualismo cristiano 17, 22, 59. Stefanini
L.. 480. TEOCONIE, TEOGONICI POETI 67, 70, 79, 86. Teologi di
Oxford 314. Teone 315. Stein L. 201. Stenzel J. 127,
133, 162. Stige 450. STILPONE 56. SToBEo 376, 600, 601, 625,
639, STOICI, STOICISMO, etc. 22, 29, 34, 101, 103, 143, 145, 154,
199-205, 215, 313, 376, 377, 378, 381, 397, 416, 483, 503, 504,
507, 508, 510, 512, 513, 514, 515, 516, 519, 520, 521, 523, 524, 527,
532, 538, 550, 553, 556, 560, 593, 625, 675, 688, Sroic, HOMAN' 52,
524, 527, 548. Storicismo, storicistica concezione 29. Stragi
86. STRATONE di Lampsaco 625. Strycker E. de 480. TALETE 23,
25, 43, 47, 71, 72, 122, 593, 594, 688. Tannery P. 136.
Tantalo 108, 420, 447, 418. Tarozzi G. 16. Tartaro 108, 522;
tartareo abisso 450.451. Tatto interno 377. Taylor A. E. 478.
Tebe 305, 588. Teeteto 182, 183, 266, 339. Teggart F. F. 581,
629. Temesa 447. TEMISTIO 95, 193, 195, 215, 353, 356, 380,
653. Tempo 636, 638, 645. Tenebre 108. TEODETTE 413,
601. Teodoreto 156, 288. Teodoro di Beza 424, 425, 426,
TEOFRASTO 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 269, 270, 271, 272, 277,
278, 281, 288, 291, 292, 293, 295, 649, 675, 684, 688, 699.
TEOGNIDE 408. TERENZIO 532. Тевео 433, 640, 641, 642, 643,
644. Thamus 186, 644, 652. Thaumante 681. Theiler W.
643. Thespesio 449, 450, 456, 564, 565. Theuth 180, 64*, 652.
Thurii 250, 443, 445. Tieste 413, 420. Tifeo 406. Tifone
554. Tilgher A. Ix, 393, 582, 583. TIMEO 173. TIMONE
311. TIMOTEO 683, 700. Tindaro 446. Tiresia 93. Tiro
608. TISIA 165. Titani, Titano 406, 418, 441. Tizio 108,
448. Tommaso (S.) 60, 117. Tomismo, etc. 27, 29, 117, 423.
Traci 80, 233, 604.- TRADIZIONE DEMOCRITEO-EPICUREA 572.
Traducianismo 424. TRAGEDIA. GRECA 400, 409, 410, 413, 414, 425, 426,
427, 434, 435, 440, TRAGICI POETI 152, 421, 518, 600, 601, 634,
636, 649, 665, 693, 738. TRASIMACO 161, 168. Traversari 101,
102. Treves P. 432. Trieber 257. Troia, troiani 338, 400,
419, 676, 699. Tuchulca TUCIDIDE Türk Tylor Tzetzes Uccisioni Ueberweg
Ulisse 4Uno Untersteiner Usener Uxkull Vaihinger Weil Wendland Wilamowitz Windelband
Wundt Wycliffe algimigli Vangelo Vangelo Vaso arcaico di Palermo Vespasiano Vico
Vidari Vlastos Walzer Wehrli Zafiropulo ZALEUCO ZARATHUSTRA ZENONE ZENONE Zeller. L'eredità
in T. Tasso, in «Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia
criminale», Torino, XX, pp. 518-527. 1900 Memoria
e associazione nella scuola cartesiana (Cartesio, Malebranche, Spinoza), con
appendice per la storia dell'inconscio, M. Ricci, Firenze. Per le
relazioni fra genialità e degenerazione: F. D. Guerrazzi, in «Archivio di
psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale», Torino, XXI, pP.
373-408. Spazio e tempo nella psicologia di Condillac, in «Rivista
filosofica», Pavia, I, fasc. 2, PP, 184-195. Scienza
e opinioni di B. Varisco, in «Scienza sociale», Palermo, fasc. III. 6.
Uno psicologo associazionista: E. B. de Condillac, R. Sandron, Palermo.
In esso viene riportato anche lo scritto sullo spazio e il tempo in
Condillac precedentemente citato (cfr. pp. 99-111). 1903 7. Il
concetto di bene e la psicologia dei sentimenti in Hobbes, in «Rivista di
filosofia e scienze affini», Bologna, V, vol. I, gennaio-febbraio, pp.
39-60. 8. L'educazione secondo il Romagnosi, in «Rivista filosofica»,
Pavia, fasc. I e II, gennaio-aprile, pp. 92-114 e 205-217. Ora anche in Tra
teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti 1903-1931, a cura di R. Medici, CLUEB, Bologna
1991, pp. 3-28. Ancora a proposito di refezione scolastica: il pensiero di
Romagnosi, in «Critica Sociale», Milano, XIII, n. 10-11, 16 maggio-1 giugno,
pp. 165- Saggi per la storia morale utilitaria: I - La morale di T. Hobbes,
Drucker, Padova. 1904 11. Saggi per la storia morale utilitaria: II - Le
teorie morali e politiche di C. A. Helvétius, Drucker, Padova. 12.
La politica degli insegnanti, in «Critica Sociale», Milano, XIV, n. 24,
16 dicembre, pp. 371-373. 1905 Il dubbio metodico e la
storia della filosofia, Prolusione a un corso di storia della filosofia
nell'Università di Padova, con appendice storico-critica, Drucker, Padova. Per una
filosofia naturale, in «Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, VII,
vol. I, n. 1-2, gennaio-febbraio, pp. 4 ss. Recensione a G.
Marchesini, La funzione dell'anima, Laterza, Bari 1905, in «Critica Sociale»,
Milano, XV, n. 8, aprile, p. 128. L'insegnamento liceale
della filosofia. Considerazioni pratiche, in «Rivista di filosofia e scienze
affini», Bologna, II, fasc. 7, n. 1-3, luglio-settembre, pp. 442-448. L'insegnamento
della filosofia nei licei e la riforma della scuola media al congresso di
Milano, in «Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, VII, n. 4-6,
ottobre-dicembre, pp. 754-763. Per la riforma della scuola
media: la scuola unica, in «Critica Sociale», Milano, XV, n. 21, novembre, pp.
326-330. Anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica
(dagli inizi del 900 alla Riforma Gentile), a cura di T. Pironi, Laicata,
Manduria 2005, pp. 59-70. Ancora per la riforma della scuola media: polemica fra colleghi,
in «Critica Sociale», Milano, XV, n. 22, 16 novembre-1 dicembre, pp.
342-345. 1906 20. Di alcuni problemi della pedagogia contemporanea,
in «Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, XVI, vol.I, n. 1-2
gennaio-febbraio e vol. II, n. 3-4 marzo-aprile, rispettivamente a pp. 115-124
e pp. 233-267. Anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma
scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp. 71-121.
21. Dalla dichiarazione dei diritti al Manifesto dei comunisti, in «Critica
Sociale», Milano, XVI, n. 15-21-22, agosto-novembre, pp. 232-235,
329-332, 347-350. Con alcune variazioni è stato inserito da Mondolfo anche
nella raccolta Tra il diritto di natura e il comunismo: studi di storia
= •archive.org INTERNET ARCHIVE e filosofia, parte I,
Tip. degli operai, Mantova 1909, pp. 5-41. Ora anche in Tra teoria sociale e
filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti 1903-1931, cit., pp. 29-53. 22. Intorno al convegno filosofico di
Milano, in «Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, fasc. 8,
ottobre-dicembre, pp. 728. 1907 Politica scolastica: per
la riforma della scuola media, in «Critica sociale», Milano, XVII, n. 4, 16
febbraio, pp. 53-55. Questioni varie: il problema della laicità nella scuola media, in
«Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, IX, n. 3-4, marzo-aprile, pp.
279- 282. Ristampato anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma
scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
137-141. 25. Ancora Mazzini e il socialismo, in «La fiaccola»,
Senigallia, anno II, n. 9 e 11, marzo. Altre
obiezioni alle idee di Salvemini sugli esami, in «Nuovi doveri», Palermo, n.
6-7, 30 giugno-15 luglio, pp. 108-109. Il contratto sociale e
la tendenza comunista in J. J. Rousseau, in «Rivista di filosofia e scienze
affini», Bologna, IX, ottobre-dicembre, pp. 693-717. Presente anche in Tra il
diritto di natura e il comunismo: studi di storia e filosofia, parte II, Tip.
degli operai, Mantova 1909. 1908 Il pensiero di Roberto
Ardigo, Tip. G. Mondovì, Mantova. La dottrina della
proprietà del Montesquieu, in «Rivista filosofica», Pavia, Il, fasc. 46,
gennaio-febbraio, pp. 129-135. Pubblicato anche in Tra il diritto di natura e
il comunismo: studi di storia e filosofia, parte II, cit. 30. La
filosofia della proprietà alla Costituente e alla Legislativa nella rivoluzione
francese, in «Rivista di filosofia e di scienze affini», Bologna, X, n. 1-3,
pp. 519-530 e pp. 672-692. Pubblicato anche in Tra 761 of 824
[3 il diritto di natura e il comunismo: studi di storia e filosofia,
parte II, cit. Sulla laicità della scuola, in «Critica sociale», Milano, XVII, n.
5, 1 marzo, pp. 69-70. Anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma
scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp. 143-147. Religione,
fanciulli, educazione, in «Nuovi doveri», Palermo, II, n. 29-30, 30 giugno-15
luglio, pp. 186-187. Ristampato in Educazione e socialismo. Scritti sulla
riforma scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
149-151. 33. La fine del marxismo?, in «Critica sociale», Milano, XVIII,
n. 20, 16 ottobre, pp. 311-312. Pubblicato anche in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino 1968, pp. 5-7.
1909 34. Roberto Ardigò nelle scuole di Mantova. Notizie e documenti,
Tip. Operai, Mantova. Studi sui tipi
rappresentativi. Ricerche sull'importanza dei movimenti dell'immaginazione,
nelle funzioni del linguaggio, nelle pseudoalluci-nazioni e nella
localizzazione delle immagini, in «Rivista di filosofia», Roma, I, 2,
marzo-aprile, pp. 38-92. Tra il diritto di natura e il comunismo: studi di storia e
filosofia, parte I, Tip. Operai, Mantova. La filosofia di
Feuerbach e le critiche del Marx, in «La Cultura filosofica», Firenze, III,
marzo-giugno, pp. 134-170, 207-25. Accolto in Sulle orme di Marx. Studi di
marxismo e di socialismo a partire dalla prima edizione (Cappelli, Bologna
1919, pp. 64-114) con il titolo Feuerbach e Marx. È stato poi successivamente
integrato di due capitoli, precisamente il sesto e il settimo, nella terza
edizione (Cappelli, Bologna 1923, vol. I, pp. 156-232). Ora anche disponibile,
sempre con il titolo Feuerbach e Marx, in Umanismo di Marx. Studi filosofici
1908-1966, cit., pp. 8-78. 38. La filosofia della storia di Ferdinando
Lassalle (Per nozze Mondolfo-Sacerdote), Pirola, Milano. Poi nelle prime due
edizioni de Sulle orme di Marx: Cappelli, Bologna 1919, pp. 129-163; Cappelli,
Bologna 19207, pp. 167-202. 38bis. Recensione a G. Vidari,
L'individualismo nelle dottrine morali del secolo XIX, in «Cultura Filosofica»,
III, pp. 468-472. 1910 La riforma della scuola
media: fra la Commissione Reale e il congresso della federazione, in «Critica
sociale», Milano, XX, n. 1, 1 gennaio, pp. Politica scolastica: il
dovere presente della federazione degli insegnanti, in «Critica sociale»,
Milano, XX, n. 6-7, 16 marzo-1 aprile, pp. 89-90. 1911 La
vitalità della filosofia nella caducità dei sistemi, Prolusione all'Università
di Torino (tenuta il 1° dicembre 1910), in «La Cultura filosofica», Firenze, V,
n. 1, gennaio-febbraio, pp. 1-31. Rovistando in soffitta,
in «Critica sociale», Milano, XXI, n. 14, 16 luglio, pp. 210-212. Pubblicato
anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 79-85. Fra
l'ideale e l'azione: per l'unità di teoria e praxis, in «Critica sociale»,
Milano, XXI, n. 16, 16 agosto, pp. 247-248. Disponibile anche in Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 86-90. La
filosofia di Giordano Bruno e l'interpretazione di Felice Tocco, in «La Cultura
filosofica», Firenze, V, n. 5-6, aprile, pp. 450-482. Pubblicato poi a sé: La
filosofia di Giordano Bruno e l'interpretazione di Felice Tocco, Tip. Collini e
Cencetti, Firenze 1912. 1912 45. Sul concetto di plus-valore, in «Critica
sociale», Milano, XXII, n. 4, 16 febbraio, pp. 59-63. L'articolo è in parte
tratto e riassunto dal cap. XIII (La pretesa antieticità del materialismo
storico - il sopravalore e il passaggio dalla necessità alla libertà) de Il
materialismo storico in Federico Engels, Formiggini, Genova 1912. Nell'edizione
del 1973 (La Nuova Italia) è compreso tra p. 351 a p. 386. Il
concetto di necessità nel materialismo storico, in «Rivista di filosofia», IV,
fasc. 1, pp. 55-74. È un articolo tratto dal cap. X (II fatalismo
materialistico o dialettico e il concetto di necessità storica) de Il
materialismo storico in Federico Engels. Nell'edizione del 1973 (La Nuova
Italia, Firenze) corrisponde alle pp. 209-36, 246-47. Pubblicato anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 96-114. Il
materialismo storico in Federico Engels, Formiggini, Genova. I
ginnasi magistrali, in «Unità», Firenze, I, n. 16, 30 marzo, p. 62. Partiti
politici e generi letterali, in «Unità», Firenze, I, n. 18, 13 aprile, pp.
71-72. Intorno alla filosofia di Marx, in «Critica sociale», Milano,
XXII, n. 8, 16 aprile, pp. 116-117. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 91-95. La crisi magistrale, in
«Unità», Firenze, I, n. 21, 4 maggio, p. 84. La
preparazione dei maestri elementari, in «Unità», Firenze, I, n. 23, 18 maggio,
p. 91. Intorno alla morale sessuale, in «Critica sociale», Milano, XXII,
n. 19, 1 ottobre, pp. 294-297. Ancora la morale
sessuale, in «Critica sociale», Milano, XXII, n. 20, 15 ottobre, pp. 309-310. Rousseau
nella formazione della coscienza moderna, in «Rivista pedagogica»,
Roma-Milano-Napoli, VI, vol. 1, fasc. 3, dicembre, pp. 433-478. Saggio che
Mondolfo ripropone nel volume Per il centenario di G. G. Rousseau (Formiggini,
Genova 1913) e poi con alcune modifiche nell'Introduzione alle opere di
Rousseau (Discorsi e il Contratto sociale, a cura di R. Mondolfo, Cappelli,
Bologna 1924). Nuovamente ripubblicato nel volume Rousseau e la coscienza
moderna (La Nuova Italia, Firenze 1954), di cui si ha una precedente edizione
in lingua spagnola (Rousseau y la consciencia moderna, Imán, Buenos Aires
1944). Ora disponibile anche in Tra teoria sociale e filosofia politica.
Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti 1903-1931,
cit., pp. 55-100. 皿
INTERNET ARCHIVE 1913 56. Socialismo e filosofia: I. La crisi
e la necessità di un orientamento filosofico; II. Materialismo, realismo
storico e lotta di classe; III. La necessità della filosofia della praxis, in
«Unità», Firenze, II, n. 1-2-3, gennaio, p. 223, p. 226, p. 230. Ristampato
nelle prime due edizioni di Sulle orme di Marx, Cappelli, Bologna 1919 e 19203,
rispettivamente a pp. 14-25 e pp. 17-28. Nella terza edizione in due volumi
(Cappelli, Bologna 19233) fu pubblicato privato della prima parte (La
crisi e la necessità di un orientamento filosofico) e con qualche aggiunta.
Anche in La cultura italiana del '900 attraverso le riviste, vol. V, a cura di
F. Golzio e A. Guerra, Einaudi, Torino 1962, pp. 238-247. Presente anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 117-127. Personalità
e responsabilità nella democrazia, in «La Cultura filosofica», Firenze, VII, n.
1, gennaio-febbraio, pp. 19-36. Per l'amore della moralità e
per la moralità dell'amore, in «Critica sociale», Milano, XXIII, n. 4, 16
febbraio, pp. 54-58. La preparazione degli insegnanti, in «Unità», Firenze, II, л. 19,
2 maggio, pp. 297-298. La crisi della scuola media e il compito delle Università, in
«Nuova Antologia», Roma, 16 maggio, pp. 308-322. Ripubblicato da Mon-dolfo, con
alcune modifiche, in Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola
e di cultura, Cappelli, Bologna 1922, pp. 113-144. Discutendo
di materialismo storico, in «Rivista di filosofia neoscolastica», Milano,
Università Cattolica del Sacro Cuore, fasc. 5, pp. 313 ss. 62. Zur
soziologie der Geschlechtsmoral, in «Archiv für Sozialwis-senschaft und
Sozialpolitik», Tübingen, J.C.B. Mohr, vol. 36, pp. 920 SS. Per la
biografia di Giordano Bruno, in «Rivista d'Italia», Roma, XVI, 2, ottobre, pp.
542-545. Appunti di Storia della filosofia (1913-1914), La filosofia di
Giordano Bruno, R. Università di Torino, Facoltà di Lettere e filosofia,
Torino.1914 Francesco Acri e il suo pensiero, Discorso tenuto nella R.
Università di Bologna, Zanichelli, Bologna. Il pluralismo
nell'etica, in «Rivista d'Italia», Roma, n. 2, febbraio, pp. 162-187. Francesco
Acri, in «Rivista pedagogica», Roma-Milano-Napoli, VII, vol. I, giugno, pp.
523-528. 1915 La filosofia in Belgio, «Rivista di filosofia», Genova, VII, n. 1,
gennaio-marzo, pp. 25-46. La crisi del socialismo e l'ora presente, in «Unità», Firenze, IV,
n. 8, febbraio, p. 632. Ristampato anche in La cultura italiana del '900
attraverso le riviste, vol. V, a cura di F. Golzio e A. Guerra, Einaudi, Torino
1962, pp. 455-458. Revolutionärer Geist und historischer Sinn, in «Archiv für die
Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung», her-ausgegeben von Prof.
Carl Grünberg Hischfeld Verlag, Leipzig. Successivamente in italiano: Spirito
rivoluzionario e senso storico, in «Nuova Rivista Storica» (1917), Roma,
I, fasc. 3, pp. 504-17. 1916 71. Le matérialisme historique chez F.
Engels, Trad. de l'Italien par S. Jankelevitch, Giard et Brière,
Paris. 72. Chiarimenti sulla dialettica engelsiana, in «Rivista di
filosofia», Genova, VIII, novembre-dicembre, fasc. V, pp. 701-715. Ripubblicato
nelle prime due edizioni di Sulle orme di Marx con il titolo La dialettica di
Engeis (Cappelli, Bologna 1919, pp. 115-128; Cappelli, Bologna 19203, pp.
153-166). Poi in appendice alle edizioni del 1952 e 1973 de Il materialismo
storico in Federico Engels. Ristampato anche in Tra teoria sociale e filosofia
politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti
1903-1931, cit., pp. 101-115.1917 Spirito rivoluzionario e
senso storico, in «Nuova rivista storica», Roma, I, fasc. 3, pp. 504-17. Titolo
originale: Revolutionärer Geist und historischer Sinn, in «Archiv für die
Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung» (1915), herausgegeben von
Prof. Carl Grünberg, Hischfeld Verlag, Leipzig. Nella versione italiana è
apparso anche nella prima edizione di Sulle orme di Marx (Cappelli, Bologna
1919, pp. 50-63) e nelle successive. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 128-141. Dai sogni d'egemonia
alla rinuncia della libertà. Discorso letto per la solenne inaugurazione degli
studi nell'Università di Bologna il 5 novembre 1917, Zanichelli, Bologna.
Confluito con una nota introduttiva e con il titolo La teoria della egemonia
tedesca in Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L. Bassi, Cappelli,
Bologna 1958, pp. 108-142. Ristampato anche in Rodolfo Mondolfo e la guerra
delle idee. Scritti (1917-1919), a cura di G. Ferrandi, Museo storico del
Trentino e Società aperta di Trento, Trento 1998, pp. 55-77. 1918 Imperialismo
e libertà, in «Unità», VII, 1, p. 4. Il primo assertore della
missione germanica: Herder, in «Rivista delle nazioni latine», III, vol.1, n.
3, pp. 155-168. Ristampato in Rodolfo Mondolfo e la guerra delle idee - Scritti
(1917-1919), cit., pp. 95-106 Tra il primato d'un popolo e
la missione universale delle nazioni, in «Nuova rivista storica», Milano, vol.
II, fasc. V-VI, settembre-dicembre, pp. 582-94. Pubblicato anche in Rodolfo
Mondolfo e la guerra delle idee - Scritti (1917-1919), cit., Pp. 107-121.
1919 78. Leninismo e marxismo, in «Critica sociale», Milano, XXIX, n.
4, 16-28 febbraio, pp. 44-46. Poi in Sulle orme di Marx, a partire dalla
seconda edizione (Cappelli, Bologna 19203, pp. 29-37). Ristampato nella
raccolta di saggi Studi sulla rivoluzione russa, a cura del Centro Studi di
Critica Sociale, Morano, Napoli 1968, pp. 21-32. Presenteanche in Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 146- 151. Leninismo
e socialismo, in «Critica sociale», Milano, XXIX, n. 7,8, 9, aprile-maggio, pp.
76-78, pp. 87-88, pp. 104-106. Confluito poi nella seconda e nella terza
edizione di Sulle orme di Marx, rispettivamente a pp. 37-55 e pp. 114-119.
Ristampato anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp. 32-55. Il
socialismo e il momento storico presente, in «Energie Nove», Torino, II, n. 4,
20 giugno, p. 82-89. Poi inserito nelle prime due edizioni di Sulle orme di
Marx: Cappelli, Bologna 1919, pp. 1-13; Cappelli, Bologna 1920, pp. 1-15. Nella
terza edizione con un cambiamento di titolo (Il socialismo dopo la guerra):
Cappelli, Bologna 19233, pp. 52-70. Recentemente anche in Rodolfo Mondolfo e la
guerra delle idee - Scritti (1917-1919), cit., pp. 123-134. 81.
L'insegnamento di Marx, in «Critica sociale», Milano, XXIX, n. 19, 1-15
ottobre, pp. 266-267. Saggio apparso anche come Prefazione alla prima edizione
di Sulle orme di Marx. Studi di marxismo e di socialismo, Cappelli,
Bologna 1919, pp. I-VIII. Sulle orme di Marx. Studi di
marxismo e di socialismo, Cappelli, Bologna. Per una
coscienza realistica della storia e della rivoluzione sociale, in «Critica
sociale», Milano, XXIX, n. 24, 16-31 dicembre, pp. 338-343. Ristampato nella
seconda edizione di Sulle orme di Marx, Cappelli, Bologna 19203, pp. 89-99 e
nella 3ª edizione, I volume a pp. 71-81 con il titolo Visioni realistiche e
utopie rivoluzionarie. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici
1908-1966, cit., pp. 158-168. 1920 Problemi
concreti: la scuola: I. L'azione «pro schola» e la difesa della coscienza
laica, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 2, 16-31 gennaio, pp. 23-26. Campane
d'allarme, in «Il Progresso», Bologna, 17 gennaio, p. 3. Problemi
concreti: II. Il proletariato e la scuola media. La difesa dellafunzione
sociale della finalità educativa della scuola di Stato, in «Critica sociale»,
Milano, XXX, n. 2, 15 marzo, pp. 72-76. Più recentemente in Educazione e
socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma
Gentile), cit., pp. 175-188. Problemi concreti: III.
Linee di un programma d'azione scolastica: a) Premesse generali; b) il concetto
di servizio pubblico e la scuola, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 7, 1-15
aprile, pp. 108-110. Problemi concreti: c) L'amministrazione della scuola, in «Critica
sociale», Milano, XXX, n. 8, 16-30 aprile, pp. 125-126. Problemi
concreti: d) La partecipazione del proletariato alla cultura, in «Critica
sociale», Milano, XXX, n. 9, 1-15 maggio, pp. 137-140. Riportato anche in
Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e di cultura, cit.,
pp. 99-106. Gli adulatori del proletariato, in «Cultura popolare», Milano,n.
8, agosto, pp. 375-378. Anche in Libertà della scuola, esame di stato e
problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 107-112. Intorno
al progetto Rignano, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 15, 1-15 agosto, pp.
230-233. Recensione a E. di Carlo, Ferdinando Lassalle, in «Critica
sociale», Milano, XXX, n. 17, 1-15 settembre, p. 272. Roberto
Ardigò, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 18, 16-30 settembre, pp. 285-288.
Recensione
a G. Bevilaqua, C'è uno spettro in Italia, Modernissima, Milano 1920, in
«Critica sociale», Milano, XXX, n. 18, 16-30 settembre, p. 288. Roberto
Ardigò, in «Il Tempo», 16 settembre. Socialismo e lezioni
della realtà, intervista con Rodolfo Mondolfo, in «Il piccolo della sera»,
Trieste, 24 settembre. Il marxismo e la crisi europea, in «Scientia», XIV, n. 6, 28,
dicembre, pp. 457-466. Il problema sociale contemporaneo, relazione al IV congresso
italianodi filosofia, in «Rivista di filosofia», Bologna, vol. XII, n. 4,
ottobre-dicembre, pp. 303-324. Confluito poi in Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna 1923°, pp. 82-101. Parte di questo articolo apparve con il titolo Le
condizioni della rivoluzione, in «Critica sociale», Milano, XXX n. 24, 16-31
dicembre 1920, pp. 374-376. Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici
1908-1966, cit., pp. 186-203. 99. Le condizioni della rivoluzione, in
«Critica sociale», XXX, n. 24, 16- 31 dicembre, pp. 374-376. Sulle
orme di Marx, 2ª edizione accresciuta di nuovi saggi, Cappelli, Bologna. La
rivoluzione e il blocco, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 11 dicembre, p. 1. Per la
realtà del socialismo, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 16 dicembre, p. 1.
1921 103. Le condizioni della rivoluzione, in «La Giustizia», Reggio
Emilia, 1 gennaio, p.1. Martoff
contro Zinovieff e l'antitesi fra socialismo e bolscevismo, in «Critica
sociale», Milano, XXXI, n. 2, 16-31 gennaio, pp. 21-23. Poi in Sulle orme di
Marx, Cappelli, Bologna 19233, pp. 134-140. Ristampato anche in Studi sulla
rivoluzione russa, cit., pp. 55-63. Introduzione
a F. Turati, Le vie maestre del socialismo, Cappelli, Bologna. Forza e
violenza nella storia, Introduzione a S. Panunzio, Diritto, forza e violenza.
Lineamenti di una teoria della violenza, n. III della «Biblioteca di Studi
sociali diretta da R. Mondolfo», Cappelli, Bologna. Pubblicata con l'aggiunta
di alcune note in Sulle orme di Marx, II vol., Cappelli, Bologna 19233, pp.
57-69. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit.,
pp. 204-215. 1 corsi di esercitazione nelle Università, in «Educazione
nazionale», Roma, n. 1, 1-15 gennaio, p. 11 funzione sociale della finalità
educativa della scuola di Stato, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 2, 15
marzo, pp. 72-76. Più recentemente in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma
scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
175-188. Problemi concreti: III. Linee di un programma d'azione scolastica:
a) Premesse generali; b) il concetto di servizio pubblico e la scuola, in
«Critica sociale», Milano, XXX, n. 7, 1-15 aprile, pp. 108-110. Problemi
concreti: c) L'amministrazione della scuola, in «Critica sociale», Milano, XXX,
n. 8, 16-30 aprile, pp. 125-126. Problemi concreti: d) La
partecipazione del proletariato alla cultura, in «Critica sociale», Milano,
XXX, n. 9, 1-15 maggio, pp. 137-140. Riportato anche in Libertà della scuola,
esame di stato e problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 99-106. Gli
adulatori del proletariato, in «Cultura popolare», Milano,n. 8, agosto, pp.
375-378. Anche in Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e
di cultura, cit., pp. 107-112. Intorno al progetto Rignano,
in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 15, 1-15 agosto, pp. 230-233. Recensione
a E. di Carlo, Ferdinando Lassalle, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 17,
1-15 settembre, p. 272. Roberto Ardigò, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 18, 16-30
settembre, pp. 285-288. Recensione a G. Bevilaqua, C'è uno spettro in Italia,
Modernissima, Milano 1920, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 18, 16-30
settembre, p. 288. Roberto Ardigò, in «Il Tempo», 16 settembre. Socialismo
e lezioni della realtà, intervista con Rodolfo Mondolfo, in «Il piccolo della
sera», Trieste, 24 settembre. Il marxismo e la crisi
europea, in «Scientia», XIV, n. 6, 28, dicembre, pp. 457-466. Il
problema sociale contemporaneo, relazione al IV congresso italiano= •
archive.org INTERNET ARCHIVE di filosofia, in «Rivista di
filosofia», Bologna, vol. XII, n. 4, ottobre-dicembre, pp. 303-324. Confluito
poi in Sulle orme di Marx, Cappelli, Bologna 1923°, pp. 82-101. Parte di questo
articolo apparve con il titolo Le condizioni della rivoluzione, in «Critica
sociale», Milano, XXX n. 24, 16-31 dicembre 1920, pp. 374-376. Anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 186-203.
99. Le condizioni della rivoluzione, in «Critica sociale», XXX, n. 24,
16- 31 dicembre, pp. 374-376. Sulle
orme di Marx, 2ª edizione accresciuta di nuovi saggi, Cappelli, Bologna. La
rivoluzione e il blocco, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 11 dicembre, p. 1. Per la
realtà del socialismo, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 16 dicembre, p. 1.
1921 103. Le condizioni della rivoluzione, in «La Giustizia», Reggio
Emilia, 1 gennaio, p.1. Martoff
contro Zinovieff e l'antitesi fra socialismo e bolscevismo, in «Critica
sociale», Milano, XXXI, n. 2, 16-31 gennaio, pp. 21-23. Poi in Sulle orme di
Marx, Cappelli, Bologna 19233, pp. 134-140. Ristampato anche in Studi sulla
rivoluzione russa, cit., pp. 55-63. Introduzione
a F. Turati, Le vie maestre del socialismo, Cappelli, Bologna. Forza e
violenza nella storia, Introduzione a S. Panunzio, Diritto, forza e violenza.
Lineamenti di una teoria della violenza, n. III della «Biblioteca di Studi
sociali diretta da R. Mondolfo», Cappelli, Bologna. Pubblicata con l'aggiunta
di alcune note in Sulle orme di Marx, II vol., Cappelli, Bologna 19233, pp.
57-69. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit.,
pp. 204-215. 1 corsi di esercitazione nelle Università, in «Educazione
nazionale», Roma, n. 1, 1-15 gennaio, p. 11.108. Il proletariato e la scuola,
in «La squilla», anno XXI, n. 8, 21-22 gennaio. Recentemente anche in
Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi del '900
alla Riforma Gentile), cit., pp. 189- 192. La
scuola e i partiti, in «Il Progresso», Bologna, marzo. I
discorsi di F. Turati ai Congressi Socialisti, in «Critica sociale», Milano,
XXXI, n. 9, 1-15 maggio, pp. 138-140. Il saggio corrisponde ad alcuni paragrafi
tratti dalla prefazione di R. Mondolfo a F. Turati, Le vie maestre del
socialismo, Cappelli, Bologna 1921. Collaborazione
e lotta di classe, in «Critica sociale», Milano, XXXI, n. 18, 16-31 settembre,
pp. 276-278. Con alcune modifiche inserito anche Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna 19233 pp. 50-56. Per la comprensione storica
del fascismo, in «Critica sociale», Milano, XXXI, n. 22, 16-30 novembre, pp.
343-345. Il saggio corrisponde ad alcuni paragrafi (in particolare il IV e
parte del V) dell' introduzione alla raccolta Il fascismo e i partiti politici
italiani, I volume, Cappelli, Bologna 1924. Significato
e insegnamento della rivoluzione russa, in «Critica sociale», Milano, XXXI, n.
23, 1-15 dicembre, pp. 359-362: I. La contraddizione iniziale; II. La conquista
compiuta; n. 24, 16-31 dicembre, pp. 377-380: III. La nuova contraddizione
risultante e la progressiva consapevolezza del problema. Ristampati con alcune
modifiche e aggiunte in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp. 67 ss.
Estratto poi in edizione Benporad, Firenze 1922. 1922 114. Significato e
insegnamento della rivoluzione russa, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n.
1, 1-15 gennaio, pp. 10-13: IV. La rivincita della realtà; V. L'inevitabile
soluzione: dal libero commercio al capitalismo; VI. La lotta e
l'immediato rapporto delle forze; n. 2, 16-31 gennaio, pp. 26-29: VII.
L'anello e la catena; VIII. Le nuove condizioni del proletariato e la sua
scissione in gruppi concorrenti; I nuovi problemi del Governo: la rivalutazione
della moneta; n. 3, 1-15 febbraio, pp. 44-46: X. Gli insegnamenti: a) non il
dissolvimento ma lo sviluppo è condizionato dalla rivoluzione; b) on ne détruit
que ce qu'on substitue; n. 4, 16-28 febbraio, 61-63: c) Le condizioni di un
regime socialista: produzione e distribuzione; d) I limiti dell'azione
politica: forza ed economia. Ristampato con alcune modifiche in Studi sulla
rivoluzione russa, cit., pp. 126 ss. e pp. 212 ss. 115. La libertà della
scuola, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n. 6, 16-31 marzo, pp.
90-95. Riportato in Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e
di cultura, cit., pp. 9-23. Recentemente in Educazione e socialismo. Scritti
sulla riforma scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile),
cit., pp. 193-208. Scuola e Stato. Lettera a Luigi Miranda, in «Il Tempo», Roma, 20
aprile. Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e di cultura,
cit., pp. 30-32. La libertà e la scuola, in «Il Tempo», Roma, 16 giugno, p. 3. L'esame
di Stato, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n. 12 e 13, 16-31 giugno e 1-15
luglio, pp. 189-192 e pp. 197-202. Riportato anche in Libertà della scuola,
esame di stato e problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 35-43. La
formazione storica delle arti e dello spirito umano in Vitruvio, in «L'Arduo»,
Bologna, II, n. 3, giugno, pp. 153-159. Presente anche in Tra teoria sociale e
filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti 1903-1931, cit., pp. 117-123. Sempre
nuove opposizioni al progetto su l'esame di Stato, in «L'istru-zione media»,
Perugia-Bologna-Firenze, n. 18, 15-25 luglio, pp. 1-2. Lettera
a Piero Gobetti, in «La Rivoluzione liberale», Torino, a. 1, n. 22, 16 luglio,
p. 81-82. Ricostruire, in «La Giustizia», 24-25 luglio. Per la
comprensione storica del fascismo, introduzione alla raccolta Il fascismo e i
partiti politici italiani, I volume, Cappelli, Bologna. Per la
difesa della libertà, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n. 15, 1-15 agosto,
pp. 229-231. 125. Il problema della cultura popolare, in «Critica
sociale», Milano, XXXII, n. 18, 16-30 settembre, pp. 286-288.
772pp. Il comunismo è la negazione del marxismo, in «La Giustizia»,
Milano, 1 ottobre. Libertà della scuola, esame di Stato e problemi di scuola e di
cultura, Cappelli, Bologna. 1923 Prefazione
a S. Diambrini Palazzi, Il pensiero filosofico di Antonio Labriola, Zanichelli,
Bologna. Educazione e rinnovamento sociale in Mazzini e in Marx, in
«Rivista di filosofia», XIV, n. 1, gennaio-marzo, pp.7-15. Con alcune modifiche
anche in Sulle orme di Marx, Cappelli, Bologna 19233, pp. 142-149. Ora anche in
Tra teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti 1903-1931, cit., pp. 125-133. Mazzini
e Marx, in «Critica sociale», Milano, XXXIII, n. 3, n. 4, n. 6, n. 8, n. 9,
rispettivamente nei fascicoli del 1-15 febbraio, 16-28 febbraio, 16-31 marzo,
16-30 aprile, 1-15 maggio e rispettivamente a pp. 42-44, pp. 56-59, pp. 89-95
pp. 124-127, pp. 134-138. Poi confluito in Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna, 19233, pp. 73-104. Il
monito delle tradizioni del Risorgimento nazionale, in «Istruzione media», n.
5, 25 febbraio, p. 1. Ripubblicato successivamente con il titolo Scuola, patria
e libertà, in «La Giustizia», quotidiano del Partito Socialista Unitario,
Milano, n. 52, 2 marzo 1923, p. 2. Più recentemente anche in Educazione e
socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi del 900 alla Riforma
Gentile), cit., pp, 227-231. Scuola, patria e libertà, in
«La Giustizia», quotidiano del Partito Socialista Unitario, Milano, n. 52, 2
marzo, p. 2. Il materialismo storico: conferenza all'Università Proletaria di
Milano, in «L'Avanti!», Milano, 13 marzo. Volontà
e necessità nella storia, scambio di lettere tra E. C. Longobardi e R.
Mondolfo, in «L'Avanti!», 25 e 30 marzo. 135. Il materialismo storico, in
«La Rivoluzione liberale», Torino, II, п. 8, 3 aprile, p. 33-34.
Ristampato con l'aggiunta di una nota (datata 1958) in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 217-227. Mentre
la riforma si compie, in «L'istruzione media», n. 9, 5 aprile, p. 1. I punti
oscuri, in «L'istruzione media», n. 15, 25 maggio-5 giugno, p. 1. La
riforma della scuola, in «Critica sociale», Milano, XXXIII, n. 11, 1-15 giugno,
pp. 168-170. Ora anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma
scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
233-241. Il problema sociale in Mazzini e Marx, in «Critica sociale»,
Milano, XXXIII, п. 12, n. 14, n. 16 rispettivamente nei fascicoli del 16-30
giugno, 16-31 luglio, 16-31 agosto e alle pp. 181-186, pp. 219-222, pp.
250-252. Con alcune modifiche confluito in Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna 19233, pp. 123-137. Scuola e libertà (Note
polemiche), in «Critica sociale», Milano, XXXIII, n. 13, 1-15 luglio, pp.
195-196. Risposta all'inchiesta tra scrittori italiani: Dove va il mondo?,
Libreria politica moderna, Roma. Aspetti
della crisi contemporanea, in «Studi politici», anno 1, n. 9-10,
settembre-ottobre, pp. 221-224. 143. La riforma universitaria, in
«Critica sociale», Milano, XXXIII, n. 20, 16-31 ottobre, pp.
318-321. Libertà e funzione sociale della scuola nella riforma Gentile, in
«Cultura popolare», n. 10-11, ottobre-novembre, rispettivamente a pp. 470-483 e
pp. 519-535. Recentemente anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla
riforma scolastica (dagli inizi del 900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
243-283. Si chiedono dati statistici, in «L'istruzione media», n. 26, 5
novembre, p. 1. L'esperimento russo, in «La Rivoluzione liberale», Torino, II, п.
36, 20 novembre, p. 146. Verso la scuola confessionale?, in «L'istruzione media», n. 28, 25
novembre, p. 1. Si chiedono dati statistici, in «L'istruzione media», n. 26, 5
novembre, p. 1. La lotta di classe in Russia, in «La Rivoluzione liberale»,
Torino, II, n. 37, 27 novembre, p. 150. 150. Le attività del bilancio, in
«Critica sociale», Milano, XXXIII, n. 21, novembre, pp. 328-330. Anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 328-330. Contadini
e proletariato nella Rivoluzione russa, in «Nuova rivista storica», Milano,
VII, fasc. VI, novembre-dicembre, pp. 541-566. Sulle
orme di Marx, 3ª edizione in due volumi, Cappelli, Bologna: vol. 1 Studi sui
tempi nostri, vol. Il Lineamenti di teoria e di storia critica del marxismo. La
filosofia e l'insegnamento di Francesco Acri (commemorazione nel decennale
della sua morte), in «Rivista di filosofia», XVI, n. 4, dicembre, pp. 289-319. Significato
e insegnamenti della rivoluzione russa, con prefazione di C. Treves, Bemporad,
Firenze. 1924 Contributo a un chiarimento di idee, in «Critica sociale», Milano,
XXXIV, n. 1, gennaio, pp. 14-16. Ristampato anche in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 235-241. Il
rispetto dei diritti acquisiti e l'interesse della nazione, in «L'istruzione
media», n. 3, 21-31 gennaio, p. 1. Marxismo
e revisionismo, in «Libertà», quindicinale della gioventù socialista, Milano,
n. 4, 18 febbraio. La filosofia politica in Italia nel sec. XIX, in Raccolta sulla
Storia d'Italia nel secolo XIX, a cura dell'Istituto superiore di
perfezionamento pergli studi politico sociali e commerciali in Brescia,
Litotipo editrice, Padova, pp. 82 ss. Dal
naturalismo di Feuerbach allo storicismo di Marx, in «Rivista di psicologia»,
Bologna, XX, n. 1, gennaio-marzo, pp. 36-42. Si tratta di un breve estratto da
Feurbach e Marx pubblicato in versione ampliata nella 3ª edizione (vol. II) di
Sulle orme di Marx. Si trova anche in Tra teoria sociale e filosofia politica.
Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti 1903-1931, cit.,
pp. 135-142. Ricordando Antonio Labriola, in «Critica sociale», Milano, XXXIV,
n. 4, febbraio, pp. 61-63. Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici
1908-1966, cit., pp. 242-246. L'esame
di Stato professionale, in «L'istruzione media», n. 7, 1-10 marzo,p. 1. J. J.
Rousseau, Discorsi e Contratto sociale, a cura di R. Mondolfo, Cappelli,
Bologna. L'idealismo di Jaurés e la funzione storica delle ideologie, in
«Cri-tica sociale», Milano, XXXIV, n. 16, agosto, pp. 248-250. Ristampato in
Tra teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti 1903-1931, cit., pp. 143-147. Dopo il
primo esperimento, in «Istruzione media», n. 25 e n. 26, 1-20 e 21-30
settembre, rispettivamente a p. 1 e p. 2. Le cose
più grandi di lui (i programmi degli esami di Stato), in «Istruzione media», n.
28, 29 e 30, 20 e 30 ottobre e 10 novembre, rispettivamente a p. 1, pp. 1-2, p.
1. Necrologio di Felice Momigliano, in «Rivista di filosofia»,
Torino, XV, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 86-87. Prefazione
a F. Dal Monte, Filosofia e mistica in Bonaventura da Bagnorea, Libreria di
scienze e lettere, Roma. 1925 168. Sintomi premonitori in Russia. Nuove
forze politiche in vista, in«Critica sociale», Milano, XXXV, n. 2, 16-31
gennaio, pp. 22-25. Anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp.
235-245. 169. Opere scelte di Cesare Beccaria, con introduzione e note a
cura di R. Mondolfo, Cappelli, Bologna. 170. La questione
istituzionale, in «La Rivoluzione liberale», Torino, IV, n. 3, 18
gennaio, p. 9. 171. Francesco Fiorentino, in «Nuova rivista storica»,
Milano, IX, fasc. II-III, marzo-giugno, pp. 161-188. Confluito poi in R.
Mondolfo, Da Ardigò a Gramsci, Nuova Accademia, Milano 1962, pp. 45-97. Discussioni
marxiste, in «La Rivoluzione Liberale», Torino, IV, n. 13, 29 marzo, p. 53.
Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908- 1966, cit., pp. 248-253. Intorno
ai nuovi concorsi, in «L'Istruzione media», n. 9, 31 marzo, p. 1. I punti
del problema: per definire la discussione marxista, in «La Rivoluzione
Liberale», Torino, IV, n. 17, 26 aprile, p. 69-70. Ristampato in Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 254-259. Liberalismo
della vecchia destra, in «Critica sociale», Milano, XXXV, n. 7, 1-15 aprile,
pp. 92-94. L'opera di Ferdinande Lassalle, in «Critica sociale», Milano,
XXXV, n. 8, 16-30 aprile, pp. 107-108. 177. Il problema delle classi
medie, in «Critica Sociale», Milano, XXXV, n. 9, maggio-giugno, pp.
120-124 e n. 11 pp. 133-137. Uscito anche come opuscolo con un preambolo di
Filippo Turati nell'edizione La Giustizia, Milano 1925. Il
pensiero di Engels e la prassi storica della classe lavoratrice, in «Critica
sociale», Milano, XXXV, n. 14, 16-31 luglio, pp. 162-163. Proletariato
e ceti intellettuali, in «La Giustizia», 15 luglio, p. 3. Beccaria
e Kant, in «Rivista Internazionale di Filosofia del Di-ritto», Genova, anno V,
fasc. IV, ottobre-dicembre, pp. 617-619. Ristampato in Tra teoria sociale e
filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti 1903-1931, cit., pp. 149-151. La
negazione della realtà dello spazio in Zenone di Elea, in «Rendiconti
dell'Istituto Marchigiano di scienze, lettere ed arti», I, pp. 41-49. Poi in
Problemi del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1935, pp. 146-155. Per la
serietà dell'esame di Stato, in «Istruzione Media», Parma, n. 22, 22 agosto, p.
1 Critiche esagerate?, in «L'istruzione media», Parma, n. 25, 10
ottobre, p. 1. Veritas filia temporis in Aristotele, in Scritti filosofici per le
onoranze nazionali di Bernardino Varisco, Vallecchi, Firenze, pp. 235-253.
Presente anche in Momenti del pensiero greco, Morano, Napoli 1964, pp.
1-20. 185. Das Problem der Mittelklassen in seiner Bedeutung für
den Sozialismus in Italien, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus
und der Arbeiterbewegung», herausgegeben von Carl Grünberg, XII, p. 1
ss. 186. Beccaria filosofo, in «Rivista di filosofia», Torino, XVI, n. 1,
dicembre, pp. 1-11 ss. Tratto dall' introduzione a Opere scelte di Cesare
Beccaria, Cappelli, Bologna 1925. 1926 187. Risposta a un'inchiesta
sull'idealismo, in «Il Baretti», Torino, a. 3., n. 1, gennaio, p.
72. Un cervello maschile, un cuore materno. In memoria di Anna
Kuliscioff, in «Critica Sociale», Milano, XXXVI, n. 1-2, 1-31 gennaio, p. 20. Moto e
vuoto, in «Il Baretti», Torino, a. 3, n. 2, febbraio, p. 76. Il
problema etico e culturale del socialismo nei rapporti col movimento
socialista, in «Critica sociale», XXXVI, n. 3, 1-15 febbraio, pp. 36-38. Materialismo,
idealismo, realismo critico-pratico, in «Il Quarto Stato», Milano, I, n. 4, 17
aprile, p. 3. Ristampato anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966,
cit., pp. 261-265. Per la revisione del bilancio idealistico, in «Il Quarto Stato»,
Milano, I, n. 21, 21 agosto, p. 3. Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici
1908-1966, cit., pp. 266-273. Primum
intelligere..., in «Il Quarto Stato», Milano, I, n. 29, 23 ottobre, p. 1-2.
Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 274-276. Dall'esperienza
agricola russa al problema contadino occidentale, in «Critica sociale», Milano,
XXXVI, n. 18-19, 16 settembre-31 ottobre pP. 280-287. Ristampato anche in Studi
sulla rivoluzione russa, cit., pp. 247-271. Diderot,
D'Alambert e il Trattato delle sensazioni, in «L'idealismo realistico», Roma.
1927 Condillac contro Condillac. Critica della prima parte del Trattato
delle sensazioni, in «Rivista di Psicologia», n. 1. Sulla
nozione di progresso, sintesi di una comunicazione al Congresso della Società
per il progresso delle Scienza (sezione scienze filosofiche), in Atti del
Congresso di Bologna. Il trattato delle sensazioni di Condillac, con introduzione su
L'Opera di Condillac, Cappelli, Bologna. Spinoza
e la nozione del progresso umano, in «Rivista di filosofia», XVIII, n. 3,
luglio-settembre, pp. 262-266. Anche in Tra teoria sociale e filosofia
politica. Rodolfo Mondolo interprete della coscienza moderna. Scritti
1903-1931, cit., pp. 153-157. 200. La polemica di Zenone d'Elea contro il
movimento, parte I, in «Rivista di Filologia e d'istruzione classica», Torino,
n. 55, marzo, pp. 433- 452. Confluito poi con alcune aggiunte in R.
Mondolfo, Problemi del pensiero antico, cit., pp. 89-145. 779
1928 Der Faschismus in Italien (sotto lo pseudonimo di «Rerum
italicarum scriptor»), in Internationaler Faschismus, herausgegeben von C.
Landauer und H. Honegger, Karlsruhe. La
polemica di Zenone d'Elea contro il movimento, parte II, in «Rivista di
Filologia e d'istruzione classica», Torino, a. VI, n. 56, pp. 78-107. Confluito
poi con alcune aggiunte in R. Mondolfo, Problemi del pensiero antico,
Zanichelli, Bologna 1935, pp. 89-145. Fichte,
in «Dizionario di scienze pedagogiche», vol. I, Vallardi, Milano, pp. 539-542.
Confluito poi nella raccolta Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L.
Bassi, Cappelli, Bologna 1958, pp. 95-106 Il
realismo di Roberto Ardigò, in «Rivista di filosofia», XIX, n. 2,
aprile-giugno, pp. 198-210. Anche in Tra teoria sociale e filosofia politica.
Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti 1903-1931,
cit., pp. 159-171. 205. Nel primo centenario di Roberto Ardigò, in
«Rivista internazionale di filosofia del diritto», Roma, VIII, fasc. III,
maggio giugno, pp. 380-387. 1929 Romagnosi,
in «Dizionario di scienze pedagogiche», vol. II, Vallardi, Milano, pp. 372-374.
Il
pensiero antico. Storia della filosofia greco-romana, esposta con tesi scelti
dalle fonti, Società Editrice Dante Alighieri, Roma-Genova-Milano-Napoli. Sintesi
storica del pensiero antico, Società Editrice Dante Alighieri, Roma-Genova. Rassegne
di storia della filosofia: I. Filosofia del Rinascimento, in «Rivista di
filosofia», XX, Torino, n. 2, aprile-giugno, pp. 159-170. L'antinomia
fondamentale nella visione della vita e della storia di F. Nietzsche, in
«L'idealismo realistico», VI, fasc. 2, pp. 13-18. 211. Die Anfänge der
Arbeiterbewegung in Italien bis 1872 und der Konflikt zwischen Mazzini
und Bakunin, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus und der
Arbeiterbewegung», herausgegeben von Prof. Carl Grünberg, Hischfeld
Verlag, XIV, heft 3, Leipzig, pp. 339- 365. 212. Il superamento
dell'utilitarismo e la coscienza morale nella dottrina epicurea, in «Rendiconto
delle sessioni della R. Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna», vol.
3, Azzoguidi, Bologna. Confluito poi in Problemi del pensiero antico,
cit., pp. 187-203. 1930 213. Responsabilità e sanzione nel più
antico pensiero greco, in «Civiltà moderna», Firenze, II, n. 1, 15 febbraio,
pp. 1-16. Poi confluito in Problemi del pensiero greco, cit., pp.
3-20. 214. Razionalità e irrazionalità della Storia: per una visione
realistica del problema del progresso, in «Nuova Rivista Storica», Milano, XVI,
fasc. 1-II, gennaio-aprile, pp. 1 ss. Collaborazione
alla «Encyclopedia of the Social Sciences» della Columbia University di New
York; voci: T. Campanella, A. Costa. I
primordi del movimento operaio in Italia avanti il 1872 e il conflitto tra
Mazzini e Bakunin, in «Nuova Rivista Storica», anno XIV, fasc. IV-V,
luglio-ottobre, pp. 394-412. Trad. it.: Die Anfänge der Arbeiterbewegung in
Italien bis 1872 un Konflikt zwischen Mazzini und Bakunin (cfr. n. 211).
Riproposto poi da Mondolfo in una rivista argentina nel 1955 (cfr. n. 410).
Nella versione italiana, anche in Tra teoria sociale e filosofia politica.
Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti 1903-1931,
cit., pp. 173-191. Collaborazione alla «Enciclopedia Italiana» (Istituto Treccani);
voce: Giordano Bruno, vita ed opere, religione e filosofia, dio e l'universo:
il monismo, l'etica, vol. VII, pp. 980-984. Nella sua versione rielaborata
Mondolfo ripropone questo articolo in Figure e idee del Rinascimento, trad. di
L. Bassi, La Nuova Italia, Firenze 1963, pp. 35-111. Recensione
a G. Tarozzi, L'esistenza e l'anima, in «Nuova Rivista Storica», XIV, ottobre.
219. Collaborazione alla «Enciclopedia Italiana» (Istituto Treccani); voci:
Comunismo (esposizione critica della dottrina e della storia), vol. IX, pp.
29-34; Filone di Alessandria, vol. XV, p. 352; C. A. Helvétius, vol.
XVIII, pp. 450-451. 1931 Collaborazione
alla «Encyclopedia of the social Sciences» della Columbia University di New
York; voci: Epicure and epicureanism, Giuseppe Ferrari, Gaetano Filangeri,
Pasquale Galluppi, Melchiorre Gioia, Gian Vincenzo Gravina, Theodor Karl Grün,
Peter Alexeyevitch, Antonio Labriola. Collaborazione
a «Pedagogia» (Enciclopedia delle Enciclopedie, Formiggini, Roma); voci:
Didattica della filosofia, pp. 305-312; Libertà e Laicità della scuola, pp.
820-835. Entrambi riportati in Educazione e cultura come problemi sociali,
Cappelli, Bologna 1957, pp. 149-161 e pp. 123-147. Comunicazione
al Congresso della Società Italiana per il progresso delle scienze su Criteri
di studio del problema riguardante le origini della filosofia greca. Germi
in Bruno, Bacone e Spinoza del concetto marxistico della storia, in «Civiltà
moderna», Firenze, anno III, n. 5, 15 ottobre, pp. 921-933. Scritto pubblicato
anche in Germania nel 1932 (cfr. n. 228) e, successivamente, nel 1936 sulla
rivista argentina «Dialéctica» (cfr. n. 277). Recentemente anche in Tra
teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti 1903-1931, cit., pp. 193-203. Un
educatore scomparso: Giovanni Marchesini, in «La Cultura popolare», XXI, 12,
pp. 467-473. Rapporti tra la speculazione religiosa e la filosofia nella Grecia
antica, I, in «La Nuova Italia», Firenze, II, dicembre, pp. 463-468. Intorno
al contenuto dell'antica teogonia orfica, in «Rivista di Filologia e
d'istruzione classica», a. IX, n. 59, dicembre, pp. 433-461.1932 Rapporti
tra la speculazione religiosa e la filosofia della Grecia antica, II, in «La
Nuova Italia», Firenze, III, gennaio, pp. 11-18. Il
concetto della «umwälzende Praxis» e i suoi germi in Bruno e Spinoza, in
«Grünbergs Fetschrift», C. L. Hirschfeld, Leipzig, pp. 365-376. I
Discorsi e il Contratto sociale di J. J. Rousseau, trad. con introduzione e
commento, 2ª edizione, Cappelli, Bologna. Collaborazione
alla «Enciclopedia Italiana» (Istituto Treccani); voci: Antonio Labriola, vol.
XX, pp. 334-335; Internazionale e Internazionalismo, vol. XIX, pp. 394-396. Il
Giansenismo in Italia di A. C. Jemolo, in «Rivista di Filosofia», Torino. Discutendo
il problema dei caratteri differenziali tra filosofia antica e moderna, in
«Rivista di filosofia», Milano, XXII, n. 3, luglio-settembre, PP. 189-209.
Articolo contenente il paragrafo finale della Nota sul genio ellenico, inserita
nell'edizione italiana di E. Zeller-R.Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo
sviluppo storico, Parte I: I Presocratici; vol. 1: Origini, caratteri e periodi
della filosofia greca, La Nuova Italia, Firenze 1932. Nell'edizione del
1951 si trova alle pp. 344-355. 233. Arte e religione in Grecia secondo
gli schemi del neoumanesimo, in «Civiltà moderna», Firenze, IV, n. 2, giugno,
pp. 186-209. Tratto da R. Mondolfo, Nota sul genio ellenico in E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, cit.
Nell'edizione del 1951 si trova a pp. 336 ss. 234. Nota sulla divisione
in periodi della filosofia greca, in «Archivio di storia della filosofia», a.
I, fasc. 2, aprile-giugno, pp. 156-170. Anche in E. Zeller-R. Mondolfo, La
filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1 presocratici, vol. I:
Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, La Nuova Italia, Firenze
1951, pp. 375-384. Poi anche in Id., La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico, Parte I: I presocratici, vol. II: lonici e Pitagorici, La Nuova
Italia, Firene 1938, pp. 27-89. 235. Collaborazione a
«Encyclopedia of the Social Sciences» della Columbia University di New York;
voci: Lucretius, Karl Geory Winkelblech (Karl Marlo). E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca,
traduzione e aggiornamenti, La Nuova Italia, Firenze. Studi
sopra l'infinito nel pensiero dei Greci, in «Memoria della R. Accademia delle
Scienze dell'Istituto di Bologna, classe di scienze morali», serie 3, tomo 6,
Gamberini e Parmeggiani, Bologna 1931- 1932. Pubblicato anche
nell'edizione Azzoguidi, Bologna 1932. 1933 Eternità
e infinità del tempo in Aristotele, in «Giornale Critico della Filosofia
Italiana», Firenze, XIV, pp. 30-43. Il
contributo di Zenone d'Elea alla scoperta dell'infinitesimale, in «Archivio di
storia della filosofia», IX, gennaio. La
preparazione dei greci alla comprensione dell'infinito, in «Civiltà moderna»,
Firenze, V, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 1-14. La
concezione dell'Empireo in Platone, in «La Nuova Italia», Firenze, marzo.
242. Il passaggio dal teleologismo al determinismo nella dottrina peripatetica
dell'eternità del mondo, in «Rivista di filosofia», Milano, XXIV, n. 2,
aprile-giugno, pp. 97-109. Articolo tratto da un capitolo della I edizione de
L'infinito nel pensiero dei Greci, Le Monnier, Firenze 1934.
Nell'edizione ampliata del 1956 corrisponde a pp. 141-159. L'infinità
divina nelle teogonie greche presocratiche, in «Studi e materiali di storia
delle religioni», Roma, vol. IX, pp. 72 ss. Tratto da L'infinito nel pensiero
dei greci, Le Monnier, Firenze 1934, pp. 271-294. L'infinità
della potenza divina in Aristotele (Dal concetto negativo al concetto positivo
dell'infinito), in «Ricerche religiose», Roma, IX, luglio, Pp. 305-311. Tratto
da L'infinito nel pensiero dei greci, Le Monnier, Firenze 1934. L'infinità
dell'essere in Melisso di Samo (contributi a un processo di riabilitazione), in
«Sophia», Padova, 1, aprile-giugno, pp. 159 ss. L'infinità
divina da Filone ai neoplatonici e ai suoi precedenti, in «Atene e Roma»,
Firenze, Le Monnier, anno I, serie III, n. 3, luglio-settembre, pp. 192-200.
Articolo rielaborato tratto L'Infinito nel pensiero dei greci, Le Monnier,
Firenze, 1934. L'infinità del numero dai Pitagorici a Platone e ad Archimede, in
«Archivio di filosofia», Roma, fasc. 2, aprile-giugno, pp. 68-79. «Prassi
che rovescia» o «Prassi che si rovescia»?, in «Rivista internazionale di
filosofia del diritto», Roma, XIII, fasc. VI, pp. 743 ss. Scritto che viene
successivamente inserito da Mondolfo in Il materialismo storico in Federico
Engels (1952). Nella successiva riedizione del 1973 si trova alle pp. 401-403. Collaborazione
alla «Enciclopedia italiana»; voce: Materialismo storico, vol. XXII, pp.
563-564; Il contratto di lavoro nella voce Il lavoro, in XX, pp. 663-665. Collaborazione
alla «Encyclopedia of the Social Sciences» della Columbia University di New
York; voce: Paolo Paruta. Lezioni di storia della filosofia svolte dal chiar. prof. Rodolfo
Mondolfo durante l'Anno accademico 1933-34, a cura di S. Bortolotti e E. Wittig
Universita di Bologna, Facoltà di Lettere e filosofia, Bologna. 1934 La
genesi storica della filosofia presocratica, in «La Nuova Italia», Firenze, 20
marzo, pp. 82-94. Prefazione al libro di G. Fontanesi, Il problema filosofico
dell'amore nell'opera di Leone ebreo, Libreria Emiliana, Venezia, pp. I-XIII. Problema
umano e problema cosmico nella formazione della filosofia greca, Memoria
presentata all'Accademia delle Scienze di Bologna nella sessione del 17 marzo,
Azzoguidi, Bologna, pp. 1-32. Anche in Problemi del pensiero antico, cit., pp.
23-85. 785 255. Note sull'eleatismo: a proposito degli Studi
sull'eleatismo di G. Calogero, in «Rivista di filologia e d'istruzione
classica», Torino, a. XII, n. 62, giugno, pp. 209-228. Poi in Problemi
del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1935, pp. 156-185. 256. I
problemi dell'infinità numerica e dell'infinitesimo in Aristotele, in
«Rivista di filosofia», Milano, XXV, n. 3, luglio-settembre, pp. 210-
219. Tratto da L'infinito nel pensiero dei greci, Le Monnier, Firenze
1934. Caratteri e sviluppi della filosofia presocratica, in «Sophia»,
Roma, luglio-settembre, pp. 274-288. La
giustizia cosmica secondo Anassimandro ed Eraclito, in «Civiltà moderna»,
Firenze, vol. VI, n. 5-6, settembre-dicembre, pp. 409-424. L'infinito
nel pensiero dei Greci, Le Monnier, nella Collezione di «Studi filosofici»
diretta da G. Gentile, Firenze. Recensioni in «Pan»: A.
Rosemberg Storia del bolscevismo da Marx ai giorni nostri, Sansoni, Firenze, in
«Rivista internazionale di filosofia del diritto»; N. Festa, I frammenti degli
stoici antichi, vol. I, Laterza, Bari 1932; G. Della Valle, Tito Lucrezio Caro
e l'epicureismo campano, Accademia Pontaniana, Napoli 1933; Id., Dove nacque T.
Lucrezio Caro?, Stab. industrie editoriali meridionali, Napoli 1933, in
«Sophia»; G. Pasquali, Pagine stravaganti di un filologo, Carabba, Lanciano
1933; Conte di Gobineau, Il rinascimento, trad. di F. Gentile Tarozzi,
Cappelli, Bologna 1933, in «Civiltà moderna»; G. Mayer, Friederich Engels: Eine
Biographie, M. Nijhoff, Haag 1934; Marx-Engels, Historische, Kritische,
Gesamtausgabe Werke Schriften, Briefe, Berlin, in «Rivista di filosofia»; C.
Ottaviano, Joachimi abbatis liber contra Lombardorum, Reale Accademia d'Italia,
Roma 1934. 261. Collaborazione alla «Enciclopedia italiana»; voce:
Movimento Operaio, vol. XXV, pp. 402-405. 1935 262. Francesco
Fiorentino e il positivismo, in AA.VV, Onoranze a F. Fiorentino nel
cinquantenario della sua morte, Morano, Napoli, pp. 81- 97. 263.
Infinità dell'istante e infinità soggettiva nel pensiero degli antichi, in
«Giornale critico della filosofia italiana», Firenze, 16, pp. 205- 234.
Successivamente in Problemi del pensiero antico, cit., pp. 207- 250.
Inserito poi nella V parte de L'infinito nel pensiero dell'antichità
classica, cit. 264. La genesi e i problemi della cosmogonia di Talete, in
«Rivista di filologia e d'istruzione classica», Torino, XIII, n. 63, giugno,
pp. 145- 167. 265. Physis e theion: intorno al carattere e al
concetto centrale della filosofia presocratica, in «Atene e Roma», Firenze, Le
Monnier, serie III, a. III, n. 2, aprile-giugno, pp. 81-100. Il
principio universale di Anassimandro, in «Civiltà moderna», Firenze,
luglio-agosto, pp. 344-354. Questioni di storia della
scienza greca, in «Rivista di filosofia», Torino, XXVI, n. 23,
luglio-settembre, p. 246-257. L'infinito e le antinomie
logiche nel pensiero greco, relazione al «Congresso della Società italiana per
il progresso delle scienze», tenutosi a Palermo il 12-18 ottobre, Società
italiana per il progresso delle scienze, Roma. Confluito poi in R. Mondolfo, I
problemi del pensiero antico, Zanichelli, cit., pp. 251-265. Collaborazione
alla «Enciclopedia italiana dell'Istituto Treccani»; voci: Sindacalismo,vol.
XXXI, pp. 830-832; Socialismo, vol. XXXI, PP. 990-997; Scienza (classificazione
delle scienze e storia della scienza), vol. XXXI, pp. 156-157. Problemi
del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1935. Lezioni
di storia della filosofia, a cura di E. Zambrini, Università di Bologna,
Facoltà di lettere e filosofia, Bologna. Lezioni
di filosofia moderna: Benedetto Spinoza, tenute dal Chiar.mo Prof Rodolfo
Mondolfo nell'anno 1935-1936, a cura di G. C. Cavalli, GUF G. Venezian,
Bologna. 1936 Gli albori della filosofia in Grecia, in «La Nuova Italia»,
Firenze, gennaio. Feuerbach y Marx. La dialéctica y el concepto de la historia,
trad. di M. P. Alberti, Claridad, Buenos Aires. Su una
presunta affermazione antica della sfericità terrestre e degli antipodi, in
«Archeion», vol. XVIII, n. 1, gennaio-marzo, pp. 7-17. Anaximenea,
in «Rivista di Filologia e d'istruzione classica», Torino, XIV, n. 64, marzo,
pp. 15-26. Gérmenes en Bruno, Bacon y Espinoza de la concepción marxista de
la historia, in «Dialéctica», Buenos Aires, abril. Per
Diogene d'Apollonia, in «Rivista di filosofia», Torino, XXVII, 3,
luglio-settembre, pp. 189-197. Gli atomisti antichi, in «Il
Lavoro», 21 settembre, p. 3. Formes et tendences actuelles
du mouvement philosophique en Italie (in collaborazione con il Prof. Limentani
della R. Università di Firenze), in «Revue de Synthèse», XII, n. 2, octobre,
Paris, pp. 141- L'utopia di Platone, in «Il Lavoro», 17 novembre, p.3. Aristotele
ed Epicuro, in «La Nuova Italia», Firenze, dicembre, pp. 273-279. 1937 Echi
del centenario di Romagnosi, in «Il Lavoro», 22 gennaio, p. 3 La
vitalità di Aristotele, in «Il Lavoro». La
filosofia antica in terra d'Africa e le tendenze del soggettivismo. Estratto da
Atti della XXV Riunione della SIPS a Tripoli, Raduno coloniale della scienza
italiana, 1-7 novembre 1936. Relazione Congresso della Società per il
progresso delle scienze (Tripoli). Problemi
della cosmologia di Anassimandro, in «Logos», Napoli, XX, fasc. I,
gennaio-marzo, pp. 14-30. Da una Nota sulla cosmologia e la metafisica di
Anassimandro introdotta come aggiornamento nel Il vol. dell'edizione italiana
de E.Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte
I: I Presocratici, Il vol.: lonici e Pitagorici, La Nuova Italia, Firenze,
1938, pp. 190 ss. Ancora sull'infinito e gli antichi, in «Sophia», V, 1-2, gennaio-
giugno, pp. 146-152. La prima affermazione della sfericità della terra. Nota
dell'accademico effettivo prof Rodolfo Mondolfo, comunicata il 12 dicembre, in
«Rendiconti delle sessioni della R. Accademia delle scienze dell'Istituto di
Bologna. Classe di scienze morali», serie IV, 1, Bologna, Tip. Azzoguidi, p.
18. Trad. it con l'aggiunta di una postilla in Momenti del pensiero greco e
cristiano, cit., pp. 101-117. Collaborazione
all'«Enciclopedia italiana Treccani»; voci: Unità, Universo (nella storia della
filosofia), vol. XXXIV, pp. 714 e 744. Per
l'interpretazione di F. Fiorentino, in «Archivio di storia della filosofia
italiana», I, VI, 1, p. 32. Sui frammenti di Filolao
(contributo a una revisione del processo di falsità), in «Rivista di Filologia
e d'istruzione classica», XV, n. 65, p. 225-245. Platone
e la storia del pitagorismo, in «Atene e Roma», Firenze, Le Monnier, serie III,
a. V, n. 4. ottobre-dicemre, pp. 235-251. Tratto da una Nota sulle fonti della
nostra conoscenza e ricostruzione storica del Pitagorismo, in E. Zeller-R.
Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, pp. 313 ss. Forme e
tendenze attuali del movimento filosofico in Italia, (in collaborazione con il
Prof. Limentani della R. Università di Firenze), in «Logos», Napoli, XX, pp.
189-215.1938 L'origine dell'ideale filosofico della vita. Comunicazione del
socio Rodolfo Mondolfo, presentata nella seduta del 26 maggio 1938, in
«Rendiconti delle sessioni della R. Academia delle scienze dell'Istituto di
Bologna. Classe di scienze morali», serie V, I, Azzoguidi, Bologna, pp.
121-144. E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico, Parte I: 1 Presocratici, vol. Il: lonici e Pitagorici, La Nuova
Italia, Firenze. Intorno ad Epicarmo, in «Civiltà moderna», Firenze, I, X, n. 2-3,
marzo-giugno, pp. 133-143. L'unità del pitagorismo, in
«La Nuova Italia», Firenze, giugno. 1940 Origen
y sentido del concepto de cultura humanista, para la inauguración de cursos del
Istituto de Humanidades de la Universidad Nacional de Córdoba, El Sol, La
Plata, pp. 21-36. Historia y filosofia, in «Sustancia», Tucumán, a. I, n. 4, marzo,
pp. 530-545. Trad. it. in Alle origini della filosofia della cultura, trad. di
L. Bassi, Il Mulino, Bologna 1956, pp. 164-187. 300. El
materialismo histórico en Federico Engels, version castellana de A.
Mantica, Libreria y Editorial Ciencia, Rosario, vol. di pp. 362. 301. R.
Descartes, Discorso sul metodo, a cura di R. Mondolfo e E. Garin,
Sansoni, Firenze, pp. XXXIII-104. La traduzione e le note di Rodolfo
Mondolfo vennero pubblicate anonime in questa prima edizione, mentre
ricompaiono nelle ristampe successive al 1946. 302. R. Descartes,
Principi di filosofia, a cura di R. Mondolfo e E. Garin, Sansoni, Firenze, pp.
XXXIII-82. La traduzione e le note di Rodolfo Mondolfo vengono pubblicate
anonime in questa prima edizione, mentre ricompaiono nelle ristampe successive
al 1946. 1941 Sócrates,
edición de la Universidad Nacional de Córdoba, Córdoba. Anche in Moralistas
griegos. La conciencia moral de Homero a Epicuro, Imán, Buenos Aires 1941. Sugestiones
de la técnica en las concepciones de los naturalistas presocráticos, in
«Archeion» de la Universidad Nacional del Litoral, XXIII, n. 1, julio, pp.
36-52. Trad. it di L. Bassi: Suggestioni della tecnica nelle concezioni dei
naturalisti presocratici, in Alle origini della filosofia della cultura,
introduzione di R. Treves, Il Mulino, Bologna 1956, pp. 87-106. 305.
Moralistas griegos. La conciencia moral de Homero a Epicuro, Imán, Buenos
Aires. Trad. it. accresciuta a cura di V. E. Alfieri, Moralisti greci. La
coscienza morale da Omero a Epicuro, Ricciardi, Napoli-Milano 1960.
306. Espíritu revolucionario y conciencia histórica, in «Revista Mexicana de
Sociología», Universidad Nacional Autónoma de México, vol. 3, n. 4, 1
dicembre, pp. 71-86. 1942 El
pensamiento antiguo, historia de la filosofia greco-romana, 2 vol., Losanda,
Buenos Aires. El problema del conocimiento desde los presocráticos hasta
Aristóteles, Publicaciónes del Instituto de Humanidades de la Universidad
Nacional de Córdoba, n. 19, Córdoba. La
teoría del sentido interior en San Agustín y sus antecedentes griegos, in
«Insula», Buenos Aires. Trad. it. in Momenti del pensiero greco e cristiano,
cit., pp. 59-84. Espíritu revolucionario y conciencia histórica, in «Revista
mexicana de Sociología» e nel «Boletín del Instituto de Sociología de Bueons
Aires», pp. 43-55. La antinomia del espíritu innovador, in «Sustancia», n. 9,
Tucumán, pp. 12- La filosofia política de Italia en el siglo XIX, Imán, Buenos
Aires. En los orígenes de la filosofía de la cultura, Imán, Buenos Aires.
En el
centenario de Galileo, in «Sur», Buenos Aires, 2, 97-99, octubre-diciempre, pp.
86 e pp. 90. 1943 La crítica escéptica de la causalidad, in El problema de la
causalidad, Publicaciones del Instituto de Humanidades de Córdoba. El
genio helénico y los caracteres de sus creaciones espirituales, Cuadernos de la
Facultad de Filosofía y Letras de Tucumán, Tucumán. Roberto
Ardigó y el positivismo italiano, in «Sustancia», Tucumán, n. 13. Naturaléza
y cultura en la formación de la filosofía griega, Publicaciones del Instituto
de Humanidades, n. 25, Córdoba. Rousseau y la consciencia
moderna, Imán, Buenos Aires. Campanella y Descartes, in
«Estudios de Filosofía», Universidad Nacional de Córdoba. La
filosofía de la historia de Fernando Lassalle, in «Revista mexicana de
Sociología», Universidad Nacional Autónoma de México, vol. 5, n. 3, pp.
343-381. Traducción de Carmelo di Bruno del original italiano. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, 2ª
edizione, La Nuova Italia, Firenze. 1944 323. El pensamiento de Galileo y
sus relaciones con la filosofía y la ciencia antiguas, Publicaciones del
Instituto de Humanidades, n. 33, Córdoba. 30. La
filosofía de Giordano Bruno, trad. Ricardo Resta, in «Minerva», Buenos Aires,
a. 1, vol. 1, mayo-junio. La ética antigua y la noción de conciencia morale, Imprenta de la
Universidad Nacional de Córdoba, Publicaciónes del Instituto de Humanidades, n.
41, Córdoba, pp. 31. Misión de la cultura humanista, in «Papales», Buenos Aires. Determinismo
contra volontarismo en la filosofia de Nietzsche, in «Minerva», Buenos Aires,
II, n. 4. Anche Ensayos críticos sobre filósofos alemanes, Imán, Buenos Aires
1946, pp. 143-165. Trad. it. Determinismo contro volontarismo nella filosofia
di F. Nietzsche, in Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L. Bassi,
Cappelli, Bologna 1958, pp. 145-164. La
politica y la utopía de Campanella. La Ciudad del Sol, in «Revista mexicana de
Sociología», Universidad Nacional Autónoma de México, vol. 6, n. 2, Mayo -
Augosto, pp. 213-223. Origen del ideal filosófico de la vida, in «Revista de estudios
clásicos de la Universidad de Cuyo», Mendoza, n. 1, p. 47-78. Inserito
successivamente in R. Mondolfo, En los orígenes de la filosofía del la cultura,
Libreria Hachette, Buenos Aires 19603, pp. 281 ss. 1945 La
trascendencia extratemporal divina y la infinitud temporal en el período
religioso de la filosofía griega, in «Philosophia», Mendoza, Universidad de
Cuyo, II, n. 2-3, pp. 7-12. Eternidad e infinitud del
tiempo en Aristóteles, Publicaciones del Instituto de Filosofía y Humanidades,
n. 44. Pubblicato nella «Revista de la Universidad Nacional de Córdoba», año
32, n. 2. El infinito y las antinomias lógicas de la filosofia antigua,
«Publicaciones del Instituto de Humanidades», n. 45, Córdoba. El
primer fragmento de Heráclito: texto, traduccion y comentario, in «Revista de
la Universidad de Buenos Aires», tomo V, a. III, n. 3-4, julio-diciembre, pp.
43-50. El pensamento antiguo, 2ª edición revis., Losanda, Buenos Aires. Sobre
la pena de muerte (Kant contra Beccaria), in «Bebel», Santiago del Chile, n.
27, pp. 97 ss. 1946 Bibliografia de G. Bruno, in «Philosophia», Mendoza, Univer- sidad
de Cuyo, 3, pp. 39-55. La infinitud del espiritu en la filosofia antigua, Universidad
Nacional de Córdoba, Publicaciones del Instituto de Filosofía y Humanidades,
Córdoba, n. 49, pp. 955-976. Qué es el materialismo
histórico, in «Babel», Santiago del Chile, n. 31, pp. 36 ss. 339. Prólogo
a W. A. Heidel, La edad heroica de la ciencia, Espasa Calpe, Buenos
Aires. Cesar Beccaria y su obra, Depalma, Buenos Aires, pp. 117. Trad. it
con ampliamenti ed aggiunte: Cesare Beccaria, La Nuova Accademia, Milano 1960. R.
Descartes, Discorso sul metodo, a cura di E. Garin e R. Mondolfo, Sansoni,
Firenze, 2ª edizione. R. Descartes, Principi di filosofia, a cura di E. Garin e R.
Mondolfo, Sansoni, Firenze, 2ª edizione. Il
problema del male in Agostino e nell'agostinismo, conferenza tenuta nell'aula
magna dell'Università di Montevideo il 31 agosto. Confluita in Momenti del
pensiero greco e cristiano, cit., pp. 85-97. 1947 344. Ensayos
críticos sobre filósofos alemanes, Imán, Buenos Aires. Trad. it a cura di L.
Bassi, Filosofi tedeschi: saggi critici, Cappelli, Bologna 1958. La idea
de progreso humano en G. Bruno, in «Babel», Santiago del Chile, n. 39, pp. 97
ss. Tres filósofos de Rinascimiento: Bruno, Galileo, Campanella,
Losanda, Buenos Aires. Poi rifuso in Figuras e ideas de la Filosofía del
Rinacimento, Losada, Buenos Aires 1955. San
Augustín y el problema del mal en el neoplatonismo cristiano, in «Revista de la
Facultad de Humanidades y Ciencias de Montevideo», n. 1, pp. 127-135.
1948 348. Interpretaciones de Heráclito en el último medio siglo, prólogo
a O. Spengler, Heráclito, Espasa-Calpe, Buenos Aires. Interpretaciones
italianas del materialismo histórico, in «Cultura italiana», Buenos Aires.
Trad. it: Il materialismo storico nelle interpre-tazioni italiane, in «Critica
sociale», Milano, XL, n. 3, pp. 54-58. Voluntarismo
y pedagogia de la acción en Mazzini y en Marx, in «Babel», Santiago del Chile,
n. 44, pp. 72 ss. La idea de cultura en el Rinacimiento italiano, in «Jornadas de
centro de cultura italiana», Tucumán, Universidad Nacional, 1, n. 1, pp. 1-20.
Poi in Figure e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze, pp. 233-255.
1949 Die Klassische Philosophie in Latein-Amerika, in «Universitas»,
Stuttgart. Problemas y métodos de la investigación en historia de la
filosofia, Cuadernos de Instituto de Universidad Nacional de Tucumán, Tucumán. Sulle
orme di Marx, 4ª edizione, Cappelli, Bologna. Le
sujet humain dans la philosophie antique, in AA. VV., Proceedingof the Tenth
International Congress of Philosophy, North-Holland Publishing Co., Amsterdam
1949, pp. 1065-8. Voluntad y conocimiento en Heráclito, in «Notas y estudios de
filosofía», Tucumán, 1, pp. 107-111. Spinoza
y la noción de progreso humano, in «Bebel», Santiago de Chile, n. 52, pp. 227
ss. R. Descartes, Discorso sul metodo, a cura di E. Garin e R.
Mondolfo, 3ª edizione, Sansoni, Firenze. R.
Descartes, Principi di filosofia, a cura di E. Garin e R. Mondolfo, 3ª
edizione, Sansoni, Firenze. El hombre como sujeto
espiritual en la filosofía antigua, in Actas de primer Congreso Nacional de
Filosofía, tomo III, Mendoza, Universidad Nacional de Cuyo. 1950 361.
L'utopia di Campanella, in «Studi in onore di Gino Luzzatto», Giuffrè,
Milano. J. J. Rousseau, Discorsi e Contratto sociale, a cura di R.
Mondolfo, 3ª edizione, Cappelli, Bologna. Il
pensiero antico. Storia della filosofía greco-romana, esposta con testi scelti
dalle fonti, 2ª edizione, La Nuova Italia, Firenze. Il
metodo di Galileo e la teoria della conoscenza, in «Rivista di filo-sofia»,
Torino, XLI, fasc. 4, ottobre-dicembre, pp. 375-389. Publicato
contemporaneamente in lingua spagnola (cfr. n. 366). Confluito poi in R.
Mondolfo, Figure e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1963, pp.
291-313. Ensayos sobre el Renacimiento italiano, Universidad Nacional de
Tucumán, Instituto de filosofía, Tucumán. El
método de Galileo y la teoría del conocimiento, in Actas de la Academia de
Ciencias Culturales y Artes de la Universidad Nacional de Tucumán, Tucumán, 1,
pp. 9-27. Trabajo manual y trabajo intelectual desde la antigüedad hasta el
Renacimiento, in «Revista de historia de las ideas de la Universidad Nacional
de Tucumán», Tucumán, n. 1, pp. 5-25. Lavoro
manuale e lavoro intellettuale dall'antichità al Rinascimento, in «Critica
sociale», Milano, XLII, n. 10, n. 11, n. 12, maggio-giugno, rispettivamente
alle pp. 130-133, pp. 148-149, pp. 164-165. Ristampato in Alle origini della
filosofia della cultura, a cura di R. Treves, Il Mulino, Bologna 1956, pp.
125-149. Successivamente anche in Polis, lavoro e tecnica, introduzione e cura
di M. V. Ferriolo, Feltrinelli, Milano 1982, pp. 51-71. 369. La filosofia
dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: I presocratici, vol. Il: Ionici e
Pitagorici, 2ª edizione, La Nuova Italia, Firenze. 1951 370. Lo
humano y lo subjetivo en el pensamiento antiguo, in «Notas y estudios de
filosofía», Tucumán, vol. II, n. 6, abril-junio 1951, p. 109- 122.
371. Sobre una interpretación reciente de Anaxagoras y los eleatas, in «Notas y
estudios de filosofía», Tucumán, vol. 2, n. 7-8, julio- diciembre, pp.
335-343. 372. Preparación profesional e investigación científica, in La
universidad del siglo XX, Universidad Nacional de San Marcos, Lima, pp.
333- 342. Trad. it. in Educazione e cultura come problemi sociali, cit.,
pp. 46- 58. La reminiscencia platónica y la actividad del espíritu, in «Actas
del Congreso de filosofía en Lima» y «Revista de la Universidad Nacional de S.
Agustín de Arequipa». Reseñas en «Notas y estudios de filosofía», sobre: M. Dal Pra, La
storiografia filosófica antica; C. Moeller, Sagesse grecque etparadoxe
chrétien; A. Nogueira, Universo, 1951-52. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: I
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, 3ª
edizione, La Nuova Italia, Firenze. 797 1952 376. El pensamiento
antiguo. Tomo I: Desde los orígines hasta Platón. Tomo II: Desde
Aristóteles hasta neoplatónicos, 3ª edizione, Losanda, 2 tomos, Buenos
Aires. 377. El infinito en el pensamiento de la antigüedad clásica, trad.
de F. Gonzáles Ríos, Ediciones Imán, Buenos Aires. 378. La
filosofía como problematicidad y el historicismo, in «Philosophia», Universidad
Nacional De Cuyo, Mendoza, a. IX, n. 16, pp. 9-23. Trad. it: La filosofia
come problematicità e lo storicismo, in «Il Dialogo», II, n. 5, ottobre, pp.
43-64. Il materialismo storico in F. Engels, 2ª edizione italiana, La
Nuova Italia, Firenze. Leonardo teórico del arte y de la ciencia, in «Sur», Buenos Aires,
n. 217-218, pp. 34-56. Eduard Zeller y la historia de
la filosofía, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán, 5, n. 12,
octubre-diciembre, pp. 369-381. Intorno alla gnoseologia di
Democrito, «Rivista critica di storia della filosofia», Milano, a. VII, fasc.
1, gennaio-febbraio, pp. 1-18. Articolo presente con alcune modifiche anche in
un capitolo di La comprensione del soggetto umano nell'antichità classica,
trad. di L. Bassi, La Nuova Italia, Firenze 1958, pp. 267-297. 383.
Problemi e metodi di ricerca nella storia della filosofia, La Nuova Italia,
Firenze. 1953 I cirenaici e i raffinati del Teeteto platonico, «Rivista di
filosofia», Torino, XLIV, n. 2, aprile, pp. 127-135. Tratto da La comprensione
del soggetto umano nell'età classica, cit., pp. 297-310. Il
valore del lavoro nel riconoscimento di Senofonte, Platone ed Aristotele, in
«Critica sociale», Milano, XLV, n. 3, 5 febbraio, pp. 44-386. Trabajo y
conocimiento según Aristóteles, in «Imago mundi», Buenos Aires, 1, n. 1, pp.
14-22. L'unité du sujet dans la gnoséologie d'Aristóte, in «Revue
philosophique», Paris, 78, luglio settembre, pp. 359-378. Platón
y el concepto unitario de cultura humana, in «Humanitas», Universidad Nacional
de Tucumán, a. 1, n. 1, pp. 15-24; nella versione italiana: Platone e il
concetto unitario di cultura umana, in Scritti di sociologia e politica in
onore di Luigi Sturzo, II, Zanichelli, Bologna, pp. 569-580. Dos
textos de Platón sobre Heráclito, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán,
4, pp. 233-244. Leonardo teorico dell'arte e della scienza, in «II Ponte»,
Firenze, IX, fasc. 8, pp. 1221-1238. Campanella
y su utopía, prólogo a T. Campanella, La Ciudad del Sol, Losada, Buenos Aires. Breve
historia del pensamiento antiguo, Losada, Buenos Aires, 1953-54. La
valoración del trabajo en la Grecia antigua hasta Sócrates, in «Revista de
economía», Córdoba, IV, n. 9, tomo 3, enero-junio, pp. 5-20. 1954
394. The greek attitude to manual labour, in «Past & Present»,
London, n. 6, november, pp. 1-5. Rousseau
e la coscienza moderna, La Nuova Italia, Firenze. Trad. it. di Rousseau y la
consciencia moderna, Imán, Buenos Aires 1944. Cultura
e libertà nel pensiero di Croce, in «Critica sociale», Milano, XLVI, n. 5, 5
marzo, pp. 77-80. Riportato in R. Mondolfo, Educazione e cultura come problemi
sociali, cit., pp. 91-104. Titolo originale Cultura y libertad en el
pensamiento de B. Croce, in AA.VV, Homenaje a Benedetto Croce en el primer
aniversario de su fallecimiento, de la Facultad de Filosofía y Letras de Buenos
Aires, 1956, pp. 202-212. Seneca e l'infinità del progresso spirituale, in «Critica
sociale», Milano, aprile. La divisione del lavoro e il compito sociale dell'educazione, in
«Critica sociale», Milano, XLVI, n. 11, 5 giugno, pp. 172-173. Riportato anche
in R. Mondolfo, Educazione e cultura come problemi sociali, cit., pp. 35-43. Séneca
y la infinitud del progreso espiritual, in «La Torre», de la Universidad de
Puerto Rico, n. 5, pp. 63-74. Il problema di Cratilo e
l'interpretazione ai Eraclito, in «Rivista critica di storia della filosofía»,
Milano, IX, n. 3, pp. 221-231. La conciencia moral en
Sócrates, Platón y Aristóteles, in «Humanidades», de la Universidad Nacional de
La Plata, n. 34, Seccíon Filosofía, pp. 7-29. 402. Figuras e ideas de la
filosofía del Renacimiento, Losada, Buenos Aires. Trad. it. a cura di L.
Bassi: Figure e idee della filosofia del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze
1963. 403. El problema de Cratilo y la interpretación de Heráclito, in
«Anales de Filología Clásica», Buenos Aires, Universidad de Buenos Aires,
VI, pp. 157-174. 1955 J. J.
Rousseau, Discorsi e Contratto sociale, a cura di R. Mondolfo, 4ª edizione,
Cappelli, Bologna. Educazione e democrazia nel pensiero socialista, in «Critica
sociale», Milano, XLVII, n. 3, 5 febbraio, pp. 41-45. Historia
de la filosofía e historia de la cultura, in «Imago mundi», Buenos Aires,
marzo. Trad it. Storia della filosofia e storia della cultura, in Educazione
cultura come problemi sociali, cit., 163-176. Intorno
a Gramsci e alla filosofia della prassi, in «Critica sociale», Milano, XLVII,
n. 6, 20 marzo, pp. 93-94; n. 7, 5 aprile, pp. 105- 108; n. 8, 20 aprile, pp.
123-127. Pubblicato anche in un opuscolo nell'edizione di «Critica sociale»,
Milano 1955, con prefazione di E. Bassi. Successivamente compreso nel
volume Da Ardigò a Gramsci, Nuova Academia, Milano 1962, pp. 139-190.
Ristampato anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 279-304.
Antologia
di Aristotele, La Nuova Italia, Firenze. La
comprensión del sujeto humano en la cultura antigua, Imán, Buenos Aires. Trad.
it. a cura di L. Bassi, La comprensione del soggetto umano nell'antichità
classica, La Nuova Italia, Firenze 1958. Giuseppe
Mazzini y los orígenes del movimiento obrero en Italia hasta 1872. El conflicto
entre Mazzini y Bakunin, in «Cuadernos de la cultura de Italia», Buenos Aires,
n. 2, pp. 51. 411. Sócrates, Colección filósofos y sistemas, Losange,
Buenos Aires. Edizione ampliata de Sócrates, edición de la Universidad
Nacional de Córdoba, Cordoba 1941. Trad. it. in I moralisti greci. La coscienza
morale da Omero a Epicuro, Ricciardi, Milano-Napoli 1960, pp. 65-136. Lavoro
e conoscenza nelle concezioni dell'antichità classica, «Sag-giatore», n. 3-4,
pp. 297-311, Torino. Poi in Educazione e cultura come problemi sociali, cit.,
pp. 11-33. Successivamente anche in Polis, lavoro e tecnica, a cura di M. V.
Ferriolo, cit., pp. 72-91. Espíritu revolucionario y
conciencia histórica, Ediciones Populares Argentinas, Buenos Aires. Evolución
del socialismo, Ediciones Populares Argentinas, Buenos Aires. Historia
de la Universidad de Bologna, in «La Torre», Puerto Rico, Universidad de Puerto
Rico, 3, 12, ottobre-dicembre, pp. 45 ss. Trad. it. Storia dell' università di
Bologna, in «La vita italiana», nel volume Estudios italianos en la Argentina,
publicado dal Centro di studi italiani, Buenos Aires 1956. 1956 416.
Cultura y libertad en el pensamiento de B. Croce, in AA.VV, Homenaje a
Benedetto Croce en el primer aniversario de su fallecimiento, de la Facultad de
Filosofía y Letras de Buenos Aires. Trabajo
y conocimiento en las concepciones de la antigüedad clásica, in «Cuadernos
Americanos», México, Universidad Nacional Autónoma de México, a. XV, vol.
LXXXVI, n. 2, marzo-abril, pp. 137 ss. Titolo originale: Lavoro e conoscenza
nelle concezioni dell'antichità classica, in «Saggiatore» (1955), Torino. Storia
dell'università di Bologna, in «La vita italiana», nel volume Estudios
italianos en la Argentina, publicado dal Centro di studi italiani, Buenos Aires
1956. Anche in Educazione e cultura come problemi sociali, cit., 177-198. L'infinito
nel pensiero dell'antichità classica, La Nuova Italia, Firenze. El
genio helénico: formación y caracteres, Editorial Columba, Buenos Aires. La
ciencia de la lógica de Hegel, trad. de Augusta y Rodolfo Mondolfo, prólogo de
R. Mondolfo, 2 tomos, Hachette, Buenos Aires. La
división del trabajo y la tarea de la educación, en «Estudios sociológicos» (IV
congreso de sociologia), México, y en «La Nación», Buenos Aires, abril. El
materialismo histórico en Engels y otros ensayos, nueva traduccion de la 2ª
edicion italiana con agregados, Editorial Raigal, Buenos Aires. Alle
origini della filosofia della cultura, trad. it di L. Bassi e con introduzione
di R. Treves, I Mulino, Bologna. Bolscevismo
e dittatura (la conseguenza del sistema), in «Critica sociale», Milano, XLVIII,
n. 19, 5 ottobre, pp. 305-309. Anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit.,
pp. 275-278. L'esigenza del nesso fra storia della filosofia e storia della
cultura, in AA. VV., Verità e storia: un dibattito sul metodo della storia
della filosofia, Società filosofica romana, Arethusa, Asti, pp. 131-144. Aristotele.
Antologia, 1ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze.1957 La
coscienza morale e la legge interiore in Plutarco, in «Filosofia», Torino,
VIII, n. 1, gennaio, p. 8 ss. Sul concetto di lavoro, in «Il
comune», Senigallia, febbraio. Successivamente in S. Anselmi, Incontro con
Rodolfo Mondolfo. In appendice: R. Mondolfo, Il concetto di lavoro, Libr.
editrice Sapere, Senigallia 1961. La filosofia
della Critica sociale, in Esperienze e studi socialisti: in onore di U. G.
Mondolfo, La Nuova Italia, Firenze, pp. 14-17. Arte,
religión y filosofía de los Griegos, Columba, Buenos Aires. La
deuda de Aristóteles con Platón, in «La Nación», Buenos Aires, 10 de
febrero. Acerca de la primera traducción directa de la Ciencia de la lógica
de Hegel, in «La Prensa», Buenos Aires, 13 de enero. La
filosofía como problemática y su continuidad histórica, in «Revista de
filosofía de la Universidad de Costa Rica», San José de Costa Rica, vol. I,
n.1, junio, pp. 9-17. Prólogo a A. Nogueira, Ideas vivas e ideas muertas, Colecão Rex,
Río de Janeiro. Problemas de cultura y educación, Hachette, Buenos Aires. Trad. it
Educazione e cultura come problemi sociali, Cappelli, Bologna 1957: Prólogo
a E. P. Lamanna, Historia de la Filosofía, I: El pensamento antiguo, trad. de
O. Caletti, Hachette, Buenos Aires. Educazione
e cultura come problemi sociali, Cappelli, Bologna. Edizione spagnola:
Problemas de cultura y education, Hachette, Buenos Aires. 439. La
historia de la filosofía y la historia integral, in «Revista de la Universidad
de Buenos Aires», Buenos Aires, V, 2-1, enero-marzo, p. 5-14. Note
intorno alla storia della filosofía, in «Rivista critica di storia della
filosofia», Milano, XII, 2, aprile-giugno, pp. 209-230. L'influenza
storica e la perennità di Socrate, in «Il Dialogo», Bologna, n. 1, ottobre, pp.
38-44. 1958 Evidence of Plato and Aristotele relating to the ekpyrosis in
Heraclitus, trad. D. J. Allan, in «Phronesis», vol. 3, n. 2, 1 gennaio, pp.
75-82. Intorno al problema storico di Hilferding, in «Critica sociale»,
Milano, L, n. 3, 5 febbraio, pp. 59-60. Ristampato in R. Mondolfo, Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 305-311. 414. Filosofi tedeschi:
saggi critici, trad. di L. Bassi, Cappelli, Bologna. 445. Il pensiero
stoico ed epicureo. Antologia di testi, a cura di R. Mondolfo e D. Pesce,
La Nuova Italia, Firenze. 446. Determinismo contro volontarismo in
Nietzsche, in «Il Dialogo», Bologna, n. 2, pp. 1-20. Titolo originale:
Determinismo contra volontarismo en la filosofia de Nietzsche, in «Minerva»
(1944), Buenos Aires. Nella sua traduzione italiana il saggio si trova anche in
Id. Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L. Bassi, Cappelli,
Bologna 1958, pp. 145-164. Prospettive
filosofiche: la filosofia come problematicità e lo storicismo, con bibliografia
degli scritti di R. Mondolfo, in «Il Dialogo», Bologna, II, n. 5, ottobre, pp.
43-64. Titolo originale: La filosofía como problematicidad y el historicismo,
in «Philosophia», Universidad Nacional De Cuyo, Mendoza, a. IX (1949), n. 16,
pp. 9-23. Rispetto all'originale spagnolo del 1949, Mondolfo inserisce una breve
postilla di aggiornamento. La comprensione del soggetto
umano nell'antichità classica, trad. it. L. Bassi, La Nuova Italia, Firenze.
Titolo originale: La comprensión del sujeto humano en la cultura antigua, Imán
Buenos Aires 1955. 449. Prefazione a L. Conti, L' assistenza e la
previdenza sociale. Storia e problemi, Feltrinelli, Milano. 450.
Aristotele. Antologia, 2ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze. 1959 Eraclito
e Anassimandro, La Nuova Italia, Firenze. Eraclito
e Anassimandro (Dalle note di aggiornamento Zeller-Mondolfo, vol. III: Capitoli
su Eraclito), in «Filosofia», Torino, 10, pp. 386-90. I
frammenti del fiume e il flusso universale in Eraclito, in «Rivista critica di
storia della filosofía», Milano, a. XV, fasc. 1, gennaio-marzo, pp. 3-13.
Titolo originale: El flujo universal de Heráclito y el símbolo del río, in
«Cultura Universitaria» (1959), n. 68-69, pp. 29-40. Anche in E. Zeller e R.
Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. IV: Eraclito, La Nuova Italia, Firenze 1932 pp. 39-50.
Il
pensiero politico del Risorgimento italiano, La Nuova Accademia, Milano. Titolo
originale: La filosofia política de Italia en el siglo XIX, Imán, Buenos Aires.
Rispetto all'edizione castigliana quella italiana presenta aggiornamenti e
arricchimenti. El pensamiento antiguo. Historia de la filosofia greco-romana,
vol. I-IL, 4ª edición, Losada, Buenos Aires. Sócrates,
2ª edición, Editorial Universitaria, Buenos Aires. El sol
y las Erinias, según Heráclito, in «Universidad», Universidad Nacional del
Litoral, Santa Fe, 41, julio-septiembre, pp. 19-28. La idea
de una misión del filósofo, en el pasado y en nuestros días, in «La Nación»,
Buenos Aires, octubre. El flujo universal de Heráclito y el símbolo del río, in «Cultura
Universitaria», Caracas, Direccion de Cultura. Departamento de Publicaciones,
n. 68-69, pp. 29-40. Nota sobre los Antecedentes en la historia de la filosofía, in
«Philosophia», Mendoza, Universidad Nacional de Cuyo, Facultad de Filosofía y
Letras, Instituto de Filosofía, n. 22, pp. 5- La
conflagración universal en Heráclito, in «Philosophia», Men-doza, Revista del
Instituto de Filosofía, Universidad Nacional de Cuyo, Facultad de Filosofía y
Letras, n. 23, pp. 14-25. Los seminarios de investigación filosofíca, in «Revista de
Educación», La Plata, 4, n. 1, pp. 189-191. 1960 La
missione della filosofia nell'epoca attuale, in «Critica sociale», Milano, LII,
n. 2, 20 gennaio, pp. 43-45. Anche in AA. VV., Prospettive storiche e problemi
attuali dell'educazione. Studi in onore di Ernesto Codignola, La Nuova Italia,
Firenze 1960, pp. 98-104. Guía bibliográfica de la filosofía antigua, Losada, Buenos Aires. Cesare
Beccaria, La Nuova Academia, Milano. Edizione italiana, con complementi ed
aggiunte de Cesare Beccaria, Editorial Depalma, Buenos Aires 1946. Moralisti
greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro, trad. a cura di V. E. Alfieri,
Ricciardi, Napoli-Milano. Titolo originale: Moralistas griegos. La conciencia
moral de Homero a Epicuro, Imán, Buenos Aires 1941. Rispetto all'originale
edizione spagnola, quella italiana si presenta accresciuta. O genio
helénico, en V. de Magalhães Vilhena, Panorama do pensamiento filosófico,
Cosmos, Lisboa. En los orígenes de la filosofía de la cultura, 2ª edición
ampliada, Hachette, Buenos Aires. La
Universidad latino-americana como creadora de cultura, Cultura universitaria de
Caracas 1960; Universidad de la República, Montevideo; Universidades (Unión de
Universidades de América latina), Buenos Aires, II serie, 1-3, pp. 9-29. Marx y
marxismo, Estudios histórico-críticos, Trad. esp. parciale de M. H. Alberti,
Fondo de cultura económica, México-Buenos Aires. Socrates, 3ª edición,
Eudeba, Buenos Aires 471. Bibliografía heraclitea, in «Anales de
filología clásica», Buenos Aires, VII, fasc. II, pp. 5-28. Il
pensiero stoico ed epicureo. Antologia di testi, introduzione critica e
commento a cura di D. Pesce, 2ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze. Presentazione
a AA.VV, Senigallia 1831-1860, a cura di S. Anselmi, Libreria Editrice Sapere,
Senigallia. Socialismo e cristianesimo, in «Critica sociale», Milano, LII, n.
18, 20 settembre, pp. 433-435. 1961 El
genio helénico y Arte, religión y filosofía de los griegos, 3ª edición,
Editorial Columba, Buenos Aires. Notas
heraclíteas. La identidad de los caminos opuestos (B 59 y B 60), in
«Philosophia», Mendoza, Universidad Nacional de Cuyo, Facultad de Filosofía y
Letras, Instituto de Filosofía, n. 27, pp. 15-22. Heráclito
y Parménides, in «Cuadernos filosóficos», Universidad Nacional del Litoral,
Rosario, n. 2, pp. 5-16. De las notas de actualización de Zeller-Mondolfo, La
filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico. Problemas
y métodos de la investigación en la historia de la filosofia, 2ª edición
ampliada, Edit. Universitaria, Buenos Aires. Il
pensiero neoplatonico. Antologia di testi, scelta, traduzione e note
introduttive di R. Mondolfo, introduzione critica e commento di D. Pesce, La
Nuova Italia, Firenze. Il pensiero antico. Storia
della filosofia greco-romana esposta con testi scelti dalle fonti, 3ª edizione
aggiornata, La Nuova Italia, Firenze. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, I Parte: 1
Presocratici, vol. IV: Eraclito, La Nuova Italia, Firenze. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte III:
La filosofia post-aristotelica, vol. VI: Giamblico e la Scuola di Atene, trad.
di E. Pocar, a cura di G. Martano, La Nuova Italia, Firenze. Nel
centenario di Filippo Turati, in «Quaderni italiani dell'Istituto italiano di
cultura», Buenos Aires. Arte, religion y filosofia de los Griegos, 2ª edición, Columba,
Buenos Aires. Veritas filia temporis en Aristóteles, in «Revista de la
Universidad Nacional de Córdoba», 2, septiembre-diciembre, pp. 783-804. Personalità
e responsabilità nella democrazia, I parte, in «Critica sociale», Milano, LIII,
n. 22, 20 novembre, pp. 559-562. Il
movimento operaio fino al 1860, in «Critica sociale», Milano, LIII, n. 24, 20
dicembre, pp. 609-611. 488. S. Anselmi, Incontro con Rodolfo Mondolfo. In
appendice: R. Mondolfo, Sul concetto di lavoro, Libreria editrice Sapere,
Senigallia. 1962 Personalità e responsabilità
nella democrazia, Il parte, in «Critica Sociale», Milano, LIV, n.1, 5 gennaio,
pp. 15-18. Il concetto dell'uomo in Marx, in «Il dialogo», Bologna, V, n. 20,
pp. 1-47 e a cura del Comune di Senigallia. Si tratta di una conferenza tenuta
all'Università di Montevideo per i corsi del Consejo Interuniversitario
Regional di Argentina, Cile e Uruguay, nel febbraio del 1962. Successivamente
pubblicata in spagnolo (trad. a cura di O. Caletti) nel testo Humanismo de
Marx, Fundo de la cultura económica, México 1964. Ora in Umanismo di Marx.
Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 324-345. Personalidad
y responsabilidad en la democracia, in «Buenos Aires. Revista de Humanidades»,
Buenos Aires, 2, n. 2, pp. 239-55. 492. La conciencia moral de Homero a
Demócrito y Epicuro, Eudeba, Buenos Aires.493. Materialismo histórico.
Bolschevismo y dictadura, Ediciones nuevas, Buenos Aires. Le
opere complete di Antonio Labriola, in «Critica sociale», Milano, in numero di
ripubblicazione dell Tesi di Critica Sociale, pp. 119-121. Rousseau
y la conciencia moderna, Eudeba, Buenos Aires. Homenaje
a R. Mondolfo, Universidad Nacional de Córdoba. Da
Ardigò a Gramsci, La Nuova Accademia, Milano. Testimonianze
su Eraclito anteriori a Platone, in «Rivista critica di Storia della
filosofia», Milano, Fratelli Bocca editori, n. 16, pp. 399- 424. Poi in
Eraclito, Testimonianze e imitazioni, a cura di R. Mondolfo e L. Tarán, La
Nuova Italia, Firenze 1972, pp. XLI-LXXXIV. Breve
historia del pensamiento antiguo, 2ª edición, Losanda, Buenos Aires. Siete
opiniones sobra la significación del humanismo en el mundo contemporáneo, in
«Revista de la Universidad de Buenos Aires», Buenos Aires. 1963 Un
precorrimento di Vico in Filone alessandrino, in AA. VV., Miscel-lanea di studi
alessandrini in onore di A. Rostagni, Bottega d'Erasmo, Torino, pp. 56-60.
Successivamente in R. Mondolfo, Momenti del pensiero greco e cristiano, Morano,
Napoli 1964, pp. 53-58. Morale e libertà in Labriola, recensione a Dal Pane, Ricerche sul
problema della libertà e altri scritti di filosofia e pedagogia (1870-1883), in
«Critica sociale», Milano, LV, n. 3, 5 febbraio, pp. 83-85. L'uomo
greco secondo Pohlenz, in «Il Ponte», Firenze, La Nuova Italia, vol. XIX, n. 2,
febbraio-marzo, pp. 205-219 e pp. 363-377. Poi in Momenti del pensiero greco e
cristiano, Morano, Napoli 1964, pp. 119-155. Erich
Fromm y la interpretación de Marx, in «La Nación», Buenos Aires, julio. La
Universidad y sus antecedentes, in «La Gaceta», del Fondo de Cultura Económica,
Mexíco. Personalidad y responsabilidad en la democrazia, Buenos Aires. Sócrates,
Mestre Jou, São Paulo. Sócrates, 4ª edición, Eudeba, Buenos Aires. En
torno a la contemporaneidad de la historia, in «La Torre», Puerto Rico,
Universidad de Puerto Rico, 11, 42, abril-junio, pp. 19 ss. Trad. it. Intorno
alla contemporaneità della storia, in «Critica sociale», Milano, LV, n. 11, 5
giugno, pp. 299-302. 510. La obra de Condillac, prólogo a Condillac,
Tratado de las sensaciones, Eudeba, Buenos Aires. Problemas
y métodos de la investigación en la historia de la filosofía, 3ª edición,
Eudeba, Buenos Aires. Fromm e il concetto dell'uomo in Marx, in «Critica sociale», LV,
n. 12, 20 giugno, pp. 332-334. Anche in R. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 367-373. 513. Figure e idee della
filosofia del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze. Trad. it. Figuras e ideas
de la filosofía del Rinacimento, Losanda, Buenos Aires. La
fondazione del materialismo storico (A proposito di recenti studi), in «Il
Dialogo», Bologna, IV, n. 23, pp. 51-80. Ristampato in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 346-366. Nuovi
studi su Feuerbach e Marx, a cura di R. Mondolfo e A. Testa, in «Il Dialogo»,
Bologna, VI, n. 23, luglio-settembre. Marxismo
e libertà, in «Il Ponte», Firenze, XIX, n. 10, ottobre, pp. 1259-70. Anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 374-386.
517. Le antinomie di Gramsci, in «Critica sociale», LV, n. 23, 5
dicembre, pp. 629-634. 518. R. Decartes, Discorso sul metodo, a
cura di R. Mondolfo ed E. Garin, Sansoni, Firenze. 1964 519.
Galileo e la scienza, in «Critica sociale», Milano, LVI, n. 7,5 aprile,
pp. 189-195. Ripubblicazione del saggio (cap II: Il pensiero di Galileo e
i suoi rapporti con l'antichità e con il Rinascimento) apparso nella raccolta
Figure e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1963, pp.
117-157. In memoria di Gino Luzzatto, in «Critica sociale», LVI, n. 9, 5
maggio, p. 238. Galileo y el método experimental, in «La Nación», junio. Momenti
del pensiero greco e cristiano, Il Morano, Napoli. A
quarant'anni della prima edizione de «La Rivoluzione Liberale», Rodolfo
Mondolfo a Piero Gobetti, Centro Studi Piero Gobetti, Quaderno 8-9,
Torino. El humanismo de Marx, trad de O. Galetti, Fondo de la Cultura
Económica, México-Buenos Aires. Origen y desarrollo histórico
de la universidad, in «Revista de la Universidad de Córdoba», Córdoba. O
pensamento antiguo, 2 tomos, Maestre You, São Paulo. Momentos
de pensamiento griego y cristiano, versión castellana de O. Caletti, Paidós,
Buenos Aires. 528. Materialismo histórico como humanismo realista, in «La
Gaceta», del Fondo de la Cultura Económica, México, septiembre. Si tratta di
una conferenza tenuta all'Università di Montevideo per i corsi del Consejo
Interuniversitario Regional di Argentina, Cile e Uruguay, nel febbraio del
1962. Pubblicata anche nel testo Humanismo de Marx, Fundo de la cultura
económica, México 1964. La versione italiana (I materialismo storico come
umanismo realistico) si trova in «Il Dialogo», Bologna, V. n. 20, pp. 1-47 e in
R. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp.
312-324. 529. Discussioni su un testo di Parmenide (Die Fragm. d.
Vorsokr. 28 B 8, vo. 5-6), in «Rivista critica di storia della
filosofia», Milano, XIX, pp. 310-315. 530. Sul valore storico delle
testimonianze di Platone, in «Filosofia», XV, ottobre, pp. 583-601. Anche in
Eraclito, Testimonianze e imitazioni, a cura di R. Mondolfo e L. Tarán, La
Nuova Italia, Firenze 1972, pp. LXXXIV-CXVIII. Platón
y la interpretación de Jenófanes, in «Revista de la Universidad Nacional de
Cordoba». La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: I
presocratici, vol. Il: Ionici e Pitagorici, La Nuova Italia, Firenze. K.
Marx, Crítica de la filosofia del derecho de Hegel, trad. del alemán, con notas
aclaratorias de R. Mondolfo, Ed. Nuevas, Buenos Aires. 1965 534. La lotta
di classe secondo Juan B. Justo, in «Critica sociale», Milano, LVII, n.
11, 5 giugno, pp. 282-283. Riproduzione dell'Introduzione a AA. VV.,
Bilancio del marxismo, Cappelli, Bologna 1965; e con il titolo Conclusioni sul
marxismo, in «П Dialogo», n. 7-8, novembre, pp. 27-42. 536. Tecnica
e scienza nel pensiero antico, in «Athenaeum», Pavia, XLIII, pp.
279-294. El pensamento antiguo, trad. del italiano por S. A. Tri, tomo
I-II, 5ª edición, Losada, Buenos Aires. Introduzione
a AA. VV., Bilancio del marxismo, Cappelli, Bologna. 1966 539. Le
testimonianze di Aristotele su Eraclito, in «Filosofia», Torino, XVII, pp.
51-75. Anche in Heraclitus, Testimonianze e imitazioni, cura di R.
Mondolfo e L. Tarán, La Nuova Italia, Firenze 1972, pp.
CLIX-CXCVIII. Aristotele. Antologia, 4ª edizione, La Nuova Italia, Firenze. Verum
ipsum factum desde la antigüedad hasta Galileo y Vico, in «La Torre», Puerto
Rico. Verum ipsum factum dall'antichità a Galileo e Vico, in «Il Ponte»,
Firenze, XXII, pp. 492-506. La prima inchiesta sul
fascismo, in «Critica sociale», Milano, LVIII, n. 6, 20 marzo, p. 171. Il
centenario di Filippo Turati e introduzione e parti di F. Turati, Le vie
maestre del socialsimo, Morano, Napoli. Universidad:
pasado y presente, Eudeba, Buenos Aires. Sócrates,
5ª edición, Eudeba. Heráclito, textos y problemas de su interpretacion, prologo de R.
Frondizi, trad. de O. Caletti, Siglo XXI, México, Madrid, Buenos Aires.
548. In memoria di Cesare Battisti, in «Critica sociale», Milano, LVIII,
n. 16-17, 5 settembre, p. 446. La
lucha de clases según ]. B. Justo, in Concepto humanista de la historia,
Libera, Buenos Aires. Chiarimenti sulla filosofia della prassi, in «Critica sociale»,
LVII, n. 21, 5 novembre, pp. 584-585. Anche in R. Mondolfo, Umanismo di Marx.
Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 410-413. 551. Prefazione e saggi:
Per la comprensione storica del fascismo e il fascismo in Italia in AA. VV., Il
fascismo e i partiti politici italiani. Testimonianze del 1921-1923, a
cura di R. De Felice, Cappelli, Bologna. 552. Cesare Battisti socialista,
in «Critica sociale», Milano, LVIII, n. 23, 5 dicembre, pp. 641-645.553. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte II:
Da Socrate ad Aristotele, vol. VI: Aristotele e i Peripatetici più antichi,
trad. di C. Cesa, a cura di A. Plebe, La Nuova Italia, Firenze.
1967 554. La testimonianza di Platone su Eraclito, in «De homine», Roma,
n. 22-23, pp. 51-82. Anche in Eraclito, Testimonianze e imitazioni, a
cura di R. Mondolfo e L. Tarán, La Nuova Italia, Firenze 1972, pp.
CXVIII- CLVIII. E. Zeller-R. Mondolfo, La
filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1 Presocratici, vol.
Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, testo della 5ª edizione
tedesca con nuovi aggiornamenti, La Nuova Italia, Firenze. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci, Parte I: 1 Presocratici, vol. III:
Eleati, a cura di G. Reale, La Nuova Italia, Firenze. Il
pensiero antico. Storia della filosofia greco-romana: esposta con testi scelti
dalle fonti, La Nuova Italia, Firenze. Estudios
sobre Marx (histórico-críticos), Mestre You, São Paulo. La
questione delle ideologie, in «Critica sociale», Milano, LIX, n. 11, 5 giugno,
pp. 319-320. Problemas de cultura e de educaçao, trad. de M. Maillet, Mestre
You, São Paulo. Rousseau y la conciencia moderna, 2ª edición, Eudeba, Buenos
Aires. Capitalismo di stato sovietico, in «Critica sociale», Milano. Figuras
y idéias de filosofía da Renascença, Mestre You, São Paulo. L'infinito
nel pensiero dell'antichità classica, 8ª edizione, La Nuova Italia, Firenze. La comprensione
del soggetto umano nell'antichità classica, 8ª edizione, La Nuova Italia,
Firenze. Il pensiero neoplatonico. Antologia di testi, introduzione critica
e commento di Domenico Pesce, La Nuova Italia, Firenze. Aristotele.
Antologia, 5ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze. 1968 Alessandro
Levi socialista, in «Critica sociale», Milano, LX, n. 8, 20 aprile, pp.
222-223. Espiritu revolucionario y conciencia histórica, Escuela, Buenos
Aires. Historia de ideas, Escuela, Buenos Aires. Studi
sulla rivoluzione russa, a cura del Centro Studi di Critica sociale, Morano,
Napoli. Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, a cura di N. Bobbio,
Einaudi, Torino. Bolchevismo y capitalismo de Estado. (Estudios sobre la revolucion
rusa), Trad. E. Rondanina, Libera, Buenos Aires. O
infinito no pensamento da antigüidade clássica, trad. L. Darós, 1ª ed. em
português, Mestre Jou, São Paulo. Figuras
e ideas de la filosofia del Renacimiento, 2ª edición, Losanda, Buenos
Aires. Il pensiero storico ed epicureo, 6ª ristampa, La Nuova Italia,
Firenze. La conciencia moral de Homero a Demócrito y Epicuro, 2ª edición,
Euseba, Buenos Aires. O homem na cultura antiga,
trad. de L. A. Caruso, Mestre Jou, São Paulo. Sulle
orme di Marx, 5ª edizione, Cappelli, Bologna. La
ciencia de la lógica de Hegel, trad. de Augusta y RodolfoMondolfo, prólogo de
R. Mondolfo, 2 tomos, 2ª edición, Solar-Hachette, Buenos Aires. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. IV: Eraclito, La Nuova Italia, Firenze. E. Zeller-R.
Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte III: La
filosofia post-aristotelica, vol. VI: Giamblico e la Scuola di Atene, trad. di
E. Pocar, a cura di G. Martano, La Nuova Italia, Firenze. R.
Decartes, Discorso sul metodo, a cura di R. Mondolfo ed E. Garin, G. C.
Sansoni, Firenze. 1969 Problemas
y métodos de investigación en la historia de la filosofia, 4ª edición, Eudeba,
Buenos Aires. La comprensión del sujeto humano en la cultura antigua, nueva
edicíon, Eudeba, Buenos Aires. Aristotele. Antologia, 6ª
ristampa, La Nuova Italia, Firenze. C.
Cattaneo nel pensiero del Risorgimento, in «Critica sociale», Milano, LXI, n.
6, 20 marzo, pp. 184. El pensamiento antiguo, 6ª edición, Losada, Buenos Aires. Marx y
marxismo. Estudios histórico-críticos, 2ª edición, Fondo de Cultura Económica,
México. Il verum factum prima di Vico, 8ª edizione, Guida, Napoli. Breve
historia del pensamiento antiguo, 3ª edición, Losada, Buenos Aires. Il PCI
non è disponibile per la democrazia, in «Critica sociale», LXI, n. 11, 5
giugno, p. 337. 593. Discutendo una critica del revisionismo, in «Critica
sociale», Milano, LXI, n. 13, 5 luglio, pp. 405-407. 816 Noi
buoni marxisti del marxismo classico, in «Critica sociale», Milano, LXI, n. 23,
5 dicembre, p. 687. Problemas y métodos de investigação na história de filosofia,
trad. de L. Reale Ferrari, Mestre Jou, São Paulo. Problemi
e metodi di ricerca nella storia della filosofia, ristampa, La Nuova Italia,
Firenze. E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico, Parte I: I Presocratici, vol. V: Empedocle, Atomisti, Anassagora,
trad. di D. Musti, a cura A. Capizzi, testo della 5ª edizione tedesca con nuovi
aggiornamenti, La Nuova Italia, Firenze. J. J.
Rousseau, Discorsi e contratto sociale, a cura di R. Mondolfo, 4a edizione,
Dini, Modena, Sócrates, 6ª edición, Eudeba, Buenos Aires. Historia
de ideas, Escuela, Buenos Aires. Ciencia
y ténica en la Grecia antigua, en «Estudios y ensayos», diciembre, Mérida,
México. En los orígenes de la filosofía de la cultura, 2ª edición,
Hachette, Buenos Aires. 1970 603. Il giudizio della storia su
Lenin, in «Critica sociale», Milano, LXII, n. 12, 20 giugno, pp.
372-373. Risposta a una critica, in «Critica sociale», Milano, LXI, n.
16-17, 5 settembre, p. 509. Il vero problema: il vuoto di
coscienza, in «Critica sociale», Milano, LXII, n. 23, 5 dicembre, p. 720. Il
contributo di Spinoza alla concezione storicistica, in AA.VV., Studi in onore
di A. Corsano, Laicata, Bari, pp. 436-442. . .607. Entrevista de A.
Ploschchuk con R. Mondolfo, in «Indice», DAIA, Buenos Aires. Il
pensiero neoplatonico, 2ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze. Il
pensiero antico. Storia della filosofia greco-romana esposta con testi scelti
dalle fonti, 3ª edizione aggiornata, 2ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze. Figure
e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze. Il
pensiero storico ed epicureo. Antologia di testi, introduzione critica e
commento a cura di D. Pesce, 7* ristampa, La Nuova Italia, Firenze. 6b2 Prologo
it, chetanna, Filosofia de la artiguedad, trad. de 1971 L'antikautsky
di Korsch, in «Critica sociale», LXIII, n. 11, 5 giugno, pp. 361-362. Trad.
castellana en «La Vanguardia» Heráclito: textos y problemas
de su interpretación, Nueva edición aumentada, Siglo XX, México. La
contribución de Spinoza a la concepción historicista, Boletín de la Academia
Nacional de Ciencias, Córdoba. El infinito en el pensamiento
de la antigüedad clásica, 2ª edición, Eudeba, Buenos Aires. 617. El genio
helénico: formacion y caracteres, 3ª edición, Columba, Buenos
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Plaisance, Pistoia 2010. E. Zeller-R. Mondolfo-G. Reale, Gli Eleati da La
filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, con un aggiornamento
bibliografico di G. Girgenti, Bompiani, Milano 2011. L'attrattiva della
bellezza poetica, con cui Lucrezio adorna la sua esposizione della teoria del
progresso nella filosofia dell’orto intensifica il potere suggestivo di questa
sulla mente dei filosofi romani. Cooperano, a Roma verso la visione ottimistica
del progresso, altri influssi, come quelli del lizio e del portico che si riconosceno
nella celebrazione da Cicerone del divino potere creatore dell'intelligenza
dell’uomo. L'influsso democriteo si ripercuoteva in Diodoro Siculo attraverso
Ecateo di Abdera. Quello dell’Orto agiva non solo sul grande poema di Lucrezio,
ma anche (attraverso questo) sulla filosofia di Virgilio, Orazio, e
Vitruvio. Certo, a Roma ci si mostrano due orientamenti opposti. Quello
ottimistico, assertore ed esaltatore del potere creatore dello spirito umano e
del progresso. Quello pessimistico, ispirato all'idea di una inferiorità
naturale dell'uomo rispetto agl’animali, ovvero di una sua caduta dalla
perfezione e felicità primordiali della mistica età saturnia alle miserie, alle
fatiche e ai conflitti dell'epoca storica. Queste voci tetre risuonano in Ovidio
e Plinio, come già anteriormente in quella di Sallustio (Catilina).
Ovidio, in Metamorph. I, 76 8gg-, influsso di Cicerone (De natura deorum, II,
56 8gg.), esalta la nascita dell'uomo (« natus est homo »), come dell'animale
piú savio e di maggior capacità mentale tra tutti, dominatore della natura, di
figura simile a quella degli dèi, l'unico che per la sua posizione eretta possa
contemplare il Cielo. Ma Ovidio limita l'epoca beata dell’uomo all'età d’oro,
quando non ancora l'uomo aveva scoperto i metalli, né inventato la navigazione,
né le armi, né le fortificazioni, e neppure l'aratro e iutte le altre creazioni
tecniche che sono per Ovidio fonti di pene e di danni per il loro inventore. La
creatività della mente dell’uomo ha cosí un riconoscimento in Ovidio, ma come
causa lamentevole d'infelicità. “Contra te sollers, hominum natura,
fuisti, et nimium damnis ingeniosa tais(Amores). D'altra parte Plinio (Natur. hist.) vuole umiliare
l'orgoglio di coloro che - come Cicerone in De natura deorum, — affermano che
il mondo fu creato *per* l'uomo; e li richiama alla considerazione di tutti gli
elementi d'inferiorità che ha l'uomo rispetto agli altr’animali, e dei motivi
della sua infelicità: un'anticipazione del pessimismo del
“De miseria hominis.” Ma nell'atteggiamento di Ovidio il riconoscimento (fatto
a denti stretti) del potere creatore dell'intelligenza dell’uomo, rivela la
forza con cui, nonostante ogni pessimismo, tale idea s'imponeva allo spirito
dell'epoca. Aiutata certo nella sua diffusione dalla condizione storica, cioè
dall'espansione trionfale del potere di Roma.
Ma ispirata nella sua affermazione da suggestioni teoriche derivanti da
filosofi. Dall’orto attraverso l'affascinante esposizione poetica di Lucrezio, e
da Cicerone. Influenze combinate si devono riconoscere appunto in Cicerone,
nella sua celebrazione dell'eccellenza dell'uomo, del potere creatore dello
spirito umano, del lavoro, dell'industria e della co-operazione tra gl’uomini,
come fonti delle grandi conquiste della civiltà, che troviamo in “De natura
deorum” ( II, 56 sgg.), “De finibus bonorum et malorum” (II, 13, 39), “De
legibus” (I, 7-11), e “De officiis” (II, 3-5). L'uomo, dice Cicerone in “De
legibus,” questo animale previdente, sagace, molteplice, acuto, dotato di
memoria, pieno di ragione e di prudenza, ha da dio la sua natura privilegiata,
anzi partecipa con la sua ra- lavor dichiarate alle he Coceo in “De
officis”, L, s, dove ri corda che Panezio ha sviluppato molto ampiamente
e con numerosi esempi ciò che i capitoli 3-5 sintetizzano, specialmente intorno
alla co-operazione tra gli uomini, indispensabile per la creazione di tante
arti -- “senza le quali la vita non
meriterebbe d'esser vissuta” (ibid, cap.
4). Modernamente l'influenza di Panezio è sione di richiamare
l'attenzione nel saggio L'infinito nel pen siero dell'antichità classica,
Firenze, La Nuova Italia, parte V, cap. 3 alla fine] gione alla natura e
alla comunità divine 7. Seminato sulla terra, ha ricevuto il dono divino
dell'anima e la capacità della virtú, che è la natura perfezionata in se
stessa ed elevata al suo grado sommo (“in se perfecta et ad summum
perducta natura”); e, mediante l'imitazione della natura maestra, la ragione
umana, usando la sua capacità industriosa (“sollerter”), è pervenuta
all'invenzione di un numero infinito di arti (“artes innumerabiles
repertae sunt”). La natura diede all'uomo — mediante i sensi messaggeri,
la rapidità della mente e la luce dell'intelligenza -- i fondamenti della
scienza (“quasi fundamenta quaedam scientiae”), di modo che, per se stessa, la
natura umana sempre piú progredisce ed avanza (“ipsam per se natu-ram longius
progredi”) e, da sé, senza aver bisogno di maestri (“etiam nullo docente”),
arriva a consolidare e a perfezionare la ragione, partendo dalle cose le cui
specie ha conosciuto per mezzo della intelligenza primordiale ed iniziale (“ex
prima et inchoata intelligentia”) 3. In tal modo — ripete Cicerone alla
fine dell'Hortensius (come riferisce Agostino, De trinit. 14, 19, 26), con
Aristotele, Protrept. fr. 10 c Walzer (61 Rose), l'intelligenza è forza visiva
e sforzo attivo della mente (“mentis aciem”), animata dal desiderio attivo
dell'investigazione (“ratione et investigandi cupiditate”). E come la sua
attività è rivolta ugualmente e congiuntamente [Eredità di ARISTOTELE,
Protreptico, fr. 10 c Walzer = 61 Rose (che Anoke qul Cierone a apia al
concet aristotelice dele potenza che per se stessa tende all'atto. La
potenza fondamentale dell'intelligenza (“inchoatae intelligentiae”) considerata
qui (cap. 10), è tanto teorica (argumentamur, etc.) quanto pratica
(conficimus), e non è privilegio di pochi eletti, ma possesso di tutti (“communis
omnium”). E Cicerone aggiunge (cap. 11) ciò che già diceva Sofocle nel coro
dell'Antigone e tornerà a dire nel rinascimento Pico nel suo “De hominis
dignitate”, cioè che l'uomo ha nella sua natura la doppia possibilità,
d'elevarsi verso la sommità del bene o di sprofondare negli abissi del male alla
conquista della scienza e alla creazione delle arti, cosí — ripete Cicerone, “De
finibus”, II, 13, 39 con lo stesso Protreptico di Aristotele - si deve
riconoscere che l'uomo è nato per una doppia finalità, mentre ogni animale è
nato per un unico compito: il cavallo per la corsa, il bue per arare, il cane
per cercare, ma l'uomo, come un dio mortale, per due attività creatrici,
intendere ed operare (“ut ad cursum equum, ad arandum bovem, ad investigandum
canem, sic hominem ad duas res, ut ait Aristoteles, ad intelligendum et agendum
esse natum, quasi mortalem deum”). Queste idee hanno piú ampio sviluppo
in “De natura deorum” (II, 56-67), dove la superiorità dell'uomo sugli animali
è affermata da Cicerone, seguendo le orme di Panezio, negli aspetti seguenti. La
costituzione del suo corpo, la cui posizione eretta gli permette la
contemplazione del cielo (§ 56) e gli dà (come spiega il § 61) la possibilità
di conoscere il corso degli astri, di determinare le divisioni del tempo, di
prevedere i fenomeni astronomici per tutto l'avvenire (“in omne posterum tempus”)
e di trarre dall'ordine di essi la nozione della divinità legislatrice e
governatrice del mondo. I sensi che alla percezione associano i giudizi di
distinzione e di valutazione delle impressioni, e si fanno pertanto ispiratori
della creazione di arti rivolte a cogliere e ad usare le sensazioni (“ad quos
sensus ca-piendos et perfruendos, plures etiam quam vellem artes repertae sunt”
§ 58); l'intelligenza che comprende, definisce, connette le cose e crea
una scienza di tale potere ed eccellenza, che neppure in dio c'è qualcosa di
superiore (“qua ne in deo quidem est res ulla prestantior” § 59). E per questa
via l'uomo crea anche le arti, le une per le necessità della vita, le altre per
il diletto (secondo la distinzione tradizionale di Democrito e Aristotele); e a
questi risultati coopera anche il linguaggio che, come mezzo di comunicare le
conoscenze e di influire sul sentimento e la volontà altrui, e il vincolo
sociale che trasse l'umanità fuori della vita ferina primordiale (“haec nos
iuris, legum, urbium societate devinxit: haec a vita immani et fera
segregavit”). Ma nella creazione delle arti Cicerone torna a far notare,
con Anassagora, l'opera della mano, la cui conformazione e agilità permettono
all'uomo di operare tanto nelle arti di diletto (pittura, scultura, musica),
quanto in quelle di necessità (agricoltura, edilizia, tessitura, cucitura,
confezione di strumenti di metallo, etc.). «Per cui si comprende che noi
abbiamo conseguito tutto ciò che concerne le cose scoperte dallo spirito e
percepite dai sensi, mediante l'applicazione delle mani degli operai, per poter
essere protetti, vestiti e salvi, e avere città, difese, domicilii, templi ».
Possiamo prendere l'ali-mento e conservarlo; allevare e utilizzare animali per
il trasporto e per l'agricoltura; estrarre i metalli nascosti dalle profondità
della terra e forgiarli in strumenti e decorazioni; tagliare alberi per
riscaldamento, cottura di alimenti, edificazione di case, costruzione di navi,
che a noi — unici al mondo — permettono di dominare la forza del mare e dei
venti. In conclusione, l'uomo si converte in inventore delle arti e in
dominatore della natura, cioè in creatore di una nuova realtà, quella del mondo
della cultura. «Noi usufriamo dei campi, noi dei monti; nostri sono i
fiumi, nostri i laghi; noi seghiamo le messi, noi tagliamo gli alberi; noi,
mediante l'immissione di acque, diamo fecondità alle terre; noi chiudiamo i
fiumi tra dighe, li inalveiamo, li deviamo; insomma cerchiamo di creare con le
nostre mani una specie d'altra natura nella natura delle cose ». Non
seguiremo Cicerone nella sua dimostrazione successiva (§§ 61-67) della tesi che
il mondo fu creato al servizio dell'uomo, che è la tesi contro cui polemizza Plinio,
ma che non interessa il nostro tema. Ciò che ci importa è la celebrazione
menzionata del potere creatore dell'umanità, che si può considerare un
eloquente commento esplicativo della citazione che il “De finibus” trae dal
Protreptico aristotelico, la quale dichiara che l'uomo è nato per la doppia
attività, conoscitiva e creativa, come un dio mortale. L'uomo contemplato qui
da Cicerone è appunto quello che crea il mondo della cultura e lo sovrappone al
mondo della natura; e Cicerone offre una formula efficace per esprimere tale
creazione: « nostris denique manibus in rerum natura quasi alteram naturam
efficere conamur». Formula che, insieme alla ricordata definizione (“dio
mortale”) tratta da Aristotele, ispira le 'linee memorabili dello Spaccio della
bestia trionfante di Bruno, che sintetizzano il contenuto essenziale della
dimostrazione ciceroniana: « gli dèi avevano donato a l'uomo l'intelletto e le
mani, e l'avevano fatto simile a loro, donandogli facultà sopra gli altri
animali; la qual consiste non solo poter operar, secondo la natura ed
ordinario, ma, ed oltre, fuor le leggi di quella; acciò, formando o possendo
formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l'ingegno.... venesse a
serbarsi Dio de la terra » (p. 143 8g. nell'ed. Gentile, Dialoghi morali,
Bari, Laterza). Anche quello che segue nella pagina bruniana, sulle necessità
che acuiscono gli ingegni e fanno inventare le arti — di modo che « sempre piú
e piú.... allontanandosi dall'esser bestiale, piú altamente s'approssi-mano a
l'esser divino › — poteva ispirarsi alle frasi di Cicerone relative all'uomo
che « se segregavit a vita immani et fera »; frasi che, tuttavia, esprimevano
un concetto comune ad altri filosofi antichi, da Democrito a Lucrezio, i
quali insieme a Cicerone influiscono sulle celebrazioni della dignità dell'uomo
e della creatività dello spirito, rinnovate dagli scrittori rinascimentali, da
Manetti a Bruno e Campanella ?. Ma in un particolare caratteristico il
luogo citato dello Spaccio bruniano poté ispirarsi alla I Georgica di Virgilio
(v. 121 sgg.), vale a dire nel considerare la mitica età dell'oro come epoca di
pigrizia e di stupidità umane, e nel celebrare invece la dura necessità come
causa del risveglio dell'intelligenza e della creazione delle arti. « Ne l'età
de l'oro,” dice Bruno, “per l'Ocio gl’uomini non eran piú virtuosi, che sin al
presente cultadi, risorte le necessitadi, sono acuiti gl'ingegni,
inventate le industrie, scoperte le arti; e sempre di giorno in giorno, per
mezzo de l'egestade, dalla profundità de l'intelletto umano si eccitano nove e
maravigliose invenzioni. Onde, sempre piú e piú per le sollecite ed urgenti
occupazioni allontanandosi da l'esser bestiale, piú altamente 'approssimano a
l'esser divino » Senza dubbio il mito dell'età aurea o saturnia, pertamente
svalutato qui da Bruno, e motivo di sogni nostalgici per i filosofi dell'epoca
d’Ottaviano, quando Ovidio lo evoca in Metamorph. I, 89-150, collegandolo con
l'altro mito esiodeo delle cinque età della degradazione umana, e lo stesso
Virgilio torna a sognare un ritorno del regno di Saturno (« redeunt Saturnia
regna ») nella profezia della Sibilla nell'Egloga IV. Tuttavia questi
miti si trovavano già in Esiodo in conflitto con la celebrazione del lavoro
condizionante la dignità della vita, oltre che ogni acquisizione di beni.
3 Cfr. anche Gentile, «Il concetto dell'uomo nel rinascimento › ne Il pensiero
del rinascimento, Firenze. E il problema torna a porsi per Virgilio, che lo
risolve nella I Georgica in un modo che precorre Bruno. L’abbondanza e la
facilità di vita della mitica età saturnia significano ozio e letargo mentale;
e Giove, che nel detronizzare Saturno introduce le difficoltà, l'indigenza e la
necessità del lavoro, da agli uomini per questa via il dono inestimabile
dell'attività dell'intelligenza, creatrice delle arti e trionfatrice di tutte
le avversità per mezzo del lavoro. «Giove, il padre (pater ipse), volle
che non fosse facile la via della coltivazione, e dapprima fa lavorare i campi
per mezzo dell'arte, e acuí per mezzo delle preoccupazioni gli spiriti dei
mortali, e non permite che il suo regno s'intorpidisse in un pesante letargo »,
come accadeva prima del suo governo, quando nessuno lavora la terra, e questa
concede tutto senz'esser sollecitata dal lavoro umano. Giove cancella totalmente
le facilità e comodità, « affinché la necessità suscitasse le diverse arti, a
poco a poco, mediante la meditazione ». Cosí nasce l'agricoltura. Si
scopre il modo di accendere il fuoco con la pietra focaia. Si incanalano i
fiumi. Si inventa la navigazione, e il navigante impara a conoscere e nominare
le stelle. Si inventano gl’artifici della caccia e della pesca. Si forgia il
ferro e se ne fanno strumenti come l'ascia e la sega. «Allora vennero le varie
arti; trionfano di tutte le difficoltà il lavoro instancabile e l'indigenza che
assilla [gli uomini] nell'asperità delle condizioni di esistenza »: Tum
variae venere artes; labor omnia vicit improbus, et duris urguens in rebus
egestas. ( 145 8g.). In tal modo, per Virgilio, la necessità e il
lavoro, che Ovidio lamenta come una maledizione per la vita umana, sono una
vera benedizione, perché risvegliano l'intelligenza e l'attività creatrice
dell'uomo, e stimolano quella meravigliosa creazione delle arti e della
cultura, i cui momenti e aspetti Virgilio sintetizza ispirandosi alla
ricostruzione storica tracciata nel V libro di Lucrezio. Certo, Virgilio
s'allontana da Lucrezio nell'accettare il mito dell'età saturnia, pur
valutandolo negativamente rispetto a ciò che è piú essenziale e nobile
nell'umanità, vale a dire, l'intelligenza e la creatività dello spirito. Ma
un'eco piú fedele della concezione lucreziana sulla condizione primordiale
dell'umanità risuona in Orazio (“Satyr.” I, 3, v. 98 sgg.) con la descrizione
dei primi uomini che, come gl’altri animali, formano un gregge muto e turpe
(mutum et turpe pecus), lottano tra loro con unghie e pugni, poi con bastoni e
piú tardi con altre armi per soddisfare i primordiali bisogni di cibo e di
riparo, finché non creano il linguaggio, desistendo dalle guerre, edificando
città e creando leggi che impediscano i delitti. In una generazione successiva
Giovenale (“Satyr.”, VI e XIII) ripresenta una descrizione analoga dello stato
bestiale dell'umanità primitiva, satirizzando l'idea dell'età saturnia:
anch'egli, probabilmente, influenzato da Lucrezio e dalla concezione epicurea
della storia dell'umanità. Tuttavia, l'eco piú importante, teoricamente,
di tale concezione ci si presenta nell'età d'Ottaviano (come oggi si torna a
riconoscere da parte della critica storica) con Vitruvio, il quale sembra
raccogliere dagli ambienti colti della sua epoca o compiere lui stesso una
fusione delle idee esposte da Lucrezio con altre di varia provenienza, relative
al progresso umano, derivanti da Cicerone, al cui insieme aggiunge l'intuizione
dell'importanza che hanno per il progresso due fattori, apparentemente
contrari, ma connessi da lui in una dipendenza mutua, che sono la divisione del
lavoro e l'unità organica della cultura umana. Vitruvio mette in rilievo,
nella sua concezione del progresso storico dell'umanità e della creazione della
cultura, una molteplicità di fattori cooperanti: la durezza primordiale della
vita; le esperienze fortuite che suggeriscono qualche mezzo per mitigare tale
durezza; le capacità e potenze congenite negli uomini, che sono stimolate al
loro esercizio dai due fattori suddetti, e sono avviate cosí ad uno sviluppo
progressivo e alla produzione di risultati crescenti; la ripercussione che
hanno i fattori citati sulla formazione di raggruppamenti umani permanenti, a
partire da quelli temporanei primordiali, e sulla creazione del linguaggio;
l'effetto prodotto da tali innovazioni, che non solo permettono l'assommarsi
delle capacità individuali, ma provocano il loro acerescimento progressivo,
dovuto sia al mutuo aiuto e all'esperienza dei vantaggi della cooperazione, sia
allo stimolo reciproco derivante dall'attrito degli ingegni; il sussidio
poderoso, che dà a tale processo l'uso di due strumenti meravigliosi, che sono
il linguaggio, generato dalla convivenza sociale, e il possesso della mano,
organo naturale incomparabile per afferrare ed elaborare le cose, la cui
efficacia, già intuita da Anassagora, ha di nuovo posta in rilievo Cicerone; e
infine l'imitazione e trasformazione della natura effettuate dalle arti, dove
il conoscere è un fare e l'esperienza è un esperimento. Questo fare e
sperimentare воло геві possibili precisamente dal possesso e
dall'uso delle mani, che rendono capace l'uomo di tentare i piú vari modi
di combinazione ed elaborazione dei mezzi naturali, di modo che, a partire da
principi minimi, le arti si elevano nel loro sviluppo verso risultati sempre
maggiori e progressivi affinamenti delle loro capacità creative. Tutti
questi elementi sono messi in rilievo da Vitruvio nel cap. I del libro II del
De Architectura: Sulla vita degli uomini primitivi e sugl’inizi e incrementi
della civiltà e dell'architettura.” La prima esperienza che, secondo Vitruvio, ha
una funzione decisiva per togliere gli uomini dalla vita ferina primordiale e
generare la convivenza sociale permanente, fu quella dell'incendio di selve
prodotto da qualche tempesta. L'impressione di terrore iniziale è seguita dalla
curiosità, per la quale gli uomini, dopo esser fuggiti, tornano ad avvicinarsi
e, sentendo il calore del fuoco, intuiscono la sua utilità per la vita.
Attratti dallo spettacolo, gl’uomini si riuniscono, concepiscono la possibilità
di continuare ad alimentare il fuoco. E cosí iniziano la loro convivenza ed una
comunicazione mutua delle loro impressioni mediante voci, che a poco a poco,
con il tempo, si convertono in linguaggio. La posizione eretta e il possesso
delle mani, che permettono il maneggio di qualunque oggetto, portano gl’uomini
alla prima creazione di ripari e di tetti, mediante escavazione di tane o
costruzioni di rami e fango che imitano quelle dei nidi di rondini. Lucrezio
e Cicerone insieme suggerivano a Vitruvio questa concezione delle fasi e
dei fattori del processo. Vitruvio aggiunge l'idea di un'analogia generale di
questo sviluppo storico presso i diversi popoli, allegando i documenti offerti
da resti di costruzioni primitive che si trovavano in paesi civili come sul
Campidoglio di Roma, e dalle edificazioni che continuavano a farsi in paesi
barbari (Gallia, Aquitania, Colchide, Frigia, etc.). Queste osservazioni
comparate, che presentano il passato dei popoli civili come analogo al presente
dei barbari, potevano suggerire l'idea di un futuro progresso dei barbari verso
uno sviluppo analogo al presente dei popoli civili, tanto piúin quanto Vitruvio
rileva l'impulso che danno al progresso le relazioni mutue nell'interno d'ogni
popolo. L'osservazione reciproca (egli nota) desta non solo la capacità
d'imitazione, ma anche l'emulazione, per cui si perfezionano con il tempo i
prodotti e si affinano la stessa intelligenza e la facoltà di giudizio dei
produttori. Allora con l'osservazione delle costruzioni altrui e
l'aggiunta di novità per mezzo delle riflessioni proprie, di giorno in giorno
andavano migliorando il tipo delle costruzioni. Ed essendo gli uomini capaci
d'imitazione e d'istruzione, nel celebrare giornalmente le loro invenzioni, si
mostravano tra di loro i risultati delle loro costruzioni; e in tal modo, nell'esercitare
i loro ingegni in competizioni, di giorno in giorno si facevano di giudizio piú
raffinato ». Quest'ultima frase, “in dies melioribus iudiciis
efficiebantur,” anticipa l'idea di Bruno, che gli uomini acquistano
progressivamente giudizio « piú maturo »; il che si determina, secondo Bruno
per tre fattori: l'accumulazione delle osservazioni, l'attività riflessiva e
inventiva del pensiero, e la varietà delle cose osservate. Ma Vitruvio aggiunge
un altro fattore piú importante: l'esercizio attivo del potere dell'ingegno,
stimolato dalla emulazione (exercentes ingenia certationibus). In ciò Vitruvio
raccoglie la suggestione di Aristotele relativa all'affinamento progressivo del
giudizio per via del suo esercizio costante. Ma in Aristotele tale esercizio
nasce dall'insoddisfazione e dalla critica delle idee altrui. In Vitruvio dallo
sforzo d'emulazione. In entrambi, tuttavia, il processo si realizza tanto nello
spirito individuale quanto in quello collettivo; e Vitruvio riconosce cosí la
formazione storica dello spirito dell'umanità, considerando il vincolo e l'azione
reciproca tra il perfezionamento dei prodotti dell'arte e lo sviluppo dello
spirito produttore.Vitruvio esprime cosí u concetto tipicamente storicistico,
nel riconoscere che lo spirito umano è in sé e per sé storia e sviluppo;
concetto considerato abitualmente « tutto proprio dell'età moderna», come lo
define Gentile (Il pensiero del rinascimento, cit.), nel trovarlo espresso da
Bruno. Vitruvio riconosce e spiega tale carattere storico dello spirito in
rapporto con la storia dell'architettura, che nel suo sforzo di perfezionamento
progressivo, per rispondere sempre piú alle esigenze umane, si fa, secondo lui,
generatrice di altre arti e discipline, per via dell'esercizio continuo cui
obbliga la mente, che in tal modo si potenzia e sviluppa in se stessa nuove
capacità, madri di arti e scienze nuove. « Come, dunque, con l'attività
costante (quotidie faciendo) avevano [gli uomini] rese piú esperte ed abili le
loro mani per ogni costruzione (tritiores manus ad aedificandum perfecissent),
e mediante l'esercizio instancabile dei loro ingegni (solertia ingenia
exercendo) erano giunti con l'uso incessante alla creazione delle arti, allora
l'attività industriosa aggiunta da essi ai loro spiriti (industria in animis
eorum adiecta) fece sí che quelli che erano piú ben disposti e diligenti
(studiosiores) si convertissero in artefici professionali (fabros se esse
profiterentur) ». Nasce in questo modo, dal progresso delle capacità
intellettuali e pratiche, la divisione del lavoro; ma nasce e si mantiene
legata all'unità organica della cultura, affermata già, con notevole vigore, da
Vitruvio nel I cap. del libro I. Dove si fa notare per l'architettura il
vincolo reciproco dell'attività pratica (fabrica) e di quella teorica
(ratiocinatio), che non permette di raggiungere la perfezione dell'arte né al
puro homo faber né al puro homo sapiens, ma solo a chi riunisce in sé entrambe
le condizioni (8§ 1-2); e aggiunge Vitruvio che l'architetto ha bisogno di
conoscenze di letteratura, disegno, geometria, storia, filosofia, musica,
medicina, diritto, astronomia (8§ 3-11), cioè di possedere una cultura
organica: « tutte le discipline hanno tra loro un vincolo ed una comunicazione
mutua.... e la [cosí detta] disciplina enciclica come un corpo unico è
costituita di tali membri ». Certamente, come tecnico e teorico
dell'architettura, convinto e preoccupato dell'importanza preminente della sua
arte, Vitruvio nel I cap. del libro II, che stiamo analizzando, sembra che
spieghi l'unità e connessione reciproche di tutte le arti e discipline come
dovute ad un germinare di tutte dalla radice comune dell'archi-tettura, che per
le sue esigenze ed i suoi sviluppi genererebbe le altre arti e scienze, e ne
determinerebbe i progressi. « Dalla costruzione degli edifici progredendo
gradualmente verso le altre arti e scienze (e fabrica-tione aedificiorum
gradatim progressi ad ceteras artes et disciplinas) e utilizzando le armi del
pensiero e la riflessione deliberativa', con cui la natura rafforzò le loro
menti (cum natura cogitationibus et consiliis arma-visset mentes), essi
trassero l'umanità dalla vita ferina e selvaggia a quella civile (e fera
agrestique vita ad mansuetam perduxerunt humanitatem) ». Allora si genera
negli uomini la capacità di prepararsi nel loro spirito, e di guardar lontano
per mezzo dei pensieri piú grandi, che nascono dalla varietà delle arti (tum
autem instruentes animo se et prospicientes maioribus cogitationibus ex
varietate artium natis); il che Vitruvio applica, indubbiamente, ai progressi
del-l'architettura, ma è un concetto che s'estende da sé ad ogni sviluppo
culturale. « Poi con le osservazioni degli 1 Se leggessimo, con qualche
edizione, conciliis anziché con siliis, dovremmo pensare che Vitruvio rilevasse
qui non già l'importanza della riflessione deliberativa (consilia), bensi
quella della convivenza e della cooperazione sociale (concilia). Ma
queste ul- time sono per Vitruvio creazione umana e non dono della
natura. studi portarono [le loro opere] dai giudizi errati ed
incerti alle ragioni certe delle simmetrie. Quindi mediante le loro cure
alimentarono e adornarono di piaceri l'eleganza della vita, accresciuta dalle
arti (trac- tando nutriverunt et auctam per artes ornaverunt vo-
luptatibus elegantiam vitae) ». Si presenta pertanto, nella concezione di
Vitruvio, tutto un processo storico nel quale l'uomo, spinto dai bisogni,
guidato dalle esperienze, rafforzato dall'eserci-zio, sviluppa e traduce
progressivamente in atto le sue potenze naturali, creando le arti e le scienze;
ma in questo processo i prodotti reagiscono sul produttore; l'esercizio
intensifica i poteri dello spirito e genera nuove capacità; i risultati
realizzati si convertono in mezzi e impulsi per creazioni ulteriori; e in questo
modo l'umanità progredisce e si sviluppa, creando il mondo della cultura e
creando nello stesso tempo spiritualmente se stessa per mezzo del suo lavoro,
come causa ed effetto insieme dei suoi progressi. La concezione della
creatività dello spirito appare, dunque, raggiunta in pieno da Vitruvio. Lo
scambio d'azione che Vitruvio vedeva effettuarel tra lo spirito produttore e i
suoi prodotti nella creazione e nello sviluppo progressivo delle arti e delle
scienze, significava per se stesso un processo storico di autocreazione e
d'autosviluppo incessanti dello stesso spirito umano, che logicamente doveva
presentarglisi come un processo infinito. Ma Vitruvio non segnalò, e forse non
intuí neppure questa conseguenza della sua conce- ' (Appare in questa
visione un barlume del processo chiamato da Marx il processo della umwälzende
Praxis, cioè dell'attività dell'uomo che si rovescia su se stessa e sull'uomo,
trasformandolo nel trasformare se stessa. zione, cosí come non
l'aveva espressa né vista Aristotele, benché riconoscesse che il potere
intellettuale dell'uomo va aumentando sempre, quantitativamente e
qualitativa- mente, con l'esercizio attivo delle sue capacità di indagine
e di riflessione critiche. La prima affermazione esplicita dell'infinità
del progresso spirituale umano ci appare nell'antichità classica con Seneca,
che tuttavia era stato precorso parzialmente da Filone ebreo, come diremo. Ma
mentre nella concezione di Vitruvio l'infinità potenziale del progresso è in
rapporto con il processo di creazione e sviluppo delle arti, a cui egli
collegava la scoperta delle scienze, Seneca invece nella polemica contro
Posidonio ripudia l'unità e identità tra l'homo faber e l'homo sapiens, che
quello aveva affermato (cfr. Epist. 90). Contro la celebrazione del
progresso tecnico, inserito da Posidonio nello sviluppo stesso della saggezza,
Seneca nella sua polemica sembrava ripudiare la creazione umana delle arti,
accusandola di complicare e render difficile la vita, e sembrava ritornare, con
l'evocazione di Diogene, all'ideale cinico-stoico della semplicità primordiale
della vita conforme alla natura, che facilmente soddisfa le sue esigenze
minime. «Non fu tanto nemica la natura, da concedere la facilità della
vita agli altri animali e volere che solo l'uomo non potesse vivere senza tante
arti.... Siamo noi che ci rendemmo tutto difficile per la nostra tendenza a
stancarci (fastidio) delle cose facili.... Tutte queste arti, per le quali la
città si eccita e rumoreggia, lavorano per il corpo, a cui prima si imponeva
ogni [sa-crificio] come ad uno schiavo, mentre ora gli si prepara ogni
[godimento] come ad un padrone » (epist. cit.). Tuttavia questa posizione
polemica non rappresenta integralmente l'orientamento spirituale di Seneca.
Seneca è ben lungi dall'identificare la saggezza — nel cui culto
vede l'unica attività che possa render degna la vita umana - con la supposta
felicità primordiale dello stato di natura. « Per quanto egregia e priva di
inganni fosse la vita di quelli (primitivi), essi non furono savi.... non
avevano ingegni perfezionati (consum-mata).... La natura non dà la virtú, e il
diventar buono è un'arte.... Quelli erano innocenti per ignoranza; ma c'è una
gran differenza tra il non volere e il non saper peccare (multum interest utrum
peccare aliquis no-lit an nesciat). Mancava loro la giustizia, mancava loro la
prudenza, la temperanza, la fortezza. La loro vita incolta aveva qualcosa di
simile a tutte queste virtú; ma la virtú non è conseguita se non da uno spirito
edu-cato, istruito e portato mediante l'esercizio assiduo fino al vertice.
Certo nasciamo per questo, ma senza que-sto; e anche negli uomini migliori,
prima che posseggano l'educazione, esiste la materia della virtú, ma non la
virtú stessa » (ibid.). In tal modo, la virtú torna a presentarsi
connessa alla cultura in questa stessa Epistola 90, dove la critica a Posidonio
sembrava portare ad una rivendicazione della natura primordiale, simile a
quella dei cinici. La virtú, dunque, per Seneca non è un'ingenuità ignorante,
ma deve avere chiara coscienza del male e del vizio per trionfare di essi.
Seneca fa in certo senso presentire il concetto che ispira in tempi moderni la
filosofia della storia di Fichte (Caratteri fondamentali dell'epoca con-
temporanea), secondo cui l'umanità, dopo di essere uscita dalla sua primitiva
rettitudine incosciente, abbisogna della piú profonda coscienza ed esperienza
del peccato, per elevarsi alla sua cosciente redenzione. Con la
rivalutazione della cultura come condizione e fondamento dell'etica e della
filosofia, tornano ad essere pertanto rivalutate da parte di Seneca anche le
arti, ed è riaffermato il concetto del Protreptico aristotelico,
della doppia e indivisibile funzione che incombe al- Q l'uomo, cioè
quella di esercitare tanto l'attività intellettuale quanto quella pratica.
Aristotele aveva affermato, secondo la testimonianza di Cicerone (De finibus,
II, 13, 39), che l'uomo nacque per due cose: intendere e operare («ad duas res,
ad intelligendum et agendum esse natum »); e Seneca (De otio, cap. 32) ripete
che la natura volle che facessimo le due cose: operare e coltivare la
contemplazione. « Natura autem utrumque fa-cere me voluit, et agere et
contemplationi vacare ». Anzi, aggiunge che egli le fa entrambe, perché sono
insepa-rabili, giacché neppure la contemplazione può esistere senza azione: «
utrumque facio; quoniam ne contem-platio quidem sine actione est »'. Nessuna
virtus è un bene reale, finché non passa all'azione (“in otium sine actu
proiecta”). «Chi potrebbe negare che essa deve comprovare nelle opere i suoi
progressi, e non limitarsi a pensare ciò che si deve fare, bensí esercitare
anche le sue mani e portare a realtà le sue meditazioni? » (* sed etiam
aliquando manum exercere, et ea quae meditata sunt ad verum perducere?
»). Questa rivalutazione dell'attività pratica, a causa del legame che
l'attività teorica ha con essa, doveva portar seco anche un apprezzamento delle
creazioni delle arti, che per questa via tornano ad inserirsi nel processo
creativo della cultura, dove si afferma il potere e il valore dello spirito
umano. Una celebrazione caratte ristica di questa creatività dello spirito,
applicata alle opere della civiltà e delle arti, merita di esser segna- É
evidente la derivazione da Seneca del noto luogo dello Spaccio bruniano
(p. 143 8g. dell'ed. Gentile): « e per questo ha determinato la providenza, che
vegna occupato ne l'azione per le mani, e contemplazione per l'intelletto; de
maniera che non con-temple senza azione, e non opre senza contemplazione. Ne
l'età dunque de l'oro per l'Ocio gli uomini non erano piú virtuosi, che sin al
presente le bestie son virtuose ». lata nell'Epistola 91, relativa
all'incendio che in una sola notte aveva distrutto la città di Lione
(Lugdunum), che era per la sua bellezza la gloria della Gallia. Seneca si rende
conto che le opere dei mortali sono. condannate a perire e che noi viviamo tra
cose caduche: « omnia mortalium opera mortalitate damnata sunt. Inter peritura
vivimus». Ma questo carattere mortale delle opere è superato dall'imperitura
energia creatrice del-l'umanità, che ricostruisce sempre ciò che è caduto e lo
ricostruisce piú bello e perfetto, di modo che le distruzioni si convertono in
fattore di progresso. « Multa cecide-runt ut altius surgerent et in maius ».
Come Roma sempre risorse piú bella e potente dalle ceneri degli incendi subiti,
cosí anche a Lione tutti competeranno per ricostruirla in forma piú grande e
piú solida di quella per-duta: « ut maiora certioraque quam amisere restituant
». Ciò che caratterizza l'uomo, dunque, consiste per Seneca nell'esigenza
e nello sforzo costanti di superamento; per il loro mezzo lo spirito immortale
dell'umanità si sovrappone al carattere mortale delle sue creazioni. Sono
mortali - sembra dire Seneca — le creazioni partico-lari; ma è immortale la
creazione progressiva della cul-tura, per essere immortale e inesauribile lo
spirito creatore. In questo sforzo interminabile di superamento,
le attività pratiche delle arti e della tecnica in generale si unificano, per
Seneca, con le attività teoriche della scienza e della filosofia. Possiamo dire
che Seneca precorre Lessing nel considerare che questo sforzo spirituale
costituisce il valore della vita, che pertanto si afferma solo in quanto l'uomo
amplia progressivamente il suo orizzonte e le sue aspirazioni. Se mai l'umanità
potesse giungere ad un possesso pieno della scienza, e non avesse piú davanti a
sé un cammino ulteriore da percorrere e difficoltà nuove da superare, non
avrebbero piúsignificato la vita e il mondo in cui si sviluppa l'attività umana.
È lo sforzo ciò che costituisce il valore della vita; la sua persistenza
inestinguibile e il suo rinnovamento incessante presuppongono l'impossibilità
perenne di raggiungere il fine ultimo; ma questa condizione non significa per
l'uomo una maledizione o condanna ad una tensione vana che non può mai essere
soddisfatta, bensí alimenta e mantiene il valore della vita come milizia ' ed
aspirazione dignificatrice, che sono nello stesso tempo perfezionamento
spirituale progressivo. Quest'idea, dell'infinità dello sforzo e del
progresso umano, derivante dall'impossibilità di conseguire il fine supremo,
era stata intuita ed espressa parzialmente, prima di Seneca, da Filone ebreo.
La posizione degl’uomini in qualsivoglia delle loro attività, dice Filone, sta
sempre nel mezzo tra l'inizio e la fine: « Noi siamo trattenuti nell'intervallo
tra la fine e l'inizio nell'impa-rare, nell'insegnare, nel lavorare la terra,
nell'operare in ciascuna delle altre cose » (“Quis rerum divin. heres sit,” n.
24); ma questa inferiorità che caratterizza la nostra imperfezione costante in
confronto alla perfezione assoluta di Dio, non significa ristagno e immobilità
spi-rituali, bensí movimento e progresso incessanti: « A misura che uno avanza
nelle scienze e si pone stabilmente sul loro terreno, si fa tanto piú incapace
di raggiungere i loro limiti.... La scienza per i piú capaci è una sorgente
sempre in movimento, che produce sempre nuovo afflusso di idee» (De plantat.
Noë, n. 20). In tal modo per Filone ogni approfondimento della nostra
conoscenza è nello stesso tempo un approfondi- 1 Cfr. Epist. 46: « Atqui
vivere, Lucili, militare est. Itaque qui iactantur et per operosa atque ardua
sursum ac deorsum eunt, et expeditiones periculosissimas obeunt, fortes
viri sunt, primo- resque castrorum; isti, quos putida quies, aliis
laborantibus, mol- liter habet, turturillae sunt, tuti contumeliae causa
». mento della coscienza della nostra ignoranza: dalla conoscenza
acquisita spuntano sempre problemi nuovi; ma dai problemi nasce il movimento
progressivo dell'intel-ligenza, in un processo che non finisce mai a causa
dell'impossibilità di raggiungere, con il pensiero, il termine ultimo. Questo,
per Filone, si raggiunge certo nel rapimento dell'estasi, che è estinzione di
ogni movimento attivo della mente; ma fuori della soluzione mistica, c'è solo
un processo infinito, conseguenza dell'infinita di- stanza, che ci divide
dall'irraggiungibile oggetto supremo. Vero è che di questi pensieri di
Filone non ebbe alcuna notizia Seneca, il quale giunse per una via parzialmente
analoga all'idea dell'infinito progresso conoscitivo, cou- siderandolo
determinato dall'infinita distanza, che ci separa sempre dal fine supremo delle
nostre aspirazioni e dai nostri sforzi. Ci sono delle realtà — osserva Seneca
in Natur. quaest. VII, cap. 30, a proposito dell'igno-ranza del suo tempo
riguardo alle orbite e alle. leggi di movimenti delle comete: cfr. cap. 25 8gg.
- che non possono essere colte dai nostri occhi, o perché permangono in luoghi
sottratti alla nostra vista, o perché la loro sottigliezza è irraggiungibile
per la nostra acutezza visiva, o forse anche perché non abbiamo la capacità di
percepirle, nonostante che riempiano i nostri occhi. Tutte queste realtà sono
accessibili unicamente allo spirito (animo) e debbono essere contemplate con il
pensiero (cogitatione). Ma lo stesso pensiero che ci porta fino all'idea
dell'esistenza di Dio, che creò tutto l'universo intorno a sé e lo governa, ed
è la parte mag- derlo nella giore e migliore della sua opera, non
arriva a comprenderlo nella sua essenza. « Non possiamo sapere che cos'è ciò,
senza di cui nulla esiste, e ci stupiamo per non conoscer bene certi piccoli
fuochi (le comete), mentre ci resta celata la parte maggiore dell'universo, dio
» (« Quid sit hoc, sine quo nihil est, scire non possumus, et
miramur si quos igniculos parum novimus, cum maxima pars mundi, deus, lateat
»). Ma da questa situazione nasce in noi uno stimolo all'indagine, che si
intensifica con l'esperienza dei pro-gressi già realizzati. Ci sono conoscenze
che abbiamo acquisito di recente, altre in gran numero che ancora non abbiamo
raggiunto; ma - aggiunge Seneca - « verrà un tempo in cui queste cose, che ora
permangono occulte, le porterà alla luce un giorno futuro ed una indagine assidua
di piú lunga durata.... Verrà un tempo in cui i nostri posteri resteranno
stupiti che noi igno-rassimo cose che per essi saranno tanto evidenti» (op.
cit., cap. 25). « Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet; multa
saeculis tune futuris cum memoria nostri exoleverit reservantur. Pusilla res
mundus est, nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat » (cap. 30).
Questa inesauribilità dell'indagine e delle scoperte supera con la sua infinità
la gradualità progressiva. ma limitata, del processo delle iniziazioni ai
misteri, a cui Seneca la paragona. Certo che, come ad Eleusi non si mostrano
tutte le cose sacre al novizio, riservandosi le piú importanti per gli
iniziati, cosí si può dire che la natura non concede in una sola volta ed a chiunque
tutti i suoi sacri segreti, e anche quando ci crediamo iniziati, siamo ancora
nel vestibolo del tempio e gli arcani rimangono chiusi nel sacrario interno. Ma
nelle cerimonie mistiche gli iniziati pervengono, alla fine, a veder tutto; e
nella scienza, invece, il processo di sco-perta non finisce mai. Dei suoi
segreti, alcuni potrà sco-prirli la nostra età, altri le età successive («
aliud haec aetas, aliud quae post nos subibit aspiciet »); ma ri-marrà sempre
campo per le investigazioni di « tutto il mondo ». E anche nell'ipotesi che gli
uomini si dedi-chino completamente all'indagine e alla comunicazione reciproca
delle conoscenze acquisite, Seneca dice che a mala pena (vix) si
giungerebbe a quel fondo dove è collocata la verità che ora cerchiamo alla superficie
e con leggerezza (ibid., cap. 32); e l'esplorazione di questo fondo, secondo le
dichiarazioni precedenti, esigerebbe sempre uno sforzo investigativo
infinito. La sospensione dello sforzo e del lavoro, dunque, non solo
ritarda o impedisce del tutto le grandi conquiste ulteriori (« tarde magna
proveniunt, utique si labor ces-sat »: cap. 31), e impedisce che si trovi
alcunché di ciò che gli antichi indagarono in modo insufficiente, ma fa perdere
anche le stesse scoperte già realizzate (« adeo nihil invenitur ex his quae
parum investigata antiqui reliquerunt, ut multa quae inventa erant obliterentur
»: cap. 32). Donde la necessità e l'obbligo morale, per cia-scuno, di
mantenere attivo lo sforzo incessante e di cooperare attivamente alla grande
opera di conquista collettiva dell'umanità. Coloro che rimangono soddisfatti
delle acquisizioni già realizzate dagli antecessori, non si rendono conto
dell'immenso cammino da percorrere, che si estende davanti a noi. «Non si
troverebbe mai nulla, se restassimo contenti con ciò che è già stato trovato.
Inoltre, chi si limita a seguire un altro, non trova nulla per conto suo, anzi,
non cerca neppure.... Ma coloro che hanno promosso queste investigazioni
sono per noi guide, non padroni. [Il cammino del]la verità è aperto a tutti,
non è ancora occupato, anzi gran parte di esso resta ancora da percorrere agli
uomini del futuro › (Epist. 33). Confidiamo pertanto e molto nel giudizio dei
grandi uomini, ma rivendichiamo anche l'uso del giudizio nostro. Forse neppur
essi ci han lasciato scoperte effettuate, ma indagini da compiere » (* Num illi
quoque non inventa, sed quaerenda nobis reliquerunt »: Epist. 45).
«Non mi sembra che i predecessori si siano impadroniti con la forza
(praeripuisse) di ciò che si poteva dire, ma che ce lo abbiano
solamente mostrato (ape-ruisse). Se non che c'è molta differenza tra
l'avvicinarsi ad una materia esaurita (consumptam) e ad una solamente preparata
(subactam): questa va crescendo giorno per giorno, e le invenzioni effettuate
non sono ostacoli per chi realizzerà invenzioni ulteriori (« crescit in dies,
et inventuris inventa non obstant »: Epist. 79). Anzi, chi ha qualcosa da
insegnare agli altri, deve spargerlo come semente feconda (« seminis modo
spargenda sunt»), la quale, per quanto piccola, cadendo in terreno adatto
sviluppa le sue forze, e dalla sua piccolezza originaria, crescendo fino alle
sue dimensioni massime, si diffonde (« ex eo minimo in maximos auctus
diffunditur»). Gli insegnamenti son come le sementi: ancorché siano limitati
(angusta), possono sviluppare una grande efficacia, purché una mente idonea li
accolga e li raduni in se stessa; e a sua volta questa mente ne genererà molti
altri e ren- derà piú di quello che ricevette » (Epist. 38).
Naturalmente questo processo storico di accrescimento progressivo della
cultura, nella successione delle generazioni e delle comunicazioni da maestri a
disce-poli, esige l'attività vivente degli spiriti ricettori. Quindici secoli
piú tardi G. Bruno dirà che se « di questi alcuni, che son stati appresso, non
siino però stati piú accorti, che quei che furon prima.... questo accade per
ciò che quelli non vissero.... gli anni altrui, e, quel che è peggio, vissero
morti quelli e questi negli anni pro-prii » (Cena delle Ceneri, ed. Gentile, p.
28 8g.). Una esigenza analoga aveva affermato Seneca nella Epist.
84, dichiarando che gli insegnamenti devono, come alimenti digeriti,
trasformarsi in forze e sangue di chi li assimila (« in vires et sanguinem
transeunt»). Le conoscenze ingerite non debbon lasciarsi tali e quali sono
(integra), affinché non restino come cose estranee (alie-na): dobbiamo
digerirle (concoquamus), affinché sianonutrimento dell'ingegno e non peso della
memoria. I discepoli o le generazioni successive devono assomigliare ai loro
maestri e padri come figli viventi e attivi, non come immagini morte: « imago
res mortua est »; e nella trasmissione della cultura, invece, occorrono spiriti
viventi che (come dirà Bruno) vivano attivamente gli anni dei predecessori e
non vivano morti gli anni propri, bensí progrediscano sempre piú. Si deve
imprimere la forma della propria personalità a tutti gli elementi di cultura
che si raccolgono, affinché confluiscano in una unità (« in unitatem illa
competant») come le voci di un coro. « Tale voglio che sia il nostro spirito,
che abbia in se stesso molte arti, molti precetti, gli esempi di molte
generazioni, ma facendoli confluire tutti in una unità», vivente e attiva (« ut
multae in illo artes, multa praecepta sint, multarum aetatum exempla, sed in
unum conspirata »). L'Epistola 84 integra pertanto l'affermazione
del-l'Epistola 80, che lo spirito (animus) non è come il corpo, che abbisogna
dall'esterno di molto alimento, di molta bevanda, di molto olio e di lunghe
cure; lo spirito invece (continua l'Epistola 80) cresce da se stesso, si
alimenta e si esercita da sé, ed abbisogna solo della volontà per il suo
perfezionamento. L'Epistola 84, dunque, riconosce che anche lo spirito
abbisogna del suo alimento, che consiste nella cultura che riceve dalle generazioni
precedenti e dall'ambiente sociale in cui si sviluppa, e che anch'esso deve,
non meno del corpo, assimilare il suo alimento e trasformarlo in proprio sangue
e forza attivi. Certamente egli deve avere in sé l'energia della volontà
richiesta dall'Epistola 80: ossia deve, secondo il paragone dell'Epistola 39,
essere come una fiamma che s'innalza in linea retta e che non può essere
inclinata e oppressa, né tanto meno aver tregua: cosí lo spirito è
in movimento ed è mobile e attivo tanto piú quanto piú è energico. Ma questa
energia, questa attività, questo movimento spirituali non si esercitano nel
vuoto, bensí nel mondo della cultura, che è creazione dello
spirito; nel qual mondo si forma cosí la tradizione vivente e attiva, che è
conservazione e accrescimento in-cessanti. Seneca ha visto che questo
doppio aspetto della tradizione implica un doppio atteggiamento spirituale: di
dipendenza e d'indipendenza rispetto al passato. I diritti del passato devono
essere riconosciuti, ma come condizione e mezzo di salvare e assicurare i
diritti dell'avve-nire, che sono diritti di un progresso infinito. « Venero
pertanto — dice l'Epistola 64 - le invenzioni della sapienza e i loro
inventori; bisogna avvicinarsi ad essi come ad una eredità collettiva. A nostro
beneficio sono state effettuate queste acquisizioni e questi lavori. Ma
comportiamoci come buoni padri di famiglia; rendiamo piú ampia l'eredità
ricevuta, cosi che questa passi da noi alla posterità fatta maggiore. Molto
lavoro resta ancora da compiere, e molto ne resterà poi; né a nessuno, anche se
nasca dopo migliaia di secoli, sarà preclusa l'occasione di aggiungere ancora
qualcosa di piú ». Anche nell'ipotesi assurda, che gli antichi avessero
inventato tutto, resterebbero sempre nuove l'utilizzazione, la scienza e la
disposizione delle invenzioni altrui. Ma siamo ben lungi dalla possibilità di
ammettere l'ipotesi citata. Quelli che esistettero prima di noi « multum
ege- runt, sed non peregerunt ». Certamente dobbiamo ammirarli e
onorarli come dei, e professare verso « i precettori del genere umano, da cui
ci vennero i principi di un bene tanto grande, la stessa venerazione che
dobbiamo ai nostri maestri personali ». Tuttavia l'onore migliore, anzi l'unico
onore degno ed efficace che i discepoli possano rendere ai mae-
stri e i figli ai padri, consiste, secondo le affermazioni esplicite di Seneca
già citate, nel far viva e operante la loro eredità, nel proseguire le vie che
essi ci aprirono, cioè nel compiere per ciò che possiamo il progresso della
cultura, la cui infinità esige sempre l'attività creatrice di ogni generazione
nel trascorrere infinito del tempo. In questo senso devono intendersi le
affermazioni della Epistola 102, relative allo spirito: « Lo spirito umano è
una realtà grande e generosa, che non tollera gli si pongano mai limiti che non
gli siano comuni anche con Dio»; cioè afferma la sua esigenza di infinità e
vuole tradurla in atto nel doppio aspetto spaziale e temporale. Lo spirito
pertanto non accetta che gli si attribuisca una patria umile e limitata, come
sarebbe la città natale di ciascuno, e reclama come propria patria tutto
l'universo; e «non permette che gli si assegni un'epoca limitata: tutti gli
anni sono miei (dice); nessun tempo è inaccessibile al pensiero ». Ma questa doppia
esigenza di infinità - che significa coscienza di un potere infinito, e che,
quanto al tempo, si estende ugualmente verso il passato e verso il futuro —
vale, secondo il pensiero espresso di Seneca, tanto per la contemplazione
quanto per l'azione creativa. La contemplazione si realizza per mezzo
dell'investigazione e (come vedemmo) « piccola cosa sarebbe il mondo se
in esso non avesse sempre tutto il mondo qualcosa da investigare » (Nat.
quaest. VII, 30); ma d'altra parte (come vedemmo) neppur la contemplazione può
darsi senza azione: « ne con- templatio quidem sine actione est › (De
otio, cap. 32). Talché lo spirito deve effettuarle entrambe ad un tempo,
nella loro mutua correlazione, e considerare l'infinita estensione
dell'universo in tutte le sue dimensioni, e del tempo nella sua doppia
direzione di passato e futuro, non solo come oggetto di contemplazione
conoscitiva, ma anche come campo d'azione creativa. Per questa via,
nellaconcezione delineata da Seneca, lo spirito riconosce ве stesso nell'infinita
creazione della cultura, opera del suo infinito passato e compito del suo
infinito avvenire 1. m). In tal modo, nell'affermare esplicitamente e
mettere in evidenza sotto vari aspetti l'infinità del processo storico di
creazione della cultura e d'accrescimento dello spirito umano, Seneca portava
la teoria del progresso al suo piú alto grado di compimento nell'antichità.
Dopo di lui, nonostante l'attivismo della gnoseologia e della pedagogia di
Plutarco e di Plotino, il predominio crescente dell'orientamento mistico nella
filosofia non favorí certo nuovi sviluppi della teoria del progresso; la cui
tradizione, tuttavia, lungi dal perdersi, appare conservata — come abbiamo
visto a proposito di Aristotele anche in scrittori tardi
come Asclepio e Giovanni 1 Meritano di essere ricordate alcune altre dichiarazioni
signi- Epansa (Sice rel Eple 65) Eaar dee appreanere ne che a
riferisce alle cose divine e alle umane, alle passate e alle future, alle
caduche e alle eterne, al tempo, etc.»; e qui Seneca cita esempi delle «
innumerabiles questiones» che si pongono per la conoscenza di ogni sfera e di
ogni aspetto della realtà universale. Ma il De otio, cap. 32, mostra che
all'infinito numero dei problemi corrisponde l'infinita curiosità (curiosum
ingenium) dell'uo- mo: il desiderio di conoscere lo sconosciuto
(cupiditas ignota no-scendi) ci spinge ai viaggi ed alla navigazione, alle
investigazioni naturali ed agli scavi, alle ricerche storiche relative
all'umanità ad che poe eseri al dd a del come o aire dacueione dei
probiem pelaurs ar ateria dd ale epifio) relativi alla materia ed allo
spirito, etc. Nello stesso capitolo del “De otio” aggiunge (come abbiamo
già ricordato) che la contemplazione non può mai essere senza azione, e che le
cose meditate esigono la loro realizzazione mediante l'esercizio della mano; di
modo che il processo infinito di creazione della cultura è inteso nell'unità di
teoria e pratica. Filopono; e la loro fonte al riguardo, Aristotele, ci
attesta che tale teoria si è trasmessa senza soluzione di continuità. Ma
Plutarco ci fa udire l'eco tanto di idee provenienti da Archita e Democrito,
intorno alla funzione che spetta alla necessità nel processo storico delle
creazioni umane, quanto dell'ordine cronologico in cui Democrito e Aristotele
distribuivano la creazione progressiva delle arti di necessità, di quelle di
abbellimento e delle scienze. E nello stesso II secolo cui appartiene
Aristocle, un documento caratteristico ci dimostra la diffusione raggiunta
dall'idea del progresso umano nella coscienza pubblica dell'epoca; documento
che consiste nell'utilizzazione che fa Luciano (“Erotes”, capp. 33-36) di
questa idea con fini satirici. L'apologia paradossale dell'amore per gli efebi,
che Luciano fonda sul principio che, essendo creazione piú recente dell'amore
per le donne, deve costituire un progresso rispetto a questo, poteva avere significato
come satira solo in un clima spirituale dove l'idea del progresso figlio del
tempo fosse divenuto generale e dominante. Nella sua esposizione di questa
teoria, Luciano dipende specialmente dalla tradizione democriteo-epicurea, ma
con infiltrazioni della tradizione platonico-ari-stotelica relativa al
rinnovamento ciclico successivo alle catastrofi, e con derivazioni anche da
altre fonti. Da Democrito ad Epicuro deriva la descrizione della vita ferina
primordiale: « i primi uomini nati dovevano cercare un rimedio per la fame
d'ogni giorno, e per il fatto che erano preda della indigenza presente e che la
pe- o chi il ato nuria non permetteva loro alcuna scelta del
migliore, dovevano mangiare le erbe che trovavano, e le radici tenere che
dissotterravano, e soprattutto le ghiande delle querce. Mentre la loro vita
permaneva cosí incolta e non concedeva loro ancora la comodità per
esperimenti giornalieri al fine di trovare il meglio, essi dovevano
accontentarsi di quelle stesse cose necessarie, poiché il tempo, incalzandoli,
non permetteva loro l'invenzione di un buon regime». Anche per ciò che concerne
la necessità di difese, « gli uomini subito, all'inizio della vita, avendo
bisogno di coprirsi, 'avvolgevano nelle pelli delle fiere scorticate ed
escogitavano come rifugio contro il freddo le grotte delle montagne o le cavità
disseccate di radici o alberi antichi ». piú che democritea, poiché è scomparsa
in essa, come pia wete Questa descrizione è evidente eredità
epicurea ancor tra gli epicurei, la distinzione introdotta da Democrito
tra i momenti successivi della prima fase di vita del- l'umanità. Manca
inoltre in Luciano ogni allusione all'introduzione della convivenza sociale e
del linguaggio e alla scoperta del fuoco, già considerati dall'epicurei-smo; ma
la suggestione epicurea si riconosce nella spiegazione che dà tanto dell'uscita
dallo stato primordiale mediante l'agricoltura, quanto delle invenzioni della
tessitura e dell'edilizia per via di un'imitazione dei ripari naturali (pelli e
caverne) usati primordialmente. La capacità di un'imitazione dei processi
naturali, che ripro-ducendoli li modifica e li adatta alle proprie esigenze e
finalità, era già per gli epicurei un carattere che differenziava l'uomo dagli
altri animali, incapaci di uscire dalla loro condizione naturale originaria.
Tuttavia sembra che in Luciano si perda la comprensione della funzione
attribuita dagli epicurei alla necessità come forza stimolante
dell'intelligenza umana; Luciano la considera piuttosto un ostacolo alla
ricerca del meglio. Solamente (dice) « dopo che le necessità urgenti ebbero
fine, le intelligenze (zoyouo) delle generazioni successive, liberate dalla necessità,
trovarono l'occasione d'inventarequalche miglioramento, e di lí a poco a poco
s'accreb-bero al tempo stesso le scienze. E questo ci è possibile congetturarlo
dalla considerazione delle arti piú perfezionate ». Può esservi in queste
linee un'eco (certo confusa) della distinzione democriteo-aristotelica dei tre
momenti successivi di creazione progressiva: delle arti di neces-sità, di
quelle d'ornamento e delle scienze disinteressate; certo Luciano -- utilizzando
l'esempio dell'arte tessile, preso dagli epicurei, e quello dell'architettura,
derivante forse da Vitruvio - insiste specialmente sul carattere graduale e
quasi insensibile dei progressi, dicendo che «le arti presero per maestro il
tempo » e progredirono « segretamente». E questa idea di un processo graduale
sembra associarsi a quella di un rinnovamento ciclico, cioè alla teoria
platonico-aristotelica della rinascita progressiva della cultura dopo le
catastrofi distruttrici - idea rievocata nel II secolo da Aristocle -
poiché Luciano scrive che « ciascuna di queste arti e scienze, che giaceva muta
e coperta in molto oblio, come da un lungo tramonto a poco a poco si levò nella
sua luce raggiante ». Questa confluenza di elementi di derivazione tanto
diversa è un indice interessante della conservazione di differenti
rappresentazioni del progresso nell'epoca di Luciano, che le mescola senza
preoccuparsi molto dei loro eventuali contrasti. E cosí, nonostante la sua
apparente accettazione della teoria ciclica platonico-aristote-lica, Luciano
delinea un processo di sviluppo della cul-tura, che per se stesso gli si
presenta infinito, cosí come era apparso a Seneca. « Poiché ciascuno che faceva
qualche scoperta la trasmetteva alla posterità; e quindi la successione di
quelli che ricevevano l'eredità, facendo aggiunte a ciò che avevano appreso,
continuò a riempire le lacune esistenti ». E cosí ‹ le scienze varie...
mediante sforzi (uoris) si preparano per arrivare (EUENOV
7ÇELV) alla loro chiara manifestazione, spinte dal tempo infinito (úò To
aiovos), che non lascia niente senza indagare. Ma ciò che agisce attivamente
sugli uomini attraverso il corso del tempo è (per dichiarazione esplicita di
Lu-ciano) « l'intelligenza (ppóvnois), che si accompagna alla scienza e trae
dal frequente sperimentare la possibilità di scegliere l'ottimo ». Pertanto «
dobbiamo considerare necessario lo studio dell'antico, ma onorare come migliore
ciò che la vita seppe trovare poi, dopo aver raggiunto la possibilità di
dedicarsi alla riflessione razionale (поугомоїс) ». Torna cosí in
Luciano il concetto della tradizione vivente, che non è conservazione
cristallizzata, bensí creazione progressiva continua realizzata dalla vita;
torna l'idea dell'infinità di questo processo, che si estende dal passato e dal
presente verso l'avvenire. Riassumendo, possiamo dire che per tutti gli
assertori antichi dell'idea del progresso umano la natura offra il punto di
partenza allo sviluppo dell'attività creatrice dell'intelligenza dell'uomo;
quindi le conquiste compiute da ogni generazione offrono alle successive i
mezzi e gli stimoli per nuovi incessanti esperimenti e nuove acqui-sizioni; e
in tal modo la creazione della cultura progredisce insieme con l'intelligenza
creatrice. L'antichità dichiara con Cicerone ciò che tornerà a dichiarare il
rinascimento con Bruno; cioè che l'umanità è caratterizzata dal suo sforzo
incessante di creare, mediante l'opera della sua intelligenza e delle sue mani,
un'altra natura, altri corsi e altri ordini al di sopra di quelli che le furono
dati naturalmente; e per questa creatività del suo spirito l'uomo merita
d'esser considerato «come un dio mortale» o « dio della terra. Dai
presocratici e dai poeti tragici fino a Seneca innegabilmente l'idea della
creatività dello spirito si afferma e si sviluppa nell'antichità, e si
ripercuote poi sugli ultimi secoli della cultura classica, da Luciano ed
Aristocle ad Asclepio e Giovanni Filopono. Per negare agl’antichi il
raggiungimento di tale intuizione, occorre chiudere gli occhi alla realtà
storica e cancellare l'ampia documentazione che conferma la sua esistenza. Rodolfo
Mondolfo. Mondolfo. Keywords: antica filosofia italica. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Mondolfo, e la filosofia
greco-romana," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Monferrato – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Casale
Monferrato). Filosofo italiano. Autore di opere di teologia e scienza e legato
pontificio. Entra nell'ordine francescano nella provincia genovese. Docente
presso lo studio francescano di Assisi. Compone il saggio. “Quaestio de
velocitate motus alterationis” (Venezia). In esso presenta un'analisi grafica
del movimento dei corpi uniformemente accelerati. La sua attività di
insegnamento in fisica matematica influenza gli studiosi che operarono a Padova
e Galilei che ri-propose idee simili. ‘Giovanni da Casale’, Treccani. Filosofia
Filosofo del XIV secoloTeologi italiani Casale Monferrato Storia della scienza.
Grice: “Casali dicusses the velocity of motion of alternation. He wisely
remarks that if one takes the example of the quality of hotness, onemay
conceive of a UNI-FORM hotness throughout – ‘just as a rectangular
parallelolgram is formed between two equidistant lines, such that any part you
wish is equally wide with another. ‘Let there be throughout a UNIFORMLY DIFFORM
hotness, such that it is a triangle!” -- Giovanni da Casale Monferrato. Monferrato.
Keywords: corpi inanimati, corpi animati, inerzia, un corpo animato non e un
missile guidato – Grice. La liberta dei corpi animati, uniform, uniformly
difform, difformly difform. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Monferrato” – The
Swimming-Pool Library.
Grice
e Monimo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo
italiano. A former slave. Wrote two books. s
Grice e
Montanari – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Massino Montanari.
Grice e Montani – il debito del segno – implicatura
riflessiva -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Teramo). Flosofo italiano. Allievo di Emilio
Garroni, è Professore di Estetica alla Sapienza Roma, è stato Directeur
d'Études Associé presso all'EHESS di Parigi e ha insegnato Estetica al Centro
sperimentale di cinematografia di Roma. La sua ricerca si concentra oggi
principalmente sui temi di filosofia della tecnica. Allievo di Emilio
Garroni, per Montani l'estetica non va considerata come filosofia dell'arte, ma
come una teoria della sensibilità umana, che ha la peculiarità di essere aperta
agli stimoli del mondo esterno. La riflessione di Montani si snoda in diversi
passaggi e attraverso il confronto con alcuni dei protagonisti della filosofia,
della linguistica, della semiotica e della teoria del cinema del Novecento,
avendo sempre come punto di riferimento la filosofia critica di Kant.
Pensiero Ermeneutica e filosofia critica. Pubblica Il debito del linguaggio, in
cui, partendo dal confronto con le teorie strutturaliste, in particolare quelle
di Jakobson e JMukarovsky, mostra come la questione del significato del testo
poetico non possa essere risolta mediante l'individuazione del codice
linguistico o semiotico di riferimento, ma rimandi ad una condizione estetica
della significazione. Questo tema viene ulteriormente approfondito in Estetica
ed ermeneutica. Prendendo le mosse dalla filosofia critica kantiana, propone di
ripensare la verità nel senso heideggeriano dell’ “a-letheia”, del
“dis-velamento” dell'essere come una situazione ermeneutica strettamente
legata all'effettiva esperienza del soggetto, seguendo la rilettura della
filosofia di Heidegger proposta da Gadamer.La formazione e il pensiero di
Montani sono stati segnati dal suo interesse per il cinema e in particolare per
Vertov e Ėjzenštejn. Di entrambi ha curato l'edizione degli scritti. Nel testo
“L'immaginazione narrative” (Guerini) coniuga l'interesse per il cinema con
quello più strettamente filosofico per il tema dell'immaginazione. Propone di
considerare l'immaginazione nei termini in cui, in Tempo e racconto, Ricœur
parla della narrazione, ovvero come di un processo di “rifigurazione”
dell'esperienza del tempo da parte dell'uomo. Per Ricoeur la narrazione ha il
potere di far fare al lettore esperienza di un tempo propriamente umano.
Montani fa propria la tesi di Ricoeur, applicandola però, all'ambito della
narrazione cinematografica. Montani ritiene che il territorio
dell'immaginazione in cui lavora il cinema sia quello dell'intreccio tra
finzione e testimonianza, tra la costruzione dell'intreccio narrativo e la
documentazione del reale. La trasformazione dell'esperienza del tempo avviene,
così, ad un livello più profondo e creativo. Tecnica ed estetica Con
Bioestetica si inaugura la fase più recente del pensiero di Montani, dedicata
all'approfondimento del rapporto tra tecnica e estetica. Attraverso il
paradigma della bioestetica Montani propone di leggere i fenomeni di biopotere
che caratterizzano l'epoca contemporanea a partire dalla loro natura
innanzitutto tecnica ed estetica, cioè a partire dal fatto che la sensibilità
dell'essere umano viene sempre più orientata ed organizzata tecnicamente. Il
biopotere consiste proprio nella capacità di canalizzare la sensibilità umana.
In L'immaginazione intermediale Montani prende in analisi i modi in cui il
cinema risponde alle forme di anestetizzazione. Prendendo le mosse dalla
spettacolarizzazione della politica emersa in seguito all'attentato delle Torri
Gemelle, Montani introduce il concetto di "autenticazione
dell'immagine", che non consiste nell'accertamento del referente fattuale
dell'immagine (il vero, il reale) ma nella rigenerazione di un orizzonte di
senso condiviso, la capacità di riferimento dell'esperienza e del linguaggio,
in un'epoca caratterizzata da crescenti fenomeni di “indifferenza referenziale”
La riflessione sul rapporto tra estetica e tecnica continua in “Tecnologie
della sensibilità”, in cui viene teorizzata l'esistenza di una terza funzione
dell'immaginazione: accanto a quella produttiva e riproduttiva vi è una
funzione inter-attiva. L'immaginazione inter-attiva diventa il paradigma
attraverso cui leggere l'epoca contemporanea, attraversata profondamente da
fenomeni dell'inter-attività digitale e dalla proliferazione di ambienti
virtuali. Saggi: “Il debito del linguaggio: l'auto-riflessività nel discorso,”
– Grice: “There is the ‘debito’ and there is the ‘credito’ or ‘price’ of
semiosis, too!” -- Marsilio, Venezia; -- Grice: “Actually, Montani uses
‘aesthetic self-reflection,’ using ‘aesthetic’ etymologically, as per what he
calls ‘ermeneutica sensibile’ -- Fuori
campo: studi sul cinema e l'estetica, Quattroventi, Urbino; Estetica ed
ermeneutica: senso, contingenza, verità, Laterza, Roma); L'immaginazione narrativa: il racconto del
cinema oltre i confini dello spazio letterario, Guerini, Milano); Arte e verità
dall'antichità alla filosofia contemporanea: un'introduzione all'estetica,
Laterza, Roma); L'estetica contemporanea: il destino delle arti nella tarda
modernià, Carocci, Roma; Lo stato
dell'arte: l'esperienza estetica; M. Carboni eMontani, Laterza, Roma); Bioestetica:
senso comune, tecnica e arte” (Carocci, Roma; L'immaginazione intermediale:
perlustrare, ri-figurare, testimoniare il mondo visibile, Laterza, Roma); Tecnologie
della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva, Cortina, Milano. --
Note Montani, Il senso, Rai Scuola, su raiscuola.rai. I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore
di Pietro Montani., Pellegrini,. Rinaldo
Censi, Cine-occhi e cine-pugni: due modi di intendere il cinema, su Nazione
Indiana, L'immaginazione estatica.
Estetica, tecnica e biopolitica, su giornaledifilosofia.net. 2 lAlessandra
Campo, Biopolitica come an-estetizzazione. Il significato estetico della
biopolitica, su sintesidialettica. Montani, L'immaginazione intermediale,
Laterza, Montani, L'immaginazione intermediale, Laterza, Anna Li Vigni, Gli
occhiali per immaginare, Il Sole 24 Ore. La vita immersa nell’estetica del
virtuale, su ilmanifesto. Pietro Montani. Montani. Keywords: il debito del
segno, Narciso e la reflexione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Montani” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Montinari – sovrumano – torna a Surriento -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo
italiano. Grice: “If I were asked to identify the main difference between the
Italian philosopher and the Oxonian philosopher is that the Italian philosopher
takes Nietzsche seriously! But then he lived at Torino!” «Nelle istituzioni esistenti, sostenute da
immani forze di produzione e di distruzione, viene assimilata e mercificata
ogni e qualsiasi protesta, persino quella dei Lumpen, ogni tentativo di
lasciare la «nave dei folli». Se il metodo di Nietzsche può ancora aiutarci,
allora l'unica forza che ci è rimasta è quella della cultura, della
ragione.» Considerato uno dei massimi editori e interpreti di Nietzsche.
Ha definitivamente dimostrato che Nietzsche non ha mai scritto un'opera dal
titolo “La volontà di Potenza” e che le cinque diverse compilazioni che la
sorella del filosofo e altri editori dilettanti hanno pubblicato sotto questo
titolo sono testi del tutto inaffidabili per comprendere il pensiero di
Nietzsche. Si era formato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e
all'Pisa, presso la quale si laureò con una tesi, “I movimenti ereticali a
Lucca.” Caduto il fascismo, divenne un attivista del Partito comunista, presso
il quale si occupava della traduzione di scritti dal tedesco. Mentre visitava
la Germani a Est per motivi di ricerca, fu testimone della rivolta del '53.
Successivamente, in seguito alla repressione della Rivoluzione ungherese del
1956, si allontanò dall'ortodossia marxista e dalla carriera nel partito.
Mantenne tuttavia la sua iscrizione al PCI, e rimase fedele agli ideali del
socialismo. Collaborò con le Edizioni Rinascita, e per un anno fu direttore
dell'omonima libreria in Roma. Dopo averne rivisto la raccolta di opere e manoscritti
in Weimar, Colli e Montinari decisero di iniziarne una nuova edizione critica.
Essa divenne lo standard per gli studiosi, e fu pubblicata in da Adelphi. Per
questo lavoro fu preziosa la sia abilità nel decifrare la scrittura a mano
(praticamente incomprensibile) di Nietzsche, fino a quel momento trascritta
solo da "Gast“ (Köselitz). Fonda la rivista Nietzsche-di cui fu
coeditore. Attraverso le sue traduzioni ed i suoi commenti di Nietzsche, diede
un contributo fondamentale alla ricerca storica e filosofica, inserendo
Nietzsche nel contesto del proprio tempo. Saggi: “Che cosa ha detto
Nietzsche” Roma, Ubaldini, ripubblicato
come “Che cosa ha detto Nietzsche,”
[Grice: “I convinced Montinari that ‘veramente’ is a trouser word and should be
avoided!” -- Giuliano Campioni, Milano, Adelphi. Su Nietzsche, Roma,
Riuniti, Teoria della Natura, Torino,
Boringhieri, Milano, SE, F Nietzsche,
Lettere a Rohde, Torino, Boringhieri, Nietzsche, Opere, (Milano, Adelphi, Nietzsche, Il caso Wagner: Crepuscolo degli
idoli; L'anticristo; Scelta di frammenti, S. Giametta, Ferruccio Masini,
Giorgio Colli, Milano, Mondadori Editore, Ecce homo; Ditirambi di Dioniso;
Nietzsche contra Wagner; Poesie e scelta di frammenti postumi, Milano, A.
Mondadori, Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Milano, Adelphi, Epistolario
di Nietzsche, María Ludovica Pampaloni Fama, Milano, Adelphi, Nietzsche, Scritti, Milano, Adelphi, Arthur
Schopenhauer, La vista e i colori Carteggio con Goethe,Abscondita, Nota introduttiva a Genealogia della morale,
Nietzsche e Van Gogh, due cardini del pensiero occidentale moderno di Bettozzi (Liberal democaratici), su liberal
democratici.. «Tant qu'il ne fut pas
possible aux chercheurs les plus sérieux d'accéder à l'ensemble des manuscrits
de Nietzsche, on savait seulement de façon vague que La Volonté de puissance
n'existait pas comme telle (...) Nous souhaitons que le jour nouveau, apporté
par les inédits, soit celui du retour à Nietzsche.» (Gilles Deleuze) Aveva infatti ottenuto una borsa di studio
della Scuola Normale Superiore a Francoforte sul Meno. Rinascita Che era stato il suo maestro.
Giuliano Campioni, Dizionario Biografico degli Italiani stituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani Giuliano Campioni, Giuliano Campioni,B
Giuliana Lanata, Esercizi di memoria, Bari, Levante Editori, (notizie su M. M.
nell'articolo su Colli anche a proposito dell'Enciclopedia di autori classici,
Editore Boringhieri, progettata e diretta da Colli e a cui M. M.collaborò).
Paolo D’Iorio, L'arte di leggere Nietzsche, Firenze, Ponte alle grazie,Giuliano
Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell'edizione critica
Colli-Montinari. Con lettere e testi inediti, Pisa, Mazzino Montinari: l'arte
di leggere Nietzsche Paolo D'Iorio, Pubblicato da Ponte alle grazie, Studi
germanici — Di Istituto italiano di studi germanici — Pubblicato da Edizioni
dell'Ateneo, Originale disponibile presso la l'Università della Virginia —
"Mazzino Montinari, Nietzsche", di Francesca Tuca Giuliano Campioni,
Da Lucca a Weimar: Mazzino Montinari e Nietzsche in Nietzsche. Edizioni e
interpretazioni, Maria Cristina Fornari, ETS, Pisa, Die "ideelle
Bibliothek Nietzsches". Von Charles Andler Montinari Pensiero di
Schopenhauer Roberto Roscani Torino#Filosofi Giuliano Campioni, Mazzino
Montinari, in Dizionario biografico degli italiani, stituto dell'Enciclopedia Italiana,. Opere di
Mazzino Montinari, Centro interdipartimentale di studi Colli-Montinari su
Nietzsche e la Cultura Europea — Pisa, Lecce, Padova e Firenze
(Centronietzsche.net), su centronietzsche.net. Grice:: “Montinari is right that
‘la volonta di potenza’ ‘n’existe pas’ – vacuous name. Torna a Surriento.
Mazzino Montinari. Montinari. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Montinari:
l’implicatura di Nietzsche” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Monte – implicatura – la
prospettiva e la filosofia della percezione -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pesaro). Filosofo
italiano. Grice: “I like to
illustrate a ‘scientific revolution’ with Del Monte’s refutation on the
equilibrium controversy, since it involves a lot of analyticity that only a
philosopher can digest!” -- essential Italian philosopher. Il marchese Guidubaldo
Bourbon Del Monte (Pesaro), filosoMecanicorum liber, Suo padre, Ranieri,
originario da un famiglia benestante di Urbino, discendente dalla schiatta dei
Bourbon del Monte Santa Maria, fu notato per il suo ruolo bellico e fu autore
di due libri sull'architettura militare. Il duca di Urbino, Guidobaldo II della
Rovere, gli attribuì, per meriti, il titolo di Marchese del Monte, dunque la famiglia
divenne nobile solo un generazione prima di Guidobaldo. Alla morte del padre, ottenne
il titolo di Marchese. Studia matematica a Padova. Mentre era lì, strinse una
grande amicizia con Tasso. Combatté nel conflitto in Ungheria, tra l'impero
degli Asburgo e l'Impero Ottomano. Al termine della guerra, torna nella sua
tenuta a Mombaroccio, vicino Urbino, dove passava i giorni studiando
matematica, meccanica, astronomia e ottica. Studia matematica con l'aiuto di
Commandino. Divenne amico di Baldi, che fu anch'esso studente di Commandino. Ispettore
delle fortificazioni del Granducato di Toscana, pur continuando a risiedere nel
Ducato di Urbino. In quegli anni,
corrisponde con numerosi matematici inclusio Contarini, Barozzi e Galilei e con alcuni di loro si dice abbia avuto anche
relazioni più che professionali.
L'invenzione per la costruzione di poligoni regolari e per dividere in
un numero determinato di segmento qualsiasi linea fu incorporata come
caratteristica del compasso geometrico e militare di Galileo. Proprio fu
fondamentale nell'aiutare Galilei nella sua carriera, che e un promessa ma
disoccupato. Raccomanda il toscano al suo fratello Cardinale, che a sua volta
parla con il potente Duca di Toscana, Ferdinando I de' Medici. Sotto la sua
protezione, Galileo ha una cattedra di matematica all'Pisa. Guidobaldo divenne
un amico fidato di Galileo e lo aiutò nuovamente quando dovette necessariamente
fare domanda per poter insegnare matematica all'Padova, a causa dell'odio e
della macchinazione di Giovanni de' Medici, un figlio di Cosimo de' Medici,
contro Galileo. Nonostante la loro amicizia, Guidobaldo fu un critico di alcune
teorie di Galileo, come quella relativa alla legge dell'isocronismo delle oscillazioni.
Compone un importante saggio sulla prospettiva, “Perspectivae Libri VI”, pubblicato
a Pesaro che ha ampia diffusione. E sicuramente, anche secondo il parere di
Galileo, uno dei massimi studiosi di meccanica e matematica. “Mechanicorum
liber”. Pisauri. Saggi: “Mechanicorum” (Pisauri, Girolamo Concordia – Venezia,
Deuchino -- Mecanicorum); “Plani-sphaeriorum universalium theorica” (Pisauri,
Girolamo Concordia); “De ecclesiastici calendarii restitutione" (Pisauri,
Girolamo Concordia); “La prospettiva” (Pisauri, Girolamo Concordia -- Roma); “Problematum
astronomicorum” Venezia, Giunta); De cochlea,” Venezia, Deuchino); “Le mechaniche nelle quali si contiene la
dottrina di tutti gl’istrumenti principali da mover pesi grandissimi con
picciola forza” (Venezia, Franceschi);
“Lettere” (Venezia); “La teoria sui planisferi universali” (Firenze). Galileo
(che nel frattempo era stato molto probabilmente anche suo ospite) puo occupare
la cattedra di Padova, grazie anche all’intervento delduca., che nell’ambiente
veneto poteva contare, oltre che sull’amicizia di un Contarini e di un Pinelli,
sull’autorità e l’influenza di Monte, generale delle fanterie della
Repubblica": Fondazione cardinal Francesco maria delmonte -- guidobaldo-del-monte/.
A. Giostra, La stella o cometa nelle lettere a Giordani, Giornale di
Astronomia. Galilei. Guidobaldo II della Rovere Mombaroccio, Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “There possibly is no
equivalent to perspective for the other senses. Prospettiva, as the Italians
call it. They are obsessed with it. Consider the human body. Consider Apollo
del Belvedere – it is not just a body perceiving another body, there is a
perspectival side to it!” Giambattista del Monte. Guido Ubaldo de’ marchesi Del
Monte; Guidobaldo Del Monte. Monte. Keywords: implicature, perspective in
statuary. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Monte," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Moramarco – la tradizione massonica italiana
– Luigi Speranza (Reggio nell’Emilia). Filosofo italiano. Grice: “Unlike Moramarco, what most
people know about massoneria is via “Il flauto magico”!” Grice: “Moramarco
analyses massoneria aa a philosophical cult, talking about ‘brotherly link’
‘vincolo fraterno’ – he has unearthed a few fascinating details about
massoneria in Italy. Esponente della Massoneria te assertore di una sintesi
religiosa tra Mazdeismo e Cristianesimo. Discende da un'antica famiglia di
Altamura, di ascendenze latino-germaniche, cresciuta e ramificatasi durante il
dominio dei Farnese. Studioso di Massoneria, ha scritto la Nuova Enciclopedia
Massonica in tre volumi (1989-1995, seconda ed. 1997), importante testo di
ricerca massonologica. Un suo precedente volume, La Massoneria ieri e oggi fu
tra i primi, sull'argomento, pubblicati in Russia dopo il crollo del regime
sovietico, che aveva proscritto le Logge. Iniziato nel Grande Oriente
d'Italia il 10 dicembre 1975, divenne Maestro Venerabile della Loggia
Intelletto e Amore n. 723, e nel 1986 ricevette la decorazione all'Ordine di
Giordano Bruno, conferita a quanti si distinguono nello studio e nella
diffusione degli ideali massonici. Coordinatore scientifico del Convegno
Internazionale 250 anni di Massoneria in Italia, al quale parteciparono
studiosi quali Paolo Ungari, Alessandro Bausani, Aldo A. Mola, Alberto Basso,
Fabio Roversi Monaco, Paolo Ricca. Il convegno fiorentino costituì la prima
risposta pubblica, da parte della Comunione massonica di Palazzo Giustiniani,
alle degenerazioni della P2. Nello stesso anno, in qualità di Garante
d'Amicizia tra il Grande Oriente d'Italia e la Grand Lodge of South Africa,
richiese, d'accordo con il Gran Maestro Armando Corona, che tutte le Logge
sudafricane, peraltro già avviate in tale direzione (quando un gruppo di Liberi Muratori della
Massoneria Prince Hall era stato ammesso nella Loggia "De Goede Hoop"
di Cape Town), abrogassero l'apartheid, scelta che esse fecero, qualificandosi
tra le prime associazioni bianche a superare la segregazione razziale.
Nel 1992 uscì dal Grande Oriente d'Italia, rigettandone il laicismo, per
ravvivare i nuclei massonici di impronta cristiana e spiritualista, che
assunsero la denominazione Real Ordine degli Antichi Liberi e Accettati
Muratori (A.D. 926). Su tale concezione della Massoneria ha scritto La via
massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide e cristiano (), un
testo dal quale emerge, fra l'altro, l'importanza della devozione alla Vergine
Maria, come madre del Cristo ed espressione umana della divina Sophia, nella
genesi della spiritualità massonica. Ha ricostruito le vicende della Gran
Loggia d'Italia, l'altra associazione maggioritaria di Liberi Muratori in
Italia, nel volume Piazza del Gesù. Documenti rari e inediti della tradizione
massonica italiana, contribuendo in seguito alla realizzazione di programmi
tematici per varie emittenti televisive, tra le quali Rossija 24 (), Reteconomy
() e È TV Rete7. Ha conseguito il 33º grado del Rito scozzese antico ed
accettato e il VII del Rito filosofico italiano, che nel secondo decennio del
Novecento vide tra le sue fila i neopitagorici Arturo Reghini e Amedeo Rocco
Armentano. Fonda in Italia l'Antico Rito Noachita su patente ricevuta
presso il British Museum dall'ex Maestro Venerabile della Loggia
"Heliopolis" di Londra. Ha realizzato una colonna sonora per i
rituali massonici, dal titolo Masonic Ritual Rhapsody. presso la Loggia
"Gottfried Keller" di Zurigo, è stato ricevuto come membro
nell'Independent Order of Odd Fellows. Già attivo con Joseph L. Gentili, editore del newsletter Brooklyn Universalist
Christian, in un progetto di restaurazione della Chiesa Universalista
d'America, contro la deriva liberal di quel movimento, ha ricevuto il navjote
zoroastriano. Nel volume Il Mazdeismo Universale propone una visione eclettica
di tale religione, collegando ad essa elementi del misticismo ebraico, del
dualismo platonico e cristiano, del buddhismo Mahāyāna, e riconoscendo in Gesù
il saoshyant (divino soccorritore, messia) profetizzato dall'antica religione
iranica, in una prospettiva teologica di tipo mazdeo-cristiano, intorno alla
quale si è formata una Fraternità Mazdea Cristiana. Si è avvicinato alle
correnti latitudinaria e mistica dell'Anglicanesimo e al percorso religioso di
Loyson, confluendo in una comunità religiosa di orientamento eclettico, ove ha
potuto conservare la doppia appartenenza, cristiana e zoroastriana. Entro tale
gruppo, che nel gennaio ha assunto la
denominazione Reformed Cloister of the Holy SpiritUnione Riformata
Universalista, è un oblato di San Pellegrino delle Alpi, secondo la Regola che,
ispirandosi alle tradizioni fiorite intorno alla vita di quell'eremita del
Cristianesimo celtico, contempla almeno un atto quotidiano "di giustizia,
o di soccorso fraterno" anche nei riguardi di animali e piante.
Laureatosi cum laude in Filosofia presso l'Bologna,, con una tesi sul pensatore
indiano Sri Aurobindo (relatore il noto indologo e sanscritista Giorgio Renato
Franci), nella seconda metà degli anni Ottanta si è formato in Training
autogeno e Psicoterapia con la procedura immaginativa sotto la guida di Luigi
Peresson. Ha trattato dei nessi tra Zoroastrismo e Cristianesimo nei
libri La celeste dottrina noachita (e I Magi eterni, di fenomenologia del sacro
ne L'ultima tappa di Henry Corbin e di tanatologia in Psicologia del morire. Ha
scritto sulle esperienze di autogestione dei lavoratori nel mondo e sui
rapporti tra socialismo e religione per Azione nonviolenta, la rivista fondata
da Aldo Capitini. Con il saggio Per una rifondazione del Socialismo partecipò
al simposio "Marxismo e nonviolenza" (Firenze) nel quale
intervennero, tra gli altri, Norberto Bobbio e Roger Garaudy. -- è un
sostenitore della lingua ausiliaria internazionale Esperanto. Ha aderito al
gruppo esperantista bolognese "Achille Tellini 1912". In ambito
narrativo, ha scritto Diario californiano e Torbida dea. Si è occupato di
storia dello spettacolo, scrivendo I mitici Gufi (2001), sul celebre quartetto
di cabaret degli anni sessanta, e partecipando all'allestimento del programma
Gufologia per Rai Sat; con l'ex "Gufo" Roberto Brivio ha collaborato
sia nella riproposta del repertorio del gruppo in teatri e circoli culturali,
sia nella realizzazione di un laboratorio teatrale e musicale che vide
attivamente coinvolti numerosi alunni portatori di disabilità, presso
l'Istituto medio superiore in cui insegnò psicologia. Ha inciso quattro
CD, Allucinazioni amorose (meno due), Gesbitando, Come al crepuscolo l'acacia e
Existenz, che contengono sue canzoni e brevi suites strumentali, ricevendo il
plauso, tra gli altri, di critici come Maurizio Becker, Mario Bonanno (Musica
& Parole) e Salvatore Esposito (Blogfoolk), di autori come Bruno Lauzi, Ernesto
Bassignano, Giorgio Conte e dei jazzisti Giulio Stracciati e Shinobu Ito.
Nel dicembre è stato chiamato da Luisa
Melis, figlia e continuatrice dell'opera di Ennio Melis, il patron della RCA
Italiana, a far parte della giuria del Premio De André. Saggi: “La Massoneria” (Vecchi, Milano), “La
Massoneria: cronaca, realtà, idee (Vecchi, Milano), “Per una rifondazione del
socialismo, in: Marxismo e non-violenza (Lanterna, Genova) – PARTITO SOCIALISTA
ITALIANO --; “La Libera Muratoria” (Sugar, Milano); “La Massoneria. Il vincolo
fraterno che gioca con la storia” (Giunti, Firenze) Diario (Bastogi, Foggia)
Grande Dizionario Enciclopedico POMBA (Torino); Antroposofia, Besant,
Cagliostro, Radiestesia, ecc.). L'ultima tappa di Henry Corbin, in Contributi
alla storia dell'Orientalismo, Franci (Clueb, Bologna) “La Massoneria in
Italia” (Bastogi, Foggia) Enciclopedia Massonica (Ce.S.A.S., Reggio E.;
Bastogi, Foggia); Psicologia del morire, in
I nuovi ultimi (Francisci, Abano Terme) Piazza del Gesù. “Documenti rari
e inediti della tradizione massonica italiana” (Ce.SA.S. Reggio Emllia); Sette
Lodi Massoniche alla Beata Vergine Maria (Real Ordine A.L.A.M., Reggio Emilia)
La celeste dottrina noachita (Ce.S.A.S, Reggio E.) I mitici Gufi (Edishow,
Reggio Emilia); “Torbida dea. Psicostoria d'amore, fantomi & zelosia
(Bastogi, Foggia); Il Mazdeismo Universale. Una chiave esoterica alla dottrina
di Zarathushtra (Bastogi, Foggia ) I Magi eterni. Tra Zarathushtra e Gesù (Om, Bologna
) La via massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide (Om, Bologna )
Massoneria. Simboli, cultura, storia (consulenza scientifica di M.M.) (Atlanti
del Mistero/Giunti-Vecchi, Firenze ) Introduzione alla Libera Muratoria
(Settenario, Bologna ) Musica Allucinazioni amorose (meno due) (Bastogi Music Italia) (Bastogi Music Italia)
Gesbitando, (Bastogi Music Italia ) Come al crepuscolo l'acacia (Heristal Entertainment, Roma ) Existenz
((Heristal Entertainment, Roma ). Note
Aplogruppo Mola, Un valido impulso per una Massoneria "à parts
entières", in 250 anni di Massoneria in Italia, F. Ferrari, La Massoneria
verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco) v. ) Una breve rassegna di testi fondamentali
sulla Massoneria si trova sul sito del Cesnur diretto da Massimo Introvigne.
Vedi anche le recensioni di E. Albertoni ne Il Sole 24 Ore, p.1 inserto
domenicale, e di G. Caprile ne La Civiltà Cattolica, 6Il volume fu pubblicato
nel 1990, anno della dissoluzione dell'URSS, dalla casa editrice Progress, V.
Brunelli, Massoneria: è finito con la condanna della P2 il tempo delle logge e
dei "fratelli" coperti, in Corriere della sera, Il Corriere della
Sera dedicò un lungo articolo allo "scisma" (v. ). Del Real Ordine
A.L.A.M. si è occupato anche il centro di ricerca Cesnur, diretto dal noto
storico e sociologo delle religioni Massimo Introvigne,
v.//cesnur.org/religioni_italia/a/ appendice_02.htm. Il termine Real non aveva
alcun riferimento alla storia italiana, ma si richiamava alla leggenda,
contenuta negli Antichi doveri, secondo cui l'Ordine Massonico ricevé le sue
proto-costituzioni dal re Atelstano d'Inghilterra (Æðelstan); recentemente il
Real Ordine ha assunto la denominazione di Unione Cristiana dei Liberi
Muratori Rito filosofico italiano Antico Rito Noachita Masonic Ritual Rhapsody, Bastogi Music
Italia, youtube.com/watch?v=rSs0 4kpA36U. A questa esperienza è collegata la
sua iscrizione alla SIAE come autore musicale
Del percorso che lo ha condotto verso la visione di Zoroastro
(Zarathushtra) si è occupata la rivista parsi di Bombay, Parsiana, così come il
quotidiano torinese La Stampa v. mazdeanchristian.wordpress.com/ latitudinarismo, in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, v.
riformati universalisti.wordpress.com// In questa comunità si ritrovano, su
vari temi, idee tratte dal Manicheismo, dall'Arianesimo, dal Quaccherismo,
dall'Unitarianismo, dal Giurisdavidismo e dall'universalismo hindu-cristiano
del movimento Navavidhan fondato da Keshab Chandra Sen (1838-1884). Frequenti e
significativi sono altresì i riferimenti al pensiero di aint-Martin e alla
"religione aperta"o della "compresenza dei morti e dei
viventi"elaborata da Capitini, Stracciati
Ito E. Albertoni, Tante fedi,
nessun dogma (recensione della Nuova Enciclopedia Massonica, Il Sole 24 Ore,I,
inserto culturale domenicale) M. Chierici, Nasce la Lega dei Venerabili
(Corriere della Sera) S. Esposito, Dalle radici del Mazdeismo all'Alleanza
Mazdea CristianaIntervista con Michele Moramarco (in Secreta Magazine S.
Esposito, Gesbitando: intervista con Michele Moramarco (Blogfoolk) F. Ferrari,
La Massoneria verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco)
(Bastogi, Foggi8) S. Semeraro, Tra la via Emilia e l'Est. Così parlò Zoroastro
(La Stampa, Torino) S. Sari, Unico e plurimo al contempo, Dio secondo gli
Zoroastriani [intervista a M.M.](Libero) G. Giovacchini, Cultura e spiritualità
della Massoneria italiana nella seconda metà del '900 [prefazione di Michele
Moramarco] (Tiphereth, Acireale-Roma )
Zoroastrismo Universalismo Massoneria Rosacroce michelemoramarco. blog del Real Ordine A.L.A.M., su
realordine.wordpress.com. Pagina sul sito di Heristal Entertainment, su
heristal.eu. blog degli anglicani latitudinari, su riformatiepiscopali.wordpress.com.
Grice: “The Romans are obsessed with what Moramarco calls ‘paganesimo romano’ –
the word ‘pagano’ only makes sense in opposition to Christ. It would be very
inappropriate of the greatest Italian philosopher ever, Antonino, to consider
his self pagan!” -- Michele Moramarco. Moramarco. Keywords: la tradizione
massonica italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moramarco” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Moravia – ragazzi – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Bologna). Filosofo italiano. Grice: “I like Moravia: he has
philosophised on what makes us ‘human,’ (“il pungolo dell’umano”) – his
analysis of ‘il ragazzo selvaggio’ is sublime – and he has played with
‘reason,’ hidden and strutturata – and the universi di senso with which I
cannot but agree! – provided we don’t multiply them ad infinitum!” -- Grice: “I like Moravia’s idea of ‘la ragione
nascosta’ – you have indeed to seek and thou shalt find!” -- “Il Nietzsche che
prediligo è il Nietzsche terreno, umano, presente nel tempo. È il Nietzsche
intrepido esploratore del sottosuolo dell'uomo e dei disagi della civiltà. È il
Nietzsche che fertilmente e sofferentemente (non narcisisticamente) vive e
pensa il nichilismo: ma per andare oltre il nichilismo. È soprattutto il
Nietzsche cheneo-illuminista forse malgrado luivuole conoscere, capire, dare un
(nuovo) senso alle cose.” Professore a Firenze.
Allievo diGarin, si è formato in ambiente fiorentino conseguendovi la
laurea in filosofia nel 1962 con tesi su Gian Domenico Romagnosi. Professore
incaricato dal 1969, è poi diventato, nel 1975, ordinario di Storia della
Filosofia all'Firenze. Nel corso della
sua carriera, si è interessato particolarmente dell'illuminismo francese e del
pensiero del Novecento, della storia e dell'epistemologia delle scienze umane,
con particolare attenzione all'antropologia, la filosofia della mente e
l'esistenzialismo. I suoi studi e le sue ricerche hanno aperto nuove prospettive
interdisciplinari fra pensiero filosofico e scienze umane. Attualmente, le sue attenzioni sono rivolte
verso l'opera e il pensiero del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche del quale,
nel 1976, pubblicò già una celebre antologia dal titolo La distruzione delle
certezze e, nel 1985, una raccolta di saggi intitolata Itinerario nietzscheano.
Proprio un nuovo modo di avvicinarsi e concepire il pensiero del filosofo
tedesco lo hanno reso uno dei suoi interpreti più originali e più
discussi. Grazie ai suoi studi e
contributi filosofici, è stato visiting professor presso l'Università della
California a Berkeley, l'Università del Connecticut a Storrs e il Center for
the Humanities della Wesleyan University.
Conferenziere presso altre sedi universitarie americane (fra le quali,
Harvard, UCLA, Boston) ed europee (Francia, Belgio, Germania), è cofondatore
della “Società italiana degli studi sul XVIII secolo”, nonché membro del
Comitato direttivo delle Riviste filosofiche “Iride” e “Paradigmi”. Collabora
ai giornali Corriere della Sera, Quotidiano nazionale, La Repubblica. Saggi: “Il
tramonto dell'Illuminismo -- filosofia e politica” (Laterza, Roma); “La ragione
nascosta” (Sansoni, Firenze); La scienza dell'uomo” (Laterza, Roma); “L’antropologia
strutturale” (Sansoni, Firenze); “Esistenziale” (Laterza, Roma); “La teoria
critica della società” (Sansoni, Firenze); “Gl’idéologues -- scienza e
filosofia” (Nuova Italia, Firenze); “La distruzione delle certezze” (Nuova
Italia, Firenze); “Linguaggio, scuola e società not ‘storia’! -- Guaraldi,
Firenze); “Filosofia e scienze umane nell'età dei Lumi” (Sansoni, Firenze); “Pensiero
e civiltà” (Monnier, Firenze); “Il ragazzo selvaggio dell'Aveyron.” Pedagogia e
psichiatria nei testi di Itard, Pinel e dell'anonimo della "Décade" (Laterza,
Roma); “Itinerario nietzscheano, Guida, Napoli); Educazione e pensiero,
Monnier, Firenze, Filosofia: storia e testi, Monnier, Firenze, “L'enigma dell’animo”
Laterza, Roma); Compendio di filosofia,
Monnier, Firenze, L'enigma dell'esistenza -- soggetto, morale, passioni
nell'età del disincanto, Feltrinelli, Milano, L'esistenza ferita -- modi
d'essere, sofferenze, terapie dell'uomo nell'inquietudine del mondo,
Feltrinelli, Milano, Filosofia dialettico-negativa e teoria critica della
società, Mimesis, Milano; “Ragione strutturale e universi di senso” (Lettere,
Firenze); “La Massoneria. La storia, gli uomini, le idee, Mondadori, Milano); “Firenze
e l’Umanesimo. Arte, cultura, comunicazione” (Lettere, Firenze); Lo
strutturalismo, Lettere, Firenze); “Filosofia e psicoanalisi (POMBA, Torino); “L'universo
del corpo, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, “Animo e realtà psichica” (Borla, Roma,
"L'esistenza e il male", in:
"Mysterium iniquitatis", Gregoriana, Padova, Linterpretazione
personologico-esistenziale dell'uomo", in:
La questione del soggetto tra filosofia e scienze umane, Monnier,
Firenze) – PERSONOLOGIA – PIROTOLOGIA – Grice, persona -- Lettura
Magistrale" al Convegno Dalla riabilitazione psicosociale alla promozione
della salute(Montecatini), "S.I.R.F. News", "Mente, soggetto,
esperienza nel mondo", in La filosofia italiana in discussione -- La
filosofia italiana in discussione, Società Filosofica Italiana, Firenze), Bruno
Mondadori, Milano, "Crisi della cultura e relazioni generazionali nel
mondo contemporaneo", in Giovani e adulti: prove di ascolto, Sansepolcro
(AR), "La filosofia degli idéologues. Scienza dell'uomo e riflessione epistemological,
Letteratura italiana tra illuminismo e romanticismo, Convegno, Italianistica,
Padova, "Libertà, finitudine,
impegno -- genesi e significato della responsabilità nel mondo", in: V.
Malagola Giustizia e responsabilità (Convegno, Firenze), Dott. A. Giuffré Milano, "Dal soggetto persona alla relazione
interpersonale", Maieutica, De-mitizzazione e de- valorizzazione. La crisi
della 'forma famiglia' nella società", in: Interazioni, "Illuminismo
e modernità", Hiram, "Prove d'ascolto. Crisi della cultura e
relazioni generazionali nel mondo contemporaneo", Studi sulla formazione,
"La guerra giusta", Hiram,
"La filosofia, la conoscenza dell'umano, il dialogo col pensiero
religioso", Hiram, "Esistenza e felicità", Hiram,
"L'Occidente e la pace. Luci e ombre all'alba del terzo millennio",
Hiram,"La filosofia e il suo 'altro'. La riflessione metafilosofica di
Adorno in 'Dialettica negativa'", Iride,
"L'uomo: una storia infinita", in: Per una scienza dell'umano, Arezzo, "L’'interpretazione
personologico-esistenziale dell'uomo" – PERSONALOGIA – Grice, PERSONA. in:
L. Neuro-fisiologia e teorie della mente, Vita & Pensiero, Milano, "La
scoperta dell'inconscio, l'ambiguità del freudismo e il lavoro della
psicoanalisi sull'animale, Convegno "Meta-psicologia”, Napoli, La Biblioteca,
Bari, "Un mondo negato. L'assolutizzazione del corpo nella
psico-umanologia contemporanea", UMANOLOGIA – ibrido -- Hermeneutica,
Corpo e persona, "Complessità, pluralità, confini", in: Dal
coordinatore al coordinamento,Coordinatori pedagogici in Emilia-Romagna,
Assessorato Servizi Sociali, Bologna, Bruno Maiorca, Filosofi italiani
contemporanei. Parlano i protagonisti, Bari, Dedalo, su sapere, De Agostini. Gran Loggia del GOI
dal titolo "Tu sei mio fratello" Registrazione video della Lectio Magistralis
"Al di qua del bene e del male Nietzsche esploratore dell'umano"
Modena e Reggio Emilia Tavola rotonda del GOI "Pedagogia delle libertà Libertà
civili" Convegno del GOI "La scienza non sia ostacolata
dall'ideologia, dalla politica e dalla religione" tavola rotonda della
Comunità Oasi "Significato e funzione della pena, della punizione e della
penitenza nella promozione umana e sociale" "Catturati dall'effimero?"
all'interno del Convegno Giovanile alla Cittadella di Assisi" dsu
arcoiris. Moravia. Keywords: ragazzi, personologia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Moravia” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mordacci – la norma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “I like Mordacci – in a way,
like I did with J. L. Mackie, Mordacci opposes both ‘assolutismo’ and
‘relativismo’ – and tries to ‘construct’ an ‘inter-personal’ reason out of a
full-fledged personal reason. Whereas it would seem that we enjoin the principle
of conversational helpfulness out of altruism, there is this balance between
conversational self-love and conversational other-love; and we only ‘respect’
the other that respects us as ‘pesonal;’ against Apel, the logic of the
inter-personal reduces, in a complex way, to the logic of the personal; without
it, we would be annihilating the autonomy of the will.” Grice: “I like
Mordacci’s emphasis on reason for normativity – interpersonal reason, as he
calls it!” È preside della Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San
Raffaele dove è Professore di Filosofia Morale. È Direttore del Centro
Internazionale di Ricerca per la Cultura e la Politica Europea. Laurea in
filosofia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Dottorato in
bioetica presso l'Università degli Studi di Genova. Ha svolto attività di
ricerca e insegnamento presso la Scuola di Medicina e Scienze Umane
dell'Istituto Scientifico Ospedale San Raffaele. Insegnato presso l'Università
Vita-Salute San Raffaele, prima presso la Facoltà di Psicologia e dal 2002
presso la Facoltà di Filosofia che ha contribuito a fondare insieme con Massimo
Cacciari, Edoardo Boncinelli, Michele Di Francesco, Andrea Moro. Ha contribuito
a progetti di ricerca ed è stato membro del Consiglio d'Europa per
l'insegnamento della bioetica. Dal è
preside della Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele,
essendo stato rieletto nel giugno per il
secondo mandato. Membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le
Biotecnologie e le Scienze per la Vita della Presidenza del Consiglio dei
Ministri. Dal al è stato membro del Comitato Scientifico per
EXPO come delegato del Rettore
dell'Università Vita-Salute San Raffele. Dal è membro della Commissione per l'Etica della
Ricerca e la Bioetica del consiglio nazionale delle ricerche e del consiglio
direttiva della Società Italiana di Filosofia Morale. Si è dedicato in
particolar modo dei temi: "Etica e ragioni morali", "Etica
pubblica e rispetto", "Neuroetica". Attraverso l'indagine delle
"ragioni morali" e dell'"identità personale" e ispirandosi
alla filosofia kantiana, propone una forma di "personalismo critico"
in base alla quale il fondamento dell'esperienza morale viene individuato nella
ricerca, che ognuno compie, delle "buone ragioni" che danno forma
alla propria individualità personale attraverso l'agire. Riconoscere ogni
persona come autrice della propria identità fonda un'etica del rispetto delle
persone in quanto a ogni individuo viene riconosciuto il diritto e il dovere di
esprimere le proprie abilità e costruire la propria personalità. Si è
inoltre occupato di bioetica essendo anche stato coordinatore del progetto
Bioetica della genetica: questioni morali e giuridiche negli impieghi clinici,
biomedici e sociali della genetica umana del Miur (FIRB, Tra i suoi interessi
più recenti, la disciplina della Film and Philosophy: la riflessione su come i
film possono fare filosofia e se possono argomentare vere e proprie tesi
filosofiche. In questo contesto ha dato vita al Laboratorio di Filosofia e
Cinema presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele,
conduce il sabato pomeriggio la rubrica "Al cinema col Filosofo" su
TgCom24 (stagioni - e -) e la rubrica "Imparare ad amare i film"
all'interno di Cinematografo Estate () su Rai 1. Riviste È membro del
comitato scientifico dell'Annuario di Etica (ed. Vita e Pensiero),
dell'Annuario di Filosofia (ed. Mimesis) e della rivista online Etica &
Politica. Dalla sua fondazione è membro del Comitato Scientifico della
rivista scientifica a cura del Comitato Etico della Fondazione Umberto
Veronesi. Attività teatrale Romeo e Giulietta: nascita e tragedia dell'io
moderno, Eloisa e Abelardo: passione e negazione, Occidente, o identità
fragile: Paul Auster e le Follie di Brooklyn, analisi filosofiche con letture
sceniche, ciclo "Aperitivi con Sophia", Teatro Franco Parenti,La
violenza e l'ingiustiziaGorgia, ciclo "Filosofi a teatro" Roberto
Mordacci, Teatro Franco Parenti, L'individuo, la libertà e il perdono. Hegel
legge Dostoevskij, lettura scenica di Roberto Mordacci e Jean Sorel, ciclo
l'Intelligenza e la Fantasia, Teatro Strehler,L'isola della verità. Divagazioni
fotografiche e filosofiche, lettura scenica di Roberto Mordacci, Anna Traini e
Maria Grazia Stepparava, Cluster Isole, Mare e Cibo, Padiglione P03-Expo
Milano (Rho-Fiera), Kant e il mare,
lettura scenica di Roberto Mordacci e Francesca Ria, agosto Saggi:“Bio-etica della sperimentazione,”
Angeli, Milano; “Salute e bio-etica,” Einaudi, Milano); “Una introduzione alle
teorie morali,” Feltrinelli, Milano, La
vita etica e le buone ragioni,Mondadori, Milano, “Ragioni personali, ragione
inter-personali: Saggio sulla normatività morale,” Carocci, Milano, Elogio
dell'Immoralista, Mondadori, Milano; Rispetto, Cortina, Milano. Bioetica, Mondadori,
Milano. L'etica è per le persone, San Paolo, Cinisello Balsamo. Al cinema con
il filosofo. Imparare ad amare i film, Mondadori, Milano. La condizione
neomoderna, Einaudi, Torino,. Ritorno a utopia, Laterza, Bari,. Note Università Vita-Salute San Raffaele, su
unisr. Governo/bioetica, su governo.
Roberto Mordacci, su Le Università per Expo,Commissione per l’Etica
della Ricerca e la Bioetica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, su cnr. Organi della società | SIFM, su sifm.
Intervista a L'accento di Socrate, su laccentodi socrate. Rai 1, Cinematografo estate, su rai.tv. Scienza e etica: in uscita la nuova rivista
della Fondazione Veronesi, su Fondazione Umberto Veronesi. Chi siamo
su scienceandethics. fondazioneveronesi. Feeding the Mind: Expo-Bicocca
Conversation Hour, su unimib. Lettura scenica de "I Sensi del Mare",
su//elbareport. 1 Pearson Imparare sempre su pearson. 1º agosto. Bioetica Mordacci Robertoe Book Mondadori
BrunoSai cos'è?FilosofiaePubIBS, su ibs. L'etica è per le personeEdizioni San
Paolo, su edizionisanpaolo. Riflessioni
sul senso della vita intervista di Ivo Nardi, sito "Riflessioni",
settembre. Ci vuole più rispetto intervista a Roberto Mordacci, Famiglia
Cristiana. Ma l'etica non è un'intrusa, intervista a Roberto Mordacci,
Avvenire, Ora smettiamola di parlare inglese, intervista a Roberto Mordacci, Il
Giornale. Mordacci. Keywords: la norma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mordacci” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Morelli – la filosofia del digiuno –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: ‘I once told Austin, I don’t give a hoot what the
dictionary says;’ ‘And that’s where you make your big mistake,’ his crass
response was!” -- Grice: “I once told Ackrill, ‘should there be a manual of
philosophy, must we follow it?’ He replied, “One thing is to know the manual,
another is to know how to abide by it!” Si laurea a Pavia e l'anno dopo assolve all'obbligo di leva a
Trieste dove presta attenzione alle problematiche relazionali dei militari
nello svolgimento delle proprie mansioni; si è poi specializzato in Psichiatria
presso l'Università degli Studi di Milano. Direttore dell'Istituto Riza, gruppo
di ricerca che pubblica la rivista Riza Psicosomatica ed altre pubblicazioni
specializzate, con lo scopo di "studiare l'uomo come espressione della
simultaneità psicofisica riconducendo a questa concezione l'interpretazione
della malattia, della sua diagnosi e della sua cura". Inoltre è direttore
delle riviste Dimagrire e Salute Naturale. Dall'attività dell'Istituto
Riza è sorta anche la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad indirizzo
psicosomatico, riconosciuta ufficialmente dal Ministero dell'università e della
ricerca scientifica e tecnologica. Vicepresidente della Società Italiana di
Medicina Psicosomatica. Partecipa a numerose trasmissioni televisive sia per la
RAI sia per Mediaset (Maurizio Costanzo Show, Tutte le mattine, Matrix, ecc.) e
per la radio. Nelle sue opere ci sono molti riferimenti alle dottrine
orientali. Saggi: “Verso la concezione di un sé psico-somatico. Il corpo è come
un grande sogno della mente (Milano, UNICOPLI, Milano, Cortina); La dimensione
respiratoria. Studio psico-somatico del respiro, inspiro, expiro – spiro -- Milano, Masson Italia, Dove va la medicina
psico-somatica (Milano, Riza); Il sacro.
Antropoanalisi, psico-somatica, comunicazione, Milano, Riza-Endas, Convegno
internazionale Mente-corpo: il momento unificante. Milano, Atti, Milano,
UNICOPLI, Riza, I sogni dell'infinito, Milano, Riza, Autostima. Le regole
pratiche, Milano, a cura dell'Istituto Riza di medicina psicosomatica, Il
talento. Come scoprire e realizzare la tua vera natura, Milano, Riza, Ansia,
Milano, Riza, Insonnia, Milano, Riza, Cefalea, (Milano, Riza); Lo psichiatra e
l'alchimista. Romanzo, Milano, Riza, Le nuove vie dell'autostima. Se piaci a te
stesso ogni miracolo è possibile, Milano, Riza, Conosci davvero tuo figlio?
Sconosciuto in casa. Dal delitto di Novi Ligure al disagio di una generazione,
Milano, Riza, Come essere felici, Milano, Mondadori, Cosa dire e non dire nella
coppia, Milano, A. Mondadori, Come mantenere il cervello giovane, Milano, Mondadori,
Come affrontare lo stress, Milano, A. Mondadori, Come amare ed essere amati
(Milano, Mondadori); Come dimagrire senza soffrire (Milano, Mondadori); Come
risvegliare l'eros, Milano, A. Mondadori, Come star bene al lavoro, Milano, A.
Mondadori, Come essere single e felici, Milano, A. Mondadori, Cosa dire o non dire ai nostri figli, Milano,
A. Mondadori, La rinascita interiore, Milano, Riza, Volersi bene. Tutto ciò che
conta è già dentro di noi (Milano, Riza); L'amore giusto. C'è una persona che
aspetta solo te, Milano, Riza, Vincere i disagi. Puoi farcela da solo perché li
hai creati tu, Milano, Riza); Felici sul lavoro. Come ritrovare il benessere in
ufficio, Milano, Riza, I figli felici. Aiutiamoli a diventare se stessi,
Milano, Riza, La gioia di vivere. Scorre spontaneamente dentro di noi, Milano,
Riza, Essere se stessi. L'unica via per incontrare il benessere, Milano, Riza,
Accendi la passione. È la scintilla che risveglia l'energia vitale, Milano,
Riza, Alle radici della felicità. Editoriali dpubblicati su Riza psicosomatica,
rivista mensile delle Edizioni Riza, Milano, Riza, Ciascuno è perfetto. L'arte
di star bene con se stessi, Milano, Mondadori, Il segreto di vivere. Aforismi,
Milano, Riza, Realizzare se stessi, Milano, Riza, Vincere la solitudine,
Milano, Riza, Dimagrire senza fatica, Milano, Riza, Amare senza soffrire,
Milano, Riza, Guarire con la psiche, Milano, Riza, Superare il tradimento,
Milano, Riza, Dizionario della felicità, 6 voll, Milano, Riza, Non siamo nati
per soffrire, Milano, Mondadori,L'autostima. Le cinque regole. Vivere la vita.
Adesso, Milano, Riza, Conoscersi. L'arte di valorizzare se stessi. Via le
zavorre dalla mente, Milano, Riza, I
figli difficili sono i figli migliori, Milano, Riza, Il matrimonio è in
crisi... che fortuna!, Milano, Riza, Autostima, I consigli di Raffaele Morelli
per un anno di felicità, Milano, Riza, Le parole che curano, Milano, Riza,
Perché le donne non ne possono più... degli uomini, Milano, Riza, Le piccole
cose che cambiano la vita, Milano, Mondadori, Come trovare l'armonia in se
stessi, Milano, Oscar Mondadori, Ama e
non pensare, Milano, Mondadori, Curare il panico. Gli attacchi vengono per
farci esprimere le parti migliori di noi stessi, con Vittorio Caprioglio,
Milano, Riza, Non dipende da te. Affidati alla vita così realizzi i tuoi
desideri, Milano, Mondadori, L'alchimia. L'arte di trasformare se stessi
(Milano, Riza); Il sesso è amore. Vivere l'eros senza sensi di colpa, Milano,
Mondadori, Puoi fidarti di te, Milano, Mondadori, La felicità è dentro di te,
Milano, Mondadori,L'unica cosa che conta (Milano, Mondadori); La felicità è
qui. Domande e risposte sulla vita, l'amore, l'eternità, con Luciano Falsiroli,
Milano, Mondadori, Guarire senza medicine. La vera cura è dentro di te (Milano,
Mondadori); Lezioni di autostima. Come imparare a stare beni con se stessi e
con gli altri (Milano, Mondadori); Il segreto dell'amore felice, Milano,
Mondadori, La saggezza dell'anima. Quello che ci rende unici (Milano,
Mondadori); Pensa magro. Le 6 mosse psicologiche per dimagrire senza dieta (Milano,
Mondadori); Vincere il panico. Le parole per capirlo, i consigli per
affrontarlo, cosa fare per guarirlo (Milano, Mondadori) Nessuna ferita è per
sempre. Come superare i dolori del passato (Milano, Mondadori); Solo la mente
può bruciare i grassi. Come attivare l'energia dimagrante che è dentro di noi
(Milano, Mondadori); Breve corso di felicità. Le antiregole che ti danno la
gioia di vivere (Milano, Mondadori); La vera cura sei tu (Milano, Mondadori); Il
meglio deve ancora arrivare. Come attivare l'energia che ringiovanisce (Milano,
Mondadori); Il potere curativo del digiuno. La pratica che rigenera corpo e
mente (Milano, Mondadori). Segui il tuo destino. Come riconoscere se sei sulla
strada giusta (Milano, Mondadori); Il manuale della felicità. Le dieci regole
pratiche che ti miglioreranno la vita (Milano, Mondadori); Pronto soccorso per
le emozioni. Le parole da dirsi nei momenti difficili (Milano, Mondadori).
Movie. Grice: “Should there be a ‘dizionario della felicita,’ I would perhaps
follow Austin’s advice and go through it!” –. Raffaele Morelli. Morelli.
Keywords: la dimensione respiratoria, inspirare, respirare, spirare, spirito,
il corpo animato spira – il corpo spira – corpo spirante, corpo animato --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Morelli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Moretti – la segnatura romantica – i
romantici di roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Moretti – he uses a good metaphor, ‘the wounded
poet,’ unless we mean Owen, but he was more than wounded, even if that
implicature is cancellable --.” Grice: “I like Moretti also because he wrote on
‘ermeneutica sensibile,’ which is exactly what I do.” Grice: “I like Moretti
also because he uses ‘segnatura’ etymologically, when he writes of the ‘la
segnatura romantica’ – talk of tokens!” Nasce nel borghese quartiere Trieste,
primo di due fratelli. Ottiene il diploma di maturità classica presso il Liceo
Giulio Cesare. Successivamente consegue una prima laurea in Giurisprudenza, con
una tesi in filosofia del diritto, e, nel una seconda in filosofia, con una
tesi in filosofia morale, entrambe presso l'Roma La Sapienza. È poi borsista
presso l'Friburgo in Brisgovia, dove imposta un progetto di ricerca che,
partendo dall'interpretazione di Heidegger, mira ad un'analisi critica delle
categorie filosofico-estetiche del “romantico” in Germania, con particolare
attenzione alle opere di autori del romanticismo di Heidelberg, quali Creuzer, Görres,
i Fratelli Grimm e Bachofen, che contribuisce a tradurre e a far conoscere in
Italia. Al suo rientro insegna dapprima materie letterarie nelle scuole medie
e, in seguito, filosofia presso la Scuola germanica di Roma. La sua ricerca si amplia poi al pensiero
estetico di Novalis, di cui cura la prima edizione completa in lingua italiana
della Opera filosofica; durante questo periodo consegue il dottorato di ricerca
in Estetica presso l'Bologna. Vince la cattedra di professore associato di
Estetica all'Bari; Professore a Napoli L’Orientale. Redattore di Itinerari e Studi Filosofici,
collabora con varie altre riviste filosofiche (Agalma, Rivista di Estetica,
Studi di Estetica, aut aut, Nuovi Argomenti, Filosofia e Società, Filosofia Oggi,
Estetica) e ha spesso partecipato a trasmissioni RAI su temi filosofici e a
numerosi convegni. Saggi: ”Il romantico:
poesia, mito, storia, arte e natura” (Itinerari, Lanciano); -- roma – romantico
-- “Anima e immagine: sul poetico” (Aesthetica, Palermo); “Nichilismo e romanticismo
-- estetica e filosofia della storia” (Cadmo, Roma); La segnatura romantica
(Roma, Hestia); “Interpretazione del romanticismo” (Ianua, Roma); “Estetica: analogia
e principio poetico nella profezia romantica” -- Rosenberg & Sellier, Torino);
“La segnatura romantica -- filosofia e sentimento” (Hestia, Cernusco L.); “Il
genio” (Mulino, Bologna); “Il poeta ferito.” Hölderlin, Heidegger e la storia
dell'essere” (Mandragora, Imola); “Anima e immagine.” Studi su Klages, Mimesis, Milano, Heidelberg
romantica. Romanticismo e nichilismo” Guida, Napoli, Introduzione all'estetica
del Romanticismo, Nuova Cultura, Roma,
Il genio, Morcelliana, Brescia. Per immagini. Esercizi di ermeneutica
sensibile” (Moretti & Vitali, Bergamo); Heidelberg romantica. Romanticismo
tedesco e nichilismo europeo, Morcelliana, Brescia, Novalis. Pensiero, poesia,
romanzo Morcelliana, Brescia, Romano Guardini, Hölderlin, Morcelliana, Brescia.
Novalis, Scritti filosofici, Morcelliana, Brescia. J. J. Bachofen, Il
matriarcato (Marinotti, Milano); Novalis, Opera filosofica, I, Einaudi, Torino, Un video con una trasmissione
RAI. Un video con un intervento di Moretti. Giampiero Moretti. Moretti.
Keywords: roma, romanzo, romanzare, romanzato – non vero. Romanticismo
filosofico, I filosofi romantici italiani Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moretti: il
romanticismo romano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mori – la coerenza dell’intransigenza – la ripproduzione sessuata fra i antici
romani -- Luigi Speranza (Cremona).
Filosofo italiano. Grice: “I
like Mori; he wrote a treatise on Stephen, better known as Virginia Woolf’s
father; which reminded me of Bergmann who once called me an English
futilitarian!” -- Professore a Torino e presidente della Consulta di Bioetica
Onlus, un'associazione di volontariato culturale per la promozione della
bioetica laica. L’etica e la bioetica con le varie problematiche connesse sono
le tematiche al centro dei suoi interessi filosofici e teorici. Mori ha studiato all’Università degli Studi
di Milano, dove ha conseguito la laurea (con Bonomi e Pizzi) e il dottorato
sotto Scarpelli e Jori. Insegnato ad Alessandria e Pisa, prima di essere
chiamato a Torino. Studia i temi della meta-etica e della logica dell’etica con
le problematiche della teoria etica. Tra i primi a occuparsi di bioetica, nella
quale ha dato contributi in tutti i principali settori, con particolare
attenzione all’aborto e alla fecondazione assistita. Sollecitato dai casi Welby
e Englaro ha dato contributi anche sul fine-vita a difesa dell’autonomia
individuale. Per primo teorizza la contrapposizione paradigmatica tra bioetica
laica e bioetica cattolica, derivante dal fatto che quest’ultima propone
un’etica della sacralità della vita caratterizzata da divieti assoluti, mentre
l’altra avanza un’etica della qualità della vita senza assoluti e soli divieti
prima facie. Presta grande attenzione al problema della liberazione animale.
Fonda Bioetica. Rivista interdisciplinare (Ananke Lab, Torino). Membro di
numerosi comitati, tra cui il comitato scientifico di Notizie di Politeia, di
Iride del Journal of Medicine and Philosophy e altre. Saggi: “Manuale di
bioetica: verso una civiltà bio-medica secolarizzata” (Lettere, Firenze); “Introduzione
alla bioetica. temi per capire e discutere” (Piazza, Torino); Il caso Eluana
Englaro. La “Porta Pia” del vitalismo ippocratico ovvero perché è moralmente
giusto sospendere ogni intervento, Pendragon, Bologna, Aborto e morale. Per
capire un nuovo diritto” (Einaudi, Torino); “La fecondazione artificiale. Una
forma di riproduzione umana” (Laterza, Roma-Bari); “La fecondazione
artificiale: questioni morali nell'esperienza giuridica Giuffrè, Milano); “Utilitarismo
e morale razionale. Per una teoria etica obiettivista, Giuffrè, Milano, La
legge sulla procreazione medicalmente assistita. Paradigmi a confronto, Net,
Milano, Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto, Le
Lettere, Firenze, La fecondazione assistita dopo 10 anni di legge 40. Meglio
ricominciare da capo!, Ananke editore, Torino, Questa è la scienza, bellezze!
La fecondazione assistita come novo modo di costruire le famiglie, Ananke Lab,
Torino. Keywords: la coerenza dell’intransigenza.
Grice e Moriggi – la stretta di mano – Ercole e
Cerbero – le tre implicature -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “I like it when Moriggi does substantial metaphysics; he
has edited a collection on ‘why is there something rather than nothing?” –
hardly rhetoric – and the subtitle is fascinating: the vacuum, the zero, and
nothingness! All in Italian, to offend Heidegger!” Specializza in teoria e
modelli della razionalità, fondamenti della probabilità e di pragmatism. Insegna
a Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine è
conosciuto al grande pubblico attraverso la trasmissione TV E se domani di Rai
3 e per alcuni interventi ad altre trasmissioni. Saggi: “Le tre bocche di
Cerbero” (Bompiani. Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero,
con P.Giaretta e G.Federspil (Itaca) Perché la tecnologia ci rende umani (Sironi) Connessi. Beati quelli che sapranno
pensare con le macchine (San Paolo) School Rocks! La scuola spacca, con A.
Incorvaia (San Paolo, ), con prefazione rap di Frankie Hi-nrg. Stefano Moriggi.
Moriggi. Keywords: le tre bocche di Cerbero. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Moriggi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mosca – implicatura – filosofia italiana – filosofia
siciliana Luigi Speranza (Palermo).
Filosofo italiano. Grice: “When Austin was defending the ‘man in the street,’
he was thinking Mosca!” -- Grice: “I like Mosca; he speaks of elites – Gellner
speaks of elites, too!” -- Grice: “Do Italians consider Mosca a philosopher?” –
Saggi: “Sulla teorica dei governi e sul
governo parlamentare, Appunti sulla
libertà di stampa, Questioni costituzionali, Le Costituzioni moderne; Elementi
di scienza politica, Che cosa è la mafia, Appunti di diritto Costituzionale,
Italia, Stato liberale e stato sindacale, Il problema sindacale, Saggi di storia delle dottrine politiche,
Crisi e rimedi del regime parlamentare, Storia delle dottrine politiche,
Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, Ciò che la storia
potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica (Milano), Il tramonto dello
Stato liberale (a cura di A. Lombardo, Catania) Scritti sui sindacati (a cura
di F. Perfetti, M. Ortolani, Roma) Discorsi parlamentari (con un saggio di
Panebianco, Bologna. Appunti di diritto costituzionale dall’Enciclopedia
Giuridica Italiana. Milano. La genesi
delle cottituzion imoderne. Cenni storici sulla scienza del diritto costituzionale.
Definizione dello stato e della sovranità. Condizioni sociali che prepararono
il regime rappresentativo. Dottrine politiche che integrano l'azione
del dizioni sociali. La costituzione inglese e sua importanza con
dello di tutte le costituzioni moderne. Origini. Ordinamenti politici ed
amministrativi dell'Inghilterra. La prima rivoluzione inglese. La restaura:
Vhabecis corpus. La seconda rivoluzione inglese. Il seconc
dei diritti e Patto di stabilimento. Lo svolgimento della costituzione
inglese nel decimottavo. Lo statuto
albertino. Caratteri delle prime costituzioni moderne. più dirette dello statuto
albertino. Il re. Sue prerogative e norme della succezione monarchica. Il
gabinetto, i ministri ed il presidente del consiglio. La responsabilità penale
dei ministry. La formazione delle due Camere. Varii sistemi di suffragio.
La legge elettorale politica. Prerogative
e funzioni dell» due Camere. Dell’ordine giudiziario. Dei diritti individuali. Dei
rapporti fra la chiesa e lo stato. Lo studio del diritto pubblico in genere e
del diritto costituzionale in ispecie richiede anzitutto la
definizione esatta di certi concetti che, per quanto non nuovi, non hanno
acquistato ancora un significato preciso e determinato e nello stesso
tempo accolto da tutti. Il concetto di Stato, che è il più
fondamentale di tutti, venne ad esempio elaborato fin dalla classica
antichità e corrisponde a ciò che i greci chiamavano “polis” ed i romani “respublica”.
Eppure anche oggi si disputa sulla origine e la natura dello stato. Fra
tutte le definizioni dello stato la migliore mi sembra quella che lo fa
consistere nella organizzazione politica e giuridica di un popolo entro
un determinato territorio, ma anche essa ha bisogno di spiegazioni e
commenti. Quando si dice infatti organizzazione politica di un
popolo, s' intende quella di tutti gli elementi che dirigono politicamente
un popolo ossia esercitano funzioni statuali. Nello stato moderno perciò
vanno compresi non solo tutti i pubblici funzionari, tenendo conto pure
di quelli fra costoro che non sono pubblici impiegati, ma anche i membri
del parlamento ed i consiglieri provinciali e comunali; e perfino gl’elettori
politici e comunali, quando sono convocati nei comizi, esercitano
funzioni statuali e perciò fanno parte dello stato. Ma per quanto in una
organizzazione statuale democratica lo stato comprende, almeno
giuridicamente dappoiché in fatto le cose vanno diversamente, la parte maggiore
della società, pure questa non si confonde mai intieramente collo stato. Perchè
anche nei paesi dove vige il suffragio universale vi sono molti individui che
pur fanno parte del sociale consorzio, come le donne, i minorenni e
coloro che per condanne sono esclusi dal suffragio, i quali in nessun caso partecipano
alle funzioni politiche o statuali. Ma se lo stato non è la società, esso
essendo costituito dal complesso di tutti gl’elementi che
partecipano alla direzione politica di questa non è certo al di fuori
della società. Il cervello non è tutto il corpo umano, ma ne fa parte e
senza di esso il corpo umano non può vivere. Bisogna però notare
che la vita del corpo sociale ha delle analogie non delle identità con
quelle dell'individuo umano. Infatti in questo ogni singola cellula è
fissata nell'organo di cui fa parte, mentre negl’organismi sociali più
perfezionati, nei quali le funzioni statuali sono suddivise in vari organi le
cui attribuzioni sono giuridicamente limitate, vediamo spesso che il medesimo
individuo fa parte dello stato nell'esercizio della sua pubblica funzione e é
sem-plice membro della società al di fuori della sua funzione e di fronte
a tutti gli altri organi dello stato. Ciò accade tanto al semplice
elettore che al magistrato ed allo stesso membro del parlamento, se non
vogliamo tener conto per i due ultimi delle poche speciali prerogative che
mirano a salvaguardarne l'indipendenza nell'esercizio delle loro
funzioni. Molti filosofi considerano intanto lo stato e la società
come due enti che per necessità vivono in continuo antagonismo, per
alcuni anzi lo stato è il perpetuo nemico della società. Dopo quanto si
è scritto risulta evidente che il loro concetto è per lo meno
inesatto e sopratutto è difettoso perchè contribuisce piuttosto a confondere
che a chiarire le idee che si possono avere sull'argomento. Nondimeno
esso non è del tutto falso e può essere anzi riguardato come una
interpretazione sbagliata di una condizione di cose in tutto od in parte
verace. È indiscutibile infatti che in una società vi possono essere
elementi dirigenti che dalla costituzione in vigore sono tenuti lontani
dalla organizzazione statuale. Ed allora naturalmente vi è una lotta
fra questi elementi e quelli già accolti entro lo stato che può assumere
la parvenza di una lotta fra stato e società. E può anche accadere che i
progressi del senso morale e giuridico di una società
abbiano oltrepassato quel livello che si era aggiunto nel momento
della formazione del suo organismo politico. Sicché questo, rimasto arretrato,
permette ai rappresentanti dello stato un'azione che
riesce vessatoria ed arbitraria per gli altri membri
della società. Ma in sostanza i periodi di antagonismo acuto
fra gl’elementi statuali e quelli extra-statuali di una società possono
essere considerati come eccezionali e sogliono ordinariamente precedere le
grandi rivoluzioni. Tutto quanto si è detto spiega perchè lo stato sia
l'organizzazione politica di un popolo. Se si tiene poi presente che, in
tutti i paesi che hanno raggiunto un certo grado di civiltà, le condizioni
in base alle quali si arriva all'esercizio delle funzioni statuali ed i
limiti di queste funzioni sono determinati dalla LEGGE si vede facilmente
come questa organizzazione sia non solo politica ma anche giuridica;
perchè essa crea fra i diversi organi dello stato e fra coloro che
esercitano le funzioni statuali ed i semplici cittadini una serie di
rapporti giuridici. Questi rapporti nascono in base ad una facoltà
che lo stato esclusivamente possiede: la sovranità. La sovranità consiste nel
potere di conchiudere convenzioni e trattati con un’ altro stato e di
creare il diritto e farlo eseguire in tutto il territorio sottoposto allo
stato. I filosofi, educati quasi esclusivamente alle concezioni del
diritto privato, si sono spesso trovati in qualche imbarazzo riguardo a
questo attributo della sovranità. Essi stentano a spiegaisi come e perchè
l'ente che ha facoltà di fare la legge, di modificarla e disfarla e *sottoposto*
alla legge. Per darsi ragione di questo fatto i filosofi hanno ricorso a
tante ipotesi, fra le quali la più divulgata è quella che lo stato a
sorto in base ad una convenzione, ad un “contratto”, ad un atto
giuridico tacito od espresso, ma ad ogni modo consentito da coloro che
fanno parte del consorzio sociale sul quale esso esercita la sua
sovranità. Prendendo a base il concetto che già si è adottato sullo stato
e dei suoi rapporti con la società non riesce difficile di risolvere
la difficoltà accennata. Già fin dal tempo dei filosofi e giureconsulti
romani si distinsero nello stato due personalità -- una di diritto PRIVATO, per
la quale esso potea contrarre obbligazioni come ogni altra persona
giuridica -- ed un'altra di diritto PUBBLICO che gli confere l'esercizio
dei poteri sovrani. L'esercizio di questi poteri produce la conseguenza che
lo Stato impone a tutti i cittadini degli obblighi, come ad esempio quello
dell'imposta e del servizio militare, senza offrire in cambio
alcun corrispettivo diretto. Senonchè è da osservare che nelle forme
di stato più perfezionato e sopratutto nello stato rappresentativo
moderno, quando si tratta d'imporre questi obblighi e di esercitare in genere
la funzione sovrana per eccellenza, che è quella di fare le leggi,
è necessario il consenso del capo dello stato e di tutte quelle forze
politiche che son rappresentate nei due rami del parlamento. Nel
momento nel quale, collettivamente e nelle forme volute, gl’elementi ai
quali è affidato il POTERE LEGISLATIVO esercitano questa funzione, essi
sono sovrani, cioè, SUPERIORI alla legge perchè la fanno e la
disfanno, in tutti gli altri momenti ed individualmente sono soggetti alla
sovranità, cioè all'impero della legge. A guardarci bene nello stato
moderno ciò non rappresenta una vera anomalia, perchè anche nell'esercizio
delle altre funzioni statuali gl’elementi che le disimpegnano agiscono,
sia individualmente che collegialmente, in nome dello stato e lo
rappresentano nei limiti delle loro attribuzioni. Mentre sono completamente
soggetti alla sovranità dello stato in qualunque *altra* manifestazione
della loro attività personale. Tanto i membri del POETER GIUDIZIARIO che
gl’agenti del POTERE ESECUTIVO si trovano infatti nelle condizioni
accennate, colla differenza però che, quando esorbitano dalla
loro funzione ed anche nell'esercizio della loro funzione, è sempre
possibile di esercitare sopra di essi un controllo che riesce malagevole,
se non impossibile, di fronte al potere legislativo. Gaetano Mosca. Mosca.
Keywords: implicatura, mafia. Stato liberale, stato sindacale, regime
parlamentare, partito e sindacato. Refs.:
H. P. Grice: “Mosca’s liberalism;” Luigi
Speranza, "Grice e Mosca," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria.
Grice e
Motta – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vercelli).
Filosofo italiano. Grice: “If Mill’s
claim to fame is to some his examination of Mill, Motta’s claim to fame is his
examination of Rosmini!” -- Il conte Emiliano Avogadro della Motta. Nacque dal
conte Ignazio della Motta e da Ifigenia Avogadro di Casanova, entrambi
appartenenti a nobili famiglie di vassalli e visconti, i cui antenati risalgono
a poco oltre il mille. Tra gli Avogadro vi fu anche Amedeo, inventore della
legge sui fluidi. Frequenta con profitto gli studi e si laureò in utroque iure,
ma proseguì lo studio in diverse aree della teologia e della filosofia, trasformando
le dimore familiari in piccole accademie dove giuristi, filosofi, studiosi di
diritto canonico e vescovi si riunivano, per discutere vari argomenti ed
approfondire la filosofia moderna e i diversi aspetti del nascente socialismo.
Ricevette l'incarico, che già fu del padre, di riformatore degli studi del
Vercellese e in un'epoca in cui si guardava ancora con diffidenza
all'istruzione delle classi popolari, egli visitava ciclicamente le scuole
d'ogni ordine, scegliendone accuratamente gli insegnanti, convinto che
l'istruzione e l'educazione fossero un diritto di tutti e dovessero procedere
simultaneamente. Assunse la carica di Consigliere di Formigliana e
continuò a dedicarsi allo sviluppo culturale della natia Vercelli, ove fondò la
Società di Storia Patria, per incrementare gli studi sul glorioso passato della
città. Divenne membro del Consiglio Generale del Debito Pubblico e più tardi
sindaco di Collobiano e “Consigliere di Sua Maestà per il pubblico
insegnamento” La sua notorietà varcò i confini del Piemonte, allorché ricevette
l'eccezionale invito di partecipazione alla fase preparatoria della definizione
del dogma dell'Immacolata e le sue riflessioni ebbero un seguito fra alcuni
importanti gesuiti, come il direttore de La Civiltà Cattolica, che fece dono a Pio
IX del Saggio intorno al socialismo. Luigi Taparelli d'Azeglio, richiamandosi
ad Avogadro, espresse la propria preferenza per una condanna esplicita di tali
errori, da includere nella bolla di definizione del dogma, ma l'autore
sollecitò apertamente la distinzione di due argomenti (definizione del dogma e
condanna degli errori) dalla portata tanto diversa e lo stesso Pio IX incaricò
la Commissione, che aveva già lavorato sulla definizione del dogma, di
esaminare gli errori moderni e di preparare il materiale necessario per la
bolla e chiese al cardinale Fornari di invitare formalmente alcuni laici a collaborare.
Avogadro fu l'unico laico italiano ad essere interpellato e inviò a Roma una
risposta singolare e ricca di argomentazioni. Ben presto la Commissione
incaricata abbandonò la trattazione univoca dei due argomenti e la solenne
definizione su Maria sarà fatta da Pio IX, mentre l'esame degli errori si
trascinerà per altri dieci anni, mentre prevaleva in ambito ecclesiastico
l'idea di una severa condanna. Attività parlamentare Diventò membro
attivo nella vita politica, quale deputato eletto nel collegio di Avigliana e
operò nelle file dello stesso schieramento politico della Destra. La proposta
avanzata in Parlamento di ridurre il numero delle feste, indusse Avogadro a
scrivere un apposito opuscolo, per difendere la dignità dell'uomo che,
in quanto essere intelligente e creativo, «senza tempo libero non vive da
uomo, e mal lo conoscono gli economisti che altro non sanno procacciargli se
non “lavoro e pane”». In Parlamento prendeva spesso la parola contro il
progetto di legge che prevedeva l'obbligo del servizio militare e criticò la
cessione di Nizza e Savoia alla Francia, smascherando le reali intenzioni che
sull'Italia nutriva l'ambiguo Napoleone III. Riceve la decorazione della
Croce di Ufficiale dei Santi Maurizio e Lazzaro e continuò a scrivere, oltre a
collaborare con l'Armonia, l'Unità cattolica, l'Apologista, il Conservatore,
rivista quest'ultima stampata a Bologna e di cui è ritenuto uno dei fondatori e
collaboratori. Morì in Torino”, come annotano diversi giornali e riviste, non
ultima La Civiltà Cattolica, che gli dedicò un sentito necrologio. Saggi:
“Saggio intorno al Socialismo e alle dottrine e tendenze socialistiche” (Torino,
Zecchi); -- partito socialista italiano
-- “Sul valore scientifico e sulle pratiche conseguenze del sistema filosofico
di Serbati (Napoli, Societa Editrice Fr. Giannini); “Teorica dell'istituzione
del matrimonio e della guerra moltiforme cui soggiace per Emiliano Avogadro
conte della Motta già Riformatore delle R. Scuole provinciali degli Stati
Sardi, a spese della Societa Editrice Speirani e Tortone, Teorica
dell'istituzione del matrimonio Parte II che tratta della guerra moltiforme cui
soggiace, per E. Avogadro conte della Motta già deputato al Parlamento
Subalpino, Torino, Speirani e Teorica dell'istituzione del matrimonio e della
guerra a cui soggiace, -- che tratta delle difese e dei rimedi, con una
Appendice intorno alla ricerca del principio teorico morale generatore degli
uffizi e dei doveri coniugali,” Torino, Speirani e Tortone, per Emiliano
Avogadro conte della Motta deputato al Parlamento Nazionale, Torino, Tipografia
Speirani e Tortone, “Teorica dell'istituzione del matrimonio e della guerra a
cui soggiace, Parte IV Documenti per E. Avogadro conte della Motta già deputato
al parlamento nazionale (Torino, Speirani); “Gesù Cristo nel secolo XIX, Studi
religiosi e sociali, Modena, Tipografia dell'Immacolata Concezione, “La
filosofia di Serbati” (Napoli, Giannini);
“La festa di S. Michele e il mese di ottobre agli angeli santi, Torino,
Marietti, Il mese di novembre dedicato a suffragio dei morti, Torino, Marietti);
“Le colonne di S. Chiesa. Omaggi a S. Giovanni Battista e ai Santi Apostoli nel
mese di giugno e novena per la festa dei Santi Principi Pietro e Paolo, Torino,
Marietti); “Il mese di dicembre in adorazione al Verbo Incarnato Gesu nascente
e ad onore di Maria Madre SS.ma, Torino, Marietti); “Opuscoli di carattere
storico-giuridico; Rivista retrospettiva di un fatto seguito in Vercelli con
osservazioni al diritto legale di libera censura, Vercelli, De Gaudenzi, Delle
feste sacre e loro variazioni nel Regno sub-alpino, Torino, Marietti); “Quistioni
di diritto intorno alle istituzioni religiose e alle loro persone e proprietà,
in occasione della Proposta di Legge fatta al Parlamento torinese per la
soppressione di alcune corporazioni, Torino, Marietti, Cenni sulla
Congregazione degl’oblati dei SS. Eusebio e Carlo eretta nella Basilica di S.
Andrea in Vercelli e sulla proposta sua soppressione. Per un elettore
Vercellese, Torino, Marietti); “Parole di conciliazione sulla questione della
circolare di S. E. Arcivescovo di Torino); “Del diritto di petizione e delle
petizioni pel ritorno di S. E. l'Arcivescovo di Torino); “Lo statuto condanna
la Legge Siccardi, Torino, Fontana, Erroneità e pericoli di alcune teorie ed
ipotesi invocate a sostegno della proposta di Legge di soppressione di vari
stabilimenti religiosi” (Torino, Speirani e Tortone); “Alcuni schiarimenti
intorno alla natura della Proprietà Ecclesiastica allo stato di povertà
religiosa, ed alle quistioni relative ai diritti e ai mezzi temporali di
sussistenza della Chiesa. Con una Appendice intorno alla legalità nell'esecuzione
della legge sulle Corporazioni religiose” (Torino, Speirani); “Considerazioni
sugli affari dell'Italia e del Papa” (Torino, Speirani); “Una quistione
preliminare al Parlamento Torinese” (Torino, Speirani); “Il progetto di
revisione del Codice Civile Albertino e il matrimonio civile in Italia, Torino,
Speirani); La Rivoluzione e il Ministero Torinese in faccia al Papa ed all'Episcopato
Italiano. Riflessioni retrospettive e prospettive” (Torino, Speirani); L'Armonia,
Civiltà Cattolica, Rivista retrospettiva sopra la discussione delle leggi
Siccardi, Unità Cattolica, Angelo Ballestreri, segretario della Famiglia,
presso l'Archivio Storico di Torino. Enciclopedia storico-nobiliare italiana,
promossa e diretta dal marchese Vittorio Spreti, Milano, Avogadro di Vigliano
F., Pagine di storia Vercellese e Biellese, in Antologia, M. Cassetti,
Vercelli, Avogadro di Vigliano F., Antiche vicende di alcuni feudi Biellesi
degl’Avogadro di San Giorgio Monferrato (e poi Conti di Collobiano e di Motta
Alciata), dalla Illustrazione biellese, XIX, Biella, Corboli G., Per le nozze
del Conte Federico Sclopis di Salerano e della Contessa Isabella Avogadro,
Cremona, Feraboli, De Gregory G., Historia della Vercellese letteratura ed
arti, parte IV, Torino, Di Crollallanza G. B., Dizionario storico-blasonico
delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, I, Sala Bolognese, Dionisotti C., Notizie
biografiche dei vercellesi illustri, Biella, Amos, Manno A., Il patriziato
Subalpino. Notizie di fatto storiche, genealogiche, feudali ed araldiche
desunte da documenti, I, Firenze, I vescovi di Italia. Il Piemonte, Savio F.,
Torino, Bocca, Bonvegna G., Filosofia sociale e critica dello Stato moderno nel
pensiero di un legittimista italiano: Emiliano Avogadro della Motta in Annali
Italiani. Rivista di studi storici, Bonvegna G., Il rapporto tra fede e ragione
in Avogadro della Motta, in Sensus Communis,
Valentino V., Un difensore rigoroso dei diritti della Chiesa e del Papa,
in Divinitas, rivista di ricerca e di critica teologica, Volumi e tesi
sull'autore Bonvegna G., Emiliano Avogadro della Motta. Il pensiero
filosofico-politico e la critica al socialismo, Tesi di laurea in Filosofia.
Università Cattolica, Milano, De Gaudenzi L., Ultima parola su di una pretesa
ritrattazione del Conte Emiliano Avogadro della Motta, Mortara,
Cortellezzi, De Gaudenzi L., Un'asserzione delFr. Paoli D.I.D.C. tolta ad esame,
Mortara, Cortellezzi, De GaudenziG.,
Istruzione del vescovo di Vigevano al Ven.do Suo Clero sul Matrimonio,
Vigevano, Spargella, Manacorda G., Storiografia e socialismo, Padova, Martire
G., II, Roma, Omodeo A., L'opera politica del conte di Cavour, Firenze, Pirri,
Carteggi delL. Taparelli d'Azeglio, XIV
di Biblioteca di Storia Italiana Recente, Torino, La scienza e la fede, XXIV, Napoli Spadolini G., L'opposizione cattolica
da porta Pia, Firenze, Storia del Parlamento Italiano, N. Rodolico, Palermo Traniello F., Cattolicesimo
conciliarista. Religione e cultura nella tradizione Rosminiana
Lombardo-Piemontese, Milano, Valentino V., Il matrimonio e la vita coniugale, Facoltà
dell'Italia Centrale, Valentino V., Un'introduzione alla vita e alle opere,
Vercelli, Saviolo, Valentino V., Un laico tra i teologi, Vercelli, Valentino
V., Il pensiero di V. Gioberti, Genova,
Verucci G., Dizionario Biografico Italiano, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, IV, Roma. Guido Verucci,
Emiliano Avogadro della Motta, in Dizionario biografico degli italiani, 4, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere
di Emiliano Avogadro della Motta, Emiliano Della Motta (Avogadro), su storia.camera,
Camera dei deputati. DEL SOCIALISMO IN GENERALE. Origini del socialismo nel
razionalismo protestantico. Le prime eresie tentarono soffocare la fede e la
Chiesa; le seconde, viziar l'una, e sostituirsiall'altra. Lutero e Calvinodistrussero
il principio della fede, dell’amorale, dellasocietà. Idolli germani cercarono
rimedio nella scienza e nell'ecclettismo; la loro filosofia, il loro diritto
pubblico.Il protestantismo in Francia fa più audace e ribelle.Combatiuto come
selta religiosa produsse i liberi pensatori, che, a titolo di scuola, ne dilatarono
il razionalismo empio. Previsioni di Bossuet. Il genio di Voltairee de'suoi
discepoli fu essenzialmente anti-cristiano, Paradossi del Gioberti. La guerra
del filosofismo dcontro la fede e la scienza e più radicale di quella del
protestantesimo. Suo spirito non di separatismo ,ma dicosmopolismo. Da secoli
la preponderanza nell'ordine delle idee e devoluta in Europa alla Germania e alla
Francia, colà bisogna cercare le fonti dell'errar. Diverso carattere delle due
nazioni. Nel razionalismo dell'una, nell'incredulità dell'altra, stette deposto
il primo articolo della carta socialistica. Non più autorild Progressi del
razionalismo e dell'incredulità nell'idealismo. Kant, il suo antidommatismo; I suoi
seguaci. Non vollero dirsi atei, loro panteismo spurio peggiore dell'ateismo.
Non vollero comparir scettici ne materialisti, ma sovvertirono la scienza e la morale
con l'i dealismo apriori. Hegel, el'idealismo trascendentale e pratico. I
teologi protestanti lo seguirono. Il protestantesimo avea sfigurato fin da
principio l'idea di un “Cristo”; a cosa la ridusse Strauss. Apparente regresso
in Francia dal materialismo e dalle teorie rivoluzionarie. Principio di
tolleranza mal applicato in tutte le ristorazioni; indi l'indifferenti
Prefazione Saggio -L'incredulismo e il filosofismo francese e
nell'indifferentismo. I tedeschi pensatori seguirono l'esempio, non la
frivolezza dei volteriani. Smo religio sue políticone gli ordini pubblici,
l'eclettismo nella scienza.Gli eclettici vollero mitigare l'idealismo germanico;
vollero parer rispettosi al cristianesimo, ma lo condannarono come decrepito. La
loro religione filosofica. Non ebbero pensatori. Lamennais, e i razionalisti cattolici.
L'idealismo o l'indifferentismo sono morbi quasi insanabili. Questi compongono il
secondo articolo del simbolo socialistico: la fede all'Idea propria. Ne sorge
l'amore all'indeterminato futuro, l'odio a ciò cheesiste. Giudizio di Staudenmayer.
L'uomo nello stato suo presente non comporta nè dommatismo assoluto, nè
razionalismo assoluto.La natura e il cristianesimo lo educano colla sede e colla
ragione, somministrandogli un'ontologia reale e certa Alcune riflessioni sulle
cose anzi esposte. Il protestantismo, il filosofismo francese, e il tedesco, sono
professioni d'ignoranza. Pongono fuori delle condizioni di possibilità la
religione e la scienza, e abbattono la ragione individuale con un'assurda
emancipazione. Tolgono lo scopo della ricerca della verità. La fede per contro
è scienza iniziale, anche negl’ordini naturali promettitrice. Gli spiriti penetranti
previdero da gran tempo il socialismo moderno; i più furi bondi ne proclamarono
e praticarono le massime. La religione e la società reale erano già condannate
in teoria dall'Idea dei sofisti, cui non possono corrispondere in fatto. La
Chiesa ne è la salute, perchè pre dica la verità positiva, e muta le ipotesi
de'sofisti. Questi falsificarono anche I principii positivi, che vollero
conservare per ricostrurre la società; tolsero la possibilità dell'amore; sfigurarono
le idee di libertà, di eguaglianza, di fratellanza, che portate all'assoluto si
escludono mutuamente. Il socialisino vuole ricostituire con queste l'uman genere.
Gli uomini di distruzione, e quelli dell'utopia, sorti a slagellare l'umanità
colle sperienze d'applicazione e tresta di d'esistenza delle sette. Siappoggianoa
un fiero dommatismo. Non inventano dottrine, ma scelgonoe volgarizzano le più acconce
ai loro fini. Sono la gerarchia, il sacerdozio, l'esercito della filosofia
anticristiana e antisociale, che senza di quelle non sarebbe largamente
perniciosa. Ora non sono più mere associazioni, ma trasformandosi divennero
società e governi sotterranei. Una buona storia delle sette sarebbe un gran
beneficio; come vorrebbe essere fatta. La miglior difesa contro di quelle è farle
conoscere. I sommi Pontefici lo vennero facendo, furono mal secondati. Le sette
massoniche. Veisaupte l'illuminismo. Le sette moderne teoriche ed esecutive. La
Giovine Europa e Mazzini. Loro tre mezzi d'influenza, le loro arti, le loro forze.
Non aspirano che alla propria supremazia e tirannia solto nome di repubblica
sociale. Gioberti le descrisse con somma perizia mutando l'applicazione. Avvenire
delle sette. Non sono esse sole il socialismo, ma ne sono la virtù plastica e
direttrice. Carattere e spirito del socialismo. È l' eterodossia. Essa porta
all'apice, all'universalità, a l l'atto, le empietà ed aberrazioni de'secoli precedenti.
Le sue idee sono Le sette secrete demagogiche. Esse aggiunsero alle teorie
un organismo artilizioso ed attivo. Tre aspetti, però terrene e ristrette. È un
cattolicismo umanoe diabolico, che vuol essere più universale di quello di
Cristo. Il suo Messianismo. Le sue stolte promesse e stolte accuse contro la società.
Professa odio a Dio e a Cristo, odio all'uomo, odio alla giustizia. Sovverte il
naturale eil supernaturale. L'idea socialistica non è intiera nella mente
diverün10 mo, il solo spirito del male ne può abbracciare e volere il tutto. Nelle
menti umane prende diversi gradi e forme. Coldomma dell'idea il socialismo
raccoglie a sè tutti gli spiriti erranti e passionati; disordina i difensori della
verità; esi infiltra nelle menti. Potenza seduttrice del l'Idea e delle Idee. Semisocialismo.
Unità di pensiero, di scopo, di forze morali e materiali nel socialismo, collimanti
contro il cristianesimo. Fa predetto dai santi Apostoli. Lamorte confuta il domma
e le speranze del socialismo, erende calamito se le sue promesse. Il comunismo.
È doppio; altro filosofico e in apparenza economico, altro apertamente Jadro e sensuale.
Il solo principio della comunanza non valea fondare veruna società che basti a
sè stessa. Esseni; comunanze monastiche; sistemi utopistici. Socialismo e
comunismo sono due estremi della stessa idea.La Francia è travagliata di preferenza
dal secondo, la Germania dal primo, il perchè. Il principio Cristiano non può ameno
di somministrare la soluzione di tutti i loro problemi sociali.Sentenza di
Jouffroy DEGLI SCOMPARTIMENTI PRECIPUI DEL SOCIALISMO . Delle scuole e dei sistemi
sociali più insigni, e in particalare dicoli. Hegel le aprì un orizzonte vasto
e pratico colla sua teoria sulla storia, e colle sue viste sul mondo germanico.
Con queste infiamm di pietistic protestanti e i politici ambiziosi, specialmentein
Prussia.Trovo eco fra novatorianche cattolici e israeliti. Le sette demagogiche
germaniche s'impadronirono dell'idea hegeliana di nazionalità, ostile alla
religione e alla civiltà romana. I sofisti la parodiarono altrove, adadulare le
proprie nazioni CATO II. Sansimonismo, umanitarismo. Il misticismo di Sansimone
s'indirizza alle passioni sensuali nobilitando le, alle ambizioni ultra-democratiche
esaltando le capacità individuali. I suoi discepoli l'organizzarono amodo di
religione panteistica umanitaria. Molti eclettici dell'università francese ne
adottarono I principii ideali, compiendo con questi la metafisica hegeliana. Leroux
e l'umanitarismo universale; gli umanitarii ricusano le idee di patria e di nazionalità.
Il principio saņsimoniano penetra largamente in Francia,e per ogni dove; esso
improntò al socialismo l'aria di religione lasciva e cosmopolitica.
L'emancipazione della carne e conseguenza logica del l'emancipazione del pensiero
dell'hegelianesimo e neo-egelianesimo. Owen e Fourrier vestirono l'idea
socialistica e comunistica di sistemi ri . Del svoialismo anarchico e
trascendentalmente empio . Prudhon, discepolo intelligente e sfacciato dei socialisti
tedeschi, sveld le vere esigenze del socialismo. Professa esplicitamente l'odio
a Dio, l'abolizione di ogni diritto, l'anarchia; cosa intenda con tal parola. Flagella
i socialisti e comunisti, ma è peggiore di loro. Le sue idee fanno impressione,
perchè sono l'espressione la più semplice della idea d'indipendenza assoluta. Lecoutrier,
la sua cosmosofia materialistica, prosessa il culto di sè stesso. Condanna la
filosofia e la civilizzazione. Il materialismo e l'anarchia spaventano in
Francia; ostinazione di certi razionalisti, che non dimenonon ne vogliono vedere
il rimedio additato già da Napoleone. Del socialismo operativo o militante, e
di quello latente. Il socialismo pensante sta nelle scuole panteistiche
incredule, l'operativo nelle sette e fazioni rivoluzionarie. I suoi fasti
recenti. Lo scopo principale è distrurre il caltolicismo. Perciò cerca di
rivoluzionare moral mente e materialmentela Chiesa. Adocchia l'Italia che ne tiene
il centro. Mazzini, la sua filosofia panteistica, le sue idee di nazionalità e
di primato italico parodia del primato germanico di Hegel. Sue contraddizioni.
È lo strumento del socialismo universale, che non vuol altro in Italia che non
più Papi. Per progredire il socialismo vesti in Italia tutte le forme e le ipocrisie.
Cerca di alluarvi il comunismo politico. Il socialismo latente. L'Inghilterra
ne possiede grandi elementi. Cenni sull'utopia del Moro.La Russia. Nissuna
rivoluzione eguaglia quella voluta dal socialismo. Che cosa è una rivoluzione.
Diverse specie di rivoluzioni parziali, che ora lutte s'informano
dellospiritodelsocialismo.Sono ingiuste,ruinose,infrenabili nei confini voluti
dai moderati, dai dottrinarii, dai liberali. Cos'è la riforma vera.Coloro non
sono riformatori,ma rivoluzionarji. Possono chiamarsi semisocialisti; lo sono
altri in religione, allri in filosofia, altri in politica. Fanno penetrare a tratti
a tratti l'idea, ed eseguiscono per parti l'opera socialistica. Sono
incoerenti. Giudizi di Joutfroye di Prudhon sui rivoluzionari al minuto.
Giudizi di Quinet sui cattolici democratici predicatori d'indipendenza. Non
sorge dai loro sistemi la vera democrazia, ma l'anarchia prudoniana in tutte le
relazioni degl’individui, e delle società fra loro. L'indipendenza assoluta non
esiste al mondo. Epilogo. Giudizio di Sterne sul principio rivoluzionario
socialistico, eminentemente anticristiano. Il termine della rivoluzione
sociale. La rivoluzione universale sociale non si compirà mai appieno. La
rivoluzione religiosa, come è promossa dal socialismo,è nata a far luogo addi
questa; e del semi-socialismo. Della rivoluzione universale e sociale; scompartimenti
precipui Del panslavismo demagogico, e del ruteno. Un detto napoleonico inverosimile,
o malinteso. Il panslavismo. È doppio. L'Idea russa; la suavivacità per forze
morali e materiali. Le sue arti. È ostile all'idea Latina e cattolica. È
religiosa e politica, panslavi sticae panscismatica. L'Italia ne èminacciata doppiamente.
Calamità europea, che si è la dissoluzione dellaGermania nell'anarchia religiosa
e politica. L'idea russa, ora antirazionalistica e antidemagogica, può col
tempo mutare processo ed allearsi religiosamente al protestantesimo, politicamentealla
demagogia europea. La Chiesa non teme, ma aspeita negli ultimi tempi un grande
assalto dai popoli di quelle regioni, e dalla apostasia dei propria figli. Quel
panslavismo sembra destinato a chiudere l'era del socialismo nostrale. laci, esuberanti,
indefinite. La verità e l'autorità hanno l'adesione della maggioranza, ma sono malconosciute.
Il clerocattolico fa quella vagliatura per ufficio, ma fra popoli colti la scienza
e la dimostrazione è necessaria. Parte dei laici. La filosofia dee essere
ricondotta al suo stato normale, da cui si di parti negando o trascurando l’ontologia
cristiana e la scienza della socieià universale degli spiriti. In Italia
bisogna far conoscere le produzioni della scienza straniera, dei paesi cioè in
cui la controversiaè vivace. Bisogna svelare il fondo dei sistemi socialistici;
formolare con precision i problemi; porre in lume i principii assoluti; questi non
impediscono le temperazioni pratiche. Si fa alcontrario. Esempio nella
quistione capitalissima delle relazioni fra chiesa e Stato. Questa in assoluto non
è quistione di libertà, ma di autorità. Il principio di libertà non basta a
spiegare l'ordine morale.Teorie di Rosmini nel suo saggio Della Costituzione.
Il problema religioso vi è mal formolato. Il progetto di costituzione
rosminiana non guarentirebbe alla chiesa nemmeno libertà; include
l'indifferentismo politico; toglie all'ordine civile la base morale. Necessità
della professione religiosa dello stato. Il problema politico intorno al
diritto e alla giustizia sociale vi è del pari inesattamente formolato. Nel
criticare le costituzioni galliche Rosmini non netacci ai vizii principali. Quale
sia laquistione politica odierna; come sia formolata dai socialisti, come da
Lainennais. Le emende proposte dal Rosmini alle costituzioni da lui criticate
sono vane, o insufficienti a farargine al socialismo e comunismo.È inutile
adulare e contrastare a metà le idee di moda, se non si risolve il tema del
socialismo. Esso nega Dio e le due leggi provvidenziali per cui l'uo mo è
governato dall'uomo, e il diritto sulle cose materiali è diviso fra gl’uomini. I
dottrinarii italiani e francesi si contentano di massime generiche, di idee
dimezzate, scoza analisi e applicazione. Gli americo una nuova foggia di demonolatria;
la rivoluziones cientificaproducela perdita dell'unità di senso morale; la
civile,un'anarchia,e tirannia in curabile. La rivoluzione universale,se potesse
compiersi,distrurrebbe inultimol'umangenere.Come ilsocialismo l'odii dio dio satanico.
Il suo termine logico sarebbe la distruzione dell'ordine di natura e di so
prannatura. Il mondo non saràmai tutto socialista come fu tutto pagano, perchè la
chiesa ha delle promesse infallibili; ma le nazioni civili non ne hanno, e camminano
indolenti verso grandi ruine. Un altro socialism che si dispone a trasformare il
mondo europeo. Timori, speranze, rimedii contro l'invasione delle dottrine
socialistiche. Vuolsi una buona vagliatura delle idee, dei desiderii, delle
speranze fal mani italiani, e gl’anglomani francesi, non conoscono i tipi
stranieri che vogliono imitare. I cattolici idealisti e razionalisti non
comprendono che guastano e snaturano il cristianesimo colle misture
eterodosse,a vece di farne l'apologia. Quali sieno dunque le tre vagliature,or
peces sarie, delle dottrine e delle voglie del secolo. Ancora alcune
osservazioni sul modo di trattare ora le controversie. Partito violento. La rivoluzione
materiale è sopita, ma l'ideale si dilala. L'Italia odierna, e la Germania di tresecoli
fa. Dollinger. È quindiur gente il bisogno di grandi manisestazioni della verità,
per mezzo della fede e dellaragione. I governi, ora materialmente forti, sono
moralmente deboli; l'epoca presente di razionalismo e di opinioni indeterminate
piega alt ermine. Il socialismo vuol dommi e fatti, vuolsi contrap porgli la
scienza della fede cristiana, continuando il lavoro dei più grandi genii del
cristianesimo. Che cosa è una filosofia cristiana. La polemica dee essere
trattata con franchezza; tenendo conto di tutti i principii veri e di tutti i
fatti; distinguendo le ricerche di ciò che è giu sto, ediciò che è prudente. Non
dee contentarsidi debellare gl’errori singoli, ma metter in luce la storia fillosofica,
e il sistema universale dell'eterodossia .Ilpanteismo è lasostanza
dell'eterodossia moderna. Considerazioni sul panteismo, suls uo lungo regno, sulle
sue fasi.Non sarà l'ultimo errore.Voto umile e riservato per un oracolo della
Santa Sede, e una condanna dottrinale e solenne del socialismo e comunismo.
Motivi. Insufficienze e pericoli delle discussioni scientifiche. Il socialismo,
come sistema compiuto, ha del nuovo; spesso sembra sfuggire agli anatemi degli
errori antichi che rinnova. Fra icattolici stessi sinceri visono dubbiezze e
illusioni. La gloria del nome di Cristo è avvilita. L'idea di Cristo, e quindi quella
della Chiesa, sono meno mate in molte menti.Quella èl'antidoto a tuttol'errare moderno
.Lapedagogia pende ad insinuare ilnaturalism o e ilsensualismo. La Santa Sede spesso
unì alle decisioni, e condanne dommatiche contro gli errori, le lezioni
razionali a illustrar lementi dei fedeli. Esempi. Così bramerebbesi ora, perchè
da molti il socialismo e comunismo non sono conosciuti quali sono. Condannati, rimarrebbero
nolati d'infamia agli occhi del mondo cristiano, e resi moralmente impotenti. È
quel tutto un arcano di sata nasso, alla sola Santa Sede apparterrà svelarlo e
conquiderlo; a lei però sola il giudicare della opportunità dei mezzi. Intanto,
colle armi già pronte della fede e dellascienza, vuolsi da ognuno colle sue forze
combattere la rivoluzione ideale. Teologia e filosofia, rivelazione e ragione,
vogliono andar congiunte, distinte, ma non parallele. Un passo del Mancini. Due
filosofismi, due rivoluzioni, che neminaccia no una più terribile. Presunzione dei
moderni; giudizi dei posteri. Tutti i partiti scontenti del presentemirano all'avvenire;
I più sci occhi sono gli aspettanti e ineuirali. Il principio cristiano è
incarnato nella Chiesa, essa non fa quistioni di clericocrazia, quando parla
alle genti con autorità. L'Italia e isuoiri formatori sispecchino nella Germania
di tre secoli fa. La Chie sa benefica e invitta in tutti i secoli. I fedeli
hanno da incoraggirsi; fra l'idea socialistica e la cristiana sanno quale abbia
la verità,e quale ot Alcuni documenti intorno alle scriesegrere demagogiche. Emiliano
Avogadro, conte Della Motta. Il conte Emiliano Avogadro. Emiliano Avogadro
Collobiano e Della Motta. Il Conte Emiliano Avogadro della Motta. Conte
Emiliino Avogadro della Motta. Avogadro di Vigliano, Motta. Keywords:
implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Motta” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Motterlini – critica della
ragione economica – filosofia italiana – principio di economia dello sforzo
razionale – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: “I like Motterlini – he has written, echoing Kant, a
critique of economic reason, which Stalnaker should read before saying I’m
Kantian rather than Futilitarian!” Specializzato
in filosofia della scienza, economia comportamentale e neuro-economia, e noto
per i suoi saggi in ambito psico-economico su processi decisionali, emozioni e
razionalità umana e per le sue ricerche in ambito epistemologico sulla
razionalità della scienza e il metodo scientifico. Insegna a Milanodove. Consigliere
per le Scienze Sociali e Comportamentali della Presidenza del Consiglio dei
Ministri. Si laurea a Milano, dove porta a termine il proprio dottorato in
filosofia della scienza. Ricercatore di economia politica e professore
associato di filosofia della scienza presso l'Trento; Visiting Associate
Professor al Department of Social and Decision Sciences della Carnegie Mellon di
Pittsburgh, Visiting Research Scholar al Department of Psychology della UCLA. Professore
di filosofia della scienza presso l'Università Vita-Salute San Raffaele.
Tra gli altri incarichi è collaboratore de Il Corriere Economia, Il Corriere
della Sera e Il Sole 24 Ore, per cui ha curato per anni il blog Controvento. È
stato consulente scientifico di Milan Lab, A.C. Milan, fondatore e direttore di
Anima FinLab, di Anima Sgr, centro di ricerca di finanza comportamentale e
Scientific advisor di MarketPsychData, Ls Angeles. È direttore del CRESA
(Centro di ricerca in epistemologia sperimentale e applicata), da lui fondato a
Milano presso la facoltà di filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele.
I progetti di ricerca del centro si concentrano su vari aspetti della
cognizione umana, dal linguaggio al rapporto tra mente e cervello,
dall'economia comportamentale alle neuroscienze cognitive della decisione, con
particolare attenzione all'indagine sperimentale multidisciplinare e alle sue
ricadute pratiche e applicative (per esempio nell'ambito del policy making e
dell'evidence-based policy). A inizio, ha avviato il progetto di finanza
comportamentale per Schroder Italia, dal quale è nato Investimente, un test
psicofinanziario al servizio di risparmiatori, promotori finanziari e private
banker, per raccogliere e quindi analizzare i dati riguardanti le decisioni di
investimento e i bias cognitivi nell'ambito della gestione del risparmio.
Attualmente è direttore dell'E.ON Customer Behavior Lab e Chief Behavior
Officer di E.ON Italia; stesso incarico che ricopre per il Gruppo Ospedaliero
San Donato. Analizza la proposta falsificazionista, rivelando le
difficoltà in cui si imbatte il progetto de-marcazionista e anti-induttivista.
Affrontano quindi il modo in cui si ha preteso superare alcune di queste difficoltà,
e insieme raccogliere la sfida di Duhem circa il carattere olistico del
controllo empirico, tenendo conto delle immagini che il filosofo ha della sua
stessa pratica e riferendosi a particolari casi storici come termine di confronto.
Sull'orlo della scienza e in edizione ampliata. Nel suo “Filosofia e storia”
avanza una interpretazione del progetto razionalista come il prodotto di una
peculiare combinazione delle idee di Platone e Hegel. Ciò è motivo della
straordinaria fecondità di Platone, ma anche di una inesauribile tensione al
suo interno. Una tensione che viene illustrata affrontando la relazione tra
filosofia e storia della filosofia (unita longitudinale) in riferimento alla
questione della valutazione di una data metodologia in base alle 'ricostruzioni
razionali' o construzioni logica a cui essa conduce. Nell'idea che la
metodologia filosofica va confrontate con la storia della filosofia è contenuto
il germe di una logica della scoperta in cui i canoni non siano fissati una
volta per sempre, ma mutano nel tempo, anche se con ritmi non necessariamente
uguali a quelli delle teorie filosofiche. Si focalizza su questioni di
metodologia dell'economia da una prospettiva interdisciplinare che combina riflessione
epistemologica, scienza cognitiva, ed economia sperimentale con aspetti più
tecnici di teoria della scelta e della decisione individuale in condizioni
d'incertezza. Le ricerche di questo periodo analizzano criticamente lo status
delle assunzioni della teoria della scelta razionale, valutando l'impatto delle
violazioni comportamentali sistematiche alle restrizioni assiomatiche imposte
dai modelli normativi di razionalità. Avanzano quindi ragioni epistemologiche
per la composizione della frattura economia e psicologia cognitiva in ambito
della teoria della decisione; e suggeriscono di guardare ai recenti risultati
dell'economia cognitiva in prospettiva di una nuova sintesi 'quasi-razionale'
in cui i modelli neoclassici, integrati da teorie psicologiche che tengano
conto dei limiti cognitivi dei soggetti decisionali, rafforzano le previsioni
del comportamento economico degli esseri umani. Neuroeconomia e
evidence-based policy Le sue ricerche indagano le basi neurobiologiche della
razionalità umana attraverso lo studio dei correlati neurali dei processi
decisionali in contesti economico-finanziari, con particolare attenzione al
ruolo svolto dalle emozioni, dal rimpianto, e dall'apprendimento sociale.
Parallelamente progetta ed esperimenta i modi in cui i risultati dell'economia
comportamentale e della neuroeconomia possono informare politiche
pubbliche più efficaci e basate sull'evidenza. Queste ricerche sono
oggetto dei corsi di Filosofia della scienza e di Economia cognitiva e neuroeconomia
che insegna all'università San Raffaele, e hanno altresì trovato diffusione
attraverso numerosi articoli divulgativi e due libri, Economia emotiva e
Trappole mentali. Il suo ultimo libro è Psicoeconomia di Charlie Brown.
Strategia per una società più felice. Saggi: “Sull'orlo della scienza,” –
Grice: “Must say that ‘orlo’ is a genial word, wish Popper knew it!” –Lakatos,
Feyerabend: Pro e contro il metodo, Cortina, Milano. Popper, Saggiatore-Flammarion, Milano, Lakatos.
Scienza, matematica e storia, Saggiatore, Milano, Decisioni mediche. Un
approccio cognitive, Cortina, Milano.
Critica della ragione economica. Tre saggi: McFadden, Kahneman, Smith,
Saggiatore, Milano, Economia cognitiva & sperimentale, Bocconi Editore,
Milano La dimensione cognitiva dell'errore in medicina, Fondazione Smith Kline,
Angeli, Milano Economia emotiva
(Emotional Economics), Rizzoli, Milano Trappole mentali, Rizzoli, Milano Mente,
Mercati, Decisioni. Introduzione all'economia cognitiva e sperimentale, Egea,
Milano Psico-economia di Charlie Brown.
Strategia per una società più felice, Rizzoli, Milano Alcuni articoli
scientifici, Lakatos between the Hegelian devil and the Popperian blue sea. In
Kampis, G., Kvasz, L., Stoeltzner, M. Considerazioni epistemologiche e
mitologiche sulla relazione tra psicologia ed economia, Sistemi intelligenti,
Il Mulino, Metodo e standard di valutazione in economia. Dall'apriorismo a
Friedman, Studi Economici, Milano. A fMRI Study, PlosONE', Vai in laboratorio e
capirai il mercato (con Francesco Guala) Prefazione a Vernon Smith, La
razionalità in economia. Tra teoria e analisi sperimentale, IBL, Milano.. Neuro-economia
e Teoria del prospetto, voci Enciclopedia dell'economia Garzanti, Milano. Investimente.
Test dell'investitore consapevole
Recensione di Ian Hacking sulla The London Review of Books IlSole24Ore 22.5.//ilsole24ore. com/art/cultura/-05-18/motterlini-spinta-riforme--shtml?uuid=ADAaR2J
ASito personale, su matteomotterlini. Sito CRESA, su cresa.eu. I am strongly
inclined to assent to a principle which might be called a Principle of Economy
of Rational Effort. Such a principle would state that where there is a
ratiocinative procedure for arriving rationally at certain outcomes, a
procedure which, because it is ratiocinative, will involve an expenditure of
time and energy, then if there is a nonratiocinative, and so more economical
procedure which is likely, for the most part, to reach the same outcomes as the
ratiocinative procedure, then provided the stakes are not too high it will be
rational to employ the cheaper though somewhat less reliable non-ratiocinative
procedure as a substitute for ratiocination. I think this principle would meet
with Genitorial approval, in which case the Genitor would install it for use
should opportunity arise. On the assumption that it is cha~acteristic of reason
to operate on pre-rational states which reason confirms, revises, or even
(sometimes) eradicates, such opportunities will arise, provided the rational
creatures can, as we can, be trained to modify the relevant pre-rational states
or their exercise, so that without actual ratiocination the creatures
84 Paul Grice can be more or less reliably led by those
pre-rational states to the thoughts or actions which reason would endorse were
it invoked; with the result that the creatures can do, for the most part, what
reason requires without, in the particular case, the voice of reason being
heard. Motterlini. Keywords: critica della ragione economica, principle of
economy of rational effort, twice in Grice – in Reply, etc. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Motterlini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mummio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Mummio Spurio. Porch. A distinguished orator. Wrote a number
of letters on ethical issues.
Grice e
Musatti – l’erote collettivo – filosofia italiana – filosofia fascista –
filosofia del ventennio – Gruppo universario fascista -- Luigi Speranza (Dolo).
Filosofo italiano. Grice: “Musatti reminds me of Malcolm,
“Tonight I had a dream,”” – Grice: “Musatti has explored the implicatures of
‘who’s afraid of the big bad wolf?’, which comes strictly from Grimm – this is
a rhetorical question – and Grimm is implicating that nobody should!” --
Ccesare luigi eugenio musatti. Tra i primi che posero le basi della
psicoanalisi, in Italia. Nato a Dolo, sulla riviera del Brenta, nella
Villa Musatti a del nonno paterno in cui i parenti erano soliti trascorrere la
villeggiatura. Figlio di Elia, ebreo veneziano e deputato socialista
amico di G. Matteotti, e della napoletana Emma Leanza, non fu né circonciso, né
battezzato -- durante le persecuzioni razziali si procura un falso certificato
di battesimo dalla parrocchia di Santa Maria in Transpontina di Roma -- e non
professa mai alcun credo religioso. Frequenta il liceo Foscarini di
Venezia, poi si iscrive dapprima alla facoltà di Scienze dell'Padova per il
corso di Ingegneria, e immediatamente dopo alla facoltà di Lettere e Filosofia,
dove si laurea in filosofia. Dopo la laurea, si iscrisse per due anni al corso
di Matematica della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di
Padova, ma non sostenne esame alcuno. A diciannove anni fu chiamato a Roma
per il servizio di leva. Dopo un periodo di addestramento a Torino, e mandato
al fronte come ufficiale, con impegni marginali. Finita la guerra tornò a
Padova per terminare gli studi. Sulla cattedra di Psicologia Sperimentale c'era
Vittorio Benussi, allora chiamato per chiara fama a insegnare a Padova
dall'Graz. Si laurea in filosofia e l'anno successivo divenne assistente
volontario del Laboratorio di psicologia sperimentale. Benussi si uccise con il
cianuro a causa di una grave forma di disturbo bipolare, lasciando tutto nelle
mani di Musatti e di Silvia De Marchi, anch'essa assistente volontaria, che poi
divenne sua moglie. Il suicidio di Benussi fu scoperto da Musatti, il quale
però lo nascose per paura di ripercussioni negative sulla psicologia italiana
in una situazione di fragilità e precarietà accademica, sottoposta a pressioni
da parte sia del regime fascista, con le sue istanze gentiliane, che della
Chiesa Cattolica. Negli anni ottanta Musatti rivelò che Benussi s'era
suicidato, non era morto a causa di un malore. Musatti divenne direttore
del Laboratorio di Psicologia dell'Padova. Portò in Italia la Psicologia della
Forma con importanti lavori di livello internazionale. Dopo aver diffuso in
Italia la psicologia della Gestalt, divenne il primo studioso italiano di
psicoanalisi. Studiando la psicologia della suggestione e dell'ipnosi,
introdotta in Italia da VBenussi, approdò alla psicoanalisi, sulla quale tenne
il primo corso universitario italiano. Il corso si tenne presso a Padova. Divenne
allora uno dei primi e più importanti rappresentanti italiani della
psicoanalisi. Nell'Italia degli anni '30 le teorie di Freud non erano state
accolte bene né dalle Università, né dalla Chiesa cattolica, a causa
dell'ideologia culturale gentiliana assunta dal fascismo. La Società
psicoanalitica italiana venne limitata anche dalle leggi razziali fasciste che colpirono
i membri ebrei della società. Benché non fosse ebreo (poiché figlio di madre
cattolica), e allontanato dall'insegnamento a Urbino e declassato ad insegnante
di liceo. Nominato professore di Filosofia al Liceo Parini di Milano. Si
ritrova con L. Basso, Ferrazzutto e
altri vecchi socialisti con l'intento di creare un partito erede del Partito
Socialista Italiano; ebbe l'incarico di trovare denaro per una prima
organizzazione e di allacciare rapporti col Partito Comunista clandestino.
Musatti lavorò anche durante la guerra. Nel periodo dell'occupazione nazista,
fu tratto in salvo dall'avvocato Paolo Toffanin, fratello di Giuseppe Toffanin,
che lo aiutò a trasferirsi a Ivrea, ospite dell'amico Adriano Olivetti. Con il
suo sostegno fondò un centro di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l'incarico
di direttore della Scuola Allievi Meccanici, scuola aperta per formare operai
meccanici specializzati. Successivamente fu richiamato dall'Esercito per andare
sul fronte francese. Ottenne all'Università degli Studi di Milano la prima
cattedra di Psicologia costituita nel dopoguerra in Italia, presso la Facoltà
di Lettere e Filosofia. Vi insegnò per venti anni. A Milano ebbe il periodo più
florido della sua ricerca scientifica: gli studenti affollavano le sue lezioni.
Musatti fu il leader del movimento psicoanalitico italiano nei primi anni del
dopoguerra. A quel periodo risale il suo “Trattato di Psicoanalisi”, pubblicato
da Einaudi. Divenne direttore della “Rivista di psicoanalisi”. Presidente del
Centro Milanese di Psicoanalisi fondato da Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e
Pietro Veltri, che gli verrà intitolato dopo la sua morte. Nel 1976 è diventato
curatore della edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud, della Casa
Editrice Bollati Boringhieri di Torino. Vecchiaia La località a lui
dedicata Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui Il pronipote di
Giulio Cesare, che gli fece vincere il Premio Viareggio. Fu eletto per due
volte consigliere comunale di Milano nella lista del PSIUP e fu anche
consulente del Tribunale dei Minori del capoluogo lombardo. Sostenne sempre la
pace, il progresso dei lavoratori, l'emancipazione femminile ed i diritti
civili. Cesare Musatti era ateo, come ebbe a dichiarare in più
occasioni, l'ultima delle quali in uno dei martedì filosofici del Casinò di
Sanremo. Muore nella sua abitazione di via Sabbatini a Milano. L'indomani dopo
una cerimonia laica di commiato celebrata in forma strettamente privata, la sua
salma e cremata a Lambrate. Le sue
ceneri sono tumulate, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero comunale di
Brinzio, località in cui era solito trascorrere i periodi di vacanza. Il
suo archivio è conservato presso l'Aspi Archivio Storico della Psicologia
Italiana dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il comune di Dolo
ha ribattezzato la sua località natale Casello 12 località Cesare Musatti e gli
ha intitolato il locale istituto professionale. Musatti e il suicidio di
Benussi Anche dopo la rivelazione che si era trattato di un suicidio, non parla
mai volentieri della morte del maestro. Nel generale silenzio dello studioso di
Dolo emerge un'intervista. Nell'intervista Musatti confessa di sognare a volte
che in una caserma dei carabinieri in cui viene tradotto, il commissario lo
interroga sulla morte di tre sue mogli (si sposò quattro volte), decedute
tragicamente, e di Vittorio Benussi. A fine colloquio il militare lo intima di
confessare di aver ucciso il maestro per prendere la cattedra di psicologia.
«Io gli rispondoprosegue Musatti, da buon psicoanalistache sicuramente nel mio
subconscio mi sono sentito responsabile per questa e per altre morti. Il
commissario, che non capiva nulla di subconscio, decide: “Mi spiace professore,
ma devo arrestarla”. Io allora gli rispondo: ”Non è possibile commissario,
perché si tratta di delitti commessi più di cinquant'anni fa, e quindi sono
prescritti!”». ‘Cesare’ è un riferimento al pro-zio Musatti, medico
pediatra, uno che aveva visitato il piccolo, nato settimino. ‘Luigi’ e il nome
del bonno materno (L. Leanza, morto in carcere, partecipa alla rivolta anti-borbonica);
‘Eugenio’ e il nome di un altro pro-zio paterno, lo storico Eugenio Musatti;
cfr. Musatti IX-XIII. Forse la psicoanalisi è nata e morta con lui. Il nome
allude alla fermata della tranvia Padova-Malcontenta-Fusina che il nonno,
presidente della Società Veneta Lagunare, odierna ACTV, aveva fatto aprire per
raggiungere più agevolmente Venezia.
Musatti IX-XIII. Archivio
dell'Università degli Studi di Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di
Lettere e filosofia, Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di scienze
matematiche, fisiche e naturali, Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi,
a cura del Comitato Direttivo, redatto da L. Ambrosiano Capazzi Gammaro Moroni,
L.Reatto, L.Schwartz, M. Sforza, M.Stufflesser, Milano Per una storia del Centro Milanese di
Psicoanalisi Chiari, Seminario presso il Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare
Musatti, Milano Freud, Opere (Torino,
Boringhieri); S. Giacomoni, Cerimonia privata per Cesare Musatti, la
Repubblica, è consultabile sul
dell'Aspi, all'indirizzo web AspiArchivio storico della psicologia
italiana, Università degli studi di Milano-Bicocca. D. Mont D'Arpizio, Vittorio
Benussi, Padre della psicologia padovana, in La Difesa del popolo, Mille anni
di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della
Scienza di Firenze, Mia sorella gemella
la psicoanalisi, 1Pordenone, Edizioni Studio Tesi,Luciano Mecacci, Cesare L.
Musatti, voce dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il
contributo italiano alla storia del pensiero. Ottava appendice, Roma, Istituto
della Enciclopedia Italiana. Saggi: “Analisi del concetto di realtà empirica” (Solco,
Città di Castello); “Forma e assimilazione,” in: Archivio italiano di
psicologia, “Elementi di psicologia della testimonianza” (Rizzoli, Forma e
movimento” (Ferrari, Venezia, da: Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere
ed arti, Gl’elementi della psicologia della forma, Gruppo Universitario
Fascista, Padova, Trattato di psico-analisi (Boringhieri, Torino); Super io
individuale e Super io collettivo (Olschki, Firenze); Condizioni
dell'esperienza e fondazione della psicologia” (Universitaria, Firenze,
Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e incursioni nel mondo delle immagini
(Boringhieri, Torino); Svevo e la psicoanalisi (Olschki, Firenze); I rapporti
personali Freud-Jung attraverso il carteggio, Olschki, Firenze, Commemorazione
accademica, Olschki, Firenze Nino Valeri, Olschki Firenze, Il pronipote di
Giulio Cesare, Mondadori Milano A ciascuno la sua morte (Olschki, Firenze);
Hanno cancellato Livorno (Olschki, Firenze); Mia sorella gemella la psicoanalisi
(Riuniti, Roma). Una famiglia diversa ed un analista di campagna, Olschki,
Firenze, Questa notte ho fatto un sogno,
Riuniti, Roma, Chi ha paura del lupo cattivo?, Riuniti, Roma, Psicoanalisti e
pazienti a teatro, a teatro (Mondadori, Milano); Leggere Freud, Bollati
Boringhieri, Torino, Curar nevrotici con la propria auto-analisi, Mondadori,
Milano: Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza, Aurelio Molaro,
prefazione di Mauro Antonelli, Mimesis, Milano,Treccani Enciclopedie oIstituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. siusa.archivi.beniculturali, italiana di Cesare
Musatti, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com.
Cesare Musatti. Musatti. Keywords: erote, Gruppo Universitario fascista, il
collettivo di Jung, l’ego e il noi collettivo Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Musatti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Musonio – il Musonio di Gentile -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Bolsena)
Gaio Musonio Rufo esercita un forte influsso sui contemporanei. Di
famiglia equestre dell’etrusca Volsini (Bolsena) suscita per la sua fama di
filosofo l’invidia di Nerone. Segue Rubellio Plauto nell'Asia Minore
e lo incoraggia a togliersi la vita quando Nerone lo condanna a
morte. Ritorna a Roma, dove e bandito insieme con Cornuto in
occasione della congiura di Pisone e confinato nell’isola di Gyaros
nelle Cicladi, ove per la sua rinomanza attira uditori da ogni
parte.Verosimilmente richiamato a Roma da GALBA, negli ultimi giorni di
Vitellio si une ad una ambasceria del Senato presso Antonio Primo per perorare
la causa della pace fra i suoi soldati, ma senza successo.Quando Vespasiano
assunse il potere, C. Musonio Rufo accusa davanti al Senato P. Egnazio Celere,
quale delatore e falso testimonio nel processo di Borea Sorano. Vespasiano lo
escluse dalla prima espulsione dei filosofi da Roma (71), ma poi lo esiliò per
la seconda volta ; però Tito, che già lo aveva conosciuto, lo richiamò
dopo la sua assunzione al trono. In seguito mancano notizie su di lui, ma da
una lettera di Plinio il Giovane sembra che nel 101-102 non fosse più in vita.
Non risulta che abbia composto e pubblicato scritti, anzi sembra che si sia
servito soltanto dell’insegnamento orale, del quale, però, rimangono frammenti
abbastanza numerosi. Essi comprendono 19 brevi apoftegmi conservati da
Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; altri apoftegmi e trattazioni
filosofiche relativamente ampie raccolti da Epitteto nel suo insegnamento-È e
trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo ; esposizioni o lezioni
che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte più estesa dei frammenti.
È verosimile che provengano da uno scritto di quel Lucio che si è già ricordato
e che si deve ritenere la fonte più importante dello Stobeo. Un’altra è
Epitteto, cioè Arriano. Sembra che un Pollione (probabilmente Valerio Pollione
da Alessandria, vissuto sotto Adriano) compone Memorabili di Musonio, ma non ne
restano tracce. È giudicata falsa una lettera di Musonio a un certo Paneratide.
Le concordanze che si sono osservate tra i frammenti di Musonio e il Pedagogo
di Clemente di Alessandria hanno fatto pensare o alla dipendenza di questo da
uno scritto di Lucio o alla derivazione di ambedue da una fonte più antica.
Della forte azione di Musonio sui contemporanei sono prova i suoi numerosi
scolari, tra i quali si ricordano (oltre al genero Artemidoro, amico e maestro
di Plinio il Giovane), i filosofi Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e
il suo scolaro Timocerate di Eraclea, e insigni romani, come Rubellio Plauto,
Borea Sorano e Minicio Fundano. Musonio si avvicina ai cinici nell’assegnare
alla filosofia finalità radicalmente etico-pratiche, accetta spunti
dell’ascetismo dei crotonesi. Ma nel complesso dipende dal Portico con influssi
posidoniani. Nel sno insegnamento non trascura le esercitazioni logiche e i
frammenti toccano argomenti di fisica, ma ciò che vi è detto degli dei,
designati con le denominazioni della religione tradizionale, non supera la
sfera del pensiero comune e non ha carattere filosofico determinato. Invece
riporta al Portico l'affermazione della necessità universale, che equivale alla
teoria del fato. Però l'interesse di Musonio si concentra sulla funzione
pratica della filosofia, che è assolutamente necessaria in quanto (secondo la
tesi introdotta dai filosofi dai Cinargo) gli uomini sono malati che richiedono
una cura continua la quale dev'essere prestata dalla filosofia, che perciò è
necessaria a tutti, alle donne non meno che agli uomini. La filosofia però è
identificata alla ricerca e alla realizzazione della virtù, per conseguire la
quale non vi è necessità di molti discorsi, nè di molte teorie. Inoltre, in
essa l'esercizio ha maggiore importanza dell’insegnamento o del discorso. Siccome
la natura ha posto in ogni uomo i germi della virtù, se il discepolo non è
stato corrotto, una breve dimostrazione è sufficiente per fargli riconoscere i
principi etici giusti. Ciò che soprattutto importa è che maestro e
discepolo uniformino la loro condotta ai propri principi. Si comprende che
Musonio si interessasse in primo luogo della formazione etica degli
scolari. Nell’insieme, la morale di Musonio si conforma alle dottrine
tradizionali del Portico. Occorre distinguere ciò che è e ciò che non è in
nostro potere. Ora da noi dipende soltanto l’uso delle rappresentazioni, cioè
l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male, dalle quali è determinata la
giusta valutazione delle cose e quindi l'intenzione quale atteggiamento
interiore della volontà. In la volonta, se è retta, consiste la libertà, la
virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende da noi e perciò rispetto ad
esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci all’ordine necessario
dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca. Soltanto la virtù è bene,
soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è indifferente. Però, per
rafforzare la volontà, Musonio ritene necessario, oltre l'insegnamento e
l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè, essendo il corpo uno
strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare ambedue. In generale
raccoman, avvicinandosi ai filosofi del Cinargo, la vita semplice e conforme
alla natura e accoglie dai crotonesi, il divieto dei cibi carnei.
Oltrepassando le opinioni di molti antichi filosofi del portico, esige una vita
morale severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la limitazione delle
nascite e l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti di Musonio
rivelano un’anima nobile e retta, appassionata per il bene e guidata dal
desiderio di educare gli spiriti, ma a queste doti non corrisponde il valore
scientifico degli insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto mediocri e
privi di originalità. Inoltre non si può trovare nelle sue parole l’espressione
di una visione della vita vibrante di dolore e di amore simile a quella di
Seneca. Gaio Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo (Volsinii) è un filosofo
romano. Frammento di papiro (P.Harr. I 1, Col. 2, ll. 25–50), con
parte di una diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono
poche notizie certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena,
in Etruria, che fu cavaliere. Il ‘prae-nomen’ Gaio lo conosciamo solo
attraverso Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua
figlia (presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad
Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei
confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e
figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era
comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens,
e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di
un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”. E capo a Roma di un circolo o
gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza
tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio
Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e allontanato
da Roma in via precauzionale da Nerone, Musonio lo segue in Asia. Due anni dopo
giunge l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio ritorna a
Roma, ma, in concomitanza della congiura
di Pisone, e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di
Gyaros, inospitale e rocciosa nel Mar Egeo. Indicativi della sua
integrità morale e della sua coerenza sono altri due momenti della sua vita,
entrambi riportati da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato
dall’esilio, forse grazie a GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella
fase finale della guerra civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese
protagonista di un primo episodio significativo, rivelatore della sua generosa
attitudine a mettere in pratica i principi morali e gli ideali di pace che
insegna. In una Roma che era teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse,
il filosofo di Volsinii si impegna a svolgere un’improbabile opera di
pacificazione. “S’era mescolato agli ambasciatori Musonio Rufo, di ordine
equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti dello stoicismo, ed in mezzo
ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati con le sue disquisizioni sui
beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò fu per molti motivo di
scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava chi l’avrebbe spinto
via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più equilibrati e fra le
minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna esposizione di
saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo impegnato nella
riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era stato sottoposto
a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e a Trasea Peto.
Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo stesso
maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente stoica.
Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad intentare
cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso non esita
ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria dell’amico
condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora Musonio Rufo attacca
Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Barea Sorano con una falsa
testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli odii delle
delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano
e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando
contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta avanti con
tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso allora di ri-aprire
il processo tra Musonio Rufo e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani
di Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severità
dei magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era,
infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale.
Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto
aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a
Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel frangente.»
Più tardi Musonio riusce a guadagnarsi la stima di Vespasiano evitando la
cacciata dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo rientro a
Roma, voluto da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma,
assieme agli altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da Domiziano,
che fa uccidere Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di
Plinio minore si apprende che egli non era più in vita. Si proclama suo
discendente il poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo
volontario, sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo
Epitteto, non lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione
filosofica si ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di
nome Lucio, di cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo.
Essi sono intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per un problema”
“Su chi nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le donne dovrebbero
studiare filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa educazione dei
figli maschi” “Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul praticare la
filosofia” “Che si dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che anche un principe
deve studiare filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il filosofo perseguirà
qualcuno per lesioni personali?” “Quali mezzi di sostentamento sono appropriati
per un filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale” “Qual è il fine principale del
matrimonio” “Il matrimonio è un ostacolo per la ricerca della filosofia?” “Ogni
bambino che nasce dovrebbe essere allevato?” “Bisogna obbedire ai propri
genitori in tutte le circostanze?” “Qual è il miglior viatico per la vecchiaia?”
“Sul cibo” “Su vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio dei capelli”. Lo
stile delle diatribe è semplice. In genere viene posta una questione iniziale,
poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso costruito in modo
figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il paragone con il
medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa caratteristica
si adatta bene alla sua personalità e al suo tipo di insegnamento, tutto
rivolto alla schiettezza della vita. Ci restano, inoltre, frammenti
minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo (in
numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che
potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di
Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto è lungo abbastanza da
rappresentare la sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un aneddoto in Elio
Aristide ed Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione).
Restano, inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. Musonio
rappresenta, con Epitteto, il principe Marc’Aurelio Antonino e Seneca, uno dei
quattro esponenti più significativi del portico romano del principato. Egli, se
per certi versi corrisponde appieno alle istanze propugnate dalla temperie
spirituale del suo tempo, per altri si distingue e mette in luce, soprattutto
per il recupero radicale e profondo di una filosofia intesa come arte del
vivere bene e onestamente, cioè mezzo per conseguire uno scopo riscontrabile
nei fatti. Il ruolo della filosofia Egli crede che la filosofia (stoica)
fosse la cosa più utile, in quanto ci persuade che né la vita, né la ricchezza,
né il piacere sono un bene, e che né la morte, né la povertà, né il dolore sono
un male; quindi questi ultimi non sono da temere. La virtù è l'unico bene,
perché da sola ci impedisce di commettere errori nella vita. Del resto, sembra
che solo il filosofo si occupi di studio della virtù. La persona che afferma di
studiare filosofia deve praticarla più diligentemente di chi studia medicina o
qualche altra attività, perché la filosofia è più importante e più difficile da
comprendere di qualsiasi altra occupazione. Questo perché, a differenza di
altre abilità, le persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro
anima da vizi e abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che
impareranno in filosofia. Ma il filosofo non studia la virtù soltanto come
conoscenza teorica. Piuttosto, Musonio insiste sul fatto che la pratica è più
importante della teoria, poiché la pratica ci porta all’azione in modo più
efficace della teoria. Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti a
vivere senza errori e abbiano la capacità di essere virtuosi, non ci si può
aspettare che qualcuno che non abbia effettivamente imparato l'abilità di
vivere virtuosamente viva senza errori più di qualcuno che non è un medico
esperto, un musicista , studioso, timoniere o atleta ci si poteva aspettare che
praticassero quelle abilità senza errori. In una delle sue diatribe, si
racconta il consiglio che offrì a un re in visita, dicendogli che deve proteggere
e aiutare i suoi sudditi, quindi sapere cosa è buono o cattivo, utile o
dannoso, utile o inutile per le persone. Ma diagnosticare queste cose è proprio
il compito del filosofo. Poiché un re deve anche sapere cos'è la giustizia e
prendere decisioni giuste, il principe studia filosofia, anche per possedere
autocontrollo, frugalità, modestia, coraggio, saggezza, magnanimità, capacità
di prevalere nel parlare sugli altri, capacità di sopportare il dolore e deve
essere privo di errori. La filosofia, sosteneva Musonio, è l'unica disciplina
che fornisce tutte queste virtù. Per dimostrare la sua gratitudine il re gli
offrì tutto ciò che desiderava, al che il filosofo chiese solo che il re
aderisse ai principi stabiliti. Musonio sosteneva che, poiché l'essere
umano è fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma quest'ultima
richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo richiede l’abituarsi al
freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsità di cibo, a un letto duro,
all’astensione dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo metodo
rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni compito.
Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile sviluppando il coraggio
attraverso la sopportazione delle difficoltà e rendendola autocontrollata
astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto che l'esilio, la povertà,
le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un filosofo deve disprezzare
tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere picchiato, deriso o sputato
come né dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe mai litigato contro nessuno
per tali atti, secondo Musonio. L'opposizione di Musonio alla vita lussuosa si
estendeva alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini che vivono nel
lusso desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia legittime che
illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini
licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano
insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di
perseguire coloro che sono difficili da ottenere. Musonio condanna tutti questi
atti sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali
finalizzati alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia
l'adulterio come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un
oltraggio contro natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere
vergognoso è vile nella sua mancanza di autocontrollo. Musonio difende
l'agricoltura come un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo
all'apprendimento o all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti
esistenti di Musonio sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad
esempio, ha sottolineato che ciò che si mangia ha conseguenze significative.
Crede che padroneggiare il proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la
base dell'autocontrollo, una virtù vitale. Sostene che lo scopo del cibo è
nutrire e rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere.
Digerire il cibo non ci dà alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a
digerire il cibo supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo. È la
digestione che nutre il corpo, non il consumo. Pertanto, concluse, il cibo che
mangiamo serve al suo scopo quando lo digeriamo, non quando lo gustiamo. Musonio
sostenne la sua convinzione che le donne dovessero ricevere la stessa
educazione filosofica degli uomini con i seguenti argomenti. In primo luogo,
gli dei hanno dato alle donne lo stesso potere di ragione degli uomini. La
ragione valuta se un'azione è buona o cattiva, onorevole o vergognosa. In
secondo luogo, le donne hanno gli stessi sensi degli uomini: vista, udito,
olfatto e il resto. In terzo luogo, i sessi condividono le stesse parti del
corpo: testa, busto, braccia e gambe. Quarto, le donne hanno un uguale
desiderio per la virtù e una naturale affinità con essa. Le donne, non meno
degli uomini, sono per natura compiaciute delle azioni nobili e giuste e
censurano il loro contrario. Pertanto, concluse Musonio, è altrettanto
appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino come vivere
onorevolmente, quanto lo è per gli uomini. Suda μ 1305: «Figlio di
Capitone, etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e stoico,
vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti altri.
Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui ad
Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo
eccesso di libertà e ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che
portano il suo nome e anche le lettere. Epistole, III, 11. Di origine etrusca:
cfr. Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VII 16. Pittau, “Dizionario della lingua
etrusca (DETR), Dublino. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe, III 15, 14.
Storie, III 81. Storie, IV 10. Cassio Dione, LXVI, 13. Girolamo, Chronicon, a.
2095:Titus Musonium Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi,
XIII, 173c), inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e Musonio. A. Cameron,
Avienus or Avienius?, in "Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik".
L'attribuzione è data nell'estratto XV
Hense: sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico
riferimento in cui Musonio parla da esule a un esule rivela che anche Lucio
partecia al bando del suo maestro. Nella
diatriba VIII (60, 5) Lucio riporta una conversazione di Musonio con un re
siriano e dice, tra parentesi, che c'erano ancora re in Siria a quel tempo,
vassalli dei romani. -- nell'edizione Hence. Una delle due è una lunga lettera
scritta da Musonio a Pancratide sul tema dell'educazione dei suoi figli. Diatriba
VIII Hense. Cfr. anche il detto «Un re dovrebbe voler ispirare soggezione
piuttosto che paura nei suoi sudditi. La maestà è caratteristica del re che
incute timore reverenziale, la crudeltà di quello che ispira paura» (in Stobeo,
IV 7, 16). A differenza del suo allievo Epitteto, che mostrava disprezzo per il
corpo, Musonio sottolinea l'interdipendenza tra anima e corpo. Questa visione,
del tutto coerente con il panteismo stoico, non è estranea al pensiero
neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; Nussbaum, The Incomplete Feminism of
Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of Reason. Erotic
Experience and Sexual Ethics in Ancient and Rome, Nussbaum and J. Sihvola,
Chicago. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hence (Lipsia,
Teubner); Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, Yale classical studies. Dillon, Musonius Rufus and Education in the Good
Life: A Model of Teaching and Living Virtue. University Press of America.
Laurenti, Musonio, maestro di Epitteto, in Aufstieg und Niedergang der
römischen Welt. Berlino, de Gruyter, King, (Musonius Rufus: Lectures and
Sayings. Edited by William B. Irvine. Create Space. DOTTARELLI, Musonio
l'etrusco. La filosofia come scienza di vita” (Roma, Annulli). Musònio Rufo,
Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio, in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Gaio Musonio Rufo, su Encyclopedia of
Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su Open Library, Archive. V · D · M
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Filosofi romani Filosofi del II secoloRomani del II secoloStoici[altre] Grice e
Tito – La clemenza di Tito – “Titus Musonium Rufum philosophy revocat. Amico di
Musonio. Grice e Galba. Grice e Nerone – Grice e Vespasiano. Gaio Musonio Rufo,
figlio di Capitone e degli stoici di maggior grido in quell'età, e uno di
quelli che si guadagnarono un maggior numero di seguaci per l'efficacia del
loro insegnamento. Plinio Secondo infatti, lodando le virtú singolari del suo
amico Artemidoro, assicura che per esse ei merito che a C. Musonio ex omnibus
omnium ordinum adsectatoribus gener adsumeretur. E di Volsinio, in Etruria. Ma
non si può dire se fosse nato sotto Claudio o sotto Caligola. Benché sia più
probabile la seconda supposizione. Appartenne all'ordine equestre. L'incontriamo
la prima volta in Roma, quando ne è mandato in esilio da Nerone in quella serie
di condanne che segui alla sventata congiura di Pisone. A lui, come a Verginio
Flavo, celebre maestro di retorica, nocque, secondo Tacito, claritudo nominis nam
Verginius studia iuvenum eloquentia,
Musonius praeceptis sapientiae fovebat. Tre anni innanzi era nell'Asia Minore
presso Rubellio Plauto, insieme con un altro filosofo, Cerano,il quale non si
trova nominato in altro luogo. Sicché è probabile che egli non tornasse in Roma
se non dopo la morte di Rubellio, per seguire il quale aveva dovuto lasciar
Roma, quando a Rubellio per ordine di Nerone convenne ritirarsi in Asia. Se,
adunque, il nostro Musonio poté essere il filosofo di Rubellio Plauto, del
quale vedremo con che ardore proseguisse lo stoicismo, la frase di Tacito ci
dice che egli dove esercitare in Roma l'insegnamento pubblico. Le relazioni
avute con Rubellio, che al dire di Tacito, omnium ore celebratur, e quei due
anni consecutivi d'insegnamento pubblico, devono avergli fruttato la claritudo
nominis che fu madre del suo esilio Nerone nella scoperta della congiura
pisoniana trova tra i congiurati più d'uno della setta stoica, come Seneca, a
quanto pare, e Lucano. Ed era naturale che anche Musonio, l'antico maestro ed
amico del suo odiato Rubellio, lo stoico che suscita tanta ammirazione intorno
a sé e trasfondeva in tanti il suo entusiasmo, siccome apparisce da quel che ne
dicono Tacito e Plinio il giovane, facesse nascere nell'animo di Nerone
sospetti e timori e fors'anche invidia. Musonio, cacciato da Roma, e da Nerone
relegato nell'inospitale isola di Giaro, tra le Cicladi. E quivi dimora fino
alla morte di codesto imperatore. Ma neppur li si rimase dall'insegnare. Giacché
Filostrato, testimonio, in verità, non sicuro, ci fa sapere che in quell'isola
accorrevano a lui da ogni parte, e da uno dei frammenti conservatici da Stobeo
si scorge che in Giaro era alla scuola di Musonio il compilatore di quella
specie di 'Azurnusycuata, donde gli estratti musoniani di Stobeo sarebbero
tolti. A Giaro si rese benemerito dell'isola, dove non s'era mai vista
dell'acqua, ed ei seppe trovare una fonte. Per vedere la quale Filostrato
afferma che al suo tempo si visita ancora quell'erma isola. Quanto tempo vi
rimane si può precisare da un luogo del suo discepolo Epiteto; dove si ricorda
un detto di lui relativo alla morte di Galba, dal quale risulta che Musonio e già
a Roma sotto questo imperatore. Sicché molto probabilmente vi sarà tornato alla
morte di Nerone. Non altrimenti dello stoico Elvidio Prisco, cacciato anche lui
da Nerone e tornato a Roma all'avvento di Galba
all'impero. A Roma, Musonio si trovava durante il breve impero di Vinelio poicho 1 Potia Coria, sli api
basiatori to riti Tao qua dio qui (o in pa la da i, partando gravi Guasti l'ambasceria
è rimasta famosa; giacché le parole, onde ce la descrive Tacito, colpiscono una
delle debolezze più ridicole che si possano rimproverare ai filosofi: quella di
far della filosofia fuori di luogo. Grave il danno prodotto dai Flaviani fuori
della città. Il popolo, levatosi in armi, vuole uscire in massa contro gl’assalitori.
Tra poco scope terribile la guerra civile. Si convoca il Senato. E questo
sceglie dei legati, che si rechino ai duci di quell'esercito, per persuaderli
pel bene della repubblica alla concordia e alla pace. Tra i primi inviati c'è
uno de' più fervidi e sventurati stoici di quest'età, Aruleno Rustico, allora
pretore. Ma egli e i compagni, venuti da Ceriale, furono accolti assai male. Egli
anzi ferito. Il che eccita più che mai gli animi del popolo: auxit, dice Tacito
invidiam super violatum legati prae-torisque nomen propria dignatio viri. E
quest'offesa recata a un uomo di tanta riputazione della sua setta. non dovette
essere l'ultimo dei motivi che spinsero quindi Musonio a mischiarsi con gl’altri
legati, che andarono da Antonio. Ma già non deve parere strano, che un uomo
cosi illustre, cosi rispettato al tempo suo, e che sapeva di essere ammirato e
di poter contare sull'efficacia della sua nobile parola, s'inducesse a
confidare in questa per calmare gl’animi dei soldati, dimentichi perfino del
più sacro diritto delle genti. Sarebbe stata forse la prima volta che Musonio
parla a una moltitudine. Anche le Vestali si fecero apportatrici d'una lettera
di Vitellio ad Antonio. Pure non si può non sorridere leggendo in Tacito che
Musonio coeptabat permixtus manipulis, bona pacis ac belli discrimina
disserens, armatos monere. Id plerisque ludibrio, pluribus taedio: nec deerant
qui propellerent propulsarent-que, ni admonitu modestissimi cuiusque et aliis
minitantibus omisisset intempestivam sapientiam. Ci si sente Tacito ammiratore
del vecchio Agricola, anche in quelle considerazioni che l'aveva sentito più
volte a fare circa il suo amore per la filosofia - ultra quam con-cessum Romano
ac senatori; anche nell'avere conservato soltanto ex sapientia modum: e pare
che goda a metterci innanzi lo spettacolo comico e pietoso della fatuità d'un
filosofo fanatico. Ma sotto i colori aggiunti da Tacito si scorge chiaramente
un quadro, che è eloquente testimonianza dell'atteggiamento morale e sociale di
questo stoi-cismo: nei seguaci del quale vedi l'anima piena di fede, ardente
degli apostoli. In Musonio non c'è l'uomo speculativo inesperto della vita, ma
un'anima infiammata da profonde idealità, non comprese dai molti. Un'anima
compagna a quella dei martiri coetanei della religione novella. Sotto la
pretura d'un altro illustre stoico, Elvidio Prisco, dopo il trionfo di
Vespasiano, Musonio si riaffaccia nella storia di Roma. E questa volta con un
atto, che gl’attira l'ossequio di tutti gl’onesti. Era costume del tempo, come
sotto l'imperatori violenti, di darsi al mestiere di accusatore, cosi sotto
l'imperatori miti di dare addosso agli accusatori che più avevano
spadroneggiato. Chi non ricorda il commovente processo di Barea Sorano, che
occupa gli ultimi capitoli degli Annali di Tacito? In quell'imperversare contro
tutti i virtuosi che Nerone vedesse in Roma, mentre Marcello Eprio assale
Trasea Peto, Ostorio Sabino citava Barea Sorano a scolparsi dell'amicizia, che
nel suo proconsolato in Asia aveva mantenuta con Rubellio Plauto e delle
speranze sovversive sparse in quella provincial. E ne trascinava in Senato
anche la giovane figliuola Servilia, che, mossa dall'angustia del suo cuore
filiale, s'era indotta a consultare gli astrologi sulla sorte del padre
(delitto anche questo agli occhi di Cesare, che ci vedeva sotto trame e
propositi ribelli di novità). Invano il padre proclamava l'assoluta innocenza
della sua Servilia: e accorreva verso di lei per abbracciarla, ma i littori
frappostisi glielo impedivano.Venuta la volta de' testimoni, fra essi si fece a
deporre contro il padre, suo discepolo, e la figlia, che a lui s'era rivolta
per il responso desiderato sulla sorte del padre, quel malvagio stoicastro di
Publio Egnazio Celere, vecchio antenato di Tartufo, e che già conosciamo. Quantum
mise-ricordiae, dice Tacito, saevitia accusationis permoverat, tantum irae P.
Egnatius testis concivit. Ma Sorano e Servilia dovettero morire; e Tartufo ebbe
il solito compenso dei delatori: denari ed onori — benché Tacito un po'
ingenuamente conchiuda che « dedit exemplum praecavendi quo modo fraudibus
involutos aut flagitiis commaculatos, sie specie bonarum artium falsos et
amicitiae fallaces ». Dopo d'allora i professori di filosofia avrebbero dovuto
diventar tutti fior di galantuomini; il che veramente non pare.Ma tra gli
Egnazii per fortuna c'è sempre un Musonio. E Musonio, anni dopo il turpe fatto,
ri-staurato con la vittoria di Vespasiano il regno della giustizia, sorse a
vendicare la morte del compagno Sorano. Simile al suo sciagurato Rubellio oltre
che nella misera fine, nel desiderio di avere presso di sè un filosofo, che gli
facesse da mentore, quasi dottrina vivente. Musonio adunque assali Publio Egnazio
Celere, accusandolo di falso testimonio contro Sorano. Mentre Elvidio Prisco si
apprestava a fare altrettanto contro Eprio Marcello, accusatore di Trasea. Nota
Tacito, che con l'accusa di Musonio pareva si rinfocolassero I vecchi odii
delle delazioni. Ma che nessuno tuttavia poteva far nulla che giovasse a
salvare un accusato cosi vile e cosi apertamente reo: quippe Sorani sancta memoria; Celer professus
sapientiam, dein testis in Baream, proditor corruptorque amicitiae, cuius se
magistrum ferebat. Quel giorno però in cui fu presentata l'accusa, si stabili
che se ne trattasse il di seguente: e l'aspettativa era grande. Ma, entrato poi
Muciano in Roma e tradottosi ogni potere in mano sua, si disviò e rinviò anche
il processo di Egnazio, e non fu ripreso che al principio dell'anno seguente un
giorno che presiedeva il senato il figlio dell'imperatore, Domiziano.Egnazio fu
condannato all'esilio, e Sorano vendicato. Sorani manibus satisfactum, dice
Tacito, con onore di Musonio, il quale parve a tutti che fosse venuto a capo di
un'opera di giustizia. Vi fu chi ambitiosius quam honestius tentò la difesa
della spia: ipsi Publio neque animus in periculis neque oratio subpeditavit. Questa
condanna fu un trionfo dello stoicismo, e poté sembrare per un momento che
un'aura più propizia incominciasse per i suoi seguaci, grazie al governo mite
di Vespasiano. Ma poco dopo, sappiamo da Dione che essi furono da questo
imperatore per consiglio di Muciano cacciati tutti da Roma. Tutti, ad eccezione
di Musonio, risparmiato forse per l'amicizia personale che lo stringeva,
secondo Temistio, a Tito. Si vede le ragioni di questo bando generale dei
filosofi a cui Muciano, secondo Dione, avrebbe indotto Vespasiano (che pur
tanto favori la cultura) sitofino alla morte, che non si può dire quando sia
avvenuta. Ma pare che fosse morto da un pezzo quando Plinio il giovane scrive
al padre raccomandandogli l'amico suo e genero di Musonio, Artemidoro, e
ricorda l'affetto misto di ammirazione che egli quantum licitum est per actatem,
aveva portato al filosofo etrusco. PLINIO, Epist., III, 11, 5, 7. Lo ZELLER (o,
c., III, 13, p. 729, n. 3) dice soltanto verosimile che il Gaio Musonio di q.
1. sia il noto filosofo stoico. Ma il contesto della lettera a me non pare che
lasci alcun dubbio. Sur A, s.v.(3) TAcioo lo dice “Tusci generis”; Ab excessu,
XIV, 59; e TUpprvóv FILOSTRATO,Vita Apoll., VII, 16. Ma SuIDA precisa anche la
città, confermata da un'iscrizione relativa al poeta Rufio Festo Avieno
discendente di Musonio e anch'esso Volsiniense: Corpus inscript. latin., VI,
587. Cfr, anche Epigramm. Anth. lat., I, 79, (I, 57 Burm.). Infatti la frase di
PLiNIo, Epist. III, 11, 5: • et C. Musonium, socerum eius (sc. Artemidori),
quantum licitum est per aetatem, cum admiratione di-lexi deve far pensare che
Musonio fosse innanzi negl’anni quando Plinio era ancora giovane; che perciò
intorno all'80 avesse una cinquantina d'anni. Zeller pone l'anno di nascita di
lui tra il 20 e il 80 d. C.TAc., Hist., III, 81. (1) Ab excessu, XV, 71. Cfr.
DIoNE-SIFILINO, LXII, 27. SUIDA (s. v.) dice: 8iàNépwvos dvoupsitar (cioè è
ucciso: ma questo è certo un errore). Da un frammento d'una lettera di GIULIANO
l'Apostata, riferito da Suida, si ricaverebbe che quando Nerone bandi Musonio,
questi occupa una pubblica carica aTe-jé?eto Bapüv = murorum curator erat; ed.
Bernardy). Ma non è chiaro se il frammento di Giuliano si riferisca al nostro
Musonio, o al Musonio vissuto sotto Gioviano, a cui si riferisce l'art.
seguente di Suida.(2) Тас., Аб ехсеззи, XIV, 59. Ma forse è una stessa persona
con lo scrittore di questo nome ricordato da PliNio tra le fonti della Nat.
Hist., I, 2. A torto l'HALM (nell'Index historicus, s. v. Coeranus nella sua
ediz. di Tacito) sospetta che sia da sostituire Cornutus nel detto luogo Ab
exc., XIV, 59, 6; perchè la lezione è sicura; e d'altra parte Cornuto in quel
tempo era in Roma. Su Cornuto, maestro di Persio e Lucano, v. per ora MARTINI,
De L. Ann. Cornuto, Lugd., Bat., 1825;ZELLER, o. c., III, I%, 689;
TEUFFEL-SCHWARE, Roem, Litter.-Gesch., § 293, 2; e PAULY-WIssOwA,
Real-Encyclopidie s. v. Il Lipsio al cit. loc. di Tacito sospetta che il
Coeranus dovesse con lieve mutazione di lezione identificarsi con quel
Claranus, condiscepolo di Seneca, di cui questi parla nell'epist. 66. Ed invero
la probabile data di questa lettera (primavera o estate del 64, secondo
Hu-GENFELD, o. c., p. 675) e il dirsi in essa che Seneca aveva riveduto cotesto
Clarano post multos annos combinano con l'anno 63, nel quale ei si sarebbe
trovato con Rubellio in Asia. Ma nè anche di Clarano s'avrebbe altra
notizia.(4) Ab exc., XIV, 22.0. c., 1. 0. A questo tempo si può riferire la
notizia di EPITETo (Diss., I, 1, 26 e sg.) di un rimprovero dato a Trasea Peto,
che avrebbe detto voler egli morire la vigilia di quel giorno, in cui gli
sarebbe toccato di lasciar Roma.TU ODU aUTÕ POSSOS SiTEV; El uéy d5 PapÚTEpOr
¿xTErA, TIS i Mapia tÃsextorisi si d'ós xoupótepor, tis ool déduxev; aù d618i6
pelerãy apxsiolesTỘ Siouévo. Quando Musonio tornò, Trasea e morto. Quanta
incertezza ci sia intorno all'autore dei frammenti musoniani di Stobeo,
comunemente attribuiti a quel CLAUDIo PoLLIoNE, che secondo SUIDA (Moudúvos)
avrebbe scritto appunto degli anourquoveú para Mouraviou vedidi thy puyny pains
au Epaxévos pE X.T.?, STon., II, p. 74. Cir. WENDLAND,JULIANI epist. in Rhein.
Mus., XIII, 24, Froste., Vita Apoll., VII, 16.Tutti gli altri luoghi di Filostrato
in cui si nomina un Musonio, si riferiscono a un altro Musonio, di Babilonia,
cinico (2) EPITETO (Diss., III,
15, 14) dice: POÚpO TIS ElEYE, l'álßa aparèvros,8t Noy Movoi o MóJHOE dOEia;
"O 8à, Mi yap dyú ool tot', egn, añò l'arßaнатвохейава, оть проова б
хосноє діохвіто. Il concetto di Calba accennato in questo passo Musonio non
avrebbe potuto averlo se non a Roma, dopo essere steto da lui richiamato ed
averne sperimentato il governo assai mite inconfronto del precedente. ZELLER,
o. c., vol. cit., p. 730 n., cita anche (come il MoNasEN, Ind. plin., s. v.)
Tac., Hist., III, 81. Ma questo luogo non proverebbe. È un evidente errore
quello di Girolamo, all'anno Abr. 2095 = 79 d. C.: • Titus Musonium Rufum
philisophum de exilio revocat/ Giacché nella cacciata Musonio fu eccettuato, e
rimase sempre in Roma sotto Vespasiano.Il CHRIST, Gesch. d. griech. Litter.,
Nördlingen, 1899, p. 512, dice che Musonio torna in Roma sotto Trajano! -Molto
probabilmente allora era morto. TAc., Hist., IV,Hist., III, 80,TAc., Hist.,
III, 81: • Miscuerat se legatis... ». Egli non era dunquepropriamente un
legato.prodie tot, il vole di grinto rogu latativo. Bai minciava
sompre Era stato consul suffectus sotto Claudio nel 52; e apparteneva
forse alla famiglia Servilia (Ephem. epigr., II, 45). Sua figlia infatti si
chiamava Servilia. Crimini dabatur amicitia Plauti et ambitio conciliandae
provinciaead spes novas •. Tac.,46 exc., XV, 23. Vedi poi i capp. 30-38.Vedi
sopra, pp. 82-3."O 8è On MOÚTAOS Eri uE to duxopaurig nal xpipara Nai tudE
EraßEpostquam pecunia reclusa sunt • di Tac., 1. c.(8) Barea Sorano dovette
volgersi allo stoicismo dopo il 52, perchè in quest'anno lo vediamo (TAc., Ab
exc., XII, 58) autore di quel senatoconsulto (Pul-NIo, Ep., VIII, 6; cfr. VII,
29, e SvEr., Claud., 28) in cui si decretavano le insegne pretorie e 150
milioni di sesterzi a Pallante. Chi consideri il modo onde Plinio parla di quel
S. C., uno stoico non avrebbe commesso un tale atto; mentre poi TAcITo, Ab
excessu, XVI, 21, dice che Cicerone volle distruggere la virtù stessa, virtutem
ipsam excindere concupivit, con l'uccidere Trasea e Sorano.(4). Tum invectus
est Musonius Rufus in P. Celerem, a quo Baream Soranum falso testimonio
circumventum arguebat. Tac., Hist., IV, 10.(1) Il nome d'Egnazio, come s'è
visto più su, rimase tristamente celebre come sinonimo di delatore e traditore
vilissimo. Lo dimostrano le frequentiallusioni di Giovenale.(2) Justum officium
[Nipperdey) explesse Musonius videbatur • Tac., Hist., IV, 40. Per la condanna
della spia cfr. DIONE-SIrIL., LXII, 26, e lo ScHoL. di Giovenale ad Sal., I,
33. - TAcrro, l. c., continua: • Diversa [da quella di Musonio] fama de
Demetrio Cynicam sectam professo, quod manifestum reum ambitiosius quum
honestius defendisset •. Ma è da sospettare che Tacito abbia confuso il
Demetrio cinico, onorato da tutti gli stoici migliori del tempo (cfr. Ab exc.,
XVI, 34), col Demetrio causidico, delatore di Nerone, ricordatodallo ScuoLIAsTE
di Giovenale, ad Sat., I, 38.(8) Tac., 1. c.(4) DIoNE-SIFIL., LXVI, 18.(5)
Orat. XIII, 178.SvEr., Vesp., 18: • ingenia et artes vel maxime fovit ..Epist.,
III, 11. Le lettere del lib. III di Plinio devono essere state scritte tra il
101 o il 102, secondo il MouMsEN, Zur Gesch. d. junger. Plinius, nell' Her.
mes, III, 1869, p. 40 (v. lo stesso studio con aggiunte nella Biblioth, de
l'école des hautes étude, trad. par Cu. MoreL, Paris, Franck, 1873, p. 11 e
sgg.).(8) Sulla vita di Musonio non v'è che la vecchia Dissertatio de M. R.
(1783)di PIeTRo NIEUWLAND, ristampata innanzi a C. M. R. Reliquiae et
apophthegmata, cum ann. ed. F. VENHUIZEN PEERLKAMP, Harlemi, 1822, e uno
scritterello del REINACH, Sur un témoignage de Suidas relatif à Mus. R., in
Comples rendus de l'Acad. des inscriptions et belles lettres, 1886.
Grice e Mustè – la filosofia dell’idealismo
italiano – il dialogo di Socrate e il dialogo di Gentile -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma).
Flosofo italiano. Laurea in filosofia con la tesi, “Marx,” borsista
dell'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, dove ha svolto attività
didattica e di ricerca, collaborando con Gennaro Sasso. Redattore della “nuova
serie” della “Rivista trimestrale”. Consegue il titolo di dottore di ricerca
alla Sapienza. Lavora alla "Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici"
dell'Università "La Sapienza" in qualità di “Segretario e Curatore
dell'archivio e della biblioteca di Gentile”. È stato professore a contratto di
Storia della filosofia. Insegna a Roma. È membro del Consiglio
scientifico della Fondazione Gramsci e della Commissione scientifica per la
Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Ha collaborato con
l'Enciclopedia Italiana, in particolare ai volumi: Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia (ottava appendice), Enciclopedia machiavelliana
e Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa. Ha diretto la rivista
"Novecento". Fa parte del Comitato scientifico di alcune riviste, tra
cui: "Giornale critico della filosofia italiana", "Annali della
Fondazione Gramsci", “La Cultura”, “Filosofia italiana”. Scrive su diverse
riviste scientifiche, tra le quali, con maggiore continuità: "Giornale
critico della filosofia italiana", "La Cultura", "Studi
storici", "Filosofia italiana". Nel è stato nominato dal Ministero dei beni
culturali Segretario del "Comitato nazionale per il bicentenario della
nascita di Bertrando Spaventa". Dal
al ha insegnato Ermeneutica
filosofica, in qualità di Visiting Professor, alla Pontificia Università
Antonianum. Ricerche Le sue ricerche si sono rivolte alla storia della
filosofia italiana, con contributi dedicati all'idealismo e al marxismo. Per
quanto riguarda l'idealismo italiano, ha indagato i momenti e le figure
fondamentali (sino al profilo complessivo pubblicato nel 2008) e le premesse
nella filosofia dell'Ottocento, specie in relazione al pensiero di Vincenzo
Gioberti (soprattutto con il libro del 2000 su La scienza ideale). Di
particolare interesse gli studi su Bertrando Spaventa e le monografie su Adolfo
Omodeo e Benedetto Croce. Ha dedicato saggi e ricerche al pensiero di Antonio
Gramsci e ad altri momenti del pensiero marxista italiano: del è la monografia su Marxismo e filosofia della
praxis, che ricostruisce la storia del marxismo italiano da Labriola a Gramsci.
Sono noti i suoi studi sul pensiero politico nell'Italia contemporanea, con
particolare riguardo alle figure di Franco Rodano, Felice Balbo, Augusto Del
Noce. Ha approfondito lo studio dell'opera di Marx e in generale la
storia della filosofia tedesca tra Hegel e Nietzsche. Particolare
attenzione ha poi rivolto (con il libro
su La storia e con altri scritti, tra cui quelli sull'evento e sulla
teoria delle fonti) alle questioni specifiche della teoria della
storiografia. Metodi Conduce l’indagine teoretica in stretta relazione
con gli studi di storia della filosofia e di storia della storiografia, in
generale nell’ambito della storia delle idee, adottando un metodo
storico-critico che spesso privilegia l’uso di fonti archivistiche e di
documentazione inedita. Il suo metodo cerca di coniugare l'analisi strutturale
delle opere filosofiche con la ricerca filologica sulle fonti e sulla
tradizione dei testi, con particolare riguardo ai processi di lungo periodo
della filosofia italiana moderna e contemporanea. Saggi:“Storiografia”
(Mulino, Bologna); “Croce, Morano, Napoli
Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino,
Bologna); “Carteggio Croce-Antoni, Mulino, Bologna Politica e storia in Bloch,
Aracne, Roma La scienza ideale. Filosofia e politica” (Rubbettino, Soveria
Mannelli, Franco Rodano. Laicità, democrazia, società del superfluo, Studium,
Roma Grice: “’superfluo’ is possibly one of the most unsuperfluous words in the
Italian philosophical dictionary – cf. “I was in New York, which was black
out.” -- Gioberti, Il governo federativo” (Gangemi Roma) – nazione e stato
federale – federazione, governo federativo -- Franco Rodano, Cristianesimo e società
opulenta, Edizioni di storia e letteratura, Roma, Il giudizio sul nazismo. Le
interpretazioni -- La storia: teoria e metodi, Carocci, Roma, La filosofia
dell'idealismo italiano, -- Grice: “filosofia” is superfluous here, seeing that
idealism already ENTAILS philosophy!” -- Carocci, Roma, Croce, Carocci, Roma
Tra filosofia e storiografia. Hegel, Croce e altri studi” (Aracne, Roma); “La
prassi e il valore -- la filosofia dell'essere” Aracne, Roma “Filosofia della
praxis” Viella, Roma); “In cammino con Gramsci, Viella, Roma. L'ermeneutica, in
«Rivista trimestrale», Il problema del mondo nel «Tractatus» di Wittgenstein,
in «Rivista trimestrale», Le fonti del giudizio marxiano sulla rivoluzione
francese in «Annali dell'Istituto
Italiano per gli Studi Storici», L'orizzonte liberale di Dahrendorf, in
«Critica marxista», Sturzo e il popolarismo – POPOLARISMO -- nel giudizio, in
Sturzo e la democrazia europea, Laterza, Roma-Bari, Croce e il problema del
diritto, in «Novecento», Metodo storico e senso della libertà” “La storiografia
crociana, in «La Cultura», Omodeo. Il pensiero politico, in «Annali
dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», Libertà e storicismo assoluto:
per un'interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile fra
tradizione nazionale e filosofia europea, Riuniti, Roma, “La società civile
democratica, in «Novecento», Sul giudizio
politico, in «Novecento», Il marxismo politico nell'interpretazione di Noce, in
«Poietica», Gioberti e Cartesio, in Bibliopolis, Napoli, Comunismo e
democrazia, in La democrazia nel pensiero politico del Novecento” (Aracne, Roma);
Guido Calogero, in «Belfagor», Gioberti e Leopardi, in «La Cultura», Verità e
storia, in «Storiografia», “La morale”, Rosmini e Gioberti. G. Beschin e L.
Cristellon, Morcelliana, Brescia, Il destino dell'evento nella nuova storia”
francese, in «La Cultura», Carattere e svolgimento delle prime teorie estetiche
di Croce, «La Cultura», Liberalismo
etico e liberismo economico, in Croce filosofo liberale, -- cf. Grice, “Do not
multiply liberalisms beyond necessity: ‘liberalismo semiotico’” – Grice: “Muste
is very witty in distinguishing between liberalism and liberrism!” -- M. Reale,
LUISS University Press, Roma, La teoria della storia in Croce, in «Giornale
critico della filosofia italiana», L'idea di “Risorgimento” in Gioberti, in
«Quaderni della Fondazione Centro Studi Noce», Il significato delle fonti
storiche, in «La Cultura», La storia:
teoria e metodi, in «History and Theory», Il passaggio all'anti-fascismo di
Croce, in Anni di svolta. Crisi e trasformazione nel pensiero politico della
prima età contemporanea, F.M. Di Sciullo, Rubbettino, Soveria Mannelli,
Alterità e principio del dialogo in Calogero, in L'idea e la differenza. –
principio dialogo – il noi -- Noi e gl’altri, ipotesi di inclusione nel
dibattito contemporaneo, M.P. Paternò, Rubbettino, Soveria Mannelli Il principio
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di Croce, in Filosofia e politica. G. Cesarale, M. Mustè, S. Petrucciani,
Mimesis, Milano, Il senso della dialettica nella filosofia di Spaventa, in
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metodo, verità, in «La Cultura»,, Gentile e Marx, «Giornale critico della
filosofia italiana», Togliatti e De Luca, «Studi storici», Gentile e Socrate,
(Grice: cf. caricature of Gentile as Aristotele in ‘La scuola d’Atene”) -- in
La bandiera di Socrate. Momenti di storiografia filosofica italiana nel
Novecento, E. Spinelli e F. Trabattoni, Sapienza Università, Roma, Gentile e
Gioberti, «La Cultura», Gramsci, Croce e il canto decimo dell’Inferno di Alighieri,
«Giornale critico della filosofia italiana»,, Spaventa e Gioberti, «Studi
storici»,, La presenza di Gramsci nella storiografia filosofica e nella storia
della cultura, «Filosofia italiana», Dialettica e società civile. Gramsci
“interprete” di Hegel, «Pólemos. Materiali di filosofia e critica sociale»,
Marx e i marxismi italiani, «Giornale critico della filosofia italiana», La “via alla storia” di Ginzburg, in Streghe,
sciamani, visionari. In margine a “Storia notturna” di Ginzburg, Cora Presezzi,
Viella, Roma, Filosofia e storia della filosofia nella riflessione di Sasso,
«Filosofia italiana», Opere Sapienza Roma. Dipartimento di studi filosofici ed
epistemologici, su lettere uniroma1. Intervista sulla storia della
"Rivista trimestrale" Intervista di Mustè su Croce del
//diacritica/letture-critiche/lo-storicismo-di-croce-e-la-morte-della-metafisica-intervista-a-marcello-muste
html. Socrate e Gentile. Se consideriamo i libri custoditi presso la biblioteca
personale di Gentile, troviamo, a proposito di Socrate, soprattutto opere di
autori italiani, con alcuni dei quali da tempo era in corrispondenza: oltre le
vecchie versioni di Eugenio Ferrai (Padova 1873-1883), vi figurano le edizioni
dell’Apologia curate da Acri (riproposta da Augusto Guzzo nel 1925) e da Manara
Valgimigli (Bari 1929); le opere di Giovanni Maria Bertini (fra cui l’edizione
di Senofonte), che, come si dirà, avevano occupato la critica di Bertrando
Spaventa; quindi i libri che via via, nella prima metà del secolo, erano
apparsi in Italia: quelli di Giuseppe Zuccante, che Felice Tocco aveva
presentato nel 1909 alla Reale Accademia dei Lincei, poi quelli di Aurelio
Covotti, Pietro Mi- gnosi, Antonio Labriola, Antonio Banfi, Adolfo Levi,
Vittorio Beonio- Brocchieri1. Ma a proposito di Socrate, Gentile utilizzò anche
altri mo- menti della storiografia filosofica italiana, appoggiandosi, per
esem- pio, ad alcuni testi dello storico del cristianesimo Alessandro Chiap-
pelli e del romanista Carlo Pascal. Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini
nazionali, i riferimenti principali rimangono quelli di Eduard Zeller (a cui si
era prevalente- mente richiamato Spaventa), ma anche di Theodor Gomperz e di
Paul Tannery. Di Zeller, Gentile possedeva i primi due volumi
dell’edizione Mi piace ricordare che la ricerca su libri, opuscoli e
periodici posseduti da Gentile 1 può ora essere svolta online sul sito della
Biblioteca di Filosofia della Sapienza di Roma, grazie al lavoro di
digitalizzazione del catalogo compiuto sotto la direzione del dott. Gaetano
Colli: cfr. Colli 2014, 5-30. Anche il catalogo dei corrispondenti
dell’archivio di Gentile (custodito presso la “Fondazione Giovanni Gentile per
gli Studi Filosofici” a Villa Mirafiori) è consultabile nel progetto “Archivi
on-line” del Senato della Repubblica. italiana della Filosofia dei Greci
curata da Rodolfo Mondolfo (apparsi nel 1932 e nel 1938); e di Tannery
conservava la seconda edizione, del 1930, di Pour l’histoire de la science
hellène, che la moglie Erminia aveva donato, con dedica, al figlio Giovannino.
A Zeller, come si sa, dedicò un ampio necrologio nel 1908, nel quale elogiò la
sua opera di storico criticandone tuttavia i princìpi neokantiani2; e
avvicinandovi, ap- punto, i nomi di Tannery e quello, «così geniale», di
Gomperz3. Pro- prio a Gomperz, d’altra parte, aveva fatto un più che positivo
riferi- mento nella prolusione palermitana del 1907 su Il concetto della storia
della filosofia, dove parlò di un «concetto equivalente al mio, che nella
storia della filosofia si riassuma tutta la storia dell’umanità»4; e, nella
lunga recensione che nel 1909 dedicò al Socrate di Giuseppe Zuccante, ne parlò
come di «uomo di gusto», sia pure privo del «bernoccolo del filosofo»,
assumendone soprattutto la critica della testimonianza di Senofonte5. Gentile
si trovò di fronte, fin dalla giovinezza, due modelli inter- pretativi, tra
loro, per altro, connessi. In primo luogo le pagine che Ber- trando Spaventa
aveva dedicate a Socrate, dapprima, nel 1856, discu- tendo sulla “Rivista
contemporanea” la memoria torinese di Giovanni Maria Bertini Considerazioni
sulla dottrina di Socrate6, poi nel grande corso del 1862 sulla filosofia
italiana, dove aveva aggiunto, come ap- pendice, lo Schizzo di una storia della
logica, nel quale riprendeva il tema socratico7. Il secondo riferimento è
Antonio Labriola, la cui memoria su La dottrina di Socrate era stata
ripubblicata da Benedetto Croce nel 1909 per l’editore Laterza. Per quanto, in
maniera caratteristica, nel discorso preliminare del 1900 all’edizione degli
Scritti filosofici di Spaventa, si limitò a un breve cenno alla discussione con
Bertini8, e anche nella Prefazione del 1905 al Gentile 1975a, 159-65. Ibid.,
165. Ibid., 122. Gentile 1909, 276. Bertini 1857, 1-35. Ma la memoria, a cui
Spaventa si riferisce, era stata presentata nella seduta del 21 dic. 1854. Poi
in Bertini 1903, 1-37. Da una lettera a Silvio Spaventa, si apprende che
l’articolo di Bertrando era solo il primo di una serie di scritti socratici,
che poi non realizzò: cfr. Spaventa La filosofia italiana nelle sue relazioni
con la filosofia europea, in Spaventa Gentile Gentile e Socrate 41 volume Da
Socrate a Hegel mancò di entrare nel merito della questione9, è da ritenere,
per le ragioni che si vedranno, che l’influenza spaven- tiana pesasse in
maniera determinante nella sua prima lettura di So- crate. Nell’articolo del
1856, Spaventa aveva confutato l’interpreta- zione di Bertini, cercando di
definire i rapporti, da un lato, tra Socrate e la filosofia antica, e, d’altro
lato, tra Socrate e la filosofia moderna. Per tale confutazione, si era
appoggiato al capitolo hegeliano delle Le- zioni sulla storia della filosofia e
all’opera di Zeller, ma anche, per deter- minare i caratteri generali del
pensiero greco, alla traduzione francese di Claude Joseph Tissot della Storia
della filosofia di Heinrich Ritter10. Tuttavia, la lettura di Socrate risultò
ben diversa da quanto quei libri potevano suggerirgli. Possiamo dire, in breve,
che se per Hegel è Par- menide il vero iniziatore della filosofia, perché ha
sollevato il pen- siero alla massima astrazione dell’essere11, per Spaventa la
filosofia inizia propriamente con Socrate, che ha scoperto la dimensione del
“concetto”, superando il naturalismo immediato della precedente vita greca. La
critica a Bertini si appuntava su questo aspetto. Per Bertini, di fronte
all’attacco dei sofisti, Socrate aveva restaurato l’ethos greco, sal- vandolo
dalla dissoluzione. Per Spaventa, le cose andavano diversa- mente. Non solo
Socrate non aveva restaurato la vita greca, ma le aveva inferto «il vero colpo
di grazia» (La dottrina di Socrate, in Spaventa 1972, 18), ponendo un nuovo
principio, quello della «soggettività universale» (ibid., 24): caratterizzata
la filosofia presocratica come indistinzione immediata di pensiero ed essere,
Socrate aveva inaugurato l’antitesi dei due termini, senza tuttavia trovarne
l’unità e la sintesi, e anzi la- sciando al pensiero moderno questo compito
ulteriore. I sofisti, dun- que, lungi dall’essere dei distruttori, si
presentavano quali profondi innovatori, anche se il loro soggettivismo era
piuttosto un individuali- smo, fermo alla dimensione naturale ed empirica
dell’individuo. So- crate trasformava, con la dottrina del concetto, questo
individualismo in un autentico, universale soggettivismo: «in questo senso» –
scriveva Spaventa – «Socrate e Cartesio, che che ne dica il professor Bertini,
si rassomigliano» (ibid., 43). 9 Spaventa 1972, 3-9. Parmenide, Hegel
1981, 71-2. 10 Ritter Cfr. Hegel Ma soprattutto, per il riferimento a Da
questo punto di vista, Socrate non appariva affatto come un fi- losofo pratico
o morale, ma come un filosofo schiettamente teoretico. Più precisamente, il
carattere della sua filosofia veniva indicato in un radicale formalismo.
Bisogna prestare attenzione all’uso che Spaventa fece di questa espressione,
per certi versi anticipando i temi della sua riforma della dialettica.
Formalismo significava che Socrate, scoprendo il principio nuovo della
«soggettività universale», lo riconosceva solo nella forma, nell’attività
dialogica della ricerca della verità, in quanto presupponeva, alla maniera di
tutto il pensiero antico, il contenuto og- gettivo e naturale: se per i
moderni, scriveva, la soggettività è non solo «universale» ma «assoluta», «il
puro rapporto del pensiero a se stesso», per Socrate «non è già il soggetto che
determina l’essere oggettivo, ma l’essenza oggettiva delle cose che determina
il soggetto» (ibid., 29). La visione moderna – per cui, come si chiarirà nella
riforma della dialet- tica, il pensiero è negazione determinante dell’essere12
– appariva qui rovesciata, nel senso che l’essere si delineava come il cercato,
come la verità ideale del soggetto. Questa tesi del formalismo era quella vera-
mente decisiva nell’interpretazione di Spaventa, poiché a essa veni- vano
ricondotti tutti i temi della riflessione socratica: l’induzione, il dialogo,
l’ironia, e poi soprattutto l’ignoranza, interpretata come con- sapevolezza
della mancanza di verità del soggetto, quasi come ammis- sione del limite
storico della propria posizione. E ancora, l’eudemoni- smo socratico diventava
(seguendo qui i Magna moralia) l’assenza del concetto del Bene e, quindi, la
sua identificazione con l’utile. Infine, ed è un altro aspetto di rilievo (e
qui la fonte era in parte aristotelica in parte hegeliana), mancava in Socrate
la psicologia, cioè la cognizione della parte irrazionale dell’individuo, delle
passioni: la sua soggettività «universale» non riusciva a cogliere né il
contenuto del concetto né la base irrazionale dell’individuo, restando sospesa
tra il particolare e l’universale e non potendo intravedere la sintesi e
l’unità tra i due momenti, cioè l’autentica realtà e immanenza del concetto13.
Nella memoria su La dottrina di Socrate, con la quale vinse, nel 1869, il
premio della Regia Accademia di Scienze Morali e Politiche di Na- poli,
Labriola non citò mai lo scritto di Spaventa, ma certo ne riprese 12 Si veda
per questo aspetto Mustè La dottrina di Socrate, in Spaventa 1972, 56.
Gentile e Socrate 43 almeno un paio di aspetti14. In primo luogo riprese
la tesi del formali- smo, a cui dedicò la parte centrale dello scritto e che
anzi sviluppò fino alle conseguenze estreme, mostrando come «il suo [di
Socrate] sapere è pura esigenza» e «quello che egli cerca deve ancora trovarlo»
(La- briola 2014, 593). In secondo luogo, insisté sulla mancanza in Socrate di
ogni notizia di psicologia (ibid., 609; 655), con accenti e motivi molto simili
a quelli che Spaventa aveva adoperato nella polemica con Ber- tini. Ma certo
mutava il quadro complessivo dell’interpretazione, anzi tutto per la scelta,
molto radicale, di affidarsi esclusivamente o quasi alla testimonianza di
Senofonte, non attribuendo, scriveva, «a Socrate nessun principio, massima, o
opinione che non sia, o esplicitamente riferita, o indirettamente accennata da
Senofonte» (ibid., 557); poi per il fatto che la tesi spaventiana del
formalismo serviva ora a recidere i rapporti tra Socrate e la tradizione
filosofica presocratica (ibid., 555), superando il problema stesso che aveva
animato la discussione tra Spaventa e Bertini. Per Labriola, Socrate non era
affatto un filosofo: «Socrate come semplice filosofo – scriveva – è un parto
d’immagina- zione» (ibid., 569); e tanto meno poteva essere considerato come
«il creatore del principio della soggettività» (ibid., 584), neanche di una
soggettività «universale» come quella di cui Spaventa aveva parlato. Al
contrario, la figura di Socrate era ricondotta a due linee fondamen- tali di
lettura, tra loro convergenti: da un lato il processo di sviluppo della
religione greca, dove Socrate aveva inserito l’idea della divinità «come
intelligenza autrice e reggitrice del mondo» (ibid., 563), riu- scendo per questo
«a isolare la sfera morale dalla naturale» (ibid., 604); d’altro lato, in
relazione agli studi che allora conduceva per «una storia dell’etica greca»
(ibid., 589 nota) interpretò Socrate come concreta espressione della crisi
della storia greca, come l’emergere di una colli- sione tra forma della
tradizione e volontà dell’individuo: per cui, sorge nell’individuo «il bisogno
di rifarsi da sé quella certezza» che l’opinione comune ha smarrito, tornando a
porre, con l’esercizio del dialogo, le 14 L’interpretazione di Labriola è stata
analizzata da G. Cambiano, Il Socrate di Labriola e la storiografia tedesca e
da E. Spinelli, Questioni socratiche: tra Labriola, Calogero e Giannantoni che
si leggono rispettivamente nel primo e nel terzo volume di Punzo3, Spinelli
ricorda opportunamente un breve quanto penetrante articolo di Gabriele
Giannantoni, Il Socrate di Labriola, apparso nel supplemento di “Paese sera” il
14-15 lug. 1961. Tra gli altri studi, mi limito a ricordare Cerasuolo 1987,
559-69, e le lucide osservazioni di Poggi domande induttive sulla definizione,
sul «cosa è» la giustizia, la virtù, la santità. Per certi versi, Labriola
seguiva la linea interpretativa di Spa- venta, ma ne modificava la prospettiva,
calando Socrate non più nel centro problematico della storia della filosofia ma
in quello della vita religiosa e sociale del mondo greco. A prescindere dallo
sviluppo peculiare che ebbe nella memoria di Labriola, la tesi spaventiana del
formalismo di Socrate restò alla base delle prime riflessioni di Gentile. Già nella
tesi di laurea su Rosmini e Gioberti – dove il problema principale, sulle orme
di Donato Jaja, era quello dell’intuito, e quindi della profonda differenza tra
l’intuito ro- sminiano dell’essere puro e quello, platonico ma soprattutto
prove- niente da Malebranche, delle idee determinate e formate (Gentile) – i
riferimenti a Socrate risentono della discussione di Spa- venta con Bertini. Lo
si vede, soprattutto, nella nota che inserì per di- scutere la memoria di
Aurelio Covotti Per la storia della sofistica greca. Studi sulla filosofia
teoretica di Protagora (pubblicata nel 1896 negli “An- nali” della Regia Scuola
Normale Superiore di Pisa), dove, criticando le interpretazioni di Wilhelm
Halbfass e di Theodor Gomperz, ribadì la necessità di distinguere
l’individualismo empirico di Protagora dal soggettivismo di Socrate, pur
sottolineando la sua distanza dal kanti- smo, mancando ancora in Socrate «il
concetto del pensiero come pro- duttività» (Gentile 1955a, 249-50, nota 1). Una
lettura, questa, che trovò poi uno sviluppo più organico nella recensione del
1909 al Socrate di Zuccante, dove criticò «l’interpretazione soggettivistica»
di Protagora, che l’autore aveva dato, insistendo piuttosto sul rapporto con
Demo- crito: con riferimento a un articolo di Victor Brochard, affermò anzi che
la tesi dello storico francese andava «rovesciata», perché non Demo- crito
aveva appreso da Protagora i princìpi della gnoseologia sofistica, ma viceversa
questo, Protagora, era stato «scolaro» di quello, di Demo- crito (Gentile 1909,
281, nota 1)15. Questo tema del rapporto tra Socrate e Protagora era d’altronde
essenziale nell’equilibrio del libro, perché tanto Rosmini che Gioberti avevano
appunto confuso i due momenti (l’individualismo e il soggettivismo), lasciando
oscillare la figura di Socrate tra Protagora e Platone: «il Gioberti» –
spiegava Gentile – 15 Gli articoli di Brochard vennero ristampati in Brochard
1912 (ma si veda la 4° edizione ampliata, Paris 1974, con l’introduzione di
Victor Delbos). Gentile e Socrate 45 «come il Rosmini, non conosce
altro soggettivismo che il falso antro- pometrismo protagoreo», e perciò,
aggiungeva, si vede costretto a tro- vare in Socrate Platone, «altrimenti del
maestro di Platone non si fa che una ripetizione di Protagora» (Gentile 1909,
258-9). Alla maniera di Spaventa, insomma, il soggettivismo di Socrate non
andava confuso né con l’individualismo di Protagora né con la successiva
dottrina pla- tonica delle idee. Questo atteggiamento spiega anche la presenza
di Socrate nel sag- gio del 1900 su La filosofia della prassi, dove, per dimostrare
che Marx aveva assunto il concetto della prassi dall’idealismo, e non dal mate-
rialismo, chiamò in causa il «soggettivismo di Socrate», facendo dell’antico
filosofo greco il primo idealista, anzi il primo teorico della praxis: perché,
spiegava Gentile, Socrate non concepiva la verità come un bene formato da
trasmettersi, ma come il risultato di un «personale lavorio inquisitivo», cioè
del dialogo e dell’arte maieutica: «il sapere – concludeva – importava per
Socrate un’attività produttiva, ed era una soggettiva costruzione, una continua
e progressiva prassi» (Gentile 1959a, 72). Altrove scriveva che il merito di
Socrate «consiste appunto nel superamento di quella dualità di volontà e
intelletto, che è presup- posta così dal determinismo come dal concetto del
libero arbitrio»: e arrivava ad affermare che, se avesse approfondito questo
aspetto, sa- rebbe stato condotto «al concetto hegeliano dell’unità di libertà
e ne- cessità razionale» (Gentile 1909, 286). Di questa singolare definizione
di Socrate come primo idealista, Gentile darà una spiegazione, nel 1920, nei
Discorsi di religione, quando dirà che, con Socrate, «la filosofia acquista
coscienza del suo carattere idealistico», anche se questa co- scienza «si
oscurerà tante volte nel corso del suo sviluppo storico» (Gentile 1965, 328): e
quasi per dare un esempio di tale oscuramento, ricordava l’«idealismo ancora
naturalistico» di Platone e Aristotele, che aveva ricompreso l’intuizione
socratica nel realismo del «mondo delle idee» e in quello di «Dio, forma o atto
puro, o pensiero del pen- siero» (ibid., 329). Questi primi riferimenti, in
larga parte ispirati dalla posizione di Spaventa, cominciarono a complicarsi
negli anni appena successivi, quando Gentile iniziò a elaborare la filosofia
dell’atto puro, e quindi, bisogna aggiungere, ad approfondire la distanza tra
dialettica del pen- sato e dialettica del pensare, tra pensiero antico e
pensiero moderno. Un preludio della successiva lettura di Socrate può essere
indicato, d’altronde, nella lunga recensione del 1909 al Socrate di
Giuseppe Zuc- cante, dove Gentile, richiamandosi implicitamente (senza mai
citarla) alla posizione di Spaventa, chiarì due aspetti fondamentali della pro-
pria interpretazione. In primo luogo, in un passaggio di particolare im- portanza,
rielaborò e chiarì la tesi del formalismo socratico, definito appunto come la
sua «gloria». Scrisse infatti: la verità è che la ricerca socratica è
prevalentemente umana, perché l’uomo coi sofisti era venuto al primo piano
della speculazione, segna- tamente nella rettorica. E lo stesso tentativo di
sollevare a scienza la rettorica, operato dai sofisti, ne mette a nudo
l’essenziale formalismo, e fa sentire il bisogno di quella più schietta e più
concreta scienza dello spirito, che Socrate persegue col suo motto divino:
conosci te stesso. Qui è la radice dell’unità [...] del suo interesse
speculativo, teorico, e del suo interesse morale, pratico: qui anche la radice
del formalismo spe- culativo e morale, a cui s’arresta lo stesso Socrate. Il
quale supera la forma rettorica con l’affermazione del contenuto della
rettorica (giusto, ingiusto ecc.): ma di questo contenuto non definisce altro
che la forma: il concetto come universale, non intravveduto da nessuno dei
filosofi precedenti: il concetto di ogni cosa (logica) e il concetto stesso del
giusto (morale). In che consiste il valore di questa scoperta, che è la gloria
di Socrate (Gentile 1909, 284). In secondo luogo, stabilito il senso del
formalismo socratico, Gen- tile chiariva il significato della scoperta logica
di Socrate, affermando che si trattava non solo, e non tanto, della scoperta
del concetto, ma del «concetto del concetto», della «essenza dello spirito»: se
i filosofi prece- denti sempre avevano adoperato concetto e definizione, ora
Socrate sollevava il pensare a «pensiero del pensiero», conferendo agli uomini
una «seconda vista», quella della schietta universalità (ibid., 285). Gra- zie
a Socrate, il pensiero diventava, per la prima volta, oggetto di sé stesso,
sostituendosi all’orizzonte della natura: e questo, oltre quello più limitativo
dell’assenza di un contenuto assoluto, era il carattere del suo formalismo,
inteso appunto come considerazione della forma logica in sé stessa. Negli
scritti di questo periodo, l’accento cominciava a battere con più forza sulla
continuità tra Platone e Aristotele, perché – scriveva – «con Aristotele [non]
si fa un passo avanti» rispetto al metodo trascen- dente di Platone (Gentile
1975a, 202). Non solo infatti, come precisò Gentile e Socrate 47 nella prolusione
palermitana del 1907 su Il concetto della storia della filo- sofia, Platone
aveva «trasformato» il concetto socratico in «idee eterne e immobili, puro
oggetto della mente» (ibid., 113); ma iniziò a riportare la filosofia di
Platone alla fonte eraclitea e soprattutto a quella parme- nidea, che ai suoi
occhi costituiva il vero approdo del Teeteto e del So- fista: «Platone» –
scriveva – «non vide mai altro che l’essere immobile e realmente
immoltiplicabile, tal quale l’essere (fisico) degli Eleati. Qui si doveva
arrestare una filosofia ignara della natura dello spirito» (ibid., 201, nota
1). Più che Socrate, dunque, la filosofia di Platone in- contrava, con la
teoria delle idee, l’essere di Parmenide, superando in esso anche la primitiva
lezione di Cratilo. Fu nel primo volume del Sommario di pedagogia (dunque nel
1912) che il giudizio su Socrate cominciò ad assestarsi. Gentile vi si soffermò
in due diverse parti dell’opera: in primo luogo, nella sezione su L’uomo, a
proposito dei concetti; in secondo luogo, nella parte terza, su Le forme
dell’educazione. Il capitolo che dedicò al «merito di Socrate sco- pritore del
concetto» finì per risultare piuttosto singolare. Riconobbe a Socrate il
«merito straordinario» di avere affermato «il carattere uni- versale del vero»
(Gentile 1982, 71); ma subito aggiunse che quel con- cetto non era poi il vero
concetto, il conceptus sui, ma una forma che, conseguita per via induttiva, con
«un processo di generalizzazione», era piuttosto irreale, astratta, lontana
dalla concreta determinazione del mondo: offrì insomma del concetto socratico
una lettura singolar- mente negativa, quasi rappresentandolo nella figura degli
pseudocon- cetti o finzioni che, nella Logica e nella Filosofia della pratica,
Croce aveva teorizzato. Di più, in un capitolo successivo, affermò che il
concetto socratico, «base dell’erronea teoria platonica e aristotelica del con-
cetto» (ibid., 81), presupponeva la scissione tra teoria e pratica: ne- gando
dunque a Socrate proprio quel merito che, come abbiamo osser- vato, gli aveva
riconosciuto nel saggio su La filosofia della prassi. La considerazione trovava
uno sviluppo rilevante, come si diceva, nella terza parte dell’opera, dove
Gentile poneva la figura di Socrate all’origine del concetto di «educazione negativa»,
collocandolo sulla stessa linea che, nell’epoca moderna, avrebbe prodotto la
«possente» opera di Rousseau. A questo principio dell’educazione negativa, Gen-
tile tornava a rivolgere un elogio, perché capace di implicare «l’imma- nenza
del divino nell’uomo» (ibid., 198) e dunque di anticipare lo spi- rito di
libertà di Rousseau: ma anche qui osservava che Platone aveva convertito
la maieutica socratica in un innatismo delle idee, come un ritorno dell’anima
«a quella pura cognizione originaria che ella si reca in sé dalla nascita»
(ibid., 200). Una critica, d’altronde, che si legava all’idea, sostenuta ancora
nei Discorsi di religione, secondo cui il pen- siero antico non poté mai
accedere al problema morale, perché privo del principio stesso della volontà
(Gentile 1965, 357-60). In tutta la prima fase della sua riflessione, Gentile
tenne fermo il Socrate di Spaventa, cioè la tesi del formalismo e della
scoperta della soggettività universale, via via innestandovi i motivi
essenziali nella propria filosofia: così, nell’Introduzione alla filosofia
(1933) parlerà di So- crate come del «primo grande martire degl’interessi più
profondi dell’uomo e della sua nobiltà e grandezza» (Gentile 1981, 7), come di
colui che, con il Nosce te ipsum, aveva vinto l’antico naturalismo e sco- perto
la «concezione umanistica del mondo»; e nella più tarda Filosofia dell’arte
(1943) arriverà a svolgere il motivo spaventiano (e labrioliano) della mancanza
di una psicologia in Socrate nella tesi, ben più radicale, dell’assenza del sentimento
e, in generale, del principio dell’arte in tutto il pensiero antico (Gentile
1975b, 144-5 e 306). Ma la trasforma- zione essenziale e decisiva avvenne
certamente nelle opere più siste- matiche dell’attualismo, in modo particolare
nel Sistema di logica, quando Socrate, come ora vedremo, acquistò il volto più
complesso di fondatore del logo astratto: che era uno svolgimento dell’idea,
comun- que presente in Spaventa, che proprio in lui, in Socrate, e non in Par-
menide e nei filosofi presocratici, andava indicato l’autentico inizio della
filosofia occidentale. Nella Teoria generale (1916), dove il problema
fondamentale era quello dell’individuo e dell’individualità, si faceva più
nitido il quadro dell’intero sviluppo della filosofia greca, ponendo al centro
del natu- ralismo quella che definì «la disperata posizione di Parmenide» (Gen-
tile 1959b, 107), quintessenza dell’intero mondo mitico e presocratico e
carattere della «seconda natura» delle idee, stabilita da Platone. Tra
Parmenide e Platone, Socrate appariva come colui che aveva operato «la netta
distinzione tra genere e individuo» (ibid., 59), non riuscendo certo a trovare
la sintesi tra i due momenti, ma lasciando aperta, con il suo formalismo, tanto
la via platonica tanto quella aristotelica. Di fronte a entrambi, a Parmenide e
a Platone, Socrate era delineato come colui che «scopre il concetto come unità
in cui concorre la va- rietà delle opinioni» (ibid., 106): affermazione di
grande significato, Gentile e Socrate 49 perché, almeno in senso formale,
indica una rottura dell’intero natu- ralismo antico, un presagio – se così può
dirsi – della sintesi e della vera individualità, che solo il pensiero moderno,
osservando il con- cetto come conceptus sui e come autocoscienza, arriverà,
dopo il cri- stianesimo, a compiere. Però, come si diceva, solo nei due volumi
del Sistema di logica, il primo del 1917 e il secondo del 1921, la figura di
Socrate acquistò una nuova luce e un più preciso significato, all’interno della
dialettica del logo astratto e del logo concreto. Possiamo dire che il punto
centrale della considerazione delle forme storiche del logo astratto è proprio
il passaggio da Parmenide a Socrate, che è poi il passaggio dal naturali- smo
antico alla logica del pensiero pensato, inteso come momento eterno e
insuperabile del logo. Il punto socratico è quello fondamen- tale, se non altro
perché, superando la posizione, disperata e assurda, di Parmenide, Socrate
pone, nel concetto universale, l’intero circolo del pensiero antico, che in
Platone (con la teoria della divisione) e in Ari- stotele (con la teoria del
sillogismo) troverà solo uno sviluppo coerente e un adeguamento. All’altezza
della dottrina del logo astratto, Gentile segnava con meno forza, rispetto ai
testi precedenti, il distacco tra So- crate e Platone, ma indicava con molta
più forza la differenza tra So- crate e Parmenide. È vero che, in un passaggio
non privo di ambiguità, disse che Parmenide rappresentava «il fondatore [...]
della logica dell’astratto», colui che «per primo cominciò a intendere in tutto
il suo rigore il concetto del logo quale presupposto del pensiero» (Gentile
1955b, 147). Ma subito precisò che tale fondazione del logo era in verità una
negazione del pensiero, perché il suo essere, privo di determina- zione e di
differenza, è in realtà mancanza di pensiero, il nulla del pen- siero, il
semplice immediato: e per Gentile, così come per Spaventa, non è l’essere di
Parmenide a segnare l’inizio della logica, come acca- deva in Hegel, ma il
concetto universale di Socrate. È con Socrate in- fatti, come ripete più volte
(concordando, per altro, con quanto Croce aveva sostenuto nella Logica)16, che
«nasce formalmente la scienza della logica» (Gentile 1955b, 153), che viene
posto non «l’immediato essere astratto», ma la «mediazione», il «rapporto tra
soggetto definito e predicato onde si definisce», per cui, concludeva,
«l’astratta identità dell’essere naturale di Parmenide e di Democrito qui è
vinta». E altrove 16 Croce 1981, 302-3. chiariva: «la logica comincia
propriamente con Socrate, quando l’es- sere spezza la dura crosta primitiva
della immediatezza naturale, in cui s’era fissato nelle concezioni degli Eleati
e degli Atomisti, e si me- dia nella forma più elementare possibile del
pensiero: identità che sia unità di differenze» (ibid., 169). Nel concetto
socratico, nella definizione, è già tutta la logica antica, che troverà nella
dialettica platonica e nel sillogismo aristotelico solo uno sviluppo
necessario. Più precisamente, Socrate diventa, nel Si- stema di logica, il
fondatore della logica dell’astratto, che non si esprime più nell’assurda
immediatezza di A (essere naturale), ma nel rapporto A=A, che indica il
principio d’identità e l’intero «circolo chiuso», come lo definì, del logo
astratto: rapporto che è già rapporto di pensiero, perché il primo A si
distingue dal secondo A, generando la figura del giudizio, sia pure di un
giudizio analitico e definitorio. Così, il passag- gio (che impegnò il secondo
volume dell’opera) dal logo astratto al logo concreto indicava anche il merito
e il limite della posizione socra- tica, il suo elogio e la sua critica: perché
il «circolo chiuso» che Socrate aveva fondato, immettendo l’uomo nella regione
del pensiero, era pur sempre un circolo, una mediazione e un movimento, e perciò
inclu- deva, sia pure in maniera inconsapevole, il riferimento del pensato al
pensare, dell’astratto al concreto. Lo includeva, come spiegò, nella forma
«mitica» di tutto il pensiero antico, non ancora come «pensa- mento del logo
astratto nel concreto», ma viceversa come «pensamento del logo concreto
nell’astratto» (Gentile 1942, 178). La lettura del momento socratico sembrava
così compiuta nei ter- mini fondamentali. Ma negli ultimi mesi della sua vita,
Gentile delineò una intera storia della filosofia, che doveva fare parte della
collana «La civiltà europea» della casa Sansoni, e di cui riuscì a scrivere
solo la prima parte, fino a Platone. Di questa opera, che è stata pubblicata
nel 1964 a cura di Vito A. Bellezza, ci rimane, tra le carte del filosofo, l’in-
dice dell’intero lavoro (che si sarebbe dovuto concludere con la consi-
derazione di Varisco, Martinetti, Croce e Gentile stesso) e il mano- scritto di
un «prospetto» che si riferisce alla parte successiva e non scritta sulla
filosofia antica, fino alla sezione terza, che avrebbe dovuto occuparsi di
epicurei, stoici, scettici, accademici e neoplatonici17. 17 Archivio della
“Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici”, manoscritti pubblicati.
Gentile e Socrate 51 In questo ultimo scritto sulla filosofia antica, Socrate
diventava ve- ramente il centro dell’intera considerazione, lo snodo decisivo
tra na- turalismo e metafisica. Più chiara e conseguente risultava, in primo
luogo, la ricostruzione della filosofia presocratica. Le due figure prin-
cipali di questa epoca, Parmenide ed Eraclito, rappresentavano due aspetti
complementari della medesima intuizione della natura e del cosmo, priva della
luce del pensiero: nell’essere di Parmenide, che è lo stesso fuoco di Eraclito
fermato nel suo eterno ardere, si riassume il peccato capitale della prima
filosofia greca, che ora Gentile definiva come «misticismo» (Gentile 1964, 68),
come «intellettualismo» e «for- malismo» (ibid., 74), cioè – spiegava – come il
primo esempio di una filosofia «che fa lavorare il cervello, ma lascia, si può
dire, vuoto e inerte il cuore». E tutto il successivo atomismo, soprattutto in
Demo- crito, gli appariva come l’esito naturale di tale originaria assenza del
pensiero, che finì, come doveva finire, nel «pretto materialismo», dove «il
pensiero è identico alla sensazione» (ibid., 91). S’intende perché, nella linea
che già era stata di Spaventa, Gentile riservasse parole di elogio alla
sofistica: a Protagora, come a colui che scopre «il tarlo se- greto che rode
questo essere a cui pur tutto, per chi pensa e ragiona, si riduce» (ibid.,
97-8), e che costituisce, dunque, tanto l’autocritica in- terna quanto il
logico compimento del naturalismo eleatico; e soprat- tutto a Gorgia, che
scopre «la potenza della parola», di quell’elemento attivo e umano che l’essere
di Parmenide non poteva includere né spie- gare: una potenza, quella della
parola, che rappresenta l’emergere di un nuovo mondo, di cui «non siamo più
soltanto gli spettatori, ma vi facciamo da attori» (ibid., 111). Sono i
sofisti, perciò, che «preparano Socrate e tutta la filosofia del logo che ne
deriva», che «rendono possibile la scoperta di questo nuovo mondo» (ibid., 98).
E il capitolo su Socrate, come si diceva, co- stituisce il cuore di tutta
l’interpretazione che qui Gentile proponeva del pensiero antico. A differenza
di Labriola, anzi tutto, e in parte an- che di Spaventa, Gentile mostrava di
privilegiare nettamente il Socrate di Aristotele, considerando inattendibile la
descrizione di Senofonte, che ne fa «un troppo bonario e grossolano pensatore»,
e in fondo anche quella di Platone, che nei dialoghi presenta «un Socrate
idealizzato e platonizzante» (ibid., 120): «il Socrate storico – scriveva – non
è il So- crate platonico» (ibid., 122). «Più attendibile» dunque Aristotele,
pur «ne’ suoi cenni sommari» (ibid., 120), perché in Aristotele emerge-
rebbe la vera fisionomia di Socrate, autore di una sola ma fondamen- tale
scoperta, quella del concetto, o meglio della definizione e del giu- dizio,
cioè del pensiero: non il termine, ma il giudizio, «quel giudizio che come atto
del pensiero rivolto all’essere naturale Parmenide e i seguaci suoi avevano
dimostrato impossibile». Così So- crate
compie il «passo gigantesco», «trova il pensiero», e «il pensiero, per la prima
volta, si viene a trovare alla presenza di se stesso: di se stesso nell’oggetto
che può conoscere, e conosce» (ibid., 135). Per questo, e solo per questo,
Socrate rimane per sempre «il modello da imitare» per ogni filosofo successivo,
come «una delle incarnazioni più splendide dell’ideale umano, se umanità vuol
dire, come vide So- crate, pensiero» (ibid., 137). La preferenza che Gentile
accordava alla fonte aristotelica derivava, d’altronde, da un lungo percorso,
che aveva trovato nella discussione del 1909 con Zuccante un punto di
particolare chiarezza. In quella oc- casione, appoggiandosi ad alcune analisi
di Gomperz e soprattutto di Joël, aveva definito i Memorabili come l’opera «più
sciagurata uscita dalla penna di Senofonte: pesante, monotona, tutta infarcita
di banalità e di vere caricature dello spiritoso e malizioso dialogo socratico»
(Gen- tile 1909, 276), soprattutto per la tendenza ad attribuire a Socrate «una
specie di prammatismo», eliminando quell’elemento «logicistico» che per Gentile
ne costituiva, invece, il tratto saliente (ibid., 284). Di conse- guenza, aveva
rifiutato l’intera impostazione di Labriola, che aveva as- sunto il «Socrate
senofonteo» come la pietra di paragone di ogni altra testimonianza (ibid.,
286)18. Non si può tacere che, in tale uso delle fonti, si celava una certa
tendenziosità e forse qualche equivoco. Anzi tutto, come è facile osservare, il
richiamo ad Aristotele era, in verità, un riferimento quasi esclusivo ai passi
della Metafisica su Socrate come «fondatore della filosofia concettuale» e
«scopritore dell’universale» (Maier 1943, 95), con una larga sottovalutazione
di quanto, nella fonte aristotelica, rinviava alle dottrine etiche e morali.
Anche la contrappo- sizione fra la testimonianza aristotelica e quella
senofontea, seppure giustificata da un dibattito interpretativo allora in corso
(si pensi alle 18 Si ricordino, a questo proposito (soprattutto con riferimento
a Labriola, il cui scritto è definito «il migliore studio italiano
sull’argomento», e a Joël), le osservazioni di Guido Calogero nella voce
Socrate del 1936 dell’Enciclopedia italiana. Gentile e Socrate 53
diverse letture di August Döring e di Karl Joël), trascurava i possibili legami
che alcuni autori, come Heinrich Maier o Georg Busolt, ave- vano stabilito tra
i passi socratici di Aristotele e i Memorabili senofon- tei19. Si trattava,
insomma, di una semplificazione del ben più arduo problema delle fonti socratiche,
ma di una semplificazione necessaria affinché, nel discorso di Gentile sulla
filosofia antica, emergesse in piena luce il posto assegnato a Socrate, come
iniziatore della logica e superatore del precedente naturalismo. Dunque Socrate
appariva, nelle pagine che ora Gentile vi dedicava, come la rappresentazione
vivente della scoperta del concetto come giudizio, e a questo principio del
logo andavano ricondotti tutti gli aspetti della biografia. Socrate fu,
pertanto, «il maggiore dei Sofisti» (Gentile 1964, 122), perché convertì la
parola di Gorgia nella nuova «fede nel pensiero», restituendo a quel mondo
umano, che pure i sofi- sti, con la loro opera distruttiva, avevano scoperto,
il pregio dell’uni- versalità e della verità. Questo era il senso dell’ironia e
del dialogo: il dialogo, possiamo dire, si superava nel logo, e si risolveva in
esso, per- ché, come aveva chiarito Platone nel Teeteto, era in verità un
monologo, «un interno dialogare della mente con se stessa» (ibid., 170), dove
il concetto unico e universale costituiva il presupposto e la mèta, l’inizio e
la fine, dentro cui i dialoganti, lungi dal distinguersi, si unificavano come
simboli di un solo ritmo logico. Certo Gentile riprendeva lette- ralmente
l’indicazione spaventiana del «formalismo socratico» (ibid., 123), ma in certo
modo, come ora vedremo, ne metteva piuttosto in rilievo l’aspetto positivo,
schiettamente logico, rispetto alla costru- zione successiva di una metafisica,
culminante nell’opera di Platone. «Formalismo» significava, perciò, visione
formale del concetto e del giudizio, fede nella forma del pensiero, non ancora
fissato in un tra- scendente mondo delle idee. Per molte ragioni non potrebbe
dirsi che Gentile trasformasse la fi- gura di Socrate in quella di un
precursore dell’attualismo, come per esempio era accaduto, a proposito di Gesù
di Nazareth, ad Adolfo Omodeo o a Guido De Ruggiero: la sua prosa si manteneva
più sobria, 19 Si ricordi la netta affermazione del Maier, che risale
all’edizione di Tubinga del 1913 del Sokrates: «debbo confessare che mi riesce
incomprensibile come mai si siano potute dare tanta importanza e tanta fiducia
alle sue [di Aristotele] scarse osservazioni» (Maier 1943, 81). 54
LA BANDIERA DI SOCRATE controllata, ma certamente tendeva ad assegnare a
Socrate un valore unico in tutto l’orizzonte della filosofia antica20. Il
«formalismo» indi- cava un merito, non un difetto. E in tutto il capitolo
sull’«essere come concetto», ne sottolineò l’importanza, senza mai indicare il
limite della visione socratica. Limite che emerse piuttosto nelle pagine
successive, quelle sull’«essere come idea», dove, per spiegare il passaggio a
Pla- tone, accennò pure al «problema centrale di Socrate», consistente nel
«dualismo da vincere» tra il mondo umano e il mondo naturale, tra il concetto e
l’esperienza, perché – scriveva – Socrate «non aveva saputo dir nulla di quella
natura che ci sta davanti, in cui si nasce, si vive e si muore, e con cui
all’uomo che pensa per concetti rimane pur sempre da fare i conti» (Gentile 1964,
162-3). Era necessario segnare il limite di Socrate, per offrire una
spiegazione del passaggio successivo, quando il suo «formalismo» ripiegò in una
compiuta metafisica, tornando di fatto al naturalismo e al mito eleatico
dell’essere immutabile. E il lungo capitolo sull’«essere come idea», che copre
quasi la metà della parte scritta dell’opera, costituisce in effetti una delle
pagine più importanti, e in fondo drammatiche, che Gentile abbia composto negli
ultimi giorni della sua vita. Parlò di «un nuovo abisso» (ibid., 191) che si
de- lineava tra Socrate e Platone, come quello che aveva diviso la filosofia
umana di Socrate da quella naturalistica che lo aveva preceduto; e ne preparò
l’analisi con una sottile considerazione delle scuole socrati- che minori, culminante
nella figura di Euclide, che «proveniva dall’eleatismo» e che per primo,
inaugurando l’opera che sarà di Pla- tone, «trasferiva il concetto o universale
socratico dalla mente dell’uomo nella realtà in sé» (ibid., 158). Di fronte al
dualismo irri- solto di Socrate, tornava, fin da Aristippo o Teodoro, il vento
gelido della vecchia cultura, che riempiva il «formalismo» di un contenuto
antico, quello della natura, della trascendenza, del realismo. Platone stesso,
in fondo, compì questa opera necessaria, appoggiandosi ai suoi veri maestri,
l’«eracliteo Cratilo» (ibid., 163) e Parmenide, e ab- batté «la barriera tra
l’umano e il divino», innalzandovi sopra quell’edificio possente che è la
metafisica (ibid., 192-3). 20 All’analogia tra Socrate e Gesù, Gentile aveva
fatto riferimento nella recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti, ambiente,
vita, dottrina (Gentile 1909, 278). Per Adolfo Omodeo, il rinvio è a Omodeo
1913; per Guido De Ruggiero, al primo volume di De Ruggiero 1920.
Gentile e Socrate 55 Quando, in una decina di pagine di forte intensità,
entrò all’interno di questo meccanismo, e cercò di spiegare con più precisione
il passag- gio che si era consumato dal formalismo di Socrate alla metafisica
di Platone, Gentile non mancò di osservare che la «soluzione» che la dot- trina
delle idee aveva dato al «problema» di Socrate (ibid., 227), unifi- cando ciò
che nel maestro si conservava diviso, era in fondo fallimen- tare, perché
metteva capo a un nuovo e più duro dualismo, quello che si apriva tra eraclitismo
ed eleatismo: due anime – scrisse – inconciliabili: né Platone riuscì più a
mettere una a tacere, come in qualche modo erano riusciti a fare Parmenide ed
Era- clito e lo stesso Socrate. [...] Il poderoso sforzo da lui tentato di
strin- gere insieme le due opposte esigenze pur nella forza indomabile
dell’energia con cui esse reciprocamente si escludono, non potrà non fallire
(ibid., 226-7). La vicenda post-socratica delineava dunque la storia di un
falli- mento; e di un fallimento, bisogna aggiungere, che aveva un prezzo
elevato per la filosofia: perché l’idea di Platone altro non era che l’es- sere
di Parmenide («dire idea – scriveva – è lo stesso che dire essere»; ibid., 220)
e il dialogo, che Socrate aveva coltivato come ricerca sogget- tiva della verità,
si irretiva nella dialettica oggettiva delle idee trascen- denti, dell’essere,
nella «dialettica consistente nella relazione che hanno le idee in se stesse»,
in «dialettica oggettiva, che è norma e fine della soggettiva» (ibid., 221).
Gentile parlava bensì di conquista del pensiero platonico, di progresso, ma in
tutta la sua pagina circolava l’impressione del regresso e della decadenza, del
passo indietro, della chiusura metafisica. Impressione che si fece nitida nel
brano in cui, mettendo a diretto confronto i due filosofi, Socrate e Platone,
affermò che il primo, di fronte all’antico naturalismo, aveva scoperto il pen-
siero come «relazione», «soggetto, predicato e loro relazione», mentre l’altro
quella relazione aveva ricondotta «in un’idea suprema», unica e universale, e
perciò l’aveva annientata e assorbita nell’ordine ogget- tivo dell’essere che
nega e dissolve il pensiero: «quest’idea – spiegava – pel fatto stesso che
totalizza la relazione, l’annienta; perché l’idea delle idee, essendo unica, è
irrelativa». E dunque metteva capo all’«unità massiccia, immota, morta, che è
tutto un blocco, da prendere 56 LA BANDIERA DI SOCRATE o lasciare.
Proprio come l’Essere eleatico. Pare pensiero, e non è» (ibid., 222-3). Che era
una critica della metafisica platonica e, al tempo stesso, il più alto
riconoscimento a Socrate: il quale restava, così, al centro di questa storia,
come una possibilità inesplosa dell’antico, che solo il pensiero moderno, dopo
il cristianesimo, avrebbe ripreso e realizzato. Nota bibliografica BERTINI,
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Paris: Ladrange, 1835-1836. SPAVENTA, Dal 1848 al 1861. Lettere, scritti e
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(vol. II), a cura di Giovanni Gentile. Firenze: Sansoni, 1972. Marcello Mustè. Mustè. Keywords: la filosofia
dell’idealismo italiano, popolarismo, governo federativo, democrazia, kratos –
natoli, il potere – un concetto di kratos – dirrito, il principio politico,
liberalismo, partito liberale italiano, comunismo, il libero economico, il libero etico, libero
politico, ri-sorgimento italiano, liberta del volere, “Gentile e Socrrate” --
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mustè” – The Swimming-Pool Library.
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