Grice e Nannini – i corpi animati – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Siena).
Filosofo italiano. Grice: “Nannini
has intuitions in Italian.” Grice:
“I agree with Nannini about the naturalism: the ‘anima’ is there to ‘explain’
‘spiegare’ the action, ‘l’azione’ – He is the Italian Muybridge!” – Grice: “The
Nannini series is the equivalent of the Muybridge series” Studia a Firenze con
Luporini e Landucci e, inizialmente, con Cesare Luporini. Ha accompagnato la
sua attività di ricerca in campo filosofico ed i suoi impegni accademici con
una intensa attività politica a Siena come militante del Partito Comunista
Italiano. È stato Professore di Filosofia Morale all'Urbino e di Filosofia
Teoretica all’Università Siena (1992-), dove ha insegnato per alcuni anni anche
filosofia della mente ed è stato principale cofondatore e direttore di una
scuola di dottorato interdisciplinare in Scienze Cognitive. È stato inoltre più
volte, visiting professor presso le Osnabrück, North London, Bremen e
Oldenburg. Attualmente in pensione, è ancora pro tempore Docente Senior presso
l’Siena e dal è direttore di Rivista
Internazionale di Filosofia e Psicologia. I suoi studi giovanili si sono
incentrati sulla filosofia delle scienze sociali, lo strutturalismo francese e
la storia del pensiero antropologico. Successivamente, rivoltosi alla filosofia
analitica ed in particolare alla teoria dell’azione, ha cercato di sviluppare
il “naturalismo metodologico” criticando il ritorno di neo-wittgesteiniani come
G.H. von Wright alla distinzione storicistica tra scienze della natura e
scienze dello spirito. Sempre muovendosi entro la filosofia analitica, ma
rivolgendo il proprio interesse alla filosofia pratica, ha difeso il non
cognitivismo in meta-etica. A partire dagli anni Novanta Professoresi è infine
spostato dalla teoria dell’azione alla filosofia della mente. In una prima fase
si è occupato soprattutto della storia del concetto di mente, per approdare ad
una forma di naturalismo cognitivo basata su una soluzione
fisicalistico-eliminativistica del problema mente-corpo. Saggi: “Il
pensiero simbolico” (Bologna, Il Mulino); “Cause e ragioni” -- Modelli di
spiegazione delle azioni” umane nella filosofia analitica” (Roma, Riuniti); “Il
Fanatico e l'Arcangelo” -- Saggi di filosofia analitica pratica, Siena,
Protagon. “L'anima e il corpo” -- Una
introduzione storica alla filosofia dell’animo, Roma, Laterza; “Naturalismo” cognitivo:
Per una “teoria materialistica” dell’animo, Macerata, Quodlibet, “La Nottola di
Minerva” -- Storie e dialoghi fantastici sulla filosofia dell’animo” (Milano,
Mimesis);“Educazione, individuo e società” Torino, Loescher ), L’animo può
essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena), SeB Editori. Saggi, Freud e
l'antropologia, in La Cultura. Rivista di Filosofia, Letteratura e Storia, “ Il
materialismo “primario”, in, Il pensiero di Luporini” ( Milano, Feltrinelli); “L'anomalia
dell’animo «Rivista di filosofia», Corpi animati, nel dibattito contemporaneo,
in L’animo, Milano, Mondadori, I corpi
animati e e società nel naturalismo forte, nella Civiltà delle Macchine», Realismo
scientifico e ontologia materialistica, in «Giornale di metafisica», Nicolaci G., Perone U., Ontologia e
metafisica, Il concetto di verità in una prospettiva naturalistica, in Amoretti
M.C., Marsonet M., Conoscenza e verità” (Milano, Giuffré); “L’Io come Direttore
Assente” (in Cardella V., Bruni D., Cervello, linguaggio, società: Atti del
Convegno di Scienze Cognitive, Roma, CORISCO, Orologi, animo e cervello:
Riflessioni preliminari su tempo reale e tempo fenomenico tra fisica teorica e
filosofia dell’animo, in Amoretti M.C., Natura umana, natura artificiale” (Milano,
Angeli); Rappresentazioni naturalizzate, in «Sistemi intelligenti», Kant e le
scienze cognitive sulla natura dell’Io, in Amoroso L., Ferrarin A., La Rocca C.,
Critica della ragione e forme dell'esperienza’ (Pisa, Edizioni ETS); Realismo
scientifico e naturalismo cognitivo, La coscienza può essere naturalizzata?, in
Nannini S., Zeppi A., L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena),
SeB Editori, In-conscio, co-scienza e
intenzioni nel naturalismo cognitivo, in «Sistemi intelligenti», La svolta
cognitiva in filosofia, in «Reti, saperi, linguaggi: Naturalismo cognitivo: Per
una teoria materialistica dell’animo, Quodlibet, Sandro Nannini, La Nottola di Minerva: Storie
e dialoghi fantastici sulla filosofia dell’animo, Mimesis. Nannini. Keywords:
corpi animati, l’interazione dei corpi animati, l’ego come direttore assente,
freud e il nos come dirretori assenti --. Luigi Speranza: “Grice e Nannini: il
santo, l’eroe, il fanatico, l’arcangelo” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nardi – dantesco – Alighieri filosofia
italiana – Luigi Speranza (Spianate di
Altopascio). Filosofo italiano. Grice: “The Italians are fortunate: with
Alighieri they can philosophise about him!”
Primogenito di una famiglia benestante, composta di nove figli, viene
avviato sin dalla tenera età alla carriera ecclesiastica. Nel 1896 entra nel
collegio dei frati francescani a Buggiano e nel 1900, a sedici anni, diventa
chierico, assumendo il nome di frate Angelo. Uscì dal convento di Buggiano
perché non aveva intenzione di continuare nella vita religiosa, avendone
perduta la vocazione. Proseguì gli studi di filosofia e teologia frequentando
il convento di Sant'Agostino di Nicosia in provincia di Pisa. Volendo
proseguire gli studi, i genitori gli indicarono un'unica strada, quella di
entrare in seminario e diventare prete. Venne ammesso al seminario di Pescia e
il 4 marzo 1907 diventò sacerdote. Qui si avvicinò fugacemente al movimento
Modernista, condannato da papa Pio X con l'Enciclica Pascendi. Nel 1908
Nardi sostenne l'esame di concorso per una borsa di studio triennale conferita
dall'opera Pia Galeotti di Pescia al fine di frequentare un corso di
perfezionamento filosofico presso l'Università Cattolica di Lovanio (Belgio).
Nel 1909 Nardi aveva da poco iniziato a frequentare l'Università
Cattolica di Lovanio che già decise l'argomento della sua tesi di laurea
Sigieri di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Dante,
che venne discussa con Maurice De Wulf. La lettura dell'opera di Pierre
Mandonnet, nella parte dedicata a Sigieri, non persuadeva Nardi sulla soluzione
data al problema della presenza di questo averroista nel Paradiso dantesco. Due
pregiudizi la inficiavano: il primo “consisteva in un'inesatta visione storica
di quello che nel Medio Evo e nel Rinascimento era stato l'averroismo. Il
secondo pregiudizio del Mandonnet era quello di ritenere il pensiero filosofico
di Dante conforme in tutto e per tutto a quello di San Tommaso." Nel
momento in cui Nardi entrava a Lovanio abbandonò il modernismo teologico, ma
non abbracciò la filosofia neo-scolastica che quella Università belga stava
elaborando. Non aveva senso per lui ripetere, sul finire dell'Ottocento,
nell'epoca del positivismo, l'operazione culturale di San Tommaso che prevedeva
l'unificazione di fede e ragione. Il metodo di lavoro che Nardi seguì nel
corso della sua vicenda di studioso e ricercatore, rimase sempre improntato al
massimo rigore filosofico, risentendo come una traccia indelebile
dell'esperienza di Lovanio, dove dovette affrontare studi scientifici. Per
Nardi l'interpretazione del testo coincide con la libertà, ma tale atto libero
non può attivarsi senza uno scrupoloso lavoro di scavo e ricerca del materiale
documentario, l'esatta interpretazione filosofica dei testi. Ottenuta
un'ulteriore borsa di studio dall'Opera Pia di Pescia frequenta corsi di
filosofia a Vienna, Berlino, Bonn. Oltre alla pubblicazione della propria tesi
su Sigieri nella “Rivista di filosofia neo-scolastica”, Nardi vi pubblicò altri
interventi spesso critici con la linea editoriale del periodico. scritto ai
corsi dell'Istituto di Studi Superiori di Firenze perché voleva riconoscere in
Italia la sua laurea in filosofia conseguita a Lovanio. A Firenze discuterà la
tesi di laurea in filosofia dedicata alla figura del medico e filosofo padovano
Pietro d'Abano. Collaborava alla “Voce”, rivista fondata da Giuseppe Prezzolini
con il quale mantenne per lunghi anni una fitta corrispondenza.
Nell'autunno 1914 Nardi volle abbandonare il sacerdozio. In una successiva
lettera indirizzata al vescovo Angelo
Simonetti, spiegava che era stato l'ambiente familiare a spingerlo nel 1907 a
chiedere la sacra ordinazione, con preghiere e minacce. Di trasferì a Mantova
per insegnare filosofia presso il liceo classico Virgilio, dove vi restò fino
al quando si trasferì a Milano. Ha da Giovanni Gentile un incarico per
l'insegnamento della filosofia medievale presso la facoltà di lettere
dell'Roma. Tuttavia non ottenne la cattedra universitaria (se non dopo molti
anni), a causa dell'art. 5 del Concordato in base al quale la curia romana
escludeva i sacerdoti secolarizzati dall’insegnamento. Gli fu assegnata la
“Penna D’Oro” dal presidente del Consiglio Fernando Tambroni. Nel 1962 gli fu
conferita la laurea honoris causa da parte dell’Padova e da parte di quella di
Oxford. Le opere e gli studi su Alighieri si è dedicato instancabilmente
per di più in mezzo secolo allo studio del pensiero di Dante, anche quando si
occupava di Virgilio, di Sigieri di Brabante, di Pietro Pomponazzi. Nardi ha
saputo mettere in discussione schemi consolidati, ha aperto strade nuove, ha
formulato proposte inedite che ci permettono di avere una più esatta
comprensione dei testi danteschi. Una costante di Nardi è di aver conservato
sempre una propria autonomia, se non un vero e proprio distacco, rispetto
agli ambienti culturali in cui si era trovato ad agire, fossero Lovanio,
Firenze o Roma. Il coraggio con cui seppe polemicamente ribaltare tesi
consolidate negli ambienti accademici, gli fruttarono ingiustamente isolamento
e non adeguata considerazione rispetto alle sue acquisizioni veramente
anticipatrici. Basti pensare alle sue tesi sull'averroismo latino,
all'importanza data alla figura di Avicenna, di Alberto Magno, al rifiuto del
preteso tomismo di Dante. E se di Gentile parlava come di un "vero e
grande maestro", dandogli ragione nella sua polemica con il De Wulf
(relatore della sua tesi a Lovanio), Nardi pur tuttavia non aderirà al
Neoidealismo, ma vi trarrà soltanto spunti e stimoli per le sue ricerche.
L'incontro con Dante costituisce per Nardi l'episodio decisivo della sua vita
intellettuale e morale. Scriverà nel 1956: "in Dante trovai il vero e
primo maestro, quello a cui debbo la maggior gratitudine". Il senso della
sua ricerca è stato interrogare il "miracolo" della Divina Commedia,
questo "singolare poema sbocciato all'improvviso contro tutte le buone
regole dell'arte e del dittare". Secondo Nardi nella commedia è custodita
la Verità, che si è manifestata ad un poeta ispirato da una profetica visione.
La lunga fatica del Nardi è giunta a concludere che la filosofia di Dante non
si riduce a nessun sistema codificato; è una sintesi complessa tendente a
superare le antinomie e che mantiene intera la sua spiccata originalità, il suo
personalissimo pensiero. Per arrivare a coglierlo occorre da una parte
ristabilire il preciso significato delle parole in rapporto alla terminologia
filosofica e scientifica del Medioevo, e ricostruire dall'altra l'ambiente
culturale e l'atmosfera spirituale nelle quali Dante si muoveva per arrivare a
determinare la fonte, il libro letto da Dante. Nardi ha gettato luce su
molti elementi e suggestioni che Dante derivava dalla filosofia araba e
neoplatonica. Essenziali per comprendere Dante sono Alberto Magno e Sigieri più
di Tommaso; così come il neoplatonismo e la cultura araba più dello
scolasticismo aristotelico. A Nardi interessava particolarmente affrontare il
tema della "visione dantesca", esperienza profetica che seppe
tradurre come nessun altro nel linguaggio della Divina Commedia. La visione di
Dante non è finzione letteraria, è rivelazione reale dell'aldilà, concessa da
Dio in virtù di un supremo privilegio. Dante visse il rapimento mistico ed
estatico al terzo cielo come esperienza reale. Dante credette di essere sceso
veramente nell'Inferno, salito veramente al Purgatorio e al Paradiso. Per Nardi
la Commedia si distacca dagli altri scritti di Dante, perché ne è il loro
compimento. Tale culmine si realizza attraverso un'esperienza eccezionale, di
origine mistico-religiosa a lui soltanto riservata, una rivelazione che ha il
potere di trasformare e rendere nuove tutte le altre opere precedenti.
L'opera dantesca, secondo Nardi, si deve suddividere in tre fasi: la prima
fase, che termina a venticinque anni, è sotto l'influsso di Guinizzelli,
assente del tutto la filosofia. La seconda fase, quella filosofico-politico,
coincide con le rime allegoriche, il Convivio, il De vulgari eloquentia e la
Monarchia. La terza fase, quella della poesia profetica, coincide con la Divina
Commedia, poema che segna il ritorno all'unità della filosofia cristiana. Dante
vi compare come profeta che deve annunciare al mondo l'avvento di un inviato di
Dio per la redenzione umana. La Commedia è "poema sacro", la sua è
poesia religiosa. Nardi vede in questa terza fase finalmente riconciliarsi la
speranza cristiana spezzatasi con l'aristotelismo e l'avverroismo. Per Nardi
l'aristotelismo è inconciliabile con il cristianesimo, e il tomismo pertanto è
"il più strano paradosso del pensiero umano". La Commedia testimonia
della riunificazione della filosofia con la rivelazione di Dio. Dante visse una
visione profetica, esperienza che mancò ad Aristotele. L’'Accademia dei
Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per la Filosofia. Saggi: “Flosofia dantesca” (Bari, Laterza) – ALIGHERI
-- ; “Critica dantesca” (Milano, Ricciardi); “Filosofia dantesca” (di
Alighieri) (Firenze, Nuova Italia); “La filosofia medievale” (Roma, Ed. di storia
e letteratura); “Alighieri” (Roma, Laterza). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,."Giornale
Critico della Filosofia Italiana",
Premi Feltrinelli, su lincei, Medioevo e Rinascimento,” Firenze, Sansoni, Alberto
Asor Rosa, Dizionario della letteratura italiana del Novecento, ad vocem
Sigieri di Brabante e Alessandro Achillini, Di un nuovo commento alla canzone
del Cavalcanti sull'amore, “Cultura neo-latina”, Noterella poetica
sull'averroismo di Cavalcanti, Rassegna filosofica, Sigieri di Brabante e le
fonti della filosofia di Alighieri, in “Rivista di filosofia neoclassica” Sigieri
di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Alighieri,
Spianate, La teoria dell'anima o animo e la generazione delle forme secondo
Pietro d'Abano, “Rivista di filosofia neoscolastica”, Vittorino da Feltre al
paese natale di Virgilio, in “Atti del IV Congresso nazionale di Studi Romani”,
Roma, Lyhomo (note al “Baldus” di T. Folengo), “Giornale critico della
filosofia italiana”, “Nel mondo di Alighieri” (Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma); “Sigieri di Brabante nel pensiero del rinascimento
italiano” (Edizioni italiane, Roma); “Alighieri profeta, in Dante e la cultura
medioevale; “Saggi di filosofia dantesca” (Bari, Laterza); “La mistica averroistica
e Pico”; “L' aristotelismo padovano (Firenze, Sansoni) – i lizii -- già edita
in “Archivio di filosofia, Umanesimo e Machiavellismo”, Padova); “Il
naturalismo del Rinascimento, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, Roma, Universitarie; “L'alessandrinismo nel
Rinascimento, Corso di Storia della filosofia. Anno accademico, I. Borzi e C. R. Crotti, Roma, “La Goliardica”
La fine dell'averroismo, Gli scritti di Pomponazzi. “Giornale critico della
filosofia italiana”, Le opere inedite di Pomponazzi. Il fragmento marciano del
commento al “De Anima” e il maestro di Pomponazzi, Trapolino, Il problema della
verità, soggetto e oggetto dell'conoscere nella filosofia antica e medioevale”
(Universale di Roma, Roma); “La crisi del Rinascimento e il dubbio cartesiano,
Corso di storia della filosofia T. Gregory, “La Goliardica” Il commento di
Simplicio al “De Anima” Archivio di filosofia”, Padova, La miscredenza e il
carattere morale di Vernia, Giornale critico della filosofia italiana, Le opere
inedite di Pomponazzi, “Giornale critico della filosofia italiana” Le
meditazioni di Cartesio, Lezioni di storia della filosofia. “La Goliardica”,
Roma, Pomponazzi e la cicogna dell'intelletto, “Giornale critico della
filosofia italiana” Il dualismo cartesiano, Corso di storia della filosofia. T.
Gregory, “La Goliardica”, Roma, Il dualismo cartesiano degl’occasionalisti a
Leibniz, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, “La Goliardica”, Roma, Ancora
qualche notizia e aneddoto su Vernia, Giornale critico della filosofia
italiana, Marcantonio e Zimara: due filosofi galatinesi, “Archivio storico Pugliese” Un'importante
notizia su scritti di Sigieri a Bologna e a Padova alla fine del sec. XV,
“Giornale critico della filosofia italiana”, Contributo alla biografia di
Feltre, “Bollettino del Museo civico di Padova”, Letteratura e cultura del
Quattrocento, in “La civiltà veneziana del Quattrocento” (Firenze, Sansoni); “Appunti
intorno a Trapolin, In Miscellanea” (Edizioni di Storia e letteratura, Roma);
“Copernico studente a Padova”; “Studi e problemi di critica testuale. Convegno
di studi di filologia italiana nel centenario della Commissione per i Testi di
Lingua, Bologna, L'aristotelismo della Scolastica e i Francescani, in Studi di
Filosofia Medioevale” (Storia e letteratura, Roma); “Pomponazzi e la teoria di
Avicenna intorno alla generazione spontanea dell'uomo” (Mantuanitas vergilana –
(Ateneo, Roma); La scuola di Rialto e l'Umanesimo veneziano, in Umanesimo
Europeo e Umanesimo veneziano” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pomponazzi” (Monnier,
Firenze); “I lizii di Padova” (Monnier, Firenze); “Corsi manoscritti di lezioni
e ritratto di Pomponazzi, in Atti del VI Convegno internazionale di studi sul
Rinascimento” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pietro Pomponazzi” (Monnier,
Firenze); “Saggi e note di critica dantesca, Ricciardi, Filosofia e teologia ai
tempi di Alighieri in rapporto al pensiero del poeta, in Saggi e note di
critica dantesca” (Ricciardi, Milano); “Saggi e note sulla cultura veneta del
Quattro e Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova); “Saggi sulla cultura
veneta del Quattro e del Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova, Divina
Commedia, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia dantesca,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un profilo biografico, Consulenza
scientifica Società Dantesca Italiana. Bruno Nardi. Nardi. Keywords: dantesco,
Alighieri, animo, Pomponazzi, Virgilio, Enea, inferno, il concetto d’animo, la
filosofia romana nel secolo d’augusto – il secolo d’oro della filosofia romana
– il secolo augusteo, pico, abano. Refs.: H. P. Grice, “Lasciate ogni speranza
voi ch’entrate,” The Swimming-Pool Library. – Luigi Speranza, “Grice e Nardi:
il paradiso filosofico” --.
Grice e Nasta – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Caulonia).
Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide, “Vita di
Pitagora.”
Grice e Natoli – uomo tragico – origini
dell’antropologia romana – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi
Speranza (Patti). Filosofo italiano. Grice: “I like Natoli. He
philosophises on the ‘uomo tragico’ at the source of western civilisation, and
also the experience of ‘pain’ at the source of it.” Si
laurea a Milano, dove ha trascorso gli anni nel Collegio Augustinianum. Insegna
a Venezia e Filosofia della politica alla Facoltà di Scienze Politiche
dell'Università degli Studi di Milano. Attualmente è Professore di
Filosofia teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione
dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Attività accademica In
particolare, Salvatore Natoli è il propugnatore di un'etica neopagana che,
riprendendo elementi del pensiero greco (in particolare, il senso del tragico),
riesca a fondare una felicità terrena, nella consapevolezza dei limiti
dell'uomo e del suo essere necessariamente un ente finito, in contrapposizione
con la tradizione cristiana. Filosofia del dolore Una particolare e
approfondita analisi sul tema del dolore è stata condotta da Natoli in diverse
sue opere. Il dolore è parte essenziale della vita e per gli antichi
filosofi greci era l'altra faccia della felicità: «I greci si sentono
parte e momento della più grande e generale natura, crudele e insieme divina,
si sentono momento di quest'eterno e irrefrenabile fluire, ove non vi è
differenza tra bene e male allo stesso modo in cui il dolore si volge nella
gioia e la gioia nel dolore» La natura infatti dava la vita e nello
stesso tempo crudelmente la toglieva. Il dolore in realtà fa parte della vita
ma non la nega: il dolore può essere vissuto e reso sopportabile se chi soffre
percepisce non la pietà dell'altro ma che la sua sofferenza è importante per
chi entra in rapporto con lui e con la sua sofferenza. Se chi soffre si sente
importante per qualcuno, anche se soffre ha motivo di vivere. Se non è importante
per nessuno può lasciarsi prendere dalla morte. Secondo Natoli
l'esperienza del dolore ha due aspetti: uno oggettivo, il danno («Nel momento
in cui la sofferenza è motivata attraverso la colpa, colui che soffre non solo
patisce il danno, ma ne diviene anche il responsabile»); e uno soggettivo, cioè
come viene vissuta e motivata la sofferenza. La stessa sofferenza è
interpretata in modo differente da diverse culture: per alcune il dolore fa
parte della contingenza del mondo fenomenico, dell'apparenza per altre invece,
è vissuto intensamente come ad esempio nel cristianesimo dove al dolore viene
associata la redenzione. Vi è una circolarità tra il dolore e il senso che fa
sì che, pur essendo il dolore universale, ad ognuno appartenga un dolore diverso.
Vi è dunque un senso del dolore e un non senso che il dolore causa. Il dolore
infatti contraddice la ragione che non sa darsi spiegazione del perché il
dolore abbia colpito proprio quell'individuo e per quali colpe quello abbia
commesso e, infine, perché il dolore travagli il mondo. Il tentativo di
rispondere a queste fondamentali domande fa sì che l'individuo scopra nuove
forze in lui che generino un vittorioso uomo nuovo che, partendo
dall'esperienza del dolore, s'interroghi sul senso dell'esistere, tenendo
sempre presente però, che il dolore può segnare anche una definitiva
sconfitta. Nel dolore l'uomo può scoprire le sue possibilità di crescita
ma questo non vuol dire disprezzare il piacere, sostenendo che questo, invece,
ottunde gli animi. Il piacere invece affina la sensibilità come accade per chi
ascolta frequentemente una buona musica. Il piacere invece è negativo quando
diventa «monomaniaco, eccessivo, quando, anziché sviluppare la sensibilità, la
fossilizza in un punto di eccessiva stimolazione. E l'eccessivo stimolo
distrugge l'organo.» A differenza del piacere, dell'amore che è dialogo tra
due, che è espansivo e affabulatorio anche quando è silenzioso, l'esperienza
del dolore chiude il singolo nella sua individualità e incomunicabilità, poiché
«il corpo sano sente il mondo, il corpo malato sente il corpo. E quindi il
corpo diventa una barriera tra il proprio desiderio, l'universo delle
possibilità, e la realizzabilità delle medesime possibilità.» Sebbene il
dolore sia "insensato" si cerca di spiegarlo con le parole spesso
inutili ed allora si cerca dapprima la parola "efficace" che offre la
tecnica o la parola "efficace" della preghiera, della fede, che non
annulla il dolore, ma dà una speranza nel miracolo. L'efficace uso della parola
per spiegare il dolore fa sì che gli uomini trovino conforto nella comune
sofferenza, in quella universalità del dolore dove però ognuno rimane nella sua
singolarità di senso. La parola efficace della tecnica per un verso ha
alleviato il dolore ma per un altro può creare delle condizioni di vita
tali per cui la stessa tecnica controlla il dolore senza togliere la malattia,
creando così un'esistenza prolungata senza futuro sotto la continua incombenza
della morte: «A partire dal Settecento, ma ancor più nel corso
dell’Ottocento, la tecnica è stata sempre di più associata alle filosofie del
progresso: infatti ha emancipato gli uomini dai vincoli naturali, ha ridotto il
peso della fatica, ha attenuato il dolore, ha accresciuto il benessere, ha
conteso lo spazio alla morte differendola sempre di più… ma la tecnica, oggi, è
nelle condizioni di interferire in modo profondo nei processi naturali
modificandone i cicli…» Una soluzione all'inevitabilità del dolore può
essere l'adesione a un nuovo paganesimo secondo l'antica visione greca
dell'accettazione dell'esistenza del finito e della morte dell'uomo. «Il
cristianesimo ha alterato l'anima pagana. Nel momento in cui il sogno di un
mondo senza dolore è apparso, non ci si adatta più a questo dolore anche se si
crede che un mondo senza dolore non esisterà mai. La coscienza è stata visitata
da un sogno che non si cancella più, e anche se lo crede inverosimile tuttavia
vuole che ci sia.» Anche il cristianesimo infatti teorizza l'uomo finito,
ma non essere naturale destinato alla morte, ma come creatura di Dio. Per il
cristiano la vita finita condotta secondo il dovere porta all'accettazione
della morte come passaggio a Dio. Per il neopaganesimo la vita finita è degna
di essere vissuta senza speranza di infinitezza ma vivendola secondo un ethos,
che non è dovere di obbedire a un comando morale con la speranza di un premio
eterno, ma buona e spontanea abitudine di una condotta consapevole
dell'universale fragilità umana. Saggi: “Soggetto e fondamento” -- studi
su Aristotele e Cartesio (Padova, Antenore); “La critica del linguaggio”
(Venezia, Marsilio); “Ermeneutica e genealogia -- filosofia e metodo” (Milano,
Feltrinelli); “L'esperienza del dolore -- le forme del patire” (Milano, Feltrinelli);
“Gentile” (Torino, Boringhieri); “Vita buona vita felice -- scritti di etica e
politica” (Milano, Feltrinelli); “Teatro filosofico -- gli scenari del sapere
tra linguaggio e storia” (Milano, Feltrinelli); “L'incessante meraviglia -- filosofia,
espressione, verità” (Milano, Lanfranchi); “La felicità -- saggio di teoria
degli affetti” (Milano, Feltrinelli); “I nuovi pagani” (Milano, Saggiatore); “Dizionario
dei vizi e delle virtù” (Milano, Feltrinelli); “La politica e il dolore” (Roma,
EL); “Soggetto e fondamento. Il sapere dell'origine e la scientificità della
filosofia” (Milano, Mondadori); “Delle cose ultime e penultime” (Milano, Mondadori);
“Natura, poesia, filosofia” (Milano, Mondadori); “Progresso e catastrophe -- dinamiche
della modernità” (Milano, Marinotti); “Dio e il divino” (Brescia, Morcelliana);
“La politica e la virtù” (Roma, Lavoro); “La felicità di questa vita -- esperienza
del mondo e stagioni dell'esistenza” (Milano, Mondadori); “L'attimo fuggente o
della felicità” (Roma, Edup); “Stare al mondo -- escursioni nel tempo presente”
(Milano, Feltrinelli); “Il cristianesimo di un non credente” (Magnano,
Qiqajon); “Libertà e destino nella tragedia” (Brescia, Morcelliana); “Stare al
mondo -- escursioni nel tempo presente” (Milano, Feltrinelli); “Parole della
filosofia o dell’arte di meditare” (Milano, Feltrinelli); “La verità in gioco”
(Milano, Feltrinelli); “Guida alla formazione del carattere” (Brescia, Morcelliana);
“Sul male assoluto -- nichilismo e idoli nel Novecento” (Brescia, Morcelliana);
“I dilemmi della speranza” (Molfetta, La Meridiana); “La salvezza senza fede” (Milano,
Feltrinelli); “La mia filosofia -- forme del mondo e saggezza del vivere” (Pisa,
Ets); “L'attimo fuggente e la stabilità del bene – la Lettera a Meneceo sulla
felicità di Epicuro (Roma, Edup); “Edipo e Giobbe -- contraddizione e paradosso”
(Brescia, Morcelliana); “Dialogo sui novissimi” (Troina, Città Aperta); “Il
crollo del mondo -- apocalisse ed escatologia” (Brescia, Morcelliana); “L'edificazione
di sé -- istruzioni sulla vita interiore” (Roma-Bari, Laterza); “Il buon uso
del mondo -- agire nell'età del rischio” (Milano, Mondadori); “Figure
d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger (Milano, AlboVersorio); “Eros e philia”
(Milano, AlboVersorio); “Nietzsche e il teatro della filosofia” (Milano, Feltrinelli);
“Le parole ultime -- dialogo sui problemi del fine vita” (Bari, Dedalo); “I
comandamenti: non ti farai idolo né imagine” (Bologna, Mulino); “Le verità del
corpo” (Milano, AlboVersorio) – IL CORPO -- Sperare oggi (Trento, Margine); “Le
virtù dei Giusti e l'identità dell'Europa -- la salvezza senza fede” (Feltrinelli);
“Enciclopedia multimediale delle Scienze Filosofiche. Il senso del dolore. In L'esperienza del dolore. L'esperienza del dolore nell'età della
tecnica. Siamo finiti. E anche la tecnica lo è, da Europa, I Nuovi pagani, Saggiatore, Milano, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Intervista per Il Rasoio di Occam, Video
intervista su Asia, su asia. Dov'è la vittoria? “l'Italia civile che resta minoranza”
intervista di, Il Fatto Quotidiano. Salvatore Natoli. Natoli. Keywords: uomo
tragico, origini dell’antropologia romana, Gentile, corpo. Chora di Platone,
antropologia degl’italiani, filosofia siciliana, Gentilefilosofoitaliano --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Natoli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nausito – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. A
Pythagorean – cited by Giamblico, “Vita di Pitagora.” He rescued Eubulo di
Messina, another Pythagorean, from pirates.
Grice ed Nearco – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A
Pythagorean, he played host to Cato Maggiore when Catone recaptured Taranto
from the Carthaginians.
Grice e Nicoletti – quadrature ed implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Udine).
Filosofo italiano – Grice: “His
diagramme for ‘arbor porphyriana’ is also brilliant – ending with “Plato,”
“Socrates.”” -- Grice: “I especially like his squaring the square of
opposition!” -- Grice: “A veritable genius, this Nicoletti.” -- Not under ‘Venezia’! -- paolo di
venezia: philosopher, the son of Andrea Nicola, of Venice He was born in Fliuli
Venezia Giulia, a hermit of Saint Augustine O.E.S.A., he spent three years as a
student at St. John’s, where the order of St. Augustine had a ‘studium generale,’
at Oxford and taught at Padova, where he became a doctor of arts. Paolo also
held appointments at the universities of Parma, Siena, and Bologna. Paolo is
active in the administration of his order, holding various high offices. He
composed ommentaries on several logical, ethical, and physical works of
Aristotle. His name is connected especially with his best-selling “Logica
parva.” Over 150 manuscripts survive, and more than forty printed editions of
it were made, His huge sequel, “Logica
magna,” was a flop. These Oxford-influenced tracts contributed to the favorable
climate enjoyed by Oxonian semantics in northern Italian universities. Grice:
“My favourite of Paul’s tracts is his “Sophismata aurea”how peaceful for a
philosopher to die while commentingon Aristotle’s “De anima.”!” His nom de plum
is “Paulus Venetus.”— Paolo da Venezia
Nota disambigua.svg Disambiguazione"Paolo Veneto" rimanda qui.
Se stai cercando lo scrittore e vescovo nato a Venezia, vedi Paolino
Minorita. Paolo da Venezia in una stampa
ProfessorePaolo da Venezia, o Paolo Veneto, vero nome Paolo Nicoletti (Udine),
filosofo. Eremitano, fu studente all'Oxford e docente all'Padova dal 1408 ove
ebbe tra gli allievi Paolo Della Pergola. Divenne ambasciatore veneto presso la
corte polacca. Per le sue idee teologiche e esiliato a Ravenna ma, due anni
dopo, gli fu consentito di tornare a Padova.
Fu seguace di Guglielmo di Ockham e Sigieri di Brabante e autore di vari
trattati, tra cui alcuni commenti ad Aristotele. Il suo trattato Logica magna
fu utilizzato come testo di insegnamento della logica all'Padova e può essere
considerato la maggiore opera di logica formale prodotta dal Medioevo. Opere: “Logica,” “Commenti alle opere di
Aristotele” “Expositio in libros Posteriorum Aristotelis,” “Expositio super
VIII libros Physicorum necnon super Commento Averrois,” “Expositio super libros
De generatione et corruptione” “Lectura super librum De Anima” “Conclusiones
Ethicorum” “Conclusiones Politicorum” “Expositio super Praedicabilia et
Praedicamenta.” “Scritti sulla logica: Logica Parva or Tractatus Summularum, “Logica
Magna”; “Quadratura”; “Sophismata Aurea. Altre opere: “Super Primum
Sententiarum Johannis de Ripa Lecturae Abbreviatio,” “Summa philosophiae
naturalis,” “De compositione mundi. Quaestiones adversus Judaeos. Sermones. N
Dizionario di Filosofia Treccani, riferimenti in. Vedi «Paolo Della Pergola» in Dizionario di
Filosofia Treccani. Eugenio Garin,
Storia della filosofia italiana, terza ed., Edizione CDE su licenza della
Giulio Einaudi editore, Milano, «Paolo Veneto», in Enciclopedia Dantesca, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, «Paolo Veneto», in Dizionario di Filosofia
Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Alessandro D. Conti, Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Alessandro
D. Conti: Esistenza e verità: forme e strutture del reale in Paolo Veneto e nel
pensiero filosofico del tardo medioevo. Istituto Storico Italiano per il Medio
Evo, Roma, Nuovi studi storici, A. R. Perreiah: "A Biographical
Introduction to Paul of Venice". In: Augustiniana. Paolo Veneto, Logica, Venetiis, Bartolomeo
Imperatore, Francesco Imperatore, Enrico
Gori, dal sito Filosofico.net (Alessandro Conti, Paul of Venice, in E. Zalta,
Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and
Information, Stanford.Filosofia. LOGICA PAVLI rectam atgemendatam. Additis quotationibus Postilis
ad textus declaratione. Necnon Tabulao figuris. VENETI HABES INHOC
ENCHIRIDIO summam totius Dialecticæ, mira quad a brevitatem atos facilitate ad utilitatem
stude tium conscriptam ab eximioætatis suæ magistro Paulo Veneto Nupero
diligenti studio cor Venetes EMANUELE ITECA NAZ GOMA ME YOLL .pkrior dla Lohan
Somerilatarei long COMO0Io (ICO? CO ? ri 1 1 ROMA ni logica
OLUTELY A parva. A Pauli Veneti Heremita Onspiciens librorum quorundam
magnitudinem redium constituentem in animo studerium nec non et aliorum nimiam
brevitatem quibus nulla se ethica re est annexa doctrina. Ideo volens cap.s. et
medium retinere utriusg sapiensnam 5.ethic, turam extremt, compendium utile
construxi iuveni t.co.6. ВB bus pluribus diui sum tractatibus, Quorum primus summularum tradit notitiam.
Septimus contra primum obiicit, solutionem ad dens responfiuam. Quia ergo
doctrina quecuncka communiori ut ait t-C.4 . PHILOSOPHUS in prohemio phylic. sumic
exordsum , ideo Dislot tractatus primus terminum sic diffinies incipitapriori.
miningp De definitione termini et eius divisione quide. i. II suppositionum declarat mareriam. III consequentiarum
ostendit doctrinam. IV terminorum vim instruir probativam. V ligandi regulam
docet obligatiuam. VI insolubilia solvendi dar artem et viam. VIII tertium fortificat
prationem argumentativa. cap. 1. prio. c. TERMINUS EST SIGNUM ORATIONIS
CONSTITUTIVUM. Et BOEZIO ut pars propinquae iusdem , ut: “homo” ,lyani in. 1, de
mal. Et notanter dicitur propinqua quia oratione vocatur “dictio”, remota vocatur
litera vel syllaba, di 2. ecin. i Dstio igitur et non litera uel syllaba, est terminus.
defyllo. Terminum quidam est per cate. T differē. Tio habet partes propinquas et
remotas, propinquatop.c. 2 cius vide SIGNIFICATIVUS est ile qui per
se sumptus nihil representat --: ut s. “me,” “te,” “omnis”, “nullus,” “quilibet”,
“quicunque”, “alter”, et consimiles. Terminorum quidam si secunda significant naturaliter
et quidam AD PLACITUM.Termi divisio p nus naturaliter si significans est ille qui
apud omnes eius qua vide de m efd RE-PRAESENTATIVUS, sicut ly “homo“animal",
in primor mente. Terminus AD PLACITUM significans est ille qui ye.c.i.et NON
apud OMNES eiusdem est re-praesentativus sicut ille ipsum. Terminus “homo” in voce
vel in scripto, qui apud nosft. B Paul. sin significat ‘hominem’, sed apud alias
nationes nihil significant, ut sunt greci (“anthropos,” “aner”). Reefo.Terminorum
quidam est categorematicus, et quida3 S.colū. SYNcategorematicus.Terminus
categorematicus est pri. diui. ticularia particulariter. Præpositiones
determinatsub certocafu. Aduerbiauerbum, et coniunctiones ha minum.i.rem quæ non
est terminus datoque effet,ficut TRACTATVS Secunduz se significativus, quidamnon.Terminus
perle signi Voety fancarious est ile qui per se sumptus aliquid re-praesen
mologiã tasuely “homo,” ly “animal”. Terminus non per se signi ille quitam perle
quam cum alio habet proprium fie Tertia significatum – ut: “homo”: siueen imponatur
in oratio divisione, lieu extra, semper significar ‘hominem’. Terminus Dehac SYNcategorematicus
est terminus habens officium qui vide la perfesumptus nullius est significativus.
ut signa distric tiusilo.butiva – ut: “omnis”, “nullus”, et signa particularia –
ut: ali mafo. 2. “aliquis”, “alter”, et præpositiones (“to”), et adverbial et
coniuctiones. Signa namqz distributiua habent officium, fal.3.quia determinant distributive,
universalia yłr, et par bent coniungere terminus vel orationes. Terminorum
quidam est prime intentio Pau.lo.nis, et quidam secundæ intentionis. Terminus primæ
ma, sol. intentionis est terminus mentalis significans non ter D“homo, significat
sor. & pla. quorum nullus potest esse terminus. Terminus autem secunde intentionis
est terminus mentalis significans solum modo terminum A vel propositionem, ut ili
termini mentales, nomen, verbum, participium, propositio, oratio et huius modi.
Nis est terminus vocalis vel scriptus significans solum B modo terminum vel propositionem
utili termini vocales vel scripti, nomen, verbum participium, athuius modi. Terminorum
quidam funcin complexi, et quidam complexi. Terminus in 6.diui complexus vocatur
dictio – ut: lylapis,ly lignum. Sed fioVide terminus complexus est oratio – ut:
“homo [est] albus”, lor. et Paul.in placo, deum effe. et huiusmodi. De nomine.
liter considerat: ideo de his restat deffnitiones assignare. NOMEN est terminus
significativus lo.ma.f. SINE TEMPORE cuius nulla pars aliquid significat separa
dissintta – ut: “homo”. In ifta definitione
ponitur terminus lotionoie cogeneris, quia omne nomem est terminus. et non econ
proqua verso: dicitur significatiuus, quia termini non significativi depri non funt
nomina apud logicum, licet bene apud grammaticum – ut: “omnis”, “nullus”, et similia. Dicitur ‘sine tempore’, ad differentiam
verbi et participia, quæ significant *cum* tempore. Ponitur: ‘cuius D nula pars
aliquid significant separata’ -- ad diferentiam orationis, cuius partes significant
separate mo pyo er.c.c2 Terminorum quidam eat s.diuifio prime impositionis,
quidam secundæ.Terminus prime impositionis est terminus vocalis vel sriptus signi
Boe.in ficans non terminum -- ut “homo”, et “animal” in voce vel in scripto.Terminus autem
secundam impositio. In princ. L3 Via de nominee et uerbo ex quibus oratio с
componitur et propositio, logicus principa . Defini. V uuset extremorum
unitiuus, cuius nulla pars aliquid significar separata, ut “curre” c vel dispur
i io b i. tar. Ec dicitur primo, temporaliter significativus, ad eric. i. tiw
oro pin . p i disnes positum cum apposito sicut verbum. ceterg autem par trcuiæ
ponuntur. Sicut in deffinitione nominis. Ratio est terminus significativus,
cuius ali- B garlicant separatę. Orationum alia perfecta, alia hewide
Dcoratione. qua pars aliquid significant separata, ut “homo [est] albus” deữeffe.
Vltima particular ponitur ad Piroca Jüfferentiam nominis et verbiquorum partes non
fi cite suz etc . cogeneris, quia omnis propositio est oratio et col.1. cipit quæ
non sunt propositiones non obstante quod ilum generat IN ANIMO AUDITORI si – ut:
“Homo currit.” Or a boviti imperfecta. Oratio perfecta est ila quæ perfectum
len no Ide uim uce cio imperfecta est ila quæ imperfectum sensum gene. ferinõis
rat, Notandum quò d tres sunt species orationis perfectæ quia orationum
perfectarum. Alia INDICATIVA – ut: “Homo currit” . Alia est oratio imperativa –
ut: “doceioannem.” Alia ed incelreligie ineis oratio optative – ut: “Utinam essem
bonus logicus”. fint ap te nate. VERBUM est terminus temporaliter significati
differentiam nominis quod significat sine tempore. Secundo dicitur, et extremorum
uniciuus: ad differentia participium quod significar cum tempore, sed non
unitfup 0 -3 gñare fectū sen bus vide ilo, ma. fol. Propositio eit oratio indicatiua
verum vel falsum significans – ut: “Homo currit” -- ponitur oratio lo non e converso.
Secundo dicitur indicativa. quia Cola indicari va est propositio, non autem
imperativa nec optativa.Vicimoannectitur: verum vel falsum significans: propcer
tales orationes. Cortes potest , plato in PS pro qui alia categorica
alia hypothetica. Propositio ca divisio. Categorica est ila quæ habet subiectum
prædicatum et Vide in copulam tanquam principales partes fui – ut: “Homo est animal.”
l o ,m a . f o animal. Subiectum est ly “homo”, prædicatum uero,101.col, ly “animal”.
Copula illud verbum “est”: quia coniungit tum. Dicitur quod habet IMPLICATUM prædicatum.
vide licet,ły “currens” quod patet in resolvendo illud uerbum “currit.” -- in: sum
currens, es currens, est currens, et suum participium. Subiectum est de quo aliquid
dicitur – ut: “homo”. Prædicatum vero quod dicitur de altero – ut: “animal.” Sed
copula Quid (u bicctuz semper est verbum substantivum: “sum currens”, “es
currens vel hom”, “est homo et currens.” De quidp. propositione hypothetica posterius
dicetur ad cuius tum & C differentiam point urilla particula: principales partes
quid co . D sint indicatiue. Quia non significant verum nec falsum. Diffini cum
sint orations imperfectæ. Ca. 6. luifiones sub propositione contentas sequitur
D numerare. Propositionum Prima subiectum cum predicato. B rir est propositio categorica
et non habet prædica. Solutio Et si dicatur “homo cur . Dubo . fui.quia principales
partes hypotheticæ non sunt pula, subiectum et prædicatum: sed plures categoricęut.
Propoli diuifiotionum categoricarum alia affirmativa, alia negativa. Propositio
categorica affirmatiua est ila in ligiex.i. qua verbum principale affirmatur, ut
“Homo currit.” Propositio categorica negativa est illa in qua er: Tertia bum principale negatur – ut: “Homo NON
currit” S. Propositionum categori:Diffusi carumalia vera, alia falsa. Propositio
categorica ue us&hac ra est ila cuius primarium et adequatum signifi-materia
carð est verum – ut: “Tu es homo.” Hæc enim est uera. “Tu es vide in homo.” quiate
esse hominem est verum.Voco filoma. divisio A tio. i. gi her. C. 5. . a4
1 mo. Cetera autem significate, utte esse animal, teelic substantiam, et huius
modi, sunt significate secundaria, et pones illa non dicitur propositio vera nec
falsa. Propositio categorica falsa est illa cuius primariam et adequatum
significatum est falsum – ut: “Tu es asinus.” ria, alia contingens. Propositio necessaria
est ila, cuius primarium et adequatum significatum est necessarium – ut: “Deus
est.” Propositio contingens est illa cuius significatum primarium et adequatum
est contigens – ut: “Tu es homo”. Et voco significatum contingens ilud C quod in
differenter potesse se verum vel falsum. Propositionum categoricarum alia
alicuius uide.i. quantitatis, alia nullius. Propofitio categorica alicu
prior.n.ius quantitates est illa quæ est universalis, particularis, 2.in pri,
indefinita, vel singularis. Propositio universalis est illa in qua subởcitur terminus
communis signo universali determinatus – ut: “Omnis homo currit”. Terminum
communem voco in presenti nomen appellativum et pronome pluralis numeri. Signa
universalia sunt ista: “omnis,” “nullus,” “quilibet,” unus gfavteros, ncuter, quails
D. :.libet, quantusliber, et huius modi. Propositio particularis est illa in qua
subiicitur terminus comunis igno 4. diui afol.158 significatum primarium et
adequatum propositionis, u r e a a d f. quod est simile orationi infinitive vel
coniunctiue il 267.secundlius. undete esse hominem, vel q “Tu es homo.” , diciturfiA
dępris. Significatum primarium et adequatum illius, “Tu es homo.” Propositionum
categoricarum alia fio vide possibilis, alia impossibilis. Propofitio categorica
por ilo.ma.fibilis eft illa cuius primarium et adequatum significatum est
possible – ut: “Tu curris.” Propositio categorica et adequatūfi. usa ad impossibilis
est illa cuius PRIMARIUM SIGNIFICATUM est impossibile – ut: “Homo est asinus.” Propositionum
categoricarum alia ne cella larem, nomen proprium aut pronomen
demonstravi Suum singularis numeri, ut: “iste”, “ista”, “istud”. Ex quibus fe B
quitur iam quæ est caregorica nullius quantitatis. Et dicitur quod illa quæ non
est universalis, nec particularis, nec indefinita, nec singularis -- ut exclusive
et exceptivæ et re-duplicative, videlicet, “Tantum homo currit, omnis homo preterfor.
mouetur, “Omnis homo in quantum homo est animal”. Luxta primam secunda Qualis, ne,
ue laf, u. Quanta, par, in, fin, Prima pars sic intelligitur, quod ad interrogationem
de propositionc factam r Quæ respondetur categorica, vel hypothetica. Secunda autem
asserit quod ad interrogatione factam per Qualis? Respondetur affirmatiua vel negatiua.
Sed in tertia denotata a quod ad interrogationem factam g Quan tarmñdcatur, universalis,
particularis indefinita, ucl singularis, et hoc fm exigentiam propositionis
propositę. De duabus alijs pposition am divisionibus. Ræterfu pradictas diuisiones
dugalią declaran- Prima cur. Propositionum categorica divisio – ut: “Homo
currit.” Propositio categorica modalis est illa in qua ponitur aliquis modus --
ut possibile est sor, cur particulari determinatus – ut: “Aliquis homo disputant.”
Si Idem in gna particularia sunt ista: “aliquis,” “quidam”, “alter”, reli7. tract.
A quus, et huiusmodi. Propositio indefinita est illa in huius in qua subijcicur
terminus communis SINE aliquo signo – ut: c.i.& in “Homo est animal.” Propositio
singularis est ila inqua lo.ma. . fubijcitur terminus discretus, vel terminus comiscum
107. col. pronomine demonstratiuo singularis numeri. Exem :4. plumprimi. sor.currit.
Exemplum fecundi: “Ille homo disputat.” Voco autem terminum discretum vel singu.
с P. ultimam divifiones ponitur iste versus. Querca, uel ră alia dein efle, alia
modalis. Propositio catego Dricadein efic est illa in qua non ponitur aliquis modus
1: Figura de in effe. r e r
e .Modi autem sunt sex . c possibile, impossibile ne Seconda. necessarium, contingens
verum et falsum. Propositionum modalium: quædam est in sensu diviso et quædam in
sensu composito. Propositio modalis in sensu diviso est ila in qua modus mediat
inter accusativum casum et verbum infinitivi modi – ut: “Fortem possibile est currere.”
Propofitio modalis in sensu composito est illa in qua modus totaliter præcedit,
vel finaliter sub sequitur – ut: “Deum esse est necessarium.” Impossibile est hominem
esse asinum. Ex his divisionibus originantur tres figuræ. Quarum prima dicitur
de in effe. Secunda modalis de sensu diviso fchabés admodum primæ. Tertia modalis
de sensu composito: leda cæteris disperata. Quartum declarationes ha besin
exemplo hic posito. A G libet ho currit. adaz hó ñ currit, Nurbo de currit.
Lontraric. Contadictorie dictorie subalterne, subalterne Figura: demesse
Gulltra gda3 ha cuifit, subcontrarie
reasu diuisio Contrarie Nullum hoie3 possibile est! curtcit . Contradictorie
Sub-alterne Sub-alterne de sensu dictorie Lörra mine polee curitie . Modalis de
sensu diviso. 6 sub-contraric Modalis de sensu composito. Nec currere est los. Impose
est currere for sub-alterne Contra sub-alterne dictorie Aliquem, ho Contrarie
de sensu composito 3 : Fig. Loncra . dictonic Contingens et por, non currere 2.
Figura Que libet ho minepole? currere . Pole for currtre , A liquê home minē ñ
pole est currere, sub-contraric Secunda præcise proeodemuelpro eisdem,
sunt contrariæ in figura – ut: “Quilibet homo currit,” “Nullus homo currit.” Particularis
affirmatiua et particularis negativa de consimilibus
subiectis prædicatis et copulis, supponentibus precise proeodemuel pro eisdem sunt
sub-contrariæ in figura – ut: “Quidam homo B Tertia currir, etquidā homo non currit.
Universalis affirmativa et particularis negativa,
ucl universalis negativa et particularis affirmativa. de consimilibus subiectis
predicatis et copulis, supponentibus. precisepro eodem vel pro cisdem , fu
Tabula omnium capitulorum huius logicæ primus est de mentis summulis quiconti De
syllogismo: Tractatus secundus est determis. Car.Ź Cap. primă de definitioc De
verbo 3 6 De diuifione propofi 8. De figuris propositio pothetica po. copu. ne
ciusdem. cn ūt materialiter etqñ PERSONALITER De propositione hy. 8 De ampliatiõibus
28 po. disiuncti. 15 De praedicabilibus 10 Tractatus tertius. de eiusdem di relativorum
net De oratione De propositione norum quando fuppo num deuppolitionibus có De
cognitione termi De appellationib De converfionetibus supponis et de diuisio De suppositione per De natur appõnuz
sonali tractatus divisa De nomine tionum De duabus alös diui De supposition ma. De equipollentős De signis confunden De propositione
hy De relativis proqui bussupponunc De propositione hy. De modo supponen cinens C fionibus propõnuzs teriali et de diuisione
DE DECEM PRAEDICAMENTA De decem prædica ', consequentősconti. de resolubi
De propositionibus Tractatus quintus est tionc obligationis et De obiectionibus
co tradictasreg. TABVLA uo tionc consequentiæ et De hypo. descriptibio eorum divisionibus
De regulis generalibus consequentiæ for De gradu pofitiuocô malis De regulis con. for.
q De gradu comparati De regulis poenespropositiones
quáras Delydiffert positions non quan De exceptivis De ly necessario et
contingenter parabiliter sõpto poncs superius, atq De gradu superlati -minos pertinentes et De ly
incipit et defi : impertinentes nir nens. De officialibus pro De defini libus. po.
de reg. eius. inferius De regulis poncs pro
De exclusiuis universalibus De convertibilitate uo. tas Dedecem lis alñsregu De
ly totus positioncs hypotheticas De ab æterno De infinitum de probationibus ter
obligatory artis: De reduplicativis De regulis poencster De immediate De semper
De regu.pancs pro tinens minorum continens. De deffic go cioc insolubilib?
et di s Obiectiones cöcrare tra insolubilia Obiectiones contradi milibus
propositioni bus regulas huius de defin De obiectionibus có finitioncs .hui? De exclusivis insolu De insolubili difiun-
ulti. ca.contra modos mi. De insolubili particu huiuspri De insolubilibus no é de obic Obiectiones
contra Obiectiones addicta est de obiectionibus contra De obiectionibus factis contra
re propositionum huiusprimitrac. De Amilibus et diffig Obiectiones contra pr De
deposition ibuster Obiectiones contra re minorum Tractatus Sextus De insolubili
uniuer Cali bus bilibus riuo ctivo figurarum apparentibus Obiectio. Gulasprimo et
gulas huiuspri de insolubilibus Obiectiones contra dif habens. .huius uifioncciusdem. Gulas huiuspri
lari vel indefinito mitra. de predicabili.
De insolubili copula. trac.in maceria syllogismorum n a contra dicta
huiuscertñ.tra, inm a Štionibus factis con car . las.huius terti
las. huius terti tracta. Venetijs ExpensisheredumLucæ TABVLA teria
consequentiară, tracta. tëtracta. Obiectacontraregu Obiectacontraregu tracta.
las, huiustertij las. huiusterto tracta Antonñ Iunte Florentini Registrum illaiquaiferi predicaturde
terrogatoezfactapqualise fuosuperiozi.vtaialeftbo. sozesvťplatopueniéterrñ
Predicatio eéntialiséillai deturq rifibiť totaratio quafuperi’pzedicaturdein
quareficpdicaturdeilliseq? feriozivelecóuersofzquod éppziapafsioilliustermini
dictiévľoriadealiquod illon bomo cum quo conucrtitur. Si
predicatioaccítaliséila Acchrétēmin’vniuoc'pze iquappuúvelaccñspzedir. Dicabilisdeplib
ieoquod caturdegenerefpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi
bľfuoidiuiduoautepuerfo Eréplüpzimi:vtbóèrifibil dirurindecepdicasca. Quo Paialéalbu.
exéplusivrrifi rupzimueltpredicarsitu lub bileéhoalbueaial.Etpfiľr
státiecul’generaliffimúébic dedriazidiuiduodicafl'me teri’lbalubàpoiturhicter
li’oicaturg pdicatioefriaťė mi?coup”.subcocpozecosp? praedicatio terminoz
eiusdez saiatu sub cozpoze aiato a dicamentivtbóestaial.pze, aialifpes specialis
simahoľ dicatioautaccica est piedi afinuszlbiftisfuaidiuidua
carioterminoxdiuerfozpze fozteszplato.bzunellus fa dicamentorumvthomoéale
uellus. Secundum predicame bus.Termin superioradre tu est pdicamentu quátitutis
liquúdicitureffeillequicon Lui'generalisfimúeftquäti.
tinerillúznecóuerfoficutli tasfubý sunt duo genera aialrespectuisti'terminihó
alternaärnulluestsuperius qzfignificatquicgdile?cuz adreliquúvzcontinuuz?di
bocaliquidvltra. Lermin’in scretu primigenerisiftefür feriozad reliquú dicitur effe
fpetieslineasuperficiescoz illequi continent urabeo.nnó pustempus locus.qR:bec
ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi iftiusterminibomo.
hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea infinitesuntfdeties. f.binari,
Lozpus aiatum rius trinarius et cetera. Redicamentu zestcoő
ciumeltpaffiovelpafsibilis dinariopluriuztermi, qualitas.Quartuzestforma
nozuFmsubzlupza. Etdiui, vetcircaaliquidpitasfigura us trinarius
quaternarizë Animatum Jnanimatuz indiuiduaverofunthicbina Sensibile Animal
Tertium piedicamentum è predicament z qualitatiscu iusgeneraliffimum est quali
Lozpus insensibile Rationale irrationale. tasfubquofuntquattuo:ge Animal
rationale nera subalterna: non sebabe Socrates Plato rio. Secundum eftnaturalis
p potentiavelimpotentia.Ier Substantia tia secundum sub z fupza.pzi mortalis
Jmmortalis mumesthabitusveldispofi, Domo cies.boc cozpusboc rempus Primi generis
speties fune Quintum predicament em grāmaticalogicazrhetorica
dicamétuacióiscuiusgener quaq individua sunt becgrå rasubalteznafuntfer quozu
matica logicab rbetorica. Nullu ėsuperiusad reliquum Lertijgenerisfpessunto
risspéssunt.generarehoiez redoamaritudo.albunigruz cozrupereequáquayindir
calidúzfrigidubuidum zfic uiduafuntficgenerareboiez cum.quarúidiuiduasuntheç
ficcorrupereequum Iertijz dulcedobiamaritudohocal quartigeneris spessuntau.
bumhocnigp buius modi. gereinlongudiminuereila Quarti generis species sut
tum.quozumindiuiduafffic circulustriangulusquadra augereilögumficdiminuer
gulus2 huiufmodiquarúidi inlatu. Quitigenerisspés uidua funt.biccirculus
.bicfunt calefacerez frigefacere triangulushicquadrágulus.
quaridiuiduafuntficcalefa Quartiipredicamétü Ċpdi cereficfrigefacer. Sertigo,
camerurelatóis. Lui'gene. Neris speciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada.
súmoueredeorsumquaruin liquidfbåfunttriagenera( diuiduafuntficmouerefurfu
alterailebita,zsup2 ficmoueredeorfum. Sertus Primum est caparatio.Se
predicamétaé predicaméruz cuduzéfuppofitio. Lertiuzė paffioniscu generatiffimu supposition
primigenerisfpe estp dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue
modus mediatiteractumca tur. Jurtaprimamfamzvi, sumzverbúinfinitiuimodi
timamdiuifionesponitifte vtfoztempoffibileé currere versus. Quecavelip.qualif propositio
modatisisenfu nevelaf. vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama
psficitelligitpad i taliterpcedirveifinaliter16 terrogationedepłopolinóe
fegturvtdeumef Teénecessa factagquerespondeturcar rium.Impoflibileébominė
tbegozicavelipothetica. Se effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer
nibus origináturtresfigure rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe. Seci,
fpondeturaffirmatiuavľne damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat
habensadmoduprime.ter, qadinterrogationefactaze tiaveroormodąlisofenfu2
quantarespodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua particularisindefinitavelfin
ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum eri inferiuspofito.:
gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. uifionesduealie decla
Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere Weceffe eft roz currere
Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie currer. -- Lontradictorie
Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo . non currit Lörigesest foz.ñ
Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile eftcurrere poffibileeft
soz.currer Subcontrarie Mullus bomocurrit. Impoffibilee Tozcurrere
Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria Snbalterne Subalterne Subalterne
Hullu boiez poffibileeft. currere currere ditozie Lontra Lontraditozie
Subalterne Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit
fecundefigurebere ptnll?bócurrit.necieptra gulegeneralespriaé dictorie.Disbócurrit2gda
tita.Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit.neciftefubala
zvniuerfalıfnegatiadepfitt terne.Disbó currit7quida b?fubiectis7predicatisfup
bomocurrit.qztermininifup ponétib”precisepeodévét ponuntprecisepzoeodevĽp
proeisdéfuntatrarieifigu, eisdez.Znona.n.fbinfuppóit ra.vtglibzbócurrit.2nllur
provtroq;reru.Jnaliavero' bocurrit.Secidaregťaeft particularis affirmaria et
promasculinotantum Scutqua tuozfgula particularisnegatia de pfimi lib
?fubiectis 7 pdicatis fup. fituanturpropofitoea infiguraitaquattuoz
ponétib?pcirepeodévelp alijsregulisipfarumcogno, cirdezsuntcontrarieifigu
fciturlerseunatura.quarum ra.vtgdabócurrit?qdåbo primaeftianonestpossibile
nócurrit.Lertiaregľaviuě duoztrariaeffefimulvera falisaffirmatiuaapricularis
benefimulfalsa.Primapars negatiavelvlisnegatiazp patzinductieinomnibus.Et
ticularisaffirmatiaopfilibö fecundaprobatuz.quoniazia fiectiszpdicatisfupponen
funtfimulfalfa.Quilibzboè tib?pcirepeodezvelpejsó albusznullusboestalb”.Et sunt
tradictoneifigura,vt iafimiliter Dmneanimaleft quilibzbócurriteqdábóñ
bomocnulluzaialefthomo curritP.ull'bócurrit?qui Secundaregulaeftiftanon
dåbócurrit.Quartaregla eftpoffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti
effefimulfalsa.fedbenefim cularisaffirmatia. Etviuer, vera.Patetparsprima ifin
salisnegatiuaaparticularis gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis
probaturquoniamistafuntfi 2predicatisfupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal
sepeodezvelpeisdezftit16 bus. aliquisbononeftalby alterneinfigura.vtglibzbó
Aliquod animal eft homo. Et currit gdambócurrit.Dar aliquod animal non eft homo
lus homo currit. gdazbol Tertia regulaeftifta. Honė mononcurrit
Expdictisfegturgilenó effefimulveravelfimulfalf.
L madiuifioeftiftaterminori vocaturlravelfyllaba.Pzie
distributiabiitofficiuq2dtē 25boraldefinitio,sebutcomienicu damagnitudiez
carituseftilequipermitesperjeigranasoatione. tediumcóftitué
aligdrepritatveuboliaial. kupindistan'tbeineciligaya tezinajoftudentiuznecno terminiplefignificatius
Pericarioneperforsales aliornimia;breuitatez.gbɔ eftilequiperfefumptusni,beit
perqúemymim nullafereeftaneradoctrina. bilrepresentatproisnulluseftpermainang
Ideovolensmediuftinere 7files.Secundadiuifioeft , vtriusqzsapiésnäzertremi.
iftatermiogquidazsignifi, ppendiumvtilecostruriiuue cantnaturalrzquidãadpla
nibɔplurib,diuisuztractati, citum.Lerminusnatural'rfi bus.quorprimusfuimularu
gnificansestilequiapooés traditnotitia. Secud fuppo
.eiusdeestrepsentatiuusficut firionú declaratmateriá.ter
ti-pregntianonditdoctrina. Poadplacitufignificanséil Quartusterminoqviistruit
lequinóapudoéseiusdez é pbatiua.Quint’ligidiregu, representatiu'ficurilletermi
lazdocetobligatiuaz.Sert? nusbóinvocevelinfcripto isolubiliafoluendidarartem
apudnosfignificatboiem.via. Septimusatraprimú apoaliquascertasnatoer
obijcitfolutionezaddensre, nibilfignificatvtfuntgreci: fpófiuaz.Dctaubotertium
bebrei.Zertiadiffinitoéifta fodificarpróem argunitati, Qterminokquidaeftcatbe
uá. Quiagdoctrinaquecun, gozematiczgdáfincathego acoiozivtaitphusinpzo rematic termi’cathegoze,
bemiophyficozumfüiteros, maticuseftillegtampiezz duuideotractatuspzim’ter/
cialiob3ppziùfignificatum mũiicofunitsicipapioi otlibófue.v. ponarinó eft
tibölianimalinte.Lermi? Gential uitdiferenmis.ut box Florin simp prout
firepmimusi Cedex gramaticaj. Lorical minátdistributiverparticu!
complerus eftozó vthomo lariaparticulariterÕpofitio alborozes platodeuzeffe
nesdeterminatfbcertocâu 2buiusmodiic. aduerbiaverbúzcõiúctóes Uia noier verbo
er biitcõiungere terminosvel quibus ozatio compoi ozóes quarta diuifio est ia
tur ppofitiologicus pzici. g terminoxquidaz eftpziei palitercófiderar.Jdeo'dbil
tentiois.7quidábeitencois reftatdiffinitionesaffignare Terminuspeintentóniseft
Homéest terminus fignift terminusmentalis fignificaf catiu?finetépozecuiusnulla
nonterminu.i.réānonéter parsaliquidfignificatseper minusdatoq effetficutlibó
ratavthomo.In iadiffinite fignificatsoztem zplatoné.å poifterminuslocogencris.
ruinulluspoteffeterminus. q2ocnomen estterminus.e Lerminusaütbe itentóisé
nóego.diciturfignificatinis terminusmentalisfignificát
quiatermininófignificatui solimoterminilppofitone nófuntnoiaapudlogicilicz
ptiliterminimentalesnon biapudgrāmaticivtomis verbtiparticipiúppofio nullus similia.
Tertio di, zbuiusmodi.Qüitadiuifio citurfietemporeaddiffere,
estistagterminozquidãcst tiñverbiaparticipüafignis peimpofitionisquidife.ter
ficantcumtempore. Duar minuspeimpositois estteri toponitcuiusnullaparsali
nusvocaťvèlscriptusfigni quidfignificataddifferentia ficansnoterminu.vtlibóz
orationiscuiuspartesfigni, liaialivoceveliscripto.ter ficät.(Uerbúeftterminato
min’autéfeimpofitioniseft požaliterfigificatiu?zertre terminusvocalisvelfcript?
monvnitiuuscuiusnullap8 fignificassolúīmodoterminu aliquidfignificatseparatave
velpropositionevtilitermi curritveldisputatoicifpria nirocalesvelfcriptinomen
mo temporaliterfignificati, verbtiparticipitizhuiumói uusaddifferentiamnominis
Sertadiuifioeftifta.Termi quodfignificatfinetempore nonquidifuntincópleri29
Secundodicitur ertremo damcompleri.Terminusin rumvnitiuusaddifferentia
complerusvocaturdictiovt participüquodfignificatcií lilapislilignum.Izterminus
tempože.sednonvnitfuppo fituscumappofitoficurvero quenonfuntppofitionesno
· bum.cetereatparticťepo obftáteqafintindicatieq?i nuiturficur toenois.
fignificantverumnecfalsuz . P Ropofitioeftoratioi dicitur.vtbomo predicatuz
,puma,plicare Progofito catbegozicaet"prodicaria,madevenirate Alia
iperfecta . Diario pfec bignier parte dignins e.me,ose ista
quebetßbiectuzzpiedichuo ublitt taeftilaqueperfectu fenfi catucopula generat
animo auditous. partes tanöspzincipaler,peplicireutimplicie. vtbomocurrit.
sui.vthomo eltaial. i), Etfidicarurbomo currite Horádumotresfuntspe
propofitiocatbegozicaznon Dratioefttérmin'lignifi cumfintozationesiperfecte
catiu?cuiusaliqua pars ali quidfignificat.vtboalb?de uz effe. Ulria particula
poni turaddifferentianominis? Propofitionuzaliacaibego verbi.grumpartesnonfigni
rica:Aliaypothetica. ficant.Dzationuzaliapfecta ibiectumestubomo predica
Diarioimperfectaestilla tum verolianimal.7copula aiperfectuzfenly;generari
illudverbumestq:coniungit animoauditousvtbomoal fbiectumcumpzedicato.
busdeumeffe d Juisiones1 opposito ne contentas segtur nuerare Pria eft ifta 5
cies orationis perfecte Drationuzperfectar.alia indicatiuavthomo currit babz
predicatum dicitur qa babzimplicicumpredicatuz v z li currens quod patzinreroí alia
imperatiua. ptooce joannem . Aliaoptatiua. Desum eseltasuum participiu uendo illud
verbum curritin vtinameffembonus logicus
Subiectuzestoe&aliquidadfubiecit”alori fal veroqd fümfignificás.vtbô
animal.Sedcopulafempererspularerreigitpilianca. currit.poniturozatolocoge
verbuzfbftátiuü.l.luzeseltveteteaiomm neris.q:oisppofitioestoza De
propofitioneyporbeti-inwirtelde eius. tioetnoneguerro. Secundo
capofteriusdiceruraddif, dicitur indicativa quod sola diferentiam cuius ponitur
il la catiuaeitppofitio.nonátim particulaprincipalespartes
peratianecoptatiua.Ulrimo fui. annectiturverumvelfalsuz Secundaoiuifioeftifta.
fignificansproptertalesoza Propofirionuzcabegozi, tionesfoztespór.platoicipit
car.Aliaaffirmatiuaaliane facit, egineris,matiuaeftilaiquaibupäin num
cathegozicarum aliane kleinesitimplicies apaleaffirmat öcbócurrit.
ceffariaaliacontingens,ppo diferenciaPresidurijgezo
pzopoçatbegozicanegatifitionecefariaeftilacuius artean =
uaeftillaiqobiipricipalene primariumzadequarumfigi gáf.vtbónocurrit.Tertia
ficatumeftneceffariumvtoe diuifioeftiappofitouzcatheus est.popofitiocontingens
goricaraliaveraaliafalsa. eftilacuiusfignificatumpzi, Propocatbegozicaveraéila
mariumzadequatumeftcó tui?pzimariuzadeqtuligni tingensvttuesbomo.Etvo
ficaruiéverúztuesbobecco fignificatumcontingensil n.eltperatueshóq2reeffe
ludquodindifferenterpotest boiezcftveru.Uocosignifi esseverumvelfalsum.Sex
catuprimaritizadeqtuppo tadiuifiopropofitionumca! fitionisqó eftfimileorationi thegozicaruzaliaalicui'quă
ifinitiuevel piúctie illius.vn ' titatis alia nullius.P2opo ca deteeffeboiem
velqotues 'thegozicaalicuiusquantitati bódicitfignificatu;primari
estillaqueévniuersalispar uzadequatúilliustuesbó ticularisindefinitavelfingu
ceteraåtsignificatavtteeffe laris. Flop.vniuersalise aialteefeTbstantia7huiul,
ilainquafubijciturerminosnasdistri mõisuntfignificatasecuidaria
comunisfignovniuersalides gacia.Prop cathegõicaaffer Quintàdiuifio.propofitior
burinemobil 7penesillaidicieppovera terminatusvtomnisbócursliepy.
necfalla.Propocathegorica rit. Terminuzcómunemvoco falfaeftillacui?pzimarius7
inprentinomenappellatiuuz adequatü fignificatum estfal fumvttuesarinus pionomen
pluralis numeri Signa vnüerfaliafuntiaoil Quartadiuisioppónuzca
nullusquilibetvnusquisqz thegoucaşialiapoffibilisali vterq;neuterqualislibzquá
aipossibilir.ppocathegorica tufliberzhuiufmodi.pzopofi
poffibiliseftilacui'paimari tioparticulariseftillainqua
uz?adeqrufignificatúépor iubijciturterminuscóisfigno fibile vt tu curris
particulari determinatusvt Propofitio cathegoricai, aliquisbo difputat. Signap,
poffibiliscst¡la cuiuspama ticularia funeiaaligs gdå al
rium7adequariifignificatus terreliqu’rbui?mór.pzopo eftiposibilevebóěafinus
indcfinitacfiillaiqualbijcie feprobatio:ctfromloco Fifolo terminuscómunisfinealiafip
Reterfupiadictasdi gno:ytbomo estanimal. Propofitiofingulariséil,
rantur.Primaeiftappofiti lainquafubijciturterminus onucatbegozicap.altadeief
discret?velterminoconiunif realiamodalis. Propofitio cumpnomine demostratiuo
cathegozicadeielleèillaiä fingularis numeri.Ermprimi non ponituraliquismodus.
utToutescurrit.ermfiillebo vtbỏcurrit.Diopofitioca disputar.Uocoautemtermi,
thegorcamodaliscillaina numdiscretumpelfingularé ponituraliquismod?vtpof
nompoziùautpnomenomo fibileefoxtemcurrer.Modiy Scromodi
ftratiuúfingularisnumerivt autemfuntferscilicetporsi,
ifteiftaistud.Erquib?fequi bilerimpossibileneceflariu turiamqueécatbegozicanĽ contingensverum
falsum liusquantitaris7diciturgil Secundadiuifio p:opositi
laanoévniuersalisnecpar onummodaliumquedamcst ticularisnecidefinitanecfin
infenfudiuiso quedazifer gularisvterclu fiue ercep sucompositoPropositiomo
tiuevztantumbocurrit.om dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue
modusmediatiteractumca tur.Jurtaprimamfamzvi, sumzverbúinfinitiuimodi
timamdiuifionesponitifte vtfoztempoffibileécurrere versus.Quecavelip.qualif
Propofitiomodatisisenfu* nevelaf.vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama
psficitelligitpad i taliterpcedirveifinaliter16 terrogationedepłopolinóe
fegturvtdeumefTeénecessa factagquerespondeturcar rium.Impoflibileébominė
tbegozicavelipothetica.Se effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer
nibusorigináturtresfigure rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe.Seci,
fpondeturaffirmatiuavľne damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat
habensadmoduprime.ter, qadinterrogationefactaze tiaveroormodąlisofenfu2
quantarespodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua particularisindefinitavelfin
ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum eri inferiuspofito.:
gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. uifionesduealie decla
Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere Weceffe eft roz currere
Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie currer CLontradictorie Qutuber bomo
currit Lontrarie Duídå bo . non currit Lörigesest foz.ñ Aliquesboinem
Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile eftcurrere poffibileeft soz.currer
Subcontrarie Mullus bomocurrit. Impoffibilee Tozcurrere Lontradictorie dictozie
Lontra Lontradictoria Snbalterne Subalterne Subalterne Hullu boiez
poffibileeft. currere currere ditozie Lontra Lontraditozie Subalterne
Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit fecundefigurebere
ptnll?bócurrit.necieptra gulegeneralespriaé dictorie.Disbócurrit2gda
tita.Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit.neciftefubala
zvniuerfalıfnegatiadepfitt terne. Disbó currit7quida b?fubiectis7predicatisfup bomocurrit.qztermininifup
ponétib”precisepeodévét ponuntprecisepzoeodevĽp proeisdéfuntatrarieifigu,
eisdez.Znona.n.fbinfuppóit ra.vtglibzbócurrit.2nllur provtroq; reru.Jnaliavero'
bocurrit.Secidaregťaeft particularis affirmaria et promasculinotantum Scutqua
tuozfgula particularisnegatia de pfimi lib ?fubiectis 7 pdicatis fup.
fituanturpropofitoea infiguraitaquattuoz ponétib?pcirepeodévelp
alijsregulisipfarumcogno, cirdezsuntcontrarieifigu fciturlerseunatura.quarum
ra.vtgdabócurrit?qdåbo primaeftianonestpossibile nócurrit.Lertiaregľaviuě
duoztrariaeffefimulvera falisaffirmatiuaapricularis benefimulfalsa.Primapars
negatiavelvlisnegatiazp patzinductieinomnibus.Et ticularisaffirmatiaopfilibö
fecundaprobatuz.quoniazia fiectiszpdicatisfupponen funtfimulfalfa. Quilibzboè
tib pcirepeodezvelpejsó albusznullusboestalb”.Et sunt tradictoneifigura,vt
iafimiliterDmneanimaleft quilibzbócurriteqdábóñ bomocnulluzaialefthomo
curritP.ull'bócurrit?qui Secundaregulaeftiftanon dåbócurrit.Quartaregla
eftpoffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti effefimulfalsa.fedbenefim
cularisaffirmatia.Etviuer, vera.Patetparsprima ifin salisnegatiuaaparticularis
gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis probaturquoniamistafuntfi
2predicatisfupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal sepeodezvelpeisdezftit16 bus.
aliquisbononeftalby alterneinfigura.vtglibzbó Aliquodanimalefthomo.Et
currit2gdambócurrit.Dar aliquodanimalnonefthomo lusbomocurrit.2gdazbol
Tertiaregulaeftifta.Honė mononcurrit Expdictisfegturgilenó
effefimulveravelfimulfalfa poffibileouo contradictoria patetifta reguladifcurrédo
alter. Hecranonfoludefuit Pfingťaptradironia.Quar primevelfecüdefigureimo
taregulaeft14.Sivniuerfaľ tertie.Etvocoibinegatio eftverafuapticularisvelin
neprepofitaquandocolligit definitafibifubalternaeftde modofuemod?pzecedarfi
ralnego.Unfibeffetvera uesequatur.7postpofitaqui gizboestalb?6fikreffzver
coniungiturverboinfinitiui raaligshoestalbosznóez modi.eréplüpzimi.nópofsi.
q:iadefactobeveraaliquis bileésoz.curreredelsoz.cur hoéalbɔ.znóiaquilzboeft
rerenóépoffibileereplúfi albɔ.Eteodémódicodenei possibileésoz.nócurrerevel
funtregule.quorpria reequiualetiftiptingenscft eftia. Hegpäepofitafacitz
foz.nócurrergpumăregula quipollerefuocótradictozio EthneceffeeTo2.noncurrer
viinoquil;bocurritequalet equiualetiftiimpossibileest isti.Aligshónócurrit.Etnó
soz. currerrrecundamregur nullus homo currit equiualz isti lam z i f t a non
nece f l e e soz . ni aliquishomo currit. eurrercquiual;huic possibi
Secundaraeftistanegató leésoz.currergtertiamrei poftpofitafacitegpoller fuo
gulamzitadicaturdecete contrariopbaf.näiftaquils risquibuscunq3quare7c. bomo
noncurritequipollet SDnuerfioeitcranspofi uftinullusbomo currit.2nul
tiosubiectiinpzedicar lushomononcurritequipol rum7econuerfo:vtbomoé
ictiftiquilibethomocurrit. animalanimalébomo.Etlý Lertiaregulaeftistanega
diuiditurinconuersionefimi rioprepofitazpostpositatai plicemperacciisopercorra
citequipolleresuofubalter, pofitionem. Lonuerfiofim no.vndebnonquilibethoñ
pleresttranspositiosubieci curritequipolletistialiquis inpredicatú7e2°manentee
bomocurrit.Etiftanonnul: Ademqualitateaquantitate lusbomononcurritequipol
vtnulluanimalcurritnulluz letiftialiquishomononcur curréseanimal. Lonuerfiog
rit.Undeversus.Precótra, acadésetranspofitiosubiec dic.postcontraprepostaz.sb
tiipredicatu epomanteca gatiuisquare 7c. roz.nó currere èpossibile .6
Quipollentiarumtres ergononneceffeesoz.curre demqlitarefzmutataquanti
uerfavera?Querfensfalfa. tate.vtoishó estaialaliqd Håbé peraaliqrolanoné
aialébo.Lóuerfiopptrapo fbftárianullarojaernte7ti fitioneeträfposiectiipdica
befalsaaliquifubstätianon tiirecóuerfomanéteeadem énonrosaq2suutradictori qualitaterquitirate.kmura
uzévertivžoisnonfubftan tistermisfinitisiterminosi tia ;estrora.
finitosvtquoddaaialficurs Lotradictiopuerfiõefim ritqodanocurrensnóénon
pliciarguiťpaiofic'becéve aialUtatfciafáfponóhis ranullusbõémuliē.zbecē
puerhonib?puertatponun falfanullamulierébóigif, furistiosus,Fecifimpliciter
Secuidobecéveranull?ce puertifeuapacci.Altopcon cusvid;ens:7becefalfanul
traficfitpuerfiotota.Jng? lumensvidetcecúergorc. ponúťquattuorlrevocales
Lertioßéveranuloom ? S.a.e.1.0.2fignificatplezar éibbiezljéfatfanullusbó
firmatiaz.2vlemnegatiuaz éidomogac.Adpzim DICIE i.pticularezvelidefinităaf,
giftanó suapuertens.fzia firmatiua.o.veropticulare; nullamulieréaligfbó.qioz
velidefinitanegatiua. Luš effephilislimitatioipuerté dicitfecifimplr.i.plisnega
teripuersa.Ad63picogi tiua7pticularisaffirmatiua fitdesbiectopdicatu.qziicft
puertütfimplr.puertiťeua p:edicatúlyens13lyvidens pacci.i, vlisnegariazplis
ens.ióficpuertiéšnullüvi affirmatiuapuertufp accñs densensécecii.Ad tertium
Artopara.i.vlisaffirmatia difimiliterquiaiépuertens zpticularisvelidefinitane
ei?Izianullüensiboiecdo gatiuacouertuntpoponem. m?.vľiainullobõieédom?
Harzuerfionúsimplerévti quianondebétterminimuta lioz.q2vniuerfaliterfipuerfa
recafumquarerc. é vera puertens é vera 7 eco plurescathcgoricar ipuerfióepaccñsestpuerfa
coniunctaspnotam conditio falla.vtbeaialchó.2pueri niscopulationisdifiunctiois
tensveraboéaisl.Jnquer velalicuiistarumequiualen fioneveropatrapènemécó
tez.Vttuesbóituefanimal uerfo.lzñéita i puersione p accideiis
velpatraponez:ná р Ropofitioypothe, ticaeftillaģbabet
Iresigitfuntfpesypotheti Deimpoffibilitatepossibly
CARnoequälentesifigifica, litateneceffitatezcoringen, do'ozaditionaťcopulatia ?
tiaeiusdemnonopzdicerea difitictia.Alievero vtlocaliterqzoiscóditionilisvera
cális ztörať nó funtypotheeftneceffariazoisfalraéim tice.fzcathegorice.Propofi
poffibilis.Hulla atitestque tioaditionalisèillaiäjiun
fitcótigens.iftereguledicte gun&plurescatbegoziceper
suntdecóditionalidenomia noriaditionisvtfituesbó taalyfiquarezi. tuesaial. Propofitionü
con ditionalium alia affirmati uaalianegatia.Propoaditic Dpulatiua eftillaque
onalisaffirmatiuaéillaiqua babetplures cathego 5nórepared
afirmaturnotaəditoiserel ricasgnotacopulationisiui plüpofitúest.Londitionalis
cemcõitictas.vttuesboiz negatiuaestillaiquanotacó ditionisnegatur vtnonfitu
eshotuesafinus7brempp batperaffirmatiua.Adveri ratezcóditionalaffirmatiue
requiriťzfufficitg oppofitú tusedes.Dzopofitionúcopu latiuarumaliaaffirmatiuaa
lianegatiua. Affirmatiuae illainquanotacopulationis affirmatureremplumpofitu
eft. Hegatiuaperoeltillai quanotacopulationisnegaE pritisrepugnetåtecedentivt
fituesbótuesanimal.bec vtnontuesbomoztuesasi veraeftquistarepugnanttu nus.
csbomo tunoessial.An Etsempernegariua proba tecedésvocatillappoqim
turperaffirmatiuam. mediate sequiturnotãcóditi Åd veritatem copulatiue
onis:cófequesveroeftalta. afirmatiuerequiriturquam f'meibad
itaotuesboeftafcedens? libetpartemerreveramvtcu tuesaialestconsequens.Ad
eshomoatuesanimal. falfitatezconditionalis affir, Etadfalfitatem copulati,
matiuerequirit.2fufficitq u e affirmatiue fufficitvnam "sistemahor
oppofitum cófequentisftét partemeffefalsa;vttuesbehurinefrom
cumancedentevifituesbó atucurris. tu sedes.Hec aut ftant fimul Bd
possibilitatem copula tuesbomoztunofedes.ió tiuerequiriturqualibetpar
itaconditionaliseftfalfa. técepossibiléznll'äaltériiz tatomagis *
welalijs Jhiunctiuaeftillaique Deusévelfoztesmouef.Ere
coñitigüturplescathe pltiftvttuesP'tunones.Et
itbegorica.gozicepnotazdifunctionis; adcótingentiaeiusdemrege Detuesbomoveltuesafin?
riturqualibetpartemeffeco Propositionúdifuciuarú tingentezznullaalterirepu alia
affirmatiuaalia negatia gnarenecét cótradictoriail ; Difiuctiuaaffirmatiuaéil,
laqvtantirpseftalbɔl'ipfe a inquaaffirmaturnotadi currit.Poniturtertiapartir
litctóisvtpatuit.negatiade culaqebecdifiunctiuaeftne roeftillaiquanotadifiuctó
ceffariatunoesbóveltues aditsiplānisnegaturprñtuesboľ aial.ztinullapsalterirepu
notá quodtuescapza.zbecsemppbat gnatzõlibyéatigés.lzboc
firdresinsmeaffirmatiuagneceffetnega ióqzcötradictoriaptiuzre, Lisantca
tiuanifipponeretnegatóvt pugnátvztuesbó7tunes Forritpattunonesafinusveltunoes
aial.veldicatomeliusqad foipropofitioneapza.Affirmatiuaestq2nul
neceffitatesdifilactiverequi laillannegationumtranfitin
rifzfufficitcoplatiuafacta notam difiunctionis. tropugnante
poribilem.eremplüpzimivt tuesafinus. Etadfalfitatem tuesbo ztucurris.Szadi,
eilisrequiriturqualspartem possibilitatemei?fufficitvna
effefalfamvttucurrisl'nul partezeffeipossibiléautvná lusbaculusstatinangulo.
alteriicopoisibilez.eremplu Mdposibilitatemdifüctie-figutcomkepartesplenepost
primivttucurris.7tuésafi, affirmatiuefufficitvnaj par tilesramom
nus.erempluzkivttuésztu temeffepossibilem.vthomo ferposibilisetideopom
nes.Adneceffitatez.copla eftafinusvelantichristuseftfuficitermedpogriner
tiueregritquamlib;premer Sed adimpoffibilitateeius ludvorbi uficiompor
seneceffaria;vtboestaialz requirifqualibetpartéeffe totdimimurront14éria
de’eit.Etadarigentiazip impoffibilemvthomoeftafialiudfornogri.
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bóvel aliter conuertibiliter.Quia nó con Spėsspalissimaétermin?
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piedicabileeffentialiteraut alnéspésspálissima.ztúert accíítaliter
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quale.Siiqualeilludéoria 22defostezplacóeiznofoi Siigdautdeplurib'orīti,
làdeorñtib?nuero.qzitd e b?sperilludeitgen?.autde orñtib’spé.vtdeboierlebe přib?orritib?nueroToluet
:Differentiaéterin’viuoc? illudéspés.Siveroepdica paedicabiťde plib”iquale
bileaccnraťrautgiqualeac cénale.vtroaleqapdicatur cntalepuerribľrz. illudėp
ocfoztezplatoneieoqaqle pri.veliqualeacclitaleno qzaditërogatóemfactaper
puertibiťr.2illudéaccñs.er qualisestfortesrespódetur predictispotpuiciafitper
quod eft rationalis . dicato directavľ idirecta er Peopriúeftterinviuoc
fentiaľbľaccñcať.Predica Þdicabilisdeplib’ieoquod tiodirectaeiaiqafupipze
qualeaccñtalepuertiběrut dicaturdefuoiferiozi. Debo rifibileqapdicatdesozteet
éaial.Paedicatioidirectaé platbeieoqdqualeqzadin illaiquaiferi’predicaturde
terrogatoezfactapqualise fuosuperiozi.vtaialeftbo. sozesvťplatopueniéterrñ
Predicatio eéntialiséillai deturq rifibiť.7totaratio quafuperi’pzedicaturdein
quareficpdicaturdeilliseq? Feriozivelecóuersofzquod éppziapafsioilliustermini
dictiévľoriadealiq°illon bomo cum quo conucrtitur. Si predicatio accítaliséila
Acchrétēmin’vniuoc'pze iquappuúvelaccñspzedir. dicabilisdeplib”ieoquod
caturdegenerefpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi
bľfuoidiuiduoautepuerfo Eréplüpzimi:vtbóèrifibil dirurindecepdicasca.Quo Paialéalbu.
exéplusivrrifi rupzimueltpredicarsitu lub bileéhoalbueaial. Etpfiľr
státiecul’generaliffimúébic dedriazidiuiduodicafl'me teri’lbalubàpoiturhicter
li’oicaturg pdicatioefriaťė mi?coup”.subcocpozecosp pdicatio terminoz eiusdez saiatu
sub cozpoze aiato ať dicamentivtbóestaial.pze, aialifpesspecialissimahoľ
dicatioautaccicaťeftpiedi afinuszlbiftisfuaidiuidua carioterminoxdiuerfozpze
fozteszplato.bzunellusfa dicamentorumvthomoéale uellus.Secúdupredicame
bus.Termin superioradre túeftpdicamentu quátitutis liquúdicitureffeillequicon
Lui'generalisfimúeftquäti. tinerillúznecóuerfoficutli tasfubýfuntduogenera
aialrespectuisti'terminihó alternaärnulluestsuperius qzfignificatquicgdile?cuz
adreliquúvzcontinuuz?di bocaliquidvltra.Lermin’in scretu.primigenerisiftefür
feriozadreliquúdicitureffe fpetieslineasuperficiescoz illequicótineturabeo.nnó
pustempus?locus.qR:bec ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi
iftiusterminibomo. hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea
infinitesuntfdeties.f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius et cetera .
Redicamentuzestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinariopluriuztermi,
qualitas.Quartuzestforma nozuFmsubzlupza.Etdiui,
vetcircaaliquidpitasfigura us trinarius quaternarizë Animatum Jnanimatuz
indiuiduaverofunthicbina Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicamentuz
qualitatiscu iusgeneraliffimum estquali Lozpus Jnsensibile Rarionale
Jrrationale. tasfubquofuntquattuo:ge Animal rationale nera subalterna non
sebabe Socrates Plato rio. Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia.Ier
Substantia tia fecundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis
mumesthabitusveldispofi, Domo cies.boc cozpusboc rempus Primigeneris(petiesfune
Quintumpredicamétoem grāmaticalogicazrhetorica dicamétuacióis cuius gener
quaqindividuasuntbecgrå rasubalteznafuntfer. quozu matica logicab rbetorica.
nulluėsuperiusadreliquum Lertijgenerisfpessunto risspéssunt.generarehoiez redoamaritudo.albunigruz
?cozrupereequáquayindir calidúzfrigidubuidum zfic uiduafuntficgenerareboiez
cum.quarúidiuiduasuntheç ficcorrupereequum.Iertijz dulcedobiamaritudohocal
quartigeneris(pessuntau. bumhocnigpbuiusmodi. gereinlongudiminuereila
Quartigenerisfpeciessut tum. quozumindiuiduafffic circulustriangulusquadra
augereilögumficdiminuer gulushuiufmodiquarúidi inlatu. Quitigenerisspés uidua
funt.biccirculusbicfunt calefacerez frigefacere triangulushicquadrágulus.
quaridiuiduafuntficcalefa Quartiipredicamétü Ċpdi cereficfrigefacer.Sertigo,
camerurelatóis.Lui'gene. nerisfpeciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada.
súmoueredeorsumquaruin liquidfbåfunttriagenera( diuiduafuntficmouerefurfu
alterailebita,16zsupa ficmoueredeorfum. Sertus Primum estcaparatio. Se predicaméta
épredicaméruz cuduzéfuppofitio. Lertiuzė paffioniscu’generatiffimu
fuppofitio.primigenerisfpe estpassio. Etb fiĽrfergene tiessuntvicinusequale?li,
rafbalternarisebūtia ;sub milequarumindiuidua sunt. zsupaav;generaricorrupia
hicvicinusbocequalezboc ugeridiminuialterari7fzlo fimile
dñszmagister.qxidiuidua quúconīpiärididuasütir, süthicprbiconszbicmagi
tuboiezgenerariftueqmco Tertijgeneris(péssútfili? rūpi. Iertüzquarti generis
fuus discipľ?quaruiidiui; spetiessuntaugeriinlon duasuntbicfili?bicferubic
gúdiminuiilatuquani diui. piscipulus. dua funtficaugeriilogu fic
cumouči.primi7figeneris, Secridi generisspēsfuitpr
fpessúthominezgenerarie Secundigenerisspėssunt v3generarecourtīge augere
OURzmolle.quarüindiuidua diminuerealterare.cfmlo, funthocdurumboc molle. Cu mouere.Primiz
figener -- b Nicoletti. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Paolo da Harborne, and Paolo da Venezia,” lecture for
the Club Griceiano Anglo-Italiano, Bordighera. Luigi Speranza, “Grice e
Nicoletti: quadratura ed implicatura” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Negri – implicatura – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Mercato San
Severino). Filosofo italiano.Allievo di Aliotta, con il quale si è laureato a
Napoli prima in Lettere e poi in Filosofia, ha sempre considerato come suo
maestro Giovanni Gentile, di cui tuttavia non è stato direttamente un
discepolo. L'intensità con cui Negri ha approfondito il pensiero
gentiliano si è concretizzato dapprima nello studio dell'allontanamento di
Michele Federico Sciacca dall'attualismo poi in testi quali: “Giovanni
Gentile,” “L'estetica di Giovanni Gentile,” e “Giovanni Gentile
educatore.” Innumerevoli sono gli scritti dedicati all'idealismo
hegeliano, tra cui i saggi “La presenza di Hegel,” “Ricerche e meditazioni
hegeliane,” e “Hegel nel Novecento,” e le traduzioni di opere hegeliane come
“La vita di Gesù” e “Le orbite dei pianeti.” A queste traduzioni si aggiungono
anche quelle di grandi classici del pensiero filosofico, economico e
sociologico. Ha ricevuto il Premio San Gerolamo. A Negri si
deve anche la valorizzazione di alcune grandi personalità della cultura
italiana, come quelle di Andrea Emo, Carlo Michelstaedter e Julius Evola.
La sua carriera lo ha visto professore di Storia della filosofia in
alcune delle più importanti università italiane: Bari, Perugia e Roma, dove ha
lavorato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata fino alla fine del
suo incarico universitario. Nel corso della sua esperienza intellettuale
è stato impegnato in un'intensa attività saggistica e pubblicistica, scrivendo
sulle più importanti riviste culturali italiane e straniere, tra le quali: il
«Giornale Critico della Filosofia Italiana», il «Giornale di Metafisica», «I
Problemi della Pedagogia», «Rinascita della Scuola», «Dix-Huitième Siècle»,
«L'Enseignement Philosophique», «Studia Estetyczne», «Idealistic
Studies». Ha collaborato con molti dei maggiori quotidiani
nazionali: «Il giornale d'Italia», l'«Avanti», «Il Messaggero», «Il Sole 24
Ore», «Il Tempo» e «il Giornale». Inoltre, ha diretto varie collane di
testi filosofici per la Marzorati («Ricerche filosofiche», «Testi e
interpretazioni»), la Seam («Filosofi italiani del '900», «Sentieri del giorno
e della notte») e la Antonio Pellicani Editore («La storia e le Idee») e
riviste come gli «Studi di storia dell'Educazione» della Armando Editore.
Gli è stato assegnato, a Palermo, dall'Associazione internazionale di studi e
ricerche Friedrich Nietzsche fondata da Alfredo Fallica, il «Premio
Nietzsche». Saggista sempre molto prolifico, ha continuato a pubblicare
opere originali non solo nella scelta degli argomenti ma anche dei contenuti:
il Discorso sopra lo stato presente degli italiani, il De persona.
L'indomabilità dell'individuo e Problema Europa: Unità politiche e molteplicità
culturali. Bibliografia: Antimo Negri, Michele Federico Sciacca:
dall'attualismo alla filosofia dell'integralità, Edizioni di Ethica,
Forlì. Collegamenti esterni «Négri, Antimo», la voce in
Enciclopedie on line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia italiana".
Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Ultima modifica 1 anno
fa di un utente anonimo Bertrando Spaventa filosofo italiano Michele Federico
Sciacca filosofo italiano Idealismo italiano Corrente filosofica predominante
in Italia nella prima metà del XX secolo Antimo Negri.
Grice e Negri – implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Grice:
“Only in Italy a philosopher philosophises on Pinocchio!” -- Grice: “I like his
idea of a new ‘grammar of politics,’ even if he uses the extravagant metaphor,
delightful though, ‘fabbrica di porcellana’. He has a gift for metaphor, sure!”
– Grice: “’la lenta ginestra’ to qualify Leopardi’s ontology is genial!” -- Grice:
“Negri reminds me of ‘pinko Oxford’!” Tra gli anni sessanta e gli
anni settanta, fu uno dei maggiori teorici del marxismo operaista. Dagli anni
ottanta in poi, si dedicò invece allo studio del pensiero politico di Baruch
Spinoza, contribuendo, insieme a Louis Althusser e Gilles Deleuze, alla sua
riscoperta teorica. In collaborazione poi con Michael Hardt, ha scritto libri
molto influenti nella Teoria politica contemporanea. Accanto alla sua
attività teorica, ha svolto una intensa attività di militanza politica, come
co-fondatore e teorico militante delle organizzazioni della sinistra
extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia. A causa della sua
attività politica è stato incarcerato e processato, all'interno del processo 7
aprile, con l'accusa di aver partecipato ad atti terroristici e d'insurrezione
armata. Venne, tuttavia, assolto da queste imputazioni, per poi venire
condannato a 12 anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale
nella rapina di Argelato. Saggi: “Stato e diritto -- la genesi illuministica
della filosofia giuridica e politica” (Padova, Milani); “Lo storicismo” (Milano,
Feltrinelli); “Forma giuridica” (Padova, Milani); “Flosofia del diritto” (Bari,
Laterza); “Il concetto di partito politico” (Padova, Moderna); “Lo stato piano
e il comune” (Milano, Feltrinelli); “Il concetto d’integrazione nella storia di
Italia” (Milano, Giuffrè); “Il concetto di stato” (Milano); “Il capitale e lo stato”, “Della ragionevole
ideologia” (Milano, Feltrinelli); “Incidenza di Hegel. Napoli, Morano, Enciclopedia
Feltrinelli Fischer); Scienze politiche, (Stato e politica), Milano,
Feltrinelli); L’organizzazione operaia” (Milano, Feltrinelli); Partito operaio
contro il lavoro, in S. Bologna, P. Carpignano, Negri, “Crisi e organizzazione
operaia” (Milano, Feltrinelli); “I proletariato” Proletari e Stato. L’autonomia
operaia e compromesso storico, Milano, Feltrinelli); “La fabbrica della
strategia” Padova, “Cooperativa libraria editrice degli studenti di Padova, Collettivo
editoriale librirossi, La forma Stato, per la critica dell'economia politica
della Costituzione italiana” (Milano, Feltrinelli); “Il problema dello stato e
sul rapporto fra demo-crazia e sociali-smo” Milano, Unicopli-Cuem, “Il dominio
e il sabotaggio: sul metodo marxista della trasformazione sociale,” Milano,
Feltrinelli, “Manifattura, società
borghese, ideologia: Una polemica sulla struttura e la sovra-struttura,” Roma,
Savelli, Marx oltre Marx [Grice, “Grice oltre Grice”]. Quaderno di lavoro sui
Grundrisse, Milano, Feltrinelli, “ Dall'operaio massa all'operaio sociale. sull'operaismo,
Milano, Multhipla, “Comunismo e guerra,” Milano, Feltrinelli, Politica di
classe: il motore e la forma. Le cinque campagne oggi. Milano, Machina Libri,
“Otto Dix,” Milano, Studio d'arte Grafica, “L'anomalia selvaggia: potere e
potenza in Spinoza” (Milano, Feltrinelli);“Macchina tempo. Rompicapi,
liberazione, costituzione,” Milano, Feltrinelli, Pipe-line. Lettere da
Rebibbia, Torino, Einaudi, Boutang, Diario
di un'evasione, Cremona, Pizzoni, Le verità nomadi: lo spazio di libertà” (Roma,
Pellicani); “Fabbriche del soggetto: profili, protesi, transiti, macchine,
paradossi, passaggi, sovversione, sistemi, potenze: appunti per un dispositivo
ontologico, in "XXI secolo. Bimestrale di politica e cultura", “Lenta
ginestra: l'ontologia di Leopardi, Milano, Sugar, “Fine secolo. Un manifesto
per l'operaio sociale. Milano, Sugar,” “Arte e multitude” (Milano, Politi, “Il
lavoro di Giobbe. Il famoso testo biblico come parabola del lavoro umano,
Milano, Sugar); “Il potere costituente. Ssulle alternative del moderno,
Carnago, Sugar, Spinoza sovversivo. Variazioni (in)attuali” (Roma, Pellicani, “Dioniso,
o lo stato postmoderno” (Roma, Manifestolibri); L'inverno è finito. Scritti sulla trasformazione
negata” (Roma, Castelvecchi); “I libri del rogo, Roma, Castelvecchi); Partito
operaio contro il lavoro; Proletari e Stato; Per la critica della costituzione
materiale; La costituzione del tempo. Prolegomeni. Orologi del capitale e
liberazione comunista” (Roma, Manifestolibri); Spinoza (Roma, DeriveApprodi, Contiene:
S Democrazia ed eternità in Spinoza); “Sogni Incubi”, L’incubo, Visioni.
Politica e conflitti nella crisi della società del lavoro” (Milano, Lineacoop, La
sovversione” (Roma, Liberal, Kairòs, alma venus, multitudo. Nove lezioni
impartite a me stesso” (Roma, Manifestolibri, Desiderio del mostro. Dal circo
al laboratorio alla politica, a cura di e con Ubaldo Fadini e Charles T. Wolfe,
Roma, Il manifesto, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, con Michael
Hardt, Milano, Rizzoli, Europa politica.
[Ragioni di una necessità], a cura di e con Heidrun Friese e Peter Wagner,
Roma, Manifestolibri, Luciano Ferrari); “Bravo ritratto di un cattivo maestro.
Con alcuni cenni sulla sua epoca” (Roma, Manifestolibri); “L'Europa e l'impero.
Riflessioni su un processo costituente, Roma, Manifestolibri); “Moltitudine e
impero, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il ritorno. Quasi un'autobiografia” (Milano,
Rizzoli, Guide); “Impero e dintorni” (Milano, Cortina); “Moltitudine. Guerra e
democrazia nell’ordine imperiale” (Milano, Rizzoli); “La differenza italiana” (Roma,
Nottetempo); Movimenti nell'impero. Passaggi e paesaggi, Milano, Cortina, Global.
Biopotere e lotte” Roma, Manifestolibri, Goodbye Mr Socialism, Milano, Feltrinelli,
Settanta (Roma, Derive); Approdi, Fabbrica di porcellana. Per una nuova
grammatica politica, Milano, Feltrinelli, Dalla fabbrica alla metropoli” (Roma,
Datanews, Il lavoro nella Costituzione”
(Verona, Ombre Corte, Dentro/contro il diritto sovrano. Dallo Stato dei partiti
ai movimenti della governance” (Verona, Ombre Corte, Comune. Oltre il privato ed il pubblico, (Grice:
“Cf. Grice on ‘common language’ and ‘private language’”) Milano, Rizzoli, Inventare il comune, Roma, DeriveApprodi, Il
comune in rivolta. Sul potere costituente delle lotte (Verona, Ombre Corte); “Questo
non è un Manifesto” (Milano, Feltrinelli); “Spinoza e noi, Milano-Udine,
Mimesis); “Fabbriche del soggetto. Archivio (Verona, Ombre corte); Arte e
multitudo (Roma, DeriveApprodi); “Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle
Grazie, Galera ed esilio. Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle Grazie, Assemblea,
Milano, Ponte alle Grazie, Da Genova a domani. Storia di un comunista, Milano,
Ponte alle Grazie. Antonio Negri. Keywords: implicature,
potere-potenza, l’incubo, la differenza italiana, grammatica politica,
assemblea, Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Negri," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e
Neri – aporia della realizzazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: “Neri is
an interesting philosopher – he speaks of the aporia of the realization, which
is intriguing, and considers that ‘objectivism’ started with Galileo, which is
realistic!” Professore a Verona. Allievo di Banfi e Paci, rappresenta una delle
ultime sintesi della Scuola di Milano, di cui riprende alcuni dei temi
portanti: ricerca fenomenologica, analisi storico-politica, studi
estetici. Rispetto ai suoi maestri, del cui pensiero è stato uno dei
maggiori interpreti, sviluppa un percorso di ricerca originale, caratterizzato
da una critica delle ideologie del Novecento e dei loro fallimenti, e da una
lettura non dogmatica della storia contemporanea, volta a metterne in luce
discontinuità e aporie. Forte di un'indole scettica e fedele al principio
dell'epoché fenomenologica, Neri ha ripercorso le vicende della dialettica
marxista, focalizzando in particolare la sua attenzione sull'Europa
centro-orientale, e sulle varie forme di controcondotta e dissenso che, a
partire dagli anni sessanta, sono andati germinando in quel contesto storico. I
suoi autori di riferimentoHusserl e Merleau-Ponty, Bloch e Lukács, Kosík e
Kołakowskirivelano la tensione intellettuale tra ricerca teoretica e storica
che ha caratterizzato il lavoro di Neri, dalle principali monografie, ai saggi
su aut aut e Il filo rosso, fino al materiale inedito conservato presso
l'Archivio Neri, da pochi anni istituito presso l'Università degli Studi di
Milano. Durante gli anni universitari, trascorsi tra Pavia e Milano, Neri
ha l'occasione di frequentare gli ultimi corsi di Antonio Banfi, ormai lontano
dalla fenomenologia e intento a perfezionare (e radicalizzare) il suo umanesimo
di stampo marxista, e dell'ancor giovane Enzo Paci che, in quegli stessi anni
di dopoguerra, intraprende un confronto innovativo con gli esiti della ricerca
husserliana, e in particolare con i contenuti della Crisi delle scienze
europee, oggetto di numerosi corsi. Proprio questo "apprendistato
fenomenologico", secondo l'espressione di Luciano Fausti, ha consentito a
Neri di acquisire un metodo di ricerca che lo ha accompagnato, non solo nei
suoi studi delle opere di Husserl, Merleau-Ponty, Patočka (dei quali traduce e
cura varie pubblicazioni), ma, più in generale, nell'analisi del pensiero
storico e politico novecentesco. A questi interessi va ad aggiungersi quello
per l'arte e l'estetica, decisivo in questi primi anni, e dovuto in particolare
agli insegnamenti di Dino Formaggio, con cui Neri si laureò. Neri continuerà a
interessarsi a questi temi anche negli anni successivi, dedicando diversi
scritti a Panofsky (della cui Prospettiva come forma simbolica cura nell'edizione)
e a Caravaggio, e interrogandosi sul rapporto tra fenomenologia ed
estetica. Agli anni di studio, segue una fase di ricerca che lo porterà
nei primi anni sessanta a Praga, ospite dell'Accademia delle Scienze della
Cecoslovacchia e, in seguito, negli Stati Uniti d'America, dove è visiting
scholar a Pennsylvania. A Praga, Neri entra in contatto con la giovane
generazione di intellettuali cechi che, in questi anni cruciali, portano avanti
l'idea di riformare il socialismo dal suo interno, a partire da una profonda
reinterpretazione del materialismo e della prassi marxiana. È grazie a Neri che
in Italia si diffondono le opere di Karel Kosík e di Jan Patočka che, pur così
profondamente diversi, condividono con Neri l'interesse per la fenomenologia e
la politica. Durante la sua esperienza americana, Neri dedica a Marx una serie
di lezioni e conferenze, i cui testi inediti, facenti parte del Fondo Neri,
sono conservati presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi
di Milano. Analizzando il pensiero di Marx, Neri si rifà in particolar modo, oltre
che all'insegnamento di Kosík, agli scritti di Gajo Petrović e alla scuola
jugoslava legata alla rivista Praxis. Tornato in Italia, inizia un lungo
periodo di insegnamento a Verona, durante il quale incentra i suoi corsi sulla
fenomenologia post-husserliana, su Bloch, sull'idea filosofica di Europa e la
sua eredità, a seguito del fallimento dei principali progetti politici
novecenteschi. Escono in questi anni le sue opere più note: “Aporie della
realizzazione”, sulla filosofia e l'ideologia dei paesi del socialismo
realizzato, e “Crisi e costruzione della storia”, dedicato, ancora una volta,
al maestro Banfi. In più occasioni, manifesta il suo debito nei confronti
dei suoi maestri milanesi, per averlo iniziato allo studio della fenomenologia.
In tal senso, il passaggio dall'insegnamento di Banfi a quello di Paci è
decisivo. «Al centro non era piùscrive Neri poco prima di morire, ricordando
quegli anniil "disperato razionalismo" del fondatore della
fenomenologia: il fuoco della rilettura era diventato il "mondo della
vita" e la critica dell'obbiettivismo moderno». Un pensiero che ben si
presta a una generazione di giovani studiosi che, durante gli anni sessanta, si
raccolgono intorno a Paci, desiderosi di affinare un pensiero che consenta di riguadagnare
un sguardo disincantato, ma non indifferente, sulla realtà sociale e culturale
circostante, contro «l'asfissiante razionalismo» di Banfi e, più in generale,
contro l'impronta culturale del PCI. Neri rientra in questa nuova leva di
studiosi e in questi termini si possono interpretare anche i suoi studi
fenomenologici. «Con il tema del mondo della vitaribadisce Neri, in un altro
tra i suoi scritti più tardila fenomenologia mostrava di saper affrontare i
problemi posti dalle scienze storiche e sociali, dall'antropologia culturale e
infine anche dal pensiero marxista». L'esempio di Paci, tuttavia, che cercò a
tutti gli effetti di coniugare metodo fenomenologico e dialettica marxista, è
seguito dall'allievo solo parzialmente, lasciando la sua impronta più visibile
nel volume Prassi e conoscenza, una cui parte è dedicata ai critici marxisti
della fenomenologia. Col passare del tempo, tuttavia, Neri adotta una posizione
di sempre più evidente rottura, prediligendo a qualsiasi tentativo
conciliatorio una critica fenomenologica del socialismo realizzato e delle sue
distorsioni. A tal proposito, il confronto con Kosík e il dissenso, all'interno
del socialismo reale, giocano un ruolo di primo piano. Come si evince
dalla sua “Aporie della realizzazione,” distingue due fasi e due generazioni di
filosofi, all'interno della complessa crisi del socialismo in costruzione. Da
una parte, la prima generazione è rappresentata da György Lukács e da Ernst
Bloch. Proprio al pensiero di quest'ultimo, alle sue concezioni di storia e di
utopia e ai suoi numerosi ripensamenti, Neri dedica una lunga analisi, che
tornerà periodicamente anche negli anni successivi, come testimoniano i
programmi dei suoi corsi universitari. A Bloch è ispirato, d'altronde, il
titolo del libro, che Neri ricava da una pagina di Principio speranza. È
all'interno della dialettica tra realtà e realizzazione, tra condizione
presente e speranza futura, che Neri individua l'andatura del socialismo reale,
della sua filosofia e della sua ideologia. Solo con la seconda generazione di
filosofi, tuttavia, le aporie della realizzazione socialista vengono veramente
al pettine; la malinconia di Bloch cede infatti il passo allo sguardo scettico
di Kołakowski e al tentativo di Kosík di rileggere la dialettica marxista in
termini concreti, al di là di ogni deriva ideologica. Dello stesso tenore è
anche il libro su Banfi, Crisi e costruzione della storia, di pochi anni
successivo, in cui Neri si confronta con lo stesso tema della realizzazione,
inteso stavolta nei termini del tentativo banfiano di costruire un percorso
storico su basi razionali, oltre la crisi della civiltà moderna, verso una
nuova prospettiva umanistica. Alla luce del ritratto offertoci da Neri, che si
concentra in particolare sugli anni trenta, intesi come momento cruciale per lo
sviluppo della teoria banfiana, emerge un'immagine di Banfi particolarmente
complessa, nella quale la svolta ideologica e l'adesione al comunismo non
offuscano il perdurare di uno spirito critico e di una prospettiva europea, che
si sviluppa al di là dei particolarismi delle filosofie nazionali. L'Archivio
Guido Davide Neri -- è stato creato presso la Biblioteca di Filosofia
dell'Università degli Studi di Milano l'Archivio Guido Davide Neri. In tale
archivio è raccolta un'imponente quantità di materiali inediti, che comprendono
riflessioni, appunti per corsi e seminari, annotazioni di viaggio,
corrispondenze. Sono considerati di particolare rilievo, in vista di futuri
studi sul pensiero filosofico di Neri, i 149 quaderni, contenenti le riflessioni
del filosofo, dalla metà degli anni cinquanta, fino alla sua morte. Attraverso
la lettura di questi scritti, ora completamente consultabili e in corso di
digitalizzazione, è possibile chiarire il rapporto e gli scambi di Neri con
altri rappresentanti della filosofia milanese: da Banfi a Paci, da Dal Pra a
Preti. Grande importanza rivestono anche i commenti in presa diretta su alcuni
tra i più rilevanti avvenimenti storici del Novecento: dall'invasione sovietica
dell'Ungheria, alla Primavera di Praga, fino al crollo del socialismo reale. A
ciò si aggiungono le riflessioni sul ruolo della filosofia nella società, sul
modo e l'opportunità di insegnarla, e sulla sua tenuta, di fronte alle scosse
della storia. Saggi: : “La fenomenologia della prassi (Milano, Feltrinelli); “Il partito socialista
italiano” (Milano, Feltrinelli); “Crisi e costruzione della storia” (Napoli,
Bibliopolis); “Il sensibile, la storia, l'arte” (Verona, Ombre Corte, F. Tava, su
Open Commons of Phenomenology. G. Scaramuzza, Presentazione, in Atti della
Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la Fondazione Corrente,
Milano, Materiali di Estetica, Archivi. su sba.unimi. degli scritti di in aut
aut, n. Atti della Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la
Fondazione Corrente, Milano, in Materiali di Estetica, Quando tra noi Ricordo, amici, colleghi e studenti, Pizzighettone,
Viciguerra, L. Fausti, Tra scepsi e storia. Un percorso filosofico, Milano,
UNICOPLI,. L.Frigerio e E. Mazzolani,
Iin Sistema Università, A. Vigorelli,
Fenomenologia e storia. A partire da Patocka: itinerario filosofico, in Leussein, F. Tava, Open Commons of Phenomenology. sba.unimi.
Fondo librario. Grice: Mussolini used to say that Garibadi spoke of the
‘popolo’ while he speaks of the ‘nazione’ – and a nazione has a plusvalue over
popolo. Il popolo e l’asino, l’asino e il popolo utile paziente e bastonato. Grice:
“Neri made a great contribution or the spreading of Husserl’s interpretation of
their own Galileo n Italy. Who is this Jew to tell us anything about our
glorious Pisan? Husserl saw Gailei as a Platonist. Neri made a translation of
Husserl’s essay on Galileo and included in a saggio with the title GALILEO in
it – in this way, he gathered the attention of every Italian philosophical
Galileian!” Grice: “Perhaps the best introduction to Italian socialist politics
are the commentaries Neri made to the cartoons in the asino, which he entitled,
bitingly, the bite of the ass!” Grice: “Oddly, bite is an attribute of ass –
when a retrospective of the cartoons was held, the cliché journalese when
‘satira morente’ -- -- estetica di Diderot, senso e sensibile, il sensibile, la
sensazione, il Galileo di Husserl. –Guido Davide Neri, su sba.unimi. Neri. Keywords:
aporia della realizzazione, il mordo dell’asino, -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Neri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo epicureo e imperatore romano. Demetrio Lacon dedicated a philosophical
essay to Nerone, making it extremely like that Nerone was himself a follower of
the doctrines of The Garden.
Grice e Nesi – implicatura – adulescentuli
oratiuncula – Sono dalle celeste sphere Venere: perche amore inspiro:
dagl’elementi fuoco: perché d’amore accendo da uoi con vocabulgreco
CHARITÀ chiamata: perché col mio ardore della GRAZIA della salute viso degni. filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo italiano. Grice: “I once had a fight with Nowell-Smith; he was saying
that a philosopher should not be a moralist; I told him that by that token Nesi
wasn’t one!” – “De moribus” Figlio di Francesco di Giovanni e di Nera di
Giovanni Spinelli, si dedica interamente agli studi filosofici. Strinsge
stretti rapporti con i principali umanisti fiorentini dell'epoca, tra cui
Acciaiuoli e Ficino. Influenzato dall'operato di Savonarola, ricopre anche diverse
cariche politiche. Saggi: “Adulescentuli
oratiuncula”; “Orazione del corpo di Cristo”; “Orazione de Eucharestia” “
Orazione sull'umiltà” “Sulla carità”; “De moribus”; “De charitate”; “Oraculum
de novo saeculo, Canzoniere, Poema. Treccan Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Obviously, Nesi is not having Davidson in mind. But Nesi is wrong in
identifying GRAZIA with CHARITA, ‘greco vocabull” – this is an etymological
blunder. The charities were indeed three – Eglea, Eufrosina, e Talia – and they
danced mainly to eroticse Mars, or more frequently Giove and Mars together --.
Of course the expression ‘gratia’ is not cognate! – For Davidson, charity is
what the Italians refer to ‘carità’, formed out of ‘carus’ – the spelling with
‘ch’ is a French corruption! So to be charitable, in Davidson’s interpretation,
is to be kind, caro. Not graceful! --. Grice: “If Davidson doesn’t know his
Greek mythology, that’s not my fault --. Instead of his singular principle of
charities, I will take the liberty to sub-divide it into three maxims – The
first maxim refers to the first charity, Aglae: splendour; thes second maxim
refers to the second charity, Eufrosina, mirth; the third maxim refers to the
third charity, Talia, cheer. In Kantian format, these counsels of prudence
become: be splendorous – or try to make your conversational move one that is
splendorous; be merry – or try to make your conversational move one that will
carry mirth to your co-conversationalist; and ‘be cheerful’, try to make your
conversational move one as if it was spawned by Thalia!” -- Giovanni Nesi. Nesi.
Keywords: adulescentuli oratiuncula, principle of charity, Davidson on charity
on Grice. Who was the first Englishman to use ‘charity’ as a hermeneutic
principle? Butler. Grice speaks of self-love and benevolence. Benevolence – and
charity? Grice is not so much concerned with Beneficenza or Malificenza, but
with Benevolenza, and Malevolenza – where does charity fit? What was Ciceronian
for charity. What is pre-Christian about charity? Charisma, charitas, folk
etymological confusion here – caritativo – carita – caro, “le tre carità in
armónico conubio” “tre carità”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nesi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Nicolao – Roma –filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Among his pupils where the two sons that Marc’Antonio had with
Cleopatra. He wrote a biography of Ottaviano, and the two became friends.
Grice e Nifo – implicatura ludicra – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Sessa Aurunca).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Nifo; first, because he wrote a treatise he called ‘ludicrous rhetoric;’
second, because he tried to refute Pomponazzi against the mortality of the soul
– surely the soul is ‘mortal’ is a category mistake --.” Alla corte di Carlo V
(L. Toro, Sessa Aurunca). Studia Padova sotto Vernia. Insegna a Padova, Napoli,
Roma e Pisa, guadagnando una fama tale da essere incaricato e pagato da Leone X
di difendere l’immortalità dell’animo di Leone X contro gl’attacchi di Pomponazzi
e degli alessandristi. Ricompensato con la nomina a conte palatino con il
diritto di assumere il cognome del Papa, Medici. La sua prima filosofia si
ispira ad Averroè, modifica poi la propria visione giungendo a posizioni più
vicine al domma romano. Pubblica un'edizione delle opere di Averroè corredate
di un commento compatibile con la sua nuova posizione. Nella grande
controversia con gli alessandristi si oppose alla tesi di Pomponazzi per il
quale l'animo razionale non e separabile dal corpo materiale e, dunque, la
morte di questo porta con sé anche la scomparsa dell'anima. Sostenne, invece,
che l'animo di Leone X, quale parte dell'intelletto assoluto, non e distruttibile
e alla morte del corpo di Leone X si fonde in un'unità eterna. Tra i suoi
allievi, presso Salerno, tra gli altri, ricordiamo, Rosselli, filosofo
calabrese autore di un testo molto controverso, Apologeticus adversos
cucullatos (Parma), in cui cerca di affermare le sue dottrine che tendono a
discostarsi da quello del suo maestro. Lo si ritiene protagonista di un curioso
episodio. Pubblica il trattato “De regnandi peritia” (la perizia di regnare), che
alcuni ritengono essere un plagio del più noto “Il Principe” di Machiavelli del
cui manoscritto e venuto in possesso. Gli e conferita la cittadinanza onoraria di
Napoli ed iessa e estesa ai figli ed agli eredi in perpetuo.A lui è dedicato il
Convitto Nazionale di Sessa Aurunca, della quale e anche sindaco. Saggi:“Liber
de intellectu”; “De immortalitate animi”; “De infinitate primi motoris quaestio”
[cf. Bruno, Galilei, Novaro, infinito]; “Opuscula moralia et politica”; “Dialectica
ludicra,” “De regnandi peritia.” Furono
poi più volte ripubblicati, in quanto ampiamente diffusi, i suoi numerosi
commentari su Aristotele, di cui i più importanti sono “Aristotelis de
generatione et corruptione liber Augustino Nipho philosopho Suessano interprete
& expositore”; “Expositiones in libros de sophisticos elenchis
Aristotelis”; “Expositiones in omnes libros de Historia animalim, de partibus
animalium et earum causis ac de Generatione animalium, In libris Aristotelis
meteorologicis commentaria” (Venezia, Ottaviano Scoto); Physicorum
auscultationum Aristotelis libri octo”; “Super Libros Priorum Aristotelis”; “Commentarium
in tres libros Aristotelis De anima”; “Dilucidarium metaphysicarum
disputationum in Aristotelis Deum et quatuor libros metaphysicarum”. “Dialectica
ludicra”. Biblioteca del Convitto, Dialectica; “Dialectica ludicra”; “In libris
Aristotelis meteorologicis commentaria”; “In libros Aristotelis De generatione et
corruptione interpretationes et commentaria, Biblioteca del Convitto Nifo di
Sessa Aurunca; “In libros Aristotelis de generatione et corruptione interpretationes
et commentaria. G. Gabrieli, "Raccolta
Storica dei Comuni", Istituto di Studi Atellani, Sant'Arpino, C. De Lellis, Discorsi delle Famiglie Nobili del
Regno di Napoli, Napoli, G. Paci, G. Marco, I sindaci della città di Sessa,
Sessa Aurunca, Zano. La filosofia nella corte (Milano, Bompiani). Dizionario di
filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Marco, G. Parolino,
Incunaboli e cinquecentine nelle biblioteche di Sessa, Minturno, Caramanica, Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E. De
Bellis, Il pensiero logico, Galatina, Congedo, Ennio De Bellis, Aspetti
storiografici e metodologici, Galatina, Congedo, E. ellis, Collana Quaderni di “Rinascimento”. Istituto
Nazionale di Studi sul Rinascimento (Firenze, Olschki); A. Poppi, I liceii di
Padova, Dizionario biografico degli italiani, Ratisbona. Grice: “I enjoyed
Nifo’s rambling on dreaming – quite an complement for Descartes on clear and
distinct perception!” Grice: “Part of my cooperative principle is based on Nifo
– echoing Aristotle rather than Kant. Or rather echoing Kantotle. In this case,
it’s Aristotle’s key concept of a ‘virtue’ – a collective virtue, like
solidarity, lies at the bottom of my conversational principle of cooperation.
The virtue is ONE of course, which is good. Each maxim then attends to some
virtue. Nifo is better than Castiglione in that his Italian is better. He
relies on Cicero, rather than on this or that court poet! So there’s VERITAS,
HONESTAS, CARITAS, and the rest. Each is seen as a virtue, and the point is to
find the ‘middle point’ or mesotes. A bore is a bore but if you include this or
that ‘implicatura ludicra’, two gentlemen can enjoy a nice conversation. Nifo
is having the Northern Italian courts in mind, away from that nefarious
influence of the Pope, who had paid him to demonstrate the immortality of his
soul! The virtue model of conversation is an interestin gone – “De re aulica”
is the way Nifo considers this, and he makes interesting observations on how to
attain a middle way, i.e .how to win frineds and lose enemies!” –Of course
there are overlaps. My model is Kantian, but what is a counsel of prudence if
not a nod to Aristotle’s virtue of prudentia – the principle is thus a
principle of conversationl conviviality, urbanity --. There are conceptual
problems with a purely Aristotelian model, rather than Ariskantian one. One is
not after VIRTUE, but the MESOTES – So the ideal is not to be searched for.
It’s not pure HONESTAS, but that which fits civil conversation. Oddly, Italians
were more concerned with ‘vitii’, which due to their Roman dogmatic
assumptions, they correlate with ‘vice’. For each vice, we should not look for
the VIRTUE, but to the MESOTES --. Kant could not make head or tail of this! Agostino
Nifo. Nifo. Keywords: ludica, ludicra, intellectus, animo intelligere, nous,
intellectus passivus, intellectus activus, intellectus agens, intellectus
possibilis, intellectus passibilis, what is so ludicrious about dialectis?–
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nifo: la dialettica ludrica”, Grice, “Dreaming”
– Malcolm, “Dreaming” --. – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nigidio – Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano – Publio
Nigidio Figulo – Friend of Cicerone. He enjoyed a great reputation for
learning. However, he was on the wrong side of the civil war between Pompeo and
Giulio Cesare, and Cesare sent him into exile. He was particularly interested
in Pythagoreanism and was a leading figure in its revival in Rome. He
specialised in the mystical side of Pythagoreanism and was credited with occult
powers.
Grice e Ninone – Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Ninon was
one of the leaders of the anti-Pythagorean movement in Crotone. He claims that
the Pythagoreans are elitist and anti-democratic. He also claims to have a
knowledge of their secret teachings and published it in a book. However,
according to Giamblico, Ninon knew nothing of what the sect taught and the book
is ‘a work of pure invention.’
Grice e Nisio – Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Samnium). Filosofo italiano. A pupil of Panezio.
Grice e Nizolio – implicatura – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Brescello). Filosofo italiano. Grice: “I read Nizolio and it’s
like reading myself!” – Insegna a Brescia e Parma. Pubblica il lessico
“Observationes in M. Tullium Ciceronem” (Brescia), il Thesaurus Ciceronianus”
(Venezia, Facciolati) e il “Lexicon ciceronianum” (Venezia, Facciolati). Ha una
lunga polemica con Maioragio per una critica portata da quest'ultimo a Cicerone
che, iniziata con la Epistola ad M. A. Majoragium, prosegue con l'Antapologia e
si conclude con i “De veris principiis et vera ratione philosophandi contra
pseudo-philosophos” (Parma), scritto contro gli scholastici, che interessarono
Leibniz al punto che questi li fece ristampare premettendogli il titolo
“Anti-barbarus Philosophicus, sive Philosophia Scholasticorum impugnata” con
una prefazione ed una lettera a Thomasius sulla dottrina di Aristotele,
Francofurti (Roma, Bocca). E chiamato da Gonzaga a Sabbioneta.
Contemporaneamente alle critiche di Ramo alla logica dei lizii, anche per lui
occorre sostituire all'astrattezza di quella logica un pensiero che sia
concretamente legato al reale, e a questo scopo la strada maestra sta nel
ritrovare i processi del pensiero direttamente nella struttura grammaticale
dell’italiano. Individua cinque principi per fare della buona filosofia. Il
primo principio generale della verità e della buona filosofia consiste nella
conoscenza della lingua romana, in cui sono espressi quei saggi filosofici. Il
secondo principio è la conoscenza di quei precetti che si trovano nella
grammatica e nella retorica di Cicerone, sostituendo la grammatica e la
retorica alla metafisica, ontologia, o filosofia speculativa, dal momento che
il metafisico si e preoccupato solo di ricercare il vero, senza occuparsi dell’utile,
il necessario, o il pertinente delle cose trattate. Il terzo principio consiste
nell’interpretare il filosofo antico come CATONE IL CENSORE, o Cicerone, o
Antonino, e nello sforzarsi di comprendere il modo con il quale il popolo
romano si esprime, essendoci verità in quella schiettezza – Grice: ‘slightness”
-- di linguaggio. Il quarto principio generale del vero è il libero, e la vera
licenza delle opinioni e del giudizio su qualunque argomento, in contro ogni
domma, come richiede il vero e il naturale. Non devono essere dunque CICERONE o
ANTONINO nostril maestri, ma i cinque sensi, l'intelligenza, il pensiero,
la memoria, l'uso e l'esperienza delle cose. Il quinto principio afferma
che, oltre a esporre ogni tesi con la chiarezza della lingua comune –
l’italiano volgare, senza introdurre nel discorso oscurità (avoid obscurity of
expression, be perspicuous [sic], avoid unnecessary prolixity [sic] o
sottigliezze, occorre non trattare problemi che non hanno realtà. Esempi di
invenzioni filosofichi prive di oggettività sono la “idea” platonica e la tesi
del reale dell’universalie. Infatti, il reale è costituito soltanto da singoli
individui e questi devono essere indagati non attraverso la loro natura propria
e privata, ma attraverso la loro comune e continua successione. Si fa filosofia
non astraendo, ossia togliendo da una singola realtà quel quid che viene poi
analizzato come se esso fosse reale, ma comprendendo, ossia considerando
insieme il singolo reale. L'universale è una vana e finta astrazione che deriva
invece dalla comprensione di ogni singolare di ogni genere, accolto insieme con
un atto solo, senza astrazione intellettiva, ma con il solo ausilio di
un'intelligenza che comprende il singolare. In sostanza, noi non possiamo
distaccare, con un'operazione dell'intelletto, un universale da ogni singolare,
ma semmai passare dall'individuale al collettivo. L'operazione consiste nel
sostituire alla dialettica la retorica e alla logica la grammatica ma, pur
mettendo in rilievo i difetti della logica classica, non riesce a fondare una
nuova logica efficace e persuasiva. Saggi: Garin, Rossi, Vasoli, “Testi
umanistici su la retorica”; “Testi editi e inediti su retorica e dialettica di
Nizolio, e Ramo, Milano, Bocca “Marii Nizolii Brixellensis in M.T. Ciceronem
observationes Caelii Secundi Curionis labore et industria secundo atque iterum
locupletatae, perpolitae et restitutae. Ejusdem libellus, in quo vulgaria
quaedam verba et parum Latina, ad purissimam Ciceronis consuetudinem
emendantur, ab eodem Caelio, s.c. limatus & auctus”. Dizionario Biografico
degli Italiani. Ballestri, Massimiliano. Milano, Cosmo editore, R. Battistella,
umanista e filosofo, Treviso, L. Zoppelli, Il rinnovamento scientifico moderno,
Como, Meroni, Rossi, “La celebrazione della rettorica e la polemica
anti-metafisica del "De Principiis" in La crisi dell'uso dogmatico
della ragione, A. Banfi, Milano, Bocca); W. Fink, Logica aristotelica
Universale Idea. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. G. Calogero, Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Grice: “I was slightly disappointed when I got hold of Nizolio’s overadvertised
masterpiece, the “Lexicon Ciceronianum;” while Urmson liked it, I found it more
to be a common-or-garden dictionary. I did not care for philosophical concepts,
seeing that he starts wih “A”, ‘the first letter of the alphabet,’ as Nizzoli
defines it. So, I went straight to the third tome – heavy as they are, and
reprinted in London for use at public schools –‘adolescens’ – to ROMA, ROMANVS,
ROMVLVS. As for his advice as to deal with the longitudinal unity of philosophy
and his rhetorical, ‘Plato is my friend but a better friend is truth,’ I can’t
believe it coming from one who dedicated his life to TRACE every little ‘diom’
(slogans as the London edition has it) uttered by Cicero! WhileI would expect
praise against the barbarian scholastic from Roger Bacon, it sounds
hypocritical coming from Leibniz. By Nizelio’s standard, Leibniz was a
barbarian his self. The scholastics actually saved the books from the flames of
the Longobards and the Eastern Goths (earlier on).Roma, 2. Contr. RuJ. 95. Romain
montibus posita, et convalUbus, ccenacolis sublata atque
suspensa.1. de Div.107. Certahant, Urbem Romam Uemamne
vocdrent, Post led. in Sen. 1. Roma
arx omnium terrarum. De Pet Cons. 40. Roma civitas CK nationnm
conventu constituta. 1. de Onu 196. Roma domus virtutis, imperii et
dgnitatis. Ib, 105. Roma domidUum imperii et gloris. 4.C.11. Roma
luxorbisterraruhi, et arx onuuum gentium.1. Div. 101. Bmoul
sexenniojpost Veios captos a GaUis capta. Ib, 89.
Rome et reges augnres, et postea privati eodem sacerdotio prsediti, lem
pub.regionum autoritate rexemnt.1.Qu.Fr.1.18. Roma, ubi tanta arrogantia est, tam immoderate
libertas, tam infinita hominum centia. t 14.
Redu Romam Fonteu cansa ad VII. Idns Qu.3.de Nat
2. Roma in terries nihU meUns. Inoer. Romam conditam 01 vmpiadis sestss anno tertio. Romani.Pro Leg.Man.
Romani
pn»ter ctiteras gentes laudis et glori» avidi. 14.
At
12. Romani cives facti Siculi lege AntoniL9. Fara.19.
Romani veteres atque urbau sales. 1. Tus. 3. Romani serius
quam GffKci poeticam acceperant 1. Di. 95. Romaia nihU in bello sineextis
agebant nihU d<»B& sine auspiciis. 1.Off. 35. Romani Toscoianos, Equos,
Volscos, Sabinos, Hemicos, victoria parta non modo conservarunt, sed etiaro in
ciritatem acceperantPro Mur. 74Romani tempora voluptatis laborisque
dispelrtiunt, &c.l. Tus. 1. Romani omnia aut invenerant per se sapientius,
quam Greciaut accepta ab illis fcicerant meUora. 1. Div. 102. Romani omnibut
rebus agendis, quod bonnm, faustum, felix, fortunatnmque esset prefabantur. Pro
Cnc 99. Romani eos vendere solebant, qui mUites facti non essent 3. de Ora. 40.
Romani minos qoam liitm Utteris stndebant Pro Leg. Man. 5.1. Romani omnibus
navalibus puffuis Carthagienses vicerant 4. Aoad. 1 Romanorum antiqua jurisjurandi
formulaet consuetudo. de Or. Romanoram ingenia raultnm csBteris liomiaibos omnium
gentium prsstiterunt 3.39. Snavitassemkonis Atticoram et
Romanomm propiia. 4. Tosc 3. Apod priscos
Romanos morem honc epolaram fiijsseantor
est Cato in Originibos, ut deincepi, qui aocobaient,
canerent ad tibiam virorom daroram Uodes atqoe virtutes Romanos,
a, uro. 1. de Nat 83. Romana k 58 RO JaiioteIbBoa«t,<f«aUs8oif2li« $.S.Fo^
paU RoaiaBi ovnk religio in ftcrt etin anspida diyia. 16. Att 2. Popalnm
Boaunun nanDJ saasnonSn defendenda ropnb.sed Sn pUndendo coosoBieie. Bum non
nodo Romano bomini, sed ne Perse qwden coiqaam tolerabile. 7. Fam. 18. Bomaoo
nsoae oommendare.16. 5. Romano more feqni.1. de Orat et Ver. Romani ladL Att. NuBc
Romanas res aedpe. Romilla, iribus. t. cont Ral.78. Respondit, Romilla tribo se
initiam esse £se-tnram. I^,Tribos. Romalos,li,Qutnntti. 3. C. 2. Romalam» qu banc aibem condidit, ad deos immortales
benerolentia famaqae sastulimas.de L. 9 Roawhis
post exoessum suum dixit Proculo Jolio, se
deom esse, et Qaoinum vocartem plumaae sibi dedicari
ia eo loco jussit Romuhis quem
iaauratum m Capitolio pamun ac lacttntem, uberibos lopiais inhiantem fuisse meministis.
3. OfF. 41.Peccavit igitar, paoe vel Qoirini toI Bomali
duEerim.1. de D.Romuhis puldier. Ih,
3. Romulus urbm auspicato oodidit Roamlus non solom aospieato
Romam condidit, sed etiam optimos augur feit de N. 5.
Romnlos auspicBs, Numa sacris constitatb,
fandamenta jeeit ostiSB dTitatii. 3. Off. 41.
Romjlus, cum ci visom csset utilios solum, quam cum altero regnarefiratrem
interemit 1.DeOr. 37. Roma Jns consitto magis et sapientfaqaam doqueotia usns
est S. Div. 45. Romolas et Remus com altrice bdhui vi folminis idi oooddeiant Romulis
et Remus ambo augures fberant 3. C. 19. Roorali stataa decoelo
taeta. Som. 6ch>.17. Ronmlo moriente deficere sd
bommibas eatingaiqao visus est. Summatim quanam fine principia generalia
veritatis investigande, recteque philosophandi. Item in summa quanasmint
princigpeianeralia pseudo-philosophorum et perverse philosophandi. De generali
omnium nominum divisione in substantiva, adjectiva propria appellativa, deq;
eorum proprietatibus et differentia, nginguam facisusque inbuncdicmab ullo traditisaut
cognitis, contra pseudophilosophos. De nominibus propriis et appellativis, tam
cole&li vis quam simplicibus non cola Letivis, ac decorum proprietatibus et
diferentis, contra philosophastros. s.De us)0 (sem (falsis. De
denominativis reliquis capitibus Ante predicamentora, vel supervalaneis vel.
Universalia realia etiam five raese concedantur, tamen non fuisse facienda
quin. Que numeross ed velunumtantum, hoc est, GENUS, vel plura quam quinque hoc
est, septem veloflo, adiecto communi, simils, contrario, arque substantia. De
nominibus substantivis et adiectivis. De eorum proprietatibus ac diferentis,
contra pseudo-philosopos. De generaliomnium rerum divifione oratoria pera &
deila pseudo-philosophorum falsa, simul quede voce universi anni versalis et in
summa de falsirate universaslium realium ut vocant. Universalia realia nec
propter scientias artes quetradendas, nec propter syllogismos eocateras
argumentations formandas, nec propler predications superiorum de inferioribus
faciendas necessario ese ponenda contra pseudo-philosophos. Universalia realta
vere in rerum naturaese non posse. Co propter canone c, uirea Etiffime dicunt
nominales. Cintra sultam illam realium opinionem de universalibus realibus,
quorum rationes omnes plusquam in aneslabefaltaneur. um suffi.ientia
,quamvocant. De toris,& corum divisionibus, compositionibus quepere, contra
falsissimam dialecticorum de his omnibus doctrinam. De vere philosophico e
oratorio genere et de vera eius definitione. Contra falsum genus dialecticum et
falsam cius definitionem. De vera specie oratoria et vera ejus definitione,
contra falsam speciem dialecticam & falfam illius definitionem. De vera
diferentia & vero proprio philosophicis oratoriis do simulde eisdem
adversariorum vel falfsis vel inutilibus. De accidente vero quid esmedin
constanter definite et simul pauca quadam de falsis universalibus, eorum vanis
questionibus in universum. De preceptis dividendi et definiendi oratoriis veris
et dialecticis falis. De homonymis et synonymis grammaticorum veris quid vere sint
et quis verus eoru mufus, contra ftultaila aquivocado analoga dialecticorum.
Ele tantum modo unum et summum et verum á generalisimum genus oralo rium, quod
eft, genus rerum sex autem s a transcendentia Dialecticorum, decem pre
dilameniaAristotelis,& triaLaurentiiVallaelefalsa. Quam ob levem causam
Aristoteles CATEGORIAS fore predicamenta decemponenda ex iftima verii et quam
non re et tetriatantum Vallusta rucrit, fimul quopactonosar borem generica ma
Porphyri analonge diversam, faciendam arbitramur. GENUS rerum vere in
duasrantum species divide in s ubstantias et qualitates, omnia alia accidentium
dialecticorum pradicamenta sub qualitate generalitan quamo verascius specie
sper econtineri. Simul de falsa universali. De o sem. De qualitale generali et
omnibus e iustam comparata quam absoluta speciebus, praferrimquede qualitate
speciali, quantum different a speciebus accidentium dialectic corum ,&
fingillarim quærario de causa diversitatis. De nominibusscientia“ arris quid
APUD LATINOS communite rad proprie significe ne, u quormo dis virum que corum
accipiatur et deniq; quibus differentis attes elit entia mnter sediftinguantur,
contra falas scientias et artes pseudo-philosophorum, (falla. De generalı
scientiarum do atrium divisionenoftrarera, et pseudo-philosophorum. De errales
Peripateticorum in generalı philosophia divisione admflis. Dialectica minter
scientias ( ariesnecut universalem nec ut particularem ul lumomninolo cum
habere pose sed tanquam non modo falsams ed etiaminutslem de sua pervacuam ex
omni artinm do scientiarum numero ejiciendam. Metaphysicam inter scientias
Cartesnecut universalem nec ut parricularem ul lumomninolo, um habere pofe, sed
tanquam partim falsam, parliminutlım, partim super vacnam ab omni artium
scientiarum numero removendam. De comprehensione universorufmingularium vere
philosophica de oratoria et simul de abstractınoe universalium
pseudo-philodophia et BARBARA contrafallam Ardo stotelis doctrinam falsode
ceniis, abstrahentiam non efemendacsum. Oratoriam esse facultatem vere generalem,
grammaticam sub se primo, deinde reliqua somnesarl es fcrentias vere
continentem, iumpartese jusmajores breviter ex ponuntur omnes ,ở
cidem,quaàPseudophilofophisuniquefueruntablatarestituuntur. De sophisticis
Elenchis ab Anstoelein Rhetoricam non recte introductis et delio
brofophifticorum elenchorum quid senciendum, Que et quot fintea, quarequiruntur
cascientise artibus, ex quibu spendetac fitomnis eorum dividio definition o
distinclıo, contra falfam de eisdem rebus Pjendophialosophorum doctrinam. De
utilibus & veris argumentis de que utılı vero eorum iam tradendorum, quam
usurpandorum modo, conira partım fulumpurtom inutilem ipsorum doctrinam ab
Aristotele traduam in libro Topicorum. De definitionibus nominis et verbido
orarionis grammaticorum veris. Pseudo-philosophorum falfis, códealis, queab
Aristorele falso vel inutiliterinlibroSepiépenveids traduntur. Dentılıbus et
veris argumeniationibus, de queutilido verocarumufu, contrainu tolemdo vanā
Ariftotelis decudem rebus doctrmamtraditam in libris Analyticorum. Defalfa
demonftratione & falfafcientia & falsa sapientia pseudo-philosophorum
(simul de inutili falsoque posteriorum analyticorum libro. De vanitate eorum,
quaà recentioribus dialedicis appellantur parva logicalia. Libros qushodiefub Arif.
Nomine leguntur plerosque non vere eflesri Roselicos, sed subdititioscon
adulterinos, contra communem pseudo-philosophorum opinionem. De Platone,
Aristotele, Galeno, Porphyrio. Deomnibus Arifterelis interpretibus Grucis,
LATINIS e Arabibus: reviter quid fentiendum re&te philosophaturis. De
ratione philosophandi o de corrigendis instaurandisq; Philosophia studis, qua
nunc maxima exparte perveriae corruptfaunt. Nizzoli. Mario Alberto Nizolio.
Nizolio. Keywords: Cicerone, lexicon ciceronianus, Antonino, Leibniz’s
‘anti-barbaro’. – Refs.: Luigi Speranza: Grice e Nizolio: il thesaurus
ciceronianus” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Noce – implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo italino. Grice: “Only in Italy, philosophy and history are so connected; it
would be as if we at Oxford after the war would be only concerned with
understanding Churchill!” Grice: “For us, to do linguistic philosophy was to
get away from post-tramautic stress disorder acquired during what Winthrop
stupidly called the ‘phoney’ war!” – Grice: “It’s not difficult to understand
why Noce’s notes on Gentile were only published posthumously!” -- essential
Italian philosopher. «Certo i cattolici hanno un vizio maledetto: pensare alla forza
della modernità e ignorare come questa modernità, nei limiti in cui pensa di
voler negare la trascendenza religiosa, attraversi oggi la sua massima crisi,
riconosciuta anche da certi scrittori laici.» (Risposte alla scristianità,
da Il Sabato). Ttitolare della cattedra di "Storia delle dottrine
politiche" all'Università La Sapienza di Roma. Studioso del
razionalismo cartesiano e del pensiero moderno (Hegel, Marx), analizzò le
radici filosofiche e teologiche della crisi della modernità, ricostruendo con
cura le contraddizioni interne dell'immanentismo. Argomentò
l'incompatibilità tra marxismo, umanesimo, ed altri sistemi di pensiero che propugnavano
la liberazione secolare dell'uomo e la dottrina cristiana (affermò: "solo
il Redentore può emancipare"). Sostenne tenacemente, per tali motivi,
l'impossibilità del dialogo tra cattolici e comunisti e previde il "suicidio
della rivoluzione". Studioso del fascismo, sostenne che tale ideologia
fosse peraltro in continuità con il comunismo e fosse anch'esso un momento
della secolarizzazione della modernità. Sostenne, inoltre, l'esistenza di molti
punti di contatto tra il fascismo e il pensiero dei sessantottini.
Filosofo della politica, preconizzò la crisi del socialismo reale, mentre esso
viveva la sua massima espansione a livello mondiale. Argomentò che tale
sistema, da una parte applicava coerentemente la filosofia di Marx, ma
dall'altra negava le premesse del marxismo: ciò in quantomostrava Del Nocelo
stesso sistema di Marx si basava sulla contraddizione tra dialettica e
materialismo storico. Ribadiva infine la necessità dei valori di verità e di
moralità. Figlio di un ufficiale dell'esercito e di Rosalia Pratis,
savonese discendente di una famiglia nobile savoiarda, Augusto Del Noce nasce a
Pistoia nel 1910. L'anno dopo la madre si trasferisce con il figlio a Savona e,
allo scoppio della guerra mondiale, a Torino, presso una zia materna. A Torino,
Augusto svolge tutta la sua carriera di studi: dapprima al noto liceo
D'Azeglio, frequentato da alcuni dei futuri protagonisti della vita politica e
culturale della città e della nazione (Norberto Bobbio, Massimo Mila, Gian
Carlo Pajetta, Cesare Pavese, Felice Balbo e altri), poi all'Università degli
Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, allievo di A. Faggi, Erminio
Juvalta e Carlo Mazzantini con il quale si laurea nel 1932 con una tesi su
Malebranche. Inizia quindi a insegnare presso istituti superiori (Novi Ligure,
Assisi, Mondovì), mentre sviluppa la sua attività di studio anche con soggiorni
all'estero. Legge con entusiasmo Umanesimo integrale di Jacques Maritain,
che rafforza in lui, tra l'altro, una sempre più convinta opposizione al
fascismo. Cerca invano di farsi trasferire a Torino e di accedere qui alla
carriera universitaria. Nel 1941 si trasferisce a Roma per un distacco
propostogli dall'amico Enrico Castelli. A Roma frequenta Franco Rodano che, con
Felice Balbo e altri, anima l'esperienza di «Sinistra Cristiana», un tentativo
di conciliazione di comunismo e Cristianesimo da quale Del Noce resta per breve
tempo affascinato. Nel 1944 viene accolta la sua richiesta di trasferimento
presso un istituto superiore di Torino, dove torna a risiedere. Accompagna
all'insegnamento un'intensa attività di studio e di collaborazione a diversi
periodici, tra cui Cronache Sociali che gli dà occasione di incontrare Giuseppe
Dossetti. Scrive e pubblica il saggio La non filosofia di Marx, che
ripubblicherà vent'anni dopo nella sua opera maggiore (Il problema
dell'ateismo) e nel quale fissa i termini complessivi della sua interpretazione
del marxismo. Nello stesso anno cura l'edizione italiana di Concupiscentia
irresistibilis di Lev Isaakovič Šestov. Inizia la collaborazione alla
Enciclopedia filosofica del Centro Studi Filosofici Cristiani di Gallarate,
diretta da Luigi Pareyson. Distaccato a Bologna presso il centro di
documentazione diretto da Giuseppe Dossetti. Nel capoluogo emiliano frequenta
Nicola Matteucci e collabora stabilmente al neonato periodico «Il Mulino».
Scrive su Ordine Civile, rivista animata da Gianni Baget Bozzo, e altri alcuni
saggi, uno dei quali, «Idee per l'interpretazione del fascismo», sarà
all'origine delle future revisioni storiografiche di De Felice e Nolte. Partecipa
al convegno organizzato dalla Democrazia Cristiana a Santa Margherita Ligure
con una relazione intitolata L'incidenza della cultura sulla politica nella
presente situazione italiana: sugli stessi temi Del Noce intratterrà per anni
un rapporto difficile con il partito cattolico (altri interventi nei convegni
di San Pellegrino e di Lucca. Partecipa a un concorso a cattedra a Trieste, ma
non ottiene il posto. Pubblica Il problema dell'ateismo e l'anno successivo
Riforma cattolica e filosofia moderna, Volume I, Cartesio. Partecipa alla
«Giornata rensiana» con una relazione intitolata Giuseppe Rensi fra Leopardi e
Pascal. Ovvero l'autocritica dell'ateismo negativo in Giuseppe Rensi, nella
quale espone la sua fondamentale fenomenologia del pessimismo come pensiero
religioso. Nello stesso anno vince il concorso per una cattedra di Storia della
filosofia moderna e contemporanea all'Università degli Studi di Trieste, dove
divenne Professore. In quell'anno esce L'epoca della secolarizzazione, che
raccoglie molti dei saggi e degli interventi degli anni sessanta. Si realizza
il tanto atteso trasferimento a Roma, dove, all'Università "La
Sapienza", insegna prima Storia delle dottrine politiche e poidal
1974Filosofia della politica. Si infittisce la sua collaborazione a
riviste e periodici, sui quali interviene anche riguardo all'attualità politica
e culturale. Diresse la collana «Documenti di cultura moderna», dell'editore
torinese Borla (poi passata alla Rusconi) proponendo al pubblico italiano
autori come Marcel de Corte, Titus Burkhardt, Manuel García Pelayo, Hans
Sedlmayr ed Eric Voegelin. Partecipa vivacemente al dibattito sul divorzio.
Dopo la metà degli anni settanta inizia il rapporto con gli universitari di
Comunione e Liberazione partecipando a convegni e incontri promossi dal
Movimento Popolare. Pubblica il saggio Il suicidio della rivoluzione, dedicato
al compimento e alla dissoluzione del marxismo. Con Il cattolico comunista
chiude i conti con l'esperienza di Rodano (che nel frattempo ha lasciato la DC
per il PCI) e dei teorici della conciliazione tra Cattolicesimo e marxismo. Dal
1978 inizia anche la collaborazione continuativa con il settimanale «Il Sabato»
e contribuisce alla creazione della rivista «30 giorni», di cui rimarrà stabile
collaboratore. Nello stesso anno viene candidato come indipendente nelle liste
della Democrazia Cristiana per il Senato: primo dei non eletti, entrerà in
Senato l'anno successivo (1984) a seguito della morte di un
collega. Viene insignito del «Premio Internazionale Medaglia d'Oro al
merito della Cultura Cattolica. Riceve il premio Nazionale di Cultura nel
Giornalismo: la penna d'oro. Viene premiato dal Meeting di Rimini. Muore a
Roma. È tumulato nel Famedio del cimitero di Savigliano. Esce “Gentile”, che
raccoglie diversi saggi sul padre dell'attualismo, sul fascismo e sul suo
significato nella storia, frutto di decenni di studi e rielaborazioni. L'archivio
del filosofo e la sua biblioteca sono custoditi a Savigliano dalla fondazione Centro
Studi Augusto Del Noce, sorta nei primi anni novanta, diretta prima da G. Ramacciotti,
poi da Francesco Mercadante, da Giuseppe Riconda, e E. Randone. INella sua
più celebre opera Il problema dell'ateismo (del 1964) Del Noce inizia l'analisi
della storia della filosofia moderna invertendo il paradigma storicistico e
positivistico che nel progressismo aveva la sua cifra comune. Il filosofo
afferma infatti che tale paradigma di illuministica origine ha come prima
condizione d'esistenza la postulazione dell'ateismo come necessità del
progredire dei sistemi filosofici e delle scienze a prescindere dalla teologia
cristiana, cioè a prescindere dalla Scolastica, anzi in più o meno esplicita
opposizione alla Scolastica. La tesi che Del Noce intende dimostrare in
questa sua opera è -come evidenzia appunto il titolo- la considerazione
dell'ateismo non più come «necessità» bensì come «problema» della modernità, il
cui ultimo, coerente e necessario sbocco è appunto il nichilismo
post-nietzscheano distaccato ormai da qualsiasi riflessione filosofica e
sfociato in una pura forma di vita, in puro way of life di distruzione e
auto-distruzione dell'uomo. Del Noce pone quindi innanzitutto una distinzione
fra tre diverse forme di ateismo, ovvero fra l'ateismo positivo o politico diurno,
i cui esempi perfetti sono stati l'illuminismo di un Diderot o l'umanesimo di
un Feuerbach, l'ateismo negativo o nichilistico («notturno»), esemplificato
invece dalla filosofia di Schopenhauer, e infine l'ateismo tragico, detto anche
«follia filosofica», cioè la forma più rara e particolare di ateismo che Del
Noce trova solo in due casi in tutta la storia della filosofia, ovvero in
Nietzsche e in Jules Lequier. Posta questa propedeutica distinzione,
Del Noce inizia l'anamnesi del pensiero filosofico moderno per rintracciare la
genesi di ogni forma di ateismo, impossibile da pensarsi per la filosofia
antica come dimostra il fatto che anche la filosofia epicurea -considerata
comunemente come ateistica- ammetteva in realtà l'esistenza degli dèi. Per Del
Noce appare evidente che la crisi della Scolastica medievale non ha costituito
un processo necessario per il semplice fatto che proprio colui che aveva
intenzione di riformarla -cioè Cartesio- fu invece colui che in realtà la tradì
e se ne allontanò: è nelle celeberrime Meditazioni metafisiche che il filosofo
francese -allievo dei Gesuiti- tentò di riproporre una nuova prova
dell'esistenza di Dio da opporre al naturalismo libertinista del Seicento, che
predicava relativismo etico e che sostituiva il dio-logos con la Natura
impersonale e senza ordine. In realtà però Cartesio, nel suo sforzo
apologetico, compì il definitivo tradimento della filosofia cristiana
riattingendo ad un agostinismo privato di platonismo e considerando così le
idee dei semplici «contenuti della mente». In altre parole se l'idea di Dio,
quantunque logicamente necessaria, non è il riflesso intellettivo di una realtà
ontologica esterna al soggetto ma è una semplice struttura logica, allora vale
realmente la critica kantiana della prova ontologica di Sant'Anselmo secondo la
quale non è lecito aggiungere il predicato dell'esistenza alla perfezione
dell'idea se non per un paralogismo. Del Noce in sintesi ha mostrato come
il tradimento e la perdita della Scolastica, attuata innanzitutto da Cartesio,
ha come punto centrale l'idea di Idea, che è passata ad essere da struttura del
reale a struttura del razionale, passando quindi dal dominio dell'ontologia a
quello della psicologia. Per questo non vi è alcuna spiegazione se non il
rifiuto pregiudiziale di riconoscere uno statuto ontologico
all'idea, cosicché non vi sarebbe appunto alcuna necessità di trapasso
della Scolastica né tantomeno alcuna necessità di genesi del razionalismo; in
tal senso la famosa critica di Kant varrebbe quindi solo contro Cartesio e non
contro Sant'Anselmo, il cui platonismo gli permetteva ancora di inferire
necessariamente la «perfezione» dell'esistenza dall'idea dell'Essere con ogni
perfezione, cioè dall'idea di Dio. Prosegue la sua analisi mostrando quindi
come in Cartesio, che pur nelle sue intenzioni voleva essere un defensor Fidei,
già sussisteva in nuce ogni forma di illuminismo che avrebbe poi dominato nel
Settecento, per questo egli parla di un pre-illuminismo cartesiano e aggiunge
inoltre che proprio Cartesio, fiero avversario del libertinismo dilagante nel
suo tempo, fu colui che tradusse l'ateismo libertinistico e irrazionalistico
nella sua forma razionalizzata, cioè nell'illuminismo, che sarebbe stato
appunto un libertinismo razionalistico. Si noti che Del Noce non pone giudizi
sulla persona di Renato Cartesio, e anzi sottolinea come al suo tempo egli si
poteva davvero credere il grande condottiero vincitore della battaglia
culturale del Cristianesimo contro il libertinismo, ma ciò perché non era
riuscito a prevedere una forma di ateismo non-irrazionalistico e
non-relativistico quale fu appunto l'illuminismo settecentesco, che non si
limitò più ad opporsi alla Scolastica ma che formò una propria dogmatica
visione della storia in cui il Cristianesimo, rappresentato dalle leggende nere
del Medioevo, era stato solo un ostacolo per lo «sviluppo» e l'«emancipazione»
dell'umanità (si tenga presenta la definizione kantiana di
«illuminismo»). Da Cartesio in poi sono comunque due i percorsi
filosofici che partono e che sviluppano i due aspetti compresenti in Cartesio,
ovvero l'illuminismo e lo spiritualismo: da una parte infatti Condillac, Kant,
Condorcet, fino a Hegel e Marx riceveranno il lascito propriamente
razionalistico e sensu lato materialistico di Cartesio, dall'altra invece
Pascal, Malebranche, Vico e infine Rosmini saranno gli eredi del suo patrimonio
spiritualistico, inteso questo come filosofia di accordo fra ragione naturale e
fede cristiana, posta la distanza epistemologica dalla Scolastica; famosa ed
illuminante è a questo proposito la teoria della «visione in Dio» di
Malebranche, nonché la distinzione pascaliana fra «Dio dei filosofi» e «Dio di
Gesù Cristo». Andando comunque alla radice del problema del tradimento della
metafisica cristiana (Tomismo) da parte di Cartesio e del conseguente
illuminismo, Del Noce individua come unica possibile condizione per tale
tradimento il rifiuto del peccato originale come male metafisico e quindi il
rifiuto dello «status naturae lapsae» di cui proprio il Cristo sarebbe il redentore:
senza alcuna natura umana da redimere, cioè senzanecessità di alcun redentore,
il razionalismo ha sostituito il peccato con l'ignoranza e Dio con la ragion
critica, rifacendosi così ad un pelagianesimo laicizzato che da solo rende
possibile una qualsiasi forma di ateismo. Egli nota, infine, che avendo
rifiutato la radice metafisica del male se ne è dovuta cercare quella fisica o
psicofisica, secondo gli schemi ideologici che nel Novecento avrebbero reso la
psicanalisi e la psicologia gli elementi complementari allo scientismo per una
completa e non riduttiva visione del mondo senza Dio, e per una definitiva
«ateologizzazione» della ragione. Compimento e dissoluzione del marxismo
Riguardo al marxismo e alla sua interpretazione Del Noce scrisse due opere,
ovvero Il cattolico comunista e Il suicidio della rivoluzione, che
costituiscono la continuazione de Il problema dell'ateismo in quanto in esse il
filosofo analizza più dettagliatamente solo una delle linee filosofiche
originate da Cartesio, quella razionalistica, cioè quella che nella storia
moderna fu vincente nella sua estensione politica, nel tentativo di trovare e
di dimostrare la continuità necessaria fra razionalismo, materialismo, marxismo
e infine nichilismo, quest'ultimo inteso come cifra problematica della civiltà
postmoderna. La giustificazione epistemologica di questa analisi è data
dal fatto incontestabile che la storia del Novecento inizia da un fatto
filosofico, ovvero dal passaggio della filosofia marxiana in azione politica,
ovvero dalla coerentizzazione di quella che Del Noce definisce la
«non-filosofia di Marx»: da ciò appare non solo giustificato ma anche
necessario portarsi sul piano storico della filosofia per comprenderne il suo
portato teoretico, e così disinnescarne il suo sostrato ideologico. Si affianca
a diversi filosofi, quali ad esempio Voegelin, per rintracciare l'inizio della
cosiddetta secolarizzazione, il cui compimento sarebbe stato appunto il
marxismo e poi il nichilismo, nel sequestro della nozione di «progresso» da
parte di filosofie laiche dalla teologia di Gioacchino da Fiore, o meglio
dall'interpretazione di tale teologia: ben nota è infatti la distinzione
gioachimita nelle tre età della storia, l'Età di Dio-Padre (Ebraismo), l'Età di
Dio-Figlio (Cristianesimo) e infine l'Età di Dio-Spirito che avrebbe dovuto
superare i «limiti» del Cristianesimo ed estendere l'elezione e la salvezza in
modo universale. Di tale teologia mistica e profetica si appropriò lo
gnosticismo sviluppatosi in seno al Cristianesimo stesso ed estesosi pian piano
oltre i confini delle filosofie razionalistiche del Settecento e soprattutto
dell'Ottocento. Del Noce nota infatti una sorta di dialettica nata all'interno
dell'illuminismo settecentesco non tanto fra atei e deisti bensì fra rivoluzionari
e conservatori, ovvero fra il puro giacobinismo ghigliottinatore dell'«ancien
Régime» e il progressismo che caratterizzò invece la fase dell'illuminismo dopo
la degenerazione della rivoluzione francese in Terrore, ovvero la fase dei
cosiddetti ideologues, fra i quali Cabanis e Condorcet. Il punto attorno a cui
si sviluppava tale dialettica fu appunto la differente filosofia della storia
che aveva caratterizzato l'illuminismo pre-rivoluzionario e l'illuminismo
post-rivoluzionario, in quanto il primo aveva escluso una qualsiasi evoluzione
storica e necessaria dell'umanità e aveva anzi condannato il Medioevo con la
storiografia della leggenda nera, mentre il secondo aveva invece rivalutato
l'intera storia pre-illuministica (sia pagana che cristiana) considerandola
come momento dialettico necessario pur se negativo della storia
universale. In questo senso Del Noce ha potuto mettere in parallelo
l'opposizione fra illuminismo giacobino e spiritualismo in Francia e quella fra
kantismo e hegelismo in Germania, ove spiritualismo e hegelismo sono state
filosofie vincenti in quanto hanno assorbito in sé il momento rivoluzionario e
negativo dell'illuminismo per poi superarlo nella formazione di quella
filosofia della storia che ebbe certo in Hegel il suo culmine. Riguardo al
binomio illuminismo-spiritualismo la critica vincente del secondo sul primo è
stata quella di un estremo e insostenibile riduzionismo rappresentato dal
sensismo di Condillac, in altre parole è stata la critica di ridurre la
comprensione del mondo al pari di ciò che lo stesso illuminismo aveva accusato
la religione di aver fatto. In questo contesto è la nascita della visione
sociologica del mondo a rappresentare il tentativo di superare questa aporia
illuministica senza tuttavia dover ritornare alla metafisica tradizionale: Del
Noce insomma sostiene il trapasso dell'illuminismo in socialismo, non a caso
nato in Francia, intesa questa come dottrina che dell'illuminismo mantiene il
carattere utopistico (socialismo utopistico) e quindi anti-tradizionalistico,
ma ne sconfessa invece il deprecabile riduzionismo che ancora non permetteva
un'adeguata analisi della società ai fini della rivoluzione politica. In
Germania invece la dialettica fra kantismo e hegelismo, con netta vittoria
dell'hegelismo, ha come punto di svolta la riconsiderazione hegeliana della
storia come storia dell'Assoluto («storia di Dio»), secondo il ben noto
schema gioachimita che vedeva in ogni momento storico un grado dimanifestazione
dell'Assoluto, e quindi «necessario» pur nella sua negatività. In questo senso
Hegel è colui che diede forma alla corrente tradizionalistica dell'illuminismo,
ove la tradizione non è più peròcome per Tommaso d'Aquinol'insieme delle verità
eterne e immutabili che solcano trasversalmente la dimensione temporale
mediante il passaggio delle generazioni, ma è bensì la struttura dialettica
eterna che necessita l'evoluzione delle verità, e quindi la sua
temporalizzazione. Per questo Del Noce afferma che l'idealismo hegeliano
ebbe nei confronti del kantismo la medesima funzione che in Francia ebbe il
positivismo comtiano nei confronti del socialismo utopistico: egli ricorda la
critica di Comte nei confronti dell'illuminismo settecentesco, la sua
rivalutazione della tradizione (in senso dialettico), nonché la celeberrima
teoria degli stadi che costituisceancora una voltauna forma secolarizzata della
teologia gioachimita. È dopo questa dettagliata analisi che Del Noce innesta il
discorso sul marxismo, il quale appunto si configuròper stessa ammissione di
Marxcome ripresa critica di Hegel attraverso la filtrazione di Feuerbach e
della sinistra hegeliana (celebri sono le marxiane Tesi su Feuerbach) e come
fusione fra la dialettica hegeliana e la politica del socialismo utopistico:
alla base del cosiddetto socialismo scientifico rimane ancora il desiderio di
palingenesi politica propria di Saint-Simon o di Fourier, ma onde evitare il
risibile utopismo di questi ultimi ad esso Marx applicò la dialettica hegeliana
con cui solamente si sarebbe potuto analizzare il capitalismo e prevederne così
il «necessario» fallimento. A tal punto però l'analisi marxiana di come
potrà nascere la società comunista introduce l'elemento di distacco non solo
dall'idealismo hegeliano ma anche dalla filosofia stessa, ovvero la necessità
di tradurre il pensiero analitico in azione politica e di affidare alla storia
invece che alla ragione il compito di dimostrare la verità delle tesi marxiane.
In questo Del Noce si riallaccia a una lunga storiografia socialista, uno dei
cui esponenti più noti è per esempio Lukács, che afferma la stretta e
necessaria continuità fra filosofia di Marx e di Engels, politica di Lenin e
politica di Stalin, senza concedere alcuna differenza né alcuna opposizione fra
socialismo reale e socialismo ideale (quasi a guisa di giustificazione
storica). Il fattore fondamentale di continuità fra Marx e Lenin è infatti
quella struttura tipicamente gnostica che equalizza il male all'ignoranza e il
bene alla conoscenza e quindi divide il genere umano fra la massa degli
ignoranti e la ristretta cerchia degl’lluminati, che nella riflessione
leniniana erano gli intellettuali borghesi che per una non spiegata differenza
dal resto della borghesia avrebbero potuto e dovuto guidare la rivoluzione; in
questo senso la politica leniniana, poi proseguita coerentemente nella politica
staliniana, sarebbe stata l'incarnazione perfetta nonché l'unica incarnazione
possibile della filosofia marxiana, e non invece -come è tesi di una certa
apologetica socialista- un tradimento di Marx. Ancora una volta si rifà a
una lunga storiografia critica nel considerare il marxismo non come una
filosofia ma come una religione, ma a ciò egli aggiunge la dimostrazione non
del suo carattere di religione civile bensì di religione gnostica: in tal modo
il marxismo leninista sarebbe davvero il compimento del razionalismo ove
quest'ultimo è inteso come gnosticismo laico, religione non di Dio ma
dell'Idea/ideale che non ha bisogno dell'Incarnazione di un Dio-Uomo in quanto
l'uomo stesso avrebbe potuto e dovuto far incarnare tale Idea nel mondo
attraverso la sua azione. Questo è il senso dell'appellativo delnociano di
«non-filosofia» per il marxismo, giacché la contemplazione metafisica in
esso viene interamente assorbita dall'azione politica, in quanto per Marx la
politica è la vera metafisica al pari di come per Nietzsche lo è la
morale. Eppure è proprio questo punto a costituire secondo Del Noce la
contraddizione fondamentale interna al marxismo e quindi la causa prima del suo
fallimento storico: se infatti la «riconciliazione con la realtà» iniziata da
Hegel, proseguita da Feurbach a portata a compimento da Marx deve rivoltare
l'intera comprensione del mondo in trasformazione del mondo, cioè in
rivoluzione, allora in ciò non rimane giustificato il riferimento ideologico
all'avvenire come sede immaginifica della società comunista, ovvero non rimane
giustificato il carattere ancora religioso del marxismo per cui esso ha
sostituito il futuro all'eternità e il lavoro dell'uomo alla redenzione del
dio-uomo. Il fallimento storico del comunismo, quindi, sarebbe stato non
solo la dimostrazione sperimentale della falsità delle teorie marxiane ma anche
il coerente compimento del marxismo come auto-distruggersi nella sua forma di
religione. Con ciò si spiegherebbe per Del Noce l'attivismo comunista nonché la
graduale decadenza del socialismo nel mondo fino alla sua profetizzata fine,
simboleggiata dalla caduta del Muro di Berlino. È propria di lui infatti la
teoria secondo cui il compimento e la dissoluzione del marxismo non siano due
momenti separati o addirittura opposti, ma siano bensì il medesimo momento
dispiegato coerentemente nel tempo. L'interpretazione del fascismo Sul
fascismo e sulla sua interpretazione in stretta relazione al marxismo dedicato
gran parte dei suoi studi e delle sue opere, partendo appunto dalle opinioni
comuni e molte volte ideologiche degli storici nei confronti del fascismo e
delineando una struttura paradigmatica tanto controversa quanto precisa e
fondata. È a partire dalla definizione data dallo storico tedesco Ernst Nolte
di ogni movimento fascista come «resistenza contro la trascendenza», intesa
come trascendenza storica e non metafisica, che Del Noce sottolinea la
continuità fra questo serio giudizio e la communis opinio del fascismo come
movimento reazionario, per questo tradizionalista e nazionalista, e per
converso di ogni forma di tradizionalismo e di nazionalismo come rimando
implicito e forse inconscio al fascismo. Di questo fa una critica
serrata, facendo notare innanzitutto le origini culturali dei due fondatori del
fascismo, cioè Gentile e Mussolini, come antitetiche rispetto a ogni forma di
politica reazionaria, tradizionalista e nazionalista e come invece affini
rispetto al socialismo, del quale Mussolini in particolare fu un esponente. Si
noti che l'obiettivo che N. intende colpire e abbattere è quella generale
concezione del fascismo come momento singolare e controcorrente rispetto
all'intera storia moderna, dalla rivoluzione francese in poi, mentre ciò che
intende mostrare è la continuità quasi necessaria che è posta fra l'hegelismo,
il marxismo e il fascismo come tre momenti dell'unico processo di
secolarizzazione. Il filosofo inizia quindi dall'analisi della figura storica
di Mussolini e della sua formazione culturale, notando il suo giovanile
anticlericalismo, il suo spontaneo confluire nel socialismo, e il seguente
superamento di quest'ultimo per l'evoluzione fascista del suo pensiero. È in
particolare sul concetto di «rivoluzione» che pone l'accento, essendo
questo un concetto base del marxismo che però, attraverso l'incontro
mussoliniano con la tedesca «filosofia dello Spirito» risorgente in Italia,
dovette radicalmente trasformarsi e portarsi dal livello sociale della «classe»
a quello personale del «soggetto». È insomma l'incontro intellettuale di
Mussolini con la filosofia di Gentile ad aver reso necessaria la trasformazione
della rivoluzione in un senso non più finalistico o escatologico (come era nel
marxismo puro, il cui fine è appunto la società comunista) ma in un senso
propriamente attivistico e lato sensu solipsistico, in termini gentiliani cioè
attualistico. Con ciò Del Noce può connettere la psicologia di Mussolini con il
vero e proprio formalismo pratico del fascismo, il quale non aveva in realtà
alcun contenuto definito, ma proclamava bensì una forma di azione tanto vaga e
generale da poter attrarre a sé ogni sorta di ceto sociale (anche il
proletariato) e di frangia ideologica, in alcuni momenti persino quella
marxistica. Il concetto di «rivoluzione» infatti contiene in sé già un
termine finale ben preciso verso cui lo stato attuale del mondo andrebbe
rivoluzionato, mentre nella politica fascista il termine rivoluzione deve
necessariamente essere sostituito dal termine «riforma» (si pensi appunto alla
riforma Gentile) in senso non più tradizionale, cioè come ri-formare ciò che è
stato de-formato, bensì in senso creazionale, cioè come dare una nuova forma
(indefinita) alle antiche cose, perciò rimane un concetto molto affine a quello
di marxistico di rivoluzione, e permette l'affiancamento ideale dell'attualismo
gentiliano al modernismo teologico fiorente a quel tempo e condannato come
eresia dalla Chiesa. Saggi: “Teologia della storia” (Torino, Filosofia);
“La solitudine di Faggi” (Torino, Filosofia); “L'incidenza della cultura sulla
politica italiana, Cultura e libertà” (Roma, 5 lune); “A-teismo” (Bologna,
Mulino); “Riforma e filosofia” (Bologna, Mulino, Brescia); “In contra del domma
cattolico-romano” (Torino, Erasmo); “Contra il domma cattolico-romano” (Milano,
UIPC); “L'amore di Dio” (Torino, Borla); “Il secolare” (Milano, Giuffrè); “Il
partito comunista italiano” (Roma, Europea); “Il suicidio di un rivoluzionario”
(Milano, Rusconi); “I comunisti” (Milano, Rusconi); “L'interpretazione trans-politica
della storia contemporanea,” Napoli, Guida, “Secolarizzazione e crisi della
modernità” (Napoli, Benincasa); “Gentile: per una interpretazione FILOSOFICA
del fascismo” (Bologna, Mulino); “Da Cartesio a Serbati” -- Scritti vari di
filosofia,” Milano, Giuffrè); “Esistenza e libertà.” Spir, Chestov,
Lequier, Renouvier, Benda, Weil, Vidari, italiano Faggi, Martinetti, italiano Rensi,
italiano Juvalta, italiao Mazzantini, italiano Castelli, italiano Capograssi” (Milano,
Giuffrè); “Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione”; Scritti su l'Europa e altri,
Milano, Giuffrè); “I cattolici e il progressismo,” Milano, Leonardo, “Fascismo e anti-fascismo:
errori della cultura” (Milano, Leonardo); “Il laico”; Scritti su Il sabato (e
vari, anche inediti), Milano, Giuffrè); Pensiero della Chiesa e filosofia
contemporanea. Leone XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II” (Roma, Studium); “Verità
e ragione nella storia. Antologia di scritti, “ I. Mina, Milano, Biblioteca
Universale Rizzoli); “Modernità. Interpretazione transpolitica della storia
contemporanea” (Morcelliana, Brescia.). Del Noce insegna nel capoluogo
piemontese. G. Bozzo. Del Noce, il filosofo della libertà politica). Augusto Del Noce, «Idee per l'interpretazione
del fascismo», Ordine Civile. E tra i componenti del comitato promotore del
referendum abrogativo antidivorzista) e più tardi sull'aborto. premio Rhegium Julii, su circolorhegiumjulii.wordpress.com.
P. Armellini, Razionalità e storia, in Il pensiero politico, Roma, Aracne editrice,
Massimo Borghesi, Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno.
Marietti, Genova-Milano.[collegamento interrotto] Luca Del Pozzo, Filosofia
cristiana e politica, Pagine, I libri del Borghese, Roma, S. Fumagalli, Gnosi
moderna e secolarizzazione nell'analisi di Emanuele Samek Lodovici ed Augusto
Del Noce, PUSC, (scaricabile in PDF dal sito sergiofumagalli) Gian Franco Lami,
La tradizione, Franco Angeli, Milano, Marietti, Genova-Milano. Enciclopedia
ItalianaV Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pietro Ratto,
Ipotesi sul fondamento dell'essenza dissolutiva del marxismo e del fascismo, in
Boscoceduo. La rivoluzione comincia dal principio, Sanremo, EBK Edizioni
Leudoteca, Ambrogio Riili, Augusto Del Noce interprete del Marxismo. L'ateismo,
la gnosi, il dialogo con Volpe e Goldmann, in Centotalleri, Saonara, il prato, Francesco
Tibursi, Il pensiero di Augusto del Noce come Teoria sociale, in Andrea
Millefiorini, Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella
riflessione sociologica italiana, Societas, Roma, Nuova Cultura, Xavier
Tilliette, Omaggi. Filosofi italiani del nostro tempo, traduzione di G.
Sansonetti, Brescia, Morcelliana, Natascia Villani, Marxismo ateismo
secolarizzazione. Dialogo aperto con Augusto del Noce, in Pensiero giurdico.
Saggi, Napoli, Editoriale Scientifica, Augusto Del Noce, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Repertori Bibliografici, su centenariodelnoce).
La metafisica civile: ontologismo e liberalismo dalla rivista telematica di filosofia
Dialeghesthai. P. Ratto, Laicità e Democrazia: da Del Noce a Giotto, su BoscoCeduo,
Democrazia e modernità in Augusto Del
Noce, articolo dal mensile 30Giorni. L'inseparabilità dei Tre. La modernità, di
Andrea Fiamma Centro Culturale,//centrodelnoce. Fondazione //fondazioneaugustodelnoce.net.
centenariodelnoce. Articoli di Del Noce «Il dialogo tra la Chiesa e la cultura
moderna» da Studi Cattolici. «L'errore di Mounier» da Il Tempo. «Risposte alla
scristianità» da Il Sabato. «La sconfitta del modernismo» da Il Tempo. «La
morale comune dell'Ottocento e la morale di oggi», tratto da Il problema della
morale oggi. «Rivoluzione gramsciana», tratto da Il suicidio della rivoluzione.
«Origini dell'indifferenza morale» da Il Tempo. «Le origini dell'indifferenza
religiosa» da Il Tempo. «Religione civile e secolarizzazione» da Il Tempo. «Un
dramma europeo: il dissenso cattolico» da Corriere della Sera. «Questi poveri
cattolici minacciati dal suicidio» da Il Sabato «In stato di
porno-assedio»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «La più grande vergogna
del nostro secolo» da Il Sabato. «Fu vera gloria? La resistenza 40 anni
dopo»[collegamento interrotto], tratto da Litterae Communionis. «Una colomba,
non un santo (caso Bukarin)» da Il Sabato. «Intensità d'una gran illusione
(Dossetti e dossettismo)»[collegamento interrotto] da Il Sabato.
«L'antifascismo di comodo» da Corriere della Sera. «Togliatti? Un perfetto
gramsciano. Polemica su Gramsci»[collegamento interrotto] da Il Sabato.
«Il nazi contagio» da Il Sabato. «La morale catto-comunista» da Il Sabato.
«Abbasso Mazzini» da Il Sabato. «I lumi sull'Italia»[collegamento interrotto]
da Il Sabato. «Recensione del romanzo di Benson "Il Padrone del mondo"»
dal mensile 30Giorni. «Filo rosso da Mosca a Berlino (Hitler-Stalin)» da Il
Sabato. «Le connessioni tra filosofia e politica»[collegamento interrotto] da
Il Tempo. «Pci, l'impossibile conversione» tratto da Prospettive nel mondo. Grice: “Unfortunately, Noce is a philosopher, like
me. We cannot lay word on history. Had Hitler won, I wouldn’t have joined
Austin’s Play Group. Being Italian, Noce thinks different. He thinks history is
guided by philosophical principes. It wasn’t Mussolini’s charisma that led the
populace, but Gentile’s attualismo puro. He makes a good point about the
distinction between Hitler and Mussolini. Hitler is a Protestant, Mussolini
ain’t! Most in Mussolini’s circle were just as heathen as those in Hitler’s
circle – different heathenism, though. No Odin, but Giove. Not Siegrfied, but
Enea! Noce does not know the first thing about this. He never socialized with
any of the people he is philosophizing about. In any case, there’s Garibaldi,
which is a stain to Italian history. Italians, and a Ligurian friend of mine
can testify to this, never wanted the UNITY. It was forced ON them. So it’s
only natural that Gentile and Noce regard the UNITY brought by Risorgimento
(alla Fichte Hegel, and the idea of the NATION) that was furthered by
Mussolini. Mussolini did use Garibaldi imagery – saying that his movement was
‘garibalismo puro’ – but although he (Mussolini) did write a little thing about
Nietzsche, you won’t find his name in ‘dizionari di flosofia’!” Augusto Del
Noce. Noce. Keywords: saggio su Gentile e il fascismo, Faggi, Serbati, Spir,
Vidari, Rensi, Martinetti, Juvalta, Massantini, Catelli, Capograssi. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e del Noce," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Noferi – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Important
Italian philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s
Oxford, i. e. Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I
would consider him both a Grecian and Griceian in spirit.” alla Strozzi Palla e Lorenzo Strozzi. Dettaglio
dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Grazie alla ricchezza
accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia, il padre puo far
istruire il figlio da filosofi, e grazie all'interesse e all'intelligenza, divenne
di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini. Ricco e colto,
commissiona numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella Strozzi nella
Basilica di Santa Trinita, opera di Brunelleschi e Ghiberti. La cappella, progetto
irrealizzato da Noferi, venne fatta erigere in la sua memoria e ne ospita la
sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissiona l'Adorazione dei Magi a
Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a L. Monaco, terminata poi da
Beato Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori. Collezionista di libri rari
e conoscitore del greco e del latino, si trova nvischiato nell'opposizione
strenua contro Cosimo de' Medici. Cosimo e l'uomo che per la prima volta si e di
fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con
uomini chiave alla guida degli uffici della repubblica di Firenze. Davanti a
lui solo due strade sono possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato
o lo scontro frontale. Forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura,
e a capo della fazione anti-medicea assieme ad un altro oligarca indomabile,
Albizi. La fortuna arriva alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima
l'incarcerazione di de’ Medici, poi la dichiarazione del medesimo come magnate,
cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio da Firenze. Il suo obiettivo
comunque non e tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della
“liberta”. In questo e diverso d’Albizi.
Intanto de’ Medici manda già segni di prepararsi a un ri-entro, che
avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei
gonfalonieri. Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli
avversari, con l’esilio del filosofo e d’Albizi. In questo de’ Medici e favorito
anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si sono saputi
conquistare. Quindi parte per Padova. Il suo palazzo a Padova e un ritrovo di
filosofi, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri culturali
più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più
importante della stessa Firenze. Si pensi ai capolavori lasciati proprio da due
fiorentini come Giotto o Donatello. Lascia la sua raccolta di libri rari,
arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di
Santa Giustina. Muore a Padova nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Sepolto
nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme. Cavaliere dello Speron d'oro nastrino
per uniforme ordinaria cavaliere dello speron d'oro Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di
Firenze, Roma, Newton Compton, R. Palmarocchi, La famiglia Strozzi, in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “His
main claim to philosophical fame is in his character- unlike Alibizi’s and
indeed Medici. He loved freedom, and chose to settle in Padova, although his
roots were well in Firenze. He built hiw palace in Padova in Prato del Vallo to
gather philosophers, since what’s the good of knowing the classics if you
cannot converse? He never touched a university! His ‘bibliotheca’ is legendary!
Strozzi-Noferi. Noferi. Keywords: “Beautiful painting (by Gentile da Fabriano) of
Noferi. Very Italian in an exotic sort of way!” – Grice. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi-Noferi --
Grecian, Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Nola – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. Gice: “At Oxford, we are
proud of our philosophy, at Bologna, and in Italy in general, they are proud of
their physicians, as they call them – students of nature!”. Di origini
napoletane e zio di Molisi, insegna per lungo tempo a Napoli. Discepolo di Altomare,
divenne noto per suo saggio, “Quod sedimentum sanorum, aegrorumque corporum non
sit eiusdem speciei adversus Ferdinandum Cassanum et alios contrarium
sentientes.” Cf. G. Marruncelli, Elementi dell'arte di ragionare in medicina” (Napoli,
Gabinetto); S. Renzi, “Storia della
medicina” (Napoli, Filiatre-Sebezio); Adalberto Pazzini, La Calabria nella storia
della medicina, Roma); Lavoro critico (Bari, Dedalo). La Famiglia dei Nola. Molise,
Archivio storico di Crotone. 1, quem ad modum Ciuitates tunc
optime gubernātur, (vt inquit Platoin lib. de Philo.) cùm iniustidant pænas: perin
so& impudenter, impugnant, accontra dicunt, optimèquoquereor, &
scientiæ, & artesse haberent. Nam veras CLARISS. ALTIMARI discipulo, Au&ore.
Med .Doctore scientias ac artes perfetè, et breui cuns & isaffequiliceret:
at queitaetia muerè scientes, acoptimos artifices fieri. Nuncueròcumlex falso
contradicentibus statuta nullafit, no immeritòe inoptimosuiros, arbitror,
impurissimum quen queac in eruditumiuueneminuehiandere et admodum paucos vere
scientes, artifices quereperiri, cum& passim scribere omnibus liceat, &
unicuique sententiam ferre apud vulgus. Adde, quòdnefcio quo fato datum etiam
fit quibusdam, easdem docere artes, ac publicè profiter i , qui uel omnino inertes
fint, aut parumeas intelligant: cùm ueròne sciant, scire autem seputant, mirum non
est fidgeipfierrent, & alios aberrarecogant. Quandoquidem oporteret
(utinquitidem Plato in Alcib.) eos qui aliquid doftursiunt, priufquam doceant, intelligere,
fix OVOD SANORVM AEGRORVMQVE SEDIMENTV M IOANNE Andrea Nola Crotoniața Artium
& bique fuoq; martese dimenti ueritate mueftigauitad Hippo. es
Gal. sententiam quemadmodumo non nulla alia nonminu sad artem medicam utilia
quàm necessaria, ut in reliqus fuis scriptis palàmestuidere:) Sedcum hacfole
clariorafint, pateant quecun&tis Artis medicæ candidatis, quirenera
medicisunt, nedum in uniuersa Italia, uerum etiam into tafere Europa in colentibus;
mea approbationenon indigent. Attem puseft ut adiftorum ignorantiam
castigandam, ac in numeros errores patefaciendos, accedamus. Nos uero eo, quo scriptifunt,
ordine, eos animaduertemus, etiam fiad sedimentorum naturam manifestandam non
conferant; ut discant studiosiquam maxime', nedum Artis medis ca, sed
Philosophia, & Dialeticæ fe imperitosese oftendant; quanto veliuore
impulsitali ascribere conatifuerint. Cum vero futurun fitut hominem reprehendamin
doctum, ftolidum, opinione sua sapientem, nugis interin erudite siuuenes uersatum
in uniuersauita, queso, candidiß. lector, liceat mihi uerbis huius ignorantiam castigare
asperio nibus, quibus ego ut ialioquinon foleo. Cùm primimin prima pagellahicuirdă
nassettum Plusquamcom mentatoris, tum etiam Neotericorum opinionem de sedimento
(quiz whipseait, quamuis. Iaftenturf copumattigile, longèalijs falluntur)
Sedimentum SANORUM ægrorumý; corp. biqueconsentire, e nondissidere: hæcetenim
bonos decet præcepto ses utipfeait. quod sita fieretnequehic incognitus nescio quis
Ferdinandus Cassanus, tam fuisse taudaxs atque impudens, ut feuerisoppo neret,
nifiexilis esset, quiomnem funditus pudorem exuerunt, neque afuis præceptoribus
male eruditusac impulsus, (eorumtamen opinio ne sapientibus) totausus fuissetscriberenugas.
Quas omnes passimin minibus artis medicecandidatis, seclusoliuore, manifestare conabor,
quõhuiusuiri ignorantia, simul quete meritas castigetur. difcantque reliquiin
posterum quàmmalum sitoptimis, aceruditiß. uirisindies utilia, Artisg; medicæ apprimè
necessaria, & uerissima scribentibus; O ut summ a t i m dicam, universam
pene medicinam illustrantibus, falso contradicere. Non autem, uteaquæa doctissimoac
Clariß. Alti maro præceptore meo de sedimenti in urinis scripta sunttuear, sunt
et enim ad eòscitèacdo Etéconscripta, éghæc, & reliquaomniaque hactenus in luce
medidit, acualidiß. auctoritatibus & rationibus comprobata, ut nedumiftorumuirorumnugas
non curent, sed quorumuis etiam aliorum do tiffimorum, fi quæ essent
contradictiones paruifaciant, ipsea; primus omnium quosuiderim, propria inuentione
cumque 1 cumque neutri, fuo optimo iudicio, ueritate mattigerint, et
fimulli. Uore percitus eosdem recentiores scriptores calumniasset, quorumnca
quidem calciamentasoluere dignus esset, eisque falso tribueret cunéta
quaibitemerenarrat.cõfestim,utipfeait; in fecüda ueritatë protulit quam desedimentosentit,
quæquantiss cateaterroribus, quantumus averitatealienafit, & Gal. sententia
demonstrabimus, ubialiosprius ciuserroresin eadem f ecunda pag. conscriptos, manifeftauerimus:
Aitetenim {senolle tempus contererecircaurine generationismodă, Giovanni Andrea de Nola. Nola. Keywords: Crotone,
Plato, Nola-Molise, corpus sanum, focal unification, Owen, Pantzig,
brennpunktbedeutung, Grice, Aristotle, Metafisica, ‘unificazione focale’ –
universale: ‘sanitas’ instantiazione: corpus sanum, corpi sani. Refs.: “Grice e
Nola” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Noto – IVPITER – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pollina). Filosofo italiano. Grice: “Italian philosophers, must be
for St. Peter, who DIED there – are obsessed with God – Noto wrote his thesis
on that, evidence and lack thereof for God – the part concerining the
refutation for those who deny evidence is fascinating! And typically of an
Italian philosopher, he narrows down his research to ‘secolo XIII,’ where we at
England and Oxford hardly existed!”Fa gli studi ginnasiali al Convento di
Giaccherino e al Convento del Bosco ai Frati. Vestì il saio francescano a
Fucecchio e professò. Studia filosofia a Lucca, Bosco ai Frati, il Convento di
San Vivaldo, Fiesole, Siena e il Convento di Sargiano. Emise i voti a Fiesole e
fu ordinato sacerdote a Siena. Andò a Parigi e frequentò l’Istituto Cattolico,
la Sorbona e il Collège de France. Conseguì il Dottorato in filosofia e il
Diploma di studi superiori alla Sorbona. Essendo andato a Londra per alcuni
mesi ebbe il Diploma di lingua inglese che in seguito perfezionò tornando ogni
anno a Londra nel periodo estivo. Pubblicò la tesi di laurea “L’evidenza di Dio
nella filosofia" (Ed. MILANI, Padova). Si imbarca per l’Egitto e si
stabilì a Ghiza dove insegnò. Lì ricoprì gli incarichi di Guardiano e Maestro
dei Chierici. Torna in Italia e fu per un anno direttore di un grande hotel di
Montecatini Terme. Si trasfere a Figline Valdarno per l’insegnamento all’Istituto
“Marsilio Ficino”. Si iscrisse alla Università Cattolica dove conseguì il
Dottorato in filosofia valido in Italia. Aveva iniziato l’insegnamento della
lingua inglese alla scuola per infermieri dell’ospedale di Figline e un corso
serale per adulti. Crea un laboratorio linguistico per facilitare e
perfezionare l’apprendimento delle lingue. Deceduto nell’Ospedale di Figline
Valdarno per edemapolmonare acuto da miocardite in diabetico. Affetto da grave
forma di diabete, si era sentito male nella notte dell’11 novembre, ma dopo
aver prolungato il riposo mattutino aveva tenuto lezione fino a mezzogiorno.
Prese allora poco cibo e tornò a riposarsi. Alle 18 andò alla preghiera comune
e alle 18.30 tenne il corso di lingua inglese per adulti. Alle 20 mentre era a
tavola fu chiamato il medico cardiologo che ordinò il ricovero urgente in
ospedale. Qui alle 2.25 la sua vita è stata stroncata da un complesso attacco
cardiaco polmonare. Ai funerali,
presieduti dal Padre Provinciale nella Chiesa di San Francesco in Figline erano
presenti tanti religiosi e sacerdoti, i parenti, molte suore oltre che un
grande pubblico di studenti e popolo che riempiva la chiesa. È stato sepolto
nel cimitero di Montemurlo. Convento di Giaccherino Convento del Bosco ai Frati
Convento di San Vivaldo Convento di Sargiano Montemurlo L'evidenza di Dio nella filosofia del secolo
XIII. Grice: “Noto is playing with his surname. There’s no ‘significare’ in
Italian. They use ‘notare’ – Now, how is God signified? When Cicero said ‘god’
he meant Jupiter. Ask Ganymede: The literal truth is Ganymede was killed in
self-inflicted accidental with a boomerang. Her mother said: “His corpse is
here, but he was raped by Giove --. Taking this narrative literally – Ganymede
was RAPED, so the rape is the way the god gets ‘noted’. Noto. Keywords: IVPITER
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Noto” – The Swimming-Pool Library. /
Grice e Novaro – implicatura ligure – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Diano Maria).
Filosofo italiano. Grice: “Novaro comes from my favourite area in Italy, “La
riviera ligure”!” Grice: “Novaro wrote a nice little treatise on the nature of
the infinite – a concept which fascinates me!” --Fratello di Novaro, nacque da
famiglia economicamente agiata e dopo aver condotto brillantemente gli studi
liceali, ottenendo la laurea a Torino. Si stabilì a Oneglia dove fu assessore
comunale per il partito socialista. Dopo avere per breve tempo insegnato nel
locale liceo, con i fratelli si occupò dell'industria olearia intestata alla
madre Paolina Sasso. Pur dedito
all'attività imprenditoriale fece parte attiva della vita letteraria dei primo
anni del Novecento e fondò la rivista “La Riviera Ligure,” da lui diretta fino
alla sua cessazione. Ospitò nel suo giornale filosofi come Pascoli,
Roccatagliata, Jahier, Boine e Sbarbaro.
Scrisse saggi di carattere filosofico e raccolse tutte le sue poesie,
che hanno come tema principale il bellissimo paesaggio ligure, in un volume
intitolato Murmuri ed echi che vide le stampe. Fu anche il curatore
dell'edizione delle opere di Boine che sentiva affine negli interessi soprattutto
di carattere etico. Saggi: “Finito ed iinfinito”
(Roma, Balbi), “Murmuro ed echo” (Napoli, Ricciardi) – cf. Grice, “Implicatura
ecoica” --; “All'insegna del pesce d'oro” (Genova, Devoto). Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La Riviera Ligure
Nicolas Malebranche. Tra Diano Marina e Oneglia: i luoghi dei fratelli Novaro,
su parchiculturali. Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro.
Scheda biografica nel sito della Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione
novaro. Se il concetto di “infinito” è stato dal sorgere della filosofia italiana,
uno degl’oggetti più costanti degl’uomini, il progresso verso una
definitiva soluzione delle difficoltà che esso presenta non e
tuttavia che straordinariamente lento. A ciò à sopratutto contribuito il
rilegare, come a priori, l’infinito fuori del campo appunto della filosofia e
si considera il regresso all’infinito una fallacia. Poiché quando
si ammette senz’altro che, essendo l’uomo finite, non si può pretendere
eh' esso arrivi a comprendere l’infinito. Hobbes, De corpore; Descartes,
Principien, ediz. Kirclimann, GALILEI, Opere (Milano); Locke, Essay on
humane Underslaning, ediz. Ward, World Library, Hume, Treatise, ediz.
Selby-Bigge, cfr. anche Jevons, Principia of Science. S’è già troncata la questione
senza neanche avei’la posta. S’è lasciato intatto il mistero che
sembra involgerla. Già tutti i concetti che in qualche modo ha una
stretta attinenza con altri concetti ontologici dovettero per questo attendere
a lungo prima di venir trattati in corretto modo analitico. La oscurità
misteriosa del concetto di “infinito” si ripercorse naturalmente negli
oggetti nei quali esso poteva trovare applicazione, come il tempo, lo
spazio, la materia, l’universo, l’essere. Anzi si comincia dapprima ad
accorgersi delle difficoltà del concetto di “infinito” non cosi in
astratto, ma nell’esame degli oggetti ai quali la infinitezza pare
doversi attribuire. Tanti secoli prima della ripresa della questione
per Locke, trattarono il problema con sommo acume dialettico i
veliani de Velia. Sugli veliani e la loro importanza, vedi specialmente la “Kritische
Geschichte der Philosophie” di Dùhring. Le difficoltà che conduceno al
veliano a negare la realtà dello spazio non sono punto illusori. Cantor, “Geschichte
der Matematik”. Bei ihnen [i tropi dei veliani] handelt es sich um
Schwierigkeiten, denen in der That-wcder der Philosoph noch der Mathematiker in
aller Strenge gerecht werden Kann Zwei Jakrtausend und mehr haben an
dieser zàhen Speise gekaut, und es ware unbillig von den Veliani des
funften vorcbristlichen Iabrhunderts zu verlangen, dass sie in Klarbeit
gewesen seien iiber Dinge, welche freilich anders ausgesprocben noch
Streitigkeiten unserer Gegenwart bilden. Nò altre furono quelle che spinsero
poi Kant ai risultati della estetica trascendentale. Sebbene più d’uno
storico della filosofia davanti ai tropi di quell’ acutissimo
filosofo sentendo l’imbarazzo suo a confutarli, stima poterli chiamare
sofismi o false sottigliezze che chi le esaminasse da vicino e colla necessaria
acutezza non dovrebbe tardare a riconoscere evidentemente per tali. E più
d’uno nel confutarli à seguito, come Zeller, Aristotele che in questo se in altro
mai fu infelicissimo. Aristotele crede di confutare il veliano (V.
anche O. Apelt, Beitrdge sur Geschichte der Grieschischen Philosophie,
Leipzig) col dire che la dimostrazione data dal veliano riposa sulla
falsa & i matematici, i quali spaventati dalle contraddizioni
svelate dai veliani avevano dovuto per forza rinunciare a far uso del
concetto di “infinito” e lasciar tanto tempo infruttuoso l’ardimento di
Antifontem continuarono a lungo ad aiutarsi altrimenti per non derogare
alla rigorosa esattezza delle loro dimostrazioni, Cosi il concetto d’”infinito”
non compare mai esplicitamente nella geometria degl’antichi. E Archimede ha
seguaci anche dopo che il calcolo infinitesimale ha chiaramente mostrati i
suoi cosi fecondi vantaggi. Ragione principale di ciò e il non
avere l’autore stesso del concetto di “infinitesimo”, saputo mai nè pienamente
giustificarlo, nè dargli un denotato preciso, si che egli molte volte ha
a espri supposizione che il tempo consti di singoli momenti (ex -J 5 v 9181 aio
Èrtovi come se la critica del velino non valesse indifferentemente tanto
per il continuo dello spazio che per quello del tempo stesso. Cfr.
Cantor, id., 173. Er (Aristotele) lòst das Paradoxon der Duschlaufung
dieser unendlich vielen Raum-punkte in endlicher Zeit, durch das neue
Paradoxon, dass innerhalb der endlichen Zeit unendlich viele
Zeittheile von unendlich Kleiner Dauer anzunehmen seien. Sul concetto di “infinito”
in Aristotele vedi specialmente “Phys.”, Ili, 4 - 7 , De Coelo, I, 5. Aristotele
dà una divisione dei vari generi di infinito, che come sempre 0
spessissimo presso lui è più una spiegazione di parole che di concetti. Inoltre
è la sua trattazione oscura e affatto manchevole. Aristotele non accetta che
l’infinito *potenziale*, il quale nasce dal non trovar la nostra
immaginazione alcun limite così nel togliere come nell’aggiungere. Rifiuta
l’infinito attuale. L’infinito, dice Aristotele, non è grandezza nè à
parti così, come il suono è per sò invisibile (Phya., Ili, 4 ). Non
esiste dunque in realtà, perchè non v’ è grandezza cui possa attribuirsi. Ma la
contraddizione che Aristotele crede dover evitare rigettando il concetto
dell’infinito attuale è appunto nascosta invece in quello del continuo.
Altrimenti Aristotele non avrebbe così leggermente creduto di aver
superate le difficoltà dei veliani. li Montucla, Histoire cles recherches sur
la quadrature du eercìe. Paris, p.
44. (2) Hankel, Zur Geschickte der Matliematik ivi Alterthum und
Mitelaltcr, p. 120 . juersi sulla sua nozione in modo affatto
contradittorio. E se i filosofi non riuscirono a chiarire i loro concetti
riguardanti l’infinito trascurando la maggior parte di aiutarsi con un
esame accurato dalle difficoltà che incontrano anche i matematici, questi dal
canto loro si sono del pari in grau parte appagati dei risultati, senza
sentire troppo acuto il bisogno di rendersi conto esatto dei concetti dei quali
hanno a fare un continuo uso. Che anzi per le difficoltà, oscurità
o contraddizioni dell infinito tranquillamente si
rimettevano Leibniz, anche quando si esprime più razionalmente intorno
ai concetti infinitesimali, conserva pur sempre in fondo una evidente
ambiguità sulla natura generale del concetto di “infinito”. Lascia
infatti alla ontologia, senza risolverla Leibniz stesso, la questione se
si diano propriamente degl’infinitamente piccoli rigorosi. E cosi tiene
pure per indifferente considerare per tali gl’infinitesimi o soltanto per
arbitrariamente piccoli. Leibniz inclina però più a tenere l’infinito
rigoroso per una finzione. V. Leibniz, Opera omnia, ed. Dutens e Leibniz; il/af/iema</se/»e
Schriften, Gerhardt I' , dove Leibniz pare considerare gli infinitesimi
come quantità finite variabili e cfr. Gerhardt, Erdmann, dove egli
parrebbe ammettere l’infinitesimo *attuale*. In altri luoghi, Leibniz è affatto
incerto; ed. Dutens, Gerhardt, III, e vedi specialmente un passo ivi. Infatti
dopo l’adottamento del calcolo, una delle prime accademie d Europa, quella di
Berlino, presieduta da uno dei più grandi matematici, da Lagrange, apriva
un concorso sul concetto dell’infinito. Dice tra altro ai concorrenti. On
demande […] une thdorie clairc et precise de ce qu’ on appelle ‘influì en
mathcmati jue. On sait que la haute geometrie fait un usage continuel des
infiniment grands et des infiniinent petits. Cependant les geomètres et
meme les analystes anciens, ont eviti* soicneusement tòut ce qui approche
de l’infini, et des grands analystes modernes avouent que les termes
grawleur infmie sont contradictoires. L’Acad^mie sou- haitc donc qu’ on
explique comment on a déduit tant de theorèmes vrais d une supposition
contradictoire. Nouveaux Mémoires de l’Acad. des Sciences. Berlin, p.
12-13. come molti si rimettono tuttora, all’ongologia (1). L’unico filosofo
dal quale si sarebbe potuto aspettare qualche dilucidazione definitiva,
Corate, il quale era tanto versato nelle matematiche e che di esse à dato una
cosi bella e tuttora insuperata sistematica trattazion generale,
non solo non fa fare un passo alla questione, ma neppure seppe
bastantemente apprezzare i grandi meriti del lavoro di Carnot, il quale
prepara la soluzione definitiva. Solo Locke e Kant sono cosi i filosofi
che fecero verso di essa un passo decisive. Kant però si direbbè che lo
fece in senso reazionario, chè se Locke avesse decisamente cangiato li
suo metodo empirico e psicologico con un metodo critico, come egli in realtà è
qualche volta inconsapevolmente vicino a fare, avrebbe egli stesso còlto 1’ultimo futto
della sua fine analisi. Ad ogni modo è merito di Locke, oltre aver
risolto l’infinitamente piccolo e grande nel processo formale dell’animo,
l’aver dimostrato come un tale concetto sia solo propriamente applicabile
a grandezze, al numero, al tempo ed allo spazio. Con ciò ogni nebuloso
abuso scolastico e metafisico di esso, era reso impossibile, e ogni sua
applicazione ad altro che a concetti di grandezze diventava una pura metafora. Rilacendosi
da Locke e approfittando della luce che Carnot getta sulla natura
dell’infinitesimo, il Duhnng à finalmente completata la razionalizzazione
di (1) V. Leibniz, passo citato, Gerhardt IV 91-92 e Montucla, Histo!re
des mathématiques III, 119. Quanto alle questioni che la ontologia può
sollevare sul concetto dell’infinito, il matematico “a droit de ne s en
pas plus embarasser que des disputes des physiciens sur la naure de 1 etendue
et du movement.” Locke, On human Umlerst., cap. XVII, 1 e 6, p.
147 questo concetto (1). L’infinito assoluto ha però Diihring
costantemente rifiutato come la più assurda contraddizione in tutti i suoi saggi
filosofici. Soltanto- nell’ultima suo saggio filosofico arriva egli ad
una luminosa distinzione dell’infinito *assoluto* dal infinito relativo. La
sua dimostrazione è però geometrica, e non insieme algebraica. Manca
quindi di generalità. Cosi si spiega come Diihring ritenga ancor ora
inammissibile l’applicazione dell infinito al tempo, che egli à
assurdamente e colla più gran forza di convinzione fatto finito nel
passato (2). Diihring vide che ove il concetto di infinito non viene
dapprima reso chiaro e incontradittorio nella matematica, la rocca in
apparenza più forte rimarrebbe in piedi a difesa del mistificante
concetto. La nozione di infinito non è però specificamente formale. Il
concetto d’infinito appartiene a quel campo della filosofia ‘speziale’, in cui
anno comuni le radici o i principi e la matematica e la logica.
La. soluzione di un problema cosi universale non può esser diversa,
ove esso venga formulato con la dovuta astrazione ed esattezza, sia che la si
cerchi nel campo piu astratto dell’ontologia della concezione universale dell’*essere*,
sia che la si cerchi nel campo dell’algebra. Non (1) V. Nat
Uri iche Dialéktik -- questo libro d’oro di puro criticismo, la cui prima
edizione è esaurita da molti anni senza che Diihring si decida a ri-pubblicarlo,
malgrado il viro desiderio di molti suoi ammiratori, quali per un esempio
v. Gizicky e Riebl. Vedi specialmente dello stesso, nei “ Xeue
Grundmitteln u. Erfindungen zur Analysis, ecc. „ il capitolo terzo.
L’analisi critica dell’infinitesimo ivi data riassumiamo noi brevemente
nel numero seguente, modificandola però nel senso della corretta legge
del numero determinato. V. sotto. Cursus der Philosophie, p. 18, 19, 27,
64 ; Logik und KVssenschaftstheorie, 191 segg. è un differente problema
quello di Senone di Velia, da quello che occupa a cosi grande distanza di
tempo i matematici dal seicento in poi. 2. In tutti i problemi riguardanti
il concetto di “infinito”, le difficoltà ànno la loro comune radice nella
contraddizione fondamentale nascente dalla posizione di un infinito
numericamente dato e compiuto nel *finite* stesso. Cosi l’infinitesimo, e già
prima l’indisivibile di CAVALIERI, e pensato assurdamente quale
risultato di una infinita divisione, o come l’elemento più piccolo d’ogni
grandezza assegnabile, di cui si integra ogni grandezza finita. Più
piccolo di qualunque quantità data e pensato l’infinitamente piccolo, e
maggior d’ogni data grandezza l’infinitamente grande, arrivando
anche qui ad una infinità compiuta, come raggiungibile per via di
una sintesi successiva. Tra lo zero e una comunque piccola grandezza
dovrebbe dunque esistere qualcosa di intermedio. Questa ibrida quantità
non dovrebbe esser zero ma neppure perù una determinata quantità
per quanto arbitrariamente piccola. Essa dovrebbe esser minore d’ogni
quantità assegnabile o qualcosa che esprima l’ultimo irraggiungibile grado
di piccolezza immaginabile e prima dello zero (1). Minore d’ogni quantità
assegna- (1) Modificando la nozione di GALILEI di “momento”, già Ilobbes
define il conatus (concetto che doveva poi diventare il fondamento della
teoria newtoniana), il moto lungo uno spazio minore di qualsiasi
assegnato. Hobbes conserva, però, malgrado l’equivoca definizione,
come dell infinitamente grande (De Corpore) cosi dell’infinitesimo un
giusto concetto. Di quest’ultimo haa intesa infatti a essenziale
relatività. V. De Corpore. Delimemus CONATUM
esse motum per spatium et tempus minus q’uam quarn bile è però soltanto
lo zero (1); una quantità non può venir immaginata oltre ogni assegnabile
grandezza. Tra la quantità e lo zero non vi è cotesta assurda
finzione. A meno che il dire “minor d’ogni data quantità” abbia quod
datar, id est determinatur, sine expositione vel numero assignatur ìaest
per punctum. Ad eius definitiouis explicationem meminisse oportet per
punctum non intelligi id quod quantitatcm nullam habet, sive quod nulla
ratione potest dividi (niliil enim est eiusmodi in rerum natura) sed id
cuius quantità non consideratili-, hoc est cuius neque quantitas neque
pars ulta inter demonstrandum computatur. Ita ut punctum non habeatur prò
IN-DIVISIBILI. Sed prò IN-DIVISO. Sicut edam instans sumendum est prò tempore IN-DIVISO
non prò IN-DIVIS-IBILE. Similiter Conatus ita mtelhgendus est, ut sit
quidem motus sed ita ut neque tempori in quo fìt neque lineai per quam
fit quantitas, ullam comparationem habeat in demonstratione cum quantitate
temporis vel line cuius ipsa est pars. Quanquam sicut punctum cura
puncto, ita conatus cum Canata comparaci potest et unus altero maior vel
minor reperiri.Vedi anche c. XXVII, 1.- 11 Poisson ammette invece nel
modo più esplicito l’assurdo concetto dell infinitesimo di cui sopra è
parola. Un infiniment petit est une grandeur moindre que toute grandcur donnée
de la meme nature. On est conduit naturellement a ridde des
infiniment petits, lorsqu’on considère les variations successives d’une
grandeur soumise à la loi de continuiti. Ainsi, le temps croit par des
degrés mo.ndres qu’ aucun intervalle qu’on puisse assigner, quelque
petit quii soit. Les espaces parcourus par le différents points d’un
corps croissent aussi par des infiniment petits, car chaque point ne
peut fi er d une posdion à une autre, sans traverser touts les
positions intermédiaires, et l’on ne saurait assigner aucune distance,
aussi petite qu on voudrn, entre deux positions successives. Les
infiniment petits ont donc une existence rielle, et ne sont pus seulement
un mo.ven d’investigation imagini par les giometres. Traile de mécanique,
Bruxelles, ’38, p. 6-7. ’ O) l’er questa ragione non pochi matematici,
quali Bernouille “oto^amente Eulero,
pensarono l’infinitesimo come assolutamente nullo. Anche GALILEI, sebbene con
altro linguaggio, scompone il continuo esteso in infiniti punti inestesi
o nulli senza però trovar poi il modo di farlo generare da quelli. V. GALILEI
Opere. Sopra gli atomi non quanti di lui vedi Lasswitz, Galileis Thieorie
der Materie, 1 lerteljahrsschrift f wiss. Philosph. XIII, a riferirsi non a qualcosa di effettivo o di
dato, ma al nostro animo -- il nostro volere -- come ragione della infinita
divisibilità, potendo noi sempre supporre una quantità più piccola di ogni
qualunque piccola quantità data. Come nella serie dei numeri noi possiamo
(prova Peano) farci un concetto dell’infinito aggiungimento di unità a unità,
cosi possiamo farcene uno della possibile divisione
dell'unità all’infinito. Un tal concetto non rimane tuttavia che
il campo d’una operazione che non può per la sua natura venir mai
compiuta. La infinita divisione come la infinita addizione non possono mai
senza contraddizione considerarsi come eseguite. Non si può con un salto
oltrepassare un’infinità di operazioni, ponendo l’ultima come già
compiuta, che invece non può mai essere. Ciò che esiste o è dato numericamente
quale totalità non può esser che in numero determinato (1). Un numero
infinito come qualcosa di dato o compiuto nel finito medesimo è un CONCEPTO
IMPOSSIBILE perchè vorrebbe porre ciò che insieme viene a negare. Ammesso
dunque che abbia a dirsi di una quantità che essa è minore d’ogni
possibile quantità data, ciò potrà solo razionalmente indicare che è pur
sempre possibile suppor quella come ancor più pio¬ ti) È questa la legge
formulata da Diihring sotto il nome di legge del numero determinato (Gesetz der
bestimmten Anzahl). Cfr. Kant: Kritikd. reinen Vcrn. edizione Kirchmann. Sohald
etwas als quantum discretum angenommen wird, so ist die Menge der
Einheiten darin bestimmt, daher auch jederzeit einer Zahl gleich. Diihring
però, e qui sta il grave errore della sua teoria dell’infinito, à
tralasciato come iKant di aggiungere che tale legge à valore appunto, come
diciamo noi, solo in riguardo a grandezze che si lasciano concepire come
totalità, ossia in riguardo a grandezze comprese tra limiti. cola di una
qualunque data comunque già piccola per sè. La illimitatezza riposa sul
concetto della infinita possibilità della ripetizione, non è dunque un
concetto di effettività, ma di mera possibilità. Il moto nevi realizza
come si crederebbe l’assurdità di una infinita divisione o di una infinità
di parti nel finito. Moto non è che il concetto di ciò che la
stessa cosa si trova seguentemente prima in un luogo e poi in un
altro. Nostro APPARATO SENSORIALE non fa che abbracciare un dato numero di
posizioni diverse, e l’animo non trova altro che il fatto ossia la
cangiata posizione. Noi non possiamo formarci nè pretendere altro chiaro
concetto che quello del passaggio da un punto all’altro. Possiamo solo,
ove ce ne sia l’animo, INTER-POLARE delle posizioni intermedie a piacere
senza limite alcuno. Ma effettivamente nè la natura nè noi possiamo
fis:arne altro che un numero determinato. È una illusione il credere che un
punto, ad esempio, nel muoversi in linea retta vei’so un altro punto
fisso, e trascorrendo secondo il concetto comune di un movimento
assolutamente continuo, per ogni posizione, trascorra con ciò effettivamente,
se posso dir cosi, per ogni grado di piccolezza. La posizione di
infiniti punti distinti in una determinata estensione è sempre e solo
una possibilità ma non mai un fatto compiuto. Di due punti immediatamente
aderenti NOI ABBIAMO ASSOLUTAMENTE CONCETTO ALCUNO. Punti inestesi o
coincidono, o hanno una posizione diversa, e allora anche una determinata
distanza. 11 punte non può che passare da uno ad un altro punto, comunque
noi idealmente possiamo astrarre da cotesti trapassi e considerare
unicamente la infinita possibilità (li posizioni diverse. La stessa
illusione è nel dire che una quantità cresce per gradi minori
di ogni comunque piccola grandezza data. E vero che m matematica le
quantità continue crescono per gradi e che ogni nuovo incremento
elementare possiamo immarginarcelo già per sè stesso composto di ancor più
piccoli incrementi elementari all’infinito. Ma oltre che nella realtà
bisogni. Che esistano dei limiti a questa illimitatezza che è solo della
facoltà del nostro ANIMO, è anche vero che le quantità non constano di
elementi per sè esistenti, e che invece noi solo distinguiamo in esse
delle divisioni e stabiliamo dei limiti che per sè non sono dati. Il
concetto di continuità ne involge uno infinitesimale che però inchiude
solo la possibilità di un infinito porre di limiti, ma non una infinità
di limiti posti. Esso è quindi come quello dell’infiuitamente piccolo un
concetto di pura posibilità. La illimitatezza nella scomponibilità
in parti che possono in ogni caso venir fatte ancora più piccole che una
qualunque piccola grandezza data, e dunque ciò che di razionale s’ à a
sostituire al concetto nebuloso dell’ infinitamente piccolo. Con ciò viene
evitata quella ipostasi o per cosi dire insostanziazione di un modo di
azione del nostro animo, o di una mera possibilità, la quale è
inchiusa nel falso concetto della grandezza minore di ogni altra
assegnabile, come di qualcosa realmente esistente quasi mèta irraggiungibile ma
pur reale di una infinità di operazioni. Non esiste un ultimo piccolo
o infinitesimo, ma solo una infinita possibilità di
rimpicciolimento. 1 Si deve dunque pensare che il differenziale è nel
calcolo una grandezza finita relativamente piccola, la quale- nel
complesso delle operazioni può e deve rappresentare ad arbitrio ogni
grado di piccolezza. Si tratta per eempio, dice Diihring, di una lunghezza. Può
questa, come infinitamente piccolo, essere secondo le circostanze
un milionesimo di millimetro ovvero una distanza solare. L’essenziale
non istà in queste eventuali determinazioni, ma nel pensiero che in luogo
di quella grandezza, scelta in relazione a un tutto come parte
insignificante, possano nelle operazioni sostituirsi altre ed altre senza
limite alcuno sempre più piccole verso lo zero (1). L’ infinito o
la illimitatezza non è dunque ipostasiata nel differenziale, si bene sta nel
nostro animo che questa grandezza rappresenta qualunque grado di piccolezza
oltre il suo. Razionalizzato cosi il concetto fondamentale del calcolo,
non à più ragione quella ripugnanza che i migliori matematici anno sempre
sentito per quella oscura ipotesi o idea falsa, come la chiama Lagrange, dell’infinitamente
piccolo. L’analisi è dunque, dice Diihring, un calcolo d’ approssimazione, ma
si noti bene- non di semplice approssimazione, bensì di approssimazione
infinita. I sensi trascurano nel piccolo le quantità insignificanti che
loro NON SONO più PERCETTIBILI, e se fatti più acuti procederebbero del
pari in analoghe proporzioni; cosi fa il calcolo nel trascurare quantità che
nelle (1) V. l'reyeinet: Étude sur la métaphysique du haul calcul,
p. 32. Cfr. Carnot : Reflexions sur la métaphysique du calcili
infinitesima!, p. 16, 17 e 18. (2) Comte: Cours de philosophie
positive , I, 263. loro funzioni darebbero in ultimo per risultato una
grandezza che per la sua ultima piccolezza non à importanza alcuna.
Accanto a quantità finite si trascura nel risultato e con ragione, un
infinitamente piccolo, poiché è nella sna natura di poter venire senza
fine rimpicciolito verso lo zero. Idealmente c’ è dunque un abisso tra l’infinitesimo
e lo zero. Non quello ma questo è il limite dell’ infinito
rimpiccoliinento, e prima dello zero non vi sono che quantità in realtà
sempre finite, comunque possano secondo il bisogno venir supposte sempre più
piccole verso di esso. D’altra parte nella direzione opposta dell’ infiniitamente
grande si à analogamente a distinguere tra (1) Non altro
significava il luminoso concetto di Carnot delle equazioni imperfette. Tuttavia
Carnot non arriva a dar l’ultima chiarezza alla nozione
dell’infinitesimo. Infatti non avrebbe altrimenti creduto vi fosse
bisogno (per dimostrare come i risultati del calcolo in apparenza soltanto
approssimativi, siano in realtà esatti) oltre che della considerazione
dell’arbitrarietà del differenziale, anche di una dimostrazione della
compensazione degli errori. Comte poi frantese affatto ciò che di
veramente importante e duraturo conteneva lo scritto di Carnot, e ravvisa
così il merito di lui appunto nella dimostrazione della compensazione degli
errori (V. Cours de philosophie positive , I, 244 e 223), la teoria
invece dell’arbitrarietà del’infinitesimo la trova più sottile che solida
(id. 2(57). l concetto della rigida uguaglianza degl’antichi venne
definitivamente superato con Leibnitz e Newton. Ciò che però non venne
schiarito e rimase oggetto di tutte le lunghe innumerevoli dispute a cui
diede luogo il calcolo differenziale, e un giusto concetto di ciò che
avesse a indicare la trascuranza, nelle equazioni, dell’infinitamente piccolo.
Dopo Carnot la relatività del concetto del differenziale s’è sempre più fatta
strada nelle menti dei matematici. Ma non basta questo a razionalizzare
l’infinitesimo. Dove colla relatività di esso si ammette però ancora (v.
ad es. Montucla : Histoire des maih.) che questo possa divenir minore d’ogni
quantità assegnabile, s’è pur sempre lontani da una esatta concezione.
questo e 1’ infinito assoluto o transfinito (1). Qui come¬ ta si à una
differenza qualitativa: nell’ un caso si à ancora a fare con delle grandezze,
nell’ altro il concetto proprio di grandezza è scomparso. Il non
aver distinto questi due concetti non à forse meno contribuito della
contraddizione di un infinito compiuto nel finito stesso, implicato nel falso
concetto del differenziale e del continuo, a rendere cosi pieno di
sup¬ poste insolubili difficoltà il problema di cui ci occupiamo. All’infinitamente
piccolo risponde perfettamente l’infinitamente grande. Abbiamo qui un
accrescimento senza fine come là un illimitato rimpicciolimento. In
entrambi i casi ci è data la norma di un’operazione che non
deve poter mai venir considerata come compiuta, poiché essa deve
rispondere alla illimitata possibilità di ripetizione- del nostro animo,
con la quale dunque non c’è grandezza per quanto piccola o grande di cui non si
possa sempre raggiungere un’altra ancora più piccola o
grande. Attribuito ad una data grandezza il concetto di infinitamente
grande non indica quindi altro che essa, comunque già grande, può senza
fine venir considerata ancor sempre più grande secondo il bisogno. In
ogni aso non sarà però ella mai altro che finite. Come la nostra
sintesi benché non abbia limite, pure in fatti non può -- Chiamo infinito
assoluto o trans-finito – tras-finito, a distinzione dell't/t/unVo
relativo (infinitamente piccolo o grande), ciò che Diihring dice illimitato
(Unbegrcnzt, II) [LIMITATO/NON-LIMITATO] e Cantor, e dietro lui Wundt e
Lasswitz chiamano appunto transfinito o tras-finito (<o ). Del resto
una volta riconosciute queste differenze essenziali, nulla impedisce di
adoperare anche solo e indifferentemente l’espressione “infinito”,
lasciando al contesto conversazionale l’ulteriore
specificazione. mai esercitarsi che nel finito. Anche l’infinitamente
grande è un concetto di mera possibilità e non mai di effettività. Non è
quindi propriamente applicabile ad alcuna grandezza determinata (1). La serie
progressiva dei numeri nella sua illimitata addibilità è il più chiaro
esempio dell’infinitamente grande. Noi non possiamo mai arrivare ad un
ultimo membro delle serie, perchè la possibilità di aggiungerne altri
riman sempre la medesima. E nella natura dell’infinitamente grande di non
poter venir mai compiuto. La illimitatezza non è neppur qui data
oggettivamente, ma sta invece in questo che la grandezza infinitamente grande
può rappresentare ad arbitrio una grandezza sempre maggiore oltre la
sua. Inteso cosi è senz’altro chiaro che rinfinitamente grande non è
un infinito in atto e non può senza contraddizione venir scambiato con questo.
L’aver confuse l’infinito assoluto o transfinito o trasfinito o illimitato coll’infinitamente
grande è appunto la cagione che condusse chi mirava a un esatto
(1) Locke, On bum. Underst, pag. 148. [O]ur idea of infinity being,
as I tbink, an endless growing idea, biit the idea of any quantity our soul kas
being at that tirae terminated in tbat idea (l'or be it as great as it
will, it can be no greater than it is), to join infinity to it, is to adjust a
standing measure to a growing bulk. We can bave no more the positive idea of a
body infinitely little than we have thè idea of a body infinitelv great. Our conception
of infinity being, as I may so say, a growing and “fugitive” concept, stili
in a boundless progression that can stop nowhere. e p. 295-96. Our
conception of the infinity [...] return at least to that of number always to be
added. But thereby never amounts to any distinct idea of actual infinite
parts. We bave, it is true, a clear idea of division, as often as we
will think of it. But thereby we have no more a clear idea of infinite
parts in matter than we have a clear idea of an infinite number, by
being able still to add numbers to any assigned nember we have. E chiaro
concetto di quest’ultimo a rifiutare risolutamente il primo, dopo averlo
trovato incompatibile colla nozione di quello. Mentre l’infinitamente
grande esprime una illimitata possibilità, il transfinito o trasfinito esprime
invece una effettività compiuta cui l’infinitamente grande non arriva
mai. Nel transfinito o trasfinito ogni grado di ingrandimento è già
anticipatamente dato. Esso è realmente maggiore di ogni assegnabile
grandezza, e dal finito non c’è modo di farlo originare, sebbene ogni
finito sia in esso. La facile obbiezione che nessuna grandezza è la più grande
perchè le possono sempre venir aggiunte altre unità, non tocca. L’infinito
assoluto, ma solo una NOZIONE IRRAZIONALE dell’infinitamente grande, partendo ella da un
falso concetto del transfinito o tras-finito, secondo il quale si avrebbe
questo a lasciar pensare come un tutto, ossia, contrariamente
all’assunto, come finito. Il concetto di totalità applicato al transfinito
o tras-finito è trascendente, benché tale non sia il transfinito o
tras-finito per sé. Se l’infinito assoluto non può venir esaurito
dalla sintesi empirica di nostro animo, non è questa una ragione per
rifiutarne il concetto : la sua natura consiste infatti appunto in
ciò di NON POTER VENIR RAPPRESENTATO come una totalità ossia esaurito
per mezzo di una sintesi empirica di nostro animo -- successiva delle sue
parti. – Cf. Speranza, ‘mise-en-abime’ – come violazione del prinzipio
conversazionale – be brief. Rifiutarlo perchè non si lascia trascorrere da
un capo all altro, è rifiutare il transfinito perchè appunto tale,
ossia perchè non è finito, o perchè non si trovano endless divisibility
giving us no more a clear and distinct idea of actuallv infinite parts
than endless addibility, if I may so speak, gives us a clear and distinct idea
of an actually infinite number, both being only in a power stili of
increasing thè nuinber, be it already as great as it will” ia esso le
proprietà che dal suo concetto sono precisanente escluse. Mentre
nell’infinitamente grande la sintesi empirica di nostro animo è quella
che aggiunge membro a membro. Nell’infinito assoluto troviamo noi sempre ogni
ulteriore membro come già innanzi esistente prima che la nostra sintesi lo
abbia raggiunto, indipendentemente da essa. È dato quindi così il
numero infinito, se “numero” può questo ancora chiamarsi – “As far as I
know there are infinitely many stars” --, che è in realtà la negazione di esso
e con ciò di ogni determinazione nel grande. Il “numero” infinito
non è più nè ‘pari’ nè ‘dispari’, e neppur quindi aumentabile più, nè
diminuibile. Esso è dunque qualcosa di affatto compiuto, al contrario
dell’infinitamente grande che è in un continuo'flusso; e sta a questo come
all’infinitamente piccolo sta lo zero. Come nello zero non c’è più
possibilità di rimpicciolimento, cosi non ce n’è più di ingrandimento nel
transfinito o tras-finito. Questo è la negazione della grandezza misurata
nel grande, e lo zero la negazione della grandezza in generale e con ciò
della grandezza nella direzione deH’infinitamente piccolo (1). Lo
zero come l’infinito assoluto sono non tanto quantitativamente quanto
per qualità diversi da ogni altra grandezza. L’infinitamente piccolo e grande
sono in un continuo flusso, lo zero e il transfinito sono invece forme
fisse ; il prin¬ cipio generativo dei primi non è applicabile ai
secondi. DaH’infìnitamente piccolo allo zero e dall’infinitamente grande
all’infinito assoluto c’è, a dir proprio, un salto (2). (1) V.
Duhring: Neue Grundmlttel, ecc., p. 430. (2) Lo zero e l’infinito assoluto
o trasfinito si fanno dunque riscontro. Ed erra «quindi Lasswitz che nega
esserci qualcosa di corrispondente a que-
Nel primo caso il passaggio sta non nel rimpiccilire all’infinito per
successive divisioni la quantità piccola in modo che avanzi pur sempre un
resto, ma nell’ultimo atto risolutivo col quale si sottrae interamente il
resto stesso. Nell’un caso si riman sempre nel campo dell’infinitamente
piccolo, nell’altro si salta propriamente dalla quantità al nulla di essa.
Una quantità non viene mai esaurita col sottrarre ripetutamente anche
all’infinito una nuova parte del sempre nuovo resto. Bsogna togliere in
ima volta l’intero resto altrimenti si avrà una convergenza continua
verso l’irraggiungibile zero, ma non mai propriamente lo zero. E solo in
quest’ultimo caso sarebbe veramente esaurita la grandezza. Non bisogna prender
per esaustione reale una infinita approssimazione. Ciò che e l’ESAUSTIONE è
solo tale fino ad un infinitamente piccolo. Ma questo vien da essa
lasciato inesaurito. L’saustione non à luogo che con un salto alla Peano, ossia
con un vero passaggio. La inter-polabilità infinita di posizioni
tra punto e punto non toglie che da posizione a posizione il
passaggio debba rimanere E come v’è un salto da un punto a un altro in
una linea, cosi v’è da un punto al punto ultimo col quale la grandezza
finisce. Solo col st’ultimo. (Lasswitz: Zum Problem der
Continuitdt, Philosoph. Monats - hcfte XXIV, p. 27); come pure e più erra
Wundt che crede cadere nel differenziale ogni differenza essenziale tra
l’infinito e il transfinito o trasfinito. Wundt: Kants Kosmologische Antinomien
u. das Problem der Unendlichke.it Philos. Studien II, 527: (che) das
Intinitesimalsy.nhol ebenso gut in Siane einer unendlich zudenkenden
Abnahme einer gegebener Grosse, wie im Sinne des bereits vollzogenen Processes-
dieser Abnahme gedacht werden kann. Hier fàllt niimlich ein wesen-
tlichcr Unterscbied des Infiniten und Transfiniten vollig hinweg (! !). --
passaggio allo zero si à però un risultato differente non tanto per
quantità quanto per qualità dagli altri. D’altra parte lo stesso risultato
qualitativamente differente si à nel secondo caso del passaggio dall’infinitamente
grande al transfinito o tras-finito. Praticamente si può concliiudere è vero
dal caso dell’incoutro di due rette a distanza infinitamente grande al caso
delle parallele, in quanto si astrae dallo sbaglio infinitamente piccolo,
e si pone come identico il risultato solo infinitamente approssimativo.
In realtà però mentre il punto d'incontro si allontana infinitamente all’vvicinarsi
delle due rette al parallelismo senza raggiungerlo, raggiunto che
questo sia, esso è scomparso, essendo per sè la infinita estensione della
linea LA NEGAZIONE DELLA POSSIBILITa d'uu punto d’incontro, poiché questo
le farebbe finite. Ed à luogo allora quella illimitatezza od infinità
assoluta della retta, la quale è la negazione della grandezza misurata
nel grande, come lo zero è la negazione della grandezza in generale
(1). Un indubitabile significato si lascia dare al transfinito o
trasfinito, come vedremo in séguito soltanto nella serie infinita dei
processi del tempo passato. Il nostro regresso che assume qui la forma
dell’infinitamente grande, procede in base al transfinito o trasfinito della
realtà, poiché esso trova e suppone necessariamente come dati sempre piu
membri della serie di quelli che esso raggiunge. Se si fosse co¬stretti a
pensare l’universo infinito in estensione si avrebbe una seconda applicazione
reale del nostro con¬ ti) Diihring , luogo citato.
«etto ; ma rimanendo
insolubile la questione se la natura o L’UNIVERSO o il numero dei stelle sia
o no infinita (1), non si à che l’applicazione di esso allo spazio puro.
Ed ecco la dimostrazione che dà di questa Dtihring, colla quale egli stabilisce
appunto la distinzione dell’infinito relativo dall’infinito assoluto. La
tangente di un angolo che differisce da 90° di una infinitamente piccola
differenza, è come la rispettiva secante infinitamente grande. Ad ogni grado di
riin-piccioliinento della differenza risponde un grado di ingrandimento della
tangente e della secante dell’angolo. Cosi il punto in cui le linee si
tagliano si fa sempre più lontano. Rimane però sempre dato un incontro
reale delle linee fin che sia data una per quanto piccola
divergenza da 90°. Se si à invece una differenza uguale a zero ossia
se non se ne à alcuna, non si à nemmanco più propriamente una SECANTE nè
una propria TANGENTE. Entrambe le linee loro corrispondenti non si tagliano
più. Nel caso dello zero o, ciò che sarebbe lo stesso, per la CO-SECANTE
e la CO-TANGENTE di 0 non esiste più alcuna grandezza, allo stesso modo
che nello zero medesimo. Intatti la illimitatezza di una linea non è già
una quantità della stessa j ella è invece l’assenza d’ogni determinazione
quantitativa. In tal modo allo zero dall’una parte corrisponde dall'altra
l’illimitato non quanto (das grossenlose Unbegrenzte). Il caso
dell’infinitamente grande si distingue da quello dell’infinito assoluto
per questo, che la possibilità (della illimitata estensibilità) non
figura come per sè data, ma vien 'riferita alla nostra
attività. Vedi sotto n. 5. Di pio quest’ultima possibilità vien
sempre rappresentata coinè dipendente di un’altra, in modo che
dall’infinito rimpicciolimento e dal grado di questo dipende
l’infinito ingrandimento e rispettivo grado costantemente corrispondente
(1) Una distinzione simile a quella di Diihring à fatto in riguardo
all’infinito Cantor, seguito in ciò da Wundt (2) e seguito pure, sebbene con
qualche riserva, da Lasswitz. Ad essa fa però assolutamente difetto
quella spiccata razionalità che è la caratteristica della filosofia di
Diihring. Crede Cantor che la serie dei numeri si lasci pensare non solo
come compiutamente- infinita, ma come compiuta totalità. Cantor stima che
si lasci pensar radunato in un tutto ogni numero intero positivo
(3). L’aver sconosciuto l’inapplicabilità del concetto di totalità al
transfinito o tras-finito è la cagione dell’assurda nozione che s’è fatto
Cantor di questo. Infatti perciò à e Cantor potuto credere che il
transfinito o trasfinito pnssa trovarsi nel finito stesso quasi come suo
sostrato, e servire cosi alla spiegazione del continuo e del NUMERO
IRRAZIONALE. Ma qui non si ferma Cantor : chè anzi la vera originalità della
sua dottrina vede egli nelle differenze essenziali da lui trovate nel campo
stesso dell’infinito assoluto (5). Si tratta infatti per lui sopratutto
dell’ampliazione o proseguimento della reale serie dei numeri intieri (1)
Duhrinq, luogo citato, pagine 88-80. (2) Logik H, 127-128
(1883). (3) Cantor: Grundlagen einer Mannichfaltigkeitslehre, p. 1-3;
Zur Lehre vom Transfinite, p. 42, 43 e 45. Grundlagen, pag. 8, 30. Zur
Lehre p. 35. (5) Zur Lehre, pag. 9 ; Grundlagen, p. 13. oltre
l’infinito medesimo. Egli non ottiene solo un unico numero intiero
infinito, si bene una infinita serie di tali numeri come benissimo tra
loro distinti. Vi sarebbero cosi infinite classi di numeri ; la l a classe
sarebbe la serie dei numeri finiti 1. 2. 3... v..., ad essa terrebbe
die¬ tro la 2 a classe composta di successivi numeri intieri infiniti in
ordine determinato. Dopo la 2 a si verrebbe alla 3 a e alla 4 a classe e
cosi all’infinito (1). In tal modo naturalmente l'infinito propriamente detto (“das
eigentlicbe Unendliche”) non sarebbe ancora il vero infinito (“das walire
Unendliche”) o l’assoluto. Chè anzi Cantor espressamente fa notare che in tal
guisa non si arriverà mai a un limite ultimo, e neppure a una sia pur
soltanto approssimativa comprensione dell’assoluto, il quale solo è
un infinito non più oltre aumentabile. Con ciò il transfinito o trasfinito,
quantunque determinato e maggiore d'ogni finito, avrebbe assurdamente
comune col finito il carattere della illimitata aumentabilità (1). Cantor
dà per esempio del transfinito o trasfinito la totalità dei numeri finiti,
confessa però non darsi, o almeno pel nostro animo, una totalità dei
numeri transfiniti, ossia l’assoluto o il vero infinito non poter venir
concepito, quantunque necessariamente postulato. Qui dunque ritorna la
difficoltà del problema, e questa volta Cantor confessa di non saperla
sciogliere. Con ciò dà Cantor stesso involontariamente la miglior critica della
sua teoria dell'infinito. Il suo transfinito o trasfinito del resto non è in
fondo altro che l’infinito dell’animo di Spinoza e BRUNO (1) Grundlagen, p.
3. (2) Id. p. 44 ; Zur Lehre, p.. 8, 33, 48.
Illusorie come la infinita totalità sono le altre proprietà clie Cantor
crede dover attribuire ai suoi immaginari numeri della nuova serie al DI là DELL INFINITO. Cosi il non esser
questi più soggetti alla LEGGE DI COMMUTAZIONE (p e q = q e p) (1) è una
evidente ASSURDITà che rivela una inesatta concezione dell'infinito assoluto.
Questo infatti è indifferente in riguardo al più e al meno. Ad esso non
si può nè aggiungere nè togliere, come quello che non si lascia originare per
via di operazioni. Per poter ad esso aggiungere qualche cosa converrebbe
pensarlo dato quale compiuta totalità. Dia è falso che l'infinito si lasci
concepire in tal guise. Cosicché invece di operare con esso si
opera inavvedutamente con una quantità pur essa finita (2). Il
concetto formulato da Diihriug dell’infinito assoluto non è nella storia
dell’ONTOLOGIA del tutto senza precedenti, per quanto la critica da lui
fatta dell’infinitesimo possa assai più facilmente rannodarsi a
quella del Locke e di Ivant da una parte, e dall’altra a quella di
Carnot, che non si lasci questa sua nuova distinzione rannodare a’ suoi
precedenti storici (3). Vera¬ ci) Cantor: Grundlagen, 11, 14,
15. (2) Vedi più sotto n. 7. (3) Bradwardinus distingue nel suo
trattato “De Continuo”, come espone Cantor (Geschichte d. Mathematik li,
107-109), “ zwei Unendlichkeiten, die “kathetische” und die “synkathetische”. “Katlietisch”
oder einfach unendlich ist eine Grosse die kein Ende hat.” Syn-kathetisch”
unendlich ist eine Griisse der gegenùber es eine endliche Gròsse giebt
und ein andsres gròsseres Endliche, und wieder Eines gròsser als jenes
Gròssere, und so oline dass ein Letzes sicb fiinde, welckes den Abschluss
bildete; aucli dieses ist immer eine Gròsse, aber nickt wenn es mit
Gròsserem verglicken wird. Man erkennt leicht dass das kathe- tisck
Unendliclie Bradwardinus das Ueberendliche oder Transfinite ‘mente l’INFINITO POSITIVO di
Descartes, di GIORDANO BRUNO e di Spinoza è un concetto che tradisce un’origine
quasi del tutto- ancora scolastica. L’infinito inteso coinè attributi
necessario dell’essere è una concezione comune a BRUNO, e mostra chiara la sua
derivazione da un altro concetto. Quantunque esso non ha in GIORDANO BRUNO
questa sola origine ‘divino’ (1). unserer neuerer Philosophen ist,
dem von Anfang an das Merkmal der Begrenztheit, welches deu endlichen Gròssen
zukommt fehlt, wàhrcnd das “synkathetisch” Unendliche mit den Endlosen
oder Infinitcn ùbercin stimmt, welches aus der endlichen Grosse durcli
unbegrenztes Wa- chsen hervorgelit.
(1) GIORDANO BRUNO capovolge la dottrina di Aristotele. Risolve
arditamente e con grande acume il continuo ne’ minimi onde liberarsi
dalle contraddizioni svelate da SENONE DI VELIA, come farà poi anche ma
meno felicemente Hume, e accetta l’infinito nel grande: gli atomi e la
infinità del mondo. (V. Acrotismus, art. XLII, citato dal TOCCO, Le opere
di GIORDANO BRUNO, p. liti: De Minimo, I, VI). Devcsi però avvertire che il
minimo è per GIORDANO BRUNO ancora una grandezza che ei pensa giustamente, come
fa anche Hobbes, relativamente trascurabile nel calcolo. Il progresso infinito
nelle divisioni è solo una continua possibilità dell’animo, mai
un’effettività. GIORDANO BRUNO non nega all’animo, all’immaginazione o alla
ratio, a distinzione della mensì di poter ulteriormente suddividere il minimo all’infìnito,
-- dum non promere subiectae credat con- formia rei. — Intìnitae
progressioni IMAGINATIONIS seu mathesis NATURA non respondet neque ullus
usus ARTI-FICIALIS obsecundat. De Min. I, 6, 7, 8. Tuttavia anche alla
matematica vorrebbe GIORDANO BRUNO dare una base atomistica, facendo valere pel
concetto del corpo matematico ciò che vale per quello del corpo fisico.
In questo anzi non sa GIORDANO BRUNO liberarsi dalla influenza
dell’aristotelismo, pel quale ciò che vale della materia doveva naturalmente
valere dello spazio. Il suo strano tentativo ricorda l’antica dottrina delle
linee indivisibili o atomiche di Senocrate, anch’essa stabilita per
evitare le stesse contraddizioni del continuo messe in chiaro dalla critica dei
veliani (V. nello scritto -epì à-riuiov ypaujLùv Apelt, Beitrcige z. Geschichte
d. Griech. Philosoph. dove ne è anche data la traduzione, p. 271 e
seg.) Della dottrina atomistica di GIORDANO BRUNO riconosce giustamente
il merito Lasswitz (“GIORDANO Bruno und die Atomistik”, Viertelsjahrsschift f.
icissensch. Tuttavia alcune importanti considerazioni sono comuni al Cusano (1)
e a quest’ultimo sulla natura dell’infinito ossia sull’esistenza di un unico
infinito in riguardo al quale non possa esservi divisione possibile uè
disuguaglianza se misurato immaginariamente da misure differenti (2).
L’infinito assoluto considera poi Spinoza come dato nei noti due cerchi
l’uno dei quali è dentro all’altro e che non si toccano nè sono concentrici,
esempio ricavato da Cartesio (Principii , II, 33, 34, 35) e da Spinoza
medesimo già illustrato nella esposizione dei principii cartesiani della
filosofia. Ma come è impossibile che la materia mossa tra due cerchi
possa realmente dividersi all’infinito, cosi è impossibile farsi un concetto
di una infinità assoluta di disuguaglianze come effettuata dalla
relazione di quelli. Poiché data questa infinità non è nè può essere. Altrimenti
la potremmo anche pensare effettuata in un qualunque segmento di linea
da’suoi punti infiniti. Una tale infinità non può cosi che
venir riferita alla facoltà della nostra mente quale suo fondamento ; non
può esser che un caso di infinita possibilità come lo è quello dell'infinitamente
grande. Philos. Vili, 33): “GIORDANO BRUNO hat darci» (lcn
erkenntnisstheoretiscben Ausgangspunkt seiner Monadologie sicli das bleibendc
Verdienst erworben, den Atombegriff klar und wiederpruchslos dargestellt
zu haben. So lange das Atom nur als Letzes der Theilung gilt, blcibt es
immer fraglich, ob man auf ein solches Kommen masse. Erst die Einsicht,
dass es ein Krfordcrniss dcs Erkennens istein Erstes der
Znsammcnsetzung zn liaben, macht den Atombegriff za einem
nothwendigen. Cusano, Dada ignoranza. Già Aristotele tiene per
inapplicabile ad ogni grandezza l’intìnito attuale, ma perciò appunto ne
aveva rifiutato il concetto. Il caso (lei due cerchi si lascia
ricondurre a quello d’ogni grandezza continua. Ora l’esame del continuo
non può per sè mai darci l’infinito assoluto ; il continuo riceve i
termini che noi segniamo in esso senza lasciarsi però mai esaurire da
successive suddivisioni. Con ciò esso non ci dà che il campo di una regola
d’operazioni infinite, rimanendo pur sempre finiti i risultati di
queste. Che le parti del continuo non si lascino esprimere con alcun
numero (nullo numero explicari possunt) indica solo che sarebbe, contradittorio
pensare come raggiunto il risultato d’una operazione infinita ossia da
ripetersi senza fine. Il continuo non ci dà insomma che l’infinito
relativo. E così ciò che Spinoza distingue dall’infinitamente grande non è in
realtà l’infinito assoluto. Esso è soltanto lo stesso infinito relativo
nella direzione opposta del primo, ossia nella direzione del piccolo (1).
Ammette inoltre Spinoza che l’infinito propriamente detto può esser
suscettibile di più e di meno. Ma non è esso allora cangiato nel finito?
(2) e non dice egli altrove (3) che (1) SPAVENTA, Saggi critici, p 256-7,
seguendo Hegel trova la distinzione dello Spinoza dell'infinito della
immaginazione da quello dell’ANIMO veramente profonda, e ravvisava in
questo ultimo fissato il concetto dell’infinito assoluto che trascende
ogni determinazione. Infatti però esso non può rappresentare che lo stesso infinito
della immaginazione. (2) Vedi lettera XXIX. In complesso questa importante
lettera parmi mostrare molta incertezza malgrado il tono suo dommatico e
tanto sicuro. I due unici esempi che Spinoza porta dei molti che ei dice
avrebbe potuto addurre dell’infinito dell’ANIMO, non sono omo-genei. La
infinità dei moti che furono, e la infinità delle disuguaglianze dei due cerchi
non cadono sotto uno stesso concetto. Lo stesso abbiamo notato del
transfinito o trasfinito di Cantor, il quale dovrebbe del pari
esprimere appunto e l’intervallo ( 0.1) come totalità infinita, e il
complesso della serie dei numeri intieri positivi. (3) Etica, I,
prop. XV. è un assurdo che un infinito possa essere il doppio
di un altro? A questo assurdo risultato arrivano tutti quelli che
pensano potersi DARE L’INFINITO NEL FINITO medesimo. Di Locke s’è visto
qual razionale concetto egli ha dell’infinitamente piccolo e grande. Locke non
sa tuttavia considerare l’infinito altro che nella illimitata addibilità e
divisibilità, per cui non intese l’infinito assoluto. Locke analizza con una
grande acutezza soltanto le funzioni dell’ANIMO in riguardo all’infinito,
non però il riscontro loro oggettivo. Infatti e questo per Locke
ancora Dio, il quale oltre i confini raggiungibili dal nostro ANIMO
coll’illimitato progresso, riempiva tanto l’infinito del tempo che quello
dello spazio (1). Ed è cosi che Locke puo pensare esser l’idea positiva
di infinito troppo ampia per una capacità finita e angusta come la nostra
(2). Kant scioglie trionfalmente tutte le difficoltà che incontra Locke
nell’esame dello spazio (3), e fissa l’idealità di questo. Una idealità
che se è conseguenza delle stesse ragioni che l’avevano fatta necessaria
ai veliani, à però, un significato e una giustificazione scientifica di gran
lunga superiore. Ma quanto al concetto proprio di infinito Kant non fa un
passo oltre Locke. E neppure Hume e andato più oltre sulle tracce di
quest’ultimo. E’ non sa anzi per il metodo suo empirico apprezzare la bella
trattazione lockiana dell’infinito, in cui la funzione SINTETICA dell’animo
trovava una cosi Locke : Essay on Human Under ai, p. 134,
135. (2) Id. p. 152. (3) Id. p. 131, 135 e 154.
giusta e importante bencliè non del tutto consapevole applicazione. Hume,
senza esaminare particolarmente l’infinitamente grande, si volge in special
modo a considerare l’infinito nel piccolo (1). Ciò che più, come già GIORDANO
BRUNO, imbarazza il grande scozzese è la considerazione della infinità nel
continuo, ossia della infinita divisibilità, la quale egli non distingue
dall’infinito esser diviso, ossia dalla infinita divisione effettuata (2). Il
suo empirismo, confondendo il reale colla forma, lo porta a stabilire lo
spazio come composto di punti visibili e sensibili (meno risolutamente
però nella “Inquiry”) (3) ; e il tempo della somma dei minimi delle
sensazioni. Come può, si domanda egli, un infinito numero di infinitamente
piccoli non dare una grandezza infinitamente grande? o, come può un
tal numero esser compreso allo stesso modo in una data grandezza che in
una doppia di quella? Come può passare il tempo da un punto all’altro per
un numero infinito di parti reali successivamente esaurientisi ? Sono in
conclusione le stesse contraddizioni svelate dapprima da Senone di Velia,
l’amato di Parmende. Senone conclude col negare lo spazio e il moto. Hume
invece accusa L’ANIMO STESSO senza dare soluzione alcuna definitiva. L’aver
confuso la forma col reale, e il non aver più acutamente esaminate le
funzioni sintetiche dell’ANIMO sono la ragione della infruttuosità delle sue
ricerche sull’infinito. Locke è insomma l’unico tra’ filosofi moderni, o
al¬ ti) Treaiise pag. 26, 32, 39, 43. (2) Id. pag. 26, 29; Essays,
edizione World Library, p. 378-79. Exsai/s, pag. 379. (4;
Hume: Essai/s, p, 380. meno sino a Diiliring, che segna un notevolissimo
progresso nella razionalizzazione del concetto di infinito. D’altra parte tra’
matematici, dopo le lunghe discussioni sulla natura dell’infinitesimo, si
fa strada, è vero, con Carnot, e con Cauchy, in séguito, l’opinione della
arbitrarietà del differenziale, ma riman pur sempre come sfondo
oscuro l’infinito esatto, una sfinge che i matematici
dichiarano spettare AL ONTOLOGO di interrogare. E con ciò la mente è
ben lontana ancora dal trovarsi appagata. Con Gauss poi, e dietro a lui
con Riemann e con Steiner e con tutti i geometri anti-euclidèi, la nebbia
che avvolgeva l’infinito s’è fatta ancora più fitta, e rimarrà cosi
quale indizio dello spirito mistico dell'epoca nostra, la quale non
sente quel bisogno vivo e quell’amore della chiarezza che cosi grande
aveva il secolo decimottavo Nfe i filosofi del nostro secolo sono certo fatti
per confortarci della mistica incertezza dei matematici e sbugiardare così il
notato carattere generale dello spirito del decimonono dicontro al
secolo precedente. (V. più sotto di Hamilton e Spencer n. 8). Dove
l’universo, come presso Democrito e gl’epicurei, o presso GIORDANO BRUNO e
Spinoza si stabilisce dommaticamente infinito, l’ONTOLOGIA non s’è ancor
spogliata di tutti gli elementi puramente poetici. Col criticismo
mo¬ derno la questione della reale estensione dell’universo si è
fatta essenzialmente empirica. La illimitatezza della no¬ stra concezione
dello spazio non ci garantisce una infi¬ nità oggettiva materiale (1).
Empiricamente non si lascia dimostrare nè la finitezza nè la infinità
dell'universo; (1) È chiaro che chi volesse supporre un riscontro
materiale assolutamente completo della nostra concezione infinita dello spazio
correrebbe dietro una chimera. La nostra rappresentazione dello spazio il
la sua spiegazione nella costante unità della coscienza e nella sua
libertà del porre e dell’oltrepassare continuamente il posto. Ora a
questa funzione de nostro ANIMO non si deve attribuire senz’altro un carattere oggettivo.
Al contrario fa il Urtino infinito il mondo appunto perchè è infinito lo
spazio, ritenendo che la materia stia allo spazio come questo a quella: “
e se non v’ha differenza tra spazio e spazio, non c’è nessuna ragione che
solo quel breve tratto occupato dal nostro sistema planetario sia pieno e
tutto il resto dell’immenso spazio vuoto. „ Cfr. Schopenhauer (Die Welt
als Wille ecc. I, 588). il quale commenta gli argomenti affatto ineritici
di GIORDANO BRUNO e vorrebbe farli servire a dimostrare anche la infinità
del tempo. altro che il finito noi non possiamo raggiungere e non
possiamo mai giudicare se altro non vi sia più oltre da raggiungere nella
realtà. Se essa stessa abbia o no dei limiti come gli à costantemente la
nostra RAPPRESENTAZIONE. L’infinito COME TALE non può diventar oggetto DELLA
NOSTRA ESPERIENZA. Ma se questa è per la sua natura limitata, non perciò
dobbiamo pensar limitata la realta inconscia. Il concetto nostro dell’universo
sarebbe dunque sempre solo comparativo. Certo è però che
praticamente l'universo sarà per noi costantemente finito, poiché
altro che in limiti finiti non può venir da noi conosciuto. Il
principio della costanza della materia e della forza non basta, come
crede Rielil (1), a dimostrare la finitezza della massa dell'universo. Seia
massa si fa infinita, dice Riehl, verrebbe a mancarle con ciò ogni
determinazione quantitativa, il che è incompatibile col concetto stesso di
massa. Ogni determinazione le mancherebbe però naturalmente se considerata
solo nella sua trascendente totalità, non mai invece nel finite. Nè
d’altro che di masse finite può aver ad occuparsi l’uomo. Il grande
principio della costanza della materia e della forza, nota ancora Riehl,
diventerebbe una mera e inutile TAUTOLOGIA, data la infinità loro. Non
potendo evidentemente l’infinito venir nè aumentato nè sminuito. Neppur
questo è giusto. Il principio in discorso sarebbe tautologico se stabilisse
appunto la costanza della materia infinita come tale. Non se, come esso
fa, stabilisce quella del finito in essa datoci. Infatti la conservazione
costante del finito (1) Riehl, Ber pMosoph. Kriticismus, III,
303-305. non è (lata analiticamente colla inalterabilità quantitativa
dell’infinito, poiché come l’infinito non è toccato da addizione o
sottrazione, cosi potrebbe, posta infinita la materia, il finito in essa
assolutamente crearsi o annichilarsi senza contraddizione alcuna. G.
Mentre la estensione e la massa dell’universo sono presumibilmente finite,
ma nessuna necessità apriorica od empirica ci sforza a pensarle piuttosto
finite che infinite. In riguardo al tempo concorrono invece necessità
dell’esperienza e dell’ANIMO a farlo nel REGRESSO assolutamente infinito. Il
problema cosmologico del tempo non à tuttavia avuto sinora una soluzione
definitiva. A il tempo reale mai avuto principio? Vi fu nell'universo o
nell’essere un primo cangiamento? E se il tempo non à avuto principio, ed
è nel passato infinito, come può senza contraddizione venir pensata
cotesta sua infinità? Che il cangiamento abbia una volta cominciato è,
per il principio di causalità, impossibile ammettere. La ausa di un
cangiamento deve cercarsi a priori in un cangiamento anteriore e cosi via
all’infinito. Un cangiamento assoluto è empiricamente impossibile e a
priori inconcepibile. Vi sono nell’essere ultime ragioni dei processi, ma
non ultime cause. In ogni punto del tempo è esistita la serie delle
variazioni. Non che nel concetto di sostanza si trovi unita
necessariamente coll’esistenza l’azione, come crede il Rielil (id. 309),
e che non lasciandosi quindi disgiungere il fare dell’essere dalla sua
esistenza, venga ad esser perciò inconcepibile la sostanza scompagnata
dal cangiaménto. Inconcepibile sarebbe solo una esistenza vuota,
ossia scompagnata dalla essenza. La forza potrebbe però concepirsi
ovunque come in equilibrio stabile, e con ciò l’universo come privo di
ogni mutamento. Vi è una condizione del divenire cbe non entra mai
come membro nella serie causale -- è questa il fondamento ultimo d’ogni
fenomeno, la ragione della loro possibilità. Un tal fondamento riman
quindi come fuori del tempo ossia veramente ETERNO, senza origine nè fine.
Non è cosi dei cangiamenti o degli stati momentanei dell’essere.
Lo stato precedente a un DATO momento nella serie molteplice dei
cangiamenti, se fosse sempre esistito, non avrebbe mai prodotto un
effetto cbe si origina solo nel tempo; auche quello deve dunque aver
avuto una causa, e cosi all’infinito. Delle cause non ve ne può essere
una cbe da sè inizi assolutamente una serie; ogni causa di cangia¬
mento è essa stessa un cangiamento, e suppone con ciò un’altra causa, un
altro stato cbe la spieghi. Tutto è seguenza nella serie, e un principio
assoluto è un assurdo. Una prima causa del cangiamento per cui avvenga
qualcosa cbe anteriormente non era, non è in alcun modo a connettersi
coll’esperienza. La fine della primitiva quiete nell’ essere senza una
causa che la faccia cessare è un pensiero irrealizzabile. Esprimerebbe
una spontaneità incomprensibile, anche formalmente, cbe noi non possiamo
accettare sensa derogare alle leggi della conoscenza e della natura. Come la
legge della causalità non conduce fuori della causalità empirica (all’Assoluto),
cosi non conduce fuori del cangiamento. Esenti da mutazione rimangono
soltanto la sostanza e le sue qualità originarie, ossia in generale gli
elementi, per cui solo sou possibili le variazioni. La causalità è
applicabile unicamente ai cangiamenti, di modo che causa di un
cangiamento non può mai esser che un altro can¬ giamento, non una cosa
come tale. E quindi unicamente l’ideniico che sta a base del vario FENOMENICO
che non à nè causa nè ragione, se non quella almeno che
con Schopenhauer potremmo chiamare la ragione dell’essere, o di
identita. La medesimezza con sè stesso è infatti la ragione della sua
eterna esistenza. Dove non c’è variazione non c’è causa da ricercare. Poiché
causa non è che la ragion reale del cangiamento. Una variazione che
non procedesse in base a qualcosa di stabile è un assurdo. Degli elementi
non si dà quindi nè generazione nè corruzione alcuna. L’essere non è mai causa;
le cause che la scienza rintraccia sono cangiamenti, e le leggi sono
la uniformità e costanza del loro succedersi. Tanto l’essere
universale quanto la materia e la forza sono fuori della catena causale.
Nn sono per sè causa, si bene la ragione della connessione stessa
causale. E cosi l’essere non si può porre quale ultimo anello della
causalità. Tanto il più remoto fenomeno immaginabile quanto il
presente presupponendo l’essere, il fare dell’essere. Un sistema
dinamico non può mai per sè stesso originarsi da un sistema STATICO, come
neminanco può a questo passare. Sempre le forze si son misurate a
vicenda, ed elementi di esse si son fatti equilibrio ed altri ànno
prodotto dei cangiamenti col lavoro meccanico; ed equilibrio e lavoro sono
sempre stati necessari da una parte per conservare i cangiamenti lenti
concretatisi, ossia in generale le forme durevoli, e d’altra parte per
alimentare la vicissitudine o la vita nell’essere. Il voler dunque
tro¬ vare un principio della mutazione sarebbe lo stesso che
credere che la materia una volta non sia esistita. Il sor¬ gere della
coscienza a un dato momento nell'universo, che il momento innanzi noi
possiamo immaginare come affatto privo di vita conscia, non è uua
creazione assoluta, nè rappresenta una infrazione alle nostre leggi
della conoscenza dell’animo. Perchè quell’apparizione della vita conscia
noi non l’abbiamo a pensare che come una combinazione di elementi,
nè di elementi v'è creazione, poiché essi esistono eterni. Pensare la
combinazione come occasionata dallo svolgersi delle variazioni non à
nulla di sovran¬ naturale. Certo la coscienza nella sua natura
generale non à causa; ad essa come agli elementi ultimi d’ogni
realtà è applicabile soltanto ciò che s’è detta la ragione dell’essere.
Altra è però la questione della sua fenome¬ nologia- In questa come nella
fenomenologia generale la causalità à il suo regno. Se la coscienza al
pensiero si presenta come originata dal NULLA, gli è perchè le sue
cause, nella loro natura oggettiva materiale, non possono in essa
evidentemente comparire. Gli elementi di coscienza, o meglio le disposizioni
alla coscienza nella realtà inconscia sono ora come latenti o
neutralizzate: una data combinazione materiale ecco ne suscita la luce
subitanea. Il sorgere del cangiamento in generale implicherebbe invece
una derogazione alla legge fondamentale dell’ANIMO; noi non lo possiamo in modo
alcuno concepire, e la realtà empirica ci costringe ad ammettere il
contrario. Il variabile non è per sè stesso intelligibile senza un
identico a sostrato. La identità dell’io come dà origine alla ragione logica
cosi la dà a quella del cangiamento reale. Le diiferenze come tali non possono
farsi contenuto della coscienza. Per esserlo anno a venir riferite a una
totalità identica. Ammesso che cangiamenti potessero avvenire senza
conseguire ad altri, verrebbe a mancare la connessione dei fenomeni
secondo leggi costanti. Il concetto di natura perderebbe la sua unità e l’ONTOLOGIA
con ciò ogni fondamento. Le leggi dell’animo si incontrano invece con quelle
della realtà. È chiaro che come l’animo è la condizione inevitabile
della esperienza, e con ciò del nostro mondo fenomenico, cosi le sue
leggi o funzioni generali devono anche di quello esser leggi a priori, o
assolutamente valide indipendentemente da ogni esperienza. Ciò non toglie
tuttavia che coteste leggi possano venir trovate, come vengono in realtà,
consone alla natura propria delle cose, ossia non imposte loro direi
quasi arbitrariamente, perchè nelle cose sono le stesse leggi quantunque
impensate. Che anzi in riguardo al fatto dell'esperienza, in riguardo
alla unità sistematica dell’essere e dell’ontologia, potrà trovarsi
necessario di veder nelle leggi che la coscienza applica a priori alle
cose nuli’altro che un riverbero o meglio null’altro che l’espressione
soggettiva delle determinazioni autonome della stessa realtà inconscia. Ponendo
un principio del tempo reale e con ciò un cominciamento delle causalità
non si sfugge d’ altronde alla domanda. E perchè non prima? Se il primo
cangiamento non ebbe causa, o perchè è esso avvenuto
solo, mettiamo,parecchi quadrilioni di secoli fa? È vero che non
si ammette una causa che l’abbia chiamato all’esistenza, ma nemruanco
si dice che qualche cosa l’abhia impedito di nascere prima. Per questo,
per quanto lo si allontani dal presente, esso riesce sempre troppo
vicino. Richiamarsi alla originarietà dell'essere come fa Duliring,
alla sua effettività indipendente da ogni pensiero e da ogni
ragione, richiamarsi alla natura della realtà inconscia, cui il pensiero
non può mai ricevere completamente in sè stesso, mai fondare in senso
assoluto, ma soltanto ammettere come fatto, non è permesso quando intanto
alla stessa effettività della natura impensata dell’essere evidentemente
si contraddice. Si contraddice, dico, poiché, lasciando da parte
l'analogia del pensiero che ammesso il cangiamento non sa vedere come
esso possa originarsi in modo assoluto, noi non abbiamo in realtà
conoscenza alcuna di un cangiamento cui un altro non preceda, ogni
cangiamento che apparentemente si presenta come tale — il nuovo
nell’evoluzione — noi lo riduciamo è vero alle forze o forme, agli
elementi costanti dell’essere de’ quali non c’è ragione a domandare. Ma il
perchè della loro manifestazione appunto in un tale momento e non
in altro, è nell’ininterrotto cangiamento collaterale, occasionai e in rapporto
a quello. Ben possiamo invece richiamarci noi alla assoluta autonomia della
realtà, che nulla ammettiamo contro il suo reale manifestarsi,
quando diciamo che in senso assoluto non c’è una ragione del perchè
quest’oggi, poniamo, sia proprio ora e non sia già stato in passato o non
abbia piuttosto a venire in futuro, che v’è tanto poco ragione di questo
suo essere Logik. il, Wi-scnschaftsftheorsie, presente che della
esistenza stessa universale : dacché come questa non à inai avuta fuori
di sè la ragione del suo essere, così nemmanco il suo fare, il suo
divenire in¬ terno. In qualunque punto del tempo noi fissiamo
l’essere, non lo troviamo mai privo di determinazioni, perchè que¬
ste sono autonome; e dal suo stato in dato momento di¬ pende ogni sua
ulteriore evoluzione ; come però non c’ è un momento in cui l’essere non
sia, nemmanco ve n’è uno in cui esso non abbia un suo stato determinato.
E cosi che del divenire v’ è sempre la ragione in un divenire
anteriore, ma del divenire in senso assoluto, v’è tanto poco un perchè
quanto dei suoi durevoli elementi. In ciò che esiste è la ragione di ciò
che esisterà ; in ciò che à esistito la ragione di ciò che esiste. Nella
origina¬ ria nebulosa è la ragione dell’attuale disposizione del
si¬ stema nostro solare, ed in altri processi cosmici ebbe essa
stessa la sua origine, i quali se la scienza non può oggi rintracciare,
non è però assolutamente impossibile che un giorno ella trovi, e che ad
ogni modo sono necessariamente avvenuti. Il cangiamento non à dunque avuto
principio. Ed ecco appunto dove sorgono specialmente gravi, e a
molti filosofi son parse insormontabili, le difficoltà del problema
cosmologico del tempo. Si è sempre trovato, e Cusanus, Opera,
Complementura theologicum, Si enim numerare possumus decem revolutiones
praeteritas, et centum, et mille, et omnes. Si quis dixerit non omnes
esse numcrabiles, sed practeriisse infinitas, et dixerit imam futuram
revolutionem in futuro anno, essent igitur tunc infinitae et una, quod
est impossibile. Bacone, Novum Organimi
, odi/.. Fcllow, Ne- Kant è il filosofo che più vi à attira’
o l'attenzione, che ponendo la mancanza d’ogni principio nella serie
regressiva delle cause, si viene conseguentemente ad ammettere che un’infinità
di cause si sia esaurita, una infinità di cangiamenti sia realmente tutta
trascorsaci che contraddice al concetto di infinito, ed è quindi assurdo
accettare. Non solo Kant, ma anche, tra gli altri, il più acuto forse dei
filosofi post-kantiani, Duliring (1) trova qui una insuperabile contraddizione,
ed è stato da essa spinto a stabilire che il cangiamento nel mondo abbia
ad un dato punto cosi casualmente senza ragione alcuna avuto un assoluto
principio nell’essere, cosa evi- quc.cogitari potest quomodo
seternitas dofluxerit ad lume diem; cum distinctio illa, quae recipi
consuerit. quod sit infinitum a parte ante et a parte post, nullo modo constarò
possit; quia inde sequeretur quod sit unum infinitum alio infinito maius,
atque ut consumetur infinitum et vergat ad finitum. Hobbes, il quale
dichiara insolubile la questione dell’ infinito in riguardo al problema
cosmologico, ammette tuttavia cautamente la infinità del tempo nel
passato e non si lascia ritenere dalla contraddizione di un infinito maggiore
di un altro che sarebbe data dalla relazione dell’infinito passato a
momenti diversi della serie temporale. Non sa però pensar
l’infinito assoluto in modo razionale poiché crede di vincere quella
supposta contraddizione obbiettando: « similis demonstratio est siquis ex
co quod numerorum parinm numerus sit infinitus, totidem esse
conclu- deretur numeros pares quod sunt simpliciter numeri, id est
pares et impares simul sumpti ». De corpore La impossiblità del “regressus
in infinitum in causis efficienticibus” REGRESSUS IN INFINITUM -- e un
principio riconosciuto della scolastica. È vero però che gli scolastici lo
facevano ancor più che a dimostrare un principio del tempo, o,
secondo loro, del mondo, servire a dimostrare (seguendo Aristotele nella
sua dimostrazione del PRIMO MOTORE) la necessità di una prima causa
assoluta. ossia ontologica. Cfr. il libro apocrifo II c. 2 della “Metafisica” di
Aristotele, secondo il quale non solo la serie delle cause nel passato, ma
anche quella del futuro sarebbe contraddittoria. Cursus der Philosophie,
Logik. luoghi citati. dentemente assurda, e tanto più per chi come lui è
sur un terreno affatto critico e scientifico. Io trovo al contrario che
la illimitatezza della serie regressiva dei cangiamenti si lascia senza
contraddizione alcuna concepire infinita o, più propriamente,
assolutamente infinita. Dtlliring, non à compreso come l’infinito assoluto
possa attribuirsi anche a ciò che è per sé numerabile. E cosi alla
infinità dei cangiamenti nel tempo ritroso, che è l’unico caso dove una tale
applicazione sia necessaria, egli à fatto invece quella ingiustificata
della sua manchevole legge del numero determinato. La difficoltà da me
superata sta in questo, cui nessuno, per quanto io mi sappia, à mai badato
sin’ora (I). I cangiamenti infiniti di cui si discorre non
involgono contraddizione perchè essi non sono nè furono mai dati come
totalità, ossia come complesso di una serie infinita. Acciò la
contraddizione esistesse, bisognerebbe che s’ammettesse tacitamente un
principio del cangiamento. Di fatti altrimenti nell’assenza d’ ogni
principio come si può dire. Ora, in questo momento si è esaurita uua serie
infinita di cangiamenti ? Ma da quando dunque? Si pensa con un tratto
indefinito di tempo di avvicinarsi di più all’ infinito del passato (2), mentre
in- -- Questa soluzione è gù brevemente enunciata nella mia “Lettera
filosofica” a I Simirenko” (Torino, Roux). Schopenhauer, Parcrga u.
Paralipomena 0“ cdiz. I, ILI : Wenn cin erster Anfang nicht gewesen wure,
so tornite die jetzige reale Gegenwart nicht erst, jetzt seyn, sondern
wiire schou liingst gewesen, dcnn zwischen ihr und dem ersten Anfange
miisscn mir irgend einen. jedoch bestimmten und begriinzten Zeitraum
annehmen, der min aber, wenn wir den Anfung liiugnen, d. h. ihn ins
Unendliclic hinaufruckén, mit hinaufriickt », ecc. ecc. E vece noi ne rimangbiaino sempre alla
medesima distanza. Qualunque punto del tempo si scelga, anche milioni
di milioni di secoli addietro nel passato, noi siamo sempre tanto vicini
lo stesso all’infinito di prima. Come noi per quanto risalghiatno
addietro non possiamo esaurire l’infinito che fu, cosi non dobbiamo
inavvertentemente ammettere che l'essere sia ne’ suoi cangiamenti
partito da un punto per quanto distante da noi. Poiché in realtà
ogni e qualunque suo cangiamento ne à sempre avuti dietro a sè una stessa
infinità di altri. Non è che l’essere avendo dovuto compiere i cangiamenti in
senso inverso di quello che noi tenghiamo nell’abbracciarli venga con ciò
ad aver esaurito una infinità di variazioni. Il tempo nella sua durata
bisogna considerarlo analogamente a una retta che in una direzione è
assolutamente infinita e nell’altra in ogni momento terminata, ma
prolungabile a piacere all’infinito. Come non implica contraddizione far
terminare a un punto una linea assolutamente infinita, cosi non la implica il
passato assolutamente infinito che si termina nel presente e può prolungarsi
senza limite nel futuro. L’errore di Kant e di Diiliring e di tanti altri
sta nel credere che posta la serie regressiva infinita si abbia con ciò
una totalità infinita. L’infinito passato invece non è nè può essere un tutto,
e non ammette quindi alcuna determinazione numerica, pur contenendo in sè
ogni numero. Tale infinità non involge, come crede Diihring,
l'assurdo di una contata (o percorsa , come direbbe Kant) serie infinita (“den
Widerspruch einer abgezàblten unendlicher Zalilenreihe”). In qual modo potrebbe
una tal serie esser contata? Non s’accorge Diihring che con ciò egli
ammette già quello che ei vorrebbe dimostrare, ossia un principio del tempo
reale? In verità è quella serie non contata, ma innumerata e innumcrabile,
ciò che detto di un infinito non inchiude punto contraddizione. Il moto
non à principio nel tempo, e: sino a un punto qualunque del tempo è
trascorsa una infinita serie di cangiamenti — non si equivalgono esattamente.
Con è trascorsa si vorrebbe tacitamente porre come dato ciò che è
impossibile a darsi. Di fatti la contraddizione scompare subito che si
dice: la serie dei cangiamenti nel passato è infinita. É trascorsa sembra
rinchiudere l’idea di un punto iniziale della serie, dove (die i
cangiamenti non si possono considerare un tutto o come serie completa
senza contraddire al concetto di ogni assenza di principio. Una infinità
di cangiamenti, una infinità di momenti del tempo non è trascorsa,
sibbene l’infinito trascorre sempre, e in ogni momento è esistita la
serie dei processi. La successione perpetua è appunto la forma
della infinità del tempo. Se si dice che l’infinito è trascorso si
scambia, a jiarlar esattamente, il suo concetto, ponendo in vece sua
quello del finito, o almeno si combinano insieme due concetti incongruenti.
Poiché ammettendo che una infinità di movimenti è trascorsa o s’è esaurita
nel passato, noi raduniamo in un tutto ciò che per sua natura non
può mai venir radunato. Il concetto di infinito e quello di totalità sono
incommensurabili.Una totalità è sempre raggiungibile con una sintesi successiva
delle sue parti, non cosi l’infinito. Diciamo invece. Le serie dei cangiamenti
del passato è infinita — quale contraddizione nel pensare che ogni
cangiamento avvenuto è stato preceduto da un altro? Dov’è qui l’assurdo
di un tatto infinito che avrebbe dietro a sè ogni momento del tempo? I fenomeni
per sè non suppongono se non i fenomeni che immediatamente li precedono ;
e come non c’è qui contraddizione, cosi per quanto noi ci trasportiamo addietro
nel tempo, mai la troveremo. (1) Come à fatto il tempo reale a giungere
all’ora presente dall’infinito? È potuto giungere dall’ infinito
perchè non è mai partito. Se fosse a un dato punto partito non sarebbe potuto
giungere. E tanto concepibile l’infinito verso il quale tende la serie che
quello dal quale essa procede. Nell’un caso e nell’altro si deve
solo avvertire di non fare un insieme o un complesso di ciò che non
è mai dato come tale, ossia un insieme in cui ogni momento dell’ infinito
fosse anticipatamente compreso. Kant nella prima ANTINOMIA spiega dapprima egli
stesso che l’infinità di una serie consiste nel non poter
questa venir mai compiuta per mezzo di una sintesi successiva e che
il CONCETTO di fatalità non è altro che la rappre¬ si) Schopenhauer crede
di sciogliere il sofisma Kantiano con un altro sofisma, distinguendo tra
assenza di principio e infinità del tempo. Schopenhauer cosi infatti
obbietta alla tesi della prima ANTINOMIA. Uebrigens besteht das Sophisma darin,
dass statt der Anfangslosigkeit der Reihe der Zustànde, ivovon zuerst die
Rede, plutzlich die Endlosigkeit (Unendliclikeit) derselben
untergeschoben und nun bewiesen wird, was Xiemand bezweifelt, dass dieser
das Vollendetsein logisch widerspreclie und dennocb jede Gegenwart das
Ende de Vergangenheit sei. Das Ende einer anfangslosen Reilic làsst sich
aber immer denken, oline ihrer Anfangslosigkeit Abbruok zu tbun : wic sich
aneli umgekehrt der Anfang einer endlosen Reihe denken làsst. “Die Welt als
Wille” ecc. “Kritik der reinen Venunft”, ed. Kirchmann p. 3G4, 3GG, 3G0. 4G
sentanone della sintesi completa delle sue parti. Dunque anche secondo lui
dovrebbe il concetto di totalità non esser applicabile ad una serie
infinita. Tuttavia per dimostrare che le cose coesistenti non possono
essere infinite, alla loro infinita sostituisce egli appunto il concetto
contradittorio di un tutto infinito. Ed à bel giuoco nel rigettare quindi
un tale assurdo. Ecco la sua dimostrazione . un tutto infinito per venir
pensato tale dovrebbe lasciarsi esaurire per mezzo di una sintesi successive.
Ma l ’infinito non può mai venir cosi esaurito, dunque una totalità
infinita di cose coesistenti non può considerarsi come data. Insomma dice Kant
: una infinità non potrebbe venir numerata ossia non potrebbe esser
finita, dunque non può esser data; vien rigettato l’infinito
semplicemente perchè è altra cosa che il finito. Non l’nfinito per sè, solo
l’infinito nel finito è realmente un assurdo, poiché come tale dovrebbe
esser necessaria¬ mente dato tutto. Ogni insieme di cose deve perciò
con¬ tenere soltanto un numero finito di elementi numerabili. Ma
quanto al temilo non c’è ragione di negarne la infinità ; numerabili sono
i processi da un punto a un altro della serie, non la serie stessa in
senso assoluto, perchè ella non è mai data come un tutto, Is
eli infinito assoluto o transfinito che è proprio del tempo, non abbiamo
più veramente una grandezza ma 1 assenza di essa, poiché è data la
necessità della man¬ canza di un limite nel regrèsso, ed una tale
mancanza è oggettivamente mallevata come nello schema spaziale
della mente essa lo è soggettivamente. La ragione della infinità dello
schema spaziale, come di quella della serie dei numeri sta nel soggetto ;
la infinità invece della se¬ rie causale à la sua ragione nell’ oggetto o
nella realtà estramentale. E appunto solo nell’infinito del tempo passato
che si lascia necessariamente attuare un significato reale del
transfinito. Poiché una simile illimitatezza assoluta è bensi anche dello
spazio, ma soltanto dello spa¬ zio ideale o matematico, in quanto questo
viene ogget- tivato e lo possibilità che realmente è solo nella
funzione mentale vien naturalmente considerata come oggettiva e per
sé esistente indipendentemente da noi. L’infinità del passato non à, come
tale, determinazione alcuna quantitativa, non si lascia esprimere col numero ;
in essa è invece ogni numero e può porsi ogni determinazione rimanendo
ella assolutamente indeterminata. Cosi la di¬ stanza di due punti nel
tempo, per quanto grande la si immagini, se si à riguardo alla sua
relazione all’infinito del tempo anteriore, non significa nulla per
questo appunto che l’infinito assoluto essendo propriamente la negazione
di ogni grandezza nel grande non può venir posto in relazione con altre
grandezze. La nostra fan¬ tasia non può correre che all’ infinitamente
grande del passato. SOLO L’ANIMO ne intende la infinità assoluta.
Della seriedel tempo non possiamo ottenere una assurda totalità ; per padroneggiare
quella bisogna uscire dal cangiamento e volgersi al fondamento della
infinità temporale, ossia all’essere come presente in ogni mo¬
mento e come fonte d’ogni possibile. Meravigliarsi che la più
grande grandezza immagi¬ nabile non sia più vicina all’infinito assoluto
che la più piccola, è analogo al meravigliarsi che la più ampia
conoscenza dei fenomeni non arrivi più vicino alla cosa in sè che la
conoscenza più limitata. Qui come là si tratta di una differenza
qualitativa che nou si lascia esaurire pei aiiazioni di quantità. L’apparente
paradosso che con una comunque grande grandezza non s’è mai più
vicini che con altra infinitamente minore al transfinito, riposa in
questo, che le due grandezze vengono riferite a quello senza mantenere di
esso il giusto concetto, ma consideiandolo invece come una quantità
determinata; nel qual caso sarebbe veramente un assurdo dire che da
esso disti ugualmente un dato punto e un altro che fosse prima o dopo di
questo. Come nel transfinito del passato non c è assolutamente un
termine, cosi esso non è raggiungibile in alcun modo; dunque tutte le
grandezze sono per riguardo ad esso insignificanti. Parimenti è un
assurdo credere di poter addizionare una unità al transfinito o trasfinito. Si
può solo addizionarla al finito. L’accrescimento esisterà pertanto in riguai do
ad un segmento finito di retta, ma non in riguardo alla retta stessa
nella sua infinità. In una retta infinita nelle due direzioni è
indifferente il far la divisione più in un punto che in un altro da
quello lontanissimo ; le due rette risultanti sono sempre lo stesso
transfinito e con ciò sempre uguali. Nella retta co’_a _b _m rx - A — Aoo
e oo’B ossia ( co’A-H AB ) — B oo uguale cioè (A oo — AB). Si
vede cosi contrariamente alla dottrina di Cantor. Dice Cantor. Zu einer
unendlichen Zalil, wenn sie als bestimmt und vollendet gedacht wird,
selir «ohi cine endliche hinzu- gelugt und mit ihr vereinigt werden kann,
oline dass kierdurch eine Aufhebung der letzeren bewirkt wird ; nur der
umgekerte Vorgang, die llinzufugung einer unendlicker Zahl zu einer en
dlicbcn, wenn diese che oo-t-1 ( <> —J— 1 secondo la sua notazione)
non è maggiore di <», nè 1-f-o è differente da essendo co’A + A
B = A B + oo. Non v’è infinito maggiore d'altro infinito: tanto sarebbe
infinito il tempo ritroso se la serie dei cangiamenti fosse terminata
migliaia di secoli fa, quanto se esso continui all’infinito a trascorrere
an¬ cora. Il passato si può misurare tanto a minuti che a secoli, e
dirlo eguale, se fosse lecito così esprimersi, a numero infinito di
minuti o a uno infinito di secoli; non pertanto sarebbe sempre lo stesso
infinito nè più nè meno. E la ragione di ciò è che la quantità
transfinita non è misurabile. La immensità supera ogni numero, come
direbbe Spinoza. Nella infinita serie delle cause è da pensarsi un
numero di esse (se tale può chiamarsi), maggiore di ogni numero
assegnabile ; oltre ogni raggiungibile anello la natura ne offre costantemente
altri ulteriori. Nella na¬ tura la contraddizione non può esistere ella
non ef¬ fettua il passaggio che da un momento a un altro ; e questo
passaggio non può farsi attraverso l’infinito. Per quanto noi risalghiamo
all’indietro nella serie causale, come non troviamo contraddizione pel
pensiero, cosi non la troviamo nella realtà. Essa ci offre sempre e solo
un ziierst, gesetzt wird, bewickt die Anfhebung der letzeren, ohne
dass eine Modification der ersteren eintritt. (Grundlagen ecc. p 11); e
più oltre (p. 14): “Ist co die erste Zalil der zweiten Zalilenelasse, so
iiat man: 1+01=10, dagegen u> 4 .i-=(coq-l), wo (co- 1 - 1 ) eine von
co durchaus verschiedene Zahl ist. Aiif die Stellung des Endliclien konmtes
also alles an. Una tale inapplicabilità della LEGGE DI COMMUTAZIONE ai numeri
transfiniti o trasfiniti dovrebbe per Cantor servire inoltre a dimostrare come
tali numeri debbano poter essere e pari e dispari insieme o anche nè pari
nè dispari. (Id. p. 15). 5dato cangiamento e la sua causa. II fenomeno non
richiede per la sua spiegazione la totalità della serie delle cause
anteriori, si bene soltanto la causa immediata¬ mente antecedente; e il
principio di ragione domanda uni¬ camente la immediata condizione e non
una totalità di condizioni. In quanto la stessa richiesta si rivolge
suc¬ cessivamente alla causa della causa e cosi via all’infi. nito,
si viene a domandare costantemente una nuova con¬ dizione e questa è un
nuovo membro della serie e niente di più. Al tempo è essenziale la
posizione in atto di un solo momento. Fatta astrazione dai
cangiamenti, e supposto l’essere affatto immoto in una rigida stabilità
assoluta, noi lo poniamo però sempre in qualunque punto del tempo
ideale che noi fissiamo ; la sua esistenza la poniamo cosi
necessariamente infinita nel passato. Or come può nascere la
contraddizione se noi in uno qualunque di questi punti pensiamo invece
l’essere universale nel flusso del cangiamento? Assurda è la posizione di un
tutto infinito, quale non può qui esser dato, poiché la successione
perpetua è la forma dell’infinito del tempo; noi abbiamo qui una serie
che in riguardo al nostro procedere a ri¬ troso nel tempo da fenomeno a
fenomeno è infinitamente grande, e per sé è transfinita come la tangente
dell’angolo di 90° -- Wundt è condotto a credere (Philos., Stadie„ II, 520.
Kant’s kosmologichen Antinonien n. das Problem des Unendl.) che
l’applicazione de concetto di transfinito non sia possibile nel problema
cosmologico del tempo. Egli crede un tal concetto trascendente, che
invece non è e cosi gli viene a mancare un concetto che esprima la
infinità oggettiva ossìa 1 eternità del processo della natura. Il concetto
limite del in. Kant crede che la sua dottrina della
idealità del tempo e dello spazio o della transcendentalità in
generale, spiegasse la supposta antinomia del problema cosmologico, e
rendesse con ciò inutile e vana la ricerca di una soluzione. Ma appartenga
o no il tempo e lo spazio al reale in sè, riman sempre tuttavia la
questione se questo, che Kant non può a meno di accettare, si abbia
a pensai’e come fondamento di un mondo fenome¬ nico finito ovvero di uno
infinito. Non vale rispondere che la serie regressiva delle percezioni
nostre non può essere realmente infinita perchè come tale impossibile,
e neppure finita perchè nessun limite dei fenomeni può venir
concepito come assoluto, e dichiarare con ciò insolubile la questione.
Dacché l’oggetto trascendentale condiziona realmente, come egli ammette
(1) un determinato regresso empirico, per un esempio nell’ordine dei
corpi celesti ; doveva Kant pur ammettere che rimaneva sempre a ve-
regresso infinito (o a dir proprio infinitamente grande) non è già un
concetto trascendente della creazione quale dovrebbe, secondo il Wundt,
accettare ogni spiegazione filosofica della natura (v. Wundt, “Ueber das Kosmolog.
Problm, Yiertelsjahrszeitscb. I, 128); quel suo concetto limite nuli’
altro è invece appunto die l’infinito assoluto del tempo oggettivo, in
base al quale è possibile il nostro infinito (infinitamente grande)
regresso. Il non aver considerato l’eternità del fare della natura, e
specialmente il non aver badato die l’infinito regresso è in realtà per la natura
un perpetuo progresso, il cui concetto non può venir altrimenti pensato
che per via del tran¬ sfinito, 6 stata la causa per cui il Wundt concepì
il tempo passato sotto il concetto deH’intinitamente grande concordando
in fondo col Kant, come il Lasswitz si trova in questo d’accordo con lui.
(L. Ein Beitrag zum Kosmol. Proli. Viertels. I, 343). (1) Kritik der reinen Vermnft, ediz. cit.,
428. dere se l’oggetto trascendentale determinasse un possibile
regresso finito od infinito (11. Perchè se per lui tuttii processi
compiutisi da tempo remotissimo ad ora non si¬ gnificano altro che la
possibilità deirallungamento della catena dell’esperienza dalla
percezione attuale indietro alle condizioni che la determinano nel tempo;
pure egli, per ciò che s’è sopra citato, non può negare che il possibile
regresso delle nostre percezioni secondo le sogget¬ tive leggi della
mente, non supponga un regresso ogget¬ tivo determinato dalla realtà
inconscia indipendente¬ mente da ogni esperienza (2). Trasportati a
indefinita distanza dal nostro sistema solare, avremmo noi sempre
ancora nuove percezioni? E cosi, trasportati indefinitamente addietro nel tempo
vedremmo noi necessariamente sempre nuovi cangiamenti? Poiché la nostra
necessaria produzione dello schema dello spazio e del tempo, non
potrebbe per sè far si che noi avessimo nuove percezioni dove l’oggetto
trascendentale non le condizionasse e si mostrasse con ciò finito. Lo
spazio e il tempo ideali non sono per sè garanti di una corrispondente
possibile PERCEZIONE. Non una necessità del nostro concetto a priori del
tempo, ma il principio di causalità richiede la infinità della serie
regressiva dei cangiamenti. Poiché non si può conchiudere la mancanza di
un principio del tempo -- Cfr. Schopenhauer, Parerga, I, 112. (2). Die
wicklichen Dinge der vergangenen Zeit si nel in dm transcendentaien Gegenstand
der Erfahnmg gegeben ; sie sind aber ftir mieli nur Gegenstànde und in
der vergangenen Zeit wicklich, sofern als ich ecc. „ ild. p. 4!0). Saranno
però dunque sempre non null’altro, come dice Kant poco sotto, ma qualcosa
di più della possibilità dell’allungamento della catena dell’esperienza
dalla presente percezione indietro alle condizioni che la determinano nel
tempo. da questo, che ogni limite è necessariamente da noi
pensato come relativo. La relazione di termine e termi¬ nante è infinita
come quella di soggetto e oggetto ; perciò appunto vuota ; essa nulla può
aggiungere al contenuto reale cui viene applicata. Come il pensiero
dell’es¬ sere impensato, che è la forma in cui comprendiamo il
reale, nulla toglie alla realtà estraraentale od in sè della cosa, allo
stesso modo la relazione mentale di limite e limitante non può
evidentemente mettere nella realtà il suo secondo termine se nella realtà
non è dato. Questo secondo termine, il limitante, rimane, se si astrae
da ogni altra considerazione, un puro complemento ideale (1).
9. Riehl non seppe neppur egli superare o scio¬ gliere la falsa
contraddizione che Kant e Dtihring, per non dir che di loro, credettero
inchiusa nella concezione di una serie regressiva infinita di
cangiamenti. Visto che la contraddizione stava nel concetto di una
infinità la quale quei filosofi avevano pensato necessariamente
(1) Hamilton il quale (“Lectures un Metaphysics”, lettura 38; On logic
I, p 101-104) segue Kant nelle antinomie, non giunge che a questo
risultato, di pensare in riguardo all’infinito del tempo e dello spazio,
che se la ragione non ci fa piegare necessariamente nè da una parte nè
dall’altra, pure in realtà il tempo e lo spazio dehban essere o finiti o
infiniti. (Cfr. del resto l’acume (!) del Mill nella sua confutazione di Hamilton,
La philosnphie de IL, cap. VI, p. 90). Ho Spencer poi, che à fatto la sua
più alta educazione filosofica presso di Hamilton appunto e del suo
scolare Mansel, professore di metafisica a Oxford, seguendo il maestro dichiara
questioni insolubili tanto quella riguardanti l’infinità del tempo e
dello spazio che quella della divisibilità della materia e altre ancora.
Egli pensa, cerne è noto, che i concetti di spazio, di tempo, di moto,
di materia e di forza si mostrino in ultima analisi inconcepibili e ci
lascino sempre del pari nell’alternativa tra due opposte assurdità, V. cap. Ili, § 15-18 e cap. IV dei “First Principles”, la quale io
stimo certo l’opera più infelice del filosofo inglese. 54data come
totalità, egli pensò di sfuggirla col negare la numerabilità o la reale
distinzione e indipendenza numerica nella catena delle cause e delle variazioni
(1). Numerabili, dice egli, sono le cose, non i processi. In quanto
le cose sono od appaiono spazialmente divise, deve è vero valere ciò die
il Duhring à formulato come legge del numero determinato; ma altrettanto,
séguita Kiehl, è certo che quella presupposizione non vale per i processi
temporali. Questi non sono, secondo lui, per sé stessi distinti
numericamente : è solo per la nostra distinzione mentale che essi ottengono una
tale determina¬ tezza. Un argomento dunque che vale per il numero
non può senz’altro venir applicato al tempo, poiché mancano in
questo per sé considerato e non riferito allo spazio, degli effettivi
processi indipendenti, separati l’uno dal¬ l’altro, o posti insomma come
numerabili. Noi possiamo distinguere dei processi nel tempo soltanto in
determi¬ nato numero finito, nessun processo è però indipendente
(1) Il Itielil (Ber phUosopliischc Kriticismus, li. 12f>) inclinava
dapprima decisamente a porre con Duhring un principio del
cangiamento. Soltanto nella seconda parte del secondo tomo, tormentato
dalla necessità del principio di causalità cangiò opinione (quantunque non lo
abbia fatto notare egli stesso esplicitamente); ma per uscire dalla
presunta contraddizione dell’ infinito regresso, pensò, al contrario di
prima, i processi come assolutamente, e con ciò assurdamente continui. Si
vede del resto evidentemente clic il Riehl oltre aver cangiato di parere,
non ò nemmanco ancor ora troppo certo della sua nuova teo¬ ria; poiché la
tratta troppo brevemente e troppo alla larga, come se gli scottasse di
dover render più minuto conto di ragioni che a lui stesso non possono
parere troppo convincenti Ciononostante l'opera sua e specialmente la
seconda parte del secondo tomo è un lavoro filosofico non solo di grande
valore, ma anche molto attraente, il che è una cosa assai rara.
1C e distinto da quello che
immediatamente lo precede o segue. Rielil, non sapendo come uscire dalla
sup¬ posta contraddizione à dunque rinunciato a concetti di cui
l’esatto pensiero scientifico non sa nè può lare a meno, senza che ciò
del resto gli abbia giovato per la elimi¬ nazione della temuta assurdità
come più innanzi vedremo. La questione dell’infinito riguarda tanto il
tempo che lo spazio. Solo si à sempre a distinguere tra l’esistenza
loro ideale ; cioè il loro schema mentale, e la loro esi¬ stenza reale.
Non numerabile possiamo noi solo pensare lo spazio ideale, lo spazio o
l’estensione materiale dobbiamo invece necessariamente porla numerabile. Poiché
estensione reale è coesistenza, e la continuità assoluta non può essere
reale ma soltanto ideale ; altrimenti essa inchioderebbe la
contraddizione dell’infinito compiuto nel finito, chè senza parti è solo
il continuo della rappresentazione. Porre la continuità assoluta come effettiva
è non spiegar nulla e mettere il mistero nella realtà, rinunciando a
comprenderla. L’irriducibile noi lo dobbiamo soltanto rilegare negli
atomi sia dello spazio che del tempo reali. I tropi degli Eleati non
valgono meno con¬ tro il continuo del tempo che contro quello dello
spazio; non meno contro lo spazio percorso da un pendolo in una
oscillazione, che contro il tempo in questa impiegato. In parti ultime non si
può dividere il tempo nè lo spazio ideale, perchè essi nè sono composti
nè si originano da una sintesi di parti, come in fatti non pos¬ sono
venire analiticamente scomposti in ultimi elementi semplici, e sono
conseguentemente l’uno e l’altro divisibili all’infinito ; ma non è cosi del
tempo e dello spazio leali, dove la natura viene necessariamente
aH'atto. Dice Diehl che solo il nostro intelletto scompone
l’accadere temporale in singoli processi, e che questi solo per ciò ci
appaiono indipendenti, che partono da cose spaziali e si trasmettono ad
altre cose nello spazio. Un processo secondo lui può aver indipendenza
solo perchè vien riferito alle cose nello spazio e non al tempo
unicamente. Ma è naturale che tutti i processi siano nel mondo materiale
(e non vengano soltanto da noi) schematizzati per dir cosi nello
spazio, poiché essi non sono altro che cangiamenti della realtà spaziale,
e unicamente i processi della coscienza in sè considerati possono venir
riferiti al tempo come tale senza riguardo allo spazio. Difatti non pensa
ora Rielil che sia concepibile una materia assolutamente continua
come lo spazio mentale, ossia non costituita da atomi ? (v. id. Ili, 307
; cfr. II, 278 e 284). Anche della materia allora si dovrebbe dire che
gli elementi distinti solo la nostra mente li pone. Come può egli dunque
affermare ripetutamente che soltanto la riferenza dei processi temporali
allo spazio ci faccia considerar questi come distinti e per sè
numerabili? Voler negare la numerabilità nel tempo reale o ne’ suoi processi
dovrebbe al contrario anche secondo il Riehl esser lo stesso che
negare nello spazio gli atomi o le cose ossia gli aggruppamenti durevoli degli
atomi. Ogni grandezza nella realtà à parti elementari, non
esclusi i cangiamenti; un certo gi’ado di cangiamento è una somma di
successivi cangiamenti minimali. Ma il pensiero come per istinto sembra
rifuggire dalla conce¬ zione dell’atomo o minimo temporale, perchè colla
determinatezza scompare quel che di vago e di nebuloso E ir, rdie
altrimenti conserva la concezione (lei tempo, e per cui la mente non
avverte o avverte assai meno la inin¬ telligibilità di quello. Colla
posizione dell'atomo o minimo, la natura non più oltre scrutabile del
tempo si affaccia bruscamente all’intelletto. Il tempo come
rappresentazione rimane naturalmente strettamente continuo pur essendo discreti
i processi reali, cliè la sua continuità as¬ soluta ideale è una
proprietà necessaria dipendente dalla natura della coscienza, la quale
tra due processi per quanto infinitamente vicini interpola pur sempre la
sua unità. Non c’è un minimo concettuale del tempo come c’è invece
e si richiede il minimo reale. I n minimo nella rappresentazione del
tempo sarebbe un punto inesteso, e considerarlo come elemento della
durata tanto varrebbe quanto rendere impossibile il concetto di questa.
Non deve più urtarci l’accettar gli atomi, o meglio la concessione
atomistica, per la materia, che accettarla in riguardo alla forza e al
cangiamento. Non crediamo siano più intelligibili gli elementi materiali
che quelli del divenire. La facoltà nostra mentale di pensare gli Lo
Schopenhauer trattando nella quadruplice radice del principio di ragione (p
93-96) del tempo del cangiamento, mette in piena e con ciò stridentissima
luce il concetto ch’egli à della continuità assoluta del tempo, quale
egli trova acutamente espresso presso Aristotele. “ Come tra due punti v’ è
ancor sempre una linea, dice egli, così tra due ora vi è ancor sempre del
tempo. È questo il tempo del cangiamento ; esso è come ogni tempo
divisibile all’ infinito e per conseguenza il cangiamento percorre in esso un
numero infinito di gradi per i quali dal primo stato nasce a poco a poco
il secondo. „ Egli conchiude con Aristotele dalla infinita divisibilità
del tempo, che ogni contenuto di esso e con ciò ogni cangiamento, o il
passaggio da uno stato all’altro deve essere infinitamente divisibile, e
che dunque tutto- ciò che diviene s’origina in fatti da punti
infiniti. atomi come ulteriormente divisibili vale per tutti e due
gli ordini senza diminuire perciò la necessità che à la mente di
ammetterli. Quel sentimento direi quasi di disagio clic par darci questa
necessità, non è in fondo che ca¬ gionato da quella nostra come
ripugnanza a riconoscere che l’analisi mentale della realtà deve a un
dato punto arrestarsi. La mente deve arrivare ed arriva, ad
elementi i quali non sono più oltre scomponibili, altrimenti il
reale potrebbe sciogliersi nel pensiero.La divisibilità ideale non porta
con sè una reale divisione. Solo il tempo ideale può venir diviso a piacere
all' infinito, e non à quindi elementi numerabili, ma il tempo reale col
suo vario contenuto fenomenico è di sua natura numerabile; quantunque noi, come
ci accade per gli atomi della materia, non arriviamo direttamente a’ suoi
elementi. Non meno delle cose o degli elementi delle cose sono anche i
processi nu¬ mericamente distinti. E se in astratto la grandezza
non à divisione, essa non può tuttavia nella realtà venir
esattamente concepita che come risultante di una immediata ripetizione numerica
d’uno stesso identico. L’assenza di elementi reali è solo nel nostro
pensiero che può a- strarre da ogni divisione nel considerare una
grandezza, ed è pienamente libero di dividerla o accrescerla all’
infinito, allo stesso modo che esso procede co’ numeri. Tanto la natura
che il pensiero ànno del resto la possi¬ bilità dell’infinito accrescere
e interpolare ; ma ne’ loro prodotti non possono dare che il determinato
: l’infinito si riferisce solo al loro operare, non al loro
operato. Il concetto del continuo assoluto applicato al tempo reale
sarebbe del resto affatto inutile anche quando fosse giustificato. Poiché
empiricamente un tal continuo noi non lo incontreremmo mai. Il fatto che
noi della sintesi della natura (come dice Diihring in qualche luogo
della “Dialettica”), non abbiamo altro che rappresentazioni di
effettività, non ci dà il diritto di fare delle possibilità del nostro
pensiero la misura della realtà. Come in sé sia fatto il passaggio da un
punto del tempo all’ altro, non può venir inteso. Tanto varrebbe
domandare perché esiste il tempo o magari l’essere stesso nella sua
-effet¬ tiva natura Voler ancora spiegare gli elementi del tem¬ po
è uno sconoscere la natura del pensiero ; noi non li possiamo ridurre ad
altro perchè il tempo non è un prodotto della mente, è condizione anzi
dell’esperienza, e non à una natura puramente logica. Il passaggio è
una determinazione della realtà che noi non possiamo che
riflettere. Sarebbe lo stesso voler spiegare gli atomi della materia; noi
non possiamo che ammetterli o riconoscerli; una pretesa spiegazione di
essi è assurda poiché il pensiero non è tutta la realtà, ma vien confinato da
qualcosa che se pò dare ad esso un contenuto formale, non può però
dare il suo essere. Da un grado a un alti’O del cangiamento si fa il passaggio
in quanto il cangia¬ mento stesso ci si mostra come fatto compiuto.
Noi non dobbiamo quindi illuderci col concetto misterioso del
continuo assoluto di penetrare più addentro nel fare della natura, nel
divenire dei fenomeni. Noi non possiamo mai altro che constatare gli
avvenuti cangiamenti, nuH’altro possiamo. E cosi in realtà non conosciamo
come il can ¬ giamento, ma che il cangiamento s’è fatto. Tornando
ora alla soluzione di Riehl, nemmanco col fare la serie dei cangiamenti
assolutamente continua sfugge egli, secondo crede, alla temuta e presunta
con¬ traddizione dell’infinito compiuto od esaurito. E 1' errore suo si
fa più stridente e palese quando egli so¬ stiene che la infinità del
tempo si mostrerebbe esaurita se si dovesse pensare ad un suo fine nel
futuro. Ei crede che solo in tal caso, per evitare la contraddizione, si
dovrebbe ammettere un principio assoluto del tempo. E così fa dipendere,
cosa enorme, la infinità del regresso dalla infinità del progresso nel
futuro. Ma la fine del tempo non è invece punto contradditoria. É
questa una questione di natura empirica; e cosi secondo lui non
dovrebbe esser allora inconcepibile e contraddittorio neppure un principio del
tempo. Il tempo reale, ove fossero date le condizioni di un equilibrio
universale, potrebbe finire ad ogni momento senza assurdità alcuna.
Poiché ad ogni modo nella natura ogni fine non è della serie
infinita ma dell’ultimo cangiamento. Del resto, sia pure, ammettiamo che
i processi non siano per sé distinti e numerabili, ma siano invece
assolutamente continui. Dice Riehl che le oscillazioni di un pendolo
sono senza dubbio determinate numericamente (id. Ili, 309). Ora come
risponderebbe egli alla domanda — nè vi può in modo alcuno sfuggire — se
si debba pensare che insieme sommate le oscillazioni dei pendoli che
possono dall’eternità esser mai esistiti in infiniti mondi, possano
venir compresi da un numero finito ? E se no sotto quale concetto una
tale somma o regola di somma dovrà venir pensata? A ciò non à egli
risposta. E più ancora come risponde Riehl a quest’altra, la domanda. Il
numero delle terre dall'eternità ad ora nate e morte è egli infinito o
finito ? Poiché qui manifestamente abbiamo delle esistenze separate,
indipendenti, numerabili anche secondo lui. L’unica giusta risposta è che
un tal numero è necessaria,nente infinito, o, propriamente,
transfi¬ nito. Nel corso perpetuo del tempo non solo non è
contraddittorio, sibbene è necessario che un infinito numero di corpi celesti
(dato che le moderne teorie cosmiche siano, come pare, inevitabili) abbia
gradatamente avuto nascita e morte. Con ciò come non vi fu un primo
cangiamento, nemmanco vi fu una prima terra. Il concetto dell’infinito
assoluto o transfinito è applicabile solo alla serie regressiva dei
cangiamenti, non alla progressiva. La natura di questa consistendo
appunto nel crescere suo continuo verso il futuro non può cadere, se
infinita, che sotto il concetto dell’infinitamenfe grande. Poiché in
nessun punto iminaginabi'e del futuro non si sarà compiuta, a partire da
un punto qualunque del tempo precedente, una infinità assoluta di
cangia¬ menti. E ciò che si avrà sarà solo la continua possibilità
di sempre nuove mutazioni. La questione però se realmente nella natura
dell’essere sia la disposizione a qnes'.o infinito futuro è affatto empirica,
non essendoci, come s’è visto sopra, alcuna difficoltà che a priori ci
impedisca di pensare possibile un termine d’ogni cangiamento in un qualunque
momento avvenire. Il concetto del tempo per sé non ci dà alcuna soluzione;
la questione è puramente di fatto. La soggettiva possibile anzi
necessaria illimatezza dello schema spaziale non porta seco necessariamente
un infinito riscontro nella esistenza materiale oggettiva. Allo stesso modo
neppure la illimitatezza del tempo ideale porta con sè quella del tempo
reale ossia una serie infinita di reali cangiamenti. Essa non ci
impedisce in modo alcuno di considerare come possibile un limite del mondo nel
tempo. Se noi siamo sforzati di pensare ad un tempo vuoto non è però il
pensiero di esso che gli dà un contenuto reale in ogni suo momento.
Essendo che per sè stesso la vuota durata tanto è del reale come del nulla
; sebbene la durata non rimane mai nel nostro pensiero priva adatto di
contenuto, in quanto la permanenza dell’essere, indipendentemente dallo
svol¬ gersi o no esso in fenomeni, non può mai mancare di farle
riscontro. Ed è in questo una grandissima differenza tra la rappresentazione
dello spazio e quella del tempo. Mentre a niun punto arbitrario del tempo
viene a mancare il contenuto materiale, non così necessaria¬ mente
ad ogni punto dello spazio. A parte i cangiamenti in cui l’universo si
svolge è evidente che non può ad. esso venir applicato il concetto di una
determinata durata. Come esso è sempre quello che è, cosi il tempo non à
a suo riguardo significato alcuno. In un qualunque momento inesteso del
tempo 1’ essere è completo, è tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà.
Se dunque nel futuro venisse realmente a mancare ogni mutazione nell’essere,
questo potrebbe solo impropriamente venir considerato come nel tempo; la
durata dal punto in cui il cangiamento sarebbe cessato à soltanto senso
perchè noi la immaginiamo misurata da quella piena di cangiamenti della
nostra coscienza. Intanto la meccanica non ammette assolutamente la possibilità
del passaggio di un sistema da uno stato dinamico ad uno statico. E cosi il
tempo futuro è indubbiamente infinito nel senso di una progressione senza
fine – V. anche le considerazioni di Sleyer, “Mechanick iter l Verme” (p. 309).
Tra le due infinità del passato e del futuro sta il momento presente, il quale
inchiude la realtà eterna, la realtà che fu e che sarà. La pienezza
dell’essere non ci sfugge come parrebbe a considerarlo nella infinita
sua fenomenologia. L’essere è sempre tutto presente, non c’ è
elemento di cui possa dirsi che sia stato o che abbia a originarsi.
Certamente l’interesse nostro va al suo svolgersi ne’ cangiamenti per cui solo
ci si svela la sua na¬ tura e per cui solo noi ci commoviamo e viviamo.
Che per la coscienza l’essere immoto in una rigida inerzia non
avrebbe valore alcuno. Tuttavia la infinita possibilità del cangiamento è tutta
nell’essere in un qualunque punto matematico del tempo. E cosi T
importanza del tempo finito non si perde di contro alla infinità
passata e futura del processso: ogni momento del tempo ci dà
l’essere sub specie aeternitacis, nè altra mai è stata la esistenza della
realtà che quella del momento. Solo in questa considerazione della
permanenza eterna del reale possiamo noi comprenderne la infondata e
infondabile natura sistematica. Lo sguardo alla incessante evoluzione può
troppo facilmente far considerare le interne determinazioni dell’ essere come
transitorie. Che l’evoluzione sia tale quale noi l’andiamo scoprendo non è
altrimenti a intendersi. Giova quindi, per la concezione universale
dell’esistenza, oltre che aver riguardo allo svolgimento di un sistema
parziale nel tempo considerare gli altri sistemi parziali del cosmo
nel loro coesistente diverso grado di svolgimento, per cui si lascia
forse quasi pensare come in ogni momento attuata nello spazio la
evoluzione temporale dei singoli mondi. Nello spazio e nel tempo, da
cosa a cosa, da processo a processo, per il filo della causalità
materiale spiega l’essere la sua unità. Alla necessaria necessità logica
rispondi la effettiva unità materiale della esistenza. L’unità dello spazio e
del tempo nella rappresentazione non basterebbero per sè a escludere una
radicale disparità nel reale. Se lo spazio e il tempo fossero
puramente forme ideali nascerebbe il problema del come la realtà
non possa dare origine a duplicità di sorta. E la questione si scioglie solo in
quanto si riconosce che l’unità stessa del reale è che crea quella dello
spazio e del tempo. Le proprietà dello spazio sono esse stesse di
na¬ tura meccanica, nè altrimenti potrebbero le leggi della natura
esprimersi in relazioni di spazio ; nelle necessità spaziali è la logica
immanente delle forze della natura. Due spazi differenti sono un assurdo non
solo avuto riguardo al pensiero, ma anche in riguardo alla oggettiva
realtà materiale. Il pensiero per sè non trova alcun impedimento a
riunire ogni spazio in uno spazio unico nel vuoto schema spaziale e non
può trovar quindi ragione di considerarlo come disuniforme. Nella realtà
poi la pluralità degli spazi vorrebbe dire pluralità di esseri. Ora
una tale pluralità non solo non può mai venir oggetto del nostro pensiero
e per noi non può quindi assolutamente esistere, ma è dalla realtà
smentita, perchè anche l’esperienza colla omogeneità universale della
materia mostra esser l’essere uno. Le posizioni delle distanze nello
spazio reale non sono che rapporti di forza. Ogni elemento dell’
esistenza materiale è quindi nello stesso unico spazio. Non esistendo
cosi elemento alcuno fuori d’ogni relazione cogli altri. Analogamente è del
tempo reale ; la sua unità suppone quella dello spazio materiale e
dipende insieme dalla universalità del cangiamento. Per la natura radicalmente
omogenea delle cose e per la temporalità d’ogni cangiamento è uno anche
il tempo oggettivo. E cosi che i principii meccanici si estendono presumibilmente
e con sempre maggior certezza ad ogni massa dell’universo, a ogni sistema
di stelle fisse e gruppo di sistemi. Poiché la base dell’esistenza è di
natura meccanica. Solo la sensazione come tale o il campo della coscienza ne
resta fuori e riceve dalla spiegazione meccanica una eterogenea sebbene
costante e parallela illustrazione. L’unità dell’essere non à riscontro in una
fantasticata e contraddittoria unità cosciente universale; rifrange invece
per dir cosi la sua unità in quella di molteplici coscienze individuali.
L’unità oggettiva estramentale e la unità della coscienza: due abissi del
pari inscrutabili ma rispondentisi. Albana e all’altra sta a base e direi
quasi a tergo quella che noi non possiamo concepire che col concetto
formale di ragione o di fondamento unitivo e subfenomenico dei due fatti.
Non è meno inscrutabile l’una unità dell’altra, sebbene quella della
coscienza im¬ plica per sé quella materiale oggettiva. Infatti che
cosà di meno oltre analizzabile dell’unità radicale che con la
mutazione si appalesa esistere negli elementi dell’essere? Come spiegare
la effettiva comunione delle sostanze, il fatto che lo stalo di un atomo
porti seco un dato altro stato di un altro? Queste riflessioni ci
richiamano alla infondata originarietà delle cose, e alla natura per
così dire superficiale della conoscenza e del pensiero. Quelli sono
resti refrattari ad ogni ulteriore analisi; nè già per difetto del nostro
istrumento, ma per la necessaria natura stessa del conoscere, chè altrimenti la
realtà dovrebbe cessare di esistere come distinta dal pensiero. La
analisi à necessariamente de’ limiti, i quali non anno però bisogno
d’esser limiti della conoscenza nel modo in cui falsamente per lo più
vengono intesi, quasi indizi di limitatezza di contro a una sia pur solo
logicamente possibile conoscenza superiore. Come non è incondizionatamente
applicabile al reale il principio di ragione, tanto meno lo sono altri
concetti essenzialmente relativi quali quelli di grandezza e di
scopo. Se l’universo è infinito, non à evidentemente per ciò stesso
determinazione alcuna quantitativa; se finito è vero però che in
relazione ad una sua parte esso à una grandezza determinata, sebbene
nell’estenzione variabile da un momento all’altro. E che possiamo quindi
dirlo più piccolo di una grandezza posta mentalmente superiore alla sua ;
che anzi possiamo anche considerarlo infinitamente piccolo in relazione
all’infinito assoluto dello spazio ideale. Ma in sè non si potrebbe dirlo
propriamente nè grande nè piccolo, perchè fuori di esso non vi è nulla
che possa darci una unità di misura. E del pari è affatto relativo il
concetto di durata e inapplicabile perciò in modo incondizionato
all’essere. Questo non dura nè tanto nè poco; e la ragione di ciò è che
esso non è nel tempo. Considerando però la serie dei cangiamenti, al
contrario di quanto ci accade per lo spazio, lo schema ideale del tempo
riceve necessariamente un contenuto reale perfettamente corrispondente. E
sciogliendo la difficoltà che più che tale a molti filosofi è parsa
sinora una stridente contraddizione, abbiamo visto che come per mezzo del
tempo si fa possibile il cangia¬ mento, il quale altrimenti sarebbe
contraddittorio, cosi per il cangiamento trova una necessaria
applicazione alla realtà oggettiva l’infinito assoluto o trans-finito. Mario
Novaro. Novaro. Keywords: implicatura ligure, ‘la riviera ligure’, Grice
echoing Kant, echo, implicature ecoica, Strawson’s ditto-theory of truth,
Strawson’s echoic theory of truth, Skinner on echo – ecoico, eco, implicature
ecoica, infinito, Lucrezio – Luigi Speranza, “Grice e Novaro” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Riviera Ligure.
Grice e Novato – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Lucio Anneo Novato was Seneca’s brother. He was adopted by Lucio
Giunio Gallio. Seneca dedicates two of his philosophical dialogues to him.
Seneca’s exhortations suggest that if Novato was not a follower of the Porch,
he was a the very least a sympathiser.
Grice e Numa – Roma – la logica del regno
-- filosofia italiana. Numa
– The second king of Rome. A book was discovered. It wasn’t written by Numa,
but the Romans said it was. It was very philosophical. The Roman senate ordered
that it should be burned. It was! But most Italians can recite by heart all the
indiscriminate teachings it contained. The big polemic came from Cicero. He
didn’t want Roman philosophy to have a start other than in Rome, so he denied
the school of Crotone and much more any Etrurian influence via Numa. Still… Numa Pompilio Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera.Pompilio Numa Pompilio dal Promptuarii Iconum Insigniorum di Guillaume
Rouillé 2º Re di Roma PredecessoreRomolo SuccessoreTullo Ostilio NascitaCures DinastiaRe
latino-sabini ConiugeTazia Figli Pompilia Numa Pompilio, Cures Sabini, -- è
stato il secondo re di Roma, e il suo regno durò 42 anni. Numa Pompilio, di
origine sabina, per la tradizione e la mitologia romana, tramandataci grazie
soprattutto a Tito Livio e a Plutarco, che ne scrive anche una biografia, era
noto per la sua pietà religiosa e regna
dal 715 a.C. fino alla sua morte, ottantenne, dopo quarantatré anni di regno, succedendo,
come re di Roma, a Romolo. Numa e un re pio, e in tutto il suo regno non
combatté nemmeno una guerra. L'incoronazione di Numa non avvenne immediatamente
dopo la scomparsa di Romolo. Per un certo periodo, i senatori governarono Roma a
rotazione, alternandosi ogni dieci giorni, in un tentativo di sostituire la
monarchia con una oligarchia. Però, incalzati dal sempre maggiore malcontento
popolare causato dalla disorganizzazione e scarsa efficienza di questa modalità
di governo, dopo un anno, i senatori furono costretti ad eleggere un nuovo re. La
scelta apparve subito difficile a causa delle tensioni fra i senatori romani
che proponevano il senatore Proculo ed i senatori sabini che proponevano il
senatore Velesio. Per trovare un accordo si decise che i senatori romani
avrebbero proposto un nome scelto fra i Sabini e lo stesso avrebbero fatto i
senatori sabini scegliendo un romano. I Romani proposero Numa Pompilio,
appartenente alla Gens Pompilia, che abita nella a Cures ed era sposato con
Tazia, figlia di Tito Tazio. Sembra che Numa fosse nato nello stesso giorno in
cui Romolo fondò Roma (21 aprile). Numa, concittadino di Tazio, e noto a Roma
come uomo di provata rettitudine oltreché esperto conoscitore di leggi divine,
tanto da meritare l'appellativo di ‘pio.’
I Sabini accettarono la proposta rinunciando a proporre un altro nome. Furono
dunque inviati a Cures Proculo e Velesio, i due senatori più influenti
rispettivamente fra i Romani ed i Sabini, per offrirgli il regno. Inizialmente
contrario ad accettare la proposta dei senatori, per la fama violenta dei
costumi di Roma, Numa vi acconsente solo dopo aver preso gl’auspici degli dei,
che gli si dimostrarono favorevoli. Numa fu quindi eletto re per acclamazione
da parte del popolo. La leggenda afferma che il progetto di riforma politica e
religiosa di Roma attuato da Numa fu a lui dettato dalla ninfa Egeria con la quale,
ormai vedovo, soleva passeggiare nei boschi e che si innamorò di lui al punto
da renderlo suo sposo. A Numa viene attribuito il merito di aver creato una
serie di riforme tese a consolidare le istituzioni di Roma, prime tra tutti e
quelle religiose, raccolte per iscritto nei commentarii Numae o libri Numae,
che andarono perduti nel sacco gallico di Roma. Sulla base di queste norme di
carattere religioso, i culti cittadini erano amministrati da otto ordini
religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i
Feziali e i Pontefici. Numa stabilì di unificare ed armonizzare tutti i culti e
le tradizioni dei Romani per eliminare le divisioni e le tensioni, riducendo
l'importanza delle tribù e creando nuove associazioni basate sui mestieri. Appena
divenuto re nomina, a fianco del sacerdote dedito al culto di Giove ed a quello
dedicato al culto di Marte, un terzo sacerdote dedicato al culto del dio
Quirino, gli dei più importanti dell'epoca arcaica. Riunì poi questi tre
sacerdoti in un unico collegio sacerdotale che fu detto dei flamini, a cui
diede precise regole ed istruzioni. Numa proibe ai Romani di venerare immagini
divine a forma umana e animale perché riteneva sacrilego paragonare un dio con
tali immagini. Durante il regno di Numa non furono costruite statue
raffiguranti gli dei. Istituì il collegio sacerdotale dei Pontefici, presieduti
dal Pontefice Massimo, carica che Numa ricoprì per primo e che aveva il compito
di vigilare sulle vestal, sulla moralità pubblica e privata e sull'applicazione
di tutte le prescrizioni di carattere sacro. Istituì poi il collegio delle
vergini Vestali assegnando a queste uno stipendio e la cura del tempio in cui
era custodito il fuoco sacro della città. Le prime furono Gegania, Verenia,
Canuleia e Tarpeia. Anco Marzio ne aggiunse altre due. Istituì anche il
collegio dei Feziali, i guardiani della pace, che erano magistrati-sacerdoti
con il compito di tentare di appianare i conflitti e di proporre la guerra una
volta esauriti tutti gli sforzi diplomatici. Nell'ottavo anno del suo regno
istituì il collegio dei salii, sacerdoti che avevano il compito di separare il
tempo di pace e di guerra -- per i romani il periodo per le guerre anda da
marzo ad ottobre. Era, questa funzione, molto importante per gli abitanti di Roma,
perché sanciva, nel corso dell'anno, il passaggio dallo stato di cives -- cittadini
soggetti all'amministrazione civile e dediti alle attività produttive -- a
milites -- militari soggetti alle leggi ed all'amministrazione militare e
dediti alle esercitazioni militari -- e viceversa per tutti gli uomini in grado
di combattere. Numa migliora anche le condizioni di vita degli schiavi, per
esempio permettendo loro di partecipare alle feste in onore di Saturno, i
Saturnalia assieme ai loro padroni. La tradizione romana rimanda a Numa
Pompilio la definizione dei confini tra le proprietà dei privati, e tra queste
e la proprietà pubblica indivisa, statuizione che fu sacralizzata con la dedica
dei confini a Jupiter Terminalis, e l'istituzione della festività dei
Terminalia. Nel Foro, fa costruire il tempio di Vesta, e dietro di questo fece
costruire la Regia e lungo la Via Sacra fece edificare il Tempio di Giano, le
cui porte potevano essere chiuse solo in tempo di pace -- e rimasero chiuse per
tutti i quarantatré anni del suo regno -- Secondo Marco Verrio Flacco,
riportato da Sesto Pompeo Festo, il re Numa, ordinando la costruzione del
tempio di Vesta, volle che fosse di forma rotonda (ad pilæ similitudinem), cioè
della stessa forma del mondo, in quanto Numa e un convinto sostenitore della
sfericità della terra, tesi dunque evidentemente già in voga in quei lontani
tempi. Secondo Dionigi di Alicarnasso, il re Numa poi incluse a Roma il
Quirinale, anche se questo a quell'epoca non era ancora cinto da mura. A Numa e
ascritta anche una riforma del calendario, basato sui cicli lunari, che passò
da 10 a 12 mesi di 355 giorni -- secondo Livio invece lo divise in 10 mesi,
mentre in precedenza non esisteva alcun calcolo -- con l'aggiunta di gennaio,
dedicato a Giano, e febbraio che furono posti alla fine dell'anno, dopo
dicembre. L'anno iniziava con il mese di marzo. Da notare la persistenza dei
nomi degli ultimi mesi dell'anno con i numeri: settembre, ottobre, novembre,
dicembre. Il calendario conteneva anche l'indicazione dei giorni fasti e ne-fasti,
durante i quali non era lecito prendere alcuna decisione pubblica. Anche in
questo caso, come per tutte le riforme più difficili, la tradizione racconta
che il re Numa segue i consigli della ninfa Egeria, sottolineando così il
carattere sacrale di queste decisioni. Atque omnium primum ad cursus lunae in
duodecim menses discribit annum; quem quia tricenos dies singulis mensibus luna
non explet, desuntque sex dies solido anno qui solstitiali circumagitur orbe,
intercalariis mensibus interponendis ita dispensavit, ut vicesimo anno ad metam
eandem solis unde orsi essent, plenis omnium annorum spatiis, dies congruerent.
Idem nefastos dies fastosque fecit, quia aliquando nihil cum populo agi utile
futurum erat. Anzitutto divise l'anno in dodici mesi secondo il corso della
luna, ma poiché i mesi lunari non arrivano a trenta giorni, e complessivamente
mancano alcuni giorni per fare l'anno intero, che corrisponde al giro del sole,
inserì nel calendario dei mesi intercalari, ordinandoli in modo che ogni venti
anni i giorni concordavano, tornando allo stesso punto dell'orbita solare donde
era partito il ciclo ventennale del calendario. Egli fissò pure i giorni fasti
e nefasti, ritenendo cosa utile che in qualche giorno non si potessero
discutere le questioni politiche davanti al popolo. (Tito Livio, Ab Urbe
condita libri, I, 19) L'anno così suddiviso da Numa, non coincideva però
con il ciclo lunare, per cui ad anni alterni veniva aggiunto come ultimo mese
il mercedonio, composto da 27 giorni, togliendo a febbraio 4 o 5 giorni; era il
collegio dei pontefici a decidere queste compensazioni, alle volte anche sulla
base di convenienze politiche. Floro racconta che Numa insegna i sacrifici, le
cerimonie ed il culto del sacro ai Romani. Crea anche i pontefici, gli auguri
ed i salii. La tradizione vuole che Numa abbia istituito, tra l'altro, anche la
festa di Quirino e la festa di Marte. La festa di Quirino si celebra a febbraio.
La festa dedicata a Marte si celebra a marzo, e venne officiata dai salii. Numa
partecipa di persona a tutte le feste religiose, durante le quali e proibito
lavorare. A queste riforme di carattere religioso corrispose anche un
periodo di prosperità e di pace che permitte a Roma di crescere e rafforzarsi,
tanto che durante tutto il regno di Numa le porte del tempio di Giano non
furono mai aperte. Numa muore ottantenne e non di morte improvvisa, ma consunto
dagl’anni (per malattia secondo Livio), quando suo nipote, il futuro re Anco
Marzio, ha solo cinque anni, circondato dall'affetto dei romani, grati anche
per il lungo periodo di prosperità e pace di cui avevano goduto. Alla
processione funebre parteciparono anche molti rappresentanti dei popoli vicini
ed il suo corpo non fu bruciato, ma seppellito insieme ai suoi libri in un
mausoleo sul Gianicolo. Dopo la bellicosa esperienza del regno di Romolo, Numa
Pompilio seppe con la sua saggezza fornire un saldo equilibrio alla nascente
città. Durante il consolato di Marco Bebio Tamfilo e Publio Cornelio
Cetego, due contadini ritrovarono il luogo della sua sepoltura, contenente
sette libri in latino di diritto pontificale, ed altrettanti di filosofia. Per
decreto del senato, i primi furono conservati con cura. I secondi furono
pubblicamente bruciati. Il senatore sabino Marcio, che aveva sposato la figlia
Pompilia, si candida alla successione ma fu superato da Tullo Ostilio e si
lascia morire di fame per la delusione. Dal matrimonio fra Pompilia e Marcio e
nato Anco Marzio che diverrà re dopo Tullo Ostilio. Alcune fonti raccontano di
un secondo matrimonio di Numa Pompilio con una certa Lucrezia da cui sarebbero
nati quattro figli: Pompone, Pino, Calpo e Memerco dai quali avrebbero avuto
origine le casate romane dei Pomponi, dei Pinari, dei Calpurni e dei Marci. L’esistenza
di Numa Pompilio, come accade per quella di Romolo, è discussa. Per alcuni
studiosi la sua figura sarebbe principalmente simbolica; un re per metà
filosofo e per metà santo, teso a creare le norme e il comportamento religioso
di Roma, avverso alla guerra e ai disordini, diametralmente opposto al suo
predecessore, il re guerriero Romolo. L'origine stessa del nome (secondo alcuni
Numa viene da Nómos = "legge" e Pompilio da pompé = "abito
sacerdotale") indicherebbe l'idealizzazione della sua figura. Floro,
Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 2.1. Eutropio,
Breviarium ab Urbe condita, I, 3. Strabone, Geografia, V, 3,2. ^
Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 4. ^ Floro, Epitoma de Tito Livio
bellorum omnium annorum DCC, I, 3.1. ^ Plutarco, Vita di Numa II, 6-7 ^ Dionigi
di Alicarnasso, Antichità romane, I 57.1 ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità
romane, II, 57, 1-4. ^ Plutarco, Vita di Numa, III, 1. Floro, Epitoma de
Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 2.2. ^ Plutarco: vita di Numa; III,
3 ^ Plutarco: vita di Numa; V, 1 ^ Plutarco: vita di Numa; V, 2-5 ^ Plutarco:
vita di Numa; VII, 1 ^ T. Livio: Ab Urbe condita; I, 19: Qui cum descendere ad
animos sine aliquo commento miraculi non posset, simulat sibi cum dea Egeria
congressus nocturnos esse; eius se monitu quae acceptissima dis essent sacra
instituere, sacerdotes suos cuique deorum praeficere. ^ Plutarco, Vita di Numa;
IV, 2-3 ^ Plutarco, Vita di Numa, I, 1 ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità
romane, II, 63-73. ^ Plutarco, Vita di Numa; XVII, 3. ^ Plutarco, Vita di Numa;
VII, 4-5 ^ Plutarco, Vita di Numa, VIII, 7 ^ Plutarco, Vita di Numa, IX, 1-4. ^
Plutarco, Vita di Numa, VII, 4. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II,
64, 5. ^ Plutarco, Vita di Numa, IX, 5 Floro, Epitoma de Tito Livio
bellorum omnium annorum DCC, I, 2.3. ^ Plutarco, Vita di Numa; X, 1-7 ^
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romano, Milano, Rizzoli, 1992, ISBN 88-17-11903-2. Voci correlate Gens Pompilia
Gentes originarie Età regia di Roma Rex (storia romana) Lex regia Flamini Salii
Pontefice (storia romana) Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
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esterni Numa Pompìlio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Gaetano De Sanctis., NUMA
POMPILIO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1935.
Modifica su Wikidata Numa Pompilio, in Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Numa Pompìlio, su
sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Numa Pompilius, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
(EN) Numa Pompilio, su Goodreads. Modifica su Wikidata PredecessoreRe di
RomaSuccessore Romolo715
a.C. - 673 a.C.Tullo Ostilio V · D · M Storia romana V · D · M Plutarco
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495/84617 · CERL cnp00570799 · LCCN (EN) n85202845 · GND (DE) 122673093 · BNE
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viaf-901509 Portale Antica Roma Portale Biografie
Portale Mitologia Categorie: Sovrani dell'VIII secolo a.C.Sovrani del VII
secolo a.C.Romani del VII secolo a.C.Nati nel 754 a.C.Morti nel 673 a.C.Nati a
Cures SabiniPersonaggi della mitologia romanaRe di RomaOracoli classici[altre]
Cassius Hemina, vetustus auctor annalium, in quarto libro tradit Cneum
Terentium scribam in Ianiculo effodisse arcam, in qua Numa, qui Romae
regnaverat, sepultus erat. Addit etiam in arca repertos esse libros a rege Numa
scriptos quingentis et triginta annis ante. Fuisse e charta Numae libros Cassius
etiam scribit, refertos multis rebus obscuris. Cassius etiam tradit libros in
arca integros repertos esse magno cum stupore omnium et a scriba senatui
portatos esse. Quoniam omnes notabant libros, in terra infossos, permansisse
integros, Cassius Hemina ipse suam rationem praebebat: dicebat enim eos libros
in arca sub lapide quadrato positos esse et propter hoc integros mansisse;
praeterea, quod libri citrati fuerant magna cum cura, tineae illos non
tetigerant. Tamen, lectis libris, multa scripta inventa sunt de Pythagorica
philosophia et propter hoc a praetore ussi sunt. Hoc idem tradit Piso quoque in
libro primo commentariorum suorum, sed libros septem (="sette") iuris
pontificii, totidem Pythagoricos fuisse narrat. Valerius Antias autem in opera
sua etiam senatus consultum tradit quo eos uri iussum est. Cassio Emina, antico
autore di annali, nel quarto libro tramanda che lo scrivano Gneo Terenzio
avesse disseppellito nel Gianicolo il sarcofago, nel quale Numa, che aveva
regnato a Roma, era stato sepolto.
Aggiunge inoltre che nel sarcofago erano stati trovati i libri scritti
dal re Numa cinquecentotrenta anni prima.
Cassio scrive anche che i libri di Numa erano di carta, pieni di molte
cose misteriose. Cassio tramanda anche
che i libri nel sarcofago fossero stati trovati integri con grande stupore di
tutti e che fossero stati portati dallo scrivano al senato. Poiché tutti notavano che i libri, sepolti
sotto terra, erano rimasti integri, Cassio Emina stesso fornisce la sua
spiegazione. Dice, in effetti, che
questi libri erano stati posti nel sarcofago sotto una pietra quadrata e per
questo erano rimasti integri. Inoltre,
poiché i libri erano stati cosparsi con grande cura di olio di cedro, i tarli
non li avevano toccati. Tuttavia, letti
i libri, furono trovati molti scritti sulla filosofia pitagorica e per questo
furono bruciati dal pretore. Questa
stessa notizia la tramanda anche Pisone nel primo libro dei suoi commentari ma
narra che i sette libri del diritto pontificio fossero stati altrettanto pitagorici. Valerio di Anzio inoltre nella sua opera
tramanda anche la consultazione del senato nella quale fu ordinato che essi
fossero bruciati. The “original Romans” were the ones who did the choosing
part. They didn’t select anyone from the Sabine senators but found a man in the
Sabine city of Cures, the birthplace of the former king Titus Tatius, famous
for his justice, wisdom, and piety. His name was Numa Pompilius. The people,
happy with this choice, accepted their new king quickly. Only one small problem
now occurred – the man who was chosen to rule after so much effort and such a
lengthy and difficult process was not really keen on reigning at all. When a
delegation from Rome approached him, he humbly refused. It required much much
persuasion from his father and brothers with arguments about honour too great
to refuse, but in the end, Numa finally agreed and became the king of Rome.
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