Bellavitis fu matematico e professore di geometria all'Università di Padova e autore di un progetto teorico di lingua filosofica internazionale ad uso sia scritto che parlato.'"
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Giusto Bellavitis nacque a Bassano del Grappa nel 1803 e morì a Padova nel 1880. Nel 1845 ricevette la laurea |
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honoris causa in matematica all'Università di Padova. Fu socio dell'Accademia dei Lincei a partire dal 1879. |
In una lettera del 13 luglio 1862 all'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti intitolata Pensieri sopra una lingua universale e su alcuni argomenti analoghi, egli immagina un nuovo sistema di comunicazione universale caratterizzato da uno scarno sistema di derivazione applicato ad un numero limitato di radici lessicali, «una larga varietà di costruzione, un sistema di desinenze per gli aggettivi che ne determinino il grado, una grande diversificazione delle voci verbali per esprimere tempi, modi, intenzioni: indicativo, condizionale, potenziale, dubitativo, interrogativo. E ancora, il Bellavitis suggerisce un sistema di composizione delle parole da radici diverse, e propone un adattamento a numeri e a segni»!
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Dall'articolo di Carlo Minnaja, «L'Ideologia Della Lingua Internazionale Di Fine '800» consultato al link |
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https://disvastigo.esperanto.it/index.php/it/approfondimenti-lista-di-singola-categoria/293-a130-lideologia- |
della-lingua-internazionale-di-fine-800 in data 25/05/2020. |
Considera altresì improponibile adottare come lingua ausiliaria una lingua storico naturale, sia essa il latino (di certo ampiamente conosciuta tra i dotti, ma incapace di esprimere agevolmente le nuove teorie scientifiche, nonché di essere compresa da tutto il resto della popolazione) o il francese (per un semplice discorso di campanilismo nazionale).Partendo dal presupposto che quando l'uomo ragiona sulle cose sta ragionando attraverso le parole che a queste sono associate, e che altrimenti la riflessione non sarebbe possibile, Bellavitis deduce che un linguaggio semplice, rigoroso e perfetto condurrebbe a delle idee dalle medesime caratteristiche e, viceversa, un linguaggio ambiguo e impreciso sarebbe sintomo di idee e ragionamenti altrettanto confusi. Padroneggiare una lingua esatta significa quindi pensare in maniera esatta e ciò è ben visibile nelle differenze di comunicazione tra matematici e filosofi:è tutta basata sugli oggetti fisici, e soltanto mediante traslati giunge ad esprimere imperfettissimamente quelle idee astratte, quegli enti
d'immaginazione."3
La necessità di inventare una lingua precisa, che descrive esattamente la natura e la realtà, risponde alla concomitante necessità di progresso scientifico e tecnologico della metà Ottocento e si configura allo stesso tempo come mezzo di pacificazione tra i popoli.
Gli aspetti che Bellavitis esamina sono, in ordine, l'etimologia, la grammatica e ortografia, la pronuncia e la scrittura. Si leggano di seguito alcuni aspetti rilevanti.
I matematici s'intendono facilmente tra loro, e ben di rado hanno opinioni differenti; per lo contrario i filosofi difficilmente s'intendono I...); forse è precipua ragione il linguaggio preciso e chiaro di cui si servono i primi, mentre i secondi sono costretti a servirsi di una lingua che creata dal popoloEtimologia
La lingua filosofica perfetta deve innanzitutto presentare delle parole composte da radici brevi, il cui significato sia uno e preciso. Queste radici, che «avrebbero non poche rassomiglianze colle lingue viventi», conviene che siano composte sia da consonanti (il cui numero può idealmente variare da due a cinque) che da vocali, su cui non è dato sapere ulteriori specificazioni."* Bellavitis sostiene poi che i cambiamenti nelle parole siano di tre tipologie, che egli chiama derivazione (quando da una parola si passa ad un'altra di significato simile o traslato), modificazione (quando una parte del discorso si trasforma in un'altra) e variazione (quando si modifica la desinenza della parola). Attorno a ciascun radicale si diramano tutti quei radicali che ad esso sono affini secondo il significato (e quindi il significante), ottenuti mediante processi di affissazione, in particolare di prefissazione. Sulla questione se siano da derivare i nomi dai verbi, o viceversa i verbi dai nomi, o ancora gli aggettivi dai nomi, e così via, Bellavitis non si espone, sostenendo che «Le parole formate dalle voci radicali e dalle particelle prepositive sarebbero o nomi o verbi, od aggiunti, secondo che l'una o l'altra idea è quella che prima naturalmente si presenta», di fatto scaricando ai posteri l'arduo compito di decidere radicali fondamentali» attorno ai quali far poi derivare prefissazione. Sulla questione se siano da derivare i nomi dai verbi, o viceversa i verbi dai nomi, o ancora gli aggettivi dai nomi, e così via, Bellavitis non si espone, sostenendo che «Le parole formate dalle voci radicali e dalle particelle prepositive sarebbero o nomi o verbi, od aggiunti, secondo che l'una o l'altra idea è quella che prima naturalmente si presenta», di fatto scaricando ai posteri l'arduo compito di decidere i "radicali fondamentali" attorno ai quali far poi derivare tutti gli altri"s La derivazione comunque si avrebbe in primis tramite apposite desinenze (cfr. l'italiano legno - legnoso) e, in alcuni casi particolari, tramite modificazione delle consonanti o delle vocali radicali, purché questo non infici la riconoscibilità della "famiglia" di appartenenza (cfr. l'italiano amare - amore). Sono necessarie peraltro le parole composte, purché siano ben
113 GIUSTO BELLAVITIS, Pensieri sopra una lingua universale e su alcuni argomenti analoghi, Venezia, Segreteria dell'I. R.
Istituto, 1863, p. 2.riconoscibili i confini delle stesse (del tipo it. pianoforte < piano + forte, e non le parole amalgama come l'ing. smog < smoke + fog). Questi aspetti rendono la lingua del Bellavitis a basso indice di fusione, perché i confini tra morfemi devono essere ben riconoscibili, e di sintesi, poiché essa
presenta al massimo un prefisso e un suffisso.Grammatica
Vista l'evidente difformità delle congiunzioni - tra cui Bellavitis annovera anche le preposizioni
- tra le varie lingue, queste non possono che essere create ex novo e secondo il genio della commissione di studiosi che si cimenterà nella loro creazione: basti sapere che esse debbono essere semplici, ma in numero tale da permettere ai parlanti di esprimersi in maniera chiara e univoca. Le congiunzioni inoltre possono essere utili nel momento in cui la posizione di soggetto
- verbo - oggetto all'interno della frase crei dei possibili fraintendimenti: qualora non fosse ben riconoscibile, ad esempio, a quale verbo si leghi un accusativo o un nominativo, è possibile inserire tra i due delle particelle congiuntive, di modo da fugare ogni dubbio; ma questo procedimento non è necessario nel caso in cui non vi sia possibilità di inganno."Il dubbio comunque sorge spontaneo: in una lingua che si prefigge la massima precisione e l'immediata riconoscibilità dei suoi elementi, perché inserire variabili dettate dal contesto? La risposta che ciò risponda alla necessità di rendere più fluida la comunicazione e la conversazione sembra non reggere bene alle accuse, o meglio sembra avvicinarla, più di quanto questa non voglia ammettere, alle fattezze di una lingua naturale, cioè proprio a
ciò dal quale dovrebbe maggiormente discostarsi. Sono presenti quattro casi (nominativo, accusativo, genitivo e dativo), di cui tutti, escluso il primo, identificati tramite apposite desinenze.Gli articoli, gli aggettivi indicativi e i pronomi formano insieme una classe a sé stante. Essi possono - non devono - essere utilizzati dallo scrivente o dal parlante: l'omissione è permessa qualora il significato del discorso sia ugualmente chiaro (ad esempio è possibile omettere l'articolo dinnanzi alla parola che significa 'luna', poiché poca differenza farebbe dire 'la luna'; ma è bene utilizzarlo nel caso di 'mangio questa mela e non quella'). I pronomi sono soggetti ai casi, di modo che sia più semplice individuare il sostantivo a cui si riferiscono.
Per avverbi l'autore intende invece delle particolari particelle da anteporre al verbo e che caratterizzino l'azione indicandone, ad esempio, il tempo, il modo e la persona. In questo modo i verbi risultano indeclinati (del tipo 'ieri ho mangiato' > io ieri mangio). L'unica indicazioneriguarda il modo potenziale (es. it. amabile) e dubitativo, ottenuti tramite ulteriori desinenze. I
verbi conoscono sempre e solo la diatesi attiva.
Sotto il nome di aggiunti Bellavitis riconosce gli aggettivi e gli avverbi, cioè quelle parti del discorso che caratterizzano le cose o le azioni. Posti preferibilmente a seguito di ciò che specificano, possono eventualmente presentare desinenze che ad essi li leghino. Per quanto riguarda gli aggettivi di maggioranza, è sufficiente preporre loro 'molto' e così anche per tutti gli altri.I proverbi adempiono per i verbi alla stessa funzione alla quale adempiono i pronomi per i nomi.
Le interiezioni (o interposti) esprimono proposizioni intere e la nuova lingua filosofica deve averne in gran numero. Sono formati da molte vocali e poche consonanti.
Il genere non deve necessariamente essere espresso, ma può essere indicato, qualora si voglia, mediante apposite parole indicanti il femminile e il maschile o, nel caso dei sostantivi, tramite l'attribuzione del genere agli articoli che li precedono (es. 'leone femmina' o 'la leone'). Allo stesso modo si indica il numero.I valori aumentativi, diminutivi, vezzeggiativi sono aggiunti ai sostantivi tramite altre suffissazioni.
L'ordine sintattico non marcato è SV; nel caso contrario, cioè qualora il verbo preceda il soggetto, al soggetto in caso nominativo viene preposta una particella congiuntiva che indichi la sua relazione con il verbo che lo precede. Per il resto, l'ordine dei costituenti è libero purché rimanga intuitivo.Interessante appare il discorso intorno ai pronomi personali soggetto. Bellavitis sostiene la necessità di avere cinque pronomi distinti per la prima e la seconda persona plurale: il primo 'noi' indica un gruppo in cui sia compreso il parlante e l'interlocutore (o gli interlocutori), il secondo indica l'unione dell'io con una o più terze persone, il terzo indica la collettività in cui ciascuno concorre allo stesso modo ad un'azione; il primo 'voi' indica più persone con le quali si sta parlando, il secondo indica un gruppo composto dal 'tu' a cui si sta parlando e altri interlocutori.
Non è necessario l'uso del pronome di cortesia.Pronuncia
Sebbene il problema della pronuncia di una lingua universale sia uno dei più dibattuti, il punto fondamentale è che ad ogni grafo corrisponda uno ed un solo fonema e che non esistano lettere che non si pronunciano. L'accento è intensivo, non cambia di posizione durante i processi di affissione e derivazione e, nelle parole compose, si mantiene sempre sulla prima parola. Inoltre, il segno diacritico dell'accento può essere posto anche sopra le consonanti ad indicare la
pronuncia raddoppiata delle stesse.Scrittura
Ogni grafema deve corrispondere a un fonema distinto. Il sistema di simboli utilizzabili per la scrittura è simile a quello alfabetico italiano, in cui però sono stati opportunamente riassegnati i suoni a ciascuna lettera (per esempio nei casi ambigui di pronuncia della {s} o della {c} o dei nessi {sc}, ecc.). Anche la forma stessa delle lettere è spesso modificata, cercando di renderle quanto più omogenee tra loro (per esempio, Bellavitis suggerisce - ma senza mai fornire al lettore una soluzione definitiva dell'alfabeto della sua lingua - che le vocali potrebbero essere o co e a nu, avvicinandosi piuttosto fantasiosamente e solo nella grafia anche all'odierno sistema di scrittura fonetica internazionale)."' Non sono necessarie scritture corsive, in grassetto, in maiuscolo, ma è sufficiente un solo sistema di scrittura. Sarebbe inoltre necessario possedere tre vocabolari: il primo contenente le voci grammaticali e le loro variazioni, preposizioni comprese; il secondo contenente tutte le desinenze in ordine alfabetico; il terzo contenente tutte le voci radicali e i loro derivati, elencate secondo l'ordine alfabetico delle sole
consonanti contenute in esse.Sul finire del suo saggio, e forse anche sulla scia dei lavori precedenti, Giusto Bellavitis si preoccupa di rendere fruibile la sua lingua filosofica anche mediante l'uso del telegrafo.
Ogni lettera è indicata da tre segni telegrafici (il punto, il trattino, la linea) opportunamente combinati. I numeri invece sono indicati da due di questi segni, e in questo si distinguono dalle
lettere. 18 123456789L'autore propone di creare un dizionario di 999 frasi, ciascuna associata a un numero di tre cifre: ad esempio la frase 'ho sete' potrebbe essere associata al numero 62 del vocabolario, ed essere indicata così: «- -. -»; questa poi può essere ulteriormente speciticata apponendo altri numeri indicanti qualcosa di più preciso (come, ad esempio, il numero 12 = 'acqua', in codice telegrafico «... -»). Egli continua infine il saggio presentando altri due tipi di alfabeto, basati ugualmente sulla corrispondenza di simboli e numeri alle idee, utili al linguaggio marinaresco, al linguaggio
per 1 ciechi, ecc.Bellavitis si innesta perfettamente nel panorama della glossopoiesi interlinguistica ottocentesca, rivelando una particolare attrazione sia per le teorie filosofiche precedenti che per le teorie matematico/numeriche coeve. Il risultato comunque, forse dovuto anche al fatto che la proposta si ferma al solo piano teorico, rimane poco soddisfacente e in alcune sue parti quasi contraddittorio.
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