Gigli. Una nuova approfondita trattazione intorno alle teorie del linguaggio appare nel 1817, quando Mariano Gigli pubblicò a Milano La Metafisica del linguaggio. Scienza nuova anche ai dotti e pei soli di buon senso, nata come premessa all'elaborazione di una lingua universale. Mariano Gigli, nato a Recanati nel 1782, fu professore di geometria, algebra e scienze naturali presso numerose università italiane. .Così si legge infatti nelle prime pagine: «Mi occupavo d'un Progetto di Lingua Universale pei Dotti |...]. Mi avviddi però, che le mie teorie si appoggiavano a dei Principj di Lingua poco o nulla generalmente conosciuti, perché nessuno ebbe mai la sofferenza di meditarli. Quindi lasciato il primo, mi occupai di questo secondo Lavoro: E così ebbe origine la presente Metafisica del Linguaggio»MARIANO GIGLI, La Metafisica del Linguaggio. Scienza nuova anche ai dotti e pei soli di buon senso, Milano, presso Francesco Fusi, 1817, pp. 5-6.. Immaginato come prodromo di un'opera sulla lingua universale, Gigli discerne e determina tutte le parti del discorso, e ne giustifica la natura in ottica filosofica. Sul finire di questa prima opera accenna alla Lingua pei Dotti e cosi la definisce:Lingua Universale pei Dotti chiamo una Lingua, che può colla massima facilità essere scritta parlata ed intesa da tutte le Persone Colte di qualunque Clima e Nazione; una Lingua, che può sola bastare al disimpegno di tutte le Relazioni scientifiche politiche commerciali ec. con qualunque civilizata Contrada del Globo; una Lingua infine, in cui dovrebbe scriversi e tradursi quanto può essenzialmente interessare l'intera Umanità o più Popoli almeno.68Gigli sceglie di utilizzare per la sua lingua universale «i Caratteri, la Pronunzia e le Radici delle Parole» francesi, cioè della lingua più conosciuta tra gli eruditi dell'epoca, riservandosi comunque la possibilità di modificarne alcune parti. Nel discorso preliminare alla seconda sua opera, Lingua filosofico-universale pei dotti preceduta dalla analisi del linguaggio, pubblicata a Milano nel 1818, Gigli precisa che nel suo pensiero "parole" sono quei segni che rappresentano le idee e cheil suo scritto e le sue riflessioni sono da applicarsi alle idee e che solo per comodità e facilità di spiegazione/apprendimento alle volte è stato associato un carattere, un segno alle idee stesse. Sono piuttosto evidenti i richiami a Beauzée e alla Grammaire di Port-Royal, da cui soprattutto riprende le riflessioni che sono alla base della sua ideologia: le Lingue usate |...) ànno tutte un fondo comune; vale a dire ànno comune ciò che forma l'assoluta essenza del linguaggio, considerato come semplice effetto naturale. Diverse Convenzioni possono sulla superficie del Globo esprimere le stesse Idee con suoni diversi e con diverso ordine dispositivo (...) Ma le mere stesse Idee su qualunque punto del Tempo e del Globo avranno sempre la stessa naturale espressione. BICE GARAVELLI MORTARA, «L'Analisi del linguaggio di M. Gigli», in Teoria e storia degli studi linguistici. Atti del settimo convegno internazionale di studi, a cura di Ugo Vignuzzi, Giulianella Ruggiero, Raffaele Simone, Roma, Bulzoni, 1975, p. 251. Nicolas Beauzée redasse, assieme a César Chesneau du Marais, le voci linguistiche dell'Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (1751-1772), opera che si configura come «tentativo di sintesi tra l'orientamento logicizzante della classica grammatica generale francese e quello empiristico derivato da Locke attraverso Condillac» [RAFFELE SIMONE, op. cit., p. 381]. La Grammaire générale et raisonnée contenant les fondemens de l'art de parler, expliqués d'une manière claire et naturelle di Antoine Arnauld e Claude Lancelot, assieme alla Logique - opera di approfondimento e supporto argomentativo - pubblicata qualche anno più tardi, costituisce forse l'opera più importante nel panorama seicentesco sulle trattazioni linguistiche e sul ragionamento filosofico intorno al problema della lingua. Punto cardine del pensiero di Port-Royal è l'esistenza di una grammatica generale che tenta «di identificare i caratteri propri di tutte le lingue, trascurando quelli specifici di ciascuna» |Ivi, p. 333] e che deve essere anche ragionata «non solo perché dedotta razionalmente da taluni principi filosofici fondamentali, ma anche perché mirante a riconoscere il modo in cui la ragione si riflette nel linguaggio e quelli per cui, viceversa, il linguaggio se ne distacca» [Ibidem].70La lingua universale si configura come una lingua filosofica a cui viene donata una forma concreta solo per facilitarne l'esposizione e che, a differenza di altre lingue universali, non accetta le consuete partizioni delle grammatiche, ma preferisce sostituirvi una «terminologia logicizzante che solo occasionalmente utilizza il protocollo della grammatica empirica»." Eccone i punti fondamentali.Le seguenti informazioni e immagini sono tratte da MARIANO GIGLI, Lingua filosofico-universale pei dotti preceduta dalla analisi del linguaggio, Milano, Società Tipografica de' Classici Italiani, 1818, pp. 209-272.suoni e la pronuncia I segni vocalici, così come i suoni, si distinguono in orali e gutturali («a, e, i, o, u»); a questi segni gutturali semplici può essere aggiunto un accento che indichi che la voce deve concentrarsi su di quel suono; ai quattro segni gutturali «a, e, o, u» si possono sovrapporre e sottoporre un puntino, che equivale al suono «i» e indica il dittongo; se il punto è sovrapposto, allora il dittongo è discendente («ai, ei, oi, ui»); se il punto è sottoposto il dittongo è ascendente («ia, ie, io, iu»); il suono dittongale «i» si converte nel suono «y» nel caso in cui ai dittonghi sia preceduto o successo un altro suono gutturale (trittongo); il mutamento deve avvenire esclusivamente nella pronuncia.Per quanto riguarda i suoni vocalici, la lingua immaginata da Gigli è perciò composta di diciotto segni, di cui dieci semplici (cinque brevi - senza accento - e cinque lunghi - con accento -) e otto composti, tutti lunghi. I segni consonantici si dividono in sei istantanei («b, p, d, t, x, g») e undici prolungabili («m, n, f, 1, I, s, V, z, j, c, y»); «b, p, d, t» e «m, n, f, 1, I, s, V, z» si pronunciano come in francese, i restanti al modo seguente: «x» [k], «g» [gl, «j» [3], «с» |Л, «y» [i]; i segni consonantici fin qui esposti possono divenire forzati qualora la loro pronuncia venga raddoppiata e il loro segno duplicato (es. «ll, bb, ri, ri» ecc.);9. vi sono poi dei segni composti, ovvero: lo], 门]; 10. è presente anche il carattere «h» che però non corrisponde a nessun suono. I suoni consonantici sono allora venti, di cui diciassette semplici e tre composti. Per Nominarli è sufficiente aggiungere a ciascuno la vocale (o segno gutturale) [e] di modo da avere «b» [be], «p» [pe], «d» [de], ecc.caratteri I caratteri sono del tutto simili a quelli del francese corsivo, salvo le modificazioni sopra riportate. Le lettere maiuscole Le lettere maiuscole sono identiche alle minuscole nella forma, ma maggiori nella dimensione (come in «Loma»). Si usano solo all'inizio di frase o quando si esprimono Oggetti determinati - come i nomi propri - o qualche loro Derivazione (es. Toma - Lomano).Le sillabe e gli accenti Le sillabe sono tutte aperte, cioè terminano necessariamente con suoni gutturali (vocali), ad eccezione delle ultime che possono terminare con suoni consonantici. Le parole sono tronche nel caso in cui terminino con un suono vocalico lungo, altrimenti sono piane; quindi non vi può essere accento principale su sillaba che non termini in vocale. I numeri I numeri da O a 9 si indicano con «ze, na, vu, tre, fe, fi, xe, la, to, no». Per numeri superiori al nove è sufficiente giustapporre in modo sequenziale i singoli numeri (es. 19 = 1+9 = «na» + «no» = «nano»). Per i numeri che come in italiano richiedono l'uso del 'cento' e 'mille' si usino le parole «navuze» (lett. 'uno-due-zero' > 1-00 > 100) e «natreze» ('uno-tre-zero' > 1-000 > 1000) unite agli altri numeri (es. 1234 > «natreze vu navuze trefe»).Il numero Si usano i simboli « Z » - che per comodità trascriveremo con «I» - per esprimere singole quantità e « U» - qui trascritto «U» - per esprimere pluralità (es. 'il padre' « & pero», i padri « U pero»). In questo modo i nomi e i pronomi possono godere della caratteristica dell'invariabilità, che concorre sicuramente alla semplificazione del linguaggio. Il simbolo che esprime il numero è da omettere se ciò che si vuole esprimere è per sua natura singolo o molteplice.Il genere Per gli oggetti neutri non v'è bisogno di alcun segno e per neutri si intendono tutti quegli oggetti o concetti che naturalmente mancano del genere. Per i referenti che hanno un genere è necessario che vengano preceduti dal loro Nome generico, cioè il nome che qualifica tutti gli appartenenti a una stessa specie. Negli elementi della lingua che esprimono sesso maschile è sufficiente indicare il Nome Generico, che quindi esprime ugualmente l'Oggetto in genere o l'Oggetto maschile in particolare («omno» significherà 'uomo' tanto nel genere - essere umano generale - quanto nel suo essere maschile in particolare).Per esprimere gli oggetti femminili viene anteposto al nome maschile la vocale «e» con puntino sovrapposto (es. «pero» 'padre', «épero» 'madre'). L'opposizione Per esprimere negazione e rapporti di antinomia si prepone al nome generale la vocale «a» con puntino sovrapposto (es. «ba» 'sono', «¿ba» 'non sono'). I pronomi I pronomi personali sono: «ml» 'io'; «tI» 'tu'; - «l»'egli o esso' maschile, «ell» 'ella o esa' femminile, «oll»' egli o esso' neutro; «mU» 'noi'; «tU» 'voi'; «IU» 'essi' maschile, «élU» 'esse' femminile, «olU» 'essi' neutro. Il pronome riflessivo è «so» con puntino sovrapposto, unico, e valido per l'italiano mi, ti, ci ,vi, si, me, te, noi, voi, se'. I nomi Gigli distingue le Parole Radicali (cioè le parole che esprimono oggetti, qualità o azioni o rapporti) in variabili (che variano nella desinenza) e stabili (che non ammettono derivazione). Le Parole radicali stabili (o semplicemente Radici stabili) non sono trattate da Gigli in questa sede, ma auspica che una società di scienziati si occupi del Dizionario della sua lingua, e quindi anche di queste parole, che qui tralascia di spiegare o giustificare. Le Radici variabili sono attinte dal francese con queste regole: si scrivono come si pronunciano e si pronunciano come sono scritte; non v è «h» iniziale; non v'è accento separato dalle lettere; «ç, c, t» + suono «prossimo al s»7 - forse fricative sibilanti e retroflesse - sono sostituiti da «s» [s]; dittongo oi (es. fr. roi, it. 're'") deve essere scritto «o» con punto sovrapposto e il suono deve essere eseguito di conseguenza; nesso oy (es. fr. moyen, it. 'mezzo, medio') si scrive come in francese ma si pronuncia [oj]; nessi eu, oeu, u sono sostituiti dal segno e suono «u» (u]. Le radici delle parole indeterminate finiscono con la vocale «o» (es. «ommo», fr. homme). Se la parola francese nella pronuncia termina con «Suono Gutturale lungo» - da intendersi probabilmente come 'vocale nasale' - si pone «o» dopo questo suono (es. fr. maison, it. 'casa', diviene «mesoo»). Se la parola francese termina con lo r, e che si pronunci o meno è indifferente, è da aggiungere una «o» alla fine della parola (es. fr. cheval, it. 'cavallo', diviene «cevalo») e così vale anche per tutte le altre consonanti finali che sempre si pronunciano (es. fr. lac, it. lago', diviene «laxo»). I nomi propri di paesi, uomini, ecc. non abbisognano della «o» finale, ma si pronunciano alla francese o con la pronuncia originale dei paesi da cui provengono (così che l'it. Roma possa essere pronunciato all'italiana o alla francese) e sono necessariamente scritti con l'iniziale in carattere minuscolo ma di misura più grande. I segni per designare tutte le situazioni possibili in cui sono coinvolti i nomi determinati - cioè nomi che non hanno bisogno di indicazioni di numero - sono otto, invariabili, e devono, se presenti, essere premessi al nome: «de» (es. 'il padre di Paolo' > «I pero de Pol»), «se» (es. 'chiamo te' > «chiamo se tI», con marcamento sistematico dell'oggetto diretto), «ye» (es. 'o Paolo' > «ye Pol»), «ce» (es. 'in voi' > «ce tu»), «je» (es. 'parlano di voi' > «parlano je tu»), «re» (es. 'diedi a lui' > «diedi re II»), «pe» (es. 'mandai a Paolo' > «mandai pe Pol»), «ge» (es. 'partirono da Roma' > «partitono ge Roma»). Gli aggettivi Per quanto riguarda gli aggettivi, questi nella lingua di Gigli devono necessariamente terminare in «l». Se la parola francese corrispondente termina con suono vocalico, si aggiunge semplicemente «l» (es. fr. juste, it. 'giusto', diviene «justel»); se termina per consonante (che sia pronunciata o meno è indifferente) questa viene mutata in laterale (es. fr. doux, it. 'dolce', diviene «dul»); se termina in nesso di cons + le, per metatesi si inserisce il suono vocalico «e» tra i due consonantici (es. fr. noble, it. 'nobile', diviene «nobel»); se termina in (I)I + vocale si sopprime la vocale (fr. habile > abil; fr. tranquille > tranxil); se termina già con l non vi sono variazioni. Da questi assunti consegue che la classe aggettivale della lingua di Gigli sia costituita di sole parole piane, anche laddove il corrispondente francese preveda l'accento sulla sillaba finale (es. fr. joli [30 ' li] > jolil ['iolil]). I verbi 308. Voci di Giudizio al Modo Indicativo: mi, ti, li, èle, ole —mu, te, lu, els, olu (a) presente -bal io sono, tu sei, egli é noi siamo, voi siete, ec. presente-relativo - be... io era, tu eri, ec. passato -be. .... io fui, ec., o sono-stato, ec. passato-anteriore — bo.... io era-stato, ec. futuro - bu.... io sarò, tu sarai, ec. futuro-anteriore - bur...io saro-stato, ec. 30g. Voci di Giudizio al Modo Condizionato : mi, te, li, él, ol — mu, tu, lu, élu, olu presente - bal... io sarei, tu saresti ec. passato - bil... io sarei-stata, ec. 310. Voci di Giudizio al Modo Indefinito : xe) mi, i, le els, ole — mu, tu, lu, elu, olze presente — bar.. che io sia, che tu sii, ec. presente-relativo — ber ... che io fossi, tu fussi, ec. passato — bur... che io sia-stato, ec. passato-anteriore - bor.. che io fossi-stato, ec. I modi verbali che presentano delle differenze tra le persone sono l'Indicativo, il Condizionato (it. condizionale) e l'Indefinito (it. congiuntivo). Il modo indicativo è composto dai tempi presente, presente- relativo (it. imperfetto), passato (it. passato remoto), passato-anteriore (it. trapassato prossimo), futuro, futuro- anteriore; il modo Condizionato dai tempi presente e passato; il modo Indefinito (it. congiuntivo) da presente, presente-relativo (it. cong. imperfetto), passato (it. cong. passato), passato- anteriore (it. cong. trapassato).75 Qualora non venga indicato il corrispondente tempo italiano significa che il nome e la funzione dei tempi pensati da Gigli sono identici a quelli italiani. L'unico modo composto di una sola parola - indeclinabile - è il modo Generico; tutti gli altri sono composti da due Voci, una di Giudizio (che indica cioè il tempo e il modo del verbo) e l'altra di Azione (che veicola il significato del verbo), secondo la tabella poco sopra.?6 Le diverse persone non sono marcate morfologicamente sul verbo (es. «mI ba» 'io sono' e «tI ba» 'tu sei'), motivo per cui deve essere sempre presente il pronome associato (lingua non pro-drop). Le parole esprimenti azioni devono necessariamente terminare con la vocale «a» e derivano dal participio presente francese (es. fr. écrivant, it. 'scrivente', diviene «exriva»). Se il francese manca del participio presente, la radice è attinta dalla sua forma passata dalla quale vengono eliminate le lettere che seguono la consonante radicale e quelle che seguono (es. fr. abstrait, it. 'astratto', > «abstra»). I verbi così formati esprimono sempre l'infinito presente." Vi è il caso particolare in cui l'«a» sia preceduta da «b» e, per evitare fraintendimenti - «ba» infatti è la Voce di Giudizio del presente indicativo dei verbi -, Gigli sceglie, in questi casi, di sonorizzare la consonante in «p». Così ad esempio il fr. tombant > «tompa». Per quanto riguarda la diatesi passiva, è sufficiente sostituire la «a» finale con una «e» alla Voce di Azione (per cui «mi ba ema» 'io amo' > «mi ba eme» 'io sono amato'). Avverbi Sono indicati dalla lettera «r» finale e sono per la maggior parte invariabili. Da quel che fin qui si è trattato si evince che nella lingua di Gigli le parti del discorso si riconoscono in base alla loro caratteristica o natura, giacché se terminano in «o» indicano un oggetto, in «l» una qualità, in «a» un'azione, in «r» un rapporto, e il fatto stesso che contengano queste desinenze li qualifica come Radicali. Gigli passa quindi il testimone a un'ipotetica Società Accademica di 12 scienziati che dovrà, in futuro, scremare il lessico francese di quei termini che potrebbero donare delle parole troppo complicate e creare il dizionario e la grammatica della nuova lingua per poi comunicarlo a tutte le nazioni europee. Si capisce quindi che la lingua è indirizzata solamente al Vecchio Continente. Ma la portata del lavoro di Gigli supera il mero piano della linguistica, poiché, ipotizzata la commissione di studiosi, egli ne auspica un'altra, composta dai membri di tutte le nazioni, che atta sarebbe a formulare le leggi dei vari paesi in comune accordo. Una lingua per unificare non solo i parlanti ma anche i regimi, gli stati e i popoli. Il progetto così concepito fu portato avanti dal fratello Luigi Gigli che il 15 ottobre 1861 presentò alla camera dei Deputati di Torino la lingua universale pensata da Mariano e il metodo perché questa fosse insegnata ed appresa, in primis in Italia, da tutte le genti. 78 Si è fin qui dato non altro che un assaggio della reale grammatica della lingua universale teorizzata dal Gigli, ma il trattato continua per molte altre pagine e scende quanto più nello specifico. Ella è in sostanza una lingua a posteriori su base francese - ma con evidente richiamo alle sonorità dell'italiano -, con caratteristiche tipologiche agglutinanti. Ma soprattutto ella rappresenta il secondo esempio di interlingua italiano pervenuto assieme a dei reali esempi pratici.
Monday, October 28, 2024
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