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Monday, October 28, 2024

Grice e Soave

 Soave. SOAVE  Francesco Soave, all'anagrafe Gian Francesco, nacque il 10 giugno 1743 a Lugano, città della Svizzera italiana che a lungo seguì le sorti della vicina regione Lombardia e in particolare della città di Milano, sotto il cui dominio rimase fino all'occupazione francese e infine svizzera dei primi anni del Cinquecento. Al momento della nascita di Soave il comune faceva quindi parte della Confederazione elvetica, ma la sua configurazione socio-linguistica presentava caratteri fortemente italiani. Francesco fu ben presto avviato agli studi canonici presso il collegio S.  Antonio della sua città natale, sotto la guida dei padri somaschi, e dove vestì l'abito nel 1759.  Spostatosi a Milano per concludere il suo anno di noviziato, il 10 settembre 1760 prese i voti nel convento di S. Pietro in Monforte e nello stesso anno si trasferì a Pavia nel collegio di S. Maiolo, dove rimase per i due anni successivi e compì i suoi primi studi di carattere filosofico. Continuò poi con gli studi a Roma presso il collegio Clementino, dove si dedicò nuovamente alle teologia e affinò le sue conoscenze nelle lingue classiche, oltre che nelle lingue moderne romanze e non (l'inglese, il tedesco, il francese e presumibilmente anche lo spagnolo).All'età di soli 22 anni lasciò Roma e, dopo un breve periodo a Milano, si stanziò a Parma dove lo aspettava Francesco Venini, suo amico e confratello, direttore, su nomina del ministro Léon Guillaume du Tillot, del collegio della Reale Paggeria, dove Soave divenne docente di lettere.  Successivamente Francesco, a causa della chiusura del collegio e sempre sotto la protezione di du  Tillot, insegnò poesia all'università di Parma, ruolo per il quale compose un'antologia latina e una grammatica della lingua italiana: il testo e le teorie linguistiche annesse richiamavano la dottrina sensista del francese Etienne Bonnot abate di Condillac e dello stesso Venini.Francesco si interessò ben presto dei problemi relativi al linguaggio, ispirandosi alle riflessioni di altri studiosi, per lo più stranieri, come Leibniz, Descartes, Wilkins, Kircher, Dalgarno, Locke, e nei confronti dei quali poco ebbe da invidiare in fatto di riconoscimenti: nel 1796 egli partecipò a un concorso che vagliava le teorie sull'origine del linguaggio bandito dall'Accademia delle scienze di Berlino, fondata nel 1700 da Leibniz stesso, dove raggiunse il secondo posto, preceduto solamente dal lavoro di Johann Gottfried Herder. Lo scritto che gli valse il podio si intitola Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni e fu rivisto, tradotto in italiano e pubblicato a Milano tra il 1793 e il 1794 nell'opera miscellanea Istituzioni di logica, metafisica ed etica. Fu da sempre affascinato dalle teorie di Locke, di cui nel 1775 curò la traduzione in italiano del compendio di John Wynne dei libri II, III, e IV, relativi rispettivamente ai suoi ragionamenti intorno alle idee, alle parole e alla conoscenza dell'allora già celebre Saggio sull'intelletto umano.Empirista, grammatico, traduttore e, assieme a Melchiorre Cesarotti, maggior esponente del sensismo italiano, Soave frequentò gli ambienti più prestigiosi del suo tempo:4 Melchiorre Cesarotti nacque a Padova il 15 maggio 1730 e ivi morì il 4 novembre 1808. Fu abate e professore di retorica e belle lettere nella sua città natale, prima di trasferirsi a Venezia come precettore della famiglia Grimani, dove conobbe, tra gli altri, Carlo Goldoni. Traduttore di Voltaire, fu nominato professore di lingua greca ed ebraica a Padova nel 1768. Tradusse opere dal latino e dalle lingue moderne, divenne teorico dell'estetica e della lingua come dimostra il Saggio sopra la lingua italiana del 1785, stampato in edizione definitiva nel 1800 con il titolo di Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana. Nel saggio, che si appoggia alle idee sensiste di Charles de Brosses e Condilllac, lo studioso condivide le sue teorie circa l'origine della parola e delle parole - teorie del tutto simili a quelle di Soave- e, dopo aver spiegato, secondo idee anche piuttosto moderne, che non ha senso considerare alcune lingue migliori di altre, parla dei rapporti arbitrari che sussistono tra le parole (i suoni) e le idee che esprimono, e delle incomprensioni che questi possono comportare: «Il rapporto tra I...] il vocabolo e '1 corpo visibile è vago, confuso, moltiplice, avendo un corpo molti e molti aspetti per cui può appartenere ad un altro, né potendo chi ascolta aver mezzo di conoscere in che si faccia consistere cotesta relazione» [MELCHIORRE CESAROTTI, Saggio sulla filosofia delle lingue, Padova, presso Pietro Brandolese, 1802, p. 24]. Nel corso del suo saggio affronta i più comuni problemi di retorica e scrittura, analizzando le varie parti del discorso, lodando o rimproverando i vari usi, ma rimanendo comunque conscio del fatto che la lingua muta continuamente e che «Le cause morali e politiche colla loro lenta influenza portano un'alterazione nel sistema intellettuale del secolo, e ne configurano il genio» [ivi, p. 127], la scelta linguistica. In questo senso egli costruisce una sorta di grammatica universale, una grammatica che deve tendere all'etimologia e deve essere libera da tutti gli elementi che possono creare ambiguità.fu maestro personale del nipote del governatore austriaco di Milano, Carlo Gottardo di Firmian, lo stesso che gli affidò la cattedra di filosofia morale (1774) e poi di logica e metafisica (1778) presso il liceo di Brera; nel 1796, trovandosi nuovamente a Lugano, insegnò lì dove i suoi studi erano cominciati, al collegio S. Antonio, e dove ebbe come alunno Alessandro Manzoni; nel 1797 ancora si trasferì a Napoli su invito del principe di Angri Marcantonio Doria che lo volle come precettore del figlio; il 9 ottobre 1799 venne richiamato a Milano per dirigere le scuole cittadine; nel 1802 fu nominato, da Napoleone Bonaparte in persona, membro dell'Istituto nazionale, ente nato per conservare e riunire le nuove scoperte dell'arte e delle scienze. Fu autore della Grammatica ragionata della lingua italiana che, assieme alla Grammatica di Salvatore Corticelli, si situa tra le grammatiche più importanti del 1700.Salvatore Corticelli nacque a Piacenza l'8 dicembre 1689 e morì vicino Bologna il 5 gennaio 1758. Prete, filosofo, teologo, studioso della lingua e membro dell'Accademia della Crusca dal 1747, trattò ampiamente della lingua toscana nella grammatica Regole ed osservazioni della lingua toscana ridotte a metodo (1745) e nello scritto dal sapore boccaccesco intitolato Della toscana eloquenza discorsi cento detti in dieci giornate da dieci nobili giovani in una villereccia  adunanza (1752).1 Nei suoi ultimi anni si dedicò alla critica della dottrina fenomenica kantiana, che si situava su posizioni opposte rispetto al suo empirismo moderato, e delle idee di altri filosofi come Erasmus Darwin e Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy, pur sempre empiristi, ma evidentemente volti all'aspetto materialistico di quelle teorie. Soave si spense infine di un male improvviso nel 1806, a Pavia. 4545 Le informazioni biografiche qui riportate si trovano nella pagina relativa a Gian Francesco Soave al link http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-soave_%28Dizionario-Biografico%29/ a cura di Giuseppe Micheli.  Consultato in data 02/05/2020.Gli Opuscoli Metafisici come summa: Locke, Herder, Condillac e il linguaggio  Nella ricerca italiana di una lingua internazionale e, prima ancora, di una lingua "perfetta"  , trova  un posto di riguardo la figura di Soave, per il suo interessante contributo e la sua vivace curiosità verso questi argomenti. Nei suoi Opuscoli metafisici. Istituzioni di logica, metafisica ed etica del 1794 troviamo i due scritti Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni (dello stesso anno) e Riflessioni intorno all'istituzione d'una lingua universale (1774), in cui Soave riflette sul linguaggio, sulle sue origini, sulla perfezione di una lingua. Il carattere evidentemente filosofico di questi trattati deve essere spiegato in relazione agli studi coevi di autori stranieri e del dibattito linguistico tanto attivo in quell'epoca. La linguistica risiedeva ancora tra le attività della riflessione filosofica, non potendosi avvalere di un metodo e di una trattazione scientifica e rigorosa.L'interesse di Soave per la materia deve sicuramente avere tre radici ben distinte: da un lato la sua ampia conoscenza delle lingue moderne e delle lingue antiche, nonché la sua attività di traduttore, devono aver creato la base per le prime elucubrazioni sui disagi che le differenze linguistiche portano nel campo della comunicazione scritta e orale internazionale; in secondo luogo gli studi filosofici sull'empirismo e i suoi propugnatori devono aver sollecitato le riflessioni sull'origine del linguaggio e, di riflesso, sulle caratteristiche che una lingua perfetta - o naturale  - dovrebbe avere e il cui risultato è la teorizzazione di come dovrebbe apparire un'ipotetica lingua artificiale ad uso internazionale; in ultimo, la sua professione di professore, nonché la pubblicazione di opuscoli e grammatiche per l'assimilazione della lingua italiana, devono aver allenato la sua capacità di spiegare le intricate forme di una lingua e svolto una qualche influenza sulla volontà di rendere più semplice l'apprendimento.La filosofia di Soave si fa sostenitrice della teoria sensista, come dimostrano le parole di apertura del secondo capitolo delle Ricerche che recitano «Che le umane cognizioni come da prima sorgente derivino dalle sensazioni, ella è cosa già troppo manifesta»:* GIAN FRANCESCO SOAVE, «Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni», in Istituzioni di logica, metafisica ed etica, Venezia, Stamperia Graziosi,  1804, р. 13.la conoscenza deriva allora per Soave dall'esperienza che l'uomo fa del mondo, e in particolare dalle sensazioni che questa esperienza provoca in esso. Poiché non sarà allora conoscibile qualcosa che non siasperimentabile, egli rigetta la teoria innatista, che vuole che vi siano nella coscienza umana delle idee o dei principi ingeniti, così come qualche anno prima aveva fatto anche Locke nel suo Saggio sull'intelletto umano del 1690, dove, parlando delle idee e da dove esse derivino, così dichiara:  Supponiamo dunque che lo spirito sia per così dire un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo verrà ad esserne fornito? Da dove proviene quel vasto deposito che la fantasia industriosa e illimitata dell'uomo vi ha tracciato con una varietà quasi infinita? Da dove si procura tutto il materiale della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall'ESPERIENZA. Su di essa tutta la nostra conoscenza si fonda e in  ultimo deriva.JOHN LOCKE, Saggio sull'intelletto umano, a cura di Mirian Abbagnano, Nicola Abbagnano, Milano, RBA Italia S.r.l.,  2017 («I grandi filosofi RBA»), p. 33.47e come sostenne anche Herder circa un secolo più tardi nel Saggio sull'origine del linguaggio del  1772:  Se proprio vogliamo chiamare linguaggio questi accenti immediati della sensazione, a me pare, dunque, che l'origine di esso sia affatto naturale. Non soltanto essa non è sovrumana, ma è innegabilmente animale, in quanto legge  naturale di una macchina sensitiva.HERDER, JOHANN GOTTFRIED, Saggio sull'origine del linguaggio, a cura di Agnese Paola Amicone, Milano, RBA Italia  S.r.l., 2017 («I grandi filosofi RBA»), p. 17.48Le idee di Soave offrono un evidente e continuo richiamo alle teorie di questi studiosi, sebbene le espressioni con cui egli si riferisce agli stessi concetti siano a volte differenti: succede allora che le sensazioni di Locke e Herder, ovvero l'azione primariamente inconscia attraverso la quale l'animo  - termine che valga qui come sinonimo di coscienza o ragione - riconosce le cose esterne e, in ultimo, le idee stesse delle cose, vengano chiamate percezioni, e l'atto riflessivo, cioè l'atto che permette di determinare e individuare le singole idee e di comporle fra loro a creare idee più complesse, modificazione. Il linguaggio per Soave è una diretta derivazione di questa facoltà umana di disporre della ragione: esso si sviluppa fin dal primo pensiero, che si ha in occasione della propria nascita. Ecco che la facoltà di linguaggio, e la sua stessa struttura e grammatica cominciano a costruirsi nel momento stesso in cui si viene al mondo, ed è condizione fondamentale e costituente dell'essere uomo: la ragione determina l'essenza umana al suointerno, il linguaggio al suo esterno. Ogni esperienza a cui l'individuo partecipa determina la formazione di nuove idee o amplia o combina quelle esistenti, in un processo che non può dirsi finito fino alla sua stessa morte, e la presenza di queste idee suscettibili di ragione scatena parimenti il mutare e l'ampliarsi del sistema di linguaggio che a esse è riferito. Secondo questo principio, il linguaggio, che è espressione esterna dell'idea interna, «si evolve secondo lo sviluppo  della mente».RAFFELE SIMONE, «Seicento e Settecento», in Storia della linguistica, II, a cura di Giulio C. Lepschy, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 361. Si consideri anche che «l'idea che le lingue determinino, almeno fino a un certo punto, il carattere nazionale e il modo di pensare dei parlanti, è estremamente diffusa nel diciottesimo secolo e risale anche più indietro.  Solo per citare alcuni nomi, idee simili si trovano in Francia con Condillac, Diderot, ecc.; in Italia in parte con Vico e certamente con Cesare Beccaria e Melchiorre Cesarotti» [ANNA MORPURGO DAVIES, «La linguistica dell'Ottocento», in Storia della linguistica, III, a cura di Giulio C. Lepschy, Bologna, Il mulino, 1994, p. 126]. Non è quindi improbabile e, anzi, è del tutto possibile che Soave fosse entrato in contatto anche con le teorie secondo le quali la percezione della realtà è in qualche modo condizionata dal linguaggio. E in ultima si può immaginare che egli concepisse la realtà e il  linguaggio come due entità che a vicenda possono condizionarsi.49La riflessione poi deve essere anch'essa intrinseca: se l'uomo percepisce fin dal primo istante e ne è in qualche misura conscio, egli deve essere in grado di riconoscere tale operazione, e ciò è possibile solamente tramite la riflessione: così Locke intende quando afferma che «La percezione è la prima idea semplice della riflessione» ° Quest'ultima, coadiuvata dalle operazioni di memoria, che consentono di ripescare idee precedentemente conosciute, è l'aspetto che permette all'intelletto di creare nuove ipotesi e teorie, ovvero in ultimo ciò che permette la scoperta.Proprio l'abbandono di questo secondo requisito fondamentale della conoscenza Soave rimprovera a Condillac: abate francese di qualche anno più anziano, fu il maggiore esponente del sensismo, grazie soprattutto al suo Saggio sull'origine delle conoscenze umane (1746); tuttavia nella sua ultima opera, il Trattato delle sensazioni, Condillac abbandona la distinzione tra l'esperienza e la riflessione e riconosce nella sola sensazione il principio che sviluppa tutte le facoltà umane, di fatto subordinando ad essa ogni altra azione.'' Étienne Bonnot, abate di Condillac, nacque a Grenoble il 30 settembre 1714 e morì a Beaugency il 3 agosto 1780.  Visse a lungo a Parigi, dove entrò in contatto con gli ambienti filosofici illuministici. Il suo Saggio è considerato la più coerente e compiuta formulazione della gnoseologia dell'Illuminismo francese.Nelle Ricerche Soave distingue due tipi distinti di memoria, la memoria dei segni e quella delle idee, la prima delle quali di molto più estesa rispetto alla seconda poiché, asserisce, «è assai più agevole il richiamare i segni delle idee, che non l'idee medesime, specialmente ove trattisi d'idee astratte»: nel caso in cui quindi vi fossero due ragazzi selvaggi che incontrandosi dovessero tentare di comunicare, per loro sarebbe difficile se nonimpossibile ricorrere alla memoria dei gesti, non condividendoli affatto.    I secoli XVIII-XIX videro un proliferare degli studi antropologici e linguistici eseguiti non di rado anche su    popolazioni lontane dall'Occidente: la scoperta dell'America, l'intensificarsi dell'esplorazione e della colonizzazione    dei territori dell'Africa e dell'Asia offrirono agli studiosi notevole materiale di studio.   Complicato risulterebbe allora anche affidarsi alla facoltà di riflessione, giacché in mancanza di memoria «le congiunzioni d'idee si faranno in loro quasi tutte fortuitamente»$ il linguaggio, inteso dapprima come sistema di segni - con riferimento sicuro al segno gestuale, ma non si esclude un'allusione forse al segno linguisticamente inteso - appare allora elemento costituente della capacità non  solo comunicativa, ma anche di riflessione e di memoria.Il fatto che tra due potenziali interlocutori sia impedita (dalla barriera dell'ignoranza) la condivisione del sistema di segni, preclude qualsiasi tipo di scambio comunicativo e quindi di arricchimento conoscitivo. Ciò, per Soave, non significa che dalle parole derivi la conoscenza delle cose e a questo proposito egli dubita dell'asserzione di Rousseau secondo il quale «le idee generali I..] non si possono nell'animo introdurre, che col soccorso delle parole, e l'intelletto non le apprende, che per via di proposizioni». Soave sostiene piuttosto che le qualità intrinseche alle parole ne permettano la conoscenza e che le stesse, assieme alle proposizioni, permettano di esternare questa conoscenza interna. Certo è che la discussione è permessa solamente se il sistema delle parole è condiviso, altrimenti a ciascuno rimarrebbe oscuro il significato associato alla determinata realizzazione fonica. E cioè, in fondo, parlando lingue difterenti è permessa si la conoscenza del mondo esterno, ma non lo scambio comunicativo.Glice Ceresiano e la lingua internazionale in caratteri mistz  Dalle precedenti riflessioni filosofiche deve essere derivato il bisogno di indagare sulla diversità linguistica dei popoli e sulla possibilità o meno dell'adozione di una lingua universalmente utilizzata, quantomeno per le conoscenze scientifiche. Così nel 1774 Soave pubblicò il secondo scritto in esame, le Riflessioni intorno all'istituzione d'una lingua universale. Dato alle stampe con lo pseudonimo di Glice Ceresiano     Nome che Soave utilizzerà anche nel 1793 in occasione della pubblicazione di un opuscolo contro la Rivoluzione    francese e intitolato Vera idea della rivoluzione di Francia, lettera di Glice Ceresiano ad un amico.  e dedicato a un certo Clottofilo Euganeo, forse da identificarsicon il linguista padovano Melchiorre Cesarotti, costituisce il primo esempio e il più interessante  tentativo di ideazione di una lingua internazionale in Italia, almeno fino al 1800.    L'epiteto 'Ceresiano' deriva con ogni probabilità dal secondo nome del lago di Lugano, ovvero Lago Ceresio, dalla    leggenda che vedeva coinvolto il signore del lago, Céreso, e un pesce senza nome. Glice potrebbe valere come nome    parlante e significare allora 'dolce', dal greco yukús, ma il riferimento è più incerto. In 'Clottofilo'  , probabile errore    di stampa per Glottofilo, è facilmente riconoscibile un amante della lingua, o del linguaggio, e 'Euganeo' esprime il  luogo di provenienza del destinatario così come è per l'autore in 'Ceresiano'.  56Il trattato si apre con le considerazioni circa l'innegabile utilità che una lingua universale avrebbe nello scacchiere internazionale. Soave argomenta in favore di tale utilità in maniera piuttosto breve, perché ritiene che la praticità di una lingua universale sia immediatamente comprensibile  e, come tale, inconfutabile:  Una lingua, che intesa fosse da tutte le nazioni, e che riparasse così al disagio della babelica confusione, e chi non vede di qual vantaggio sarebbe? Alla propagazione soprattutto, e all'accrescimento delle scienze sembra ella a' nostri giorni divenuta omai necessaria; perciocché le opere interessanti, che nelle lingue Latina, Italiana, Francese, Inglese, Tedesca, ec. si van tuttodì pubblicando, o in buona parte riescon nulle per noi, o ci costringono a consumare con lungo tedio quel tempo, e quell'industria nello studio delle parole, che nello studio delle cose più utilmente sarebbesi impiegato.    5 GIAN FRANCESCO SOAVE, «Riflessioni intorno all'istituzione d'una lingua universale», in Istituzioni di logica, metafisica  ed etica, Pisa, presso Sebastiano Nistri, 1814, p. 145.  sSoave individua due metodi attraverso i quali sarebbe possibile raggiungere l'utilizzo di una lingua internazionale: il primo, e più complicato, prendendo come base una lingua gia esistente, e il secondo, per certi aspetti più semplice, componendo ex novo un sistema grafico che prenda dalle varie lingue le soluzioni più ingegnose e, a suo dire, facilmente praticabili.  Muovere da un sistema linguistico già esistente presenta degli inconveniente legati alla successiva supremazia che sarebbe riservata alla nazione dalla quale verrebbe scelta la lingua d'utilizzo. Ogni paese avrebbe interesse che la sua fosse la lingua imposta alle altre poiché ciò dimostrerebbe la sua superiorità, dapprima in ambito comunicativo, e poi in tutti gli altri.  Possedere il dominio linguistico significherebbe in un certo senso possedere anche quello sociale e poi economico, a discapito di tutte le altre lingue - e nazioni - escluse. Per questo motivo ogni nazione pretenderebbe di essere la prescelta e un congresso di tutte sarebbe forse l'unico mododi prendere in considerazione tutti i candidati. Ma anche allora il problema non sarebbe di certo risolto. La lingua è parte fondante dell'identità nazionale, tanto che qualora si procedesse con una riunione di tal guisa «ogni verbo, ogni nome, ogni menoma particella vi desterebbe liti infinite, nelle quali volendo ognuno esser giudice, mai non avreste decisione. Senzaché, quando pure si componessero gli animi, dalla misura di tanti varj idiomi qual risultato ne avreste voi? Una lingua  a mosaico, un vestito da Zanni, una Babelle peggior dell'antica» 58Egli quindi scarta anche l'idea di comporre la lingua secondo una commistione di quelle esistenti, ovvero di creare una lingua composita a posteriori. E non accetta nemmeno la possibilità di creare una lingua con vocaboli tutti di nuova fattura poiché, spiega, pochi sarebbero pronti ad accettarla e a mettere da parte l'amor proprio in virtù di un bene maggiore. Neanche l'istituzione di una lingua del tutto simbolica, come quelle numeriche o le pasigrafie, sarebbe soddisfacente, visto che la sua lettura risulterebbe particolarmente complicata. E ancora, per ovviare al problema dell'imprecisione semantica delle parole, nemmeno la tentazione di esprimere ogni idea con caratteri a sé stanti risulterebbe praticabile, vista l'incapacità dei più a imparare una tale mole di simboli legati all'infinità di concetti e oggetti potenzialmente esprimibili.Nonostante si dimostri sempre scettico sulla reale applicabilità internazionale di una lingua inventata e consideri più concretizzabile il semplice mantenimento dell'uso della lingua latina tra i dotti, Soave non si esenta dal tentare di creare un linguaggio universale e passa quindi all'esposizione del suo progetto, definibile "di tipo misto", composto di elementi di lingue preesistenti e di elementi di pura invenzione, le cui conditiones sine quibus non devono essere la chiarezza espositiva e la facilità di apprendimento e lettura. Per essere tale la lingua ideale deve  presentare due caratteristiche fondamentali:  ad ogni idea deve corrispondere uno ed un solo segno, in modo da non lasciare spazio ad ambiguità o interpretazioni; la lingua deve essere composta dal minor numero di segni possibile, così da evitare di sovraccaricare la memoria.Prima di analizzare nello specifico la proposta di Soave è bene sottolineare che egli lavorò su di un piano prettamente teorico, così come molti altri fecero a quel tempo: con il suo trattato non consegnò ai posteri un nuovo codice pronto all'uso, ma si limitò ad esporre le caratteristiche che questo avrebbe dovuto avere, evitando di fornire esempi concreti. I caratteri che egli propone per esprimere le cose fisiche non sono alfabetici, ma quanto più imitativi: per indicare il sole, ad esempio, Soave propone che si utilizzi un simbolo che lo richiami il più possibile, e così deve essere anche per i caratteri che designano il fiore, la luna, l'uomo, ecc.Per quanto riguarda invece tutti gli altri nomi egli si avvale del sistema alfabetico latino inteso nelle sue forme tonde, maiuscole e minuscole, corsive, e composto anche delle sue «lettere molteplici» come 's' e 's' (probabilmente da intendere come [s] e [z]), ¡' e 'j, 'u' e 'v', i nessi di geminate, i nessi composti, le abbreviazioni, le abbreviazioni in corsivo, in maiuscolo, ecc. e così giudica a sua disposizione un parterre di lettere che supera il centinaio. Non contento, assume che il numero di questi simboli possa duplicare, triplicare, e ancora di più se si usassero  dimensioni differenti (es. a a a 2). Come ultima ratio, se nemmeno un inventario segnico così formato dovesse bastare, Soave propone di ricorrere agli alfabeti greco, ebraico, arabo e agli altri.  Il tutto può essere ulteriormente ampliato grazie all'uso dei segni diacritici come l'apostrofo, i vari accenti, il punto, le linee, le virgolette, dei numeri in esponente e insomma tutti quei simboli e segni che potevano facilmente trovarsi in una stamperia dell'epoca.Sulla disposizione di questi caratteri egli dispone solamente che ogni segno che specifichi il carattere a cui si accompagna sia a questo vicino - ma ben riconoscibile, a mo' delle lingue tipologicamente agglutinanti -, e così sia anche nel caso di parole formate da più caratteri insieme; per il resto, ogni carattere deve essere separato dagli altri.  Si veda ora nello specifico com'egli intende questi caratteri.I pronomi  I pronomi e nomi personali identificati dai nuovi caratteri, di cui non fornisce la grafia, significherebbero 'io', 'tu', 'sé', 'egli', 'questo', 'codesto', 'quello',  ', 'il medesimo', 'che', 'il quale'.  . La  scelta successiva è quella di non creare altri caratteri ex novo per indicare il femminile, il maschile plurale e il femminile plurale; preferisce piuttosto inserire nel sistema linguistico dei segni diacritici (un apostrofo, una tilde, non viene specificato) che li distinguano dai corrispettivi maschili singolari - segni la cui applicazione è estesa anche alle altri parti del discorso - a guisa di morfemi grammaticali. In aggiunta asserisce che il pronome 'egli' è in fondo superfluo visto che sua la funzione può essere compresa in 'quello' e 'il medesimo'. Infine, 'questo', 'codesto',  'quello' e 'medesimo' possono ricoprire ugualmente la funzione di aggettivi, per cui non è  necessario avere caratteri differenti per questi.Le preposizioni e le congiunzioni  Per quanto riguarda le preposizioni Soave riconosce che basterebbero ben pochi caratteri per sostituirle giacché sono poche - 'di"', 'a', 'da', 'per', 'con', 'senza', 'sopra', 'sotto', 'tra', 'verso' e  'contro' -, brevi nella realizzazione ed esprimenti idee o relazioni semplici. I caratteri delle congiunzioni esprimono i significati di 'e', 'né', 'ma', 'anzi, 'perché', 'perciò', 'siccome', 'così',  'benché', 'pure'.  Le interiezioni  Soave propone la riduzione delle interiezioni a soli sei segni, che esprimano i sentimenti di dolore, allegrezza, desiderio, supplica, minaccia e timore.Gli avverbi  L'avverbio di affermazione 'sì' e quello di negazione 'no' sarebbero esprimibili ugualmente con due caratteri - ipoteticamente brevi, vista la frequenza d'utilizzo - che indicassero l'affermazione e la negazione. Il carattere esprimente l'avverbio 'no' vale anche per le frasi negative il cui senso sarebbe introdotto da 'non'. L'autore tace sulla possibile posizione di questi avverbi, per cui non sappiamo se essi siano da anteporre o posporre alle particelle del discorso che accompagnano.  Ai significati degli avverbi di luogo 'qua', 'là', 'costà', 'su', 'giù' suppliscono rispettivamente: per i primi tre i caratteri che hanno significato di 'questo', 'codesto' e 'quello' assieme al segno avverbiale; per gli ultimi due quelli delle preposizioni 'sopra' e 'sotto'Gli avverbi di quantità significanti 'molto', 'poco', 'quasi', 'abbastanza' saranno indicati con il segno diacritico avverbiale in aggiunta ai caratteri esprimenti i significati aggettivali di 'molto',  'poco', 'vicino' e 'bastante'.  Allo stesso modo sono trattati gli avverbi di qualità 'bene' e 'male'.I verbi  Soave sceglie di semplificare la grammatica della sua lingua universale (almeno rispetto a quella italiana o latina) facendo confluire la pluralità di tempi verbali a lui conosciuti in sole tre unità esprimenti l'idea di passato, presente e futuro. Con l'aggiunta di altri due segni diacritici costanti ai caratteri verbali principali è poi possibile dar loro delle sfumature di significato differente,  identificando così «i passati di poco o di molto, e i futuri prossimi o rimoti».60  Per quanto riguarda i verbi che derivano da sostantivi, è necessario indicarli con il carattere del nome da cui derivano assieme al segno che ne indichi la natura di verbo. Soave sceglie di creare  tre segni distinti:  un segno per i verbi transitivi attivi; un segno per i verbi transitivi passivi; un segno per i verbi intransitivi o neutri;assieme ai quali esso indicherà l'infinito del verbo. Per indicare le diverse persone, tempi e modi sono necessari altri segni: per indicare le persone basta premettere i caratteri che indicano i pronomi o i nomi personali; per indicare i tempi sono necessari gli stessi caratteri che indicano gli avverbi di tempo; il modo, se non fosse già intuibile dal contesto, varia da caso a caso: il condizionale sarà dato assieme all'interiezione di desiderio; l'imperativo con il proprio segno distintivo; il congiuntivo nuovamente con un altro segno distintivo; il participio ha un suo segno distintivo e deve esservene uno per ogni tempo, alla maniera dei greci; a ciascun participio è accostato allora un carattere degli avverbi di tempo; l'indicativo sarà riconoscibile perché mancante di questi segni aggiuntivi, ma pur sempre accompagnato dal numero e dal genere della persona. Non è necessario inventare dei segni particolari per il gerundio e il supino in quanto essi possono essere sostituiti:  dalla costruzione di [preposizione + infinito] al modo dei latini o dei greci, così come il lat. IN AMANDO (it. 'nell'amare') o AD AMANDUM (it. 'ad amare'); dai participi, come il lat. AMANS (it. 'amando’). ').Per una comprensione più rapida si propone una tabella riassuntiva. Ciascun tempo verbale e le sue peculiari caratteristiche vanno immaginate accompagnate dal carattere esprimente il significato del sostantivo da cui il verbo deriva. I te mpi verbali sono ordinati in ordine  crescente di segni diacritici o caratteri da cui sono composti.    «NATURA»  (transitivo  attivo/passivo  - intransitivo)  ALTRI SEGNI O  CARATTERI  (caratteri degli  avverbi di tempo/segni delle interiezioni)  NUMERO E GENERE  (carattere dei pronomi o dei pronomi personali con relativi segni aggiuntivi)  MODO  INFINITO  +        INDICATIVO  +  +  +    IMPERATIVO  +  +  +  +  PARTICIPIO  +  +  +  +  CONGIUNTIVO  +  +  +  +  CONDIZIONALE  +  +  +  +  Gli articoli  Per Soave è sufficiente solamente un unico articolo che sia in grado di esprimere il maggior grado di determinatezza qualora accompagni un nome. Di nuovo, esso è un semplice segno diacritico.I nomi  Una volta esposte le regole che soggiacciono alla formazione delle parti del discorso per così dire  "mobili".  "mobili", cioè che fungono da collegamento tra i nomi e ne esprimono i movimenti, le azioni e le relazioni, Soave passa alla trattazione della parte del discorso che esprime la cosa in sé e che necessita del maggior numero di caratteri come gli oggetti, i pensieri, i sentimenti, le cose del  mondo sensibile, ecc.I significati dei nomi generali sono suddivisi in una prima macrocategoria di classi (di cui non è dato l'elenco completo, ma che l'autore esemplifica in 'animale', 'vegetale', 'minerale') espressa da un carattere ciascuno; successivamente ogni classe presenta al suo interno la specificazione dell'essere particolare (come 'gatto', 'quercia', 'marmo'), anch'essa espressa tramite dei caratteri particolari. I due caratteri vanno allora composti, ad ottenere un duo di grafi che significhi qualcosa di simile a 'animale-gatto' e così che, qualora non si conoscesse il significato dell'essere particolare, ma si conoscesse quello della classe di appartenenza, sarebbe facilmente accessibile  - anche deducendolo dal contesto - il significato finale dei due caratteri composti, e viceversa.Per quanto riguarda i nomi propri non è necessario, poiché inutilmente difficile e dispendioso, inventare nuovi caratteri, ma basterà anteporre il carattere esprimente 'individuo' ai caratteri distesi del nome per intero. Supponendo per esempio che il segno per indicare l'essere umano sia un apostrofo anteposto al nome del soggetto, il risultato sarebbe qualcosa del tipo «'Giovanni».Questo tipo di procedura Soave sceglie di mantenerlo anche per tutte quelle classi di nomi che necessitano di essere specifici, come i nomi di botanica, medicina, fisica, anatomia, metafisica, cioè tutti quei nomi la cui abbreviazione comporterebbe, più che una facilitazione, una ulteriore ambiguità. Come suggerisce l'autore infatti, se in un trattato di geografia si scegliesse infatti di utilizzare ad esempio l'abbreviazione «'Ro», chi potrebbe dire se si tratti di Roma e non di Rouen?La possibilità di scrivere per esteso questi nomi affinché vengano compresi in ogni paese, sostiene Soave, è data dal fatto che essi sono nomi universalmente condivisi e conosciuti. Qui però è facile individuare un punto debole di questo sistema di scrittura, poiché è evidente che l'ultimaattermazione non può dirsi veritiera nemmeno per la sola Europa: per fare un esempio piuttosto semplice, il nome della Germania è conosciuto nei vari paesi come Germany, Allemagne, Deutschland, Tyskland, Niemcy, ecc., ed è certo che chiunque - in questo caso italiani e inglesi esclusi - non abbia una certa qual conoscenza delle altre lingue sarebbe spaesato alla lettura di «Germania» nel proprio libro di testo, così come se un italiano che ignora le lingue slave si trovasse di fronte a «'Niemcy». I problemi, ovviamente, si moltiplicherebbero per quanti hanno sistemi di scrittura differenti da quello latino. Per ovviare al problema Soave propone però di redigere un vocabolario che riporti l'insieme di questi nomi propri.Per quanto riguarda i nomi comuni che non appartengono a nomenclature scientifiche, Soave suggerisce di introdurre due segni che indichino 'opposizione' e 'negazione': così ad esempio il concetto di 'tenebre' potrebbe esprimersi attraverso il carattere della 'luce' opportunamente accompagnato dal segno diacritico o dal carattere che ne esprime la negazione, e l'"odio' potrebbe essere indicato dal carattere dell'amore' accompagnato da quello di 'opposto'.Lo sguardo attento dello studioso è alla ricerca, come già detto inizialmente, dell'esattezza linguistica e della non ambiguità tra i significati che le parole (o i caratteri) veicolano. Se questi accorgimenti non sono possibili in una lingua storico-naturale per sua stessa costituzione, essi lo sono in una lingua inventata a tavolino e, per questo motivo, egli prende delle ulteriori decisioni  in merito, predisponendo:  l'abolizione dei perfetti sinonimi - sebbene nelle varie lingue essi siano pressoché rari,  se non inesistenti, a ben vedere;  per termini simili ma non perfetti sinonimi, ovvero tutti quei termini che esprimono delle sfumature diverse di significato ma si riferiscono allo stesso referente/idea/ecc., l'indicazione con lo stesso carattere accompagnato da segni opportuni che esprimano  questa differenza di significato.Gli aggettivi  Tutti gli aggettivi derivanti da sostantivi sono da indicarsi mediante l'apposizione di segni che ne    indichino la funzione sintattica. Il significato di 'terrestre' si otterrebbe con [carattere 'terra'    segno 'aggettivo'] e il risultato potrebbe essere qualcosa del tipo «Õ», considerando «*» simbolo    aggettivale e «O» il carattere per la terra. Lo studioso rende noto al lettore che vi è anche il caso    contrario, ovvero quello in cui il sostantivo deriva dall'aggettivo, ma, prosegue, poiché non in  tutte le lingue i processi di derivazione seguono le stesse vie e poiché in una lingua inventata nessun senso ha curarsi dell'origine delle parole, ribadisce che i caratteri di base costituiranno i sostantivi e quelli accompagnati dal segno aggettivale gli aggettivi.  Per la formazione dei comparativi è sufficiente anteporre al carattere aggettivale i segni «+» (maggioranza) e «-» (minoranza), del tipo intuitivo «+ [carattere che indica 'alto']» = 'più alto di' o «- (carattere che indica 'alto']» = 'meno alto di'. Allo stesso modo, a discapito forse della chiarezza espositiva, ma guadagnando in semplicità, si compongono anche i superlativi relativi e assoluti. Non sono fornite indicazioni sui comparativi di uguaglianza.Il numero  Per esprimere il plurale di nomi, aggettivi, verbi, pronomi è necessaria l'esistenza di un segno apposito; nel caso in cui questo segno non sia scritto allora significa che il carattere in questione  esprime valore singolare.I generi  La distinzione di genere nei nomi è utile solamente nel caso degli esseri animali e fuor di questi ogni altro carattere è di genere neutro e non deve riportare alcun segno. Il vantaggio è che in questo modo, se un carattere è accompagnato dal simbolo del genere, si potrà dedurre con sicurezza che si tratta di un animale o, in generale, di un essere animato.  Gli aggettivi seguiranno la stessa soluzione dei nomi che accompagnano e gli avverbi si accorderanno ai nomi che sostituiscono, secondo il genere e il numero.In via del tutto sperimentale, e in mancanza di esempi concreti nell'elaborato di Soave, si propone una personale realizzazione in lingua inventata di una celebre frase di Orazio, tratta dalle Epistole, che Soave  sicuramente conosceva poiché ne curò la traduzione in italiano:  Caelum non animum mutant qui trans mare currunto?  6 La frase latina di Quinto Orazio Flacco è tratta dalle Epistulae (I, 11, v. 27) - [trad. 'coloro i quali corrono attraverso il mare, cambiano cielo, non animo'] - e con essa egli ricorda ai suoi lettori che non si sfugge mai a sé stessi.Supponendo di utilizzare dei caratteri imitativi per le parole caelum (lett. it. 'cielo', ma qui vale in senso lato per 'luogo') e mare; un carattere intermedio tra l'imitativo e il puro segno per il pronome qui (vale per soggetto, it. 'coloro i quali'), per i verbi mutant (lett. it. 'mutano', 'cambiano') e currunt (lett. it. 'corrono', ma vale per 'attraversano'); caratteri alfabetici per indicare animum (it. 'animo', qui 'mente', 'pensiero'),  risulterebbe allora qualcosa di simile:  - ANIMUM F  X"  0o "Segni aggiuntivi sono il simbolo dei secondi (che si trova in apice dei caratteri per 'mutant', 'qui',  'currunt') che aggiunge il significato di plurale, e i punti sovrapposti ai caratteri dei verbi, che corrispondono a valore transitivo quando sono doppi (anche in riferimento alla valenza verbale), e a  valore intransitivo quando sono singoli.In via teorica la lettura e la composizione di questo tipo di linguaggio paiono facilitate dalla non trascurabile componente intuitiva che la lingua comporta, grazie all'introduzione di caratteri imitativi, lettere già note e segni ricorrenti che ne modulano il significato; ma a ben vedere il risultato finale è più un rebus che un codice che goda delle caratteristiche della semplicità e dell'esattezza. Al netto delle sue stesse conclusioni in campo linguistico, Soave in persona scredita l'idea che si possa realmente introdurre dal nulla una lingua studiata a tavolino e pretendere che questa venga assimilata dalla popolazione. Peraltro - aggiunge Soave -, nel caso fortuito in cui pure si riuscisse a diffondere un tale codice, l'operazione non avrebbe nemmeno senso, perché equivarrebbe ad adoperare una lingua gia esistente e ben rodata.La sua proposta a questo punto restringe il campo d'azione, perché «Lascio la difficoltà di recarla fra i popoli dell'Asia, dell'Africa, e dell'America, a' quali pure per essere universale dovrebbe farsi comune. Qual commercio letterario, direte voi, abbiamo noi coi Tartari, cogli Abissini, e cogli Huroni, onde importare ci debba, che la nostra lingua da loro venga accettata? Or ben, e restringiamoci pur soltanto all'Europa» Una volta ristretto il campo alla sola Europa, Soave sostiene che una lingua internazionale (ma non più inventata a questo punto) sarebbe utile affinché tutte le genti del Vecchio Continente possano intendere le opere letterarie degli altri paesi senza dover ricorrere al sussidio di un traduttore. Ma per far ciò ogni opera fino a quel momento composta ed edita avrebbe dovuto essere riscritta nella lingua universale, e quale paeserinuncerebbe a scrivere nella propria lingua madre? E qualora anche vi si riuscisse, perché spendersi per inventarne una nuova e non utilizzare invece una lingua già esistente?  A questo punto pare evidente quindi che per Soave la glossopoiesi ad uso internazionale non può essere accolta, non tanto per le sue caratteristiche intrinseche che, anzi, sono da considerarsi più che valide, ma quanto per l'inapplicabilità reale di tali sistemi linguistici dovuta a problematiche di tipo sociale e di supremazia. Così sul finire delle Riflessioni, e dopo aver descritto ampiamente il suo progetto di lingua, l'autore rivela che l'unica lingua che davvero potrebbe - e dovrebbe - definitivamente assurgere a internazionale è il latino, lingua già condivisa dai dotti, ma, in fondo,  senza nazione.

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