Grice e Giacchè: la
ragione conversazionale e l’implicataura conversazionale dell’altra visione
dell’altro – Barba, Bene, e Fellini antropologo – filosofia perugina – scuola
di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugino. Filosofo umbro. Filosofo Italiano.
Perugia, Umbria. Grice: “I like Giacché; for one, he philosophises on theatre,
which any Sheldonian should appreciate!” Grice: “Giacché is what I would call a
philosophical anthropologist.” Grice:”Giacché has an ability with language:
“l’altre vision dell’altro,” for example – difficult to translate, but genial
nonetheless, or perhaps genial because uneasily translatable!” – “He has
philosophised on spectator and participant, which is conversational in tone –
there’s no monologue, but dialogue --.” “He has criticised authoritarian types
of performances like traditional teaching which he has compared to religion!” Insegna a Perugia. Si occupa di varie problematiche
socio-culturali quali condizione giovanile, devianza, comunicazione di massa,
solitudine abitativa, politica culturale. Saggi: Una nuova solitudine. Vivere
soli fra integrazione e liberazione, Roma); “Lo spettatore partecipante.
Contributi per un'antropologia del teatro, Guerini, Milano, Bene. Antropologia
di una macchina attoriale, Bompiani, L'altra visione dell'altro. Una equazione
fra antropologia e teatro, Ancora del Mediterraneo, Napoli, Ci fu una volta la
sinistra. Ovvero il silenzio dei post-comunisti, Asino, Roma. CURRICULUM
di Piergiorgio Giacchè (Perugia, 16.04.46), Professore a contratto (incarico
gratuito), docente di “Etnologia europea: patrimonio culturale immateriale”
presso la Scuola di Specializzazione in Beni demo-etno- antropologici,
Università di Perugia, Firenze, Siena e Torino (sede di Castiglione del Lago,
PG) - anni accademici TITOLI DI STUDIO E INCARICHI ACCADEMICI Laurea in lettere
(indirizzo moderno), con tesi in Etnologia conseguita nell’anno acc. 1969-70
presso l’Università degli studi di Perugia, con voti 110/110 e lode.
Abilitazione all’insegnamento delle materie letterarie nelle scuole medie
inferiori - titolo conseguito il 3.2.1973 con voti 100 su 100. Borsa di studio
quadriennale (dal 1.11.77 al 31.08.76) per “ricerche nel campo sociale”,
usufruita presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale
dell’Università di Perugia. Titolare di contratto quadriennale presso la
Facoltà di lettere e filosofia della stessa università. Addetto alle
esercitazioni presso la cattedra di Etnologia della stessa Facoltà, per gli
anni accademici Ricercatore confermato dal 1° settembre 1981 al 28 dicembre
2004, presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università
di Perugia; in tale ruolo ha condotto seminari, cicli di lezione, moduli
didattici e progetti speciali (in prevalenza sui temi della devianza, della
condizione giovanile, della società dei consumi e dello spettacolo,
dell’antropologia e sociologia del teatro) fino all’anno acc. 1994-95, in cui è
divenuto affidatario di un Corso di Antropologia teatrale (unico corso attivato
in Italia), riconfermato per tutti i successivi anni accademici. E’ stato
altresì docente affidatario del corso di Antropologia culturale presso la
facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Perugia, nell’anno
accademico 1998-99. Professore associato presso il Dipartimento Uomo &
Territorio – Sezione antropologica ; docente di Fondamenti di Antropologia e di
Antropologia del teatro e dello spettacolo presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell’Università degli studi di Perugia, Professore a contratto,
docente di Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione
della L.U.M.S.A. di Roma – corso per Educatori professionali, sede di Gubbio –
anni accademici Professore invitato, nel
quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Libre de Bruxelles -
facoltà di Scienze Sociali e di Filosofia e lettere Visiting Professor presso
l’Università di Malta, Facoltà di Scienze della Formazione. Professore
invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Paris VIII –
Département d’Etudes théâtrales Professore invitato dall’Université Paris VIII
per un seminario da tenersi presso il laboratorio di Etnoscenologia della
Maison de l’Homme – Paris Nord Membro della Commissione per la Procedura di
valutazione comparativa per il reclutamento di un ricercatore presso la Facoltà
di Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari, M05X – Discipline
demoetnoantropologiche. Docente del Dottorato Internazionale in Antropologia ed
Etnologia (A.E.D.E.) CONSULENZE, COLLABORAZIONI E ALTRI INCARICHI ISTITUZIONALI
Consulente socio-antropologico per alcuni programmi R.A.I. della Sede Regionale
dell’Umbria: “Decentramento e sviluppo urbanistico”; “Anticamera” (novembre
1980 - aprile 1981); “Aperitivo” (aprile-luglio 1982). Consulente antropologico
del Centro Regionale Umbro per le Ricerche Economiche e Sociali, nel 1978
(Ricerca sulla “popolazione reale”). Consulente del Comitato Regionale Umbro
Radiotelevisivo e curatore di numerose indagini sul sistema dell’emitttenza
locale e sull’ascolto radiotelevisivo. Consulente e collaboratore del Festival
Internazionale del Teatro in Piazza di Santarcangelo di Romagna . Consulente e
collaboratore del Teatro Studio 3 di Perugia, Consulente e collaboratore della
1^ Rassegna Internazionale del Teatro di Strada (Montecelio di Guidonia).
Consulente artistico e scientifico del festival di teatro, musica e cinema
“Segni Barocchi” di Foligno (edizioni). Consulente del Teatro San Geminiano di
Modena, poi centro teatrale “Dramma Teatri”. Consulente e assistente, in qualità di
antropologo del teatro della rappresentazione teatrale de “La escuela de la
escena y la escena de la escuela jesuita en el siglo XVII” a cura di Filippi,
nel quadro del congresso De los Colegios a las Universidades. Las ensenanzas jesuitas y sus
relatos cotidianos, organizzato da la Universidad Iberoamaricana de Ciudad de
Mexico (Città del Messico). Membro
del comitato scientifico dell’International School of Theatre Anthropology
diretta da Barba, con sede a Holstebro, Danimarca. Membro del gruppo di lavoro
internazionale di Sociologia del teatro, con sede presso l’Université Libre de
Bruxelles, Belgio (fino al suo scioglimento). Membro del gruppo di lavoro della
Maison de Sciences de l’Homme (E.H.E.S.S.) “Spectacle vivant et sciences
humaines” Membro del comitato scientifico della quinta sezione di ricerca
“Créations, Pratiques, Publics” della Maison de Sciences de l’Homme – Paris
Nord Membro del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto di
Psicosomatica Psicoanalitica “Aberastury” di Perugia Membro del Comité de
Rédaction de “L’Ethnographie. Noveaux objets, nouvelles méthodes. Revue de la Société
d’Ethnographie de Paris” (dal 2002). Collaboratore
della rivista “Lo straniero. Arte Cultura Società” diretta da Goffredo Fofi
(dalla sua fondazione); già redattore della rivista “Linea d’ombra e
co-direttore de “La terra vista dalla luna” Collaboratore della rivista “Gli
asini. Educazione e intervento sociale”, diretta da Luigi Monti, dalla sua
fondazione Membro del Comitato scientifico della rivista trimestrale “Catarsi.
Teatri della diversità”, dalla sua fondazione – 1996. Membro del Comité scientifique
de la revue trimestrelle “Théâtre Public” Presidente della Fondazione
“L’Immemoriale di Carmelo Bene Membro della Commissione Consultiva per il
Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Membro della Commission
di valutazione dei progetti di cofinanziamento per lo spettacolo – Ministero
per i Beni e le Attività culturali. Consulente della Regione dell’Umbria –
Assessorato alla Cultura, con l’incarico di ricognizione ed esplorazione del
settore teatro nel territorio regionale Membro della Commissione Consultiva per
il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali Membro del Comitato
Scientifico della Fondazione Centro Studi “Aldo Capitini” di Perugia (dal
2012). Membro del Comitato scientifico PerugiAssisi, candidata a capitale europea
per . CORSI E SEMINARI DIDATTICI SPECIALI Partecipazione, in qualità di
docente, ai seguenti corsi o seminari: • Corso biennale per la formazione di
tecnici della ricerca sulle tradizioni popolari nella regione umbra (Perugia corso
regionale di preparazione e aggiornamento per operatori socio-sanitari
impegnati nell’attività di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di
tossicodipendenza (Bologna Corso regionale per operatori culturali nel settore
del cinema (Orvieto Corso di riqualificazione professionale per operatori
audiovisivi: il videotape (Foligno, febbraio-ottobre 1978). • Corso di
formazione professionale per i 28 diplomati di scuola media superiore
(schedatori) previsti dal progetto di “catalogo unico regionale dei beni
bibliografici” (Perugia Corso di formazione professionale per i diplomati di
scuola media superiore (ordinatori di biblioteca) previsti dal progetto
“sistemi bibliotecari comprensoriali” (Perugia Corso Animatori Q/1 - Seminario
sulle comunicazioni di massa (Spoleto Seminario residenziale “L’Atelier: centro
internazionale di ricerche artistiche” (Volterra Soglie: esperienze di confine
tra attore e spettatore”, seminario-laboratorio per studenti e insegnanti delle
scuole medie superiori (Perugia e Todi Corso di Formation Doctorale Esthetique,
Sciences et Technologies des arts della Université Paris VIII à Saint Denis
(lezioni Corso di Scenografia della Facoltà di Architettura e del Dipartimento
di Musica e Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma (lezione “Teatro,
gioco, narrazione”, progetto teatrale per insegnanti delle scuole materne
(Perugia e Città di Castello L’attore consapevole. Seminario teorico-pratico
sull’arte dell’attore” (Fara Sabina, Rieti La società italiana del dopoguerra”.
Seminario di aggiornamento per gli italianisti polacchi, organizzato
dall’Ambasciata d’Italia, dall’Università Jagellonica di Cracovia e
dall’Istituto Italiano di cultura di Cracovia (Cracovia Corso di aggiornamento
A/41 dell’I.R.R.S.A.E. dell’Umbria (Perugia, lezioni Seminario di Antropologia
del teatro per gli allievi della Scuola Civica d’Arte drammatica “Paolo Grassi”
(Milano, Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, “La
cultura del confronto”, organizzato dall’Unicef di Roma (lezione Uomini e
teatro: culture del mondo a confronto”). • I Corso di aggiornamento sulla
didattica del teatro nella scuola - Seminario internazionale su Scuola e Teatro
(Marcellina, Roma Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie
superiori della regione Lazio (Roma Corso Universitario Multidisciplinare di
Educazione allo sviluppo, organizzato dall’Unicef di Bari (lezione Università
del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla “Storia sotterranea del teatro
contemporaneo. Solitudine, tecnica, drammaturgia e rivolta” (Scilla, Reggio
Calabria, Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale” - II
anno: Dalla Commedia dell’arte alla Riforma goldoniana - organizzato da Emilia
Romagna Teatro (Modena, Teatro Storchi, Corso Uni-Tea Figli della storia e maestri
del teatro” (Parma, Corso d’aggiornamento per docenti e dirigenti di ogni
ordine e grado, organizzato dal C.I.D.I. Versilia e dal Provveditorato agli
studi di Lucca e intitolato “Letteratura teatrale e scuola” (Forte dei Marmi,
Convegno-seminario “La musa fra i banchi di scuola. Esperienze e modelli di
relazione / incontro fra teatro e scuola” (Cervia Università del Teatro
Euroasiano, sessione dedicata alla formazione dell’attore e intitolata
“Apprendere ad apprendere” (Scilla, Reggio Calabria Corso Uni-Tea 1998, “Oplà
noi viviamo! Tecniche originarie e tecniche nuove nel teatro d’attore” -
seminario interno al Corso di Sociologia dell’Educazione dell’Università di
Parma (Parma Vedere Fare Pensare Teatro, per una formazione dell’educatore
teatrale”, organizzato dall’E.T.I., dal Teatro delle Briciole, dal G.S.A
Fontemaggiore, dal Teatro Kismet OperA e tenutosi in tre sessioni a Bari a
Isola Polvese - Perugia e a Parma Corso d’aggiornamento per insegnanti degli
Istituti medi e superiori Gli anni della contestazione” (Parma Sulla
verticalità del verso », seminario di e con Carmelo Bene, organizzato dall’Ente
Teatrale Italiano (Roma, Teatro Valle Criticando criticando. Laboratorio
d’analisi dello spettacolo”, organizzata in collaborazione con l’Associazione
Nazionale Critici di Teatro (sessione dedicata al Teatro Ragazzi – Bagnacavallo
sessione dedicata al Teatro di Ricerca - Reggio Emilia I mestieri e le lingue
del teatro”, Seminario di autoapprendimento per operatori dell’area penale
esterna, organizzato dal Teatro Kismet e dall’Università di Bari, con il
patrocinio del Ministero di Grazia e Giustizia (Bari Teatro e Carcere:
l’esperienza della Compagnia della Fortezza” - conversazione con P. Giacchè e
Armando Punzo, in collaborazione con l’E.T.I. (Volterra Ciclo di incontri
organizzati dall’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia
(ottobre-dicembre 1998) “Rivelazioni e promesse del ‘68”; relazione su “Il ‘68
e il teatro” (Cagliari La magia del leggere”, Corso di aggiornamento per
insegnanti e genitori della Scuola Elementare “Ciro Menotti”, Villanova di
Modena Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole elementari del
comprensorio Valle Umbria (Foligno Teatro e Carcere: l’esperienza della
Compagnia della Fortezza”, nel quadro di “Maggio cercando i teatri” organizzato
dall’E.T.I. (Roma, Teatro Valle Il verso dannunziano e il concerto d’autore”,
seminario con A. Asor Rosa, C. Bene, P. Giacchè (Roma, Teatro dell’Angelo Ciclo
di incontri “La parte dello spettatore” (relatore del 1° incontro – Faenza Corso
Uni Tea “Il teatro come disagio antropologico” (Parma Divenire teatro”,
incontri su Antonin Artaud organizzati dal Centro Teatro Universitario di
Ferrara. Relatore dell’incontro: “Artaud fatto Bene” (Ferrara Politica e
società”, ciclo di incontri di formazione politica (Roma, Relatore dell’incontro:
“Minoranze e movimenti nell’Italia del dopoguerra”, insieme a G. Fofi (Roma, Incontri
in scena. Per un’indagine sull’antropologia dell’infanzia” (Vicenza, Teatro
Astra, organizzati dalla compagnia “La Piccionaia – I Carrara” con la
collaborazione dell’Università di Cà Foscari di Venezia. Relatore dell’incontro:
“Antropologia dell’infanzia” “L’utopia del teatro vivente. Living Theatre”
(Siena nel quadro di incontri organizzati dall’Università degli studi di Siena
attorno ai “Cinque sensi del teatro. Cinque trasmissioni monografiche sulla
filosofia del teatro” (Rai-Pontedera Teatro). • “Strumenti innovativi per
favorire l’inclusione sociale”, lezione inaugurale (“Altro è narrare”) del
corso organizzato dal Centro Solidarietà di Modena (CEIS) e da Emilia Romagna
Teatro (Modena Giornate di studio per l’inaugurazione della sezione di ricerca
“Créations, Pratiques, Publics”, presso la Maison de Sciences de l’Homme –
Paris Nord (St. Denis Conferenza sul Living Theatre, nel quadro del seminario
“Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro
contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Conferenza
su Carmelo Bene o delle provocazioni del genio, nel quadro del seminario
“Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro
contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Le
risorse della diversità”, seminario organizzato da Proteo Fare Sapere e dal
Movimento Cooperazione Educativa (Firenze, Educandato SS. Annunziata Corso per
attrici “Il corpo del testo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione;
docente di Elementi di antropologia e cultura del teatro e spettacolo (30 ore
di Antropologia del Teatro Seminario sulle “Quattro lezioni sul teatro” di
Carmelo Bene, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene” e
dall’Università di Lecce (Lecce Dimostrazione-conferenza “L’attore compositore:
Mejerchol’d e la biomeccanica teatrale”, organizzata dal Centro Internazionale
Studi Biomeccanica Teatrale (Perugia giornate di lavoro teatrale: incontri,
dimostrazioni di lavoro, spettacoli Pontedera, Teatro di via Manzoni), nel
quadro di “Generazioni Festival organizzazione e cura della Fondazione
Pontedera Teatro. • Seminario
dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, “Carmelo Bene. Voir la voix, écouter le visible”, coordinato da B.
Filippi e G. Careri (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art comunicazione
Le Sud du Sud des Saints, Teatro in forma di libri”, incontri organizzati dal
Teatro Due Mondi – Casa del Teatro (Faenza Arte dello spettatore”.Corso di
formazione per insegnanti, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione
Fontemaggiore (Perugia, Teatro Sant’Angelo, Seminario orientativo sul settore
spettacolo, organizzato dalla Fondazione Emilia- Romagna Teatro nel quadro
della Laurea specialistica “Progettazione e gestione di attività culturali”
della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Modena (lezione Seminario
di studio nel quadro della Mostra “Carmelo Bene. La voce e il fenomeno. Suoni e
visioni dall’archivio”, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale e dal Comune
di Roma (Casa del Teatri-Villino Corsini comunicazione L’ultimo Bene. La
verticalità del verso, 7.5.05. • Incontro seminariale “Parole chiave per il
teatro” (Lecce organizzato dai Cantieri teatrali Koreja. • “Un’antropologia
della memoria” Conferenza dibattito sul libro di C. Severi Il percorso e la
voce (Perugia, Palazzo dei Priori, Corso “Salute mentale, Antropologia e
Teatro: confronto su un’esperienza di pratica laboratoriale” (Perugia, Parco di
S. Margherita, Padiglione Neri organizzato dal Centro di Formazione della ASL 2
di Perugia. • “Pasolini antropologo” (Gubbio, Biblioteca Comunale Sperelliana nel
quadro del ciclo di incontri “Pasolini e la nuova barbarie. Conversazioni su un
testimone del nostro tempo” organizzato dal Comune di Gubbio Atelier intensif
S.P.O.T. (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre)”, organizzato nel quadro del Master
Europeen conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université
Libre de Bruxelles e organizzato dalla Universitad de La Coruña - Spagna
docente di un corso di Antropologia teatrale. 8 • “Teatro come impegno civile”,
seminario-incontro con Marco Paolini organizzato dai Cantieri Teatrali Koreja
(Lecce Laboratorio di ricerca
interdisciplinare – Quello che ci fa la vita che facciamo, nel quadro del “50°
Seminario di Louis Chiozza”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica
“Aberastury” e dalla Scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica
di Perugia (Città di Castello, Palazzo Vitelli Quadri concettuali per l’analisi
del sistema cultura – Seminari di studio”, organizzati dalla Fondazione Mario
Del Monte di Modena comunicazione su L’antropologia e il “teatro” della cultura
(Modena, Teatro delle Passioni L’ultimo Bene”, conferenza-lezione nel quadro
delle attività didattiche speciali della Fondazione Accademia di Belle Arti di
Perugia (Perugia, 17 maggio 2007). • Seminario di studio “Economia della
cultura, sviluppo umano e politiche culturali”, a cura del CAPP (Centro di
Analisi delle Politiche Pubbliche), Modena; comunicazione su La domanda di
teatro. Una prospettiva antropologica (Modena, Facoltà di Economia, S.P.O.T. II
(Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre) “Espectàculos y dialogo entre culturas: La
adaptacioòn y la escena”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint
en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e
organizzato dalla Universitad de Sevilla; docente di un corso di 8 ore di
Antropologia del teatro e dello spettacolo. • Laboratorio Interculturale di
Pratiche Teatrali (III edizione in collaborazione con l’International School of
Theatre Anthropology, organizzata dal Teatro Potlach, Fara Sabina (Rieti), 13 –
26 ottobre 2008); comunicazione su L’antropologia dello spettatore Seminario –
Convegno “Omaggio a Carmelo Bene” (Centro Teatro Ateneo – Dipartimento Arti e
Scienze dello Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma, 12 – 14
novembre 2008); Prologo al seminario e comunicazione dal titolo A scuola da
Bene Il potere di tutti. Conversazione su Aldo Capitini” (Perugia, Sala
Miliocchi organizzata dall’Associazione “Vivi il borgo”, dalla Società Operaia
di Mutuo Soccorso e dalla Fonoteca Regionale “O. Trotta”. • Giornata di studi
“La religione dell’educazione. Don Milani e Aldo Capitini”, organizzata dalla
L.U.M.S.A. di Roma, Facoltà di Scienze della Formazione (Roma, Aula “Edda
Ducci”, Piazza delle Vaschette Seminario “Migrazioni. Prospettive etnografiche
sullo Stato italiano”, organizzato dal Dipartimento Uomo & Territorio –
sezione antropologica (Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Palazzo Manzoni
Voler Bene al cinema. Omaggio a Carmelo Bene” (Bellaria, Cinema Astra nel
quadro di “Bellaria Film Festival 2009. • Seminario interdisciplinare su:
“Grotowski e la ricerca invisibile” (Perugia, Istituto Aberastury, 20 giugno
2009. • “Bruciare la casa“, incontro-colloquio con Eugenio Barba (Isola Polvese
(PG) nel quadro di “Terre di confine. Lo spazio del teatro”, progetto a cura di
Linea Trasversale. • Séminaire doctoral collectif - Centre d'Etudes Féminines et d’Etudes de
Genre/ CRESPPA-GTM : « Théâtre du genre : production, performance, spectacle »
(Parigi, CNRS , 4 dicembre – comunicazione su “Travestissement à théâtre:
masculin, féminile ou neutre? “). • Séminaire “SPACE-Supporting Performing Arts
Circulation in Europe “- Session Paris (ONDA, Paris Comunicazione “Europe
Toolbox: quelle boîte pour quels outils?” • “Cinema e teatro non si incontrano mai, se non
all’infinito” (Bergamo incontro seminariale nel quadro de “Il teatro vivo.
Introduzione al teatro contemporaneo: Corso di Alti Studi Teatrali organizzato
dal Teatro Tascabile di Bergamo. • “La Festa nelle culture dei popoli: criteri
di autenticità” (Gubbio nel quadro del ciclo di incontri “La Festa nella Festa
dei Ceri”, per la celebrazione dell’anniversario della morte di S. Ubaldo. •
Introduzione e partecipazione al XI Seminario Interdisciplinare dell’Istituto
Aberastury su “La vocazione minoritaria”, condotto da G. Fofi (Perugia Incontro
seminariale su “Lo spettatore partecipante” nel quadro del progetto “Paesaggio
con spettatore” a cura di R. Vannuccini e organizzato da ArteStudio per il
Festival dei Due Mondi – Spoleto (Spoleto, Palazzo Comunale Coordinatore del Laboratorio
di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury “Dialogo con Sctutatori
d’anime di Carlo e Rita Brutti” (Assisi Incontro-conversazione “Radicalism:
Piergiorgio Giacchè speakes about Carmelo Bene with Dora Garcia” (Venezia,
Padiglione Spagnolo della Biennale Arte nel quadro della performance THE
INADEQUATE: ogni giorno un artista in scena (Padiglione spagnolo, 54th
International Art Exibition – Venice Biennale Relatore e conduttore del XIII
Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “L’anima del mondo
viene prima del mondo dell’anima? (Perugia Dialogo teatrale – incontro tra un
antropologo e un avvocato su Teatro Trattamento Carcere, nel quadro di “Stanze
di teatro in carcere 2011. Rassegna intinerante di Teatro Carcere in Emilia
Romagna” (Modena, Teatro delle Passioni La congiura della creatività”,
seminario pubblico con P. Giacchè e R. Sacchettini, organizzato dal collettivo
Nevrosi (Agliana, PT, Teatro Il Moderno Incontro con Marc Augè in dialogo con
Piergiorgio Giacchè, organizzato dal Circolo dei lettori di Perugia (Perugia,
Sala dei Notari Incontro con Piergiorgio Giacchè e Giuseppe Di Leva (Piccolo
Teatro Grassi di via Rovello, Milano nel quadro di “Visioni di Bene. Voce,
teatro, cinema, televisione secondo Carmelo”, Milano Memorie del sottosuolo. Il
teatro raccontato da spettatori speciali: Piergiorgio Giacchè su Carmelo Bene”
(Giardino del MUSAS, Santarcangelo di Romagna nel quadro di Santarcangelo Festival Internazionale del Teatro in Piazza
Raduno degli artisti della scena: Punctum e tempo, dalla fotografia alla
scena”, incontro seminariale a cura di Claudio Morganti, organizzato dal Teatro
Metastasio Stabile della Toscana, nel quadro del festival “Contemporanea 12: le
arti della scena” (Prato, spazio Magnolfi Incontro-Lezione – TITOLO - per il
seminario residenziale Università Elementare de Gli asini nel quadro di
“Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia aprile 2014) • Seminario su “La
parabola dell’animazione teatrale” nel quadro della seconda edizione della
Summer School di Arti performative e Community care (Carpignano Salentino Incontro
con Piergiorgio Giacchè e Alessandro Leogrande condotto da Giovanna Casadio,
intitolato Vizi privati e pubbliche virtù, nel quadro della decima edizione del
“Festival Lector in fabula: Privato, Pubblico, Comune” Conversano, Conversano,
BA, Auditorium di San Giuseppe Conferenza Orizzonti e vertici del “viaggio del
teatro” nel quadro della XVII edizione de “IL TEATRO VIVO. Progetto di
promozione e diffusione del teatro contemporaneo”, organizzato dal Teatro
Tascabile di Bergamo (Bergamo Conferenza Dal Living Theatre all’Odin Teatret,
nel quadro di “Effetti collaterali. Ciclo di incontri per la formazione degli
operatori e del pubblico”, organizzato dal Teatro di Sacco di Perugia (Perugia,
Sala Cutu Incontro-Lezione “Essere giovani, essere attori” (Pistoia, Piccolo
Teatro Mauro Bolognini per il seminario residenziale Università Elementare de
Gli asini “La cultura di massa dall’emancipazione all’alienazione”, nel quadro
di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia Corso residenziale “Si deve,
si può. Ruolo delle minoranze etiche tra globale e locale” - primo modulo Dove
va il nondo? Analisi del presente: il globale e il locale (Lamezia Terme Progetto
Spring organizzato dalla Comunità Progetto Sud in collaborazione con le riviste
Gli asini e Lo straniero. Relazione: “La mutazione antropologica: dal locale al
globale e ritorno Corso di formazione per docenti presso l’Istituto
Omnicomprensivo “D. Alighieri” di Nocera Umbra (PG): intervento formativo di
due ore sul tema “Giovani Oggi Corso d formazione per docenti “Teatro come
cultura delle differenze”, organizzato dal 1° Circolo didattico di Marsciano
(PG) e dal Teatro Laboratorio Isola di Confine; conferenza “A scuola da
Pinocchio” (Marsciano, Sala E. De Filippo Curatore e ideatore dei seguenti
progetti o seminari speciali: • “La casa de l’Odin”, Ciclo di conferenze sulla
cultura teatrale e sull’antropologia del teatro (Valencia, Barcellona,
Castellon e Madrid, Apriamo un salotto: appuntamenti di restaurazione
culturale” - tre cicli di conferenze sulle attività e sulla politica culturale
(Perugia Storia & Geografia. Corso effimero di educazione permanente” -
cinque incontri dedicati a Gabon, Germania, Iran, Argentina e Umbria, per
favorire l’integrazione degli studenti stranieri (Perugia La parte dell’altro.
Teatro ed esperienze antropologiche” - ciclo di conferenze e seminario
conclusivo con E. Barba (Perugia Altro e Teatro” - ciclo di conferenze e
relazioni di ricerca sugli ambiti contigui al teatro (Perugia L’età dell’oro.
Per un teatro giovane” - incontri e discussioni fra giovani gruppi teatrali
(Parma Il primo giorno. Scuola di teatro a scuola” - convegno/laboratorio sul
rapporto tra il teatro nella didattica scolastica e la pedagogia del teatro
(Parma Coordinatore del seminario “L’infanzia ritrovata. Lo sguardo
dell’artista nel presente che muta” (Parma, all’interno del Corso Uni-Tea
Coordinatore del seminario laboratorio “Curare gli affetti. Il teatro come
legame sociale. Un percorso tra luoghi e non luoghi” (Parma all’interno del
Corso Uni-Tea Curatore (assieme a G. Fofi) del ciclo di incontri “L’arte contro
lo stato. Lo stato delle arti” (Santarcangelo di Romagna nel quadro del XXX
Festival “Santarcangelo del Teatri”. • Curatore (assieme a F.Orlandi) del Corso
di aggiornamento per insegnanti della Scuola Media Superiore “Oralità,
Narrazione, Teatro: In Principio era il verbo”, organizzato da Emilia Romagna
Teatro – Fondazione (Modena, Teatro delle Passioni Curatore (assieme a S.
Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontri video spettacoli con il Teatro delle
Albe”. (Spello, Palazzo Comunale e Teatro Subasio organizzato dal Teatro
stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia Coordinatore (assieme al
prof. L. Mango) del Laboratorio di osservazione dello spettacolo contemporaneo,
nel quadro del Festival Internazionale ESTERNI (Terni Curatore (assieme a S.
Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontro con Santagata o Morganti” (Terni,
Officine Ex-Siri organizzato dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore”
di Perugia nel quadro del festival Es-Terni Ideatore e curatore di “Bene Detto.
Oratorio e Laboratorio sull’arte di Carmelo Bene” (Oratorio: Mondaino (RN),
Laboratorio: Mondaino (RN) organizzato da L’arboreto. Teatro Dimora, con la
collaborazione dell’Ass. Liminalia di Perugia e di B. Filippi e S. Pasello. •
“I tagli e le ferite. La poetica della politica e viceversa”, Incontro con gli
artisti italiani nel quadro di “Vie. Scena contemporanea festival”, organizzato
dall’E.R.T. (Modena, Biblioteca Delfini Curatore e conduttore del meeting “Per
Ora Labora” sulla condizione lavorativa dell’attore teatrale, nel quadro del
Cantiere delle Arti (Modena, Biblioteca “Delfini” Ideatore e curatore di
“InizioAzione.Vacanze scolastiche per allievi attori delle scuole di teatro”
(per una ricerca sulla motivazione teatrale), nel quadro del Festival VIE
dell’E.R.T. (Rubiera, Corte Ospitale – Modena, Biblioteca “Delfini” Curatore e
coordinatore dei sei incontri del seminario-laboratorio “Il grande attore e il
piccolo spettatore” a cura del Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di
Perugia e del Dipartimento Uomo e Territorio – sezione antropologica –
dell’Università degli studi di Perugia (Perugia, Teatro Brecht Curatore di
“Autocritica”, quattro incontri fra critici e attori per il Cantiere delle
Arti, nel contesto di Vie Scena Contemporanea Festival (Modena, Biblioteca
“Delfini Curatore e coordinatore del laboratorio per spettatori “Piccolo pubblico”,
organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia
nell’occasione delle repliche degli spettacoli del Progetto Interregionale di
promozione dello spettacolo dal vivo “Teatri del presente” (Teatro Brecht di
Perugia e Teatro Clitunno di Trevi, Curatore e direttore scientifico de “Il
Centro della Visione. Per un’accademia dello spettatore”, progetto organizzato
da Kilowat Festival a Sansepolcro (AR), Ideatore e curatore del progetto “Verso
Capitini, per un Colloquio corale”, prodotto dal Teatro Stabile d’Innovazione
“Fontemaggiore” di Perugia (da aprile 2014 ancora in corso: prima sessione
presso il Teatro Drama di Modena sessione presso il Teatro Brecht di Perugia
Ideatore e curatore del convegno “Il teatro della critica” (Pistoia organizzato
dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese.
CONVEGNI • Convegno su “L’Italia e l’Umbria dal Fascismo alla Resistenza:
problemi e contributi di ricerca” (Perugia Convegno internazionale su “Droga.
Dalle esperienze ad una proposta concreta. Aspetti terapeutici, sociali e
legislativi” (Firenze Incontro seminariale “Musica, Possessione, Spettacolo”
(Greve in Chianti, Firenze Seconda sessione dell’I.S.T.A. - International
School of Theatre Anthropology (Volterra Convegno di studi su “Improvvisazione
e spettacolo” (Firenze Convegno di studi su “Vedere ed essere visti” (Volterra Convegno
di studi su “Come si potrebbe vivere. Corpo e linguaggio” (Vicenza Giornate
della cultura e della partecipazione (Barcellona, Convegno di studi su “Elogio
dei fiori: tecniche personali e creatività” (Volterra, Mostra-Convegno “Spoleto
come titolo” (Spoleto Simposio “Le maître du regard”, nel quadro della terza
sessione dell’I.S.T.A. (Paris, Malakoff Incontri di lavoro con Richard
Schechner” (Pontedera Convegno-seminario su “Cosa narrare e come narrare”
(Bellaria-Igea Marina Convegno Nazionale di Psichiatria “Crisi e costruzione
delle conoscenze” (Massa Convegno “Le forze in campo. Per una nuova cartografia
del teatro” (Modena, sessione dell’I.S.T.A. - “Il ruolo della donna nel teatro
delle diverse culture” (Hostelbro Convegno Nazionale di Antropologia delle
società complesse (Roma sessione dell’I.S.T.A. - “Tradizione dell’attore e
identità dello spettatore. Dialoghi teatrali” (Otranto Convegno su “Teatro e
Emergenza. Quattro incontri” (Bologna Natura e buongoverno del teatro. Convegno
Nazionale per il rinnovamento della scena italiana” (Milano Encuentro de Artes
Escenicas sobre perspectivas, necesidades, metodos, limitaciones y alternativas
para la investigacion y esperimentacion (Mexico D. F. Convegno su “La presenza
misconosciuta. Nuovi progetti di teatro” (Frascati Giornate di studio su
“Grotowski, la presenza assente” (Modena Congresso Mondiale di Sociologia del
Teatro (Bevagna Seminario Internazionale “A la recerca d’un espai teatral
contemporani” (Olot – Catalunya sessione dell’I.S.T.A. - “Università del teatro
euroasiano. Tecniche della rappresentazione e storiografia” (Bologna World
Congress of Sociology (Madrid, 9 - 13 luglio 1990). • Convegno di fondazione di
“Mantis. Centro per la ricerca sui linguaggi del comportamento funzionale”
(Palermo • Convegno su “Culture immigrate e teatro in Europa. Analisi dei
fenomeni interattivi fra culture immigrate e culture europee” (Bologna, 16
novembre 1991). • Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano
(Padova Convegno internazionale su “Teatro Europeo: quali percorsi formativi”
(Torino Congresso Internacional de Sociologia do Teatro (Fondazione Gubelkian,
Lisbona Convegno su “La piazza nella storia. Eventi, liturgie,
rappresentazioni” (Università di Salerno-Fisciano, Seminario-convegno della
Università del Teatro Euroasiano - “Drammaturgie parallele” (Fara Sabina Giornate
di incontri e di studi “Per Carmelo Bene” (Perugia Congresso Nazionale
“L’antropologia e la società italiana” (RomaConvegno “L’identità collettiva e
la memoria storica: un confronto tra Italia e Polonia”, organizzato
dall’Ambasciata d’Italia e dall’Università di Varsavia (Varsavia Convegno di
studi su “L’altra via dell’intelligenza. Teatro e valore” (Terza Università di
Roma Convegno Europeo Teatro e Carcere - “Immaginazione contro emerginazione”
(Milano Convegno su “I sommersi e i salvati. Come, perché, dove e per chi fare
teatro?” (Terza Università di Roma Convegno internazionale per la fondazione
del Centre International d’Ethnoscènologie (Paris Convegno su “Pacifismo,
disobbedienza civile, obiezione di coscienza: il ruolo della Comunità di
Capodarco” (Lido di Fermo Congresso Europeo della Biennale Théâtre Jeunes
Publics - “Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui?” (Lyon Convegno su “Teatro
antropologico e Antropologia teatrale” (Scilla Convegno su “Tradizione e
modernità al sud Convegno Internazionale su “Teatro e Scuola: Università ed
Educazione al Teatro” (Roma. • Convegno “Teatro e Scuola fra espressività e
percezione” (Modena). Congres International de Sociologie du Théâtre (Mons) Convegno
Nazionale su “Arte del narrare, arte del convivere. Incontro tra immigrati,
educatori e artisti narratori” (Palermo, Convegno di studio “Creativi si nasce?
Teatro e creatività nei possibili percorsi della riforma scolastica” (Palazzolo
sull’Oglio - BS). • Convegno su “Le letterature popolari. Prospettive di
ricerca e nuovi orizzonti teorico- metodologici” (Fisciano e Ravello - Università
di Salerno, Convegno su “Il gioco del teatro. L’animazione trent’anni dopo”
(Torino). • Convegno “Processo federalistico delle istituzioni meridionali e
mediterranee” (Messina). • Convegno-Seminario “Carmelo Bene e Gabriele
D’Annunzio. Sulla verticalità del verso” (Roma, Teatro Valle, Acting, Life, and
Style”, convegno per un progetto internazionale di ricerca organizzato
dall’Italienska Kulturinstitutet “C.M. Lerici” e dal Teatervetenskapliga
Institutionen della Universitet Stockholms (Stoccolma,Convegno Europeo di
Teatro e Carcere: “Verso il Duemila, il cammino di un’utopia concreta” (Milano,
tavola rotonda su “Il costringimento e il suo doppio” (Convegno “Io sono la
prima attrice. Crocevia di esperienze tra teatro e handicap” (Milano). •
Convegno “Un teatro per domani”, all’interno della X edizione di Galassia
Gutemberg Mostra mercato del libro e della multimedialità (Napoli, Mostra
d’Oltremare, Galleria Mediterranea, 21 febbraio 1999). • Convegno di studio per
dirigenti e docenti della scuola “Il Corpo - la Macchina tra avventura,
traduzione, mistero” (Calcinate, Bergamo, Congresso “Le Corps du Théâtre. À
partir de la Méditerranée: organicité, contemporanéité, interculturalité”
(Bologna organizzato dalla Maison de Sciences de l’Homme, Ente Teatrale
Italiano e D.A.M.S. dell’Università di Bologna. Encontro Internacional de Novo
Teatro para Crianças e Adolescentes – “Percursos” (Lisboa – Portugal, Centro
cultural de Bélem). • “Per un teatro
popolare di ricerca”, convegno organizzato da La Corte Ospitale (Rubiera,
Convegno Internazionale di Studi “I teatri delle diversità e l’integrazione”
organizzato da Ass. Cult. Nuove Catarsi (Cartoceto –Ps, Convegno Internazionale
“Intrecci tra Educazione Arte Natura nella prospettiva della conversione
ecologica” (Amelia, organizzato dalla Casa Laboratorio di Cenci. • Giornate di
studio e di ricerca “I Sud e le loro Arti” (Arnesano, organizzato dal Comune di
Arnesano (Le) e dall’Università di Lecce. • Convegno “Il cinema al limite, al
limite il cinema” (Perugia, 9 novembre 2001), organizzato da Batik-Perugia Film
Festival Ho sognato che vivevo. Teatri della trasformazione e dell’esclusione.
Esperienze di teatro con protagonisti non comuni (pazienti psichiatrici,
carcerati, portatori di deficit, immigrati) a confronto con studiosi e
amministratori”, (Arena del Sole, Bologna) convegno organizzato dall’Azienda
USL Bologna Nord e dalla Regione Emilia-Romagna Convegno di Studi “Antropologia
e poesia” (Fisciano-Ravello, organizzato dall’Università degli studi di Salerno
e dall’A.I.S.E.A.- Sezione di Antropologia e letteratura. • Convegno “Per un
nuovo Teatro in Italia e in Europa” (Roma, Teatro Valle, organizzato dall’Ente
Teatrale Italiano nel quadro di “Cercando i teatri Convegno “Residui
illimitati” (Bergamo, Chiesa di S.Agostino, 21 giugno 2002), organizzato da Il
Teatro Prova nel quadro del festival “Non voglio perdere la meraviglia. Teatri
e arti tra diversità e alterità”. • Convegno Internazionale “Le arti del ‘900 e
Carmelo Bene” (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea,
organizzato dalla Regione Piemonte e dall’Organizzazione per la Ricerca in
Scienze e Arti di Torino. • Convegno
Internazionale “Performing Through – Tradition as Research at the Workcenter of
Jerzy Grotowski and Thomas Richards” (Vienna, Theater des Augenblicks, Non solo
per piacere. Pratiche teatrali. Adolescenti.
Giustizia. Convegno nazionale sulle esperienze di teatro con minori in area
penale interna ed esterna (Bologna, Maison Française, organizzato dal
Dipartimento Musica e Spettacolo dell’università di Bologna, dalla Regione
Emilia-Romagna e dal Centro Giustizia Minorile per L’Emilia Romagna e Marche. •
Colloque International d’Ethnoscénologie (Parigi, Université Paris Convegno
“L’Attore”, organizzato da Primafila e InScena con il patrocinio delle
Segreterie di stato per il Turismo e gli Istituti Culturali – Repubblica di san
Marino (Sala SUMS, Giornate di lavoro e di studio nel quadro dell’Assemblea
Generale di IRIS - Associazione Sud Europea per la Creazione Contemporanea
(Modena, Palazzo Comunale). Controscuola. Riflessioni ed esperienze
pedagogiche”, convegno organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Museo di
Roma in Trastevere, symposium on tracing roads across “Living Traces –
Performing as a Shared Reality” (in the occasion of the 20th Anniversary of the
Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards), Teatro Manzoni, Pontedera –
PI, Convegno “Réécritures de Médée”, organizzato dal Centre de Recherche en
Etudes Féminines – Etudes de genre del’Université Paris 8 (Saint-Denis, Musée
d’Art et d’Histoire, Il disagio e chi se ne occupa. Crisi dei sistemi educativi
e di cura e prospettive dell’agire sociale”, convegno organizzato dalla rivista
“Lo straniero” (Roma, Sala Civita, Piazza Venezia, 1° Incontro su “Travestitismo
e identità di genere nelle scienze della recitazione” (Napoli, Galleria
Toledo), organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze, Unità di Psicologia
Cilinica e Applicata e dalle Università degli Studi di Napoli Federico II ,
L’Orientale, Suor Orsola Benicasa; comunicazione su Il teatro e l’alterità di
genere. Il caso o l’esempio di Carmelo Bene. Convegno Regionale A.I.Fi Umbria
su “Le alterazioni posturali: dalla conoscenza alla coscienza riabilitativa”
(Trevi, Hotel della Torre, organizzato con la collaborazione dell’Università di
Perugia; comunicazione su Postura e cultura. Il corpo della tradizione e il
corpo della rappresentazione. • Convegno “Venti anni di teatro della Compagnia
della Fortezza – Per un teatro stabile in carcere” (Volterra, Cortile
principale del carcere, coordinatore e relatore. • Convegno internazionale “Il
teatro che ho in testa. Per un festival di teatro da sogno” (Ulassai e Jerzu,
organizzato da Cada Die Teatro, nel quadro di “Ogliastra Teatro, festival dei
tacchi Convegno “La frontiera del teatro. Grotowski 30 anni dopo” (Milano,
Teatro dell’Arte, organizzato dal CRT Centro di Ricerca per il Teatro di
Milano. • Convegno “Teatro e Infanzia”, a cura di G. Fofi e M. Martinelli,
organizzato dal Teatro Stabile di Napoli e da Punta corsara (Scampia-Napoli,
Teatro Auditorium, Journée d’étude “Modes et formes d’émergence dans le
théâtre” (Liegi, Belgio, organizzato, nel quadro del progetto Prospero,
dall’Université de Liège e dal Théâtre de la Place. • “Ricordando Lévi-Strauss.
Convegno di studi” (Macerata, organizzato dal Centro Internazionale di Studi
sul Mito e dall’Università di Macerata. • Convegno seminariale “Chi è il
prossimo?”, organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del 40°
Festival Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di Romagna,
Supercinema, Futuramente. 1° Convegno intorno alla Creatività per le future
generazioni” (Pontedera, Museo Piaggio, organizzato dall’ass. Libera
Espressione e dal Comune di Pontedera (PI). • Journée d’étude “Vous ne trouvez
pas ça tragique? – conversation publique sur l’art, l’esthétique et la
politique” (Tolosa, Francia, organizzata dal Théâtre Garonne, nel quadro di “In
Extremis Una giornata con il Living Theatre – conversazione pubblica (San Sisto
– Perugia, Teatro Bertolt Brecht, organizzata dall’UILT nel quadro della
Giornata Mandiale del Teatro. Convegno Internazionale “Civiltà, culture,
educazione. Le sfide della società tardo- moderna alla pedagogia” (Aula Magna
della Lumsa, Roma, organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione della
LUMSA di Roma. • Convegno seminariale “Un’idea di rivoluzione” , organizzato
dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del Festival Internazionale del Teatro
in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, “Il n’y a pas de révolution
politique possible, s’il n’y a pas d’une révolution poétique” – incontro
internazionale e tavola rotonda sul rapporto tra pratiche artistiche e
mutazioni politiche nelle aree interessate dalla “primavera araba” (Terni,
Festival Internazionale della Creazione Contemporanea, Caos Area Lab,). Journée
d’études “Potlach notionnel sur la performance. National potlach on
performance”, organizzata dall’E.H.E.S.S., dall’Université Paris
Ouest-Nanterre, dal Centre Edgar Morin e dal H.A.R. (Amphithéâtre François Furet,
bld. Raspail, Paris Convegno della Facultatea de Teatru si Televiziune –
Universitatea Babes-Boyai di Cluj-Napoca (Romania) “The Bad Spectator.
Performing Arts between Construction and Destruction / Le mauvais spectateur.
Les arts du spectacle entre construction et destruction”, organizzato dal
gruppo di ricerca Istoria Teatrului, Iconografie si Antropologie Teatrali a
Cluj-Napoca Seminario “L’esperienza del principio. Jerzy Grotowski, l’infanzia
e la rinuncia all’assenza” (Cenci-Amelia, nel quadro della manifestazione
“Sorgenti e torrenti. Omaggio a Jerzy Grotowski e al Teatro delle sorgenti”
organizzata dal Laboratorio di Cenci Convegno “Le théâtre et ses publics: la
création partagée” - 2° Colloque International du Projet Européen PROSPERO
(Salle académique dell’Università di Liegi – Belgio), organizzato dal Théâtre
de la Place di Liegi e dell’Université de Liège. • “Confusion de genres. Journées
d’étude en l’honneur de Jean-Paul Manganaro”, organizzato dall’Université de
Lille 3, dall’Université Paris Ouest-Nanterre-La Defense e dall’Università
Italo Francese (Lille, 29 novembre – 1° dicembre; Paris, 12 dicembre 2012). •
Colloque International “D’après Carmelo Bene” (Parigi, Institut National
d’Histoire de l’Art - Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique -
Cinéma du Panthéon), organizzato da HAR, Université Paris Ouest-Nanterre, Labex
Arts-H2H, Université Paris 8 Vincennes-Saint Denis, CNSAD, Dipartimento Uomo e
Territorio dell’Università di Perugia (in partenariato con Union des Théâtres
de l’Europe e con Emilia Romagna Teatro Fondazione). • Incontro sul tema “Memoria e Identità” (Gubbio,
Biblioteca Sperelliana), organizzato dal Comune di Gubbio e dal Lyons Club
Gubbio Host. “Teatro e nuovo umanesimo”, convegno nel quadro della “Giornata
per Claudio Meldolesi” (Bologna, Laboratorio delle Arti), organizzata dal
Dipartimento delle Arti visive, performative, mediali dell’Università di
Bologna, con il patrocinio dell’Accademia dei Lincei.Convegno Nazionale di
Teatro educativo intitolato “Scrittura e riscrittura. Da testo alla messa in
scena – Esperienze a confronto” (Avigliano Umbro, TR, Colloque international
d’ethnoscénologie, organizzato da Maison des Cultures du monde, Université
Paris 8, Maison des Sciences de l’Homme Paris Nord) •Incontro sul tema “Ai
confini della democrazia” (Roma, La Pelanda) organizzato dalle Edizioni
dell’Asino nel quadro della rassegna Short Theatre n. 8 intitolato “Democrazia
della felicità” (Roma). • Convegno Seminario “Intellettuali e riviste tra
passato, presente e futuro” (Perugia, Sala della Partecipazione del Consiglio
regionale dell’Umbria). • Convegno sulla Rete Regionale dei Teatri (Modena,
Teatro delle Passioni), organizzato dalla Fondazione Mario del Monte e da
Emilia Romagna Teatro. Convegno “La possibilità del teatro. Un incontro di
riflessione e confronto”, organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro
(Pontedera, PI, Teatro Era). Convegno “Il teatro della critica” (Pistoia),
organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale
Pistoiese. RICERCHE ricerche teoriche: Il contesto sociale della criminalità e
della devianza Le basi strutturali dei processi di criminalizzazione” La
solitudine abitativa come fenomeno emergente Riferimenti teorici ed esperienze
empiriche nella fondazione di una antropologia del teatro Cultura dell’attore
nelle tradizioni teatrali euroasiatiche
L’identità dello spettatore e i modelli di fruizione del teatro
Sociabilità, Relazionalità, Spettacolarità Tecniche del corpo e azioni performative
Studio per la realizzazione di uno spettacolo teatrale sul tema del
cooperativismo Elements anthropologiques dans le théâtre contemporain - nel
quadro della partecipazione al Groupe international de recherche
interdisciplinaire “Spectacle vivant et sciences de l’homme” - Maison de l’Homme,
Paris Il teatro e la scuola: le funzioni pedagogiche del teatro e i corsi di
formazione degli operatori teatrali e degli insegnanti - nel quadro
dell’attività dell’Uni-Tea, progetto coordinato dall’Ente Teatrale Italiano.
ricerche empiriche: • Gli atteggiamenti nei confronti della devianza criminale
e dell’istituzione carceraria (ricerca condotta nel quartiere di P.ta Eburnea
di Perugia Le opinioni e gli atteggiamenti degli studenti dell’Istituto Tecnico
per Geometri di Perugia nei confronti della scuola e della condizione umana Indagine
su tipologia e censimento degli organismi di democrazia di base (ricerca per il
Consiglio Regionale dell’Umbria, Ricerca sulla definizione e le caratteristiche
della popolazione “reale” (ricerca del C.R.U.R.E.S. Indagine sull’ascolto
radiotelevisivo in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio
Radiotelevisivo, Ricerca sul comportamento elettorale in Umbria attraverso
l’analisi dei risultati delle elezioni politiche ed europee Indagine sull’esercizio e il mercato
cinematografico in Umbria (ricerca dell’Associazione Umbra per il Decentramento
delle Attività Culturali, Inchiesta sul teatro dialettale in Umbria (ricerca
del Centro Documentazione Spettacolo, sAnalisi dei risultati delle elezioni
amministrative nel comune di Perugia
(ricerca del Comune di Perugia, Ricerca sulla memoria e sulla identità dello
spettatore (ricerca condotta in Salento per l’International School of Theatre
Anthropology). L’informazione televisiva
in Umbria: i notiziari regionali (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il
Servizio Radiotelevisivo, Indagine sulle emittenti radiotelevisive operanti in
Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo,
Aspetti devozionali e spettacolari nelle feste religiose patronali In
compagnia: ricerca e analisi sulle opportunità di lavoro e di impiego nel
settore teatrale” (nel quadro dell’azione pilota “terzo settore e occupazione”
promossa dalla Commissione Europea D.G.V); ricerca coordinata da Emilia Romagna
Teatro con la collaborazione di “Amitié”, Taller de Investigaciòn de la Imagen
Teatrale di Madrid, Teatro delle Briciole, Teatro Festival, Thomas Consulting
Group Ricerca empirica sulla definizione e sulla’informazione e formazione
dello spettatore, all’interno del progetto “100 spettatori da adottare”
organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro e dall’ETI Ente Teatrale Italiano
Il nuovo attore nuovo” Osservatorio scientifico sulla pedagogia dell’attore di
innovazione, applicato al Progetto interregionale “Teatro – Percorsi di Alta
Formazione” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, dai Cantieri
Teatrali Koreja di Lecce e dal Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, in convenzione con
le rispettive Regioni (gennaio – giugno 2008). • Analisi documentale del “Cantiere
delle Arti” – un cantiere transnazionale per la creazione di percorsi integrati
connessi alla realtà produttiva del settore spettacolo dal vivo – costituito da
Emilia Romagna Teatro Fondazione, dalla Regia Accademia Filarmonica e Musica e
Servizio Cooperativa Sociale Sull’opera e il pensiero degli antropologi Giulio
Angioni. Tra antropologia e letteratura (recensione), “Lo straniero Arte
Cultura Società”, Bourdieu: l’autoanalisi di un maestro, “Lo straniero Arte
Cultura Scienza Società, Postfazione alla parte quinta “Dimensioni della festa”
in: T. Seppilli, Scritti di antropologia culturale, (M. Minelli – C. Papa,
curatori), 2 voll., Olschki Ed. , Firenze, La festa, la protezione magica, il
potere, Lo sguardo lontano di Lévi-Strauss, “Lo straniero Arte Cultura Scienza
Società, Lezione e monito dell’ultimo Baudrillard, “Lo straniero. Arte Cultura
Scienza Società”, Sulla condizione e la subcultura giovanile: Dopo Licola, (in
coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, Il corpo e il territorio, “Segno critico, Una
nuova solitudine. Vivere soli tra liberazione e integrazione, (in coll. con P.
Bartoli e S. La Sorsa), Savelli ed., Roma, Protagonismo, narcisismo e
consumismo, “Ombre Rosse, Forza ragazzi, “Linea d’ombra, Disagi giovanili,
disagi senili, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il diavolo, sicuramente,
“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Lo studente quotidiano, “Gli
asini. Educazione e intervento sociale, La Giovane Italia, “Gli asini.
Educazione e intervento sociale, Un saggio Laffi sui giovani e i vecchi, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sulla devianza e la criminalità: La
ricerca dei ricercati. Sociologia dell’ordine pubblico, (in coll. con G.
Baronti), “Ombre Rosse, La organizzazione del consenso nel regime fascista: la manipolazione
ideologica della devianza criminale, (in coll. con G. Baronti), “Studi e
materiali di antropologia culturale”, Perugia, Sulla cultura meridionale:
Mezzogiorno è già passato, in: G. Fofi – A. Leogrande (curatori), Nel sud,
senza bussola. Venti voci per ritrovare l’orientamento, L’ancora del
mediterraneo, Napoli, Sulla cultura politica e la politica culturale: Partiti e
comportamento elettorale. Analisi dei risultati delle elezioni del giugno 1789
in Umbria (in coll. con A. Sorbini), Com.Reg.Umbro PSI, Perugia, Caro nome...,
in: AA.VV., A proposito dei comunisti, Linea d’ombra ed., Milano, La festa
dell’albero. Come ri-nasce un partito, “Linea d’ombra, Invenzione, diffusione e
agonia dell’operatore culturale, “Linea d’ombra, Ebrei e naziskin. I fatti e le
notizie, in: A. Cavaglion (a cura di), Gli aratori del vulcano. Razzismo e
antisemitismo, Linea d’ombra ed., Milano, Il punto e la linea. Maggioranze,
minoranze e critica della politica, “Linea d’ombra, La cultura del
maggioritario, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Una
merce come le altre? La fiera del libro a Torino, “La terra vista dalla luna.
Rivista dell’intervento sociale, Laici ed eretici, “La terra vista dalla luna.
Rivista dell’intervento sociale”, A Perugia c’è cultura da vendere , “L’indice,
Sull’industria della coscienza: una questione di dettaglio , introduzione a:
H.M. Enzensberger, Questioni di dettaglio. Poesia, politica e industria della
coscienza , trad. di G. Piana, ediz. e/o, Roma, La parabola del buon rettore,
“Lo Straniero. Arte Cultura Società, L’età dello stagno , “Lo Straniero. Arte
Cultura Società, Cosa ci tocca vedere, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il
laico e il sacro, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Qualcosa è accaduto, “Lo
Straniero. Arte Cultura Società, Il porto dell’università, fra la nebbia e il
miraggio, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Toni, Bepi e san Francesco (per
tacere di sant’Agostino), “Lo Straniero. Arte Cultura Società, La sera del dì
di festa, “Lo straniero. Arte Cultura Società, Questo Papa e quella guerra, “Lo
Straniero. Arte Cultura Società, La controriforma e il doposcuola, “Lo
Straniero. Arte Cultura Società, Grande Papa, tanta gente, “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società, La questione comica, “Lo Straniero. Arte Cultura
Scienza Società, Il silenzio dei post-comunisti, “Lo Straniero. Arte Cultura
Scienza Società, Il viaggio di Francesco Piccolo nei divertimenti di massa
(recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La mamma ha un cuore
verde. Un racconto di Rosa Matteucci (recensione),“Lo Straniero. Arte Cultura
Scienza Società, La montagna elettorale, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società, Il male minore, in: M. Bon Valsassina (curatore), In fondo al male.
Contributi e Iconografie sul Male, Futura ed., Perugia, Universitas docet, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Un pomeriggio tra le minoranze, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società Silvio, Umberto e i giovani d’oggi, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La parte dell’arte, “Lo Straniero.
Arte Cultura Scienza Società”, G. – V. Giacopini – E. Morreale – N. Lagioia,
Necessità e servitù della critica. Cosa cerca l’arte? A che serve la critica?,
Edizioni dell’Asino, Roma, Prefazione a: Carlo e Rita Brutti, Scrutatori
d’anime. La psicoanalisi che viene, Edizioni dell’Asino, Roma, Lo sciopero e la
grève, ovvero dalla Francia con stupore, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società, Il teatro del prossimo, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”,
Teatro e politica all’italiana: l’Attore e l’Assessore, “Gli asini. Educazione
e intervento sociale”, Via col vento, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società, Specchiarsi nelle vite degli altri. Un romanzo di Emmanuel Carrère,
(recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il maggio è
francese, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Ci fu una volta la
sinistra, ovvero il silenzio dei post-comunisti, Edizioni dell’asino, Roma, La
cultura e la politica, un atto unico in due tempi, “Lo Straniero. Arte Cultura
Scienza Società, Indovinala Grillo!, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società, Fazio ovvero l’ultima volta della tivvù, “Lo Straniero. Arte Cultura
Scienza Società, L’università dei vavassini, “Gli asini. Rivista di educazione
e intervento sociale” (numero monografico su Valutazione e meritocrazia nella
scuola e nella società Il niente che
avanza, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Renzi, “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società, I volontari dell’ottimismo. Marino Sinibaldi riflette
sulla cultura, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sul pensiero e
l’azione di Aldo Capitini Introduzione e cura del volume: A. Capitini,
Opposizione e liberazione. Scritti autobiografici, Linea d’ombra ed., Milano
(riedizione con il titolo Opposizione e liberazione. Una vita nella
nonviolenza, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli). Al servizio (civile) della
coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Capitini
e l’obiezione di coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento
sociale”, Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Liberalsocialismo, ediz.
e/o, Roma, L’obiezione è coscienza. L’insegnamento di Aldo Capitini, “Lo
Straniero. Arte Cultura Società, Introduzione e cura del volume: La religione
dell’educazione. Scritti pedagogici di Aldo Capitini, Edizioni La Meridiana,
Molfetta (Bari), Capitini e i Perugini, “Studi Umbri”, n. 0, anno I, 2009,
(www.studiumbri.it) Cura –assieme a G. Fofi- del volume: A. Capitini, Agli
amici. Lettere 1947-1968, Edizioni dell’Asino, Roma, L’importanza di chiamarsi
prete, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, Sulla cultura teatrale e la
società dello spettacolo: Il teatro delle esperienze, (in coll. con S. De
Matteis), “Quaderni di Teatro, Diario scolastico del sussidiario teatrale,
“Scenascuola”, Un pugno di terra. Conversazione con Eugenio Barba, “Linea
d’ombra, Living memories. Ricordi del Living e memorie viventi, “Teatro
Festival, Antropologia culturale e cultura tetrale. Note per un aggiornamento
dell’approccio socio- antropologico al teatro, “Teatro e Storia, Una bùsqueda
de “antropologia teatral” sobre la identidad del espectator, “Repertorio. Revista de teatro, Memoire
sociologique. Extraits de carnets d’une recherche anthropologique sur
“L’identité du spectateur”, “Buffonneries”, Teatro necesario y teatro
suficiente, “Màscara. Cuadernos
Latinoamericanos de Reflexion sobre la Escenologia”, anno Come lavorare in
discesa. Ragionamenti e aggiornamenti sul teatro “minore”, “Linea d’ombra, Lo
spettatore partecipante. Contributi per una antropologia del teatro, Guerini e
ass., Milano, Uno spettacolo prigioniero e un teatro libero, in: M.T. Giannoni
(a cura di), La scena rinchiusa. Quattro anni di attività teatrale dentro il
Carcere di Volterra, Tracce ed., Piombino, Introduzione all’identità dello
spettatore. Una ricerca di antropologia del teatro, “R.I.S.T. Revue
Internationale de Sociologie du Théâtre, Teatro e antropologia. Note su una
“canoa di carta”, “Linea d’ombra, Una equazione fra antropologia e teatro,
“Teatro e Storia”, L’esplorazione antropologica e i “fines” del teatro,
“Etnoantropologia”, Argo ed. Lecce, Nostalgia del teatro e simulazione della
piazza, in: D. Scafoglio - M. Vitale (a cura di), La piazza nella storia:
eventi, liturgie, rappresentazioni , Ed. scientifiche italiane, Napoli,
Introduzione e cura, Per Bene (Atti del convegno, Perugia), Linea d’ombra ed.,
Milano, De l’anthropologie du théâtre à l’ethnoscènologie, “Internationale de
l’immaginaire, Ed. Maison de Cultures du monde, Paris, Il teatro “privato “del
pubblico. Cenni di storia e appunti sulla fenomenologia dello spettatore, in:
Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale, Ert (Emilia
Romagna Teatro) ed., Modena, Bene. Antropologia di una macchina attoriale,
Bompiani ed., Milano, Premio del Presidente del Premio “G. Pitrè – S. Salomone
Marino). De la consommation
du théâtre au théâtre dans la société de consommation, in: AA.VV., Pourquoi
aller au théâtre aujourd’hui? (Actes du quatrième colloque européen - Biennale
Théâtre Jeunes Publics, Lyon), Les Cahiers du soleil debout, Lyon, Giulio
Cesare”, teatro dei corpi, (recensione),“Lo straniero. Arte Cultura Società, Teatro antropologico: atto
secondo, “Catarsi. Teatri delle diversità, Pozzi – V. Minoia (a cura di), Di
alcuni teatri della diversità, ANC, Consumare teatro , “Teatro e Storia, Shakespeare
e Garibaldi, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Au théâtre
comme à la guerre!, in: Centre Dramatique Hainuyer - Centre de Sociologie du
Théâtre, La mediation théâtrale (Actes du 5è Congrès International de
Sociologie du théâtre organisé a Mons (Belgique)) , Lansman,
Carnières-Morlanwelz (Belgique), Théâtre éducation”, Spettatori non si nasce,
in: Provincia di Modena - Emilia Romagna Teatro,Teatro e scuola fra espressività
e percezione. Atti del convegno (Modena), Centro Stampa Provincia di Modena, O
la guerra o il teatro. Sul film di Mario Martone, Lo Straniero. Arte Cultura
Società, Politica culturale e cultura teatrale , “Primafila. Mensile di teatro
e di spettacolo dal vivo”, Aux confins du théâtre. Sur la relation entre théâtre et
anthropologie , “Diogène, At the Margins of Theatre. On the Connection Between Theatre and Anthropology,
“Diogenes, Il Teatro come ‘attore’ del terzo sistema, in: “In Compagnia. Materiali
per la costruzione di un quadro di riferimento per lo sviluppo dell’occupazione
degli operatori artistici teatrali: il teatro quale strumento di crescita
sociale”, (relazione di ricerca), Emilia Romagna Teatro, Stampa Tem, Modena,
Dell’ascolto distratto e dell’attenta lettura. I versi di Campana ripartoriti
dalla voce di Carmelo Bene, (recensione), “L’indice”, Domande sul presente di
Manfredini, “La porta aperta”, Le bugie della scuola e quelle del teatro,
“Art’o”, Abbecedario della non-scuola del Teatro delle Albe, allegato a “Lo
straniero Arte Cultura Società, Il giullare fatto santo. Fo Dario fu Francesco,
“L’indice”, La settima volta di Riccardo terzo. Incontro con Claudio Morganti
(intervista), “La porta aperta”, Tragedie nella terra, verso il mare, sotto il
cielo. Incontro con Alfonso Santagata (intervista), in: S. Maggiorelli (a cura
di), Tragicamente. Il teatro di Alfonso Santagata, Titivillus ed., Corazzano
(PI), Teatro a cielo aperto. Incontro con Alfonso Santagata in “La porta
aperta”, La fine dello spettatore, in: P. Giacchè (a cura di), Lo spettatore e
le visioni del teatro futuro, “Prove di Drammaturgia”, Entelechia del Bene.
Incontro con Carmelo Bene, “La porta aperta”, Il teatro fuori dai teatri.
Memorie di uno spettatore di provincia, in: F. Gentili (a cura di), Teatri
dell’Umbria. La storia, il gioco, la memoria, Octavo, Firenze, L’arte dello
spettatore, vedere i suoni e ascoltare le visioni, in: Città di Palermo –
Assessorato alle Politiche Educative, Arte del narrare, arte del convivere
(Atti del Convegno nazionale – Palermo Eliocopisteria “Milone”, Palermo, L’identità
dello spettatore. Un saggio di Antropologia Teatrale, “Etnostoria” L’art du
spectateur: voir les sons et écouter les visions, “Diogène”, The Art of
Spectator: Seeing Sounds and Haering Visions, “Diogenes”, Bene, attore della
cultura, “Lo Straniero Arte Cultura Società Lo spettatore del teatro e il
pubblico del rito, in: Cappelli, Lorenzoni (a cura di), La nave di Penelope.
Educazione, teatro, natura ed ecologia sociale. Testimonianze e proposte a
partire dai 20 anni di esperienze della Casa-Laboratorio di Cenci, Giunti ed.,
Firenze, Teatro prigioniero, in: M. Buscarino, Il teatro segreto, Leonardo
Arte, Milano, Il Sessantotto e il Teatro: un anno senza “stagione”, in: AA.VV.,
Rivelazioni e promesse del ’68, CUEC, Cagliari, Un anno senza “stagione”: il
’68 e il teatro, “Lo straniero Arte Cultura Società”, L’avventura finale di
Benigni (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società Questa non è una
tragedia (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, L’altra visione
dell’altro. Una equazione tra antropologia e teatro, L’Ancora del Mediterraneo,
Napoli, Perdere un amico, “Rivista di psicologia analitica”; Lo straniero. Arte
Cultura Scienza Società”, Perdere un amico. Ricordo di Bene) (ripubblicato in:
B. Massimilla (a cura di), La perdita. Lutti e trasformazioni, Vivarium ed..
Milano. Apparire alla Madonna, postfazione a: C. Bene, Sono apparso alla
madonna. Vie d’(h)eros(es). Autobiografia, Bompiani, Milano, L’identitè du
spectateur. Essai d’anthropologie théâtrale, “L’Ethnographie. Création,
Pratiques, Publics Arrevuoto”: il teatro in festa (recensione), “Lo Straniero.
Arte Cultura Società”, Un Amleto di più (recensione), “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società”, Dar corpo alla poesia: l’esempio e il metodo di
Carmelo Bene, in: D. Scafoglio (a cura di), La coscienza altra. Antropologia e
poesia, Marlin ed., Cava de’ Tirreni (SA), Atti del Convegno di Studio
“Antropologia e poesia”, organizzato dall’Università di Salerno,
Salerno-Ravello, Bene. Antropologia di una macchina attoriale – nuova edizione
aggiornata e ampliata, Bompiani ed., Milano, Arrevuoto, n’ata vota
(recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Arrevuoto”: quando
il teatro sospende la dittatura del mondo, in: Teatro delle Albe, M. Martinelli
– E. Montanari (curatori), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta.
Ubulibri, Milano, La verticalità e la sacralità dell’atto, in: A. Attisani – M.
Biagini (curatori), Opere e sentieri. Testimonianze e riflessioni sull’arte
come veicolo, Bulzoni ed., Roma, La dernière Médée. Le mithe dans le théâtre
contemporain: un parcours à l’envers, Réécritures de Mèdée , (sous la direction
de N. Setti – Centre de Recherche en Etudes Féminines et Etudes de genre,
Université Paris 8), “Travaux et Documents”, Saldi di fine stagione, “Lo Straniero.
Arte Cultura Scienza SocietàTeatro: Romeo
all’Inferno, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Un soffio di teatro,
in AA.VV., In cammino con lo spettatore (Laggiù soffia – Era – In carne ed
ossa), (a cura di S. Geraci), La casa Usher, Firenze, De la consommation du
théâtre au théâtre dans la société de la consommation (nouvelle édition),
“Degrés. Revue de synthèse à
orientation sémiologique”, L’effetLiving.
Lavisiond’Artaudparles “Balinais” deNewYork,“Theatre/Public” (L’avant- garde
américaine et l’Europe / II. Impact), Le personnage public et l’acteur privé
(entretien avec Piergiorgio Giacchè pas Ciryl Béghin), “Théâtre et Cinéma 2009.
Marco Bellocchio, Carmelo Bene”, tome 20,
publié à l’occasion du 20e Festival à Bobigny, sous la direction de Dominique
Bax, Voler Bene al cinema, in “Bellaria 27” (catalogo di Bellaria Film
Festival, Lo straniero”, Fellini antropologo. Fra nostalgia e profezia, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàLa nostalgia, merce per tutti, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Bene Detto. Dispensa per Oratorio e
Laboratorio, (a cura di P. Giacchè, con interventi di C. Bene, B. Filippi, G.
Fofi, P. Giacchè, J.P. Manganaro, S. Pasello), L’arboreto – Teatro Dimora,
Mondaino, Il corpo dimenticato: Carmelo Bene, in: U. Birmaumer-M. Hüttler- Palma,
Corps du Théâtre – Il Corpo del Teatro, Hollitzer Wissenshaftsverlag/Verlag
Lehner, Wien (Austria), Los verbos transitivos del teatro. Mirar teatro, in: C.
Lisòn Tolosana (a cura di), Antropologìa: horizontes estéticos, Antrhropos
Émergence et submersion en Italie: le système théâtral et son double, “UBU
Scènes d’Europe- European stages” (numero: Emergence(s) dans le théâtre
européen – in European Theatre), Uomini e dei in un film francese (recensione),
“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, L’antropologia del teatro e il
teatro della cultura, in Borghi – A. Borsari – G. Leoni (curatori), Il campo
della cultura a Modena. Storia, luoghi e sfera pubblica, Mimesis Edizioni,
Milano- Udine, Homo Videns. Quella TV che si guarda da sola, “L’altrapagina”,
Lo spettatore ospite, “Culture teatrali. Studi, interviste e scritture sullo
spettacolo”, n.20, Annuario (Teatri di Voce, a cura di L. Amara e P. Di
Matteo), La parabola dell’animazione teatrale, in: D. Pietrobono – R.
Sacchettini (curatori), Il teatro salvato dai ragazzini. Esperienze di crescita
attraverso l’arte, Edizioni dell’Asino, Roma, Non fare l’amore, in: T. Cots (a
cura di), Loving effects, Quodlibet ed., Macerata, (trad.inglese). Buttare il
bambino nell’acqua sporca, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno
XV, Les Menoventi et le Perithéâtre, in: C. Hurault – G. Banu (curatori),
Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène
européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe
(n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), Liquidité et/ou
verticalité, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides –
territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives
théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue
“Alternatives théâtrales”), Le public est mort. Vive le Public! Sur la poétique
et la politique du mauvais spectateur, in: S. e J. Pop-Curseu – Maniutiu – L.
Pavel-Teutisan – D. Enyedi (curatori), Regards sur le mauvais spectateur –
Looking at the Bad Spectator, Presa Universitara Clujeana, Cluj-Napoca,
Romania, Barba e Carmelo Bene. Vite
parallele e viaggi perpendicolari, “Teatro e Storia”, a. XXVI, vol. IV nuova
serie, Bulzoni ed., (riedito in francese, traduzione di Cristina De Simone in:
Les Voyages ou l’ailleurs du théâtre. Hommage à Georges Banu (Essais et
témoignages réunis par Catherine Naugrette), Éditions Alternatives théâtrales –
Sorbonne Nouvelle-Paris, Il pubblico troppo emancipato, “Quaderni del Teatro di
Roma”, Espectador-Hòspede, “Revista Brasileira de Estudos da Presença”, Porto
Alegre, seer. ufrgs.br/presenca. Le public est mort. Vive le Public!, “Alternatives
théâtrales” (Le mauvais spectateur), Bruxelles, Le “Public” trop émancipé: vers
une poétique pauvre de la politique théâtrale, in: Le théâtre et ses publics.
La création partagée (Actes du 2° Colloque International du Projet Européen
PROSPERO - Liège, Les Solitaires Intempestifs Editions, Besançon, Teatro e
comunità, “Scena”, Sur Sieni, et surtout sur Virgilio. Trois exemples, in Sieni,
Trois Agoras Marseille. Art du geste dans la Méditerranée, Maschietto editore,
Firenze, Risposte o riposte. Cinque
lettere aperte su CB, “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”,
Un Pinocchio letto per Bene, introduzione a: C. Bene, Pinocchio, Bompiani ed.,
Milano,Vers la verticalité du vers, Revue d’Histoire du Théâtre, (D’Après
Carmelo Bene. Actualité), Il combattimento tra la teoria e la poesia (dedicato
a Claudio Meldolesi), “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”,
Il teatro piccolo, povero, nuovo, in: “L’Italia e le sue regioni. L’età
repubblicana, vol. IV Società (a cura di M. Salvati – Sciolla)”, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Abramo Printing,
Catanzaro, Carmelo selon Jean-Paul in: Croisement d’écritures France-Italie. Hommage à Jean-Paul (sous a
direction de Camille Dumoulié, Anne Robin et Luca Salza), éd. Mimésis,
Vêtements liturgiques et corps dévôts, in: Jean-Marie Pradier (sous la
direction de), La croyance et le corps. Esthétiques, corporeité des croyances
et identités (Actes du colloque d’ethnoscénologie, Paris), Presses Universitaires
de Bordeaux. Piergiorgio Giacchè. Giacchè. Keywords: l’altra visione
dell’altro, Clifton, religion and education, ego et tu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacchè: A Cliftonian
implicature” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giacomo: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale degl’icona -- sensibile, imagine, presentazione,
rappresentazione, formante e formato, contentente e contenuto -- l’inspiegabile
– filosofia italiana – scuola d’Avola – filosofia siracusese -- filosofia
siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Avola). Filosofo avolese. Filosofo siciliano. Filosofo
italiano. Avola, Siracusa, Sicilia. Studia estetica. Il rapporto tra estetica e
figura, immagine, rappresentazione. Si laurea sotto Garroni. Insegna a Parma e
Roma. Fonda la Società Italiana d'Estetica. Nell'affrontare il concetto di
‘immagine’ è necessario rifiutare sia l'interpretazione che vede una'immagine
come lo specchio di una cosa (“Fido”-Fido). E necessario rifiutare anche quella
interpretazione del concetto di ‘imagine’ che la considera esclusivamente come
un segno significante di se stesso. Il concetto di ‘rap-presentazione’ implica
qualcosa che si mostra e nel manifestarsi resta ‘altro' dalla ‘percivibilita’ della
rappresentazione stessa. Così, nel ‘presentare’ se stessa, una immagine
manifesta l'altro del perceptible, del rappresentabil. Quell'altro che si
rivela nel perceptibile, nascondendosi a esso. Ed è proprio così che una
immagine si fa un ‘icono’ di quello che e altro il perceptibile. Afferma la
tendenziale perdita di ‘figurativita’ di una immagine e del continuare a
sussistere dell'immagine stessa. Una immagine, infatti, è una segno e insieme
una non-segno. E il paradosso di una “irrealta reale”. Si riferisce al
tentativo di scindere la natura ancipite dell'immagine negli elementi che la
compongono. Da una parte in un “readymade” (come l’urinale di Duchamp), nel
quale la dimensione rap-presentativa si dissolve in una dimensione puramente
PRE-sentativa, e dall'altra in una pura immagine soggetiva, dotata di un debole
supporto materiale. Una immagine e una meta-immgine: l’immagine di una immagine
(homuncular regressus ad infinitum of Griceian theories of representation,
according to Cummings, but not Grice!). Di questo modo, una immagine non e
neppure propriamente immagini quanto piuttosto una ‘simul-azioni’, simile allo
imperceptibile, un “simul-acro”. Non a
caso una immagine, in quanto ri-produzione (doppia) ha uno scarso valore di
immagine, giacché quello a cui tende è l’assumere dell’ ‘aspetto’ di una cosa. L’immagine perde così quella connessione di ‘trasparenza’
o ‘opacità’ che caratterizza una immagine autentica. Di qui, appunto, la questione
di realizzare una immagine vera e propria. Troviamo il superamento della dimensione
epifanica che è propria dell'icona, dove appunto il perceptibile è il luogo di
mani-festazione di la cosa impercetibile – l’Assoluto di Bradley. Emerge una
concezione dell'immagine che, nella consapevolezza dell'impossibilità di ogni
pretesa di esaurire ‘il reale’ e insieme di ‘manifestare’ l'Assoluto, può
essere interrogata come testimonianza di quanto non si lascia ‘tradurre’
(translation) in immagine: testimoniare, infatti, è raccontare ciò che è
impossibile raccontare del tutto. In questo modo, la testimonianza fa tutt'uno *non*
con la memoria in quanto conformità con l'accaduto, ma con l’immemoriale -- qualcosa
che non possiamo né ricordare né dimenticare, che non è dicibile né indicibile.
Insomma, il testimone parla (spiega, dispiega) soltanto a partire da
l’impossibilità concettuale di spiegare o dispiegare. Che l'immagine valga
allora come testimonianza significa che il tentativo di dire l'indicibile (spiegare
l’inspiegabile) è un compito infinito. La questione dell'immagine è una
questione di fidanza, di etica. In una immagine, non essendoci alcuna
compiutezza, non si dà alcuna redenzione né alcuna pacificazione nel confronto
col reale. Analissare l’immagine come testimonianza equivale a vedere
l’immagine come il luogo di una tensione sempre irrisolta tra memoria e oblio, e
quindi come l'espressione del dover essere (il possibile) del senso in un
orizzonte, come l’attuale. quale sempre di più sia il mondo che l'arte sembrano
essere abbando il NON-senso. Altre opera: “Dalla logica all'estetica”
(Parma, Pratiche); Icona “L’immagine tra presentazione e rappresentazione” (Palermo,
Centro studi di estetica); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra
Ottocento e Novecento, Roma-Bari, Laterza. Introduzione a Paul Klee, Roma-Bari,
Laterza, "Ripensare le immagini", Mimesis, Milano, "Volti
della memoria", Mimesis, Milano, Narrazione e testimonianza. Quattro
scrittori italiani del Novecento, Milano, Mimesis, "Malevic. Pittura
e filosofia dall'Astrattismo al Minimalismo", Carocci, Roma, Fuori
dagli schemi. Estetica e figura dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari,
"Arte e modernità. Una guida filosofica", Carocci, Roma,
"Una pittura filosofica: l'informale", Mimesis, Milano, Nietzsche.
L'eterno ritorno", Alboversorio, Milano, Media e divulgazione Art and Perspicuous Perception in
Wittgenstein’s Philosophical Reflection, L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin
e Adorno. Il saggio più importante per il rapporto tra estetica e letteratura è
Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Cf.
"Dalla logica all'estetica”, "Alle origini dell'opera d'arte
contemporanea" “Astrazione e astrazioni”, "La questione dell'aura tra Benjamin e
Adorno", Rivista di Estetica, “Volti della memoria”. Professore ordinario
di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università
di Roma e professore a contratto di Estetica presso stessa la Facol- tà. Sempre
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, è
stato membro del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in “Filosofia e
Storia della filosofia” e Presidente del corso di laurea Magistrale in
“Filosofia e Storia della filosofia”. È socio fondatore e membro del Consiglio
di Garanzia della Società Italiana d’Estetica (SIE). È direttore della collana
Figure dell’estetica presso l’editore Albover- sorio (Milano) e della collana
Forme del possibile, presso l’editore Mimesis (Milano); fa parte del Comitato
scientifico della rivista Paradigmi, della rivista Studi di estetica, della
Rivista di estetica, della rivista Estetica. Studi e ricerche, della rivista
Compren- dre. Revista catalana de filosofia, della rivista on line Memoria di
Shakespeare. A Jour- nal of Shakespearean Studies e di Aesthetica Preprint,
collana editoriale del Centro In- ternazionale Studi di Estetica. Fa parte
inoltre del Comitato scientifico delle seguenti collane editoriali: Filosofie (Mimesis,
Milano), Caffè dei filosofi (Mimesis, Milano), Eterotopie (Mimesis, Milano). È
stato Coordinatore nazionale dell’Osservatorio di Storia dell’Arte della
Società Ita- liana di Estetica e coordinatore, di numerose Ricerche di Ateneo
dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” relative a diverse tematiche
filosofi- che, estetiche e artistiche. E’ stato inoltre responsabile di diversi
progetti PRIN. Direttore del Museo Laboratorio di Arte Contem- poranea (MLAC)
della Sapienza Università di Roma. Come Direttore del Museo Labo- ratorio di
Arte Contemporanea della Sapienza Università di Roma, ha ideato e coordina- to,
in collaborazione con la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e con il
Teatro Argentina di Roma, numerose iniziative di carattere seminariale aventi
per oggetto la filosofia, la letteratura, la musica, le arti figurative, il
teatro. Collabora con il Teatro Eliseo all'interno del quale tiene una serie di
conferenze e organizza seminari sul teatro, la musica, la letteratura e le arti
visive. Collabora inoltre con la Fondazione Pri- moli di Roma e con il Museo
Andersen (Polo Museale del Lazio). Tra le sue pubblicazioni: Dalla logica
all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein (Parma); Icona e arte astratta.
La questione dell’immagine tra presentazione e rappresentazione (Palermo);
Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Otto- cento e Novecento
(Roma-Bari, 1999; trad. in lingua spagnola a cura di D. Malquori, Estética y
literatura, Universidad de Valencia, Servicio de Publicaciones); Introduzione a
Paul Klee (Roma-Bari); Alle origini dell’opera d’arte contemporanea
(Roma-Bari); Beckett ultimo atto (Milano), Ripensare le immagini (Milano);
Astrazione e astrazioni (Milano); L’oggetto nella pratica artistica,
(Paradigmi), Il Museo oggi (Studi di Estetica), Aura (Rivista di Estetica),
Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo (Roma), Fuori
dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi (Roma-Bari, 2015;
trad. in lingua spagnola a cura di Juan Antonio Méndez, Al margen de los
esquemas. Estética y artes
figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la
Medusa, Madrid), Filosofia e teatro (Paradigmi), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica (Studi di Estetica), Tra arte
e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni (Milano), Arte e modernità. Una
guida filosofica (Roma), Una pittura filosofica. Tàpies e l'informale (Milano),
Nietzsche e l’eterno ritorno (Milano). Partecipa a progetti di ricerca
internazionali e a progetti di ricerca europei. Ha svolto attività didattica e
di ricerca (tenendo conferenze, lezioni e seminari, partecipando a convegni di
studio e svolgendo attività didattica anche in qualità di correlatore o tutor
di tesi di laurea e di Dottorato) presso importanti istituzioni straniere sia
accademi- che che extra-accademiche, in Spagna, Russia e Messico: Facultat de
Filosofia, Universitat de Barcelona; Facultat de Pedagogia, Universitat de
Barcelona; Facultat de Filosofia, Universitat “Ramon Llull”, Barcelona;
Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans; Ateneu de Vic;
Ateneu de Barcelona; Associació Filosòfica de les Illes Balears, Mallorca;
Facultat de Filosofia i Lletres, Universitat de les Illes Balears, Mallorca;
Facultat de Filosofia i Ciències de l’educació, Universitat de València;
Facultad de Filosofía, Universidad Complutense de Madrid; Istituto di studi
post-universitari “SS. Cirillo e Metodio”, Mosca; Russian Christian Academy for
the Humanities, S. Pietroburgo; “Peter the Great” St. Petersburg Polytechnic
University, S. Pietroburgo; Producciòn Artìstica Contemporànea Coloquio (PAC),
Centro Cultural San Pablo, Ciudad de Oaxaca, Messico. Nietzsche e l’eterno
ritorno, Commentario a F. Nietzsche, L’eterno ritorno, Al- boversorio, Milano,
Arte e modernità. Una guida filosofica, Carocci, Roma, Una pittura filosofica.
Antoni Tàpies e l'informale, Mimesis, Milano, Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal
Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari, Méndez, Al margen de los esquemas.
Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La
balsa de la Medusa, Madrid, Malevič. Pittura
e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo, Carocci, Roma, Narrazione e
testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Mimesis, Milano,
Introduzione a Paul Klee, Laterza, Roma-Bari, Estetica e letteratura. Il grande
romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari (quinta ed.; trad. in
lingua spagnola a cura di D. Mal- quori, Estética y literatura, Universidad de
Va-lencia, Servicio de Publicaciones, Icona e arte astratta. La questione
dell'immagine tra presentazione e rappresen- tazione, «Aesthetica Preprint»,
Palermo, Dalla logica all'estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche,
Parma, G., L. Talarico (a cura di), Letture shakespeariane. Otello e Re Lear,
«Studi di Estetica, Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti visive, musica,
architettura, «Rivista di Estetica», G. (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi
fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Giacomo, L. Talarico (a cura di),
Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi, Marchetti (a cura di), Tra il
sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, «Studi di Estetica, Marchetti (a
cura di), Aura, «Rivista di Estetica. G., A. Valentini (a cura di), Il museo
oggi, «Studi di Estetica», Volti della memoria, Mimesis, Milano, G. (a cura
di), Astrazione e astrazioni. In occasione di una mostra di Gualtiero Savelli,
Alboversorio, Milano, Marchetti, L'oggetto nella pratica artistica, «Pa-
radigmi», Angeli, Milano, G. Ripensare le immagini, Mimesis, Milano, G. e Colombo,
Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Milano, G. Zambianchi (a cura di), Alle
origini dell'opera d'arte con- temporanea, Laterza, Roma-Bari, Introduzione a
D. Malquori, L’incomprensibile ambiguità dell’orizzonte. Un so- gno fatto a
Ginostra, Mimesis, Milano, collana Narrativa Mele d’Oro, Il problema della
forma nella Teoria estetica di Adorno, in M. Manicone (a cura di), Sostanza di
cose sperate. Scritti in onore di Franco Purini, Iiriti Editore, Campo Calabro
(RC) Re Lear. “Essere maturi” in un mondo abbandonato alla cecità e alla
follia, in G. e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, Studi di
Estetica», Otello: la tragedia della parola e il ruolo della narrazione, in G.
e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», Dostoevsky, a
writer and philosopher: “The Grand Inquisitor”, in “ACTA ERU- DITORUM”, Publishing house of the Russian Christian
Academy for the Humanities, Tradició i innovació en l’art, in “La Tradició”,
Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans,
Understanding of the image in Plato, PLATO AND ANCIENT SCIENCE, Collection of
materials of CONFERENCE THE UNIVERSE OF PLATONIC THOUGHT», RUSSIAN CHRISTIAN
ACADEMY FOR HUMANITIES, Saint Petersburg, Appendice alla rivista di Fascia A
(in Russia “VAK”) “Vestnik” della RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMANI- TIES. Redattori: Svetlov R. V., Robinson T. M. (Canada),
Protopopova I. A., Mochalo- va I. N., Kurdybajlo D. S., Shmonin D. V., Alymova
Form, appearance, testimony: reflections on Adorno’s Aesthetics, in Matteucci,
Marino (a cura di), Theodor W. Adorno: Truth and Dialectical Experience /
Verità ed esperienza dialettica, “Discipline filosofiche”, Quodlibet, Macerata,
Tàpies e Bill Viola: un'arte che sopravvive alla mercificazione, in G., L.
Marchetti, Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, “Rivista di
Estetica, Composizione, costruzione, icona nella concezione artistica di Pavel
Florenskij, in D. Guastini, A. Ardovino, I percorsi dell'immaginazione. Studi
in onore di Pietro Montani, Pellegrini Editore, Cosenza, Prefazione a A.
Lanzetta, Opaco mediterraneo. Modernità informale, Libria, Foggia, Reflexions
filosòfiques sobre la festa. Entre temporalitat i eternitat, in “La festa”,
Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, The Myth. Aesthetic surgery clearly
demonstrates what Greek myth has already taught us: beauty stems from horror,
in Gandola, P. Persichetti (a cura di), Art of Blade. A book about surgery and humanity, T.A.M. La guerra i
l'art, in La guerra, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Arte e
vita nella Recherche di Marcel Proust, in G., Tra arte e vita. Percorsi fra
testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Lettura dell’Amleto, in G. Di Giacomo,
L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi»,
Lettura del Macbeth, in G., L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto
e Macbeth, «Paradigmi», Arte, linguaggio e rappresentazione nella riflessione
filosofica di Wittgenstein in Comprendre. Revista Catalana de Filosofia, Icona
e immagine, in G. Bordi, J. Carlettini, M.L. Fobelli, M.R. Menna, P. Poglia- ni,
L'officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, Gangemi, Roma, El
poder i les seves representacions, in L'estat, Colloquis de Vic., Dalla
modernità alla contemporaneità: l’opera al di là dell’oggetto, in G., L.
Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica,
Studi di Estetica Entre la paraula i el silenci: la filosofia com a recerca de
la veritat, prefaci a Bosch-Veciana, "Imatge-Mirada-Paraula", Barcelona,Facultat
de Filosofia, L’immagine artistica tra realtà e possibilità, tra “visibile” e
“visivo”, in P. D’Angelo, E. Franzini, G. Lombardo, S. Tedesco, Costellazioni
estetiche. Dalla storia alla neoestetica. Studi in onore di Luigi Russo,
Guerini e Associati, Milano, La questione dell'aura tra Benjamin e Adorno, in
«Rivista di Estetica», Pizzuto: tra
letteratura e filosofia, in D. Perrone (a cura di), La vera novità ha nome
Pizzuto, Bonanno, Catania, Bellezza e chirurgia estetica, in Studi di Estetica Il
paradosso dell'apparenza nel teatro di Genet, in «Comprendre. Revista Catalana
de Filosofia La qüestió de la imatge a partir del debat sobre la icona, in
«Colloquis de Vic», Societat Catalana de Filosofia, Art and Perspicuous Vision
in Wittgenstein's Philosophical Reflection, in “Aisthe- sis. Pratiche,
linguaggi e saperi dell’estetico”, fu press.net/ index.
php/aisthesis/ article
L'opera di Kafka come narrazione
infinita, inValentini, Il silenzio delle Sire- ne. Mito e letteratura in Kafka,
Mimesis, Milano, Lo statuto paradossale del museo tra globalizzazione e
apertura all'alterità, in «Studi di Estetica», Il Museo oggi, G. e Valentini,
Memoria e testimonianza tra estetica ed etica, in Volti della memoria, a cura
di G. Mimesis, Milano, La idea d'Europa entre la cosciència de l'ocàs i
l'obertura a l'altre, in Europa, in J. Monserrat, I. Roviró, B. Torres,
Societat Catalana de Filosofia, Barcelona, Atti del convegno, Colloquis de Vic,
Arte e mondo. A proposito di alcune riflessioni di Huberman su Brecht, in
Guastini, A. Campo, D. Cecchi Alla fine delle cose. Contributi a una storia
critica delle immagini, La Casa Usher, Firenze, Intervista sulla bellezza, in
Scuderi N. (a cura di), A me la mela. Dialoghi su bellezza, chirurgia plastica
e medicina estetica, Franco Angeli, Milano, La produzione artistica
contemporanea attraverso la riflessione di Benjamin e Adorno, in «Studi di
Estetica», La relaciò entre imatge i temporalitat en la reflexiò de Warburg,
Benjamin i Adorno, in I. Rovirò Alemany, Estètica catalana, estètica euro- pea.
Estudis d’estètica: entre la tradiciò i l’actualitat, Barcelona,
L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin e Adorno, in “Aisthesis. Prati- che,
linguaggi e saperi dell’estetico”, fu press.net index.php/aisthesis/ article/view
Arte e realtà nella produzione artistica del Novecento, in G., L. Marchetti, L’oggetto
nella pratica artistica, Paradigmi Angelini, Milano,Il percorso di Gualtiero
Savelli: dall'astrattismo di Malevič e Mondrian all'astrazione geometrica, in
G. Di Giacomo (a cura di), Astrazione e astra- zioni. In occasione di una
mostra di Savelli, AlboVersorio, Milano, La bellezza. Promessa di Immortalità?,
in “Medic. Metodologia Didattica e Innovazione Clinica”, Ripensare l'aura nella
modernità, in L. Russo (a cura di), Dopo l'Estetica, «Aesthetica Preprint»,
Supplementa, Palermo, Il male oggi. Produzioni artistiche e riflessioni
estetiche, in P. D'Oriano, D. Rocchi (a cura di), Il male e l'essere, Mimesis,
Milano, Arte e moda nella riflessione estetica di Adorno, in P. Romani,
Percorsi teo- retici. Scritti in onore e in memoria di P.M. Toesca, Diabasis,
Reggio Emilia, Forma e riflessione nel romanzo moderno, Fusillo, Philosophie du
roman, Revue Internationale de Philosophie, Meyer, Bruxelles, Il silenzio, il
vuoto e la fine della rappresentazione, in G. e Colombo, Beckett ultimo atto,
Albo Versorio, Milano, Immagine, icona, opera d'arte, in Desideri, G.
Matteucci, J.M. Schaeffer (a cura di), Il fatto estetico. Tra emozione e
cognizione, ETS, Pisa, La questione del rapporto arte-forma nella riflessione
di Prinzhorn sulle "Produzioni plastiche" dei malati mentali,
Prefazione a F. Bassan, Al di là della psichiatria e dell'estetica. Studio su
Hans Prinzhorn, Lithos, Roma, La questione dell'immagine nella riflessione
estetica del Novecento, in G. Di Giacomo (a cura di), Ripensare le immagini,
Mimesis, Milano, Le Mal aujourd'hui. Productions artistiques et rèflexions
esthètiques, in «La règle du jeu», Adorno: arte ed estetica dopo Auschwitz, in
Failla, Dialettica negativa: categorie e contesti, Manifesto libri, Roma, C'è
ancora spazio per l'aura nella scultura contemporanea? A proposito di Mainolfi,
in Luca (a cura di), Intorno all'immagine, Mimesis, Milano, Postfazione, in G.
e Zambianchi Alle origini dell'opera d'arte contemporanea, Laterza, Roma-Bari,
Ferrari ed Garroni: un incontro, in Romano, M. Romanini, S. Tauriello (a cura
di), La metafora nella relazione analitica, Mi- mesis, Milano, Modernitat,
Societat Catalana de Filosofia, Barcellona, Modernità e arte, in J. Monserrat
Molas, I. Roviró Alemany (a cura di), La [Atti del convegno, Colloquis de Vic,
Dal cosmo al caos: la pittura di Paola Romano, in Paola Romano, Catalogo della
Mostra, Print Company, Roma, Ironia e romanzo, in P. F. Pieri (a cura di),
Perché si ride. Umorismo, comicità, ironia, Moretti & Vitali, Bergamo, La
connessione arte-moda nella riflessione estetica del Novecento, Almanacco
Odradek Arte, storia dell'arte e beni culturali, in Goldoni, M. Rispoli, R.
Troncon, Estetica e management nei beni e nelle produzioni culturali, Il
Brennero - Der Brenner, Bolzano - Trento - Vienna, Da Nietzsche a Benjamin:
riflessioni sulla metropoli e dialettica del risveglio, in Colombo, Fictions.
Studi sulla narratività, Il Tintoretto di Sartre, tra presentazione e
rappresentazione, in Farina, Bollettino Studi sartriani. Gruppo ricerca Sartre,
Toesca: il rovesciamento della prospettiva, ovvero il doppio sguardo, in
«Eupolis» Sul corpo. Riflessioni filosofiche e psicoanalitiche, Eupolis, Vedere
e vedere-come: le "Osservazioni sulla filosofia della psicologia" di
Ludwig Wittgenstein, in S. Borutti, L. Perissinotto, Il terreno del linguaggio.
Testimonianze e saggi sulla filosofia di Wittgenstein, Carocci, Roma, La poesia
dopo Auschwitz, Eupolis, Sul rapporto arte-vita a partire dalla Teoria estetica
di Adorno, in «Idee», Visione, forma e contenuto in Arnheim e Wittgenstein, in Pizzo
Russo (cur.), Arnheim. Arte e percezione visiva, Aesthetica Preprint»,
Supplementa, Palermo, Arte e rappresentazione nella "Teoria estetica"
di Adorno, Cultura tedesca, Le idee estetiche di Stendhal, in Colesanti,
Jacquelot, Norci Cagiano, A. M. Scaiola, Beyle "Romano, Edizioni di Storia
e Letteratura, Roma, Rappresentazione e memoria in Aby Warburg, in C. Cieri
Via, Montani, Lo sguardo di Giano. Aby Warburg fra tempo e memoria, Aragno,
Torino, Il problema della rappresentazione in Gombrich e Goodman, in «Studi di
estetica», Il tema della bellezza nel romanzo moderno, in F. Sisinni (a cura
di), Riflessioni sulla bellezza, De Luca, Roma, Le nozioni di famiglia, classe,
individuo nella riflessione estetica di Morpurgo-Tagliabue, in Russo, Morpurgo-Tagliabue
e l'estetica Aesthetica Preprint», Palermo, Sguardo, simbolo, mito. Viaggio in
un museo immaginario, in Baruchello, Cosa guardano le statue, Danilo Montinari
Editore, Ravenna, Comprensione e rappresentazione in Wittgenstein, in «Il
cannocchiale», Sulla rappresentazione, in Cao, Catucci, Spazi e maschere
dell'architettura e della metropoli, Meltemi, Roma, Eros come narrazione nella
Ricerca del tempo perduto di Proust, Almanacchi nuovi, Il Secondo Concilio di
Nicea e il problema dell'immagine, in L. Russo (cur.), Nicea e la civiltà
dell'immagine, Aesthetica Preprint, Palermo, Genet e il paradosso
dell'immagine, in Montani (cur.), Senso e storia dell'estetica. Studi offerti a
Emilio Garroni in occasione del suo set- tantesimo compleanno, Pratiche, Parma,
Etica ed estetica nella filosofia del giovane Lukács, Introduzione a G. Lukács,
Teoria del romanzo, Pratiche, Parma, Realtà e Finzione in
"Dissonanzen-Quartett" di Garroni, La ragione possibile, Il
comportamento cognitivo dell'uomo nell'epistemologia evoluzionistica di Popper,
in «Terzo Mondo», L'epistemologia di Mach fra positivismo e costruttivismo,
Lineamenti, Senso e significato nella filosofia del linguaggio di Wittgenstein,
in Gargani, Il Circolo di Vienna, Longo, Ravenna, La nozione d’uso e la
funzione della filosofia in Wittgenstein, in Gargani, Wittgenstein e la cultura
contemporanea, Longo, Ravenna, Implicazioni e aspetti epistemologici della
sociobiologia, in M. Ingrosso, S. Manghi, V. Parisi (cur.), Sociologia
possibile, Angeli, Milano, Natura e cultura: il rapporto tra strutture
genetiche e processi di apprendimento nel comportamento animale e umano, in AA.
VV. (a cura di), L'osservazione del comportamento sociale, Regione Piemonte,
Torino,PROGETTI DI RICERCA - Progetto PRIN Tema: La forma dell’immagine Ente
promotore: MIUR Progetto PRIN Responsabile Tema: Estetica analitica ed estetica
continentale: problemi, prospettive e tradizioni a confronto Ente promotore:
MIUR Progetto PRIN / Responsabile nazionale e Coordinatore dell’unità locale
Tema: Memoria e rappresentazione nella riflessione filosofica e artistica Ente
promotore: MIUR Coordinatore dei Progetti di Ateneo: Progetto di Ateneo:
Immagine e rappresentazione. Problemi estetici, artistici e storici Ente
promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati
e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore:
Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi
delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università
di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini
nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma
"La Sapienza Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione
filosofica e artisti- ca del Novecento - Ente promotore: Roma Progetto di
Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica, storica e
artistica - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" Progetto
di Ateneo: Rappresentazione, memoria e testimonianza nella riflessione
filosofica e artistica - Ente promotore: Roma
Progetto di Ateneo: La questione arte-vita nella società multiculturale.
Identità, immagine e implicazioni etico-politiche - Ente promotore: Università
di Roma “La Sapienza; - Progetto di Ateneo: Il tema
dell'"Annunciazione" come chiave di lettura degli at- tuali processi
di globalizzazione Ente promotore: Roma Progetto di Ateneo: Memoria e
rappresentazione nella riflessione estetica e arti- stica Ente promotore: AST -
Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Evento e
testimonianza nell'estetica del Novecento Ente promotore: AST - Università di
Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Il problema dell'aura
nell'arte contemporanea Ente promoto- re: AST - Università di Roma "La
Sapienza" Coordinatore dei Seminari dell’Osservatorio di Storia dell’Arte
della Società Italiana di Estetica, presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” - Seminario sul tema Estetica
e storia dell’arte: necessità di un dialogo; Seminario sul tema Fine (della
storia) dell'arte?; - Seminario sul tema Arte, Estetica, Visual
Studies;Seminario sul tema Oggetto artistico e oggetto comune; Seminario sul
tema Leggere l'opera d'arte; Seminario sul tema Ancora l’aura oggi? Seminario
sul tema Che cos’è il museo oggi? Cfr. inoltre: - Sito ufficiale: giuseppe di giacomo. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_Giacomo; fr. wikipedia.
org/ wiki/ Giuseppe_ Di_Giacomo wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_Giacomo //de. wikipedia.
org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo
//ca. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo ROMANTIC PAINTERS and
playwrights of the nineteenth century found rich material in the lives of the
old masters. Fueled by
irresistible half-truths and rumors, they created swashbuckling narratives
about the personal intimacies and rivalries, as well as the career failures and
triumphs, of the Italian Renaissance artists. At the Paris Salon of 1843, for
instance, Léon Cogniet unveiled his grand entry, a large canvas depicting
Tintoretto painting a portrait of his beloved daughter Marietta, who lies on
her death bed. Three years later, the painter and playwright Luigi Marta
published a melodrama about an amorous intrigue that supposedly led to the
death of Marietta, who assisted her father as an artist in his workshop. The
six-episode play reads like a soap opera in which the aristocratic Alfredo is
pitted against Marietta’s true love, Valerio Zuccato, a Venetian mosaicist (and
thus, in Tintoretto’s world, a fellow craftsman). The play circles around the
inevitable showdown between the arrogant count and the sincere artist, which
precipitates Marietta’s death at the hands of the entitled, privileged, and
violent Alfredo. Parallel to this love story, the reader is regaled with
the homosocial rivalry between Tintoretto and Titian, with Paolo Veronese
appearing as an intercessor who mediates a grandiloquent reconciliation scene
in which all three masters unite to defend the honor of the Venetian state. The
narrative unfolds against Tintoretto’s commission for the Last Judgment
(1562–64) in Santa Maria dell’Orto. Marta’s artist was thus, in no uncertain
terms, a struggling genius waiting for recognition from his fellow artists even
at the height of his success. Indeed, the episode concludes with Titian’s transformative
endorsement—Ora non siete più il povero Tintoretto, ma bensì il famoso Giacomo
Robusti (“now you are no longer the poor ‘son of a dyer,’ but the famous Jacopo
Robusti”).1 Loosely based on actual historical personages, the tale is
almost entirely fantasy. Such theatrical characterizations are nevertheless of
great importance, for they help give legends the veneer of history. Giorgio
Vasari’s sixteenth-century notices about Tintoretto, as well as, in the
seventeenth century, Carlo Ridolfi’s biography and Marco Boschini’s various
writings on the artist, were the primary sources for many of these tasty
morsels, and while scholars have tried to sift fiction from reality, some myths
are just too delectable to give up. We still hear repeated, for instance, the
unfounded story that the young Tintoretto was kicked out of Titian’s studio.
It’s not entirely impossible, but there isn’t a shred of solid evidence to
confirm the tale (any more than Ridolfi’s allegation that Tintoretto dressed
Marietta up as a boy so that father and daughter could wander the city streets
unimpeded by society’s strict gender expectations). The image of
Tintoretto-as-rebel would culminate in Jean-Paul Sartre’s essay “The Prisoner
of Venice”(1964), where the artist is reinvented as an existentialist hero, a
lone wolf fighting against the stultifying rules of the system: Fate has
decreed that Jacopo unwittingly expose an age which refuses to recognize
itself. Now we understand the meaning of his destiny and the secret of Venetian
malice. Tintoretto displeases everyone: patricians because he reveals to them
the puritanism and fanciful agitation of the bourgeoisie; artisans because he
destroys the corporate order and reveals, under their apparent professional
solidarity, the rumblings of hate and rivalry; patriots because the frenzied
state of painting and the absence of God discloses to them, under his brush, an
absurd and unpredictable world in which anything can occur, even the death of
Venice.2 At the other end of the spectrum, this leitmotif is perhaps best
played out for comic effect in Woody Allen’s Everyone Says I Love You, in which
a skirt-chaser (Allen) is overheard in the so-called Tintoretto Museum (really
the Scuola Grande di San Rocco) in Venice trying to impress a Tintoretto
enthusiast (Julia Roberts) by lauding the artist’s immense genius for painting
“outside the academic convention of sixteenth-century Venice.”
Sometimes myths are just too powerful, and the Tintoretto myth is an
extremely appealing one for modern tastes, especially in the celebratory year
marking the fifth centenary of the artist’s birth. Tintoretto’s anniversary has
been staged as a magnificent international banquet. The festivities began last
autumn in Venice with exhibitions at the Palazzo Ducale(“Tintoretto: Artist of
Renaissance Venice”) and the Gallerie dell’Accademia (“The Young Tintoretto”),
as well as an excellent little show at the Scuola Grande di San Marco (“Art,
Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice”). New York, in the fall, offered
“Drawing in Tintoretto’s Venice” at the Morgan Library & Museum and
“Celebrating Tintoretto: Portrait Paintings and Studio Drawings” at the
Metropolitan Museum of Art. The fete continues at the National Gallery of
Art in Washington, D.C., where slightly adapted versions of the Palazzo Ducale
and Morgan Library exhibitions go on view this month, fortified by a third
independent show called “Venetian Prints in the Time of Tintoretto.” This is a
once-in-a-lifetime opportunity for audiences in America to see some one hundred
and seventy artworks by Tintoretto and other Venetian Renaissance artists,
painstakingly gathered by art historians Echols and FIlchman (who organized the
show at the Palazzo Ducale),along with curators Marciari (of the Morgan) and
Bober (of the National Gallery). Fans of the artist and of painting in general
should take note. IT’S HARD NOT TO get swept up in all the unbridled
Tintoretto worship, but this celebration also provides us an opportunity to
revisit the man, the myth, the legacy, and above all, the work. To start with
the biographical elements: Tintoretto was hardly seen as a pitiful “poor dyer’s
son” in the eyes of his fellow Renaissance artists, nor as a maverick who
“displeases everyone.” When speaking about Titian vs. Tintoretto, one must take
into account a few historical particulars. For instance, the year after Titian
installed the magnificent Assumption of the Virgin in Santa Maria Gloriosa dei
Frari, Tintoretto’s only achievement was to be born. Two years before
Tintoretto’s first self-portrait (with which all Tintoretto exhibitions seem
compelled to begin), Titian was called to Rome by Pope Paul III; he was
practically a court painter to the Habsburgs, while Tintoretto was painting
acres of canvas to fill the walls at the Chiesa della Madonna dell’Orto, the
Scuola Grande di San Rocco, and the Scuola Grande di San Marco in Venice; Titian
died during the plague, and a conflagration devastated the Palazzo Ducale,
destroying many of his paintings there, some of which would be replaced with
works by Tintoretto and his assistants. While there was probably no love
between the two men of the kind that nineteenth-century dramatists might dream
up, their careers ran parallel to each other rather than in constant
antagonistic competition. Many romantic myths are dispelled in the
scholarship that went into the exhibitions and the catalogue essays, but the
melodrama of this rivalry still sneaks into sections such as “The Mantle of
Titian,” which, at the Palazzo Ducale, was called “Dopo Tiziano” thereby
underlining both chronological priority as well as influence. The paintings
Tintoretto did afterTitian’s death — large, powerful mythological pictures such
as the Forge of Vulcan and the Origin of the Milky Way — are spectacular, but
why filter these achievements once more through Titian? And why not have,
instead, a section labeled “Dopo Tintoretto,” which would include El Greco, the
Carracci, Caravaggio, and a host of other artists from the past five centuries who
found inspiration in his stark chiaroscuro, raking perspective, extreme
foreshortening, airborne saints, psychologically charged portraits, barefoot
worshippers, elaborate banquet scenes, wraithlike angels and spirits, and
busted-out straw chairs? The oft-repeated trope that Tintoretto was an
outsider also willfully overlooks his obvious status as a complete insider,
born in Venice and fully embedded in its institutions from birth. Titian and
Veronese, in contrast, were both provincials (practically foreigners by
Renaissance standards), who came from the hills and plains beyond the lagoon.
While a questionable seventeenth-century account suggested an aristocratic
lineage for the Robusti family, more recent studies have emphasized instead the
artist’s “working class” origins. The truth is somewhere in between. Stefania
Mason’s essay “Tintoretto the Venetian,” from the catalogue that accompanies
“Tintoretto: Artist of Renaissance Venice,” goes a long way to contextualize
the precise socioeconomic conditions of the son of a Renaissance dyer or—to be
more accurate—the son of a manager of a dye works married to a “well-born
woman.” The Robusti were not wealthy by any means, but they were comfortable
enough to give Tintoretto a basic education that enabled him later in life to
befriend the circle of writers and intellectuals known as the poligrafi,
including the notorious satirist Pietro Aretino (a friend of Titian and an
early supporter of Tintoretto). Like his father, Tintoretto married up.
His father-in-law, Episcopi, not only belonged to an influential family of
Venetian cittadini, he was also the guardian of the Scuola Grande di San Marco,
where Tintoretto—two years before his marriage—painted his finest early work,
Miracle of the Slave. The scene features St. Mark swooping in headfirst from
the sky to protect a slave from being martyred for his faith. Current viewers
need not be intimidated by the religious matter of the vast majority of
Tintoretto’s pictures—they are gripping visual tales of life and death.
According to seventeenth-century artist and critic Marco Boschini, one beholder
of Tintoretto’s St. Mark cycle reported: “The terror makes me faint, and the
piety liquefies my heart in such a manner that I lose heart and melt like wax
and feel completely mad!”3 As much “Game of Thrones” as Catholic doctrine in
pictures, these works were meant to move, delight, and instruct their audience.
Indeed, one cannot help but feel that if Tintoretto were alive today, he would
be an unapologetic fan of action films and special effects. Looking at Miracle,
with its explosive light and tense shadows, its superhuman heroes and racially
profiled villains, and its meticulous staging of powerful, muscular, controlled
bodies, one might think he invented the genre. No wonder Boschini described him
as a thunderbolt and the cannons of a ship. Unfortunately, Miracle of the
Slave has not been allowed to cross the Atlantic. Audiences in D.C. can,
however, marvel at the luminous Saint Augustine Healing the Lame and the always
pleasing Creation of the Animals, which Deleuze describes as an image of God as
a referee at the start of a handicapped race, in which the birds and the fish
leave first, while the dog, the rabbits, the cow, and the unicorn await their
turn. While Miracle has been in the possession of the Gallerie dell’Accademia
for many decades now, seeing it anew, rehung next to the diminutive bronze
relief of the same subject by the Florentine sculptor Jacopo Sansovino, was one
of the highlights of the “Young Tintoretto”exhibition. With the works placed
next to each other in a darkened room, the similarities and differences were
enlightening. Designed and executed between 1541 and 1546 for the north tribune
of the choir at the Basilica di San Marco, Sansovino’s glowing bronze panel
reduces the scene to a compact, tactile, monochromatic field of chiaroscuro
with a vibrant mass of bodies emerging from the picture plane in dynamic,
agitated poses. Tintoretto, just on the cusp of his thirtieth year when he
painted Miracle, clearly looked closely at the dramatic effects that could be
sculpted out of gesture, form, and composition alone. To this art he would add
the detail of expression, the intensity of extreme lighting, the terribilità
that often comes with scale, and the incomparable power of color. WHILE THE
TWENTY-FIRST CENTURY audiences might think it odd for an ambitious artist to
unveil a painting so closely modeled on a recent work by another artist, the
reuse of motifs was a common Italian Renaissance practice, as was made clear in
an insightful section of the Palazzo Ducale exhibition simply called “The
Recycler.” Tintoretto and his assistants, after all, produced more square
footage of painting than any other workshop in the Venetian Renaissance. In one
instance, the painter salvaged an old composition from his painting Mystic
Crucifixion by cutting, splitting, and reintegrating the canvas into a new
picture, The Nativity(ca. 1550s and 1570s); on another occasion, he copied,
pivoted, and re-costumed a previously used figure of St. Lawrence intended for
the Bonomi family altar in San Francesco della Vigna, transforming the martyr
into Helen of Troy. Such shortcuts were standard in most Renaissance workshops,
especially prolific ones that had to turn out hundreds of altarpieces,
portraits, mythological paintings, battle scenes, and other pictures. The
juxtaposition between the Florentine sculptor and the Venetian painter also
underlines Tintoretto’s connectedness with other artists. He painted
Sansovino’s portrait more than once, even signing one of the works as “Jacobus
Tintorettus eius amicissimus” (which, if you believe the inscription, means
they were Renaissance BFFs). Tintoretto is an artist’s artist. His profound
sense of community comes across in a rather touching contract found in the
Venetian archives and included in the small but brilliant “Art, Faith, and
Medicine in Tintoretto’s Venice” at the Scuola Grande di San Marco. In this
document, drafted and signed shortly after Christmas in 1585, the artist agrees
to provide works and forgo any payment on the condition that the confraternity
admit four people: his son Giovanni Battista Robusti; his son-in-law Marco Augusta
(the real-life husband of Marietta); the tailor Bartolomeo di Lorenzo; and
another man named Angelo Girardi. His dedication to his family, friends, and
students is also borne out in numerous workshop drawings, which are well
represented in D.C. Offering important opportunities for artistic
communion, drawing had its pragmatic as well as pleasurable purposes. In
several sketches made after a copy of the ancient bust known as the Grimani
Vitellius, we see multiple hands working seemingly side by side, line by line,
smudge by smudge, highlight by highlight, with the goal of mastering the
visible world around them. The willful way that these graphic studies
dematerialize carved stone and reincarnate the male portrait head into what
looks at first glance like the image of a flesh-and-blood subject is
remarkable. In this sequence, note especially the Morgan Library drawing
rendered by what the curator identifies as a “left-handed draftsman.” The work
seems almost too bold in its deliberate, sweeping gestures to be “workshop,”
but then Tintoretto was clearly a very good master with some very capable
assistants. In Tintoretto’s drawings and paintings, one often feels that
he is “sculpting” with chalk, charcoal, watercolor, oil, and pigment, ignoring
the flat surface of the paper or canvas. This comes across not only in the
speckled black-and-white patterns of his drawings from sculptures (which he
avidly collected) but in his life studies, too. His rendering of flesh
frequently seems to be rippling and quivering with animal energy, as if the
artist were trying to catch the living body in motion. His is possibly the most
atomistic rendering of the human form in the Renaissance. The frenetic,
vibrating lines in Seated Man with Raised Right Arm, for instance, exemplify
this stylistic peculiarity: the contours of the mythological body can never sit
still but seem to be in a constant state of flex and flux. Indeed, Tintoretto’s
figural drawings make Marcel Duchamp’s Nude Descending a Staircase and every
episode of “The Incredible Hulk” seem old hat when they appear centuries
later.) One of the art-historical myths destroyed—hopefully once
and for all—by the exhibitions in honor of Tintoretto is that Venetians did not
really draw. Some did more than others, and Tintoretto and his assistants
surely drew up a storm. On various sheets we find words such as fa (make), sì
(yes), fatto (made), no (no), and bono (good) scrawled across the surface;
sometimes figures are singled out by an asterisk. These marks were workshop instructions
on designs that had been cleared for production by the master. Sheets such as
Study of a Man Climbing into a Boat were frequently greased and held up to the
light so that forms could be retraced on the verso, offering compositional
options. Many have squaring grids drawn across them. In some instances, this
facilitated the transfer of the design onto a larger surface; in other cases,
it assisted in the correction of foreshortening and the adjustment of figural
proportions. Of the thirty-some drawings by Tintoretto and his
workshop on display at the National Gallery of Art, the majority are on the
blue paper favored by Venetian artists. The dark surface of this carta azzurra
provided an ideal ground upon which to map out gestural movements, tonal
subtleties, and, above all, the effects of light and shadow. It might also be
compared with the darkened grounds of many Tintoretto paintings. The canvas
support for The Origin of the Milky Way, for example, is prepared with a
brownish layer upon which the artist sketched out his composition with white
lead paint (rather than using black paint on a white gessoed surface). Once a
scene had been plotted out on the canvas, however, Tintoretto was prone to
further editing, altering, and redrawing of figures and forms in a variety of
white, black, and even red paint until the work was completed. PAINTERS
AND people interested in the way things are made will find much to consider in
these exhibitions. Tintoretto’s process is revealed in medias res through the
various X-rays that accompany the didactic material in the galleries and comes
across most clearly in the oil sketch Doge Alvise Mocenigo Presented to the
Redeemer, a work included in the 2016 exhibition “Unfinished: Thoughts Left
Visible” at the Met Breuer in New York). Looking at the mannequinlike figures
waiting to be dressed with flesh and clothes, one comes to appreciate the
procedural logic that binds these drawings and paintings together, a topic
expertly discussed in Krischel’s essay Tintoretto at Work in the National
Gallery of Art exhibition catalogue. The show reveals Tintoretto’s exploratory
procedure: visceral, intuitive, yet ultimately studied and thought-through—but
never entirely scripted. Tintoretto is all gestalt. If the Marxist
machismo of Sartre’s characterization of the artist as a rebel “born among the
underlings who endured the weight of a superimposed hierarchy” is misplaced,
one must admit that his phenomenological acumen regarding the works is often
startlingly spot on. Sartre writes with great perspicacity about the narrow,
vertical composition of Saint George and the Dragon: Everything is
simultaneous in his canvas, he contains everything within the unity of a single
instant. But to mask the over-harsh rift, he presents the spectator with the
spectre of a succession of events. Not only is the route traced in advance, but
each stage devalues the previous one and shows it up as an inert memory of
things past. The corpse’s immobility is memory: it is prolonged and repeated
from one moment to the next, identical and useless. The time-trap works, we are
caught: a false present welcomes us at every step and unmasks its predecessor
which returns, behind our backs, to its original status of petrified
memory.6 Time and space collapse in on the spectator’s embodied
experience, simulating the effects of a hallucinatory drug. And indeed, as
early as Boschini we find the revelatory quality of Tintoretto’s art described
in pharmacological terms. Of the whirlwind of paintings on the ceilings and
walls of the Scuola Grande di San Rocco, he effuses: “I feel as if I am in a
drugstore. Under my nose these odors have aromas that overwhelm my heart. These
fragrances remain in my mind, my mind feels so utterly purged that my heart
jumps for joy in my chest, and my soul feels totally jubilant.”7 One must
be in the presence of the work in order to experience the psychosomatic force
of Tintoretto’s art. A black-and-white photograph of a room filled with
Tintoretto’s portraits can look like a field of dull heads, but in person these
works become alarmingly ghostly presences, with hands and faces that seem
capable of movement. The sketches that move from light fluffy strokes to
devastating valleys of black charcoal seemingly carved with a chisel, the thick
ridges of impasto that rise suddenly like waves from the surface of a canvas,
the glazes and scumble that modulate color and reflect light differently
depending on the angle of view, the enormity of compositions that threaten to
engulf the spectator’s body — these elements simply do not translate in any
form of mechanical or digital reproduction. This is true not only for
Tintoretto but for Venetian art in general, with its penchant for chromatic and
luminous variability and richness. In Drawing in Tintoretto’s Venicethe
difference between Veronese’s gorgeous drawings covered in elegant, spindly
figures created in a torrent of quick brown ink strokes and Bassano’s schematic
black chalk sketches marked by dusty smudges of red, white, green, pink, and
brown becomes immediately clear. Domenico Tintoretto, one of the master’s sons,
produced oil sketches of battle scenes that look comic in reproduction, but
when one stands before the flurry of red, white, and black patches on dark
brown paper, these detailed compositions dissolve unexpectedly into near
abstraction. Renaissance drawings are so fragile and sensitive to light
that they can be exhibited only rarely, and many Tintoretto paintings are
so large that they have remained in situ in Venice for most of their existence.
Thus the current triple exhibition is the first substantial retrospective of
the old master’s work in America. It is a fitting tribute on the occasion of
his five hundredth birthday — and a viewing experience not to be missed. Endnotes 1. Luigi Marta, Il Tintoretto e sua figlia:
drama in sei quadri del pittore Marta, Milan, Borroni e Scotti. Sartre quoted in Laura
Lepschy, Tintoretto Observed: A Documentary Survey of Critical Reactions from
the 16th to the 20th Century, Ravenna, Longo. Boschini, La carta navegar pitoresco, edited by Anna
Pallucchini, Venice/Rome, Istituto per la collaborazione culturale, Deleuze,
Francis Bacon: The Logic of Sensation, trans. Daniel W. Smith, London, Continuum. Sartre quoted in
Lepschy, Boschini. Tintoretto was too good an artist for his time’s uses; he
still clamors for a proper role, seeking affirmation, four centuries later.
This thought came to me as whimsy, and stayed as conviction, at the Prado, in
Madrid, which has just opened the second-ever retrospective (the first was in
Venice) of Jacopo Comin, who was also known as Robusti, and called Tintoretto,
or “Little Dyer,” after his father’s profession. Tintoretto is the most
mercurial of the five undisputed immortals of Venetian painting—the others
being Bellini, Giorgione, Titian, and Veronese—and I was eager to see the Prado
show, because I have never managed to get a satisfying fix on him. How could
someone so great, able to summon the world with a brushstroke, be so
inconsistent in style, and, on occasion, so awful? Stupefyingly prolific,
Tintoretto garnished the walls, ceilings, altars, exteriors, and even the
furniture of Venice, performing commissions for free when that was what it took
to edge out a rival. (He was not popular with his fellow-artists.) He brought
off one of the world’s largest paintings— Paradise, in the Ducal Palace, which,
at seventy-two feet long and twenty-three feet high, is so vast as to be
essentially unseeable—and perhaps history’s most sustained demonstration of
sheer painterly talent, brimming the Scuola Grande di San Rocco, with pictures
whose profusion and intensity burn the most concerted effort of looking to
ashes. But he and his populous workshop also perpetrated some of the grimmest
daubs—murky and slack—that you ever rushed past with a shudder. I realised, too
late, that my puzzlement was a warning. Now I feel that I have acquired a
brilliant, neurotic, exhausting friend who enjoins me to undertake on his
behalf campaigns that he bungled when their conduct was up to him.
Nothing inferior taxes the eye at the Prado, which augments the cream of
Tintorettos in European and American collections with a few loans from Venice,
where hundreds of his paintings—including his greatest works, such as The
Miracle of the Slave reside immovably in churches, palaces, and galleries. The
show more than overcomes doubts about presuming to assess the artist outside
his home town, which he is known to have left just twice, briefly, in his life.
The well-restored canvases, shown in good light, sparkle and blaze. Some make
plungingly deep space with muscular figures of different sizes; your mind
provides perspective that the artist didn’t deign to chart. Others array action
on intersecting diagonals, along which someone is apt to be arriving from
somewhere at terrific speed. (There is an old line that Tintoretto invented the
movies; his ways of enkindling routine scenarios, with thrilling visual rhythms
that seem to unfurl in time, endorse it.) He drew with his brush, light over
dark—so that shadings came first, imparting a sumptuous density to forms that
are hit with highlights like spatters of sun. He is supposed to have said that
his favorite colors were black and white, but he could be every bit the
startling and seductive Venetian colorist when a commission required it. With
abject competitive fury, he was not above imitating the grand dragon of the
Venice art world, Titian, and his designated successor, Veronese. As a
matter of fact, he almost never takes the liberty of being himself unless someone
builds up his confidence and leaves him alone in an empty room,” Jean-Paul
Sartre wrote in an essay, The Venetian Pariah. For Sartre, Tintoretto is an
avatar of existential anguish, who was both behind his time—as the last
native-born master on a scene ruled by a cosmopolitan élite—and ahead of it, as
the ideal artist for a rising bourgeoisie that was too intimidated by the pomp
of the ducal republic to recognize itself in his demotic trashings of
aristocratic decorum. Intellectuals of the era, while in awe of Tintoretto’s
gifts, scolded him for being too fast, careless, and insolent; when Vasari
credited him with “the most extraordinary brain that the art of painting has
ever produced,” it wasn’t meant as unalloyed praise. (Vasari also called him
the medium’s worst madcap.) As a boy, Tintoretto is said to have entered
Titian’s workshop as an apprentice but was thrown out after a few days, having
either frightened the master with his aptitude or irked him with his
personality; at any rate, Titian’s attitude toward him was plated with
permafrost. Little is known of Tintoretto’s subsequent training. His earliest
surviving work, from the early fifteen-forties, is anti-Titianesque—radically
sculptural and draftsmanly, embracing Central Italian influences. Then something
happened which the art historian Nagel compares to the bluesman Robert
Johnson’s “going down to the crossroads and coming back with scary new powers.
The Miracle of the Slave,” made for the Scuola Grande di San Marco, electrified
Venice. Its unprecedented range of spatial, chromatic, and kinetic effect
suggested a synthesis of the disegno of Michelangelo and the coloring of Titian
—a contemporaneous formula, often cited, for ultimate greatness in painting. He
was roundly hailed, though Pietro Aretino, Titian’s literary ally, added a
caveat about his lack of “patience in the making.” Commissions came in bunches
to the new hero, but solid status skittered out of reach. He compensated
by striving to engulf the town. Meanwhile, Titian refused to slacken his grip
on preëminence, let alone die. When he finally expired, at the age of
eighty-eight or so it brought Tintoretto no peace. Though he was now, by
general consent, Italy’s leading painter, he responded with pictures as
flailingly ambitious and various as ever. Three from the late fifteen-seventies
triumph in as many styles. In The Rape of Helen, the hauntingly lovely captive
languishes in the corner of a churning land-sea battle scene, with scores of
figures, ranging in size from huge to tiny, which you can all but hear and
smell. In TARQUINO (si veda) and Lucretia, the naked, lividly fleshy
protagonists struggle at the edge of a bed, toppling a sculpture and breaking a
necklace that rains pearls. The woman’s right hand seems to extend from the
canvas, as if to be grasped by a rescuing viewer. (The Baroque, which took hold
two decades later, with Caravaggio, can seem an edited ratification of
tendencies already developed by Tintoretto. The Martyrdom of St. Lawrence is a
sketchy and fierce nightmare of death by roasting, with an anticipatory whiff
of Goya. Tintoretto strongly influenced El Greco, blazed trails for Rubens, and
fascinated Velázquez, who acquired his paintings for Philip IV. What is a
Tintoretto? the art historian Echols asks in the show’s catalogue. The answer
might be almost anything touched with genius and a strange, thorny, dashing
humor. Tintoretto was reported to be a witty man who never smiled. What is his
Susannah and the Elders if not a grand lark? A luxuriant, glowing nude sits
outdoors, surrounded by a glittering still-life of jewelry and implements of
beauty, and is ogled by dirty old men (one pokes his bald pate, at ground
level, practically out of the canvas) from behind a hedge that forms part of a
corridor-like recession into the far background. There are distant little
ducks, and the rear end of a stag. But the picture’s form is too disorienting
to sustain any particular response, including amusement. The backstage space
outside the hedge ignores the unity of the central perspective, bespeaking a
world that rolls away in all directions, indifferent to pocket realms of mythic
anecdote. The effect is stirring and confusing. Who is Tintoretto’s viewer?
strikes me as the really compelling question. No other great artist before
modern times, in which shifting contingency affects every enterprise, seems
less certain of whom he is addressing, and why. It might as well be you or me
as some cinquecento ingrate, and, if we happen to think of people we know who
may be interested, the artist encourages us to contact them without delay. La tesi di fondo di questo saggio è che l’orizzonte
problematico entro il quale si muove da sempre la pittura faccia tutt’uno con
le questioni dell’immagine e che la tradizione occidentale, soprattutto nella
riflessione sulla storia dell’arte, abbia incentrato la sua atten- zione sul
problema dell’immagine senza tenere conto in genere dei suoi aspetti iconici.
Già Tommaso d’Aquino aveva posto in questi termini tale problema: l’immagine
può essere considerata come og- getto particolare, o come immagine di un altro;
nel primo caso l’oggetto è la cosa stessa che al contempo ne rappresenta
un’altra, nel secondo l’aspetto dominante è ciò che l’immagine rappresenta.
Sembra dunque che rispetto a un’immagine l’attenzione si rivolga o all’immagine
in se stessa – all’immagine come fine – o a ciò che l’im- magine rappresenta –
all’immagine come mezzo 1. A diversi secoli di distanza un pensatore della
statura di Witt- genstein riproporrà con forza il problema dell’immagine che, a
par- tire da una prospettiva iniziale fortemente improntata a concezioni
logico-raffigurative, si andrà via via sempre più delineando all’inter- no
della sua riflessione come un problema di natura estetica. Così egli scrive
nelle Ricerche filosofiche. E chi dipinge non deve dipingere qualcosa – e chi
dipinge qualcosa non deve dipingere qualcosa di reale? Ebbene, qual è l’oggetto
del dipingere: l’immagine di un uomo (per esempio), o l’uomo che l’immagine
rappresenta? Tuttavia Wittgenstein porta il problema alle estreme conseguenze. Se
paragoniamo la proposizione con un’immagine, dobbiamo tener conto se la
paragoniamo con un ritratto, un’esposizione storica, o con un quadro di genere.
E tutti e due i paragoni hanno senso. Se guardo un quadro di genere, esso mi
dice qualcosa, anche se io non credo (mi figuro) neppure per un momento che gli
uomini che vedo rappresentati in esso esistano realmente, o che uomini in carne
e ossa si siano davvero trovati in questa situazione. Ma, e se chiedessi:
Allora, che cosa mi dice? La risposta di Wittgenstein suona. L’immagine mi dice
se stessa’ vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua
propria struttura, nelle sue forme e colori» 4. Ponendo la questione in tali
termini tuttavia Wittgenstein non intende affatto contrapporre un’immagine
intesa come ‘ritratto’, il cui scopo sarebbe quello di indirizzare l’attenzione
dell’osservatore esclu- sivamente su ciò che essa rappresenta, e un’immagine
intesa come ‘quadro di genere’, il cui fine sarebbe quello di presentare la
«sua propria struttura» e le sue forme e colori. Del resto, continua
Wittgenstein nello stesso paragrafo, Che significato avrebbe il dire: Il tema
musicale mi dice se stesso? Il fatto è che per Wittgenstein queste due modalità
dell’immagine: immagine intesa come mezzo e immagine intesa come fine, sono tra
loro connesse, tanto da formare un unico concetto di immagine. Che il problema
vada inteso e ap- profondito in questi termini, lo chiarisce lo stesso
Wittgenstein, af- frontando in alcuni paragrafi successivi la questione
relativa al comprendere una proposizione. Noi parliamo del comprendere una
proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da un’altra che dice la
stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere sostituita da nessun’altra.
(Non più di quanto un tema musicale possa venir sostituito da un altro. Nel
primo caso il pensiero della proposizione è qualcosa che è comune a differenti
proposizioni; nel secondo, qualcosa che soltanto queste parole, in queste
posizioni, possono esprimere (Comprendere una poesia). E subito dopo aggiunge. Dunque
qui comprendere ha due significati differenti? Preferisco dire che questi modi
d’uso di comprendere formano il suo significato, il mio concetto del
comprendere. Wittgenstein sottolinea in questo modo che i due tipi di
comprensione – quella che potremmo chiamare logica, nel senso che il pensiero
espresso dalla proposizione può essere riformulato in modi diversi, rimanendo
lo stesso, e quella che potremmo definire estetica, caratterizzata invece dal
fatto che il suo tema non può essere riformulato in altro modo, come
esemplifica il caso del tema musicale o della poesia – sono imprescindibilmente
connessi tra loro in un concetto unitario. È la stessa interconnessione che
Wittgenstein rileva in relazione all’immagine. Il fatto è che quel particolare
tipo di immagine che l’opera d’arte costituisce può rimandare all’altro da sé,
soltanto in quanto in primo luogo rimanda a se stessa, ‘dice se stessa’; può
essere rappresentazione dell’altro, solo in quanto è presentazione di se
stessa. Di conseguenza, ciò che nell’opera viene rappresentato riceve la sua
unicità, la sua specificità, è insomma proprio questo, grazie al fatto che
l’immagine lo rappresenta, lo dice, secondo le sue linee e colori. Così questo
qualcosa d’unico può e anzi deve essere visto come qualcosa che, seppure da
sempre presen- te sotto i nostri occhi, appare come se lo vedessimo per la
prima vol- ta e, proprio per questo, non può che procurarci stupore e
meraviglia. Scrive a questo proposito Wittgenstein: Non pensare che sia cosa
ovvia il fatto che i quadri e le narrazioni fantastiche ci procurano piacere,
tengono occupata la nostra mente; anzi, si tratta di un fatto fuori
dell’ordinario. Non pensare che sia cosa ovvia – questo vuol dire:
Meravigliatene, come fai per le altre cose che ti procurano turbamento. Già nel
Tractatus Wittgenstein aveva affermato che la tautologia segue da tutte le
proposizioni: essa dice nulla, volendo con ciò sot- tolineare il fatto che ogni
proposizione dice, rappresenta qualcosa solo in quanto in primo luogo è una
tautologia, ossia ‘dice nulla’, e tale tautologicità della proposizione è ciò
che la proposizione mostra in ciò che dice. Secondo Wittgenstein il carattere
logico della proposizio- ne in quanto immagine è dato dal suo essere
‘rappresentazione’ di qualcosa, ossia dal suo rinviare a qualcosa d’altro da
sé. In questo con- siste, sempre secondo Wittgenstein, la fondamentalità della
logica, giacché se segno e designato non fossero identici rispetto al loro pie-
no contenuto logico, allora vi dovrebbe essere qualcosa d’ancora più
fondamentale che la logica. E tuttavia Wittgenstein si rende conto che nella
proposizione qualcosa dev’essere identico al suo significato, ma la
proposizione non può essere identica al suo significato, dunque in essa
qualcosa dev’essere non identico al suo significato. Questo qualcosa di
‘non-identico’, vale a dire di differente, tra la proposizione, o l’immagine, e
il qualcosa che viene rappresentato o detto, è ciò che esse mostrano o
presentano. Tale presentazione, nel suo costituire la condizione interna al
rappresentato, è anche ciò che dà a quest’ultimo il suo carattere di unicità,
ossia di individualità, che sfugge a ogni previsione logica, vale a dire a ogni
identificazione nel già-saputo; ciò che fa, in definitiva, del rappresentato
qualcosa di non-previsto e di non-saputo, qualcosa che nell’opera d’arte trova
il suo luogo esemplare. E, se la logica «è prima del come, non del che cosa,
allora «Il miracolo per l’arte è che il mondo v’è, che v’è ciò che v’è. C’è
dunque per Wittgenstein qualcosa di più fondamentale della logica. La
rappresentazione logica infatti implica qualcosa che si mostra, che si
manifesta e nel manifestarsi resta ‘altro’ dalla visibilità della rappresentazione
stessa. Così, nel presentare se stessa, l’immagine manifesta l’altro del
visibile, del rappresentabile: quell’altro che si rivela nel visibile,
nascondendosi a esso. Se questo è il tratto carat- terizzante l’icona, allora
possiamo affermare che le riflessioni di Wittgenstein sull’immagine si
riferiscono non all’immagine come copia della realtà, bensì all’immagine intesa
appunto come icona. Non a caso, se per Wittgenstein il silenzio, sul cui tema
si chiude il Tractatus, non può dirsi, giacché esso mostra sé, è proprio
l’icona che ha a che fare con l’irrappresentabile, con ciò che resta sempre
altro rispetto a ogni determinazione logica e rappresentativa. Ciò che
nell’opera d’arte si presenta sfugge alla nostra conoscenza e alla rappresentazione.
Non è stata l’arte astratta a mettere per prima in opera la ‘presentabilità’
del pittorico di contro alla sua rappresentabilità, dal momento che il rapporto
tra presentazione e rappresentazione appartiene all’essenza stessa
dell’immagine. È proprio della natura dell’immagine infatti il suo presentarsi
sempre chiusa e insieme aperta, opaca e insieme trasparente, vicina e insieme
lontana: nell’offrirsi all’occhio, essa cattura il nostro sguardo. È necessa-
rio tornare, al di qua del visibile rappresentato, alle condizioni stesse dello
sguardo, della presentazione. È questo il non-sapere che l’immagine manifesta,
e tuttavia tale non-sapere non è una condizione privativa, una mancanza, ma
piuttosto una condizione positiva, come positivo è il ‘Niente’ dei quadri
suprematisti di Malevicˇ. Si tratta dell’esigenza di qualcosa che costituisce
l’altro del visibile, il suo al-di-là e che non va pensato come l’Idea
platonica, dal momento che questo altro del visibile è nel visibile stesso.
Così l’iconoclastia del quadrato bianco di Malevicˇ annuncia non la fine
dell’arte, ma ciò che l’arte deve essere, per essere tale, arte appunto.
Nell’opera d’arte qualcosa è rappresentato e si offre alla vista, ma qualche
altra cosa nello stesso tempo ci guarda, ci ri-guarda. Ciò significa che la
visione si divide, si lacera, nel suo stesso interno, tra vedere e guardare,
tra rappresentazione e presentazione. Nella visibi- lità del quadro è in opera
qualcosa che non si lascia cogliere e che, come l’oblio, resta sempre altro
rispetto a ciò che possiamo ricorda- re. È come se l’immagine fosse nello
stesso tempo rappresentazione di ciò che ricordiamo e presentazione di ciò che
abbiamo dimentica- to; per questo nell’immagine la rappresentazione deve essere
pensata sempre con la sua opacità. In particolare nell’icona cogliamo l’assenza
di ogni immagine, in- tesa come rappresentazione logica: è questa l’
‘astrazione’ dell’icona, astrazione come sarà intesa, teorizzata e messa in
opera da tanta parte della pittura del Novecento. Quello che l’icona mostra non
è discorsivamente esprimibile e, se essa può far valere la propria impre-
scindibile implicazione di senso di contro alla critica iconoclastica, è perché
mostra l’inesprimibile in quanto inesprimibile. È proprio que- sta paradossalità
dell’icona a permettere di superare l’iconoclastia, per la quale non può che
porsi l’alternativa schiacciante tra un asso- luto realismo e un assoluto
silenzio. L’icona è la porta regale, come vuole Florenskij, attraverso la quale
si manifesta l’invisibile e si trasfigura il visibile: in essa non c’è né
imitazione, né rappresentazione, ma comunicazione tra questo e l’altro mondo.
Così nell’icona la dimensione epifanica finisce per coincidere con la sua
dimensione apo- fatica. Da questo punto di vista si può dire che i problemi
posti dal- l’icona siano gli stessi problemi che si ritroveranno nella
contemporanea problematica dell’astrazione. L’arte astratta fa appello
all’occhio spirituale, ossia allo sguardo, e ciò comporta il rifiuto della
tradizionale distinzione soggetto-oggetto, dal momento che l’oggetto è in tale
prospettiva un soggetto che ci cattura proprio mentre lo guardiamo. Già Kandinskij
con la nozio- ne di composizione intende superare sia gli stati d’animo del
soggetto che l’oggetto come fenomeno naturale, per dare luogo a una pittura
iuxta propria principia, nella quale lo stesso limite estremo, la tela bianca o
il silenzio, non significhi la morte dell’arte, ma la radicale presentazione di
quella possibilità dalla quale ogni arte pren- de le mosse: l’essenza o, per
dirla con Heidegger, l’origine dell’arte stessa. In Kandinskij l’astrattismo
non è vuoto decorativismo. Al con- trario, l’astrattezza del segno, la sua
non-rappresentatività, è la manifestazione della sua «risonanza interiore»,
ossia della sua spiritua- lità. La concezione dell’arte di Kandinskij è
intessuta della connes- sione di interiorità e astrazione, e una componente
essenziale di tale astrazione è il misticismo. Già la mistica tedesca medievale
afferma, con Meister Eckart, che, come Dio agisce al di là del mondo
dell’essere, così l’anima, che è in grado di rappresentarsi le cose che non
sono presenti, opera nel non-essere; un’analoga operazione compie il pittore
astratto, che nientifica il mondo naturale delle cose, dando vita a un mondo di
entità non-oggettive, inesistenti e tuttavia reali. Così nel principio di
Kandinskij della necessità interiore si riflette la natura mistica del
procedimento astratto di costruzione di un’opera che viene sottratta alla
dipendenza delle cose esistenti. Questo rimando a un agire interiore dà luogo a
un non-oggetto che, ana- logamente a quanto avviene nella mistica, mostra un
diverso modo d’essere delle cose rispetto a quello della loro forma reale.
L’emancipazione da qualsiasi dipendenza diretta dalla natura, della quale parla
Kandinskij, è la riduzione delle cose naturali al non-essere. Di conseguenza,
la necessità interiore di Kandinskij, che costituisce il tratto essenziale
della sua pittura astratta, si pone come ‘altro’ rispetto al mondo delle cose,
e quest’ultimo trova in essa la sua unità e il suo senso. Del resto per
Kandinskij, come per Wittgenstein, il misticismo riguarda non come il mondo è,
ma che esso è; esso consiste nel sentire il mondo quale tutto limitato. Ciò
significa dunque che la totalità del visibile ha un limite: lo sguardo delle
cose, ossia la loro spiritualità. Astrazione, d’altro canto, è proprio questo
visibile limitato dal manifestarsi in esso di ciò che visibile non è: è sen-
tire il non-visibile nel visibile, è cogliere la differenza nell’identità.
Nell’astrattismo il segno mostra se stesso, nel senso che non rimanda all’altro
fuori di sé, all’oggetto, ma all’altro che è nel segno senza essere tuttavia
esso stesso segno. Così l’astrattismo rifiuta il significato del segno e nello
stesso tempo ne esalta il senso, che si mostra nel segno ritraendosi da esso.
Non c’è dunque alcun contenuto, alcun significato manifesto dell’immagine, ma
questa è l’espressione di un contenuto interiore: è questo a rendere il segno
‘astratto’, proprio nel suo presentarsi come evento. In definitiva, se il
cubismo ha in- franto la totalità, lasciando solo frammenti, la composizione di
Kandinskij mira non a ricomporre tale totalità, bensì a presentare il senso,
facendo risuonare il contenuto interiore del frammento stesso. Se lo spirituale
nell’arte di Kandinskij, come il suo concetto di composizione, è interno al
problema dell’icona, altrettanto lo è il mondo senza oggetto del suprematismo
di Malevicˇ. L’opera suprematista infatti ha un’intenzione iconica: non esprime
una perdita, ma una presenza, la presenza dell’altrimenti che essere. Di qui
quella dimensione apofatica, propria dell’icona in genere e del suprematismo di
Malevicˇ in particolare, che, in opposizione ai presupposti dell’iconoclastia –
tesi a identificare la verità con la rappresentazione logico-discorsiva –
mostra la verità che contiene in sé la propria negazione: la docta ignorantia è
la testimonianza di tale inesprimibile coincidenza. Per questo nel colore
suprematista, come nell’icona, non c’è alcuna ‘finzione. L’essere di Malevicˇ
non è l’essere secondo la necessità, ovvero secondo il concetto, ma è l’essere
come evento: è qualcosa che si la- scia riconoscere solo al momento del suo
apparire e, in quanto evento, l’essere è l’altro, poiché non è soggetto ad
alcuna identificazione: è l’essere così, che potrebbe anche non essere; in
questo senso, affer- ma Malevicˇ, l’essere è il nulla, ovvero il che, lo spazio
paradossale proprio dell’opera d’arte, del tutto indipendente dal pensiero
logico. Questo che è negazione del significato, inteso come signi- ficato
logico, è negazione della rappresentazione, come rappresenta- zione logica e
nello stesso tempo è affermazione del senso, in quanto condizione dei
significati possibili Il che non può essere riconosciuto in relazione ad altro,
ma solo per se stesso, e tuttavia por- ta in sé l’alterità, la differenza. Nel
non significare nulla al di là di se stesso, l’evento – il che – è
assolutamente singolare: accade semplicemente, si dà, si mostra, non come un
mero oggetto per un sog- getto. Esso è il manifestarsi di qualcosa che,
presentando se stessa, presenta l’altro, vale a dire si presenta come l’altro
dell’essere oggetto di rappresentazione possibile. Per raggiungere infatti
questo essere, che è il nulla, Malevicˇ è uscito dal mondo degli oggetti e
delle rap- presentazioni, aprendo uno spazio ‘assoluto’, in quanto spazio
dell’altro. Così l’astrazione di Malevicˇ è il liberarsi dalla rappresentazio-
ne per la presentazione: è questa l’autentica iconoclastia che rivela il
profondo legame del suprematismo di Malevicˇ con l’icona. E, se nel suo mondo
senza oggetto il segno non è rappresentazione di qualcosa, ma rivela l’altro,
ovvero il nulla – in quanto nulla di rappresentabile e di dicibile – questo Nulla
non è da intendersi come nichilismo: non indica il silenzio, la fine della
pittura, ma esprime la consapevolezza che si deve continuare a dipingere perché
il nulla si riveli. È questa la radicalità della pittura di Malevicˇ. A
differenza di quella di Malevicˇ, l’opera di Mondrian presenta uno spazio la
cui assolutezza assume un preciso significato: tutto ciò che è, è perché si dà
solo spazialmente. Per questo in Mondrian il segno non nasconde e in esso non
ha luogo alcun ritrarsi; al contrario, nel segno si mostra l’essenza, l’Idea, e
non a caso egli definisce l’astrattismo come la sola arte concreta. In
definitiva: nella pittura di Mondrian non si manifesta alcun altro, né alcun
contenuto interiore; essa si risolve totalmente nella superficie del quadro,
ossia in un piano assolutamente bidimensionale, nel quale non c’è alcuna
finzione di profondità, ma ci sono soltanto linee in rapporto ortogonale che,
tautologicamente, dicono se stesse. Così, se la composizione di Mondrian è
volta a ricostituire la totalità, tale ricomposizione si dà proprio e solo
all’interno della rappresentazione pittorica, rappresentazione assoluta, in
quanto indipendente da qualsiasi riferimento ad altro da sé. L’arte di Klee,
pur interrogandosi su problemi non del tutto dis- simili, muove in direzione
opposta rispetto a quella di Mondrian. Se infatti quest’ultimo vuole abolire
l’elemento soggettivo – definito tragico – in nome dell’oggettività, Klee
invece indaga proprio la presenza del mondo nel soggetto. L’oggettività di
Mondrian è il rifiuto del mondo, in quanto particolarità e contingenza; Klee,
al con- trario, non cerca una realtà più vera di quella sensibile, non cerca
cioè una realtà fissa e immutabile, retta da leggi eterne, fuori dalla storia.
Ciò a cui tende l’opera di Klee è ‘frugare’ nel profondo, nel- la vita
sotterranea, immergendosi nel divenire delle cose stesse, nella genesi dei
mondi possibili. Il compito dell’artista è infatti, a suo giudizio, quello di
ritornare sulla creazione, portando avanti e tentando le vie di realtà
possibili. Klee, in definitiva, non vede nel mondo qualcosa di già-concluso, ma
ne ripercorre la genesi, e tale genesi si riferisce al sorgere della realtà
nella percezione e quindi al costituirsi dell’essere in significato. I
presupposti di tutto ciò vanno rintracciati nel fatto che è pro- prio sul piano
della percezione che il mondo non si configura come l’insieme delle cose già
date, ma come un continuo generarsi. Così l’immagine di Klee richiama alla
memoria possibilità diverse, somiglianze e dissomiglianze, e queste trovano la
loro ragione sul piano dell’agire del pittore, che non prende le mosse da una
logica pre- fissata, ma genera continuamente forme via via che procede, muoven-
dosi appunto tra somiglianze e differenze. I processi di formazione di Klee
sono questa sorta di somiglianze di famiglia – ancora una vol- ta
nell’accezione wittgensteiniana – e, in
quanto tali, escludono la de- finitività di ogni forma. Non a caso nell’opera
di Klee la genesi dei mondi possibili riguarda l’essenza stessa della pittura:
si tratta di mo- strare l’apparire di qualcosa che nessuna logica ha pre-visto,
qualcosa che viene all’esistenza, apportando un «aumento di essere» 19 rispetto
a tutte quelle altre possibilità che comunque sono presenti nel qua- dro come
possibilità simultanee. Klee ha disvelato così l’essenza dell’opera d’arte:
quest’ultima non è la rappresentazione di un fatto del mondo, ma è un evento
nel qua- le si manifesta la possibilità di molteplici determinazioni del mondo,
senza che tale possibilità sia riconducibile ad alcun principio logico di
identità e di non-contraddizione. A ben vedere dunque tale evento, che l’opera
costituisce, altro non è che il darsi del contingente, del ciò che è così ma
poteva essere diversamente, in quanto condizione della stessa necessità logica
che regola ciò che nel mondo è già-dato; si tratta di quel che – che si dia
questo mondo e non un altro – il quale, come afferma Wittgenstein, precede
quella logica che presiede al come del mondo. Si tratta insomma di quel senso
che è la condizione dei tanti significati possibili: l’opera è la presentazione
del darsi di questo senso, e non la rappresentazione del suo configurarsi come
significato dato, di un senso che si può dunque soltanto sentire, stando al suo
interno e non contemplare dall’esterno. Per questo la pit- tura di Klee ha il
suo luogo d’elezione nel cuore stesso della creazione, lì dove hanno origine
tutte le cose. 1 Sul problema dell’immagine e del segno in genere nella
riflessione filosofica medievale, si veda Maierù, Signum dans la culture
médiévale, Miscellanea Mediaevalia, Veröf- fentlichungen des Thomas-instituts
der Universität zu Koln, Walter de Gruyter, Berlin – New York, Signum negli
scritti filosofici. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino (ed.
or. Philosophische Untersuchungen, Blackwell, Oxford. Wittgenstein, Tractatus
logico-philosophicus e Quaderni, Einaudi, Torino (ed. or. Tractatus
logico-philosophicus, London). Nel Tractatus infatti i due termini si
equivalgono, dal momento che «La proposizione è un’immagine della realtà» Vedi
su questo G., Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein,
Pratiche Editrice, Parma Wittgenstein, Tractatus..., cSi veda in proposito
Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano. L’espressione è
usata nel senso del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, Gadamer, Verità e
metodo, Bompiani, Milano (ed. or. Wahr- heit und Methode, Mohr, Siebeck, Tübingen. Giuseppe
Di Giacomo. Giacomo. Keywords: l’inspiegabile, aura;
‘impiegatura como spiegatura dell’inspiegabile” sensibile, imagine, icona,
segno segnante segnato presentazione rappresentazione contenente contenuto
formante formato, Tintoretto, Sartre, Venezia. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Giacomo: impiegatura come spiegatura dell’inspiegabile” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Giametta:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- il volo d’Icaro e
l’implicatura di Sanctis – filosofia napoletana – scuola di Frattamaggiore --
scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Frattamaggiore). Filosofo italiano. Frattamaggiore, Napoli, Campania. Grice:
“Giammetta is a good’un, but you gotta be an Italian to appreciate him fully,
or at least have gone to Clifton, as I did!” --
Grice: Giametta’s philosophy is full of Italianateness: ‘il volo
d’Icaro,’ and then there’s his ‘Croceian heterodoxies,’ and most Italianate of
all, the Dantean reference to Nisso, Chiron, and Folo in the “Inferno”! Sublime!” Cura Nietzsche a Firenze. Ha scritto saggi
di critica "eterodossa" su Croce. Cura Cesare. È anche romanziere,
estraneo a scuole o correnti, con storie dalla forte valenza filosofica e
morale; attitudine stilistica: la prosa
di Giametta pare quella di un centauro: sorprendente incontro di letteratura e
filosofia. Nella "Trilogia dell'essenzialismo"
(composta da “Il Bue squartato” -- L'oro
prezioso dell'essere e Cortocircuiti), elabora un proprio sistema di filosofia erede
del naturalismo rinascimentale. L’Essenzialismo è una nuova filosofia, fondata
esclusivamente sulla natura, intesa nei suoi due aspetti, sia come “naturans”
(cf. Grice, implicans, implicaturus) sia
come “naturata” (cf. Grice implicatum, implicatura, implicaturus, implicata).
Grice: “The problem: ‘is ‘naturare’ a good verb?’ --. L’essenzialismo descrive
la condizione umana come determinata dalla combinazione di due elementi
eterogenei: dall’essenza di tutto ciò che esiste, che è divina, e dalle
condizioni di esistenza, che sono spesso fin troppo diaboliche, a cui sono
sottoposte tutte le creature. Il con-temperamento di questi due elementi
(essenza ed esistenza), diverso in ogni individuo, spiega le ragioni per cui si
afferma o si nega la vita, si è ottimisti o pessimisti...". Alter opera: “Oltre il nichilismo” (Tempi
moderni, Napoli); “Poeta e filosofo” (Garzanti, Milano); Palomar, Han, Candaule
e altri. Scritti di critica letteraria, Palomar, Bari Nietzsche e i suoi
interpreti. – cfr. ‘Grice interprete di se stesso” – “Erminio; o, della fede.
Dialogo con Nietzsche di un suo interprete. Spirali, Milano); “Saggi
nietzschiani” (La Città del Sole, Napoli); “Croce” (Bibliopolis, Napoli); “Il mondo”
(Palomar, Bari); “Madonna con bambina e altri racconti morali, BUR, Milano);
“Commento allo Zarathustra” Mondadori Bruno, Milano); “Filosofia come dinamita”
BUR, Milano), “Croce, il pazzo” (La Città del Sole, Napoli); “Eterodossie
crociane” (Bibliopolis, Napoli); “La caduta di Icaro” (Il Prato, Padova); Introduzione
a Nietzsche. Opera per opera, BUR, Milano, Il bue squartato e altri macelli. La
dolce filosofia, Mursia, Milano. L'oro dell'essere. Saggi filosofici, Mursia,
Milano. Cortocircuito e implicatura -- Mursia, Milano. Adelphoe, Unicopli,
Milano. Il dio lontano, Castelvecchi, Roma); “Tre centauri, Saletta dell'Uva,
Napoli. Filosofi, Saletta dell'Uva, Napoli. Una vacanza attiva, Olio Officina,
Milano. Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell'essenzialismo;
Bompiani, Milano. Colli, Montinari e Nietzsche, BookTime, Milano. Capricci
napoletani. Pagine di diario (Marco Lanterna), Olio Officina, Milano; “Il colpo
di timpano, Saletta dell'Uva, Napoli); “Dio impassibile” (Babbomorto, Imola.
Contromano, BookTime, Milano. Il bue squartato e altri macelli, Mursia, Milano. La passione della conoscenza. Pensa
Multimedia, Lecce,. Marco Lanterna, Le grandi oscurità della filosofia risolte
in lampeggianti parole. Lanterna, Contributo alla critica di Sossio (in
Giametta, Capricci napoletani, OlioOfficina, Milano ). Nietzsche Schopenhauer
Colli Mazzino Montinari. SANCTIS nacque a Morra Irpina (oggi Morra De
Sanctis, in prov. di Avellino), al centro di. una zona che fino a dieci anni
prima era stata tutta feudale e di cui gli antichi feudatari ancora sfruttavano
la scarsa ricchezza boschiva, mentre il potere era gestito direttamente dal
clero e dai piccoli o medi proprietari terrieri, anch'essi strettamente legati
alla Chiesa sul piano economico -, sociale e Politico. In questo ambiente D.
trascorse solo i primi nove anni, ma esso costituì sempre per lui un punto di
riferimento, perché sempre egli lo ebbe presente come "polo reale" e,
insieme, come "polo negativo" della storia: la realtà da cui partire
e rispetto alla quale operare per tutte le conquiste del progresso (morale,
culturale, civile). La famiglia De Sanctis apparteneva a quel ceto di
piccoli proprietari del Sud che produceva i preti, gli avvocati e i pochi
medici. Avvocato era il padre di D., Alessandro, che però viveva del reddito
della sua piccola proprietà, prima ampliata attraverso un "buon
matrimonio" locale con Maria Agnese Manzi, poi progressivamente sempre più
dissestata; preti i due zii Carlo e Giuseppe; medico lo zio Pietro (ed anche
per costui la qualifica professionale servì soltanto a sostenere l'orgoglio del
ceto dei "galantuomini"). Come molti esponenti del "galantomismo"
meridionale, don Giuseppe e Pietro Sanctis avevano aderito alla carboneria (in
funzione patriottica e antifeudale): dopo aver partecipato ai moti carbonari,
vissero in esilio per dieci anni, serbando intatto lo spirito antiborbonico, ma
non il patrimonio. L'altro prete, invece, don Carlo, fece fortuna in Napoli
come titolare di una stimata "scuola di lettere" (un ginnasio
privato). D. è trasferito come ospite ed allievo presso lo zio
Carlo. Dai "ricordi" di D. (La vita) si può ricavare l'elenco
delle discipline da lui studiate, con fortissimo impegno, per tutta la durata
del corso quinquennale tenuto dallo zio ("Grammatica, Rettorica, Poetica,
Storia, Cronologia, Mitologia, Antichità greche e romane" e inoltre
"l'Aritmetica, la Storia Sacra, il Disegno"), nonché una serie di
notazioni sul metodo d'insegnamento tutt'altro che critico e innovativo
("Un grande esercizio di mernoria era in quella scuola, dovendo ficcarsi
in mente i versetti del Portoreale, la grammatica di Soave, le Storie di
Goldsmith, la Gerusalemme del Tasso, le ariette del Metastasio; tutti i sabati
si recitavano centinaia di versi latini a memoria"). Poiché i cinque
anni di studi "letterari" avevano un completamento canonico in due
anni di studi "filosofici" è iscritto alla scuola di Fazzini,
matematico e fisico illustre, di dichiarate convinzioni sensistiche. Per due
anni, perciò, egli visse immerso nello studio di Locke, Condillac, Tracy,
Elvezio, Bonnet, Lamettrie", o del Genovesi, ma (e questo è un tratto
molto importante, destinato a rimanere come atteggiamento mentale) nell'ottica
"moderata" che era propria sia dell'ambiente familiare sia del
maestro (Il professore diceva che il sensismo en una cosa buona sino a
Condillac, ma non bisognava andare sino a Lamettrie e ad Elvezio Voltaire,
Diderot, Rousseau mi parevano bestemmiatori, avevo quasi paura di
leggerli"). Lo stesso amalgama di aperture progressiste e di scarsa
chiarezza ideologica fu nell'esperienza successiva (quella degli studi
giuridici), in un'altra scuola privata, dove (con l'abate Garzia) D. impara ad
apprezzare soprattutto i codici napoleonici, aprendosi così alla dialettica
giuridica liberale. Questi studi avrebbero dovuto rappresentare il punto
d'arrivo di tutto il lavoro precedente (poiché, scartata una primitiva ipotesi
di carriera ecclesiastica, si pensava di far di lui un avvocato), ma a
determinare una diversa scelta di vita intervenne una grave malattia dello zio
Carlo, in seguito alla quale il peso della scuola cadde sulle fragili spalle
del D. diciottenne, ed egli divenne fonte di sostegno economico per la sua
numerosa famiglia (dopo la morte della primogenita Genoviefa, restavano ben
cinque tra fratelli e sorelle, che sempre in qualche modo gravarono su di lui,
con molte preoccupazioni e ben poche gratificazioni affettive o sociali).
Un altro avvenimento, questo di qualche anno prima, aveva preparato in D. tale
mutamento di interessi e di scelte: il suo ingresso nella "scuola di
lingua italiana" del marchese Basilio Puoti: di un "maestro",
cioè, che rappresentava in quel momento uno dei punti di riferimento più vivi
della cultura napoletana e che presto prese a stimarlo, ad amarlo e a guidarlo.
Ed è in ambito puotiano che nascono i primi scritti a stampa di D.: la sua
volgarizzazione di un brano dell'Eudemia di Giano Nicio Eritreo (Discorso
contro gl'ippocriti), apparsa sul Tesoretto, e la Dedicatoria (sua e del cugino
Giovannino) al Puoti dell'edizione (da entrambi curata) del Volgarizzamento
delle Vite de' santi Padri di D. Cavalca e del Prato spirituale di Feo
Belcari. Non è da qui però che si può ricavare l'immagine complessiva di
ciò che egli era alla fine del suo corso ufficiale di studi e all'inizio del
suo primo magistero. Certo, la competenza grammaticale e testuale e la
sensibilità alle cose della lingua (alla lingua come sistema formale in cui
penetrare con il rigore dell'intelligenza, della scienza e del gusto) erano
allora e restarono per sempre una componente molto importante del D. studioso e
maestro (questo va ribadito, anche per opporsi a una troppo lunga
sottovalutazione critica dell'eredità puristica attiva all'interno della
metodologia critica desanctisiana); ma dalla sua precedente esperienza
culturale egli aveva ricavato anche un complessivo eclettismo nozionistico e
ideologico, un evidente taglio "settecentesco" nell'impostazione del
sapere e in più una vastissima pratica di letture, che egli sottolinea con
forza nella Vita e che si riverbera in tutta la sua opera. Ricostruendo dai
suoi ricordi, risulta che D. Legge con profondo coinvolgimento (oltre a tanti
latini, greci, filosofi, storici e giureconsulti) un'incredibile quantità di
classici italiani maggiori e minori, dai trecentisti a Metastasio, e poi
Parini, Alfieri, Verri, Monti, Foscolo, Manzoni, Berchet, Leopardi, e Fénelon e
Voltaire, Young e Scott (ma la zona moderna ed europea andava rapidamente
allargandosi: a poco più di venti anni, il suo patrimonio di lettura spaziava
con sicurezza da Shakespeare a Richardson, da Milton e Klopstock a
Chateaubriand, Lamartine e Hugo. La professione dell'insegnamento diventò
per D. definitiva (grazie all'intervento del marchese Puoti), più o meno
contemporaneamente nel settore della scuola pubblica (prima alla scuola dei
sottufficiali; poi, al Collegio militare della Nunziatella, prestigiosa
accademia militare borbonica) e in quello privato (con la scuola di Vico Bisi,
che Puoti apre per lui, affidandogli all'inizio i suoi allievi, poi di fatto -
a grado a grado - la sua stessa funzione docente). A quest'ultima esperienza
(di cui restano importanti documenti nei Quaderni discuola e una vasta
rievocazione nella Giovinezza) si attribuisce, per tradizione ormai
consolidata, la definizione di "prima scuola" del De Sanctis. Ma
sarebbe forse più giusto comprendere nella definizione l'esperienza didattica
complessiva del decennio 1838-48: il decennio che consacrò il successo
indiscusso del D. maestro, il quale intanto (nelle diverse fasi della sua
frenetica attività) metteva a punto il suo metodo e il suo atteggiamento
critico, mentre andava costruendo intorno a sé rapporti affettivi e
intellettuali che sarebbero rimasti centrali in tutta la sua vita, e mentre
andava maturando fondamentali scelte ideologiche, filosofiche,
politiche. I numerosi Quaderni di scuola, che documentano il primo insegnamento
desanctisiano, furono in massima parte scritti dagli alunni sotto dettatura del
maestro e finalizzati a raccogliere il "succo" dei diversi corsi di
lezioni, rispetto ai quali si configuravano come veri e propri libri di testo
costruiti in parallelo con l'esperienza scolastica. Si tratta, perciò, di una
testimonianza ampia e diretta del suo progressivo evolversi (a stretto contatto
con la cultura del proprio tempo) dal purismo e dall'illuminismo moderato fino
all'hegelismo, attraverso l'eclettismo, il neocattolicesimo, la partecipazione
alla temperie vichiana e a quella dello storicismo romantico. In vista della
loro funzione manualistica, i quaderni sono divisi secondo le "materie
d'insegnamento" della scuola (alcune presenti fin dall'inizio, altre
introdotte successivamente, come lo stesso D. testimonia nella Vita). La
grammatica è l'insegnamento originario della scuola, ma i quaderni
"grammaticali" più importanti che ci restano appartengono agli ultimi
anni e si configurano perciò come approdo della ricerca desanctisiana in
materia (con l'acquisizione dello storicismo romantico, del giobertismo, di
Hegel). I più antichi tra i quaderni in nostro possesso sono quelli di Lingua e
stile, dove, dopo una serie di precetti di radice puristico-illuministica (con
forte incidenza della grande Enciclopedia e in particolare d’Alembert),
troviamo documentato il primo impatto con il pensiero romantico tedesco (in
particolare con F. Schlegel) e tracciata la prima sintesi di storia della
letteratura italiana ("Sviluppo della letteratura italiana"). Questa
ha già alcune caratteristiche che resteranno immutate in D. maggiore (si muove
in ambito postilluministico, con grande attenzione all'Europa e al presente
letterario, ma presenta come modello privilegiato di scrittore "contemporaneo"
il Manzoni, con un'accentuazione del punto di vista neocattolico, che andrà
attenuandosi in seguito). Una lunga storia della poesia è nei quaderni dedicati
alla Lirica, in cui l'approdo è rappresentato dal Leopardi; i quaderni sul
Genere narrativo hanno le loro fonti in Villemain, Sismondi, Voltaire, F. e A.
W. Schlegel. Un salto di qualità notevolissimo si avverte nei corsi d’Estetica
e Estetica applicata, in cui l'esigenza di definire teoricamente i problemi
dell'arte trova un sicuro sostegno nelle teorie estetiche di Gioberti, mentre
Hegel fa la sua apparizione nel corso di Storia della critica, che introduce
una più stimolante rivisitazione della lirica. Nei due anni successivi egli
presenta ai suoi allievi l'Estetica di Hegel nella traduzione francese di Ch.
Bénard. Alla luce dei nuovi principî affronta inoltre l'esame della Letteratura
drammatica, soffermandosi a lungo sulle opere di Shakespeare. Dell'ultimo anno
di scuola ci resta anche un quadernetto di Storia e filosofia della storia, che
ha come punti di riferimento costanti Vico, Sismondi, Hegel e che aiuta a
chiarire il senso dei "compendi" (autografi) della Storia
d'Inghilterra di Hume e della Storia civile del Regno di Napoli di Giannone.
Questo blocco di materiali storiografici conferma il livello criticamente e
ideologicamente molto avanzato della ricerca desanctisiana alla fine della
"prima scuola", attestando una visione laica della storia, un
rigoroso rifiuto di ogni astrattismo e una forte rivendicazione della
concretezza in ogni ambito d'analisi, nonché una chiara assunzione di metodo
hegeliano in direzione progressista. Negli entourages di Puoti, della
Nunziatella, della sua stessa scuola (e delle altre che fiorirono a Napoli,
inaugurando il clima "filosofico" vichiano-hegeliano), D. aveva
finito per trovarsi al centro dell'intellettualità progressista napoletana, non
si sa fino a che punto compromettendosi con le frange estremistiche di essa.
Fatto sta che molti giovani della sua scuola si schierarono a combattere sulle
barricate (dove fu ucciso quello che era certamente il più colto e il più
ideologizzato fra tutti: Vista) e che dopo quella data D. fu in qualche modo
implicato in una setta segreta rivoluzionaria di ascendenza musoliniana,
l'Unità italiana, e in un attentato per il quale, tra gli altri, furono
condannati a morte L. Settembrini e C. Poerio ("Si facevano i più matti
deliri: porre una mina sotto Palazzo Reale pareva un gioco ... Fu la prima
volta e sola che fui in convegni segreti). Espulso, perciò, dalla Nunziatella e
da "ogni altra scuola anche privata" (come recitano i rapporti della
polizia borbonica, che cominciava ad interessarsi di lui), D. si rifugia in
Calabria presso un noto e attivo "patriota", il barone Guzolini, in
casa del quale è arrestato con l'accusa di essere uno dei principali agenti
della setta diretta da Mazzini e da Ledru-Rollin. Trasferito a Napoli e
rinchiuso in Castel dell'Ovo, subì due anni e mezzo di "carcere
duro", e fu infine giudicato politicamente molto pericoloso
("attendibilissimo") e perciò bandito dal Regno e imbarcato per gli
Stati Uniti. 1 suoi allievi-amici napoletani (in particolare Meis e Marvasi, a
quel tempo già in esilio) lo aiutarono a sbarcare a Malta, per raggiungere il
Piemonte, inserendosi nell'allora foltissima schiera degli illustri esuli
politici ivi rifugiatisi (tra i meridionali, sono da ricordare: Spaventa,
Bonghi, Mancini, Tommasi, Ayala, Nicotera, Cosenz). Gli scritti del
periodo calabrese e della prigionia rappresentano la punta massima della
"spinta a sinistra" che segna il pensiero desanctisiano. In Calabria sono
elaborati due saggi (Introduzione all'Epistolario di Leopardi e Sulle opere
drammatiche di F. Schiller), in cui l'interpretazione dei testi esita in senso
fortemente politico (sia Leopardi sia Schiller segnano la fine di un'epoca,
quella dell'individualismo, dalla quale va nascendo un'epoca nuova -
dell'Umanità - impegnata in senso sociale). In Calabria fu probabilmente
impostato anche un dramma in prosa, il Torquato Tasso, terminato negli anni di
prigionia (il modello più vicino è quello goethiano; il linguaggio è
leopardiano; evidente è l'identificazione personale-politica dell'autore con
l'intellettuale perseguitato. D. studia la lingua tedesca e se ne servì sia per
tradurre il Manuale di una storia generale della poesia di K. Rosenkranz, sia
per leggere in lingua originale la Logica di Hegel, che ridisegnò in una serie
di Quadri sinottici (praticamente una sintesi completa dell'intera opera). Ma
il testo più interessante elaborato in Castel dell'Ovo è certamente La
prigione: un carme di 256 endecasillabi sciolti (l'unica prova poetica, se si
esclude qualche poesia d'occasione), che rappresenta il punto massimo di
"giacobinismo" realizzato da D., con il rifiuto e la denuncia di ogni
metafisica (un'inversione fortissima rispetto al neocattolicesimo degli anni
della prima scuola), e con una proposta politico-ideologica chiaramente
ispirata all'interpretazione di sinistra della filosofia di Hegel. Fortissima è
anche la svolta di atteggiamento nei confronti di Leopardi: all'immagine
sentimentalistica e scettica divulgata nel clima del primo romanticismo
napoletano si sostituisce un'immagine combattiva e materialistica del poeta di
Recanati (che offre, del resto, il modello stilistico e strutturale all'intero
carme. costruito come storia metaforica del pensiero umano, in rivolta per la
libertà, contro la tirannia, l'oscurantismo, l'ingiustizia sociale). A
Torino D. rimase in un vitale rapporto
d'amicizia con Meis e Marvasi e con Spaventa, ma molto isolato rispetto al
potere politico e culturale. Il suo unico lavoro fisso fu, allora,
l'insegnamento dell'italiano nell'istituto femminile della signora Eliott (dove
si verificò un episodio d'innamoramento - per la giovanissima Teresa De Amicis
- che riempirà d'illusioni e di malinconie gli anni successivi); ma ebbe anche
alunni privati dal nome prestigioso (come Virgina Basco - futura destinataria
del Viaggio elettorale -, Ainardo di Cavour, Larissé). L'esperienza centrale
del periodo torinese si realizzò, tuttavia, attraverso due corsi di
"lezioni pubbliche" su Dante: conferenze organizzate dai suoi amici
per soccorrerlo "nella dignitosa povertà dell'esilio" e che di fatto
lo rivelarono alla cultura italiana. Egli prese a collaborare alle appendici
letterarie: sul Cimento di Torino pubblicò alcuni saggi fondamentali, vero e
proprio punto d'arrivo della sua critica militante. E allo stesso anno risale
anche il primo episodio di giornalismo politico della sua vita: la
pubblicazione, sul Diritto di Torino, di una serie di interventi contro il
"murattismo" (cioè contro l'ipotesi di una sostituzione
"diplomatica" della dinastia borbonica di Napoli con la discendenza
di Murat), che rappresenta la prima fase di avvicinamento di D. alla monarchia
sabauda (questa viene proposta come unico possibile strumento di unificazione
della nazione, in un'ottica di "patriottismo costituzionale" cui, in
seguito, egli resterà sempre sostanzialmente fedele). Sempre per
interessamento dei suoi compagni d'esilio, fu finalmente gratificato di un
importante incarico professionale: l'insegnamento della letteratura italiana
presso l'Istituto universitario politecnico federale di Zurigo. Gli anni di
Zurigo sono anni di nostalgia e di isolamento (anni di réve, com'egli stesso diceva),
ma produssero almeno due conseguenze molto importanti: l'elaborazione di
lezioni che sarebbero rimaste come una pietra miliare della sua ricerca critica
(soprattutto su Dante, Petrarca e la poesia cavalleresca) e il contatto con
ambienti culturali e politici di vera e propria avanguardia in Europa (Wagner e
Matilde Wesendonck, Moleschott, gli Herwegh, Burckhardt, Vischer, ecc.) che
egli ebbe modo di conoscere e di valutare criticamente (per esempio, prendendo
le distanze dall'irrazionalismo di Wagner e di Schopenhauer molto prima che le
mode irrazionalistiche toccassero l'Italia, o cercando di capire i limiti
concreti del ribellismo dei mazziniani quando Mazzini è ancora un mito in
Italia. Dei corsi danteschi di Torino non restano manoscritti, ma
ciascuna lezione fu ricostruita su appunti di allievi (Marvasi, D'Ancona), in
vista di una non mai realizzata pubblicazione in volume. Le conferenze torinesi
(undici di argomento teorico, diciannove dedicate all'Inferno, cinque al
Purgatorio) sviluppano presupposti romantico-hegeliani, con particolare
riguardo ai problemi dell'unità e della forma del poema di Dante.
Nell'esaltazione "passionale" dell'Inferno, emergono le grandi figure
alla cui analisi è legata la fama popolare del D. dantista (Farinata,
Francesca, Ugolino) e si afferma il taglio monografico che sarà proprio dei
maggiori saggi desanctisiani. Semplificando la materia dei corsi, e
prolungandola fino a percorrere tutta la Divina Commedia, D. insegna Dante a
Zurigo (anche di queste lezioni ci resta la ricostruzione da appunti). Da tale
lavoro deriva tutto ciò che egli pubblicò successivamente su Dante e sul suo
tempo (ivi compresi i capitoli della Storia, che ne tesaurizzano le
idee-forza), ma i risultati metodologici più avanzati da lui raggiunti negli
anni d'esilio sono testimoniati dai contemporanei scritti giornalistici (che
furono poi pubblicati tra i Saggi critici). Il Pier delle Vigne è addirittura
una lezione torinese trascritta, per LaNazione di Firenze, da A. D'Ancona: la
celebre lettura del canto esalta i grandi caratteri e le grandi passioni dei
personaggi e ne analizza le sfumature, le situazioni, i contrasti; il saggio La
Divina Commedia (versione di Lamennais) dichiara la fine dell'antico metodo
retorico e il rifiuto del metodo "storico" di oscuola francese";
quello intitolato Carattere di Dante e sua utopia individua il centro della
grandezza poetica di Dante nella sua "anima di fuoco" in cui "si
riverbera l'esistenza in tutta la sua ampiezza". Il punto d'arrivo della
ricerca zurighese (molto più problematica di quanto appare nelle lezioni) è
suggerito nel saggio Dell'argomento della Divina Commedia, che afferma da una
parte il rifiuto del sistema e dall'altra la validità degli strumenti d'analisi
hegeliani, a stretto contatto col testo letterario (un approdo, in sostanza,
per D. definitivo). Negli scritti letterari d'argomento contemporaneo o
d'occasione (destinati a giornali torinesi e anch'essi in massima parte
raccolti poi nei Saggi), D. esplica, negli anni d'esilio, il suo impegno militante,
ma sempre a stretto contatto con i problemi di metodo critico che sono al
centro dell'insegnamento dantesco. Il più esplicitamente politico di questi
saggi è L'ebreo di Verona, che consacra, a livello nazionale, la sua fama di
polemista laico e liberale (l'autore del romanzo, il gesuita Bresciani,
ignorando le conquiste del cattolicesimo manzoniano, ripropone la religione in
funzione antiliberale e antiprogressista: il suo ruolo storico, dopo la
sconfitta, è "aggiungere i suoi colpi codardi alle mannaie del carnefice.
La militanza critica passa sempre attraverso una precisa idea
(romantico-hegeliana o posthegeliana) della letteratura. In Satana e le Grazie
essa è espressa con molta chiarezza: di fronte al poemetto di Prati la fantasia
rimane inerte: il cuore riman freddo, perché "in questo lavoro non vi è
creazione e quindi non vi è fantasia Prati ha una viva immaginazione, e per
questa facoltà è forse il primo poeta di second'ordine che sia oggi in
Italia"; del resto, i suoi testi poetici hanno tutti i limiti e i difetti
della "declamazione rettorica". E questa non è un difetto esclusivo
degli scrittori moderati: essa è condannabile anche quando sia posta al
servizio delle più ardite analisi politiche, come nella Cenci di Guerrazzi,
avvolta nel vecchio repertorio delle metafore e dei luoghi comuni. C'è un solo
poeta italiano che abbia attinto i livelli della "grande poesia" nel
mondo moderno, dice in un importantissimo saggio, e questo è Leopardi. Il
saggio s'intitola Alla sua donna. Poesia di Leopardi ed è, probabilmente, lo
scritto leopardiano più importante del D., che, con parametri schilleriani e
byroniani, traccia qui una straordinaria immagine di poeta laico, interprete
della civiltà contemporanea perché capace di farsi critico e filosofo e di far
scintillare la poesia dalla "meditazione". Ma, a parte l'eccezione
leopardiana, il clima del presente letterario fa temere un ritorno alla
identificazione tra poesia e retorica (Sulla mitologia - Sermone di Monti. A
questa pericolosa tendenza D. oppone la difesa d’Alfieri contro i critici
francesi contemporanei (Veuillot e la Mirra, Janin, Janin e Alfieri, Vanin e la
Mirra), ed evidentemente questa polemica ha un profondo retroterra politico: la
rivalutazione della fase "eroica" del classicismo settecentesco,
nella cultura "rivoluzionaria" dell'intera Europa. Perciò questa
rivalutazione riguarda anche Foscolo (Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e
Foscolo e Storia di Gervinus, e la polemica colpisce anche un critico come A.
de Lamartine ("Cours familier de littérature par Lamartine). Nello stesso
ambito il modello di Hugo viene proposto come sostanzialmente positivo
(Triboulet e "Le contemplazioni" di Hugo) ed è possibile perfino il
recupero di un classico manierato come Racine, perché capace di creare dei
grandi personaggi drammatici (La Fedra di Racine). In questo ambito, infine, si
configura una delle prime, ma già precise professioni di realismo di D. critico
(Saint-Marc Girardin).Il sentimento astratto non è poesia, non è cosa vivente
... La poesia dee riprodurre la realtà vivente. Il poeta dee rappresentarci un
uomo vivo, perché questo, in quanto tale, è già un perfettissimo personaggio
poetico. La progressiva conquista di un punto di vista
"realistico" con cui guardare al testo letterario è registrata dai
ricchi appunti che ci restano (a cura di V. Imbriani) delle lezioni zurighesi
sul Poema epico. Proprio in questa sede D. usa per la prima volta il termine
"realismo" (ancora nuovo nella critica francese più avanzata da cui
lo deriva), mentre ribadisce il rifiuto del "sistema" hegeliano come
strumento di critica letteraria e conferma la validità degli strumenti
d'approccio al testo ricavabili dall'estetica hegeliana. Il messaggio
filosofico più complessivo, nell'ultima fase del suo esilio e del suo vitale
contatto con le avanguardie europee, fu affidato da D. al dialogo Schopenhauer
e Leopardi. Anche questo testo ha una struttura leopardiana (ispirata alla
provocatoria ironia delle Operette morali), ma s'interessa a Leopardi solo
nell'ultima parte, dedicando molto spazio all'illustrazione del pensiero di
Schopenhauer, indicato come il liquidatore di un'epoca (quella
dell'Ottantanove, del Trenta, del Quarantotto) che egli considera
"un'illusione, o piuttosto ... una imbecillità generale". La filosofia
di Schopenhauer è, perciò, "nemica della libertà, nemica dell'idee, nemica
del progresso"; in politica, egli ripropone "lo Stato monarchico, la
nobiltà, il clero, i privilegi", nega la libertà di stampa e odia Hegel
come "corrompiteste" (la moda di Schopenhauer in Europa è, in
sostanza, un grave sintomo di regresso storico: la sua tardiva riscoperta
equivale a un'abiura di tutto il progressismo europeo. A prima vista, il
rifiuto dell'ottimismo ideologico accosta Leopardi a Schopenhauer; ma, in
realtà, c'è tra i due una vera e propria opposizione, e Leopardi è tanto
interno alla fase eroica (progressista e rivoluzionaria) dell'umanità, quanto
ad essa è estraneo e ostile Schopenhauer. La differenza non è solo nel
materialismo di Leopardi (opposto allo spiritualismo di Schopenhauer) o nelle
sue scelte di stile inamabile (mentre Schopenhauer si affida al fascino della
retorica), ma anche e soprattutto nell'effetto di lettura che Leopardi produce
come uomo e poeta veramente grande (egli non crede al progresso, e te lo fa
desiderare non crede alla libertà, e te la fa amare , è scettico, e ti fa
credente). Dopo le speranze e le delusioni della seconda guerra
d'indipendenza, sulla scia dell'impresa dei Mille, D. lascia improvvisamente
Zurigo e il politecnico e ritornò a Napoli, dove svolse un ruolo, probabilmente
importante, nella mediazione che portò il partito garibaldino (e lo stesso
Garibaldi) ad accettare il plebiscito piemontese. Per nomina di Garibaldi,
appunto in fase di preparazione del plebiscito annessionistico, è governatore
della provincia di Avellino e si mostrò attivissimo organizzatore del consenso
politico, della guardia nazionale locale, della lotta al banditismo (che è già
esploso violento in Alta Irpinia, recuperando antiche radici sanfediste).
Subito dopo, è direttore dell'Istruzione a Napoli e, in quindici giorni,
tesaurizzando tutte le precedenti esperienze di riforme liberali degli studi,
impostò una vera e propria rifondazione della scuola napoletana. All'università
chiamò ad insegnare illustri rappresentanti della cultura liberale (da Spaventa
a Ranieri, a Bonghi, a Imbriani, a Villari, a Mancini); in sostituzione del
liceo gesuitico istituì un ginnasio-liceo statale; per la formazione dei
maestri elementari (sua grande preoccupazione di progressista ottocentesco)
deliberò l'istituzione di scuole "normali" in tutte le province della
luogotenenza (non senza ragione, il 1860 resta per sempre nei suoi ricordi come
il periodo eroico della sua vita). Eletto deputato al primo Parlamento
nazionale unitario, fu ministro della Istruzione pubblica con Cavour e con
Ricasoli, continuando sulla linea già tracciata a Napoli, ma senza ripetere
l'exploit, nell'ambito della troppo vasta e ibrida realtà nazionale (in
pratica, rinunciando .all'ambizione di produrre una legge di riforma della
scuola italiana, si limitò ad estendere con decreti all'Italia unita la legge
Casati). Ciò che resta di più indicativo del primo periodo di attività come
ministro è proprio la linea di tendenza teorizzata nel programma iniziale e
vanificata dall'opposizione dei gruppi reazionari (Noi abbiamo decretato la
libertà in carta. Sapete, o signori, quando questa libertà cesserà di essere
una menzogna? Quando noi avremo effettivamente uomini liberi; quando della
plebe avremo fatto un popolo libero. Provvedere all'istruzione popolare sarà la
mia prima cura). In questo ambito si pone anche la battaglia per istituire una
rete capillare di "scuole tecniche" e "istituti
professionali", nonché l'impegno per la qualificazione degli studi
scientifici (ma molto avversate furono anche in questo campo le più importanti
scelte progressiste, come quella che portò il materialista e
"rivoluzionario" J. Moleschott ad insegnare fisiologia
nell'università di Torino). Dopo questo incarico ministeriale, pur sempre
rieletto in Parlamento (con la sola parentesi di un anno), D. rimase estraneo e
in forte opposizione rispetto ai nuovi gruppi di potere (le
"consorterie", che vedeva via via riavvicinarsi ai
"retrivi" e ai "codini"), su una linea mediana di
progressismo monarchico e antirivoluzionario. Su questa linea si pose il
giornale L'Italia (che egli diresse, in appoggio al gruppo emergente della
Sinistra costituzionale, che nel 1865 ottenne proprio nel Sud il suo primo
successo elettorale. L'appassionamento garibaldino ai tempi di Mentana, la
firma del manifesto di opposizione crispina e un importante discorso di
denuncia contro il riemergere del clericalismo (in campo ideologico, politico
ed economico) segnarono i punti più alti della sua partecipazione politica. Sposa,
a Napoli, Maria Testa dei baroni Arenaprimo, ma il matrimonio agiato, da cui
non nacquero figli, non è sufficiente a sconfiggere la precarietà economica in
cui tutta la sua vita si svolse, né fornì uno stabile nutrimento al suo
complesso bisogno di réve e di comunicazione sentimentale. All'interno di una
sempre meno inconfessata delusione politica e personale, egli tornò, quindi,
agli studi che gradualmente ridivennero protagonisti della sua vita: pubblica
in volume i Saggi critici (dove raccolse gli scritti giornalistici
dell'esilio), il Saggio critico sul Petrarca, la Storia dellaletteratura
italiana, i Nuovi saggi critici. Il Saggio critico sul Petrarca ripropone
un corso di conferenze tenuto a Zurigo, con pochi mutamenti e con una
"introduzione. Esso si articola in dodici capitoli (tre dedicati alla
personalità del poeta e al suo mondo culturale; gli altri strutturati come
lettura tematica e analisi del Canzoniere) ed è finalizzato a fornire un
preciso punto di vista per l'interpretazione del testo petrarchesco, sulla base
della teoria elaborata da D. a partire dalla "prima scuola" e
consolidata appunto negli anni dell'esilio (tesaurizzazione dell'illuminismo,
del romanticismo, dell'hegelismo; rifiuto del metodo sistematico e dei suoi esiti
panlogistici; rivendicazione della poesia come forma uscita dal più profondo
della vita reale e come sostanza vivente, secondo i grandi modelli di Omero,
Dante, Ariosto, Shakespeare). In quest'ottica, Petrarca va riscoperto, pur con
i limiti che la cultura romantica ne aveva segnalato, e va rivalutato per quel
che lo separa dal petrarchismo (cioè dalla sua riduzione a modello rettorico e
platonico). La poesia di Petrarca va, quindi, individuata in particolari
"situazioni" liriche (soprattutto nella malinconia e nei momenti d’abbandono
sentimentale), pur tra gli ostacoli frapposti dall'educazione
"rettorica" e da una visione "spiritualistica" della vita.
Particolare interesse è rivolto alla figura di Laura (cui sono intitolati
quattro capitoli): Laura è "la creatura più reale ... che il Medioevo
poteva produrre", e la sua "realtà", tutta interiorizzata nella
poesia del Canzoniere, non si spegne, ma si ravviva dopo la morte del
personaggio (proprio in questa "situazione" Petrarca tocca le sue
rare punte di "poesia sublime"). La Storia della letteratura
italiana nacque come testo scolastico ed è, infatti, una sintesi
didattico-pedagogica di materiali in gran parte preelaborati secondo una
precisa metodologia critica (quella appena illustrata a proposito del saggio
petrarchesco) e utilizzati per un progetto complessivo di
informazione-formazione (il progetto dell'educazione nazionale) nel quale
convergono tutte le attese (ed anche i timori) di D. letterato e politico.
Divisa in venti capitoli, la Storia disegna una linea di svolgimento della
letteratura italiana secondo il principio direttivo (ufficialmente dichiarato
da D. in uno dei suoi saggi) della "successiva riabilitazione della
materia (d’un graduale avvicinarsi alla natura e al reale, in parallelo con i
progressi della scienza, della cultura, del costume, della vita politica, della
stessa morale). Ma la finea risulta tutt'altro che retta e univoca: sia perché
l'ipotesi del graduale svolgimento della storia letteraria verso mete
progressive è fortemente contraddetta dalle fasi di stasi, d'involuzione, di
"ritorno"; sia perché continuamente emergono distanze o divaricazioni
tra livello storico e livello letterario (e qui s'innesta la forte
rivendicazione della forma come valore specifico del testo letterario); sia,
infine, perché (in base alla predilezione per il metodo monografico e per
l'analisi testuale) il racconto della Storia alterna lunghe soste con
rapidissimi voli, grandi indugi analitici con improvvise e fortissime elisioni.
La Storia procede, perciò, per grandi nodi tematici e testuali, muovendosi in
un sistema "a spirale" di allusioni e richiami tra fenomeni, autori,
epoche, con un disinibito oscillare del linguaggio dal familiare e dal basso
all'oratorio e al patetico, non senza momenti di carattere mimetico a ciascun
livello di scrittura (sono queste, del resto, le caratteristiche peculiari del
suo composito stile). Seguendo il cammino della Storia a partire dai primi
capitoli, troviamo anzitutto ISiciliani come scuola poetica feudale e cortigiana,
legata alla potenza della corte sveva e destinata a spegnersi prima che
"venisse a maturità", radicandosi nelle "classi inferiori".
Proprio questo processo di radicamento si analizza nel ben più complesso
capitolo intitolato I Toscani, ma centrato soprattutto sulla cultura bolognese
(e sulla scienza che si sviluppò in senso antifeudale presso l'università di
Bologna). Il punto d'arrivo di questa storia del mondo lirico medievale è ALIGHIERI.
Il breve capitolo dedicato a La lirica d’ALIGHIERI la definisce come la voce
dell'umanità a quel tempo: ALIGHIERI rappresenta (vichianamente) l'epoca della
fantasia, ed è la prima fantasia del mondo moderno". Il discorso ritorna
alle origini, per esaminare La Prosa e I Misteri e le Visioni, che esprimono
l'idea religiosa penetrata ne' costumi e nelle istituzioni, ma che restano a
livello di fase letteraria preparatoria dell'aureo Trecento. A questo secolo è
dedicato un capitolo molto puotiano (attento ai Fioretti, a Cavalca e a
Passavanti. ai testi di s. Caterina da Siena e alla "maravigliosa
cronaca" di D. Compagni), che però anch'esso converge, romanticamente,
verso la grande figura protagonistica di Dante. La trecentesca "commedia
dell'anima" esprime, infatti, l'ordito culturale da cui nasce La Commedia,
con la sua "base ascetica" e la sua radicata abitudine alla
"allegoria". Ma tutto ciò rappresenta (secondo l'ottica tipica del D.
dantista) la "falsa poetica" attraverso e nonostante la quale Dante
crea un'opera somma di poesia (una vasta analisi del poema tende proprio a
mostrare come, per virtù di passione e di poesia, esso possa esprimere,
"ancora pregno di misteri, quel mondo che, sottoposto all'analisi,
umanizzato e realizzato, si chiama oggi letteratura moderna"). Il capitolo
defficato al Petrarca (Il Canzoniere) è breve, ma fondamentale: Petrarca non è
solo un artista pieno di grazia e di "malinconia", ma è il
rappresentante di una nuova generazione culturale che, dopo Dante,
"volgeva le spalle al Medio Evo e si afferma popolo romano e latino. In
questa scelta, secondo D., c'è una profonda ambivalenza (da una parte c'è il
"rinnovamento" inteso come nascita della coscienza laica; dall'altra
la letterarietà come "erudizione", imitazione, abito retorico), in
cui si muoverà, per lunghi secoli, la storia della letteratura italiana. E in
un'ottica così conflittuale il Decamerone appare come "l'apoteosi
dell'ingegno e della dottrina" in dimensione laica, ma anche come
espressione di un "niondo borghese" che, liberatosi dai vincoli dello
spiritualismo, non riesce ad innalzarsi, al di là del comico, fino alle
"alte regioni dello spirito". Il Cinquecento è il secolo che vede
l'arte assoldata al mecenatismo, pur quando potrebbero porsi le condizioni
storiche per un avvicinamento tra cultura e "popolo" (ad esempio,
nella Firenze medicea) e pur quando sono già stati raggiunti grandi vertici di
raffinatezza letteraria (ad es., nelle Stanze del Poliziano). Infine il
Seicento, simboleggiato da Marino, produce in letteratura idilli ed elegie,
voluttà e musica, mentre l'intellettuale italiano si fa "estraneo al
movimento della cultura europea e a tutte le lotte del pensiero",
stagnando "in un classicismo e in un cattolicesimo di seconda mano".
Nell'arco, e sempre in chiave antifrastica, sono tanti gli episodi letterari
che il D. analizza, e ad alcuni, comunemente ritenuti minori, dedica interi
capitoli: a Sacchetti, a La Maccaronea, ad Aretino. L'opera d’Ariosto
(L'Orlando furioso) è esaminata secondo i parametri zurighesi: inserita nella
serialità storica, essa si propone come "sintesi dell'intero
Rinascimento", mentre l'"ironia" e il "riso scettico"
di Ariosto si manifestano espressione di un secolo adulto"(cioè divenuto
capace di critica e ormai maturo per la libertà borghese, pur nell'accettazione
di fatto della realtà cortigiana). Tasso, autore-simbolo dell'ambivalenza
ideologica e sentimentale, offre l'occasione per un discorso altrettanto
ambivalente sulla Contro-riforma e sul suo significato storico-culturale. Il
poema del Tasso è lo specchio della "ipocrita" cultura controriformistica
italiana e i suoi valori letterari vanno individuati in senso opposto rispetto
a quello programmatico e ufficiale: non nella falsa" religiosità, ma
nell'idillio, nell'elegia, nella voluttà (Tasso è, perciò, accostato al
Petrarca, nella tradizione di storiografia politica risalente a Sismondi e
Ginguené). Ma proprio al centro dell'arco storico c'è una punta alta, un grande
ritratto in positivo: quello di Machiavelli, che riesce a costruire una valida
ipotesi di rinnovamento, sia opponendo alla teocrazia l'autonomia e
l'indipendenza dello stato (un presentimento dei nostri ordinamenti
costituzionali"), sia rinnovando il "metodo" della conoscenza,
col rifiuto della teologia e del principio d’autorità (per lui "la verità
è la cosa effettuale, e perciò il modo di cercarla è l'esperienza accompagnata
con l'osservazione, lo studio intelligente dei fatti"). Evidentemente, il
ritratto di Machiavelli (liberato da tutte le riserve moralistiche precedentemente
espresse su di lui) è un caso-limite d'interpretazione "tendenziosa"
di un autore: se è scelto a simboleggiare la politica e la scienza moderna, è
perché il D.-maestro che scrive la Storia (l'anno della presa di Roma, a cui
esplicitamente egli fa riferimento) vuol proporre ai giovani un preciso
progetto di produzione letteraria che leghi indissolubilmente letteratura,
"scienza" e politica laica (e che indichi anche lo strumento di una
lingua letteraria "precisa e concisa", antiretorica e antimusicale,
che pure a Machiavelli viene attribuita con qualche forzatura). Nel nome di
Machiavelli, dunque (anche se a distanza di 4 capitoli), si apre la parte
moderna e propositiva della Storia, che consiste nei due ultimi lunghissimi
capitoli, intitolati La nuova scienza e La nuova letteratura. Il rapporto tra
essi è derivativo: la "nuova letteratura" non potrà nascere se non
dalla scienza, che ha come obiettivo il progresso e il miglioramento dell'uomo,
e che ha come principale strumento la libertà intellettuale e politica. Perciò,
"i primi santi del mondo moderno" (i primi intellettuali capaci di
"lottare, poetare, vivere, morire per la fede nel progresso) sono Bruno,
Telesio, Campanella, Galilei; e poi Sarpi, Vico, Giannone; infine Beccaria e
Filangieri, con alle spalle il pensiero laico europeo, da Bacone alla
Rivoluzione francese. Come s'innesta in questo clima la nuova letteratura? Dopo
l'affascinante ma superficiale opera di Metastasio, l'innesto si realizza con
la scelta illuministica di utilizzare cose e non parole. Il primo autore vero
della nuova letteratura è Goldoni (ma con dei limiti di superficialità). Il
primo "uomo nuovo" è Parini, e poi vengono Alfieri e Foscolo (col
Monti personaggio negativo), ma con dei limiti negli eccessi e nelle scelte di
stile retorico. L'Ottocento (pur con la sua tensione d'impegno e di
sperimentazione) non ha ancora offerto, in Italia, modelli attendibili per il
cammino da percorrere. Il nostro futuro letterario è, perciò, incerto ma la
direzione da seguire è chiara: "convertire il mondo moderno in mondo
nostro, studiandolo, assimilandocelo e trasformandolo, esplorare il proprio
petto secondo il motto testamentario di Leopardi, questa è la propedeutica alla
letteratura nazionale moderna". Nella seconda edizione dei Saggi
critici e poi nei Nuovi saggi critici D. inserì alcuni saggi (in gran parte
composti per la Nuova Antologia) che precedono o accompagnano la stesura della
Storia e che nei confronti di essa risultano in diverso modo illuminanti. Il
più antico è Una Storia della letteratura italiana di Cantù, che, recensendo
l'opera appena pubblicata, la denuncia come fondata su pregiudizi e
superficiale dottrina e su valori che nulla hanno a che fare col letterario
(perciò l'inevitabile sottovalutazione di autori come Machiavelli, Ariosto,
Leopardi, Alfieri, Giusti, Berchet, cui si contrapporrà, appunto, la Storia
desanctisiana). Fondamentale, per chi indaghi sulla genesi della Storia, è il
saggio Settembrini e i suoi critici, in cui D. condanna il grave limite del
contenutismo radicale settembriniano, così come aveva condannato il contenutismo
cattolico-moderato di Cantù, ed afferma che una vera storia della letteratura
dovrebbe essere un lavoro interdisciplinare (con contributi di filosofia,
critica, arte, storia, filologia") al quale la cultura italiana non è
ancora attrezzata (risalendo queste considerazioni al periodo iniziale di
stesura della Storia, esse dimostrano la problematicità di D. nei confronti
della sua opera maggiore, e la profonda consapevolezza della
"parzialità" di essa). Più collegati alla componente ideologica
"positiva" della Storia risultano L'Armando di Prati e L'ultimo dei
puristi. Nel primo si denuncia la fine dei "tempi sentimentali" e si
afferma, per il presente, la necessità di un impegno tutto reale e concreto (il
materialismo è uscito trionfante dal seno stesso del mondo hegeliano" e
impone la "serietà della vita terrestre"); nel secondo, la
stroncatura di un purista attardato (Ranalli) dà luogo a una attenta e
intelligente rievocazione del Puoti e della sua scuola, che fu bandiera di
libertà, scienza, progresso, emancipazione, ma che (a parte il valore sempre
vivo del "metodo" puotiano) esaurì il suo ruolo storico alla vigilia
della fase rivoluzionaria (al presente, ogni nostalgia puristica risulta
storicamente e politicamente ingiustificata). Anche i grandi saggi danteschi
(Francesca da Rimini, Il Farinata di Dante, L'Ugolino di Dante) nacquero in
margine alla Storia, sia come ripresa del tema-Dante (e, in particolare, delle
riflessioni zurighesi), sia come esempio di quel lavoro di monografia che D.,
all'epoca, considerava storicamente e scientificamente più valido delle
"sintesi". I personaggi danteschi prediletti dalla cultura romantica
ed hegeliana sono letti rispettivamente in chiave di amore e pietà femminile
(Francesca), orgoglio politico (Farinata), complessità e profondità di
sentimenti antinomici (Ugolino), nell'ambito di un'attenta, colta, sensibile
lettura testuale (era in questo, appunto, che D. voleva proporsi come modello
di critica attuale, paziente e costruttiva, ed è appunto questo l'aspetto dei
Saggi che va ancor oggi rivendicato). Il saggio L'uomo del Guicciardini ripropone
l'antitesi (presente anche nella Storia) fra Machiavelli, precursore del
nazionalismo moderno, e Guicciardini, il cui particulare rifiuta ogni vincolo
religioso, morale, politico (ma la vera funzione del saggio si esplicita
nell'ultima frase, di amara denuncia della situazione politica presente: L'uomo
del Guicciardini vivit, immo in Senatum venit, e lo incontri ad ogni
passo. Venne affidata a D. la cattedra di letteratura comparata
nell'università di Napoli, dove egli tenne quattro corsi (è questa l'esperienza
nota come seconda scuola napoletana, che produce quattro gruppi di lezioni,
rispettivamente su Manzoni, Scuola cattolico-liberale, Scuola democratica,
Leopardi). Contemporaneamente pubblicò una seconda raccolta di saggi (Nuovi
saggi critici, Napoli) e inaugurò quella serie di conferenze e articoli sugli
orientamenti della letteratura contemporanea in chiave realistica che sarebbe
continuata, per dieci anni, fino alla vigilia della morte. Realizza un nuovo
momento d'impegno politico attivo, in occasione delle elezioni che prepararono
l'avvento al potere della Sinistra costituzionale (in particolare, appoggia,
con un'avventurosa campagna elettorale, la propria candidatura - difficile e
piuttosto equivoca - nella provincia d'origine, e ne rivisse il ricordo in una
serie di cronache giornalistiche pubblicate prima sulla Gazzetta di Torino e
subito dopo in volume, col titolo Un viaggio elettorale. Data il terzo e
ultimo episodio importante di giornalismo politico desanctisiano: ancora un
impegno battagliero, ma interno alla Sinistra (contro la gestione
trasformistica e antidemocratica del potere da parte di Depretis e Nicotera),
condotto soprattutto sulle colonne del Diritto di Roma. Cairoli riaffida a D.
il ministero della Pubblica Istruzione che egli tenne fino al 1880,
riproponendo i problemi della scuola di tutti (la scuola per l'infanzia, la
scuola primaria, la formazione dei maestri) e quelli dell'istruzione tecnica, in
un'ipotesi di cultura "scientifica" da sostituire alla "cultura
retorica"; ma ancora una volta fu sconfitto nei punti più qualificanti del
suo programma (la traccia più concreta che ne rimase fu l'inserimento
dell'educazione fisica tra le materie d'insegnamento: un omaggio alla
rivalutazione positivistica dell'uomo fisico). Colpito da una grave malattia
agli occhi, lasciò l'incarico ministeriale e dedicò i suoi ultimi anni di vita
a un lavoro di riflessione autobiografica (le Memorie che andò dettando alla
nipote Agnese) e critica (soprattutto ripresa e riorganizzazione della
riflessione petrarchesca e leopardiana). Muore a Napoli, lasciando incompiuti i
suoi ultimi lavori, cui, pur tra le sofferenze della malattia, si dedicò sino
alla fine. Come tutti i principali episodi dell'insegnamento
desanctisiano, anche le lezioni della "seconda scuola napoletana"
sono documentate da riassunti (redatti in genere da Torraca), rivisti e
ufficialmente accettati dall'autore. Il corso è dedicato a Manzoni e
rappresenta il punto d'arrivo di una riflessione iniziata all'epoca della
"prima scuola", sviluppata a Zurigo e rimasta sempre centrale nella
ricerca di D., pur senza trovare una sistemazione editoriale. In queste lezioni
le posizioni ideologiche e gli strumenti di ricerca sono molto cambiati
rispetto agli anni della "prima scuola", ma non cambia il giudizio di
valore. La grandezza del Manzoni è identificata ora nella sua capacità di
"calare l'ideale nel reale": da lui escono tre "grandi idee
critiche che hanno importanza universale": la "misura
dell'ideale", il "vero" positivo e storico, la "forma"
diretta e "popolare". Manzoni rappresenta la massima realizzazione
della letteratura "moderna" in Italia e le "scuole
letterarie" non segnano alcun progresso né sul piano dell'arte né su
quello dell'ideologia. Negli anni successivi. D. analizzò, appunto, lo
svolgimento della letteratura in Italia a partire dal Manzoni, dividendola
(secondo una traccia già seguita da Giudici, da Settembrini e da altri) nei due
filoni cattolico e laico, definiti rispettivamente "scuola liberale"
e scuola democratica. Alla Scuola liberale è dedicato l’anno di lezioni
universitarie, con risultati di giudizio fortemente militanti: l'impegno dei
cattolici per l'"educazione popolare" non offre risultati validi in
arte e svolge un ruolo (più o meno esplicito) d'insegnamento reazionario (nuovi
Arcadi sono Grossi, Carcano, Tommaseo, Cantú; Gioberti e Rosmini ripropongono
una dimensione metafisica della storia e della politica; D'Azeglio resta
attardato su una vecchia e superata immagine di letteratura retorica). Un
interessante excursus riguarda, però, la letteratura meridionale
dell'Ottocento: poeti poco noti (come Mauro, Padula, Parzanese, Sole) vengono
esaminati con interesse e simpatia. Il corso è dedicato alla scuola
democratica, e anche in quest'ambito il giudizio globale è negativo: Mazzini,
Rossetti, Berchet, Niccolini non possono fornire il modello della "nuova
letteratura". Si conferma così l'esito perplesso e sostanzialmente
pessimistico che caratterizza le ultime pagine della Storia e l'affermazione
del principio del realismo. I saggi più importanti elaborati da D. nell'ultimo
decennio di vita riguardano, appunto, le tematiche del realismo (alcuni di essi
furono raccolti nei Nuovi saggi critici). Dopo la prolusione universitaria La
scienza e la vita, sono da ricordare: Ilprincipio del realismo, Studio sopra
Emilio Zola, Zola e l'Assommoir, Il darwinismo nell'arte. L'assunto complessivo
è che il "realismo" auspicato da D. non si può confondere né col
materialismo, né col positivismo, né col naturalismo di Zola (il quale, però, è
molto valido come scrittore: lo studio a lui dedicato è particolarmente vasto e
attento). La letteratura del "reale" dev'essere (cfr. Manzoni)
"l'ideale calato nel reale", e cioè una costruzione "eticac
forza morale impegnata per rinnovare la società, contro l'individualismo, la
reazione, l'autoritarismo sempre in agguato. Nell'ultima fase della sua
vita D. non si limitò a teorizzare l'importanza e la "modernità" del
realismo in letteratura, né ad inserirsi con diversi strumenti critici
all'interno del problema per farne emergere i pericoli (o quelli che a lui
sembravano tali sul piano morale e politico), ma volle fornire delle prove
concrete di narrativa realistica, utilizzando un registro di linguaggio
"familiare", che già aveva usato nelle sue lettere alla moglie (con
estrema semplificazione sintattica e con frequenti coloriture dialettali) e
che, del resto, non era ignoto ai momenti più colloquiali della sua critica.
L'operetta narrativa che elaborò in funzione di esempio e modello fu Un viaggio
elettorale (1876): una serie di cronache del tragicomico attraversamento della
provincia natia da lui compiuto a sostegno di una candidatura politica poco
chiara e poco fortunata. Nella cronaca, il bozzettismo locale si alterna col
patetico dei ricordi d'infanzia o delle esortazioni politiche; ma il senso del
testo va ricercato più nella sua funzione che nei suoi esiti, né si può
dimenticare che nella storia del realismo italiano esso si colloca quasi in
contemporanea con Nedda, quattro anni prima di Giacinta, sei anni prima dei
Malavoglia. Alla vigilia della morte (sempre su materiali autobiografici
e sempre in ambito di racconto dal vero in linguaggio familiare), il D.
perseguì un progetto molto più ambizioso: la stesura di un'autobiografia, della
quale, però, non riuscì a portare a termine che la prima parte (egli l'aveva
intitolata Memorie; Villari ne pubblicò il frammento realizzato col titolo La
giovinezza). Così come ci resta, il frammento narra l'esperienza di D. dalla
nascita e consta di due nuclei narrativi essenziali. Il primo è legato ai
personaggi bozzettistici della famiglia paesana e degli ambienti napoletani
alti e bassi (preti, professori, avvocati, ragazze da marito, giovani
avventurieri, vecchie serventi) e, al centro di essi, l'autore pone il
personaggio "comico" di se stesso, pieno di tic, di timidezze, di
chiusure, di sogni. Il secondo nucleo è legato, invece, alla formazione culturale
e all'esperienza della prima scuola. Qui il tessuto è molto serio e
impegnativo: D. (utilizzando ricordi, ma soprattutto vecchi "quaderni di
scuola") vuole offrire un importante contributo alla critica di se stesso,
mostrando come siano andate formandosi le linee di forza del suo metodo. In ciò
la vita non è del tutto veritiera (molti sono gli imprestiti ideologici e
teorici che D. fa al se stesso maestro di Vico Bisi), ma resta, comunque, il
fascino di un clima in cui rivivono Puoti e Leopardi, la scoperta del
romanticismo, di Vico e di Hegel, l'autoritarismo borbonico e le utopie
libertarie del primo '800 napoletano. Nell'ultimo anno d'insegnamento
all'università di Napoli, argomento delle lezioni era stato Leopardi: dagli
appunti delle lezioni D. ricavò, negli ultimi mesi di vita, uno Studio su
Leopardi, che segue il poeta nelle diverse tappe della vita, dell'opera, del
pensiero, secondo lo schema della biografia critica di taglio positivistico. La
biografia rimane, però, incompiuta, chiudendosi al livello dei "nuovi
idilli" (come D. definisce i grandi canti), e proprio in questo tentativo
di riduzione di Leopardi alla misura dell'idillio lo Studio è stato foriero di
gravi equivoci e fraintendimenti nella successiva critica leopardiana, mentre in
D. si giustifica come tentativo di leggere Leopardi in quella stessa chiave di
realismo che si era rivelata funzionale per il Manzoni e il suo romanzo.
Celebri, proprio in quest'ambito, le riflessioni sulle figure femminili
dell'"idillio" leopardiano ("Silvia non è questa o quella donna;
è il primo apparire della giovinezza in un cuore femminile", ecc.); ma, a
parte questo, lo Studio non aggiunge molto né alla conoscenza del Leopardi né
alla critica di Sanctis. In sostanza, il meglio su Leopardi era stato detto nel
saggio (ma non vanno dimenticate certe importanti considerazioni della
"prima scuola", né il ruolo interessantissimo, problematico e
antidogmatico, che Leopardi ha nelle ultime pagine della Storia). Altri saggi
leopardiani appartengono alla fase e al clima di ricerca della Storia (La prima
canzone di Leopardi; Le nuove canzoni; La Nerina). In quest'ultimo, ancora un
esame (forse uno dei più importanti) della donna nella poesia leopardiana:
"La vita è tutta e solo in terra... La morte è l'altro motivo tragico di
questa concezione. Il motivo della Silvia è lo sparire. Il motivo della Nerina
è il riapparire". Lasciando da parte la fortuna del D.-maestro (un
vero e proprio appassionamento suscitato nei giovani allievi di Napoli, Torino
e Zurigo), per ricostruire la storia del dibattito su D. bisogna muovere da un
dato obiettivo di iniziale sfortuna critica: lo scarto fra i tempi della genesi
dei testi maggiori e quelli della loro pubblicazione. A causa di questo scarto,
egli apparve subito come un idealista attardato (e perciò più meritevole di
giudizi sommari che di attenzione testuale), nel clima di positivismo dominante
in cui i suoi scritti si offrivano ad un'interpretazione globale (per es. F.
D'Ovidio era convinto che D. ignorasse la pazienza della ricerca e dello
studio, e Carducci gli attribuiva difetto di cognizione dei fatti e dei
documenti"). A sintomatico che, in un dibattito così fortemente
pregiudiziale, venisse del tutto ignorato non solo il tipo di formazione di D.,
ma anche l'ultimo decennio della sua produzione, con la dichiarata opzione
"realistica" e con la forte propensione per lo scientismo. Ma proprio
a causa della pregiudizialità del dibattito di fine secolo (rilevata, fin
d'allora, da qualche attento osservatore straniero, come Gaspary), D. poté
divenire, attraverso l'elaborazione crociana, lo strumento chiave per il
rilancio di un metodo critico antipositivistico e per la progressiva
riaffermazione culturale e ideologica dell'idealismo. A Croce spetta, certo, il
merito di aver costretto la cultura italiana a riconoscere in D. un
protagonista (la sua appassionata cura di editore e di studioso di D. durò per
oltre mezzo secolo); ma, contemporaneamente, Croce prese a
"rielaborare" il pensiero di D., fino a propome la riduzione a teoria
del "puro" gusto estetico (Borgese, che presentò D. come punto di
arrivo di "tutte le esperienze della critica romantica in Italia",
fu, in realtà, uno dei primi e più autorevoli interpreti di questa tendenza
riduttiva; scarsa fortuna ebbe, d'altra parte, una proposta di Gentile per un
"ritorno al De Sanctis di SEGNO FASCISTA. Proprio dall'interno della
scuola crociana dai cosiddetti crociani di sinistra") è prospettata,
tuttavia, l'esigenza di un dibattito diversamente impostato, volto al recupero
della complessità della figura di D.: mentre Russo rivendicava "il
significato pedagogico ed etico" dell'opera e la sua intelligenza
dell'arte come notalità, Muscetta sottolineava l'importanza della sua poetica
realistica, la sua "serietà" culturale, la sua visione della
letteratura come vita morale. Importanti, in questa fase, furono anche gli
studi di W. Binni sull'"amore del concreto" che nutrì tutta la
ricerca desanetisiana e che problematizzò i suoi rapporti con l'hegelismo e di
Getto sulla Storia, "in cui la letteratura era studiata nel suo autonomo
valore e insieme nel suo necessario legame con tutta la vita e la cultura.
Infine, presentando una importante antologia di scritti desanctisiani, Contini
dichiara, a nome di un'intera generazione di studiosi, l'uscita
dall'"equivoco formalistico" della riduzione crociana di D. e la
necessità di tentare finalmente una comprensione filologica dei testi
desanctisiani, con tutta la loro problematicità anche irrisolta. Ma lo
spostamento ideologico dell'intero dibattito critico mosse dalla pubblicazione
dei Quaderni di Gramsci (Letteratura e vita nazionale, Torino) e dalla sua
celebre affermazione che il tipo di critica letteraria proprio della filosofia
della prassi è offerto da Sanctis. Da qui appunto si partì per un'ampia
verifica dell'"impegno" di D., del carattere militante della sua
critica, dei "saldi convincimenti morali e politici" che, secondo
Granisci, la sostanziavano: era una verifica, evidentemente, molto correlata al
bisogno della cultura d'incidere sul presente storico, dopo e contro il
"disimpegno" teorizzato, nel ventennio fascista, da crociani e non
crociani. Questo momento di dibattito produsse, fra l'altro, le iniziative
editoriali, cui si deve, oggi, la possibilità di leggere D. su testi di alto
livello scientifico: le due collane avviate da Einaudi e Laterza (e dirette
rispettivamente da Muscetta e L. Russo) per la pubblicazione delle "opere
complete". E non a caso, negli stessi anni, apparivano fuori d'Italia
(dove la letteratura desanctisiana è scarsissima) due importanti interventi
critici: quello di R. Wellek (che nella sua grande Storia della critica moderna
presenta D. come autore della "più bella storia che sia stata mai scritta
di una letteratura") e quello di Antonetti (che ne pubblicò in Francia una
documentata e intelligente biografia culturale). Né a caso sono condotte
indagini nuove e approfondite sui legami tra D. e la cultura (Mirri, Landucci,
Oldrini). In un clima culturale ancora una volta mutato, e ormai
insofferente dell'insistenza sull'"impegno politico del letterato",
si affermò l'esigenza di uscire dall'ottica di un D. modello per il presente, e
di sottolineare (accanto ai "valori" ormai definitivamente affermati)
la distanza storica e le diversità culturali che ci separano da lui. Tra gli
interpreti di questa esigenza ricordiamo A. Asor Rosa e parecchi dei
partecipanti al convegno napoletano su "De Sanctis e il realismo".
Con maggiore cautela, le più recenti occasioni offerte dal centenario
desanctisiano (F. D. nella storia della cultura, a cura di Muscetta, Bari e F.
D.: un secolo dopo, a cura di A. Marinari) si sono mosse su una linea di
attenzione ai testi, di chiarificazione e approfondimento della vasta ancora
aperta e interessanteproblematica desanctisiana, di tricollocazione storico-culturale
nel mutevole orizzonte di cultura europea in cui tutta la sua ricerca si
mosse. Il materiale manoscritto, ormai quasi tutto edito, si trova
(tranne una parte di quello epistolare, sparso un po' in tutta Italia) a Napoli
(Bibl. nazionale, bibl. di casa Croce e bibl. del dott. F. De Sanctis Jr.) e ad
Avellino (Bibl. prov. S. e G. Capone). Restano inediti quasi solo i voll.
dell'Epistolario. Le raccolte degli scritti, dopo le incomplete ediz.
Cortese e Barion (sono oggi quella laterziana (Bari, negli "Scrittori
d'Italia", a cura di L. Russo, incompleta) e quella einaudiana (Torino,
Opere di F. De Sanctis, a cura di C. Muscetta, priva soltanto degli ultimi due
voll. dell'Epistolario). La raccolta laterziana comprende i seguenti voll.: La
letteratura italiana, I (A. Manzoni, a cura di Blasucci); (La scuola liberale e
la scuola democratica, cur. Catalano); (Leopardi, a cura di Binni); Storia
della letteratura italiana, a cura di Croce; Memorie, lezioni e scritti
giovanili, I, a cura di F. Brunetti; Saggio critico sul Petrarca, a cura di E.
Bonora; Saggi critici, cur. Russo; La poesia cavalleresca, a cura di Petrini.
La raccolta einaudiana, invece, comprende: Lagiovinezza (memorie postume
seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli), cur. G. Savarese;
Purismo illuminismo storicismo (scritti giovanili, frammenti di scuola e
lezioni), cur. Marinari; La crisi del romanticismo (scritti del carcere e primi
saggi critici), a cura di Nicastro e Lanza; Lezioni e saggi su Dante, a cura di
S. Romagnoli, Saggio sul Petrarca, a cura di Sapegno e Gallo; Verso il realismo
(prolusioni e lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, frammenti di
estetica, saggi di metodo critico), a cura di N. Borsellino; Storia della
letteratura italiana, a cura di Sapegno e Gallo; La letteratura italiana,
Manzoni (a cura di C. Muscetta e D. Puccini, La scuola cattolico-liberale e il
romanticismo a Napoli (cur. Muscetta e G. Candeloro, Mazzini e la scuola
democratica (a cura di Muscetta e Candeloro), Leopardi (cur. Muscetta e Perna);
L'arte la scienza e la vita (nuovi saggi critici, conferenze e scritti vari), a
cura di M. T. Lanza; Il Mezzogiorno e lo Stato unitario (scritti e discorsi
politici a cura di F. Ferri,; I partiti e l'educazione della nuova Italia (scritti
e discorsi), a cura di N. Cortese; Un viaggio elettorale(seguito da discorsi
biografici, dal taccuino parlamentare e da scritti politici vari), a cura di
Cortese; Epistolario (cur. Ferretti e M. Mazzocchi Alemanni); (a cura degli
stessi, (a cura di Talamo, (a cura dello stesso, (a cura di Marinari, Paoloni e
Talamo). Ottime antologie degli scritti del D. sono quelle curate da G. Contini
(Torino) e da Sapegno e Gallo (Milano-Napoli). Per la bibl. delle opere e
della critica, cfr. Croce, Gli scritti di F. D. e la loro varia fortuna, Bari
(con integrazioni di C. Muscetta, in F. De Sanetis, Pagine sparse, Bari ed E.
Pesce, Supplemento alla bibliografia desanctisiana Napoli. Sono da tener
presenti inoltre le rassegne: M. Tondo, La lezione di D. Rassegna degli studi dell'ultimo
venticinquennio, Bari; P. Tuscano, F. D. a cento anni dalla morte, in Cultura e
scuola; Oldrini, La storiografia desanctisiana dell'ultimo decennio, nel
miscellaneo F. D. Un secolo dopo, a cura di A. Marinari, Bari. Per la
biografia, vanno ricordati anzitutto i seguenti saggi d'insieme: Cione, F. D.,
Messina-Milano e Milano Montanari, F. D., Brescia; Antonetti, F. D. Son
évolution intellectuelle, son esthétique et sa critique, Aix-en-Provence; E.
Croce-A. Croce, D., Torino. Per gli anni della formazione, sono da tener
presenti i seguenti scritti: Croce, Introd. a F. De Sanctis, Teoria e storia
della letteratura, Bari; A. Marinari, Introd. a Purismo illuminismo storicismo
cit., nonché Le correzioni del Puoti ai primi due discorsi di scuola del D., in
Belfagor, Id., Alcuni problemi di cronologia desanctisiana, Firenze e Il
giovane D. lettore di P. Giannone, in Letteratura e critica, Studi in onoredi
Sapegno, II, Roma; Savarese, Primo tempo del D. e altri saggi, Bologna;
Luciani, L'estetica applicata di F. D., Firenze Muscetta, D. e i generi
letterari in F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari. Per
gli anni della prigionia e dell'esilio, sono indispensabili: E. Cione, F. D.
dallaNunziatella a Castel dell'Ovo, Napoli; Croce, Il soggiorno in Calabria,
l'arresto e la prigionia di F. D., Napoli ora in Aneddoti di varia letteratura,
Bari); F. D. a Torino, a cura di C. Vernizzi, Torino; Guglielminetti-G.
Zaccaria, F. D. e la cultura torinese e R. Martinoni, Gli anni zurighesi,
entrambi in F. D. nella storia della cultura cit. (dello stesso Martinoni, cfr.
anche La puzza della birra e del tabacco. Gli anni zurighesi di F. D.
[1856-60], in L'Almanacco Bellinzona Besomi, D. "in partibus
transalpinis", ma non "infidelium": letture zurighesi, in Per F.
D., Bellinzona. Per gli anni sono da tener presenti i voll. dell'Epistolario
con le rispettive introduzioni. Lo stesso vale per gli anni successivi. Per il
soggiorno del D. a Firenze, cfr. G. Spadolini, D. e Firenze capitale, in F. D.
Un secolodopo. Per il D. ministro, cfr.: G. Talamo, F. D. politico e altri
saggi, Roma Soldani, Scuola e lavoro: D. e l'istruzione tecnico-professionale,
inF. D. nella storia della cultura Ciampi, Il governo della scuola nello Stato
postunitario, Milano ad Indicem; A. Santoni Rugiu, Aspetti dell'ideologia
formativa di F. D., nonché S. Valitutti, Il pensiero e l'azione scolastica di
D. ed Bottasso, D. ministro e la formazione delle prime tre biblioteche
nazionali (tutti in F. D. - Un secolo dopo cit.). Per la morte e le onoranze
funebri, cfr. In memoria di F. D., a cura di M. Mandalari, Napoli a cura della
Comunità montana Alta Irpinia). Tra gli studi critici di carattere
generale, cfr.: B. Croce, F. D., in Letteratura della nuova Italia, I, Bari
(per gli altri scritti desanctisiani del Croce, cfr. G. Savarese, Croce e D.,
in Rassegna della letteratura italiana, Russo, F. D. e la cultura napoletana,
Venezia(poi Firenze, ora Roma Muscetta, F. D., inLetteratura italiana. I
minori, IV, Milano e in Letteratura
italiana. Storia e testi, VIII, 1, Bari 1975, ibid 19854; M. Fubini, F. D. e la
critica letteraria, in Romanticismo italiano, Bari Mirri, F. D. politico e
storico della civiltà moderna, Messina-Firenze; Landucci, Cultura e ideologia
di F. D., Milano (sul quale cfr. M. Mirri in Critica storica, e la risposta di
S. Landucci, in Belfagor); A. Asor Rosa, L'idea e la cosa: D. e l'hegelismo, in
Storia d'Italia (Einaudi), Torino e Il diagramma Sanctis e il nostro, in
Letteratura italiana (Einaudi), Torino Utilissime sono anche tutte le
introduzioni ai singoli volumi delle edizioni cinaudiana e laterziana. Sono da
tenere inoltre in grande considerazione le osservazioni di I. Svevo (in
Racconti. Saggi. Pagine sparse, Milano e Debenedetti (Commemorazione del
D.), (ora in Saggi critici, Milano),
nonché quelle di Binni (L'amore del concreto e la "situazione" nella
prima critica desanctisiana , ora in Critici e poeti dal Cinquecento al
Novecento, Firenze), G. Contini (Introd. a Sanctis, Scelta di scritti critici,
cit.); G. Getto (Storia delle storie letterarie, Milano ad Indicem), C.
Dionisotti (Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, ad Indicem)
e Wellek (Storia della critica moderna, IV, Bologna. Molto ricche sono le
miscellanee: F. D. e il realismo, con Introd. di G. Cuomo, Napoli 1978; F. D.
nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari; F. D. tra etica e
cultura ("Riscontri"), a cura di Giordano, Avellino; D. - Un secolo
dopo, a cura di A. Marinari, Bari; Per F. D., Bellinzona; F. D.: recenti
ricerche, a cura dell'Ist. per gli studi filosofici, Napoli 1989. Per i
rapporti fra il D. e la cultura napoletana dell'800, cfr. gli scritti di G.
Oldrini (in particolare, La cultura filosofica napoletana dell'800, Bari e gli
interventi apparsi nelle varie miscellanee già citate). Per quelli con l'hegelismo,
oltre allo scritto già cit. del Binni, cfr.: N. Giordano Orsini, D., Hegel e la
situazione poetica, in Civiltà moderna, Rossi, Sviluppi dello hegelismo in
Italia (F. D., S. Tommasi, A. Labriola), Torino; Il primo hegelismo italiano, a
cura di Oldrini, Firenze; M. T. Lanza, D. e Hegel, in F. D. nella storia della
cultura, Landucci, cit. Tra i tanti altri saggi, cfr. pure: M. Aurigemma,
Lingua e stile nella critica di F. D., Ravenna Battaglia, Parva desanctisiana,
Bologna Moretti, La lingua di F. D., Firenze Prete, Il realismo di D., Bologna
Malcangi, F. D. deputato di Trani, con Introd. di A. Lapenna e A. Marinari,
Bari 1972; A. Marinari, Il "viaggio elettorale" di F. D. Il dossier
Capozzi e altri inediti, Firenze Ghilardi, Il superamento del kantismo e
l'esperienza politica di F. D., Napoli Guglielmi, Da D. a Gramsci: il
linguaggio della critica, Bologna Celli Bellucci-N. Longo, F. D. e G. Leopardi
tra coinvolgimento e ideologia, Roma; M. Dell'Aquila, Giannone, D., Scotellaro.
Ideologia e passione in tre scrittori del Sud, Napoli 1981; G. Nencioni, F.D. e
la questione della lingua, Napoli. Per i rapporti con le altre
letterature europee: per la Francia cfr. F. Neri, Il D. e la critica francese
(ora in Saggi, Milano); P. Antonetti, F. D. et la culturefrançaise,
Firenze-Parigi Piscopo, D. e la culturafrancese, in F. D. - Un secolo dopo
cit.; per la Germania, cfr.: G. Bach, La cultura tedesca in F. D., in Studi e
ricordi desanctisiani, Avellino 1935; F. Matarrese, Goethe e D., Bari Westhoff,
Schiller e D., Roma Mazzocchi Alemanni, La "fortuna" di D. in
Germania, in F. D. nella storia della cultura; per il mondo angloamericano,
cfr.: A. Lombardo, Shakespeare e la letteratura inglese, in F. D. - Un secolo
dopo cit., Della Terza, D. e la cultura anglosassone, in F. D. nella storia
della cultura cit., e D. negli Stati Uniti d'America, in F. D. - Un secolo
dopo. Per la fortuna critica dell'opera del D., cfr. Biscardi, F. D.,
Palermo Romagnoli, F. D., in Iclassici italiani nella storia della critica, a
cura di W. Binni, II, Firenze; Castro, F. D. nella critica italiana del secondo
dopoguerra, in Problemi, Longo, Il "ritorno" di D. Storia, ideologia,
mistificazione, Roma Cfr. pure, al riguardo, le rassegne di G. Oldrini, M.
Tondo e P. Tuscano citate a proposito degli scritti bibliografici. Sossio
Giametta. Giametta. Keywords: il volo d’Icaro, l’implicatura di Croce –
eterodossie crociane – Cosi parlo Zoroaster; cosi implico!”—cortocircuito e
implicature, la pazzia di Croce, il pazzo di Croce – la caduta di Icaro? No, il
vuolo di Icaro! – Colli e Montanari! -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giametta:
cortocircuito ed implicatura” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giandomenico: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- l’apertura semantica e l’implicatura di Galilei – scuola di
Carunchio -- filosofia chietese – filosofia abruzzese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Carunchio). Filosofo. Carunchio, Chieti,
Abruzzo. Grice: “I like Giandomenico; he makes excellent commentary on
Bernard’s controversial, deterministic idea of life – from amoeba to man, in
Russell’s words --.” Grice: “Surely this has connections with my method in
philosophical psychology, from the banal to the bizarre, which actually starts
with philosophical BIO-logy!” Grice: “Giandomenico shows that while Bernard
never thought he had to provide a ‘conceptual analysis’ of ‘vivente,’ he does
propose this or that criterio: for one he tries to prove that self-nourishment
cannot be the criterion – but I’m not sure what the positive he poes, if any!” Si laurea con Corsano all’istituto di filosofia di Bari.Insegna
a Brindis, Lecce, Foggia, e Bari. Studia l'insegnamento di Filosofia nei Licei. Studia filosofia della comunicazione.
Fonda il Laboratorio di Epistemologia Informatica e il Centro per la
Metodologia della Sperimentazione. Studia pragmatica computazionale e
Informatica umanistica. Membro della Società Filosofica Italiana. Si occupato della
storia della fisiologia, la storia sdell’informatica, l’informatica pragmatica,
teoria della comunicazione, teoria dell’implicatura conversazionale, e teoria
del segno. Pubblicato uno studio su Tommasi, che aderì alla sperimentazione. Ha
trattato il contributo scientifico di Pende. Analizza i fondamenti
dell'informatica nei suoi rapporti con le teorie filosofiche, mettendo in
evidenza le strutture epistemiche reciprocamente significative. “Filosofia ed
informatica”, Inoltre, ha sperimentato applicazioni delle tecnologie informatiche
nella ricerca umanistica. Le ricerche condotte nell'ambito
dell'informatica linguistica si sono proposte l'analisi
linguistico-computazionale. L'obiettivo è stato quello di andare al di là del
livello “lessicografico” – il filosofese – o terminologia filosofica, como
‘implicatura’ -- e di implementare una rete sintattica automatica con l'ausilio
di software dedicati. Il primo progetto ha riguardato l'analisi della
conversazione nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di GALILEI. Usando un
software, creato dal Laboratorio di Epistemologia Informatica di Bari, ricava
un “vocabolario” (filosofese, terminologia filosofica, vocabolario filosofico)
galileiano, procedere ad una prima valutazione dello stile ed avviare l'analisi
“semantica” di un “concetto” utilizzato da Galileo. Ha raccolto, infine, questi
spunti in una riflessione sui linguaggi dell'artificiale, intersecati con
quelli della vita, sulle nuove tecnologie della comunicazione e sull'etica.
Altre opera: “Tommasi, filosofo, Bari, Adriatica; “Filosofia e sperimento”
Bari, Adriatica; “Scienza, filosofia, letteratura, Verona, Bertani; “
Introduzione a Charcot, Fasano, Schena); “Epistemologia informatica, Bologna,
Transeuropa); “ Filosofia e informatica. Bari: Laterza); “L'uomo e la macchina
trent'anni dopo: Filosofia e informatica, Società Filosofica Italiana, Bari,
Laterza); “Dall'offerta formativa alla creazione di un nuovo lavoro: la laurea
umanistica” in Convegno per il corso "Informatica umanistica” BARI: G.
Laterza); “Laboratori di psicologia tra passato e futuro, Lecce, Pensa
Multimedia); “La prosa di Galileo: la lingua la retorica la storia, Lecce, Argo);
“La filosofia come strumento di dialogo tra le culture, Bari, Mario Adda Editore);
La Società Filosofica Italiana, Roma, Armando. Triggiani, Cultura, un fronte
unico. Università e Comune per una rete dei contenitori, in Gazzetta del
Mezzogiorno, A.L., Dopo la laurea faccio il master in orecchiette, in Specchio.
Supplemento di La Stampa, F. Di Trocchio, Dall'archivio al futuro, in
L'Espresso,de Ceglia, l. Dibattista, Semi di storia della scienza. Milano, Angeli. L’esperire immediato e
l’esperienza mediata Affronteremo in questa lezione il difficile rapporto che
s’instaura tra il mondo-della-vita e quello della scienza, tra esperienza
diretta ed immediata ed organizzazione razionale. Husserl ritiene che le
scienze moderne (matematiche e naturali) hanno bisogno di un nuovo fondamento,
diverso e ben più solido di quello che vien loro solitamente attribuito dalla comunità
degli scienziati, dei logici e dei metodologi. Per trovare questo nuovo
fondamento, egli si rivolge direttamente al mondo-della -vita, cioè al mondo
dell’esperienza concreta, nel quale le intuizioni si presentano al loro stato
originario, non ancora elaborate in concetti: in una parola, si rivolge al
mondo del precategoriale. A questo proposito egli mette in guardia gli
scienziati, i quali ritengono di considerare la natura come è realmente e non
si accorgono dell’astrazione attraverso la quale essa è diventata per loro un
tema scientifico, non si accorgono cioè che le cose cui fanno riferimento -
perfino quando parlano di oggetti empirici, di risultati dell’osservazione e
della sperimentazione - sono in realtà il frutto di un precedente, assai complesso
e artificioso, lavoro categoriale. Possiamo ricordare, a questo proposito, le
procedure operative che oggi (in maniera più evidente di quanto si poteva
percepire ai tempi di Husserl) le scienze sperimentali adottano. Ecco un
esempio. Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuol dire, quasi
esclusivamente, interpretare segni generati da strumenti: tra la vista di un
astronomo del nostro tempo che fa uso del telescopio spaziale Kepler e una di
quelle lontane galassie che appassionano gli astrofisici ed accendono la
fantasia di tutti gli esseri umani sono interposti oltre una dozzina di
complicati apparati mediatori del tipo: un satellite, un sistema di specchi,
una lente telescopica, un sistema fotografico, un apparecchio a scansione che
digitalizza le immagini, vari computer che governano riprese fotografiche e
processi di scansione e memorizzazione delle immagini digitalizzate, un
apparecchio che trasmette a terra queste immagini in forma di impulsi radio, un
apparecchio a terra che ritrasforma gli impulsi radio in linguaggio per un
computer, il software che ricostruisce l’immagine e le conferisce i necessari
colori, il video, una stampante a colori e così via. Questo esempio evidenzia
che la scienza ha due attività fondamentali: la teoria e gli esperimenti. Le
teorie cercano di immaginare come il mondo è; gli esperimenti servono a
controllare la validità delle teorie e la tecnologia che ne consegue cambia il
mondo. L’intero iter della ricerca scientifica si può sintetizzare con una
affermazione netta: rappresentiamo e interveniamo. Rappresentiamo al fine di
intervenire e interveniamo alla luce delle rappresentazioni. Dall’epoca della
rivoluzione scientifica ha preso vita una sorta di “artefatto collettivo” che
dà campo libero a tre fondamentali interessi umani: la speculazione, il
calcolo, l’esperimento. La collaborazione fra ciascuno di questi tre ambiti
porta a ciascuno di essi un arricchimento che sarebbe altrimenti impossibile.
Per questo, come aveva insegnato già il filosofo inglese Francesco Bacone (ritenuto
con Galilei il padre della scienza moderna), la scienza non è osservazione
della natura allo stato grezzo. I sensi dell’uomo vanno ampliati mediante
strumenti. I raggi dell’ottica di Newton, così come le particelle della fisica
contemporanea, non sono dati in natura, sono i dati di una natura sollecitata
da strumenti. Di fronte alla natura - come aveva affermato con una delle sue
barocche metafore il Lord Cancelliere inglese - dobbiamo imparare a “torcere la
coda al leone”. Da questo punto di vista la storia degli strumenti non è
esterna alla scienza, ma ne è parte costitutiva e integrante. Attenzione!
Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche
parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore. La
rivincita della conoscenza comune In altre parole: la definizione operativa
accolta usualmente dagli scienziati tende sì a ricondurre i concetti ad un
contenuto empirico, ma questo contenuto in realtà è quello filtrato da teorie e
strumenti, come dall’esempio che abbiamo sopra riportato.La tesi di Husserl è,
invece, che il fondamento di tutte le scienze - anche di quelle cosiddette
empiriche - possa venire fornito soltanto dal «fiume eracliteo» delle
intuizioni che precedono qualsiasi tipo di concettualizzazione e che ci
coinvolgono nell’immediatezza della vita, personale e professionale, vissuta,
la quale presuppone “il mondo circostante quotidiano della vita, in cui tutti
noi, e anch’io in quanto filosofo, esistiamo coscienzialmente: non meno le
scienze, in quanto fatti culturali inclusi in questo mondo, e gli scienziati e
le loro teorie. Nei termini del mondo-della-vita: noi siamo oggetti tra gli
oggetti; siamo qui o là, nella certezza diretta dell’esperienza, prima di
qualsiasi constatazione scientifica, fisiologica, psicologica, sociologica,
ecc. D’altra parte siamo soggetti per questo mondo, soggetti egologici che lo
esperiscono, che lo considerano, che lo valutano, che vi si riferiscono
attraverso un’attività conforme a scopi, soggetti per i quali il mondo
circostante ha il senso d'essere che gli è stato attribuito dalle nostre
esperienze, dai nostri pensieri, dalle nostre valutazioni, ecc., e nei modi di
validità (della certezza, della possibilità, eventualmente dell’apparenza,
ecc.) che noi realizziamo attualmente, in quanto soggetti di validità o che già
possediamo da prima e che portiamo in noi in quanto abitualmente acquisiti, in
quanto validità di questo o di quel contenuto che possono essere attualizzate a
piacimento. Naturalmente tutto ciò soggiace a una molteplice evoluzione, mentre
”il” mondo continua a essere un mondo unitario, e si corregge soltanto nella
sua struttura di contenuto. Ora, se consideriamo noi stessi in quanto
scienziati, nella funzione di scienziati in cui ora di fatto ci troviamo, al
nostro particolare modo d’essere, di essere scienziati, corrisponde il nostro
fungere attuale nel modo del pensiero scientifico, del nostro porre problemi e
del nostro ricavare soluzioni teoretiche in relazione alla natura e al mondo
dello spirito; ciò a cui ci riferiamo non è dapprima altro che uno degli
aspetti del mondo-della-vita già precedentemente sperimentato o, comunque, già
presente alla coscienza e già valido scientificamente o pre-scientificamente.
Fungono con noi gli altri scienziati, che vivono con noi in una comunità
teoretica, che attingono o già possiedono le stesse verità, oppure che, grazie
all’accomunamento di questi atti, stanno con noi nell’unità di operazioni
critiche e nel proposito di un accordo critico. D’altra parte noi possiamo
essere per gli altri, e gli altri per noi, meri oggetti; invece che nella
comunità dell’unità di un interesse teoretico attuale, possiamo conoscerci
reciprocamente attraverso l’osservazione; possiamo conoscere gli atti del
pensiero, gli atti dell’esperienza e, eventualmente, altri atti, come fatti
obiettivi, ma “senza interesse”, senza partecipazione, senza un’adesione o un
rifiuto critico” (Husserl, La crisi delle scienze europee). Ogni pensiero
scientifico e qualsiasi problematica filosofica, secondo Husserl, implicano
sempre certe ovvietà, per esempio la certezza che il mondo esiste, che è già
sempre preliminarmente, e che qualsiasi rettifica di un’opinione di qualsiasi
tipo, presuppone sempre il mondo in quanto orizzonte di ciò che senza dubbio è
e vale. Anche la scienza oggettiva pone i suoi problemi sul terreno di questo
mondo, il quale, però, è sempre già da prima, che è già a partire dalla vita
prescientifica. Essa, come qualsiasi prassi, presuppone il suo essere; ma,
insieme, si pone come fine la trasformazione del sapere prescientifico (che è
imperfetto sia nella sua portata che nella sua consistenza), in un sapere
compiuto, conformemente all’idea della correlazione tra mondo, che in sé è ben
determinato, e verità scientifiche che lo spiegano, presentandosi come delle
verità in sé. In altri termini, il suo compito è quello di attuare questa
esplicazione attraverso un processo sistematico, attraverso gradi di
compiutezza, utilizzando un metodo che permetta un costante progresso. In
realtà Husserl tende a realizzare una descrizione dello strato precategoriale
(o antepredicativo) posto a fondamento dell’edificio logico-categoriale. Questo
strato può presentarsi sia come un piano autonomo d’esperienza che ignora la
destinazione predicativa, sia come un’anteriorità funzionale, cioè come un
precategoriale non autonomo in quanto indirizzato verso il piano predicativo (o
categoriale). In questo secondo caso, il predicativo assume il valore di
interpretazione ed esposizione linguistica dell’antepredicativo cioè
dell’originario d’esperienza. Il criterio che egli assume, peraltro, richiede
che ogni fondazione e chiarificazione conoscitiva acquisisca, dal punto di
vista fenomenologico, la forma del rinvio all’intuizione fondante. In tal modo
il rapporto tra sensibilità ed intelletto (è evidente qui il richiamo critico
alle due “fonti della conoscenza”, di kantiana memoria) si traduce nel rapporto
tra sensibile e “categoriale”: il non-categoriale, il precategoriale è
collocato nella sfera del sensibile con tutta la sua valenza fondativa per gli
atti logici superiori. La rivincita della conoscenza comune Agrimensura
empirica e geometria scientifica Tra le pagine più note, nelle quali Husserl
analizza il rapporto fondativo del precategoriale incarnato nel
mondo-della-vita ed il categoriale consacrato nei paradigmi scientifici, quelle
dedicate alla genesi della geomertia e della geometrizzazione della natura sono
particolarmente idonee per le tematiche che stiamo analizzando. Husserl precisa
subito che la sua indagine genealogica non mira ad una ricostruzione
“storiograficamente corretta” delle origini della geometria (emblematicamente
assurta a simbolo della scienza “esatta”, ma non rigorosa) bensì vuole
rintracciare il senso profondo, originario della sua collocazione categoriale.
Il problema dell'origine della geometria (e sotto il titolo di geometria
raccogliamo qui, a fine di concisione, tutte quelle discipline che si occupano
delle forme esistenti matematicamente nella spazio-temporalità) non è qui un
problema storico-filologico; non si tratta quindi di reperire i primi geometri
che·abbiano formulato proposizioni, dimostrazioni, teorie geometriche, né
quelle determinate proposizioni che essi possono aver scoperto, ecc. Il nostro
interesse mira invece a risalire al senso più originario in cui la geometria si
è costituita, in cui si è sviluppata attraverso millenni, in cui è ancora viva
per noi e in cui continua a evolvere; noi indaghiamo cioè il senso in cui si è
presentata per la prima volta nella storia - il senso in cui dev’essersi
presentata, anche se nulla sappiamo, né cerchiamo di sapere, sui suoi creatori.
Partendo da ciò che sappiamo della nostra geometria, oppure dalle sue forme più
antiche tramandateci (per es. dalla geometria euclidea), cerchiamo di risalire
agli inizi originari e ormai sommersi della geometria, a quegli inizi
“originariamente fondanti” così come devono necessariamente essersi prodotti.
Questo tentativo di risalire al senso originario si mantiene necessariamente
nell’ambito delle generalità, ma, come La rivincita della conoscenza comune
risulterà tra breve, si tratta di generalità ricchissime, la cui esplicitazione
offre la possibilità di attingere problemi particolari e constatazioni evidenti
che a loro volta si configurano come problemi. La geometria, per così dire,
compiuta, a cui occorre rifarsi per risalire al suo senso, è una tradizione. La
nostra esistenza umana si muove nell’ambito di un numero enorme di tradizioni.
Tutto il mondo culturale, in tutte le sue forme, è per noi in base alla
tradizione. Perciò le forme culturali non sono soltanto divenute causalmente:
noi sappiamo anche che la tradizione è appunto una tradizione che si è
costituita nel nostro spazio umano e in base all’attività umana, sappiamo che è
spiritualmente divenuta - anche se in generale noi non sappiamo nulla della sua
precisa provenienza e della spiritualità che l’ha di fatto determinata. E
tuttavia, anche questo non-sapere include sempre, per essenza e implicitamente,
un sapere che può essere esplicitato, un sapere di un’evidenza incontestabile.
(Husserl). Questo sapere, continua Husserl, affonda le radici, nell’esempio
specifico che egli illustra, nell’impiego empirico dei concetti geometrici. A
questo livello possiamo certo accontentarci di determinazioni piuttosto vaghe,
di una vaga tipicità; e dunque di confronti sommari, a occhio e croce. Ci
possiamo contentare, ma beninteso secondo i casi. Vi sono situazioni in cui non
ci contentiamo affatto. Se, ad esempio, dobbiamo vendere il nostro campicello o
scambiare il nostro con quello di un altro, presumibilmente non saremo affatto
soddisfatti da determinazioni tra il più e il meno. Cercheremo di escogitare
metodi più precisi di confronto, dunque metodi di misurazione. Si vede subito
allora in che senso la pratica della misurazione abbia a che fare con la
geometria, e in particolare con la sua origine. Pur essendo motivati da
interessi pratici, cominciamo tuttavia ora a porci problemi teorici, continua
Husserl, sia pure in una forma relativamente disorganica. Per escogitare metodi
di misurazione abbiamo bisogno di operare una certa classificazione delle
forme, scoprire certe relazioni tra esse o inventare dei ben determinati
congegni per stabilire tra esse una relazione. In tutto ciò sono implicite
numerose riflessioni teoriche che preparano la riflessione propriamente
geometrica. Lo stesso problema di una classificazione tenderà, ad esempio, ad
un certo ordinamento che prefigura la distinzione tra forme elementari e forme
derivate e che non solo richiede un preciso intervento teorico, ma configura
altrsì un possibile campo di indagine con fini propriamente ed esclusivamente
conoscitivi. Questa origine della problematica geometrica non ha evidentemente
un carattere “storiografico” nel senso consueto del termine. In altri termini,
non ci sono documenti che mostrino che le cose siano andate proprio così, e
questo è un altro elemento di notevole interesse che emerge dalle riflessioni
di Husserl e che riguarda il concetto della storicità. È innegabile infatti che
siamo comunque di fronte ad una descrizione storica, ma essa è condotta sul
filo di una logica interna ai concetti, non è un racconto più o meno
leggendario. E persino l’origine della riflessione geometrica dall’agrimensura
ha forse queste caratteristiche di una connessione genetica non
storiograficamente documentata in senso stretto, ma che rientra tuttavia, in un
certo senso, nel pensiero di una storia della geometria alle sue origini.
Scrive Husserl: La metodica geometrica della determinazione operativa di alcune
e poi di tutte le forme ideali a partire da forme fondamentali, in quanto mezzi
elementari di determinazione, rimanda alla metodica esercitata già nel mondo
circostante pre-scentifico-intuitivo, dapprima in modo rudimentale poi secondo
regole d’arte, alla metodica della misurazione e in generale della
determinazione misurativa. Le sue finalità hanno un’origine, che è rivelatrice,
nella forma essenziale di questo mondo-della-vita. Le sue forme sensibilmente
esperibili e sensibilmente- intuitivamente pensabili in esso e tutti i tipi
pensabili, a qualsiasi grado di generalità, si connettono continuamente le une
con gli altri. In questa continuità essi riempiono la spazio- temporalità
(sensibilmente intuitiva) che è la loro forma (Form). Ogni forma che rientra in
questa aperta infinità, anche quando è data come un fatto nella realtà, è priva
di “obiettività”, perciò non è determinabile intersoggettivamente da chiunque -
per es. da un altro che non la veda di fatto -, né comunicabile nella sua
determinatezza. Evidentemente a costui serve la misurazione. La misurazione è
qualcosa di molto differenziato, il misurare vero e proprio non è che il suo
momento conclusivo: da un lato si tratta di produrre concetti adatti per le
forme corporee dei fiumi, dei monti, degli edifici, ecc. che di regola devono
rinunciare a concetti e a nomi rigorosamente determinanti; innanzitutto per le
loro “forme” (nell’ambito della somiglianza visiva), e poi per le loro grandezze
e per i loro rapporti di grandezza e; ancora, per l’ubicazione, mediante la
determinazione delle distanze e degli angoli che vengono riportati a luoghi e a
direzioni presupposti noti e immobili. La misurazione scopre praticamente la
possibilità di scegliere come misura certe forme fondamentali empiriche, che
sono concretamente definite su corpi che di fatto sono generalmente disponibili
ed empirico-rigidi, e, mediante i rapporti che esistono (e che devono essere
scoperti) tra queste misure e le altre forme corporee, cerca di determinare
intersoggettivamente e in modo praticamente univoco queste forme - dapprima in
sfere ridotte (ad es. nell’ agrimensura) poi per nuove sfere di forme. Si
capisce così come, in seguito all’esigenza, ormai desta, di una conoscenza
filosofica, di una conoscenza che determinasse il vero essere, l’essere
obiettivo del mondo, la misurazione empirica e la sua funzione empiricamente-
praticamente obiettivante, attraverso la trasformazione dell’interesse pratico
in un interesse puramente teoretico, potesse venir idealizzata e trapassare
così in un pensiero puramente geometrico. La misurazione prepara così la
geometria universale e il suo mondo di pure forme- limite. (Husserl).
Naturalmente la fenomenologia rappresenta in certo senso la guida di questo
pensiero. Benché l’istante della transizione non possa essere documentato, è
tuttavia chiaro che molte conoscenze geometriche siano state anticipate e
presupposte nella tecnica degli agrimensori. Anzi in generale i problemi che
sorgono nell’ambito della soluzione di difficoltà pratiche stimolano la ricerca
sul piano teoretico–conoscitivo: la prassi tecnica genera motivi di riflessione
teorica. E inversamente la riflessione teorica diventa un mezzo della tecnica;
una volta che una scienza come la geometria si è costituita, quando cioè esiste
un lavoro scientifico diretto in modo autonomo ad un universo di oggetti
concettualmente definito, questo lavoro si ripercuote a sua volta sul terreno
dei problemi tecnici suggerendo nuove idee e nuovi progetti. Logica
trascendentale e mondo-della-vita Questa interconnessione tra precategoriale e
categoriale non riguarda soltanto le scienze naturali e sociali, ma investono
ovviamente anche le scienze formali e, tra queste, la logica, verso la quale
Husserl, fin dall’inizio della sua attività filosofica, ha sempre mostrato
particolare interesse. Dalle Ricerche logiche a Logica formale e trascendentale
a Esperienza e giudizio, egli traccia la via di una genealogia della logica, in
polemica con il logicismo e lo psicologismo, Nello sviluppo del suo pensiero si
impone a Husserl anche l’esigenza di chiarire che genere di rapporto sussiste
tra la logica antepredicativa e la logica predicativa. La percezione sensibile,
per quanto consista nel tendere da parte dell’io verso l’oggetto intenzionato,
è sempre una conoscenza instabile, insicura, che non consente mai di possedere
l’oggetto conosciuto in maniera definitiva. Questo è possibile soltanto
mediante una conoscenza predicativa, cioè attraverso la logica, la quale ha la
capacità di fissare l’oggetto e di conservarlo anche quando non è presente
nella percezione. La conoscenza antepredicativa e quella predicativa, perciò,
si differenziano nettamente e ciascuna si caratterizza per una propria
specificità. Se però si analizza la genesi della logica, ci si rende conto che
bisogna rifarsi alla percezione sensibile per spiegare la logica predicativa.
Questo significa che la conoscenza predicativa, di cui appunto la logica è
l’espressione più compiuta, riposa fenomenologicamente, cioè dal punto di vista
della sua fondazione, sulla conoscenza antepredicativa, cioè si esplicita in
logica trascendentale. Scrive Husserl: Chiarito il contrasto tra scienza
obiettiva e mondo-della- vita, occorre tuttavia localizzare la loro essenziale
connessione: la teoria obiettiva nel suo senso logico (in termini universali,
la scienza come totalità delle teorie predicative, dei sistemi logici in quanto
sistemi di proposizioni in sé, di verità in sé e, in questo senso, di enunciati
logicamente connessi) è radicata e fondata nel mondo-della-vita, nelle sue
evidenze originarie. Proprio per questo la scienza obiettiva ha una costante
relazione di senso col mondo in cui sempre viviamo, e in cui, quindi, viviamo
anche nella nostra qualità di scienziati accomunati a tutti gli altri
scienziati - si tratta cioè di una relazione col comune mondo-della-vita. Ma
così la scienza obiettiva è un’operazione di persone pre-scientifiche, di
persone singole e di persone accomunate nell’attività scientifica, di persone
quindi che appartengono al mondo-della-vita. Le loro teorie, le formazioni
logiche, non sono naturalmente cose del mondo-della-vita nel senso in cui lo
sono i sassi, le cose, gli alberi. Sono totalità logiche e parti logiche
costituite da elementi logici ultimi. Per parlare con Bolzano: sono
rappresentazioni in sé, proposizioni in sé, conclusioni e dimostrazioni in sé,
unità ideali di significato, la cui idealità logica è determinata dal loro
telos “verità in sé”. Ma anche questa idealità, come qualsiasi altra, non muta
nulla al fatto che sono formazioni umane connesse per essenza alle attualità e
alle potenzialità umane, e che quindi rientrano nella concreta unità del
mondo-della-vita, la cui concrezione dunque ha una portata maggiore di quella
delle cose. Ciò vale, correlativamente, anche per le attività scientifiche,
sperimentali, per le attività che in base all’esperienza plasmano le formazioni
logiche, in cui esse compaiono in forma originaria e in modi originari di
evoluzione, nei singoli scienziati e nella comunità degli scienziati: quale
originarietà delle proposizioni, delle dimostrazioni, ecc. che sono state
elaborate in comune (Husserl). Come potete notare, si tratta di un’ampia
riflessione sul come le strutture logiche siano o meno adeguate alla dimensione
della realtà oggettiva. In questo senso la logica trascendentale si presenta
come logica dei fondamenti, ed è in seno ad essa che si costituisce la logica
come scienza formale. La logica formale tradizionale, invece, ha ignorato la
propria genesi, presupponendo come ovvia la validità delle proprie leggi. Al
contrario, un giudizio logico deve essere valutato come un atto soggettivo di
conoscenza che si impadronisce del suo contenuto. Per questo motivo le leggi
logiche formali, che siano normative del giudizio, ma che non tengono conto del
fatto che sono normative anche del suo contenuto, fanno sorgere interrogativi
sulla validità dei loro giudizi sul mondo naturale e sulla verità ed evidenza
dei loro contenuti. Seguendo questo punto di vista, Husserl sviluppa pienamente
il tema della logica trascendentale in rapporto alle categorie di verità e di
significato. Conseguentemente, la logica si configura qui come teoria delle
teorie: essa non è solo un discorso logico sulla logica, condotto con i mezzi
della logica, ma un metadiscorso sulla logica, che tuttavia non si presenta né
come una sovrastruttura né come una forma speculativa. E’, a tutti gli effetti,
una regressione, un ritorno ai fondamenti che l’hanno costituita nelle sue
operazioni originarie, anche storiche, nonché nelle sue operazioni attuali. Le
ricerche fenomenologiche, ribadisce Husserl, risultano necessarie alla logica
pura, trascendentale. Ne rappresentano la sua fondazione intuitiva e
precategoriale: in quanto la logica è da ricercare nelle operazioni
costitutive, diventa logica filosofica, filosofia prima, teoria della teoria.
Ma, badate bene, ciò non è in contraddizione con la fondazione precategoriale:
è solo l’altra faccia della questione, poiché la fondazione deve sempre essere ristabilita
nella presenza e nelle modalità temporali e quindi genetiche e storiche. Le
scienze, invece, che non prendono in considerazione ciò che costituisce il loro
fondamento trascendentale, cioè le condizioni per cui si danno, si risolvono in
pure tecniche di manipolazione di simboli linguistici. Mauro Di Giandomenico. Giandomenico.
Keywords: l’apertura semantica, “How Pirots Karulise Elatically” – pirots
karulise elatically – pirots karulise – ‘implicazione’ – aperture semantica,
Galileo, la retorica di Galilei, Galilei, lo stile di Galilei, Vinci, I corpi,
la filosofia positivistica italiana -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giandomenico: l’implicatura conversazionale: ‘Pirots
karulise elatically; therefore, pirots karulise!” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giani: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- implicatura mistica – l’implicatura di Catone – filosofia
muggiana – filosofia triestina – filosofia friulese – filosofia veneta. filosofia
italiana – Luigi Speranza (Muggia).
Filosofo muggiano. Filosofo trestino . Filosofo italiano. Muggia, Trieste,
Friuli-Venezia Giulia. Grice: “It’s hard
for me to judge Giani’s philosophy because I fought against the Italians during
the so-called ‘second world war,’ so-called!” Grice: “But I would be willing to
expand: if Giani developed what he aptly called a ‘mystique’ – so did we at
Oxford – Churchill surely held his ‘mystique.’ Of course the Italian, being
more scholastic, had to call it ‘scuola di mistica,’ – and the idea was that of
an all-male chivalry order – aptly set at Milan!” Fonda la corrente filosofica nota come "Mistica".
Partì come volontario di guerra e morì sul fronte. Frequentato il Liceo
ginnasio di Trieste. Si trasfere a Milano, dove si iscrive a Milano e quindi ai
Gruppi Universitari, laureandosi. Anticipa l'imminente apertura della scuola
sul foglio dei Gruppi Universitari, "Libro e moschetto" della scuola
di mistica. Ne divenne direttore, carica che lasciò alla fine dell'anno
seguente dopo aver scritto il suo ampio discorso da tenersi a Roma in occasione
dellaI iunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze che
coincide anche con il decennale della Marcia su Roma in cui enuncia i principi
della nuova scuola. Su impulso di G. si comincia inoltre a pubblicare i
Quaderni della scuola di mistica. Poche settimane dopo la riunionesi
dimise da direttore con una lettera inviata a MUSSOLINI, per contrasti interni
con il segretario politico dei Gruppi Universitari. Imputa le dimissioni al
mancato trasferimento della scuola nella vecchia sede de Il Popolo d'Italia
chiamato anche "Il covo" La richiesta di entrare in possesso de
"Il covo" punta ad ottenere il possesso di uno degl’ambienti più
importanti dell'immaginario fascista. Continua quindi a collaborare con diversi
quotidiani come "Il Popolo d'Italia" e "Gerarchia". "Lineamenti
sull'ordinamento sociale dello stato" gli fa ottenere la libera docenza e e
quindi la cattedra a Pavia ma parte volontario per la guerra arruolandosi col
grado di capomanipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel Battaglione"Vercelli".
Rientrato in Italia, riassunse la guida della scuola, qui in occasione della
chiusura dell'anno scolastico nell'aula della casa del Fascio di Milano.
Rientrato in Italia riassunse la carica di direttore della "Scuola di
Mistica" lanciando due importanti iniziative, rilancia la pubblicazione
della serie di "Quaderni" che affrontavano differenti problematiche e
sempre per sua iniziativa fu creata nell'ambito della scuola la rivista
mensile, Dottrina che divenne l'organo ufficiale della Scuola, in cui pubblica il "Decalogo dell'italiano nuovo”. Si
dedica inoltre al giornalismo diventando direttore a Varese di "Cronaca
prealpina" e collaborando a diverse testate, tra cui Tempo (Direttore:
Acito). Dalle pagine di "Cronaca prealpina" prese parte alla campagna
fondata sui propri convincimenti del ‘spirito’ contrapposto al
"biologico" La Cronaca
prealpina dopo la nomina di G. a direttore arriva a quadruplicare la tiratura.
L'incontro a Roma con Mussolini in cui si decise la cessione del covo ai
"mistici" della Scuola. Su impulso di G., con una cerimonia
presieduta di Starace, la sede ufficiale della scuola di mistica si sposta nel
medesimo edificio che ospitò ai suoi primordi il giornale Il Popolo d'Italia,
chiamato il covo. Il covo negli anni e stato trasformato in una galleria. La
palazzina e proclamata monumento nazionale con tanto di guardia d'onore svolta da squadristi e combattenti. Per
esplicita decisione di Mussolini, e ufficialmente consegnata ai mistici della
scuola. L'evento e vissuto come una autentica consacrazione dei insegnanti
riuniti intorno a G.. In realtà la consegna e già stata disposta come risulta
da un foglio d'ordini del PNF e in quell'occasione il consiglio direttivo e ricevuto
a Roma da MUSSOLINI. Mussolini li aveva spronati continuare nella loro
attività. A Milano, in occasione del decennale dalla fondazione della
scuola, organizza il convegno di mistica che nelle sue intenzioni dove essere
il primo della serie. Obiettivo che sfuma a causa dell'entrata in guerra.
L'incontro vide oltre 500 partecipanti ed ha l'adesione della maggior parte dei
filosofi dell'epoca. Come gran parte dei mistici, partecipa nuovamente come
volontario alla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale vede il presagio
di una rivoluzione in vista di una nuova era. Inquadrato nel reggimento alpini prende parte alla battaglia
delle Alpi Occidentali contro la Francia venendo decorato con la medaglia
d’argento al valor militare.Terminata la campagna di Francia in seguito
all'armistizio torna alla vita civile ma incominciata nel frattempo la guerra
in nord Africa richiese più volte di partire volontario senza ottenere
soddisfazione. Alla fine ottenne di partire
come corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia, della Cronaca
prealpina e de L'Illustrazione Italiana presso i reparti della regia
aeronautica. Per quest'ultima realizza anche diversi servizi fotografici. All'attività
di giornalista affiance anche quella di militare prendendo parte ad alcune
azioni e ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare. E richiamato in
Italia dove riassunge la guida de "La cronaca prealpina".Nuovamente
incorporato nel reggimento alpini riparte infine come volontario per la
campagna di Grecia, dove cadde sul fronte greco-albanese nella battaglia per la
conquista della Punta Nord del Mali Scindeli. Si offre volontario per una pericolosa
missione che prevede la conquista di una munita postazione greca. L'attacco
ebbe inizialmente successo con la conquista della posizione ma riorganizzatisi
i greci condussero un contrattacco. Nello scontro cadde. Il periodico
L'Illustrazione Italiana scrive, senza riportare dove o come avrebbe potuto
registrare tali parole, che l'ufficiale greco che lo aveva colpito a morte
avrebbe raccontato che nello scontro G. gli si era parato davanti "come un
dio o un demone". Il corpo di G. anda disperso e gl’altri
assaltatori che prendono parte
all'attacco dovettero ritirarsi rapidamente incalzati dai soldati greci. E
pochi giorni dopo incaricato delle ricerche Carati che e anche vice-direttore
della scuola di mistica. Le ricerche a causa della perdurante situazione di
guerra sono nulle, e riuscì solo ad individuare il luogo in cui e caduto.
In quell'occasione, richiesta un'udienza al duce, chiede che puo partire per
l'Albania il cognato Guido G. e il fratello Sampietro. Questi ultimi rinvennero
la salma sepolta in maniera anonima in territorio greco. Di qui la salma e
translata nel piccolo cimitero militare di Klisura. MUSSOLINI e preso
come principale punto di riferimento dalla scuola di mistica. Elabora un discorso
programmatico in cui enuncia i principi fondanti della Scuola e della Mistica
fascista. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare,
interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola
di mistica ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori che sono nell'opera del Duce. (G. in La marcia sul mondo). Inizialmente i
principi esposti da G. fanno parte di un discorso più ampio da tenersi a Roma
in occasione di una riunione della Società Italiana per il Progresso delle
Scienze. L'ampio discorsoe poi pubblicato nella serie dei "Quaderni"
voluti da G. con il titolo "La marcia sul mondo della civiltà". Si
impone un ritorno alle origini, ovvero al movimentismo rivoluzionario, riallacciandosi
idealmente all'esperienza delle prime squadre d'azione e degli arditi della
Grande Guerra quindi, secondo Veneziani "una più radicale rivoluzione
coniugata al recupero di una più integralistica tradizione. Ma più che legati
agli enunciati politici del manifesto di sansepolcro i mistici di quella
esperienza esaltavano soprattutto la lotta contro la borghesia affaristica del
primo dopoguerra. La mistica si considera rappresentante proprio di questo
mondo ispirato dall'amore di patria e posta a guardia della rivoluzione
permanente e in contrasto con gli opportunisti e i trasformisti. Individuava
nell'epoca contemporanea *quattro* principali mistiche, destinate ad apportare
in un primo tempo dei benefici ma poi a fallire: liberale, democratica,
socialista e comunista. Liberalismo, democrazia, socialismo e comunismo
sono le quattro mistiche dominanti nella societa. Il bilanciolo abbiamo già
visto è per tutte negativo. Il liberalismo porta all'anarchia. La democrazia porta
all'instabilità politica e sociale. Il socialism porta alla otta civile. Il
comunismo porta alla vita primitiva. Queste quattro mistiche sono pertanto anti-storiche.
A fronte di esse l'unica mistica in grado di superare tali crisi era quella come
sviluppato nel capitolo intitolato "La marcia ideale" la cui
conoscenza e diffusione presso le masse era compito della élite. Medaglia
d'argento al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'argento al
valor militare «Volontario nella guerra d'Africa ove prese parte volontario a
diverse pattuglie esploratori, chiese ed ottenne di essere anche in quest
guerra assegnato ad un reparto combattente. Destinato all'11º alpini volontario
a due azioni del battaglione Bolzano chiese di partecipare alla ardita discesa
di due compagnie del battaglione Trento effettuata in una valle occupata dal
nemico e avanzò con la prima pattuglia sotto intenso bombardamento, sprezzante
del grave pericolo di sorprese e di accerchiamento nemico, esempio trascinante
a ufficiali e soldati, e prova di dedizione alla patria, di alta fede e di
valore. Medaglia di bronzo al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia
di bronzo al valor militare «Corrispondente di guerra presso una squadra aerea
disimpegnava il suo particolare e delicato servizio con alto senso di
responsabilità. Spesso presente sugli aeroporti più avanzati e maggiormente
battuti dall'offesa nemica allo scopo di rendersi conto di ogni particolare,
partecipava volontariamente a difficili e rischiose missioni di guerra, dando
sicura prova anche nelle più critiche circostanze di sereno sprezzo del
pericolo e completa dedizione al dovere.» Medaglia d'oro al valor militarenastrino
per uniforme ordinaria medaglia d'oro al valor militare. Volontariamente, come
aveva fatto altre volte, assumeva il comando di una forte pattuglia ardita,
alla quale era stato affidato il compimento di una rischiosa impresa.
Affrontato da forze superiori, con grande ardimento le assaltava a bombe a
mano, facendo prigioniero un ufficiale. Accerchiato, disponeva con calma e
superba decisione gli uomini alla resistenza. Rimasto privo di munizioni, si
lanciava alla testa dei pochi superstiti, alla baionetta, per svincolarsi.
Mentre in piedi lanciava l'ultima bomba a mano ed incitava gli arditi col suo
eroico esempio, al grido di: «Avanti Bolzano! Viva l'Italia», veniva
mortalmente ferito. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di altissimo
valore e di amor di Patria. Punta NordMali Scindeli (Fronte greco) Saggi: “La
via della gloria, anni 20 La marcia sul mondo della Civiltà Fascista, Lineamenti
su l'ordinamento sociale dello Stato, Giuffré ed. La mistica come dottrina. Perché
siamo, A. Nicola. Perché siamo mistici. Mistica della rivoluzione. Antologia di
scritti, Il Cinabro, Longo, “I vincitori
della guerra perduta” (sezione su G.),
Settimo sigillo, Roma.Carini, G. e la scuola di mistica fascista, Mursia, Antonellis, Come doveva essere il
perfetto, su storia illustrate, Antonellis, Come dove essere il perfetto, su
storia illustrate, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini,
G. e la scuola di mistica, Mursia,Carini,
G. e la scuola di mistica, Mursia, Carini, G. e la scuola di mistica fascista,
Mursia, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Grandi, Gli eroi, G. e la Scuola di mistica, Cfr. a tale proposito le
ricerche di Laforgia, una cui sommaria sintesi è nel sito varesenews Archiviato.
Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Il
saggio, edito da Dottrina Fascista, riporta in forma integra la conferenza inaugurale
tenuta da G. per l'inaugurazione del corso per maestri della scuola di mistica.
Cfr. a tale proposito le ricerche di Laforgia in Grandi, Gl’eroi di Mussolini,
BUR, Milano, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Veneziani,
La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, Longo, Gl’eroi della
guerra perduta, Settimo sigillo, Roma,
L'Illustrazione italiana, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola
di mistica fascista, Grandi, Gl’eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica
fascista, G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione
su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Marcello Veneziani, La
rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, G., La marcia sul mondo,
Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Carini, G. e la Scuola di mistica, prefazione di Veneziani, Mursia,
Milano, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica, BUR
Biblioteca Rizzoli, Raido Speciale Scuola di Mistica, Raido, Roma, Arnaldo M.,
Coscienza e dovere. G. MISTICA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA Antologia di scritti. In breve: Siamo mistici perchè siamo degli
arrabbiati, cioè dei faziosi, se così si può dire, del Fascismo, uomini
partigiani per eccellenza e quindi anche assurdi Del resto nell’impossibile e
nell’assurdo non credono gli spiriti mediocri. Ma quando c’è la fede e la
volontà, niente è assurdo». (Niccolò Giani) Un’antologia che raccoglie i più
significati testi di G., tra i massimi esponenti della corrente più radicale,
oltranzista e universale del Fascismo, la Scuola di Mistica
Fascista. Questa antologia rappresenta la prima raccolta organica dei più
significativi scritti di G. È, a nostro
giudizio, il modo migliore per illustrare senza filtri la sua persona, la sua
filosofia, e la sua azione. È un omaggio doveroso al testimone di quello che e
il Fascismo universale e intransigente che mai scese a compromessi con la vita
comoda, al rinnovatore spirituale e politico di una intera generazione. Esempio
di eroismo che, al di là della contingenza storica, seppe essere coerente con i
propri principî vivendo l’ideale sino all’estremo sacrificio; quasi innalzando
il Fascismo ad una categoria universale dell’essere, come fonte inesauribile di
spiritualità cui innestarsi per fare la rivoluzione dell’uomo e del mondo. G.,
nato a Muggia, cadde sul fronte greco nello slancio del combattimento,
trasfigurato ormai nell’eroismo muto. Dimostra con la vita affermata oltre la
morte, l’armonia tra pensiero e fede, la continuità tra filosofia ed azione, e
della autentica rivoluzione rimane il puro rappresentante del nuovo italiano:
per questo il suo esempio e il seme fecondo dell’aspro cammino di domani. Seppe
con l’azione indicare la strada, con l’intransigenza insegnare l’esempio. I
tesserati sono i suoi avversari. Contro di essi combatté, contro cioè i falsi,
i presuntuosi, gli esibizionisti, i retorici, gli arrivisti; contro coloro,
insomma, che considerarono la rivoluzione come atto di ordinaria
amministrazione, sfruttabile per fini personali. Il Cinabro Ufficio stampa
Rimbotti: Mistica Fascista. L’ordine della Milizia sacra; Rossi: La Mistica
Fascista dell’Uomo Nuovo. Tra milizia politica e meta-politica la scuola
rivoluzionaria del Fascismo; Mezzasoma: G., discepolo di Arnaldo. Decalogo
dell’Uomo Nuovo La marcia ideale sul mondo della Civiltà fascista Generazioni
di Mussolini sul piano dell’Impero Civiltà fascista civiltà dello spirito Aver
Coraggio A difesa dell’Europa Fuori La mistica come dottrina del fascismo Le
due Europe Mistica del fascismo, Corporativismo e Autarchia Il Centro di
preparazione politica per i giovani. Fucina di Campioni della Rivoluzione
Valore primordiale del covo I soliti imbecilli L’equivoco Perché siamo dei
mistici Il volto della guerra Testamento spirituale al figlio G.:
Presente!Mistica Della Rivoluzione Fascista E questo diritto alla prima linea,
ad essere i disperati del Fascismo, è l’unica pretesa che, oggi, domani,
sempre, i mistici del Fascismo accamperanno di fronte alla Rivoluzione, come,
con vena veramente squadrista, ha detto PALLOTTA (si veda) nella sua relazione
che ha avuto lo spirito e la mordenza del «menefreghismo» più autenticamente
fascista. Prima linea, sul fronte esterno ed interno, contro il nemico di fuori
e di dentro. Contro gli attentatori della nostra integrità territoriale, ma
anche, e con uguale decisione e durezza, contro gli attentatori della nostra
integrità spirituale (G.) Le conseguenze derivate dalla fine del primo
conflitto mondiale e l’immediatarossi 5 crisi strutturale delle istituzioni e
dei valori che investì, con una forza che non aveva avuto precedenti nella
storia, le società europee, vennero allora giudicate come l’annuncio di un
radicale mutamento di tutte le forme della vita politica e civile fino ad
allora conosciute e complessivamente accettate. Una deflagrazione interna dei
costumi, di certezze consolidate e di mentalità che modificò in maniera
irreversibile l’immaginario collettivo di popoli e nazioni. Niente sarebbe
più stato come prima. Uno Spirito nuovo si affacciava con ruvida decisione e
realismo eroico reclamando il proprio posto nella Storia. L’alba delle grandi
rivoluzioni si affacciava sul continente europeo e i popoli si sarebbero messi
in marcia affascinati da nuove e esaltanti Weltanschauung. Per Bruck, uno
dei primi e tra i più significativi esponenti della Rivoluzione Conservatrice
tedesca, si tratta di una presa di posizione a carattere diffuso più che
evidente. Assistiamo all’evento per cui tutto quel che non è liberale si unisce
contro quel che è liberale. Noi viviamo i tempi di questa agitazione mondiale,
che si produce per una estrema consequenzialità, e che si esplica in una
rivoluzione radicale che prospetta la perdita da parte del nemico della sua
posizione di potere: tale nuova situazione mondiale esordisce con un
allontanamento dall’Illuminismo.” Il periodo che immediatamente fece
seguito al termine di un conflitto di così immensa portata, venne visto dai più
attenti e acuti osservatori incredibilmente saturo di una genuina e
stupefacente valenza rivoluzionaria e innovatrice, ciò significò l’inizio di
una nuova stagione di entusiastiche mobilitazioni che avrebbero alla fine
tonificato la fibra morale e politica del continente fino ad allora logorata ed
estenuata da sovrastrutture ipocrite e corrose nel loro intimo che erano
riuscite, attraverso innumerevoli sotterfugi, a sopravvivere a se stesse,
sempre più annichilite da un pervasivo decadentismo culturale e morale e dal
predominio di una mentalità borghese e oligarchica connotata dalle sue più
perniciose vedute utilitaristiche e mercantilistiche. Le conseguenze
della fine della grande guerra significarono soprattutto una presa di coscienza
collettiva e un’accelerazione formidabile dei fenomeni sociali, accompagnate
entrambe da una esigenza totalmente nuova di considerare l’esistenza e i
rapporti umani, esigenza che venne principalmente percepita prima dai
combattenti e poi dai reduci come il frutto maturo della traumatica e allo
stesso tempo travolgente esperienza della guerra di trincea, insomma un insieme
di condizioni imprescindibili che prepararono il terreno e l’atmosfera per
l’avvento delle ondate rivoluzionarie nazionalpopolari che misero in crisi
valori e regole consolidate da tempo, assestando colpi mortali alle strutture
politiche, sociali e culturali delle società borghesi
liberal-democratiche. Dalle forme statiche si passava alle forme
dinamiche, nel senso jungeriano del termine. Il Fascismo è la matrice
principale che inaugurò la feconda ed entusiasmante stagione delle insurrezioni
nazional-rivoluzionarie e il primo laboratorio culturale delle ancor più
affascinanti sintesi nazionali e sociali. Furono infatti i reduci del
fronte, gli ex-combattenti che avevano creduto fino in fondo ad una particolare
visione eroica della vita propria di una ideologia della guerra sviluppatasi
nell’interiorizzazione del sacrificio bellico e del sangue versato – subendo
poi la frustrazione di una vittoria conseguita sul campo di battaglia a duro
prezzo che videro mutilata negli accordi di pace internazionali – a
rappresentare la spina dorsale di una innovativa e volontaristica visione
politica che pretendeva di coniugare un nazionalismo intransigente e guerriero
partorito nelle trincee con le più avanzate e spregiudicate chiavi di lettura
sociali. La grande guerra di popolo aveva travasato nei combattenti il
senso della tensione nazionale e sociale verso scopi e missioni comuni, una
nuova coscienza collettiva che sarebbe stata cementata da un formidabile
sentimento di fraterno e virile cameratismo, il culto della differenza e del
radicamento nella specificità etnica della Stirpe italica. Gli squadristi
fascisti non fecero altro che travasare tutti questi motivi nelle battaglie di
piazza. Sorti dalla guerra di popolo, divennero avanguardia di popolo. E
il 28 Ottobre 1922 sarà il coronamento dei loro sacrifici, la loro
apoteosi. D’altronde era stato lo stesso Mussolini a dire che
l’esperienza della guerra avrebbe generato le migliori condizioni per la
rivoluzione sociale e politica. Anzi, ne sarebbe stata la prefazione. Era il
novembre 1916 e Mussolini combatteva sul fronte del Carso, nei ranghi del 11°
Reggimento Bersaglieri: “Noi vinceremo la guerra: ma poi dovremo vincere la
pace. Sarà duro; ma ci arriveremo. La società italiana deve assolutamente
mutare. Sugl’italiani bisogna contare. Questa guerra che noi combattiamo e che
con tragica definizione viene detta di logoramento, porterà alla ribalta delle
lotte civili una generazione che riuscirà a fare quello che la nostra non è
riuscita a fare: il riscatto sociale e politico del mondo del lavoro, al di
sopra e al di fuori dei dottrinarismi che oggi lo incatenano. A ciò non saremmo
mai arrivati se non avessimo voluto la guerra, rovesciato i vecchi feticci
sostituendo alle vuote ideologie i fatti e le loro naturali conseguenze. Questo
non sarà solo di noi, ma anche di altri popoli.” Una lucida e profetica
anticipazione di quanto sarebbe poi accaduto in tutta l’Europa. Tutto
questo si pose, in maniera del tutto naturale, in totale opposizione al
principio democratico in politica e a quello liberale nel campo economico,
all’insegna di una rivoluzionaria concezione elitaria, fortemente gerarchica e
anti-egualitaria che reclamava la valorizzazione delle minoranze attivistiche e
carismatiche con la conseguente affermazione del principio guida del Capo, con
il mito dello Stato totalitario come asse formante e legittimante della
Comunità nazionale e non ultimo la funzione pedagogica del Partito unico,
soprattutto mediante una costante mobilitazione politica delle masse, una sacralizzazione
della politica attraverso il ricorso a liturgie collettive, miti e simbologie,
e una crescente militarizzazione della vita sociale e civile, l’intervento
statale attraverso gli istituti del Corporativismo per una razionale direzione
disciplinata dell’economia che ponesse termine all’epoca del predominio delle
oligarchie mercantilistiche e parassitarie e riportasse la vita economica al
servizio dell’interesse collettivo subordinandola alle necessità politiche
nazionali. Infine, l’affermazione sovrana di una particolare e severa
tipologia umana di nuova impronta che avrebbe rappresentato lo spirito del
nuovo tempo: l’Uomo Nuovo, l’Uomo integrale come manifestazione vivente di una
Tradizione atemporale che ebbe la volontà e la capacità di tradursi in
Rivoluzione. Proprio nel senso di quell’interpretazione che G. sa dare,
facendosi portavoce di quegli ambienti del Fascismo intransigente e
rivoluzionario che vollero interpretare al meglio gli insegnamenti
mussoliniani: “Il Fascismo è un richiamo violento alla Tradizione, non un
ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione come lo dice il
significato etimologico del termine e come Evola ha documentato, è e non può
essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di conservatorismo o di reazione.
Invece, la Tradizione è continua coniugazione, attraverso il presente, del
passato e dell’avvenire; è processo inesausto di superamento, è una fiaccola
accesa con la quale ogni popolo illumina la propria strada e corre nel tempo
verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e Tradizione non si escludono,
ma anzi si identificano e questo spiega il culto che noi abbiamo pel passato e
dice ai soliti uomini dai paraocchi che l’italiano non può che essere fascista.
Questa nuova visione della politica rappresentata dal Fascismo rappresentò
inequivocabilmente la radicale negazione dei principi emersi dalla rivoluzione
francese, una evidente antitesi storica e culturale di quanto fu incarnato
dall’illuminismo, che costituì l’essenza di tutte le manifestazioni
materialistiche ed economicistiche della decadenza moderna: da quelle
individualistiche, liberali e democratiche a quelle cosmopolite, genericamente
progressiste e marxiste. Il Fascismo, anche nella sua più vasta
comprensione europea, intese proporre in maniera concreta ed efficace un
discorso radicalmente alternativo alla politica borghese e alla società
borghese richiamandosi al concetto di avanguardia delle idee, un’avanguardia
rivoluzionaria che fosse in grado, senza contraddizioni, di saldare assieme
passato e presente vincendo così la sfida della modernità, sostituendo il
vigore giovanile della passione idealistica e volontaristica alla decadente
dissolutezza del conservatorismo borghese e il cameratismo militante radicato
nella coscienza popolare alla società atomizzata e polverizzata delle
democrazie liberali. Un discorso ambizioso per un’avanguardia che ambiva
ad essere al contempo simbolo della genuinità politica e della resurrezione
spirituale, una speranza che venne riposta nel mito capacitante dell’Uomo Nuovo
creatore di nuovi valori, l’esemplare di una specifica specie umana lanciata
alla conquista del futuro senza per questo dover recidere le radici culturali e
spirituali che lo mantenevano legato alla propria dimensione storica, etnica e
popolare; nei confronti della quale si espresse il Duce parlando all’Assemblea
delle Corporazioni: “L’uomo economico non esiste, esiste l’uomo integrale che è
politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è
guerriero. Quindi questa figura particolare dell’Uomo Nuovo, capace di
raccogliere in sé tutte le sue forze creative, che la cultura rivoluzionaria
del Fascismo propone e che non mancava costantemente di ricollegare alla
stagione dello squadrismo, così intrisa di eroicità e di sacrificio, riconduceva
alla stessa definizione dell’Uomo integrale di mussoliniana memoria, ovvero un
uomo che non esistesse unicamente perché cartesianamente pensante, ma perché
arricchito di tutte quelle virtù “romanamente” intese, eroiche, civiche e
politiche, sia nella ragione come nei sentimenti. Spesso e volentieri
nell’immaginario intellettuale il discorso sull’Uomo Nuovo si andava a
concretizzare poi nell’ideale della gioventù, una gioventù non solamente intesa
in senso spirituale ma anche come dato anagrafico, poiché il concetto di
gioventù rimandava all’ansia del cambiamento e all’impeto rivoluzionario,
racchiudendo in se stessa gli ideali della forza e della bellezza, di una
esuberante virilità aggressiva, l’anelito vitale di un futuro tutto da
conquistare, proprio l’opposto di quanto ancora proponevano i rappresentanti
delle democrazie borghesi con tutte le loro desuete convenzioni e i loro logori
formalismi, con tutta la loro boriosa rispettabilità e lasciva
ipocrisia. Il Fascismo fu quindi profondamente giovane e irruento,
meravigliosamente violento e lo fu sia spiritualmente che
anagraficamente. Il comune denominatore della più intransigente e
autentica cultura fascista, quella derivata appunto dalla passionale ed eroica
stagione dello squadrismo, si trovava nell’aspirazione alla realizzazione di un
originale disegno politico ed esistenziale da esplicarsi mediante cambiamenti
radicali frutto di una ferma volontà rivoluzionaria che armonizzava i
riferimenti alla rivolta romantica dell’interventismo e alla mistica eroica
evocata dalla guerra di trincea con i nuovi miti palingenetici di
trasformazione della società e dello Stato. Questa cultura dell’azione che si
nutriva dello spirito barricadiero di rivolta contro l’ordinamento borghese in
nome di un rivoluzionario e fascista Ordine Nuovo era la caratteristica di
quell’ambiente fascista che si riconosceva, anche per esperienza diretta, nel
mito capacitante delle aristocrazie del combattentismo – quella trincerocrazia
più volte evocata da Mussolini – e nella scuola di vita e di coraggio
rappresentata dalla militanza squadristica che venne vissuta, letta ed
interpretata non solamente come una reazione organizzata e armata volta
all’annientamento dei focolai dell’insurrezionalismo marxista, ma soprattutto
come militanza rivoluzionaria e idealistica volta alla rigenerazione della
Nazione e alla creazione di uno Stato nuovo. Una specifica rilettura che si
svolgeva anche in aperta polemica con coloro che ritenevano che la nascita del
governo presieduto da Mussolini, all’indomani della marcia su Roma,
rappresentasse la fase risolutiva del Fascismo. In questo modo, il
Fascismo, doveva e poteva assumere una superiore valenza metafisica affermando
il suo essere come un completamento naturale e organico della storia della
Nazione italiana, andando ben oltre la semplice insorgenza anti-sovversiva e
anti-modernista – non a caso lo stesso G. volle mettere l’accento sul fatto che
la Rivoluzione Fascista infatti non è stata reazione come qualcuno ha creduto
in origine e come tuttora si crede da molti all’estero; è stata invece
l’ostetrica della nuova storia. E sorta una nuova civiltà capace di risolvere
tutti i problemi della società contemporanea. Per costoro, che in fondo
rappresentavano la vasta base della militanza fascista e anche quella
intellettualmente più viva, l’agire politico del Fascismo non doveva
assolutamente compromettersi con i residui della vecchia classe dirigente, che
in virtù del processo di normalizzazione e di pacificazione avviato dal Duce si
adoperavano nell’inserimento all’interno dei gangli del regime, doveva invece
mantenere e tonificare una assoluta intransigenza dottrinaria senza incorrere
in alcun cedimento politico e morale, perché se il Fascismo era una
rivoluzione, doveva necessariamente procedere nei suoi obiettivi con mentalità
e metodi rivoluzionari, come perentoriamente affermò un autorevole esponente
dell’epopea squadristica della statura di FARINACCI (si veda). Bisogna insomma
che la bestia proteiforme del vecchio conservatorismo sornione sia liquidata
bruscamente; che le vecchie clientele d’interessi e d’ambizioni fiorite ai
margini della vita politica italiana siano messe in mora, vigilate,
controllate, sopra tutto tenute lontane, bisogna che sia impedito a chiunque di
rifarsi, attraverso il fascismo, una qualsivoglia verginità e continuare, sotto
mentite spoglie, le abitudini peccaminose del passato. La vittoria deve essere
integrale. Tra gli oppositori più accaniti della deriva moderata si
evidenziarono gli ideatori della Scuola di Mistica Fascista, costituitasi a
Milano, tutti provenienti da quella generazione dei GUF che era cresciuta
respirando l’atmosfera del Fascismo, maturando così una profonda convinzione
nei miti fondatori del regime e una fedeltà assoluta nella persona del
Duce. Al loro fianco si schierarono altre personalità di spicco del
Fascismo rivoluzionario: RICCI (si veda) con il suo universalismo fascista, PAVOLINI
(si veda) e l’esaltazione della primavera squadristica, ROSSONI (si veda) con
tutte le aspettative del sindacalismo rivoluzionario. La Scuola di
Mistica Fascista verrà intitolata a Mussolini, il figlio prematuramente
scomparso di Mussolini. G., PALLOTTA (si veda), MEZZASOMA (si veda) e
molti altri entusiasti, avvalendosi della guida orientatrice di Arnaldo
Mussolini, seppero rappresentare, attraverso l’opera che fu sviluppata dalla
Scuola, una autentica e intransigente avanguardia intellettuale e morale posta
a difesa dei valori espressi dalla Rivoluzione Fascista, che sempre più doveva
farsi rivoluzione culturale e antropologica per meglio adempiere alla consegna
rivoluzionaria che il Duce del Fascismo aveva dato alle nuove
generazioni. È G. a spiegare gli scopi dell’istituzione: “Poiché una
mistica è un postulato di tanti credo, e un valore assoluto non lo si può
derivare che da una fonte indiscutibile, questa fonte non può essere che il
Duce. Ecco perché la fonte deve essere quella, esclusivamente quella. Compito
nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il
pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di Mistica fascista ed ecco
il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori del Fascismo che sono
nell’opera del Duce. Quindi una rivoluzione culturale, del carattere e dello
Spirito che, attraverso interessanti rievocazioni del mito della romanità e
della sacralità della Stirpe – rappresentazioni metastoriche e metafisiche
della migliore tradizione aryo-romana – sarebbe approdata ad una coesione
organica della Stirpe italica costituitasi in Comunità nazionale e avrebbe dato
all’Italia fascista il diritto-dovere di adempiere ad una missione universale
facendo del Fascismo il crocevia della storia europea del ventesimo secolo e il
riformatore dei tratti essenziali della Civiltà contemporanea in ogni suo
aspetto, la ripresa e il rinnovamento dell’Europa all’indomani del fallimento
della democrazia liberale e delle utopiche promesse marxiste. Aprire la strada
al secolo fascista. Certamente nella visione della Mistica fascista
elaborata dalla Scuola vi era la ferma consapevolezza che il Fascismo fosse una
autentica rivoluzione totale della società italiana: spirituale ed etica,
sociale e politica, ma al contempo anche una ripresa di tutte le tradizioni
essenziali, però la memoria storica proposta non si sarebbe dovuta risolvere in
un ripiegamento nel passato, l’immagine del passato non finì mai per
schiacciare la dimensione del presente e tanto meno si configurò come un
richiamo intensamente nostalgico, bensì le potenzialità ideologizzanti della
rimemorazione storica vennero fatte espandere fino a provocare una vera e
propria occupazione del cosiddetto campo dei ricordi – una lotta spirituale e
rivoluzionaria per il dominio del ricordo e della memoria che conduce ad una
riscrittura della cronologia nazionale che rispecchiasse le concezioni del
pensiero irrazionalista, anti-intellettualista e pragmatista dei decenni
trascorsi, un pensiero profondamente permeato di sfumature di matrice
nietzschiana e soreliana. Anche i richiami alla Mistica insita nel
Fascismo erano animati dallo spirito di rivolta, contro le mentalità borghesi
ancora sussistenti, delle nuove generazioni cresciute ed allevate nelle
organizzazioni totalitarie giovanili e universitarie, una rivolta che si
manifesta con i forti caratteri di un idealismo morale ed etico
qualitativamente aristocratico esprimente l’esaltazione di una giovinezza
istintiva, disinteressata e piena di spirito vitale, aggressiva, pura e decisa
a dare battaglia a qualsiasi forma di conservatorismo e di borghese buon senso
pur di affermare il carattere intransigente e le finalità rivoluzionarie
sociali e spirituali del Fascismo. Non vi era nessun punto di convergenza
con eventuali nostalgie reazionarie, mentre invece era presente una totale e
coerente aderenza alle istanze di trasformazione rivoluzionaria che il Fascismo
esigeva e che ancor di più il Duce imponeva. Per questi giovani attivisti
non vi era altra strada per uscire definitivamente dalla crisi della modernità,
esplosa alla fine del primo conflitto mondiale, che con un mutamento radicale
del popolo italiano e una tale mutazione antropologica poteva provenire
solamente da una fede ben salda che aveva iniziato a germinare in un primo
tempo con l’esperienza della guerra nel mito della Nazione in armi, della
guerra di popolo, proseguendo poi con l’esaltante epopea della lotta
squadristica, per approdare infine nella costruzione dello Stato fascista di
popolo, corporativo e totalitario, il compimento finale del rinnovamento
sociale e spirituale della Stirpe e della grandezza politica della nazione. Nel
corso degli anni che trascorsero fino all’entrata in guerra dell’Italia la scuola
di mistica fascista assolse in maniera esemplare ai compiti che si era
prefissata, ovvero l’ambizione di voler rappresentare l’infrangibile scudo
morale, etico e dottrinario contro il quale si sarebbero dovute infrangere le
velleità dei nemici del duce e del fascismo, soprattutto i nemici interni, i
più pericolosi, quelli che si annidavano tra le pieghe del regime per minarlo
alla base. Affinché lo scudo della rivoluzione fosse solido i mistici
della scuola, i soldati politici dell’Idea, vollero essere loro stessi esempio
di virtù civiche, morali e politiche, di fedeltà indiscussa nei confronti della
guida della rivoluzione, il duce, spesso descritto come il genio della stirpe,
l’Eroe che con la sua instancabile opera dava quotidianamente prova di
rappresentare pienamente la coscienza e la voce dell’anima del popolo,
soprattutto di un popolo a cui il Fascismo aveva restituito la dignità politica
e sociale e un’unità spirituale che attingeva dalla viva coscienza di
appartenere integralmente all’organismo della nazione. Da questa chiave di
lettura emergeva, quindi, una superiore comunione mistica che legava il Duce al
suo popolo, cementata dalla comune fede fascista, una fede intensa che a sua
volta veniva elevata al rango di una sorta di religione mistico-popolare sacralizzata
dal sangue offerto in sacrificio dai martiri dello squadrismo sull’altare della
rivoluzione, una rivoluzione continua che, come affermava un giovane esponente
della Scuola, procedeva impetuosamente la sua marcia: Gl’italiani della mistica
si sono irradiati tra le file delle generazioni vecchie e nuove e hanno dato il
goccio d’acqua, il pezzo di pane del conforto, hanno sorretto i deboli, hanno
convinto i pusillanimi. La Rivoluzione ha attraversato le ubertose valli della
sua fase politica, ora sale. Guai a chi volesse tentare di derogare alle
direttive di marcia per evitare le asprezze della salita e impedire che dalla
politicità si torni alla rivoluzione piena e travolgente delle ore di audacia e
di lotta. Per queste nobili motivazioni gli esponenti della Mistica fascista
chiesero e ottennero che la scuola divenisse la custode del famoso covo
milanese di via Paolo da Cannobio, il sacrario della rivoluzione delle camicie
nere, appunto il covo del fascio primogenito dove la fede fascista aveva mosso
i primi passi e dove il Duce chiama all’adunata.rossi Un luogo simbolico
carico di suggestivi richiami emozionali, ben presente nell’immaginario
collettivo della militanza squadristica, che avrebbe dovuto essere la fonte di
irradiamento della Mistica fascista verso tutta la Nazione. Il cosiddetto
covo del fascio primogenito rivestì sempre per i mistici fascisti un ruolo
centrale nel loro immaginario dottrinario, rappresentava la fonte mitica della
fede mussoliniana, il principio fondante del Fascismo, era come trascendere il
tempo profano per riapprodare al tempo mitico della purezza dell’idea, un
riaccostamento di ordine metafisico a cui si poteva accedere soltanto
attraverso i miti e i simboli, e la mistica fascista era satura di richiami, di
miti e di simboli: “Qui è tutta l’attualità e la contemporaneità del covo.
Attualità e contemporaneità che non dovranno mai tramontare. Non solo per noi,
infatti, ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli il covo deve e
dovrà essere l’Arca dei valori della Rivoluzione, la bussola cui guardare nei
momenti di indecisione, la guida cui ispirarsi, la stella polare che il
navigante dello Spirito deve vedere sempre alta e lucente davanti a se. E ad
esso oggi, domani, sempre gli italiani dovranno salire in pellegrinaggio, per
meditare, per ispirarsi. Ad esso le generazioni si accosteranno sempre con
stupore religioso per imparare che nulla allo Spirito è impossibile. Il
Fascismo, come spesso ripeteva il Duce, era una fede coltivata nella lotta che
aveva avuto i suoi caduti, i suoi martiri che immortalatisi vestendo la
gloriosa camicia nera la avevano rafforzata e sacralizzata. Se ogni secolo ha
una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il fascismo.
Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che
la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha
avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il Fascismo ha oramai nel mondo
l’universalità di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un
momento nella storia dello spirito umano. Adesso, questa fede, attraverso
i mistici fascisti della Scuola aveva trovato i suoi intransigenti custodi e i
suoi più appassionati apostoli. Anche loro si stano preparando al
combattimento – nella sua duplice veste fisica e spirituale – aspirando di
potere affrontare degnamente il supremo sacrificio per il fascismo e onorare
così la loro scelta di vita versando il proprio sangue per la causa
rivoluzionaria. Morire all’ombra dei gagliardetti neri: Mistica
dell’azione. Mistica del realismo eroico. Mistica della fede. Fedeltà che era
più forte del fuoco, come narravano antiche saghe. Che l’intensa e
interessante attività svolta dalla Scuola nell’approfondimento e
nell’arricchimento della Dottrina fascista fosse il risultato di un grande
impegno contrassegnato da un’altrettanto grande serietà venne comprovato dai
numerosi riconoscimenti che ricevette, non ultimo l’apprezzamento e la
manifesta simpatia avuta da parte di Julius Evola, ma il riconoscimento più
importante, i mistici, lo ricevettero dal Duce che li encomiò pubblicamente,
incontrando i quadri della Scuola a Palazzo Venezia, incitandoli a proseguire
nel cammino intrapreso quali custodi della purezza dell’Idea e del mito
rivoluzionario: Io vi ho seguito in tutti questi anni da vicino e con vivissima
simpatia perché considero la mistica in primo piano. Ogni rivoluzione ha
infatti tre momenti: si comincia con la mistica, si continua con la politica,
si finisce nell’amministrazione. Quando una rivoluzione diventa amministrazione
si può dire che è terminata, liquidata. Potrei dimostrarvi che tutte le
rivoluzioni sono passate attraverso questo ciclo: noi che conosciamo la storia
dobbiamo impedire che la politica scivoli nell’amministrazione. Alle origini di
ogni rivoluzione c’è la mistica: se la politica è il contingente, la mistica è l’immanente,
essa rappresenta i valori eterni, essenziali, primordiali. Voi dovete lavorare
per l’avvenire. Per far questo occorre la fede. È facile ad un certo momento
deviare nella politica: voi dovete essere al di fuori e al di sopra delle
necessità della politica. Di queste cose ho parlato in modo molto sommario; ma
tutte erano presenti in voi. Avete tempo di riflettere.” Il secondo
conflitto mondiale era però già iniziato e l’Italia sarebbe entrata in guerra
l’anno successivo. I mistici fascisti volendo essere, fino alle estreme
conseguenze, la prima linea del Fascismo accolsero con felicità ed entusiasmo
la notizia, chiedendo ufficialmente che gli venisse concesso l’Onore
dell’arruolamento volontario “nei più rischiosi reparti di terra, di mare o di
cielo”. Subito, ben 169 quadri dirigenti della Scuola partiranno per il fronte,
convinti che il processo rivoluzionario fascista avrebbe avuto una formidabile
accelerazione proprio per effetto della guerra. Molti altri mistici seguiranno
a ruota l’esempio dei loro capi. La loro esemplare condotta evidenzierà
una magnifica esplicazione degli insegnamenti della Tradizione: se hai di fronte
due strade, scegli sempre la più difficile. Poiché c’è sempre una strada per
chi vuole percorrerla. Sia G., sia un’altra figura di eccezionale valore
come Ricci, testimonieranno la loro intransigente coerenza esistenziale e
politica con la scelta del combattimento. Il primo volontario sul fronte
greco-albanese dove troverà eroicamente la morte, il secondo, sempre
volontario, sul fronte africano dove coronerà la propria esistenza di credente
nella fede fascista incontrando, altrettanto eroicamente, la morte a Bir
Gandula sul Gebel cirenaico. Nell’arco di un solo mese il Fascismo perse due
tra i suoi migliori campioni. Le vicende belliche decimarono di fatto il
gruppo dirigente della Scuola che sarà costretta a cessare le sue attività. I
pochi sopravvissuti di quell’esperienza raccolsero di nuovo la chiamata del
Duce aderendo alla Repubblica Sociale Italiana, tra questi Fernando Mezzasoma
che era stato il vicepresidente della Scuola e che ricoprì il dicastero della
propaganda nella RSI, trasportando con il proprio esempio le intime motivazioni
della Mistica fascista nell’esperienza repubblicana: “È questa nostra
intransigenza nei confronti della Dottrina che abbiamo sposato, delle battaglie
che combattemmo, delle realizzazioni che abbiamo attuate, che, se ci consente
di accettare la collaborazione di qualsiasi Italiano in buona fede e di buona
volontà che voglia aiutare la titanica fatica del Duce, ci obbliga tuttavia a
respingere sdegnosamente qualunque patteggiamento con coloro che agiscono al
servizio del nemico, uccidendo a tradimento i nostri migliori compagni di
marcia e di battaglia, con coloro che nell’Italia invasa perseguitano i
fascisti che a migliaia risorgono e insorgono per rendere dura la vita agli
invasori e aprire la strada al nostro ritorno. Questa deve essere oggi la
nostra missione di fascisti. Questo è il comandamento di G.. Questo è il suo
insegnamento. Nel suo nome, e nel nome degli altri caduti, i superstiti della
Scuola di Mistica fascista chiamano a raccolta l’autentici italiani. Anche lui
muore poi assassinato dai partigiani. Andarono tutti volontariamente
incontro alla morte per onorare un patto di fedeltà e di fede che li lega al
Duce e al Fascismo, così facendo coronarono una vita degna e ben vissuta, il
loro abbraccio mistico con il Fascismo si consuma eroicamente in combattimento
e di fronte ai plotoni di esecuzione. Se ancora oggi, dopo i tanti decenni
trascorsi, la loro memoria, la memoria delle tante battaglie ideali e materiali
affrontate, viene nonostante tutto ancora sentita come viva, se il ricordo di
questi uomini caduti con onore non in nome di una passione generica, ma per il
Fascismo, per il compimento di una Rivoluzione che è rimasta scolpita nella
Storia, torna ancora ad emergere non deve assolutamente avvenire perché i vivi
di oggi debbano morire nel loro cuore, struggendosi nella nostalgia del
ricordo, ma deve invece impetuosamente emergere affinché i morti di ieri
possano tornare a vivere tra di noi. Quella marcia, iniziata il 28 Ottobre
1922, non è ancora terminata. Non ci consta che esistessero specifiche
istituzioni pubbliclie, ma in proposito possiamo ricordare numerosi
provvedimenti e diverse associazioni private. Fra quelli, le leggi agrarie, le
disposizioni a favore dei debitori, le distri buzioni semigratuite o gratuite
dì grano, fatte dagli edili; i congiari imperiali (che erano copiose
elargizioni di farina, olio e carne disposte dagli imperatori). Provvidenze che
mi ravano tutte a combattere, direttamente e indirettamente, le cause
dell’indigenza o almeno a paralizzarne gli effetti, ben ché nella loro essenza
e origine avessero carattere politico, cioè fossero prese sopratutto per
cattivarsi il favore e la simpatia della plebe o evitare tumulti e sommosse.
Fra le associazioni, sopratutto bisogna ricordare quelle costituite a scopo
mutualistico ; e tale è il carattere dei collegia funeraticia, dei collegia
termiorum, delle casse di soccorso istituite da GIULIO (si veda) Cesare fra i
suoi legionari. Anche nel campo dell’istruzione si devono ricordare istituti
privati i quali istruivano la classe dirigente romana. E’ invece nelle opere
pubbliche ohe specialmente i romani ai distinsero legando ai posteri terme e
acquedotti, palestre e strade, circhi e palazzi olle ancora oggi, in parte,
almeno, durano e sono efficienti. L’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO SECONDO LA
CONCEZIONE FASCISTA. LA TEORICA FASCISTA SULLA NATURA E SULLE FUNZIONI DELLO
STATO. LA FUNZIONE SOCIALE DELLO
STATO. PRECEDENTI STORICI DELLA
FUNZIONE SOCIALE DELLO STATO NELLA
POLITICA E NELLA LEGISLAZIONE SOCIALE. In Roma sino all’editto di Costantino.
Durante il medioevo.Dopo la riforma protestante. Ordinamento sociale dello
Stato fascista. In Italia. L’evoluzione e la trasformazione della legislazione
sociale. La legislazione sulla beneficenza e sulla assistenza pubblica e
privata. La legislazione sulla mutualità e sulla previdenza. La legislazione
del lavoro. La legislazione sull’istruzione pubblica. La legislazione
sull’igiene e sulla sanità pubblica. La legislazione sui servizi e sulle opere
pubbliche. GLI ELEMENTI DELL’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. I
soggetti. Gli obiettivi . Gli obiettivi relativi ai cittadini in genere. Gli
obiettivi inerenti alle condizioni generali di vita. Gli obiettivi inerenti in
particolare alla fase di formazione e di preparazione del cittadino, a quella
di produttività e a quella di riposo.
Gli obiettivi relativi ai cittadini benemeriti. Gli obiettivi relativi ai
cittadini non risanabili e non
rieducabili. Gli strumenti . Il criterio, profondamente corporativo, adottato
dal legislatore fascista per la scelta degli strumenti attuanti la politica sociale. La famiglia. L’associazione
professionale. Le istituzioni promananti, singolarmente o pariteticamente,
dalle associazioni professionali. Gli enti locali. Le opere nazionali
parastatali. I limiti. LE ISTITUZIONI DEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO
FASCISTA. Di alcune considerazioni preliminari. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE
ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. La- legislazione inerente alla
sicurezza, all’igiene e alla sanità
pubblica . Per garantire la sicurezza. Per assicurare l’igiene e la sanità. La
legislazione inerente alla previdenza . Per incrementare il risparmio. Per
potenziare la mutualità. Per favorire la cooperazione. Per diffondere le
assicurazioni Ubere. La legislazione inerente alla assistenza di soccorso. Per
l soccorsi in natura e in contanti. Per i soccorsi
medico-sanitario-ospitalieri. La legislazione inerente alla propaganda,
all'integrazione culturale e al perfezionamento scientìfico . Per favorire il
perfezionamento scientifico. Per la propaganda e l’integrazione culturale. La
legislazione inerente all’integrazione della formazione e dell’educazione
fisica e sportiva. La legislazione inerente alla costituzione e all’incremento
del nucleo familiare . Per favorire la costituzione della famiglia. Per
facilitare l’esistenza e lo sviluppo delia famiglia . La legislazione inerente
a particolari servizi pubblici.Per garantire il soddisfacimento di bisogni
primari. Per assicurare i rapporti e i contatti economico-sociali. Per
valorizzare il patrimonio nazionale. Ordinamento sociale dello Stato fascista.
La legislazione inerente al controlla, <UVadeguamento e al collegamento
ielle istituzioni dell’ordinamento
sociale e alla selezione dei suoi soggetti. Per assicurare il controllo
e l’adeguamento delle istituzioni sociali. Per ottenere il collegamento
nell'ambito dell’ordinamento sociale. Per assicurare la formazione della classe
dirigente mediante la selezione totalitaria del cittadini. IL PARTITO NAZIONALE
FASCISTA E LE ORGANIZZAZIONI DIPENDENTI. Origine, natura e funzione sociale del
P. N. F . I Fasci di Combattimento. I
compiti. I soggetti. L’ordinamento. L’Associazione nazionale famiglie Caduti
fascisti e Mutilati e Invalidi per la Causa Nazionale. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. L’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia I compiti I soggetti . L’ordinamento. L’Unione
nazionale fascista del senato. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Gruppi
Universitari Fascisti. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. I Fasci di Combattimento. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. L’Opera Nazionale Dopolavoro. I compiti. I soggetti. L’ordmamento. Le Associazioni fasciste. I
compiti I soggetti L’ordinamento. Il Comitato intersindacale . I compiti. I soggetti. L'ordinamento.
Gl’Uffici di Collocamento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Ente Opere
Assistenziali. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Opera Universitaria. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Il Comitato
olimpionico nazionale italiano. I compiti.
I soggetti. L’ordinamento. Di
alcune considerazioni sul P. N. E. La legislazione richiamata. DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. Ordinamento sodale
dello Stato fascista. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE
FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE
PROFESSONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. La legislazione inerente al nucleo
familiare per la formazione fisico-militare del cittadino. Per sopperire alla
insufficienza relativa dei mezzi economici della famìglia e sostituirla nella
vacanza di alcune sue funzioni. Per
integrare l’inadeguatezza assoluta di alcuni mezzi della famiglia. L’OPERA NAZIONALE PER LA PROTEZIONE
DELL’INFANZIA. L’origine, la natura e la funzione sociale deU’.O.N.M.I. I
compiti. Per l’integrazione e il coordinamento dell’azione svolta da altri enti o istituti o da privati. Per
la vigilanza e il controllo delle singole istituzioni di assistenza. Per la propaganda e la
vigilanza suU’applieazione delle leggi e
dei regolamenti riguardanti l'assistenza
materna e infantile. I soggetti.
L’ordinamento . Dì alcune considerazioni suli’O. N. M. 1 La legislazione
richiamata. La legislazione inerente all’istruzione e alla formazione
professionale del cittadino. Per garantire l’istruzione professionale del
cittadino sino al 14° anno di età. Per favorire e incrementare l’istruzione
professionale La legislazione inerente all’educazione e alla formazione fisica,
premilitare, morale e nazionale del cittadino.
L’OPERA NAZIONALE BALILLA PER L’ASSISTENZA E L’EDUCAZIONE FISICA E MORALE DEGL’ITALIANI.
L’origine, la natura e la funzione somale dell’O.N.B. I compiti . I soggetti.
L’ordinamento. Di alcune considerazioni sull’O.N.B. La legislazione richiamata.
DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE
FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE PROFESSIONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. LE
ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI
PRODUTTIVITÀ’ DEL CITTADINO. La legislazione inerente all’azione sociale
attuata dalle associazioni
professionali . Per garantire l’azione sociale da attuarsi direttamente dai sindacati. Per assicurare l’azione
sociale da attuarsi dai sindacati a
mezzo di speciali istituzioni. IL
PATRONATO NAZIONALE PER L’ASSISTENZA SOCIALE. L'origine, la natura e la funzione
sociale del P.N.A.S. I compiti . I soggetti. L’ordinamento. Di alcune
considerazioni sul P.N.A.S. La legislazione richiamata. La legislazione inerente
all’azione sociale attuata dalle corporazioni. Per garantire il produttore
obiettivamente e subiettivamente di fronte alle condizioni del lavoro. Per
tutelare i reciproci rapporti fra i produttori nella loro dualità di datori di
lavoro e di prestatori d’opera . Per favorire ii perfezionamento e l'elevazione
professionale del produttore. Ordinamento sociale dello Stato fascista. La
legislazione inerente alla conservazione dello spirito nazionale e della
preparazione fisico-militare del
produttore. DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI PRODUTTIVITÀ DEL
CITTADINO. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. La
legislazione inerente all’obbligo delle garanzie previdenziali per la fase di
riposo-vecchiaia. La legislazione inerente a speciali interventi statuali a
favore del vecchio bisognoso. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI
'SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI
RELATIVE AI CITTADINI CHE HANNO BENEMERITATO DALLO STATO. La legislazione
inerente alle benemerenze collettive. La legislazione inerente alle benemerenze
individuali. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI
CITTADINI BENEMERITI. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON RIEDUCABILI. La
legislazione inerente ai minorati assolutamente non produttori. La legislazione inerente ni
minorati relativamente non produttori. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE
ISTITUZIONI RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON INEDUCABILI.LA
POSIZIONE E I RAPPORTI DI RELAZIONE DEL
CITTADINO NEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE. Di alcune considerazioni
preliminari. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO DALLA NASCITA ALLA MAGGIORE
ETÀ. L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato sino al quinto anno.
Per la costituzione della famiglia.Per la esistenza e l’incremento della
famiglia. Per li cittadino neonato. Per Viilegittimo e l’esposto. Per l’orfano.
Per iì cittadino infante. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato sino al quinto anno. L’azione previdenziale e
assistenziale dello stato dal sesto al quattordicesimo anno. Per la formazione
e lo sviluppo fisico, militare, morale e nazionale. Per la formazione intellettuale
e professionale. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato dal sesto al quattordicesimo anno. L’azione
previdenziale e assistenziale dello stato dal quindicesimo al ventunesimo anno.
Ordinamento sociale dello stato fascista. Per il cittadino che studia. Per il
cittadino che lavora. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato dal quindicesimo al ventunesimo anno. DA POLITICA
SOCIALE PER IL CITTADINO PRODUTTORE. L’anione previdenziale e assistenziale
dello Stato per il cittadino ohe è
produttore. L’azione previdenziale e assistenziale dello Stato per la famiglia e i suoi membri . LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO A RIPOSO
. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO BENEMERITO. LA POLITICA SOCIALE PER IL
CITTADINO MINORATO NON RISANABILE E NON RIEDUCABILE. LA POLITICA SOCIALE DELLO
STATO FASCISTA. DELL’AZIONE SVOLTA DIRETTAMENTE DALLO STATO ATTRAVERSO AI SUOI
ORGANI. Per la riorganizzazione, il potenziamento e l’estensione della rete
consolare . DELL’AZIONE SVOLTA MEDIANTE LA STIPULAZIONE DI CONVENZIONI BILATERALI E PLURILATERALI E
MEDIANTE L'OPERA DELL’O.I.L. Le convenzioni bilaterali e plurilaterali ..Le
convenzioni intemazionali, le raccomandazioni e le risoluzioni dell'O.I.L . La legislazione
richiamata. Appartene alla categoria dei
mistici per i quali è bello vivere se la vita è nobilmente spesa ma è più bello
morire se la vita è donata all'Idea. Arnaldo Mussolini fu il suo Maestro: da
Arnaldo im parò che prima di agire e costruire è necessario ele varsi,
purificare il proprio spirito, temprare il proprio carattere; allora soltanto
si potrà essere certi che l'azione sarà feconda e l'edificio sicuro. Da Arnaldo
imparò che per conoscere, giudicare e guidare gli al tri è prima
indispensabile conoscere bene se stessi, punire inesorabilmente i propri
difetti, affinare inces santemente le proprie virtù: allora soltanto si potrà
aspirare all'onore del comando. Da Arnaldo impara che solo il sacrificio può
suscitare le opere grandi e buone e distruggere le cose piccole e vili. Ciò
che non costa non vale; ciò che non procura fatica e sof ferenza non
dura; quanto è al di fuori di noi non conta; gli onori, le cariche, le
ricchezze sono effimere e ca duche cose. Quello che importa è quanto è dentro
di noi, perchè è nostro e nessuno potrà mai portarcelo via, neanche a
strapparci la carne viva di dosso. Es sere se stessi in ogni momento, rimanere
se stessi sempre: ecco la più grande conquista degli uomini. Uomo di fede Un
uomo di fede fu G.. E la sua fede era di quelle che non vacillano mai, di
quelle che restano intatte nella buona e nella cattiva sorte e che traggono
anzi dalle difficoltà e dalle sfortune un più profondo contenuto e sempre nuovi
motivi. La sua fede era di quelle alte cui fonti cristalline attingono le
intelligenze chiare e gli animi trasparenti degli uomini puri i quali sanno che
se si vuole raggiungere l'ultima cima, mol te vette bisogna scalare e talvolta
anche scendere da alcune per risalire su aifre vette più alte ancora. In 8
i G. la fede nasceva da un inesausto tormento spi rituale, da
un'ansia incontenibile di elevazione e di conquista per divenire, come dice il poeta,
«cara gioia sopra ia quale ogni virtù sì fonda. Egli credeva in Dio, nel Dio di
noi Italiani fascisti e cattoiici a cui dobbiamo non soltanto il dono
misterioso della vita ma anche il privilegio di averci chiamati a continuare la
missione di civiltà e di giustizia che la gente nostra svolge nel mondo da più
di due millenni. Egli credeva nella dottrina politica enunciata da Mussolini,
scaturita dall'azione, alimentata dalla fede, consacrata dal sa crificio e
nella sua possibilità di instaurare un nuovo sistema di vita, di educare gli
uomini a una visione vasta ed umana delle cose, di creare un nuovo tipo di
civiltà italiana, ed europea. Crede in Mussolini perchè lo considera l'uomo
della provvidenza, l'e sponente di una razza eletta, il fondatore di una ci
viltà universale, il protagonista e l'artefice di una nuòva storia, il
condottiero di giovani generazioni, il DUCE, a cui non occorre chiedere prima
di iniziare la marcia dove ci porta e quando si arriverà perchè dal giorno in
cui un destino fortunato (o pose alla testa —9 ‘1 del suo popolo,
la meta era già nei suoi occhi e la vittoria nel suo pugno. Crede negl’italiani
nati e cresciuti col sorgere del Fascismo, educati alla severa scuola del
Partito e li voleva rivoluzionari nello spirito e nel sangue, gene rosi ed
audaci, pronti alla lotta e alla rinunzia. Sogna va una classe dirigente che
sapesse dimostrare con l'esempio, nelle opere e nel sacrificio, di essere de
gna del nostro grande popolo e del nostro grande Capo; una classe dirigente
fatta di uomini integrali, forti della loro indipendenza morale — la sola ric
chezza umana che non abbia un valore misurabile in denaro — e dotati di tutte
le virtù spirituali, intellet tuali e fisiche che sono indispensabili per
poter eser citare con dignità e con efficacia la missione dei co mando.
Concepiva la famiglia nel senso più tradizio nalmente nostro; amava cioè la
sana numerosa fami glia italiana, ricca di onestà e prodiga di figli, sboc
ciata dall'amore tra l'uomo che vive lavorando o com battendo-per la Patria e
la donna che nel piccolo gran de regno della casa vive nella serena ed operosa
attesa del ritorno di lui; e se l'uomo non tornerà la donna lo piangerà senza
lacrime perchè egli sopravvi va nella fierezza dei figli, I quali
continueranno, nella luce del suo esempio, l'opera sua. Crede nella Patria come
ne « la più pura, la più grande, la più umana delle realtà », amava la Patria
più della propria anima. Tutto per la Patria: fu la sua consegna. Niente per
lui valeva qualche cosa se non serviva alla Patria. Perchè la Patria è tutto e
tutti; sè e gli altri; le generazioni che furono, che sono e saran no; la
storia di ieri, di oggi e di domani. La Patria è la sintesi di tutte le più
nobili aspirazioni. Essa è fatta di uomini da rendere sempre più degni e di
territori da fare sempre più vasti. Per essa si lavora, si soffre, si spera;
per essa si combatte, si vince o si muore. Giornalista della Rivoluzione e
Maestro dei giovani Niccolò Giani fu un giornalista della Rivoluzione. Egli
intendeva il giornalismo come una scuola di vita, come uno strumento di
educazione e di formazione. Dalle agili colonne del suo giornale, la Cronaca
Prealpina, e da quelle della sua rivista DOTTRINA FASCISTA si battè
accanitamente per la creazione di un giornalismo rivoluzionario, dinamico,
coraggioso, un giornalismo che fosse in grado di svolgere una fun zione
costruttiva di divulgazione, di propulsione e di controllo, un giornalismo che
fosse degno di essere considerato un'arma affilata della Rivoluzione. Ma
soprattutto maestro dei giovani egli fu. All'Insegnamento si consacra con il
religioso fervore con il quale sole dedicarsi a tutte le attività rivolte
agl’italiani. All'ateneo di Pavia, al centro di preparazione politica, alla scuola
di MISTICA FASCISTA egli porta il contributo della sua beila cultura fatta di
conoscenza e di azione, illuminata dalla fede, riscaldata dal sentimento, Alla
Scuola di Mistica da la parte migliore di se stesso. Tutto quello che di buono
e di meritevole è stato fatto dalla scuola — ha detto Mussolini, nostro
Presidente — proviene unicamente da lui. Bisogna ricordarlo sempre e
presentarlo come un mirabile esempio agl’italiani che in lui potranno vedere
l'espressione più sublime di obbedienza ai comandamenti del Duce. È il
migliore tra noi: il più limpido, ii più generoso, ii più puro. Delia nostra
mistica fede è l'aifiere più ardilo e i'apostolo più acceso. Egli voieva che
dalia nostra Scuoia uscissero ì missionari, i portatori del no stro credo
politico ed è egli stesso il più tenace e il più convinto assertore dei
principi che sono a fondamento della nostra dottrina. La scuola sorge con lui
per la volontà di un manipoio di credenti che egli chiama i disperati del FASCISMO,
così come gli squadristi un tempo amano chiamarsi FASCISTI arrabbiati. All'inizio
la scuola è un'attività de! Guf milanese. Divenne quindi un'attività di tutti i
gruppi fascisti universitari. Oggi si è imposta al rispetto e ail'attenzione
di tutti i fascisti. La sua opera è rivolta agl’italiani, ma la sua azione è
seguita ed amata anche dai camerati della vecchia guardia che vedono con intima
gioia esaltate e rinnovate ogni giorno, dagl’allievi della scuola, le due più
preziose virtù dello squa drismo: la fedeltà e la intransigenza. I camerati
della vecchia guardia milanese sanno che il, nome di Niccolò Giani è legato
alla riapertura del Covo di Via Paolo da Cannobio, prima sede del « Popolo
d'Italia », prima trincea del Fascismo, che il Duce ha voluto affidare in
gelosa custodia ai giovani della Scuola di Mistica perchè le giovani
generazioni, accostandosi alle sorgenti genuine delia nostra Ri voluzione,
cogliessero, dall'umile grandezza delle ori gini, la poesia e il fermento
delia vigilia. G. è soprattutto un fedele ed un in transigente. Taluni
potrebbero chiamarlo un fanatico, ma solo I fanatici sanno dare movimento col
sangue «alla ruota sonante della storia». Il suo spirito si ribellava a
qualunque forma di com promesso; sul terreno della fede non ammetteva pat
teggiamenti; il bello, il buono, il vero sono da un lato della barricata;
dall'altra parte c'è il brutto, il male, la meschinità. Mi piace di ricordarlo
ai Convegno di Mistica: eravamo alla vigilia delia nostra guer ra di
liberazione e c'era in tutti noi una febbrile im pazienza di decisione. Il
tema del Convegno era bru ciante: «Perchè siamo dei mistici?». I problemi
dell'inteiligenza e deila cultura furono esaminati al lume della fede; i poveri
dì fede furono sbaragliati e G. dichiarò guerra a viso aperto a tutti gli
spiriti troppo raziocinanti, agli innamorati della ricerca fredda e del
ragionamento calcolatore. La dottrina che conquista è quella che sorge dalla
fede e non quella che discende dalla indagine arida ed oziosa; la cultura che
costruisce è quella che pene tra e trasforma e non quella che resta gelida ed
inerte. li Convegno si svolse in un'atmosfera di fuoco e la risposta al tema
che fu oggetto dei nostri appassionati dibattiti fu data dallo stesso G.:
Fascismo uguale a spirito, uguale a mistica, uguale a combattimento, uguale a
vittoria. Perchè credere non si può se non si è mistici, combattere non si può
se non si crede, e vincere non si può se non si combatte. Fu in quel Convegno,
ò giovani camerati della Scuola di Mistica, che i giovani della generazione del
Littorio affermarono solennemente il loro diritto al combat
timento, Soldato dì Mussolini G. è tra i primi a partire. C'èin lui la
preoccupazione morbosa di stabilire coi fatti una coe renza perfetta tra il
pensiero e l'azione. Aveva già partecipalo come volontario alla guerra per la
con quista dell'Impero, aveva chiesto ripetutamente di partire per la Spagna e
non gli era stato concesso; finalmente sopraggiungeva la nuova prova lungamente
attesa. Chi lo vide tenente degli alpini al fronte occidentale lo ricorda come
un esempio di disciplina e di ardi mento. Ma la parentesi fu troppo breve:
tornò insod disfatto, Andò in Africa settentrionale come corrispon dente di
guerra del popolo d'Italia. Ma quando sa che il suo reggimento è già sul fronte
greco chiede di raggiungerlo. Non puo vivere lontano dai suoi alpini, gli
sembra un tradimento. Parte per non tornare. Tre volte si offre per azioni
rischiose, tre volte è appagato, la terza volta è l'ultima. I suoi uomini lo
adorano. Con lui sarebbero andati dovunque: potenza insuperabile dell'esempio!
Anda con un manipolo d’alpini a raggiungere una vetta lontana per compiere una
ricognizione sulle posizioni del nemico. Assolge il suo compito felicemente e
rapidamente, ma prosegue oltre. Il suo programma è un altro. Incontra poco
prima, lungo il cammino, un camerata di Milano e gli affida l'incarico di
salutare per lui tutti gli amici di mistica e di comunicare loro che egli è
partito per un'impresa della quale si sarebbe dovuto parlare. Mantenne la
promessa. Alla testa dei suoi alpini raggiunge un'altra vetta, sulla quale alta
sfolgora la luce della gloria, e a bombe a mano assalì un presidio greco.
Circondato, lotta eroicamente, fino a quando una pallottola gli recise la
gola, gli spezza la vita, soffoca il suo canto.. Così cadde G. Egli è morto
come è vissuto, non per sè ma per gl’altri. È triste non potergli più vivere
accanto, non poter più rinfrescare il nostro spirito alia polla purissima della
sua fede. Ma egli chiuse la sua vita terrena in modo degno di luì, Arnaldo gli
insegna che il segreto della vita è tutto qui; saper vivere, saper morire, nel
modo più degno. G. vuole insegnare agl’italiani come deve vìvere e come sa
morire un italiano di Mussolini. La nostra scuola, o camerati di mistica, non
lo onora col pianto che egli non approva. Il nostro ciglio è asciutto anche se
il cuore in questo momento acce lera il ritmo dei suoi palpiti. Ma noi
sentiamo che non un vuoto egli ha lasciato nelle nostre file, li suo spirito
inquieto è con noi, dinanzi a noi, oggi come non mai, ad additarci la strada
che conduce alla vittoria, ad ammonirci che il suo tormento deve essere anche
il nostro tormento, la sua ansia anche la nostra ansia, il suo amore anche il
nostro amore, oggi, domani, sempre. E noi sentiamo che Arnaldo, il suo ed il
nostro maestro, lo ha accolto nell'altra esistenza, accanto al suo figlio
prediletto e agli altri martiri delia nostra scuola, come il migliore dei suoi
discepoli. Il mito di Roma contro Si guardi Ro- il mito di Jehova in ma
repubblicana. Catone, Cicerone, Quale è il suo Tacito, Giovenale ideale? Ce lo
di- e negli Imperatori ce Marco Porcio Cato rie CATONE nel suo De Agri cultura
laddove scrive che i romani quando lodavano un uomo dabbene, lo chiamavano buon
agricoltore, buon colono. E con ciò si ritene di dare la maggiore lode a colui
che così veniva chiamato. E ciò per chè dalla classe degli agricoltori nascono
gli uomini più forti e i soldati più valorosi e coloro che si dedicano a tale
occupazione non concepiscono cattivi propositi. Queste parole, questo saggio
romano le scrive esattamente, nello stesso periodo in cui Roma combatte
l’ultima e definitiva partita con la semita Cartagine. Ma, a questo proposito,
ci si è mai chiesto perchè poi Cartagine è delendam, perchè Roma s’è fissata
ili questo mito della distruzione totale della città di Annibaie? La risposta è
una sola. La lotta tra le due rivali infatti non è solo politica ed economica.
È ben di più. È lotta di civiltà, di sistema di vita. Roma rurale, Roma
gerarchica, Roma guerriera ed eroica combatte anche la Cartagine dei mercanti
e della demagogia. Ecco perchè non è strano, ma, anzi, logico, necessario
addirittura, che l’uomo che in senato termina i suoi discorsi col noto ceterum
censeo Carthaginem delendam esse è lo stesso che nel suo De Agri cultura pone
l’ideale romano nella gente nata dai campi, cresciuta in mezzo alle bellezze e
alle forze della terra, temprata nelle lotte aperte e solari della natura. Più
di un secolo dopo, un altro grande romano, che gli ebrei aveva conosciuto
perchè uno di 16 essi, Apollonio Molone, come ci dice il giudeo
Lazare, aveva avuto per maestro: CICERONE, tuo nerà anche lui contro la loro
mentalità. Il tenere testa alla turba giudaica che spesso schiamazza nelle
riunioni popolari e farlo nel l’interesse della Repubblica è prova di saldi
principi, dice infatti CICERONE rivolto a LELIO nella sua orazione Pro
Fiacco. E nel suo De Officiis si legge questo aneddoto che dice anche ai sordi
in quale dispregio avessero i romani i trafficanti di denaro. Ecco infatti
come Cicerone racconta che Catone risponde a chi lo interroga va sul miglior
modo di amministrare i propri beni. Bene pascere. E in quale altro modo? è
richiesto a Catone. Salis bene pascere, è la risposta. E poi? Arare, egli dice
ancora. £ che ne pensi del prestare ad usura?cioè del prestare denaro a
interesse. Risponde Catone. E tu che ne pensi dell’uccidere un uomo? Come,
quindi, i romani, con mentalità siffatta, avrebbero potuto, non dico
apprezzare, ma solo riconoscere la mentalità ebraica? E se è vero che con
l’Ambasciata di Giuda Maccabeo si iniziano i primi rapporti diplomatici tra
Roma e Gerusalemme, se è vero che seguono altre ambasciate, se è vero che GIULIO
(si veda) Cesare e OTTAVIANO (si veda) li tollerano, è altrettanto vero che gl’ebrei
anziché essere grati e devoti allo stato romano ricambiario con disordini e con
tradimenti la generosità dei Cesari, al punto che Claudio, da un decreto di
tolleranza passa alla loro espulsione e ciò per chè, come testimoniano
numerosi scrittori latini — da Persio a Ovidio, da Svetonio a Plinio, da
Tacito a Giovenale — gli Ebrei conside rano come profano tutto ciò che da noi
è consi derato sacro (cfr. Tacito, Hist.); per chè essi hanno un culto
particolare, leggi par ticolari, disprezzano le leggi romane (cfr. Giovenale,
Im. Lat.). Colle generazioni questo contrasto di civiltà e questa antitesi di
istituzioni si acuiscono. È così che si arriva alla spedizione di Tito: all’assedio
e alla distruzione di Gerusalemme. E in tal mo do, due secoli dopo Cartagine,
anche sull’or goglioso regno di Giudea passa l’aratro romano e viene cosparso
il sale. Così quei giudei che pretendevano di essere il popolo eletto e che per
invidia di capi e per in comprensione ingenerosa di popolo avevano tra dito e
condannato nostro Signore Gesù Cristo; quegli eredi del Profeta che smentirono
la profe zia compiuta, furono dispersi per il mondo. La profezia del Golgota
ebbe in tal modo realizza zione per mano di Tito, di quel Tito, il cui arco,
forse per imperscrutabile volontà di quel Dio che egli inconsciamente servì,
s’aderge ancora intatto contro il cielo eterno di Roma, quasi a testimonia re
e ammonire le genti e il mondo intero della giustizia e della verità che
promanano dai sette colli sacrati all’Impero del Littorio e alla Chiesa di
Cristo. Niccolò Giani. Giani. Keywords: implicature mistica, mistico, il
mistico – la mistica del liberalismo – la mistica del comunismo – la mistica
della democrazia – la mistica del socialismo – filosofia politica – dottrina
liberale – dottrina comunista – dottrina democratica – dottrina socialista --.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giani: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della radice italica del melodramma – filosofia
torinese – scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Torino). Filosofo torinese. Filosofo
piemontese. Filosofo Italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I love Giani; for one,
he was less fanatic than Nietzsche, even if it is Nietzsche’s fanaticism that
attracts Strawson! For one Giani is more careful: if ‘music’ comes from the
muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to emphasise in a piece of bad
rhetoric, that tragedy has its birth in the ‘spirit’ of “music” – surely
Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no ‘music’ in Dionysus, only noise! Trust an Italian to correct Nietzsche on that point!”
-- Appartene ad una famiglia dell'alta
borghesia torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo
zio Giuseppe (Cerano d'Intelvi) e pittore piuttosto noto, docente
all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si
dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi fino alla laurea. Si interessa inoltre al
fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di
Così parla Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla
seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro
musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo
difende. Risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca,
della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante
gli scritti di G., soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo e
note sui testi poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a Giani
anche l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una rivista
che si propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo
positivistico diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di
altre correnti filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte
aristocratica”, dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per
tutta la vita: in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la
cosiddetta "arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la
naturale evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa manifestazione
dello spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito, che egli da
allora considera incondizionatamente un maestro: al tempo Boito aveva reso
pubblico il solo testo del Nerone, che venne accolto molto vivacemente e con
alterna fortuna dall'ambiente letterario italiano. La posizione intorno al
Nerone è singolare e indicativa di quali fossero i requisiti che la cerchia di
G. e Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa tragedia farebbe parte del
novero delle tragedie vere, quelle in cui ritmo, suono della parola, gesto,
musica concorrono alla creazione di un che di superiore. Tuttavia, quando la
musica del Nerone fu resa nota postuma, dichiara una certa delusione. Uomo
dalla cultura enciclopedica, versato con competenza anche negli studi di
letteratura, G. cura L'estetica di Leopardi. Vede in Leopardi il luogo in cui
le immagini della sua poesia si comporrebbero in un universo etico ed estetico
coerente. All'interno della storia della critica leopardiana, pare avvicinabile
ora alla posizione di Croce, di distinzione tra il momento della poesia e il
momento della riflessione, ora a quelle positivistiche. Singolarmente,parla di
musica e dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il ruolo del coro nelle
Operette morali solo nella conclusione, benché in termini acuti. Avrebbe
contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari, quello della musica
nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella tragedia” -- Fin dal
saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La nascita della tragedia
dallo spirito della musica”. G. non condivide l'opinione di Nietzsche secondo
cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento la portata dionisiaca
della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un livello musicale altissimo.
Per affermare questo ricostruisce il ruolo della musica nei testi tragici sulla
base delle fonti antiche, dedicandosi alle singole parti e forme musicali dei
drammi, sempre attento a sottolineare la valenza estetica complessiva della
tragedia o melodramma, ma nel contempo senza trascurare le posizioni
metodologiche della scuola filologica. Fino ad allora non aveva stretto
profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito), si avvicina sempre più
alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti, approvandone
principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa spiritualità
nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della Voce, ma
prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in particolare dai
drammi musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte totalmente
compiute. Un legame creativo e biografico molto più stretto strinse con Ghedini,
anche per via delle comuni frequentazioni torinesi: per Ghedini, che sta ancora
cercando una personale posizione estetica e anda raggiungendo progressivamente
le conquiste di stile e di linguaggio che lo avrebbero reso famoso, Giani valse
come una sorta di pigmalione, suggerendo testi da musicare per le liriche e
esaminando con occhio critico le composizioni di Ghedini. G. stesso è
librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck, musicata da Ghedini ma mai
rappresentata, e scrive Esther per Pannain. Divenne molto noto in tutta Italia
per i suoi saggi di radicale confutazione di Croce. Non è particolarmente
ostile all'idealismo di Croce, anzi considera la teoria dell'arte come
intuizione una delle chiavi per la valutazione della creatività anche musicale
e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce viene
sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri
seguaci mal tollerati dal nostro, attacca tale concezione con il bellicoso
pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in essa non
vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che
addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce
al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato
italiano. Il posto di G. nella storia della musicografia è tutto
particolare. Pestalozza vi ha addirittura visto un predecessore della
“fenomenologia musicale.”In realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi
scritti, pare essersi dedicato assai poco a questa o quella musica in
particolare, mentre il suo contributo fu assolutamente preponderante nei temi
di estetica musicale.Fu una voce originale, fuori dal coro, che inizialmente
difese il dramma di Wagner, quindi auspice fermamente all'interno dei testi
musicati dai compositori qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò,
pur da lontano, i compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca
continua di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della
musica, che doveva essere cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila
figuratrice dell'invisibile, cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle
suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non immediatamente in
essi esplicate. Una posizione la sua che può essere paragonata a quella del
"critico-artista" teorizzata da Wilde, che G. ben conosce: un
"critico-artista" nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso
cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei
quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta che il critico li rivela a
lui e al mondo. Dispose per testamento che i suoi libri venissero donati
"ad una biblioteca di piccola Città preferibilmente Pinerolo" e
proprio presso la Biblioteca Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo
ora si trovano, presso il Fondo che prese il suo nome. Altre saggi: “Per
l'arte aristocratica (in proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista
Musicale Italiana”, -- aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto
di potere -- Il “Nerone” di Arrigo
Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con
lo pseudonimo di Anticlo: Gli spiriti della musica nella tragedia greca,
in “Rivista Musicale Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel
Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi
Pagano: La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce),
Torino, Bocca. Dizionario Biografico degli Italiani Cesare Botto Micca, in
morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In
memoria,, in “Rivista Musicale Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale
Italiana”, Luigi Pestalozza, Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia,
Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del
passato, in «Nuova Rivista Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e
la musica, Torino, in proprio, ad vocem. Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo
Giani e Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”,
Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli
interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di
Casagrande, Baldi, Betta, Cavallo,
Balbo, Fenoglio. GIANI, Romualdo. Nasce a Torino da Francesco e da
Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi. Laureatosi in
giurisprudenza non ancora ventenne, esercita l'avvocatura patrocinando
esclusivamente cause civili nel settore commerciale. Allo stesso tempo si
occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile, ebbe
profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti, ampliate
dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte europee. È
tra i fondatori, con l'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana,
alla quale collaborò ininterrottamente per trentasette anni, spesso valendosi
di pseudonimi. Esordì sul primo numero della rivista con la critica
"I Medici". Parole e musica di Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus.
italiana); sullo stesso numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per
musica(ibid.), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da autori
sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma d'arte.
In Per l'arte aristocratica, sostenne una vivace polemica con Torchi
sull'autonomia dell'arte, alla quale parteciparono Pilo, Garoglio, Foulliée e
altri; G. volle dimostrare che la formula "l'arte per l'arte" o
"l'arte aristocratica" non era cosa assurda e immorale, come sostenuto
dal Torchi, ma l'ultimo effetto di un'evoluzione. Pubblica il saggio
critico Il "Nerone"di Boito (Torino; cfr. Riv. mus. ital.), che gli
procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in cui si
dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei Pensieri di
Leopardi (Torino; cfr. Riv. musicale italiana) G. oltre a ricostruire il
pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte
musicale. Per la Biblioteca di scienze moderne del Bocca, è stato
pubblicato Così parlò Zaratustra di Nietzsche, tradotto da Weisel; G.,
ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne appronta una nuova
versione d'accordo con Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca. Con lo pseudonimo
di Anticlo, da alle stampe lo studio Gli spiriti della musica nella tragedia
greca (Milano; Riv. musicale italiana). Durante il primo conflitto mondiale usce
L'amore nel Canzoniere di Petrarca (Torino; in appendice Nota sul suono e sul
ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita. G.
inoltre traduce per diletto dal latino, soprattutto TIBULLO (si veda) ed ORAZIO
(si veda), e dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti
d'opera: Esther (Riv. musicale italiana), tragedia lirica in tre atti ispirata
dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a Pizzetti, e
L'Intrusa, un atto per musica, tratto dal dramma in prosa di Maeterlinck,
musicato dapprima da Ghedini (non rappresentato), e poi da G. Pannain, che la
rappresenta a Genova. La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il
Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (Riv. musicale italiana), apparso
sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò un attacco all'estetica
crociana che diede origine a una polemica col Croce stesso. G., con logica
inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del filosofo, come l'eccessivo
idealismo che considerava la musica estranea ai fenomeni fisici che la
originano e alla tecnica, espressi in Estetica come scienza dell'espressione e
linguistica generale (1902) e nel Breviario di estetica, opere che G.
ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con Socrate e la pulce (ibid.)
rispondeva allo scritto La musica e l'estetica dell'idealismo, in cui Pannain
assume la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del Pannain,
furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino 1928) insieme
con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di Pizzetti, giudicata
un'opera mancata. Contemporaneamente G. pubblica il Sillabario di estetica
(Riv. musicale italiana), e a conclusione della polemica aggiungeva una Nota
crociana, nel capitolo terzo de La fionda di Davide, in cui evidenziava ancora
altre contraddizioni nella teoria di Croce. La polemica si riaprì con lo scritto La favola dell'aridità con il
quale G. insorgeva, in difesa del Seicento musicale italiano, contro
un'affermazione del Croce che definiva "età di aridità creativa" il
secolo; la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non soddisfece G., che
replica con Il parto settimello. G. scrive inoltre numerose recensioni e
articoli sulla Rivista musicale italiana e sulla Rassegna musicale, a cui
collabora, spesso sotto gli altri pseudonimi di H. Giraud e A.
Cannella. G. muore a Torino. Oltre agli saggi citati si ricordano:
Savitri"Idillio drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di
N. Canti. La poesia, in Rivista musicale italiana; Note marginali agl’Intermezzi
critici di Pizzetti; Note Leopardiane, in Campo Torino; Estetica nuova; Per una
biografia di Berlioz; Melodramma e dramma musicale, Adler, G., Gli spiriti
della musica nella tragedia greca, Riv. mus. ital., Ronga, In morte di G.,
ibid., Botto Micca, G. (Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo,
Pastore, In memoria di G., Riv. musicale italiana, Vajro, G., Angelis, Diz. dei
musicisti, Roma; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie.
Romualdo Giani. Giani. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Giannantoni: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della dialettica – filosofia perugiana – scuola
di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugiano. Filosofo umbro. Filosofo Italiano.
Perugia, Umbria. Grice: “I love Giannantoni; for one, he believes, with me,
that there is Athenian dialectic, Roman dialectic, Florentine dialectic and
Oxonian dialectic; like me, he has explored mostly ‘Athenian dialectic,’ and he
has noted that its birth (‘nascita’) is in the ‘dialogo socratico,’ so it
should surprise nobody that I have based my philosophy on the facts of
conversation!” Si laurea a Roma sotto Calogero. In “Il
dialogo di Socrate e la dialettica di Platone” attribuisce a Socrate una
concezione molto laica della del divino e della religione (Religiosità, che
Socrate, il quale era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo
del tutto diverso da come comunemente era sentita a quell'epoca»). La sua
dottrina storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria riflessione
filosofica si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca filologica delle
fonti.Questo spiega l'enorme dispiego di tempo dedicato all'elaborare la sua
opera monumentale, Reliche di Socrate” (Socratis et Socraticorum reliquiæ). G.
ha sempre seguito il criterio di Croce e Gramsci, secondo cui l'esposizione di
un filosofo debba avvenire tramite l'esame storico cronologico (unita
longitudinale) delle sue opere, allo scopo di prendere consapevolezza
dell'evoluzione della dottrina e di separare da questa ogni sovrapposizione
interpretativa personale non adeguatamente basata sulle fonti. Convinto dell'onestà intellettuale come
valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della storia della
filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla ricostruzione filologica
dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni personali. Traccia un
profilo ideale dello storico autentico della filosofia, che ha il dovere di
farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo del filosofo
da lui studiato», ben sapendo che ciò non basta ancora se non è accompagnato da
una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e storica insieme.
Di qui conclude il fascino di una ricerca che, rendendoci consapevoli di una
grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina in un autentico
arricchimento spirituale. Il suo insegnamento è stato caratterizzato dalla
volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del pensiero considerando
questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti degli altri studiosi.
Anche allo scopo di realizzare una scrittura filosofica quanto più
scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi sulla logica di
Aristotele e sulla storia della semantica filosofica (teoria del segno). Nella
sua vita e nella dottrina si è sempre impegnato nel mettere in pratica
l'insegnamento socratico, così come fece il suo maestro Calogero: insegnando la
conversazione basatio sulla regola d’oro: il rispetto verso il
co-conversazionalista. Cura I Presocratici di Diels e Kranz. Altre saggi: La metafisica
dei lizii (Roma, Rai); “Che cosa ha veramente detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici
(Firenze: Sansoni); “Filosofia romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia
italica in eta antica” (Milano: Vallardi); Le filosofie e le scienze contemporanee,
Torino: Loescher, I fondamenti della logica de’ lizii” (Firenze: La nuova
Italia); Le forme classiche Torino: Loescher, Volpe Roma: Riuniti, Socrate.
Tutte le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari:
Laterza, Aristotele. Opere; introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari:
Laterza, Epicuro. Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita; Bignone; Bari:
Laterza, I presocratici: testimonianze e frammenti Bari: Laterza, Profilo di
storia della filosofia, Torino: Loescher. La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis
et Socraticorum Reliquiæ. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G., Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di
filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni;
Introduzione di Adorno: per G.: un dialogo, Bibliopolis (collana Elenchos). Deputati
della legislatura. Op.cit. Centrone, ed.
Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Centrone, Bibliopolis, Edizioni di
filosofia, ILIESI CNR La traduzione dei
Presocratici da parte di G. è stata criticata da Reale nell'introduzione alla
sua nuova traduzione dei Presocratici, critiche riportate in due
articoli-intervista comparsi sul Corriere della Sera nei quali G., di formazione gramsciana veniva accusato
come curatore della "vecchia" edizione laterziana di avervi
perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio
all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero
di Socrate#Socrate: l'interpretazione di G. Calogero La teoria sul pensiero
greco arcaico. Per chi abbia svolto la propria attività di ricerca o
abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della storiografia
filosofica, il nome di G. (Perugia – Roma) è legato anche al Centro di Studio
del Pensiero Antico, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma,1 su
richiesta, appunto, di G.– in sostituzione del precedente Centro di Studio per
la Storia della Storiografia Filosofica –, il Centro di Studio del Pensiero
Antico si inserì nel panorama nazionale e internazionale della ricerca storica
come una realtà innovativa e contribuì allo sviluppo di una disciplina, la
storia della filosofia antica, appartenente al duplice contesto della
storiografia filosofica e delle scienze dell’antichità. Il Centro fu attivo in
modo autonomo fino al 2001, quando, a seguito di una riforma che ridisegnò la
rete scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso fu accorpato con
il Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo per dar vita all’
Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, sotto la
direzione di Gregory. L’attività del Centro di Studio del Pensiero Antico fu
inevitabilmente legata al percorso intellettuale e di ricerca del suo
fondatore, benché in modo non esclusivo. In questo breve profilo si cercherà di
rievocare, in primo luogo, i motivi culturali che furono alla base della
costituzione di questa realtà, nonché alcuni modelli scientifici di riferimento
che ne hanno determinato in certa misura la configurazione e l’attività; in
secondo luogo, i contributi originali che il Centro è stato in grado di fornire
all’area disciplinare di propria competenza, in termini di pubblicazioni,
progetti e formazione, sotto la guida di Giannantoni e di coloro che ne
coadiuvarono la direzione. 1 Decreto del Presidente del CNR. n. 6303,
ratificato successivamente da una convenzione tra il CNR e “La Sapienza”,
stipulata e confermata dal Presidente del CNR. Per il testo della convenzione
si veda “Elenchos”, Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto
per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti
normativi, si veda Liburdi Istituito presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università “La Sapienza” di MOTIVI CULTURALI E MODELLI ISPIRATORI
Come accennato, l’attività scientifica del Centro di Studio del Pensiero Antico
fu comprensibilmente orientata da precise scelte critiche e metodologiche di
colui che ne aveva voluto l’istituzione. Per dare ordine a questo sintetico
profilo, credo sia opportuno riassumere i motivi che ispirarono la promozione
di un organo di ricerca mirato agli studi storici sul pensiero antico, in tre
principali indirizzi: in primo luogo, la possibilità di considerare la storia
della filosofia antica come una disciplina dotata di un proprio specifico (e in
certa misura autonomo) profilo quanto a materia di indagine, arco storico e metodologia;
in secondo luogo, la nascita, o rinascita, dell’interesse verso scuole
filosofiche dell’antichità greca e romana tradizionalmente classificate come
minori, in particolare, le cosiddette scuole socratiche e le scuole
ellenistiche, che dalle socratiche discendono direttamente sotto l’aspetto
storico e dottrinale; infine, la rivisitazione del patrimonio dossografico –
cioè del complesso della tradizione indiretta che ha conservato, per estratti,
parafrasi o compendi, il pensiero di quei filosofi antichi di cui non è giunto
a noi né il corpus né una singola opera completa –. Quest’ultimo indirizzo si
inseriva in una tendenza di studi continentale che fece della dossografia
antica una vera e propria categoria storiografica con risultati particolarmente
innovativi. L’interesse portato alla dossografia, oltre a sostenere gli studi
nell’ambito delle filosofie di derivazione socratica e quelle ellenistiche
(delle quali, per l’appunto, non si è conservato alcun testo d’autore), apriva
un percorso di studi a cui G. è particolarmente legato e che lo vide impegnato
sia come direttore del Centro che individualmente, e cioè la riconsiderazione
di tutta la dossografia relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa
a fuoco di questi tre indirizzi permetterà di chiarire quali interessi
scientifici di G. abbiano maggiormente pesato sulle strategie generali e sulle
iniziative specifiche del Centro, nonché sulla formazione professionale che
esso ha reso possibile. Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo specifico
della storia della filosofia antica presuppose, da parte di G., una
approfondita analisi della visione storica che la cultura filosofica italiana
era venuta maturando intorno alla filosofia antica. In questa analisi, i cui
esiti si leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della rivista Elenchos
intitolato La storiografia idealistica e gli studi sul pensiero antico
(“Elenchos”), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che del pensiero
antico seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua valutazione
critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due caratteri, l’uno
teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non favorirono lo sviluppo di
una moderna storiografia del pensiero antico. Per un verso, tanto Croce che
Gentile vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i limiti di un pensiero
oggettivo, astratto e naturalistico, che mai sarebbe arrivato a concepire la
positività dell’idea di infinito, né quella della soggettività. I punti più
alti raggiunti dalla filosofia teoretica greca, Socrate, Platone, Aristotele,
coincidevano rispettivamente con la delineazione del concetto, o universale
astratto, con la sua separazione dalla realtà sensibile (la teoria delle idee
trascendenti e la scienza come dialettica delle sole idee) e con una logica
puramente strumentale (la sillogistica), alla quale sarebbe mancata la
teorizzazione del giudizio individuale, o giudizio storico, nonché la capacità
di superare l’astrattezza e attingere l’atto stesso del pensiero.4 Nella filosofia
pratica parimenti i Greci antichi, pur non mancando di intuizioni profonde, non
avrebbero superato il precettismo e l’empirismo, e la loro etica ingenua non
sarebbe mai giunta a distinguere etica ed economica, morale e diritto, come
categorie dello spirito. G., n. 13, rimanda a Croce, di cui diamo qui i
riferimenti da Croce. Ciò G. ricavava, pur senza riferimenti testuali precisi,
sia dagli excursus storici che possiamo leggere in Gentile e in Gentile, sia da
Gentile. G., rimanda a Croce; si veda Croce e a Croce, si veda Croce ILIESI
digitale Temi e strumenti copertina di “Elenchos. Per l’altro verso, però,
l’idealismo formulò una critica, entro certi limiti giusta e salutare, alla
filologia classica – cioè alla filologia classica moderna sviluppata in
Germania, distintasi, tra le altre cose, per una predilezione della cultura
greca rispetto alla latina –, colpevole sostanzialmente di non essere una
disciplina veramente storica. La filologia classica, malgrado i grandi
risultati raggiunti nella costituzione dei testi della letteratura antica,
nella revisione della tradizione bizantina e nelle nuove acquisizioni, si
affermò come una procedura tecnica complessa e molto raffinata ma priva della
visione della storicità del documento, del suo autore, dell’ambiente della sua
composizione, nonché del suo testimone. La questione, che emerse inizialmente
nel campo delle edizioni letterarie,6 non è meno complessa per quelle
filosofiche: i testi della filosofia antica richiedono anche una comprensione
dei contenuti teorici e pretendono di essere inquadrati in sistemi di pensiero
il cui senso trascende il ripristino del testo, o quanto meno se ne distingue
in data misura. Questo fu il nodo che si dovette sciogliere perché si potesse
cominciare a delineare una storia della filosofia antica che includesse tanto
la capacità di fornire edizioni affidabili sotto il profilo testuale, quanto
quella di storicizzare i documenti, cioè di comprenderne i contenuti alla luce
di coordinate culturali congrue con le epoche di appartenenza. La storiografia
idealistica è dunque imputata da G. di evidenti limiti interpretativi della
filosofia antica, come fu ben presto mostrato, ad esempio, dalle due celebri
monografie di Mondolfo sull’infinito nella filosofia antica e sul soggetto
umano nell’antichità,7 che smentivano l’idea di un connaturato e irreparabile
oggettivismo della filosofia antica. Tuttavia l’idealismo ha fornito
un’importante lezione e soprattutto ha indicato con chiarezza un ostacolo da
superare: 6 In particolare, la critica crociana a cui Giannantoni fa
riferimento prese le mosse da edizioni
di testi poetici e si volse contro la “mera filologia” e la Kulturgeschichte
che, nella pretesa di restituire il senso del testo letterario, non apportavano
comprensione né storica né concettuale. Cfr. ad esempio la recensione alla
monografia di Romagnoli su Aristofane e che si può leggere in Croce. Dice G. al
riguardo: il problema del rapporto tra filologia e poesia, tra filologia e
storiografia, tra filologia e filosofia sta al centro dell’elaborazione
dell’idealismo italiano”. G. probabilmente pensava anche alle considerazioni
gentiliane intorno al filologismo che affligge la storia e ostacola la
costituzione di una storia della filosofia, in Gentile Mondolfo. Tracciando nel
primo dei due volumi in onore di Croce per il suo compleanno, quello che è
tuttora l’unico panorama complessivo degli studi di filosofia antica nel
cinquantennio, Guido Calogero non ritenne di dover prendere in considerazione
né Croce stesso né Gentile (e neppure Ruggiero) quali interpreti del pensiero
antico; né altri ne hanno trattato in modo approfondito (mentre studi
importanti esistono sulle loro interpretazioni di altri periodi della storia
del pensiero) la ragione è da ricercare in una persistente separazione, non
solo concettuale, ma anche di organizzazione degli studi, che lo stesso
idealismo ha contribuito non poco a consolidare, tra considerazione filosofica,
ricostruzione storica e indagine filologica. Gli studi di filosofia antica hanno
infatti sofferto in modo particolare di una vera e propria scissione tra quelli
che erano considerati i compiti esclusivi del filologo e quelle che erano
considerate le competenze dello storico e del filosofo: con la conseguenza che
questi studi sono potuti apparire troppo filologici ad alcuni e ad altri,
all’opposto, troppo filosofici per entrare di pieno diritto nell’ambito di ciò
che si era soliti chiamare la scienza dell’antichità. Quando G. scrive queste
parole, era persuaso che la scissione non fosse superata e fosse causa, oltre
che di una durevole influenza idealistica, anche di un pregiudizio nei rispetti
della filologia, malgrado i grandi progressi e le messe a punto di tanta
prestigiosa filologia classica italiana.9 Stante, quindi, una situazione di
progresso “zoppicante”, per così dire, degli studi storiografici italiani sulla
filosofia antica, G. nutrì l’aspirazione di delimitare un preciso terreno
metodologico cogliendo la preziosa occasione che il Consiglio Nazionale delle
Ricerche gli offriva. Il secondo indirizzo è quello che, almeno a prima vista,
rivela maggiormente la stretta relazione tra il percorso scientifico
individuale di G. e lo spettro di interessi messi in campo da quanti hanno
operato nel o col Centro, a cominciare dai suoi allievi. Tanto più che
l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle tradizioni socratiche ed
ellenistiche non è del tutto indipendente dalla questione dell’impatto
dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia filosofica
dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di Socrate,
Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio deprezzamento delle
tradizioni minori. Ed è appena necessario [G. Il riferimento a Calogero è da intendersi a
Calogero. Si veda al riguardo il chiarimento di G. relativo all’opera di
Pasquali, che pervenne ad un’unità di filologia e storia come unità di metodo,
non di contenuti, e che si caratterizzò tramite uno storicismo della filologia
classica, profondamente diverso dallo storicismo idealistico: questo, inteso
come riconoscimento nella storia e nella cultura di figure e “categorie” del
pensiero e dello spirito, quello, inteso come intima connessione tra le
rigorose tecniche filologiche e la conoscenza storica (Cfr. Croce: “... col
considerare principalmente il contrasto delle passioni verso la volontà
razionale sorsero le scuole opposte dei cinici e cirenaici, ricordare che la
figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di ricerca costituito
dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente alle tradizioni
ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche e
storiografiche di Calogero,11 che di G. fu il maestro. Abbiamo poi vari segni
di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole anche fuori dell’Italia.
L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali cioè in quanto paragonate
alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più, conservate solo tramite
tradizione indiretta, si manifesta con studi sui Sofisti, su alcuni discepoli
di Socrate, in particolare Antistene di Atene e Aristippo di Cirene, sulla
tradizione scettica.Proprio ad Aristippo di Cirene e alla sua scuola
Giannantoni dedica la sua prima importante opera scientifica (G.). In essa si
profilano le problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che
concettuali, relative alla intricata questione della eredità socratica:
l’edizione critica di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la
possibilità di dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica
aneddotica; la contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu
composito in cui si intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica
classica e il magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le
dottrine di tutte coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come
precetti di vita più o meno convenienti a individui, classi e tempi
determinati, non ne presentano alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto
concetti filosofici; e cinici e cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che filosofi
sembrano monaci, seguaci di questa o quella regola”. Sulle “scuole socratiche
minori” cfr. anche il giudizio, meno sommario, di Gentile. Com’è molto noto,
Socrate occupò un ruolo centrale nella personale riflessione teorica
diCalogero, che elaborò la sua “filosofia del dialogo” esattamente sul modello
del Socrate dei dialoghi platonici, nel quale il filosofo italiano vide la
prima formulazione di un’istanza intellettuale e morale – il dialogo, appunto,
contrapposto al “logo” conclusivo e assertivo – destinata a far giustizia della
pretesa di fondare l’etica sulla epistemologia e sulla metafisica, e che
sarebbe stata anche alla base della moderna concezione dello stato liberale e
di diritto. Ma Socrate fu anche al centro di importanti lavori storiografici di
Calogero, alcuni dei quali aprirono la strada alla ricerca della posterità del
magistero socratico nel pensiero tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale
critica diversa da quella di G., ma in linea con la percezione del ruolo
capitale svolto da Socrate nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto
ciò a rimandare a G. e a Brancacci. Per limitarsi alle opere principali:
Untersteiner, con moltissime riedizioni; Pra; Humbert; Mannebach; Caizzi;
Patzer. Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella filologia europea,
sempre più determinanti per la comprensione delle dottrine di personalità come
Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di Megara, Eschine di Sfetto. In più, il
superamento della Quellenforschung tradizionale e l’approfondimento dei
contenuti filosofici aprirono nuove possibilità di delineare il percorso che
dalle scuole socratiche della seconda metà del IV secolo a.C. porta alle
principali tendenze ellenistiche, il Giardino, il Portico, il Lizio post-
aristotelico, la scepsi pirroniana ed accademica. A questo complesso terreno di
ricerca è dedicata una iniziativa che precede l’istituzione del Centro di
Studio del Pensiero Antico benché sempre sostenuta dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche: il convegno “Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica”,
organizzato dal Centro di Studio per la Storia della Storiografia (la cui
direzione era stata affidata allo stesso G.), e i cui atti furono pubblicati
nel 1977 dalla casa editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al
Convegno del 1976, mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle
filosofie riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti
concettuali tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età
imperiale,13 furono aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul
tema Per un’edizione delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella
quale lo studioso esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma
ancora lontano, nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono
messe a fuoco le 13 Cambiano 1977; Celluprica; Sillitti; Caizzi; Ioppolo;
Brancacci; Donini; Parente; Repici ILIESI digitale Temi e strumenti
11 copertina di G. Giannantoni, I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche,
traduzione e studio introduttivo, Firenze, Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico
peculiarità e la notevole problematicità, soprattutto sotto il profilo
filologico, di una edizione di testi filosofici e di molti autori. Emerge da
questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma un criterio programmatico
che non considera sufficienti, benché certamente necessarie, le sole competenze
della filologia classica, ma pretende una sensibilità storica e una capacità di
comprensione teorica che gli sforzi della Altertumswissenschaft tradizionale
non avevano sempre garantito. L’edizione di testi filosofici di trasmissione
indiretta non può limitarsi alla costituzione del testo e alla redazione di
apparati critici da cui si desuma il meticoloso lavoro di collazione
dell’editore, ma deve tener conto dei contesti storici e problematici nei quali
sono vissuti tanto il filosofo quanto il suo testimone. Inoltre, un’edizione
che sia, in più, una silloge di testi relativi a (e non provenienti da) molti
filosofi, comporta di andare oltre la natura estrinsecadella singola
testimonianza (epoca e ambiente del testimone, distanza cronologica
dall’autore, genere letterario della fonte, parametri stilistici, etc.) e di
individuare alcune strutture di pensiero che, in un lasso di tempo abbastanza
lungo, si facciano riconoscere per caratteri salienti e durevoli e, al
contempo, riflettano le condizioni storiche che ne determinano la specificità
(secondo i dettami dello storicismo), diventando pagine e capitoli di una
lunghissima storia culturale; si configurino, cioè, come tradizioni: Il fatto è
che a proposito di una raccolta di testi che riguardano uno o più filosofi,
emerge molto più nettamente che in altri casi l’impossibilità di considerare la
testimonianza antica come un dato puramente oggettivo, e quindi la necessità di
storicizzarla fino in fondo: in realtà essa deve essere considerata come un
capitolo di una vera e propria storia della cultura durata all’incirca un
millennio, e perciò da ricondurre di volta in volta al suo tempo e alle
tendenze storicamente determinate che la produssero: parleremmo di un Diogene
irreale e mai esistito se pensassimo di poter adoperare come ingredienti
mescolabili a piacere Epitteto e Dione Crisostomo, Luciano e Giuliano
l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole apocrife che vanno sotto il
nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo alla dossografia, è quello che
presenta, almeno in apparenza, un maggiore tecnicismo, perché volto alle
problematiche ecdotiche ed interpretative attinenti allo studio di [Sulla
cosiddetta filologia esterna, sul ruolo da essa svolto nelle edizioni
filosofiche e sui suoi limiti, si veda G., a proposito dell’opera di Vitelli,
la cui importanza per la storia della filosofia antica è legata specialmente
alle edizioni critiche dei commenti aristotelici di Filopono. G. dottrine riportate da testimoni spesso assai
lontani, per cronologia ed orientamento intellettuale, dagli autori di cui si
vuole conoscere il pensiero. D’altra parte, la dossografia si è rivelata un
capitolo importantissimo di quella millenaria storia culturale che costituisce
il terreno di indagine della storia della filosofia antica. Non si potrebbe
ancora oggi redigere una storia della storiografia filosofica dell’antichità
senza iniziare non solo dalle grandi raccolte di testi e frammenti allestite dalla
filologia ottocentesca e comparse nei primi anni del XX secolo (le raccolte di
Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare degli esempi), ma anche dalla prima
grande opera di analisi e comparazione dei testimoni, i Doxographi Graeci di
Hermann Diels; come è altrettanto vero che non si può oggi fare a meno dei più
recenti e sistematici contributi all’analisi della dossografia filosofica, cioè
gli Aëtiana di Mansfeld e Runia. I più importanti progetti editoriali varati
negli ultimi decenni, inoltre, si sono strettamente legati alla problematica
della DOSSOGRAFIA e all’analisi dei testimoni, a lato di quelle condotte sui
filosofi romani e sulle tradizioni dottrinali. Allo studio di filosofi di
grande notorietà e impatto della tradizione culturale antica, ai quali si deve
gran parte della conoscenza dei filosofi precedenti -- come CICERONE e Plutarco
-- si è venuta affiancando una sempre maggiore familiarità con testimoni meno
noti ma che hanno rivelato un’importanza fondamentale, come Filodemo, Diogene
Laerzio, Sesto Empirico, Galeno, Stobeo. L’indirizzo dossografico e quindi un
segno della tempestività e della sensibilità di G. nei rispetti di un terreno
di ricerca che si venne imponendo e che di fatto contribuì alla dimensione
dello stesso Centro, la cui attività progettuale e congressuale e in buona
misura dedicata alla dossografia di epoca tardo ellenistica ed IMPERIALE. Si
può far rientrare in questo ultimo indirizzo anche una linea di attività di
studi la cui ragione storiografica e oggetto di un vivacissimo [Usener 1887. 17
Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20 Mansfeld-Runia 1997;
Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena necessario ricordare che le
parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono coniate da Diels. Sulla
dossografia e sul suo sviluppo come categoria filologico-storiografica, cfr.
Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia, Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia – cf.
GRICE, “LIFE AND OPINIONS” – “Vita e opinioni” – Speranza, “OXONIAN DOXOGRAPHY:
H. P. GRICE” -- dibattito e che è nota come la questione delle dottrine non
scritte di Platone. Sorta nell’accademia tedesca, in particolare a Tübingen, da
un’ipotesi schleiermacheriana, la questione degl’ “agrapha dogmata” consiste,
molto in breve, nella convinzione che Platone teorizza una dottrina dei
principi (Uno e Molteplice), della quale non resta traccia nei suoi scritti –
perché oggetto di pura trasmissione orale all’interno dell’Accademia antica –
ma solo sparsi indizi in pagine aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del
Centro, G. invita Gaiser, ordinario di filologia a Tübingen e uno dei maggiori sostenitori di
questa ipotesi, a tenere una lezione presso la Sapienza sul tema La teoria dei
principi in Platone, il cui testo venne pubblicato nel primo numero della
rivista Elenchos. Tuttavia, il punto che merita attenzione in questa sede è che
la questione delle dottrine non scritte di Platone e, oltre che un tema
rilevante per se stesso, anche un pretesto per riconsiderare Aristotele come
testimone egli stesso del passato filosofico, più precisamente per le
cosiddette filosofie italiche pre-socratiche. Com’è noto, Aristotele può essere
considerato se non il primo testimone in assoluto delle precedenti tradizioni della
filosofia, certamente il primo testimone che ne offre una informazione
organizzata secondo criteri espositivi dettati dalle proprie esigenze
filosofiche e che hanno inevitabilmente condizionato la visione storiografica.
Per quanto apparisse improprio, naturalmente, definire Aristotele un “dossografo”,
il ri-esame della sua testimonianza della filosofia italicca precedente,
anch’essa una tradizione indiretta, appare a G. una linea d’azione congrua con
quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie ellenistiche, ancorché
meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro. A conclusione di
questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del Centro di Studio della
Filosofia Antica non e del tutto priva di modelli in Italia e fuori e che con
alcuni di essi si instaurò una costante collaborazione. L’esempio più
immediato, sia sotto il profilo tematico e scientifico, che sotto quello del
funzionamento istituzionale, e il – Robin, una unità di ricerca del Gaiser ILIESI digitale Temi e strumenti
Centre de Recherches sur la Philosophie Antique, Centre de la Recherche
Scientifique, ma operante all’interno e sotto l’egida Francesca
Alesse G. e il Centro di Studio del
Pensiero Antico della Sorbonne (perciò definito anche Unité Mixte
de Recherche), in modo non troppo dissimile dai Centri di Studio
del CNR istituiti in regime di convenzione con i vari atenei italiani. La
collaborazione con questo Centro si focalizza sulle tematiche socratiche
e da luogo al ripetuto scambio di filosofi
tra le due sedi nell’ambito del programma di ricerca “Socrate e la storia della
filosofia antica: rottura o continuità?”; i contributi pubblicati sotto
il titolo di Lezioni socratiche, a cura di furono G. e Narcy, per
Bibliopolis di Napoli. Un’altra importante istituzione scientifica a cui
G. guarda con particolare attenzione e con cui intrecciò stretti
rapporti scientifici nonché di cordiale amicizia è stata senz’altro il CENTRO
PER LO STUDIO DEI PAPIRI ERCOLANESI, fondato da , Gigante. I motivi di
tale collaborazione sono dettati ovviamente dall’interesse intrinseco
per la grande opera editoriale a cui il Centro fondato da Gigante e
votato. La pubblicazione delle edizioni critiche dei papiri reperiti nel
sito ercolanese offre alla comunità filosofica un patrimonio inestimabile
per la conoscenza dell’ORTO, della tradizione socratica, del PORTICO. Ma sono
anche ragioni metodologiche a sancire un sodalizio importante, che si
concretizza in varie iniziative e pubblicazioni cui parteciparono
entrambi i Centri: i testi ercolanesi, com’è molto noto, costituiscono un
materiale che permette di arricchire enormemente la conoscenza di molte
importanti tradizioni filosofiche, a condizione di possedere un complesso
di conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente possono
trovarsi nella medesima personalità e che però vanno applicate
contestualmente. In altre parole, l’esperienza collaborativa tra questi
due Centri, forti, l’uno, di una formazione propriamente filosofica, l’altro,
di alte competenze filologiche, contribuì in modo significativo a
costituire quella storiografia della filosofia antica che aveva, almeno
per la cultura accademica italiana faticato ad assumere uno statuto
proprio. Quanto detto nel precedente paragrafo trova un riflesso, diretto
o indiretto, nelle attività di ricerca del Centro, nonché nelle sue
pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della storia della filosofia
antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo impianto metodologico,
oltre che di un preciso confine cronologico, viene perseguito tramite
l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si dà qui una
descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di tutto, una
iniziativa promossa da G. dopo l’istituzione del Centro, in conformità di un
indirizzo dell’organo direttivo di Elenchos, e dedicata alla problematica
storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo della rivista Elenchos è
emersa più volte l’opportunità di aprire una discussione sul metodo o, meglio,
sui metodi della storiografia filosofica relativa alla filosofia antica. Si
pensa perciò di cominciare con una tavola rotonda, chiamando a parteciparvi
esponenti di orientamenti diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di
intervenire liberamente su tre questioni principali -- se ha senso parlare
ancora di una storia della filosofia (e quindi anche di una storia della
filosofia antica) come disciplina a se stante e in sé autonoma; quali
innovazioni si possono riconoscere all’ampliarsi e al differenziarsi delle
impostazioni teoriche che sono sottese ai vari approcci metodici alla storia
della filosofia antica; quale è il contributo che viene, una volta tramontato
il vecchio mito classicistico, dall’applicazione di categorie elaborate dalle
scienze umane. Alla tavola rotonda parteciparono Berti, Vegetti, Viano, e lo
stesso G., ciascuno portando un contributo molto peculiare e strettamente
conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di G. rispecchia
le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate nel già citato articolo
di apertura della Rivista (La storiografica idealistica), di cui ripropone le
premesse problematiche e a cui aggiunge precise prese di posizioni sulla
specificità della storia della filosofia antica e sul modo di salvaguardarla senza
perdere di vista il fatto che lo scopo principale (scil. dello storico della
filosofia antica) resta la comprensione dei testi che ci trasmettono la
filosofia antica, ritengo necessario rivendicare l’imprescindibilità di una
rigorosa e metodica impostazione filologica, anche se tale impostazione non può
non venire assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella
della storia degli studi ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale
isolamento e a promuovere una organizzazione del lavoro diversa e meno
diffidente verso i sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso,
la storia degli studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia
avere un minimo di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma
anche per le divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è
o l’arbitrio nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla
lettura diretta dei testi. In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo
la finalità della costituzione del Centro e la visione di G. del modo di
operare storiografico: più che il cenno alle nuove tecnologie e più che
l’esortazione ad abbandonare l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e
l’altra, conta sottolineare, a mio parere, il richiamo alla storia degli studi
come parte integrante della storia della filosofia, in particolare della
filosofia antica, affidata in larghissima misura alla tradizione indiretta. La
serietà, cioè la plausibilità dei risultati della ricerca storico-filosofica
sono messi a rischio dall’illusione di poter leggere (e capire) le parole del
filosofo, specie se antico, senza gli strumenti della conoscenza filologica, linguistica
e culturale nel senso più lato, conoscenza cui si perviene ricostruendo, ove
sia possibile, anche una storia intelligente delle letture altrui. Uscire dall’isolamento
è, allora, non solo la cooperazione tra colleghi ad un progetto scientifico
unitario, ma anche la conoscenza e la valutazione delle migliori offerte
interpretative che di un testo e del suo contesto siano state date entro un
certo arco di tempo. Sia nelle azioni istituzionali, che investirono e
coinvolsero il complesso delle risorse del Centro, incluse le relazioni
stabilite con il mondo universitario, sia nelle attività di ricerca
individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle tradizioni
ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Il Centro organizza
un convegno sulla SCESSI, (Quintiliano, SCEPTICI --) e coopera strettamente con
Pavia e in particolare con Vegetti e collaboratori, sostenendo l’organizzazione
di due importanti convegni: “La filosofia ellenistica” (Pavia) e Ancora alla
filosofia ellenistica è dedicata l’importante pubblicazione dei Proceedings del
quarto simposio internazionale sulla filosofia ellenistica, che vide tra i suoi
partecipanti esperti di caratura internazionale, alcuni di stretta
collaborazione con il Centro stesso. copertina del volume di La scessi antica,
Atti del convegno, a cura di G., Napoli. Le opere psicologiche di Galeno”
(Pavia) ILIESI digitale Temi e strumenti G. G.-Vegetti
Manuli-Vegetti. Barnes-Mignucci Carattere sistematico ebbe anche la linea
d’azione dedicata allo studio della dossografia. Il Centro organizza il
congresso sull’opera del biografo di ETA IMPERIALE Laerzio (Laerzio storico della
filosofia antica”, Napoli-Amalfi, e il congresso sull’opera del filosofo scettico
di ETA IMPERIALE Sesto Empirico (“Sesto
Empirico e la filosofia antica”, Sestri Levante. Si delinea in entrambi gl’eventi
un’unica prospettiva, grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica
è, per così dire, duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo la cui FILOSOFIA
è oggetto di trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la
sua epoca, il suo orientamento, nonché la struttura formale della sua
testimonianza, struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle
informazioni attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così,
mentre l’opera di Diogene Laerzio, che già da lungo tempo attira l’attenzione
della filologia, conserva una concezione ampia del genere biografico,
restituendo non solo informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi
nonché cataloghi d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a
prestito dalla letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello
delle “successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano
storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro
forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri
Ercolanesi di Gigante, permise di
allestire negli anni subito successivi un grande congresso sul tema “L’orto romano” (Napoli-Anacapri, ILIESI digitale Temi e strumenti 19
Figura copertina di Laerzio storico del pensiero antico, Atti del
congresso, “Elenchos”, Atti pubblicati in “Elenchos”. 29 Atti pubblicati nel
volume 13 dell’annata 1992 della rivista “Elenchos), un evento di ampio spettro
tematico e cronologico all’interno del quale poterono cimentarsi papirologi e
papirologi ercolanesi, filologi classici, paleografi ed epigrafisti, storici, e
ovviamente storici della filosofia romana. Proprio di questo incontro e il suo
carattere transdisciplinare e, per quel che attiene alle attività in corso
presso il Centro, la messa alla prova di molte ipotesi di lavoro anche
individuali sulla relazione tra L’ORTO e le rilevanti tradizioni (le scuole
socratiche, il PORTICO, la SCESSI dell’ACCADEMIA e pirroniana) che impegnano
sia G. in prima persona che il suo gruppo di lavoro operante presso la Sapienza
e il Centro. Tra gli impegni di G. in qualità di direttore del Centro ci e
l’organizzazione di due altri convegni: “ “Empedocle di GIRGENTI e la cultura
della Sicilia antica. Illustrazione di un frammento inedito della sua opera”, Agrigento.
Il primo raccolse un gruppo consistente
di esperti della filosofia romana ed e un raro esperimento di indagine
lessicale da parte del Centro, volto a delineare l’area semantica – “linguistic
botanising” -- dell’affezione (emozione, sentimento, malattia) nelle diverse
manifestazioni della filosofia romana. Il secondo convegno e un altro esempio
del modo in cui G. intende inserire la vita del Centro all’interno di una rete
di relazioni istituzionali, oltre che accademiche, perché il convegno, motivato
dalla 30 G.-Gigante Atti Elenchos”. Atti “Elenchos”. Figura 5: copertina del
primo volume di Epicureismo greco e romano, Atti del congresso, cur. G. e
Gigante, Napoli, Il concetto di pathos nella cultura antica” (Taormina coperta
del Papiro di Strasburgo contenente una porzione del poema empedocleo, e
organizzato in collaborazione con la sovrintendenza dei beni archeologici di
Agrigento. Esso inoltre dove essere una prima tappa di un più ampio progetto
dedicato alle tradizioni culturali e filosofiche della Sicilia e della Magna
Grecia. Sarebbe un errore pensare che le strategie e i progetti del Centro
avessero come unici interlocutori le istituzioni accademiche italiane. Certamente,
uno degli obiettivi di G. e quello di costituire un piccolo ma vivace e solido
bacino collettore degli interessi intorno alla filosofia romana, e tali
interessi sono, di fatto, collocati nelle Università e organizzati secondo i
modi della didattica e della formazione universitarie. Ma il Centro partecipa
anche alla realizzazione di una delle maggiori iniziative che il Consiglio
delle Ricerche abbia dedicato al settore delle scienze umane, e cioè il
progetto “Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità
Nazionali”. Questo grande progetto e articolato in cinque linee di
indagine, la prima delle quali dedicata al mondo romano. E in questo
contesto che G., oltre a scrivere il saggio La tradizione filosofica in
Magna Grecia e Sicilia, apparso nel volume che raccoglieva i risultati
delle attività promosse dal progetto, contenne l’idea di una linea di
attività, cui si è fatto cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche
della Magna Grecia [never “MAKRA ELLENA, but megale hellas – H. P. GRICE] e
della Sicilia, linea che avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le
metodologie sperimentate nella più generale attività del Centro Il
Progetto Strategico, svoltosi e coordinato da Antonello Folco Biagini fu varato
nel 1994 dal Biagini ILIESI digitale Temi e strumenti 21 Comitato
Nazionale di Consulenza del CNR per la filosofia, allo scopo di
convogliare tutte le competenze rappresentate ed espresse dalla rete
scientifica costituita dai Centri di Studio e dagli Istituti afferenti al
Comitato stesso, in una grande area di interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al
fondo della decisione del Comitato e la convinzione che il Mediterraneo
costituisse non un’entità identitaria ma un complesso sistema di realtà
molteplici, tradizionalmente oggetto di indagine da parte di settori
disciplinari indipendenti. Si tratta perciò di conferire unità strategica e di
metodo ad una naturale e fisiologica molteplicità di fenomeni
culturali. Origine e incontri di culture nell’antichità”.
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero
Antico (studio della dossografia e delle tradizioni indirette). Rivisse in
questo progetto l’antico interesse di G. per la trasmissione delle
cosiddette tradizioni pre-socratiche, molte delle quali per l’appunto
fiorite nelle aree magnogreche (VELIA, CROTONE, GIRGENTI, LEONZIO), e per il
ruolo svolto in tale trasmissione da Platone (si veda CUOCO) e
Aristotele. A questo più antico arco cronologico, si sarebbe poi unito il
costante interesse per L’ORTO, nella forma storica dell’ORTO CAMPANO.
Vale la pena ricordare, infine, l’attività formativa che il Centro riuscì
a svolgere, facilitata, come è facile comprendere, dalla posizione
accademica di G.. Il Centro di Studio della filosofia antica si formò infatti raccogliendo i suoi allievi,
che si unirono ai ricercatori già in forza presso il precedente Centro di
Studio per la Storia della Storiografia Filosofica. L’attività progettuale,
inoltre, non si limita alla sola attività di pianificazione scientifica e ancor
meno alla sola organizzazione dei convegni, ma prevede lavori continuativi di
studio collettivo e di confronto sulle tematiche di principale interesse e di
rilevanza strategica. I maggiori convegni venneno quindi preceduti
da seminari propedeutici sulle dossografie antiche, sull’opera di Diogene
Laerzio e su quella di Sesto Empirico, e su quest’ultimo autore, anzi, si
svolge un seminario aperto anche ai dottorandi di ricerca della Sapienza.
Nell’ambito del progetto “Mediterraneo” e quindi della linea di ricerca sul
Mediterraneo antico, il Centro ottenne dal Comitato di Consulenza per la Filosofia
borse di studio. Un discorso a parte merita l’attività editoriale a cui il
Centro riuscì a dar vita. Due furono le iniziative editoriali,
strettamente coerenti con l’idea programmatica che ispirò la costituzione
del Centro: la serie “Elenchos. Collana di testi e studi sulla filosofia
antica, ed Elenchos. Rivista di studi sulla filosofia antica. La scelta
del medesimo nome per le due iniziative si spiega facilmente in
riferimento all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale dello
stesso G., che riteneva la discussione, il confronto -- elenchos, appunto
-- in primo luogo, uno dei lasciti più significativi della cultura
filosofica antica, quello che maggiormente ha contribuito alla formazione
della coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e secondo un’angolatura più
tecnica, G. vedeva nell’”elenchus”, inteso come analisi critica, il metodo per
eccellenza dello studio del testo filosofico antico e della dottrina in
esso contenuta, come mostrano i primi autori di una nascente “storia
della filosofia” ancora in forma di dossografia, Platone e soprattutto,
com’è assai noto, Aristotele. In omaggio dunque, all’ideale “dia-logico” (DIA-GOGE
– H. P. GRICE) trasmesso dal magistero di Calogero, l’ELENCO e, nei
limiti del possibile, il contrassegno delle ricerche realizzate o promosse
dal Centro e divenne il nome delle due pubblicazioni, entrambe
affidate alla casa editrice napoletana Bibliopolis, Edizioni di
Filosofia, di Franco. La collana e destinata in larga misura, benché
non esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali
dovevano concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti
per la ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a
mettere in primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae,
collegit, disposuit apparatibus notisque instruxit G. Frutto di una
ricerca individuale, preparato da molte precedenti pubblicazioni, questa
edizione delle testimonianze relative a Socrate e alle scuole socratiche,
corredata dell’APPARATO CRITICO e note di commento (e SENZA traduzione),
rappresenta la più importante espressione degli interessi tematici e dei
principi metodologici che caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti
considerare i volumi usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle
tradizioni socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle
edizioni di testi e frammenti di FILOSOFI ITALIANI ancora poco
studiati, per apprezzare l’impatto delle ricerche di G. su tutto il
gruppo di ulteriori interessi e accolse studi accademica. ricerca
del Centro. Naturalmente la collana non e preclusa ad critici
su tematiche di grande rilevanza nell’ambito del platonismo e
dell’aristotelismo e delle filosofie della tarda antichità, promuovendo
in tal modo uno scambio costante con la più ampia comunità
Quanto alla rivista, è forse opportuno rimandare direttamente
alla Presentazione che G. Figura 6: copertina del primo volume di G. G.,
Socratis et Socraticorum Reliquiae, Napoli] antepose al primo fascicolo. Essa
fa molto ben intendere tanto la relazione essenziale tra il
programma del Centro e il periodico che di quel programma doveva essere
lo strumento di diffusione; quanto l’apertura al dibattito che la rivista
(e quindi il centro stesso) si prefigge; quanto, infine, la tempestività
di un’operazione culturale che il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha
la sagacia di sostenere: ELENCO intende dare attuazione ad uno dei punti
programmatici contenuti nella convenzione stipulata tra il Consiglio Nazionale
delle Ricerche e Roma, e che sta alla base del Centro di Studio della Filosofia
antica. Essa non è, tuttavia, in senso stretto espressione soltanto di questo
Centro: al contrario, chi ha la responsabilità di dirigerla intende farne uno
strumento di studio e di ricerca aperto alle collaborazioni più ampie, un punto
di incontro e di confronto e un’occasione a disposizione di studiosi. Questa
rivista è l’unica dedicata interamente alla filosofia romana che si pubblichi
in Italia e perciò essa non può non proporsi anche un compito di promozione di
questi [ I titoli della collana ELENCO, corredati da schede riassuntive,
sono consultabili all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia
delle idee. Mi limito a citare il grande progetto di traduzione e commento
della Repubblica di Platone, promosso e diretto da Vegetti. Vegetti Questa situazione è rimasta invariata, e cioè
fino alla comparsa della rivista “ANTIQVORVM PHILOSOPHIA”, edita da Serra, Pisa,
e diretta da Cambiano. studi ... Ma essa si propone anche uno scopo più
ambizioso; se è vero, come è vero, che la storia della FILOSOFIA ROMANA è
un campo in cui debbono potersi incontrare gli apporti e le problematiche della
storiografia filosofica e del metodo filologico. Se è vero, come è vero, che
tanto la storiografia filosofica quanto il metodo filologico attraversano una
fase di ri-pensamento critico molto profondo dei propri presupposti e delle
proprie certezze, allora ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il
compito di proporsi come sede di verifica di discipline diverse e di modi
diversi di affrontare lo studio della filosofia romana e di aprire le sue
pagine ... anche a contributi che per la conoscenza della FILOSOFIA ROMANA possono
venirci da storici dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e
delle letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi
di fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si
caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità
dell’orientamento interpretative. In accordo con gli obiettivi enunciati nella
Presentazione della rivista ELENCO e nel protocollo che lo istituiva, il Centro
di Studio del Pensiero Antico si dota di un consiglio scientifico che affianca G.
nella direzione del Centro e delle pubblicazioni che esso produsse, il quale
contò tra i propri membri eminenti storici della filosofia, quali Adorno,
Berti, Reale, Viano, Ioppolo, Brancacci e Celluprica, nonché eminenti filologi
classici e storici della filosofia quali Gigante e Rossi. Il Centro poté
disporre di sufficienti risorse e di una struttura organizzativa 40 che gli Elenchos.
Fecero parte del Centro in qualità di ricercatori inquadrati nei ruoli del
Consiglio Nazionale delle Ricerche: Faes (direttrice del Centro), Caporali,
Garroni, Celluprica (direttrice del Centro per un biennio e poi responsabile della linea relativa al
pensiero antico nell’ILIESI, Ferraria, Brancacci (Roma Tor Vergata), Centrone
(Pisa), Alesse, Dalfino, Simeoni, Chiaradonna (poi docente presso l’Università
degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in modo istituzionale e continuativo
con il Centro Ioppolo (Roma), Repici (Torino); Santese (Roma); Sillitti (Roma);
Baffioni (Università degli Studi di Napoli l’Orientale); Spinelli (Roma) ed Aronadio
(Roma Tor Vergata). Molti sono stati i allievi che, nel corso della loro
formazione post lauream sono venuti in contatto con G. e con il Centro,
lavorando fattivamente alla redazione di ELENCO o adoperandosi in attività
editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito ricordare
Piccione (Torino), Alessandrelli (ILIESI-CNR), Quarantotto (Sapienza Università
di Roma), Fronterotta (Roma), ILIESI digitale Temi e strumenti] consentirono di
diventare un organismo collettore di attività di ricerca nel campo
dell’edizione critica e dell’interpretazione dei testi della filosofia antica. Chi
scrive non crede che l’esperienza acquisita nel Centro sia andata perduta né
dimenticata. Quando nacque l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e
Storia delle Idee, al suo interno fu garantita la prosecuzione e l’autonomia
delle indagini relative alla storia della filosofia antica, per esplicito
volere di Gregory che del nuovo Istituto fu il primo direttore. Queste indagini
confluirono in una linea progettuale denominata prima “Storia del pensiero
filosofico- scientifico e della terminologia della cultura mediterranea
greco-latina, ebraica e araba” e successivamente Il pensiero filosofico nel mondo
antico: testi e studi. L’impegno principale della linea fu rappresentato
da una serie di progetti che in parte proseguivano le tematiche di studio
e le strategie cooperative del Centro di Studio del Pensiero Antico, e in
parte introducevano nuove tipologie di analisi, connesse alle tecnologie
digitali. La continuità culturale fu inoltre garantita dal mantenimento
delle due pubblicazioni, la collana Elenchos e la rivista Elenchos. Da
questa permanenza delle ricerche sul pensiero antico nella nuova realtà
istituzionale si deve ricavare non solo e non tanto l’attualità di una
disciplina (che si è comunque stabilizzata nel mondo accademico con la
benefica diffusione di cattedre e centri di insegnamento, in Italia e
fuori), quanto piuttosto l’attualità di un metodo di lavoro. Questo
metodo di lavoro, che potrebbe descriversi, un po’ aulicamente, come un
nuovo diatribein socratico, cioè come la capacità di discutere in
modo competente con i “morti” prima che con i vivi, rispecchia
abbastanza bene la disposizione intellettuale e comportamentale di G.i,
uomo tanto pacato nelle discussioni con i contemporanei, quanto fermo
nelle sue strategie di ricerca sul mondo antico.] Gioè, Nucci, Santoro, Gambetti e Cunsolo (a quest’ultima si deve
l’allestimento della bibliografia ragionata digitale Le tradizioni filosofiche
e culturali greche della Magna Grecia e della Sicilia antica, ora in fase di
aggiornamento ad opera di Gambetti). 41 A questa linea, diretta da Celluprica,
fanno riferimento i ricercatori già operanti nel Centro, a cui si aggiunge Chiodi,
specialista in storia delle religioni del mondo antico e del Vicino Oriente.
Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Lipsiae, Teubner. Barnes, MIGNUCCI (a cura
di), Matter and Metaphysics. Fourth Symposium Hellenisticum, Napoli,
Bibliopolis. Biagini (cur.), Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e
Culturali e Specificità Nazionali, Roma, CNR Edizioni. Brancacci, Le orazioni
diogeniane di Dione Crisostomo, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e
filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Brancacci, Il Socrate di Guido
Calogero, “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, Calogero, Gli studi
italiani sulla filosofia antica, in Antoni, Mattioli (cur.), Vita intellettuale
italiana. Scritti in onore di Croce per il suo ottantesimo anniversario,
Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Cambiano, Il problema dell'esistenza di
una scuola Megarica, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e filosofia
ellenistica, Bologna, il Mulino Celluprica, L'argomento dominatore di Diodoro
Crono e il concetto di possibile di Crisippo, in G. (cur.), Scuole socratiche
minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino Croce, Logica come scienza
del concetto puro, Bari, Laterza. Croce, Teoria e storia della storiografia,
Bari, Laterza. Croce, Filosofia della pratica: economica ed etica, Bari,
Laterza. Croce, Filosofia della pratica: economica ed etica, a cura di M. Tarantino.
Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce,
Logica come scienza del concetto puro, a cura di C. Farnetti. Edizione
Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce, Problemi
di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, a cura di M.
Mancini. Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, Napoli,
Bibliopolis. Croce, Teoria e storia della storiografia, a cura di E.
Massimilla, Tagliaferri. Edizione Nazionale delle Opere di Croce, Napoli,
Bibliopolis. Pra, Lo Scetticismo greco, Milano, F.lli Bocca, rist. Laterza
Caizzi, Antisthenis Fragmenta, Milano, Cisalpina. Caizzi, La tradizione
antistenico-cinica in Epitteto, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e
filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Diels, Doxographi Graeci, Berlin,
Reimer. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlin, Weidmann. Donini,
Stoici e Megarici nel De fato di Alessandro di Afrodisia, in G. (cur.), Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Gaiser, La
teoria dei principi in Platone, “Elenchos”. Gentile, Sistema di logica come
teoria del conoscere, Pisa, Spoerri. Gentile, La riforma della dialettica
hegeliana, Firenze, Sansoni. ILIESI digitale Temi e strumenti Alesse G. G. e il
Centro di Studio del Pensiero Antico Gentile, Storia della Filosofia (dalle
origini a Platone), in Bellezza (cur.), Gentile. Opere complete, a cura della
Fondazione Gentile per gli studi filosofici, Firenze, Sansoni. G., I CIRENAICI.
Raccolta delle fonti antiche. Traduzione e studio introduttivo, Firenze,
Sansoni. Scuole socratiche MINORI e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino. La
storiografia idealistica, ELENCO. Lo scetticismo antico, Atti del convegno
organizzato dal Centro di Studio del Pensiero Antico del CNR Elenchos Napoli,
Bibliopolis. Tavola rotonda. La storiografia filosofica sul pensiero antico,
“Elenchos”. In ricordo di Calogero, Elenchos. G. e Gigante, L’ORTO romano, Atti
del Congresso Internazionale tenutosi a Napoli, Elenchos, Napoli, Bibliopolis.
G. e Narcy (cur.), Lezioni socratiche Elenchos Napoli, Bibliopolis. G. e Vegetti,
La scienza ellenistica. Atti del Convegno di studio tenuto a Pavia Elenchos Napoli,
Bibliopolis. Humbert, Socrate et les petits Socratiques, Paris, PUF. Ioppolo,
Aristone di Chio, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e filosofia
ellenistica, Bologna, il Mulino, Parente, La valutazione dell’epistemologia dei
peripatetici, e in particolare di Statone di Lampsaco, nell’ambito della
valutazione della filosofia ellenistica, in G. (cur.), Scuole socratiche minori
e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Liburdi, Materiali per una storia
dell’ILIESI, ILIESI. Relazioni Tecniche, ILIESI-CNR. Mannebach, Aristippi et
Cyrenaicorum Fragmenta, Leiden- Köln, Brill. Mansfeld, Doxographical Studies.
Quellenforschung, Tabular Presentation and Other Varieties of Comparativism, in
Burkert, Gemelli Marciano, E. Matelli, Orelli, Fragmentsammlungen
philosophischer Texte der Antike – Le raccolte dei frammenti di filosofi
antichi, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, rist. in Mansfeld-Runia,
Mansfeld Mansfeld, Deconstructing
Doxography, Philologus, rist. in Mansfeld-Runia Mansfeld, Runia, Aëtiana. The Method and Intellectual
Context of a Doxographer, Leiden, Brill, The Sources. Mansfeld, Runia, Aëtiana.
The Method and Intellectual Context of a Doxographer, Leiden, Brill, The
Compendium. Mansfeld, Runia, Aëtiana. The Method and Intellectual Context of a
Doxographer, Leiden, Brill: Studies in the Doxographical Traditions of Ancient
Philosophy. Manuli, Vegetti (cur.), Le opere psicologiche Socratis et
Socraticorum Reliquiae, collegit, disposuit apparatibus notisque
instruxit G., Elenchos Napoli, Bibliopolis. di Galeno. Colloquio galenico Pavia, Napoli, Bibliopolis. ILIESI
dTemi e strumenti Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero
Antico Mondolfo, L’infinito nel pensiero dei Greci, Firenze, Le Monnier.
Mondolfo, La comprensione del soggetto umano nell’antichità classica, Firenze,
La Nuova Italia. Patzer,
Antisthenes der Sokratiker. Das literarische Werk und die Philosophie,
dargestellt am Katalogen der Schriften, PhD dissertation, Heidelberg
University. Repici, Lo sviluppo delle dottrine etiche
nel Peripato, in G. (cur.) Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica,
Bologna, il Mulino. Sillitti, Alcune considerazioni sull’aporia del sorite, in
G. (cur.) Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino.
Untersteiner, I Sofisti, Torino, Einaudi. Usener, Epicurea, Lipsiae, Teubner.
Platone. La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis. Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vegetti Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis Vegetti = Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis. Platone. La Repubblica,
traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis,
e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura
di Mario e commento a cura di Mario e commento cur. Vegetti, Napoli,
Bibliopolis. a BS’l RATTO <Ia 1 Bollettino (ti Filologia
Classica II 6xi|iòvtov di Soorate. Como già nei tempi antichi, cosi
anello più tardi il 3 r.|iàviov di Socrate lui sempre suscitato il più
vivo interesso ed è rimasto lino ai giorni nostri oggetto di studio. Ma,
per quanto sia stato scritto attorno ad essa e per quanto no sia stata
ago- volata la compronsione por merito di Seliloiormacher e dei suoi
successori, non si può dire clic si sia linoni riusciti a trovare una
spiegazione soddisfacente di questo fenomeno, che fu una dèlio cause
dèlia tragica fine del grande pensatore. Le fonti, alle quali
dobbiamo attingere nella nostra ricerca, sono, come si sa', gli scritti
di Platone o di Senofonte. Ma.qui ci troviamo subito di fronte ad una
questione molto discussa c cioè; quale dei due autori sia rispetto alla
dottrina socratica il più attendibile. Poiché i rapporti di Platono o di
Senofonte si contraddicono riguardo allo manifestazioni del Satpdviov di
Socrato in un modo assai pronunciato, è chiaro che dalla decisione alla
quale arriviamo rispetto a questo divario, deliba infine dipendere la
soluzione del problema. 1 > m ,to che nel diciottesimo secolo si fece
strada il parere del leib- niziuno Brucfecr, secondo il quale gli scritti
di Senofonte sarebbero per lo studio del socratismo i più veritieri,
parere che ha avuto fino ad oggi i suoi fautori. Di quest’opinione è in
linea generalo anche Hegel (IJ. 1|S. principio del secolo passato però,
Schleiermacher ed altri insistettero che por la valutazione della
dottrina socratica do vesso tenersi maggior conto delle opere di Platone.
Di fronte a queste due correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio
possiamo chiamare intermediario. Senza entraro in particolari, si può
dire che, sebbene gli atti attorno a questo divario non siano ancora
chiusi, diventa sempre più salda la convinzione, che senza uno studio profondo
di Platone una comprensione del socratismo non è possibile. Ma con ciò il
nostro quesito non è ancora risolto. Secondo Platone il Sxigóvwv
agisce in modo esclusivamente inibitorio, esso non è mai incitativo.
Secondo Senofonte, però, funziona nei due modi. Si è, è vero, creduto che
la contraddizione tra lo due versioni fosse soltanto apparente, perchè,
se il «aigóviov non inibiva Socrate nel 6uo fare, ciò equivaleva, si è
detto, ad un'atrcrmaziono nel senso Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d. l'Ii tfp
s. Il Schleiermacher, Abkdl. kad. su Berlin, Zm.i.ER, Die Philosophie hen li,
1, t* '.al., (4) Cfr. Zuocantb, Socrate, pòrte prima,di un ordine
positivo. In verità, però, mi sembra, che la diversità venga con una talo
interpretazione soltanto celata, ma non eliminata, perchè in realtà le
differenze tra i rapporti doi due autori sono dovute a processi psichici in sè
diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad es. : non andare via ! quosto
equivale praticamente al comando positivo: rosta ! Ma con ciò la cosa non
è fluita. So io non distolgo qualcheduno, che devo guidaro, da una
azione, che egli è in procinto di compiere, do, è vero, con ciò il mio
consentimento al suo proposito, ma la sua azione scaturì da motivi sorti
nella sua coscienza e prosegue secondo leggi psichiche. E so, in un altro
caso, lo freno con un semplice: no! senza però dargli altri ordini
positivi, io non permetto che egli eseguisca quello che stava per fare, ma con
ciò non gli indico ancora quanto devo in sua vece intraprendere. Il suo
agiro dipende di nuovo unicamente da lui o si sviluppa ancora da motivi
che sorgono in lui stesso. Ma so gli dico: fa cosi ! allora lo sottopongo
in senso positivo ad una volontà non sua o lo faccio compiere un’azione,
i cui motivi sorsero nella mia coscienza e non nella sua. Egli diventa lo
strumento del volere di un’altra persona, e, se consideriamo il fatto dal
lato etico, la responsabilità per lo conseguenze di una tale azione cado
in questo caso interamente su di rao o per nulla su di lui. Non occorrono
altri esempi: in fondo la diversità doi due rapporti si riduco presso a
poco al caso citato. Secondo Senofonte, Socrate riceve anche ordini
positivi dalla divinità, egli compie quindi azioni, che non furono da lui
deciso, secondo Platone mai. Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in
seguito a motivi, che appartengono alla sua propria coscienza, ed è sempre la
sua volontà che lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato, per
l'intorvonto del Baijióvwv, una decisione presa. Como si vede, la
differenza non si lascia eliminare. Per quanto si corchi di celarla, essa
riappare sempre. Mi sembra quindi più savio di riconoscerla. Ma ciò
facondo ammettiamo anche che una dello due versioni non può essere esatta
e cho si deve decidere, quale delle due si abbia da riconoscere come
vera. Delle opero cho portano il nome di Senofonte, l’Apologia viene
oggi quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo
conto. Degli altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed il
Convito. Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva letteratura o
specialmente in base agli studi di Schonkl, sono arrivato alla conclusione cho
per il nostro problema soltanto i passi Meni. o Conv. sono con tutta
sicurezza da considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da
parte in questa breve nota i passi: Mem. Dalle opero cho vanno sotto
il nome di Platone e che trattano del Saipóviov escludiamo il Teagete,
perchè oggi generalmente ritenuto apo¬ [lli Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K.
Akad. d. Wiss . i zu Wien] orilo. L’autenticità
dell'A Icibinde 1 è fortemente messa in dubbio, lo accettiamo con
riserva. Non posso decidermi di respingere 1 Fall frane, malgrado lo
obiezioni di Ueborwog. Dogli altri scritti platonici limino per noi
valore VApologià, YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la Repubblica. Senza
entrare rpii noi particolari della questiono, (pialo sia I ordino
cronologico delle opere di Platone, dobbiamo intenderci sull'epoca in cui
fu scritta Y Apologia, perchè questo lavoro ci dà la più esatta in- i
rmazione intorno al Saipiviov di Socrate. La maggior parto dogli stu-
.dcigi c ciò è per noi importante fa salirò l’origine di quest opcra ad un’epoca
non molto distante dalla condanna o dalla morte del illusolo, l’orsino
autori elio sono del parere clic Platone 1 abbia scritta a Megara,
ammettono con ciò (dio questo importante documento appartiene al suo primo
periodo di attivila, scientifica. Allo stesso risultato giunse Lutoslawski per
mezzo del suo metodo stilometrico. Quantunque si debba riconoscere
l’unilateralità di questo metodo e per quanto sarebbe arrischiato di
fondarci unicamente su di esso, ci costringono nondimeno ragioni psicologiche
di non negargli ogni valore. Alla questione esposta si connetto
quost’altra, cioè, so nell’Apologià .di Platone si tratti di una fedele
riproduzione di quanto Socrate realmente disse davanti al tribunale di Atene, o
se si tratti soltanto di una riproduzione piu o meno fedele del contenuto
dei suoi discorsi. La prima opinione è quella di Schleiermacher, della
seconda è Stcinhart (3), elio vede nell’Apologià un'opera d'arte, in cui
lo spirito socratico o quello di Platone si trovano armonicamente fusi
insieme. Ambedue le opinioni hanno avuto i loro fautori. Considerazioni psicologiche
mi hanno condotto nelle duo questioni accennato a con' inzioni che
risultano da quanto seguo. Come si vuol spiegare l'influenza che
quest'opera ha sempre esercitata sui più grandi spiriti della razza umana, o
come si potrebbo comprendere la elevazione morale clic ognuno devo
provare in sè, quando vi si abbandona senza pregiudizio, so non si
ammette che essa suscita nel lettore la convinzione di sentire la parola
viva di Socrate stesso? Quale valore potrebbo avere questo scritto, se si
volesse considerarlo unicamente come una creazione d'arto, come una
descrizione dell’ideale platonico? In questo caso dovremmo bensì
inchinarci davanti all’autore quale artista, ma in fondo avremmo cosi un
Socrate come Platono avrebbo desiderato che egli fosso, ma non come real¬
mente era. Non stava in Socrato piuttosto la verità incorporata davanti ad
Atene decadente, davanti alla stessa Atene che egli aveva conosciuta
nello splendore del periodo di Pericle? Non era quest uomo un idealo
morale di una tale grandezza elio ogni tentativo di idealizzarlo maggiormente
doveva necessariamente rimpicciolì rio ? P. Ueberweg, Unters. fi.
d. Echtheit u. Zeitfolge piatoli. Schriflen , F. Schle i rum ache R,
Plalons Werke, I H. MQli.er e K. Stf.inhart, Plalons sàmmtl. Werke, Per quali ragioni poi l 'Apologia non fu
scritta in forma di dialogo? Nessuna introduzione, nessuna descrizione
dello scenario, nessun nesso tra i singoli discorsi, nessun accenno a
circostanze secondarie interrompono l'azione in questo meraviglioso documento.
Non dovremo convenire che soltanto forti motivi psicologici indussero l’autore
ad esporre cosi lo sviluppo del processo? Non si dimentichi neppure
quanto diversamente Socrate parla della morte ne\\'Apologia e nel Fedone,
la qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta molto più tardi.
Nell’yfpo/ofna è in verità Socrate stesso che parla, mentre nel Fedone è
Platone che motto, entro la cornice della realtà storica, la propria
convinzione in bocca al suo amato maestro. Vi sono poi altri fatti
psicologici da rilevare. Ricordiamo che Platone ascoltava un maestro, che
aveva seguito con tutto l'ardore del suo en¬ tusiasmo giovanile per
lunghi anni, e dal quale emanava un lascino che faceva dimenticare a lui
come ad altri giovani greci la figura di Sileno clic nascondeva il vero
essere del grande innovatore. Ricordiamo clic Platone era penetrato nello
spirito della dottrina socratica come nessun altro e clic egli solo è
stato capace di salvarla interamente per la filosofia occidentale. Gli orano
quindi lamiliari tutti i particolari esteriori che sono caratteristici por ogni
personalità umana o senza i quali non possiamo neppure rappresentarcela.
Conosceva esattamente il timbro e la cadenza della sua voce, il suo
vocabolario, il suo periodare, i suoi movimenti mimici e pantomimici, in breve
tutti i numerosi fattori clic, secondo la leggo della fusione psichica,
cooperano a lar sorgere in noi l’immagine di una persona a noi nota c
che, tutti quanti, esercitano la loro influenza dormito la riproduzione
di un suo discorso. È inoltro cosa saputa che ogni riproduzione di
un discorso riesce tanto più fedele, quanto piu l'attenzione rimaneva
tosa, quanto mag¬ giore era l’interesse che l'oratore suscitava in chi
l'ascoltava. Si può immaginano un’attènzione piu concentrata elio nel
caso presente? Figuriamoci lo stato d’animo del giovano Platone,
che pende dalle labbra del suo maestro e che appercepisce attivamente
ogni parola da lui pronunciata; ridestiamo nella nostra immaginazione l’uragano
di emozioni che lo travolge, le fluttuazioni della sua anima tra la speranza ed
il timore, tra l'ammirazione della grandezza sovrumana che si palesa e lo
schianto per la certezza della perdita irrimediabile, e si dovrà
convenire elio l’organismo umano forse non sopporterebbe tali stati
d’animo una seconda volta. Sappiamo che emozioni come queste non passano
facilmente, ma (die tornano sempre in nuovo ondato. Sappiamo inoltro che nessun
moto d'animo rimane senza espres¬ sione o elio lo singolo persone a
questo riguardo si comportano diver¬ samente. Anche l’anima dell’artista
lui le sue reazioni ed ogni artista le ha a seconda dell’arto, alla quale
dedicò la sua vita. Ora, anche Platone era artista o come tale non potevano
rimaner mute lesile emo¬ zioni. Ma egli era anello scienziato, uno
scolaro, anzi Io scolaro per eccellenza, ili quoH'uomo che durante una
lunga vita non aveva ccrrato altro ohe la verità. Oli era impossibile di
rinchiudere in se ciò clic aveva vissuto quel giorno. Cosi, appena può,
prende lo stile por dare uno slogo all'emozione olia lo soffoca. li se il
suo stato non diede luogo a fenomeni precisamente nllucinnttfri,
nondimeno tutto ciò che aveva visto e sentito, torna a vivere in lui,
conio per il poeta vivono ed agiscalo lo persone croato dalla sua
fantasia. Cosi, io penso, nacque VApologia platonica. Essa non è un
rapporto stonogralico, perché è certo olle anche questa riproduzione
doveva su¬ bire quei cambiamenti che, secondo i risultati della
trattazione sperimentale. hanno luogo in tutti i processi riproduttivi. Perciò
non ogni parola ebbe il suo posto originario, un pensiero avrà avuto
un'espres¬ sione un po' più breve, un altro una l'orma un po' più lunga,
eco., ma quanto al resto il documento è. come per il contenuto, cosi puro
pol¬ la forma tanto fedele, quanto, data la mente Idi un Platone, era
umanamente possibile. Con ciò ho esposto II mio punto di vista rispetto
allo due questioni sovracconnatc. No risulta che dobbiamo fondarci nella
nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in quest'opera intorno al &tipóviov
di Socrate. Aggiungo die gli accenni contenuti negli altri scritti di
Platone non contraddicono in alcun modo i dati precisi dell’Apologià.
Per quanto concerno lo opero di Senofonte che ci interessano, bisogna
ricordare che esse furono scritte parecchi anni dopo la morte di Socrate,
o die in esse i.on veniamo mai informati intorno al fenomeno da Socrate stesso.
Desideroso di dimostrare l'innocenza del grande filosofo, come puro la
ingiustizia dell’accusa c della condanna, Senofouto metto, convinto, beninteso,
di scrivere la verità, il Saipòvcov di Socrate in relazione colla fedo
popolare nello divinazioni. Ciò non può sorprendere, quando si pensa all'abuso
che il popolo di qucH'epoea, già invaso dallo scetticismo, fece dei
divinatori, c quando si tiene presente elio Souofontc non ora filosofo,
ma uomo politico. Per questa ragione non dove recar meraviglia, se
Senofonte non aveva compreso ciò che era nuovo ed essenziale nella
concezione socratica del fenomeno. In Meni. è detto clic il divino (vi
Saipòviov) dava segni a Socrate ed in I, 4 viono aggiunto elio egli
comunicava tali messaggi a quelli clic lo ci re urlavano o elio aveva
loro predetto ciò che dovevano faro e ciò elio non dovevano l'aro, come puro
elio quelli elio seguivano questi consigli ne ebbero vantaggi, mentre gli altri
elio non li seguivano, dovevano poi pentirsene. Meni.
contiene il noto colloquio con Aristodemo. Socrate domanda ad Aristodemo,
clic cosa gli dei dovessero l'aro per convincerlo elio si curavano anche di
lui. A ciò Aristodemo, alludendo al S-x.aó e.'j'i. risponde, un po'
ironicamente, che dovevano mandargli dei consiglieri per fargli sapere
quello elio doveva faro e non fare, corno Socrate pretendeva che fosse il
caso spo. In Cono. Socrate non aveva affatto parlato del suo Sxtgtìvwv
o non no parla neppure in seguito. Antistuno, però, gli fa il
rimprovero, come se egli se no servisse per trarsi d'impiccio. È
evidente che, se non avessimo lo rispettivo, opere platoniche, il
ixigiviov di Socrate sarebbe rimasto per sompro un fenomeno inesplicabile.
D'altra parte però le comunicazioni di Senofonte sono di grande valore,
in (pianto che fanno vedere il modo in cui in Atene si giudi¬ cava questo
fonomono, ivi assai conosciuto. Dall' Apologia ili Piatone apprendiamo che
Socrate disse nel suo primo discorso (Apoi.), che egli non si era
occupato di altari politici, perchè succedeva qualche cosa di divino o di
demonico (Dstov r. -/.od Sxqidvtov) in lui, che dai tompi della sua
fanciullezza (è-/. r.x'.Sif) vi era stata in lui una corta voce (qxov^
vi?) la quale, ogni volta che gli sopravveniva, l’aveva trattenuto da qualche
cosa, ma che non l’aveva mai spinto a qualsiasi azione. Nel discorso
Socrate spiega, come la solita divinazione (r, siioSHtà poi prmxi))
l’avesse nel passato sovento fermato, trattandosi anche di coso molto
piccole (jiàvu érti opi- xpotg), ma che il segno di Dio (vi r.ù 9-soO
a^pstov) non gli era soprav¬ venuto durante tutto il giorno c neppure durante
tutto il suo parlare, mentre durante altri discorsi l'aveva spesso
frenato. Dice ancoraché la morte non poteva essere un male per lui,
perché nel caso contrario il solito segno (vò e!i»9-ò; a^pAv/J l'avrebbe
cortamente trattenuto nel parlare. Alla fine di questo discoi-so ripeto
che il morire doveva ora essere per lui la miglior cosa, perché
altrimenti il segno (vo oij- pstov) l'avrebbe avvertito. Gli altri
scritti di, Platone, dei quali dobbiamo tener conto, non possono naturalmente
iù avere il valore storico, elio abbiamo attribuito all’Apologià, ma
siccome i rispettivi passi, corno fu già detto, non sono menomamente in
contraddizione con quolli dell'Apologia, essi hanno certamente un
fondamento storico. In ogni modo illustrano, come Platone vuole che il Sxwdvwv
di Socrate venga inteso. Nell'Atò/drtde I l’autore si servo del fenomeno
per iniziare il dialogo. Socrate dice ad Alcibiade di non meravigliarsi,
se da tanti anni non gli avesse più parlato, perchè un ostacolo di natura
non umana, ma demonica (oùx ivD-piójiswv, àX/.i vi Sxipdviov ivawttopx)
gliene aveva impedito. ììo\ l’Eutifrone questo domanda a Socrate, su
che cosa Meleto abbisi l'ondato la sua accusa. Socrate dico che Meleto
gli rimprovera di introdurre nuovi dei c di non credere negli antichi. E
Eutifrono gli risponde di aver capito ora, che è perchè Socrate parla
sempre del suo Sxtpóviov. Noi Teetelo Socrate parla della sua
maieutica e dico che molti discepoli l'avevano abbandonato, perchè, non
comprendendo la sua arto, lo tenevano in poco conto. Egli aggiunge che,
se tali giovinetti tornavano da lui, il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov)
gli impede di accoglierne alcuni, mentre ad altri non era contrario e che
questi facevano di nuovo progressi. Nell 'Entidemo, un dialogo, in cui
Platone fa vedere tutto il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica,
Critono prega Socrate di parlargli di duo solisti. Socrato consento o dico
clic il giorno innanzi ora stato seduto noi liceo od in procinto di
andarsene, quando gli ora sopravvenuto il solito sogno demonico (tò
siwà-ò: ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}. Poreiù ora rimasto seduto o tosto quei
duo, cioè Kutidemo e Dionisodoro orano entrati. Noi Fedro Platone ha già
oltrepassato di molto il socialismo puro e semplice, come risulta dalla
spiegazione elio dà dell’anima o dello ideo. Dopo una meravigliosa
descrizione del paesaggio vediamo corno Socrato o Fodro si coricano sulla
sponda dell’Ilisso nell'omhra di un albero. Socrato ticno il discorso sul
bel ragazzo che aveva avuto molti amanti. Fedro vorrebbe clic continuasse
su questo tema, ma So¬ crate gli risponde che, in procinto di
attravorsare il fiume, gli era sopravvenuto il solito segno demonico (tò
ìxqiòvtòv t= usci tò siiottòs aijgEìovl, gli era parso di sentire una
corta voce (za{ tivx cpiovijv iìi-a aòTò!M=v àzoùoai), elio lo impediva
di andare via prima di essersi purificato da un peccato commesso contro
la divinità. Dice ancora che egli deve essere veramente un divinatore, ma
soltanto per ciò elio riguarda lui stesso, e continuando rileva dm la sua
divinazione rassomiglia all'arte di quelli che leggono c scrivono male,
perché anche questi possono servirsene soltanto per i propri bisogni. Con ciò
egli passa man mano agli splendidi discorsi elio tutti conoscono. Platone
si serve in quest'opera con arte line del ìaqiòviov in modo similo a quello in
cui so n'è servito ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce il
fenomeno per rendere possibili i discorsi che seguono. Nella
Repubblica – cf. Grice -- Socrate dice elio IL SEGNO DEMONICO (tò
ìaqiòviov ovjiietovJ non era stato concesso a nessuno prima di lui o
quasi a nessuno. So analizziamo più da vicino il problema,
vediamo che esso racchiudo in sé tre problemi clic dobbiamo risolvere l’uno
dopo l'altro. S’impone prima di tutto il quesito, corno mai Socrate abbia
potuto chiamare il fenomeno in questione tò ìaqiòviov. A questo si
connette l’altro, cioè di sapere che cosa Socrate stesso abbia realmente
inteso per questo termine. In terzo luogo dobbiamo corcare, come la
psicologia empirica moderna possa spiogare questo fatto. II primo quesito
e, fino ad un certo punto, anemie il secondo fanno parte della psicologia
dei popoli, mentre il terzo appartiene esclusivamente alla psicologia
individuale. Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal punto di vista
della psicologia dei popoli. Il concetto del demone è sorto da primitive vedute
attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo sviluppo, duranto il quale,
sotto l’influenza di rappresentazioni magiche, subisce molte
trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca in cui appare l’eroe,
questi 'lue concetti si fondano man mano in una rappresentazione to-
talo, nella quale il concetto del demone perde il suo carattere impersonale,
mentre l’eroe acquista dolio qualità sovrumane. Cosi nasce il panteismo.
Importante è però in tutto questo sviluppo, che la rappresontazione ilei demono
non si perdo dopo la formazione degli dei pagani o elio corto qualità ili
questi ultimi vengono attribuite anche ai demoni. Per ciò accado olio lu
coscienza popolare non distinguo sempre nettamente tra dei e demoni.
Nella Grecia il concetto del demone – cf. Grice e Ackrill --, sotto
l'influenza della poesia e della filosofia, subisce poi un’altra modificazione,
in quanto i demoni vengono considerati come esseri elio stanno tra gli
dei o gli uomini. Si confronti a questo proposito la descrizione
deH'origino dell'Eros nel Convito di Platone (come pure il primo discorso
di Socrate nell’Apologià platonica. Dal punto di vista della psicologia
dei popoli si può diro elio col «aipóviov di Socrate il concetto del
demono torni nell'anima umana, nella quale, per motivi psicologici e per
processi di oggettivazione, è nato, vi ritorna filosoficamente
trasformato ed eticamente purificato. E caratteristico per tutto questo
sviluppo elio Socrate nel Convito di Senofonte chiama l'anima umana un
santuario dell’Eros. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ? Prendo le mosse
da un punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone e precisamente
dal punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente, se egli
nella sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei dello stato, o
so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando Meleto annuisco a quest’ultima
interpretazione, l’accusato corea di far vedere l'assurdità
dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede in qualche cosa di
demonico, devo necessariamente riconoscere l'esistenza ili demoni. E
quando Meleto devo nuovamente ammettere che i demoni sono figli di doi,
la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi può eredorè all’esistenza di tigli
dogli dei, egli conclude, senza credere con ciò anche a quella degli dei
stessi ? Difatti, i giudici elio lo ritenevano colpevole, erano in
piccola maggioranza. Se prendiamo questo passo insieme con quanto Socrate
dice ancora ilei suo 2xi|ióvtov o del suo concetto della divinità,
abbiamo in mano la chiave per la sua concezione del fenomeno. Faccio qui
ancora notare che intendo il termini vó ìzciivtov nelle opere di Platone,
secondo l'osservaziono di Schlcierinacher, nel senso di un aggettivo.
Dico questo per respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno
speciale spirito custode. Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in
conformità alla fedo popolare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o
uomini e vengono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il
demonico in lui è generato dal divino. Per questo lo chiama anche tó
3-iCov, il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo
qualcosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli
crede puro impostogli dalla divinità (Teeteto). Come a baso di
tutte Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li, ni; Clemente der VSt/cerpsi/chol.,(21
Op. cd. Cfr. puro B. E. Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo] lo azioni di
Socrate sta il bisogno etico della cortezza(1), cosi egli è assolutamente
certo che in casi, in cui la propria ragione lo lascia in asso, una
volontà divina lo trattiene in ogni circostanza, piccola o grande, dolla
vita, quando è in pericolo di non agire giustamente, cioè di non compiere
la sua missione. In questa cortezza, che forma una parte della sua fedo
religiosa, sta la giustificazione otica dolla ironia, colla quale egli
lancia l'accusa indietro sull’avversario. Ma oltre ad essere qualche cosa
di divino, il demonico in Socrate è poi anche qualche cosa di umano,
perché si produce nell’anima umana o diventa sua proprietà, cioè un oracolo
interiore. Per ciò il demonico stava veramente, come il demone della
mitologia, in mezzo tra il divino e l'umano. Si aggiunga elio Socrate ora
in fondo persuaso che prima di lui questo dono non era stato posseduto da
nessun altro mortale. Ecco ciò che vi ha di nuovo nella concezione
socratica della divinazione, di fronte a quella della fede popolare. Como
dalla Repubblica di Piatone, questo fatto risulta anche dalle superbe
parole, colle quali Socrate si esprime sul suo valore davanti ai suoi
giudici (Apoi.). Tali parole può pronunciare un ammalato di mente, che si
deve compatire, ma quando escono dalla bocca di un Socrate, sono
l'espressione di una profonda convinzione religiosa, che deve scuotere chiunque
miri a tini etici. Importante è per la fede di Socrate che egli non cerca
di scolparsi in quanto al non credere negli dei dello Stato, ma solo in
quanto al sospetto di avere delle convinzioni ateistiche
(Apoi.). Por quanto concorno la teologia socratica, elio al pari della
sua etica doveva rimanere ili carattere pratico, anziché
sistematico, è importante ricordare che Socrate trovò nella sua naz.iono
il politeismo ellenico, corno Cristo trovò nella sua il monoteismo
giudaico. Socrate era, come ogni essere umauo, un tiglio del suo tempo.
Educato in (inolia religione ogli si riteneva, come Cristo, esteriormente
legato allo prescrizioni religioso in vigore. Come prendeva sul serio la
massima di Delfo: conosci le stesso, cosi rispettava l'altra di ubbidire
alle leggi. L’ultima parola del filosofo morente era la raccomandazione
di non dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio (Fedone), e
poco prima aveva domandata all'uomo, elio gli portava il calice fatale,
se ora permesso di farne una libazione. In questo modo Socrate non
raggiunse l'altezza dolla dottrina del Nazareno, ma si avvicina ad essa,
perchè sulla*larga base della religione popolare si eleva, quale sintesi
della sua conoscenza, la fedo in un Dio unico, al quale si deve ubbidire più
che non agli uomini (Apoi.) c di cui egli si credeva un apostolo (Apoi.).
Socrate è tolcrautc verso la fede della moltitudine, ma il suo Dio è
l’intelletto che governa l’universo e per il quale non trova neppure un
nome, un divino onnisciente ed onnipresente, che [LABRIOLA (si veda) Socrate,
cur. CROCE (si veda)] si cura ilei Leno di tutti gli nomini (Sonof., Meni.).
Tutte le sue pratiche religioso sono in fondo rivolto n quest'unico Dio
senza nomo, clic si rivela agli uomini in molti modi. Con una espressione
di ledo in questo Dio onnisciente, si chiudo ì'Apntoi/ia platonica(l).
Tenendosi presente questo concetto della divinità, si comprendo la sua
incrollabile fede nel S»tpóvtov come in una rivelazione della medesima. Il
l'atto che il plurale oi '.Hol si trova in Platono come in Senofonte
accanto al sì neolaro 6 tei? potrebbe destare il sospotto elio Sorrato
accanto all'intelletto universale abbia ammesso ancora dolio altro forme
divino. Ma ciò è escluso. Egli sceglie il plurale in modo simile come,
per es., nella Genesi il plurale Eloliim sta por il singolare del divino. Non è
qui il luogo ili entrare in altri particolari. Ricordo soltanto elio troviamo
precedenti in Senofane e che audio Anassagora aveva già riconosciuto un
unico principio immateriale che tutto ordina secondo lini. Che Socrate conoscr
l'opera di Anassagora, apprendiamo direttamente da Platone
(Fedone). Non ho bisogno di rilevare che, con quanto fu esposto, sono
senz’altro respinte le opinioni di Lèi ut o di altri, cho considerano
Socrate come un ammalato di mente, come pure il parere di Dii l’rel,
che mette il Sxqidvtov di Socrate in relazione collo proprio teorie
mistiche. // 8r.pó/tov di Sacrale dal punto di vista detta psicologia
empirica moderna. So teniamo conto di tutti i fatti che Platone ci
presenta, è evidente che nel «atpivtov di Socrate si tratti ili un
processo che appartiene al campo delle inibizioni psichiche. Naturalmente non
può trattarsi qui di una inibizione nel senso della dottrina
intcllcttuulitstica di Horbart. Ciò che nel nostro caso è inibitorio, non
appartiene all'atto al contenuto oggettivabile della coscienza umana, ma
si trova piuttosto dalla parte puramente soggettiva di essa, cioè da
quella dei sentimenti. Da questo punto di vista dobbiamo cercare di
risolvere il problema. L’inibizione procede da un sentimento totale, che
si forma in base ad un numero più o meno grande di intensivi sentimenti
parziali, legati ad clementi rappresentativi che rimangono al limito
della coscienza e che non giungono all’appercezione. Con questo è
inteso, che non può trattarsi nel caso di Socrate, come è stalo ripetutamento
affermato, di processi allucinatoci. Nel fatto che l’inibizione parte da
un sentimento, al quale non corrisponde un contenuto oggettivo, sta la
ragione, perchè Socrato non può fare alcuna indicazione precisa [Cfr. pure
(I. /Cuccanti) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion de Si,croie ni. 1 C. Du Prel, Ine
Mastiti d. alt. (ìrieclien. E caratteristico che Du Prel l'accia uso ilei
Teapele , benché riconosca che questo non sia un'opera di Platone. Cile
Platone colla frase nel Fedro “ xxt -iva ipiovijv £So;a xùxcàsv ày.ofkJx:
„ non vuol alludere ad una allucinazione, dimostra con molta chiarezza
anche lo Cuccante. Si aggiunga che. se il Szqicvtcv di Socrate
avesse tale origine, questo si rileverebbe in tutti i rispettivi racconti
platonici, ciò che non è assolutamente il caso. ] intorno al
fenomeno, ma (leve in casi, in cui non lo chiama semplice¬ mente il
demonico o il divino, contentarsi di termini metaforici. Parla, ad es.,
di una voce, come oggi si usa il termine voce della coscienza. Questo
sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene poi attivamente
appercopito e, riferito alla divinità, acquista il carattere di un motivo
imperativo che, coll'intensità di una forza morale, lo costringe ad abbandonare
un'intenzione presa. Dal fatto cho l’inibizione viene da Socrate creduta
un segno divino, si comprendo elio in lui non possono mai nascere dei
dubbi, come accadrebbe con altro persone. Non vi è mai in un tal caso una
lotta tra motivi in lui, mai alcun conflitto tra doveri. Appena egli
s'accorge dell’inibizione, è assolutamente sicuro di aver avuto trasmesso un
divino No,.. Cosi la riflessione o la fedo nel suo Sztjióv»/diventano i
principi fondamentali, che lo guidano nella sua intera attività
filosòfica ed etica. In ultima analisi si tratta qui di un fatto psichico
clic si verifica in ogni coscienza normale più o meno frequentemente,
benché molte persone non lo osservino o non si lascino da esso frenare. Di Mill
ci viene riferito elio egli osservò il fenomeno in se stesso molto
intensamente. A me molte persone hanno dotto di aver notato in sè tali
inibizioni sentimentali. Siccome Socrate ci informa che egli aveva
osservato il fenomeno spesso in sè dai tempi della sua fanciullezza, non è
escluso che vi sia stata in lui por lo sviluppo di esso una certa disposizione.
Ma d'altra parto si devo ricordare (dio egli per tempo si abituò a fare
molto sul serio l'esame di se stesso o cho il fenomeno era una parte
integrale della sua fede religiosa. Dal momento cho egli era corto cho il
sentimento inibitorio era una rivelazione divina, questa convinzione
doveva dominare tutta l’anima sua. Dato questo continuo autoesame in
connessione collo sviluppo (lolla sua convinzione teologica, si comprendo, come
dovesse entrare in giuoco un principio che governa ogni vita psichica,
cioè quello dell’esercizio. L’ininterrotto esercizio doveva renderlo
capaco di riconoscere l'inibizione di ogni grado appena sorta e di
afferrarla coll'attenzione. Si aggiunga (die la coscienziosità colla
quale cercò continuamente di compiere la sua missione, e colla quale mirava
sempre ai medesimi lini, doveva renderlo straordinariamente sensibile o
facilitare la formazione di tali sentimenti. Cosi si spiega il frequente
ripetersi del fenomeno in tutto lo sue azioni. Io credo clic, con quanto
fu esposto, siano trovati i punti principali «he debbono guidarci nella
spiegazione psicologica del Sacgóviov di Socrate. Tornerò sull’argomento
in un lavoro più esteso, ed in questo sarà tenuto conto delle opinioni di
altri autori più di quanto mi è stato possibile di fare in questa breve
comunicazione. Zuccante, Kiesow. SOCRATE
ET l’Amour Grec. SOCRATE ET l’amour grec (Socrates
sanctus nai Sepaatrjs) D1SSERTATlON. GESNER. BONNEAU, PARIS, LISEUX, Rue
Bonaparte, jegg^arean Gesner, 1’auteurde JgE cette curieuse dissertation,
est I S&fe l un erudit Allemand du xvm e sie- cle, dont les
travaux ne sont pas tres- connus en France. On lui doit d’excel-
lentes etudes sur les Scriptores rei rusticce , une Chrestomathie de CICERONE,
une Chrestomathie Grecque, des Lexiques, une traduction Latine des ceuvres de
Lucien, des editions de PLINIO (si veda), de Claudien, de
Quintilien, de Rutilius Lupus et autres anciens a rheteurs,
toutcs enrichies de notes savantes et de longs prolegomenes; plus, un
nombre formidable de dissertations sur toutes sortes de sujets, Opuscula
diversi argumenti (Breslau), parmi lesquelles son Socrates sanctus pce
der asta tire forcement l’oeil par la bizarrerie de son titre. Cette
bizarrerie a valu au livre sa notoriete, et en meme temps lui a fait
grand tort. Beaucoup de gens, entre autres Voltaire,
malheureusement pour 1’erudit Tudesque, n’ont pas ete au dela, et
iis ont construit sur cette minee donnee un ouvrage tout entier de
leur fantaisie, a 1’extreme desavantage du pauvre Gesner. D’autres
ont cru Voltaire sur parole et sont arrives au meme resultat. C’est
Larcher, THelleniste, qui le pre- mier chez nous mit en lumiere cet
opus- cule, dans son Supplemenl & THistoire universelle de
labbe Bapn, en le citant parmi les ouvragcs a consulter sur le proces de
Socrate ; il se contenta d’en faire mention, sans meme traduire ni
expliquer le titre, ne s’imaginant pas qu’on put s’y meprendre, et qu’un
homme tel que Gesner fut suppose capable d’une indecente apologie.
Voltaire, dont le vif et alerte esprit se plaisait a effleurer les surfaces,
sans presque jamais approfondir, ne connaissait sans doute pas
Gesner et certainement n’avait pas lu son Socrates. Le Supplement a l’Histoire
universelle n’etait d 7 ailleurs qu une refutation tres-savante,
quoique un peu lourde, de son Introduction a 1'Essai sur les maeurs
, publiee d^abord a part et sous le pseudonyme de 1’abbe Bazin;
quelques critiques justes qu’on y rencontre le mirent de mauvaise
humeur, et, battu sur divers points d’erudition, il chercha une
occasion de dauber Larcher, a cote du sujet, selon son habitude. Il
crut la trouver dans le livre etrange qu’il supposa, d’aprcs le titre
cite qu’il interpretait mal, s’indigna de ce qu’on osait donner comme
faisant autorite de si mons-trueuses elucubrations (le monstrueux n’etait
que dans ce qu’il imaginait), et tantot sous le pseudonyme
d’Orbilius, tantot sous celui de M Ilc Bazin ( Defense de mon
oncle, un de ses pamphlets), il ne cessa de poursuivre la-dessus de ses
bro- cards son inoflensif adversaire. Tres- content d’avoir leve ce
lievre, il a meme reproduit son assertion plus que hasardee dans le
plus populaire de ses ouvrages; on la trouve en note de 1’article
Amour socratique , du Dictionnaire philosophique. Un ecrivain moderne,
nomme Larcher, repetiteur de college, dans un libelle rempli
d’erreurs en tout genre et de la critique la plus grossiere, ose
citer je ne sais quel bouquin dans lequel on appelle Socrate Sanctus
pcderastes ; So- crate saint b ! Il n’a pas ete suivi dans ces
horrcurs par 1’abbe Foucher. Larcher avait trop beau jeu pour ne pas
repliquer. II le fit dans sa Reponse . la Defense de mon oncle,
opuscule rare, reimprime a la suite du Supplement a 1’Histoire
universelle. Vous m’attribuez , dit-il a Voltaire, votre infame et
infidele traduction du titre d’une dissertation de feu M. Gesnera
Je n’ai point traduit le titre de cette dissertation; il ne pouvait se prendre
que dans un sens tres-honnete, mais il etait reserve a M lle Bazin
et a Orbilius de lui en donner un infame. Cela ne vous suffisait-il pas?
Fallait-il encore me 1’imputer? Pour qui avait suivi toutes les phases de
la discussion, Larcher et Gesner etaient innocentes; Voltaire restait
convaincu d’avoir note dfinfamie un livre sans le connaitre. Mais
ces temps sont loin; personne aujourd’hui ne lit Larcher pour son
plaisir, et le Dictionnaire philoso- phique est dans toutes les mains. Voila
pourquoi on croit generalement que Gesner a developpe le plus scabreux des
paradoxes et fait une apologie en regie d’un vice honteux. Nous pourrions
citer au moins un de ceux qui, se fiant a Voltaire, ont propage
1’erreur mise par lui en circulation, et affirme que cette dissertation
n’est qu’un tissu d’invectives ; mais nous ne voulons faire de la peine a
personne. Gesner, ecrivain des plus doctes et plus estime encore
pour son caractere que pour son savoir, professeur de Belles-Lettres a
Goettingue, puis bibliothecaire, ne pouvait ecrire qu’une defense de
Socrate, une refutation des calomnies dont on a obscurci sa
memoire, et que la langue a attachees a son nora d’une maniere en
quelque sorte indelebile par les mots de socratisme et d 'amour
socratique. Inquiet et tourmente, comme il 1’assure, de voir peser
sur IL PADRE DELLA FILOSOFIA de si indignes soup9ons, il a voulu
remonter aux sources, compulser tout le dossier et reviser le
proces sur les pieces memes. II l'a fait d’une facon non moins
inge- nieuse que savante dans cette dissertation lue a 1’Academie de
Goettingue, recueillie dans les Memoires de cette academie, dans
les Opuscula diversi argumenti de 1’auteur et tiree a part (Utrecht). C’est cette derniere edition
que nous avons suivie pour la reimprimer et la traduire, ce qui n’avait
jamais ete fait en Francais, ni probablement dans aucune autre
langue. Gesner a-t-il reussi a disculper entierement Socrate? Nous l’esperons;
mais nous etions de son avis avant d 7 avoir lu son livre, et, ccmme
per- sonne ne 1’ignore, c’est surtout chez ceux qui pensent comme
lui qu’un auteur, si bon dialecticien qu’il soit, porte la conviction.
Les esprits mal faits qui incli- nent a 1’opinion contraire, et
ceux-la seront toujours difficiles a persuader, persisteront
peut-etre a trouver singulier que Platon, interprete de Socrate, ait
si souvent parle de 1’amour; qu’il ait consacre trois de ses plus beaux
dialogues, le Lysis , le Phedre et le Banquet , a cette brulante
passion; qu’il l’ait tant de fois soumise aux analyses les plus
delicates, expliquee par les conceptions les plus sublimes, les
mythes les plus poetiques, et que jamais, sauf un moment, dans
l’admirable episode de Diotime du Banquet , il ne soit question de la
femme. Alcide Bonneau. UTRECHT es hommes illustres, ceux qui
sont regardes comme tels non-seulement par la posterite, mais par
leurs contemporains, ceux surtout dont le plus grand eclat consiste
precisement dans leur vertu, sont souvent accuses, sur les plus
legers indices, de quelques travers, sinon de defauts plus graves; et
c’est la un travers iros illustres, et non a posteris solis sed
coaevis tales habitos, eos maxime quorum praecipua laus virtutis est,
vitii alicujus nedum criminis gravioris suspicari levibus argumentis,
vitium id quidem non leve : reos agere et condemnare crimen et piaculum;
in Christiano homine, in homine, in barbaro. Quanta istorum
ignominia, tanta est gloria piorum virornm qui versantur in probrosis
his l’editeur qui Iui-meme ne manque pas de gravite. Se
faire a la fois 1’accusateur et le juge, c’est une chose criminelle, un
sacrilege, qu’il s’agisse d’un Chretien, ou seulement d’un homme,
meme d’un paien. L’ignominie de ceux-la rehausse d’autant la gloire
des hommes pieux qui s’appli- quent a repousser ces odieuses
attaques. On peut le dire de Gesner, ce savant illustre, du petit nombre
de ceux qui depas- sant par la science tous leurs contemporains, font
encore plus estimer en eux les qualites du coeur que celles de
1’esprit; c’est un honneur pour lui d’avoir pris en main la cause
de Socrate, et un plus grand peut-etre pour Socrate d’avoir dte le
Client de Gesner. II nous a paru bon de recueillir dans une
edition nouvelle cet ouvrage de faible conatibus coercendis. Gesnero,
illustri nomini , e numero paucorum illorum qui cum eruditione
coaevos possint excellere, animi dotibus quam ingenii celebrari malunt,
incertum an honori sit caussam Socratis egisse, magis quam Socrati
Gesnerum habuisse patronum. Visum
fuit , memoriam brevis operae sed auro contra noti carae nova editione
colere. Docuit vir præclarus,
scripto quidem, quam inani co- natu virtus summi hominis sollicitata
fuerit ab obscuris obtrectatoribus , qui non solent deesse virtuti.
Docuit autem exemplo, pertinere ad dimension, mais qui ne serait pas
trop cher paye au poids de For. Son excellent auteur nous y montre,
la plume a la main, 1’inanite des efforts diriges contre un sage par
ces obscurs detracteurs qui ne man- quent jamais a lavertu; il nous fait
voir aussi, par son exemple, qu’il appartient a tout honnete homme
de defendre la cause des gens de bien. II nous enseigne surtout
avec quel soin et avec quelle erudition il est besoin d’ecrire dans de
telles matieres, ou l’on ne doit rien avancer qu’apres un examen
scrupuleux. Profite donc, lecteur, de ce travail, plus utile qu’il
ne le semblerait au premier abord; et si, par ignorance ou par trop
forte credulite, tu as rejetd loin de toi les ecrits Socratiques,
reprends-les maintenant et garde-les avec amour. Il nous sera per-bonos
omnes bonorum virorum caussam: tum et illud, in primis, ubi ejus modi res
agitur, accu- rate et docte scribendum esse, nec arripi quid piam absque
subtili examine, et benevolo illo, debere. Fruere, Lector, labore
utiliori quam decet: et si imprudentius forte abjeceris Socraticas
chartas nimium credulus, abi continuo et in sinu eas reconde. Integrum
erit culpare qui Socratem citant, tibi convenisset laudari Davidem et
Salomonem: sed patiamur, bonum et pauperem Socratem, placide subridentem,
sereno vultu, xvi l’editeur au lecteur mis a notre tour de
mettre en accusation ceux qui font un crime a Socrate de ce qu'ils
trouveraient admirable s’il s’agissait de David et de Salomon; mais
laissons le bon et pauvre Philosophe s’interposer doucement avec son
placide sourire, son tranquille visage, et s’ecrier: Moi aussi, Vertu, je
t’ai honoree, Deesse! Quant a ceux qui blameront cette apologie, non
comme excessive, grands dieux, car que pourrait-on dire de trop sur
Socrate? mais comme inconvenante et deplacee, qirils prennent garde de tomber
dans Todieux de cette populace Portugaise tou- jours prete, sinon a
lapider ou a bruler, du moins a exorciser a force de signes de
croix traces d’un doigt tremblant, le teme- raire qui oserait croire que
la Bienheu- reuse Vierge Marie etait une Juive. leniter interponere,
Et ego te, Virtus! colui Deam, Quibus fastidium movent
elogia, justa Di boni! quid enim de Socrate dici nimium potest? sed
quce magis opportune forsatn collocari potuis- sent, videant ne in odium
id evadat, quale est plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut
la- pides, saltim tremente digito averruncas cruces describentis,
si quis auserit credere, B. Virginem Judaeam fuisse. SOCRATE ET L’Amour
Grec MATTHI. GESNERI V. C. Socrates SANCTUS T/E D
E T{A STA t nihil tam alte vel natura , vel virtus , vel fortuna
constituit, in quo non vel deprehendatur aliquid labis et vitii, vel
vires suas experiatur maledica invidia, cujus vocibus boni etiam viri
abripi se ad suspicandum certe non nunquam patiuntur: ita mirum non
est , neque excelsam Socratis gloriam 1 n’est rien de place si haut par
la nature, la vertu ou la fortune, qui n’ait ses taches ou ses
inv perfections, ou que 1’envie ne s’efforce d’atteindre, cette
medisante envie dont les clameurs poussent 1’homme de bien lui-meme
a soupconner le mal: c’est pourquoi nous nc devons point
nous obtrectatoribus suis carnis se. Ac de Anyti Melitique
criminibus, quibus oppressus est vir innocens, et, si forte vani- tatis
aut nugarum et cavillationum postulatus, et Scurrae nomine traductus est,
in prcesenti non erimus soliciti. Unum crimen est, quod, varie jactatum,
et plus semel non sine specie in scenam reductum scepe me solicitum
habuit, Fuerit ne impuro ac detestabili puerorum amori deditus? Hoc
enim si verum sit, actum est profecto de virtute viri, indignus est
cujus cum honore nomen usurpetur. Postulatum
esse hujus turpitudinis, negari non potest. Mittimus, quæ de
adolescentia viri ad libidinem proclivi Factum id esse a Zenone Epicureo,
prodidit CICERONE de Nat. Deor., ubi vid. Davis. etonner que lagloire
si haute de Socrate ait eu, elle aussi, ses detracteurs. Tou-
tefois nous ne voulons ni parier ici des accusations d’Anytus et de
Melitus sous lesquelles succomba son innocence, ni nous inquieter
de savoir si ce grand homine a ete incrimine de vanite, de mensonge
et de sophisme, affuble du surnom de Bouffon[i). Une seule accusation m’a
souvent tourmente; c’est celle qui, sans cesse discutee, a toujours
ete remise en avant, non sans apparence de justesse: Socrate etait-il
adonne d l’impur et detestable amour des jeanes gargons? Si cela
est vrai, c’en est fait desormais de la vertu de cet homme ; c’est un
indigne, lui dont on ne prononce le nom qu’avec respect. Qu’il ait
ete accuse de cette turpitude, le fait est certain. Negligeons ce que
Porphyre, d’apres Theodoret [De la Comme le fait PEpicurien Zenon, au dire
de CICERONE {De Natura Deorum; consuit, la-dessus Davies. Porphyrius
apud Theodoretum [Græcar, affect. cur. ser. 4 pr.) memorat: nam
ibidem additur , illum c-ojo^ xat oioayrj xouxou? a^aviaat xou; xurcous,
impressas veluti notas libidinum studio ac doctrina abolevisse. Neque
valde huc faciunt , quce ex eodem Porphyrio, qui Aristoxeno auctore usus
sit, idem Theodoretus (Serm.) memorat, par- tim quod ad adolescendam
primam viri, de qua nobis sermo non est, pertinent , partim quod
Archelaus Anaxagorae discipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius
fuit. Ejusdem generis est, quod Cyrillus (contra Julia.) ex eodem
Porphyrio (in Historia Philosopha , libro olim deperdito) refert ,
Socratem -po; xr ( v twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv
sivac, aoizov os p.rj -poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat? •/.oivat;
y prjaQat fj-ovat?. Fuisse ad res venereas aliquantum vehementem, sed
injuriam abfuisse, qui vel uxoribus solis, vel (1) Conf.
quae in fra de mali equi Socratici notis dicentur. § 18. et
l’amour grec 7 cure des prejuges des Grecs , Disc. iv),
raconte de sa jeunesse, laquelle aurait ete encline au libertinage ;
1’auteur ajoute, en effet, au meme endroit qu’il parvint a effacer
en lui, par Venergie de sa volonte \ jusqu’aux traces meme des
passions (i). Ne nous occupons pas non plus de ce que le meme
Theodoret (Discours xn) emprunte encore a Por- phyre, qui lui-meme
suivait Aristoxene, c’est-a-dire de ce qui se rapporte a la
premiere jeunesse de Socrate (elle n’est pas en cause), et a ce disciple
d’Anaxa- goras, Archelaus, qui aurait ete, en tout bien tout
honneur, un ami fervent (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme
cate- gorie appartient ce que S. Cyrille (Contre Jidien) a extrait
de YHistoire philosophi que de Porphyre, livre aujour- d’hui perdu
: a savoir que Socrate et ait violemment pousse aux choscs de iamour,
mais qiiil s’abstint de faire tort a Voyez ce que l’on dit plus bas des
marques du mauvais cheval Socratique. quam diu caelebs esset
communibus uteretur. Nondum quidquam ex Porphyrio vel Aristoxeno, quem
ille auctorem sequitur, allatum est de horribili scelere, Pcederastia :
quod praetermissu- rus non erat, qui satis hic in Philosophice
parentem iniquus est, Cyrillus. Decla- mat igitur praeter rem Socrates
alter (Hist. Eccles.), cum ita de Porphyrio narrat, IIopcpupio; xou
xopu^aio- xaxoa xoiv <piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov [3''ov
oietu- psv £v ifi YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta, xai
xoiauxa Tuept auxou ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs MeTaxo;, p.r[x£ v
Avuxo; oi jpa^aixsvoi Swxpaxrjv ItTictv e-zyjiprjGxv, ita traductum, ait,
a Porphyrio Socratem, talia de viro scripta, quae neque accusatores
ipsius Anytus et Melitus dicere in ipsum ausi sint. Accipimus, quod negat
objectam in judicio turpitudinem talem Socrati, quo nempe argumento
constet, famam viri hac tum macula caruisse. Sed nec a Porphyrio
plura aut turpiora his memorata, quae jam vidimus, satis illud argumento
est, quod iniqui Socratis glorice homines, personne, en riusant
jamais que de ses propres femmes ou , durant son celibat, des
femmes qui apparticnnent a tout le monde. Nulle part, soit chez
Porphyre, soit chez Aristoxene que Porphyre co-piait, il n'est rien
allegue de cet horrible crime : Pederastie ! II ne Paurait point
passe sous silence, ce Cyrille si injuste envers lepore de la
Philosophie. IPautre Socrate ( Histoire ecclesiastique, m, avance donc
une insigne faussete lors-qu’il dit : « Porphyre a compose la vie de
Socrate, le coryphee des philosophes, d’apres les histoires ecrites sur
lui; et il nous a transmis, d Vaide de ces documents, des choses si
monstrueuses que les accusateurs de Socrate, Anytus et Melitus, n’ont pas
meme ose' les lui reprocher. Retenons seulement de ceci Taveu qu’on n’en
fit pas un grief a Socrate, lors du jugement public, ce qui ressort de
la phrase elle-meme, et que cette tache fut alors epargneeT a sa
renommee. Mais Porphyre n’a pas rapporte autre chose ou des choses
plus monstrueuses que ce Cyrillus ac Theodoretus, non plura protulere,
quibus fuerant haud dubie causam suam, si res facultatem
dedisset, ornaturi. Nempe nec Aristophanes, qui corruptce ad
impietatem et calumniandi artem juventutis accusat in Nubibus Socratem. hujus
criminis ullam mentionem facit , non omissurus profecto, si illud
adhaerescere posse putasset. Nec forte quisquam est ex omni antiquitate
remotiore illa, et temporibus Philosophi propinqua, serius et severus accusator
hujus criminis. Lusit inter posteriores, pro petulanti illo ingenio
suo, Lucianus (de CEco, ita enim potius dicendus erat ille libellus
quam de Domo) cum accusat Socratem, qui non erubuerit advocare Musas,
virgines, cuvsaojjiva; ia -aiBepaama, ut audirent illos de puerorum
amore sermones. Atqui illi sermones, uti mox videbimus. que nous
venons de dire ; nous en trou- vons la preuve en ce que S. Cyrille
et Theodoret, deux detracteurs de Socrate, n’en ont souffle mot, et
qu’ils n’auraient pas manque d’en orner leurs diatribes si la chose
eut ete possible. En second lieu, Aristophane qui, dans ses Nuees ,
represente Socrate comme un corrupteur de la jeunesse, comme
faisant de 1’imposture un enseignement, n’a pas davantage mentionne cette
accusation; l’aurait-il omise, si elle eut pu s’appliquer a Thomme qu’il
bafouait? II n’y a enfin personne, si l’on prend des temoins dans
cette antiquite reculee ou dans les temps voisins du Philosophe,
qui se presente comme un accusateur serieux et digne de foi. Plus tard
seulement Lucien, entraine par sa verve moqueuse (dans 1’opuscule que
l’on traduit ordinairement De Domo et qu’il vaudrait mieux traduire De
CEco.), reprocha a Socrate de n’avoir pas rougi d ; invoquer les Muses,
des reprehendant vehementer amorem: respicit enim ad Phædrum Platonis de
quo dedita opera dicendum erit. Qua ? in Amoribus in Socraticum amorem
Platonicum- que vel a Luciano, vel quicunque auctor est, jocose et
per calumniam dicuntur, ea ad ipsum illum locum diluisse me
arbitror. Sed veterum criminationes Maximus Tyrius (Dissertat.)
refutavit, ut non videatur opus esse aliquid addi : cum praesertim
tanto magis et agnoscant innocentiam Socratis, et illud crimen ab illo
depel- lant ut hujus, ita paullo superioris aitatis homines, quo
magis virum ex aequalium ac paullo juniorum de illo scriptis ut cognoscere
possent, cuique contigit. Quin ne consultum quidem judicarem
veterem litem resuscitare , nisi viderem, nuper vierges, pour leur
faire dcouter ces fa- mcnx discours sur Vamour des jeunes gargons.
Mais ces discours, comme nous allons le voir, blament fortement
cette sorte d’amour; Lucien fait, en effet, allusion au Phedre de
Platon dont nous aurons a nous occuper. Ce que Fon dit
debamourSocratiqueet Platonique dans les Amonrs, que ces dialogues soient
de Lucien ou de tout autre, n’est qu’une plaisanterie ou une
mechancete, comme je\ l’ai demontre en temps et lieu. Maxime de Tyr (
Dissertations) a d’ailleurs refute toutes les ac- cusations portees a ce
sujet par les an- ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter. Le
meilleur argument, c’est que ceux qui ont le mieux reconnu Tinnocence de
Socrate et repousse loin de lui avec le plus de force 1’accusation
infame, sont les hommes de la generation qui a imme- [Dans ses notes
sur Lucien, dont il a fait une edition et une traduction Latine
tres-estimees. fuisse, et esse hodie
homines eruditos, et bonos viros, qui pravam de patre illo
Philosophia? opinionem conceperint, quorum non pono nomina, quia mihi non
cum ullo homine certamen esse volo, sed cum opinione ea, quam
praeterquam quod falsam puto, etiam virtuti noxiam, præter
consilium quidem bonorum virorum, humanitati certe adversam esse,
arbitror. Qui autem fieri potuit, ut homines neque indocti neque
maligni in sinistram falsamque de Socrate opinionem inciderint? ut
apologia vir sanctus opus habeat? Praeter naturalem illam -/.axor{0£tav
nos- tram, quae imis velut medullis fixa, et superbiæ illius
nostrae nixa radicibus. diatement suivi la sienne. Or, ce sont les
contemporains et leurs successeurs immediats qui peuvent le mieux juger
un homme, en pleine connaissance de tout ce qu’on aecrit sur lui.
Je n’aurais donc pas songe a ressusciter cette vieille querelle si je
n’avais vu naguere, et tout recemment encore, des hommes instruits,
vertueux, concevoir la plus mauvaise opinion de ce pere de la
Philosophie; je ne dirai pas leurs noms, ne voulant me prendre
corps a corps avec personne, mais seulement avec une opinion que je
considere comme sans fondement, nuisible a la vertu, et, contrairemcnt
a 1’avis de ces gens de bien, defavorable a 1’humanite tout
entiere. Comment donc a-t-il pu se faire que des personnages qui ne
p£chent ni par ignorance ni par mechancete, aient concu de Socrate
une opinion si facheuse et si fausse? Pourquoi cet homme veritablement
saint a-t-il besoin d’etre defendu? En dehors de cette maligni te inter
ultima vitia eradicatur, ceterasque ex genere morum rationes,
conveniunt hic alia qucedam, quce facilem errandi occasionem
praebent. Magna pars doctorum etiam hominum legendi laborem fugit,
legendi uno tenore, continuata attentione , totos veterum
scriptorum libros; sed satis habet decerpere qucedam, in quce primum
incurrere oculi, aut, quod deterius frequentius que idem, repetere
ab aliis excerpta, et e media nonnunquam sermonum velut compage
evulsa, de quorum sic sententia non facile sit judicare. Platonis libri,
unde pleraque Socratica peti hodie necesse est, multos arcent ob
Atticum illud sermonis genus, breve et acutum, floridum praeterea,
ac semipoeticum, ipsamque disserendi ratio- nem subtiliorem scepe,
quam ut mediocri attentione, non acutissimi homines illam statim
adsequantur. Nec licet , ut adhuc res est, ad interpretes confugere ;
qui quoties vel nihil dicant, vel alia omnia dicant, vix sine
invidia licet commemo- rare. Et tamen nisi attente legas, et
to- naturelle qui reste fixee jusqu’au fond de nos moelles, qui se
fortifie de notre orgueil et qui ne s’arrache qidavec les derniers defauts,
outre encore diverses raisons tirees de nos mceurs, il a fallu pour cela
un concours de circonstances propres a faciliter 1’erreur. La plupart des
gens instruits eux-memes evitent la fa- tigue de lire dans leur entier,
avec une attention soutenue, tous les livres ecrits par les Anciens
; on a plus tot fait de choisir quelques passages, les premiers qui
tombent sous les yeux, ou, ce qui est bien pire, de s'en tenir aux
passages choisis par d’autres, a des fragments detaches de 1’ensemble et
dont il est par consequent difficile d’apprecier le sens veritable.
C’est ce qui arrive des livres de Platon, d’ou il nous faut
aujourd’hui tirer toutc la doctrine Socratique; iis embarrassent bon
nornbre de lecteurs par leur style trop Attique, raffine et
aiguise, fleuri pourtant et semi-poetique, par ces controverses si
subtiles souvent que, si 1’attention se relache, 1’esprit le tos
legas dialogos, et qua scripti sunt lingua legas, non est ut de
sententia illorum, h. e. quam tribuat Plato sen- tentiam Socrati,
recte judices. Quare mirum non est, si multi refugiant lectionem ita
laboriosam; et illis veluti spinis a familiari tractatione eorum
librorum deterreantur. Denique si quid etiam tribuatur a
Platone Socrati, tamen, si illud Xenophontis narrationi repugnet, non
dubitaverim equidem, fidem potius adhibere Grylli filio, memor illius,
quod narrat Laertius, Socratem , cum Lysin Platonis legisset,
dixisse , to; tzoXKx uoj plus eclaire n’cn suit pas aisemcnt le fil.
Et il serait inutile, dans le cas present, de recourir aux annotateurs ;
ou iis ne disent rien, ou iis disent tout autre chose que ce qu’il
faudrait ; on ne peut s’empecher de leur en faire un re- proche.
Cependant, amoins de lire avec un soin scrupuleux tous les dialogues
de Platon et de les iire dans la langue meme ou iis ont ete ecrits,
il n’est pas possible de juger saineinent de leur doctrine, c’est-a-dire
de la doctrine que Platon attribue a Socrate. Il n’est donc pas
sur- prenant que nombre de gens reculent devant une si laborieuse
lecture et soient rebutes, comme par des epines, du commerce
familier de ces livres. Enfin il faut dire que si Platon at- tribue
a Socrate une maniere de voir contredite par la narration de
Xenophon, il n’y a pas a hesiter: c’est a Xenophon qu’il faut se
fier, si l’on se souvient du mot rapporte par Diogene de Laerte. Socrate,
apres avoir lu le Lysis xaxe^uBeO’ 6 veavfoxo; Quam multa de me
mentitur adolescens! Tanto magis hoc memorabile est , quod ille Dialogus
ita scriptus est, ut non modo tanquam persona colloquens inducatur
Socrates, sed tanquam, qui ipsum illum dialogum scripserit. Ceterum
quia hic sumus, hoc breviter indicamus, amatorium quidem esse hunc
libellum , sed nihil habere pudendum ne Platoni quidem. Argumen- tum hoc
est : Queritur Lysidis amator Hippothales, ab illo se non amari ;
Socrates ostendit, si velit amari, non adu- landum esse puero, sic enim
futurum superbiorem; sed illi potius ostendendum, quibus rebus indigeat,
et quam parum in ipso sit boni. Deinde dela- bitur in
disputationem, Quis proprie amicus sit vocandus? et, In quo insit
natura amicitia’ ? plenam illam quidem cavillationum , sed praeclararum
etiam de amicitia sententiarum. Ceterum tri- Sic nempe ipse solebat
Socrates in potestatem quasi suam redigere adolescentulos, de quo
que- rentem audiemus Alcibiadem. de Platon, se serait ecrie: Comme
ce jenne homme invente souvent ce qu’il me fait dire! » Le mot est
d’autant plus remarquable que, dans ce dialogue, So- crate
estpresente non comme un simple interlocuteur, mais comme s’il
avait ecrit lui-meme tout le morceau. Pendant quenous y sommes, disons
brievement que cetouvrage roule sur 1’amour, mais qu’il n’y a rien dont
put rougir Platon lui-meme. Voici le sujet: Hip- pothales, qui aime
Lysis, se plaint de ne pas en etre aime; Socrate lui demontre que
s’il veut 1’etre, il ne faut pas qu’il fiatte ce jeune homme, ce qui le
rendrait plus orgueilleux encore; il vaut mieux qu’il lui
represente tout ce qui lui manque et le peu de bonnes qualites quhl
possede. On discute ensuite ces questions: Qui est digne d’etre appele un
veritable ami? et, Quelle est la nature de Tamitie? Controverse pleine, il
est vrai, C’est ainsi que Socrate avait en effet coutumc
d’assujettir les jeunes gens et son autorite, et nous voyons Alcibiade
s’en plaindre. bui a Platone
colloquentibus, de quibus ipsi non cogitarint, vetus observatio
est, de qua vid. Athenaeus
Deipnos.. Qiio dialogorum more se excusat, etiam VARRONE in ACCADEMI
dedicatione Tullius CICERONE. Neque ausim Platonis ipsius, junioris
praesertim, patrocinium suscipere de mollioribus versiculis, quos Apulejus
servavit (Apol.) et Laertius Diogenes: de quibus modo in neutram partem
disputo, causamque Platonis a Socratis causa hac in re sejungo. Quæcunque
vero cum aliqua specie testimonia Platonis contra Socratem proferuntur,
ea cum ex Phædro, nescio quam bona semper fide, corrupte quidem et
perverse non nunquam, depromi videam, propter ea pretium opera putavi, de
futilites, mais aussi de remarquables definitions dekamitie. C ; est uneobservation qui a ete
faite depuis longtemps, que Platon attribue a ses interlocuteurs
des idees qu’ils n’ont jamais eues: on peut consulter la-dessus Athenee
(Deipnosophistes). CICERONE, qui avait le meme defaut, s’en excuse sur le
genre meme du dialogue, dans son envoi des ACCADEMIA a VARRONE. Je
n’ose pas non plus defendre Platon du reproche d’avoir commis,
surtout dans sa jeunesse, des vers badins tels que ceux que nous
ont conserves Apulee (dans son Apologie) et Diogene de Laerte;
vieux ou jeune, jen’ai pas affaire a lui et je separe completement
sa cause de celle de Socrate. Entre les divers temoignages fournis
par lui, ceux que Ton peut alleguer contre Socrate avec quelque apparence
de justesse sont tires du Phedre; pas toujours bien scrupuleusement et
quelque-fois a 1’aide d’alterations ou de contre-] non semel totum illum
dialogum attento animo perlegere , et uno quidem tenore , et lingua
sua, ne quid eorum me falleret, qua saepe fraudi esse viris doctis,
modo dicebam. Ac spero non ingratum fore aliis, quorum rationes non
ferunt tam longam solicitamque operam, si hic possint brevi studio
cognoscere velut œconomiam illius libri et argumentum, inde- que de toto
consilio vel Platonis vel Socratis arbitrari. Concedamus enim, ne abuti videamur illa, quam
modo propo- suimus observatione, Socratis hic veram sententiam bona
fide a Platone proponi. Ac primo illud meminerimus, Socratem hic
introduci senem, tantum non decrepitum, quem facile juvenis Phædrus
viribus superet. Jam fingitur Phædrus audisse Lysiam disputantem, magis
obsequendum gratifican- dumque esse non amanti, quam amanti: camque
orationem Socrati prcelegere sens. Cest ce qui m’a engage a lire attentivement ce
dialogue, et plutot deux fois qu’une, dans son entier, et dans le
Grec, afin d’echapper a ces chances d’erreur dont j’ai parle plus haut et qui
font trebucher les plus doctes. II sera peut-etre interessant, je
1’espere, pour ceux dont 1’esprit repugnerai-t a une besogne si
longue et si difficile, de connaitre sans grande etude le sujet et pour
ainsi dire 1’economie de ce livre, et de pouvoir apprecier toute la
theorie de Platon ou de Socrate. Nous admettrons, pour ne pas
abuser de la reserve faite par nous plus haut, que la doctrine de Socrate
a ete ici exposee de bonne foi par Platon. Rappelons d’abord que
Socrate y est presente comme un vieillard, non pas tout a fait
tombe en decrepitude, mais qu’un jeune homme, comme Phe- dre, peut
maitriser aisement. Phedre raconte qu’il a entendu Lysias discourir sur
cette question : Un jeune homme doit-il avoir plus de facilite et de com-[Reprehendit
hanc Lysiae orationem , cante quidem et multa cum ironia Socrates , et
meliora se audisse ait , quae dicere illum amabilis- sime cogit
Phcedrus. Incipit hic a Musa- rum invocatione quam calumniatur, ut modo
dicebamus, Lucianus : cum sit nihil in ea oratione non virginum auribus
dignissimum. Orditur a definitione Amoris quem vocat cupiditatem ,
quae incitate feratur ad voluptatem
pulchritudinis, et inde, quam mala res, quam noxia sit, ostendit et
claudit hexametro: A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv
1 r’ 1 ! |Sf/aTra’.
Ut cordi agna lupo est, puerum sic ardet amator. Bene ista , et Musis faventibus.
Sed subito, At Amor tamen Deus est, inquit , et palinodiam parat ,
quae incipit (p. 3 43 . plaisance pour celui qui ne 1’aime
pasque pour celui qui Faime ardemment ? II lit ensuite ce discours
a Socrate. Celui-ci, avec beaucoup de finesse et ddronie,
trouve a blamer dans la composition oratoire de Lysias et pretend qu'il a
entendu dire la-dessus autrefois de bien plus belles choses; Phedre le
conjure de les lui rapporter. Socrate debute alors par cette
invocation aux Muses que Lucien a calomniee, comme nous le disions plus
haut, car il n’y a rien dans tout le discours qui ne soit parfaitement
digne des oreilles chastes. II commence par la definition de
1’amour, qu’il appelle un desir violemment entraine vers le plaisir
que promet la beaute; il enumere en- suite les ecarts auxquels il peut
pousser et conclut parcet hexametre: Comme le loup aivic Vagneau ,
ainsi Vamoureux [cherit le jeune garcon. Voila qui est bien,
grace aux Muses. Mais aussitot : L’ Amonr est cependant un Dieu,
s’ecrie-t-il ; et il entrcprend une ab eo, uti dicat, non ideo
amorem damnandum fuisse, quod sit furor ; esse enim furorem etiam
bonum aliquem: ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam facultatem esse a
verbo [i-aiveaOai dictam , velut quan- dam [j.avi/7]v s. furiosam. Talis
furoris plura genera enarrat, in his etiam ponit amorem, cumque magnæ felicitatis
causa tum amantis cum amati datum his esse divinitus, conatur ostendere. Ad
eam demonstrationem sumit primo hanc propositionem. Omnem animam esse
immortalem, quam inde probat (quam bene vel male , nunc non dis- putamus)
quod principium motus sui in se habeat. Deinde similem ait animam
nostram, etiam antequam ea in corpus ve- niat, bigae alatae cum suo
auriga. Alterum hujus
biga 3 equum bonum ponit et tractabilem, malum alterum ac
refractarium. Sic coelestia spatia
ingrediuntur ista cum suo auriga bigce, et palinodic en declarant tout
d’abord que 1’amour n'est pas condamnable en soi, qu’il estun
delire, et que dans tout delire il y a quelque chose de bon; que
fxavnxr], la divination, derive du mot (jiodveaGai, comme qui
dirait [xavtxr), c’est-a-dire folle. II compte diverses especes de
delires parmi lesquelles il place 1’amour, et il s’efforce de montrer que
c’est un present divin fait a bhomme pour le plus grand bonheur de
celu*i qui aime et de celui qui est aime. Sa demonstration s’appuie
sur cette proposition premiere: Tonte dme est immortelle, dont il tire
la preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre affaire) de ce qu’elle a
en soi le principe de son mouvement. Il compare ensuite notre
ame, avant qu’elle ne vienne habiter un corps, a un attelage aile,
compose de deux chevaux et d’un cocher. L’un des chevaux est
excellent et docile ; 1’autre, d’un mauvais naturel et retif.
L’attelage parcourt ainsi les espaces celestes, avec Deorum aliquem
secutce (Socratis anima Jovem) ea spatia permeant. In hoc volatu et
illa equorum dissimilium dissensione, alia; quidem anima; retinent
alas, et ad sublimia feruntur, contemplantur que ea etiam, qua; extra supremum
coeli orbem sunt. Alia;, qua; partim in altum elata; viderunt plura,
partim ab equo illo refractario impe- dita; ac retractae, pauciora;
ruptisque per illam equorum in diversa tendentium luctam pennis
atque amissis, cadunt, et in corpora humana veniunt. Harum, pro
gradu cognitionis illius et inspectionis rerum coelestium diverso,
novem classes constituit. Qua plurimum veritatis et rerum cœlestium vidit
anima, ea inseritur semini, e quo nascatur aliquis sapientias,
pulchri, doctrinas, et amoris studiosus, st? yovfjV] son cochcr, et
s’elance a la suite de l’un des douze dieux (1 ’ame de Socrate suivait Jupiter).
Dans cette course a travers les espaces et malgre la lutte des deux
chevaux, si dissemblables, quelques ames parviennent a garder leurs
ailes, voya- gent dans les regions etherees et contemplent meme ce qui
est au dela de la voute du ciel. Les autres, parfois emportees jusqu'aux
plus hautes regions, parfois retenues et embarrassees par le cheval
retif, n’arrivent qu’a connaitre une partie des mysteres ; dans cette
lutte des chevaux qui tirent en sens inverse, elles brisent et
perdent leurs ailes; ces ames tombent alors sur terre et sont
emprisonneesdans les corps des hommes. Suivant le degre de
connaissance qu'elles ont atteint dans la contempla- tion des
essences, Socrate divise en neuf classes ces ames dechues. Celle qui
a per9u le plus de verite et de choses sublimes, vient animer le
germe d’ou naitra un homme tont entier consacre au avopo?
ycV7]ao[j.c'vO’j ? oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou, tj fi.ouaixou Ttvos, x at
spamxoy. Secundi fastigii anima animabit regem, legibus, bello,
imperio, potentem : tertiae classis anima civitatis familiaeque regendae
et rei fa- ciendae peritum : quartae, laboris amantem eundemque in
exercendis sanan- disve versantem corporibus : quinti ordinis
animae vitam habebunt in vaticinando, aut in castimoniis initiisque
mysteriorum occupatam : sexti, poetas : septimi, geometras aut fabros:
octavi sophistas aut cum factione populares: noni denique animabunt
tyrannidis cu- pidos. Multa hic nec injucunda de hoc ordine , de
his vitee generibus, disputandi occasio: sed maneamus in argumento
nostro. Ha’ omnes anima?, cum morte discesserunt a corporibus, in locum
vel pce- [culte de la sagesse, de la beaute , de la Science et de
Vamour ; Vdme du second degre vivra dans le corps d’un roi juste ,
belliqueux et capable de commandere celle du troisieme fonnera un
homme habile a administrer sa famille, sa cite ou la chose
publique; celle du quatrieme un athldte laborieux ou un medecin,
tous deux occupes soit d exercer le corps humain , soit d le
guerir; les ames de la cinquibme classe passeront leur vie , soit d
predire 1’avenir, soit d initier aux abstinences et aux mysteres ; celles
de la sixieme former ont des poetes ; celles de la septieme , des
laboureurs ou des ouvriers,- celles de la huitieme, des sophistes ou des
chefs de factions populaires ; celles de la neuvidme, enfin, des
tyrans. Ce serait peut-etre 1 ’occasion de dispu- ter, et non sans
agrement, des rangs assignes a ces ames et de leur genre de vie:
mais restons dans notre sujet. Toutes ces ames,quandle trepas les a
separees du corps, parviennent au sejour narum vel pr cerni orum
perveniunt, et mille exactis annis, accipiunt potestatem eligendi sibi
nova corpora, vitas novas, sive hominum sive bestiarum. Quce anima
ter sibi, exactis millenis illis annis, primam istam sedulo
philosophantis, sive pueros cum philosophia amantis, vitam delegerit tou
<ptXocrocprjaavto; aooXc. 05, r] "atospaaxrJcjavTO; [j.£xa
<ptXoao<p''a;, ea, absoluta ista ter mille annorum periodo , pennas
denuo accipit, quibus ut ante tolli, deum aliquem sequi,
contemplari cœlestia, queat: cum reliquarum octo classium animae, non
nisi decies mille annorum periodo absoluta, in primam illam
conditionem restituantur. Hoc ipsum quod primam et felicissimam classem Pæderastarum
philosophantium constituit, quod tantum prae- mium illis, compendium
septies mille annorum, tribuit Mythi hujus s. Allegoria ? auctor, sive
Socrates fuit, sive Plato ; hoc ipsum igitur jam satis monere nos
poterat, non posse hic sermonem esse de re ita turpi , quam fuisse illud,
cujus des peines et des recompenses, et au bout de mille annees,
recoivent la permission de choisir de nouveaux corps, soitd’hom-
mes soit de betes, et de vivre de nou- velles vies. L’ame qui, durant
trois revo- lutions de mille annees, trois fois de suite a choisi
Texistence d’un homme quicultive sincerement la philosophie, ou qui
aime les jeunes gens d'un amour philosophique, a 1’expiration de cette
triple periode, recouvre les ailes qidelle possedait autrefois et peut,
comme au-paravant, suivre l’un des dieux et contempler les essences celestes.
Les huit autres classes ne retournent a cette condition premiere qu’apres
une revolution de dix mille annees. Ainsi la premiere classe et la plus
heureuse est celle des philosophes amis des jeunes gens, et l’inventeur
de ce mythe ou allegorie, que ce soit Socrate ou Platon, la
favorise d’une exemption de sept mille annees: cela seul nous
avertit assez qu’il ne peut etre question ici de ce vice infame
dont on accuse Socrate et que d’ailleurs les 3postulatur Socrates,
ipsis etiam legibus Atticis, paullo post ostendemus: sed magis hoc
apparebit, si quis ea, qu ce sequuntur, apud Platonem paullo attentius
considerare mecum voluerit. Intelligentia hominum , ex pluribus
rebus sensu perceptis collecta, nihil est aliud, quam recordatio illorum,
quae anima in illo volatu suo coelesti viderat, quae sola verum
illud ens sunt (t 6 ov-co; ov, p. 346, A). Haec intelligentia
maxima est in illa prima philo sophantium pæderastarum classe : haec ipsa
est, ob quam alas soli recipiunt, quibus volatum illum coelestem,
deorumque comitatum tentant: præ qua terrena hæc, et sensus
externos ferientia, ita negligunt, ut male sani aliis et furiosi
videantur, icocpa -/.ivouvts?, quos commotos s. commotce mentis
vocat ORAZIO (si veda) (Serm.), cum re vera divino quodam spiritu
agitentur, svOouaux^oviss, qui illos semper ad coelestem illam
pulchritudinem revocet, quam in priore volatu viderant. lois
Athenicnnes reprimaient, comme je le demontrerai tout a 1’heure; cela
deviendra plus evident encore pour qui voudra bien examiner
attentivement avec moi ce qui suit dans Platon. i3.
L’intelligence humaine est formce de la reunion des idees percues a
l’aide des sensations, et les idees ne sont rien autre chose que
les reminiscences de ce que 1’ame a vu anterieurement dans son vol
celeste, c’est-a-dire des essences veritables. Or 1’intelligence la plus
complete appartient a la premiere classe, a celle des philosophes amis
zeles des jeunes gens, et c’est pourquoi seuls iis recouvrent les
ailes a 1’aide desquelles iis pourront essayer de nouveau de par-courir
le ciel et suivre le cortege des dieux. Detaches des soins terrestres
et de tout ce qui frappe les organes, iis pas- sent pour des
insenses et des hommes en delire, -apa/ivoSvis?, de ceux que ORAZIO (si
veda) appelle des fren^tiqucs, des esprits troubles, tandis que vraiment
ce sont des en- [Hæc pulchritudo, qucc inest in sensu, <ppov 7
]<m, in mentis qua vult et intelligit prostantia, si ita in
oculos, ut alia quce videri his possunt, incideret, ad mirabiles sui
amores exci- tatura esset. Jam pulchritudo sola corporum, hanc (Aotpav
habet, hoc velut fatum, et conditionem , uti subeat oculos, ut amo-
rem moveat. Hinc ponamus ipsa verba, ut existimare melius ac certius de
tota re possint etiam, quibus ad manus non est Plato ipse, vel
magnum volumen de pluteo promere non lubet. c O piv oOv pu] vsoxeXt];, Jj
otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas ©s'psxat 7ip6; auxo xo xaXXo;,
Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv,
aXX’ 7]3ov^ 7:apaoou;, zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct- y stpsT
xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst x:poao|j.tXaiv, ou os'ootxsv ou 8’
ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN. Notabile est, Platoni etiam de Ijcgib.
r. thousiastes, agites comme d’un transport divin, qui les
attire sans cesse vers cette beaute celeste precedemment entrevue
par eux dans leur vol. [Cette beaute, dont Pessence reside dans un
sens particulier, la sagesse, source de la volonte et de
1’intelligence, s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir, comme
toutes les autres choses visi - bles, elle nous exciterait a
d’admirables amours. Mais c’est seulement la beaute corporelle,
telle est sa necessite fatale et sa nature, qui frappe les yeux et nous
porte a 1’amour. Ici nous placerons le texte meme afin que ceux qui
n’ont point Platon sous la main ou qui ne se soucient pas de tirer du
rayon un gros volume, puissent se faire une opinion en toute E.
hanc turpitudinem appsvwv np 6? appevag, Ij OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to
ITAPA •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non igitur Plato- nem , vel
Socratem adeo, feriunt divina illa fulmina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea,
qua ? in idolatriam vibrantur. f,5ov7]v 0 -W.ojv. '0 8e apttteXrj?, 6 twv
xdxe TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov' t07), -/.aX- Xo; eu
[j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av oj? Geov a£'6sxai. Hcec ita
verto, Hic ergo, qui non est nuper illis mysteriis coeles- tibus in
illo volatu animarum initiatus, aut, initiatus cum esset, corruptus
est, non celeriter, ut oportebat, hinc, ab hac corporea, non vera,
pulchritudine, illuc fertur ad ipsam veram, coelestem pulchritudinem,
cujus hic videt nomen, umbram , similitudinem : itaque neque inter
adspiciendum eam, divinum quiddam colit: sed libidini se tradens, quadrupedis
ritu inscendere formosum conatur, et genitale semen profundere, et cum
contumelia congressus formoso corpori, non veretur, nec erubescit PRXETER
NATURAM libidinem persequi. At ille nuper initiatus, qui multa eorum quae
tum videbat, contemplatus est, ubi vultum divino similem conspexit, qui
pulchritudinem illam veram bene imitetur, aut incorpoream quandam illius
speciem, verbo, certitudc. L’homme qui n’a pas un « souvenir recent
de son initiation aux mysteres, ou qui, recemment initie, s’est
laisse depraver, ne s’eleve pas facilement, comme il faudrait, de
cette beaute corporelle, qui n’est pas la vraie, a cette beaute
celeste, absolue, « dont il ne rencontre ici-bas que le
nom, 1’ombre, la ressemblance; en 1’apercevant il n’y respecte rien de
divin. Entraine par la volupte, il se precipite, comme une brute, sur
1’objet de ses desirs, ne cherche qu’a genitale semen profundere et,
outrageant ce beau corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il ne
rougit pas de poursuivre un plaisir contre nature. Au contraire, l’homme,
encore plein des saints mysteres qu’il a longtemps contemples
autrefois, 11 est remarquable que Platon, meme dans ses Lois,
appelle crime contre nature le commerce honteux marium cum maribus, et
feminarum cum feminis. Les foudres de Saint Paul (Ep . aux Rom.) n’atteignent
donc ni Platon ni Socrate, pas plus que celles qu’il lance contre
1’idolatrie. virtutem speciosam:
Dei instar colit. Deinde enarrat pheenomena quædam hujus
sancti et philosophici amoris, similia, ex parte Venerei, et
quomodo illa alce, quas amiserat anima, hinc de novo crescant, sub
Allegoria perpetua describit, qua nihil aliud tandem indicat, quam
enthusiasmum quendam, et injectam divinitus philosopho cupiditatem
versandi cum pulchris, h. e. ingenio vel forma potentibus,
adolescentulis: quos nempe captabat Socrates, qui sciret, cum
facilius sit formare ad sapientiam et virtutem hanc aetatem, tum hos
esse, a quibus futura civitatis fortuna pendeat. Hinc est quod se
venari pulchros non dis- simulabat (vid. Protagora > principium,
frustra reprehensum Cyrillo contra Julia), quod Xenophontem baculo etiam
transverso objecto et l’amour grec q'3 en presence d’un visage presque
divin ou d’un corps dont les formes lui rapit pellent 1’essence de la
beaute, c’est-a-dire 1’essence de la vertu, adore comme « en presence de
la divinite. Platon retrace ensuite quelques-uns des phenornenes de ce saint et
phi- losophique amour, parfois peu different de l’autre; il montre
aussi comment re- poussent les ailes autrefois perdues par rame.
C’est une allegorie perpetuelle dont la conclusion est que le
philosophe con^oit, par une sorte de grace divine, le plus fervent
desir de vivre au milicu des beaux adolescents distingues par la
perfection de leurs formes ou par leurs dispositions naturelles. C’est
ceux-la, en effet, que Socrate ambitionnait de gagner, sachant
qu’il est facile, a cet age, de les tourner au bien et a la vertu, et
que c’est d’eux que dependent les futurs destins de la Republique. II
appelait cela prendre les beaux garcons dans ses filets (voyez
la-dcssus le commencement du. velut exceptum, sibi adjunxit (Diog.
Laert.). Ipsum illud hinc est, quod GINNASIA, conviviaque et
deambulationes, quoscunque denique juvenum coetus, sequebatur, quod ludos
et jocos non refugiebat, quod se plane communem illis faciebat, nec
irrideri aut peti maledictis refugiens. Ipsa
illa ironia perpetua, quod doceri se velle simularet , certe discendi
causa disputare, ut accessum ad Sophistas illi dabat , ita
adolescentulo- rum super bulæ de se opinioni et præcipitantiæ blandiri
videbatur. Sed pergamus Platonis Mython enarrare. FILOSOFI illi amatores
pulchrorum non indiscretim omnes amant, sed (p. Sdy, C) quem quisque in
illo coelesti volatu Deum secutus est , ejus Dei si- milem sibi
quaerit amasium; qui Jovem, ut Socrates, Jovialem (Auvov x wa),
Martia- lem vero qui Martem, et sic Junonios. ET Protagoras, blame a tort par
Saint Cyrille), et il se fit de la sorte un disciple de Xenophon qu’il
arreta en lui barrant le passage avec son baton. Voila pour- quoi
aussi il frequentait les gymnases, les banquets, les promenades, tous
les lieux de reunion des jeunes gens, ne fuyait ni les jeux ni les
badinages, s’entretenait avec tous et s’inquietait peu de preter a rire
aux medisants. Cette ironie perpetuelle grace a laquelle il
feignait toujours de vouloir apprendre, pour mieux enseigner, lui
donnait acces au-pres des Sophistes et flattait aussi la suffisance et la
presomption de la jeunesse. Mais achevons d’exposer le Mythe de
Platon. Ces FILOSOFI amoureux des beaux garcons ne s’attachent pas
indistinctement a tous; selon le dieu quhls accompagnaient dans les
espaces etheres, chacun d’eux choisit parmi les anciens suivants du
meme dieu celui qu’il doit aimcr. L’ame qui etait, comme celle
de Bacchicos, Apollineos : et talem ubi inventum amare coeperint, faciunt
omnia, uti Deo illi, quem ipsi secuti sunt, et cu- jus jam
similitudinem quandam in ipso deprehenderunt, sibique adeo, reddant
quam similimum. Ita Socrates, Jovis in illo volatu satelles, quaerit Joviales,
amatores natura sapientiae, et natos ad imperandum. Hactenus ergo bene res
habet, sancti tales Paederaslce, J elices qui sic amantur. Sed nec
dissimulanda sunt quae sequuntur apud Platonem. Redit Socrates ad
superiorem illum de Anima Mythum, quam triplicis naturæ ponit scilicet. Sunt
vellit equi duo, est auriga. Equorum alter bonus, sanus,
verecundus, gloria amator, qui sine plagis, sola ratione auriga regitur :
pravus alter, qui multum ac temere una aufera- [Socrate, dans le
cortegc de Jupiter, recherche un suivant de Jupiter, et ainsi des autres
qui avaient choisi Mars, ou Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des
qu’ils Pont trouve, iis s’efforcent de rendre celui qu’ils aiment
semblable a ce dieu dont iis retrouvent en eux-memes le caractere.
Ainsi Socrate, satellite de Jupiter, recherchait pour les cherir
ceux qui avaient aussi suivi ce dieu, c’est-a- dire ceux qui, par
nature, etaient portes a la sagesse et a la domination. Jusqu’ici
tout va bien ; de tels Pederastes sont de vrais saints, et bien heureux
ceux qui sont aimes de la sorte! Mais il ne faut pas dissimuler
ce qui vient apres dans Platon. Socrate re- tourne au precedent
Mythe de hame qu’il a coniparee aux triples forces reu- nies de
deux chevaux et d’un cocher. L’un des chevaux est bon, sam, plein
de retenue et d’emulation; le cocher le dirige, sans avoir besoin du
fouet et par la seule persuasion: 1’autre est mechant] tur , (impetu
alieno potius feratur, smo judicio) dura ac brevi cervice, simus,
nigri coloris, glaucis oculis, suffusus sanguine, petulantia contumeliaque
gau- dens, hirsutus circa aures, surdus, flagello ac stimulis vix tandem
concedens. Operet ? pretium videtur mali equi notas etiam Gra } ce
ponere : cxoXt 65, ~oXu; eixrj a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, (
3 payuipayrjXo?, aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?,
oepat- [xo;, u6p ew; xal aXa^oveiac staTpo?, zept coxa Xaaco; ,
xwipog , gaartyt p.S7a xdvxpwv [xdy.; UTEclXOJV. r<S\ Apposui Graeca , ut facilius judi- cari
possit , probabilisne sit conjectura, in quam incidi , dum in hac equi
mali de- scriptione versor. Nempe, aut vehementer fallor, aut memorat hic
Socrates non tam equi mali proprie dicti signa, quam sui corporis
formam, quatenus vitiosum inde ingenium colligebat physiognomon
ille Zopyrus. Hic enim , ut est
apud CICERONE (DE FATO), Stupidum esse Socratem dixit et bardum,
addidit et s’emporte facilement, sans raison aucune (c 7
est-a-dire qu’il semble dirige plutot par une force exterieure que par
son propre jugement); il a 1’encolure courte et dure, les naseaux
apiatis a la maniere du singe, le poil noir, les yeux glauques le
sang le tourmente et il est toujours en rut et en querelles ; il a, de
plus, les oreilles velues, il est insensible a tout et n 7 obeit
qu’a peine au fouet et a 1’aiguil- lon. Il est necessaire de transcrire,
dans le texte Grec, ces marques particulieres du mauvais
cheval. J’ai cite le texte afin qu’on puisse decider si la
conjecture que me suggere cette description du cheval retif a quel-
que vraisemblance. Ou je me trompe fort, ou Socrate ici retrace moins les
ca- racteres d 7 un cheval defectueux que son propre portrait, dans
lequel le physionomiste Zopyre trouvait les indices d’un naturel vicieux.
Zopyre, au dire de CICERONE (Du Destin) pretendait en effet que
Socrate etait lourd et stuetiam mulierosum. Illud de stupore con- venire
cum Homzne xpaTepau/7)v et (3payuxpa- mox declarabitur: quod
muliero- sum dicebat, illud cum G6psa Ixatpop con- gruit : novimus
enim quos uSp-.sxa; tum dixerit Græcia. Porro illud aipio-pd- aw-ov
plane pertinet ad notationem Socra- tis, in quo cum deridetur a
Critobulo, tum ipse suaviter sibi illudit, et in eo patulisque non
modo deorsum sed in hori- qontem naribus, non minus quam in ocu-
lis ultra frontem eminentibus, et labio- [Unum ponamus exemplum e
libello, quipree manu est, Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18
1, E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs; papuxovov, OSpiaxa^. Ava- tpspexat £~1
xoj; ovoj;. Physiognomones e similitudine vocis asinina: argumentum ducunt ad
libi- dinem asininam. Conf. § 14, it. 32 . (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p,
Socrates ad Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w? yap
/a! Ip.o 0 ' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid istuc? quasi me quoque
pulchrior esses, ita gloriaris. Ad qua: Critobulus , Nrj Ata, rj Ttavxcov
SsiX7jvwv xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te formosior essem, ait,
essem Sileuorum, qui in Satyri- cis fabulis in scenam veniunt,
turpissimus. pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai- sirs
veneriens. Pource qui est dela lour- deur, cela concorde avec
1’encolure courte et dure ; adonne anx plaisirs ve- neriens, repond
a &'6peto; ItaTpo;. Nous savons, en effet, quels etaient ceux que
les Grecs appelaient uSpiatat'. Quant a la face simiesque, cette
designation s’ap- plique parfaitement au portrait de So- crate ; il
y a fait lui-meme agreablement allusion en repondant aux moqueries
de Critobule. Il avoue que toute sa beaute consiste en un nez epate
et me- nafant le ciel, en des yeux saillants et [Contentons-nous
d’un seul exemple tird du livre que nous avons sous la main , le De
Physiognomia , d’Aristote : Ceux qui ont la voix forte et grave
sont &6picrcai, par similitude avec Vane. De ce que la voix £tait
bruyante comme celle de l’ane, les phy- sionomistes conci uaient qu’on
devait avoir le temperament lascif de cet animal. Xenophon (Banquet).
Socrate dit il Critobule, qui vante sa propre beautd: Quoi donc? Tu
crois etre plus beau que moi? Critobule lui repond: Si je n’etais plus
beau que toi,je serais le plus affreux de ces Silenes que Von voit
paraitre dans les drames salyriques.] rum tumore molli , pulchritudinem
suam prcedicat (Xenoph. Sympos? c. sicut in Platonis Convivio
Sileni s. Satyri formam Alcibiades illi tribuit : et in Tlieceteti
Platonici principio Theodorus negat pulchrum esse Thecetetum, cum sit
Socrati similis, tQ te cijxo-rjta xat to s£w twv o[j.[j.aTtov, naso simo
et eminen- tibus oculis, licet minus quam Socrates utraque re sit
notabilis. Nempe hcec si- gna cum haberentur, et naturales quae-
dam notce, hominis libidinosi, iracundi et stupidi, non negabat illud
Socrates, verum eo majoris faciendam esse FILOSOFIA ostendebat, quee
tantum contra vitiosam naturam valeret. Quoniam hic sumus, non
injucun- dum forte fuerit lectoribus nostris in rem quasi
preesentem ire, et ex artis, qualis tum erat, praeceptis, Zopyri judicium
defendere. Vix autem opus est admoneri lectores, non hoc agi, Num
veri aliquid sit in ea arte? Num ipso des levres gonflees comme un
abces ; de meme dans le Banquet de Platon, Alci- biade compare son
masque a celui de Silene ou d’un satyre, et au commencement du Theatdte ,
l’un des interlocuteurs, Theodore, refuse toute grace a Theatete en
disant qu’il ressemble a Socrate, qu’il est camard et que les yeux lui
sortent de la tete; que pour etre chez lui moins apparents que chez le
maitre, ces defauts n’ensontpas moins sensibles. Socrate ne niait pas
d’ailleurs que ces particularites physiques n’indiquassent un homme
lascif, violent et d’un esprit paresseux ; il en concluait seulement
en faveur de la Philosophie qui parvient a dompter un si vicieux
naturel. Pendant que nous y sommes, il ne deplaira peut-etre pas au
lecteur d’aller plus au fond sur ce chapitre et de defendre les idees de
Zopyre, idees basees sur des regles alors acceptees. Il nes’agit
pas de savoir si cette Science est sure; est-ce que 1 ’excmplc meme de
Socrate etiam Socratis exemplo ea refellatur, et vanitatis
convincatur? sed hoc modo, quod dixi, Utrum Zopyrus ex arte, et ut
oportebat, judicium de illo tulerit? Exstat in operibus Aristotelis
libellus, <J>uaioyvoj[juxa inscriptus, quo superiorum hujus
artis consultorum collegisse prae- cepta videtur . Hinc ea, quee ad
formam Socratis, qua ? ad equi hujus mythici naturam pertinent, huc
transferamus. Igitur inter ’Avai- c07j- ou hoc est stupidi , et
sensu communi pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv a
aap'/.oj07) 7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va, Ea quas
adjacent collo carnosa, complexa et colligata, itemque cervix crassa,
XGxytjkoq -ayjj;. Et Oi? Ta "£p\ ta; xXeTBoc; aug~£pi~£cppaY(x£va
£<ruv, avodaQiyroL. Nonne totidem fere verbis CICERONEZopyrus?
Stupidum esse Socratem, et bardum quod jugula con- cava non
haberet, obstructas eas partes et obturatas. Alia adhuc mala
signifeat ista conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc xai ne temoigne
pas du contraire ? Mais Zopyre en a-t-il tire, en ce qui concerne
notre Philosophe, un pronostic judi- cieux ? II y a dans les oeuvres
d’Aristote un opuscule intitule Physionomiques ou ce philosophe
parait avoir recueilli les regles admises avant lui par les
habiles. Nous transcrirons celles qui se rapportent au portrait de
Socrate et au caractere de son cheval mythique. D ? apres Aristote (chap.
m), les in- dices d’un esprit lourd et presque prive du sens commun
sont le gonflement des chairs qui avoisinent le cou, leur engor-
gement et leur replelion- ce qu’il con- firme en disant au chapitre vi :
« C’cst un signe de betise que d’ avoir 1’cncolure epaisse. Zopyre,
dans CICERONE, n’ex- prime-t-il pas la meme idee? Socrate, dit-il,
etait lourd et stupide, parce quii navait pas le cou bien degage, que
ces parties etaient cheq lui comme engorgees et obstruees. Cette
conformation indi- que cncore bien d’autrcs dcfauts : la TzlioK, 0
o 1 uo£i 8 e!'s, Crassa et plena cervix iracundos signat, exemplo
taurorum: Ol? 8s [Bpayjj; ayav, irdfi ouXoi, Brevis nimium quibus
est, ii sunt homines insidiosi, lu- porum instar. Talem modo
vidimus illum malum equum, xpaxepauyeva et [Bpa- yuxpayjiXov. Talem
nisi fallor se indicat Socrates, aut potius talem significat Plato
Socratem, a natura fuisse. Videamus reliqua. Equus malus Socratis
est sp\ xa wxa ).asto;, hirsutus
circa aures. Libidinosi, Xayvou, apud Aristotelem o t xpdxoupot
oaa$T?, densa pilis i. e. hirsuta tempora. Deinde oi xa yecXrj
“aysa eyovxe; puopoi avacpdpexai £7ii xou; ovou;. Physiognomones crassa
labia stultitiae characterem faciunt, ob simili- tudinem asinorum.
Quid de se Socrates (Xenoph.) in ludicra cum pulchro Critobulo
contentione? Ata 76 r.ayla. syeiv xa ylCkt], oux otst xa\ [xaXaxaSxspdv
oou 'iyv.v xo csfX7]p.a; Propter labia crassa suum putat osculum
mollius. Et, v Eotxa syw xaxa xov nuque epaisse et charnue denote un
homme violent, par similitudo avec le taure au ; ceux qui l’ont trop
courte sont ruses, par similitude avec le loup. Or, cette
indication, 1’encolure epaisse et courte, figure parmi les marques
du mauvais cheval. Si je ne me trompe Socrate avoue qu’il etait
bati de la sorte, ou plutot c’est ainsi que le depeint
Platon. Voyons le reste. Le mauvais cheval Socratique a les oreilles
velues: Aristote designe comme libertins ceux qui ont du poil jusques sur
les tempes. De plus, les physionomistes notent les grosses levres
comme un indice de betise, par similitude avec 1’ane. Or que lisonsnons
dans la plaisante discussion (Xenophon) de Socrate avec Critobule? A cause de
ses l&vres charnues il pense que son baiser est plus sensuel, et
plus loin: Je te par ais avoir, 6 Critobule, une bouche plus
difforme que celle de Vane, avec ces bourrelets qui me tienncnt
lieu de levres. aov Xoyov x at Ttov Ovojv aiayiov to GTOu.a lysiv,
turpius os quam habent asini illum mollem labiorum tumorem habere
tibi, o Critobule , videor. Simus fuit, ut vidimus, Socrates :
at|jio-po'ato7:o; est malus equus. Quid Phy- siognomones, atque adeo
Zopyrus ? Si fides Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.) 01 G'|j.7jV
Eyovts; piva, Xayvor avacpspezai i~\ tou; iXa^ou;, Simi sunt libidinosi,
exemplo cervorum. Patulas quoque versus nares suas, qu£e possint
odores undecunque oblatos excipere, laudat sipojv Socrates
Xenophonteus , pra ? Critobuli naribus humo obversis. Ot ;xev yao ao\
(xuxT7jpE; ei; yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat, wgte
tx; T:av~o0£v oGua; izpoa ov/yOou. At Physiognomones (I . C.), 0:; o!
p.uxT7jp£$ ava"E^"a- pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi sunt, quorum
patula? nares, quod in ira diffundi so- lent. Iracundum valde a natura
fuisse Socratem, non soli credamus Cy r rillo, quamvis Porphyrium
auctorem laudat , qui ab Aristoxeno se illud dicat acce - [Socrate,
nous le savons, etait camard; son mauvais cheval a les naseaux ecrases du
singe. Quel indice en tirent les physionomistes et Zopyre ?
Aristote dit. Les camards sont lascifs, par similitude avec le cerf.
Socrate declare quii a les narines lar gement ouvertes , comme pour
subodorer de toutes parts les parfums. Jaime mieux cela, dit-il,
que d’avoir, comme Critobule, un ne^ penche vers le sol. Mais d’apres les
phy- sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera- ment porte a la
colere. Que Socrate ait etedun naturel violent, nous ne nous en
rapporterons pas la-dessus seulement a Saint Cyrille, quoique son
temoignage soit corrobore de ceux de Porphyre etd’Aristoxene et qu’il
dise en propres termes: Socrate etait devenu si irritable qu’il ne
pouvait moderer ni ses paroles ni ses pisse, ’'Ote <pXe-/0e't7]
utzo zou TrdOou; toutou [de ira sermo est) ostvrjv etvat xr ( v
aayr][jLO(Hjvr)v ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat oSxe -payjj.ato;,
Eo importunitatis progressum , ut nullo neque verbo neque opere
abstineret : sed ipsi de se credamus Socrati, qui tam gravi ac molesto
sibi, quam fuit Xanthippe, patientia ? et mansuetudinis gymnasio
opus fuisse, fassus sit apud Xenophontem [Sympos.) BouXo'|ievo;,
dv0pco7tot; y prjoOat jcat opuXe Tv, Tauxrjv x&ttj- ptat, sii eloco;,
oxt, et lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN,
avOptfaoic auveaouat, Quam ferre si posset, facilis esset cum aliis
omnibus conversatio. Unum superest : e^^OaXpto; erat Socrates. Itaque ita
jocabundus disputat cum pulchro Critobulo, ut cum primo
convenisset, Pulchras esse res , quatenus respondeant consilio, propter
quod ha- bentur; roget eum , Cujus rei gratia ha- beamus oculos?
eoque, ut necesse erat , respondente, Ad videndum, inferat, Suos
ergo pulchriores esse, qui Sta zo actions ». Croyons-en Socrate
lui-meme; dans le Banquet de Xenophon , il avoue que le caractere
acariatre de Xanthippe fut pour lui la meilleure ecole de pa-
tience et de douceur; que par la suite il lui fut plus facile de
supporter la contradici ion. Il ne reste plus qu’une chose : So-
crate avait les yeux saillants. Il dispute la-dessus agreablement avee le
beau Cri- tobule, et le fait convenir d’abord que toute chose est
belle pourvu qu’elle re- ponde au but en vue duquel elle existe. Il
lui demande alors : Pourquoi faire avons-nous des yeux ? Pour voir,
repond naturellement Critobule. E/i bien alors, dit Socrate, mes yeux
sont les plus beaux de tous, car iis me sortent de la £7it-oXatot
sivat, quod emineant, non ea modo, quas exadversum sint videant,
sed etiam quae a latere. Et cum diceretur , secundum hmc
pulcherrime oculatum (euo^OaXjj-GTa-ov) animal esse cancrum, id
ipsum affirmat. Jam Physiognomon Aristoteles"Oaoi i£6z>-
OaXjjiot, inquit, aS&vepoi, Fatui sunt, quibus oculi eminent :
rationem petit ab judicio quodam decoris et convenientia naturali,
et ab similitudine asinorum. Male de horum gente meritus est Stagirita
: quce videtur ex hoc prcesertim libello contraxisse infamiam illam
, qua ab eo inde tempore, et Platonis quibusdam dictis, onerata est
: honestum superiori cetate animal, cujus majestatem, ut Var-
roniano verbo utamur, (de R. R.) adhuc agnoscebat Homerus. De hac re
adjicietur potius huic disputationi quoddam corollarium, quam ut
longius digrediamur a Socrate. tete, si bien que je puis voir
non-seulement devant moi, mais & droite et d gaiiche. Son
interlocuteur lui repond qu’a ce compte les crabes ont de tres-beaux
yeux, et Socrate affirme que c’est parfaitement vrai. Or, d’apres
Aristote, les yeux saillants sont 1’indice de la sot- tise; il tire
ce pronostic de certains rap- ports naturels de convenance, de
syme- trie, et de la ressemblance que ces yeux offrent avec ceux
des anes. Le philosophe de Stagyre a par la bien mal merite de
cette race inoffensive, et ce doit etre a partir de ce petit traite qu’il
acquit le mauvais renoni confirme depuis par Platon lui-meme.
L’ane, cet honnete animal, etait mieux apprecie des genera- tions
precedentes, et Homere se plaisait, suivant le mot de Varron, a lui
reconnaitre de la majeste. Nous ferons de cela un corollaire a cette
dissertation pour ne pas trop nous eloigner presentement de Socrate.
Gesner a «Jcrit un appendice intitulc De antiqua Nempe tempus est, ut
videamus, quorsum evadat ille de bono et malo equo Myihus. Ad
conspectum pulchri bonus ille quidem aurigee obsequitur, contineri
se patitur, malo alteri, quantum potest reluctatur. Simile certamen
est in pulchro, qui amatur: repugnat malo isti equo bonus illius
jugalis, hic enim est 6 [xo'£u£, et ipse auriga adeo repugnat [aet’
dtSous xat Xdyou, cum pudore et recta ratione. Si ergo ita vincant
meliora, et ad vitam ordinatam, quae eadem FILOSOFIA est, ducant
illum currum, beatam et concor- dem hic vitam agunt continentes se,
et decus suum tuentes, syxpatcTs auroiv xat xdajjuot ovtss, in
servitutem redacto illo equo, cui vitiositas animae inerat; in libertatem
asserto eo, cui virtus. Tandem vero alati ac leves denuo facti, sic de
tribus illis certaminibus asinorum honestate, imprime i la suite du
Socrates sanctus pcederasta ; il ne nous a pas sembl£ otfrir assez
d’interet pour Ctre traduit. II est temps de voir ou il veut en venir
avec son Mythe du bon et du mauvais cheval. A Taspect de la beaute, ie
coursier docile obeit au cocher et se laisse contenir; il resiste de
toutes ses forces a son mauvais compagnon. L/objet aime est lui-meme
en proie aunesemblablelutte; son bon cheval se defend contre les
tentatives de son mauvais compagnon d’attelage, que de plus le cocher s’efforce
de contenir par la pudeur et la raison. Si les meilleurs instincts
remportent la victoire et conduisent le char dans les chemins de la
vie rangee, cest-d-dire de la FILOSOFIA, les deux amant s vivent dans le
bon- heur et bunion, maitres d’ eux-memes et regles dans leurs
mceurs : iis ont dompte le mauvais cheval, qui repre- sente le vice,
et affranchi 1’autre qui represente la vertu. Recouvrant enfin leurs t
ailes et leur legbrete primitives , iis sor- tent vainqueurs de ces trois
luttes vraiment Olympiques dont nous avons parle plus haut. Socrate peut
donc dire*sans hesitation que ccux qui se prescrvcnt. vere
Olympicis, unum vicerunt. Absque hcesitatione igitur beatissimos esse
dicit, qui se puros et castos ab amore Venereo servaverint. At
nunc sequitur apud Platonem, in quo defendere illum , Platonem, in-
quam, nam Socratis causam hic segre- gandum putamus (vid. 6) paullo
diffi- cilius est; tacuisset enim forte sapientius : sed non
iniquum (i) excusare. Nempe his, quee modo prolata sunt, subjungit,
quee non scripta equidem malim : sed pono, ne quid dissimulasse videar,
ne parum bona fide egisse. Quam vero caute, quam suspensa velut
manu illud ulcus tractet, videre opera? pretium est. Eav’ os
8tatT7) <popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO— cptXoTtjxu) 8s yprfacjvzx'.,
-i/' av ~oj ev uiOat; sitivi a)xA7) dasXsta Tci> axoXaTCto ajTOtv
Gno- JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j; aovaya- yovTE et;
toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot- fi) Multum certe
facilior causa Platonis, quam alicujus Beneventani Episcopi: aut aliorum,
quos vrxterco sciens. purs et chastes, de 1’amour Venerien,
jouissent de la plus grande beatitude. Ce qui suit, chez Platon, est
un peu plus difficile a expliquer; chez Platon, disons-nous, car ici nous
croyons devoir separer sa cause de celle de Socrate; evidemment il aurait
mieux fait de se taire , mais il n’cst pas impossible de l’excuser.
A ces choses sublimes que nous venons de transcrire, il en ajoute
d’autres que j’aimerais mieux lui voir passer sous silence; je les
exposerai cependant, de peur de paraitre rien dissi- muler et
manquer un peu de bonne foi. Il faut ici donner le texte pour qu’on [Son
cas est en effet moins grave que celui de certain eveque de Bdnevent et
de quelques autres que je ne veux pas nommer. L’auteur fait ici
allusion a 1’archeveque Giovanni .delia Casa et a son fameux
Capitolo dei forno ; mais il ne 1’avait probablement pas lu, et il se
meprend, comme bien d’autres, surle sens de ce celebre petit poeme. cTr;v
atpeotv £tXcTr ( v ~t /ai Ste^pa^avxo x x X. Si vero vitam vivant
LICENTIOREM et A PHILOSOPHIA ALIENAM, ean- demque ambitiosam, forte
aliqua in ebrietate aut qua alia negligentia depre- hensas INCAUTAS
animas equi illi uiriusque amatoris indomiti, eodem con- ducant, et
sic illam quce beata vulgo videtur electionem faciant, et (turpe illud facimts)
peragant : eoque peracto per re- liquum tempus utantur quidem (illa
voluptate ) sed raro, quippe qui non omnino deliberata mente (sed
deprehensi velut incauti ) hoc agant etiam hi præmium non parvum
amatorii illius furoris (non Venerei, de quo modo dic- tum, sed
philosophi) auferunt : in tenebras enim illas et illud sub terram iter
non veniunt, etc. voie avec quelle prudence et sans ap- puyer la
main, il decouvre cet ulcere de la civilisation Grecque. S’ils embr
assent , dit-il, nn genre de vie moins austdre, etrangbre a la
Philosophie et livree aux passions desordonnees, il arrivera quau
milieu de Vivresse ou de quelque autre etourderie les coursiers indomptes
sur- prendront leurs ames et les meneront l’un et l’ autre au meme
but,' iis prendront alors le parti de faire ce en quoi, selon le
vul- gaire , consiste le supreme bonheur et (c’est la le crime
infame) satisferont leurs desirs. Dans la suite , iis
renouvelleront leurs jouissances , mais rarement, parce qxCelles ne
sont pas approuvdes de l’dme entiSre et qu’ils agissent comme par
surprise et sans defense. C’est pourquoi ce qu’il y a encore d’excellent
dans leur amour (le pur amour pliilosophique et non le desir
Venerien) recevra plus tard sa recompcnse ; iis niront pas, aprds
leur mort, dans ces tenebres et par ces routcs souterraines, etc.
yo Apertum est his, qui et sermonem Platonis
intelligunt, et non ultro qucerunt crimina, non illum prcemium
constituere pceder astice turpi, non Philosophice genus facere flagitiosum
puerorum amorem : sed summam c.ulpce esse hanc , quod dicat, si qui
coelestis illius pulchritudinis, quam in volatu illo suo viderint,
desiderio icti, etiam pulchros amant, et dum arctius eos complectantur,
liberius cum iis versentur, etiam ad turpe facinus ab ebrietate,
certe ex improviso, incauti, proster deliberatam voluntatem, abri-
piantur, id quod ipsis contingat ob genus vivendi licentius atque a
Philosophia alienum, iis tamen prodesse primum illud7'iobiliusque philosophandi
propositum, ut non cum reliquis ad inferos mittantur, et ad
poenarum locum non cogantur post ternas millenorum anno- rum
periodos , septem alias subire ete sed facilius alas ut recipiant, quibus
evo- lare ad coelestia, deum aliquem sequi du- cem possint.
Hactenus reprehendat Pla- tonem, si quis volet, non ut laudatorem. II est
bien clair, pour qui veut comprendre Platon et ne cherche pas de
griefs de son plein gre, qu J il n’assigne pas cette recompense aux
fauteurs du vice honteux, qu’il ne fait pas de 1’ignominieux amour
masculin un attribut special des Philosophes. On voit, au con-
traire, combicn il blame ceux qui, les yeux encore eblouis de cette
beaute ce- leste entrevue par eux dans leur vol anterieur, con^oivent des
desirs pour la beaute terrestre, recherchent les jeunes garcons, et
a force de les embrasser etroi- tement, devivre familierement avec
eux, se trouvent entraines a 1 ’improviste, au milieu de livresse,
par surprise et sans que leur volonte y ait part, a conimettre
l’acte immonde; cela leur arrive, parce qu’ils ont adopte un genre de vie
trop libre et qu’ils negligent la Philosophie. Iis tirent cependant
ce profit, de s’etre d’abord propose pour but cette noble Science,
qu’ils ne sont pas relegues aux enfers avec tous les autres hommes ;
apres une revolution de trois mille annees, iis Pcederastice, sed
ut clementem nimis, lentumque adeo castigatorem : qui præsertim in aliis
peccatis severum satis ac durum se praebuerit. Sed , si cequi esse
volumus, si de nostris religionum doctoribus ecquos ex- periri
judices, videamus etiam , quid dici pro ratione illa Platonis possit ,
quid pro Socrate, quatenus et ipse non horribili flagello sectari
vitia id genus solebat. Distinguamus legislatoris personam et
Philosophi. Legibus Atheniensium primo antiquissimis illis a Cecrope,
sanctitas Bona pars libri De re publica decimi in eo consumitur, ut
a"apat~r]Tou?, a^apa[xu0rjTOU?, implacabiles sacrificiis Deos,
ostendant. Vid. pras. extr. et conf. qua: collegit Davis. ad Gic.
de Legib. j n’ont pas a en su.bir sept mille autres; iis
recouvrent plus vite leurs ailes et peu- vent s’elancer vers les spheres
celestes, a la suite d’un des douze dieux. Que l’on reproche donc a
Platon, si l’on veut, non pas de s’etre fait 1’apologiste de la
Pede- rastie, mais d’avoir ete trop clement, de ne pas chatier
assez ferme, lui surtout qui pour de moindres fautes se montre si
dur et si severe. Mais soyons equitables; prenons d’honnetes gens pour
juges de nos Phi- losophes, voyons ce que l’on peut dire en faveur
de Platon ou de Socrate, et jusqu’a quel point ce dernier a
vraiment neglige de flageller le vice en question. II faut
distinguer le legislateur du Phi- losophe. Les plus anciennes lois
Athe- niennes, celles de Cecrops, proclamaient la saintete du
mariage. La loi de Dracon [II emploie la majeure partie du X® livre de
sa Republique a montrer que les dieux sont insatiables de
sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies sur le Tr ciite des
lois , de Cicerrr.i. matrimoniorum constituta : Draconis lex
capite plectebat adulteros : Solon li- beram faciebat marito potestatem
sta- tuendi in adulterum in facto deprehen- sum , quidquid liberet.
Itaque mirum fuerit si masculam libidinem non punis- sent. Sed
bene habet : supersunt monu- menta Solonis hac etiam de re
legum, diligenter collecta a Sam. Petito
(de Legibus Att. et in Commentario) prcesertim ex vEschinis in Timarchum
(edit. Aurei. Allobr.) et Demosthenis contra Androtionem orationibus
: unde hoc constat, qui vi vel persuasione ingenuum corrupisset,
produxissetve, gravissima poena (quce ad ultimum supplicium corruptoris et
productoris, in- terdum etiam corrupti, poterat progredi) affectum esse. Qui illam patiendi pro
mercede turpitudinem admisisset, si effugisset poenam aliam, illi neque
lice- bat inter novem Archontas esse, neque punissait de mort les
adulteres; Solon laissait la faculte au mari, dans le cas de
flagrant delit, de se faire justice comme il 1’entendrait. II serait bien
surprenant que ces deux legislateurs fussent muets a l’egard de
Tamour masculin. Mais nous avons mieux ; il reste des lois portees
par Solon sur la matiere divers fragments precieusement recueillis
par Samuel Petit (voy. ses Lois attiques et le Commentaire dont il a
accompagne cet ouvrage); ii les a surtout tires du Discours contre
Timarque, d’Eschine, et du Discours contre Androtion, de Demos-
thene. Il y est dit : Quiconque, memesans violence, aura debauche ou prostitue
un homme de condition libre sera passible de la peine la plus
rigoureuse. Le chatiment pouvait etre la mort, dans l’un comme dans
Tautre cas, et pour le liber- tin, comme pour savictime. C elui qui
se sera prostitue pour de l’argent, s’il echappe a toute autre peine, ne
pourra ni fungi sacerdotio, neque syndicum creari, neque ullum
magistratum vel intra vel extra urbem, neque sortito neque suf-
fragiis, capere, neque pro Praecone s. oratore mitti usquam, neque sententiam dicere
unquam, neque in templa publica intrare, neque in pompa coronata et ipsum
coronari, neque intra sacros fori cancellos (evto; twv t rj; ayopa?
TteptppavTT]- P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im- pudicitiae
quidquam horum fecisset, capital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt verba
legis ab As schine recitata. Plura huc transferri opus non est, cum rarum
esse Petiti opus desierit. Summa capita habet etiam in Themide Attica
Meursius. Utrum seynpcr valuerint istce leges? annon eas perruperit interdum au
etre l’un des neu f archontes , ni remplir aucune fonction sacerdotale,
ni etre nomme delegue d’une ville; il lui est interdii d’exercer
aucune magistrature, soit en dedans , soit en dehors de la cite,
quii ait et e designe par le sort ou par les suffrages de ses
concitoyens ; d’etre en- voyd nulle part comme Herault, ou comme
orateur; de prononcer aucune sentence ; de penetrer dans les temples
publics; de faire partie des processions et d’y porter une couronne
sur la tetc; de franchir ienceinte sacree de l’Agora. Qiiiconque,
deja condamne pour fait de prostitutiori , fera ou acceptera de faire une
de ces choses sera puni de mort. Puni de mort, tel est le texte
meme de la loi lue par Eschine. II est inutile d’en transcrire ici
davantage, car Touvrage de Samuel Petit est loin d’etre rare ; Meursius
en a meme donne, dans sa Themis Attique, les cha- pitres
importants. Ces prescriptions eurent-elles tou- jours force de loi?
Ne purent-elles etre dacia , astus subterfugerit , eluserint
rhetores? annon ipsa poenarum gravitas impunitati occasionem non nunquam
de- derit? an non professce impudicitiae ho- minis utriusque sexus,
libidinum publica- rum victimce, toleratce sint? An denique poetce
non multa saepe impudenter scrip- serint, fecerint? jam non quceritur.
Uti- nam non avxtxatrjyopia quadam repellere possent veteres Attici
cujuscunque vel sec- tae vel cetatis homines, si qui acerbius ex-
probrare iis velint, quce de Comicorum pe- tulantia sublegerunt illi apud
Athenaeum (i3, 8 p. 601) Deipnosophistce, et quae colligere ex illa
parentum cura apud Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda- gogos
constituentium suis filiis, qui ne quidem colloqui suis cum
amatoribus (turpibus nimirum et flagitiosis) eos patiantur : e. i. g.
a. Ceterum severitate legum eo ma- gis opus erat, quod obtentum
fiagitiis enfreintes par les audacicux, adroitemcnt tournees par les
gens ruses, eludees par les avocats? La rigueur du chatiment ne
favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite? Est-ce qu’on ne tolera pas des
prostitues de profession, victimes de 1’incontinence publique et
remplissant le role de l’un et 1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas
ef- frontement deerit ces turpitudes, ne les ont-ils pas mises en
action sur la scene? Cela ne fait aucun doute. Plut au ciel que les
Atheniens de nfimporte quelle secte et de quelle epoque ne pussent
re- tourner Taccusation a ceux qui leur re- procheraient trop
vertement ces horreurs etalees par les poetes comiques et recueil-
lies par les Deipnosophistes d’Athenee, ou ce qu’on peut induire de
1’inquietude des peres de famille confiant leurs fils, d’apres
Platon, a des precepteurs severes, pour les empecher de s’entretenir avec
leurs amis, des amis infames et detestables. 3o. Les lois
devaient etre d’autant plus severes, que les coutumes de la Grece] non
nunquam praeberet (ut nempe res sancta? prope omnes, ut ipsce
populorum sceculorumque pene omnium religiones, atque ceremonice)
ille puerorum amor, castus, legitimus, sanctus, quo tanquam
potentissimo virtutis cum bellicce tum civilis incitamento utebantur
qucedam Grcecorum respublicce : quarum legisla- tores, cum
viderent, ignava fere esse virtutis prcecepta, firmis licet nixa
demonstrationibus, nisi ea affectu quodam et tanquam spiritu animentur,
nisi ev0ou- aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti homines et
commoda sua , et jacturas, et salutem, et pericula et tormenta
contem- nerent. Hinc excogitata et in usum civitatis recepta sunt
splendida ista et efficacissima remedia, Religio, Pudor, Amor
patrice, Gloria, res quondam po- tentissimce, quod ex illarum
effectibus judicare pronum est: nunc prceclara quo- rundam, qui
sibi Philosophi videntur, opera fere ad inanium vocabulorum strepitus
relata, et, dum relata sunt, etiam redacta. comme toutes les choses
saintes, comme les cultes et les ceremonies religieuses de presque
tous les peuples et de tous les temps) donnaient plus de facilite a
la depravation. La fervente amitie entre jeunes gens, Tamitie
chaste, legitime, sacree, etait favorisee, dans les republiques de la
Grece, comme le plus energique stimulant du courage militaire et des
vertus civiles. Leurs legislateurs savaient bien que ni la vertu ni le
courage ne s'inculquent a 1’aide de demonstrations, si bonnes qu’elles
soient; que 1’homme est naturellement faible a moins qu’il ne soit
pousse par la passion et par 1’orgueil ou entraine par cette espece
d’enthousiasme qui lui fait mepriser les aises de la vie, la
fortune, la vie elle-meme, et affronter les perils et les supplices.
C’est pourquoi l’on mettait en jeu, dans Torganisme de la cite, ces
heroiques et sublimes mobiles, la Religion, 1’Honneur, 1’Amour de la
patrie, la Gloire, mobiles autrefois bien puis- sants, comme nous
pouvonsen juger par ce qu’ils firent accomplir; aujourd’hui,In illis
igitur rei publicce bene gerenda? incitamentis, an instrumentis? erat
Amor ille adolescentulorum tum in- ter se, tum inter ipsos et natu
majores: inde illa sacra Amantium cohors The- bis, et Cretensium.
Quanta illius vis esset, et quam metuendus esset miles amator,
svOouatwv, et ab Amore simul atque a Marte bacchans, occurenti in
prcelio hosti, ita enarrat 2E liantis (H. V. ) ut IvOo-jatav et furere
ipse prope videatur. Idem Laconica qucedam circa eam disciplina?
publica? partem instituta commemorat: V. G. ab illis multatum esse
virum alioquin bonum, ea de causa, quod nullum habere juniorem, quem
amando sui similem, et per hunc forte etiam alios, redderet: itemque
peccantis adolescentuli virum amatorem punitum, cui grace a de certains
Philosophes, ou soi-disant tels, ces grandes choses ne sont plus que de
vains mots, creux et vides, dont le sens s’affaiblit a mesure qu’on en
abuse. Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit entre eux-raemes, soit
entre eux et leurs ames, etait favorise partout en Grece , pour le
bien de la chose publique; voila ce qui donna naissance a la cohorte
sacree des Amants, chez les Thebains et chez les Cretois. Quel etait le
courage de ces sortes de soldats, quelle etait la ter- reur qu’ils
inspiraient, lorsqu’ils rencontraient Tennemi, ivres a la fois d’amour et
de sang: c’est ce que Elien nous a fait connaitre, en partageant, pour
nous les mieux depeindre, leur impetuosite et leur fureur. II nous
indique aussi qu’il y avait quelque chose de semblable dans les
institutions de Sparte; un Lacedemonien fut mis a 1’amende , quoique
excellent citoyen, pour avoir neglige d’aimer quelque compagnon plus jeune
que lui, a qui il aurait inculque ses vertus et nempe illius
imputari vitia posse cen serent. Etiam illud Laconicum narrat ,
so- litos ibi adolescentulos petere ab ama- toribus , viris nempe
bonis ac fortibus, stareveTv auTot ?, ut se adflarent. Interpreta-
tur illud verbum , Laconibus proprium, sElianus per epav, amare : idem
factum ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et epa, eia7cver. Multa similia
ad utrumque Hesychii locum viri docti , post Meursium (Mis- cell.
Lac.) sed nihil, unde ratio ap- pellationis queat intelligi. Nec
satisfacit, quod refert, non probat Eustathius (ad Odyss.)
EtarevElxai yap tpaat, t 7j? pLOp^? ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid fornice et
pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se- veritati parum conveniunt, si
fides anti- quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo, de quo agimus
, loco. Srap-ctaTT)? epio;
ataqui eut ete capable, a son tour, de les transmettre a d’autres.
Lorsqu’un jeune homme commettait une faute, les Spar- tiates
punissaientson intime ami, comme responsable des vices qu’il lui
tolerait. Elien rapporte encore cette autre coutume de Sparte, que
les jeunes gens exigeaient de ceux dont iis etaient aimes, toujours
choisis parmi les meilleurs et les plus braves, ut se adflarent. II
explique le verbe ekjttvs Tv (adflare), propre aux Laconiens, par cet
autre : spav (aimer), et Hesychius de meme aux mots EpjcvEtgou, ipS et
eiu7iveT. Divers savants ont accueilli cette interpretation, a 1’exemple
de Meursius; mais je n’ai rien compris aux raisons qu’ils en
donnent. Je ne suis pas davan- tage satisfait de Tassertion emise,
sans preuve, par Eustathe, dans son commen- taire des chants IV e
et V e de YOdyssee : a Les inspires (i) sont guides dans leur [On
appelait indifTeremment ItaKVETxat, ii a- 7UvrjXa' (inspires) ou spacjiat
(amants) ces couples ypov oux otosv x. t. X. Spartanus amor turpe
nihil quidquam novit. Sive enim ausus fuerit adolescentulus pati
turpia (upo-v uzoaeivat) sive amator facere (£»|Bp6 oat) neutri
quidem Spartee manere pro- fuerit : aut enim patria privarentur,
aut vita ipsa. Quare illud ela-vetv s. s[j.7ivsTv, illos
£ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa? vocat Eustathius (Hesych. afcav, s-aTpov)
ab in- spirando s. adspirando divino quodam spiritu, dictos
arbitror, unde afflati, ut 7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc,
divi- no quodam furore perciti, ruerent. Hic est ille furor, quem
supra) tetigi- mus, et de quo plura sunt in Platonis Phædro.
Nempe spiritum 7iveSp.a quum dicebant antiqui, non rem illi tantum cogitantem
indicabant, sed rem subtilem, magna ean- dem movendi et agendi vi
praeditam, etc. de friires d’armes , si terribles dans les
batailles. 'Etcnvelv (ad/lare) peut se traduire positivement par
meter les souffles ou metaphoriquement par avoir des aspirations
communes.] choix par la beaute et 1’elegance corporelle. Cela me parait peu
convenir a cette severite Laconienne dont temoignent tous les anciens et
Elien lui-meme, a Tendroit en question. On ignorait a Sparte ce que
detait que les impures amours. Si quelque jeune homme eut ose se
prostituer , ou prendre 1’autre role, il lui eut mal reussi de rester d
Sparte; il y allait pour lui de Vexilou de la mort. C’est ce qui me fait
croire que ces inspires, designes aussi sous les noms de compagnons,
freres d’armes, par Eustathe et par Hesychius, etaient ainsi appeles du
souffle ou de Tesprit en quelque sorte divin qui les animait,
lorsqu’ilsse ruaient sur l’ennemi comme transportes d’une fureur
plus qu’humaine. Nous avons deja parle de cette espece de delire, dont il
est si souvent question dans le Phedre de Platon. Il convient en
effet de remarquer que les anciens n’entendaient pas comme nous par
esprit une faculte intellectuelle, mais une essence subtile, douee
d’une grande forcc de mouvement et d’action. Non vagatur hcec extra
oleas ora- tio. Cum enim fuerit , quod, adhuc probatum est, in Græcia
r.aiozptxizv.a. quaedam honestissima, et sancta adeo , qua ad virtutem,
bellicam praesertim , et quidquid pul- chrum est, incitari homines
crederentur, cum nomina spojvuo?, Ipaaxou, raioapaaxou, itemque
spwuivoy, -atot/.wv, et similia tur- pitudinem nondum haberent : cum
illud raiSspaaxsTv res esset adeo honesta, ut quem ad modum capital
Romae erat servo, si militarat, ita Solonis lege multaretur
quinquaginta plagis publice, qui servus eXsuOspou 7ra'oo; spav, amare
liberum puerum, auderet : haec ita se cum haberent omnia, nemo jam debet
mirari, adolescentulorum esse amorem professum Socratem, fecisse illum, quae
ante dicta sunt, eaque scripsisse tanquam So- cratis dicta Platonem, quae
ex Phaedro commemoravimus . Quod mitior est vel Plato, vel ipse
adeo Socrates, (si quis ei tribuat, non satis ille quidem aequa ratione,
quidquid apud Platonem ex ipsius persona dictum ponitur) in hos etiam
quos Cette digression ne nous a pas eloigne de notre sujet. Puisqu’il
existait en Grece , comme nous venons de le prouver, une
jcatBspao-rfta tres-honnete, sainte, on peut dire, et reputee propre
a pousser les hommes au bien et a la vertu, surtout a la vertu
guerriere; puisque les mots d’amants, d’amis, de 7tad>epa<jTcu
et de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux; puisqu’il etait meme si
honorable de se livrer a cette zcaSspaardtix, que la loi de Solon
punissait de cinquante coups de fouet, subis en pleine place
publique, tout esclave qui aurait ose aimer un jeune homme de
condition libre; puisque tout cela est irrefutable, personne ne doit
s’etonner que Socrate ait professe 1’amour des j eunes gens, qu’il ait
lui-meme eprouve cet amour et agi en consequence; que Platon nous
ait transmis, comme l’ex- pression des doctrines de Socrate, ce que
nous avons cite du Phedre. Sans doute Platon ou, si l’on veut, Socrate,
quoiqu’il ne soit pas equitable de lui attribuer tout ce que son
disciple lui fait dire, se montre mala libido ad turpitudinem transversos
abripuit) illud primo hanc rationem , ut innuimus , habuit , quod
nec legislatorem hic, neque publicum accusa- torem ageret ; sed
Philosophum , sed amatorem, amicum certe quidem, qui non metu
pcence deterrere a turpitudine homines, sed virtutis amore revocare
a peccato vellet. Deinde erant forte, quibus parcendum erat,
juvenes a vitiis ejusmodi non plane puri, Alcibiades, Critias , alii,
9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem «popti- /Mxipcc et dcfikoaofM otattr)
yprjaajxsvoi quos abscisse nimis ab omni fructu Philosophice, ab omni ad
virtutem reditu excludere velle, et sic plane a se et a virtute
segregare, non erat consilii. Non instituam hic comparationes, quce
invi- diam habere possunt : sed illud addam unum, si forte aliquid
veri sit ineo, quod de liberiori Socratis adolescentia dictum est
/'§. : si non mendax historia , e
qua refert Origenes contra Celsum, qui superiorem vitee conditionem
primis Christi discipulis objecerat [beaucoup trop clement envers ceux
qu’un infame desir pousse a Tacte honteux. Son excuse, nous Tavons
deja dit, c’est que ce n’est pas ici un accusateur public ou un
legislateur qui parle, c’est un Philosophe, un ami, un amant, et il
essaye non de detourner les hommes du vice en les ef- frayant par
la menaee des chatiments, rnais de les dissuader d’une faute en
leur inculquant Tamour de la vertu. II y avait d’ailleurs peut-etre
autour de lui des jeunes gens qui n’etaient pas irreprochables et envers
lesquels il ne fallait pas se montrertrop dur, un Alcibiade, un Critias,
d’autres encore, pleins de fougue, adonnes a une vielicencieuse et
etrangere a la sagesse; les priver de quelques-uns des benefices de
la philosophie, c’eut ete leur fermer toute voie de retour au bien,
les eloigner de la personne du maitre et par consequent de la vertu. Je
ne cherche pas a faire des comparaisons qui pourraient sembler
malseantes; je veux ce- pendant rapporter un fait, vrai ou faux,
qui a traita la jeunesse un tant soit peu Phcedonem e lupanari traductum
ad Philosophiam a Socrate : quid facere illum oportebat in hac
disputatione? Nihil igitur est in Phædro , quod urgeat Socratem : si
quid incautius dic- tum sit , illa Platonis culpa fuerit: quamquam si
universam circumstantiam, ut a nobis ostensa est , quis consideret ,
etiam hunc accusare, vel non excusare, iniquum videtur. De Convivio
Platonis jam non opus est multis disputare. Distin- guat mihi
aliquis personas loquentes: ad universam libelli descriptionem,
quam vocamus Œconomian, ad Allegorian denique ab amore Venereo ductam
, ac translatam ad animos, quorum lenonem se et obstetricem ferebat
Socrates: ad hcec, inquam, mihi attendat aliquis, et et
l’amour grec q3 dereglee de Socrate. C'est Origene qui le
raconte dans son traite contre Celse. Celse reprochait aux premiers
disciples du Christ d’avoir ete tires de conditions abjectes;
Origene repondit que Socrate avait bien tire Phedon d’un mauvais
lieu pour le convertir a la Philosophie. Je vous demande un peu ce
que ce Phedon venait faire dans la discussion. On ne rencontre donc
rien dans le Phedre qui puisse incriminer Socrate; s’il y a ca et
la quelques paroles imprudentes, c’est la faute de Platon. Encore, si
l’on examine bien toutes les circonstances, comme nous 1’avons
fait, il serait injuste, tout en blamant Platon, de ne pas lui
trouver d’excuse. Nous ne nous etendrons pas longuernent sur son Banquet.
Que l’on distingue bien les uns des autres les interlocuteurs, que
Fon fasse attention a 1’ensemble du dialogue, a ce que nous
appelons 1’economie de 1’ouvrage, que Fon analyse enfin cette allegorie
tirce de 1’amour physique, puis appliquee aux mirabor, si quid ibi
sit, unde Jiagitio ipsi praesidium, vel crimini in Socratem jactato
firmamentum peti possit. Sed est in illo libro, quod maxime ad
defenden- dum a Socrate fagitium pertinet, quod ut magis pateat,
tota ultimee partis, et velut actus postremi fabulae illius convivalis,
CEconomia proponenda est, e qua ipsa appareat, velle pro veris haberi
Platonem, qua ’ in Alcibiadis personam conjecta de Socrate
dicuntur. Ebrius nempe Alcibiades ad eum finem, ut neque pedes
officium faciant, comissator supervenit potantibus apud Agathonem
Socrati ceterisque. Hic, ex lege compotationis, dextrum sibi accum-
bentem Socratem laudare jussus, obse- quitur cum professione ebrietatis,
ut tamen vera se dicturum confirmet et redargui petat, si quid mentiatur.
Ac primo sub imagine quadam lau [idees, dont Socrate se donnait comme
l’entremetteur et Taccoucheur, et je serai bien surpris si 1’on y decouvre
quoi que ce soit en faveur du vice infame ou a 1’appui de
1’accusation portee contre Socrate. On pourra y puiser, au contraire, les
meilleurs arguments pour l’en defendre; mais il est necessaire d’exposer
ici toute 1’ordonnance de la derniere partie, ou plutot du dernier
acte de ce dialogue, ou il est clair que Platon veut nous faire
tenir comme vrai ce qu’il a place, touchant Socrate, dans la bouche
d’Alcibiade. Alcibiade arrive a la fin du festin dans un tel etat
d’ivresse que ses pieds refusent de le porter; il veut prendre sa
part de plaisir avec Socrate et les autres, en train de boire chez
Agathon. La, par suite d’une convention adoptee entre les convives,
il est force de faire 1’eloge de Socrate, assis a sa droite, et
demande de 1’indulgence, en se fondant sur ce qu’il est ivre ; il
affirme pourtant qu’il ne daturus Socratem, cum Sileno aliquo (Conf.
J nominatim cum Satyro Marsya , tibicine, illum comparat, cujus
figura, ex ligno, edolata ruditer atque deformi, utebantur artifices pro
theca, quce intus haberet pulcherrimum aliquem Mercuriolum:
scilicet in corpore deformi habitare animam pulcherrimam demonstrat: et
esse tibicini Marsyce similem Socratem, ob illam vim demulcendi
animos, cui resisti non posset. Deinde narrat, cum eundem pulchrorum
sectatorem quendam ct capta- torem videret, se, qui fiduciam
fornice haberet, sperasse, si pellicere virum ad amorem sui
(venereum nempe) posset, eique se prceberet obsequiosum, impetra-
turum se ab illo admirabilem illam artem, et ablaturum, quce Socrates
sciret, omnia. Hinc narrat verbis quidem honestis modestisque, et tamen
venia ante dira que la verite et exige, s’il se trompe, qu’on lui
donne un dementi. II com- mence, pour louer Socrate, par le com-
parer a ces grossieres figures de bois representant Silene ou le satyre
Marsyas, le joueur de flute, sculptees sans travail et sans art, dont les
statuaires se servaient comme de gaines, et qui recelaient a 1’interieur
quelque joli petit Mercure; ainsi, dit-il, dans un corps difforme peut
habiter une belle ame; de plus, Socrate ressemble au joueur de flute Mar-
syas en ce qu’il a, pour charmer, une force a laquelle nui n’est en etat
de resister. II raconte ensuite que le voyant s’attacher a la
poursuite des beaux adolescents et s’efforcer de les prendre dans ses
filets, plein de confiance en sa beaute parfaite, il avait essaye de lui
inspirer de 1’amour, comptant bien qu’avec un peu de complaisance
pour ses desirs il obtiendrait de lui qu’il lui communiquat son admirable
science, et qu'il gagnerait a cela tous les talents de Socrate.
Alcibiade exorata ebrietati , et pro? Fatus uti servi aliique profani
aures obturent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s) quam
varie, et quibus veluti gradibus, frustra continentiam Socratis,
temperan- tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adjicit) tentarit. Summam
facit hanc, ut Deos Deasque testes faciat, se cum totam noctem sub eadem
veste cum Socrate jacuisset, non aliter ab illo, quam ut filium a
patre, aut a fratre majori frater deberet, surrexisse. Itaque se frustratum spei esse in homine,
quem hac sola forte parte capi posse putasset. Enumeratis deinde aliis
Socratis virtutibus, bellica prcesertim , qua sibi etiam vitam
servarit, addit, non se tan- tum contumelia tali ab eo affectum ,
sed Charmiden etiam , Euthydemum et gg place ici, mais en
termes honnetes et mesures, quoiqu’il se soit excuse sur son
ivresse et qu'il ait recommande aux esclaves et aux profanes de se boucher
les oreilles, le recit des gradations savantes et de tous les
stratagemes vainement mis en oeuvre par lui pour induire en tenta-
tion la continence, la temperance ou plutot, comme il le dit fort justement,
l’heroique fermete de Socrate. II conclut en disant: Je prends les dieux
et les deesses d temoin quapres avoir repose toute une nuit d cote
de Socrate, et sous le meme m ante au , je me levai d'aupres de lui
tel que je serais sorti du lit de mon pere ou de mon frere aine. Ainsi,
le seul point par lequel il croyait que cet homme fut accessible
avait tout a fait trompe ses esperances. Apres avoir ensuite enumere
les autres vertus de Socrate et appuye sur sa valeur guerriere, a
laquelle il etait lui-meme redevable de la vie, il ajoute qu’il n’est pas
le seul, du reste, a qui Socrate alios multos, quos ille amoris
simulatione deceptos in potestatem suam redegerit, ou? oiito;
s^aTCatojv w; IpaartT)?, Tuatoty.a piaXXov autos -/.aOiaTa-ai avi’
epaotou. Nempe adulabantur vulgo amatores , certe qui turpe quid
spectarent, pueris aetatula sua et illa ipsa adulatione superbientibus.
Alia ratio Socratica , quae etiam supra in Lysidis argumento declarata
est. Suavissima sunt reliqua in Symposio Platonis: eo autem referuntur omnia,
ut intelligamus Socratis hanc fuisse consuetudinem, pulchrorum amorem uti prae
se ferret, cum illis suaviter et amice ut versaretur, ut virtutis
illos amore impleret, reliqua omnia non tanti esse ostenderet , in quibus valde
sibi elaborandum vir sapiens existimaret. Sanctus ergo Paederasta
Socrates, et foedissimi, si quod usquam est, crimiait fait un tel
affront; que pareille chose est arrivee a Charmis, a Euthydeme et a
bien d’autres qu’il avait feint d’aimer tendrement, pour mieux les
asservir et les diriger. Les amis vulgaires, ceux surtout qui esperaient
de honteuses complaisances, se faisaient les flatteurs des jeunes garcons,
et ceux-ci n’en etaient que plus fiers de leur beaute. Autre etait
la methode Socratique, comme nous l’avons montre plus haut en exposant le
sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Banquet de Platon, est charmant; tout
aboutit a nous montrer que telle etait la coutume de Socrate de
rechercher les bonnes graces des jeunes gens que distinguait un exteneur
gracieux, et de vivre avec eux dans une douce et agreable intimite,
afin de leur faire aimer la vertu; ce point obtenu, il jugeait
facile de leur donner les autres qualites qu’un sage doit s'appliquer a
acquerir. Ainsi, Socrate n’avait pour la jeunesse qu’un amour chaste; il
etait pur du nis expers: a quo etiam alios avocare studuit, quod
Critice exemplo docet Xenophon, ejus, qui post in triginta tyrannis
fuit, quem Euthydemi pudori insidiari cum sentiret, utxov ti Tiaay
eiv dixit, suillo more prurire, eaque re inimicitias hominis factiosi et
potentis sibi contraxit; quibus carere poterat , nisi potius
fuisset officium. Sed admonet me
Xenophon de crimine alterius illo quidem generis, et multo, ut in
malis, tolerabiliore : quod tamen ipsum etiam in illo adhaerescere,
quantum in me est, non patiar. Accusatur, ut naturalis quidem , sed malce tamen
libidinis suasor et leno quidam, propter ea quce referuntur in
Xenophontis Convivio. Sed nec ibi quidquam est, cujus bonum Socratem, aut
illius amicos pudere debeat. Spectacula exhibentur convivis mirabilia,
partim vice infame entre tous. Bien mieux, il s’efiforcad’en detourner lesautres,
comme Xenophon nous 1’apprend par 1’exemple de Critias. Ce disciple
de Socrate, devenu par la suite l'un des Trente tyrans, avait voulu
attenter a la pudeur d’Euthydeme; lorsque son ancien maitre Bapprit: II
a le prurit du porc{ i), s’ecria-t-il ; paroles qui lui attir£rent
1’animosite d’un homme puissant et redoutable, ce qu’il lui eut ete
facile d’eviter, s’il n’avait mieux aime faire son devoir. 3g. Mais
Xenophon me fait songer a une autre accusation qui a ete egalement
portee contre Socrate; quoique moins grave, elle n’en est pas moins
facheuse, et je l’en disculperai de toutes mes forces. On lui
reproche, a 1’occasion d’un incident rapporte par Xenophon, dans son
Banquet , d’avoir excite ses disciples a la debauche, ce qui serait
pernicieux encore, [Concupiscit ad Euthydemum se affricare
quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xenophon, Memorabilia). etiam
periculosa, et horrorem quendam spectantibus moventia, inter districtos gladios
corpora saltu jactantium, aut in figuli rota circumacta scribentium
le- gentiumque. Non placent ea Socrati, qui aptius convivio
spectaculum putat ipyjln- Gat r.poc, tov auXov T/rJijiaTa, Iv oi; Xapixe;
ts •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad tibiam edi motus et
saltationes, eo habitu, quo Gratiae, Horae, Nymphae a pictoribus
exhibentur. Forte suspectum alicui fuit hoc quod Gratice nuda; pingi
solent. Sed huic sus- picioni repugnat , quod dicitur Ariadne illa
saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,, sponsce autem profecto apud
Grcecos nudce esse bien qu’i.1 s’agisse ici de plaisirs conformes au vceu
de la nature, et de s’etre fait, en quelque sorte, entremetteur. II n’y
a rien, dans ce passage, dont doivent rougir 1’honnete Socrate et
ses amis. Des mimes viennent d’executer devant les convives toutes
sortes d’exercices extraordinaires, quelques-uns tres-dangereux et
propres a donner le frisson aux spectateurs; on a vu les uns
presenter leurs poitrines, en sautant, a des pointes d’epees rangees
en file; d’autres lire ou ecrire enfermes dans une roue de potier
mise en mouvement. Ces exercices deplaisent a Socrate ; il pense
qu’il serait plus convenable, au milieu d’un festin, de voir des
danseuses executer des poses, au son de la Jlute, sous le costume
que les pcintres pretent d’ ordinaire aux Graces, aux Heures et aux
Nymphes. Cela a pu paraitre suspect parce qu’on a coutume de
representer les Graces toutes nues. Mais ce soupcon ne repose sur
rien, car la danseuse qui parut alors, habillee en nymphe,
representait I Ob non solebant : nymphae in insectis ab eo
ipso dicta?, quod involuta? sunt. Gratias decenter vestitas contemplari
licet in Grcecis monimentis apud Montfauc. Ant. Expl. To. i Tab. iog
ad p. ij6. Movit forte eum, qui primus crimen hinc excerpsit
Socrati, a/r^a-coiv appel- latio, qua? inter alia ad turpes figuras
refertur, quales olim Philcenidis et Elephantidis commendatas libellis
fuisse constat, ut hic ejusmodi impudens spectaculum suspicaretur .
Sed tum interjecta
de amore disputatio tum ipsa perfectio exsecutioque consilii (c. g)
suspicionem illam eximunt. Aguntur Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut
in scenam nihil veniat, pra?ter oscula et [De quibus Spanhem. de usu
et Praest. numism. Diss. Hic ay 7 jfi a est omnis gestus saltantium
blandus, minax, derisor. Vid. Lucia. de Saltat. extr. Apertior,
simpliciorque , et incautior adeo Xenophontis de his rebus oratio , quam
Plato- nica : sed cujus summa eodem pertineat, uti ab impura
libidine ad sanctam animorum conjunc- tionem homines revocentur. Ariadne, et les Grecs ne
permettaient pas le nu dans les roles de femmes mariees.
D’ailleurs, certains insectes imparfaits sont appeles nymphes precisement
parce qu’ils sont enveloppes. On peut voir aussi, dans YAntiquite'
ex- pliquee de Montfaucon, que les Grecs, meme sur leurs monuments,
figuraient les Graces decemment vetues. Celui qui le premier a lance
contre Socrate cette accusation s’est peut-etre effarouche du mot
pose, qui, entre autres, est applique a des images obscenes, du genre de
celles qu’on rencontrait dans les livres de Philænis et d’Elephantis; il
a soupfonne Socrate d’avoir reclame un spectacle lubrique. Or,
ladiscussion surTarnour qui intervient alors, 1’execution et l’ache- [Spanheim
(De prostantia et usu numismatum antiquorum) parle de tout cela. On
appelait poses toute esp6ce de geste lascif, provocant ou railleur,
des mimes. Comparez Lucien, De la Danse Le dialogue de Xenophon est bien
plus franc, bien plus simple et bien moins circonspCct que celui de
Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au meme amplexus, cetera
reservantur postsceniis. but, qui est de detourner les hommes des plaisirs
les plus impurs et de les rapprocher dans une sainte communion des
ames. Tales saltationes s. repraesentationes etiam pars sacrorum
erant. Apud Lucia. in Pseudom. xsXsx7]'v xtva cuvtaxaxat Alexander,
xai SaStyta?, xat tepocpavxta; In his mysteriis et sacris etiam est
KoptoviSo? yapto; cum Apolline item riooaXstpiOU xai pLTjTpo;
AXs^avSpou yauo; denique SsXrJvr^ xai AXs^avBpou spto? Alexander ut
Endymion alter xaOsuSwv exsixo sv xw piato cptXrjtxaxa xs eytyvovxo xat
~£pt~Xoxa\, st 8s ar t r. oXXat iqaav at 8a8ss, xay’ av xt xat xwv utco
xoXtcou sjxpaxxsxo. Apposui locum, quia hic etiam 7t$pt7tXoxa'i, et
tamen nihil obscenum. vernent immediat du divertissement qu’il
avait demande, enlevent toute force a cette conjecture. Les mimes
representent les noces d’Ariadne et de Bacchus: mais on ne voit
rien de plus sur la scene que des baisers et des etreintes
amoureuses; le reste se passe derriere le rideau. Ces sortes de danses et
de reprdsentations faisaient partie des Myst6res. Dans lM lexander
seu Pseudomantis, de Lucien, on voit Alexandre, introduit comme nouvel
initii, passer par les 6preuves du dadouque et de l’hi<5rophante. Parmi
les scenes religieuses auxquelles cette initiation donne lieu
figurent : les noces d’Apollon et de Coronis, celles de Podalirius et de
la mere dAlexandre, enfin les amours d’Alexandre et de la Lune. «
Alexandre, comme un autre Endymion, etait couchd au milieu du
theatre; on dchangeait des caresses et des baisers. S’il n’y avait pas eu D des
torches en quantite, peut-etre bien qu’il se fut laiss6 entrainer a faire
qucedam earum quce sub veste Jieri solent. Cest un peu ldger; cependant il n’y
a rien la de bien obscene. Gesner aurait du citer Lucien plus
completement; ce passage du Pseudomantis offre un tableau de genre
exquis: Alexandre, comme un autre Endymion, etait couche au milieu du
thdatre, faisant semblant de dormir. II tombait de la voute, comme
du ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait le role de la
Lune et qui dtait la femme d’un intendant de 1'einpereur. Elie aimait
vraiment Alexandre et Finem et effectum negotii ita indi- cat
Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci’.oovte; T:ept6e6Xr]xdT:a; ts
aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv aTr-.ovTa:, 01 (j.r,v ayauoi yaixetv
£zw[xvuaav, 01 oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci xou; ? 3 C 7 COUS,
a-rj- Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim; xojxojv xuy otsv .
Tandem post blanditias quasdam, verecundas, maritales, complexi se
invicem sponsus et sponsa, i. e. manibus implexis, vel brachiis mutuo cervici
im- positis, vel tergo circumjectis, velut cubitum discedunt: ab
hoc spectaculo incalescentes , et ut paullo ante dicebat,
av£7iTEpo)|jiivoi convivae cælibes dejerant, se ducturos esse uxores ;
mariti autem equis conscensis domos festinant, ut simili voluptate et
ipsi fruantur. Utinam vero e spectaculis et theatris hodie ita
discederetur! utinam Socratis hac parte disciplinam sequeren- tur
publicarum Voluptatum Tribuni. Talia spectacula edere debebant Romani eu
6tait aimee. Sous les yeux de son propre mari, iis echangeaient des
caresses et des baisers. Xenophon indique de la maniere suivante la fin
et les resultats de l’histoire. Apres toutes sortes de caresses honnetes
et maritales, les deux epoux se tenant embrasses, c’est-a-dire, je
pense, les mains entrelacees ou les bras passes mutuellement soit autour
du cou, soit autour de la taille, s’eloignerent comme pour aller se
coucher. Echauffes par ce spectacle et se sentant de furieuses
demangeaisons, comme s’il leur poussait des ailes, les convives encore celiba-
taires /irent le serment de ne pas tarder a prendre femme ; les maris
monthrent a cheval et se haterent de regagner le logis, pour gouter d
leur tour de semblables voluptes. Plut au ciel qu’aujour-d’hui on quittat les
spectacles et les theatres dans de si bonnes intentions! plut au
ciel que cette partie de la discipline Socratique fut pratiquee par les
ediles preposes aux plaisirs publics! Ce sont de tels divertissements
qu’auraient du decreter les empereurs Romains, soucieux d’exciter toutes les
classes au ma principes, cum de maritandis ordinibus, et sobole Romana
augenda soliciti erant: talia conveniebant nuper Lutetia? et Gallice adeo
universae, quum Ducis Burgtindice natalem nuptiis mille puellarum
celebrarent: talia magnam Britanniam, si quid veri habent quorundam
qucerelce, Swiftiance praesertim, quas eo loco protulit, ubi de abrogando
clero disputat: aut eorum, qui hodie peregrinos invitandos,
supplendi populi causa. et civitate donandos, censent. Nempe incidit aetas
Socratis in ea tempora, ubi civium paucitate laborabat exhausta
bellis Persicis et Peloponnesiacis Attica, cui etiam lege matrimoniali
obviam ire, et afferre remedium , conati esse dicuntur. Debemus notitiam
hujus legis ipsi Socrati, quatenus nulla forte illius mentio extaret
hodie, nisi de duabus Philosophi uxoribus jam olim disputatum esset. Res cum
queestioni. de qua riage ct d’accroitre la posterite de Remus: iis
auraient convenu naguere a la ville de Paris et a la France entiere
lorsqu’on feta la naissance du duc de Bourgogne en mariant un millier
de jeunes falles; iis auraient bien fait Faffaire de la Grande-Bretagne,
s'il y a quelque chose de vrai dans ces plaintes dont Swift surtout
s’est fait l’e'cho et qui reclamaient 1’abolition du celibat despretres;
iis conviendraient encore a ces pays ou l’on attire les etrangers en
leur conferant les droits civiques pour suppleer au petit nombre
d'habitants. Socrate vivait a une epoque ou 1’Attique, epuisee par
les guerres des Perses et du Peloponese, souffrait de ne plus avoir
qu'une population clair-se-mee; on dit menae que les Atheniens s’efforcerent de
remedier a cet etat de choses par une nouvelle loi touchant lesmariages.
Nousdevons l’unique renseignement que l’on ait sur cette loi a Socrate ,
car il n’en subsisterait aujourd’hui aucune agimus conjuncta sit,
illam, quam breviter jieri potest , expediemus. Duas So- crati uxores
vulgo tribui videmus, Xanthippen e qua Lamproclem susceperit, et Myrto ,
Sophronisci atque Menexeni matrem. In hoc conveniunt Cyrillus
(contra Julia) et Theodoretus (Grcecar. Affect. curat) ac Diogenes
Laertius. Porro de Xanthippe Cyrillus ex Por- phyrio,
7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in ipsius amplexus venisse ; quod
plane repugnat Platoni et Xenophonti, qui nullius conjugis prceter
Xanthippen, justam uxorem, mentionem faciunt : tum Theodoreto, qui tamen
ipse quoque sua debere ait Porphyrio, sed non tantum pro
TCspiTt^axetaav XaOsTv habet 7:po<j-XaxeTcjav Xa6sTv, induxisse priori
uxori, ut pereat illa secreti, et furti amatorii notio : sed etiam
addit, solitas esse eas mulieres inter se depugnare, deinde pace facta
conjunctim impetum facere in Socratem ideo, quod is bella illarum non
dirimeret: hunc vero utrumque genus pugna:
mention sans la controverse autrefois agitee au sujet de ses
deux femmes. Comme cette question tient a notre sujet, nous la discuterons
bridvement. On donne communcment a Socrate deux femmes : Xantippe,
dont il eut un de ses fils, Lamprocles, et Myrto, la mere de
Sophronisque et de Menexene. S. Cyrille, Theodoret et Diogene de Laerte
sont tous les trois d’accord la-dessus. Mais S. Cyrille, empruntant ce
detail a Porphyre, dit de Xantippe que son mariage avec Socrate fut
clandestin, qu’elle se cachait pour 1’embrasser, ce qui contredit
absolument Xenophon et Platon, puisqu’ils ne parient d’aucune autre
femme que de Xantippe, epouse legitime de Socrate. Theodoret, qui lui
aussi dit tenir de Porphyre ses renseignements, change
7iepi7tXoaEiaav XaOsTv en npovnXxxsT- aav XafleTv et declare ainsi que
Socrate introduisit Xantippe chez sa premi^re femme, ce qui ruine
toute cette histoire de mariage secret, et de furtifs baisers; bien
mieux, il ajoutc que ces deux mecum risu speci are consuevisse. Utri fi
dem habebimus? Sed nondum est finis discordiarum. Theodoretum si audimus,
induxit Xanthippen suce jam Myrto Socrates: sed Laertius negat
convenire inter auctores, utram prius duxerit. Idem ait, simul ambas
habuisse Socratem, a quibusdam esse traditum. In hac sententia etiam fuit
auctor Dialogi Halcyon , qui inter primos Lucianeos editur, in
cujus fine Socrates dicat, se Halcyonis amorem in maritum suis conjugibus
Xanthippee et Myrto prcedicaturum esse. Antiqua porro esse illa relatio
memoratur Callisthenis , Demetri Phalerei, Satyri Peripatetici, Aristoxeni
Musici, geres se battaient continuellement, puis la paix faite,
tombaient a poings fermes sur le pauvre Philosophe, en lui reprochant de
ne les avoir pas separees: pour lui, il restait simple spectateur du
combat et voyait donner ou recevait lui- meme les coups en souriant. A
qui faut-il s’en rapporter, de S. Cyrille ou de Theodoret? Et nous
ne sommes pas au bout de la querelle. Dapres Theodoret, So- crate
epousa Xantippe, dtant deja marie a Myrto; mais Diogene de Laerte
af- firme que les auteurs ne sont pas d’accord et qu’on ne sait qui des
deux il epousa la premiere. Il dit aussi qu’il les eut toutes les
deux ensemble, et sur quelles autorites repose cette assertion.
Elie a ete accueillie par 1’auteur du dialogue intitule Alcyon, imprime en
tete de ceux de Lucien; on y voit Socrate proposer en exemple a ses
deux femmes, Xantippe et Myrto, 1’amour d’Alcyon pour son mari.
Plutarque (Vie d’Aris- i Hieronymi Rhodii, apud Plutarchum (vita
Aristid. extr.) qui ceteris narrandi auctorem fuisse ait Aristotelem in
libro de nobilitate, (rapi s-jyevsia;) qui tamen liber an sit
Aristotelis, Plutarchus dubitat : narrant autem ita, Aristidis neptim
Myrto, vidua cum esset et paupercula, domum ductam a Socrate, eique
cohabi- tasse, licet aliam uxorem habenti. At non licebat a Cecrope
inde Athenis plure s una habere uxores. Qui sit igitur, ut neque
Comici exprobrarint, neque Accusatores objecerint digamian Socrati?
Hic nobis narrant Athenaeus et Laertius legem, latam supplenda 1
multitudinis civium causa. Exstabat Athenceo prodente ipsum decretum a
Rhodio Hie- ronymo conservatum, wax' si-eivat xai ouo ET L’AMOUR
GREC I i q tide) rapporte que cettc opinion etait ancienne, et qu ;
elle fut partagee par Callisthene, Demetrius de Phalere, Sa- tyrus
le peripateticien, Aristoxene le musicien et Hieronyme de Rhodes;
Athenee dit de son cote qu’ils Tavaient tous puisee dans le Traite de la
No- blesse d Aristote, livre dont cependant Plutarque doute
qu’Aristote soit l’auteur. Tous racontent que Myrto, pe- tite-fille d
Aristide, etant veuve et se trouvant dans une extreme pauvrete, fut
recueillie par Socrate dans sa maison et qu’il cohabita avec elle, quoiquhl
fut deja marie. J Les vieilles lois de Cecrops inter-disaient
cependant a Athenes les doubles unions. Pourquoi donc ni les poetes
co- miques, ni les accusateurs de Socrate ne lui ont-ils reproche
ou oppose ce cas de bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee et
Diogene de Laerte nous parient de cette loi nouvelle, edictee,
disent-ils, dans le but d’accroitre le nombre des citoyens. SOCRATE
'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov. Secundum haec male accusaretur
Socrates, qui et legi paruerit de augenda sobole Attica, et
Aristidis progeniem viduitate et pauper- tate extrema
liberaverit. Verum enim vero totum hoc de duabus Socratis uxoribus,
quin de lege maritali etiam falsum esse, prcesertim ex dissensu
commemorato, itemque ex Platonis et Xenophontis silentio arguit
Bentleius. Et habet , quantum est de monogamia Socratis, magnum
auctorem Pancetium, quem laudat Plutarchus, qui cum retulisset eam
quce modo proposita est de Myrto narrationem, satis illam refutatam
ait a Panaetio: cujus si opus hodie extaret, facilior forte hodie esset
causa Socratis, quem tamen a turpi pue- [In Dissertat, de Phalaridis et
exteror. Epistolis, ET l’aMOUR GREC Athenee s’avance jusqida dire qu’il
y avait un decret, conserve par Hieronyme de Rhodes, et ainsi
concu: « 11 est permis d’avoir jusqua deux femmes. Si cela est vrai, on
accuserait mal a propos Socrate, qui n’aurait fait qu’obeir a la
loi portee en vue de repeupler 1’Attique, et qui de plus aurait sauve du
veuvage et de la mis&re la petite-fille d’Aristide. Mais
vraiment Phistoire des deux femmes, tout aussi bien que celle de la
loi matrimoniale, paraissent en-tachees de faussete a Bentley; il se
fonde surtout sur le desaccord que nous avons signale et tire une grande
preuve du silence de Platon et de Xenophon. Nous avons, pour ce qui
est de la monogamie de Socrate, une excellente autorite, Pantetius, dont
Plutarque fait le plus bel eloge; apres avoir rapporte ce que nous
avons dit de Myrto, il ajoute que cettefable a ete suffisamment
refutee Dissertation sur les Epitres de Phalaris, Themistocle, Sacrale
et Euripide (iu-8"). SOCRATE
rorum amore, et a lenocinio turpi, et a libidinosa digamia, vel sic satis
liberatum esse confido. ET L AMOUR GREC par Panaetius. Si nous possedions
son livre, la cause de Socrate serait aujourd’hui plus facile a defendre;
je pense cependant avoir prouve qu’il ne fut ni un corrupteur de la
jeunesse, ni un provocateur a la debauche, ni un bigame
libertin. Alcibiade; ses avances repouss^es par Socrate. Ame,
comparde par Platon a un attelage ai!6 classification des ames suivant le degrd
de connaissances acquises avant la vie, p. Amour
philosophique, raisons qui dirigent les choix dans cette
sorte d’amour les impuretes ou il peut s’egarer Analyse du Lysis,
dialogue de Platon du Phedre du Banquet Beaute morale et Beaute physique
-- Bigamie; Socrate eut-il deux femmes? la bigamie etait-elle
autorisde en Grece ? Cohorte sacree des amants, a Thebes et
en Crete -- Inspires; couples d’amis Minies; leurs exercices et poses
plastiques -- riaiospaatsta, le mot et la chose pouvaient etre pris
en bonne part, chez les Grecs Peines portees par les Grecs contre
les infames Pronostics tirds par les physionomistes de la voix
forte et grave de lencolure courte des oreilles velues -des grosses
levres -- du nez camard des yeux saillants, Representations mythologiques
et divertissements dans les festius dans les mysteres effets singuliers
produits parfois sur les convives par ces representations, p.
m. Socrate; motifs ordinaires des accusations portees contre lui pourquoi
il recherchait les beaux garcons son portrait physique Socrate
l’ Ecclesiastique; comment il a accuse, sans preuves, Socrate le Philosophe Sparte
; coutume rappor- t6e par Elien -- les amours impures y etaient
ignorees Paris. Imp. Motteroz, 3 i, rue du Dragon. Gabriele
Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica, dialettica, Epicuro a Roma,
Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone. -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giannetti: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del corposcolarismo – filosofia carrarese – scuola d’Aulla –
filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Albiano di Magra). Filosofo carrarese. Filosofo toscana. Filosofo
Italiano. Aulla, Massa-Carrara, Toscana. Grice: “I like Giannetti; for one, he
is the only philosopher I know whose first name is ‘Pascasio.’ He taught at
Pisa, but not in the tower – Oddly, while he is from Tuscany, there is a street
(‘via’) in La Spezia named after him!” – Grice: “His logic was considered
heretic, at least by the duke, who diligently expelled him from any obligation
of teaching!” – Insegna a Pisa. Quando
lascio la cattedra, gli successe Grandi.
Di formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato da Grandi,
che lo aveva anche introdotto a Newton, cura GALILEI (Firenze). Rimosso da Pisa
da Cosimo III de' Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo. N C. Preti, Dizionario Biografico degli
Italiani, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica
e moderna Lunigiana, Dizionario Biografico degl’Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. Essendo G. tra'maestri più singolari di
filosofia a Pisa, quanto onore a quello Studio recasse non si può dire. Costui
ebbea quelle scienze pro clive natura, e tanta forza e vivacità d'ingegno che a
sermonare e discorrere di materie filosofiche pare nato a posta. È e'di Albiano
di Lunigiana, e divenne lettore in detta Università; e così bene in cattedra
sue dottri ne tratto, che per lo più savio discepolo di Marchetti e Bellini,
cattedranti nobilissimi, tutti lo conoscevano. Nulla ignoto eragli di quanto GALILEI
e Gassendo aveansi ritrovato, e sostenitore acerrimo fu della filosofia
corpusculare. Per ques stoguerra eterna pareva intimata avesse a tutti li
Peripatetici e Scolastici ostinati; che ligii si di chiaravano agli antichi
sistemi, quali adesso ricor dansi appenanelle scu ole de'monasteri. Per lo che
G. è tenuto per uno de'più arditi e co raggiosi sostenitori degl’insegnamenti
novelli e assai molesto riuscì a'superstiziosi filosofanti, ma in particolar
modo ai Gesuiti i quali, potendo al loramoltissimopressoCosmo III de'Medici, fecero
in grave sospetto cadere di errori di religione G. non solo, ma quasi tutta la
Pisana Università. Per tale cagione , sendo state forti let tere scritte e
minaccevoli ai professori con ordi nare, che non volevasi filosofia democratica,
G., cui sapea benissimo delle persecuzioni altrui schermirsi e rintuzzare le
dicerie degli imperiti con la dotta e mordace sua lingua, difese con trion fo
la causa per iscrittura,nè mai digua proposta sentenza cesso. Finalmente
costretto di mutar cattedra e di leggere medicina, non ostan te filosofava su i
nuovi sistemi anche interpretan do gliaforismi d'Ippocrate e di Galeno,e men
tre con eloquio squisito e con pompa di erudizio ne le materie mediche
spiegavà, senza punto de nigrare alla gravità della scienza e del loco ; l' al
trui cabale e leggerezze con vaghi scherzi e arguti motti derideva. Moltissimo
ancora si adoperò in fisiciani sperimenti e nelle savie cure di Tilli per ogni
maniera di lode famoso: nè mezzanamente sidistinse insieme con lo Zambescari di
Pontremoli suo collega a sperienze fare nti lissime su le terme del territorio
Pisano e Luriena se,che servirono ad ambeduni di grande merito. Intra le altre
fece minute prove su l'acqua salsa di Monzone di Lunigiana, e trovolla più
efficace di quella del Tettuccio di Valdi Nievole, e poteró Viri
Paschasii G. Albianeusis Philosoph. et Medicin, in Pisau. Acudem. Professoris
logeniiacumine eloquen.et ingenua philosoph. libert. Quam difficillimis
temporib, fere solus inter Acadlem. retinuit Concesserat Aun. S Thomas Perellius praecept. et Amico Vasoli Io non
posso tacere di aver molte cose rica vato diquesto librodalle fạtiche e dagli
scritti di questo Vasoli di Fivizzano, il quale sembra avesse in mente
d'illustrare sua patria , e però non deggio scordarmi di retribuirlo di grata
inemoria, tanto più che molto distinto riuscì nel la medicina e buon
coltivatore della poesia. Que stouomoerudito, comeraccontaincertosuoEr bariolo
Lunense m . s., avendo studiato prima a Bolognae poi a Pisa allascuola del celebre
Malpighi, dove si dottorò verso la fine del si estrarre il sale catartico
a guisa di quel d' In ghilterra , se non venisse incautamente adulterata.
Benespesso Pascasio dilettavasi d'investigare le azioni è i consigři degli
uomini più che i segreti dellanatura,equasi Epicuro con aspreparoleab batteva i
vizi ele inezie altrui. Mente profonda mostrò in tutto, ma poca industria: e
vivendosi fino alla vecchiezza, dopo anni di lettura in quella università, muore
in una villetta che avea a Capannoli su quel di Pisa, e sepolto nella chiesa diquella
terra, fugliper Tommaso Pe relli suo scolare messo questo marmo sopra il se
polcro, riferito ancora da inonsignor Fabroni in sua stor. dell'Univ. Pis., dove
parla di G.: = Pijs Manibus et Memoriae aeternae Cum paucisaetatis suae
comparandi Obiit Octuagenario major in proxima Villula In quam post impetratam
a docendo vacationem G. Nasce, da Polidoro, ad Albiano Magra di Aulla in
Lunigiana. Avviato agli studi filosofici, li coltivò, insieme con quelli
medici, presso l'Università di Pisa, dove era ben viva la tradizione galileiana
e, in fisica e in medicina, era ben rappresentata la corrente
meccanico-corpuscolarista. Fu il gruppo di docenti formatisi alla scuola di
G.A. Borelli a istradarlo verso questa tradizione concettuale; soprattutto
Marchetti, Bellini e Zerilli lo introdussero allo studio delle opere, oltre che
di Galilei, di Gassendi e del Borelli. Parallelamente, G. attinse da G. Del
Papa gli stimoli di un diverso indirizzo, anch'esso presente nell'ateneo
pisano, teso a far convivere, soprattutto in campo medico, il galileismo con
esigenze di ordine pratico. Laureatosi in filosofia (promotore e il Del
Papa), G. ottenne nello stesso anno la lettura di logica e filosofia naturale.
Il suo magistero, argutamente antiaristotelico e apertamente atomistico,
dovette risultare piuttosto efficace. Quando si delineò una reazione generale
della Chiesa contro quelle interpretazioni dello sperimentalismo considerate
arbitrarie e potenzialmente eversive dell'ortodossia religiosa, a causa dei
possibili esiti materialistico-libertini, il G. fu direttamente coinvolto. Insieme
con altri sei lettori pisani, si vide intimare dall'auditore F.M. Sergrifi di
non insegnare la filosofia atomistica. Per nulla intimidito, a detta di
Fabroni, G. alimentò le polemiche che seguirono con un libello, oggi perduto,
in difesa dei lettori ammoniti. Poca sorpresa dovette quindi destare tra i
contemporanei il provvedimento, preso dal governo di Cosimo III, di trasferire
G. alla lettura di medicina teorica, mitigato dal permesso di tenere lezioni
domiciliari di filosofia. Come lettore di questa disciplina medica, il G.
mostrò di voler tenere aperti spiragli per un discorso "moderno".
Lesse gli Aforismi d'Ippocrate, proclamandosi così seguace dell'indirizzo che
privilegiava la pratica clinica sulle questioni di teoria medica, ma nel
commentarli continuò a seguire i novatori. In particolare, a quanto
sembra, già in questa fase i motivi galileiano-gassendiani si erano venuti in
lui incrociando con motivi della dottrina newtoniana. Da questa aveva recepito
la tesi della struttura porosa della materia, che, attraverso l'ipotesi dei
diversi ordini di combinazione dei corpuscoli, è assunta come matrice delle
qualità macroscopiche dei corpi. È probabile che una delle fonti attraverso le
quali il G. venne a conoscenza della teoria newtoniana sia stata il padre
camaldolese G. Grandi, suo buon amico (Ortes ci riferisce che Grandi solea
frequentemente conversare nella casa del G.), ma, a differenza di Grandi, il G.
non dovette essere pienamente in grado di coglierne l'impalcatura matematica,
tanto da ritenerla conciliabile con la distinzione gassendiana tra punto
matematico e punto fisico. G., insieme con Bresciani, G. Averani e altri,
fu coinvolto dal Grandi nella preparazione della seconda edizione delle Opere
di Galilei (Firenze). Più tardi, alla metà degli anni Venti, il suo nome venne
fatto in alternativa a quello del Grandi quale autore di un libretto pseudonimo
(Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiæ novo-antiquæ r.p.
Cevae cum notis Ianii Valerii Pansii, Augustoduni), che segnò una nuova
occasione di scontro tra i novatori pisani e i gesuiti del collegio di
Firenze. Il libretto, nato come replica alla prefazione del gesuita M.
Dalla Briga al poemetto Philosophia nova-antiqua (Florentiae), del confratello
T. Ceva, fornisce una descrizione caricaturale delle forme di opposizione allo
sperimentalismo che, a detta dell'autore, circolavano nel collegio
fiorentino. Non è chiaro se sia da collegarsi a questa polemica il basso
profilo assunto dal G. nel quarto decennio del secolo. La relazione sullo stato
dello Studio che G. Cerati presentò ai nuovi governanti, ci informa che
"già da alcuni anni" G., pur retribuito, aveva interrotto le lezioni
pubbliche e si limita a dare privatamente lezioni di filosofia. Cerati
attribuiva ciò a non meglio precisate indisposizioni del corpo, ma l'Ortes
attesta che G. godette per tutta la vita di ottima salute. Priva di riscontri è
la notizia di una sua adesione alla loggia massonica fondata a Firenze, loggia
che però sicuramente accolse un buon numero di suoi allievi. G. muore a
Capannoli, presso Pisa, Quelle che sembrano essere le sue uniche opere a noi
giunte si trovano a Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. Tractatus phisici iuxta recentiorum opinionem
conscripti a G.) e a Pisa, Bibl. universitaria, ms. (PHILOSOPHIÆ TRACTATVS). Per
la collaborazione do G. all'edizione fiorentina delle Opere del Galilei vedi le
lettere di Buonaventuri a Grandi, Pisa, Bibl. universitaria, Carteggio Grandi; sei
lettere del G. a Grandi e alcune note di argomento fisico; Acta graduum
Academiae Pisanae, Volpi, Pisa; Ortes, Vita di Grandi, Venezia G. Soria,
Raccolta di opere inedite, Livorno, Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, Pisis,
Sbigoli, Crudeli e i primi framassoni in Firenze, Milano; Carranza, Cerati
provveditore dell'Università di Pisa nelle riforme, Pisa, Storia
dell'Università di Pisa, Pisa, Morelli, Per una storia di Bonducci, Roma, Livorno,
Livorno. Pascasio Giannetti. Gianetti. Keywords: corpuscolarismo, implicature
corpuscolare, Isaaco Newton, Galilei, Grandi, Giannetti -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giannetti: implicatura corpuscolare – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Giannetta -- search – another time?
Grice e Giannone: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della terza Roma – e l’implicatura ligure – scuola
d’Ischitella – filosofia foggese – filosofia pugliese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Ischitella). Filosofo foggese. Filosofo
pugliese. Filosofo italiano. Grice: “Giannone is an interesting philosopher. He
philosophised on the ‘citta terrena,’ which is a back-fromation from ‘celestial
city,’ and by which he meant Rome! – Then he compared men – in their
collectivity, to apes, even if ingenious ones!” “Non
solo i corpi, ma, quel che è più, anche le anime, i cuori e gli spiriti de'
sudditi si sottoposero a' suoi piedi e strinse fra ceppi e catene.” Esponente
di spicco dell'Illuinismo italiano, discendente da una famiglia di avvocati
(anche se il padre era uno speziale), lasciò il paese natale per intraprendere
gli studi a Napoli. Si laurea entrando ben presto in contatto con filosofi
vicini a Vico. Fu praticante presso Argento, che disponeva di una vasta
biblioteca, la frequentazione della quale fu essenziale per la sua
formazione. I suoi interessi non si limitarono soltanto al diritto ed
alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici e dedicandosi alla
stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria civile del regno di
Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la Chiesa per il suo
contenuto. Costretto a riparare a Vienna, ottenne protezione e
sovvenzioni da Carlo VI, il che gli permise di proseguire indisturbato i suoi
studi filosofici. Il suo tentativo di rientrare in patria fu ostacolato
dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo di Napoli recatosi a
Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a trasferirsi a Venezia
dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città, rifiutò sia la
cattedra a Padova, sia un posto di consulente giuridico presso la
Serenissima. Il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo
sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue
idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato
Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico. Dopo aver vagato per
l'Italia (Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, dove compose un
altro lavoro dal forte sapore anticlericale “Il Triregno: il regno terreno, il
regno celeste, e il regno papale, che gli costò nuovamente la persecuzione
delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura in un villaggio
della Savoia, ove fu attirato con un tranello. Rimasto nelle prigioni
sabaude, fu costretto a firmare un atto di abiura che non gli valse tuttavia la
libertà. Fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei
suoi componimenti più famosi. Trasferito alla prigione del mastio della
Cittadella di Torino. +“Dell'istoria civile del regno di Napoli” ebbe enorme
fortuna mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri
proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava Giannone a
riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi
riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado
civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante
della Curia romana. Auspica in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle
nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi». Nel
Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, presenta
la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno
papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche
a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del
male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso
un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale
raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Indi teorizza uno
Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante
un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa porta avanti una
forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come
fondamento giuridico e sociale. Al filosofo sono intestati vari istituti
scolastici, tra cui lo storico Liceo classico G. di Caserta, quello di
Benevento, quello di Foggia, e quello di San Marco in Lamis. Nella Storia della colonna infame, Manzoni
dedica a G. ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che
anche Voltaire gli rimprove. Inizia paragonandolo a Muratori e indicandolo come
filosofo più rinomato di lui, poi aggiunge un lungo ELENCO e raffronto delle
opere plagiate e degli autori, tra cui Nani, Sarpi, Parrino, Bufferio, Costanzo
e Summonte: e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe
scoprire chi ne fa ricerca". E conclude che se non si sa se fosse pigrizia
o sterilità di mente, e certo raro il coraggio. Altre saggi: Autobiografia:
i suoi tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti, Pierantoni, Roma, Perino, I discorsi storici
sopra gli Annali di LIVIO, Apologia dei teologi scolastici Istoria del
pontificato di Gregorio Magno, “L'Ape ingegnosa” “Istoria civile del Regno di
Napoli. Napoli, Gravier); G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier,
G., Istoria civile del Regno di Napoli.Napoli, Gravier, G., Istoria civile del
Regno di Napoli; Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli,
Gravier. G., Istoria civile del regno di Napoli, Capolago, Elvetica; Nicolini,
La fortuna di G.: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, Marini, Il GIANNONISMO
(Bari, Laterza). Vigezzi, G. riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, Giannoniana:
autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Bertelli, Milano,
Ricciardi, Ricuperati, L'esperienza
civile e religiosa di G.., Milano-Napoli, Ricciardi, Mannarino, Le mille favole
degl’antichi. Cultura europea nella filosofia di G., Firenze, Le Lettere, Ricuperati,
La città terrena di G.: un itinerario tra crisi della coscienza europea e
illuminismo radicale, Firenze, Olschki, Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vita scritta da lui medesimo, Feltrinelli, Biblioteca Italiana, filosofico.net/
giannone. htm. De’ liguri duri e forti. Loro estensione in Italia; e come
sopra tutti gl’altri popoli tenesseró esercitati I ROMANI nella disciplina militare,
sicchè fossero gl’ultimi ad esser soggiogati. LIVIO in più occasioni, parlando
de’ liguri, confessa che niuna provincia esercita cotanto I ROMANI nella virtù
e disciplina militare, quanto LA LIGVRIA, poichè dura nelle armi, bellicosa
amica di fatiche e di travagli, e di riposo impazienle, nelle sue guerre non
tosto era da’ romani vinta che sorgeva più animosa e forte di prima. IS HOSTIS
VELVT NATVS AD CONTINENDAM INTER MAGNORUM INTERVALLA BELLORVM ROMANIS MILIAREM
DISCIPLINAM ERAT NEC ALIA PROVINCIA MILITEM MAGIS AD VIRTVTEM ACVEBAT. Non abitavano
i liguri (eciòanche contribuiva alla loro bellicosa indole) in luoghi piani ed
ameni e sotto temperato e molle clima, il quale avesse potuto rendere simili a
sè gl’abitatori. Ma all'incontro occupando essi quella occidental parte
d'Italia che ha per confine la Gallia Narbonense, vivendo in regioni montuose
aspre ed inaccessibili, e per le angustie delle vie acconce a tendere aguali ed
insidie; non temeno di numerosi eserciti nè d'istromenti bellici nè di macchine
o d'altri apparati militari, difendendoli il suolo e l'arduità de'loro siti. E
perciò essi militavo senza molto apparecchio mi cidiale. NIHIL, dice LIVIO,
PRÆTER ARMA ET VIROS OMNEM SPEM IN ARMIS HABENTES ERAT. Gli antichi liguri
erano divisi di qua e di là delle alpi e dell'appennini o in molti popoli o
sieno comunità, non altrimenti di ciòche si è delto degl’antichi etruschi, ed
occupavano vastissime regioni. Le alpi marittime e gran parte delle
mediterranee erano da essi popolate. Di là delle alpi i più celebri sono i
liguri SALII, i DECEALI e gl’OXIBI. Di qua sonoo i VEDIANZI, i VAGIENNI, gli
STATIELLI, i MAGELLI, gl’EBVRIATI, i VELIATI, i TIGVLII, gl’INGAVNI, i SALASSI,
i LIBICI, i LAVRINI ed altri. LIVIO, oltre questi popoli da Plinio rapportati
fa menzione di altri liguri posti di qua dell'appennino chiamati APVANI, i
quali VINCENO I ROMANI e debellarono un esercito consolare sotto Q. Marzio
console, e nota che il luogo della sconfitta fino a’ suoi tempi chiamavasi
perciò il campo Marziano. Fa memoria ancora di altri liguri di là dell'appennini
ch'egli chiama liguri FRISINATI. Questi popoli hanno più città o VICHI, dove
dimorano ciascuno nel proprio distretto. E fra le città son da considerarsi alcune antiche
ed illustri le quali, secondo la divisione dell'Italia fatta poi d’OTTAVIANO in
XI regioni, forma parte della XI. Nella Liguria rivolta al mare inferiore di quà
del FIUME VARO, CHE DIVIDE L’ITALIA DALLA GALLIA Narbonense, la prima città
marittima che s'incontra e de’ liguri vedianzi chiamata Cimelion. Prossima a
questa I MASSILIESI edificano NIZZA alle radici dell’alpi marittime, non
lontana dalle foci del fiume Varo, che poi cresce dalle ruine di CIMELIO, città
antichissima, la quale ha vescovi prima che da Costantino Magno e stata la
religione cristiana fa ricevere nel l'impero. Rimangono ancora le vestigia
de'suoi ruderi ed il nome di CIMELIO. L’'antica sua cattedra e unita a quella
di NIZZA, la quale non si APPARTIENE già alla Gallia Narbonense, siccome alcuni
credeltero, ma secondo PLINIO, Tolomeo ed altri geografi antichi, ALLA NOSTRA
ITALIA, come quella che è costrutta di qua del fiume Varo. Antipoli fondata
pure da'massiliesi si appartiene alla Gallia Narbonense, perchè eretta di là del
fiume. Essa lungo tempo e sotto i massilies i loro fondatori, ed ora sotto i re
di Francia è chiamata ANTIBO. Appresso NINZZA nel mar ligustico siegue MONACO
GRIMALDI, detta dagl’antichi Porto di Ercole, indi AlbioInlemelio, Albingauno, Savona,
Genua, Porto Delfino Tigulia, e più in dentro Segesta città de’ liguri tigulii.
Chiude questo confine IL FIUME MACRA CHE DA QUESTA PARTE DIVIDE LA LIGVRIA
DALL’ETRVRIA. Dall'altra parte mediterranea ove si erge l'appennino, ampio
monte il quale con gioghi perpetui e continuali fino allo stretto siciliano
divide l'Italia per mezzo , avevano i liguri di qua e di là d e l monte
medesimo nobilissime città; especialmente da un lato del Po Libarna, Dertona,
Iria, Barderate, Industria, Polentia, Potentia, Valentia,ed Augusta de’ liguri
vagienni. Quest'ultima città posta alle radici delle Alpi Cozie, non molto
lontana dal monte Vesulo d'onde il Po ha sua origine, e dappoi resa COLONIA DE’
ROMANI. NON CI RIMANE ORA DI ESSA ALCUN VESTIGIO, ma in sua vece surse al luogo
stesso ne'secoli da noi men lontani la città di Saluzzo sede un tempo di
principi e capo del famoso marchesato di Saluzzo, la quale in fine da Giulio Imeritò
esser decorate della dignità episcopale. Ma sopra queste s'innalzarono nella
Liguria tre città non meno antiche che illustri, Alba Pompeia, Asta, ed Aqui
città de’ ligur istatielli. Alba posta nella Liguria montuosa presso
l'Appennino [H. P. GRICE – SINGULARE, NON PLURALE] nella riva del fiume Tanaro fu
dagl’antichi geografi chiamata Pompeia, e per distinguerla da Alba degl’Elvii
posta nella Gallia Narbonense, e per aver quella G. POMPEO rifatta e la sciati
ivi vestigi di sua memoria e beneficenza. Ha vescovi antichissimi, poichè
rapportasi il primo tra questi essere stato nell'anno 350. Dionigi discepolo d’Eusebio,
poi innalzato alla cattedra di Milano. E ne'secoli men remoti vi se dettero due
uomini insigni che la illustrarono, uno per la prudenza civile, ed e Lazarino Fieschi de’ Conti di LAVAGNA, al
quale la regina di Napoli Giovanna contessa di Provenza commise il governo del Piemonte,
da lui quindi amministrato con somma lode commendazione; l'altro per sapienza é
somma dottrina ed erudizione, qual fu il famoso Girolamo Vida, quel chiarissimo
poeta latino che ci lasciò l'incomparabile sua Criste idee di suoi dotti dialoghi
De Republica. Acqui posta alla riva della Bormida in quella parte del Piemonte
di là del Tanaro ,la quale Monferrato oggi si ap pella, fa edificatada’liguri
statielli popoli potentissimi dell’Asla posta nella Liguria mediterranea non
lontana dal Tanaro furesa colonia de’ ROMANI, ed un tempo fu sede d’uno degli’antichi
duchi longobardi. Ha anch'essa antichissimi vescovi, i quali quando l'imperio
di Occidente passa a’ germani, furono dagl’imperatori molto favoriti ed a sommi
onori innalzati; e non poco splendore reca a quella città aver seduto nella sua
cattedra vescovi le il famoso Panigarola, chiaro al mondo eloquenza e per tanti
monumenti che lascia di sua dottrina. > per lasua montuosa
Liguria. E detta Acqui dall’acque calde che qui vi scaturiscono assai
salutifere, siccome oltre la testimonianza di PLINIO, l'istessa esperienza
dimostra: e e chiamata Acqui de’ LIGVRI STATIELLI, per distinguerla dall’Acqui
sestia de' Salii posta nella provincia Narbonense. E anche sede di uno de’ duchi
longobardi. Ma la sua cattedra non è cotanto antica quanto le due precedenti
come quella che prende sua origine da’ longobardi che sono i primi ad erigerla.
I LIGVRI I si stendevano anche di là del Po, é molte città le quali secondo la divisione
d'Italia fatta d’OTTAVIANO sono col locate nella XI regione alle radici dell’Alpi
, anche da’ liguri traggon l'origine. Le prime che s'incontrano sono Vibiforo e
Secusia, oggi detta Susa, le quali sono poi mutate in due colonie romane. Anche
Torino PLINIO fa derivare dall'antica stirpe de’ LIGVRI -- ANTIQVA LGVRVM
STIRPE, egli scrive e dice il vero, poichè coloro che la fan derivare da’ massiliesi,
sica come Nicea ed Antipoli, vengono a togliere a questa città molto della sua
antichità. Non è dubbio che I LIGVRI sieno popoli d'Italia tanto antichi, che di
essi non si sa l'origine, onde si credono INDIGENI del paese, nè mischiati con
altre forestiere nazioni , non altrimenti che TACITO crede de’ germani. All'incontro
de’ massiliesi si sa l'origine ed il tempo nel quale profughi dalla Focide
navigando nel mare inferiore e cercando nuove sedi, si fermarorro ne'lidi della
Gallia Narbonense innanzi detta Bracata. Ciò avvenne, secondo la te stimonianza
di Livio, mentre in Roma regna TARQUINIO PRISCO,quando la prima volta i galli passarono
le Alpi, i quali dopo aver soccorso i massiliesi contro i salii che impedivano
loro lo sbarco, se ne calaron pe' monti Taurini dall’Alpi Giulie nell'Insubria,
discacciandone gl’etruschi. LIVIO stesso rifere che a'medesimi tempi i salluvii,
avendo passate l’Alpi, si posarono intorno al fiume Ticino vicino a’ liguri
levi, antica gente ed indigena di que'luoghi. Salluvii, e' dice, qui, PRÆTER
ANTQIVAM GENTEM LEVOS LIGVRES INCOLENTES CITRA TICINVM AMNEM EXPVLERE. Se
dunque i liguri, chiamati da Livio gente antica, quando i massiliesi poser
piede nella Gallia Narbonense tenevano questi luoghi. Più antica e l'origine di
Torino derivandola da’ liguriche da’ massiliesi, i quali siccome molti e molti
anni dappoi che sono stabiliti in Massiglia fondarono Antipoli e NiZZA, molto
maggior tempo appresso avrebber dovuto fondare Torino più lungi che quelle. Si
aggiunge che quando Annibale cala per l’Alpi in Italia, secondo rapporta LIVIO,
Torino e già metropoli degl’antichi popoli Taurini, i quali reggendosi per se stessi
hanno allora mossa guerra agl’insubri, e ricusarono l'amicizia di Annibale contrastandogli
coraggiosamente il passo, che egli sforza a gran fatica. Inoltre LIVIO stesso
rende testimonianza che la prima volta in cui i romani ? mosser guerra a’ liguri
e per occasione che questi depredano i campi di NIZZA e di Antipoli, città
de'massiliesi soci de’ romani ,e non già i campi di Torino, la qual città
perciò non e de’ massiliesi, ma abitata da’ liguri taurini. Sono questi popoli
chiamati Tauriniche dieder nome alla città, siccome i monti a piè de'quali essa
è posta sono anche detti Taurini, a cagione che dagl’antichi i gioghi de monti
erano chiamati Tauri per la figura che sogliono avere simili a'dorsi o alle
schiene di tori, ond'è che quel celebre monte che divide la Siria dal rimanente
dell'Asia fu chiamato Tauro sic come alcuni altri popoli presso Plinio ed altri
antichi geografi son chiamati anch'essi Taurini specialmente nella Scizia, per
chè abitano presso i monti anticamente appellati Tauri. Ri dotti poi questi
popoli liguri sotto la soggezione de’ romani, OTTAVIO ingrandi la città, che
perciò venne poi detta AVGVSTA TAVRINORVM, non altrimenti che Lutetia
Parisiorum da’ parisii popoli della Gallia Lugdunense che l'abitano. Hanno i
liguri salassi anche in questa XI regione un'altra città, chiamata da Strabone,
Plinio, Tolomeo ed Antonino Augusta Prætoria -- ora detta AOSTA -- per
distinguerla dall'altra Augusla de’ liguri vagienni già menzionata. E posta frà
le due facce dell’Alpi Graie e Pennine. Sono le prime dette da' greci Graie per
lo passaggio di Ercole – NISI DE HERCVLE FABVLIS CREDERE LIBET, come saviamente
dice Plinio --, e le seconde, siccome volgarmente si crede, dal passaggio di
Annibale co’ suoi cartaginesi sono chiamate “PŒNINE”, secondo avvisa anche
Plinio, benchè Livio ne dubiti. Checchè sia diciò, è da osservarsi che da
questa Augusta Prætoria, essendo per la sua situazione la prima città d'Italia,
gl’antichi geometri prendevan la misura della lunghezza di questo nostro paese,
tirando una linea per Capua fino a Reggio, ultima città sullo stretto siciliano.
E dessa ancora città famosa ed illustre a’ tempi de’ re longobardi, quando
questi tennero il regno d'Italia. Ad Eporedia, città posta nella stessa regione
all'imbocco della Valle Augustana e dalle radici dell’Alpi, oggi dell’Ivrea, Plinio
da, se non così antica origine, nulla dimeno una assai più illustre, scrivendo
che e da’ Romani fondata per impulso degli dei, secondo che da'libri sibillini era
stato lor mostrato. OPPIDVM EPOREDIAM, e dice, SYBILLINIS LIBRIS A POPVLO
ROMANO CONDI IVSSVM. E antica colonia romana, e perciò cotanto memorata da CICERONE,
STRABONE, TACITO, e d’altri romani scrittori. Vercelli anche secondo PLINIO dee
riconoscere la sua origine da’ liguri sallii poichè egli scrive: VERCELLE
LIBICORVM EX SALIIS ORTÆ. E se dobbiamo prestar fede al vecchio CATONE, Novara
anche da’ liguri ha origine, quantunque in ciò PLINIO discordi, facendola
derivare da’ vocontii popoli della Gallia Narbonense. Questa era l'antica LIGVRIA
che occupa tutta quella gran parte d'Italia occidentale, la quale poscia dal
tempo che cangia e muta i nomi,i linguaggi, i costumi, i confini e tutto, sorti
altre divisioni e nuovi domini. Furon poi queste regioni chiamate Langa, Monferrato,
l'Astegiana, Piemonte superiore, Marchesato di Saluzzo, Piemonte inferiore
ovvero tratto Torinese, Canavese,Valle Augustana,Vercellese e Biellese. MOLTI
TRAVAGLI I ROMANI SOPPORTARONO PER SOTTOPORRE TANTI POPOLI LIGVRI, poichè
questi duri nelle armi e difesi da'luoghi inaccessibili si mantenner liberi, nè
prima degl’ultimi tempi della romana repubblica sono ad essa sottomessi. I
romani cominciarono a sperimentarli nell’armi dopo che si sono già resi formidabili
in Italiae daltrove, dopo che ebber vinto Pirro re di Epiro e lui costretto a
ritirarsi nel suo regno, e dopo che nella guerra punica il console C. Lutazio
diede [Plin., Hist. nat.] a’ cartaginesi quella terribile rotta nelle
isole agale, per la quale costoro furono forzati a chieder pace a’ romani.
Allora, finita questa guerra, i vincitori cominciarono a muovere le armi contro
i liguri. LIVIO, nella seconda sua deca, seguendo il suo costume, ne avrebbe
certamente fatto conoscere le minute circostanze, ma questa deca interamente ci
manca. L. Floro nell’Epitome ne rammenta il principio dicendo, ADVERSVS LIGVRES
TVNC PRIMVM EXERCITVS PROMOTVS EST. Ma d’altri scrittori romani e da ciò che LIVIO
stesso scrive nella III e IV deca, lequali per buona sorte ci rimangono, è
facile il conoscere che fin qui i romani non profittarono niente sopra i
liguri, poichè è anche fuor di dubbio che nel principio della guerra punica
quando Annibale passa le Alpi, i liguri gli prestano aiuto contro i romani; e LIVIO
nel primo libro della III deca parra, che col loro favore prese Annibale per
insidie due questori romani con II tribuni de'soldati e V figliuoli de'sanniti
dell'ordine equestre. Nè dopo scacciato Annibale d'Italia si perderono di animo,
sicchè non tenessero continuamente esercitati i romani nell’armi. Ambi duei
consoli C. Flaminio contro i liguri frisinati ed apuani -- i quali scorre fino
ne’ campi Pisani e Bolognesi --, e M. Emilio contro gl’altri liguri di qua
dell'Appennino, sono destinati con II eserciti consolari a soggiogarli: e
sebbene ciò avessero i consoli menato ad esecuzione, non mancaron quelli di
risorger poi più animosi e forti che prima, sicchè e d'uopo nel seguente anno a'successori
consoli Q. Marzio e Postumio, dopo che questi sispacciarono dalle inquisizioni
de’ baccanali, riprender la guerra, la quale a Q. Marzio riusci pur troppo
infelice, poichè colto il suo esercito da’ liguri apuani fra luoghi strelti e
dificili, e dissipato in guisa che, siccome scrive LIVIO, QVATVOR MILLIA
MILITVM AMISSA ET LEGIONIS SECVNDÆ SIGNATRIA UNDECIM VEXILLA SOCIORVM AC LATINI
NOMINIS IN POTESTATEM HOSTIVM VENERVNT ET ARMA MVLTA QVÆ QVIA IMPEDIMENTO
FVGIENTIBVS PER SILVESTRES SEMITAS ERANT PASSIM IACTABANTVR PRIVS SEQVENDI
LIGVRES FINEM QVAM FVGÆ ROMANI FECERUNT. Marzio fuggi dunque col residuo
del suo esercito: NON TAMEN, soggiunge LIVIO, OBLITERARE FAMAM REI MALE GESTE
POTVIT NAM SALTVS VNDE EVM LIGVRES FUGAVERANT. MARTIVS EST APPELATVS. Nè minori
sono gli sforzi ne’ seguenti anni de’ consoli successori, SEMPRONIO Sempronio
che pugna contro i liguri apuani ed AP. CLAUDIO contro i liguri ingauni. In breve,
dice Livio, e già ridotto in costume non decretarsi a’ consoli altra provincia se
non quella de’ liguri onde erano quelli spesso intenti a formare nuove legioni
per poter abbattere sì valorosi inimici; la qual cosa non ha effetto se non
sotto L. Emilio Paolo il quale, essendogli stata prorogata la consolare potestà,
con potente esercito spedito contro i liguri ingauni ottenne su questi piena vittoria,
siccome più tardi M. Bebio l'ottenne su’liguri apuani. E finalmente soltanto
verso la fine del secolo, insieme con gl'istri, co’ galli cisalpini e con le
genti alpine, sono i liguri sottomessi a’ romani. De’ liguri in fatti
primieramente trionfo C. CLAUDIO console, e ne’ posteriori anni sono quelli
poscia del tutto debellati. Di questa costanza e dabito de’ liguri alle fatiche
della milizia ed a soffrire patimenti e disagi, ben si accorse Annibale, il
quale passate l’Alpi, nelle sue prime pugne contro i romani, più che in altro
popolo e più che ne’ cartaginesi stessi, pose ogni fiducia ne’ liguri de’ quali
si vale. E quando profugo da Cartagine ricovrossi sotto Antioco re della Siria,
il quale allora ha guerra co’ romani, il più sano consiglio che a quel principe
pole dare, siccome Livio scrive e che dove attaccare in due parti i romani
dividendo in due classi la numerosa sua armata, ed una, della quale e stato
Antioco stesso il comandante e l'ammiraglio, diriger nella Grecia per discacciarne
i romani, l'altra, dellả quale egli stesso Annibale e stato il capitano
supremo, dopo avere stretta lega co’ cartaginesi, con LE NAVI DI QUESTI INVIARE
NEL MAR LIGVSTICO; poichè pensa che sbarcata la sua gente nella Liguria, egli
fidando mollo nel coraggio e valore de’ liguri OSTINATI DIFENSORI DELLA LORO
LIBERTA CONTRO I ROMANI, bene avrebbe potuto unendo l’armi liguri alle
sue portar nuova formidabil guerra in Italia e porre nuovo assedio fino alle
mura di Roma istessa; ma quello stolto e vano re non appigliandosi a QUESTO
SANO CONSIGLIO e volendo piuttosto seguire le adulazioni de’ suoi propri capitani,
die’ cagione alle tante sue perdite e sconfitte ed alla sua totale rovina. Ma
riguardandosi a’ secoli più a noi vicini, non dovrà tacersi un pregio che rese
la ligure provincia assai più gloriosa di quante mai possano vantarsi di essere
state avventurose madri d’eroi e di semi-dei. Si celebrano cotanto presso i
greci e le nazioni tutte del mondo Alcide, Bacco ed Ulisse per le lunghe loro
peregrinazioni, per aver debellato i mostri, verte ignote terre e scorsi incogniti
mari. Ma Ercole stesso chi fu colui che rese i segni di Ercole favola vile
a'naviganti industri? Chi fu colui che rese navigabili quelli che prima erano
inaccessibili ed ignoti mari, e fece palesi ai noi regni non meno sconosciuti
che vasti ? Chi fu colui che spiegando le fortunate sue antenne ad un nuovo
polo, oscurò la fama di Alcide e di Bacco , se non il ligure COLOMBO? Quanto
ben gli si adattano, e con quanta maggiore proprietà e ragione con vengono à
lui quelle lodi che Lucrezio da al suo Epicuro, e che dal nostro incomparabile
TORQUATO assai più acconcia mente furono attribuite al coraggio ed alla
grandezza d'animo del COLOMBO, quando di lui canto. Un uom della Liguria avrà ardimento
All'incognito corso esporsi in PRIMA: Nè il minaccevol fremito del vento, Nè
l'inospitomar, nè il dubbio clima, Nè s'altro di periglio o di spavento Più
grave e formidabile or si STIMA, Faran che il generoso entro a'divieti D'Abila
angusti l'alta mente accheti [Ger.] – Nasce a Ischitella (Foggia), piccolo
centro del Gargano, da Scipione, speziale. Dopo aver compiuto i studi sotto la
guida dell'arciprete del paese, Serra, legge filosofia. E inizialmente
destinato allo stato ecclesiastico, ma la famiglia muta parere e G. si trasfere
a Napoli, dove, grazie all'aiuto del pro-zio, legge diritto presso il
procuratore Comparelli. Divenne allievo d’Aulisio, sotto la cui guida studia
diritto civile; legge storia nella Biblioteca Brancacciana e in quella di Seripando.
Negli stessi anni Angelis lo introduce alla filosofia di Gassendi e ai classici
latini e italiani. Laureatosi a Napoli, G. inizia a frequentare, anche se
marginalmente, l'Accademia di MEDINACŒLI, in cui conosce alcune delle maggiori
figure della cultura napoletana, fra cui Capasso, Porzio, Caloprese (si veda) e
Cirillo sotto il cui influsso abbandona la filosofia gassendiana per
abbracciare quella di Cartesio. G. inizia l'attività d'avvocato, conducendo il
suo apprendistato presso Musto, ma, INSODDISFATTO della sistemazione, si
trasfere, su consiglio di Spinelli, che già lo presentato all'Aulisio, presso
Argento. Per la formazione culturale del G. l'incontro con Argento si rivela
fondamentale, poiché a casa di questo, inizia a riunirsi l'Accademia de' SAGGI,
che, proseguendo l'esperienza della MEDINACŒLI riune un gruppo di filosofi
destinati a divenire il nerbo del governo napoletano durante il vice-regno
austriaco. E in quell'Accademia che matura il progetto d'una nuova storia del
Regno, cui il G. da il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile
del Regno di Napoli. Grazie alla sua attività di avvocato, G. si garantì
un agiato tenore di vita. Fase decisiva per la sua carriera forense e quando
divenne avvocato dei cittadini di San Pietro in Lama in una causa intentata
contro il vescovo di Lecce Pignatelli intorno alla questione delle decime. In
risposta a due allegazioni di Nicola D'Afflitto, avvocato del vescovo, G.
pubblica la scrittura Per li possessori degli oliveti nel feudo di San Pietro
in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo intorno
all'esazione delle decime dell'olive, cui seguì, l'anno successivo, il
Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti. Tali testi, per la
marcata e aperta adesione alle più avanzate tematiche giurisdizionaliste e per
gli ampi riferimenti che G. fa alla storia del Regno, provocano una forte e
vivace discussione. Molto scalpore suscita la causa in difesa del nipote
dell'Aulisio, Ferrara, arrestato due
anni prima con L’ACCUSA D’AVERE AVVELENATO LO ZIO. Vinta la causa, come
compenso G. ottenne dal suo assistito i manoscritti dell'Aulisio, di alcuni dei
quali avrebbe poi curato l'edizione. A Napoli G. pubblica intanto, sotto lo
pseudonimo anagrammatico di Giano Perontino, la Lettera sad un suo amico che lo
richiede onde avvenisse che nelle due cime del VESUVIO in quella che butta
fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e nell'altra ch'è alquanto
più alta e intera non duri che pochi giorni. La lettera e frutto degli interessi
che G. coltiva sin dal suo arrivo a Napoli (riscontrabili in tutte le opere
sino a quelle del carcere) e dai quali, come avrebbe affermato
nell'autobiografia, s'era dovuto allontanare perché assorbito dagli studi
giuridici e storici. Infatti G., pur impiegando gran parte del suo tempo
nell'attività forense, lavora alacremente all'Istoria civile. E proprio per
potervi attendere con più tranquillità che compra una villa presso Posillipo,
detta Due Porte perché si riteneva e appartenuta ai fratelli Battista e Niccolò
Della Porta. Nei anni successivi la stesura dell'Istoria lo assorbe sempre di
più, tanto che i suoi continui ritiri a Dueporte gli valsero l'ironico
soprannome di solitario Piero. L’Istoria civile e ormai pressoché completata. G.
fa allora trasferire la tipografia di Nicolò Naso nella villa che il suo amico
Vitagliano ha a Posillipo, vicino a Dueporte, e comincia la stampa. Poiché,
nonostante l'istruzione ricevuta, e più avvezzo al linguaggio giuridico e al
dialetto napoletano che non all'italiano letterario, G. chiede allora a Mela di
rileggere l'opera, volgendola, ove necessario, in buon italiano. L'Istoria
civile del Regno di Napoli vede finalmente la luce, in un'edizione di 1100
esemplari (1000 in carta ordinaria e 100 in carta reale). Scritta con lo
scopo principale di difendere i diritti e le prerogative dello Stato CONTRO LA
CURIA romana, l'Istoria civile non intende tanto apportare nuovi contributi
documentari alla storia del Regno, quanto offrirne una nuova interpretazione,
esaminandone l'evoluzione dalla DISGREGAZIONE dell'Impero romano sino al Vice-regno
austriaco. G. non raccolge (se non per i primi libri) la documentazione
direttamente dalle fonti, ma organizza quella reperibile in altri saggi , in
particolare nell'Istoria del Regno di Napoli di Costanzo (L'Aquila, Cacchi),
nell'Historia della città e Regno di Napoli di Summonte (Napoli), nella
Historia della Repubblica veneta di Nani (Venezia) e nel Teatro eroico e
politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli di Parrino (Napoli). Il
procedimento gli causa, in seguito, l'accusa di plagio da parte di Manzoni nel
capitolo della Storia della colonna infame, e poi da tutta la storiografia neo-guelfa,
rappresentata, tra gl’altri, da Bonacci e Caristia. Il giudizio non coglie
l'importanza dell'Istoria civile, che non sta nella ricostruzione erudita degl’eventi
del Regno, ma nell'affermazione del principio dell'autonomia dello
Stato. In effetti, se dagli storici napoletani G. traeva le notizie
necessarie, i modelli storiografici sono però altri, italiani ed europei. Fra i
primi Guicciardini, Sarpi e, soprattutto, Machiavelli delle Istorie fiorentine.
Come MACHIAVELLI attribuie alla Chiesa la responsabilità di avere impedito ai
Longobardi la realizzazione in Italia di un forte regno nazionale, così G.
accusa Roma di avere troncato lo sviluppo dello Stato napoletano, distruggendo
l'esperienza normanno-sveva con la chiamata di Carlo d'Angiò. L'avversione nei
confronti degl’Angioini è uno dei temi ricorrenti dell'Istoria civile. Alla
dinastia francese G. imputa di avere diminuito il potere regio, accresciuto
quello baronale, ma soprattutto di aver riconosciuto giuridicamente il Regno
come FEUDO della Chiesa. A causa di tale acquiescenza verso il Papato, IL
MERIDIONE consuma il proprio distacco dal resto d'Italia, dove invece le
dinastie regnanti contrastano apertamente le pretese di Roma. Fra i modelli che
ispirano G. sono Thou e Grozio, da cui G. riprende la rivalutazione dei
barbari, e in particolare dei Longobardi, visti come signori nazionali, nemici
di Roma e di Bisanzio. Tanto G. e avverso agl’Angioini quanto mostra simpatia
per gl’Aragonesi, i quali, pur fra incertezze e contraddizioni, tentano di
restituire al regno l'autonomia dell'epoca normanno-sveva. Con il dominio
spagnolo si conclude tale tentativo e per questo G. e fortemente critico verso
Madrid, sottolineandone la politica di sfruttamento nei confronti del regno.
L'Istoria civile si conclude con le pagine dedicate al dominio austriaco, nel
quale il ceto civile ripone le proprie speranze. L'Istoria e dunque
un'opera collettiva, non perché scritta a più mani - come malignamente
sostenevano i nemici di G. -, ma in quanto "opera che raccoglieva e
organizza le esigenze del ceto civile (Ricuperati). Con l'Istoria civile G. si e
proposto di analizzare le ragioni del potere della Chiesa nell'Italia
meridionale e in vista di ciò dedica ampio spazio all'epoca longobarda -- l'unica
per cui G. ricorre direttamente alle fonti. Per dimostrare soprusi e
sopraffazioni della chiesa sul regno, G. ricostrue l'evoluzione politica del
Papato, respingendone implicitamente l'origine divina. Questo atteggiamento
verso la religione, interpretata in chiave esclusivamente politica, rende
l'Istoriaun'opera del tutto nuova nel panorama storiografico europeo ma motiva anche
l'ostilità di Roma verso G.. Il consiglio municipale di Napoli – gl’Eletti
-- concede a G. una regalia di 195 ducati e lo nomina avvocato generale della
città. Mentre copie dell'Istoria sono inviate a Vienna, a Napoli divampano le
polemiche. Le autorità ecclesiastiche protestarono perché il saggio non ha
ottenuto la licenza del tribunale vescovile -- G., in effetti, non l'aveva
chiesta, ritenendola superflua poiché ritenne che il saggio non tratta
argomenti di giurisdizione ecclesiastica -- e alcuni religiosi iniziarono a
tenere prediche contro G.. In seguito a ciò, il potere civile muta
atteggiamento. l vice-ré austriaco, Althann, che aveva concesso a G. la licenza
necessaria per la pubblicazione dell'opera, in una riunione del Consiglio del
Collaterale, biasima apertamente gl’Eletti, i quali, peraltro, congelano i
provvedimenti a favore di G., nominando una commissione per valutare il saggio.
Nello stesso tempo, il Collaterale ordina la sospensione delle prediche contro
G. e la vendita dell'Istoria. La situazione volge al peggio al momento
del rito di s. Gennaro: poiché il sangue tarda a sciogliersi, il clero
napoletano comincia a sostenere che il santo e adirato con i napoletani per la
pubblicazione dell'Istoria civile. Contro G. si diffuse allora in tutta la
città poesie e libelli -- diversi dei quali sono oggi conservati in un codice
della Biblioteca di Napoli --, mentre la curia arcivescovile si preparava a
scomunicare l'opera. Ormai era a rischio la stessa vita di G., il quale, spinto
anche dagl’amici, decide di recarsi a Vienna per chiedere la protezione
dell'imperatore Carlo VI. Dopo alcune esitazioni, G. lascia Napoli per quella che
sperava una breve assenza e che, invece, sarebbe stata UNA PARTENZA SENZA
RITORNO. Raggiunta in incognito
Manfredonia, da lì si trasferì a Barletta, riparando per alcuni giorni in una
villa del fratello di Fraggianni. Nel frattempo a Napoli, il sangue di s.
Gennaro si scioglie. Trovata una nave su cui imbarcarsi, e a Trieste, a Lubiana
e giunge a Vienna. In questa città G. presnde subito contatto con alcuni
esponenti della numerosa comunità italiana, fra cui Riccardi, Forlosia e il
bibliotecario di corte Garelli, che porta una copia dell'Istoria all'imperatore
Carlo VI. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica lanciatagli dalla
curia arcivescovile di Napoli e della messa all'Indice dell'Istoria civile, G.
ricominciò a scrivere. Dapprima ritorna sul trattato “Del concubinato de’
Romani” ritenuto nell'Impero -- dopo la sopposta conversione alla fede di
Cristo -- già iniziato a Napoli. Poi scrive due nuovi saggi: De' rimedi contro
le proposizioni de' libri che si decretano in Roma e della potestà de' principi
in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi contro le scommuniche invalide
e delle potestà de' principi intorno a' modi di farle cassare ed abolire -- che
confluì nell'Apologia dell'Istoria civile. La posizione di G. sembra
migliorare. In seguito alle pressioni viennesi, la scomunica e revocata e G.
ottenne udienza da Carlo VI, che l'anno seguente gli concesse una pensione
annuale sopra i diritti della Secreteria di Sicilia. Egli non riuscì, però, a
ottenere un incarico ufficiale che, come aveva sperato, gli permettesse di
tornare a Napoli in una posizione sicura. Decide quindi di fermarsi a Vienna e
si stabilì in palazzo Linzwal. Nel frattempo, in Italia appareno diverse
confutazioni dell'Istoria civile. E pubblicata a Roma l'Apologia di quanto
l'arcivescovo di Sorrento ha praticato cogli economi de' beni ecclesiastici
della sua diocesi dell'arcivescovo Filippo Anastasio. In risposta Vitagliano
pubblica a Napoli una Difesa della real giurisdizione intorno a' regi diritti
su la chiesa collegiata appellata di S. Maria della Cattolica della città di REGGIO,
in cui, pur volendo difendere G., finiva invece con il criticarlo. G. e allora
costretto a reagire con un proprio testo, diffuso a Napoli in forma
manoscritta. Appareno a Roma le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria
civile del Regno di Napoli di Sanfelice. Rispetto all'opera d’Anastasio si
tratta di un lavoro ben più articolato e problematico, tanto che G. in un primo
tempo decide di non replicare. Ma durante la villeggiatura a Perchtoldsdorf, nei
dintorni di Vienna, scrive la Professione di fede. L'opera conosce una vasta
fortuna, testimoniata da un'imponente circolazione manoscritta, e segna la
definitiva rottura con la Chiesa cattolica. Un'altra Risposta di G. fa seguito
alla pubblicazione delle Annotazioni critiche sopra l’Istoria civile di Napoli (Napoli)
di Paoli, scritte con l'aiuto d’Egizio, esponente della parte più moderata del
giurisdizionalismo napoletano, non disposta a seguire la lezione di G. Fallite
le speranze di ottenere un incarico a Vienna, G. riprende l'attività forense. Oltre
a diverse allegazioni per clienti viennesi e napoletani, scrive il Ragionamento
a Pilati in cui difende i diritti di quest'ultimo alla nomina, poi non avvenuta,
a vescovo di Trento dopo la morte di Gentilotti e il saggio De' veri e
legittimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano nel tribunale
detto della Monarchia, sulla complessa questione del Tribunale della Monarchia
di Sicilia. Risalgono dopo due saggi: la Breve relazione de’ Consigli e
dicasteri della città di Vienna, commissionatagli dal reggente Castelli, e le
Ragioni per le quali si dimostra che l'arcivescovado beneventano e sottoposto
al regio exequatur, come tutti gl’altri arcivescovadi del Regno, saggio scritto
su incarico della Città di Napoli. Nel frattempo, continua la fortuna
europea di G. e dell'Istoria. G. comincia a corrispondere regolarmente con
Liebe e i Mencke, iniziando la collaborazione agli Acta eruditorum Lipsensium. Scrive
la Dissertazione intorno il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis
nomen" posta in una moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni
creduta coniata in Napoli, che, tradotta in latino, usce in un'edizione degl’ “Historiarum
sui temporis” di Thou. G. e ormai un filosofo inserito nel contesto d’Europa per
la sua conoscenza, in quel periodo delle opere che meglio rappresentavano quella
filosofia. In tal senso, un ruolo fondamentale ha la frequentazione con il
principe Eugenio di SAVOIA, nella cui ricchissima biblioteca G. aveva legge i
più importanti saggi della filosofia libertina e radicale europea. Da queste
sue fertili frequentazioni nei primi anni dell'esilio viennese deriva il
progetto dello suo saggio, il Triregno, iniziata durante una villeggiatura a
Medeling, e le cui prime due parti erano quasi terminate due anni più tardi. Il
Tri-regno si articola in tre parti. Nella prima, “IL REGNO TERRENO,” G. studia
la religione e sottolinea come in essa NON si conosce un al di là, in quanto al
popolo si promette esclusivamente il dominio sugli altri popoli senza alcun
riferimento a mondi ultra-terreni. Quello che Dio promete all'uomo – o GIOVE a
ENEA -- e , dunque, esclusivamente un regno terreno: ROMA! Nel successivo Regno
celeste l'attenzione di G. si sposta al cristianesimo delle origini – e l’idea
della potesta temporale – e del Cesare -- studiando i testi neo-testamentari,
mette in evidenza come e il cristianesimo – ‘dei galilei,’ come G. chiama in
parodia di Giuliano -- a introdurre l'idea di un mondo ultra-terreno cui i
fedeli sono destinati dopo essere stati giudicati sulla base delle loro azioni
mondane. Il Regno papale, l'ultima parte – “infamous part” – H. P. Grice --,
riprende il discorso iniziato nell'Istoria civile sulle origini del potere del
Papato. Dopo i primi secoli vissuti in conformità con l'insegnamento
evangelico, il PONTEFICE, approfittando della decadenza del POTERE TEMPORALE
IMPERIALE dopo Costantino, costitueno il loro Regno sul principio della
superiorità rispetto allo stato mondano, temporale. Nella composizione del Tri-regno concorrevano
diverse tradizioni: la fondamentale esperienza del libertinismo erudito, con
cui G. eentrato in contatto negli anni della sua prima formazione napoletana,
per influenza d’Aulisio, dal quale G. comprende l'importanza della storia
ebraica e la poca rilevanza alla mente romana! Molti temi delle Scuole sacre -
l'opera d’Aulisio uscita postuma pochi mesi dopo l'Istoria civile -
ricomparivano, infatti, nel Triregno, filtrati dalle conoscenze acquisite a
Vienna: la storiografia protestante (i. e. non cattolica, non romana) tedesca
(particolarmente evidente nel Regno celeste, dove forte è l'influenza delle
Origines, sive Antiquitates ecclesiasticae diBingham e delle Observationes
sacrae di Deyling) e, soprattutto, il deismo europeo post-spinoziano. In questo
senso importante e stato il rapporto con gli saggi di Toland (in particolare le
Lettere a Serena, Origines Iudaicae e Nazarenus), dai quali G. trasse la tesi
secondo cui gl’ebrei credeno nella MORTALITA dell'anima e non hanno alcuna idea
di un mondo ultraterreno, e con la storiografia che con questi si e misurata
criticamente (come le Vindiciae antiquae Christianorum disciplinae di
Mosheim). Il Tri-regno non e, peraltro, del tutto slegato dall'Istoria
civile. La matrice giurisdizionalista e evidente soprattutto nel Regno papale,
dove G. riprende il problema delle origini del potere ecclesiastico, affrontandolo,
però, con gli strumenti della storiografia protestante. Non più "istoria
civile" del Regno di Napoli, ma di tutta la civilizazione d’Occidente,
fondata da Roma a tradita dai papi. Di qui la persecuzione che la Curia romana
muove contro di lui, riuscendo, infine, non solo a FARLO ARRESTARE, ma a
entrare anche in possesso dell'autografo del Tri-regno. Si impede così la
pubblicazione del saggio. Ma non ne e, tuttavia, impedita completamente la
diffusione, che avvenne grazie a un apografo (probabilmente uscito dagli
archivi romani in cui l'originale e custodito). Diversi codici del Triregno circolano
in Europa, e sembra addirittura imminente una sua pubblicazione ad
Amsterdam. La conquista del Regno di Napoli a opera di Carlo di Borbone
determina la dispersione della comunità napoletana di Vienna. Ritenendo, con
ragione, che e in pericolo la sua pensione, basata su rendite siciliane, anche
G. decide, allora, di partire. Lascia Vienna e giunse a Venezia. Dove essere
solo un punto di passaggio sulla via per Napoli, ma le autorità borboniche gli
rifiutano il passaporto, temendo che un suo ritorno avrebbe compromesso le
trattative per il riconoscimento papale del nuovo sovrano. L'ambiente culturale
veneziano si rivela, comunque, ricco di stimoli per G., che stringe amicizia
con Pisani, con il principe Trivulzio, con Conti, con Terzi e con il libraio Pitteri.
Con quest'ultimo, in particolare, si accorda per una nuova edizione
dell'Istoria civile, per la quale appronta quell'Apologia dell'Istoria civile
cui lavora da tempo e in cui confluirono i tre trattati composti a Vienna. In
realtà, anche a Venezia G. non manca certo di nemici. Poco dopo il suo arrivo,
Pasqualigo gli offre cattedra a Padova, ma la Curia romana e riuscita a fare
sospendere l'offerta. Nello stesso tempo, il nunzio a Venezia, Oddi, fa pressioni sul governo della
Serenissima perché G. e cacciato e consegnato alle autorità pontificie. Per
screditare G. venne diffusa la voce che egli avesse criticato la Repubblica
veneziana in alcune pagine dell'Istoria civile, obbligandolo così a difendersi.
La risposta a tale accusa confluì anch'essa nell'Apologiadell'Istoria civile.
G. si stabile nell'abitazione di Pisani. Riprende, allora, la stesura del
Triregno, discutendone con i suoi amici veneziani. E nella villa di Pisani a
Rovere di Crè, presso Rovigo, che G. scrive la Prefazione al Triregno. Anche
questa volta, tuttavia, la tranquillità doverivelarsi effimera. Dopo
oltre un anno di complesse manovre sotterranee, il nunzio ottenne il risultato
sperato. Una fatidica notte, poco dopo aver lasciato, insieme con Conti, la
casa di Terzi, G. e catturato d’agenti del S. Uffizio, caricato a forza su
un'imbarcazione e abbandonato nel Ferrarese, in territorio pontificio. Riusce quindi
fortunosamente a raggiungere Modena e vi resta nascosto per circa un mese,
sotto il falso nome di Antonio Rinaldi, protetto, fra gli altri, anche da L.A.
Muratori. Inizia, allora, la stesura del Ragguaglio dell'improvviso e violento
ratto praticato in Venezia ad istigazione de' gesuiti e della corte di Roma. Si
reca a Milano, allora occupata dalle truppe sabaude, dove spera nell'aiuto
della famiglia del principe Trivulzio. E ricevuto dal marchese Olivazzi, gran
cancelliere, il quale gli consiglia di scrivere al marchese d'Ormea, ministro
di Carlo Emanuele III di SAVOIA, per offrirsi come storico di corte. Quel che
Olivazzi non poteva sapere e che l'Ormea s'era già accordato con Albani,
offrendogli l'arresto di G. come contro-partita per la concessione di un
concordato favorevole allo STATO SABAUDO al fine di chiudere lo scontro -
aperto un ventennio prima da Vittorio Amedeo II - fra Torino e Roma. Da Torino
parte quindi l'ORDINE D’ARRESTO di G., che però nel frattempo lasciato Milano
per la capitale sabauda. Non considerando più gli Stati italiani un rifugio
sicuro dopo l'esperienza veneziana, G. aveva decide di andare a Ginevra, dove e
in contatto con l'editore Bousquet, che
annunciato la sua intenzione di pubblicare l'Istoria civile. Mentre da
l'ordine di arrestarlo a Milano, Ormea non puo immaginare che G. e proprio a
Torino, dove si ferma. Giunge a Ginevra dove, pur rifiutando di convertirsi al
calvinismo, stringe amicizia con Turretini e Vernet. A causa delle sue
precarie condizioni economiche, decide di pubblicare la traduzione francese
dell'Istoria civile, per la quale s'era accordato già da tempo con Bousquet.
Questi, però, aveva sciolto proprio allora la sua società con lo stampatore
Pellissari, e si e trasferito in Olanda. E solo grazie all'aiuto di Vernet che
G. puo trovare un nuovo finanziatore nel libraio Barillot, ma, quando tutto e
pronto per l’edizione dell'Istoria, G. e attirato fraudolentemente in
territorio sabaudo e arrestato. Ormea da disposizioni per l'arresto al
governatore della Savoia, conte Giuseppe Piccon della Perosa. La trama del
rapimento è stata raccontata da G. stesso, nella sua autobiografia, in pagine
esemplari per chiarezza e drammaticità. A Ginevra egli prende alloggio presso
il sarto Chénevé, da tempo amico di un doganiere sabaudo, tale Gastaldi, il cui
fratello era aiutante di campo del conte Piccon. Dapprima Gastaldi si guadagna
la simpatia dal figlio di G., invitandolo spesso a Vésenaz -- il piccolo centro
savoiardo di fronte a Ginevra, dov'era la dogana -- insieme con Chénevé. In
questo modo egli venne a conoscenza dei movimenti di G. a Ginevra, informandone
Piccon. Dopo aver rifiutato gl’inviti di Gastaldi per tutto l'inverno, G.
accetta di assistere alla messa della domenica delle Palme nella chiesa di
Vésenaz. Si trasfere a casa di Gastaldi.
Questi, presi con sé alcuni soldati, irruppe di notte nella stanza di G. e
arrestò lui e il figlio. Il giorno dopo, Gastaldi si mise in marcia verso
Chambéry. G. racconta la gioia del doganiere il quale, tenendo in mano un suo
ritratto (probabilmente una copia dell'incisione fatta a Vienna da Sedelmayer) andava di paese in paese urlando
di aver catturato "un grand'uomo". Giunto a Chambéry Gastaldi
consegna i prigionieri al conte Piccon, il quale ne dispose il trasferimento
nella fortezza di Miolans, tradizionalmente deputata ad accogliere i
prigionieri di Stato -- quarant'anni dopo vi sarebbe stato rinchiuso anche il
marchese de Sade. Ricevuta notizia dell'arresto, Ormea ne informa Albani, al
quale riferì anche l'intenzione di Carlo Emanuele III di non inviare G. a Roma,
ma di impegnarsi a tenerlo in carcere perpetuamente. Per quanto la corte di
Roma prefere giudicare direttamente G., Clemente XII ringrazia il sovrano
sabaudo per l'arresto del sedizioso. Ormea e Albani si accordano, intanto,
perché G. e processato dal S. Uffizio piemontese e costretto ad abiurare.
Durante la sua prigionia a Miolans G. scrive la “Vita e Morte di G. scritta da
lui medesimo” e inizia, aiutato dal figlio, una prima versione dei “Discorsi
sopra gl’Annali di Livio,” che intende offrire a Carlo Emanuele III per
l'educazione del principe di Piemonte, il futuro Vittorio Amedeo III. Nello
stesso periodo Ormea riusce, grazie al conte Piccon e ad altri agenti sabaudi,
a entrare in possesso dei manoscritti delle opere di G. -- compreso quello del
Triregno -- che, dopo esser stati esaminati da Palazzi, abate di Selve,
bibliotecario e storico di corte, sono inviati a Roma. G., separato dal figlio,
e trasferito a Torino nelle carceri di Porta Po, prima, e nella cittadella, poi.
Qui fu affidato alla cura spirituale di Prever. Presta formale abiura dei suoi
errori di fronte al vicario inquisitoriale, Alfieri di Magliano. Il testo
dell'abiura non e quello che la Curia romana si attende, tanto che -
contrariamente alla prima intenzione - si decide di non renderlo pubblico. A
convincere G. ad abiurare e stata la speranza di poter tornare presto in
libertà. Ma e trasferito al forte di Ceva, dove rimane. Le istruzioni impartite
al conte Magistris, governatore del forte, sono per la migliore sistemazione
possibile nel castello. G. e rinchiuso nella prigione detta "la
speranza": due stanze e un anticamera interamente rivestite in legno e
chiuse da una porta di pietra. Gli era permessa qualche ora d'aria al giorno, purché
non parlasse con nessuno, tranne il governatore e il confessore del forte, e puo
leggere e scrivere, purché le sue opere non uscissero da Ceva se non per Torino.
Nel tempo di prigionia cebana G. termina i Discorsi sopra gli Annali di LIVIO
(si veda) e scrive altre tre saggi: l'Apologia de' teologi scolastici,
l'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda), e L'ape ingegnosa. In esse
riaffiorano molti temi del Triregno, soprattutto nell'Apologia de' teologi
scolastici - dove L’AUTORITA DEI PADRI della Chiesa e sottoposta a UNA VERA
DEMOLIZIONE -- e nell'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda).
Quest'ultima, inizialmente concepita come conclusione dell'Apologia, e una vera
e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno papale una vasta parte dove
essere dedicata a tale PONTEFICE. Temi tipici degl’autori libertini, in particolare
di Toland, grazie a un sapiente uso della Naturalis historia di Plinio il
Vecchio, tornano anche nelle pagine dell'Ape ingegnosa, vasto e complesso
zibaldone, come recita il titolo, di varie osservazioni sopra le opere di
natura e dell'arte, denso di spunti autobiografici. Nonostante la
prigionia, la fortuna europea di G. continua. Ad Amsterdam sono aparsi i suoi libri
sulla "politia ecclesiastica" (Anecdotes ecclésiastiques contenant la
police et la discipline de l'Église chrétienne depuis son établissement
jusqu'au XIe siècle), e l'intera Istoria civile, curata da Bochat e Bentivoglio,
pubblicata a Ginevra -- ma con la falsa indicazione d’Aja. Mentre a Torino la
diffusione delle opere giannoniane preoccupava le autorità ecclesiastiche, a
Ceva G. entra in contatto con esponenti
della nobiltà locale, che lo incaricarono della stesura di alcune allegazioni forensi. A
causa dell'avanzata delle truppe franco-spagnole, allora impegnate contro il
Piemonte nella Guerra di successione austriaca, G. e trasferito a Torino. In un
primo tempo le condizioni della prigionia nella cittadella si rivelarono assai
più dure: il governatore Cortanze non ha, come invece il De Magistris, ordini
particolari per il prigioniero, il cui trattamento non e inizialmente dissimile
a quello riservato ai molti prigionieri che affluivano nella capitale da tutto
il Piemonte. La situazione e aggravata dalla morte d’Ormea, tanto che G. invia
al sovrano un lungo e disperato memoriale sul proprio stato e sulle angherie
cui lo sottopone il maggiore della cittadella, Caramelli. Da allora le
condizioni della sua detenzione migliorano sensibilmente. Il suo ritorno a
Torino non e passato inosservato; in pochi mesi G. entrò in relazione con
personaggi della corte e della cultura, come i bibliotecari dell'Università
Ricolvi e Rivautella, e, soprattutto, Villettes, il quale gli fa avere diversi
libri della propria biblioteca, grazie ai quali, oltre a quelli avuti dalla
Biblioteca reale tramite Cortanze, G. puo aggiungere nuovi capitoli
all'Apologia de' teologi scolastici e iniziare una nuova versione dei Discorsi.
L’interesse destato da G. suscita la reazione delle autorità ecclesiastiche. Il
nunzio a Torino, Merlini, protesa presso
il sovrano, il quale gli assicurò che le condizioni del prigioniero sono
divenute più severe. In realtà G. continua a scrivere e a ricevere
libri da Villettes e da Roero di Cortanze. Il desiderio di G., formulato in una
lettera ad Ormea che sulla sua tomba e posta un'iscrizione da lui appositamente
composta non e esaudito. Il suo corpo e sepolto nella fossa comune dei
prigionieri della chiesa di S. Barbara, all'interno della cittadella. La chiesa
e distrutta. Altri saggi: “Saggi” a cura di Bertelli e Ricuperati, Milano, con
bibliografia, in cui sono comprese la Vita scritta da se medesimo, pagine
scelte dell'Istoria civile, del Triregno, del Ragguaglio del ratto, delle altre
opere del carcere e alcune lettere; Istoria civile, a cura di Marongiu, Milano;
Triregno, a cura di Parente, Bari; Dopo la "Giannoniana": problemi di
edizione, nuovi reperimenti di fonti e l'introduzione perduta del Triregno, cur.
Ricuperati, in L'Europa fra Illuminismo e Restaurazione. Studi in onore di
Diaz, a cura di Alatri, Roma; un manoscritto del Ragguaglio del ratto è stato
pubblicato in Un testo inedito di G., cur. Denis, Archivio storico italiano,
Delle altre opere del carcere l'unica sinora pubblicata in edizione critica è
L'ape ingegnosa, overo Raccolta di varie osservazioni sopra le opere di natura
e dell'arte, a cura di Merlotti, Roma, con bibliografia. Per le lettere. G., Epistolario,
a cura di Minervino, Fasano; Lettere autografe, cur. di Minervino (in entrambi i casi l'edizione non è del tutto
affidabile, cfr. la rec. di Rienzo, in Bollettino storico-bibliogr. subalpino,
Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti di G., inventario a
cura di Ricuperati, Le carte torinesi di G., in Memorie dell'Acc. delle scienze
di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche. Il fondo è stato
arricchito da documenti autografi del G., in gran parte relativi ai periodi
austriaco e veneziano. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di G.. Ricerche
bibliografiche, Bari; Marini, G. e il giannonismo, Bari; Vigezzi, G.
riformatore e storico, Milano; Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e
documenti della fortuna di G., Napoli; Ricuperati, L'esperienza civile e
religiosa di G., Milano; G. e il suo
tempo, a cura di Ajello, Napoli; Merlotti, Risorgimento ghibellino: Ferrari
lettore di G., in Annali della Fondazione Einaudi; Negli archivi del Re. La
lettura negata delle opere di G. nel Piemonte sabaudo, Riv. stor. Italiana; Ricuperati,
G.: an itinerary in European free-thinking, in Transactions of The Congress on
the ENLIGHTENMENT, Oxford; Trevor-Roper, G. and Great Britain, in The
Historical Journal, A. Hook, La "Storia civile del Regno di Napoli"
di G., il giacobitismo e l'Illuminismo scozzese, in Ricerche storiche,
Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel
pensiero religioso di G., Firenz. Grice: “One good thing about the Roman Church (you
know, there’s a Jewish Church, too) is Giannone – he was rendered an ‘impious’
by the Church and imprisoned to death. This allowed him to philosophise on the
Liguri – and he did!” Pietro Giannone. Giannone.
Keywords: la terza Roma, autobiografia, ego-grafia – Vico, Giannone, Genovesi –
Liguria – commento su Livio – regno terreno, regno celeste, regno papale --.
Storia di roma antica -- giannonismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannone”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e Giavelli:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- semantica del
segnare -- segnante e segnato – filosofia fortinese – scuola di Torino –
filosofia piemontese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (S. Giorgio di Canavese). Filosofo torinese. Filosofo
piemontese. Filosofo italiano. Grice: “I love Javelli – he is, like me, an
Aristotelian; being a northern Italian, he is a Thomstic Aristotelian, which
I’m not sure I am!” Grice: “One good thing about Javelli is that he commented
on MOST works by Aristotle!” -- Essential Italian philosopher. Studia a Bologna. Fu esegeta. Argomenta contro
Lutero. Opera omnia” (Lione, Giunta). Partecipa al dibattito sul Tractatus de
immortalitate animae di Pomponazzi, di cui scrisse, su richiesta di Pomponazzi
stesso una confutazione. Partecipa al dibattito sul divorzio di Enrico VIII,
esponendosi a favore della scelta del sovrano. M. Tavuzzi, in
"Angelicum", DBI.Casale Monferrato. Crisostomo Javelli was born
in 1470 c., presumably in Piedmont, joins the Dominicans. On G. see GILSON,
Autour de Pomponazzi: problématique de l'immortalité de l'âme en Italie,
Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age; TAVUZZI, G. OP A
Biobibliographical Essay: Biography,
Angelicum, G. A Biobibliographical Essay: Bibliography », Angelicum. G. is the author of a Compendium Logicæ. The structure
of G.’s work mirrors Ockham's Summa logicae in many respects, but also NICOLETTI
(si veda)’s Logica Parva (unlike NICOLETTI (si veda), however, G. does not deal
with obligations and insolubles. The Compendium deals with the following
topics: Introductory remarks, which include a short history of
logic; terms (this part corresponds to the doctrine dealt with by
Aristotle in De Interpretatione); propositions; the five
praedicabilia (this section corresponds to Porphyry's Isagoge); the
antepraedicamenta, the doctrine of the categories (praedicamenta), and the
postpraedicamenta (this treatise, as is clear, corresponds to Aristotle's
Categories); syllogism; supposition theory; ampliatio and
appellatio, i.e. changes in the supposition of a term and changes in the
tenses of verbs; theory of consequentiae; de probatione terminorum
(this treatise deals with the ways in which it is possible to show the truth,
or the probability of a proposition); demonstrative syllogism (this part
aims at expounding what Aristotle says in his Posterior Analytics). The
treatise is published in in Venice. The Compendium is rather successful, and goes
through many editions. G. has many teaching positions within the dominican order
and, most probably, he writes his Compendium logicæ for didactic purposes. The
tendency to systematize the new logic of the late medieval authors and to
present it as consistent with Aristotle's logic is even more evident than in SAVONAROLA
(si veda)’s Compendium. G. is also influenced by the humanists, inasmuch as his
treatises draw attention to the linguistic, and historical context in which
ancient logic arose. If VALLA (si veda) criticizes NICOLETTI (si veda) for the
latter's unfamiliarity with the Greek language, G. dwells on the etymology of many key terms of
logic, and shows a certain familiarity with both Greek and Latin. In his
historical section, G. maintains that Socrates and Plato are not strong
in answering and solving because they did not have logic, even though
they were strong in asking questions or in raising doubts » (licet potentes
essent ad interrogandum sive dubitandum, non tamen ad respondendum et solvendum
propter logice carentiam). Logic is founded on its proper grounds by Aristotle,
for whom Javelli has words of deep admiration: Hence, the Author of
nature gave us Aristotle, who first discovered true logic with his almost
divine mind and organized and brought it to completion in all its parts, so
that we could discover the true rule of knowing that guides the human mind in
arts and sciences." TAVUZZI, G. OP Logicæ Compendium LIZIO,
ordinatum per G. Canapicium ordinis praedicatorum, ex officina Ioannis Blaui de
Colonia, Olvssipponae henceforth, G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ Ut
igitur vera sciendi regula directiva humani intellectus in artibus et scientiis
inveniretur, datus est nobis ab authore naturae Aristoteles, qui suo pene
divino ingenio primus logicam veram invenit, et secundum omnes partes ordinavit
ac perfecit. These words implicitly show the ideological background of the
Compendium logicae, that is designed to expound Peripatetic logic. Javelli was
aware that many topics of his treatise had not been discussed by LIZIO, but he
nevertheless thinks that these doctrines are at least Aristotelian in spirit.
When G. introduces the theory of suppositio, in the seventh treatise of his
textbook, he states that doctrines like the suppositio are consistent
with Aristotelian philosophy, even though Aristotle did not propose them , and
this will be clear to you once you progress in logic, philosophy of nature and
in metaphysics under the guidance of the LIZIO. G.’s attitude in finding an
agreement between the doctrines of Aristotle (and of Aquinas) and those of
later thinkers has been already underlined by Tavuzzi, and may be said to be a
trademark of his Compendium. After his sketchy history of logic, G.
defines logic as a rational science® and states that its generic subject is
mental being. The subject of logic, as a distinct discipline, is the
" ens rationis ratiocinativum, quod est idem quod argumentatio.This
remark echoes BARBÒ (si veda)’s claim that the object of logic is the ens
rationis, but G. seems to harmonize the AQUINO (si veda)’s solution with the
position of Albert the Great, because the ens rationis is qualified as
ratiocinativum and this is said to be identical to argumentatio. According to BARBÒ
(si veda), Albert the Great taught that the object of logic is 'arguments.
BARBÒ notices the similarity with what he took to be Aquinas's position, but
stressed nevertheless the difference between the two medieval Dominicans. G.
implicitly unifies their positions. According to G., logic is a science
and not empirical knowledge, because it has proper subject and proper
principles: the presence of these two elements is enough to hold that it falls
under the rational sciences, and is divided into sub-disciplines according to
the scheme that Aquinas introduces in the Proemium to his -- etsi non
habeantur ab Aristotele, tamen doctrinae peripateticae consonant, ut tibi
constabit postquam in Aristotelis disciplina tam in logicalibus quam in
physicis atque metaphysicis eruditus fueris » (my translation). Cf.
TAVUZZI, Herveus Natalis and the Philosophical Logic of AQUINO (si veda) in the
Renaissance, Doctor Communis, G. Compendium logicae -- llogica est scientia
rationalis discretiva veri a falso ». Javelli adds that logica est ars artium
et scientia scientiarum, qua aperta omnes aperiuntur, et qua clausa omnes alie
clauduntur; this statement echoes Peter of Spain's claim that dialectica est
ars artium, scientia scientiarum, ad omnium methodorum principia viam habens (Petri
Hispani Summulae Logicales cum Versorii Parisiensis clarissima expositione,
apud Sansovinum, Venezia -- subiectum in illa universalissime sumptum est ens
rationis, id est ens fabricatum ab intellectu et non habet esse extra
intellectum -- commentary on the Posterior Analytics.8 In his treatise on
terms, G. stresses that terms signify ad placitum, and that verbs are always
tensed. G. has something interesting to say about
propositions. According to him, a proposition 1s omething s (oratto verum
vel falsum signtcans Indicando s) the Clause 'indicando' is meant to
exclude prayers, utterances of wish, etc. from the set of propositions. G. adds
that only present tensed propositions are propositions in the fullest sense,
because past-tensed and future-tensed utterances do not signify anything that
is the case or that is not the case, and thus cannot be true or false:
The phrases (orationes) in the past and future indicative tenses do not signify
primarily and per se 'true' and 'false', unless they are transformed into a
phrase in the indicative present tense.' This is not sufficient evidence
to suggest that G.'s understanding of propositions is analogous to SAVONAROLA
(si veda)’s and, regrettably, G. does not add many details to his definition.
In the same third treatise, G. deals with modal propositions as well, and in
this case the didactic aim of his exposition could not be more evident. He
deliberately avoids all technicalities and limits himself to stating some basic
principles of modal logic: modal propositions are defined as categorical
propositions to which a modal operator has been attached as a prefix.
There are four modal operators for G.: necessary, contingent, possible, and
impossible." G. maintains that also 'true' and 'false' are modes, and by
doing so he refers to a traditional doctrine, which has been endorsed also by
Aquinas in his De propositionibus modalibus. G. adds that also 'per se' and
'per accidens' are modes, and they correspond to 'necessary' and 'contingent'
respectively: Nam licet prima [i.e. 'per se'] aequipolleat modali de
necesse, et secunda [i.e. 'per accidens'] modali de contingenti, tamen ‹non>
sunt formaliter modales."2 Ibid., fol. 12r-13r. Cf. ARISTOTELES. De Interpretatione. This claim, although consistent with Aristotle's
littera (cf. De Interpretatione), is at odds with Savonarola's exposition. This
suggests that 'Thomist logic' was not a monolith and there were several debated
issues. G. Compendium logicæ Orationes etiam modi indicativi temporis
praeteriti et futuri non significant primo et per se verum et falsum, nisi
reducantur ad unam temporis praesentis indicativi. I suggest to add a 'non' to the sentence to make it
intelligible. This observation seems to suggest that modal syllogistic is
grounded on Aristotle's theory of predication. G., however, does not expand
this interesting intuition. Furthermore, even though he is aware of the
distinction de sensu composito/de sensu diviso, he does not consider the
problems that such a distinction may create within modal syllogistic.' His
exposition of modal logic is intentionally simplified for didactic reasons;
after having expanded modal conversions, Javelli adds: that would be enough for
now, lest you get confused, young man (hæc pro nunc sufficiant ne tu iuvenis
confundaris. The tendency to simplify the core notions of medieval logic brings
sometimes G. to modify significantly these doctrines, as is the case in
his supposition theory. Medieval authors did not understand the theory of
suppositio as a mere theory of reference, but as a theory of meaning, namely as
a theory for interpreting sentences. G., on the contrary, seems to consistently
maintain that the supposition theory is what we would nowadays call a theory of
reference." According to him, the supposition is said to be
the positing of a term instead of another, i.e. instead of one of its meanings.
In this sense, we say that in this utterance 'God is good', the It
is perhaps worth mentioning that such an interpretation has gained an
increasing consensus among contemporary scholars: cf. Thom, The Logic of
Essentialism: An Interpretation of Aristotle's Modal Syllogistic, Kluwer,
Dordrecht The New Synthese Historical Library: Texts and Studies in the History
of Philosophy); MALINK, Aristotle's Modal Syllogistic, Harvard, Cambridge,
MA The laws of conversions for necessity propositions are valid de sensu
composito; mixed necessity syllogisms (like Barbara LXL) are valid only if the
modal operator is read de sensu diviso. This seems to suggest that Aristotle's
modal logic is inconsistent. G., however, seems not to be aware of this
philosophical problem. His exposition of the distinction between de sensu
composito and de sensu diviso is as follows: « in modali de sensu composito
modus aut praeponitur aut postponitur toti dicto [...], in modali autem de
sensu diviso modus nec praeponitur nec postponitur dicto, sed 95
mediat inter partes dicti. G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ According
to NOVAES, suppositio provides mechanic rules, by means of which we can list
all possible interpretations of an ambiguous sentence. The theory of the
suppositio may also serve the purpose of finding the references of the elements
of a sentence in certain context; writing about Ockham, Novaes observes that
supposition theory is better seen as a theory of propositional meaning in the
sense that one of its main purposes is to provide an analytical procedure for
determining what can be asserted by means of a given proposition - a procedure
including, but by no means limited to, the determination of the entities that
the proposition may be about, i.e., its possible supposita, as it would be the
case if it were a theory of reference (An Intensional Interpretation of
Ockham's Theory of Supposition, Journal of the History of Philosophy, Geach
presented supposition theory as a theory of reference in his classical
monograph Reference and Generality. An Examination of Some Medieval and
Modern Theories, Cornell, Ithaca, NY Contemporary Philosophy] term 'God' stands
for its meaning, so that the sense is: what is signified by 'God' is
good.'8 Javelli relies on the definitions of suppositio provided by Peter
of Spain and by MANTOVA (si veda), but in his view the supposition theory is a
theory of reference: A substantive term in or outside a proposition,
taken in itself, has a meaning, but it has a reference (non supponit) only in a
proposition. To make this clear, note that 'to signify' precedes to have a
reference For to signify is to introduce a term or a sound to represent a given
something. As a consequence, it is up to the first authors who give names to
things to make it possible to signify. To have a reference is to take an
already given meaningful term so that it can refer to any of its meanings or
references in a proposition. 10° According to Javelli, 'supponit' may be
translated with 'refers to a suppositum. G. is faced with two alternative
interpretations of the suppositio. But surprisingly, he endorses the one that
is more at odds with his understanding of suppositio as a theory of reference. G.
writes that Thomists are debating among
them as to whether a term can suppose (supponere) only in a proposition or also
in itself. G. maintains that a term supponit only in a proposition - a
conclusion that is certainly more consistent with an understanding of
supposition theory as a theory of meaning, 'G. points out that this debate
originated from the interpretation of AQUINO (si veda), Summa Theologiæ. G. summarises
AQUINO (si veda)’s position as it follows. In his answer to the
third never refers to a person, unless the word is determined by its
corresponding predicate, such as in 'God TAVELLUS. Compendium logicæ,
dicitur suppositio positio termini pro alio, id est, pro aliquo SVO
SIGNIFICATO.In quo sensu dicimus quod in hac oratione Deus est bonus, ly Deus
ponitur PRO SUO SIGNFIICATO, ut sit sensus, id quod significatur per 'Deus' est
bonum -- terminus substantivus in propositione et extra propositionem per se
sumptus SIGNIFICAT, sed non supponit nisi in propositione. Pro
cuius notitia adverte quod SIGNIFICARE precedit supponere. Nam SIGNIFICARE est
imponere terminum sive vocem ad aliquid certi REPRESENTANDVM. Unde facere
significare spectat ad primos authores qui rebus nomina imponunt. Supponere
autem est accipere terminum iam impositum ad significandum ut stet in
propositione pro aliquo suo significato vel supposito generates, God is Father,
God is Son. Hence means (significet) a substance
with a quality, a name properly means (significat) a quality, i.e. the form on
the basis of which the name is attributed; however refers to (supponit) a
substance, i.e. to the thing to which such name is attributed. This leads
Capreolus to maintain that this is false: God does not generate God (ista
est falsa Deus non generat Deum). 104 If we were to follow G.’s view, it
is possible, I think, to maintain that a proposition like Deus non generat Deum
may also be TRUE, inasmuch as the term Deus in this context may be taken to
refer not to a person. Consequently, it would be true to say that god, qua trinity,
does not generate god, qua trinity. This example shows that G. has original
ideas, even though he never wants to explicitly detach himself to the core
tenets of that Thomistic school to which he belonged. -- in responsione ad
tertium dicit quod homo per se supponit pro persona, Deus autem per se supponit
pro natura. Plostquam beatus AQUINO (si veda) dixerat quod Deus supponit per se
pro natura, statim declarans huiusmodi suppositionem format hanc suppositionem,
ut cum dicitur Deus creat. Numquam autem supponit pro persona, nisi
determinetur per predicatum relativum, ut Deus generat, Deus est pater, Deus
est filius, ergo Deus non ex se, sed respectu talis praedicati supponit pro
persona Capreoli Tholosani OP Thomistarum Principis Defensiones Theologiae Divi
AQUINO (si veda), ed. CESLAS PABAN, THOMAS PÈGUES, Cattier, Touronibus -- nomen,
licet significet substantiam cum qualitate, proprie tamen significat
qualitatem, hoc est formam a qua nomen imponitur; supponit vero pro substantia,
hoc est pro re cui imponitur tale nomen According to the Catholic dogma, it is
God the Father who generates God the Son. In other words, if we assume that the
term Deus supponit pro persona independently (and, hence, in every context), it
follows that a proposition like God does not generate God should be FALSE. The sections on syllogistic are the less original
parts of G.’s treatise. Geli — Rossi modum definiendi, dividendo et
demonstrandi, Tu tamen adverce licet fiteadem realiter, ratione tamen distingui
turinquantu docens, et inquantu utens. Namin quantu docens consideratur in e,
in quantu utens relpicit alias scientia. Logica docens sufficienter diuiditur
in tres partes. Prima est in qua tradatur de terminis in complexis, et hoc ditiiditur in duas. In prima consideratur de
terminis secundo intentionis, et iste
est liber praedicabilium. In
secunda consideratur de terminis primx intentionis, et iste est liber
praedicamentorum, et post
praedicamentorum. Secunda est in
qua tradatur de terminis
complexis, id est de oratione et
propositione et hic est liber “Peri
Hermenias”. III est in qua tradatur de argumentatione et hoc dividitur in
quatuor. In prima agitur de
argumentatione syllogistica absoluta et simplici, idesi noh applicata
alicui materiae et hic est
liber pnorunviln secunda agitur
de syllogismo demonstratiuo, et
hic est liber posteriorum. In tertia agitur de syllogifmo topico, id est
probabili, flthic eft liber topicorum. In quarta agitur de
syllogismo fallaci, quem dicimus sophisticum, co q* per ipsum solum gc iteratur deceptio, et hic est liber
elenchorum. Hoc est summa librorum, quos
tradidit nobis LIZIO inventor logicæ. Reliquos autem minores tradarus quos
appellamus parva logicalia, non habemus formaliter ab LIZIO. Sed posteriores
traxerunt virtualiter ex praedictis libris LIZIO, ita us
tradare de gtib9oronis, deinde de oratide
et cmltiatione, sicut etiam tradat grammaticus modo grammatico et
socundo loco tradabimus de syllogismo formali et tertio loco de prædicabilibus, et quarto loco de
praedicamentis. Nam abfqj notitia propositionis et syllogismi, n “Quida homo
non currit.” Praepositiones (“to”) aurem determinant
nomen ad constructionem pro cerro casu,
puta ablativo ucl
accusative. Adverbia
determinant verbum f>ro
determinato Io co, ut
adverbia localia, vel pro determinaro
tempore, ut adverbia temporis, vel pro
determinato modo quantitatis ucl qualitatis tut adverbia
quantitatis et qualitatis. Coniunctiones (‘and,’ ‘or’) autem determinant
terminos et orationes, secundum,
modum copularivum (‘and’), vel disjuinctivum (‘or’) vel
illatiuum. exeplum primi,
“et” , arcp exemplum
secundi, “vel,” “aut” , exemplu tertii, “ergo,” igitur, iracp. Inter syncategorematicos terminos non comprehenduntur intejectiones
(“ouch!”) : quoniam ut docuimus signficant NATURALITER, nec pronomina primitiva, quoniam
sumuntur loco proprii nominis et certam significant personam. De derivativis autem videtur
quod sic, quem sunt ut
determinationes nominum substantivum - ut “meus liber”, “tuus pater”, “nostra patria,”
etc. Similirer participium ji5 eft terminus syncategorematicus,
compleditur enim nomen substantiuum et verbum -- ut
“legens” loquiTUni» ‘homo qui legit’ loquitur. Ex his
omnibus sequitur, quod cum sine odo
partes orationis, tantum
nomen et verbum sumendo cum
nomine pronomen primitivum, et cum
verbo participium, sunt termini
categorematici, alix autem partes sine termini syncaregorematici
apud logicum, et caulam huius dicemus postquod definierimus nomen et uerbum. Terminorum
categorematicorum quidam eft primat
intentionis, quidam secundae. Prima
intentio apud veros peripateticos (LIZIO) est primus conceptus fundatus
immediate in re, quod est ens reale, ut
primo apprathenditur prxhenditur
ab intellectu, -- ut ‘animal
rationale’ est prima intentio quam format intellectus, et
immediate fundatur, iit natura hominis. Secunda aurem intentio est
secundus conccprus formamus ab
intellectu, fundatus in re non immedia ce sed mediante primo conceptu, ut esse
praedicabile de pluribus differentibus
numero in quid, est secundus conceptus quem format inrellectus de homine.
Nam postquam appraehendit cp ‘homo’
est “animal rationale”, advertit
ut est ‘animal rationale’, convenit omni contento sub homine, et sic est
praedicabilis de quolibet suo
individuo in quid, et tunc format secundum conceptum, dicens quod natura
hominis e eo quod est ‘animal rationale’ est prædicabilis de pluribus
differentibus numero in quid et quod dico de homine incellige de qualibet
natura specifica contenta sub animali. Terminus igitur primis intentionis est
terminus significans primum conceptum,
fundatum immediate in
essentia rei -- ut “homo”, “capra”, “leo”. Terminus autem
secunda intentionis est terminus significans secundu conceptum fundatu
in natura rei
median re pmo conceptu -- ut “genus”,
“species”, “differentia”, “singular”, etc; Et ne confundatur intellectus
novitii hic sisto. In tradaru aute de
universalibus sive praedicabilibus diffusius et altius de terminis pmx, et
feciidx INTENTIONIS loquemur. Et aduerte quod
divisio termini in terminos pmz impositionis, et secundo
positionis apud nos, qui
sequimur VIAM REALIUM non differt
a praecedenti. Nam “homo” in mente vel anima excogitatus, et voce probatus, et in scripto politus,
significat (>mum conceptum ideo est terminus pmz intentionis in mente vel anima, in voce, in
scripto. Et iste terminus species ex
cogitatus in mente vel anima et in voce et in
scripto et secundæ intentionis,
quia significat secundum conceptum modo
quo diximus. Non ergo est necesse ultra divisionem faftam inter terminos
f>mx, 8( secundae intentionis,
assignare eam quæ dicitur pmz, et secundx imtentionis ut penitus distinctam
aprxcedenti, qux fuit inter m x, et secundx
intentionis. Hoc enim continetur
in illa. Terminorum quidam cfimunis, quidam singularis. Cdmunis est q
de pluribus pradicatur -- ut “homo”, “animal”, “lapis”, et apud grammaticum
dicitur nomen appellativum, quem pluribus convenit. Terminus singularis est
qui de uno
solo prædicatur -- ut piato, et
fortes, et apud grammaticum dicitur
nomen proprium (“Fido”), qmuui foli conuenk,
& ad «erte alternas, ut qndiuiditeorpus p alata
et inaiatu, et aiatu per fenfitiuu
St no (cnfitiuu, fecundo gnis
in spes spalissimas, uc qii
dividitur color per albedinem et nigrcdinem. Et hac divisionem cognosces
in trac. de praedicabilibus. Diuivio totius in gtes fkqncp
modis, pmo qntotu dividif in ptes fubicdiuas individuales, ut qn dividit
ho in forte Pia Ioanne. Pecru, etc. Scdo
qn totu dividitur in partes eflcntia
lcs, uc ens naturale compositu dividif in materia et forma, sicut dividit
homo in animam et corpus, III qn
dividitur totu co tinuuin partes suas intcgralcs, ut domus
in fundametum, tc» dii, et
pariete, et corpus animalis in partes, qufe sunt membra sua, ex
qbus integrat corpus, IV qn dividitur totu dito tinuu in
partes fiias, inter quas & fi no fit
continuitas est rame ordo et proportio. Hoc rao dividif EXERCITVS in
mtlitcs, cqtcs peditcs, 8(c.
quinto qn diuidif totu poretialc fiue poteftariufi in partes
fuas poreftatiuas qn
diuiditur anima per
potentias suas et virtutes
suas, ut tibi manifeftabitur i
libro de anima, et ifra
manifestabimus tibi in libro de
syllogismo Topico Divisio uo cis in sua significata sit tribus modis
primo vocis univoce in
significata univoce, ut qn dividif ho in
fortem et platone etc, secundo vocis
aequivoce in significata
aequi-vocata, -ut qn diuiditur “cancer” in ftclla
fiue signum cæleste,
et aquaticum aial, et morbum, III vocis analogicæ
in significata analogata, ut qti
diuiditur “sanu”, iu alal (anu, urina
lana, medicinam sanam, cibum sanum, aercm sanum, excretum sanum, et
cetera Et hanc divisione cognofccs in
trac. de pntis.; Divisio secudu accidens
sic tribus modis, primo subiecti in accidentia, ut holum
alius parvus, alitis magnus 1
alius albus, alius niger,
alius medio colore coloratus, (c3o accidentis!in
subiecta, ut accidentifi, quæ sunt m hoie, aliud
in aia, ut seia, aliud
in corpore, ut
agilitas etc. tertio
accidentis in accidentia, ut accidcntiu, quarda dura, quaedam
liquida, qnada lucida, quaedam tenebrosa, et hxc divisio manifestabit tibi in philosophia naturali et
præcipue in libro de generatione. Ifti
igitur sunt iqodi univerfales
famofiores apud Aristotelem, quibus fieri
confutuit divisio. Quantum ad
pmam divifionem, quac est
per affirmatiua et negatiuam aduerre, quod affirmatiua
dupfr definitur, pmo fic, categorica affirmatiua est. ppofirio in qua praedicatum affirmatur
de subiefto: -- ut: Homo est albus. Sed
adverte cj» tuc praedicatu affirmatur
de subiectc quando negatio no
p cedit copula, q?
fi praecedit negatio, negatur
pdicatum de subiecto, et efficitur
negariva – ut hic “Socrates
non est
albus.” Si au tem fiib fequitur
no efficitur negatiua, sed permanet affirmativa,-- ut:
Homo est
no albus. Ire
adverte «p alio
modo affirma! pdicatum de
fubiecto in affirmatiua
uera & in falsa,
na in vera
affirmatur re et voce
quia sic est in re, sicut dr, ut homo re et uoce est risibilis. In
falsa atite affirmatur voce tm et non
re. Nam licet dicam q» Homo est asinus tarhe non sic est in re, secundo
definitur sic. Affirmatiua est in qua verbum principale affirmatur de subiecto,
ut Homo est animal. Dr in qua nerbum
principale affirmatur ad differentiam verbi secundarii qtiod si negattir vel
affirmatur, propter ipsum non sit propositio affirmativa
nec negativa. Vnde ista non est
negativa. SOCRATE CICERONE CATONE qui
non currit, mouetur, nec ista
eft affirmatiua, Socrates,
qui currit, non movetur. Nam
In prima licet
uerbum secundarium, quod est, currit, negetur, tamen principale quod est
movetur, affirmatur, ideo permanet affirmatiua. In IccQda autem
fit oppofito modo,
ideo permanet negatiava. Et ratio huius est, quia ticrbii
secundarium fe tenet a parte subiecti,
q3 paret refoluedo in
fuu participiu fiuc aftiuum siue pasfiuu, ut hic. SOCRATE CICERONE CATONE qui non currit,
ideft. Socrates a9 non carrcns mouccur, SOCRATE CICERONE CATONE qui currit, id
est Socrates curreni non mouerur:
Subiectum autem coniunctum participio affirmatiuo negatiuo no facit propositionem dic affirmatius ucl
ncgariuam, tcd negatio cadens
fuper uerbum principale fiue immediate, ut quando lubfequitur fubiedum, ut
“homo non est
afinus”, sive mediate, ut Non homo est
animal, dum modo fumatur
negatio negans, et no infinitam
terminum, cui opponitur, nam si infinitarer, non faceret
negativam. Vnde lixc non
clt negative. “Non homo currit”,
qm ly non homo clt nomen infinitum, etc. Vnde non homo curru, xquippollet
ifti, afinus qui ft no homo currit. Coftat aut hanc elfe affirmatiua
Patet igitur quid fit categorica aftirmatiua. Categorica negatiua dupliciter
definitur. Primo sic, categorica negativa est propositio in qua prædicatum
negatur de suo subiecto, auc homo non est lapis. Secundo sic, est propoaitio in
qua verbum principale negatur . Dicitur verbum principale ad differentiam verbi
secundarii, quod ut docuimus sive affirmetur sive negetur, non facit propositionem affir. aut
nega. Et aduertc, quod propofitio
poreft fieri afflr.
vel nega. dupliciter scilicet
explicite et IMPLICITE. Si explicite, sit per
nomen et verbum indicativi modi,
ut homo est risibilis. SIIMPLICITE potest fieri per unicum terminu, ut quando
dicimus, homo est risibilis, et e converso, ly
e converso aequippollet uni
propositioni, qux elf hxc, et
risibile est homo. Item aduerte quod divisio per
afflrmativam et negativam non foium convenit categoricæ sed etiam hyporheticæ
et moduli, quomodo autem fiat hypothetica affirmativa et ne gar. similirer modal s, dicemus agentes de eis. Nunc autem fuftine,
ne confundaris ut nouus AVDITOR (Grice, RECIPIENT). Hxc de prima divisione di&afint Quantum ad
secundam divisionem categorica: fciliccc
per veram et falsam, aduerte quod cartgorica vera, tam affirmatiua quam
negatiua dupliciter definitur. Primo sic, vera est, qua: significat verum
id est significar rem sicut est, si est affirmatiua, vel significat rem sicut
non est, si est negatiua. Sed de hac latis
diximus in ca. præcedenti in
dedaranlo definitionem propositionis secundo autem fir defiintur. Vera est illa, cuius SIGNIFICATVM
PRIMARIVM EST VERVM. SIGNIFICATVM autem PRIMARIVM est illud quod exprimitur p
oro nem infinitiuam. Verbi gratia hxc eft ucra Deus eft bonus qm deum clfc
bonum, est verum. Sic.n. eft in re. Dico cuius primarium significatum est uerum
ad differentiam secunda rii. secundarium
autem eft quod continetur in primario 8c fcquitur ad illud. Verbi gracia
primarium huius, homo est rationalis, eft eftc rationalem ad hoc autem
fcquitur cfte ani
mal, esse animatum, ede corpus
efie subie&am. luxta
igitur SIGNIFICATVM PRIMARIVM et fccundarium indicanda
eft propofirio uera,qm
cft ucra primo
et per fe ex eo,
ex fccundario autem est tantum confequenrcr. Nam bene sequitur qcf “Si fortes
est homo, fortes est animal.” sed
non ceonuerfb, ut declarabimus in trac. dc
confequentiis. Similiter falsa dupliciter definitur. Primo sic, falfi
est qux aliter significat quam fit
in re, ut hxc
cft falsa, Homo est ansinus, quia SIGNIFICAT hominem esse asinum,
et tamen aliter est rn re, quia
in re no
est asinus, sed homo sive rationalis, et de hac
definitione iam diximus
in cap. præcedentiin definitione propositionis. Sccundo sic,
falsa est illa cuius primarum
significatum est falsum. Verbi
gratia hæc est
falsa “Homo est
asinus”, quia holem esse asinum
est falsum, cu sic ronalis, et
asinus irratroalis. Quod si
fiereciudicium secundu SECVNDARIVM SIGNIFICATVM (IMPLICATVRA), quod est dfe
animal, effet vera. Nam hxc
est, vera homo est animal v
non tamen sequitur, ergo est afinns, ut declarabitur tibi in
trac. De consequentiis Hxc de fecunda diuifioncdiftafint, Quantum ad
tertiam divisionem scilicet quod aliqua est
alicuius qiiamicari$, aIiquanulliu$. Alicuius quantitatis eft illa, cuius subiectum ftat
pro aliquo ucl pro aliquibus vel pro omnibus vel pro nullo, ut declarabitur in
diuifione sequenti. Nullius quantitatis eft illa cuius subiectum suspenditur a
propria denoiationc, ronc, pbationis termini prxcedetis ipIum quails est exclusiva
exceciua reduplicativa, de quaif , p- Satiqne aprietates: ut est RISIBILITAS in
homine, PAR et impar in NUMERO, curvum et RECTVM in linea, sumum calorem in
igne lite nancg faciunt propositionem in materia naturali. Quid ne. ro sit
fluere apneipiis specjci declarabitur tibi in trac. de prædicabilibus in cap.
de proprio et accidente. Illæ vero fiunt in materia remota, in quibus
prædicatum non potest verificari de subiecto, Imo id
inuicero repugnant. Istæ autem sunt in quibus subiectum et prædicatum
sunt opposita contraria vel contradidoria vel
privative ucl relative opposita. Exempla: Album est nigrum. Homo est non homo. Caecus est videns. Pater est
filius. Et aducrte, q? dicuntur
fieri i|i materia
remota, scilicet repugnanti, qm natur subiedi&i
prædicatiin oibus p didis repugnant adinuioem, nec se compatiuntur. Inde est q1
omnis affirmatiua in materia remota ferng et de neccsfiUtate est falsa,
negatiua autem femg et immutabiliter
ucra. In materia vero naturali est opposito
modo. Nam affirmariva femg est vera, negatiua fepig falfcM Jn nuter cotingeti? 4 est medio m6, qm tam affirma,
q nega, aliqn e vera aliqn falsa,
nam qn prædicatum inest liibiedio, affirmatiua est vera, negativa falsa, qn
prædicatum removetur, affirmativa est
falsa, negariva est vera. Hoc de VII diuifione difta fint. Quantum ad oAauam divisionem, quae fuit haec, Propositionum
categoricarum participatium utroqj termino eodem ordine triplici
materia.Cnaturali contingenti et remota adverte, quod inter eas sit quatruplexoppositio:
contraria sub-contraria, CONTRADICTORIA, ubalterna. Oppositio contraria sit inter
eas quarum una est universalis affirmatiua et altera universalis negatiua, de
eifdcm subietlis et prædicatis univoce et æque ample et aeque strictca cceptis.
Primo df quarum una est universalis et cetera. Nam ut distinguantur a
contradictoriis, debent esse eiufdem quantitatis et diverfae qualitatis. Si
eiufdem quatitatis, ergo utraqj est universalis vel particularis, non secundum
quia non essent contrariae sed subcontrariae. Ut dicetur infra ergo primum. Si, DIVERSÆ QVALITATIS, ergo i&fca est
affirmativa et altera negativa. Secundo dr de ei (dem subiectis et prædicatis:
uc ois homol albus, nullus homo est albus, et dcfeftu huius iftaeduae non funt
contrariae ois homo est albus, nullum rifibilc est albus. Tu tn aduerte
quod subiectum et prædicatum pnt esse
idem tripliciter, pmo fm vocem
tm et non fm
SIGNATVM, secundo t m. SIGNATVM
tm et non fm vocem, tertio fm vocem et
SECVNDVM SIGNIFICATVM. Exempla: Omnis canis latrat: nullus
canis latrat. Omnis homo currit, nullum
ronale currit. Omnis homo est alal
nullus homo est alaU Prima
identitas non sufficit ad
contrarietatem, ideo dicitur
in definitione, acceptis UNIVOCE,
constat aut quod canis est TERMINVS ÆQUIVOCVS; aut sufficit ad contrarietatem
virtuale seu ÆQVIVALENTE sed no
ad formalem; vero sufficit ad
contratietate proprie dicta et formale
[CF. H. P. GRICE, DICTIVE MEANING AND FORMAILITY – as candidates for EXPLICITVM
– why not both, as in J.?] , unde licet iftx duæ, “Omnis homo currit, nullu rationale
currit, sint cotrariæ virtualiter eo q
SECVNDVM SIGNIFICATVM homo et rationale fune idem non tamen forma\itct, qm formaliter
non participat E ii utroqj termino secundum vocem et SECVNDVM SIGNIFICATM.
III dicitur aeque ample &aeque
ftrufie acceptis. Dcfe du huius apud multos istae dux non sunt contrarie. Omnis homo est animal, nullus homo est animal,
quoniam in prima potest teneri tam pro masculis quam pro femminis; in secunda
SOLVM PRO MASCVLIS. Tu tn adverte, quod
secundum usum i utracp accipi confucuit pro MASCVLIS ideo
acceptantur: ut ue rz contrariZj Item defedu huius istæ dux non sunt
contrariæ. Omnis homo EST albus, Nullus homo FVIT albus, quia in prima reftringitur ad præsentes, in secunda autem ampliatur ad
przfentcs vel præreritos. Sed pronunc
fuftinc, donec pertrademus de AMPLIAZIONI et APPELLAZIONI. Tu tn adverte, quod
prxdldx non sunt contrariæ non solum ronc di da, sed quia copula non tenetur
eodem modo in prima set secunda. Nam in prima est ly est, in secunda
est ly FVIT. Unde in definitione
intelligendum est q' contrarix
debent c(Te de
ctfdem subicdis et
prædicatis et copulis. Hoc de
contrariis dida fint. Oppositio contradictoria est inter eas,
quarum una cft viis affirmatiua, altera particularis negativa, ut Omnis
homo est animal, Quidam homo non est
animal, uei altera est vfis negatiua, et altera particularis
affirmatiua, ut Nullus homo currit, Quidam homo currit, dccifdcm subicdis et pdicatis et copulis, uniuocc et zque
ample, et xque ftride acceptis.
Omnia debent intclligi sicut expofitum est de contrariis. Ut
autem habeas maiorem
noticiamdc contradidione adverte ex doctrina
LIZIO, quatuor condidioncs requirit, et defedu cuiullibct carum enitatur
contradictoria oppositio. Prima est quod sit affirmatio eiufdem de eodem et
negatio, dummodo sumatur idem secundum rem et vocem, ut “Socrates currit”,
“Socrates non currit”. Defedu cuius ista apud logicu non sunt contradictoria
formaliter sed virtualiter sive equipollenter tantum ex parte rei. “CICERONE
currit”, “MARCO non currit”, posito enim quod sint sinonima ex parte
significati quia ide homo didus est MARCO et CICERONE, tame distinguuntur voce
icas isb ffffi futc: ctu OOP uiJ'
ipl lo Taa
jnci u$ yra (Tei. t& il* ra^ jsi» iC30 is. io»
srt- t& itio, Sa ? t V
V^lArii* Jj; ii .I' d appdlationibus J
IX de consequentiis. X de
probationibus terminorum. Vndeamus de syllogismo demonstrativo, in quo quo
continetur LIZIO docrina in lib. poster. Qjia E Gmma recenti hac nostra
editione uiligentissime, exposita fiint, atque elaborate, Grice: “For all their
subtleties I lizii, or peripatetic logicians never cared about formulation. Consider G.: the dog barks,
anger is represented, ‘canis latrat raepresentatur ira, gemitus infirums
raepresentatur dolor. No care is taken to represent the proper signification.
It is still the ‘anima’ if the vegetative one, it is still the dog’s spirit. If
the dog barks, he means that he is angry. If the infirm moans he means he is in
pain, and so on.” Grice: “Javelli is one of the most careful Italian
philosophers. He had a fascination for two little tracts by Aristotle towards
which I also felt an attraction: De Interpretatione and Categories. His
comments on De Interpretatione are brilliant in that he reduces all to
‘re-presentare’. The infirmus who groans or moans represents ‘dolor’. The dog
that barks represents ‘anger’. These are ‘signs’ of the natural kind – and
rather than dark clouds meaning rain he is into ‘phone’ – vox – here it is vox
signifying that p or q naturaliter. (my example of groaning of pain). From
there he jumps to the institutional meaning, ad placitum, ex decreto et
authoritate – e consuetudine, -- a system which superseds the previous one. Giovanni Crisostomo Javelli. Iavelli. Giavelli.
Javelli. Keywords: implicatura, grammatica razionale, psicologia razionale.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giavelli” – The Swimming-Pool Library.
Giavelli.
Grice e Gigli Filosofo. Grice: “I
like Gigli”. Gigli. Una nuova approfondita trattazione intorno alle teorie del
linguaggio appare nel 1817, quando Mariano Gigli pubblicò a Milano La
Metafisica del linguaggio. Scienza nuova anche ai dotti e pei soli di buon
senso, nata come premessa all'elaborazione di una lingua universale. Mariano Gigli, nato a Recanati nel 1782, fu
professore di geometria, algebra e scienze naturali presso numerose università italiane. .Così si legge infatti nelle prime pagine:
«Mi occupavo d'un Progetto di Lingua Universale pei Dotti |...]. Mi avviddi
però, che le mie teorie si appoggiavano a dei Principj di Lingua poco o nulla
generalmente conosciuti, perché nessuno ebbe mai la sofferenza di meditarli.
Quindi lasciato il primo, mi occupai di questo secondo Lavoro: E così ebbe origine la presente Metafisica
del Linguaggio»MARIANO GIGLI, La Metafisica del Linguaggio. Scienza nuova anche
ai dotti e pei soli di buon senso, Milano, presso Francesco Fusi, 1817, pp. 5-6.. Immaginato
come prodromo di un'opera sulla lingua universale, Gigli discerne e determina
tutte le parti del discorso, e ne giustifica la natura in ottica filosofica.
Sul finire di questa prima opera accenna alla Lingua pei Dotti e cosi la definisce:Lingua Universale
pei Dotti chiamo una Lingua, che può colla massima facilità essere scritta
parlata ed intesa da tutte le Persone Colte di qualunque Clima e Nazione; una
Lingua, che può sola bastare al disimpegno di tutte le Relazioni scientifiche
politiche commerciali ec. con qualunque civilizata Contrada del Globo; una Lingua infine, in cui
dovrebbe scriversi e tradursi quanto può essenzialmente interessare l'intera
Umanità o più Popoli almeno.68Gigli
sceglie di utilizzare per la sua lingua universale «i Caratteri, la Pronunzia e
le Radici delle Parole» francesi, cioè della lingua più conosciuta tra gli
eruditi dell'epoca, riservandosi comunque la possibilità di modificarne alcune
parti. Nel discorso preliminare alla seconda sua opera, Lingua
filosofico-universale pei dotti preceduta dalla analisi del linguaggio, pubblicata
a Milano nel 1818, Gigli precisa che nel suo pensiero "parole" sono
quei segni che rappresentano le idee e cheil suo scritto e le sue riflessioni
sono da applicarsi alle idee e che solo per comodità e facilità di
spiegazione/apprendimento alle volte è stato associato un carattere, un segno
alle idee stesse. Sono piuttosto
evidenti i richiami a Beauzée e alla Grammaire di Port-Royal, da cui
soprattutto riprende le riflessioni che sono alla base della sua
ideologia: le Lingue usate |...) ànno
tutte un fondo comune; vale a dire ànno comune ciò che forma l'assoluta essenza
del linguaggio, considerato come semplice effetto naturale. Diverse Convenzioni
possono sulla superficie del Globo esprimere le stesse Idee con suoni diversi e
con diverso ordine dispositivo (...) Ma le mere stesse Idee su qualunque punto
del Tempo e del Globo avranno sempre la stessa naturale espressione. BICE
GARAVELLI MORTARA, «L'Analisi del linguaggio di M. Gigli», in Teoria e storia
degli studi linguistici. Atti del settimo convegno internazionale di studi, a
cura di Ugo Vignuzzi, Giulianella Ruggiero, Raffaele Simone, Roma, Bulzoni,
1975, p. 251. Nicolas Beauzée redasse,
assieme a César Chesneau du Marais, le voci linguistiche dell'Encyclopédie, ou
dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (1751-1772), opera
che si configura come «tentativo di sintesi tra l'orientamento logicizzante
della classica grammatica generale francese e quello empiristico derivato da
Locke attraverso Condillac» [RAFFELE SIMONE, op. cit., p. 381]. La Grammaire
générale et raisonnée contenant les fondemens de l'art de parler, expliqués
d'une manière claire et naturelle di Antoine Arnauld e Claude Lancelot, assieme
alla Logique - opera di approfondimento e supporto argomentativo - pubblicata qualche
anno più tardi, costituisce forse l'opera più importante nel panorama
seicentesco sulle trattazioni linguistiche e sul ragionamento filosofico
intorno al problema della lingua. Punto cardine del pensiero di Port-Royal è
l'esistenza di una grammatica generale che tenta «di identificare i caratteri
propri di tutte le lingue, trascurando quelli specifici di ciascuna» |Ivi, p.
333] e che deve essere anche ragionata «non solo perché dedotta razionalmente
da taluni principi filosofici fondamentali, ma anche perché mirante a
riconoscere il modo in cui la ragione si riflette nel linguaggio e quelli per
cui, viceversa, il linguaggio se ne
distacca» [Ibidem].70La lingua universale si configura come una lingua
filosofica a cui viene donata una forma concreta solo per facilitarne
l'esposizione e che, a differenza di altre lingue universali, non accetta le
consuete partizioni delle grammatiche, ma preferisce sostituirvi una
«terminologia logicizzante che solo occasionalmente utilizza il protocollo
della grammatica empirica»." Eccone i punti fondamentali.Le seguenti
informazioni e immagini sono tratte da MARIANO GIGLI, Lingua
filosofico-universale pei dotti preceduta dalla analisi del linguaggio, Milano,
Società Tipografica de' Classici Italiani, 1818, pp. 209-272.suoni e la
pronuncia I segni vocalici, così come i suoni, si distinguono
in orali e gutturali («a, e, i, o, u»); a questi segni gutturali semplici può essere
aggiunto un accento che indichi che la voce deve concentrarsi su di quel suono;
ai quattro segni gutturali
«a, e, o, u» si possono sovrapporre e sottoporre un puntino, che equivale al
suono «i» e indica il dittongo; se il punto è sovrapposto, allora il dittongo è
discendente («ai, ei, oi, ui»); se il punto è sottoposto il dittongo è ascendente
(«ia, ie, io, iu»); il suono
dittongale «i» si converte nel suono «y» nel caso in cui ai dittonghi sia
preceduto o successo un altro suono gutturale (trittongo); il mutamento deve
avvenire esclusivamente nella pronuncia.Per quanto riguarda i suoni vocalici,
la lingua immaginata da Gigli è perciò composta di diciotto segni, di cui dieci
semplici (cinque brevi - senza accento - e cinque lunghi - con accento -) e
otto composti, tutti lunghi. I segni consonantici si
dividono in sei istantanei («b, p, d, t, x, g») e undici prolungabili («m, n,
f, 1, I, s, V, z, j, c, y»); «b, p, d, t» e «m, n, f, 1, I, s, V, z» si
pronunciano come in francese, i restanti al modo seguente: «x» [k], «g» [gl,
«j» [3], «с» |Л, «y» [i]; i segni consonantici fin qui esposti possono
divenire forzati qualora la loro pronuncia venga raddoppiata e il loro segno
duplicato (es. «ll, bb, ri, ri» ecc.);9. vi sono poi dei segni composti,
ovvero: lo], 门]; 10. è presente anche il carattere «h» che
però non corrisponde a nessun suono. I
suoni consonantici sono allora venti, di cui diciassette semplici e tre
composti. Per Nominarli è sufficiente aggiungere a ciascuno la vocale (o segno
gutturale) [e] di modo da avere «b» [be], «p»
[pe], «d» [de], ecc.caratteri I
caratteri sono del tutto simili a quelli del francese corsivo, salvo le
modificazioni sopra riportate. Le
lettere maiuscole Le lettere maiuscole
sono identiche alle minuscole nella forma, ma maggiori nella dimensione (come in «Loma»). Si usano solo all'inizio di
frase o quando si esprimono Oggetti determinati - come i nomi propri - o qualche loro
Derivazione (es. Toma - Lomano).Le sillabe e gli accenti Le sillabe sono tutte aperte, cioè terminano
necessariamente con suoni gutturali (vocali), ad eccezione delle ultime che
possono terminare con suoni consonantici. Le parole sono tronche nel caso in
cui terminino con un suono vocalico lungo, altrimenti sono piane; quindi non vi
può essere accento principale su sillaba che non termini in vocale. I numeri
I numeri da O a 9 si indicano con «ze, na, vu, tre, fe, fi, xe, la, to,
no». Per numeri superiori al nove è sufficiente giustapporre in modo
sequenziale i singoli numeri (es. 19 = 1+9 = «na» + «no» = «nano»). Per i
numeri che come in italiano richiedono l'uso del 'cento' e 'mille' si usino le
parole «navuze» (lett. 'uno-due-zero' > 1-00 > 100) e «natreze»
('uno-tre-zero' > 1-000 > 1000) unite
agli altri numeri (es. 1234 > «natreze vu navuze trefe»).Il numero Si usano i simboli « Z » - che per comodità
trascriveremo con «I» - per esprimere singole quantità e « U» - qui trascritto
«U» - per esprimere pluralità (es. 'il padre' « & pero», i padri « U
pero»). In questo modo i nomi e i pronomi possono godere della caratteristica
dell'invariabilità, che concorre sicuramente alla semplificazione del
linguaggio. Il simbolo che esprime il numero è da omettere se ciò che si vuole
esprimere è per sua natura singolo o molteplice.Il genere Per gli oggetti neutri non v'è bisogno di
alcun segno e per neutri si intendono tutti quegli oggetti o concetti che
naturalmente mancano del genere. Per i referenti che hanno un genere è
necessario che vengano preceduti dal loro Nome generico, cioè il nome che
qualifica tutti gli appartenenti a una
stessa specie. Negli elementi della
lingua che esprimono sesso maschile è sufficiente indicare il Nome Generico,
che quindi esprime ugualmente l'Oggetto in genere o l'Oggetto maschile in
particolare («omno» significherà 'uomo' tanto nel genere - essere umano
generale - quanto nel suo essere maschile in particolare).Per esprimere gli
oggetti femminili viene anteposto al nome maschile la vocale «e» con
puntino sovrapposto (es. «pero» 'padre',
«épero» 'madre'). L'opposizione Per esprimere negazione e rapporti di
antinomia si prepone al nome generale la vocale «a» con puntino sovrapposto
(es. «ba» 'sono', «¿ba» 'non sono'). I
pronomi I pronomi personali sono: «ml» 'io'; «tI» 'tu'; - «l»'egli o esso' maschile, «ell» 'ella
o esa' femminile, «oll»' egli o esso' neutro;
«mU» 'noi'; «tU» 'voi'; «IU» 'essi' maschile, «élU»
'esse' femminile, «olU» 'essi' neutro. Il pronome riflessivo è «so» con puntino
sovrapposto, unico, e valido per l'italiano mi, ti, ci ,vi, si, me, te, noi, voi, se'. I nomi
Gigli distingue le Parole Radicali (cioè le parole che esprimono
oggetti, qualità o azioni o rapporti) in variabili (che variano nella
desinenza) e stabili (che non ammettono derivazione). Le Parole radicali
stabili (o semplicemente Radici stabili) non sono trattate da Gigli in questa
sede, ma auspica che una società di scienziati si occupi del Dizionario della
sua lingua, e quindi anche di queste parole, che qui tralascia di spiegare o
giustificare. Le Radici variabili sono
attinte dal francese con queste regole: si scrivono come si
pronunciano e si pronunciano come sono scritte; non v è «h» iniziale; non v'è accento separato dalle lettere; «ç, c, t» +
suono «prossimo al s»7 - forse fricative sibilanti e retroflesse - sono
sostituiti da «s» [s]; dittongo oi
(es. fr. roi, it. 're'") deve essere scritto «o» con punto sovrapposto e
il suono deve essere eseguito di conseguenza; nesso oy (es. fr. moyen, it. 'mezzo, medio') si
scrive come in francese ma si pronuncia [oj]; nessi eu, oeu, u sono sostituiti dal segno e suono
«u» (u]. Le radici delle parole indeterminate finiscono con la vocale «o» (es.
«ommo», fr. homme). Se la parola
francese nella pronuncia termina con «Suono Gutturale lungo» - da intendersi
probabilmente come 'vocale nasale' - si pone «o» dopo questo suono (es. fr.
maison, it. 'casa', diviene
«mesoo»). Se la parola francese termina
con lo r, e che si pronunci o meno è indifferente, è da aggiungere una «o» alla
fine della parola (es. fr. cheval, it. 'cavallo', diviene «cevalo») e così vale
anche per tutte le altre consonanti finali che sempre si pronunciano (es. fr.
lac, it. lago', diviene «laxo»). I nomi
propri di paesi, uomini, ecc. non abbisognano della «o» finale, ma si
pronunciano alla francese o con la pronuncia originale dei paesi da cui
provengono (così che l'it. Roma possa essere pronunciato all'italiana o alla
francese) e sono necessariamente scritti con l'iniziale in carattere minuscolo ma di misura più grande. I segni per designare tutte le situazioni possibili
in cui sono coinvolti i nomi determinati - cioè nomi che non hanno bisogno di
indicazioni di numero - sono otto, invariabili, e devono, se presenti, essere
premessi al nome: «de» (es. 'il padre di Paolo' > «I pero de Pol»), «se»
(es. 'chiamo te' > «chiamo se tI», con marcamento sistematico dell'oggetto
diretto), «ye» (es. 'o Paolo' > «ye
Pol»), «ce» (es. 'in voi' > «ce tu»), «je» (es. 'parlano di voi' >
«parlano je tu»), «re» (es. 'diedi a lui'
> «diedi re II»), «pe» (es. 'mandai a Paolo' > «mandai pe Pol»),
«ge» (es. 'partirono da Roma' >
«partitono ge Roma»). Gli
aggettivi Per quanto riguarda gli
aggettivi, questi nella lingua di Gigli devono necessariamente terminare in
«l». Se la parola francese corrispondente termina con suono vocalico, si
aggiunge semplicemente «l» (es. fr. juste, it. 'giusto', diviene «justel»); se
termina per consonante (che sia pronunciata o meno è indifferente) questa viene
mutata in laterale (es. fr. doux, it. 'dolce', diviene «dul»); se termina in
nesso di cons + le, per metatesi si inserisce il suono vocalico «e» tra i due
consonantici (es. fr. noble, it. 'nobile', diviene «nobel»); se termina in (I)I
+ vocale si sopprime la vocale (fr. habile > abil; fr. tranquille >
tranxil); se termina già con l non vi sono variazioni. Da questi assunti consegue che la classe
aggettivale della lingua di Gigli sia costituita di sole parole piane, anche
laddove il corrispondente francese preveda l'accento sulla sillaba finale
(es. fr. joli [30 ' li] > jolil
['iolil]). I verbi 308. Voci di Giudizio al Modo Indicativo: mi,
ti, li, èle, ole —mu, te, lu, els, olu (a)
presente -bal io sono, tu sei, egli é noi siamo, voi siete,
ec. presente-relativo - be... io era, tu
eri, ec. passato -be.
.... io fui, ec., o sono-stato, ec.
passato-anteriore — bo.... io era-stato, ec. futuro
- bu.... io sarò, tu sarai, ec.
futuro-anteriore - bur...io saro-stato, ec. 30g. Voci di Giudizio al Modo Condizionato
: mi, te, li, él, ol — mu, tu, lu, élu,
olu presente - bal... io sarei, tu saresti ec. passato
- bil... io sarei-stata, ec. 310.
Voci di Giudizio al Modo Indefinito : xe) mi, i, le els, ole — mu, tu, lu, elu,
olze presente — bar.. che io sia, che tu sii, ec. presente-relativo — ber ... che io fossi, tu
fussi, ec. passato — bur... che io sia-stato, ec. passato-anteriore - bor.. che io fossi-stato,
ec. I modi verbali che presentano delle
differenze tra le persone sono l'Indicativo, il Condizionato (it. condizionale)
e l'Indefinito (it. congiuntivo). Il modo indicativo è composto
dai tempi presente, presente- relativo
(it. imperfetto), passato (it. passato
remoto), passato-anteriore (it.
trapassato prossimo), futuro, futuro-
anteriore; il modo Condizionato dai tempi presente e passato; il
modo Indefinito (it. congiuntivo) da
presente, presente-relativo (it. cong. imperfetto), passato (it. cong. passato),
passato- anteriore (it. cong.
trapassato).75 Qualora non venga
indicato il corrispondente tempo italiano significa che il nome e la funzione
dei tempi pensati da Gigli sono identici
a quelli italiani. L'unico modo composto
di una sola parola - indeclinabile - è il modo Generico; tutti gli altri sono
composti da due Voci, una di Giudizio (che indica cioè il tempo e il modo del
verbo) e l'altra di Azione (che veicola
il significato del verbo), secondo la tabella poco sopra.?6 Le diverse persone non sono marcate
morfologicamente sul verbo (es. «mI ba» 'io sono' e «tI ba» 'tu sei'), motivo per cui deve essere sempre
presente il pronome associato (lingua non pro-drop). Le parole esprimenti azioni devono
necessariamente terminare con la vocale «a» e derivano dal participio presente
francese (es. fr. écrivant, it. 'scrivente', diviene «exriva»). Se il francese
manca del participio presente, la radice è attinta dalla sua forma passata
dalla quale vengono eliminate le lettere che seguono la consonante radicale e
quelle che seguono (es. fr. abstrait, it. 'astratto', > «abstra»). I verbi così formati esprimono
sempre l'infinito presente." Vi è
il caso particolare in cui l'«a» sia preceduta da «b» e, per evitare
fraintendimenti - «ba» infatti è la Voce di Giudizio del presente indicativo
dei verbi -, Gigli sceglie, in questi casi, di sonorizzare la consonante in
«p». Così ad esempio il fr. tombant >
«tompa». Per quanto riguarda la diatesi
passiva, è sufficiente sostituire la «a» finale con una «e» alla Voce di Azione
(per cui «mi ba ema» 'io amo' > «mi ba eme» 'io sono amato'). Avverbi
Sono indicati dalla lettera «r» finale e sono per la maggior parte
invariabili. Da quel che fin qui si è
trattato si evince che nella lingua di Gigli le parti del discorso si
riconoscono in base alla loro caratteristica o natura, giacché se terminano in
«o» indicano un oggetto, in «l» una qualità, in «a» un'azione, in «r» un
rapporto, e il fatto stesso che contengano queste desinenze li qualifica come
Radicali. Gigli passa quindi il testimone a un'ipotetica Società Accademica di
12 scienziati che dovrà, in futuro, scremare il lessico francese di quei
termini che potrebbero donare delle parole troppo complicate e creare il
dizionario e la grammatica della nuova lingua per poi comunicarlo a tutte le
nazioni europee. Si capisce quindi che la lingua è indirizzata solamente al
Vecchio Continente. Ma la portata del
lavoro di Gigli supera il mero piano della linguistica, poiché, ipotizzata la
commissione di studiosi, egli ne auspica un'altra, composta dai membri di tutte
le nazioni, che atta sarebbe a formulare
le leggi dei vari paesi in comune accordo. Una lingua per unificare non solo i
parlanti ma anche i regimi, gli stati e i popoli. Il progetto così concepito fu
portato avanti dal fratello Luigi Gigli che il 15 ottobre 1861 presentò alla
camera dei Deputati di Torino la lingua universale pensata da Mariano e il
metodo perché questa fosse insegnata ed appresa, in primis in Italia, da tutte le genti. 78 Si è fin qui dato non altro che un assaggio
della reale grammatica della lingua universale teorizzata dal Gigli, ma il
trattato continua per molte altre pagine e scende quanto più nello specifico.
Ella è in sostanza una lingua a posteriori su base francese - ma con evidente richiamo
alle sonorità dell'italiano -, con caratteristiche tipologiche agglutinanti. Ma
soprattutto ella rappresenta il secondo esempio di interlingua italiano
pervenuto assieme a dei reali esempi pratici.LA METAFISICA DEL
LINGUAGGIO SCIENZA NUOVA ANCHE AI DOTTI E PEI SOLI DI BUON
SENSO OPERA MARIANO GIGLI CIA PUBLICO PROPISSORE DI VARIE
FACOLTÁ. *0*0* MILANO Presso FRANCESCO FUSI AL
NOBILE GIOVINETTO FRANCESCO PIAZZI d'anni nove e giorni tre
ALLIEVO DELL'AUTORE САло СвОСИНЯ Eccovi ultimato il Metafisico mio
Lavoro sulla Natura del Linguaggio e sul Linguaggio della Natura - Esso
contiene lo sviluppo di quei Principi, dai quali dovete singolarmente ripetere
i rapidi vostri progressi nelle Lingue (1) - Io quindi Ve l'offro in
pegno del mio affetto e della mia sodisfazione — (Milano 13 Giugno
1817) (1) Il Giovinetto Prazzs si propone per la Primavera del
prossimo-venturo 1818 di fare in Milano un publico Esperimento di Sette
Lingue, cioè laliana, Francese, Spagnuola, Inglese, Tedesca, Latina o
Greca. IL FRONTISPIZIO ED IL COME IL FRONTISPIZIO I
pensiero piè umiliante per una scritore è quello, che la sua Opera sia
nemmeno letta dagli altri — Sapendo che questa è la sorte della massima parte delle
Produzioni specialmente astratte, e volendo pure allontanare da me tale
malinconica idea, mi sono appiglialo all' espediente di stuzzicare
l'Amor-proprio dei Letterati. — Quindi intitolai questa mia Metafisica —
ScIENzA NUOVA ANCHE AL DOTTI•-. Eliminata con tale giustificazione
una taccia poco ono-revole, mi avvedo che vado procurandomi un Titolo anche
peggiore; benchè per mio conforto l'avrei comune con quasi tutti i miei simili
- Sono quindi costrello « dichiarare, che questa Scienza o Produzione può
effec-sivamente ritenersi qual' è annunziata dal Frontispizio. lo non ò
veramente letto le Opere di tutti i Dotti; ma ò molto meditato sui Libri di
quelli che particolarmente si occuparono di tale materia; come Vaillis,
Polio, Durs et omaites, Amile Lockie in Porto-reale, ed altri — Eppure mi
permetto avran-zare, che il mio Lavoro sul Linguaggio sarebbe nuovo anche
ad essi. Aggiunsi poi nel Frontispizio — PEr soLt DI BUON sENSO -
unicamente per dire ai Signori Pedanti, che li rispetto, mu non iscrissi per
loro. IL COME Mi occupavo d' un Progetto di Lingua Universale
pei Dotti; e questo non per elezione o capriccio ma per effetto
irresistibile d'una specie di convulsione alla testa, simile a
quelle che un Poeta chiamerebbe — divini Furori,; però, che le mie teorie
si appoggiavano a dei Principj di Lingua poco o nulla generalmente conosciuti,
perche nessuno ebbe mai la sofferenza di meditarli. Quindi la- I as oi
orisine lo preaue Meatice del inguag Chiunque si darà la pena di
leggerla, vedrà facilmente che nello scriverla io non dimenticai il Progetto di
Lingua Universale; e quindi che vi ò esposto delle cose, le quali altrimenti
potevano tralasciarsi. METAFISICA DEL LINGUAGGIO
INTRODUZIONE IL Linguaggio è il mezo più comune, di cui ei servono gli
Uomini per comunicarsi reciprocamente i bisogni i desideri i pensieri. — L'uso,
inseparabile dalla cono verza sociale, ongaia cinci Guindi io
teorie Il Filosofo però, che deve su tutto portare il suo ciò che
apprese per prattica? E nel secolo dell' analisi dovremo con indifferenza
veder sepolto nelle tenebre d' una rugginosa igno- distintivo
siasitivo per cui l'uomo si pone, primo fia gli Esseri A me sembra, che troppo
debba interessarci il conoscere una cosa, che ci riguarda si davvicino e clie
inseparabile dalla nostra sociale esistenza. Quindi mi permetto esporre il
risultato delle mie meditazioni, considerando separatamente i materiali del
Linguaggio ossia le Voci J. Come Elementi del Discorso - Il. Come
Parti del Discorso — DELLE VOCI ELEMENTI DEL DISCORSO
2. Le Voci, prese com' Elementi del Discorso cioè isolatamente, da noi si
distinguono in Radicali, Derivate e Sostituite. da ara voce conosinta ed
isata nilla mdesima Lingua: come Sole, dolce, fuggire ec. 4:
Derivate son quelle, che provengono da voci conosciute ed usate nella medesima
Lingua: come Solare, dolcezza, fuggitivo ec. 5 Sodi e ne il e del me vene
chiacerta ed usate nella medesima Lingua: come mio, pensante , egli ec.
per di me, che pensa ec. SEZIONE PRIMA DELLE VOCI RADICALI 6.
Le voci Radicali furono fissate dai Primi, che parlarono una data Lingua
qualunque; e i Posteri debbono adattirsi ad apprenderle. se indi è rendi
in convenione sociale chi ruerai suoni radicali meramente per
capriccio e per vana poipa di spirito; ma è ciascuno autorizato a produrre
delle voci nuove quando s'abbia ad esprimere un'idea qualunque in quella
Lingua non espressa fin ora. 7 le voci Radicali da noi si distinguono in
voci di Cosa, di Giudizio e di Rapporto. Voci di Cosa Bhi
laro pualid; 6 ore guesto ura le mon ih terrotta di moltiplici varianti
Azioni. 9. Le voci destinate ad esprimere queste Azioni Oggetti e
Qualità, son quelle che noi chiamiamo Voci di Cosa, perchè esprimenti qualche
Cosa di assoluto e reale, o che almeno come tale si concepisce da noi. PARACRFAO
1.° Oggetti 20% coepiae capace d tare o mietre tur Acone he 11. La
voce esprimente un Oggetto qualunque sarà da noi detta Nome sostantivo o
semplicemente Sostanti-vo; essendo molto facile rilevare dalla definizione
data sere Sostativo osia Suite Darto deve di necesia Benchè in natura gli
Oggetti sieno tutti determinati perchè individui, pure i Nomi che li esprimono
sono nella massima parte indeterminati. Ed infatti perchè e come assegnare un
nome distinto a ciascuno di quegli Oggetti innumerabili, che presentano in complesso
le atesse particolarità; che per la loro somiglianza sembrano quasi diramazioni
d'un solo; che si mostrano quasi subito scomparire dalla faccia del creato? -
Nel Linguaggio è dunque necessario distinguere i Sostantivi in determinali e
indeterminati. E determinato ogni
Sostantivo, che presenta allo spirito un Oggetto individuo e che non può
assolatamente esser confuso cou alcun altro; come Roma, Dinubio, Europa ec: Ed
è indeterminato ogni Sostantivo, che presenta allo spirito un Oggetto generico
o almeno plicabile praticamente a varj individui della natura;
come Uomo, Piantu, Fiume ec. PARAGRAFO 2.° Qualità Qualità da noi chiamasi -
ciò, che un Oggetto à in se di rimarcabile, e che potrebbe anche non avere
senza però cessare d' esistere — La Voce esprimente una Qualità qualunque sarà da noi
detta Nome qualitativo o semplicemente Quali-tativo. Proprietà chiamasi - tutto
ciò, senza cui l'Oggetto non potrebbe esistere —. Quindi le proprietà d'ogni
Oggetto sono tutte comprese nel nome dell'Oggetto medesimo. E. sico po
ciò che inalia costa di Proietà, ipo all sapere in ogni Oggetto ben
distinguere l'una cosa dall' altra. 17. Dopo ciò è facile intendere, che
non può dirsi - fuoco caldo, neve bianca, Sole lucente ec. —; perchò caldo
bianca lucente, in questi Oggetti non sono Qua lità ma Proprietà, e quindi
espresse rispettivamente nei Sostantivi fuoco neve Sole —. ao le
orienti non pue die lo Proprio dali Dege runea neve Sole ec, escludono
rispettivamente le qualità freddo bruna oscuro. PARAGRAFO 3.°
Azioni Azione da noi chiamasi -
tutto ciò, che un Oggetto qualunque può fare —. È poi facile conoscere, che
delle Azioni alcune niscono in chi: le fa, come dormire correre ec.; ed
altre finiscono in un Oggetto diverso da quello che le ta, come premiare
ferire ec. — Noi chiameremo le prime Azioni determinate, e indeterminate le
seconde. CAPO II Voci di Giudizio 20. L'Uomo nello stato di
natura per poco osservatore che sia, facilmente si avvede, che le Qualità e le
Azioni dipendono assolutamente dagli Oggetti; e che le prime ne sono come
altrettante emanazioni trettante conseguenze. Eli quindi come seco de
siderale è sua prima cura osservare attentamente e quali diflonda o
includa Qualità, e di quali Azioni sia desso capace — Conseguenza
naturalissima di tale osservazione sarà il conoscere lo stato e le
particolarità dell'Oggetto; e quindi se ad esso convenga o non convenga tale o
tal altra Azione e Qualità. 22. Se dunque l'uomo abbia a comunicare
la sua sco- tani quello d'una data Azione o Qualità. La prima è da noi
detta Voce di Giudizio affermativo, la seconda Voce di Giudizio negativo.
25. In Italiano essere è l'espressione generica di Giudizio affermativo, non
essere quella di Giudizio negativo. PARAGRAFO UNICO Verbi 24.
Dall' esposto superiormente (20 e seg.) è facile rica erche e che guasti
debono a no avera con alla natura delle cose, ma all' ingegnosa variante
bizzarria degli uomini. Infatti correre, scriver-, premiare cc. in
natura signicano essere corrente, scrivente, premiante ec.; e il solo capriccio
o tutt' al più l'amore di brevità con gravissima lesione della chiarezza e
facilità di Lingua restrinse queste due distintissime Voci in una sola. Richiedendo quindi
l'analisi del Linguaggio che sia il tutto possibilmente riportato ai suoi primi
elementi, si vedrà di leggieri quanto importi l' esercitarsi nella
decomposizione dei Verbi onde averne una giusta analitica idea. Questa
decomposizione è per altro della massima facilità, fissando che da noi con
definizione esattissima chiamasi Verbo - ogni parola composta di due Voci,
l'una di Giudizio l'altra di Azione -. E siccome ogni Azione è di sua natura determinata o
indeterminata (19), così chiameremo rispettivamente determinato o indeterminato
anche il Verbo che la esprime. CAPO III Voci di Rapporto Fissate le Voci di Giudizio
e di Cosa, può l'uomo convenientemente spiegare agli altri la sua situazione, i
suoi bisogni, la sua volontà. Ma le Cose, ossia gli Oggetti le Qualità e le
Azioni (9), ànno o possono avere molti e diversi Rapporti fra loro, come di
tempo d'or- dinque con precise sue per esprio ste ure dele Voci per
ciascuno di tali Rapporti. 28. Cosa nel nostro senso debba intendersi per
Rap-porto, è più facile rilevarlo dal contesto di questo Capitolo che
definirlo. Pure per chi ne bramasse la defini-zione, dico per Rapporto nel
nostro senso intendersi - tutto ciò, che ci offre una Cosa Bon in
ar sesa ia unicanee fispalo ad ace coseata 29. Premesso, che non tutte le
Cose possono o debbono avere gli stessi Rapporti, ch' è quasi impossibile
asco il prino pass & molte facile progredire da se cola sola guida
dell'analogia e del buon senso; mi limiterò fare di tali Rapporti
quell' analitica esposizione che à trovato più conveniente al mio scopo.
PARAGRAFO 1.° Luogo 30. Luogo significa — Punto o Aggregato di
Punti; occupato da un Corpo qualunque nello Spazio ossia nella Natura
-. 31. Fissata questa definizione, l'idea che da tutti naturalmente si
acquista d'un Corpo cioè - d' un Oggetto fisico materiale — fa
chiaram ente conoscere, 1.° che uno stesso Corpo non può trovarsi in due
luoghi diversi al tempo stesso; 2.° che due o più corpi al medesimo tempo non
ponno occupare lo stesso identico luogo. 52. Ora è cosa molt' ovvia, che
l'uomo debba const- dena due mini i ti fidi e teso la che nanza o
lontananza, le parti superiore interna ec. - Egli dunque dovrà
necessariamente far uso di espressioni, che facciano conoscere tali Rapporti, e
che noi chiameremo Voci di Luogo; come sopra, saso, fuori, pres- so,
lontano ec. PARAGRAFO 2.° Tempo Dal Moto nasce naturalmente
l'idea del Tempo. Infatti il Moto non è, che
— l'efletto del passaggio d'un Corpo dall'uno ad altro Punto dello Spazio -.
aue Poi non tendo al melei in tan omogaisi il Moto essendo
necessariamente diverso da quello in cui movendosi dello Spazio che
percorre. Quindi per fare il suo passaggio impiegherà tant' Istanti quanti sono
i Punti sulla linea percorsa; vale a dire nel primo Istante si troverà sul
primo Punto, nel secondo Istante sul secondo Punto, e così di
seguito finchè nell'ultimo Istante sarà sull' ultimo Punto del suo
cammino — Ma i Punti dello Spazio percorsi dal Corpo si succedono
immediatamente e formano come una continuata Catena o meglio una Linea
conti-puata - Dunque anche gl' Istanti, nei quali avviene l'occupazione de varj
Punti, debbono succedersi immediatamente e formare una Linea continuata o
meglio una continuata Catena. 35. Dunque in qualsivoglia Moto immaginando
con nione a percorrere i for Punti ello Spazio ha Pa tali Istanti
forma ciò, che da noi chiamasi Tempo impiegato da un Corpo per eseguire
il suo mo-vimento. Dunque dal Moto nasce naturalmente l'idea del
Tempo. 36. Dunque, riflettendo che un'Azione specialmente •
Aggregato d'Istanti, in cui à luogo un'Azione qualunque — PARAGRAFO
5.° Tempo Gode o Mout ceamile di ertite a Natia medesimp d
poggino dall'una parte al principio dall'altra al fine della fisica
esistenza. 38. Fissata con chiarezza questa Linea generica di Te
vari di fe Padee d'immaginaziona el stipic assolute e possibili
Azioni. (a) Due lince sono paralel'e, quando su tutti i punti sieno
sempre ugualmente distanti fra loro. Ma di questo parleremo in
seguito (155 e seg.). Quindi mente le Azioni possono avere per esprimerli —
Queste Voci sono oggi, adesso, jeri, un anno fa, da qui a un mese, subito ec.;
che noi perciò chiameremo Voci di Tempo. PARAGRAFO 4.° Tempo
30. Ponendoci coll' immaginazione in qualunque Punto della generica Linea di
Tempo (57), ci sarà facile ve-dere, che molte Azioni furono già consumate; che
molte debbono ancora effettuarsi; e che molte si eseguiscono al momento in cui
osserviamo. Avremo dunque su questa cine debo era fa veti se decorsi
tante erico indanti sibile che separa sempre queste due Serie. •
Aggegato ant preo sula pra sale, di Leae futuro qualunque Istante o
Aggregato d'Istanti preso nella seconda serie, e di Tempo presente l'Istante
unico indivisibile che separa il Passato dal Futuro. 4r. I Tempi passato
e futuro, essendo formati d' una Tunga se e d'onti pone da nei onidri
dion, o come Passato e Futuro riferibile ad un precisato Punto della
serie - Quindi il Tempo Passato egualmente che ‹il Futuro sarà determinato o
indeterminato. I. E determinato, se esprimiamo l'Istante o Aggregato
d'Istanti in cui avvenne o avverrà l'Azione; cone l'aio tale Il
mese tale ec. Il. È indeterminato, se riporteremo l'Azione al Passato o
Futuro genericamente e senza fissare limite aletino sulla linea del Tempo; cone
viddi, partirò ec. 42. Il Tempo Presente, come formato d' un solo Istante
indivisibile, è sempre determinato di sua natura. Numero Gli Oggetti d'una stessa
specie si presentano all'uomo ora isolati cioè in numero di uno, come albero,
stella ec.; ed ora uniti cioè in numero di più, come alberi, stelle ec. — La
chiarezza del discorso esigge na-turalmente, che si specifichi se uno o più
furono gli Oggetti in una data Azione o Giudizio, ossia che si spe-citichi il
Rapporto di Numero. Le espressioni
destinate a far conoscere tale Rap- Voci di Numero. 45. Il Numero di uno
ossia un Oggetto isolato è, riguardo al numero, sempre determinato di sua
natura. Ma il numero di più può essere determinato, o
indeter-minato. 1. E determinato, se si esprima da quanti uno desso è
formato; come cinque, nove, cento ec. che sono ri- in gekere, cioè senza
fissare da quanti uno o unità sia desso formato; come alcuni, parecchi, molti
ec. PARAGRATO 6.° Ordine lungo una stessa linea
continuata. piamo delle linee tanto nello Spazio che nel Tempo (35 e 37),
così nelle Cose potremo aver Ordine e di Spazio e di Tempo. 47.
Posto dunque che più Cose della stessa specie sieno schierate lungo una
medesima linea, determinare I' Ordine d'una qualunque di esse significa —
fissare il Punto che lazione dee apa ore leitea fila lo un camente
sulla linea medesi- ma - dovrà essere necessariamente
espresso con Voci apposite, che noi chiameremo Voci d' Ordine; come
primo, se- condo, ultimo, in seguito, dipoi, infine ec. PARAGRAFO
7.° Sesso 49. In quasi tutte le Specie d' Esseri Organici,
ossia ae Maschi codele Promie Le funon ai tal Pears essendo diverse
come diversa n'è la struttura, l'Osserva- da lui nominato. Noi chiameremo
tali espressioni Voci o Segni di Sesso (a); A mia cognizione la Lingua Inglese
è la sola delle Eu-ropee, che abbia benchè non sempre Santaguete il Seso
masclile dal epmine, Le lre pe- gue usarono invece generalmente una
varietà di desinenza. PARAGRAFO 8.° Aumento e Diminuzione 50.
Fissato coll' esperienza il valore e l'idea assoluta aumentarsi fino ad
un massimo, e diminuirsi fino ad un minimo anzi fino a zero. dete) Sere
se be ler ade sapere fra tazione po sedere e la distinzione tra il
Maschio e la Femmina. -- Con tale osservazione pretendo unicamente
giustificarmi, se à sostituita desso alla parola genere non esatta e di doppio
siguificato. Infatti, data una Linea retta obliqua (138),
se si stabilisca il di lei Punto medio come esprimente lo stato assoluto della
Qualità, possiamo agevolmente concepire questa Qualità capace gradatamente
tanto di salire fino interiore di le etrlinea canto di scendehe in
aulla lità aumenti d'intensità e di forza a misura che sale, e ne
diminuisca a misura che scende per questa immagi nata linea obliqua, sarà
facile formarsi un'idea dei vari Aumenti e Diminuzioni che può dessa
successivamente subire. 5r. Dato quindi che una Qualità sia fuori del sto
stato assoluto, se vorremo il punt, de la tea precisare Va, eon ecione
socia pression indicenti Voci dimento a Diminusione; come mala almi,
inniamente, poco, ne generalmente col dare al nome di Qualità la
desiaenza issimo: beliis- sino, dolcissimo ec. PARAGRAFO 9.°
Modificazione 52. Come le Qualità sono suscettibili d'Aumento e
Diminuzione ( 5o), così le Azioni sono suscettibili di Modificazione cioè — di
prendere un aspetto differente, ritenendo però il carattere originario —
55. Per ben intendere nel nostro senso la forza della parola Modificazione
conviene avvertire, che ogni Azione , in natura il suo valore assoluto; che
questo valore assoluto è nelle Azioni invariabile; e che una stessa Azione
dev'essere e sarà sempre eseguita nel modo me-desimo. Quindi una stessa Azione
ripetuta anche un numero infinito di volte presenterà sempre allo spirito la
stessa idea, e però sarà sempre espressa dalla medesima Voce.
Ma le stesse Azioni benche sempre conservino inalterabile il loro
assoluto valore, pouno in diverse circostanze essere accompagnate da qualche
inseparabile o di Eguaglianza e Differenza, come dai due Paragrafi
seguenti. 59. Il Confronto può farsi anche sulle Azioni o Qualità d' un
solo Oggetto. In tal caso però dobbiamo contemplar tale Oggetto in epoche
diverse, ossia coll' ajuto della memoria dobbiamo considerarlo come
pluralizato. Quindi potremo giustamente applicarvi la teoria sovraesposta
(57 e seg.) per Oggetti frà loro diversi. PARAGRAFO 11.°
Eguaglianza 60. Due cose sono eguali, quando non è possibile assegnare
frà loro alcuna diversità - Dunque non può darsi eguaglianza negli Oggetti,
perchè tutti presentano delle varietà rimarchevoli. E però cosa molt' ovvia
rinve- nire angue esstendo in natura delle Coe gorati tra loro di
poni per predicare ueta esagio a de Far Voci d' Eguagliunza; come al
pari, egualmente, tanto quanto ec. PARAGRAFO 12.° Differenza
62. Confrontate due Cose della stessa natura e trove-tele non eguali, - la
quantità di cui una supera l'altra - è ciò che propriamente costituisce
la Differenza tra queste due cose 63 I soli Matematici anno un esatta
nozione del va- unicamente frà Cose non della stessa natura; e la
Differenza invece esiste unicamente frà Cose di medesima natura. Quindi si dirà
che — il Bianco è diverso dal Rosso — è - il Bianco-neve à differente dal
Bianco- latte — o di Eguaglianza e Differenza, come dai due
Paragrafi seguenti. 59. Il Confronto può farsi anche sulle Azioni o
Qualità d' un solo Oggetto. In tal caso però dobbiamo contemplar tale Oggetto
in epoche diverse, ossia coll' ajuto della memoria dobbiamo considerarlo come
pluralizato. Quindi potremo giustamente applicarvi la teoria sovraesposta
(57 e seg.) per Oggetti frà loro diversi. PARAGRAFO 11.°
Eguaglianza 60. Due cose sono eguali, quando non è possibile assegnare
frà loro alcuna diversità - Dunque non può darsi eguaglianza negli Oggetti,
perchè tutti presentano delle varietà rimarchevoli. E però cosa molt' ovvia
rinve- nire angue esstendo in natura delle Coe gorati tra loro di
poni per predicare ueta esagio a de Far Voci d' Eguagliunza; come al
pari, egualmente, tanto quanto ec. PARAGRAFO 12.° Differenza
62. Confrontate due Cose della stessa natura e trove-tele non eguali, - la
quantità di cui una supera l'altra - è ciò che propriamente costituisce
la Differenza tra queste due cose 63 I soli Matematici anno un esatta
nozione del va- unicamente frà Cose non della stessa natura; e la
Differenza invece esiste unicamente frà Cose di medesima natura. Quindi si dirà
che — il Bianco è diverso dal Rosso — è - il Bianco-neve à differente dal
Bianco- latte — 64. Esistendo in natura delle differenze,
l'Uomo necessariamente si troverà molte volte in situazione d'indi- più,
meno, maggiore ec. PARAGRAFO 13.° Somiglianza 65. Due Cose
sono simili, quando anno eguali Proprietà (16), senza riguardo phie ponto,
senza re terenti e anche diverse (03). 66. Infinite essendo le Cose
simili che ci offre la Na- porta, biana dosiamo biano di indi a tale
ape chiameremo Voci di Somiglianza. In Italiano le Voci di
Soniglianza in fondo si riducono tutte alla parola Simile. PARAGRAFO 14.°
Identid Identico deriva dalla voce
Latina idem, che significa istesso - Non esistendo in natura Oggetti eguali
perfettamente trà loro (60), deriva la necessaria conseguenza che ogni Oggetto
aver deve i distintivi suoi par-ticolari; e questi particolari Distintivi
formano appunto ciò che serve a identificare ogni Oggetto. Quindi per determinare
l'Identità d' un Oggetto bisogna far della sua specie rimane
dopoci, e raiolare unicamente ciù che in csso 69. Trovandoci sovente in
bisogno di esprimere l'Identità negli Oggetti, faremo dunque uso di voci
apposite che chiameremo Voci d'Identità; come stesso, medesimo ec.
Approssimazione cli la Sesa Sualta o Cciore tor E in lutt eguate
pree fettamente; ma si conosce al tempo stesso, che la ditle serse
o de colionto mon cugua asoluta preitone ai assoluta precisione di
calcolo, basterà che l'Uomo indichi la conosciuta approssimativa
eguaglianza. mere i du di ora far di espresioni, he chia. a un
dipresso ec. PARAGRAFO 16.° Connessione 72. Benché in Natura
le Cose sieno tutte isolate, allo spirito dell' osservatore pur si presentano
spesso unite fra Joro. Questo Rapporto d'Unione è troppo frequente ed
essersi etere, e nee aria di Connesione poie insieme, e, anche ec.
PARAGRAFO 17.® Esclusione 73. Da una o più Cose è molte volte
necessario allon-tanarne altre, che o vi sono o vi sogliono o vi possono essere
unite. Quindi per indicare quali cose si allontanano ossia si escludono,
dobbiamo far uso di apposite espressioni, che chiameremo Voci di Esclusione;
come senza, nè, neppure, soltanto, unicamente ec. Alcune di queste voci
come soltanto, unicamente ec. lontanamento o esclusione di tutte le
altre, parmi che per maggiore semplicità ner ma Cinon inazioi di su
somprendersiDichiarazione 74. Uno stesso Oggetto può in diverse circostanze
trovarsi in situazioni diverse. L'intelligenza e la chiarezza del discorso
esigge quindi, che in ciascuna circostanza si dichiari qual n' è la vera
situazione. 75. Di questo tratteremo in
seguito (259 e seg.) dif-fusamente. Intanto per ora basta fissare, che
chiamiamo Voci di Dichiarazione quelle voei che stabiliscono e fanno conoscere
nel discorso la vera situazione dell'Og- getto; come di, a, da ec. AVVERTENZA
SULLE VOCI DI RAPPORTO 76. Oltre i molti analizati finora esistono tra le Cose
moltissimi altri Rapporti, come di Cagione, Mezzo, distintamente - lo
però mi Carne T analit , t perche riecirebbe linga troppe e nojosa;
sì perchè come premisi (29), dopo l'esposto Anora può ciascuno facilmente
continuarla da se. EPILOGO DELLE VOCI RADICALI 77. Le Voci radicali
esprimono o Cose o Giudizj o . Rapporti. • I. Le Cose sono o
Oggetti o Azioni o Qualità. II. I Giudizj sono o affermativi o negaivi; e
il Verbo non è che un composto di due voci, una di Giudizio l'altra di
Azione. III. I Rapporti frà le Cose sono moltissimi; e per averne
cognizione completa bisogna meditarli attentamen-te, facendo la debita analisi
su buoni squarci di Lingua.DELLE VOCI DERIVATE -8. Deriate chiamiamo (4)
le voci provenienti dalle Radicali, e che sono propriamente destinate ad
esprimere come una modalità ossia una diversa forma, un nuovo impasto della
voce radicale: Così celeste, montuoso, virtù, fedelmente, prolungare ec. sono
voci derivate dalle radicali cielo, monte, virtuoso, fedele, lungo ec.
79. Siccome esigge l'analisi, ehe nelle voci derivate sappiamo scoprire e
determinare la Radice primitiva esistente in una medesima lingua, così è
necessario esaminare in dettaglio le varie generiche Derivazioni che abbiamo
dalle diverse generiche Radici - Quindi anali-zeremo successivamente ciò che
deriva in genere dalle voci radicali di Cosa di Giudizio e di Rapporto, avver:
tendo che le Lingue praticamente sono nelle Derivazioni irregolarissime e
capricciose. Prima d' inoltrarci in quest' analisi trovo però necessario
dar ragione di alcune nuove Parole da me introdotte per
semplificazione. NOMENCLATURA nostro spirito invece ama vedersi
richiamate miale ile col der umero pisibile di segue pli
indispensabile, come si rileverà nel decorso dell' Opera : Quindi potrà
essere rigettata da chiunque non amasse adottarla. Che non è qui necessario fissare il valore delle
nuove Parole introdotte, giacchè si andrà fissando nel decorso dell' Opera
senza quasi avvedersene: Quindi per ora basta prenderne una nozione generica; e
alla fine del libro se ne troveranno di seguito le opportune defi-nizioni. Che non o prima parlato di
questa Nomenclatura, perchè finora non s'è data occasione di doverne far uso.
ELEMENTI DELLA NOMENCLATURA 8r. Dodici sono, almeno per ora, gli Elementi di
que- sa silabe E gurs empre trata dala paroa le douc sempre tirata
dalla parola che dev'e- sprimere: Non o però in questo tenuto regola
fissa, avendo specialmente avuto riguardo atia minore asprezza delle
Combinazioni Ecco i dodici Elementi con di fronte il loro
rispettivo valore : ra ge qua SO sta radice oggetto qualità azione sostantivo astratto 1 bui =
guaitativo verbo то - modificazione po
rapporto ter determinante se segno COMBINAZIONE
DEGLI ELEMENTI 82. Per esprimere, che una Voce proviene da una
Radice o di Oggetto o di Qualita o di Azione o di Hap- Azione o
Rapporto. 83. Siccome da ciascuna o almeno da alcune di tali Radici
può derivare un Sostantivo astratto o un Qua- iprime i con Medicazione e
le con ner zioni superiori l' elemento o elementi adattati alla
circo- stanza: Potremo dunque avere 84. Sostarage, sostaraqua,
sostarazi, sostarapo, cioe Sostantivo astratto proveniente da rage, raqua
ec. (82)= Quirage, quiraqua, quirazi, quirapo, cioè Qualitativo
proveniente da rage da raque ec. Morage, moraqua, morazi, morapo, cioè 10-
dificazione proveniente da rage da raqua ec. Borage, boraqua, borazi,
borapo, cioè Verbo proveniente da rage da raqua ec. Anche dai Nomi Quattativi
di qualunque provenienza deriva quasi sempre un sostantivo astratto una
Modificazione ed un Verbo. Per esprimere tali Derivazioni basterà preporre i
loro Elementi alle Combinazioni sovraespresse (85): Avremo quindi secondo i
varj casi Sostaquirage, moquirage,
boquirage ec. cioè Sostantivo astratto oppure Modificazione ovvero Verbo
proveniente da Nome qualitativo il quale deriva da rage o razi o ec. (82). go.
Fissato negli Elementi (8) che ter esprime de-terminante, terge significherà determinante-Oggetto
o di Oggetto, terzi determinante-Azione o di Azione. Quindi, se a queste
Combinazioni preporremo T'Ele-mento della parola che fà l' ufficio di
determinante, potremo avere Soterge, quiterge, boterge cioè Sostantivo oppure
Qualitativo ovvero Verbo determinante un Oggetto: 95. Soterzi, boterzi,
quiterzi, cioè sostantivo, o Verbo ec. determinante un' Azione.
AVVERTENZA 94. Le sovraespresse Combinazioni di Nomenclatura non anno
tutte luogo praticamente •nel discorso : Cost per esempio non abbiamo in natura
nè quiraqua nè qui-terzi ec. lo però le indicai unicamente per mostrare la
ciascuno secondo le circostanze for- le opportune e qui non espresse
Combina- zioni. Ritorniamo adesso all'analisi delle
Derivazioni. Derivazioni dalle Radici di Cosa
intendiamo en aven de sated 9l chion bolto e Dudlia, cole l'ordine
e la necessaria chiarezza che n' esaminiamo pai-titamente le varie generiche
Derivazioni. ARTICOLO 1.° Dalle Radici di Oggetto yole de
obiane atrburgh in ge di Qualia cid che fo ta l'esso oil si ta la
proprietà d'ue del Oogetto. qualificante la forma di nome Qualitativo: Così da
mon-se, radice, leone ec. abbiamo montuoso, radicale, leonino ec.
97. Dalle Radici di Oggetto può dunque derivare un Nome qualitativo, che da noi
sarà chiamato Quirage (85) cioè — Qualitativo proveniente da Nome radicale di
Oggetto -. AVVERTENZA re, onare, vesire O, coe Contengone in bode
11 nome dell'Oggetto che si usa nell'Azione, sembra derivino da una
Radice di Oggetto. Si avverta però, che Queste e simili sono Voci non derivate,
ma radicali di Qualitativi radicale, montuoso ec. Dalle
Radici di Qualità 100. Dalle Radici di Qualità abbiamo tre
Derivazioni - una Voce di Modificazione, ti Sostantivo astratto, ed un
Verbo - delle quali tratteremo separatamente. PARAGRAFO 1.°
Modificazione derivata 10r. Per fissare chiaramente un' Azione bisogna
non di rado attribuirle l'essenza di qualche Qualità; ossia col- rio dare
al nome di Qualità l' aspetto di Modificazione (55): Così da onesto facile
veloce ec. abbiamo one-stamenie facilmente velocemente ec. 102. Ogni voce
di Modificazione, derivata così da una Modificazione: Così per esempio
abbiamo radicalmente pal quai rtivo e dicale Delevainhe sasa stesso
dallia roce mate Moquirage (89). 104. Quindi onestamente facilmente
velocemente ec. dalle radiali, cilità veloci di Modificazione derivanti
Qualità veloce facile onesto ec. — E radicalmente leoninamente
montuosamente ec. sono Moquirage, cioè - Voci di Modificazione
derivanti dai Quatitativi radicale leonino montuoso ec. già derivati dalle Voci
radicali di Oggetto radice leone monte ec. — PARAGRATO 2.°
Sostantivo astratto derivato 105. Dalle Radici di Qualità deriva un
sostantivo astrat-to, come onestà modestia velocità ec. provenienti dai
Qualitativi onesto modesto veloce ec. natura è unita
inseparabilmente a delle altre - La fa- so le qui facime te trare e siene
mediachi, e non Ora dati più Oggetti, se si astragga da tutti una stessa
Qualita, allo spirito del Filosofo questa Qualità ai resenta comia i
getto generia il astrale afica quindi ne forma così un Ente, il quale
propriamente non esiste che nella sua maniera di concepire. — Sostantivo
astratto proveniente da nome radicale di Qualita 一 108. Anche dai
Quirage (97) derivano dei Sostantivi astratti; come da radicale montuoso ec.
radicalità montuosità ec. — Essendo quindi essenzialissimo nelle Voci der
yal distintive serano la nator della So parie- Eatro, i uale deiva da
None radcale dr oigeg PARAGRAFO 3.° Verbo derivato 109. Spesso
gli Uomini si trovano in situazione di dare ad un Oggetto una
Qualità che non aveva. Tale operazione si esprime dando alla radice di Qualità
l'aspetto e la natura di Verbo; come dolcificare, facilitare, appianare ec. che
significa render dolce, piano, facile ec. Dunque dalle radici di Qualità
deriva ancora un Verbo: 110. Ogni Verbo così derivato esprimente l'Azione
di attribuire ad un Oggetto una Qualità che prima non everso prove la no
da hime ta Bora di (u,, cioè Dalle Radici di
Azione 111. Distinte le Azioni in determinate e indetermina-
ciascuna PARAGRAFO 1.° Voci attive e passive 112. Ogni
Giudizio di Azione oltre la Voce giudicante cioè essere (23) richiede una voce
di Azione, ed un Oggetto che forma come il cardine del giudizio stesso (a);
come Pietro e Tizio in - Pietro è amante, Tizio è amato - Ora quest' Oggetto del
giudizio o eseguisce desso l'Azione su cui cade il Giudizio, o semplicemente la
ri-ceve: Se la eseguisce , è in istato d'attività; come - Pietro è amante -; ed
è invece in istato di passività (b), se la riceve; come - Tizio è amato. Ma il nome dell'Oggetto è
inalterabile, cioe esprimere se net giudizio è desso ativo o passivo - Dun-que,
il Giudizio non essendo formato che da trè cose cioè — Oggetto, Voce giudicante
ed Azione (112) - l'attività o passività dell' Oggetto dovrà essere espressa
dalla voce di Azione. 115. Dunque chiameremo attiva - quella Voce di
Azione la quale indica che l'Oggetto del Gtudizio è attivo —; come amante in
Pietro ama ossia è amante : Lo stesso dicasi dei Giudizi di Qualità: ma qui il
discorso cade soltanto su queili di Azione. Passività nel nostro senso
non significa patimento ma ricevimento; ossia un Oggetto è nel nostro senso
passivo, ogni volta che riceve un' Azione. E chiameremo passiva - quella voce
di Azione, la quale ania iner io anetto del giudizio —; cone 116. E
qui necessario avvertire, che nella Lingua Italiana come in molte altre si
presentano sotto apparenza passiva delle Voci di Azione che assolutamente non
sono decomporre ed analizare simili espressioni; giacchè è di somma
importanza il saper bene e facilmente distinguere le Voci attive dalle passive,
e quelle che sono realmente tali da quelle che ne anno la sola apparenza.
PARAGRAFO 2.° Di Azione Determinata Presa per Radice di Azione
l' espressione del Giudizio generico-determinante al presente ( 147) ossia l'
e-pressio, sedere e dalle Radici verbali di Azione determinata deriva una Voce
attiva, un Nome di Azione ed un Nome di Attore — Si avverta, che non tutte le
Radici di Azione determinata anno praticamente queste tre Derivazioni : Così
dormire per esempio non à nè la Voce attiva, nè il Nome di Attore; e gioire non
presenta alcuna derivazione. YOGE ATTIVA Azione determinata essendo quella che termina in chi
la eseguisce (19), è chiaro che in tali Azioni l'Oggetto del giudizio non può
non essere attivo. Ma lo stato dell'Oggetto è espresso dalla • Voce di Azione (
114). Dunque dalle radici di Azione determinata deve primie-ramente derivare e
deriva una Voce aira, come cor- rente, sedente ec.NOME DI AZIONE
119. Deriva inoltre una Voce, la quale esprime l'Azione in genere come Oggetto;
vale a dire una Voce - esprimente l'Azione qual'Oggetto, e al tempo stesso
esprimente una certa continuazione di durata o di tempo nellazie i
drivazioni saranno da noi rsi, une semi d'Azione. NONE DX
ATTORE 120. Molte volte dobbiamo o ci piace esprimere un Oggetto, non
qual esiste in natura ma solo come Agente in ta caso a oni due i assia se
plice alla adice vibale un aspetto di sostantivo; e la voce che ne
risulta è da noi chiamata Nome di Attore; come espositore, coltiva- tore,
vincitore ec. PaRAGrAFo 3.° Di Azione Indeterminata 121.
Presa egualmente (117) per Radice di Azione l'e- Edicio ve vallai del nei
deto minio presa primelle mente una Voce altiva, un Nome di Azione ed un
Nome di Attore, come dalle Radici di Azione determinata (117): Così da
esporre abbiamo esponente, esposizione ed espo-sitore; coltivante, coltivazione
ec. da coltivare ec. - Infatti, applicando pel Nome di Azione e di Attore
il già esposto (119 e 120), il Verbo deve avere una Voce inoltre una Voce
passiva ed un Nome Qualitativo., VOCE PASSIVA 125. Azione
indeterminata, essendo quella che non termina in chi la eseguisce (19), è
chiaro che l'Oggetto. del giudizio sarà molte volte o almeno potrà essere nello
stato di passività (113). Ma lo stato dell' Oggetto nel
giudizio è espresso dalla Voce di Azione (114). Dunque dalle Radici di Azione
indeterminata derivar deve e de- se (116). NOME
QUALITATIVO rogativa di caso per esprimere questa prerogativa
o qualita si fa uso d' una voce derivante dalla radice di CoNonte
Quaitatvo detivante da ratice verale di Azione -; come esponibile,
coltivabile, vincibile ec. 125. Siccome ogni Nome Qualitativo d'
Azione deve riguardarsi come vero Nome di Qualità, cosi dai Qui-razi
avremo le varie Derivazioni assegnate (100) alle Radici di Qualità - Quindi dal
Quirazi amabile p. es. avremo amabilmente, cioè un Maquirazi (89); avremo amabilità
cioè un Sostaquirazi (89); e dovremmo anche avere un Boquirazi (89) come
amabilizare cioè rendere aruad, Voendo quind coprinere di cegute e varie
De- rivazioni da una stessa Radice verbale di Azione indeterminata p. es.
presentare, avremo o almeno dovremmo avere - presentante, presentatore,
presentazione, pre-sentato, presentabile, presentabilmente,
presentabilità, presentabilizare - Si avverta però come già fù
detto (117), che nelle Lingue le radici di Azione indeterminata non anno
tutte praticamente le diverse annunziate Derivazioni : Così amare non à nè
amazione nè amabilizare ec. AVVERTENZA 127. L' irregolarità nelle
Derivazioni gia marcata più volte, è un difetto notabilissimo in tutte le
Lingue, ed è una delle prove più convincenti che le Lingue furonoa poco a poco
e capricciosamente formate dall' uso, non dal calcolo filosofico nè con regole
di sistema — T'ale osservazione dovrebbe più che ogni altra persuaderne, che i
Sistemi i Metodi ed i Libri impiegati finora per lo studio delle Lingue, sono
direttamente opposti alla natura del prattico Linguaggio, e servono solo ad
istupidire lo Spirito ad inceppar la memoria e ad impedire la cogni-
zione di ro dimostare e pretende intenere a come i CAPO II
Derivazioni dalle Voci di Giudizio 128. Fissata per Voce radicale di
Giudizio affermativo l'espressione generica essere, vedemmo (23) che pel
Giudizio negativo basta unire ad essa la negazione ; ed abbiamo così non essere
— Quindi la Voce radicale di Giudizio in fondo si riduce alla sola essere, e
con essa potrebbero facilmente esprimersi tutti i Giudizj. 120. Infatti
ogni Giudizio, oltre la Qualità o Azione il Tempo a cui questo giudizio
si riporta, Ora asodi a cosa dere ci di chi a chi a che da chi
ascolta - Indicando quindi con nome apposito quest Oggetto, e fissando che il
nome di chi parla è io se une proi sece le il rocco di chi a tolta il lore nome
particolare, si vede chiaro che riguardo all' Oggetto la voce essere può sola
bastare ad esprimere qualunque Giudizio. - Io essere Italiano, Tu essere
Studioso, Pietro essere Scrivente, Noi essere vicini, Voi essere pa-renti, i
Soldati essere valorosi ec. - 13r. Il, Il Giudizio che si proferisce, è
riferibile a Tempo o passato o futuro o presente (40). Quindi, fis-
da sola foce asere Coll apate d un ai a Pratante ancae riguardo al Tempo
ad esprimere qualunque giudizio - Per esserne meglio
convinti agli Esempj addotti di sopra - lo essere Italiano ec. — si
uniscano successivamente le varie Voci di Tempo jeri, oggi, domani, un anno
fà ec. (38). 132. Ma gli Uomini per natura amanti di varietà come molte
volte unirono la voce di Giudizio a quella itinel Cln evita ripe continue
e duindi, nojose ogn' istante una stessa invariata Voce
di Giudizio, come sarebbe in Italiano essere, trovarono nel decorso dei
secoli conve niente supplire e a varj Nomi di Oggetto e a molte Voci di Tre di
Gidialcune stabili derivazioni dalla Voce ra- ralicale ai Cuatio d estre
perastremo i quetalarne essere, passeremo a dettagliarne tutte le
moltiplici Derivazioni dopo le seguenti necessarie Avvertenze:
AVVERTENZA I 135. Potendo essere Oggetto del Giudizio o Chi parla
dai primi due; oppure per semplificazione maggiore li chiameremo
rispettivamente Parloge, Scoltoge, Ter- come ale o per, ce o a rive devoi
e siderase chi legge. 134. La desinenza nelle derivazioni tanto
dalla Voce radicale di Giudizio come da qualunque altra Radice ver-bale,
esprime in Italiano la qualità dell' Oggetto, cioè se parlante ascoltante o
terzo; e n' esprime parimenti il Numero genericamente cioè se uno o più sono
gli Og- ti me degli e see parlate e colge, mpreo sempre lo
stesso in ciaseun Numero (130), volendo potremo tralasciarlo ognivolta che non
ne nasca oscurità o confu; sione. Si richiami la definizione
del tempo (36), e la Linea generica indicata (37) per facilitarne l'
intelligenza. Si fissi, che il Tempo
passato e futuro è sempre hea da noi ai deterina cone presne (3) , ar 6
in nostro arbitrio considerar come presente qualunque punto tanto sulla serie
degl'Istanti decorsi come su quella degl' Istanti avvenire. 157. Da varj
Oggetti potendo al tempo stesso farsi varie Azioni, o anche dovendo noi al
tempo stesso considerare varie Azioni fatte in tempi diversi, si fissino
secondo il bisogno due o più linee di Tempo paralel-le (35 V. Nota) frà loro.
La prima esprimerà le Azioni dell' Oggetto parlante; la seconda quelle
dell'Oggetto ascoltante; e la terza, pluralizata ove occorra, quelle dei
terzi Oggetti. 138. Ugni perpendicolare (a) a queste paralelle
tirata su medingo punto peprimera e arigetti diveren te ogni obliqua alle
medesime paralelle esprimerà invece varie Azioni avvenute in diversi istanti,
egualmente per opera di Oggetti diversi (b). 139. Un solo Oggetto può
fare anch' esso varie Azioni sare stessetem tal come biscare e ulare, ore
ore e cam se la natura del discorso esigge che si faccia eguale
attenzione su ciascuna di tali contemporanee azioni; oppure se, considerandone
una come principale, le altre debbano riguardarsi puramente come accessorie:
Giacchè nel primo supposto dobbiamo esprimerle tutte distinta-
mente, come giuoca e ride, scrivono e cantano ec.; e nel secondo supposto,
espressa la principale con distin-zione, si darà alle altre un aspetto di
semplice accesso-rietà, ossia un aspetto modificante, come giuoca ridendo ec.
(150). 140. Ciò premesso, inoltriamoci a fare una dettagliata esposizione
dei vari Modi e Tempi sia assoluti sia relati- gna alla generica ladice
di Giudizio essere. ARTICOLO UNICO Natura del Giudizio 14t.
Secondo la Giudizi Vecondo eh diver dide e e cra tra soio isotri ti, ora
dipendenti, ora puramente indicativi, ora accompagnati da qualche particolare
sentimento dell'anima, ora generici, ora congiunti a qualche
determinazione particolare, ora ec.; come potrà meglio rilevarsi
dai Paragrafi seguenti. Queste diverse forme, sotto le quali suole o può
presentarsi un Giudizio, saranno da noi chiamate Maniere o Modi del Giudizio.
Questi Modi sono da noi portati al numero di otto, cioè Modo generico, indica-tivo,
condizionato, suppositivo, volitivo, ottativo, inde-finito, interrogativo; e
tratteremo separatamente di cia-scuno. PARAGRAFO 1.° Giudizio Generico Spesso esprimiamo di
seguito due o più Giudizi riferibili ad un Oggetto medesimo; come — voglio
par-tire, scrive cantando ec.—; uno dei quali cioè voglio, scrive ec. forma
sempre come il cardine del sentimen- Ceso ( 3g), n tal case i facle cnecre, che
aveado espresso con chiarezza e precisione il Giudizio cardinale,
basterà indicare gli accessorj anche genericamente. Ed infai
perchè pect cade aidiri, ecessivi che separabilmente congiunti?, — Ora
questi Giudizj acces-sorj, espressi così genericamente e considerati a
motivo d'a chia spar dimente ai eardicali cidi ili che
generico. 144. Dunque sebbene in un prattico discorso non possa esistere
alcun Giudizio assolutamente generico, giacchè tutto vi dev' essere
convenientemente determinato, pure allo sguardo analitico varj Giudizi
separatamente presi si presenteranno come tali. Dunque è quì necessario
ana-lizare le relative espressioni o derivazioni, distinguendo i Giudiz)
generici in determinanti e modificanti. GENERICO DETERMINANTE ‹45.
Chiamiamo determinante ogni Giudizio generico, il quale serve a determinare
ossia stabilire fissare il vero e preciso valore del Giudizio cardinale ( 143):
Così in — voglio partire - partire è determinante di voglio; giacchè
voglio senza partire non esprimerebbe nel nostro caso concreto un'idea
determinata e precisa, come diremo in seguito più diffusamente ( 25g e
seg.) Il Giudizio generico
determinante può essere pre-sente, passato o futuro — Si avverta però, che in
simili Giudizi questi tempi sono tali unicamente riguardo al Giudizio
cardinale; e quindi propriamente sono tempi relativi a guello, in cui à luogo
il Giudizio cardinale. 1. E presente
ogni Giudizio generico determinan-te, che à luogo al tempo stesso del Giudizio
cardinale ; e la voce radicale essere è quella che serve ad espri-merlo. Quindi
abbiamo - debbo; doveva, dovetti. dovrò, dovrei ec. essere 148. Il. E
passato ogni Giudizio generico determinan-te, che à luogo prima del Giudizio
cardinale; e essere stato è la derivazione che serve ad esprimerlo. Quindi
abbiamo — debbo, dovevo, dovetti, dovrò, dovrei cc. essere stato -.
149. IlI. E futuro ogni Giudizio generico determinan-te, che à luogo
dopo il Giudizio cardinale. Dover essere, aver da essere, esser per essere sono
le derivazioni che lo esprimono; tutte però di pochissimo uso in buon gusto
Italiano (243). Quindi abbiamo - credo, credeva, credetti, crederò, crederei
ec. dover essere o aver da essere o esser per essere —. GENERICO
MODIFICANTE 15o. Chiamiamo modificante ogni Giudizio generico s il quale
accompagna il Giudizio cardinale onde presentarlo sotto forma diversa ossia
onde presentarlo con una Modificazione (52): Così in — giuoco cantando - can-.
cando non fa che accennare l'azione, da cui è accompagnata ossia modificata
quella di giuocare. 151. 1 Giudizio generico modificante dovendo agire
e medesimo. Quindi il Giudizio modificante rapporto al cardinale non può
essere che presente — Essendo è lu derivazione per questo giudizio. Avremo
dunque - Essendo cantante ossia cantando giuoco, giuocava, giocai, Bocz,
Ii Talano si grand uso dal epresione essendo tempo passato, e ciò
specialmente per l'analogia coll' espressione del Generico determinante passato
(148). — Si faccia però avvertenza, che essendo stato è un' espressione
sostituita ; e si richiami (‹51), che il Giudizio generico modificate
vene esempele presene, Ciod, dev di PARAGRAGO 2.° Giudizio
Indicativo 153. Indicativo è ogni Giudizio, in cui ad un Oggetto
attribuiamo puramente un'Azione o Qualità, senza che vi sia annessa
alcuna particolare circostanza o emozione dell'animo; come — Pietro è virtuoso,
i Soldati erano prodi ec. -: E lo chiamiamo Indicativo appunto
perchè tale Giudizio non fà che accennare ossia indicare se stesso li.
madrio indicaivo può essere isolato o dipen dente. INDICATIVO
ISOLATO 155. Isolato da noi chiamasi ogni Giudizio indicativo
esprimente un senso completo senza il concorso d' altro Giudizio — L'
Indicativo isolato è sempre riferibile ad uno dei tre Tempi passato, presente o
futuro; giacche in qualche istante di tempo 156. T'EMPo PASSATO - E
passato quel tempo, che si considera esistente sulla linea ( 5g e 40) prima del
punto che fissiamo come presente — Eccone le Derivazioni : io fui
noi fummo tu fosti voi foste egli fù essi furono
157. TEMPO FUTURO - E futuro quel tempo, che sulla linea trovasi dopo quel
punto che fissiamo come presente - Eccone le Derivazioni : io sarò
noi saremo tu sarai voi sarete egli sarà essi
saranno 158. TEMPO PRESENTE - Il tempo presente non occupa sulla linea
che un punto solo, e propriamente quel punto che divide il Futuro dal Passato -
Eccone le Derivazioni : io sono noi siamo -tu sei voi
siete egli è essi sono 159. La Lingua Italiana per il passato
due espres-sioni, ossia considera il passato e come vicino al presente e come
da esso lontano. Quindi per l'Indicativo isolato abbiamo in Italiano due Tempi
passati, cioè passato-vicino e passato-lontano - Le derivazioni sovraespresse
(156) io fui ec. servono al passato-lontano; e pel passato vicino
abbiamo le seguenti: io sono stato noi siamo stati tu sei
stato voi siete stati egli è stato essi sono stati 160.
L'uso di questi due Tempi passati riuscendo a rol passto vicine spase
unicanente per cprnet Giudizi riferibili al giorno in cui si parla
riteribi le una esterorno di ceio della quale rena parte integrante il
giorno in cui si parla; come — que- Il passato-lontano si usa invece per
esprimere qualunque giudizio riferibile per lo meno al giorno precedente
quello, in cui si pronuncia; e però deve sempre far buon senso colla voce di
l'empo jeri. INDICATIVO DIPENDENTE 161. Dipendente chiamiamo ogni
Giudizio indicativo; la cui chiara totale e precisa intelligenza dipende da un
altro Giudizio; ossia è dipendente ogni Giudizio, che senza l'ajuto d'un altro
non ci presenterebbe una completa co- Tinieier la pend del eve a cui si
dice seri unito ad un altro giudizio à espresso o facilmente
sottinteso. Ogni Giudizio indicativo
dipendente è riferibile ad uno dei trè Tempi presente-relativo,
pussato-anteriore, futuro-anteriore. PRESENTE-RETATIVO - Chiamiamo presente-relativo quel
tempo, il quale sebbene di sua natura assolutameute passato, pure è presente
riguardo a quello in cui avvenne una data Azione o. Giudizio. possono e quile
poprendere ehe da due più Omoni al tempo stesso: Così in — lo scriveva,
quando voi mi chiamaste — l'azione di scrivere è avvenuta
contemporaneamente a quella di chiamare - Ora tali Azioni: riguardo al tempo in
cui avvennero confrontate l'una col-T altra, sono ossia furono reciprocamente
presenti trà loro, cioè ebbero luogo in un medesimo istante — Dunque possiamo
giustamente nominarle di presente-relativo. 165. Se dunque corsideriamo
lungo varie linee para-Jelle (137) Azioni diverse già consumate, saranno di
presente-relativo cioè presenti frà loro tutte quelle che trovansi in una
stessa perpendicolare a queste paralel-: le (138). Espressa dunque una di tali
Azioni contern- poranee in modo da far conoscere il tempo asoluto
in cui avvenne, basterà indicare che le altre furono con-. temporance alla
medesima; ed abbiamo voci apposite per questo. — Eccone le Derivazioni :
io era noi eravamo tu eri voi eravate egli era
essi erano 166. PASSATO-ANTERIORE - Chiamiamo passato-anteriore ogni
Tempo passato prima d' un altro, che nel discorso noi consideriamo parimenti
come passato - Ed infatti• quante volte non ci occorre di esprimere due Giudiz)
o Azioni passate, obligati ad indicare nel medesimo tempo che l'una avvenne
prima dell'altra? Così p. es. in - O moTiorpar ong tora dela corerd
ai mio ritorno è avvenuto prima della partenza di Tizio: Quindi l'azione
di tornare, anteriore a quella di contrel sard tante chiamata d leape
pasato concreto sarà anterjore. — Eccone le Derivazioni : io
era stato noi eravamo stati tu eri stato voi eravate
stati egli era stato essi erano stati 167:
FUTURO-ANTERIORE - Molte volte esprimiamo un Giudizio di Tempo
futuro, ma che deve effettuarsi prima He de due dere etituara pel primey
e quele cie noi diciamo di tempo futuro-anieriore. Così, p. es. in
- Quando avrò finito la Lezione, passeggeremo — il passeggio non può aver
luogo che dopo finita la lezione: Quindi l'azione di finire, in se stessa
futura ma che deve aver luogo prima di quella di passeggiare, sarà
nel caso nostro giustamente chiamata di Tempo futuro-anteriore. Eccone le
Derivazioni : io sarò stato noi saremo stati tu sarai
stato voi sarete stati egli sarà stato essi saranno stati
PARAGRAFO 3.° Giudizio Condizionato Condizionato è ogni
Giudizio, la cui verificazione trovasi essenzialmente attaccata all'
eseguimento di qualche Condizione espressa o facilmente sottintesa. Quindi il Giudizio
condizionato relativamente alla che ziand è severi di e satura verre aule a
Condi, che quando si verificasse o si fosse zione, il Giudizio condizionato
avrebbe luogo o lo avrebbe avuto sempre dopo tale verificazione. 170. Il
Giudizio Condizionato può essere praticamente. eseguibile o
ineseguibile. CONDIZIONATO INESEGUIBILE 171. Un Giudizio
condizionato è ineseguibile, quando la condizione non può più aver luogo -
Quindi il Condizionato ineseguibile non può per natura riferirsi a. Tempo
futuro: Esso quindi sarà di Tempo o presente o passato. 172. CONDIZIONATO
PRESENTE - È presente, quando posto il verificamento della condizione, il
Giudizio avrebbe luogo al momento in cui si proferisce: Come — Favori-
trovi la sete ha se ate, ce la de di danti verit candosi la condizione di
avere, seguirebbe al momento istesso in cui si pronuncia il corrispondente
giudizio, - Eccone le Derivazioni : io sarei noi
saremmo tu saresti voi sareste egli sarebbe essi
sarebbero 173. CONDIZIONiTO PASSATO - E passato, quando posto il
verificamento della condizione, il Giudizio avrebbe avuto luogo in un tempo
anteriore a quello in cui si pronuncia: Come — Se foste venuto, ve lo avrei
detto - ; dove si vede, che verificatasi la condizione della venuta, l'azione
di dire sarebbesi effettuata in un tempo anteriore a quello, in cui proferiamo
il corrispondente Giudi- zio. — Eccone le Derivazioni : io sarei
stato noi saremmo stati tu saresti stato voi sareste
stati egli sarebbe stato essi sarebbero stati appare e ole,
diposent no seguibili de Cardia , cho qualens non sespriere quet pici
mente areiene; Come - Amerei sapere verta quindi , che simili
Sparereste forse ..? — Siav espressioni difettose in natura, sono
improprie ossia sostituite; ma che furono riconosciute buone dall'uso, il quale
in punto Lingua auto- rizò moltissimi errori. CONDIZIONATO ESEGUIBILE
Condei tre Gia rico a diricato è eseguibile Condeila nato eseguibile non
può per natura essere che di Tempo futuro - Ma la forza condizionativa è sempre
espressa dalla natura del discorso. Dunque basterà semplicemente indicare, che
il Giudizio condizionato è eseguibile, ossia cli è futuro. Quindi pel
Condizionato-futuro faremo uso delle Derivazioni già stabilite per
l'Indicativo-futuro (157): Condizionato eseguibile benchè sua
natura futuro, si oftre sotto aspetto di presente riguardo al Tempo in cui si
verificherà la condi-zione. In tal caso le Derivazioni sono eguali a quelle
gia di Tempo futuro, riguardo al tempo in cui si pionuncia il giudizio.
Ma siccome nel discorso noi consideriamo questa ione ela va enco
all' con di e a so di segui presente, stante la nostra maniera di
considerarla. PARAGRAFO 4.° Giudizio Suppositivo La natura del discorso
esigge sovente, che in via d' abbondanza d'ipotesi ossia supposizione si
ammetta come avvenuta o avvenibile una cosa, che potrebbe anche non essere, Il
Giudizio che noi esprimiamo in tal caso è in modo di supposizione, e perciò lo
chiamiamo Suppo- sitivo — E siccome la supposizione può cadere su cosa
presente, passata o futura; così il Giudizio suppositivo dovrà riferirsi ad uno
di questi trè Tempi. Si avverta, che
nei Giudizi suppositivi il nome di Oggetto si pone dopo la Voce di Giudizio; e
che trà la Voce di Giudizio e il Nome di Oggetto comunemente suol porsi una
particella, che diciamo di supposizione; come pure, anche ec. SUPPOSITIVO-PRESENTE - E
presente il Suppositi-vo, quando il Giudizio si riporta al momento in cui si
proferisce: Come - Siate pur voi l' offeso: Che bramate di più?.— Eccone le
Derivazioni : sia io siamo noi sii tu sia egli siate voi
siano essi 180. SUPPOSITIVO-PASSATO — Il Giudizio Suppositivo è
riporta ad un tempo anteriore a prello in un se proteree: come " son
pur ogli rato nostro nemico: Noi dobbiamo graziosamente riceverlo -
Eccone le Derivazioni : sia io stato siamo noi stati sii tu
stato siate voi stati sia egli stato siano essi stati
182. SUPPOSITIVO-PUTURO È futuro il Giudizio sup- poi a grando di
ricrisce a tempo posteriore do mul, cieè sia arrivante ec. — Le
Derivazioni del futuro sono eguali a quelle del Suppositivo prescate ( 179); e
quindi se non in lingua, son difettose in natura — A questo
difettó dobbiamo pertanto supplire col fare attenzione maggiore al
sentimento. PARAGRATO 5.° Giudizio Volitivo osia ci amiamo
solta da i soliti delie pra ede lontà — Ma un atto di assoluta deliberata
volontà non può esternarsi che o comandando o esortando o pre-gando. Dunque il
Giudizio volitivo esprimerà sempre o Comando o Esortazione o
Preghiera. Inoltre un atto di assoluta
volontà non può riferirsi al tempo che più non è — Dunque il Giudizio volitivo
si aggirerà soltanto sul Tempo o presente o futuro. Finalmente l' Oggetto
parlante (150) non à bisogno di esprimere con parole un atto di volontà riguar-
lante, se uno; giacchè essendo più gli Oggetti parlanti, possono benissimo anzi
debbono comunicarsi reciprocamente la lore volontà. 185. VOLITIro
PREsENTE - Un Giudizio volitivo è presente, quando deve eseguirsene la forza al
momento stesso in cui si proferisce: Come - fuggi, tacete, cantiamo ec. —
Eccone le Derivazioni : siamo noi sii tu siate voi sia egli
siano essi 186. VOLITIVO-FUTURO - Un Giudizio volitivo è
fusu- 20 un anno " eseginento della sua espresione si riports
sarai ti saremo noi sarete voi sarà egli saranno
essi 187. Si faccia attenzione, che nei Giudizi volitivi il nome di
Oggetto si pospone alla voce di giudizio, anzi generalmente
con più eleganza si tralascia, specialmente nel futuro. ai ne spesisio il
toluvo prente htrid esendo ,che invece del futuro in prattica in
tal caso espressa dalla natura del discorso. PARAGRAFO 6.° Giudizio
Ottativo 183. Siamo non di rado nella situazione di desiderare
energicamente qualche cosa. In tal caso esprimiamo un forte sentimento
dell'animo con un Giudizio accompagnato da desiderio ossia ottativo, dalla voce
latina optare che significa desiderare. 189. Il Giudizio Ottativo può
come il Condizionato (170) essere eseguibile o ineseguibile. Si avverta,
che ugni Giudizio ottativo suole nel discorso essere ordinariamente
accompagnato da una particella di eder, come it esi vele, di di questi
dimace il nome di Oggetto, il quale può esser anche taciuto, si pone dopo
la voce di giudizio. OTTATIVO INESEGUIBILE 190. Un Giudizio
Ottativo è ineseguibile, quando il desiderio che lo accompagna non può più aver
luogo ossia non Poit io inesegui sarai mario prese e o assai
to, escludendo esso il futuro di sua natura perdie altrimenti cesserebbe
d'essere inescguibile appunt in cui si_ proferisce: Come — Oh foss' io
vostro Gene-! rale! - Eccone le Derivazioni: foss' io!
fossimo noi! fossi tu! foste voi! foss' egli! fossero
essi! 192. OrTATIVO-PAssATO — L'Ottativo è di Tempo valore dei
cadia, avre e attraiome e de deria, il mento in cui si proferisce: Come -
Oh foss' io stato più accorto! — Eccone le Derivazioni: foss'io
stato! fossi tu stato! fossimo noi stati! foss' foste
voi stati! egli stato! fossero essi stati! OTTATIVO
ESEGUIBILE 195. Il Giudizio Ottativo è eseguibile, quando il desi-
Quindi Ottativo enguibile nou pan pea eeta essere che di Tempo
futuro: 194. Le Derivazioni per l' Ottativo futuro sono perfettamente
eguali a quelle dell'Ottativo presente (19°); e 3 nerisce il Cudicio
Cuesta Contione e perd della massima facilità. Infatti chi non vede, che
i Giudizj ottativi — Oh mi scrivesse col primo ordinario! Oh arrivassero almeno
domani! ec. — sono Giudizj riferibili a Tempo futuro?
AVVERTENZA 105. Autorizati dall' uso sostituiamo molte volle al No
e Oativo delle espe voi di pare a col diziona- La natura del discorso
però ci farà facilmente conosce-re, che tali espressioni sono sostituite; e
l'analisi vuole, che sappiamo riportarle all'originaria loro forma e
na-tura. verta, che l' uno difatti chiama necessariamente l' altro,
benchè in prattica non sempre sieno espressi formalmente clianiand
Ogi Cidize die accompagnato da una tai spressione arrivino è indefinita,
ossia non presenta che un Giudizio indefinito; giacchè questo Giudizio non ci
dà di se stesso alcuna certezza: - Mi pare che arrivino, credo che arrivino, si
dice che arrivino, voglio che arrivino ec. - 198. Questa materia s'
intenderà meglio dopo avere attentamente ponderato ciò ch' esporremo in seguito
(358) - Quì intanto fisseremo l'espressioni o Derivazioni per que- stelle
derivazioni pri lu citairi es pisse lnse, heacha in se e propriamente nel
discorso abbiano tutt' altra forza e valore, che tali Derivazioni debbono
essere precedute dal che, il quale però qualche volta si può anche
tra-lasciare; finalmente che questo che è sempre preceduto esso stesso da un altro
Giudizio o Verbo, che per ora chiamiamo precedente. si cred va io siper
Tindefroke net sia che noi siamo che tu sii che voi
siate ch'egli sia ch' essi sieno si credee vario sia sato in
one sot si che noi siamo stati che tu sii stato che voi siate
stati ch' egli sia stato ch' essi siano stati 201.
Indefinito-futuro — Un Giudizio di Tempo futuro è indefinito ossia incerto di
sua natura. Quindi in Italiano non à alcuna particolare espressione, ossia è
espresso che un ci drio divederto, la ta in rea a che sere porta a
Tempo futuro. — Eccone le Derivazioni col che: Si crede — ch'io
sarò che noi saremo che tu sarai che voi sarete ch'
egli sarà ch' essi saranno 202. Derivazioni per l'Indefinito
presente-relativo - Si creder lo theredette ec. che noi
fossimo che tu fossi che voi foste cli egli fosse ch'
essi fossero 203. Derivazioni per l' Indefinito passato-anteriore -
Si credeva levo si sietelte ec. che noi fossimo stati che tu
fossi stato chie voi foste stati ch egli fosse stato ch'essi
fossero stati 204. Indefinito Futuro-relativo - Il futuro-relativo si usa
al Modo indefinito per esprimere un Giudizio, futuro con in se sei idi
samente river o preced in te (198) - L'espressione per questo
futuro-relativo si prende dal Giudizio condizionato o presente o passa-
rapporto alla condizione ( 16g). — Eccone le Derivazioni col che: Si
credera o si credette ec. che tu saresti ch' egli sarebbe che noi
saremmo che voi sareste cli essi sarebbero ovvero Si credeva
ec. ch'io sarei stato che tu saresti stato ch'egli sarebbe stato
che noi saremmo stati che voi sareste stati cli essi sarebbero stati
PARAGRAFO 8.° Giudizio Interrogativo I Giudizi sono molte volte
accompagnati da Inter-rogazione; ed allora noi li chiamiamo Giudizi
interrogativi. Nei Giudizj interrogativi
si fà uso delle Derivazioni già esposte per gl' Indicativi, Condizionati ec. -
Si avverta però; che negli Interrogativi il Nome di Oggetto si pospone alla
voce di Giudizio; che molte volte questo Nome si può anche tralasciare; e che
nella scrit; tura i Giudizi interrogativi voglieno essere marcati
col così detto punto interrogativo - Avremo dunque: — Son io? fui io?
sarò io? sarei io? ec. — 207. Il Giudizio interrogativo può essere
semplice o enfatico, damente o die, guano di isma in Comat e
Cle fate? Dove andarono? Quando tornò? ec. -. II. E enfatico,
quando la domanda è accompagnata da un forte sentimento dell' animo p. es. di
sdegno, d'orrore, di dubbio, di timore, d'insulto, di scherno ec. : Come
— Che si pretende da me? Dunque è finita per noi? E vederlo potrei? Voi l'
uccideste 208. Gl' Interrogativi tanto semplici ch' voi? ec. —
enfatici si espri- mono colle stesse Derivazioni, ed in iscritto colla
stessa punteggiatura. Essendo però in natura diversi trà loro, tale diversità
dovrà essere espressa da una diversa infles- pratican se a to dati quante
diversi trà CAPO III Derivazioni dalle Voci di Rapporto 209.
Avendo trovato inopportuno e quasi impossibile il determinare tutti i diversi
Rapporti che le Cose anno tra loro (76): portiamo lo stesso giudizio e con più
forte ragione sulle Derivazioni dalle voci Radicali di questi le
possibili metafisiche teorie — Ritenendo quindi, che dopo l'esposto finora
siasi già acquistato dello Spirito analitico anche relativamente al Linguaggio,
alido l'esame di queste Derivazioni alla perspicacia del meditabondo
Lettore. 210. Debbo però avvertire; che non da tutte le Radici di
Rapporto abbiamo Derivazioni; che da alcune alpicazione irainite anche di
Sastivi aai e.; infine che la natura del discorso farà facilmente
rilevare le Radici di tali Derivazioni. Infatti in un prattico discorso chi non
vedrà all'istante, che le voci — infe- tro ec. - ? 211. Riguardo
alla denominazione di tali Derivazioni si richiami quanto fû già stabilito
nella nostra Nomen- rapo (89) ec.. SEZIONE TERZA DELLE VOCI
SOSTITUITE 212. Sostituite chiamiamo (5) quelle Voci o Espres-sioni, che
per vezzo eleganza chiarezza o brevità sogliono dall'uso porsi in luogo d'altre
voci conosciute e di altre regolari espressioni ed e stiani salin
pratica molisime: merà non inâtile doversi qualch istante occupare di
tale materia. 214. Avverto poi, che non è possibile scriver bene in una
Lingua non propria, quando non si sappiano fare nella propria Lingua tutte le
possibili sostituzioni; a meno che non s' imparasse la Lingua straniera per
prattica come la propria. DELLE VOCI PARTI DEL
DISCORSO NALIZATE finora le Voci isolatamente prese paile com ar
osia memar del Dicorso , ale a dare dobbiamo considerare l'ufficio la
posizione il valore delle une relativamente alle altre, in quantoche prese
insieme formano un sentimento completo. le varie varie possiber
inuzzioni degli Osteti etemrate le due Sezioni di questa seconda Parte
della nostra Metali- sica di Linguaggio. SEZIONE PRIMA
DETERMINAZIONE DELLE VOCI 217. Abbiam visto (12 e 19), che le Voci sia
d'Oggetto sia d'Azione possono essere, anzi sono nella massima parte
indeterminate. Ora una Voce nel nostro senso indeterminata, non esprime e non
presenta allo spirito che una natura de acors og acamenke Che sla
idata fal idea generica; ma è pur vero, che le Voci indetermina-
per gli Oggetti che per le Azioni. Determinazione degli
Oggetti 218. In Italiano i Nomi indeterminati, cioè di Oggetto
indeterminato, si distinguono dai determinati col mezzo d'una piccola voce il,
lo, la ec. chamata comunemente Articolo. Quindi ogni Nome cui si prepone e può
preporsi l'Articolo, è di sua natura indeterminato. ai laro natura
doteminti, Y tal case pero ai avola, che frà l'Articolo ed il Nome è
sottinteso un Sostantivo Pò, l'astro chiamato Sole, la parte del
globo detta Europa, la parte d'Italia detta Lombardia ec. - 220. Ogni
Oggetto o Nome indeterminato, quando al discorso non basta la sua generica
idea, deve di necessità convenientemente determinarsi - Ma in natura non
Oggetto dipenderà necessariamente da uno o più di questi trè Capi d'
esistenza. Ma i Giudizj in fondo non
sono che Azioni: 1 Rapporti di loro natura determinano nel discorso tutto ciò
che prende determinazione da loro, avendosi per ogni Rapporto voci apposite e
invariabili, quindi sempre di eguale significato e valore. Dunque possiamo
limitarci a parlare delle sole determinazioni dipendenti da Cose, ossia da
Oggetti, Azioni e Qualità (9). Dunque riguardo agli Oggetti o Nomi indeterminati
analizeremo successivamente i Qualitativi, i Sostantivi e i Verbi determinanti
cioè — che fissano l'idea precisa, la quale deve da noi attaccarsi al Nome di
sua natura indeterminato - Del Qualitativo doterminante Oggetto, o
Quiterge 223. Ogni nome Qualitativo è di sua natura determinante Oggetto,
com'esprime la voce stessa qualitativo ossia qualificante. Quindi se un Oggetto
indeterminato debba prendere la necessaria determinazione da una Qualità,
basterà unire semplicemente il nome di Qualità a quello d'Oggetto; come confomo
otto dele Principe da sti chiala Quie alla notra Nomenclatura sarauno
224. Dagli esempi qui addotti ed altri simili, se si • analizino, è facile
comprendere in che consista la deter- da Qualità - L' Uomo p. es.
minie un prove ente, d coprendente 4 gi non ch; e quindi applicabile a
qualunque individuo della specie: Unendo però al Sostantivo uomo il
Qualitativo dotto, 1o ne limito l'idea generica escludendo i moltissimi
non 225. Dunque ogni Qualitativo unito ad un Nome di Oggetto non serve
che a determinare l'idea dell'Oggetto medesimo: E ci convinceremo sempre più di
questa verità osservando, che gli Oggetti di loro natura determinati (15) non
ponno mai essere uniti ad alcun Nome Qualitativo. ARTICOLO lI Del
Sostantivo determinante Oggetlo, o Soterge 225. Il determinare un Oggetto
col mezzo d' un altra Oggetto è cosa comunissima in ogni Lingua - Ma un
Oggetto che in una data circostanza serve a determinarne sia, deve avere
il suo particolar Distintivo. 227. In Italiano il Distintivo del Soterge
è la particella di, la quale trovasi spesso unita all'Articolo in una
sola Pa, la ua ce os allesto di ara da noi chianato Seo terge,
cioè — Segno di sostantivo determinante Oggetto - Nelle espressioni - La
Casa di Pietro, il Calore del Sole ec. — Pietro e Sole sono Soterge, cioè
sostantivi determinanti rispettivamente gli oggetti Casa e Calore; e però
sono preceduti dal Sesoterge di. 228. Si noti, che la particella di per
ditetto di Lin- terge, e non lo è sempre nell'espressione - Stoffe di
Vienna -; giacche secondo la diversa natura del discorso può significare -
Stolle fatte in Vienna, 'Stofle venute da Vienna ec. -. Questa
materia è di somma importanza specialmente per passare dall'Italiana ad altre
Lingne; ma è dificile, e ndo lo spher conosceii de alicadio molto e
posse- ARTICOLO III Del Verbo determinante Oggetto, o Boterge
229. Spessissimo per determinare un Oggetto ci serviamo d' un'
Azione ossia d'un Verbo ch'è la voce destinata ad esprimere l'Azione (25) - Ma
un Verbo non sempre si trova nella situazione di determinante Oggetto, ossia
non è sempre Boterge (92). Dunque quando sia tale, Italiano è l'esser
desso preceduto dalla voce quale col-l'Articolo. Noi chiameremo questa voce
Seboterge (81) cioè — Segno di Verbo determinante Oggetto — ;
avver-tendo, che quasi sempre sogliamo sostituirvi la voce 231. Dunque
sareino certi che un Verbo è determinante Oggetto, ognivolta che sia preceduto dal
Seboterge il lo o le cato di pena di 5, c in — l'Uomo, il quale o
che pensa, che parla ec. — sono Boterzi. Determinazione delle
Azioni 252. È indeterminato ogni Verbo esprimente un'Azio-ne, che termina
in un Oggetto diverso da quello che la eseguisce (26); ossia ogni Verbo che
presenta allo spirito un'Azione generica, pratticamente applicabile a più
sovente ne- chở Qu na per sso e determina da Quante pes- sono avere
relazione alcuna colle Azioni — Dunque, xi- chiamae i gi abili ipote in
satura coin punto determinazione possiamo dispensarci dei Rapporti e dei
Giudizi (an oeni Azione indetere minata dovrà determinarsi o con un
Oggetto o con un' altra Azione. 235. Dunque ogni Verbo indeterminato,
quando al discorso non basti l'idea generica espressa dal medesimo, dovrà
essere accompagnato o da un Sostantivo o da un Verbo determinante cioè — che
fissi il vero punto di vista, • sotto cui deve nel discorso esser presa
una data Azione. ARTICOLO I Del Sastantivo determinante Azione, o
Soterzi 236: È determinante Azione in Soterzi (93) ogni Nome di Oggetto,
il nete attecast a ln die eo indeterminato : Ccol un dato Verbo
indeterminato: Così in — Cesare premiava i Soldati - il Nome Soldati
serve " da in Sostantiro non sempre ne ascorso & detere
nante Azione. Dunque quando lo è, dovrebbe avere il suo particolar
Distintivo. 237. In Italiano il Nome determinante Azione o So-terzi è
sempre eguale al Nome Reggente (260), tranue il Nome singolare degli Oggetti
parlante e ascoltante, qualch altra voce sostituita come
lui, lei ec. Si avverta però, che il Nome reggente corrisponde al così
detto Domini è necesario avvertire, che il Solario è necessario
avvertire, che il Soterzi ossia il Sostantivo determinante Azione in
Italiano al singolare è to: Come - datemi del danaro, della carta ec. —.
E però facile vedere, che le voci del della in simili casi o sono superflue o
sono sostituite all'espressione un poco: Quindi non è possibile
ingannarsi a segno da prenderle per Sesoterge combinati coll'Articolo
(227). Parimenti al plurale si usa dei o delle col Soterzi; e ciò quando
si vuol esprimere indefinitamente un piccolo dei delle propriamente
significano alcuni alcune. ARTICOLO II Del Verbo determinante
Azione, o Boterzi sas idearniare Aird falire che miami® dare
praticamente ad un Verbo indeterminato qualun-que: Così in — Voglio che
partiate, Vedo che arrivano ec. — partiate e arrivano servono, rispettivamente
a determinare le Azioni espresse da voglio e vedo - Ogni Verbo che serve così a
determinare un' Azione, sarà da noi chiamato Boterzi (93); e chiameremo
determinando il Verbo esprimente l'Azione che deve determinarsi. Ma un
Verbo determinante Azione nel discorso non à sempre quest' ufficio medesimo,
cioè non è sempre Bo- ever Dunge e cio abba e esa ia dire disie
quando 240, In Italiano il Distintivo da cui si fa precedere il Verbo
determinante Azione, è la voce che, la quale sarà da noi chiamata Seboterzi,
cioè — Segno di Verbo determinante Azione —. Di questo Seboterzi o voce che,
dobbiamo estesamente parlare dopo la seguente essenzia- lissima
24r. In Italiano il Boterzi o Verbo determinante Azio- del
chene b jure suo distintiv volet essere preceduta Modo generico (145);
come — Voglio scrivere, pensano arrivare ec. —. E quindi della massima
importanza il conoscere, quando debba esso esser usato in modo generico e
quando col che. Parimenti è molto essenziale co- bisogna attentamente
esaminare e la Natura dell' Oggetto che fà l'Azione determinante, e le
Circostanze dell'Azione medesima. I. NATURA DELL'OGGETTO riguardo al
Modo 242. L'Azione determinante si eseguisce, o dall'Oggetto del
Terlo deteriori dallo a un 08 00, allora il Verbo determinante se di
Tempo presente o passato, si esprime in modo generico - credo essere, pensano
aver vinto ec. —; se di Tempo futuro, per eleganza si fà generalmente precedere
dal che, quantunque possa farsi uso del modo generico coll'espressione di
futuro ( 149) - Credo che partirò, ovvero — credo dover partire, aver da
partire, esser per partire - secondo le varie circo-stanze. 244. II.
Eseguendosi da un Oggetto diverso, allora il Boterzi si fa preceder sempre dal
che, come - .vedo Ge , cie h sone datermtimnte in gi aprso ne ar
scorso, il Boterzi si pone allora al Modo generico; 75. Replogando il qui
espote sula Natura dat Og: getto si vede, che il Boterzi si esprime in
Modo generi-e si quande col te indicato i monazione determinante :
esprime col che, quando o non fû indicato o è ancora necessario indicare chi fà
l'Azione determinante - Ed infatti il Giudizio e Modo generico per natura
esprime TAzione ed il Tempo, ma mon esprime l'Oggetto chi e-
seguisce l'Azione. II. CIRCOSTANZE DELL'AZIONE riguardo al Tempo Il Verbo determinante o
esprime puramente l'4-zione, o esprime anche il Tempo in cui l'Azione si
ese-guisce. I. Esprimendo puramente
l'Azione, il Boterzi si pone sempre al Tempo presente; come — Sento che
cantano, sentii cantare se sentirò che cantino ec. - Ed infatti in questi casi
l'Azione del determinante deve ese- faing e ter permimente aesprime il
terminando. esprime il vero Tempo dell'Azione. Dunque basta
puramente indicare che l'Azione determinante avviene anchi essa al tempo
medesi-mo, ossia ch è presente all'Azione del Determinando. 248. II.
Esprimendo anche il Lempo, in cui l'Azione si eseguisce, il Determinante dovrà
porsi al suo Tempo conveniente, che sarà facile conoscere dalla natura del
prattico discorso: Quindi si avrà - So che partono, ch' erano
Determinando non esprime il Tempo in cui avviene l'Azione determinante,
questo Tempo dovrà essere espresso dal Boterzi medesimo. 249. Si avverta,
che il Boterzi benchè di sua natura futita delle si erie col presente
agrilla che a fu dal significato del Verbo determinando: Come - Spero
arrivare, che arriviate ec. Temo partire, che partano ec. — Ed infatti la
futurità del Boterzi essendo rispettivamente espressa da spero, temo ec., il
Verbo determinante non dev' esprimer Tempo ma puramente Azione; e
però è ad esso applicabile perfettamente il sovraesposto (247). 250.
Questa Voce è d'un uso frequentissimo nel di- scorso. Quindi I.
Bisogna saperla ben distinguere dalla voce eguale che sogliamo sostituire sia
al Seboterge quale (250), sia all' interrogativo cosa, sia ad altre voci non
poche: E questo si otterra, facendo la debita attenzione alla natura del
discorso, e per chiares, maggioreortune sostituzioni ove occorran
pre trova i sedio vertir e che di quote due verti due Verbi quindi
molto riflettere su questi due Verbi relativamente al che, ne tratteremo, separatamente,
chiamando l' uno precedente l'altro seguente il che. VERBO PRECEDENTE IL
CHE 25,. Riguardo al Verbo precedente è necessario osservare in primo
luogo, s'è desso affermativo o negativo. 252. Quando sia affermativo,
conviene spingere l'analisi ed osservare, s'è desso assoluio o
inassoluto. ridole e aso dellade che tenendola in e er certezza
dell'azione determinante; come - vedo che dell'Azione determinante;
giacche non possono nou cantare e non fuggire, se io li vedo fuggenti e li
sento cantanti. certera dellarone deteniato e cio avvine in dita
maniere: 0 sua naera l'acche il Vindo pone dente arone de ella-
cate e prece pere, espone dito ce natura, cre l'azione determinante è
relativamente ad esso futura,come — voglio, ordino ec. —; giacchè del futuro
non si può avere assoluta certezza. VERBO SEGUENTE IL CHE 255. Se
il Verbo precedente è negativo (251), il seguente si pone sempre al Modo
indefinito ( 197); come — Non vedo che partano; ignoro ossia non so che
sia giunto ec. — Ed infatti in simili casi il Verbo seguente il che esprime
un'Azione, la cui esistenza è per noi incerta, come ci fü di sua natura
conoscere il Verbo precedente negativo. Dunque dovendo mostrare tale in-
certezza, il Verbo seguente deve esprimersi in Modo in-definito. Il Verbo precedente essendo
affermativó, si osserverà s'è desso assoluto o inassoluto (252). I. Se assoluto, il seguente
và al Modo indicati- zione determinante a noi si presenta nel massimo grado di
certezza, come ne assicura il Verbo precedente (253). Dunque basta
unicamente accennarla; e però la ospri-miamo in Modo indicativo. 258. Il.
Se inassoluto, il seguente và al Modo indefi-nito; come — Mi pare che partano,
voglio che parta: sistenza, come già osservammo (254). Dunque, tale
incertezza dovendo essere esternata nel discorso, esprimeremo il Boterzi in
Modo indefinito. VARIE SITUAZIONI DEGLI
OGGETTI 25g. Come fù già avvertito (74), uno stesso Oggetto può in
diversi incontri trovarsi in situazioni diverse. Esigendo quindi la chiarezza
del discorso che si precisi in ogni circostanza la vera situazione dell'
Oggetto , parleremo di queste situazioni distesamente, fissando per ciu-scuna
il suo particolar Distintivo. CAPO I Sostantivo Reggente
reggo ves, da a chia qui do sestanti i Guando in —io partirò, tu scrivesti, il
Sole riscalda, Pietro fü chiamato ec. - 261. Il Sostantivo reggente
può essere attivo, passivo ° 262. P. È altivo, se agisce, cioè se fa
desso l'azione espressa dal Verbo; come - Io scrivo, iu dormivi, il Sovra
passivo, se invece di agire ossia invece di ess laureato ec..— 264.
III. E neutro cioè nè attivo nè passivo (dal latino neuter significante ne
l'uno nè l'alero), quando come — I frutti sono maturi, l'Inverno fù
rigido, Voi siete studiosi 265. Tutti i Verbi potendosi decomporre in
Voci di Giudizio e di Azione (25), il Nome reggente sarà atti- vo,
quando in tale decomposizione la Voce d'Azione risulti attiva ( 115); come — io
leggo, cioè sono leggente ec. —; e sarà passivo, se questa voce d'azione risulti
passiva (115); come - io sono chiamato, in latino vOcor - L'Articolo è in Italiano il
Distintivo del Nome Reggente se indeterminato (218); e se determinato, il suo
distintivo consiste nel non averne alcuno. CAPO II Soterge Un Sostantivo è
determinante Oggetto, quando s' introduce nel discorso unicamente onde
precisare il punto di vista sotto cui dobbiamo riguardare un qualche Oggetto
indeterminato ( 226 ). Il Distintivo
del Soterge o Sostantivo determinante Oggetto, in Italiano è la particella o
Sesoterge di, che unita molte volte all'Articolo, da le voci composte del della
ec. (227). CAPO III Soterzi 26g. Un Sostantivo è determinante Azione,
quando § introduce nel discorso unicamente per fissare il punto di vista
sotto cui deve riguardarsi 'un' Azione o Verbo dayo. Th Tralano et
Soter 2 pre è precisamente eguale al Nome Reggente, e non vi sono
che pochissime eccezioni (257). Quindi il solo sentimento e un'accurata analisi
potrà farci ben distinguere l' una dall'altra situazione nel Sostantivo.
CAPO IV Sostantivo Cominciante re ec. in — Ebbi
lettere da Vienna, Il Castello fu preso dai Soldati, E narrato dalle Storie,
Ciò deriva dall'Amore ec. - 272. Il Distintivo del Nome Cominciante
in Italiano è la voce da, la posi over ta, quie quindi che il Nome
seguente non è sem- pre cominciante. Il buon senso però e l'analisi ne
faranno facilmente conoscere in prattica la diversità. 273. Il Nome
Reggente-attivo (262) è in fondo Cominciante di sua Natura. Ma uno stesso
Oggetto nou può al tempo stesso presentarsi in due diverse situazioni.
allo stesso e or perto come e ti can Si avvertà verso giro alla
frase e un diflerente aspetto all'azione: Così invece di dire - I Soldati
desiderano la guerra - si può dire — La guerra è desiderata dai Soldati - ; la
shi iene due esa e voli non abbiano precisamente AVVERTENZA 274.
Qui cade in acconcio l'osservare, che in ogni Azione indeterminata dobbiamo
considerare come un estensione di spazio ossia una linea di Moto; e però che
avremo in tali Azioni un principio ed un fine insepari-bili da Dua dinde
tensione l'Azione indeterminata può presentarsi sotto due diretto o
inverso. diversi aspetti, cioè con ordine o 1: Si presenta con
ordine diretto, quando la consi- domamo do se piante leel su oricini, che
partie: то ес. - cominciamo a considerare il ineer da eso
pagiand principio: Come — Una lettera fu scritta da
me; che partissero fù ordinato da me ec. - due cardini dell'Azione
debbono essere e sono sempre chiaramente distinti nel discorso: Rapporto
alle Azioni determinate, siccome terminano in ein le eseguisce, non possiamo in
esse considerare altra estensione che quella di durata; come — à pas seggiato
due ore, cioè per due ore ossia duranti due ore ec. — CAPO V Sostantivo
Terminante Quindi Roma, Pietro, Fratello ec. sono Sostantivi terminanti
in — andarono a Roma, dite a Pietro, scrivo al Fratello ec. -. Il Distintivo del Nome
Terminante in Italiano è la voce a, che unita spesso all'Articolo dà le voci
composte al, alue ce. AVVERTENZA SUL NOME TERMINANTE Non per l'Italiana ma per
la radicale intelligenza d'altre Lingue è necessario assuefarsi anche in
Italiano a distinguere il Sostantivo terminante in terminante sem- plic - na
oggetto, come deulente quella che fa una data Azione, o n'è lontano : .
I. Se vicino, per ultimare l'Azione non si esigge movimento fra gli Oggetti
agente e terminante; e però chiamiamo quest' ultimo terminante semplice ossia
senza moto: Comé — Dissi all'amico, consegnerò al corriere ee. Il. Se
lontano, l'azione non può essere ultimata senza movimento frà gli Oggetti
agente e terminante; e però chiamiamo quest'ultimo terminante con moto, vale a
dire - Oggetto divenuto termine d'un Azione mediante il moto —: Come — Andai a
Milano, a caccia monti ec.; Spedite questo libro al Fratello, agli Amici
ec. —. 280. Si faccia attenzione, che l'Oggetto terminante diade vi
nion Ou setto agente a loro le che per nel totale degli Oggetti, benchè
qualche loro parte possa in effetto muoversi isolatamente. Quindi dicendo
- Tizio consegnò a Pietro una lettera - Pietro e Tog getto terminante,
perchè in esso è finita l'azione di avrebbe questi potuto consegnargli la
questi due Oggetti nell effettuarsi l'indicata azione non fecero nel totale alcun
movimento fra loro; benche sia chiaro, che dovettero muovere e mani e braccia
ec. par-zialmente. CAPO VI Sostantivo con Preposizione 28r.
Ogni voce che si pone avanti ad un Sostantivo per esprimere qualche particolare
rapporto che possia desso avere con altre Cose, chiamasi Preposizione; come in,
sopra, dentro ec. è fine o mezzo di Moto, oppure se tale Oggetto è
in Quiete - 285. I. S'è fine di Moto, deve di sua natura
considerarsi come Nome terminante con Moto (279), sostituendo al segno a la
conveniente. Preposizione ; come — benche odora i sulla riapra e
sciamente la piantal sulla - 284. Il. S'è mezzo di Moto, deve
precisamente considerarsi come Fine di Moto (285). Infatti ogni Og-
golfo me i di e sano a tra do del quale di deve necessariamente avere
dell'estensione. Avremo dun-que in tale estensione un Moto continuato per
qualche tempo. Ma la massima parte di volte anche tutto, deve consumarsi questa
Moto ed alle ossia deve finire in questa estensione dell'
Oggetto: Come - Andando a Napoli passai per Roma, l'Usignolo e volato
auraverso del bosco ec. — Dunque dobbiamo ritenere come Nomi terminanti con
Moto o fine di Moto anche i Nomi degli Uggetti, che sono puramente Mezzo di
Moto. come Noe comente in sete de consideradi P opportuna
Preposizione. Quindi nelle espressioni - Il Passero stà, mangia, dorme ec. in
terra, sul tetto ec. - i nomi terri, tetto ec., debbono considerarsi come Nomi
Comincianti - Ed infatti, se sottilmente si analizi, è propriamente da questi
Oggetti che à principio l'azione di stare ec: AVVERTENZA Nelle Azioni determinate
bisogna non di rado esprimere la durata (276): Come — Studierete due ore, ò
corso un giorno intiero, pioverà tutto l'estate ec. - ; ed è troppo facile
vedere, che tali espressioni di durata non fanno che dare una determinazione
maggiore all'A-zione, ossia presentano l'Azione sotto un nuovo aspetto di
determinazione - Quindi le espressioni di durata possono considerarsi come
Soterzi (269 )• Potrebbesi in egual maniera
dietro le Teorie esposte finora dar ragione di altre cose molte, che nelle
Grammatiche sono inintelligibili a tutti: Ma non credo dovermi . per ora
diflondere su ciò. ra 8e qua zi SO stch radice
oggetto qualità srione sostantivo astratto
qualitativo verbo modificazione po ter se
rapporto determinante segno Quirage - Nome Qualitativo,
derivante da Radice di MoraqUa evoce di Modificazione, derivante da
Radice di Qualità. Moquirage - Voce di Modificazione, derivante da
Nome Qualitativo, il quale deriva da Radice di Oggetto. Sostaraqua
- Sostantivo Astratto, proveniente da Radice di Qualità.
iSostaquirage - Sostantivo Astratto, proveniente da Nome Qualitativo, il
quale deriva da Radice di Oggetto. Boraqua — Verbo, proveniente da Radice
di Qualità. Quirazi - Nome Qualitativo, derivante da Radice di
Azione. Moquirazi - Voce di Modificazione, proveniente da Nome
Qualitativo, il quale deriva da Radice di Azione. Sostaquirazi -
Sostantivo Astratto, proveniente da Nome Qualitativo, il quale deriva da
Radice di Azione. Boquir quale derito da veniende deone Qualitativo,
il Quirapo - Nome Qualitativo proveniente da Radice di
Rapporto. Sostarapo - Sostantivo Astratto proveniente da Radice di
Rapporto. Moquirapo - Voce di Modificazione, proveniente da Nome
Qualitativo, il quale dexiva da Radice di Rapporto. Parloge -
Oggetto parlante. Scoltoge - Oggetto ascoltante.Terzoge - Oggetto
terzo. Quiterge - Nome Qualitativo, che determina un Oggetto.
serere - omno di antini he deterinante un Osto. Boterge - Verbo, che
determina un Oggetto. Seboterge — Segno di Verbo determinante un
Oggetto. Soterzi — Sostantivo, che determina un' Acione. Boterzi —
Verbo, che determina un' Azione. Seboterzi — Segno di Verbo determinante
un' Azione. LINGUA UNIVERSALE OSSERVAZIONI sono occupato
della Lingua DURANTE l'Impressione di queiverSolei mi Dotti (V.
pag. 5); ed il Piano è riuscito mio credere non del tutto spregevole. Quindi
nell'ipotesi che non sarà discara a chi legge, ne dó qui in succinto
un'idea. Lingua Universale pei Dotti chiamo una Lingua, che può colla
massima facilità essere scritta parlata ed intesa da tutte le Persone Colte di
qualunque Clima e Nazione; una Lingua, che puo sola bastare al disimpegno
le Relazioni scientifiche politiche commerciali ec. con qualunque civilizata
Contrada del Globo; una Lingua infine, in cui dovrebbe meno.
Supponiamo, che questa Lingua ad apprenderla, come già per sistema per
bisstudio di altre Lingue straniere. Data dunque gua; cosa facile assai,
specialmente facendo uso di ragionati Dizionarj Grammatiche e Me- todi,
non usati finora. Tutto il difficile consiste dunque nel dare a questa
Lingua la sua Esistenza: Ed io mi sono occupato precisamente di questo.
Inventare nuovi Caratteri e Parole nuove, è cosa facile troppo; giacché tale Invenzione
in fondo si riduce ad una pura materialita - Ma come determinare gli Studiosi
viventi ad apprendere una congerie enorme di barbare K lore cle
produzions ai Spirio la sole Novità é para e e cremente opposizion
alare are dunque, se vi si unisca una quasi insuperabile
difficoltà? Dietro tali riflessi il mio studio principale fu quello di
profittare delle Cognizioni da me di questo nuovo Mezzo di comunicazione
uni- vere la Era indi da giusti e a siane generalmente conosciuta
dalle Persone di Tavolino e di Studio, mi à servito di base onde prendere dalla
lingua Francese i Caratteri, la Pronunzia e le Radici delle Parole; il tutto
però con opportune determinate e possibilmente filosofiche modificazioni.
Dunque per dar Esistenza ad una Lingua Universale i Dotti, quando
vogliano servirsi del mio • Piano, debbono solo far uso delle Cognizioni che
gia posseggono, coll' aggiunta ed applicazione di alcune Regole o Leggi
determinate e sempre costanti; Legai pochissime in numero e della massima
semplicua; Legg', tirate non dalle regole ed usi di altre Lingue ma dall'
intrinseca natura del Linguaggio e delle Cose; Leggi, che rendono questa
Lingua, breve rapporto alla maniera di esprimersi, ricchissima riguardo alla
forza e moltiplicità delle espressioni, e facile relativamente alla sistematica
regolarità di formarle; Leggi, per le quali senza bisogno nè di Grammatiche nè
di Vo- della nuova Lingua ed i Posteri possono senz'al- chiunque
conosca le medesime leggi. Il mio Piano sarà forse publicato frà non
molto — Intanto, considerando questa Lingua e nel Dotti fondatori e nel Dotti
seguaci, mi limito ad asserire : I. Rapporto ai Fondatori » Che ogni
Per- • sona di buon senso, di qualunque Clima e Nazione, quando conosca
discretamente la Lingua Francese intendere questa Lingua con
quella stessa facilità, con cui suol
intendere parlare e scrivere la
propria Lingua natia. » II. Rapporto ai Seguaci » Che, formati per ogni Nazione i
Dizionarj e l' opportuna Grammatica, per apprendere questa Lingua Universale non occorre
conoscere la Fran- cese, e si
richiede appena la terza parte del Tempo e dell'Applicazione, che digl' Indivi- dui di qualunque Paese
suole comunemente impiegarsi per imparare la
Lingua Francese Tali asserzioni parranno forse troppo guvan-zate. Ma quando ciò
fosse, potrebbero i Dotti non occuparsi della Fondazione d'una Lingua
Universale? Avvertendo per ora semplicemente, che nella nostra Litigua in
fondo mon si usa nè Ortografia né Pronunzia Francese, aggiungo la Fa- il
mio Piano - Dalla sola oculare ispezione di queste poche righe si può
facilmente rile-vare, che molte delle Radici sono Francesi; ma che e Ciascuna
di esse e l'Insieme è combinato in modo, che si perde quasi ogni traccia dell'
originaria Lingua e Radicalità. u tu renar tu renar bi denu atra
par surprenú opt na pulalyer, e bi vi etragla zi ko zu eko e zi puled. apre ‹
sa karnaje lu bi apesá zu lue feme, i na, a ku be fune e arda, be vula devore z
tou; ‹ otre, ? ku be vu e avare, be vula ye garde z kel partie par avenir. ¿
vui be disà: — ei me afu, ‹experimatú be mi radà saje: mi be vayá jur, nu
be i fortunes fesá: nu be truvá 24 na tresor: sa ba fallá ole menajé . - ‹ june
be repoda: — mi ba vula majé zi tou, padake mi ba vi etá, e mi rasast par to
jur , kar vi revené otrefa! caso! deme sa bu vi bone fesa . ‹ metre pur vajé ze
murú du le pule, bal nu asomi.. - apre ‹ sa koversu; ‹ yelna ba prena zi
le part, ‹ june ba majá take l ba krevá, e ba apene puvá allé a muré or le
termier. ‹ vl, & ku ba su kraya boku plu saje, bre modera zu le apelu e vwá
ekonomem, ba deme returna po le prae, e ba asomé gi metre. est ‹
yel aje ba eyá zu ole defo: u june ba fugu e arasast ou lue plesir; u viu ba
akorryi or lue avares. Delle Voci Elementi del Discorso
SEZIONE I Delle Voci Radicali Voci di Cosa Oggotci
Qualità Azioni Voci di Giudizio Verbi Voci di
Rapporto Luogo Tempo Tempo Tempo Numero.
Ordine Sesso Aumento e Diminuzione Modificazione
Avvertenza Confronto Eguaglianza Differenza
Somiglianza Identità Approssimazione Connessione
Esclusione. Dichiarazione Avvertenza sulle Voci di Rapporto
Epilogo delle Voci Radicali Delle Voci Derivate
Nomenclatura Elementi della Nomenclatura Combinazioni degli
Elementi Avvertenza Derivazioni dalle Radici di Cosa Dalle
Radici di Oggetto Avvertenza - Dalle Radici di Qualità
Modificazione derivata Sostantivo Astratto derivato Verbo
derivato Dalle Radici di Azione Voci Attive e Passive Di
Azione determinata Di Azione Indeterminata Avvertenza
Derivazioni dalle Voci di Giudizio Avvertenza 1- Awertenza 11
Natura del Giudizio Giudizio Generico Generico Determinante
Generico Modificante Giudizio Indicativo Indicativo Isolato
Indicativo Dipendente Giudizio Condizionato Condizionato
Ineseguibile Condizionato Eseguibile Giudizio Suppositivo
Giudizio Volitivo- Giudizio Ottativo Ouativo Ineseguibile
Ottativo Eseguibile- Avvertenza - Giudizio Indefinito
Giudizio Interrogativo Derivazioni dalle Voci di Rapporto
Delle Voci Söstituite • PARTE SECONDA Delle Voci, Parti del
Discorso — SEZIONE 1 Determinazione delle Voci Determinazione
degli Oggetti Del Quiterge Del Soterge - Del Boterge
Determinazione delle Azioni Del Soterzi Del Boterzi •
Avertenza Del Seboterzi Verbo precedente il Che Verbo
seguente il Che SEZIONE 'II pag. 52 53
85455…565…585gj66j 62 Virie situazioni degli Oggetti 63
Sostantivo Reggente ivi Soterge 64 Soterzi
ivi Sostantivo Cominciante ivi Avvertenza 65
Sostantivo Terminante 66 Avvertenza sul Nome Terminante
ivi Sostantivo con Preposizione 6 Avvertenza 68
Definizioni delle Voci Nuove qui usate — 69 Osservazioni sulla
Lingua Universale — 71
ELEMENTI
FILOSOFICI PER LO STUDIO RAGIONATO della lingua italiana Le
Natura in tutta la sua estensione non offre che Oggetti. Questi Oggetti non
presentano che delle Qualitá e delle Azioni L'Uomo situato immezzo a tali
Oggetti, sensibile alla loro presenza, alle loro Azioni e Qualità, fissa
necessariamente in essi la sua attenzione; e quindi a norma delle varie
circostanze o sensazioni, forma in se stesso i convenienti Giudizj. La facoltà
di giudicare é dunque inerente all'intrinseca natura dell'Uomo, come lo è
quella di sentire; anzi l'una è assolutamente inseparabile dall'altra - Dunque
l'Uomo considerato nell'essenza sua primitiva, ossia l'Uomo naturale, può
giustamente definirsi Essere sensibile giudicante. 2. Ma l'Uomo
praticamente vive in Società, vale a dire, trovasi in immediato capporto con
altri della medesima specie. Egli dunque abbisogna di un anello ossia d'un
mezzo di comunica-sione, onde porsi moralmente a contatto co' suoisimili; e
questo Mezzo è comunemente la Pa- rola. Dunque la Parola forma il
Distintivo essenziale dell'Uomo nello stato di società. 3. Ma la
situazione sociale non può nell'Uomo alterare la primitiva intrinseca sua
natura. Dunque l'Uomo Sociale non è che l'Uomo naturale parlante. Fissate queste
semplicissime nozioni, è facile precisare in che debba propriamente consistere
lo Studio ragionato di Lingua - Infatti l'Uomo naturale non conoscendo che
Sensazioni e Giudi-zj (1), l'Uomo sociale parlando non può esternare che
Giudizj e Sensazioni. Ma sentire e giudicare. sono facoltà inerenti all'essenza
stessa dell'Uomo (1). Dunque date uguali circostanze, tutti gli Uomini nello
stato di natura debbono sentire e giudicare alla stessa maniera. Unico dunque
esser deve il Linguaggio, per ciò che riguarda l' Uomo naturale. Ma una medesima sensazione,
uno stesso Giudizio può da diversi Uomini esternarsi con parole diverse, non
esigendosi per questo che una diversità di convenzione. Dunque per ciò che ri.
guarda l'Uomo Sociale, il Linguaggio può essere ed è infaiti moltiplice. Esaminare, distinguere,
conoscere nel Linguaggio e l'Uomo naturale e l'Uomo sociale, vale a dire,
conoscere primieramente « Cosa l'Uomo deve esprimere parlando: » in secondo
luogo« Come l'Uomo deve esprimersi parlando» è ciò che forma il vero scopo
dello Studio ragionato di Lingua. 7. Dunque lo Studio ragionato di Lingua
comprende 1.° FILOSOFIA DI LINGUA, 2° GRAMMATICA DI LINGUA. Ed ecco ciò che
passiamo ad esporre in questi Elementi filosofici applicati alla Lingua
italiana. DOMANDE Quali sono le Facolià primitive dell' Uomo? (1) -
(a) Come si definisce l'Uomo nello stato di Natura? Che si richiede
perchè l'Uomo naturale passi allo stato di Società ? (2) Qual è il Mezzo
di comunicazione più usato ?, Come si definisce l'Uomo nello stato di Società?
(3) Cosa esprime l'Uomo parlando ? (4) Gli Uomini sentono e
giudicano tutti allo stesso modo? Gli Uomini si esprimono tutti alla
stessa maniera ? (5) Cosa intendete per Studio ragionato di Lingua? (6)
Lo Studio ragionato di Lingua quante e quali Parti cose-prende ? (7) (a)
Il Numero che trovasi dopo ciascuna Domanda, richiama il Paragrafo ad essa
corrispondente, e che potrà consultarsi quando abbisogni - La mancanza di
questo Numero indica che s' intende 'ripetuto il Numero ultime precedente.8.
CETAMAsI Oggetto = tutto ciò che si con- sidera capace di far qualche
cosa = come Pie- tro, Sorella, libro, monti; case, io, voi ec. .
Dunque la voce che esprime ossia che nomina un Oggetto, giustamente da noi si
chiamerà Nome oggettivo o semplicemente Oggettivo (a). (a) Colla rapidità
de suoi progressi la Chimica nel tramonto del secolo decimo ottavo à
praticamente dimostrato, quanto una scienza debba aspettarsi dalla sola
precisione di Nomenclatura - Questo riflesso parmi bastante a giustificare le
nuove denominazioni che io mi sono qui permesso in-trodurre. ,
Sventuratamente sembra che possano tornare di moda le insignificanti questioni
di parole; ed io sarei dolentissimo se dovessi dar motivo a qualcuno di perdere
un sol minuto di tempo in simili questioni. Quindi prego il sensato Lettore
a Un Nome oggettivo può
essere determinato o indeterminato - È determinato, quando esprime un Oggetto
individuo, ossia quando appartiene ad un solo e sempre al medesimo Oggetto,
precisato colla massima distinzione e chiarezza, come Lom-bardia, Milano,
Olona, Vienna ec.: è indeter minato, quando esprime un Oggetto generico,
praticamente applicabile a molti Oggetti parziali, come Città, Provincia,
Fiume, Stelle, Padre, Libri, Uomini ec. Un Oggettivo indeterminato può esprimere un Oggetto
solo, o più Oggetti — Se esprime un solo Oggetto, lo diciamo di Numero unale,
come Figlio, Scuola, Prato ec.: e lo diciamo di Nes-mero plurale, se esprime
più Oggetti, come Fi-gli, Scuole, Prati ec. In natura gli Oggetti o
sono maschi, come Padre, Fratello, Servitore ec.; o sono femmine, come Madre,
Sorella, Camerione oc.; o non sono né maschj né femmine, cioé nè I uno nè
l'altro, ossia neutri, come Libro, Strada, Coppello, voler esaminare, son se un
Individuo possa arrogarsi il diritto d' introdurre nuove Denominazioni, giacchè
tal questione sarebbe estranea al progresso della scienza; ma ad esaminare se
le voci Oggettivo, Qualitativo, Sesso, Numero unale ec. esprimono con
precisione l'Idea corrispondente, e se la presenza dell'Idea richiama con
facilità la corrispondente Denominazione. Chiesa ec. - Ora tale diversità
esistente fra gli Oggetti, chiamasi diversità di Sesso. Dunque i
Nomi oggettivi saranno di Sesso o maschile o femminile o neutro, secondo la
natura dell'Oggetto che esprimono. DOMANDE Cosa intendesi per
Oggetto? (8) Che vuol dire Nome oggettivo? Un Nome Oggettivo quando
si dice determinato? (9) ............ quando si dice indeterminato ? Gli
Oggettivi quando appartengono al Numero unale, e quando al plurale ? (10)
Rapporto al Sesso qual distinzione facciamo negli Oggetti ? (11) Un
Oggettivo quando è maschile, femminile o neutro? AVVERTENZE SUGLI
ARTICOLI 12. La Lingua italiana pone avanti gli Oggettivi indeterminati
una piccola Voce, detta comunemente Articolo - Gli Articoli pei Nomi di sesso
maschile sono al Numero unale il ovvero lo, ed al plurale i ovvero gli; come «
il Padre, In Straniero, i Padri, gli Stranieri ec. - Gli Ar-ticnli pei Nomi di
sesso femminile sono all'unale la, al Numero plurale le; come « la Madre,
le Madri ec. » Gli Oggettivi determinati non ricevono alcuna Voce,
e rimangono isolati: come Roma, Pavio ec. 13. Dunque possiamo a ragione
conchiudere, che l'Articolo nel Linguaggio è puramente segno, di Oggettivo
indeterminato. Si avverta che alle volte praticamente s'incontrano
coll'Articolo anche degli Oggettivi determi-nati; come « il Ticino, la
Lombardia ec. ». In tal caso però l'Articolo propriamente appartiene ad un
sottinteso Nome indeterminato; cioè « il Fiume detto Ticino, la parte d'Italia
detta Lom - bardia ec. » 14. Gli Articoli maschili lo e gli si usano
rispettivamente avanti le Parole comincianti con s seguita da altra Consonante
(a); come lo Spirito, lo Straniero, gli Spiriti, gli Stranieri ec. - Questi
Articoli lo e gli si usano pure avanti le Parole comincianti per Vocale. In tal
caso peró si av-vertà, che lo cangia sempre la sua vocale in Apo-strofo; e che
gli cangia la sua vocale in Apostrofo sol quando la Parola seguente comincia per
i. Quindi abbiamo — l' Infermo, l' Esercito ec. - gl' Innocenti, gl'
Infermi ec. - gli Eserciti, gli Ufficiali ec. L'Articolo femminile
la avanti Parola cominciante per vocale prende sempre l'Apostrofo, come
l'Aquila, I Inferma ec: e l'Articolo femminile le. (a) Per non
diffondermi in una lunga spiegazione, che sarebbe fuori di luogo, io qui
ritengo le solite denominazioni di consonante e vocale. Avverto però, che
ragionevolmente a vocale deve sostituirsi gutturale, e a consonante deve sostituirsi
orale; come à già esposto nella mia Lingua Filosofi- co-Universale, pag.
119. prende l'Apostrofo tutt'al più avanti le Parole comincianti per e;
come l' eccelse Donne ec., ed invece le Aquile, le Inferme, ed anche le
eccelse Donne. AVVERTENZA SUL SESSO ‹5. La Lingua italiana
non riconosce nei Nomi oggettivi che i soli due Sessi maschile e fermi-nile -
Quindi gli Oggettivi che in natura sono neutri, in italiano saranno maschili o
femminili; e ciò secondoche anno l'uno o l'altro degli Articoli sopra (12)
fissati per gli Oggettivi femminili o maschili - Quindi in italiano il fuoco,
lo spro-ne, i libri, gli acciari ec. sono Oggettivi ma-schili; e la porta,
l'aurora, le selve, le rupi ec. sono Oggettivi femminili: benché in natura tali
Oggettivi sieno ad evidenza neutri, cioé esprimenti Oggetti né maschj né
femmine. Nel decorso di questo Libro il Sesso sarà da noi sempre nominato
in senso italiano; e perciò il neutro resta escluso, a norma di quanto
prescrive la nostra Lingua. DOMANDE Nel linguaggio cosa intendiamo
per Arsicolo? (12) L'Articolo come può definirsi? (13) Un Oggettivo
determinato trovasi mai preceduto dall'Articolo ? La Lingua italiana
quanti Sessi riconosce nei Nomi Oggettivi ? (15) Quali sono gli Articoli
pel Sesso mdschile? (12) Quando si usa lo e gli, e quando il ed i? (14)
Quali sono gli Articoli pel Sesso femminile? (12) Gli Articoli in quali
circostanze prendono l'Apostrofo? (14) Gli Oggettivi che in natura sono
neutri, in Lingua italiana a qual Sesso appartengono? (15) DELLE
PROPRIETÀ E QUALITA NEGLI OGGETTI ‹6. Ogni Oggetto à in se naturalmente
delle Proprietà e delle Qualità; giacché le prime ne costituiscono
l'essenza, e le seconde sono semplice natural conseguenza delle prime.
Chiamasi Proprietà = tutto ciò ch' é necessario all'esistenza dell'Oggetto =
ossia tutto ciò, senza cui l'Oggetto cesserebbe di esistere. Cosi nel Fuoco e
nel Sole la luce ed il calorico sono Proprietà; giacchè è impossibile che
esista Sole o Fuoco senza calorico e senza luce. Chiamasi Qualità = tutto
ciò che un Oggetto potrebbe anche non avere senza cessare d' esistere = Cosi
nella Carta, nel Panno, ne' Muriec., il bianco è una Qualità; giacché i Muri,
il Panno e la Carta possono esistere anche non essendo bianchi. 17. Le
Proprietà di ciascun Oggetto s'intendono e sono essenzialmente espresse dal
Nome dell'Oggetto medesimo - Le Qualità invece essendo variabili e accidentali,
debbono nel discorso esprimersi ossia nominarsi separatamente. Quindi
giustamente chiameremo Nome qualitativo, o semplicemente Qualitativo, ogni Voce
che nel discorso esprime una Qualità. Così bianco, rosso, facile, ardito
ec. sono per noi Nomi qualitativi. DOMANDI Cosa v' à di
rimarchevole negli Oggetti? (16) Che vuol dire Proprietà d' un Oggetto
? Che vuol dire Qualità d' un Oggetto? (16) Che significa Nome
qualitativo? (17) DELLE AZIONI. Chiamasi Azione = tutto ciò
che un Oggetto qualunque può fare = La Voce che la esprime; da noi dicesi Nome
o Voce di Azione; comè leggente e scrivente in « Pietro legge e scrive, ossia é
leggente e scrivente »; e come ferito premiato vinto in «Pietro fu ferito, fu
premiato, fu vinto ». Ogni Azione
esige naturalmente l'Oggetto che la eseguisca, ossia l'Oggetto eseguente - Ora
se l'Azione per sua intrinseca natura deve interamente terminare nell'Oggetto
eseguente, noi la diciamo determinata; come « Pietro passeggia, ride, corre ec.
»: e se l'Azione per sua intrinseca natura può terminare in Oggetti diversi
dall' eseguente, noi la diciamo Azione indeterminata; come « Pietro ama e
regala gli Amici ». DOMANDE Che vuol dire Azione? (18) Come chiamasi la
Voce esprimente Azione? (18) Cosa intendiamo per Oggetto eseguente? (19)
Un'Azione quando si dice determinata? ... . . . quando si dice
indeterminata? 20. Giudicare significa = asserire che ad un Oggetto
conviene o non conviene una data Azione o Qualità = Cosi « i Soldati
furono valorosi; l'Inverno non è rigido; il Malvagio sarà punito ec.
" sono tanti Giudizj.. Se diciamo che l'Azione o Qualità conviene
all'Oggetto, il Giudizio é affermativo; come « Voi siete studiosi: i Buoni
saranno premiati ec.»: e se diciamo che l'Azione o Qualità non conviene
al-l'Oggetto, il Giudizio chiamasi negativo; come « il Cielo non era sereno: la
Scuola non è finita ec. » Essere (a), colle varie sue diramazioni, cioé sono,
fui ec., è in italiano la Voce di Giz-dizio affermativo; non essere è
l'espressione di Giudizio negativo — Quindi la parola non, o qua-Junque suo
equivalente, è Voce di negazione ossia Voce negativa; vale a dire, Voce che,
unita a quella di Giudizio, serve ad esprimere precisa-. mente il
contrario. (a). La Voce di Giudizio in natura non è assolutamente
necessaria; ed infatti al tempo presente molte Lingue la sopprimono. Siccome
però il Linguaggio esprime con essa i varj modi, e qualunque tempo tanto
assoluto che relativa; così questa Voce divenne della massima importanza
in tutte le Lingue da me conosciute. Che significa giudicare? (20)
I Giudizj di quante specie sono ? (2r) Un giudizio quando è affermativo?
....... quando è negativo? , In italiano la Voce giudicante qual è? (22)
Cosa intendesi per Voce negativa? DEL VERBO 23 Chiamasi
Verbo: = ogni Parola o Espres- sione essenzialmente composta da due
altre, cioẻ da una Voce di giudizio (22) e da una Voce di Izione (18) =
come correre, scrivere, stu diare ec., che propriamente significano «
essere corrente, essere scrivente, essere studiante ec. ». 24. È di molta
importanza per lo studio ragionato di Lingua il saper riportare alle sue Voci
originarie qualunque Espressione verbale, e il far sempre attenzione che in
ogni Verbo entra essenzialmente la Voce giudicante essere. Quindi a principio
sarà bene esercitarsi a decomporre tatte le Espressioni verbali che
s'incontrano leggendo; vale a dire, esercitarsi a sostituire in luogo del Verbo
la Voce di giudizio e la Voce di azione, formanti il Verbo medesimo: Cosi
scrivo, scrissi, à scritto, scriveva, aveva scritto, scriverò, avrò scritto ec.
ci daranno rispettivamente « sono scri-vente, fui scrivente, sono stato
scrivente, era seri-vente, era stato scrivente, sarò seriyente, sarò
stato scrivente ec. ». 25. Ogni Verbo è o determinato o indetermi
nato, secondo la natura dell'Azione che esprime. Quindi dormire,
piangere, passeggiare ec. sono Verbi determinati, perché esprimono Azioni
de-terminate; e trovare, dire, conoscere ec. sono Verbi indeterminati, perché
esprimono Azioni di loro natura indeterminate (19). DOMANDE Che
significa Verbo ?. (23) Qual esercizio far dobbiamo sui Verbi?? (24) Un
Verbo quando si dice determinaro? (25) •• guando si dice
indeterminato? DEL TEMPO 36. È primieramente necessario distinguere
il Tempo in tocale e parziale - Il Tempo totale è formato dall'unione di tutti
gl' Istanti, ossia dall'unione di tutti i Minuti, Ore, Giorni, Anni, Secoli ec.
che già furono e che d'ora innanzi sa-ranno. Possiamo quindi fondatamente
considerare il Tempo totale come rappresentato da una Lines retto, la quale
comincia col principio de' secoli e termina col loro fine - Chiamasi poi Tempo
parziale quello ch' esprime una parte qualunque del Tempo totale.
27. La Linea del Tempo totale esprimendo tutti gl'Istanti, deve di
necessità contenere anche l'Istante presente, ossia l'Istante che attualmente
decorre - Fissiamo sulla Linea tale Istante con un Segno ad
arbitrio. La Linea sarà da questo segno divisa ria-turalmente in due Parti; e
di queste due parti, una esprime la Serie degl' Istanti già scorsi, l'altra
esprime la Serie degl' Istanti avvenire. • Ora ogni azione deve
necessariamente avvenire in qualche istante di Tempo. Dunque un' Azione sarà da
noi detta di Tempo passato, se tale Istante trovasi nella prima serie; di Tempo
futz-ro, se tale Istante trovasi nella seconda serie, e di Tempo presente, se
tale Istante coincide con quello che separa il Passato dal Futuro. Dunque chiameremo Voce di
tempo, ogni espressione che indica una parte o punto qualunque della Linea,
ossia della serie totale degl'Istan- ti; come jeri, udesso, questa mattina,
domani, da qui a poco, ui anno fa, sempre ec. Queste espres sicni poi saranno
di Tempo passato, presente, o futuro, secondo la natura degl'Istanti ai quali
si riferiscoro - Stabiliamo intanto che per noi adesso è la genérica voce di
Presente, jeri la ge-merica voce di Passato, domani la generiva Voce di Futuró.
AVVERTENZA SUL TEMPO PASSATO La Lingua italiana considera il Tempo pas sato sotto
due aspetti, e come congiunto al Pre-sente, e come da esso disgiunto - Il
Passato-congiunto deve sotto qualche rapporto riguardare il Giorno in cui si
parla: il Passato-disgiunto è sempre anteriore al Giorno in cui si narla.30.
Diciamo di Tempopassato-congiunto, 1, Ogni Azione avrenuta nel Giorno in cui si
parla; come questa mattina, un ora ja ec.: 2.° Ogni Azione avvenuta in una
porzione di Tempo che abbraccia ossia comprende anche il Giorno in cui si parla
; come questo mese, quest'anno ec.: 3.° Ogni Azione passata, nel precisare il
tempo della quale usiamo un' espressione comprendente anche il Giorno in cui si
parla; come « sono tre anni che l'Amico è partico per Napoli »; dove é chiaro
che l'espressione sono tre anni comprende anche l'anno cor-rente, e perció
anche il Giorno in cui parlo: 4.° Finalmente ogni Azione passata di cui non si
precisa il Tempo; il quale, essendo così preso ge-nericamente, può da noi
considerarsi come continuante fino al Giorno in cui si parla; come i o avuto
più volte l'onore di viaggiare in sua con-pagnia. L'Amico à ricevuto Lettere da
Vienna ec. » Leggendo buoni Libri si avverta di fare. molta attenzione
alle espressioni verbali di Tempo pas-sato-congiunto, onde formarsi una giusta
idea del loro valore, e del quando possono e debbono usarsi. 35. Diciamo
di Tempo passato-disgiunto ogni Azione di cui esplicitamente o
implicitamente precisiamo il tempo, il quale deve sempre essere anteriore al
Giorno in cui si parla; come « L'A mico parti jeri per Roma: Nell'ultima
vacanza scrissi più di cento versi ec. » — Per brevità il Passato-disgiunto
sarà da noi detto semplicemente Tempo passato.L'espressione generica di Tempo
passato-con-giunto sarà questa mattina, ritenendo pel pas-sato-disgiunto la già
fissata (28) generica voce jeri. DOMANDE Cosa intendete per Tempo
totale? (26) Come possiamo rappresentarci il Tempo totale? Cosa
intendete per Tempo parziale? Sapreste indicar sulla Linea i varj tempi
parziali? (27) Un Azione quando si dice di Tempo passato? ...... quando
si dice di Tempo futaro? ...... quando si dice di Tempo presente ? Quali,
si chiamono Voci di Tempo? (28) L'Italiano cosa deve osservare súl Tempo
passato P (29) Il Passato quando si chiama congiunto, e quando disgiunto?
Un'Azione quando si considera di Tempo passato-con- giunto? (30)
Un' Azione quando si considera di Tempo passaco-disgiun со? (3г.)
Come denominiamo il Tempo passato-disgiunto ? Qual è la Voce generica di
Tempo presente, passaro a passato congiunto, e futuro? (28, 31) DI ALCUNE
VOCI PIÙ RIMARGHEYOLI Ogni Espressione che indica un Lungo qua-lunque, da
noi chiamasi Voce di luogo; come sopra, sotto, fuori, vicino, lontano ec, Ogni Espressione che serve
a •far conoscere o con precisione o in genere, quanti Oggetti anno parte in una
data Azione o Giudizio, chiamasi Voce di numero; come uno, tre, cento, alcu ni,
molti, pochi ec.34. Ogni Espressione indicante il posto preciso Soldati, degli
Alberi, dei Libri ec. allineati, ossia disposti con qualche ordine fra loro. Le
Voci d'ordine nel nostro senso sono primo, decimo, ulti-mo, dipoi, in seguito,
finalmente ec. Ogni
Espressione indicante qualche particolarità immedesimata con una Qualità o
Azione qualunque, chiamasi Voce modificante o di mo-dificazione; come
soavemente, velocemente, bru scamente, amabilmente, con franchezza, con timore
ec. in « L'usignolo canta soavemente; il Cervo corre velocemente; un Uomo
bruscamente benefico; un Capitano amabilmente severo; il Servo rispose con
franchezza, con timore ec. " - Da questi esempi si scorge, che talie
spressioni servono puramente a variare in qualche maniera ossia a modificare
l'Azione o Qualità; ed é perciò. che noi le chiamiamo Voci modificanti. Ogni Espressione indicante
che una Cosa é unita ad un'altra, chiamasi Voce d'unione; come e, anche,
insieme ec. in « Mandatemi carta e calamajo; mandatemi anche due penne;
mandatemi insieme qualche buon libro eu. » Ogni Espressione indicante
che una Cosa é allontanata ossia esclusa da un'altra, chiamasi Voce di
esclusione; come senza, nè, solamente ec. in « O preso un caffè senza zuccaro:
Non voglio nè l'uno nè l'altro: o letto solamente dieci righe ec. »38. Ogni Espressione
indicante la cagione per cui à luogo un' Azione o Giudizio, chiamasi Voce di
causa; come a motivo; a cagione; per, di, ec. in « L'amico fugge a motivo del
vento, a cagione del vento, per timore del vento: Egli pianse di gioia, di
dolore, di sdegno ec. » 3g. Ogni Espressione indicante il mezzo usato o da
usarsi per eseguire qualche Azione, chiamasi Voce di mezzo; come con, per
ec. in « Colla pazienza tutto si vince: L'amico viaggiò per terra e per mare, e
sempre con buoni legni ed ottimi cavalli. » Ogni Espressione indicante
lo scapo finale, per cui à luogo un'Azione o Giudizio qualunque, chiamasi Voce
di fine; come affine di, per, onde ec. in « Vado all' Università affine di
ottenere la Laurea, per ottenere la Laurea, onde 08-tenere la Laurea ec. » Ogni Espressione indicante
il modo con cui si eseguisce qualche Azione, chiamasi Voce di moda; come con,
a, in, così, ec. in « Bisogna studiare colle finestre chiuse: Rifletteteci ad
animo più tranquillo: Egli scrive in maniera poetica : Casi mi piacerebbe ec.
» 42. Ogni Espressione che serve ad aumentare l'idea ossia il valore
d'una Cosa qualunque, chia-masi. Voce d'aumento; come assai, molto ex. in «
Pietro studia assai: Questa cartà è molto bruna ec. " 45. Ogni
Espressione che serve a dirninuire l'idead'una Cosa qualunque, chiamasi Voce di
decre-mento; come pocn, non tanto, così cost ec. in «Questa penna è poco buona;
è buona, má non tanto; è buona cost cost ec. » 44. Il Linguaggio fa uso
di altre molte Espres-sioni, come Voci di affermazione; di dubbio, di
compagnia; di condizione, supposizione, conclu-sione-ec.; le quali potremo
leggendo conoscere colla massima facilità, purché si analizi e si faccia la
debita attenzione al sentimento. AVVERTENZA SUGLI AUMENTI E
DECREMENTI Le Qualità alle volte si
considerano giunte al loro Aumento massimo, cioè giunte ad un grado, oltre il
quale più non esiste Aumento, - In italiano l'Aumentò massimo si esprime cól
dare al Nome qualitativo la desinenza issimo: Cosi da dolce, bello, felice ec.
abbiamo dolcissimo, bel- lissimo, felicissimo ec. Qualche volta nel discorso
consideriamo come aumentati o diminuiti anche gli Oggetti; e la Lingua italiana
moltissime volte esprime tali Aumenti e Decrementi, dando un'apposita desinenza
al Nome oggettivo. Così da libro, stanza, cappello ec. abbiamo gli aumentativi
librone, stanzone, cap-pellone ec.; ed abbiamo i diminutivi libretto,
stanzetia, cappelletto ec. Finalmente vi sono delle Espressioni dette
peg-giorative, perché presentano degradata, deteriorata ossia peggiorato la
Cosa che esprimono; come libraccio, stanzaccia, cappellaccio, cagruzzo,
dolciastro; nerastro ec.; e vi sono delle Espressioni détte vezzeggiative,
perché presentano con grazia ossia con una specie di vezzo, ciò che esprimono;
come cagnolino, graziosetto; bellino ec. - Si arverta che alle Espressioni
vezzeggiative attacchiamo sempre un'idea di diminuzióne. Infatti le Cose grandi
possono essere sublimi, ammirabili ed anche belle; vezzeggiabili però
giammai. Quindi sono vezzeggiabili le sole Cose piccole; e noi nel
vezzeggiare una cosa già piccola di sua natura, col nostro spirito o
immaginazione la diminuiamo, la impiccoliamo ancora di più, onde cosi renderla
vezzeggiabile davantaggio. DOMANDE Quali si dicono Voci di luogo?
(32) Voci di numero? (33) • Voci d'ordine? (34) Voci modificanti? (35) Voci
d'unione? (36) Voci d'esclusione ? (57) Voci di causa? (38) Voci di mezzo? (39)
Voci di fine? (40) Voci di modo? (41) Voci di aumento? (42) Voci di decremento? (43) •
Come si esprime l'Aumento massimo nei Qualitativi? (45) Come si esprimono
gli Aumenti e Decrementi negli Qg- gettivi? (46)Quali Espressioni diconsi
peggiorative? (47) Quali Espressioni diciamo vezzeggiative? DEL
GIUDIZIO Chiamasi Giudizio l'effetto
risultante dal giudicare (20); e propriamente il Giudizio è quell'operazione
mentalè con cui affermiamo o ne-ghiamo, che ad un Oggetto convenga una data
Azione o Qualità - Quindi i nostri Giudizj sono tutti o di Azione o di Qualità;
ed ogni Giudizio - esige essenzialmente tre Cose, cioè Cardine di giu-dizio,
Voce di giudizio, Attributo di giudizio. Chiamiamo Cardine di giudizio o cardinale l'Oggetto
cui si attribuisce o si niega un'Azione • Qualità; come Pietro in « Pietro è
diligente : Pietro non è giunto, cioè non è stato giugnente: Pietro
scrive, ossia è scrivente ec. " Chiamiamo Voce di giudizio
(22) la Parola che esprime il nostro parere tanto affermativo che negativo;
come saranno, non era ec. in « i Soldati saranno vittoriosi; i Nemici saranno
vinti: la Carta non era buona; il Castello non era preso ec. » Chiamiamo Attributo di
giudizio la Voce esprimente l'Azione o Qualità che affermativamente o
negativamente, si attribuisce all'Oggetto cardinale, cioé al Cardine di
giudizio (49). Cost negli esempi suespressi diligente, giugnente, scri-vente,
vittoriosi, vinti, buona, preso sono tutti Attributi di giudizio.52. In
italiano il Nome dell'Oggetto cardinale si può nel discorso tacere, ognivolta
che trovasi abbastanza chiaramente espresso o da una o da ambedue le altre
Parti di giudizio: come sono contento; surete premiati ec. invece di « io sono
contento, voi sarete premiati ec. » Qualche rara volta suol tralasciarsi
anche la Voce di giudizio, ma solo parlando con enfsi, e purché, il tempo cui
si riferisce il Giudizio, sia chiaramente espresso dal contesto del discorso;
come « I codardo? Tu sconoscente? Noi vinti? ec. » L'Attributo di
giudizio non può mai tralasciarsi ossia déve sempre essere espresso; e ciò per
l'in-trinseca sua natura - Si richiami però che nei Giudizj di azione l'
Attributo spessissimo trovasi unito alla Voce di giudizio in una sula
espressio-ne, detta Verbo (23): come «io scrissi, cioè fusi scrivente: Voi
avete giocato, civé siete stati giuocanti ec. » DOMANDE Cosa
intendiamo per Giudizio? (48) Un Giudizio quando dicesi di. Azione? .......
quando dicesi di Qualità" Quante cose abbisognano per formare un
Giudizio? Cosa intendete per Cardine di Giudizio? (49) • per Voce
di giudizio? (50) ........ per Attributo di Giudizio? (5%.) Queste tre
Cose debbono sempre esprimersi nel discorso? (52)53. Un Giudizio é da noi detto
attivo, passivo, o neutro, secundoché in esso è attivo, passivo, o neutro
l'Oggetto cardinale (49). Ora l'Oggetto cardinale è attivo, se agisce, cioè se
fa desso l'Azione espressa nel Giudizio; come « i Giovani scri-vono; il Popolo
correva ec. " - L'Oggetto cardinale è passivo, se non eseguisce ma riceve
desso l'Azione espressa nel Giadizio; come « Pietro fu punito, le Piante
saranno tagliate, il Principe fu coronato ec.'»'- Finalmente l'Oggetto
cardinale, quando non è né attivo né passivo, da noi si chiama neutro cioé nè
l'uno nè l'ultro; e questo propriamente avviene in tutti i giudizj di Quali-là
(48), vale a dire in tutti que' Giudizi, ne' quali si attribuisce all'Oggetto
cardinale una Qualità: Come « Questo Libro è facile; i Frutti sono maturi
ec. » 54 Nei Giudizj attivi l'Attributo di giudizio in italiano o è unito
alla Voce di giudizio in una sola parola, come « Pietro scrive, partirá ec.
»; o è unito all'ausiliario avere in due distinte pa-role, come «Pietro à
detto, arà veduto ec. ». Quindi nei giudizi attivi l'Attributo di
giudizio, essendo assolutamente immedesimato con altra espressione, non ammette
serve ugualmente a tuti gli Osatoi calina, di qualungue Numero e Sesso - Quindi
abbiamo:MASCHILE (io avrei scrillo ‹ tu avresti scrillo (
egli avrebbe scritto FEMMINILE (66) I io avrei scritto tu avresti
scritto ella avrebbe scritto (noi avremmo scritto PLURALE
('voi avreste scritto ( essi avrebbero scritto noi avremmo
scritto voi avreste scritto esse avrebbero scritto 55. Nei
Giudizi passivi e neutri l'Attriburo in italiano è sempre separato dalla Voce
di giudizia, e per legge di Lingua deve sempre seguire il Nu mero ed il Sesso
dell'Oggetto cardinale - Questa Regola vale anche per la Voce di giudizio
stato. Quindi abbiamo : MASCHILE FEMMINIL (io sona
premiaro 1, io sono premiaca UNALI (tu sei premiata I.
tu sei premiara (egli è premiara I ella è premiata. ( noi
siamo premiari. |' noi siamo premiaio PLURALI (voi siete
premiati I voi siete premiare (essi sono premiati l esse sono
premiare so sono stalo contento | io sono stara contenta noi siamo stati
consenti I noi siamo state contere ec. eC. ec.
ес. 56. Nei Giudizj attivi invece dell' ausiliario avere (14) la Lingua italiana
alcune volte usa la voce essere; voce che in tal caso deve considerarsi
puramente come ausiliaria, e non come Vocedi giudizio. Quindi si faccia
praticamente grande at-tenzione, onde non confondere essere voce giudicante con
essere voce ausiliaria, ossia onde non prendere per passivo un Giudizio di sua
natura attivo: Così io sorio chiamato è Giudizio passivo; ed è Giudizio
attivo io sono arrivato, equivalente ad in sono stato arrivante. Quando nei Giudizj attivi
debba usarsi l'ausiliario essere e quando l'ausiliario avere, non può impararsi
che colla lettura e coll'uso, È quindi necessario leggere colla debita
riflessione: Usandosi l'ausiliario
essere (56), la Voce verbale anche ne' Giudizi attivi deve sempre per legge di
convenzione seguire il Numera ed il Sesso dell'Oggetto cardinale; e
precisamente come ne'Giu-dizj passivi (55) - Quindi abbiamo; MASCHILE (io sono
giunto UNALE (tu sei giunto ( egli è giunto (noi siamo
giunt PLURALI (voi siete giunti ( essi sono giunti
FEMMINILE 1 io sonó giunta tu sei giunta ella è giunta noi
siamo giunte voi siete giunte esse sono giunte DOMANDE
Un Giudizio quando si dice attivo ? (53) quando si dice passivo? quando si dice neutro ? Rapporto all'Attributo cosa
è da osservarsi ne' Giudizj at- tivi?, (54)Rapporto all'Attributo cosa è
da osservarsi de' Giudizi passivi e neutri? (55) L'Ausiliario de Giudizi
attivi è sempre la voce avere? (54, 56) Quando si usa l'Ausiliario essere, e
quando l'avere? (57) Usandosi l'Ausiliario essere, come dobbiamo esprimere
la Voce verbale? (58) DEL FEMMINILE E DEL PLURALE NEI NOMI
5g. Nella propria Lingua coll' uso imparasi naturalmente tutto ciò, che nelle
parole è relativo alle Variazioni finali pel Sesso; pel Numero • per qualunque
altro significato. Pure, siccome i Dizionarj generalmente presentano i Nomi
soltanto al Sesso maschile e al Numero unale, crediamo bene di qui esporre le
regole semplicissime assegnate dalla Lingua italiana per la Formazione del
Femminile nei Nomi qualitativi e di azione, e per la Formazione del Plurale in qualunque
Nome, senza peró occuparci delle poche Eccezioui, che si conosceranno coll'
uso. 60. FORMAZIONE DEL FEMMINILE — I Nomi qualitativi e di Azione
formano il Femminile dalla Voce maschile; ed al maschile tali Nomi terminano
tutti o in e, come felice sensibile ec., oppure in o, come onesto virtioso
ec: 6r. Ora i terminanti in e servono egualmente ad ambedue i Sessi.
Quindi abbiamo « l"Uomo felice, la Donna felice ec. ». Nei terminanti in o
poi formasi il Femminile, cangiando l'o finale in a. Quindi avremo «
l'Uomo virtuoso, la Donna virtuosa ec. " FORMAZIONE DEL PLURALE - Il
Plurale in qualunque Nome formasi dall'Espressione di Numero unale, avvertendo
che nei Nomi qualitativi e di Azione devesi aver riguardo al Sesso, vale a
dire, che il Plurale maschile formasi dall'Unale maschile, ed il femminile
rispettivamente dall' U- nale femminile — I Nomi al Numero unale terminano o in
a, o in e, o in o. I terminanti in
e ed o formano il Plurale, cangiando in i la vocale finale: Quindi « libro
facile, Giovine premiato ec. » al Plurale danno « libri facili, Giovani
premiati ec. » Nei terminanti in a é
necessario osservare, se sono maschili o femminili - Se femminili,. formano il
Plurale cangiando in e la vocale fina-le: Quindi abbiamo «Donne virtuose,
Sorelle premiate ec. » - Se maschili, formano il Plurale: cangiando l' a finale
in i - Quindi abbiamo « Poe--ti, Duchi, Profeti ec. » - Si avverta, che i: Nomi
maschili terminati in a, sono pochissimi e soltanto. Oggettivi: 65. I
Nomi oggettivi alle volte terminano con vocale lungo ossia accentata; ed allora
servono al Numero tanto unale che plurale: Quindi abbiamo caso, come
rilevasi da questi esempi, per conoscere il Numero si osserva l'Articolo: Che
se l'Articolo mancasse, si dovrà fare attenzione o a qualche altra voce, o al
contesto del discorso.I Nomi qualitativi e di Azione qual desinenza anno
al Sesso maschile? (60) In tali Nomi come formasi il Femininile?
(6r) I Nomi in genere qual desinenza ànno al Numero una- le? (62)
Come formasi il Plurale nei terminanti in e o in ó? (65) Come formasi il
Plurale nei terminanti in a? (64) Cosa è da avvertirsi negli Oggettivi
terminanti con ac- cento? (65)- + . DEL CARDINE DI
GIUDIZIO •66. Parlando, noi altro non facciamo she esternare i Giudizj
formati dal nostro Essere sens ziente (4); ed è impossibile, che un discorso
sia sensato, se non esprime un Giudizio ~ Dunque in ogni discorso avremo
necessariamente. I' Oggetto cardine di giudizio (49); giacché ogni Giudizio
esige il suo Oggetto cardinale, o espresso o facili mente sottinteso
(52). Ora è facile comprendere,
che in un qualsiasi • discorso può e deve essere Cardine di giudizio, o Chi
parla, o Chi ascolta, o una Cosa terza cioè un Oggetto diverso da Chi ascolta e
da Chi parla - Dunque dobbiamo in ogni discorso precisare ossia esprimere
chiaramente, qual Oggetto é Cardine di giudizio, cioé se l'Oggetto parlante; o
l'Oggetto ascoltante, oppure un terzo Oggetto. Ma gli Oggetti parlante é
ascoliante sono o almeno si suppongono presenti al discorso - Dunque non
occorre indicarli coi Nomi loro par-ticolari; e basta usare per essi un Nome
generi-co, applicabilé a qualunque Oggetto che praticamente sia ascoltante o parlante.
In italiaro il Nome generico dell'Oggetto par-lante, al Numero unale è io, al
plurale noi: E il Nome generico dell'Oggetto ascoltante, all'unale è tu, al
plurale voi — Si avverta, che questi Nomi generici servono al Sesso tanto
maschile che fem-minile; giacché la presenza degli Oggetti parlante e
ascoltante, ci fa naturalmente conoscere il loro Sesso. 6g. I terzi
Oggetti debbono sempre essere indicati coi loro particolari Nomi convenienti,
onde poter in essi distinguere l'uno dall'altro → Se però il Nome d'un terzo
Oggetto fu nel discorso espresso immediatamente prima, allora invece di
ripéterlo, sogliamo richiamara l' Oggetto con una Voce apposita detta Pronome,
cioè Voce usata invece d'un Nome; avvertendo che questo Pronome deve usarsi,
sol quando non può nascere nel discorso alcuna oscurità o confusione.* I
Pronomi che servono a così richiamare i terzi Oggetti, sono al Numero
unale egli o esso pel Sesso maschile, ella o essa pel femminile; ed al plurale
eglino o essi pel maschile, elleno o esse pel femminile.7o. Gli Oggetti,
e quindi i loro Nomi e Pro-nomi, non sempre sono Cardini di Giudizio; giacché
possorio trovarsi in altre molte situazioni , come vedremo (196). Si avverta
quindi, che non essendo Cardine di giudizio, al Numero unale il Nome
dell'Oggetto parlante cangiasi in me, e quello dell'Oggetto ascoltante in te; e
che nei Pronomi, egli cangiasi in lui, ella in lei, ed al plurale eglino ed
elleno si cangiano ambedue in loto. 71. Si avverta inoltre che a
questi generici Nomi e Pronomi tanto cardinali che non cardinali, per eleganza
o maggior forza di espressione sogliamo spesso aggiugnere la Voce stesso o
medesimo, ponendola al conveniente Numero e Sesso del Nome. o Pronome; come «
io medesimo, ella stessa, da lei medesima, voi stessi ec. " — La Voce
stesso o medesimo che comunemente è Voce d'iden tità (79, 80), in questo caso
da noi sarà chiamata Voce di energia. 'AVVERTENZA' SULL' OGGETTO
ASCOLTANTE 72. Il Nome generico d'un solo Oggetto ascoltante è tu ovvero
te, come abbiamo sopra fissato (68, 70). L'Educazione italiana però per-
mette, che si usi tal espressione solamente ocon Persona esercente professione
molto bassa ed abbietta, o con Persona di massima confidenza, o parlando
enfaticamente. Fuori di questi
tre casi il Nome d'un solo Oggetto ascoltante sarà sempre o voi, oppure ella e
lei (70), secondo la qualità, della Persona a cui si parla — Si usa voi
parlando con Persona o eguale o inferiore; e si usa ella e lei; parlando o con
Persona a noi superiore, o con Persona per cui dobbiamo o vogliamo aver dei
riguardi. E poi facile conoscere la
ragione di tali sosti-tuzioni, che sono puramente basate sui principi di
civiltà - Dicendo voi ad una sola Persona, io le dico, che la considero come
Plurale, cioè come più Persone; il che è assai obbligante, e serve ad
affezionarci la Persona colla quale parliamo - Parimenti le voci ella e lei
sono dal Linguaggio esclusivamente consecrate al bel Sesso (69, 7u ). Quindi
asando tali voci con una sola Persona ascoltante, se questa è Femmina, col
fatto le dimostro che so di parlare con una Signora, vale a dire le dimostro,
che mi occupo dei riguardi a lei dovuti; dimostrazione, che deve
necessariamente piacere: •E se la Persona con cui parlo è Uomo, usando tali
voci dico ad esso, che o per lui quella deferenza, quel rispetto e tutti quei
possibili ri-guardi, che avrei per una Signora; esternazione molto sodisfacente
e compita, giacché l' educazione fissa allo scabello del Bel Sesso la somma e
l'apice di tutti i più delicati riguardi sociali.Cosa deve essenzialmente
esprimere ogni sensato discor- so? (66) Quante specie si danno di
Oggetti cardinali? (67) Gli Oggetti cardinali si esprimono sempre col
loro Nome particolare? (68) Qual è il Nome generico dell' Oggetto
parlante? Qual è il Nome generico dell'Oggetto ascoltante? Quali
sono i Pronomi pei terzi Oggetti ? (6g) Non essendo Cardini di giudizio,
come si esprimono tali Nomi e Pronomi? (70) Cosa intendiamo per
Voce di energia? (71) La buona Educazione quando usa tu e te ? (73) Con una
sola Persona ascoltante quando si usa voi? (73) .. . ...... ...
quando si usa ella e lei ! Sapreste dar ragione di tali Sostituzioni ?
(74) DELLE COSE DIFFERENTI, DIVERSE; SIMILI, UGUALI E
IDENTICHE Due cose diconsi
differenti, quando una ci si presenta maggiore o minore dell'altra: Cosi cinque
e olto, quindici e dieci ec. sono quantità differenti tra loro. Due Cose diconsi diverse,
quando non sono della stessa natura; vale a dire, quando non anno le stesse
Proprietà (‹6): Cosi acqua e vino, zuc- caro e caffè ec. sono cose diverse tra
loro. Due Cose si dicono simili,
quando anno le stesse Proprietà, senza punto calcolarne le Quali-tà: Cost due
Uomini, due Cavalli, due Monete dello stesso conio e valore ec. sono cose
rispettivamente simili tra loro. 78. Due cose diconsi uguali, quando e sono di
medesima natura, e non presentano alcuna differenza trà loro; vale a dire,
quando avendo le stesse Proprietà, anno anche le medesime Qualità; Cosi
cinque è uguale trè più due, uguale quattro più uno ec. Si avverta, che
gli Oggetti simili presentano tutti delle più o meno rimarchevoli differenze; e
pe-ró, che negli Oggetti non esiste per noi uguas glianza perfetta.
L'Identità non può aversi
che negli Ogget-ti; e propriamente consiste « nel ravvisare, che un tale
Oggetto è quell' istesso, il quale giá esisteva in qualche precisata
circostanza » — Li cognizione dell'Identità risulra singolarmente dall'
osservare le marche o contrasegni particolari, per cui ogni Oggetto si
distingue da tutti gli altri suoi simili (78). Le Espressioni che nel
discorso indicano tali Differenze, Diversità ec., saranno da noi dette
rispettivamente Voci di Differenza, Diversità, So-miglianza, Eguaglianza,
Identità. DOMANDE Due cose quando sono differenti? (75) •. quando
sono diverse? (76) :. quando sono simili? (77) quando sono uguali? . (78)
Si dà Eguaglianza negli Oggetti ? In che consiste l'Identità d' un
Oggetto? (79) Come si ravy isa l'Identità d'un Oggetto?81. Confrontare
significa «Porre due o pit Oggetti dirimpetto ossia di fronte fra loro »; e ciò
avviene, ognivolta che vogliamo in più Oggetti considerare o esaminare una
médesima Azione o Qualità. La conseguenza del Confronto esser deve il
conoscere, che tale Azione o Qualità é negli Oggetti confrontati o uguale o
differente. Quindi i Confronti che esprimiamo nel discorso, saranno tutti o d'
Eguaglianza o di Differenza; e le Espres sioni indicanti tale Differenza o
Eguaglianza, saranno da noi dette Voci di confronto: Come al pari di, tanto
quanto, più di, meno di ec. Molte volte, fatto il Confronto, se scopriamo o
crediamo vedere una piccolissima differenza, ci contentiamo nel discorso
d'indicare l'Eguaglianza approssimativa; e le Espressioni che usiamo per ciò,
saranno da noi dette Voci di approssimazio-ne: Come quasi, in circa, a un
dipresso ec.: Il risultato del Confronto
alle volte suol essere un Giudizio d' ignoranza o di dubbio, che sogliamo
esprimere con non so, mi pare, credo, non potrei decidere ec. Ciò propriamente
avviene, quando non si può stabilire né uguaglianza né differenza assoluta nel
Confronto. In ogni Confronto é
necessario distinguere l'Oggetto primo dal secondo, potendo tanto l'uno che
l'altro essere indifferentemente di Numero o unale o plurale - Chiamiamo primo,
quello che é Cardine di giudizio; e chiamiamo l'altro secondo: Cosi in «
Pietro è più giovine di Paolo » Pietra è primo Oggetto, Paolo è secondo Oggetto
di confronto. DEL CONFRONTO SEPARANTE Alle volte consideriamo
tutti gli Oggetti d'una determinata specie sfera o estensione, come possedenti
la medesima Qualità o Azione; ed avviene sovente, che in uno a in alcuni di
questi Oggetti tale Azione o Qualità presentasi in maniera o superiore a
inferiore a tutti gli altri - Ora volendo nel discorso indicare tale
Inferiorità o Supe-riorità, dobbiamo primieramente separare dalla massa totale
l'Oggetto o Oggetti distinti, e poscia dobbiamo presentarli posti a Confronto
con tatti gli Oggetti restanti; come dicendo « Pomponio & il più abile do
Ministri: Quelli erano i meno prodi de suoi soldati eç. » = Questa operazione
può dunque giustamente chiamarsi Confronto se- parante; avvertendo, che gli
Oggetti separati formano sempre il primo Oggetto di Confronto (85), e che tutti
gli altri rimangono a formarne il se-condo. Il Confronto separante può
essere di eccesso o di difetto - E di eccesso, se il primo Oggetto possiede la
confrontata Azione o Qualità in grado superiore al secondo: Come « Cicerone fu
il piieloquente dei Romani: Elena è la più saggia delle Figlie ec. » - È di
difetto, se il primio Oggetto possiede la Qualità o Azione in grado inferiore
al secondo Oggetto di confronto: Come « Giulio é il meno dissipato degli
Scolari: L'Amico fu il meno maltrattato dei Prigionieri ec. » 88. In italiano
le Espressioni il più... di, il meno... di ec. sono particolarmente destinate
ad accennare tali Confronti; e noi perciò le chiameremo Voci di Confronto
separante. DOMANDI Che significa confrontare? (18) Qual è il
risultato del Confronto ? (82) Il Confronto produce sempre un Giudizio
d'Eraglianza o di Differenza? (84), Quali da noi si chiamamo. Voci di
confronto? (82) Quali chiamansi Voci di approssimazione? (83) Nel
Confronto quale Oggetto chiamasi primo, e quale secondo ! (85) Quando
abbiamo Confronto separante ? (86) Il Confronto separante di quante
specie può essere? (87) Quando chiamasi di eccesso, e qúando di
difelio? Quali da noi si dicono Voci di confronto separante? (88)
89. I nostri Giudizj debbono naturalmente essere diversi, come
diverse esser possono le circostanze alle quali si riferiscono. Dunque il
Linguaggio deve esprimerli in diverse Maniere - È dunque necessario esporre
dettagliatamente queste diverse: Maniere ossia i varj Modi, con cui si può nel
discorsa esprimere un Giudizio. Mi sia qui permessa un'osservazione
- La diversità dei Modi nella Voce giudicante e nei Verbi dipende dalla
diversità dei Giudizj che si esprimo-no; vale a dire, dipende dall' intrinseca
natura delle cose. Dunque il numero dei Modi deve necessariamente esser lo
stesso in tutte. le Lingue; e questo deve intendersi anche del numero dei Tempi
in ciascun Modo - Dunque le Grammatiche, quando asseriscono che una Lingua à
più o meno Modi, più o meno Tempi di un'altra, dan chiaramente a
conoscere il poco o nessuno Bron-senso; che presiedeva alla loro formazione.9o.
Qualunque Giudizio deve sempre riportarsi a qualche Istante del Tempo totale; e
nel discorso può inoltre essere confrontato col Tempo di qualche altro Giudizio
- Dunque esamineremo accuratamente tutto ciò che nei Giudizi è riferibile al
Tempo, ossia ai varj Tempi tanto assoluti che relativi. 9i. Chiamiamo
assoluto quel Tempo, che da noi puramente si considera presente, passato o
futuro, come è assolutamente in natura: E chiamiamo relativo quel Tempo, che da
noi si considera presente, passato o faturo soltanto relati-ramente ad altro
Tempo espresso nel discorso. 9a. Ogni Giudizio esige indispensabilmente
un Oggetto, cardinale (46); e questo Oggetto può es sere o il parlante o
l'ascoltante o un terzo Oggetto (67). Inoltre, l'Oggetto cardinale può essere
di Numero e unale e plurale (ro) - Dunque in ciascun tempo di qualunque Modo
faremo particolare attenzione ai tre Oggetti cardinali, e ciò per ambedue i
Numeri unale e plurale; 93. La Lingua italiana generalmente con una sola
Espressione suole indicare Giudizio, Tempo, Modo, e inoltre la Natura
dell'Oggetto cardinale, ed. il suo Numero. Quindi é della massima importanza
l'attaccare a ciascuna di tali tanto significanti Espressioni la giusta Idea, e
colla massima possibile precisione - Noi dunque le esporremo dettagliatamente
di seguito per la Voce di giudizio essere, in ciascun Tempo, in ciascun
Modo, e indicando la Natura ed il Numero degli
Oggetti cardinali coi generici Nomi e Pronomi rispettivamente già fissati per essi
(84, 69); vale a dire, io, tu, egli per l'unale, e noi, voi, essi pel
Numero plurale, limitándoci al solo Sesso maschile - Prima però daremo la
necessaria spiegazione de' varj Tempi e assoluti e relativi. Esporre di seguito per
ciasçun Tempo, in ciascuno Modo, e per ogni Oggetto cardinale le varie
Espressioni che la Lingua assegna sia per lo Voce di giudizio, sia per un Verbo
qualunque, é propriamente ciò che chiamasi conjugare. Abbiamo già fissato le
generiche Voci esprimenti i varj Tempi assoluti, cioè adesso, jeri, domani (28)
e questa mattina (31). Queste Voci nella conjugazione di qualunque Modo possono
essere unite alla Voce di giudizio, onde meglio formarsi una giusta idea di
questa Voce medesima. Si arverta però, che praticamente non sempre debbono
esservi unite: Quindi noi nel conjugare le ometteremo, lasciando a ciascuno la
libertà di aggiugnervele a suo piacere. DOMANDE Che' s' intende per
Modi nella Voce di giudizio e nei Verbi? (80) Qual Tempo dicesi
assoluto? (93) Qual Tempo chiamasi relatino ? Cosa intendete per
conjugare? (94)96. Chiamasi assoluto, quel Tempo che nel di- assoluto
sarà o presente o passato) o futuro; giacché in natura gl' Istanti del Tempo
totale debbono trovarsi in una di queste tre situazioni (27). 97. Il
Tempo assoluto dicesi presente, quando coincide coll' Istante in cui parliamo;
dicesi pas-saro, quando è decorso prima dell'Istante in cui parliamo; e si dice
futuro, quando deve decorrere dopo l'Istante in cui parliamo (27) - Si
richia-mi, che il Passato in italiano è di due specie, cioé congiunto e
disgiunto (29). DOMANDE Come denominiamo i varj Tempi assoluti?
(96) Il Tempo assoluto quando si chiama presente? (97) quando si chiama
passato ! quando si chiama futuro? DEI TEMPI RELATIVI 98. Chiamasi
relativo quel Tempo, che si considera presente, passato o futuro, soltanto
relativamente ad un altro Tempo espresso nel discorso (91) - Dunque il Tempo
relativo sarà o identico o anteriore o posteriore all'altro Tempo; giacchè
qualunque Tempo, posto a confronto ossia considerato rispettivamente ad un
altro Tempo, deve di necessità trovarsi in una di queste tre circostanze.
Il Tempo relativo dicesi
identico all'altro Tempo, quando questi due Tempi effettivamente non sono che
un solo. Cosi in « Sento cantate » cantare è un'espressione di Tempo relativo
iden-tico: è di Tempo relativo, perché il Tempo dell'azione cantare si riporta
a quello dell'azione sento; è di Tempo identico, perché in questo caso diciamo,
che l'azione cantare e l'azione senta anno luogo al medesimo istante. Il Tempo relativo dicesi
anteriore, quando effettivamente si considera decorso prima dell'altro Tempo.
Così « L'Amico dice di aver visto molte Lepri » aver visto è un'espressione di
Tempo relativo anteriore: è di tempo relativo, perché si riferisce al tempo
dell'azione dice; ed è di Tenipo anteriore, perché esprimiamo che l'azione aver
visto è avvenuta prima dell'azione dice. Il Tempo relativa dicesi posteriore, quando si
considera decorso dopo l'altro Tempo. Cost in • L'Amico sperava d'essere
premiato.» essere premiato è un' espressione di Tempo relativo poste-riore: è
di Tempo relativo, perchè si riferisce al Tempo dell'Azione o Giudizio sperava,
ed è di tempo posteriore, perché diciamo che l' Azione essere premiato deve
ossia doveva avvenire dopo dell'azione sperava. , DOMANDE Come
denominiamo i varj Tempi relativi? (98) Il Tempo relativo quando si dice
identico? (99) • • quando si dice anteriore? (100) quando si
dice posteriore? (101) È facile comprendere, che ogni Azione o Giudizio di
Tempo relativo; in natura deve appartenere a qualche Tempo assoluto; giacché le
Azioni avvengono tutte in qualche Istante del Tempo totale (96), è la natura
delle cose non può essere alterata dalla nostra maniera di considerar-le: Cosi
per esempio dicendo « Quando voi sor-siste, l'Amico dormiva » chiaro si scorge,
che la qui espressa azione di dormire é di Tempo asso-lutamente-passato e
relativamente-identico a quello dell'Azione sortiste - Dunque nei Giudizj di
Tempo relativo possiamo e dobbiamo considerare e il Tempo assoluto e il Tempo
relativo del Giu-dizio; ossia con parola composta possiamo e dobbiamo
considerare, i varj Tempi assoluto-relativi. Moltiplicando i tre Tempi
assoluti, pre-sente, passato e futuro (96) per i tre Tempi re-lativi, identico,
anteriore: e posteriore (98), avremo tutti i varj Tempi assoluto-relativi:
Avremo cioe presente-identico, passato-identico,
futuro-identico presente-anteriore, passaso anteriore, fuluro-anteriore
presente-posteriore, passato posteriore, futuro-posteriore Si avverta,
che delle due Parole con cui esprimiamo ciascuno di questi Tempi
assoluto-relativi, la primo indica sempre il Tempa assoluto del Giudizio o
Azione, e la seconda ne indica sempre il Tempo relativo. 104. TEMPO
PRESENTE-IDENTICO — Chiamiamo presente-identico quel Tempo, che di sua natura
esiendo presente, nel discorso da noi si considera soltanto come identico ad un
altro Tempo, il quale è considerato ed è assolutamente presente : Così in
« Sento cantare » cantare è un'espressione di Tempo presente-identico; perché
l'Azione di cantare avviene al tempo stesso di quella espressa da sento, la
quale di sua natura é di Tempo presente: TEMPO PASSATO-IDENTICO -
Chiamiamo passato-identico quel Tempo, che di sua natura essendo passato, nel
discorso da noi si considera. soltanto come identico al Tempo d'un altro
Giu-dizio, il quale é assolutamente passato: Cosi in « Quando voi sortiste l'
Amico dormiva » dormiva è un'espressione di Tempo passato-identico; perché
l'azione espressa da dormiva, la quale é assolutamente passata, si considera
soltanto come contemporanea a quella espressa da sortiste, azione assolutamente
passata ancor essa - Lo stesso dicasi di canture in « Sentii, & sentito
cantare ec. » TEMPO FUTURO-IDENTICO -
Chiamiamo futuro-identico quel Tempo, il quale di sua natura essendo futuro, da
noi si considera sol-. tanto come identico ad altro Tempo assolutamente futuro:
Cosi in « Quando li vedrà sortire ec. »• sortire è un'espressione di Tempo
futuro-identico; •perché l'azione qui espressa da sortire é assolutamente
futura, ma da noi si considera solamente come contenporaneo a quella
espressa da vedrò, la quale è pure assolutamente futura. 107. TEMPO
PRESENTE-INTERIORE — Chiamiamo presente-anteriore quel Tempo, che di sua natura
essendo presente, deve essere soltanto considerato come anteriore ad un altro
Tempo. Ora egli é chiaro, che il Tempo presente non può essere anteriore che al
solo Tempo futuro. Dunque il Tempo presente-anteriore é un Tempo relativo, che
deve di necessità riportarsi ad altro Tempo assolutamente futuro. Ma il
Tempo presente non può sotto alcun rapporto dipendere dal Tempo futuro, ossia
riferirsi al Tempo futuro; giacché quando calcoliamo l' Istante presente, tutto
il Tempo futuro può considerarsi ed è per noi effettivamente come zero. Dunque
il Tempo presente-anteriore è nel nostro senso (103) un Tempo praticamente
impossibile, un Tempo che include contradizione; ossia è un Tempo re-lativo,
che per l'intrinseca natura delle cose si risolve necessariamente in un Tempo
assoluta, cioè nel Tempo assolutamente presente. Ed infatti ogni Tempo
assolutamente presente, di sua natura ¿ anteriore a tutto il Tempo
futuro. Dunque considerato come Tempo relativo (98), il Tempo
presente-anteriore non esiste. 108. TEMPO PASSATO-ANTERIORE - Chiamiamo
passato-anteriore quel Tempo, il quale di sua natura essendo passato, da noi
solamente si considera come anteriore ad un altro Tempo che è passato
ancor esso necessariamente — Il Tempo passato-anteriore può essere congiunto, o
disgiunto. I.° Chiamasi congiunto, quando si considera de corso
immediatamente prima dell'altro Tempo pas-sato; ossia, quando si calcola come
unito in serie al Tempo, che consideriamo passato per secondo: Così in «
Appena ebbero visto il lupo, i cani fuggirono » ebbero visto è un'espressione
di Tempo passato-anteriore-congiunto; giacché indica un'Azione assolutamente
passata, la indica come anteriore all'azione fuggirono, ma la indica come
avrenuta solo un istante prima, ossia come avvenuta immediatamente prima
dell'azione fuggirono. II.® Chiamasi disgiunto, quando non si considera
decorso immediatamente prima dell'altro Témpo, che riteniamo passato per
secondo: Cosi in « L'Amico xenne, perché era stato avvertito da me » era stato
avvertito è un'espressione di Tempo passato ante-riore-disgiunto; giacchè
indica un'Azione assolutamente passato, la indica come anteriore all'Azione
venne, ma non la indica come avvenuta immedia-camente prima dell'azione venne -
Per brevità il passato anteriore-disgiunto sarà da noi denominato semplicemente
passato-anteriore. 109. TEMPO FUTURO-ANTERIORE - Chiamiamo
futuro-anteriore quel Tempo, il quale di sua natura essendo futuro, da noi si
considera soltanto come anteriore ad un altro dato Tempo fu-turo: Cosi in « Quando
avremo finito la Scuola, passeggeremo o avremo finito è un'espressione di
Tempo futuro anteriore; perché esprime un'Azione assolutamente futura, la quale
peró è da noi calcolata soltanto come anteriore all'altra futura Azione
espressa da passeggeremo. 110. TEMPO PRESENTE-POSTERIORE - Chianiamo
presente-posteriore quel Tempo, il quale di sua natura essendo presente, è da
noi considerato soltanto come posteriore ad un altro Tempo che necessariamente
deve essere passato: Cust in « L'Amico mi scrisse, che sareste arrivato
precisamente a quest' ora » sareste arrivato è un'espressione di Tempo
presente-posteriore; giacchè esprime un'azione assolutamente presente, cioè
un'azione che avviene al momento in cui parlo; ma nel discorso tale azione è
assolutamente calcolata come posteriore all'altra espressa da scrisse.
III. TEMFO PASSATO-POSTBAIORE - Chiamiamo passato-posteriore quel Tempo il
quale di sua natura essendo passato, da noi si considera soltanto come
posteriore ad un altro Tempo che di necessità deve anch'esso essere passato:
Cosi in « L'Amico disse, che sarebbe arrivato prima di notte; e mantenne là sua
parola » sarebbe arrivato è un'espressione di Tempo passato-posteriore; giacché
esprime un'azione assolutamente passato, che praticamente da noi si considera
soltanto come posteriore all'azione espressa da disse. 1I2. TEMPO
FUTURO-POSTERIORE - Chiamiamo futuro-posterioré quel Tempo, il quale di sua
natura essendo futuro, dá noi si considera solamente come posteriore ad
altro Tempo: Cusi in « L'Amico mi scrisse, che sarebbe arrivato prima di sera;
e adesso appena sono le tre pomeridiane » sarebbe arrivato é un'espressione di
Tempo futuro-posteriore; giacché esprime un'Azione assolutamente futura, ma nel
discorso calcolata soltanto come posteriore all'Azione espressa da
scrisse. 113. I Tempi assoluto relativi sono dunque otto; cioè sono i da
noi già fissati (103), provenienti dalla moltiplica dei tre Tempi assoluti pei
tre re-lativi; restando di sua natura escluso il Tempo presente-anteriore, come
abbiamo già dimostrato (107). Si avverta di formarsi una giusta e chiara
idea di ciascuno degli otto analizati Tempi assoluto-relativi, onde afferrar
bene il preciso valore delle voci destinate ad esprimerli - Si richiami, che
delle due Parole da noi usate per indicarli, la prima esprime sempre il Tempo
assoluto, e l'at-tra il Tempo relativo (103) - Si fissi finalmente, che il
Linguaggio praticamente considera questi Tempi soltanto come relativi; ma che é
anche necessario cortoscerne la forza assoluta, onde poterli analiticamente e
ragionatamente distinguere fra loro. DOMANDE Cosa intendiamo per
Tempi assoluto-relativi? (102) • Quanti e quali sono i Tempi assoluto-relativi?
(103, 113) In queste Voci composte cosa indica la prima, e cosa la
seconda Parolae® (105) Qual tempo chiamasi presente identico? (104)
.. passato identico? (105) • futuro identico? (106) Cosa dobbiamo
osservare sul Tempo presente-anteriore? (107) Qual Tempo chiamasi
passato-anteriore? (108) Il Passato-anteriore quando si dice congiunio?
(I) ... quando si dice disgiunto? (II) Qual Tempo chiamasi
futuro-anteriore? (109) presente-posteriore? (110)
passato-posteriore? (111) • futuro-posteriore? (112) Il Linguaggio
precisamente come considera i Tempi asso- luto-relativi P (113) DEL
MODO CERTO 114. Diciamo espresso in Modo Certo, ogni Giudizio il quale
esclude qualunque ombra d'in-certezza; ossia ogni Giudizio, in cui l'Oggetto
parlante esprime con assoluto certezza e persia-sione ciò che dice: Come « Voi
siete studiosi : L'Amico scrisse due lettere: Quando io giunsi, i soldati
partivano ec. " Ogni Giudizio di Modo Certo è praticamente o isolato
o dipendente o condizionato. MODO CERTO-ISOLATO Chiamiamo isolato ogni
Giudizio di Modo Certo, il quale esprime da se solo un senso perfettamente
completo; ossia ogni Giudizio, il quale espresso con parole, lascia nulla a
desiderare peressere inteso perfettamente; come « Quei Giovani sono Italiani:
Pietro fu premiato: Voi sarete felici ec. » Ogni Giudizio di Modo
Certo-isolato appartiene sempre ad uno dei tre Tempi assoluti, presente,
passato, futuro; richiamando, che in italiano il Tempo passato si distingue in
passato-congiunto, e passato-disgiunto o semplicemente passato (52). Si avverta che, tanto in
questo come in altri Modi molti, alle Espressioni di futuro sogliamo sostituire
quelle di Tempo presente, ogni volta che la futurità trovasi naturalmente
espressa o dal contesto del discorso o dalla natura stessa dell'A-zione: Come «
Parto domani, invece di partirò; Andate questa sera al Teatro? invece di
andrete ec. » Le Espressioni
di 'Modo Certo-isolato sono alla TAVOLA 1.° Nella Voce giudicante il'
Linguaggio per esprimere semplicemente il Tempo assoluto del Giudizio, non à
altre Espressioni che quelle as-segnaté pel Modo 'erto-isolato. Ed infatti
ana-lizando le Espressioni che successivamente fisse, remo pei Tempi assoluti
di tutti gli altri Modi, si troverà che desse nell'intrinseca loro natura
contengono sempre o Dipendenza, o Condizione, Volizione, Desiderio, Supposizione
ec. - Dunque ogni Giudizio, che stante la natura del. di- scorso, deve
puramente indicare il suo Tempo as-soluto, si esprimerà colle Voci di Modo
certo-isolato. Questa osservazione é della massima importanza; giacché
spessissimo s'incontrano delle Espressioni di Modo certo-isolato, le quali nel
discorso praticamente non possono rimanere isolate; come « Finché sono contenti
ec.: Quando fui premiato ec. : Se voi sarete accorti ec. » — In questi e simili
casi é quindi necessario avvertire che le. Voci sono, fui, sarete ec. esprimono
soltanto il Giudizio ed il suo Tempo assoluto; e che la praticamente
indispensabile concatenazione di tali Giudizj con al-tri, si deve unicamente
ripetere dal valore delle altre Voci finchè, quando, se ec. — Lo stesso dicasi
dei Verbi. MODO CERTO-DIPENDENTE 128. Chiamiamo dipendente ogni Giudizio di
Modo Certo, il quale da se solo non ci presenta una cognizione completa del
Tempo cui si riferisce; ossia ogni Giudizio, il quale per la perfetta
intelligenza e spiegazione del Tempo dipende da un altro Giudizio; come « Io
era contento; l' Amico era stato avvertito; quando avrete finito la traduzione
ec.»: Dove è chiaro, che senza il concorso di altro Giudizio non possiamo
intendere a qual preciso Tempo si riferiscano tali Giudizj ; presentandoci
tutt' al più, i primi due un'idea generica di passato, ed il terzo una generica
idea di Tempo futuro. 122. Ogni Giudizio di Modo Certo-dipendente
appartiene ad uno dei tre Tempi assoluto-relativi, passato-identico (105),
passato-anteriore (108), e futuro-anteriore (10g); richiamando, che il
Pas-sato-anteriore distinguesi in congiunto e disgiunto. 123. Le
Espressioni di Modo Certo-dipendente sono alla TAvOLA II.'- Si faccia peró
attenzione, ché il buon gusto italiano nella Voce giudicante essere alle
Espressioni di Passato-anteriore-con-giunio, cioè fui stato, fosti stato ec.,
sostituisce generalmente le Espressioni passate di Modo Certo- isolato,
cioè fui, fosti ec. (119). MODO. CERTO-CONDIZIONATO 124. Diciamo
condizionato ogni Giudizio di Modo Certo, la cui verificazione è
inseparabile dall' ese-guimento di qualche condizione; come « Se avessi un
libro, leggerei: Se aveste studiato, sapreste ineglio la lezione ec. » •
125. Ogni Giudizio di Modo Certo-condizionato appartiene sempre ad uno dei tre
Tempi assoluti, presente, passato o futuro. 126. E necessario fissare,
che ogni Giudizio condizionato deve di sua natura avvenire dopo l'ese-guimento
della condizione. Da ciò risulta, che un Giudizio condizionato di Tempo passato
o pre-sente, in pratica è sempre ineseguibile; giacché in questi due casi non
può assolutamente più verificarsi la richiesta condizione, e però nemmeno
il Giudizio che da essa dipende:127. Le Espressioni di Modo
certo-condizionato sono alla TAvoLA IIl"; avvertendo, che la natura del
discorso farà praticamente distinguere quelle di futuro da quelle di Tempo
presente. DUMANDE Un Giudizio quando si dice espresso in Modo
certo? (1 14) Un Giudizio di Modo certo di quante specie può essere? (115)
Quando si chiama isolato ? (116) Un Giudizio di Modo certo-isolato a
quali Tempi appar-tiene? (117) Un Giudizio di Tempo futuro quando si può
esprimere colle Voci di presente? (118) In Modo certo-isolato come si
conjuga la Voce di giu-dizio? (119) Sulle Voci di Modo certo-isolato cosa
dobbiamo specialmente avvertire? (120) Un Giudizio di Modo certo quando
chiamasi dipenden- te? (131) Un Giudizio di Modo certo-dipendente a
quali Tempi ap-partiene? (122) In Modo certo-dipendente come si conjuga
la Voce di giudizio? (123) Un Giudizio di Modo certo quando chiamasi
condizio• nalo ? (124) Un Giudizio di Modo certo-condizionato a quali
Tempi appartiene? (125) In Modo certo-condizionato come si conjuga la
Voce di giudizio ? (117) DEL MODO DESIDERATIVO. 128. Diciamo
espresso in Modo desiderativo ogni Giudizio, col quale si desidera
energicamente qualche cosa: come « Oh foste voi più diligenti! Oh
foss' egli stato vincitore! ec. » Ogni Giudizio di Modo desiderativo appartiene ad uno
dei tre Tempi assoluti, presente, passato o fituro — Si faccia perô attenzione,
che ogni Giudizio desiderativo di Tempo presente o passato è ineseguibile di
sua natura; giacchè il Desiderio che lo accompagna, in questi due Tempi
praticamente non può verificarsi più. Le Espressioni di Modo desiderativo sono alla TAvOLA
IV.' - Si arverta, che nel Modo desiderativo quelle di futuro sono eguali alle
Espres sioni di Tempo presente, e che il pratico discorso ci fa sempre
chiaramente distinguere l'un Tempo dall'altro - Si avverta inoltre, che le Espressioni
desiderative sono quasi sempre accompagnate de Voce indicante desiderio, come
oh ec.; e che in iscritto tali Espressioni sono sempre seguite dal cos detto
Punto ammirativo. DOMANDE Un Giudizio quando si dice espresso in Modo
desidera-tivo! (128) Uu Giudizio di Modo desiderativo a quali Tempi
appar- tiene? (129) Un Giudizio di Modo desiderativo è sempre
eseguibile ?. La Voce di giudizio come si conjuga in Modo desidera.
tivo? (130)13x. Diciamo espresso in Modo volitivo, ogni Giudizio, nel quale
l'Oggetto parlante fa conoscere energicamente un atto di sua volontà; come «
Parta egli subito: Andiamo a casa: Fatemi questo piacere ec. ». ' *32. È
chiaro di sua natura, che l'Oggetto parlante di Numero unale non à bisogno di
esprimere con parole un atto di-Volontà, riguardante unicamente lui stesso -
Quindi il Modo volitivo deve necessariamente mancare di espressione per
l'Oggetto parlante al Numero unale. 133. Chi vuole qualche cosa, per
natura non può volere che un Bene. Ora se questo Bene dipende da Chi parla,
l'Oggetto parlante esternando la sua volontà, comanda; e se questo Bene non
dipende da Chi parla, l'Oggetto parlante esternando la sua volontà, non può che
o esortare o pregare - Dunque ogni Giudizio di Modo volitivo esprime o Comando
o Esortazione o Preghiera. - 134. Ma le Preghiere, le Esortazioni, i
Comandi per intrinseca loro natura non possono risguardare il Tempo passato —
Dunque ogni Giudizio di Modo volitivo deve necessariamente appartenere ad uno
dei due Tempi assoluti, presente o futuro. Si richiami (118), che in
pratica usiamo spessissimo le Espressioni di presente in luogo di quelle di
futuro; giacché la futurità del Giudizio trovasi molte volte espressa
naturalmente dal discorso.135. Le Espressioni di Modo volitivo sono alla
TAVOLA V. DOMANDE Un Giudizio quando si dice di Modo volitivo?
(132) Un Giudizio di Modo volitivo cosa deve esprimere? (133)
Perchè deve esprimere o Comando o Esortazione o Pre-ghiera? Un Giudizio
di Modo volitivo a quali Tempi appartie-ne? (13+) Perchè non può
appartenere al Témpo passato ? In Modo volitivo come si conjuga la Voce
di giudizio? (135) Al Numero unale perchè manca l'Espressione per
l'Oggetto parlante? (132) DEL MUDO SUPPOSITIVO *36. Diciamo
espresso in Modo suppositivo, ogni Giudizio il quale si fonda sopra
un'ipotesi o supposizione qualunque; ossia ogni Giudizio, il quale contiene in
se stesso una supposizione; come « Siamo pur noi dimenticati: sia pur egli
stato vincitore : partano pur essi domani ec. " Ogni Giudizio di Modo suppositivo
appartiene ad uno dei tre Tempi assoluti, presente, passato o futuro; e nel
discorso tali Giudizj sono quasi sempre accompagnati da qualche Voce di
suppo-sizione, come pure, anche ec. Le Espressioni di Modo suppositivo sono alla TAvoLA
IV."; ove si avverta, che per convenzione quelle di futuro sono uguali a
quelle di Tempo presente; ma in pratica non è possibile confondere col presente
il Suppositivo futuro. Un Giudizio quando si dice di Modo suppositivo? (136)
- Un Giudizio di Modo suppositivo a quali Tempi appartiene ? (137)
In Modo suppositivo come si conjuga la Voce giudican-te? (138) DEL MODO
CONDIZIONANTE Diciamo
espresso in Modo condizionante, ogni Giudizio esprimente la condizione, alla
quale si appoggia un Giudizio condizionato qualunque (124); come «Se
fossirobusto, vorrei divertirmi alla caccia ». - Fissiamo quindi, che. un
Giudizo condizionante richiama sempre un Giudizio condizionato, e viceversa;
giacché in un sensato discorso l'uno non può stare senza l'al-tro, e ciò per
l'intrinseca loro essenza e natura. Ogni Giudizio di Modo condizionante appartiene ad
uno de' tre Tempi assoluti, presente, passato o fisturo; ed è quasi sempre
accompagnato da una Voce di condizione o condizionativa; come se, qualora ec. Le Espressioni di Modo
condizionante sono alla TAvOLA VIL'; ove si arverta, che quelle di futuro sono
uguali a quelle di presente; e pero che per distinguerle bisogna praticamente
far attenzione al sentimento del discorso. Le Espressioni di Modo
condizionante contengono sempre nell' intrinseca loro natura un principio
o di dubbio o di desiderio o di supposizione ec. Quindi per esprimere un
Giudizio condizionante libero da qualunque principio di sup-posizione, di
desiderio, di dubbio ec., ossia un Giudizio che indichi puramente la
condizione, si fa uso delle Espressioni assegnate alla Voce di giudizio nel
Modo certo-isolato; giacché in tal caso espressa la condizione con apposita
Voce condizio-nativa (140), la Voce giudicante deve semplicemente indicare
Giudizio e Tempo (120) - Questa osservazione. è della massima importanza, onde
darsi ragione di molte espressioni condizionanti; come « Se l'Amico arriva ec.
Se avete scritto ec. » DOMANDE Un Giudizio quando si dice di Modo
condizionante! (13) Un Giudizio condizionanté può stare nel discorso da
solo? Un Giudizio condizionante a quali tempi appartiene? (440)
Come si conjuga la Voce di giudizio in Modo condizio- • nante?
(141) Sulle espressioni condizionanti cosa dobbiamo specialmente
avyertire? (142) DEL MODO INCERTO 143. Diciamo espresso in Modo
incerto, ogni Giudizio accompagnato da incertezza riguardo all' esistenza di
ciò che esprime il Giudizio medesi-mo; come sia, sia stato ec. in « Mi pare,
che Pietro sia diligente: Si dice, che Píetro sia stato diligente éc. »
Ogni Giudizio di Modo
incerto deve essere preceduto dalla voce che, e da un'altro Giudizio il quale
per ora sarà da noi chiamato Giudizio precedente; come sarebbe negli esempi
suespres- si (143) mi pare che - si dice che - I Giudizj di Modo incerto
sono o isolati o dipendenti o condizionati, come quelli di Modo certo e nelle
medesime circostanze, avuto però riguardo all'esposto superiormente (144).
Quindi appartengono anche ai Tempi medesimi, tanta assoluti che relativi - Si
avverta però che il Tempo passato-anteriore-congiunto è proprio del solo Modo
certo-dipendente; e quindi che questa Tempo manca necessariamente al Modo
incerto. Al Modo incerto-isolato e
solamente in esso abbiamo i già analizati Tempi assoluto-relativi, presente-posteriore
(110), passato-posteriore (r11) e futuro-posteriore (112). Il Linguaggio però
considerando questi Tempi soltanto come relativi (113) ossia puramente come
posteriori, li esprime tutti tre colle Voci medesime, rimettendo all' analisi
del sentimento la cognizione del loro Tempo as-spluto. Noi quindi per amore di
brevitá chiameremo di Tempo assoluto-posteriore le Espressioni assegnate dal
Linguaggio per indicare qualunque di questi tre Tempi assoluto-relativi. Si
avverta per-tanto, che in Tempo assoluto-posteriore la Voce assoluto sta in
luogo di qualunque delle tre voci presente, passato; futuro, le quali nei
diversi incontri potranno anche sostituirsi volendo Le, Espressioni, della Voce
giudicante pel nostro Tempo assoluto-posteriore, in italiano sono eguali a
quelle di Tempo passato del Moda condizionato (127). Si avverta però bene di
non confondere i Giudizj incerti di Tempo assoluto-poste-riore con i Giudizj
condizionati; giacché sono essenzialmente diversi. Le Espressioni di Modo
incerto-isolato sono alla TAVoLA VIII' Quelle di Modo incerto-dipen-dente sono
alla TAvOLA IX." E quelle di Modo incerto-condizionato sono alla TAvOLA
X.* DOMANDE Un Giudizio quando si dice di Modo incerto? (‹43) Da che
dev'essere preceduto ogni Giudizio di Modo incerto ? (144) I Giudizi di
Modo incerto di quante specie sono? (‹45) Cosa intendiamo per Tempo
assoluto-posteriore? (‹46) Come si conjuga la Voce di Giudizio in Modo
incerto-isolato ! (148) La Voce di Giudizio come si conjuga in, Modo
incerto- dipendente ? La Voce di Giudizio come si conjuga in Modo
incerto- condizionato ? DEL MODO INTERROGATIVO ‹49. Diciamo
espresso in Modo interrogalivo, ogni Giudizio accompagnato da intérrogazione
ossia domanda; come « Che bramate? Dove andarono?' ec. 150: Un
Giudizio interrogativo può essere sem-plice, enfatico, o dubitativo. - È
semplice, quando semplicemente chiediamo cio ch'è espresso dal Giudizio; come «
Che faté? Siate bene? ec." - È enfatico, quando la domanda è accompagnata
da enfasi, cioè da un vivo sentimento dell'animo; come « L'indegno dov'è? E
vederlo non pos-so? ec. » - Finalmente è dubitativo, quando l'in-terrogazione è
accompagnata da un sentimento di agitazione o di dubbio; come « Sarei felice a
tal segno?, Sarebbe egli stato ferito? er. »' 15r. I Giudizj
interrogativi sono tutti incerti di loro natura, come indica chiaramente l'atto
di domandare. Siccome però l'incertezza del Giudizio é abbastanza espressa
della Interrogazione, cosi tali Giudizj vengono giustamenté indicati colle
Espressioni di Modo certo; come si vede alla TAVOLA XI' pel Modo
interrogativo-isolato, alla TAVOLA XII.ª pel Modo interrogativo-dipendente;
alla TAvoLA XIII." pel Modo interrogativo-condi-zionato e alla TAvoLA
XIV." pel Modo interro-gativo-dubitativo; avvertendo che il pratico
discorsa fa sempre distingiere il futuro dal presente. 152' Si avverta, che
gl'Interrogativi semplici ed enfatici si esternano con eguali Espressioni; e
per- ciò, che bisogna distinguerli, in iscritto pel sen-timento, e
parlando pel tuono di voce —, Si avverta inoltre, che la Lingua italiana ne'
Giudizj interrogativi o sopprime il Nome dell'Oggetto car-dinale, o lo pospone
alla Voce di giudizio: » Un Giudizio quando si dice di Modo
interrogativo? (149) Un Giudizio interrogativo di quante specie può essere?
(150) Quando è semplicé, quando enfatico, e quando dubitativo? La Voce di
giudizio come, si conjuga in Modo interroga-tivo-isolato? (151) La Voce
di giudizio come si conjuga in Modo interroga- tivo-dipendente? • :
La Voce di giudizio come si conjuga in Modo interroga- tivo-condizionato
?. La Vore di giudizio come si conjuga in Modo interroga-
tivo-dubitativo ? Gl' Interrogativi semplici ed enfatici come si
distinguono tra loro ? (152) DEL MODO GENERÍCO 153. Diciamo
espresso in Modo generico, ogni Giudizio, il quale è in genere applicabile a
qualunque Oggetto cardinale, e puo in genere appartenere a qualunque Tempo
assoluto; come « leg-gere, leggendo ec. »; espressioni, che praticamente possono
combinare. con io, il, egli, noi, voi, essi, come pure colle voci di Tempo
jeri, oggi, domoni ec. Quindi tali Espressioni giustamente sono da noi chiamate
generiche, ossia di Modo generico. x54. Un, Giudizo di Modo generico,
stante l'in-trinseca sua natura (‹53), nel pratico discorso non pud trovarsi
isolato: Quindi sarà sempre unito ad un altro Giudizio, che gli serva come di
base, e che noi perciò chiameremo Giudizio principale ;come periso, volevano
ec. in «Penso partire: Volevano leggere ec. ». #55. Ogni Giudizio di Modo
generico deve essere o determinante o sostituito o accompagnante.
DOMANDE Un Giudizio quando si dice espresso in Modo generico?
(153). Un Giudizio di Modo generico può stare nel discorso da solo?
(154) Cosa intendiamo per Giudizio principale?. Un Giudizio
generico dí quante specie può essere? (155) MODO
GENERICO-DETERMINANTE ‹56. Un Giudizio di Modo generico dicesi
de-terminante, quando effettivamente nel discorso non serve che a deterininare
l'Azione espressa dal Giudizio principale (*54): cosi in « Bramo partire »
partire è un'espressióne di Modo genérico-deter-minante; giacché determina
l'azione di sua natura indeterminata (*9), espressa dal Giudizio
principale bramo: 257. Ogni Giudizio di Modo generico-determi-nante
appartiene ad uno dei tre Tempi relativi (98), identico, anteriore, o
posteriore; avvertendo che questi Tempi propriamente si riferiscono all'Azione
espressa dal Giudizio principalé., 'I58. Le Espressioni di Modo
genorico-determi-nante sono alla TAvOLA XIV. - Si fáccia però attenzione, che
quelle di Tempo posteriore, cioe esser per essere ec., sono di quasi nessun uso
inbuon gusto italiano; e che quasi sempre si sostituisce loro, un' Espressione
futura, precêduta dal che: cosi invece di «Credo esser per essere felice »
diciamo « Credo, che sarò felice ec. » DOMANDE Un Giudizio generico
quando si dice determinante? (156) Un Giudizio generico-determinante a
quali Tempi appartiene ? (157) Al Modo generico-determinante come si
conjuga la Voce di giudizio? (158) 'MODO GENERICO-SOSTITUITO 15g. Chiamiamo
sostituite quelle Espressioni, che per eleganza e brevità il Linguaggio usa in
luogo di altre - Quindi un Giudizio di Modo generiço si dirà sostituito,
ognivolta che regolarmente e direttamente potrebbe essere esternato con altre
espressioni; come amando, scrivendo ec. in « Amando lo studia, diverrete
stimabili; cioè se amerete lo studio: Scrivendo all'Amico, gli feci menzione di
voi; cioè quando scrissi all'Amico ec. » Al Modo generico la Lingua
italiana abbonda di tali Espressioni sostituite. Quindi molto importa il
conoscerle analiticamente. 160. Le Espressioni di Modo
generico-sostituito possóno nel discorso presentarsi sotto tre aspetti diversi,
che saranno da noi chiamati sosticuito-primo, sostituito-secondo,
sostituito-terzo - Tale. diversità poi dipende unicamente dall' Oggettocardine
del Giudizio sostituito, come passiamo ad esporre. ‹6i. Un Giudizio di
Modo generico-sostituito e da noi detto sostituito-primo, quando il Giudizio
principale (154) ed il Giudizio sostituito anno il medesimo Oggetto cardinale;
come « Continuando voi a studiare, diverrete sapienti „: ove é chiaro, che il
Giudizio sostituito continuando ed il Giudizio principale diverrete, anno ló
stesso Oggetto cardinale voi. Un Giudizio di Modo
generico-sostituito si chiama sostituito-secondo, quando il suo Oggetto
cardinale è diverso da quello del Giudizio princi-pale, ma sotto qualche altra
situazione trovasi richiamato nell'insieme del Giudizio principale medesimo;
come « Perorando Cicerone, tutti lo ammiravano »: ove è chiaro, che Cicerone
Oggetto cardinale di perorando, è necessariamente richiamato nell'insieme del
Giudizio principale colla voce lo, ossia lui, vale a dire. Cicerone. Un Giudizio di Modo
generico-sostituito si chiama sostituito-terzo, quando il suo. Oggetto
cardinale, ed é diverso da quello del 'Giudizio principale, e non trovasi
richiamato nell'insieme del Giudizio principale medesimo; come « Amando voi lo
studio, giubilano i Genitori e la Patria »: ove è chiaro, che voi Oggetto
cardinale di aman-do, è diverso da quello del Giudizio principale giubilano, e
non é punto richiamato nell'insieme dello stesso Giudizio principale. •164.
Ogni Giudizio di Modo generico-sostituito appartiene ad uno dei, tre Tempi
relativi, identi-co, anteriore, o posteriore; e ció secondo la natura
dell'azione espressa dal Giudizio principale. 165. Le Espressioni per
ciascuno dei tre sostituiti sono alle TayoLs XVI.' XVII. XVIII.® - Onde
abilitarsi a distinguere facilmente l'un Sostituito dall'altro, è necessario
esercitarsi molto nel fare le debite sostituzioni per tutti i Tempi, Numeri ed
Oggetti cardinali, come qui vedesi indi; cato pel Tempo identico del
sostituito-primo : Essendo giovine, studio - cioè - Studio, perché son
giovine - Essendo giovine, io studiava - cioé -- Quando era giovine, io
studiava - Essendo giovine, studiero - cioè — Quando sarò giovine,
studieró - Essendo giovine, studierei - cioé Se fossi giovine, studierei
- ec. ec.. ec. ес. ec, DOMANDE Cosa
intendiamo: per Espressioni sostituite? (159) Un Giudizio di Modo
generico quando si dice sostituito? Un Giudizio di Modo
generiea-sostituito sotto quanti aspetti può presentarsi nel discorso?
(160) Quando lo chiamiamo Sostituito-primo ? (161) Quando lo
diciamo Sostituito secondo? (162) Quando Sostituito-terzo? (163) Un
Giudizio di Modo generico-sostituito @ quali Tempi appartiene ? (164)Al Modo
generico-sostituito come si conjuga la Voce di giudizio ? (165) MODO
GENERICO-ACCOMPAGNANTE Un Giudizio di Modo generico dicesi ac-compagnante,
quando non fa che puramente accompagnare l' Azione espressa dal Giudizio
prin-cipale; come ridendo e cantando in « Pietro parlò ridendo, e l'Amico gli
rispose cantando»: ove è chiaro, che l'azione di ridere è soltanto espressa
come accompagnante quella di parlare, e l'azione di cantare soltanto come
accompagnante quella di rispondere. Ogni Giudizio di Modo generico-accompa-gnante deve
per l'intrinseca sua natura aver luogo al tempo stesso dell'Azione espressa dal
Giudizio principale. Quindi un Giudizio generico-accompa-gnahte non può
appartenere, che al solo Tempo relativo da noi chiamato identico (98). I Gindizj di Qualità (48),
i Giudizi passivi (53), e molti Giudizj attivi non possono per intrinseca loto
natura essere Giudizj accompa-gnanti. Quindi in questo Modo moltissimi Verbi
debbono necessariamente mancare di Espressione, come praticamente ne manca la
Voce di Giudizio. s0g. Si fissi intanto per norma generale, che le Voci di Modo
generico-accompagnante in italiano anno sempre la desinenza o in ando o in
endo, come sospirando, ridendo ec.: E siccome anche i Giudizi di Modo
generico-sostitaito anho queste medesime desinenze (x65); cosi avvertasi bene
di sempre analizare l'intrinseco nataral valore dell'espressione e del
sentimento, onde non confondere un Giudizio generico-sostituito con un Giudizio
generico-accompagnante. DOMANDE Un Giudizio di Modo generico quando
chiamasi accom- pagnarte? (166) Un Giudizio' generice-accompagnante
a quali Tempi ap-partiene? (167) Quali giudizi possono essere
accompagnanti ? (168). Le Espressioni di Modo generico-accompagnante qual
desinenza anno in italiano ? (169) EPILOGO DEI MODI 170. Da quanto
abbiamo finora esposto in questa seconda Parte risulta, che i nostri Giudizi e
quindi le Voci giudicanti e verbali possono nel' discorso presentarsi in otto
diversi Modi; cioé in Modo certo, desiderativo, volitivo, suppositivo,
condi- zionante, incerto, interrogativo e generico.. 17s. I Modi
certo, incerto ed interrogativo possono essere isolati, dipendenti e condizionati;
e l'Interrogativa può essere anche dubitativo. 172. Il Modo generico può
essere determinante, sostituito o accompagnante; e il. Generico-sosti-quito può
essere di primo, di secondo e di terzo ordine, ossia sostituito-primo,
sostituito-secondo e sostituito-terzo.In quanti diversi Modi può
presentarsi un Giudizio? (170) •I Modi certo, incerto ed interrogativo
cos' anno di par- ticolare?(175) Che r'ha di particolare nel Modo generico?
(172) AVVERTENZA SULLE TAVOLE 173. Le nostre Tavole contengono
soltanto Giu-dizj affermativi; ed è necessario esercitarsi anche nel ben
fissare l'idea precisa dei Giudizj negativi. Tal esercizio é peró
facilissimo, bastando agli espressi Giudizi affermativi aggiugnere debitamente
la Voce negativa non, la quale in italiano sempre deve precedere la Voce
giudicante o verbale. Nel fare la Conjugazione negativa si faccia
attenzione al Tempo presente del Modo volitivo; giacché in ésso la Voce di
giudizio per l'Oggetto ascoltante di Numero unale, in italiano deve esprimersi
col così detto infinito presente, vale a dire. coll' Espressione dal Linguaggio
assegnata pel Tempo identico di Modo generico-determinante; come « Anzi-co, non
uvilirti; non piangere; non essere cost mesta ec. » Le nostre Tavole contengono
Oggetti cardinali soltanto maschili. Si avverta pertanto di sostituirvi anche
Oggetti cardinali femminili; richiamando che io, tu, noi, voi servono ád ambedue
i Sessi; che ella ed esse sono i Pronomi pei terzi Oggetti femminili; e che. la
Voce giudicante stato, e le Voci verbali ne' Giudizj passivisieguono sempre il
Numero ed il •Sesso, dell'Oggetto cardinale (55). Si avverta che il terzo
Oggetto nelle Tavole richiamato dal pronome unale egli, s'intende esser sempre
diverso dall'Oggetto Amico, che spesso trovasi nel medesimo sentimento o
periodo. 176. Il fissare con precisione la forza e l'idea corrispondente
a ciascuna Espressione tanto giudicante che verbale, è della massima importanza
per lo studio ragionato di Lingua. Quindi si raccomanda un particolare
esercizio, primieramente sulle Tavole presentate, e in seguito soprà
altri Verbi molti, tenendo le Tavole medesime per modello relativamente ai
Modi, Tempi ec. Nel conjugare un Verbo qualunque si avverta poi di
esprimer sempre un sentimerito completo; essendo altrimenti impossibile
afferrare l'idea conveniente a ciascuna Espressione verbale, e questo
specialmente ne' Tenipi relativi - Quindi anche nelle Tavole presentate si
avverta di ripetere in ciascun Numero e per ogni Oggetto cardinale quella parte
di sentimento, che in molti tempi trovasi o sopra • sotto, indicata una
volta sola per amore di bre-vità; come « Quando & Amico parti ec.» TAVOLA
II.' DOMANDE La Voce di Giudizio come si conjuga negativamente? (123)
Conjugando negativamente, cosa avviene al Modo volitis на? (174)
Come si conjuga coll' Oggetto cardinale femminile ? (175) Nel conjugare i
Verbi cosa dobbiamo specialmente avver-tiré? (176)177: ABBrAMo giá fissato (9,
19), che esistono delle Azioni e degli Oggetti indeterminasi, ossia non
determinati; e quindi che sono egualmente indeterminate le Voci, che servono ad
'esprimere tali Oggetti ed Azioni. Ora una Voce indeterminata non esprime e non
presenta allo spirito, che un'idea puramente generica; come piante, scrive,
direte e. in « Le Piante sono verdi: Pietro scrive: Voi direte ec.
» 178. È vero che alle volte stante la natura del discorso, dobbiamo,
semplicemente esprimere l'idea generica dell'Oggetto o Azione indeterminata,
come uomo e studiare in « L'uomo deve amare l'occupazione: gli scolari debbono
studiare »; ma più spesso ci è necessario specificare limitare ossia
determinare questa Idea generica, espressa dalle .Voci indeterminate.
Analiziamo dunque ciò che riguarda tale deter-minazione, prima per gli Oggetti,
e poscia per le Azioni; avvertendo che chiamiamo
determinandi gli Oggettivi ed i Verbi esprimenti Azioni ed Oggetti che nel
discorso debbono praticamente deter-minarsi. È qui bene avvertire che gli
Oggettivi indeter-minati, quando non sono praticamente determi-nandi, in
italiano lasciano, mólte volte l'Articolo. DOMANDE Cosa esprime una
Voce determinata, qualunque ? (177) " Questa Idea generica basta
ella sempre 'all' intelligenza e precisione del discorso? (198) Cosa
intendiamo per Oggettivi e Verbi determinandi ? Un Oggettivo
indeterminato quandò può lasciare l'Articolo? DETERMINAZIONE DEGLI
OGGETTI Un Oggetto di sua natura
indeterminato, può nel discorso determinarsi col mezzo o d' un altro Oggetto, o
d'una Qualità, o d'un Giudizio, Nel discorso avremo dunque e degli Oggettivi e
dei Qualitativi e dei Giudizj determinanti-ogget io (a), ognivolta che tali
Oggettivi, Qualitativi e Giudizi non servono ad altro che a determinare
convenientemente l'idea generica d'un Oggetto indeterminato qualunque. Un Nome oggettivo
det-oggetto in italiano (a) Fissiamo, che d'ora innanzi det premesso ad una pas
rola qualunque, significa sempre determinante o determi- nati; come
del-oggetio, des-azione ec.è sempre preceduto dalla, voce di. Questa Voce si
unisce spesso all'Articolo (r2); ed allora abbiamo del, dello, della, dei,
degli, delle, equivalenti rispettivamente a di lo, di la, di li, di le -
Quindi soldati, amico, chiesa, studi, stelle, Pietro ec. sono Oggettivi
det-oggetto in « Il valore dei soldati; il libro dell'Amico; la Porta della
Chiesa; il corso degli studj; la distanza delle stel-le; il cavallo di Pietro
ec. » 181. Un Nome qualitativo det-oggetto nel discorso è sempre
immediatamente unito all'Ogget-tivo determinando, di cui siegue pur sempre e
Numéro e Sesso - Quindi saggio, afflitto, stu-diosi, nuove ec. sono Qualitativi
:det-oggetto in «L'nomo saggio; la Madre afflitta; i, Giovani studiosi; le
nuove Fabbriche ec. » , 182. Un Giudizio det-oggetto in italiano è sempre
preceduto dalla voce quale coll'Articolo, cioe da il quale, la quale ec. Quindi
quale coll' arci colo non è che puro segno di Giudizio det-og-getto, ossia
segno det-oggetto; avvertendo che alla Vóce quale praticamente sogliamo molte
volte so: stituire che, cui ec. - Quindi fugge, arrivarono, studierà, parlale;
sarticimo ec. sono Giudizi ossia Verbi det-oggetto in « Il cane, il quale o che
fug-ge; i soldati, i quali o che arrivaronó; il giovine che studierà; il libro,
del quale o di cui parlate; la stanza, dalla quale sortiamo eci » 183. Si
ayverta che il quale, la quale ec. ossia il Segno di Giudizio det-oggetto
siegue sempre ilNumero ed il Sesso dell'Oggetto determinando; e che inoltre
deve essèr posto nella sua conve- niénte. Sicuazione (196).
DOMANDE L'idea génerica d'un Oggetto da quante cose può essere
dèterminata? (179) Qual è in italiano il Segno d'un Oggettivo
det-oggetto? (180), Qual è il Distintivo d' un Qualitativo det-oggetto?
(181) Cosa dobbiamo osservare sul Qualitativo det-oggetto ? Qual è
il Segno d' un Giudizio o Verbo del-oggetto? (182) Cos' è propriamente la
Voce quale coll' articolo'? Cosa dobbiamo osservare sul Segno di Giudizio
det-og-getto? (183) AVVERTENZA SUGLI OGGETTIVI INDETERMINATI I Nomi oggettivi
indeterminati, come uà mo, stelle; fiore ec sono in natura applicabili a
moltissimi Oggetti particolari, cioè a ciascun Uo-mo, a ciascuna Stella, a
ciascun Fiore ec. ; ed ogni Oggettivo indeterminato, preso isolatamente;
s'intende esprimere tutti gli Oggetti particolari ai quali è applicabile. Cost
dire « Il cane è fedele; l'Uomo è ragionevole ec. » é lo stesso che dire «
Tutti i cani sono fedeli; tutti gli Uomini sono ragionevoli ec. » Ora alle volte accade, che
nel discorso dobbiamo indicare o un solo o soltanto una porziona degli Oggetti
espressi dal Nome oggettivo; essendo però obbligati per tale indicazione a far
uso del medesimo Oggettivo indeterminato, In tal caso per indicare, che non
intendiamo esprimere l'Oggetto in genere ossia tutti gli Oggetti parziali, al
Nome oggettivo, togliamo l'Articolo cioè il Segno di Nomo indeterminato (13); e
per indicare la quantità.de-gli Oggetti speciali che esprimiamo, all'Articolo
sostituiamo una Voce di numero, cioé uno, qual che, alcuni, molti ec. secondo
le circostanze; come « è incontrato alcuni Giovani: un Soldato bat- teva
un cane ec. » Dopo ciò è
facile intendere qual differenza passi tra l'Uomo, gli Uomini ec. ed ur Uomo,
qualche Uomo, alcuni Uomini ec. - Le espressioni coll'Articolo, cioè l'Uomo gli
Uomini ec. presentano allo spirito tutci gli Uomini; e le espressioni senza
Articolo, cioè un omo alcuni Ua-mini ec. presentano soltanto una porzione degli
Oggetti contenuti nel Nome generico Uomo. DETERMINAZIONI DELLB AZIONI Un'Azione indeterminata può
determinarsi col mezzo, o d'un Oggetto o d'un Giudizio. Quindi nel discorso
avremo e degli Oggettivi e dei Giudizi determinanti-azione, ognivolta che tali
Oggettivi e Giudizj non servono ad altro che a limitare ossia a determinare
convenientemente l'Idea generica d'un' Azione indeterminata qualunque. L'Oggettivo det-azione in
italiano si esprime perfettamente come il Nome Oggettivo cardinale (197); vale
a dire, se indeterminato, é preceduto dall'Articolo; e se determinato, non
epreceduto da alcun segno: Così soldati, libro, fiori, Pietro ec. sono
Oggettivi det-azione in « Il Capitano ammoni i soldati; datemi il libro; ho
ricevuto i fiori; mandate Pietro alla caccia ec. »; e sono Oggettivi cardinali
in « I soldati combattono; il. libro non si trovò; i fiori appassiranno; Pietro
é già partito ec. ». Quindi per conoscere se l'Ogget-tivo praticamente è
det-azione oppure cardinale, bisogna far attenzione al sentimento. ¡Si avverta
che le poche voci me, te, se, lui, lei, loro sono esclusivamente det-azione, e
sas: possono mai essere Cardini di giudizio. 18g. In italiano
generalmente l'Oggettivo cardinale precede il Verbo, e l'Oggettivo det-azione
lo siegue; come può vedersi negli esempj surrife-riti (188) - L'Oggettivo
det-azione però molte volte si esprime con un Pronome, e ciò propriamente
quando l'Oggettivo fu espresso immediatamente prima; e molte volte si esprime
con un Nome generico sostituito, come mi, ti, vi ec., e ció propriamente negli
Oggetti parlante ed ascoltante. Ora in questi due casi onde collocare
convenientemente il Nome generico o il: Pronome, bisogna fare attenzione al
Verbo da essi determinato. • 1.° Se il; Verbo è di Modo generico (153)
oppure di Modo volicivo (131) ma non al terzo Og-getto, il Nome generico o
Pronome si pospone. al Verbo medesimo, formandone una sula Parola, comé «
vedermi, chiamarla, speditela ec. » IL Se il Verbo non e né di Modo
generico nédi Modo volitivo come sopra (I), allora il Nome generico o Pronome
si antepone al Verbo mede-simo; e la Voce verbale quando sia accompagnata
dall'ausiliario avere, siegue sempre il Numero ed il Sesso del Nome generico o
Pronome det-azione; come « Egli mi vidde; il Padre lo chiamerà; li avrò
incontrati; le avrò incontrate ec. » . 1go. Un Giudizio det-azione o é
espresso in Modo generico-determinante (156), o è preceduto dalla Voce che;
Voce la quale perciò da noi giustamente sarà chiamata Segno di Giudizio
det-azio-ne, o più brevemente Segno det-azione. Quindi partire, arrivano, scriviate
ec, suno Giudizi ossia Verbi det-azione in « Voglio partire; vedo che arrivano;
bramano che scriviate ec. » Siccome è di multa importanza il conoscere,
quando un Giudizio o Verbo det-azione debbasi esprimere al Modo generico, e
quando debba farsi precedere dal Segno che; come pure essendo preceduto dal
che, quando si debba esprimere in Modo certo, e quando in Modo incerto, cosi
passiamo a parlarne separatamente. 191. Si avverta, che il Giudizio det
azione fulura può indicarsi con espressione di Tempo presente, ognivolta che la
sua futurità è bastantemente espressa o dal Verbo determinando o dalla natura
stessa dell'Azione determinante; come « Spero che ar-rivino, cioè che
arriveranno: Temo di partire fra poco, cioè temo di dover partire, ossia che
partirò fra poco eç. »L'Idea generica d'un'Azione da quante cose può venire
determinata? (187) Qual è il distintivo dell'Oggettivo det-azione?
(188) L'Oggettivo det-azione come si distingue dall' Oggettivo cardinale?
(18g) L'Oggettivo det-azione in quali easi può precedere il Verbo?
Cosa dobbiamo avvertire rapporto alla Voce verbale ? Qual è il distintivo
d'un Giudizio detrazione? (190) Come denominiamo la Voce che ? Un
Giudizio det-azione futuro quando può esprimersi col presente? (191)
GIUDIZIO DET-AZIONE AL MODO GENERICO. 190. Le espressioni di Modo
generico (153) non si riferiscono ad alcun Oggetto cardinale in ispe-cie, óssia
per loro intrinseca natura sono applicabili a qualunque Oggetto cardinale -
Dunque un, Giudizio der-azione si esprimerà in Modo ge-nerico, ognivolta che
senza alterare o rendere oscuro il sentimento può non essere accompagnato dal
suo Oggetto cardinale; il che à luogo nei tre casi seguenti. L.°
Quando il Giudizio det-azione accenna l'Ae zione in generale, senza punto
occuparsi dell'Oggetto che la eseguisce; come cantare, piangere éc: in « Sento
cantare; sentii piangere ec: » II.° Quando l'Oggetto cardinale del
Giudizio det-azione è quello stesso del Verdo determinando; come in « Voglio
partire; voi credete essere dili-genti; essi pensavano tornare ec. »
III. Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio det-azione fu prima
espresso chiaramente, e in modo che nel discorso non può nascere alcuna
oscurità o confusione; comé «Vi o veduto giuo-care; li sento ridere ec. »
DOMANDI Un Giudizio det-azione quando si esprime in Modo gene-rico?
(192) Un Giudizio det-azione in quali casi può starsene senza il suo
Oggetto cardinale? GIUDIZIO DET-AZIONE PRECEDUTO DAL CHE Un Giudizio det-azione deve
essere preceduto dal che, ognivolta che non può essere espresso in modo
generico; vale- a dire, ognivolta che non trovasi in alcuno dei tre casi
sovraesposti (192) — Quindi avremo « Sento, che i Soldati cantano ; credo, che
l'Amico sia felice; viddi, che scrivevate ec. » Si richiami (‹58), che il
buon gusto italiano al Modo generico non usa quasi mai le espressioni del Tempo
relativo, da noi chiamato posteriore; e quindi che in tal caso il Giudizio
det-azione deve esprimersi col che; come « Credo che partirò; dicono che torneranno
ec. » invece • di Credo di essere per partire; dicono di essere per tornare ec.
»Un Giudizio det-azione quando deve essere preceduto dal che? (*93) Un
Giudizio di Modo generico quando può esprimersi. col che ? (194) GIUDIZIO
DET-AZIONE AL MODO O CERTO O INCERTO 195. Il Giudizio det-azione
prèceduto dal che, sempre deve esprimersi in Modo o certo o in certo - Per
conoscere poi quando esprimersi debba in Modo certo e quando in Modo incerto,
bisogna osservare l'intrinseca natura del Verbo determinando (178). I.°
Il Giudizio det-azione preceduta dal che, si esprime in Modo certo (ix4),
quando il Verba determinando contiene in se la certezza di ciò che esprime il
Giudizio det-azione medesimo; come « Vidi, che i Giovani fuggivano; so, che
siete diligenti; son certo, che avete studiato ec. » II.° Il Giudizio
det-azione preceduto dal che si esprime in Modo incerto (143), quando il Verbo
determinando contiene in se l'incertezza di cia che esprime il medèsimo
Giudizio det-azione ; come « Mi pare, che fuggano; teme, che arrivino ec.
n Si avverta, che tale incertezza esiste, naturalmente r. ognivolta che
il Verbo determinando è negativo; come. « Non vidi, che scrivessero;ignoro
ossia non so, che siete diligenti ec.» a.° ogni-volta che il Giudizio
det-azione esprime una cosa futura riguardo all'espressione del Verbo
deter-minando; come « Voglio, che scriviate; il Prim-cipe ordinò, che
partissero ec. » DOMANDE Un Giudizio det-azione preceduto dal che,
in qual Modo si esprime? (195) Quando si esprime in Modo certo? Quando
si esprime in Modo incerto?196. Uso stesso. Oggetto può in diversi incontri
presentarsi in Situazioni diverse, ossia sotto diversi aspetti rapporto alla
nostra maniera di considerarlo. Dunque indicando nel discorso un Oggetto,
dobbiamo precisarne sempre la vera Situazione. È dunque necessario conoscere le
varie Situazioni, nelle quali può trovarsi un Oggetto; come pure è necessario
conoscere il Segno caratteristico, che la Lingua italiana à fissato per
ciascuna di esse — Passiamo dunque a farne dettagliata esposizione; e fissiamo
al tempo stesso una Voce, che unita alla parola Oggettivo, esprima
possibilmente la Situazione medesima. OGGETTIVO CARDINALE
197. Chiamiamo cardinale, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto cardine di
Giudizio (9); come io, voi, Pietro, Scuola ec. in i Io partiró; voi non avete
scritto; Pietro dorme; la scuola è l nita ec. » Il Segno caratteristico
dell'Oggettivo cardinale consiste, pei Nomi indeterminati nell'Articolo (12), e
pei Nomi determinati nel non avere alcun segno. OGGETTIVO NOMINANTE Chiamiamo nominante, ogni
Oggettivo esprimente un Oggetto che nel discorso deve puramente essere
nominato; come Pietro, danaro, città ec. in « Tizio è più saggio di Pietro;
senza danaro non potrai far nulla; i soldati passarono per la citta ec. » L'Oggettivo nominante à
generalmente il Segno caratteristico dell'Oggettivo cardinale (198). OGGETTIVO
CHIAMANTE Diciamo chiamante, ogni
Oggettivo esprimente un Oggetto, il quale è da noi effettivamente chiamato
perché ci presti attenzione; come Pic-tro, Amico, Signore ec. in «Pierro,
datemi quel libro: Amico, dove; andate ? Signore, assistele mi! ес. »
202. Il Segno caratteristico dell' Oggettivo chiamante é il non averne alcuno;
benché comunemente si creda essere la voce o. Questa Voce a mio credere si
potrebbe usare tutto al più col nome generico dell'Oggetto ascoltante, cioè o
tu, o voi - Si avverta però di non confondere la voce, o con oh particella
enfatica, la quale suole spesso accompagnare ossia precedere gli Oggettivi
chiaman- Un Oggeito che viene da
noi, chiamata, deve di sua natura essere Oggetto ascoltante - Si fissi quindi,
che non può chiamarsi né l'Oggetto parlante, nè un terzo Oggetto qualunque.
OGGETTIVO DET-AZIONE Chiamiamo
det-azione ossia determinante-azione, ogni Oggettivo esprimente un
"Oggetto il quale serve a determinare un' Azione (187) ; come Soldato,
Amici, montagne ec. in « Vidi' un Soldato; salutate gli Amici; osserviamo prima
le montagne ec. » L'Oggettivo det azione à
sempte il Segno caratteristico dell'Oggettivo cardinale (198) - Quin-di,
richiamando che gli Oggettivi nominante e chiamante sono anch'essi molte volte
uguali al-l'Oggettivo cardinale, si vedrà quanto sia pieces-sario allo studio
ragionato di Lingua, far sempre grande attenzione al sentimento ed all'
intrinseca matura del pratico discorso. DOMANDE Cosa intendete per Situaziöne
d' un Oggetto (rg6)? Un Nome oggettivo quando chiamasi cardinale
(197)?. Qual è il Segno dell'Oggettivo cardinale? (198) Un Nome oggettivo
quando si dice nominante? (199) Qual è il Segno dell'Oggettivo nominante? (200)
Un Nome oggettivo quando si dice chiamante? (201) Qual è il Segno dell'
Oggettivo chiamante? (202) Quali Oggetti possono chiamarsi? (303)
Un Nome oggettivo quando si dice del-azione ? (204) Qual è il Segno
dell'Oggettivo det-azione? 206. Chiamiamo cominciante, ogni Oggettivo
esprimente un Oggetto nel quale comincia an'A-zione o un Moto qualunque; come
Roma, sto rie, campagna ec. in « Mi allontanai da Roma ; è narrato dalle storie;
tornarono dalla campagna ec. » 207. Il Segno caratteristico
dell'Oggettivo cominciante è la Voce da - Questa Voce trovandosi avanti
l'Articolo, si unisce ad esso in una sola parola; ed allora abbiamo le voci
composte dal dallo dalla, dai dagli dalle, equivalepti rispettivamente a do lo,
do la, da li, da le. OGGETTIVO TERMINANTE • 208. Chiamiamo
terminante, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto nel quale va a terminare un
Moto o un'Azione qualunque col mezzo di moto; come Campagna, Amico, Casa ec. in
« Andiamo alla Campagna; mandate questo libro all'Amico; verrò a Casa vostra
ec. " / 209. Il Segno caratteristico dell'Oggettivo
ter-minante, è la Voce a - Questa Voce trovandosi avanti l'Articolo, si unisue
ad esso; ed allora abbiamo le Voci composte al allo alla, ai agli alle,
equivalenti rispettivamente ad a lo, a la, ali, a le. Se la parola
seguente il Segno a, comincia per vocale e non debba essere preceduta
dall'Articolo, / in luogo di a usiamo ad; come « Scrissi ad
An-tonio; ad entrambi ec. »Si avverta, che l'Oggettivo ferminante suol es sere
anche preceduto da altre Voci, come in, da eç., le quali però debbono
considerarsi come sostiluito al Segno caratteristico a. Cosi invece di «
Andiamo alla Campagna; verrò a Casa vostra ec. » sogliamo dire « Andiamo in
campagna; verró da voi ec. » = Quindi bisogna far bene attenzione alla natura
del discorso. OGGETTIVO RICEVENTE aro. Chiamiamo ricevente, ogni
Oggettiro espri mente un Oggetto il quale o effettivamente ricere, o per lo
meno da roi si considera puramente nella situazione di ricevere qualche cosa;
come Corrie-re, Amico, Figli ec. in « Consegnerete queste lettere al corriere;
ha dato il vostro libro all'Ami-co; il Padre disse ai Figli ec. » L'Oggettivo ricevente à
sempre il Segno che abbiamo fissato per l'Oggettivo terminante (209), cioè la
Voce a - Quindi si avverta di non con-fondere, stante l' uguaglianza di Segno,
l'Oggettivo ricevente col terminante; e perciò praticamente si ponderi sempre
bene la natura dell'Azione e l'in- trinseco valore del sentimento. OGGETTIVO
CONTENENTE Chiamiamo contenente, ogni
Oggettivo espri mente un Oggetto che nel discorso si consideracontenente in
effetto o per lo meno capace di contenere qualche cosa; come Roma, Principe,
libro ec. in « Pietro è in Roma; sperate, ossia ponete la vostra fiducia nel
Principe; trovai nel vostro libro una frase ec, » 253. Il Segno caratteristico
dell'Oggettivo contenente è la Voce in - Questa Voce trovandosi avanti
l'Articolo, si unisce ad essa; ed allora abbiamo le Voci composte nel nello
nella, nei negli nello, equivalenti ad in lo, in la, in li, in le. Si
avverta, che in luogo del segno in alle volte sostituiamo la voce a; come «
l'Amico trovasi alla campagna, a Milano ec. » Quindi bisogna fare la debita
attenzione al pratico discorso. DOMANDE Un nome oggettivo quando
chiamasi cominciante? (206) Qual è il Segno dell' Oggettivo cominciante?
(207) Un Nome oggettivo quando si dice terminante? (208) Qual è il Segno
dell'Oggettivo terminante? (209) Un Nome oggettivo quando si dice ricevente?
(210) Qual è il Segrio dell' Oggettivo ricevente? (211) Un Nome oggettivo
quando chiamasi contenente? (212) Qual è il Segno dell'Oggettivo
contenente? (213) OGGETTITO CONTENUTO 214. Chiamiamo contenuto,
ogni Oggettivo esprimente un Oggetto il quale realmente si considera contenuto
ossia esistente in un altro Oggetto qua-lunque; come ingegno, ricchezze, onori,
liquore ec. in « l'Amico è dotato d' ingegno; il Principecolma di ricchezze e
di onori; questa bottiglia è piena del liquore mandatomi ec. " Il Segno caratteristico
dell'Oggettivo contenuto è la Voce di - Questa Voce trovandosi avanti
l'Articolo, si unisce ad esso; ed abbiamo le Voci composte del dello della, dei
degli delle, equivalenti a di lo, di la, di li, di le. OGGETTIVO DET-OGGETTO Chiamiamo det-oggetto ossia
determinante-oggetto; ogni Oggettivo esprimente un Oggetto che serve a
determinarne un altro (‹79); come Pietro, piante, Sempione ec. in « Il cavallo
di Pietro; l'ordine delle piante; la strada del Sempione ec. » 317. Il. Segno
caratteristico dell'Oggettivó de-oggetto è la Voce di, come per l'Oggettivo
contenuto (215). OGGETTIVO RELATIVATO 228. Chiamiamo relativato, ogni
Oggettivo esprimente un Oggetto relativamente a cui, ossia riguardo a cui si
pronuncia un dato Giudizio; come Pietro, noi, negligenza, me, guerra, metodo
ec. in « Che si dice di Pietro? Che sarà di noi! Vi accusano di negligenza:
disponete di me: parlano di guerra: discorriamo del metodo ec. » erg. Il
Segno caratteristico dell'Oggettivo rela- tivato è la Voce di, come per
l'Oggettivo conten Diciamo indefinita, ogni Oggettivo il qua-le, se di
Numero unate esprime una parte inde finita dell'Oggetto, e se di Numero plurale
esprime un numero indefinito degli Oggetti che rappre-senta; comé carta, pane,
randini, canárini ec. in « Datemi della Carta e del Pane; ho visto delle
Rondini e de' Canarini ec. » Il Segno caratteristico dell'Oggettivo indefinito é
la Voce di, come per l'Oggettivo contenuto (215). Quindi la Voce di servendo
praticamente ad esprimére quattro diverse Situazioni (215, 17, 19, 31), si
faccia sempre moltissima attenzione al sentimento del discorso; e si sappia in
ogni circostanza ben distinguere fra loro gli Oggettivi contenuto, det-
oggetto, relativaio, e indefinito. DOMANDE Un Nome oggettivo quando
chiamasi contenuto? (214) Qual è il Segno dell'Oggettivo contenuto? (215)
Un Nome oggettivo quando si dice dei-oggero? (216) Qual è il Segno
dell'Oggettivo det-oggetto ! (217) Un Nome oggettivo quando chiamasi
relativato? (218) Qual è il Segno dell'Oggettivo relativato? (219)
Un nome oggettivo quando si chiama indefinito? (220) Qual è il Segno
dell'Oggettivo indefinito? (221) 222. Abbiamo più volte rimarcato, che
uno stesso Segno serve praticamente ad accennare più Situa-zioni. Quindi
si fissi, che in Lingua italiana la Situazione precisa dell'Oggetto non sempre
può rilevarsi dal Segno, e che bisogna perció ricorrere all analisi del
sentimento. Il sapere bene e con facilità rilevare la vera Situazione
degli Oggetti che ci si offrono nel discor-so, è cosa della massima importanza,
specialmente per passare dalla propria allo studio di altre Lin-gue. Quindi se
ne inculca il conveniente esercizio. Nel fissare le varie Situazioni
degli Oggetti abbiamo sempre supposto, che i Giudizj fossero praticamente
affermativi. Si avverta però, che relativamente al discorso la Situazione
dell'Oggetto non cangia, quand' anche il Giudizio fosse negativo; giacché la
forza negativa del Giudizio non pus punto influire, nè sulla natura dell'Oggetto,
né sulla nostra maniera di considerarlo. Quindi aven-dosi affermativamente «
l'Amico è dotato d'Inge-gno; vado a Roma; tornarono da Vienna; è in Casa ec. »
gli Oggetti Ingegno, Roma, Vienna, Casa ec. conservano la medesima Situazione
anche nei Giudizi negativi « l'Amico non é dotato, oppure l'Amico é mancante d'
Ingegno; non vado a Roma; non tornarono da Vienna; non è in Casa ec. — Lo
stesso dicasi rispettivamente di tutte le altre Situazioni. 228. ABBIAMo
gia detto (69), che Pronome significa Voce usata invece di un Nore; ed abbiamo
pure fissato i Pronomi di terzo Oggetto, tanto cardinale che posto in altre
Situazioni (68, 69, 70). Passiamo ora ad esporre ciò che riguarda altri
Pronomi molto essenziali e frequenti nel discorso. PRONOMI
DET-OGGETTO 224. Chiamiamo det-oggetto cioè determinanti-oggetto quei
Pronomi, che usiamo in luogo d'un Oggettivo det-oggetto (216). 225.
I Pronomi det-oggetto sono qui esposti di seguito per ciascun Numero e Sesso, e
cón in fine il loro preciso valore. UNALE PLURALE
MASCHILE FEMMINILE MASCHILE FEMMINILE Y ALORE
mio. mia miei . ¿. mie di mie tuo . • tui
. tuoi tue di te SUO • sua di lui
suoi sue - di lei nostro • nostra' 一 vostro : •
vostra - nostri nostre vostri่. • vostre = di noi di
voi loro • loro di essi loro: lora ー di esse 226.
In questi Pronomi dobbiamo sempre distinguere l'Oggetto ch' essi richiamano, e
l'Oggetto che determinano. I.° Rapporto all'Oggetto richiamato, ciascuno
dei primi tre Pronomi ne richiama sempre un solo, e ciascuno dei tré ultimi
richiama sempre più Oggetti. . Si avverta, che suo e loro anno
doppio signi-ficato, e che praticamente il vero significato, di questi due
Pronomi è sempre stabilito dal Sesso dell'Oggetto richiamato. •T°
Rapporto all' Oggetto che determinano, questi Pronomi debbono sempre seguirlo e
nel Numero e nel Sesso. Quindi avremo « il mio li-bro; la vostra casa; i miei
libri; le vostre case ec. » DOMANDE Che vuol dire Prononte ?
(225) Quali si chiamano Pronomi del-oggetto? (224) Sapreste
indicarli per ogni Numero e Sesso?Qual è il preciso valore di ciascuno di essi
? Cosa dobbiamo in essi avvertire, riguardo all'Oggetto che richiamano?
(I.°) Cosa, riguardo all'Oggetto che determinano?; (II.°) PRONOMI
IND-OGGETTO Chiamiamo indicanti oggetto
o più brevemente ind-oggetto, quei Pronomi che usiamo puramente per indicare un
Oggetto complessivo; vale a dire, un Oggetto che altrimenti converrebbe
esprimere, con più parole. Ecco di seguito i Pronomi ind-oggetto per ciascun
Numero e Sesso. UNALE PLURALE 220. Questo indica Oggetto vicino a chi
parla : Codesto indica Oggetto vicino a chi ascolta: Quello indica
Oggetto, che si considera lontano e da chi ascolta e da chi parla - Questi tre
Pronomi sie-guono sempre il Numero ed il Sesso dell'Oggetto da essi
indicato. Ciò serve ad ambedue i Numeri e Sessi, e indica un Oggetto
complessivo qualunque in ge-nere: come « Cio va bene; Ciò che viddi ec.Da ciò
comprendete ec. » — Invece del Pronome ciò molte volte per altro usiamo questo
o quello : come « Questo va bene; Quel che viddi ec. Da questo comprendete ec.
» 230. Si avverta che invece di quest' Uomo, codest Tomo; e quell omo,
quando tali espressioni sono Oggettivi cardinali (197), là Lingua italiana usa
rispettivamente questi, codesti, e quegli: come « Questi è mio Fratello; Quegli
é un gran Filosofo ec. » 23r. Si avverta inoltre che, sebbene di
pochis-simo uso, abbiamo anche le espressioni ossia i Pronomi ind-oggetto
costui, codestui, colui - costei, codesta, colei - costoro, codestoro, coloro;
e che ciascuna di tali espressioni equivale ad uno dei primi tre da noi già
fissati Pronomi (228), rispettivamente congiunti con una delle seguenti Voci
Uomo, Donna, Uomini, Donne - Quindi, Costui vuol dire quest' Uomo; Colei vuol
dire quella Donno ec. DOMANDE Che significa la Parola composta
ind-oggello? (227) Quali diconsi Pronomi ind-oggetto? Cosa
intendete per Oggetto complessivo? Esponete i varj Pronomi ind-oggetto
per ciascun Numero e Sesso. (228) Qual differenza passa tra questi
vari Pronomi? (229) Al Numero unale quando si usa questi, codesti, e quegli?
(230) Non vi sono altri Pronomi ind-oggetto? (23г)232. Chiamiario
penericicardinali quei Pronoti, i quali si usano soltanto come Cardini di
giudizio, ed esprimono in genere un terz Oggetto che precisamente non sappiamo
e non possiamo nominare. In italiano questi Pronomi sono due, egli e si; e
per intrinseca loro natura sono sempre di Numero unale. Il primo, cioè egli,
esprime che il Cardine di giudizio è un terzo Oggetto da noi non cono-sciuto;
come « egli piove; egli tuonava; egli balend ec. ». Questo Pronome in italiano
non si usa, ossia è sempre sottinteso; giacché diciamo semplicemente « piove,
tuonata, balend ec. " Si avverta di non confondere egli Pronome ge
nerico-cardinale con egli Pronome maschile di terzo Oggetto (69); giacché sono
essenzialmente diversi 235. Il secondo, civè si, esprime un Numero
indefinito di terzi Oggetti animati ed attivi; come « si crede, si pretendeva,
si vorrebbe ec. » cioe " taluno crede, pretendeva, vorrebbe » oppure
« alcuni credono; pretendevano, vorrebbero ec. » AVVERTENZA SUL SI
SEGNO-PASSIVO 236. La Lingua italiana molte volte esprime i Giudizj
passivi di terzo Oggetto colle voci destinate pei Giudizj attivi, unendo
semplicemente allaVoce di Giudizio o al Verbo la particella si; come « I
soldati si vedono in distanza; si ode il fragore delle armi; si desiderano le
ricchezze; si ama l'ozio ec. » — Dunque la voce o particella si in questo caso
giustamente sarà da noi chiamata segno-passivo, vale a dire segno di Giudizio
passivo (53). , Fissiamo dunque, che la Lingua italiana per rendere
passivo un Giudizio attivo di terzo 0g-getto; molte volte gli aggiunge
semplicemente la Voce o segno si, Voce affatto diversa da si Pronome generico
cardinale (235). DOMANDE Quali diciamo Pronomi generici-cardinali?
(237) In italiano quali sono i Pronomi generici cardinali? (235) Qual è
il valore del Pronome generico cardinale egli? (23.4) Qual è il valore del Pronome
generico-cardihale si? (235) La voce si è sempre Pronome ! (256)
Questa voce quando è puramente Segno-passivo? PRONOMI
GENERICI-NON-CARDINALI Chiamiamo generici-non-cardinali quei Pro-nomi, che
mai sono Cardini di giudizio, e che servono in genere a richiamare qualunque
Oggetto, il quale si trovi in una data Situazione. In italiano questi Pronomi
sono due, ne, e vi oppure ci; e servono a qualunque Numero e Sesso. Il primo, cioè ne, richiama
sempre o un Oggettivo relativato (218) o un Oggettivo cominciante (206) -
Richiama un Oggettivo relativatoin « Vedeste l'Amico? Che ne dite? Parlatene
bene ec. » cioè « Che dite' di lui? Parlate bené di lui ec. " - Richiamá
un Oggettivo cominciante in « l'Amico va al fiume, ed io ne vengo' vale a dire
« ed io vengo da esso ec. » 240. Il secondo, cioè vi oppure ci, richiama sempre
o un Oggettivo terminante (208) 0 un 0g-gettivo contenente (212) - Richiama un
Oggettivo terminante in « Andate in campagna? Forse vi andrò ec., cioè andrò
ad. essa »- Richiama un Oggettivo contenente in « é in casa l'Amico? Non ci
deve essere; non vi sarà certamente ec. » vale a dire « non deve essere in
essa; non sarà in essa certamente ec. »' DOMANDE Quali diciamo
Pronomi generici-non-cardinali? (237) In italiano quali sono i Pronomi
generici-non-cardinali? (258) Qual è il valore del Pronome ne?.
(23g) Qual è il valore del Pronome generico-non cardinale vi o ci?
(240) PRONOME RIFLESSO 241. In un medesimo sentimento ossia in un
Periodo di significante discorso, l'Oggetto che é Cardine di giudizio, alle
volte può e suole presentarsi in qualche altra Situazione. In tal caso
esprimendosi il Nome dell'Oggetto come Cardine di giudizio, la Lingua per
indicare qualunque altra di lui Situazione invece di ripetere il Nome oggettivo
usa una piccola Voce, porendola nellaSituazione conveniente. Ora questa Voce é
ciò, che noi chiamiamo Pronome rilesso; giacché dessa riflette ossia rimanda la
nostra attenzione verso l'Oggetto, che in quel Periodo é Cardine di
giu-dizio. 242. I Pronomi riflessi in italiano sono mo, te, se, noi, voi,
oppure le voci loro sostituite mi, ti, si, ci, vi; come si vede negli esempj
seguenti: io parlo di me tu parli di te egli parla di se ella
parla di se noi parliamo di noi • voi parlate di voi essi parlano
di se esse parlano di se io comincio da me tu cominci da te egli
comincia da se ella comincia da se noi cominciamo da noi voi cominciate
da voi essi cominciano da se esse cominciano da se 343. Si fissi dunque,
che il Pronome riflesso, s.° per tutti i terzi Oggetti di qualunque
Numero e Sesso è sempre la voce se; 2.° per l'Oggetto parlante sono le voci me
all'unale, noi al plurale;3. per l'Oggetto ascoltante sono le voci te al-
l'unale, ed al plurale voi. Per energia di espressione sogliamo spesso ai
Pronomi riflessi aggiugnere la voce stesso o medesimo (7), ponendola al
conveniente Numero e Sesso; come i lo incolpo me stesso; ella incolpava se
stessa; incolpate voi stessi ec. » • 244. Le voci me, te, noi, voi, o le
sostituite loro equivalenti mi, ti, ci, vi, sono anche Nomi generici degli
Oggetti parlante e ascoltante (68, 70). Inoltre le voci vi e ci sono
anche Pronomi gene-rici-non-cardinali (238) - Parimenti la voce si , sostituita
al Pronome riflesso se, è alle volte Pronome generico-cardinale (233), ed alle
volte segno passivo (236). In diverse circostanze una stessa Voce
potendo esprimere Idee affatto diverse, è dunque della massima entità l'
esercitarsi a leggere analiticamente; vale a dire, l'esaminare in ogni incontro
il valore e la natura d' una data Voce qualunque. DOMANDE Cosa
intendete per Pronome riflesso? (241) Qual è il Pronome riflesso per
l'Oggetto parlante? (243) Quale per l'Oggetto ascoltante? Quale per
un terza Oggetto qualunque? Conjugate. qualche Verbo col Pronome
riflesso. (242) AVVERTENZA SUI PRONOMI 245. Oltre gli analizati
finora esistono nel Linguaggio altri Pronomi, come ognuno, caluno,ciascuno,
chiunque ec., che giustamente potrebbero chiamarsi Pronomi generici - Tralascio
però di qui esporli; giacché é troppo facile conoscerli col semplice esercizio
di riflessiva analitica Lettura. AVVERTENZA SULLE VOCI SOSTITUITE
246. Le Voci ed Espressioni sostituite, cioè poste in luogo di altre, nel
discorso sono moltissime, ed è necessario saperle riportare alla primitiva loro
indole è natura. Ciò è per altro assai facile, quando si faccia la debita
attenzione al sentimento Quindi per amore di brevità credo potermi
dispensare dal qui farne qualunque enumerazione. 247. Le
Cose da noi esposte finora riguardano singolarmente la Parte filosofica del
Linguaggio. Quindi sono applicabili a tutte le Lingue, come-da noi furono
applicate alla Lingua italiana - Conoscendo la propria Lingua filosoficamente,
in fondo possiamo dunque dire di conoscere tutte le altre Lingue esistenti e
possibili; e non dobbiamo per ciò che applicarci allo studio della Gramma-cica
di ciascuna. Importa dunque molto il sapere, in che deve consistere tale
Grammatica. 248. Lo scopo della Grammatica e d'insegnare, come in un dato
Linguaggio dubbiamo esprimerci scrivendo o parlando (6, 7). Ora per parlare o
scrivere convenientemente una data Lingua qua-lunque, bisogna conoscere i suoni
e segni dalla convenzione attaccati a ciascuna Idea, e inoltre l'ordine con cui
debbono presentarsi ossia succedersi le idee e quindi i segni e suoni ad
essecorrispondenti. Ma tali cose 'dipendono esclusivamente dall'Abitudine, e
per esse non può as segnarsi Regola alcuna. Infatti gli uomini abbisognano
forse di Regole per ben apprendere la propria Lingua nazionale? Ma le scritte
Regole grammaticali non son esse posteriori all' esistenza delle Lingue? -
Dunque la vera Grammatica d'una Lingua qualunque propriamente non è altro che
l'Uso, ossia l'Esercizio nella Lingua me-desima. Vi sono però in ogni Lingua
alcune par-ticolarità, che ridotte a Regole generali sono uti-lissime, e
servono mirabilmente a facilitare l'intelligenza perfetta della Lingua che si
studia. La Grammatico seritta di qualunque Lingua non deve dunque contenere che
queste Regole gene-Tali. Esse sono essenzialmente pochissime, perché debbono
essere le sule utili essenzialmente; e si faccia bene attenzione, che tali
Regole non debbono studiarsi, se non quando gia s'intende la Lingua medesima
per cui sono scritte. Io mi era
proposto di stendere col mio Pia-no, ad uso degl' Italiani, le Regole per le
Lingue italiaria; latina, francese, inglese e tedesca. 'Alcune spiacevoli
combinazioni però me lo anno impedito, almeno per ora. Quindi mi limito a qui
brevemente indicare, cosa secondo il mio sistema dovrebbe essenzialmente
contenere una Grammatica scritta qualunque.I.° Fissare, quanti Sessi la Lingua
N. considera, nei Nomi oggettivi. II.® Esporre, ciò che in ambedue i
Numeri serve a distinguere i varj Sessi fra lora III.® Esporre le varie
Desinenze, che un Nome può avere al Numero tanto unale che plurale: IV.®
Stabilire, se nel discorso possa praticamente tacersi qualcuna delle tre Parti
di giudizio. V.° Esporre le Voci di Numero e d'Ordine, come pure le Voci
multiple, aliquote. ec. VI.° Stabilire, qual desinenza prenda l'Attributo
ne' Giudizj neutri e passivi. VII. Stabilire, qual desinenza prenda la
Voce verbale ne' Giudizj attivi. VIII.® Fissare, come si formi l'
Espressione femminile nei Nomi qualitativi e di Azione. IX.° Fissare,
come si formi l'Espressione plurale in qualunque Nome. X.° Stabilire il
Nome generico degli Oggetti parlante e ascoltante, tanto quando sono Cardini di
giudizio, come se trovansi in altre Situazioni. XI.° Stabilire il Pronome
generico pei terzi Og-getti, tanto cardinali come posti in altre
Situazioni. XII.® Esporre la legge di convenienza rapporto al Nome d' un
solo Oggetto ascoltante. •XIII.® Esporre il modo di esprimere il
massimo Aumento nelle cose. XIV.® Esporre il Modo di esprimere
qualunque Confronto.XV.° Esporre per ciascun Tempo di ciascun Modo
la Conjugazione della Voce giudicante, dei Verbi ausiliarj, e dei Verbi
considerati Modelli di Conjugazione. XVI.® Fissare, come debba esprimersi
un Og gettivo, un Qualitativo ed un Giudizio che sia det-oggetto. XVII®
Fissare, come debba esprimersi un Og gettivo ed un Giudizio che sia
det-azione. XVIII.® Esporre, come nei Nomi Oggettivi debba esprimersi
ciascuna delle varie Situazioni. XIX.® Fissare i Pronomi
det-oggetto. XX.° Fissare i Pronomi ind-oggetto. XXI.° Fissare i
Pronomi generici-cardinali. XXII.® Fissare i Pronomi generici-non
cardinali. XXIII® Fissare i Pronomi riflessi, e la Voce d'
energia. XXIV. Con degli esempj esporre le più frequenti Voci sostituite,
riguardanti singolarmente i Pronomi e qualche altra essenziale Parte di
di-scorso.TEMPo TEMPO TENPO TEMPO (TAVOLA I*)
PR io sono felice este felice noi siamo felici voi
siete felici essi sono felici PASSATO-CONGIUNTO io sono stato
felice tu sei stato lelice egli è stato felice noi siamo stati felici voi
siete stail felici essi sono stuti felici (TAVOLA 11.") •
PASSATONTO Quando l'a , io era infermo su eri infermo egli
era inferme noi eravamo inf voi eravate infe essi erano
infern FITURO-ANTERIORE L'A mico partira, quando io sarò stato
promosso tu sarai stato promosso egli sarà stato promosso noi saremo stati
promossi voi sarete stati promossi essi saranno stati promossi (T'AVOLA III.")
FUTURO Se l'Amico io sarei felice lu saresti felice arei
felice l'Amico giugnesse, egli sarebbe felicarerei be felice voi
sareste felici saremmo felici essi sarebbero sarebbero felici
(TAVOLA IV.") FUTURo oh fossi io piu 8 io pronosso domani! oh
fosse e pis cu promosso domani! egli promosso domani! oh fosi noi
pi mo noi promossi domani ! voi promossi domani! oh fossero essi
Piro essi promossi domani![EMPO PRESENTE io sono felice tu
sei felice egli è felice noi siamo felici voi siete
felici essi sono felici TEMPO" PASSATO-IDENTICO
Quando l'Amico parti io era infermo tu eri infermo egli era
infermo noi eravamo infermi voi eravate infermi essi erano
infermi Quando l'Amico parti io era stato ferito parti,
appena 10 Jai stato ferito L'A mico partira. quando io sarò stato
promosso tu eri stato ferito egli era stato ferito tu fosti
stato ferito egli fu stato ferito tu sarai stato promosso egli sarà
stato promosso noi eravamo stati feriti voi eravate stati
feriti essi erano stati feriti noi fummo stati feriti voi
foste stati feriti essi furono stati feriti noi saremo stati
promossi voi sarete stati promossi essi saranno stati promossi (TAVOLA
III.") TEMPO PRESENTE Se l'Amico fosse giunto, io sarei
felice tu saresti felice egli sarebbe felice noi saremmo
felici voi sareste felici essi sarebbero felici
PRESENTE oh fossimo noi più giovani! oh foste voi più
giovani! oh fossero essi più giovani! MODO CERTO ISOLATO PASSATO
io fui felice tu fosti felice egli fu felice noi fummo
felici voi foste felici essi furono felici FUTURO io
sarò felice tu sarai felice egli sarà felice noi saremo
felici voi sarete felici essi saranno felici MODO
CERTO-DIPENDENTE PASSATO-ANTERIORE NTERIORE CONGIUNTO MODO CERTO-CONDIZIONATO
PASSATO Se l'Amico fosse gianto, io sarei stato felice tu saresti stato
felice egli sarebbe stato felice noi saremmo stati felici voi sareste stati
felici essi sarebbero stati felici MODO DESIDERATIVO PASSATO
fossi io stato pit attento! foss' egli stato più attento! 1 fossimo
noi stati Josti von si st pi pit attenti! fossero essi stati più
attenti! (TAVOLA I.") PASSATO-CONGIUNTO io sono stato
felice tu sei stato felice egli è stato felice noi siamo stati
felici voi siete stari felici essi sono stati felici ( TAVOLA
11.ª) FUTURO-ANTERIORE FUTURO Se l'Amico giugnesse, io
sarei felice tu saresti felice egli sarebbe felice noi
saremmo felici voi sareste felici essi sarebbero felici
(TAVOLA IV.") FUTURO fossi io promosso domani! fossi tu
promosso domani! foss' egli promosso domani ! fossimo noi promossi
domani! foste voi promossi domani! fossero essi promossi
domani TEMPO PRESENTE sii tu il primo sia egli
il primo siam voi i prin sieno essi i primi MODO VOLITIVO FUTURO
sarai tu il primo sarà egli il primo saremo noi i primi sarete voi i primi
saranno essi i primi TEMPO PRESENTE sia pur io il più giovine
: sii pur tu il si pur esil p, giovince: siamo pur nor piu
giovani: siate pur voi i più giovani: sien e esigue giovani:
MODO SUPPOSITIVO PASSATO sia pur io stato l'ultimo: su pur tu
stato l'ultimo: sia pur egli stato l'ultimo : siamo pur noi stati
gli ultimi: siate pur voi stati gli ultimi: sieno pur essi stati gli
ultimi : Che s' inferisce da ciò? L'ebro PRESENTE se io
fossi felice, se tu fossi felice, se egli fosse felice, se noi fossimo felici,
se voi foste felici se essi fossero felici, L'Ámico gioirebbe. MODO
CONDIZIONANTE PASSATO se io fossi stato felice, se tu fossi stato
felice, se egli fosse stato felice, se noi fossimo stati felici, se voi foste
stati felici se essi fossero stati felici, L'Amico gioirebbe.
(TAVOLA V.") ( TAVOLA VI.") FUTURO sia pur io
promosso tra poco: sii pur tu promosso tra poco: sia pur egli
promosso tra poco: siamo pur noi promossi tra poco: siete pir esi
promossi tra poco : Qual utile per l'Amico? (TAVOLA
VII.") FUTURO se io fossi promosso domani, se tu fossi
promosso domani se egli fosse promosso domani, se noi fossimo promossi domani,
se voi foste promossi domani, se essi fossero promossi domani, L'Amico
gioirebbe.TEMPO PRESENTE Si crede, che io sia felice che tu sii
felice ch'egli sia felice che noi siamo felici che voi siate felici che essi
sieno felici TEMPO PASSATO-IDENTICO io fossi infermo tu
fossi infermo egli fosse infermo . noi fossimo infermi voi
foste infermi essi fossero infermi TENPO PRESENTE che,
se lÁmico fosse giunto, io sarei felice . tu saresti felice
egli sarebbe felice . noi saremmo felici voi sareste felici
essi sarebbero felici MODO INCERTO ISOLATO PASSATO Si crede,
che io sia stato felice che tu sii stato felice ch' egli sia stato felice che
noi siamo stati felici che voi siate stati felici che essi sieno stati
felici FUTURO Si crede, che io sarò felice che tu sarai felice ch'
egli sarà felice che noi saremo felici che voi sarete felici che essi saranno
felici MODO INCERTO-DIPENDENTE PASSATO-ANTERIORE chei quee si
grede i emico, io fossi stato ferito tu fossi stato ferito egli
fosse stato ferito noi fossimo stati feriti voi foste stati
feriti essi fossero stati feriti MODO INCERTO-CONDIZIONATO
PASSATO Si crede, che, se l'Amico fosse giunto, io sarei
stato felice tu saresti stato felice egli sarebbe stato felice noi
saremmo stati felici voi sareste stati felici essi sarebbero stati
felici ( TAVOLA VIII.") ASSCLUTO-POSTERIORE Si credeva,
si credette ec. che io sarei stato felice che tu saresti stato felice ch'egli
sarebbe stato felice che noi saremmo stati felici che voi sareste stati felici
che essi sarebbero stati felici ( TAVOLA IX.") FUTURO-ANTERIORE
Si crede, che, quando giugnerà l'Amico, io sarò stato promosso tu sarai
stato promosso egli sarà stato promosso noi saremo stati promossi voi sarete
stati promossi essi saranno stati promossi (TAVOLA X.") FUTURO
chs, stel Amico giugnesse , io sarei felice tu saresti felice
egli sarebbe felice noi saremmo felici voi sareste felici
essi sarebbero feliciTEMPO PRESENTE son io felice? sei tu
felice? è egli felice? siamo noi felici? siete voi
felici? sono essi felici ? LEMPO PASSATO-IDENTICO
Quando parti l'Amico, era io infermo : eri tu infermo? era
egli infermo ? eravamo noi infermi? eravate voi infermi ?
erano essi infermi? TENPO PRESENTE Se l'Amico fosse giunto,
sarei io felice? saresti tu felice ? sarebbe egli felice?
saremmo noi felici? sareste voi felici? sarebbero essi
felici? TEMPO PRESENTE sarei sconoscente a tal segno?
saresti sconoscente a tal segno? sarebbe sconoscente a tal segno?
saremmo sconoscenti a tal segno ? sareste sconoscenti a tal segno?
sarebbero sconoscenti a tal segno? MODO INTERROGATIVO-ISOLATO
PASSATO fui io felice? fosti tu felice? fu egli felice?
fummo noi felici ? foste voi felici? furono essi felici?
FUTURO sarò io felice? sarai tu felice ? sarà egli
felice? saremo noi felici ? sarete voi felici ? saranno essi
felici? (TAVOLA XI.") PASSATO-CONGIUNTO son io stato
felice ? sei tu stato felice ? è egli stato felice? siamo noi stati
felici? siete voi stati felici ? sono essi stati felici? (
TAVOLA XII.") MODO INTERROGATIVO-DIPENDENTE
PASSATO-ANTERIORE Quando l'Amico parti, era io stato promosso? eri
tu stato promosso ? era egli stato promosso? eravamo noi stati
promossi ? cravate voi stati promossi? erano essi stati promossi
? FUTURO-ANTERIORE san ando pamico partira, sarai tu stato
promosso? sarà egli stato promosso? saremo noi stati promossi
? sarete voi stati promossi ? saranno essi stati promossi ? (
TAVOLA XIII.") MODO INTERROGATIVO-CONDIZIONATO PASSATO
Se l'Amico fosse giunto, sarei io stato felice ? saresti tu stato
felice? sarebbe egli stato felice? saremmo noi stati felici ?
sareste voi stati felici ? sarebbero essi stati felici?
FUTURO Se l'Amico giugnesse, sarei io felice ? saresti tu
felice? sarebbe egli felice? saremmo noi felici? sareste voi
felici? sarebbero essi felici? ( TAVOLA XIV.*) MODO
INTERROGATIVO-DUBITATIVO PASSATO sarei stato sconoscente a tal
segno ? saresti stato sconoscente a tal segno ? sarebbe stato
sconoscente a tal segno ? saremmo stati sconoscenti a tal segno?
sareste stati sconoscenti a tal segno? sarebbero stati sconoscenti a tal
segno? FUTURO sarei sconoscente a tal segno? saresti
sconoscente a tal segno? sarebbe sconoscente a tal segno ? saremmo
sconoscenti a tal segno? sareste sconoscenti a tal segno? sarebbero
sconoscenti a tal segno?MODO GENERICO-DETERMINANTE (TAVOLA
XV.") TENPO IDENTICO ANTERIORE io credo, credetti,
crederò ec. tu credi, credesti, crederai ee. essere felice
egli crede, credette, credera ec. noi crediamo, credemmo, crederemo
ec. voi credete, credeste, crederete ee. essere felici essi
credono, credettero, crederanno ee essere stato felice essere
stati felici POSTERIORE esser per essere felice - dover
essere felice poter essere felice esser per essere felici dover essere felici
poter essere felici MODO GENERICO SOSTITUITO ( TAVOLA
XVI.") SOSTITUITO PRIMO TEMPO IDENTICO
ANTERIONE POSTERIORE essendo giovine essendo stato
promosso.... essendo giovani essendo stati promossi ) ... dovendo essere
promos dovendo essere promosso - io studio, studiai, studierò
ec. tu stud), studiasti, studierai ec. egli studia, studio,
studiera ec. noi studiamo, studiammo, studieremo cc. voi studiate,
studiaste, studierete ec. essi studiano, studiarono, studieranno
ec. ( TAVOLA XVII.") SOSTITUITO SECONDO TEMPO
IDENTICO essendo io debole, essendo tu debole, essendo egli debole,
essendo noi deboli, essendo voi deboli essendo essi deboli
ANTERIORE essendo io stato infermo, essendo tu stato infermo, essendo
egli stato infermo, essendo noi stati infermi, essendo voi stati infermi
essendo essi stati infermi, POSTERIORE dovendo tu essere
promosso dovendo noi essere promossi, l'Amico ci accompagna, accompagnò,
accompagnerà ec. dovendo voi essere promossi, 'Amico vi accompagna,
accompagnò, accompagnerà ec. dovendo essi essere promossi./ l'Amico li
accompagna, accompagnò, accompagnerà ec. (TAVOLA XVIII.")
SOSTITUITO TERZO TEMPO IDENTICO essendo io giudice,
essendo noi giudici, . essendo voi giudici, essendo essi giudici, •
ANTERIORE essendo io stato giudice, essendo tu stato giudice, essendo
egli stato giudice, essendo noi stati giudici essendo voi stati giudici essendo
essi stati giudici, POSTERIORE dovendo io esser giudice, dovendo tu
esser giudice, l'Amico spera, sperò, spererà co dovendo egli esser
giudice, lovendo voi esser giudici, :: Amico spera, sperò, spererà
eco dovendo voi esser giudici dovendo essi esser giudici, LINGUA FILOSOFICO-UNIVERSALE LINGUA
FILOSOFICO-UNIVERSALE PEI
DOTTI PRECEDUTA DALLA
ANALISI DEL LINGUAGGIO OPERA DI
MARIANO GIGLI Già pubblico
Professore di varie Facoltà MILANO
1818 Società Tipografica de' CLAsSICI
ITALIaNI Contrada del Cappuccio N.°
5433. PAsTA alla Repabica Letteraria
un Piano Filo. sofico di Lingua Universale facilissimo ad eseguirsi, è il
primario Scopo di quest' Opera - Immezzo alla tranquillità di cui gode
attualmente l'Europa, pei PADRI de' Popoli, per le Nazioni, pei Filosofi qual
occupazione migliore e più vantaggiosa di questa ? II. Coerentemente all'indicato primario Scopo
dell'Opera pareva, che dovessi scriverla non pei soli Italiani; quindi in una
Lingua più generalmente conosciuta; quindi in Lingua Francese. Me ne astenni
però; giacchè in un Italiano che scrive nel seno dell'Italia, poteva ciò
sembrare un affettazione. III.
L'Esecuzione del Piano abbisogna del valido sostegno d'un GRAN-MECENATE: lo
però non ne implorai alla mia Opera alcuno. E qual accoglienza potea nell'
oscurità d' un Manoscritto sperare una progettata metafisica Novità, ed un
complesso di forse non sempre facilmente intelligibili Raziocinj? IV. Onde garantirmi dai rimbrotti e dalla
critica di ehi o è incapace o abborre di oltrepassare i limiti della
superficialità, prevengo; che per intendere la Materia qui trattata, non basta
• leggere; come per possederla non basta averla intesa, Quindi questo Libro
deve considerarsi precisamente come un libro di Matematica; il cui contenuto
non può intendersi senza matu-ramente, dettagliatamente e ordinatamente meditarlo;
nè può a fondo possedersi senza molto esercizio, accurati transunti, e
frequenti ripetizioni. V. Mi sarebbe
stato facile mostrare l'applicazione di ciascuna Teoria col prattico dettagliato sviluppo di
analogli Esempi: Ma non sempre l'o
fatto, perchè gli Esempj in iscritto o aumentano la difficoltà, o quando pure
la diminuiscano, snervano la Materia cul prolungarla soverchiamente - Altronde
Teorie ragionate e metafisiche non sono dirette che a Pochi; e questi Pochi trovano in loro stessi come supplire
alla Concisione del-l'Autore. VI.
Rapporto alla Lingua Universale si avverta, che quando ai avesse apposita
Grammatica e Dizionario, per apprenderla non è necessario conoscere le
metafisiche Teorie del Linguag gio; ma basta sapere le Regole particolari di
questa Lingua, facendone il debito confronto colla propria Lingua natia. VII. La difficoltà di ben comprendere quanto
premisi al Piano di Lingue Universale,
potrebbe in taluno produrre una grantaggiosa prevenzione per la lingua
medesima. Quindi mi trovo obbligato a dichiarare che « Quando sia
convenientemente spiegata, è più facile arrivare a conoscere perfettamente
questa Lingua Universale, che non il solo primo Libro della Geometria di
Euclide » - Le Teorie premesse poi servono specialmente a dar ragione del Piano
che presento; mostrando esse ad evidenza, che la base dí questo Piano non è
arbitra-ria, ma fondata sull' intrinseca natura del Linguaggio e delle Cose.
VIII. Il mio Piano di Lingua Universale fû concepito e steso, senza che
avessi mai nè sentito nè letto cosa alcuna in proposito. Tale stato d'ignoranza
mi fû certamente vantaggioso; giacchè la smania di profittare dei lumi altrui
avrebbe forse inceppato maggiormente il mio spirito - Terminato il mio
Travaglio, à poi cercato istruirmi; ed ô letto l'Enciclopedia all'articolo
Langue nouelle, la Pasigrafia di J.... de M....., lá Lingua Universale del P.
Magnan, ed un Estratto di quella di M. Kalmar nel Nuovo Giornale dei Letterati
d' Italia ‹ Tomo V. Settembre e Ottobre
i773). In queste letture però rinvenni sufficiente motivo, e di ammirare il
Genio più o meno felice che aveva presieduto a tali Opere, e di non essere
malcontento di me stesso. IX. Nello
scrivere io mi supposi anteriore all'esistenza di qualunque formale Grammatica;
e non consultai che la Natu-ra, il Raziocinio e le poche mic cognizioni —
f'accia lo stesso, Chi legge.Preso nel
suo vero senso primitivo, il Linguaggio è un necessario semplicissimo Effetto
di Natura; e precisamente come lo è nell'Ago Ma-gretico la Tendenza al Polo;
come in un Pomo dall'alto abbandonato a se stesso, lo è il Cadere; come lo è
nei Liquidi il Porsi a Livello coll' Ori zonte; come il Sollevarsi lo è nei.
Vapori; in somma come in un Corpo qualunque è mero effetto di Natura il Peso,
la Pressione, la 'Resistenza ec. Infatti
il Linguaggio non serve che ad esprimere la situazione dell'Uomo. Ora l' Uomo
in determinate circostanze trovasi in una piuttosto che in altra situazione,
unicamente in forza della sua essenza, delle sue facoltà, delle sue relazioni; vale
a dire perchè è un Essere formante parte di Nasura. In lui tutto dunque è
soggetto alle generiche Leggi dell' Esistenza. Dunque esprimendo la propria
situazione, egli non può sortire dai limiti di queste Leggi.Ora tutto è fisso
immutabilmente in Natura; e la diversità di Luogo e di Tempo non impedirà mai,
che uguali Cause producano Effetti eguali.
Dunque una stessa Azione si effettua sempre e da-pertutto alla maniera
medesima; uno stesso Oggetto sempre e dapertutto produce la medesima
impres-sione; una stessa Qualità opera sempre e dapertutto la sensazione
medesima. Dunque gli uomini di qualunque Clima, Secolo e Nazione, in eguali
circostanze debbono tutti esprimersi alla maniera istessa; perchè in eguali
circostanze il loro spirito si trova in eguale situazione. Ed infatti analizando le Lingue usate
vediamo, che anno tutte un fondo comune; vale a dire anno comune, ciò che forma
l'assoluta essenza del Lin-guaggio, considerato come semplice effetto naturale
-— Diverse Convenzioni possono sulla superficie del Globo esprimere le stesse
Idee con suoni diversi e con diverso ordine dispositivo; perchè l'ordine ed i
suoni in ciò sono relativi all'Abitudine ed al Clima: Ma le medesime Idee su
qualunque punto del Tempo e del Globo avranno sempre la stessa naturale
espressione; perchè la Natura è una sola, e dapertutto e sempre la stessa. Debba un Uomo narrare, che nella
foresta. fû egli assalito da un feroce
Animale. Che il no-str' Uomo sia europeo asiatico affricano o di Ame-rica, che
il successo abbia avuto luogo in uno piuttosto che in altro secolo; sono cose
del tutto indifferenti all' intrinseca natura del fatto, che sinarra.
L'avvenimento è un solo: Dunque unico necessariamente esser deve in Natura il
modo di esprimerlo. Quindi in ogni
Lingua prattica bisogna distinguere il Fondo di Natura dalle Proprietà di
Con-venzione, ossia i Principj naturali dai Principi convenzionali. I Primi
sono basati sull' essenza stessa delle cose; quindi necessariamente unici ed
immutabili. I secondi non riconoscono altra base , che il Bisogno e Capriccio
sociale; quindi necessariamente sono varj, come sulla Terra sono diverse le
umane Società. Questi, altesa la bizzarra loro origine ed irregolarità, possono
impararsi soltanto coll' uso: Quelli non possono conoscersi, che coll' attività
di Raziocinio e di Meditazione — Quindi lo studio radicale di Lingua è
filosofico, più che non fù creduto finora.
Sventuratamente per l'Umanità in ogni secolo i Maestri anche più
rispettabili di Lingua, si limitarono a ridurre possibilmente a sistema le in
ciascuna Lingua irregolarissime Proprietà di Conven-zione. La comparsa delle
Grammatiche fe nel Linguaggio dimenticar la Natura. Si credette, che la Scienza
di Lingua fosse esclusivamente riposta in quei sudati Volumi. La difficoltà
anzi impossibilità di ritenere l' immenso numero di Regole e il numero anche
maggiore d' Irregolarità raccolte nelle Grammatiche, fe' riguardare lo studio
sistematico di Lingua come indispensabile alle Scienze ed ai progressi dello
Spirito umano. Quindi la Gramma-tica presso tutti i Pappli divenne come il
primo Nume dei pensanti Esseri sociali: Nume; cui si eressero Templi, quante le
scuole di Lingua; cui si destinarono Sacerdoti, quanti i Maestri di Lin-gua;
cui furono sacrificate Vittime, quanti i Discepoli di Lingua - Povera Infanzia!
Una mano di ferro ti spinge, ti preme, ti schiaccia appiè dell'Ara di questa
inconcepibile Divinità! Ma non è egli
vero, che molti senza neppur conoscere il Frontispizio di alcuna Grammatica imparano
perfettamente la propria Lingua? Non è egli vero, che lo studio delle
Grammutiche ci presenta una farragine di Vocaboli inintelligibili e eroti
affatto di senso? Un Indice grammaticale non forma desso la più convincente la
più palpabile prova dell' ignoranza, in cui siamo rapporto allo spirito all'
essenza alla metafisica del Linguaggio ? :
O Voi, che forse già mi onoraste del titolo di Novatore; Voi, cui veggo
addensato sul ciglio il Dispetto la Disapprovazione lo Sdegno, ditemi : Potreste voi darmi una ragionevole, da Voi
intesa è per me intelligibile Definizione del Genitivo per esempio, dell'
Infinito, del Congiuntivo, del Geron-dio, del Supino, e di tant' altri Termini
grazana-sicali? E quando vi troviate insufficienti anche solo a ragionevolmente
definire tali usitatissime Denomi-nazioni, perchè assoggettarci ad apprenderle?
Dove la Necessità? Dove l'Utile? Dove l'uso di quel celeste Raggio sublime, che
infuse in noi l'onnipa-tente Soffio creatore? Rinunzieremo noi alla parte
migliore della nostra Esistenza?Delle Produzioni umane sono perfette, delle
umane Occupazioni sono essenzialmente vantaggiose, solo quelle che si basano
sull' intrinseca natura delle Cose. Dunque lo studio ragionato di Lingua si
fondi anch' esso sulla Natura. Si analizi : Si rimonti al-l'origine: Si provi
col fatto, che siamo Esseri pensanti. Pel decoro della nostra specie, per
l'utile della società, pel ben-essere di noi stessi dissipiamo nel Linguaggio
quella Nube, che vi aggruppò dinanzi una troppo lungamente venerata Autorità - Ragione! Uno slancio; ed il Bujo non
più. Distinti i Principi di Lingua in
naturali e convenzionali, si averta; che quest' Opera si occupa dei secondi,
soltanto nell' ultima Parte intitolata Lingua Universale; e che in tutto il
rimanente cioè in tutte le generiche Teorie di Lingua essa non riguarda che i
Primi. Quindi benchè sembri occuparsi delle Parole, pure dessa non risguarda
assolutamente che le Idee rappresentate dalle Pa-role. Io o singolarmente
cercato di farmi intelligi-bile, ulmeno quanto mi era permesso: E siccome la
Materia trattata è astratta moltissimo di sua na-tura, fù mio primo studio
presentarla sotto un aspetto meno difficile e non troppo metafisico. Chi brama
però conoscerla in tutta l' estensione asso-luta, deve meditarla nel suo vero
senso; vale e dire deve sempre considerare non le Parole in loro stesse, ma le
Idee rappresentate dalle Parole. Così per esempio dicendo che te Voci si
distinguono in Radicali Derivate e Sostituite, il Lettore filosofodeve
intendere che sono radicali derivate o sostituite le nostre Idee, cioè quelle
Idee che nel dis- • corso si esprimono
colle Voci rispettivamente loro convenienti. In egual maniera dicendo che da
Monte deriva montuoso, da onesto deriva Onestà ec., devesi intendere, non che
le Parole montuoso ed Onestà derivino dalle Parole Monte ed onesto, ma che le
Idee rappresentate da montuoso ed Onestà derivano dalle Idee rappresentate da
Monte, onesto ec. Questa Osservazione è
di somma importanza, e deve applicarsi a tutta l' Opera. Quindi si fissi ; che
le Parole sono puri Segni rappresentanti le Idee; che le qui esposte
filosofiche Teorie di Lingua risguardano soltanto le Idee; e che solo per
facilitarne l'intelligenza molte volle à attribuito ò applicato ai Segni, ciò
che devesi assolutamente ed esclusivamente intendere delle Idee da essi
rappre- sentate. • Le Teorie generiche di Lingua non risguar..
dando che i Principi naturali, sono applicabili a tutte le Lingue: perchè tutte
riducibili ad una sola, come unico è il Linguaggio della. Natura. Quindi queste
Teorie non dovrebbero ragionevolmente applicarsi ad alcuna Lingua in
particolare. È però troppo difficile tener dietro ad una lunga serie di
Ragionamenti, che si presentano nel massimo grado di astrazione. Quindi per
eliminare possibilmente tale difficoltà ò applicato le Teorie generali alla
patria mia Lingua Italiana, in cui scrivo. Quindi chi legge, deve col suo
spirito meditabonilo e ana-litico riportare tutti i Raziocinj al semplice loro
stato primitivo, facendo astrazione anche dalla Lingua Italiana in cui sono
scritti, e cui per chiarezza maggiore sono sempre applicati. È questo forse ur
esigger troppo dalla penetrazione e sofferenza di molti; ma debbo farmi lecito
asserire, che non è altrimenti possibile penetrare nello spirito fondamentale
dell'Opera,•ANALISI DEL LINGUAGGIO
INTRODUZIONE 1. Il Lingaggio è il
mezzo più comune impiegato dagli Uomini per comunicarsi reciprocamente i
bisogni, i desiderj, i pensieri - L'uso inseparabile dalla convivenza sociale,
insegna a ciascuno quanto è necessario per esprimersi conve-nientemente. Quindi
le Teorie di Lingua sono inutili per la massima parte degli uomini; come sono
pregiudicievoli alle Scienze alla Ragione ed a tutti le affastellate
inconcepibili Regole gramma-ticali. Il
Filosofo peró che deve su tutro portare il suo ragionante spirito analitico, in
punto Linguaggio potrebbe anch'egli esser pago di ciò che apprese per pratica?
E nel secolo dell'Analisi dovremo con indifferenza veder sepolto nelle tenebre
d'una rugginosa ignoranza il solo Linguaggio, l'interprete fedele de nostri
pensieri, lo specchio dello spirito umano, il carattere distintivo per cui
l'uomo si pone prino fra'gli esseri sensibili?A me sembra, che troppo debba
interessarci il conoscere una cosa che ci riguarda si davvicino, e ch'è
inseparabile dalla nostra sociale esistenza — Quindi mi permetto esporre il
risultato delle mie meditazioni in proposito, considerando separatamente i
Materiali del Linguaggio ossia le Voci
I. Come Elementi del Discorso :
II. Come Parti del Discorso.
Analizeremo nella Prima Parte ciù, che riguarda le Voci radicali e le
moltiplici generiche Joro Derivazioni: Esporermo nella Seconda quanto
richiedesi, onde nel discorso determinare con precisione e il Valore di
ciascuna parola e le varie Situazioni in cui praticamente può presentarsi un Oggetto.DELLE VOCI ELEMENTI DEL DISCORSO LLa Voci prese come Elementi del discorso cioè
isolatamente (ossia per quello che ciascuna significa assolutamente in se
stessa, senza riguardo ad altre voci che possono accompagnarla) da noi si
distinguono in Radicali, Derivate, e Sostituite. Radicali o Primitive son quelle, ch' esprimono Cose
effettivamente esistenti o in Natura o in Immaginazione (a) ; come Sole, dolce,
fuggire, Marte, Lete, ec. Derivate son quelle, che provengono da Voci
conosciute ed usate nella medesima Lingua (b); Le Idee non derivate da
altre, ossia le Idee Primitive sono tutte o naturali o immaginarie; e sì le une
che le altre anno nel nostro spirito una reale esistenza. La diversità che
trovasi frà loro, si è; che le naturali ànno il loro Tipo fuori del nostro
spirito, e le immaginarie nò. Le Idee Derivate sono come diramazioni delle Idee
Primitive; ossia anno la loro base sulle Primitive tanto naturali che
immaginarie - Ogni Idea Derivata è propriamente un Idea puramente intuitiva;
vale a dire è un Idea, che ci formiamo col dare a qualche Idea primitiva un
nuovo aspetto o carattere puramente intellettuale.come solare, dolcezza,
fuggitivo, marziale, le ceo ec. 5. Sostituite son quelle, che per maggiore
energia chiarezza o brevità si pongono in luogo d'altre Voci conosciute ed
usate nella medesima Lingua; come mio -
pensante - laterra è fecondato dal Sole ec. per di me -che pensa - Il Sole
feconda la Terra ec. La Prima Parte è
quindi naturalmente divisa in trè Sezioni; come gli Elemenci del Discorso lo
sono in Voci radicali, dentare, e sostituite.
SEZIONE PRIMA VOCI RADICALI • •= Le Voci Radicali furono
fissate dai Primi che parlarono una data Lingua qualunque, e i Posteri debbono
adattarsi ad apprenderle - Quindi è reo di lesa Convenzione sociale, chiunque
vo lesse in una Lingua introdurre de' nuovi suoni radicali meramente per
capriccio o per vana pompa di spirito; ma e ciascuno autorizato a produrre
delle Voci nuove, quando s'abbia ad esprimere qualche Idea, in un dato
Linguaggio o non-espressas o mal-espressa finora. Le Voci Radicali da noi si distinguono in Voci di
Cosa, di Giudizio e di Rapporto; giacché le Cose, i Giudizj ed i Rapporti
comprendono l'intiera Esistenza.Voci di
Cosa L'Uomo presentasi appena sul teatro della natura,
che trovasi circondato dall'Esistenza e dal Moto: Gli schiera quella dinanzi
gli Oggetti suvi moltiformi, e le sensibili loro Qualità; gli offre questo una
serie non interrotta di moltiplici varianti Azioni. Le Voci destinate ad esprimere questi Ogget ti,
Azioni e Qualità, son quelle che noi chiamiamo Voci di Cosa. PARAGRATO 1.°
Oggetti Chiamiamo Oggetto «Tutto
cio, cui si attribuisce o può attribuirsi una qualunque Azione • Qualità
». La Voce esprimente un
Oggetto qualunque, è detta Nome sostantivo o semplicemente Sostan-tivo; essendo
molto facile rilevare dalla sola definizione (10), che nella nostra mente ogni
Oggetto deve di necessità essere sostantivo, vale a dire che ogni Oggetto è da
noi concepito come sussistente. Gli Oggetti di cui si occupa il nostro Spi-rito,
sono ora individui (a) ed ora generici: Quindi (a) Si avverta di non confondere
individuo con indivisibile - Un Oggetto è indivisibile, quando non è formato
dall' unionetali saranno anche i loro Nomi. Quindi nel Linguaggio è necessario
distinguere i Sostantivi determinati dagl' indeterminati. 13. È determinato ogni Sostantivo, che
presenta allo Spirito un Oggetto unico e assolutamente in- dividuo; come Roma, Danubio, Europa ec. È
indeterminato ogni Sostantivo, che presenta allo Spirito un Oggetto generico,
applicabile praticamente a varj Individui della natura; come Uomo, Pian la,
Fiume, ec. applicabili ad un numero
maggiore o minore d'In-dividui; e propriamente secondoché sono applicabili ad
Individui, i quali possono più o meno suddividersi in altri Generi e quindi in
altri Nomi generici: Cosi il Nome Sostanza è più generico di Animale; e questo
è più generico di Uomo, che pure è Nome generico di sua natura. PARAGRATO 2°
Qualità ‹5. Chiamasi Qualità «
Ciá che un Oggetto à in se di rimarcabile, e che potrebbe anche non avere senza
cessare d'esistere »; o più semplice- di
varie parti; ed è individuo, quando lo consideriamo come solo, vale a dire come
segregato e distinto da tutti gli altri Oggetti — Omero è Oggetto individuo: Il
Punto Matematico ¿ •Oggetto
indivisibile:mente, chiamasi Qualità « Ciò che in un Oggetto trovasi non
assolutamente necessario alla di lui
esistenza ». • • x6. La Voce esprimente una. Qualità qualunque
sarà da noi detta Nome qualitutivo, o semplicemente Qualitativo. 17. Fissato cosa deve intendersi per Qualità,
determiniamo il valore di Proprietà d'un Oggetto — Proprietà chiamasi « Tutto
ciò, senza cui l'Oggetto non potrebb'esistere ». Quindi le Proprietà d' ogni
oggetto sono tutte comprese nel Nome dell'Oggetto medesimo. E siccome ciò che
in un Oggetto è Proprietà, in un altro esser potrebbe Qua-lità; cosi è di somma
importanza il sapere in ogni Oggetto ben distinguere l'una cosa dall'altra: Il
calore per esempio è Proprietà nel Sole, nel Fio-oo ec., ed è Qualità nel
Ferro, nel Marmo ec. È facile ora
intendere perché non può dirsi Fuoco
caldo, Neve bianca, Sole lucente ec.: cal-, do, bianco, lucente in tali Oggetti
non sono Qualità ma Proprietà; e quindi espresse rispettivamente dai Sostantivi
Fioco, Neve, Sole - Parimenti non può dirsi Fuoco freddo, Neve bruna, Sole
oscu-ro; perche le Proprietà degli Oggetti Fuoco, Neve, Sole escludono
rispettivamente le Qualità freddo, bruna, oscuro. PARAGRADO 3.°
Azioni 88. Chiamasi Azione «
Tutto cio, che.o si fa.o.può farsi o si suppone potersi fare da un Oggetto
qualunque, e in qualsivoglia istante di Tempo ». 1g. Ogni Azione esigge dunque un Oggetto,
che Ja eseguisca — Ora alcune Azioni si
riferiscono esclusivamente all'Oggetto eseguente, anno in esso il perfetto loro
compimento, né possono per natura riguardare altr' Oggetto, né abbisognano del
soccorso di aliri Oggerti per essere espresse colla massima precisione; come
dormire, correre, passeggiare ec.: E queste da noi con ragione si chiamano
Azioni deberminate; giacché nella nuda loro espressione contengono quanto è
necessario alla in tutta l'estensione perfetta loro intelligenza - Altre Azioni
pui per natura sono riferibili a molti Og-getti, i quali possono essere diversi
e dall'eseguente e trà loro; come premiare, esporte, ferire ec.: E queste da
noi con eguale ragione si chiamano Azioni indeterminate; giacché colla semplice
loro espressione ci presentano soltanto un Idea generica di loro stesse, Idea
in un pratico discorso quasi sempre insignificante, Idea la cai estensione limi
tazione o determinazione dipende dall'Oggerto in cui finiscono tali Azioni 50. Dunque le Azioni possono turte
filosoficamente distinguersi in steterminase e indetermai nate - È determinata
ogni Azione, la quale proce in tutta la sua estensione possibile non può per
natura riguardare Oggetti diversi dall'Oggetto che la eseguisce ossia
eseguente: È indeterminata ogni 'Azione,
la quale può per intrinseca natura riguardare anche Oggetti diversi dall'
Oggetto eseguente l' Azione
medesima.Voci di Giudizio 21. L'Uomo
nello stato di natura per poca 0s-servatore ohe sia, facilmente si avvedo, che
lo Qualità e le Azioni dipendono assolutamente dagli Oggetti (a); e che le
prime ne sono come tante emanazioni, e le seconde come tante conseguenze. Egli quindi comincia a considerare gli
Oggetti come cause primarie delle sue sensazioni; e ad essi riporta e Azioni e
Qualica. Quindi appressandosi ad un
Oggetto qualun-que, è sua prima cura l'osservare altentamente e quali ditionda
o includa Qualità, e di quali Azioni sia desso capaco. Conseguenza
naturalissima di tale osservazione sarà il conoscere la stato e la partico
larità dell'Oggetto; e quindi se ad esso convenga . o non convenga tale o tal
altra Azione e Qualità. Se dunque
l'Uomo abbia a comunicare la sua Scoperta ad altrui, deve nocessariamente
fissare una Voce che affermi ed una che neghi; assia una Voce che congiunga al
Nome di Oggetto quello d' una daia Azione o Qualità, ed una Voce che dal Nome
di Oggatia allamani il Nome d'una ← (a)
Noi supponiamo l'Uomo nei filosofici primordi della Creazione e della sua
mentale Esistenza; quindi non avvezzo alla contemplazione d'Everi astratti,
d'Esseri intellettuali epirituali e morali; quindi escluiramante oceupato degli
Oggetti Asici:, che lo circondano.data
Azione o Qualità - La prima chiamasi Voce di Giudizio affermativo, la seconda
Vuce di Giu dizio nogativo. 34. In Italiano essere è l'espressione
generica di Giudizio affermativo, non-essere quella di Giudizio negativo. VERBI
a5. Dall'esposto superiormente (21, e seg) è facile rilevare, che il
Linguaggio in origine non aveva i cosi detti Verbi; e che questi debbono la
loro esistenza non alla natura delle Cose, ma al-l'ingegnosa variante bizzarria
degli Uomini. Infatti correre, scrivere, premiare ec. in natura significano
essere corrente, scrivente, premiante ec; e il solo capriccio, o tutt' al più
l'amore di brevità. con gravissima lesione della chiarezza e facilità di
Lingua, riuni queste due distintissime Voci: in una sola. 26. Richiedendo quindi l'Analisi del
Linguaggio che sia il tutto possibilmente riportato ai suoi primi elementi, si
vedrà di leggieri quanto importi l'e-sercitarsi nella decomposizione de' Verbi,
onde acquistarne una giusta analitica idea. Questa decomposizione è per altro
della massima facilità, fissando con definizione esattissima, che Verbo
significa « Parola formata da due Voci, una di Giu dizio l' altra di Azione
». • 27. E siccome ogni Azione è di sua
natura determinata o indeterminata (20), cosi chiameremo rispettivamente
determinato o indeterminato anche il Verbo che la esprime.Voci di Rapporto • 28. Fissate le Voci di Giudizio e di Cosa,
può l'Uomo convenientemente spiegare agli altri la sua situazione, i suoi
bisogni, la sua volontà. Ma le Cose, ossia gli Oggetti le Qualità e le Azioni
(9), anno o almeno possono avere molti e diversi Rapporti frà loro; come di
Tempo, di Numero, d'Au-mento, di Luogo ec. Dunque per esprimersi con precisione
è necessario nel Linguaggio stabilire delle.
Voci per ciascuno di tali Rapporti.
Cosa nel nostro senso debba
intendersi per Rapporto, è più facile rilevarlo dal contesto di questo
Capitolo, che definirlo. Pure per chi ne bramasse la definizione, dico per
Rapporto nel nostro senso intendersi « Tutto ciò che ci offre una Cosa
qualunque, considerata non in se stessa ma relativamente ad altre Cose ». Premesso, che stante
l'intrinseca loro natura non tutte le Cose possono o debbono avere gli stessi
Rapporti, ch'è quasi impossibile assegnarli tutti sistematicamente, e che in
tale materia fatto il primo passo è molto facile progredire da se colla sola guida
dell'Analogia e del Buon-senso; mi limito a far dei Rapporti la seguente
analitica Espo-sizione. PARAGRAFO 1.° Luogo - 31. Luogo significa « Punto o
Aggregato di Puntioccupato da un Corpo qualunque nello spazio; cioe nella Natura ». Fissata questa definizione, l'idea che naturalmente
si acquista d'un Corpo, cioè d'un Oggetto fisico-materiale, fa chiaramente
conoscere, che uno stesso Corpo non può al tempo stesso trovarsi in due o più
Luoghi diversi; e che due o più Corpi non possono al medesimo tempo occupare lo
stesso identico Luogo. Essendo cosa
molt'orvia, che l'Uomo debba considerare due o più Oggetti fisici al tempo
steseo e che debba determinarne i Rapporti di Luogo, —cioé la Vicinanza o
Lontananza; le Parti supe riore, interna ec. — egli dovrà necessariamente far
aso di apposite Espressioni, che noi chiamerema
Voci di Luogo; come sopra, solo, fuori, avar ti, presso ec. PARAGRAFO
2.° Тетро 34. Dal Moto nasco naturalmente l'idea
del Тетро. Infatti il Moto non e che e L'effetto del pae
saggio d' un Corpo dall'uno ad altro punto dello spazio ». Ora un Corpo non
potendo al medesimo istante trovarsi in due Punti diversi (32), e il Punto in
cui comincia il Moto essendo necessariamente diverso da quello in cui possiamo
supporlo termi-nare, siegue che questo Corpo movendosi si tro-rerà
successivamente in ciascun Punto dello Spa-zio che percorre. Quindi per fare il
suo passaggio impiegherà tant' Istanti, quanti sono i Punti sulla linea
percorsa; vale a dire nel primo Istante si tro-terà sul primo Punto, nel
secondo Istante sul se condo Punto, e cosi di seguito; finché nell'ultimo
Istante sarà sull'ultimo Punto del suo cammino.
Ma i punti dello Spazio percorsi dal Corpo si succedono immediatamente,
e formano una Linea continuata. Dunque anche gl'Istanti ne' quali avviene
l'occupazione de varj Punti, debbono succedersi immediatamente e formare una
Serie continuata — Dunque in qualsivoglia Moto immaginando con molta facilità
espressi da una Linea i Punti dello Spazio che il Corpo successivamente
percorre, sarà pur facile da un altra Linea sempre paralella (a) a quella del
Moto, immaginar espressi gl' Istanti successivi impiegati dal Corpo a
percorrere i varj Punti dello Spazio. Ma
l'unione di tali Istanti forma ció che chia-masi, Tempo impiegato da un Corpo
per eseguire il suo movimento - Dunque dal Moco nasce naturalmente l'idea del
Tempo. 35. Dunque, riflettendo che un
Azione in ispecie mentale può aver luogo anche in un Istante solo, il Tempo
sarà esattamente definito « Istante •
Aggregato d'Istanti, in cui à luogo un Azione qualunque ». (a) Due Linee sono paralelle, quando sa totti
i Panti cico. sempre ugualmente distanti
fià loro,Tempo Il Moto cominciò ad
esistere colla Natura; né può finire, se non cessando di esistere la Natura
medesima. Ma il Tempo è inseparabile dal Moto (34). Dunque ci formeremo un idea
generica del Tempo totale, immaginando una Linea retta, le cui estremità poggino
da una parte al princi-pio, dall'altra al fine della fisica Esistenza. Fissata con chiarezza
questa Linea generica di Tempo, e ponendoci coll' immaginazione su d'essa, è
dai varj di lei punti che dubbiamo os servare le moltiplici assolute e
possibili Azioni. Ma: di questo parleremo in seguito (97, e seg). Quindi ci
limitiamo per ora a stabilire, che le Cose e propriamente le Azioni possono
avere dei Rapporti di Tempo; e che l'Uomo fù quindi obbligato a fissare delle
Voci per esprimerli - Queste Voci sono oggi, adesso, jeri, subito, un anno jà,
da qui a un mese ec.; che noi perciò chiameremo Voci di Tempo. PARAGRATO 4°
Tempo 38. Ponendoci
coll'immaginazione su qualunque punto della generica Linea di Tempo (36), ci
sarà facile vedere; che molte Azioni furono già consu-mate; che molte debbono
ancora effettuarsi; e che molte si eseguiscono al momento in cui 0s-serviamo.
Avremo dunque su questa Linea una Serie d'Istanti già decorsi, una Serie d'
Istanti svenire, ed un Istante unico indivisibile che separa sempre queste due
Serie. 3y. Diremo quindi; di Tempo
passato qualunque Istante o Aggregato d'Istanti, preso sulla prima Serie; di
Tempo futuro qualunque Istante o Aggregato d'Istanti, preso sulla seconda
Serie; e di Tempo presente l'Istante unico indivisibile, che separa il Passato
dal Futuro. Il Tempo presente come
formato da un Istante solo, é sempre determinato di sua natura: Ma i Tempi
passato e futuro come formati da lunga Serie d'Istanti, possono da noi
considerarsi o come Passato e Futuro in genere cioè senz' alcuna limi-tazione,
o come Passato e Futuro riferibile a qualche precisato Punto della Serie. Quindi il Tempo passato
egualmente che il futuro sarà determinato o indeterminato - È de-cerminato, se
esprimiamo l' Istante o Aggregato parziale d'Istanti, in cui avvenne o avverrà
l'A-zione; come l'anno tale, il mese cale, a due ore ec: E indeterminato, se
riportiamo l'Azione al Passato o Futuro genericamente, e senza fissare limite
alcuno sulla Linea del Tempo; come viddi, partirò ec. PARAGRAFO 5.° Numero 4a,
Gli Oggetti si presentano all'Uomo ora iso-lati cioé in numero di uno, ed ora
uniti cioé in numero di più; e la chiarezza del Discorso esigge naturalmente
che si specifichi, se uno o più sona gli Oggetti in una data Azione o Giudizio,
vale a dire che si specifichi il Rapporto di Numero - Le Voci destinate a far
conoscere tale Rapporto sono. uno, trò, cento, alcuni, molti ec. ; le quali
perciò saranno da noi chiamate Voci di Numero.
Il Numero di uno ossia un
Oggetto isolato, rispetto al Numero è sempre determinato di sua natura. Ma il
Numero di più può essere determinato o indeterminato - E determinato, se
esprimiamo da quanti uno desso è formato; come cin que, nove, cento ec. che sono
rispettivamente formati da cinque, nove, o cento Unità: E indeterminato, se
esprimiamo un Numero di più in genere, cioe senza fissare da quanti uno sia
desso formato; come alcuni, molti, pochi ec. PARAGRAFO 6.° Ordine Più Cose diconsi ordinato,
quando si presentano lungo una stessa Linea continuata: E siccome noi
concepiamo delle Linee tanto nello Spazio che nel Tempo (34), cosi nelle Cose
potremo avere Ordine e di Spazio e di Tempo. Posto quindi che più Cose
sieno schierate lungo una stessa Linea, determinare l' Ordine d'una qualunque
di esse significa « Fissare il punto, che tal Cosa occupa sulla Linea; e
fissarlo unica-mente in relazione al punto occupato dalle altre Cose, esistenti
sulla Linea medesima ». Dunque essendo molto facile
che si presentino all'Uomo delle Cose schierate in Linea o di Spazio o di
Tempo, e ch'egli debba indicarvi il posto di qualcuna o di più, tale Rapporto
dovrà essere necessariamente espresso con Voci apposite, che noi chiameremo
Voci d'Ordine; come primo, secondo, ultimo, dipoi, infine ec. PARAGRATO 7°
Sesso In quasi tutte le Specie
d'Esseri organici ossia aventi la proprietà di propagarsi, la Natura ei
presenta dei Maschj e delle Femmine. Le funzioni di tali esseri essendo diverse
come diversa n'è la struttura, l' Osservatore se voglia con una sola Parola esprimere
tutti gl'Individui d' una stessa Specie, dovrà fissare una Voce o Segno per
indicare quand' oocorra, se maschio o femmina sia l'Oggetto da lui nominato -
Quindi il Linguaggio aver deve le Voci o Segni di Sesso. Gredo superfluo l'avvertire,
che moltissimi Oggetti sono mancanti di Sesso; e che negli Oggetti aventi
Sesso, pratticamente non é sempre necessario indicarlo, come cosa indifferente
al dis- corso: Cosi dicendo per esempio — che viddi un Ca-vallo, un Aquila, un
Fiore ec. - moltissime volte è inutile ed anche impossibile precisare il Sesso
di tali Oggetti; né ció altera punto l'intelligenza ochiarezza del sentimento,
perché la cognizione del Sesso è allora del tutto estranea alla natura del
pratico discorsa. PARAGRATO 8.° Modificazione 49. Le Azioni e Qualità sono suscettibili di
Ma dificazione, cioè « di prendere un aspetto diverso, ritenendo peró il loro
carattere originario». Ciò propriamente succede, quando l'Azione o Qualità è
unita a qualche Particolarità caratteristica; ma unita in modo, che tale
Particolarità penetra in tutta l'estensione il valore radicale della
Qualità • Azione accompagnata,
immedesimandosi con es-so; come cantare dolcemente - amorosamente fedele
ec. 50. L'effetto che in una Bottiglia
piena d'Acqua producono poche stille di ben colorato Liquore, puù somministrare
un Idea di ciò che intendiamo per Qualità o Azione modificata. Il Colore
investe l'Acqua in tutta l'estensione; ma l'Acqua conserva la sua natura, e
subisce soltanto una Modificazione - Diremo quindi essere modificata *Ogni Azione o Qualità, il cui assoluto
valore ci si presenta come compenetrato da alcune accompagnanti Particolarità,
e immedesimato con esse». Le Voci
destinate ad esprimere tali caratteristiche Particolarità, sono da noi chiamate
Voci di Modificazione ; come chiaramente, con viva- cità, confusamente ec.Variazione 5s. Fissato coll'esperienza il valore
assoluto di. ciascuna Qualità, l'Uomo o
trova in natura o facilmente concepisce, che le Qualità possono gradatamente e
aumentarsi fino ad un massimo e diminuirsi fino ad un minimo. Infatti data una Linea retta obliqua (99), se
stabiliamo il di lei punto medio com' esprimente lo stato assoluto della
Qualità, possiano agevolmente concepire questa Qualità capace gradatamente
tanto di salire fino alla sommità della Linea;
quanto di scendere fino alla inferiore di lei estre-mità. Ritenendo
quindi che la Qualità aumenti.
d'intensità e di forza a misura che sale, e ne diminuisca a misura che
scende per questa immaginata Linea obliqua, sarà facile formarsi un Idea delle
Variazioni che può dessa successivamente.
subire. Dato quindi che una Qualità
sia fuori del suo stato assoluto, se vorremo precisarne la vera situazione,
ossia il Punto in cui si trova sulla nostra Linea, converrà far uso di
Espressioni indicanti tale Rapporto, e che noi chiameremo Voci di Variazione;
come assai, poco ec. PARAGRATO 10.° Aumento e Decremento Tutte le Cose, cioè gli
Oggetti le Azioni e le Qualità, quando non vi si opponga l'intrinseca loro
natura, possono subire degli Aumenti e De-crementi; e ciò specialmente nella
nostra maniera di concepirle (V. Lingua Fil-Univ. n.° 145). Tali Aumenti e Decrementi
sono sempre relativi all'Idea assoluta, ossia alla prima Idea che di ciascuna
cosa ci siamo preventivamente formati.
Propriamente si à Aumento, quando la prattica circostanza esigge che
l'Idea assoluta d'una cosa qualunque nel nostro spirito divenga maggiore; • quando si la dessa minore, abbiamo
Decremento. 54. Siccome sarebbe
impossibile calcolare e ridurre a sistema tutti i varj gradi di Aumento e
Decremento nelle Cose, il Linguaggio si limita ad esprimere un Aumento e
Decremento generico-in definito: Così da sala, stanza, Libro abbiamo in genere
gli Aumenti indefiniti Salone, Stanzone, Librone, e gl'indefiniti Decrementi
Saletta, Stan- zetta, Libretto. Dunque il Linguaggio avrà per tali Rapporti
delle apposite Espressioni, che chiameremo rispettivamente Voci o Segni di Aumento
e Decrei mento. PARAGRATO II.° Confronto
55. Oggetti diversi ci offrono non di rado eguali Azioni e Qualità; e questa è verità
conosciuta praticamente da ognuno: « Corre il Cavallo ed il Cane; è dolce il
Pomo ed il Mele ec. » - Se quindi la circostanza richieda che in due o
piùoggetti si consideri la stessa Azione o Qualità, converrà avvicinare tali
Oggetti frà loro, ossia porli l'uno all'altro dirimpetto o di fronte; il che
chiamasi confrontare. Effetto di tale
avvicinamento o Confronto sarà quasi sempre il conoscere, che l'Azione o
Qualità d' un Oggetto eguaglia perfettamente quella dell'altro, o ne differisce
- All' osservatore son dunque necessarie delle Espressioni per indicare l'
Eguaglianza o Differenza scoperta; e son quelle che noi chiamiamo Voci di
Confronto, oppure di Eguaglianza e Differenza, come dai due Paragrafi seguenti.
Il Confronto può farsi
anche sulle Azioni • Qualità d'un solo Oggetto. In tal caso peró dobbiamo
contemplar tale Oggetto in epoche di-
verse, ossia col soccorso della Memoria dobbiamo considerarlo come
pluralizato. Quindi potremo giu-
stanrente applicarvi la Teoria sovresposta per O'g- getti frà loro diversi. PARAGRATO 12.°
Eguaglianza 58. Due Cose sono eguali,
quando non è possibile assegnare frà loro alcuna nè Differenza né Diversità
(6o). Dunque non può darsi Eguaglianza negli Oggetti, perché tutti presentano
delle Varietà più o meno rimarchevoli. È però cosa molt' ovvia rinvenire uguali
due Azioni, due Qualità, due
Rapporti.Dunque esistendo in natura delle cose uguali trà loro, l'Uomo
per indicare tal Eguaglianza dovrà far uso di apposite Espressioni, che noi
chiameremo Voci d' Uguaglianza; come ugualmente, canto quanto, al pari di
ec. PARAGRARO 13.° Differenza
5g. Confrontate due Cose di medesima Natura e trovatele non eguali, la
quantità di cui una su pera l'altra, è ciò che propriamente costituisce la
Dijferenza tra queste due Cose.
Esistendo in natura moltissime Differenze, l'Uomo si troverà bene spesso
nella situazione di dover indicare tale Rapporto: Quindi farà uso di apposite Espressioni,
che noi chiameremo Voci di Differenza; come più, ineno, maggiore ec. 6o. I Matematici son forse i soli che abbiano
un esatta nozione del valore della parola Diffe-renza, che nelle Lingue suole
ordinariamente confondersi con Diversità -E dunque di molta importanza
stabilire, che la Diversità esiste unicamente frà cose che non sono di medesima
natura; e la Difjerenza invece esiste unicamente frà cose di medesima natura.
Quindi si dirà, che « il Bianco è diverso dal Rosso; e il Bianco-neve è
differente dal Bianco-latte »Somiglianza
6r. Due cose sono Simili, quando anno eguali Proprietà (17); senza riguardo alcuno alle
loro Qualità, che possono pur essere
differenti ed anche diverse. Infinite
essendo le cose simili che ci offre la Natura, abbiamo spessissimo bisogno
d'indicare tale Rapporto: Quindi usar dobbiamo Voci appo-site, che chiameremo
Voci di Somiglianza; come simile, similmente ec. PARAGRATO 15.° Identità
Identico deriva dalla voce
latina idem, che significa istesso -Non esistendo in natura Oggetti eguali
perfettamente trà loro (58), siegue che ogni Oggetto aver deve i Distintivi
suoi partico-lari; e questi particolari Distintivi formano appunto la base dell'
Identità, ossia formano ciò che serve. a riconoscere a identificare ogni
Oggetto. Quindi per determinare
l'Identità d' un Og-getto, bisogna fare astrazione da qualunque e Proprietà e
Qualità, ch' essergli potesse comune cogli altri Oggetti della sua specie;
calcolando unica-mente, ciò che in esso rimane dopo tale astrazione. In ogni Giudizio d'Identità
si richiede necessariamente un Confronto; dobbiamo cioè confrontare l'Oggetto
presente, coll'Idea che di essoabbiamo già nello spirito. Dunque sarebbe un
assurdo il determinare l'Identità d' un Oggetto che fusse nuovo per noi, vale a
dire che agisse per la prima volta sui nostri organi sulle nostre facoltà.
Trovandoci alle volte in bisogno di esprimere l'Identità negli Oggetti, faremo
dunque uso di Voci apposite, che chiameremo Voci d' Identità; come stesso,
medesimo ec. PARAGRATO 16° Approssimazione 65. Nel confrantare più Cose non di rado si
scopre, che la stessa Qualità o Azione non è in tutte uguale perfettamente; ma
si conosce al tempo stesso, che la Differenza n'è piccolissima. Se quindi la
natura del Discorso o del Confronto non esigga assoluta precisione di calcolo,
basterà che ne indichiamo la conosciuta approssimativa Eguaglianza. Per tale Rapporto si dovrà dunque far uso di
Espressioni, che chiameremo Voci di Apprassi mazione; come quasi, incirca, a un
dipresso ee. PARAGRAFO 17.° Dichiarazione
66. Uno stesso Oggetto può in diverse circostanze trovarsi in situazioni
diverse; e la chiarezza del Discorso esigge, che in ogni circostanza si
dickia-ri, qual n'è la situazione precisa.
Di questo tratteremo in seguito (184) detta-gliatamente. Quindi basta
per ora fissare che chiamiamo Voci di Dichiarazione o dichiaranti quelle Voci,
le quali stabiliscono e fanno conoscere nel Discorso la vera Situazione
dell'Oggetto; come di, a, da ec. PARAGRAFO
18.° Connessione Benché in natura le Cose sieno tutte isolate, allo
spirito dell'Osservatore spesso pur si presentano unite frà loro. Questo
Rapporto d' Unione è troppo frequente ed essenziale, perchè sia necessario
indicarlo con Espressioni apposite, che chiameremo Voci di Connessione; come
insieme, e, anche ec. PARAGRATO 19.° Esclusione Da una o più Cose è molte
volte necessario allontanarne altre, che o vi sono o vi sogliono o vi possono
essere unite. Quindi per tadicare quali Cose si allontanano ossia si escludono,
dobbiamo far uso di Espressioni apposite, che chiameremo Voci di Esclusione;
come senza, nè, neppure. solcanto, unicamente ec. .Alcune di queste Voci, come
soltanto, unzi, camente ec. potrebbero forse con più precisione chiamarsi Voci
d'Isolamento. L'Isolamento d'una Cosa
però includendo l'allontanamento o Esclusione di tutte le altre, parmai abe
possa desso cose-prendersi sotto la denominazione generica di Esclu-sione; e
questo soltanto per semplificazione mag-giore.
AYTERTENZA Sulle Voci di
Rapporto 6g. Oltre i molti analizati
finora esistono trà le Cose moltissimi altri Rapporti, come di Cagione, Mezzo,
Fine, Quantità, Replica, Condizione, Dubbio, Opposizione, Incertezza,
Transizione, Restrizione, Conclusione ec.; ed esistono pure nel Linguaggio Voci
apposite per esprimerli tutti distintamente -Mi credo però autorizato a
tralasciarne l' Analisi; si perché riescirebbe lunga troppo e nojosa; si perché
dopo l'esposto finora può ciascuno continuarla da se, consultando all' uopo
qualche Grammatica, per esempio Restaut, specialmente all'Articolo
Congiunzioni. SEZIONE SECONDA VOCI DERIVATE
70. Chiamiamo derivate (4) le Voci provenienti dalle Radicali, e che
sono propriamente destinate ad esprimere come una modalità, ossia una diversa
forma un nuovo impasto della Voce radicale da. cui provengono: Così celeste,
montuoso, virtù, jodelmente, prolungare ec. sono: Voci derivatedalle Radicali
Cielo, Monte, Virtuoso, Fedele, Lungo
ec. 71. Siccome esigge l'Analisi, che
nelle Voci derivate sappiamo scoprire e determinare la Radice primitiva
esistente in una medesima Lingua; cost è necessario esaminare in dettaglio le
varie generiche Derivazioni, che abbiamo dalle diverse generiche Radici. Quindi analizeremo successivamente, ciò che
deriva in genere dalle Voci radicali di Cosa, di Giudizio e di Rapporto;
avvertendo, che le Lingue praticamente sono nelle Derivazioni irregolarissime e
capricciose. Derivazioni dalle Radici di
Cosa Avendo fissato (9), che
sotto il nome di Cosa intendiamo gli Oggetti le Azioni e le Qua-lità, vuole
l'ordine e la necessaria chiarezza, che n'esaminiamo partitamente le varie
generiche De-rivazioni. PARAGRATO I.° Dalle Radici di Oggetto Per ben caratterizare un
Oggetto avviene molte volte, che dobbiamo attribuirgli in via di Qualità, ciò
che forma l'essenza il distintivo la proprierà d'un altro Oggetto-In tal caso
per avere l'espressione conveniente non si fà che dare al Nome dell'Oggetto
qualificante la forma diNome qualitativo: Così da Monte, Radice, Leone ec.
abbiamo i qualitativi montuoso, radicale, leonino ec. Dalle Radici di Oggetto può dunque
derivare una Voce di Qualità. AVVERTENZA
71. Molti Verbi, come navigare caralcate ve stire sospirare suonare ec.
siccome in fondo con- ¿engono il Nome
dell'Oggetto che si usa nell'a-zione, sembra derivino da una Radice di Oggerio,
cioé da Nave Cavallo Veste Sospiro Suono ec. — Si avverta però, che questi e
simili Verbi sono Vori di Azione non derivate ma radicali. 75. Anche molti Sostantivi specialmente astratti
come radicalità montuosità ec., sembra derivino dai Nomi primitivi di Oggetto
Radice Monte ec. Si faccia quindi
attenzione, che tali Sostantivi derivano invece dai Qualitativi radicale
montuoso oc. Serva quest' Arvertenza a
porre in guardia Chi legge, onde non si
lasci trasportare ed illa-dere da una speciosa imponente Apparenza; cosa niente
difficile in tale Materia. PARAGRATO
2.° Dalle Radici di Qualità 76. Dalle Radici di Qualità abbiamo tré
Deri-vazioni, cioè una Voce di Modificazione, an Sostantivo-Astraito, ed un Verbo.VOCE DI
MODIFICAZIONE 77. Per fissare
chiaramente e con precisione una Qualità
o un Azione, bisogna non di rado attribuirle l'essenza di qualche Qualità,
ossia col-l'ajuto d'una Qualità bisogna spiegare il modo l'aspetto, sotto cui
devesi riguardare una data Azione o un
altra data Qualità - In tal caso basta dare l'aspetto di Modificazione (49) al
Nome di Qualità precisante: Così da onesto facile veloce ec. abbiamo le Voci di
Modificazione onestamente facilmente velocemente ec. Dalle Radici di Qualità
deriva dunque una Voce di
Modificazione. SOSTANTIVO-ASTRATTO DI
QUALITA' Astrarre viene dal latino
abstrahere, che significa trar-fuori o separare; e propriamente si astrae,
«Quando si considera come isolata, una Cosa che di sua natura é
inseparabilmente unita a delle altre »— La facoltà di facilmente astrarre si
rinviene in pochi, e non si acquista che con solitarie prolungate meditazioni. Ora dati più Oggetti, se
astraggasi da tutti una stessa Qualità, allo spirito del Filosofo questa:
Qualità si presenta come un Oggetto generico, il quale agisce su tutti i
parziali Oggetti da cui desso fu astratto. Egli quindi ne forma cosi un Ente,
il quale propriamente non esiste che nella sua maniera di mentalmente
concepire; Ente, al quale attribuisce poi come la virtù ed il potere
d'infun-dere negli Oggetti parziali quella s'essa Qualità, da cui esso deriva -
Quest' Oggetto generico, quest' Essere puramente intellettuale, è da noi
chiamato Sostantivo-Astratto proveniente da Radice di Qualità: Così da facile;
modesto, veloce ec. abbiamo Facilità,
Modestia, Velocità ec. Dalle Radici di
Qualità deriva dunque un
Sostantivo-astratto (a). VERBO
DERIVATO So. Gli Uomini si trovano
spesso nella situazione di attribuire d' infondere di comunicare ad un Oggetto una Qualità, che desso prima non
aveva -In tal caso per esprimere questa operazione basta dare l'aspetto e la
natura di Verbo alla Voce radicale della Qualità da comunicarsi: Cost da dolce,
piano, facile ec. abbiamo dolcificare, appianare, facilitare ec.; che propriamente
significano rendere dolce, piano, facile ec. un Og- (a) È di molta importanza il sapere ben
distinguere le Idee d'Immaginazione da quelle di Astrazione. Le prime benchè
manchino di Tipo fuori del nostro spirito (Vedi. pag. 17 Nota (a)), pure ànno tutte una reale
primitiva Esi-stenza: Le seconde per loro natura non possono essere che
derivate (Vedi pag. 17 Nota (b) ).
Inoltre le prime sono figlie di Calore e d' Irritabilità: Le seconde
procedono da Freddezza e da Meditazione. Quindi l' immaginoso Genio poetico
domina sulle Regioni del Mez-zodì, come sulle Nordiche regna quello
dell'intellettuale Pro. fondità. Quindi il Linguaggio Russo per esempio à
l'impronta. dell' Astrazione, come quella dell'Immaginazione è visibile
nel Greco.getto qualunque, secondo la
natura del prattico Discorso. Verbo.
Dalle Radici di Qualità deriva dunque un
PARAGRAFO 3.° Dalle Radici di
Azione 8r. Distinte le Azioni in
determinate e indeterminate (20), parleremo separatamente delle Derivazioni che
si anno da ciascuna di queste due specie di Azioni, premettendo cosa nei Verbi
deve intendersi per Voce attiva e passiva.
VOCI ATTIVE & PASSIVE Ogni Giudizio di sua
natura, come può rilevarsi dal già esposto (21 e seg.), esigge trè Cose; un
Oggetto cardine di Giudizio; una Voce di Giu dizio; ed una Voce di Azione o
Qualità - Dunque in ogni Giudizio di Azione avremo; 1.° 0g-getto Cardinale; 2.°
Voce di Giudizio; 3.° Voce di Azione. Ora l'Oggetto cardinale o eseguisce desso come
Pietro ama ossia è amante; ed è invece in istato di passività (a) se la riceve,
come Tizio è (a) Passivita nel nostro
Senso non significa altro che rice-pimento; ossia un Oggetto è nel nostro Senso
passivo, quando è scopo diretto d'un Azione qualunque.amato — Ma il ricevere un
Azione non è lo stesso ch' eseguirla. Dunque in ogni Giudizio di Azione è
necessario esprimere, se l'Oggetto cardinale é attivo o passivo - Ma il
Giudizio di Azione é formato da sole tré Cose; cioé « Oggetto cardina-le, Voce
di Azione e Voce di Giudizio » (83).
Dunque da una di queste trè Cose sarà espressa l'attività o passività
dell'Oggetto - Ma il nome dell'Oggetto è inalterabile, cioè sempre Pietro
sempre Tizio; la Voce di Giudizio per natura non può esprimere che affermazione
o negazione (23). Dunque l'actività o passività dell'Oggetto cardinale sarà
necessariamente espressa dalla Voce di
Azione. 84. Dunque chiameremo attiva
ogni Voce di Azione, la quale indica che l'Oggetto cardinale é attivo; come
amante, in Pietro ama, cioè è aman-te: E chiameremo passiva ogni Voce di
Azione, la quale indica che l'Oggetto cardinale è passivo; come amato, in Tizio è amato. È qui necessario avvertire, che nella
Lingua paliana ed in a dele lei di
presenta che aso lã tamente non sono
passive; come dormito, corso, fuggito ec. - Cosi amato per esempio è passivo in
Eu sei amato; e non lo è in tu ài amato, che può ridursi a tu amasti, ossia il
fosti amante. Quindi è indispensabile un
conveniente esercizio nel decomporre ed analizare simili espressio-ni; giacché
é di somma importanza il sapere bene e facilmente distinguere le Voci attive
dalle passi-ve; e quelle che sono tali realmente, da quelle che ne ànno
soltanto l' apparenza. ARTICOLO 1.° Dalle Radici di Azione DETERMINATA 85. Dalle Radici di Azione determinato deriva
una Voce-attiva, un Sostantivo astratto, ed un
Nome di Attore. VOCE-ATTIVA + 86.
Azione determinata essendo quella che risguarda esclusivamente l'Oggetto che la
eseguisce (20), è chiaro che nelle Azioni determinate l'Oggetto cardinale non
può non essere Attivo - Ma l'attività dell'Oggetto è espressa dalla Voce di
Azione (83). Dunque dalle Radici di Azione determinata deve derivare e deriva
una Voce-at-siva: Così da correre, sedere ec. abbiamo corren- te, sedente ec. SOSTANTIVO-ASTRATTO DI AZIONE 87. La natura del discorso ci porta non di
rado ed esprimere il fine la conseguenza il risultato d'un Azione, senza peró
dipartirci dall'Azione medesima e senza precisamente considerarla come Azione —
La Voce che usiamo in tal caso, é ciò che da noi chiamasi Sostantivo-astratto
di Azio-ne: Cosi da correre, sedere ec. abbiamo Corsa, Seduta ec, cioé una
Corsa, una Seduta ec.NOME DI ATTORB 88.
Molte volte dobbiamo o ci piace esprimere un Oggetto non qual esiste in natura,
ma solo come agente in una data Azione, vale a dire semplicemente come Attore -
In tal caso non facciamo che dare alla Radice di Azione aspetto e valore di
Sostantivo; e la Voce che ne risulta, é da noi detta Nome di Attore o
Oggetto-attore : Cosi da passeggiare,
trionfare ec. abbiamo Passeg giatore, Trionfatore ec. ARTICOLO 2.°
Dalle Radici di Azione INDETERMINATA
8g. Dalle Radici di Azione indeterminata deriva primieramente una
Voce-attiva, un Sostantivo-as-tratto, ed un Nome di Attore, come da quelle di
Azione determinata (85). Infatti
rapporto alla Voce-attiva si rifletta, che nelle Azioni indeterminate (49 e 20)
1'0g-getto cardinale del Giudizio può essere attivo, benché nel discorso non
sempre praticamente. lo sia; e riguardo al Sostantivo-astratto e al Nome di
Attore si richiami il sovresposto (87 e 88).
Quindi da vincere coltivare scoprire ec. avremo « vincente, coltivante,
scoprente — Vincita, Colti-vazione, Scoperta - Vincitore, Coltivatore,
Sca- pritore ». 90. Dalle Radici di Azione indeterminata
abbiamo inoltre una Voce-passiva, ed un Nome qualitati:o.VOCE-PASSIVA 9í. Azione indeterminata essendo quella, che
nel suo scopo può riguardare un Oggetto diverso da quello che la eseguisce
(29), è chiaro che l'Oggerto cardine del Giudizio può molte volte essere
praticamente nello stato di passività; e ciò propriamente ogni volta che
l'Oggetto cardinale non è l'eseguente l'Azione espressa dal Giudizio; come
Pietro, Voi, Essi, ed. in «Pietro fü vin-
10 - ['oi sarete premiati - Essi furono assolti ec. » Ma la passività dell'Oggetto Cardinale è
nel Giudizio espressa dalla Voce di
Azione (83). Dunque dalle Radici di Azione indeterminata deve derivare e deriva
una Voce-passiva: Cosi da es-porre, vincere, leggere ec. abbiamo esposto,
vin-to, letto; che sono Voci passive in «Egli fù es-posto, vinto, letto e
simili » richiamando la già premessa osservazione (84). NOME QUALITATIVO 92. Bisogna non di rado indicare, che ad un
Oggetto è applicabile in via di Qualità l'essenza d' un Azione; o meglio
bisogna indicare, che un Oggetto à la prerogativa di poter essere passivo
riguardo ad una data Azione, vale a dire ch'é capace di ricevere questa data
Azione - In tal caso per esprimere tale prerogativa si dà alla Radice di Azione
l'aspetto ed il valore di Nome Qualitativo, che noi chiamiamo «Qualitativo
proveniente da Radice di Azione»: Così da esporre,vincere, coltivare ec.
abbiamo esponibile, vinci-bile, coltivabile; vale a dire che può essere o che à
la prerogativa di poter essere esposto, vir-
80, collivato ec. AVVERTENZA •Sulle Derivazioni dalle Radici di Cosa 93. Non tutte le Parole radicali anno
prattica-mente le diverse finora enanciate Derivazioni; alcune perché
ripugnanti all'intrinseca natura delle Cose, altre perché nelle Lingue
prattiche non adottate dall'Uso.
L'arbitraria Irregolarità nelle Derivazioni & un difetto più o meno
notabile in tutte le Lingue, ed è una delle prove più convincenti che le Lingue
furono a poco a poco e capricciosamente formate dalla consuetudine, non dal
Calcolo filoso fico né con regole di sistema — Tale osservazione dovrebbe più
che ogni altra persuaderne, che i Sistemi i Metodi ed i Libri impiegati finora
per lo Studio delle Lingue sono direttamente opposti alla natura del pratico
Linguaggio; e servono solo ad inceppar la Meoria, a istupidire lo Spirito, e
precisamente ad impedire la cognizione di ciò che si pretende insegnare. Ed
infatti a che serve una can-gerie enorme di Regole, quando son queste sag-gette
ad una congerie ancora maggiore d' Irrego larità? A che servono i Metodi anche
più famosi, se posti in pratica incontrano ad ogni passo Eccezioni infinite? I
Latini per esempio per appren-dere la propria Lingua non impiegavano certamente
tempo e studio maggiore di quello che s'impieghi da noi per ben imparare la
nostra Lingua natia. Ora come giugniamo noi a conosceren la propria Lingua? Non
è egli vero, che l'Uso e la Lettura furono in ciò i soli nostri Precetto-ri? E
perché abbandoneremo queste sperimentate
Guide benefiche, quando trattasi di Lingue stranie-re? - Ragioniamo; e
vedremo svanirci dinanzi ogai difficoltà.
CAPO II Derivazioni dalla Voce
Radicale di Giudizio 94. Fissata per
Voce radicale di Giudizio affermativo l'espressione essere, abbiam visto (34)
che pel Giudizio negativo basta unire ad essa la Ne-. gasione; ed abbiamo così
non-essere. Quindi la, Voce radicale di
Giudizio in fondo si riduce alla sola essere; e con essa, accompagnata dalle op
portune Voci di Tempo (37), potrebbero facilmente esprimerei tutti i
Giudizj. Ma gli Uomini per loro natura
amanti di va-rietà, come unirono molte rolte la Voce di Giudizio a quella di
Azione (25), cost invece di ripetere quasi ad ogn' istante una stessa
invariata Voce di Giudizio, nel decorso
dei Secoli trovarono conveniente stabilire alcune Derivazioni dalla Voce
radicale di Giudizio; Derivazioni esprimenti con una sola parola Giudizio,
Tempo e Modo. Nel Linguaggio tali
Derivazioni sono della massima importanze: Quindi passeremo ad
esporledettagliatamente dopo le seguenti essenziali Avver- tenze.
AYVERTENZA Sul Cardine di
Giudizio 95. Cardine di Giudizio ossia
Oggetto cardinai le (82) può essere praticamente o Chi giudica, o Chi ascolta,
o una Cosa terza cioè diversa e da chi ascolta e da chi giudica - Quindi noi
chiameremo Oggetto giudicante chi giudica, Oggetto ascoltante chi ascolta, e
Oggetto terzo qualunque altr' Oggetto diverso dai primi due — E facile
comprendere, che deve considerarsi Oggetto giudicante chi scrive, e Oggetto
ascoltante chi legge. • 96. In Italiano
il Nome dell'Oggetto giudicante è io se uno, noi se più; il Nome dell'Oggetto
ascoltante è tu se uno, voi se più; i Terzi Oggetti poi inno tutti il loro Nome
particolare. Questi terzi Oggetti però multe volte s'indicano con dei Pronomi,
che sono egli o esso, eglino o essi pel
Sesso maschile ed anche neutro; ed ella o essa; elleno o esse pel Sesso
femminile ed anche neutro (a). Intendo per neutro il Nome d' ogni Og getto
privo naturalmente di Sesso. (a) Il buon
Gusto italiano vuole, che i Pronomi egli eglino ella elleno si usino soltanto
per indicare Oggetti o della Specie umana o più nobili di questi; e che tutti
gli altri terzi Oggetti sieno indicati coi restanti Pronomi esso essi, essa
esso:dettagliatamente dopo le seguenti essenziali Avver-tenze. AVVERTENZA
Sul Cardine di Giudizio 95.
Cardine di Giudizio ossia Oggetto cardina: le (82) può essere pratticamente o
Chi giudica, o Chi ascolta, o una Cosa terza cioè diversa e dai chi ascolta e
da chi giudica - Quindi noi chiameremo Oggetto giudicante chi giudica, Oggetto
ascoltante chi ascolta, e Oggetto terzo qualunque altr' Oggetto diverso dai
primi due - È facile comprendere, che deve considerarsi Oggetto giudicante chi
scrive, e Oggetto ascoltante chi legge.
•96. In Italiano il Nome dell' Oggetto giudicante ¿ io se uno, noi se più; il Nome dell'Oggetto
ascoltante è tu se uno, voi se più; i Terzi Oggetti poi inno tutti il loro Nome
particolare. Questi terzi Oggetti però multe volte s'indicano con dei Pronomi,
che sono egli o esso, eglino o essi pel
Sesso maschile ed anche neutro; ed ella o essa; elleno o esse pel Sesso
femminile ed anche neutro (a). Intendo per neutro il Nome d' ogni Og getto
privo naturalmente di Sesso. (a) Il buon
Gusto italiano vuole, che i Pronomi egli eglino ella elleno si usino soltanto
per indicare Oggetti o della Specie umana o più nobili di questi; e che tutti
gli altri terzi Oggetti sieno indicati coi restanti Pronomi esso essi, essa
essei97. Si richiami la definizione del Tempo (35), e la Linea generica
indicata (39) per facilitarne l'in-telligenza.
Si fissi inoltre, che il Tempo passato e fi-tuTo (39) e sempre tale in
relazione a qualche punto che sulla Linea da noi si determina come presente; e
ch'è in nostro arbitrio considerare come presente qualunque punto, tanto sulla
Serie de gl' Istanti decorsi, come su quella degl' Istanti ar-venire. ・ 98. Da varj Oggetti potendo al tempo stesso
farsi varie Azioni, e dovendo noi molte volte simultaneamente considerare varie
Azioni fatte in cempi diversi, si fissino coll'immaginazione secondo il bisogno
due o più Linee di Tempo paralel-le (34, Noça) frà loro. Considereremo sulla
prima Linea le Azioni dell'Oggetto Giudicante, sulla seconda quelle
dell'Oggetto Ascoltante, e sulla terza, pluralizata quand' occorra, quelle dei
Terzi Oggetti (95). : 99. Ogni Perpendicolare (a) a queste
Paralelle tirata su qualunque punto, esprimerá o indicherà (a) Una Linea, è perpendicolare ad un altra o
ad un Piano, quando non è inclinata più dall' una che dall'altra parte ; ed è obliqua, quando è inclinata più da una
parte che dal-l'altra.:le varie Azioni avvenute al medesimo Istante per opera
di Oggetti diversi; ed ogni Obliqua alle medesime Paralelle esprimerà invece
varie Azioni, at-venute in diversi Istanti egualmente per opera di Oggetti diversi (a). 100. Un solo Oggetto può fare anch'esso
varie 'Azioni allo stesso tempo; come
giocare e ridere, scrivere contando ec. — Quando si debbano considerare più
Azioni fatte contemporaneamente dallo siesso Oggetto, bisogna accuratamente
osservare; se. la natura del Discorso esigge, che si porti eguale attenzione su
ciascuna di tali contemporanee Azio-ni; oppure se considerandone una come
principa le, le altre debbano riguardarsi puramente come accessorie. Nel primo caso è necessario esprimerte tutte
distintamente; come pensa, giuoca e ride - scrivono e cantano ec. Nel secondo
caso espressa con distinzione l'Azione principale, basta dare alle altre un
aspetto di semplice Accessorietà ossia un 45-petto di Azione accompagnante
(106); giacthè servono realmente ad accompagnare l'Azione prin-cipale; come
giuoca ridendo, sospirando partì ec. Cio
premesso, veniamo alla dettagliata Esposizione de'varj Modi e Tempi tanto
assoluti che relativi, nei quali e coi quali può farsi un Giu- (a) Sarebbe forse impossibile combinare un
Machinismo, che mostrasse ai Principianti con semplicità e quasi material mente
la tessitura d' ogni isolato Sentimento o Discorso?dizio; fissando per ciascun
Tempo e Modo le varie Derivazioni dalla Voce radicale essere. PARAGRAFO UNICO Naturo del Giudizio 10s. Secondo la diversità delle circostanze i
nostri Giudizi rigúardo al Modo di esprimerli, vestono anch'essi diversa
natura: Ora sono isolati, ora dipendenti, ora definiti, ora incerti, ora
accompagnati da qualche particolare e marcato sentimento dell'animo, ora
generici, ora congiunti a qualche condizione particolare, ora ec.; come potrà
meglia rilevarsi dall'Analisi, che ne facciamo negli Articoli seguenti. Le diverse forme sotto le quali suole o può
presentarsi un Giudizio, saranno da noi chiamate Maniere o Modi del Giudizio.
Questi Modi sono, da noi portati al numero di otto, cioè Generico, Dofinito,
Suppositivo, Volitivo, Ottacivo, Condi-zionante, Indefinito, Interrogativo; e
tratter remo separatamente di ciascuno
negli Otto Articoli seguenti, distinguendo il Modo Definito in Indicativo e Condizionato. ARTICOLO I.°
Giudizio Generico 102. Spesso
esprimiamo di seguito due o più Giudizi riferibili ad un Oggetto medesimo, come
voglio pertire, scrive ridendo 80; uno dei qualicioé voglio, scrive, forma
sempre come la base primaria del sentimento, e gli altri cioè partire, ridendo
sono come secondarj o accessorj - Ora è facile comprendere, che in simili casi
avendo espresso con chiarezza e precisione il Giudizio pri-mario, basta
indicare i secondarj anche generica-
mente Ero in i perche pecifina per Seriodari: essi vanno inseparabilmente congiunti? Questi Giudizi secondarj espressi cosi
genericamente e considerati a motivo d'analisi separatamente dai primari, son
quelli che noi chiamiamo Giudizj generici, ovvero Giudizj di Modo
generico. Dunque sebbene in un
prattico Discorso non possa esistere alcun Giudizio assolutamente generico,
perché tutto vi dev'essere convenientemente determinato; pure allo sguardo
analitico varj Giudizj isolatamente presi si presenteranno come tali — Dunque è
necessario analizarne le relative espressioni o Derivazioni, distinguendo i
Giudizi generici in determinanti e accompagnanti. GENERICO DETERMINANTE Chiamiamo Determinante ogni
Giudizio Generico, il quale serve a determinare ossia -a stabilire a fissare il
vero e preciso valore del Giudizio primario o principale (102): Cosi in «
voglio partire» partire é determinante di voglio ; giacché voglio senza partire
non esprimerebbe nel caso nostro concreto un idea determinata e precisa.
Infatti dicendo semplicemente ed isolatamente voglio, es- primo è vero un atto
di volontà, ma di volontà indeterminata ossia non determinata; e quindi
inintelligibile a chi ascolta. 105. Il
Giudizio generico-determinante può es sere o presente, o passato, o futuro: Si
avverta pe-nò, che in simili Giudizj questi Tempi sono tali unicamente in
relazione al Giudizio principale ; e quindi propriamente sono tempi relativi a
quel-to, in cui à luogo il Giudizio principale mede-simo. I.° È presente ogni Giudizio
generico-determi-nante, che à luogo al tempo stesso del Giudizio principale; e
la Voce radicale essere serve ad es primerlo - Quindi abbiamo « debbo, doveva,
do-vetti, dovrò, dovrei ec. essere » : Il.° È passato ogni Giudizio
generico-determi-nante, che à luogo prima del Giudizio principale, ossia che si
riferisce a Tempo anteriore a quello is cui avviene il Giudizio principale; e
essere-stato e la Derivazione, che serve ad esprimerlo - Quindi abbiamo «debbo,
doveva, dovetti, dovrò ec. es-
sere-stato ». III.° E futuro ogni
Giudizio generico-determi-nante, che à luogo dopo il Giudizio principale. • Dover-essere, aver-da-essere,
esser-per-essere e poter-essere sono le varie Derivazioni che lo es-primono;
tutte peró di pochissimo uso in buon Gusto italiano (177) - Quindi abbiamo «
credo, credeva, credetti, crederò, crederei ec. dover-esse- Te, aver-da-essere, esser-per-essere ec.
».GENERICO ACCOMPAGNANTE x06. Chiamasi
accompagnante ogni Giudizio ge-nerico, il quale accompagna il Giudizio principa-. le: Cosi in « giuoca ridendo» ridendo non la
che accennare l'Azione, da cui è accompagnata quella di giuocare. 107. Il Giudizio generico accompagnante do
vendo per natura agire unitamente al Giadizio principale, deve di necessità
aver luogo al tempo stesso del Giudizio principale medesimo; ossia l'Azione
espressa dal Giudizio accompagnante deve di necessità avvenire
contemporaneamente all'Azione espressa dal Giadizio principale - Quindi il
Giudizio accompagnante non può per intrinseca natura essere che presento, vale
a dire contenpora neo al Giudizio
principale. Essendo è la Derivazione per
questo Giudi-zio: Quindi avremo « cantando ossia essendo can cante scrive,
scriveva, scrisse, scriverà ec. ». 108.
In Italiano come in altre Lingue facciamo. grand'uso dell'espressione
essendo-stato, o sue equi-valenti; come « avendo scritto, detto, chiamaro ec.
cioè essendo-staco scrivente, dicente, chiamante ec. » Tal espressione a prima vista serabra quasi .
enunciare un Giudizio generico accompagnante di Tempo passato; e ciò
specialmente per l'analo-gia coll'espressione del Generico-determinante
pas-sato, cioè essere-stato (105, II°) - Si avverta quindi, che essendo-stato è
un espressione impropria ossia sostituita; e richiamando il sovrespo-sto (107)
si fissi, che il Giudizio generico-accom-pagnante, stante la sua intrinseca
natura valore ed essenza, non può essere che presente, cioè deve di necessità
aver luogo contemporaneamente al Giudizio principale: Quindi questo Giudizio
non può avere che una sola espressione, cioè essendo (107). ARTICOLO 2.°
Giudizio Definito 10g. È definito
ogni Giudizio, il quale esclude ogni ombra d'incertezza - Si avverta però che
l'incertezza esclusa dal Giudizio definito, e solo tanto relativa alla
persuasione in cui trovasi l'Oggetto giudicante (95), riguardo a ciò che
pronun-cia; senza che questa persuasione punto influisca sull'esistenza o
sussistenza di ciò ch' esprime il Giu-dizio.
Quindi il Giudizio definito ci presenta la massima certezza, non di ciò
ch'esso esprime, perché potrebbe anche non sussistere; ma della persuasione in
cui è l'Oggetto giudicante relativamente all'esistenza di quel che dice nel suo
Giudizio - Dicendo per esempio « Pietro è virtuoso» il mio Giudizio è definito,
perché di sua natura esclude qualunque incertezza. L'incertezza esclusa però è
solo riferibile alla mia persuasione; perché, mentre io credo Pietro virtuoso,
egli in realtà potrebbe non esser tale - Parimenti dicendo • Pietro sarebbe
amabile, se studiasse» Pietro sarebbe amabile è Giudizio definito. Esso infatti
la chiaramente co-noscere la persuasione in cui sono, che l' amabilità in
Pietro dipende dallo studiare; benché forse anche studiando, potrebb' egli in
realtà continuare ad essere inamabile. Il Giudizio Definito può
essere Indicatiso o Condizionato. DEFINITO INDICATIVO E indicativo ogni Giudizio
definito, in cui si attribuisce ad un Oggetto una Qualità o un Azione colla
massima possibile semplicità; e in modo che basta soltanto accennarlo o
indicarlo, perché sia inteso perfettamente - V' è però qualche piccola
eccezione riguardo al Tempo, cui si ri-ferisce. Quindi il Giudizio indicativo
deve distinguersi in isolato e dipendente. INDICATIVO ISOLATO ' Isolato da noi chiamasi
ogni Giudizio in- dicativo, esprimente in se stesso un senso completo anche
riguardo al Tempo: Come « Noi siamo italiani - Egli fü promosso -Voi sarete
felici ec. ». L'Indicativo isolato è
sempre naturalmente riferibile ad uno dei trè Tempi passato, presente o futuro;
giacchè in qualche istante di Tempo deve avvenire ciò ch'è espresso dal
Giudizio. • I.° INDICATITO PASSATO-Un Giudizio indicativo è di Tempo passato, quando
si riporta ad un Punto della Linea generica 97) di Tempo anteriore al punto che
fissiamo come presente - Eccone le Derivazioni pel Numero e unale e
plu-rale.URALE PLURALE io fui
noi fummo tu fosti voi foste
egli fù essi furono II.° INDICATITO FUTURo — Un Giudizio
indicativo è di Tempo futuro, quando sulla Linea generica riportasi ad un Punto
posteriore a quello che fissiamo come presente — Eccone le Deriva-zioni: io sarò
I noi saremo tu sarai voi. sarete
egli sarà essi saranno • II.° INDICATITO PRESENTE — Un Giudizio
indicativo è di Tempo presente, quando sulla Linea si riferisce al Punto che
separa il Futuro dal Pas-sato; ed è in nostro arbitrio secondo le circostanze
fissare come presente un Punto qualunque della
Linea totale - Eccone le Derivazioni :
io sono I noi siamo tu sei
voi siete egli è essi sono
: 114. La Lingua Italiana, come altre molte, à per l'Indicativo passato
due Espressioni, ossia consis dera il Tempo passato e come congiunto al
presente e come da esso disgiunto. Quindi per l'Indi-cativo isolato abbiamo due
Tempi passati, cioé passato-congiunto e passato-disgiunto - Chiamiamo
passato-congiunto quel Passato che nella suaestensione abbraccia quasi anche il
Presente: E chiamiamo passato-disgiunto quel Passato, che si ritiene terminar
sulla Linea in qualche distanza dal Tempo presente. Le Derivazioni sovrespresse io fui ec. (113,
II.°) servono al passato-disgiunto; e pel passato congiunto abbiamo le seguenti: io sono-stato
| noi siamo-stati tu sei-stato voi siete-stati egli è-stato
essi sono-stati L'uso italiano di
questi due Tempi passati riuscendo a molti non facile, mi permetto di
brevemente qui esporlo. Il
passato-congiunto si usa unicamente per esprimere i Giudizj riferibili al
Giorno in cui si par-la, o per lo meno riferibili ad una determinata estensione
di Tempo, della quale forma parte integrante il Giorno in cui si parla; come
quest' an-no, questo mese ec. Quindi l'espressione di Tempo passato-congiunto deve
sempre far buon senso colla voce di
Tempo oggi. Il passato-disgiunto si usa
invece per esprimere qualunque Giudizio riferibile per lo meno al Giorno che
precede quello in cui si pronuncia; e però le sue espressioni debbono sempre
far buon senso colla voce di Tempo jeri.
・ Dunque dicendo « Ho ricevuto una Lettera »
s'intende, che l'o ricevuta nel Giorno in cui par-lo: E dicendo « Ricevetti una
Lettera » s'intende averla io ricevuta prima del Giorno in cui parlo.INDICATIVO
DIPENDENTE 1‹5. Chiamasi da noi
dipendente ogni Giudizio indicatiro, la cui totale intelligenza rapporto
al Tempo dipende da un altro Giudizio;
ossia è dipendente ogni Giudizio indicativo, il quale senza il concorso d'un
altro Giudizio non ci presenterebbe una completa idea del Tempo, cui si
riferi-sce; come « Io era — Tu sarai stato - Voi eravate stati ec. » — Quindi
l'Indicativo dipendente deve sempre essere unito ad un altro Giudizio o
espresso o richiamato o facilmente sottintesó.
116. Ogni Giudizio Indicativo dipendente è sempre riferibile ad uno dei
tré Tempi presente-rela-civo, passato-anteriore, futuro-anteriore; come
passiamo ad esporre. I.° INDICATIVO
PRESENTE-RELATIVO - Chiamiamo presente-relativo quel Tempo, il quale sebbene di
sua natura assolutamente passato, pure è presente riguardo a quello in cui
arvenne una data Azione o Giudizio. E
facile comprendere, che da due o più Og getti possono e quindi poterono anche
farsi due o più Azioni al tempo stesso: Cosi in « lo scriveva, quando voi mi
chiamaste» l'azione di scrivere è avvenuta contemporaneamente a quella di
chiamare — Ora tali Azioni relativamente al Tempo in cui avvennero, confrontate
l'una coll'altra, sono ossia furono reciprocamente presenti trà loro, cioè
ebbero luogo in un medesimo istante - Dunque possiamo giustamente chiamarle
Azioni di Tempo presente-relativo.Se
dunque consideriamo lungo varie Linee paralelle (98) Azioni diverse già
consumate, saranno di presente-relativo cioé presenti frà loro, tutte quelle
che trovansi in una stessa Linea perpendicolare (99) a queste paralelle -
Espressa dunque una di tali Azioni in modo da far conoscere il Tempo in cui
avvenne, basterà per le alire indicare che furon esse contemporanee alla
medesi-ma; ed abbiamo Voci apposite per questo - Eccone le Derivazioni : io era
I noi eravamo tu eri voi eravate
egli era essi erano II.' INDICATIPO PASSATO-ANTERIORE - Chiamiamo
passato-anteriore ogni Tempo, decorso prima d'un altro che nel discorso
consideriamo parimenti come. passato - Ed infatti quante volte non ci occorre
di esprimere due Giudizj o Azioni passate, obligati ad indicare nel medesimo
tem-po, che l'una avvenne prima dell'altra? Cosi in «Quando Tizio parti, io era
già tornato dall'Accademia », il mio ritorno è avvenuto prima della partenza di
Tizio: Quindi l'azione di tor-nore, anteriore a quella di partire ch' è già
passata di sua natura, nel caso nostro concreto sarà giustamente chiamata di
Tempo passato-anterio- re - Eccone le
Derivazioni : io era-stato . tu eri-stato egli era-stato I noi eravamo-stati voi eravate-stati essi erano-statiIII°. INDICATITO
FUTURO-ANTERIONE - Molte volte esprimiamo un Giudizio di Tempo futuro, che deve
effettuarsi primo d'un altro Giudizio parimenti futuro - In tal caso quello dei
due Giu-dizj che deve effettuarsi prima dell' altro, é da noi detto Giudizio di
Tempo futuro-anteriore. Cosi in «Quando avrò finito la Lezione, passeggeremo »
il Passeggio non può aver luogo che dopo finita la Lezione: Quindi l'azione di
finire, in se stessa futura ma che deve aver luogo prima di quella di
passeggiare, sarà nel caso nostro giustamente chiamata di Tempo
futuro-anteriore - Eccone le Derivazioni
: io sard-stato tu sarai-stato egli sarà-stato noi saremo-stati voi sarete-stati essi saranno-stati DEFINITO CONDIZIONATO ricari e cosi osero mi i cong la cui rea seguimento di qualche Condizione espressa o
fa-• cilmente sottintesa - Quindi il Giudizio condizio-nato, relativamente alla
Condizione è sempre di sua natura futuro; vale a dire che quando si verificasse
o si fosse verificata la Condizione, il Giudizio condizionato avrebbe luogo o
lo avrebbe avuto sempre dopo tale verificazione. 118. Il Giudizio Condizionato può essere
praticamente eseguibile o ineseguibile.CONDIZIONATO INESEGUIBILE 119. Un Giudizio condizionato è inesegribile,
quando la Condizione non può più effettuarsi - Quindi il Condizionato
ineseguibile non puó per intrinseca natura riferirsi a Tempo futuro: Esso
quindi sarà di Tempo o presente o passato.
I.° CONDIZIONATO PRESNETE — Il Condizionato ineseguibile è di Tempo
presente, quando posto il verificamento della Condizione, avrebbe luogo al
momento stesso in cui si proferisce. Cosi in
* Favoritemi la scattola: se l'avessi, ve la darei vo-lontieri »
l'azione di dare, verificandosi la Condizione di avere, seguirebbe al momento
stesso in cui si pronuncia il corrispondente Giudizio - Ee- cone le. Derivazioni : io sarei
noi saremmo tu saresti voi sareste
egli sarebbe / essi
sarebbero II.° CONDIZIONATO PASSATO - Il
Condizionato ineseguibile è di Tempo passato, quando posto il verificamento
della Condizione, il Giudizio avrebbe avuto luogo anteriormente al Tempo in cui
si pro-nuncia. Cosi in « Se foste venuto, ve lo avrei detto » si vede chiaramente,
che verificatasi la condizione della venuta, l'azione di dire sarebbesi
effettuata in un tempo anteriore a quello, nel quale proferiamo il
corrispondente Giudizio - Eccone le Deri-vazioni:io sarei-stato noi saremmo-stati tu saresti-stato voi sareste-stati egli sarebbe-stato essi sarebbero-stati 120. Alle volte in Lingua prattica si presentano
sotto apparenza di Condizionati ineseguibili, de' Giu-dizj che realmente non
sono tali; questo specialmente avviene, quando si vuol esprimere un desiderio
un timore e simili; come « Amerei sapere — Bramereste forse? - Ne vorrebbero un
poco ec. » — Si avverta quindi, che tali
e simili espressioni difettose in natura, sono improprie ossia sostituite ; ma
che al pari di tante altre furono riconosciute buone dall' Uso, il quale in
punto Lingua auto- rizo moltissimi
errori. CONDIZIONATO ESEGUIBILB Un Giudizio Condizionato e eseguibile, quando la
Condizione può ancora verificarsi: Quindi è eseguibile, quando l'espressione
del Giudizio si riporta ad un Tempo posteriore a quello in cui si proferisce -
Quindi il Condizionato eseguibile per natura non può essere che di Tempo
fisturo. CONDIZIONATO FUTURO - La
forza condizionale sempre viene espressa dalla natura del discorso. Dunque
basterà semplicemente indicare, che il Giudizio condizionato è eseguibile - Ma
per dire ch' è eseguibile, basta accennare ch'è di tempo futuro (121). Dunque
pel Condizionato eseguibile ragionevolmente faremo uso delle Derivazioni già
stabilite pel futuro dell'Indicativo (113, II.°): Come «se lo incontro, gli
parlerò per voi» —Eccone quindi le Derivazioni, precedute dalla Voce
condizionale e da un Verbo esprimente una Condizione generica di desiderio
: Se bramasi, io sirò ... noi saremo ... tu sarai
... voi sarete ... egli sarà ... essi saranno ARTICOLO 3.°
. : Giudizio Suppositivo 123. La natura del Discorso esigge sovente,
che in via d'abbondanza o d'ipotesi si ammetta come arvenuta o avvenibile una
Cosa, che potrebbe anche non essere : E siccome il Giudizio che si esprime in
tal caso, deve far conoscere, che l'Anima si: fonda sopra un mero Supposto; noi
con ragione Io chiamiamo Giudizio
suppositivo. Si avverta, che nei Giudizi
suppositivi il Nome dell'Oggetto cardinale (82) si pone dopo la Voce di
Giudizio, e che la supposizione ordinariamente suole anche esprimersi con
japposita voce o parti- cella; come
pure, anche, quand-anche ec. 124. Le
supposizioni potendo cadere su Cosa presente passata o futura, ogni Giudizio
supposi-tivo dovrà riferirsi ad uno di questi trè Tempi. I.° SUPPOSITITO PRESENTE - Il Giudizio
suppo-sitivo è di Tempo presente, quando intieramenté riportasi al momento in
cui si proferisce: Come « siate pur Voi l'offeso: Che si brama di più? » - • Eccone le Derivazioni, accompagnate dalla
particella suppositiva pure :sia pur io
I siamo pur noi sii pur tu siate pur voi
sia pur egli sieno pur essi II.° SUPPOSITITO PASSATO -Il Giudizio
suppo-sitivo è di Tempo passato, quando riportasi ad un l'empo anteriore a
quello in eui si proferisce: Come «Sia
pur egli stato nostro Nemico: Egli è Uomo: Dobbiamo quindi soccorrerlo » — Eccone
le Derivazioni: sia pur io stato I siamo pur noi stati sii pur tu stato I siate pur voi stati sia pur egli stato / sieno pur essi
stati III.° SUPPOSITITO FUTURO -Il
Giudizio sup-positivo è di tempo futuro, quando si riferisce a Tempo posteriore
a quello in cui si pronuncia: Come u
Arrivi pur egli domani, cioè sia pure ar-rivante: Che perciò ? ». 125. Le Derivazioni pel suppositivo futuro
sono eguali a quelle del suppositivo présente, cioè sia pur in ec. (124,
1."). Infatti la futurità di supposizione
necessariamente si conosce dalla natura del Discorso. Dunque sarebbe inutile
esprimerla colla Voce di Giu-dizio. Dunque, quando la supposizione è di Tempo
futuro, la Voce di Giudizio deve solo far cono-scere, che il Giudizio è in Modo
suppositivo - Ma pel Modo suppositivo abbiamo soltanto due Espressioni, una di presente, l'altra di
Tempo passato (124, 1° Il°). Dunque, rigettando quella.di Tempo passato perché
diametralmente opposta al futuro, il Giudizio suppositivo futuro sarà es presso
regolarmente colle Derivazioni del supposi-
tivo presente. 126. Si avverta
però, che in tal caso l'Espressione del futuro materialmente è uguale a quella
del Tempo presente, ma in realtà non à lo stesso significato e valore - Quindi
l'Espressione o Derivazione del Tempo presente deve considerarsi sotto un
doppio aspetto; e in genere come Espressione di Modo, ed in ispecie come
Espressione del solo Tempo presente.
Questa Osservazione 'ci sarà utile anche per altre consimili
Dimostrazioni. ARTICOLO 4° Giudizio Volitivo 187. Chiamiamo Volitiva ogni Giudizio, nel
quale l'Oggetto giudicante (95) esprime energicamente ciò oh' ei vorrebbe;
ossia ogni Giudizio nel quale l'Oggetto giudicante fa conoscere con intensità
di spirito un atto di sua Valontà. 128
Ora Chi volo qualche cosa, per natura non può volere che un Bero; o questo Bene
dere necessariamento dipendere a dalla esclusiva persuasione di Chi vuole, a
dalla persuasione di altri Oggetti - Se il Bene dipende dalla persuasione di
Chi vuolo, l'Oggetto giudicante esternando la sua Volontà, comando, Se il Bene
dipende dalla persuasione di altri Oggetti, l'Oggetto giudicanteesternando la
sua Volontà, o esorta o prega: Prega, se
il Bene sotto qualche rapporto riguarda anche lui stesso; e se il Bene non lo
riguarda, si limita ad esortare. Dunque
il Giudizio Volitivo deve sempre esprimere o Comando o Esortazione o
Preghiera. L'Oggetto giudicante non à
bisogno di esprimere con parole un atto di Volontà riguardante lui stesso; come
ognuno facilmente comprende - Danque le Derivazioni di Giudizio Volitivo
mancheranno ragionevolmente di Espressione per l'Oggetto giudicante, se uno ;
giacché essendo più gli Oggetti giudicanti, possono anzi debbono comunicarsi
reciprocamente la loro Volontà. Finalmente un atto qualunque di Volontà non può
riferirsi al Tempo, che più non é; nulla potendo variare il Passato - Dunque il
Giudizio Volitivo sarà necessariamente di Tempo o presenta o futuro. Si faccia
attenzione, che nei Giudizj Volitivi il Nome dell'Oggetto cardinale (82) si
pospone alla Voce di Giudizio, anzi praticamente con più eleganza si tralascia,
specialmente nel futuro. I.° VOLITIrO
PRESENTE- Un Giudizio Volitivo dicesi di Tempo presente, quando deve ese-guirsi
o al momento in cui si pronuncia, o nell'istante immediatamente successivo;
giacché se l' eseguimento di ciò ch' esprime il Giudizio, non dipende
dall'Oggetto giudicante, é impossibile che sia effettuato nell'istante medesimo
in cui si proferisce — Eccone le Derivazioni :....: siamo noi
sii tu siate voi sia egli
siano essi II.° VOLITITO FUTURO —
Un Giudizio volitivo è di Tempo futuro, quando si riporta ad un Tempo
posteriore a quello in cui si proferisce; ritenendo però la Definizione sopra
fissata pel Volitivo presente - Eccone le Derivazioni senza Nome di Oggetto
cardinale: ....• saremo
sarai sarete sara
saranno *31. Si avverta, che in
prattica invece del Futuro usiamo spessissimo il Volitivo presente, la futurità
essendo in tal caso espressa dalla natura del discorso (126). ARTICOLO
5.° Giudizio Ottativo 132. Siamo non di rado nella situazione di de
siderare energicamente qualche cosa - In tal caso esprimiamo un vivo sentimento
dell'animo con un Giudizio accompagnato da desiderio ossia con un Giudizio ottativo,
dalla voce latina optare che significa desiderare. Si avverta, che il Giudizio ottativo suole
nel discorso essere accompagnato da qualche particel-la, come oh e simili; e
che dev'essere in iscrittomarcato col cost detto Punto ammirativo, che in
questo caso sarebbe meglio chiamato segno di de-siderio. Si avverta inoltre, che nei Giudizj ottativi
il Nome dell'Oggetto cardinale (il quale può esser anche taciuto) si pone dopo
la Voce di Giudizio. Il Giudizio Ottativo può
come il Condizio nato (118) essere eseguibile o ineseguibile. OTTATIVO
INESEGUIBILB Un Giudizio ottatiro è
ineseguibile, quando il Desiderio che lo accompagna, praticamente non può
ellettuarsi più. Quindi l' Ottativo ineseguibile esclude di sua natura il Tempo
futuro, appunto perché altrimenti cesserebbe d' essere ine-seguibile. Quindi
ogni Giudizio ottativo ineseguibile sarà di tempo o passato o presente. I.°
OTTATITO PRESENTE —Il Giudizio Ottativo è di Tempo presente, quando posta l'
effettuazione. del Desiderio, ciò ch' esprime il Giudizio avrebbe luogo anche al
momento in cui si proferisce: Come « Oh
foss' io vostro Generale! »-Eccone le
Derivazioni : Oh foss' io ! | Oh fossimo noi! fossi tu !
... foste voi! foss' egli ! fossero essi!
II.° OTTATITO PASSATO —Il Giudizio Ottativo e di Tempo passato, quando
posta l' effettuazione del Desiderio, ciò ch' esprime il Giudizio avrebbe avuto
luogo prima del momento in cui si proferi-sce: Come « Oh foss' io stato più
forte! » - Ec-. cone le Derivazioni: Oh foss' io stato! I Oh fossimo noi stati! fossi tu staro! ! ... foste voi stati! foss'egli stato! | ... fossero essi stati
! OTTATIVO ESBGUIBILE 135. Un Giudizio ottativo é eseguibile,
quando il desiderio che lo accompagna, può ancora effettuarsi - Quindi
l'Ottativo eseguibile non può per intrinseca natura essere che di Tempo
futuro. • 136 OITATIVO FUTURO — Le
Derivazioni per quest' Ottativo futuro sono eguali perfettamente a quelle
dell'Ottativo presente « foss'io! er. (134, I°): e ciò per la ragione che
abbiamo addotto (126) relativamente al Giudizio suppositivo; vale a dire che
l'Espressione di presente deve considerarsi in genere come Espressione di Modo,
ed in ispecie come Espressione del solo Tempo presente. Quindi il sentimento
può solo farci conoscere il vero Tem-po, cui si riferisce il Giudizio Ottativo
- Questa cognizione però è della massima facilità Infatti chi non vede, che i
Giudizj Oitativi « Oh mi scrivesse col primo Ordinario! Oh giugnessero almeno
domani! ec.» sono Giudizj unicamente riferibili a Tempo faturo?
AVVERTENZA 137. Autorizati
dall'uso molte volte al Modo ottativo sostituiamo delle. Espressioni di
apparenzacondizionale: Come « Vorrei essere! Vorrei essere stato! ec.» invece
di « Oh fossi! Oh fossi sta-to! ec. »— La natura del discorso però ci farà
ca-noscere facilmente, che tali e simili Espressioni sono sostituite; e
l'Analisi vuole, che sappiamo riportarle alla originaria loro forma e
natura. ARTICOLO 6.° Giudizio Condizionante ‹38. Chiamiamo condizionante ogni Giudizio
esprimente la Condizione, sulla cui verificazione si appoggia un Giudizio
Condizionato qualunque («17) - Il Giudizio condizionante può riferirsi a Tempo
presente, passata, o futuro; e il suo Distintivo consiste nell' essere
accompagnato dalla particella se (francese si) o sua equivalente —La Voce se à
anche molti altri significati. Quindi si
fissi, che non sempre nel discorso è particella condizionante, e che il solo
sentimento puo farci praticamente conoscere il suo vero valore. I.° CONDIZIONANTE PASSENTE - Il Giudizio
condizionante è di Tempo presante, quando cio ch'esso esprime si riporta
all'istante in cui si pro-nuncia: Come « Se ne avessi, ve ne darei » - Eccone le Derivazioni: Se io fossi ... tu fossi d. egli fosse
‹ Se noi fossimo ... voi foste
... essi fosseroII.' CONDIZIONANTE PASSATO-Il Giudizio condizionante è
di Tempo passato, quando ció che avuto,
ve ne avrei dato certamente » - Eccone le
Derivazioni : Se io fossi stato |• Se noi fossimo stati ... tu fossi stato | ... voi foste stati ... egli fosse stato ... essi fossero
stati III.° CONDZIONANTE FUTURO - Il
Giudizio condizionante è di Tempo futuro, quando ció ch'esso esprime, si
riporta ad un Tempo posteriore a quello in cui si pronuncia. Come « Se lo
incontrerò oppure se lo incontro, gli parlerò»; dove è evidente, che l'Incontro
deve ancora seguire. Le Espressioni del
Condizionante futuro si prendono dal futuro Indicativo (173, II.°) - Infatti la
forza Condizionante essendo espressa dalla Voce se o sua equivalente, la Voce
di Giudizio non deve indicare che il Tempo. Quindi giustamente facciamo uso del
Futuro Indicativo - Eccone dunque le Derivazioni: Se io sarò
I Se noi saremo ... tu sarai - ...
voi sarete ... egli sarà ... essi saranno Siccome poi quando la futurità è espressa
dal-l'intrinseca natura del Giudizio, basta che indichiamo il Modo del Giudizio
medesimo, e siccome l'espressione generica di Modo è riposta nelleDerivazioni
del Tempo presente (285 e seg.); cosi nel discorso praticamente quasi sempre
esprimiamo il Condizionante futuro col presente Indi- cativo; cioè
Se io sono ... tu sei ... egli
é | Se noi siamo ... voi siete ... essi sono
ARTICOLO 7.° Giudizio
Indefinito 139. Indefinito cioè non
definito chiamiamo ogni Giudizio accompagnato da qualche incertezza
relativamente all'esistenza di ciò ch' esprime il Giudizio medesimo. Cosi negli
esempj seguenti l'espressione arrivino è indehnita, ossia non presenta che un
Giudizio indefinito; giacché questo
Giudizio non ci dà di se stesso alcuna certezza : • « Mi pare, che arrivino - Credo che
arrivino - Si dice, che arrivino = Voglio, che arrivino ec. » Tale Materia s'intenderà meglio dopo avere
attentamente ponderato ciò ch'esporremo in seguito (181 e seg.) - Qui intanto
fisseremo le espressioni o Derivazioni pel Giudizio Indefinito, avvertendo, 1.°
che son esse uguali a delle Derivazioni per altri Modi espresse finora; 2.° che
tali Derivazioni in Italiano debbono essere precedute dal che, il quale però
qualche volta si può anche tralasciare; 3.° finalmente che questo che è
preceduto sempre esso stesso da un Giudizio o Verbo determinando (471), il
quale per ora sarà da noi chiamato Verbo o Giudizio precedente.840. Il Giudizio
Indefinito può riferirsi a qualunque Tempo tanto assoluto che relativo; giacché
dapertutto può al nostro spirito presentarsi del-l'incertezza. I.° INDBFINITO PRESENTE-ASSOLUTO - Un
Giudizio indefinito è di Tempo presente-assoluto, quando ciò ch'esso esprime,
si riporta al momento in cui si proferisce: Come «Mi pare, che sia giorno » -
Eccone le Derivazioni : Si crede, ch'io
sia 1 .. che noi siamo .. che tu sii
/ .. che voi siate .. ch'egli sia / .. ch' essi sieno II.' INDEFINITO PRESENTE-ABLATITO - Un
Giudizio indefinito è di Tempo presente-relativo, quando é contemporaneo al
Giudizio espresso dal Verbo precedente (139), il quale di sua natura Si credeva, si credette ec. ch'io fossi
| che noi fossimo che tu fossi I che voi foste ch'egli fosse
I ch'essi fossero III.°
INDEFINITO PASSATO - Un Giudizio indef-nito è di Tempo passato, quando si
riferisce ad epoca anteriore al momento in cui si pronuncia: Come « Credo, che sieno stati vincitori.» -
Eocone le Derivazioni :Si crede, ch'io sia
state che tu sii stato ch'egli sia
stato ‹ che noi siamo stati | che voi
siate stati I ch' essi sieno stati IV.
INDEFINITO FUTURO-ASSOLUTO - Un Giudizio indefinito è di Tempo juturo-assoluto,
quando si riferisce a Tempo posteriore a quello in cui si pronuncia: Come «
Credo, che sarete lodati ». Ogni
Giudizio riguardante l' Avvenire è indefinito ossia incerto di sua natura;
giacché delle Cose future non può mai aversi certezza assoluta — Quindi l'
Indefinito futuro sarà giustamente espresso dalle Derivazioni del futuro
Indicativo (113, II.°). Ed infatti per
dare a conoscere che un Giudizio è indefinito, basta indicare che si riporta a
Tempo futuro. La diversità poi esistente trà il Futuro de-Enito e indefinito, è
marcata dalla voce che, la quale deve sempre precedere il Giudizio indefini-to;
o meglio è marcata da ciò, che il Futuro indefinito deve inseparabilmente esser
congiunto ad un Giudizio precedente (139), e il definito nó - Ecco pertanto le
Derivazioni dell' Indefinito futuro assoluto:
• Si crede, ch'io sarò 1 .. che
noi saremo .. che tu sarai | .. che voi
sarete .. ch'egli sarà | .. ch' essi saranno
V. INDEFINITO FUTURO-RELATIVO — Chiamiamo di Tempo futuro-relativo ogni
Giudizio inde- . finito ch'è futuro non in se stesso, ma relativanenteal Tempo
in cui avviene il Giudizio espresso dal
Verbo precedente, il quale di sua natura der'es-sere passato: Come « Io
riteneva, che gli Amici arriverebbero oppure sarebbero arrivati a mezzo-giorno:
E già notte; é ancora non si vedono » - Eccone le Derivazioni, le quali si
prendono dal Condizionato presente o passato (119), come più piace: Si credevo, si credette ec. ch'io sarei
che tu saresti ch'egli sarebbe I
che noi saremmo che voi sareste ch'essi sarebbero ovvero
ch'io sarei stato I che noi saremmo
stati che tu saresti stato che voi
sareste stati ch'egli sarebbe stato i ch'essi sarebbero stati Si avverta, che molte volte per esprimere
questo Futuro-relativo facciam uso d'un qualche Verbo ausiliario; come potere,
dovere, ivolere ec. Cost invece di dire «Pensai che partirebbero, o che
sarebbero partiti» comunemente diciamo « Pen-sai, che volessero partire, oppure
che potessero partire, oppure che dovessero partire, oppure che fossero per
partire» secondo la diversa natura del discorso e delle circostanze. VI.° INDEFINITO PASSATO-ANTERIORE - Un
Giudizio indefinito è di Tempo passato-anteriore, quando si riporta ad un Epoca
anteriore a quella • del Giudizio
precedente, la quale deve pur essere passata: Come «Quando giunsi, molti
per-savano che fossi stato ferito »- Eccone le Derivazioni : Si credeva, si credette ec.' ch'io fossi stato che noi fossimo stati che tu fossi stato che voi fuste stati ch'egli fosse stato ch'essi fossero stati VII.® INDEFINITO FUTURO-ANTERIORE - Un
Giudizio indefinito è di Tempo futuro-anteriore, quando si riporta ad un Epoca
futura in se stessa, ed anteriore ad un altra Epoca la quale dev'essere
parimenti futura. Quindi l' anteriorità dell' Indefinito futuro-anteriore non à
alcuna relazione col Giudizio precedente, il quale può essere indifferentemente
di Tempo presente o futuro secondo le cir-costanze: Come « lo tornerò alle due
pomeridiane; e spero, che queste Lettere al mio ritorno saranno state spedite
». Per la ragione addotta superiormente
(IV.®) le Derivazioni dell' Indefinito
futuro-anteriore sono eguali a quelle del Futuro-anteriore indicativo (116 III.°) - Eccole : Si crede ec.
che ..... io sarò stato | che... noi saremo stati tu sarai stato | voi sarete stati 0apa........
egli sarà stato | essi saranno
stati AVVERTENZA Sui Giudizj Condizionati 34s. I Giudizj Condizionati (117) possono
essereIndefiniti ancor essi; e questo propriamente sua cede, quando anche dato
il verificamento della Condizione, siamo tuttavia incerti se il Giudizio
condizionato avverrebbe o sarebbe avvenuto: Come «Ritengo che i nostri soldati
sarebbero vittoriosi, se avessero attaccato subito il Nemico - Ritengo che i
nostri soldati sarebbero stati vittoriosi, se aressero attaccato subito il
Nemico -Ritengo che i nostri soldati saranno vittoriosi, se attaccheranno subito il Nemico ». Per ciò che riguarda i Tempi e le
Derivazio-ni, i Giudizj Condizionati Indefiniti sieguono precisamente le Teorie
già esposte pei Condizionati Definiti
(119 e seg.). ARTICOLO 8.° Giudizio Interrogativo 1/2. I Giudizj sono molte volte accompagnati
da Interrogazione; ed allora noi li chiamiamo in-terrogativi. La Domanda indica naturalmente l'Incertezza
d' esistenza di ciò ch' esprime il Giudizio: Quindi i Giudizj Interrogativi
sono di loro natura Indefiniti. Siccome
però l'Incertezza dell'Espressione del Giudizio è bastantemente indicata
dall'Interrogazio-ne; cosi ne'Giudizj Interrogativi si la uso delle Derivazioni
già fissate pei varj Tempi del Modo Definito tanto Indicativo che Condizionato
(113 e seg.) — Si avverta però, che negli Interrogativi il Nome di Oggetto
cardinale (che molte voltepuò tralasciarsi) si pospone alla Voce di Giudi-zio;
e che in iscritto i Giudizj Interrogativi deb-bon essere marcati con un segno
particolare, detto segno interrogativo - Quindi avtemo : Son io? Sei ti? Era io? Eravate voi? Saremo
noi? Saresti tu? ec. 143: Il Giudizio
Interrogativo può essere semplice o enfatico - È semplice, quando unicamente e
nudamente chiediamo ciò ch' è espresso dal Giu-dizio: Come « Che fate? Dote
andarono? Quando tornò? ec. »— E enfatico, quando la domanda e accompagnata da
un forte sentimento dell'animo; per esémpio da un sentimento di sdegno,
d'orrore, di dubbio, di timore, d' insulto, di scherno ec.: Come « Che si pretende da me? Dunque è finita
per noi? E vederla potrei? Voi l' uccideste, voi? ec.». Gl' Interrogativi tanto semplici ch' enfatici
si esprimono colle stesse Derivazioni, ed in iscritto colla stessa
punteggiatura. Esséndo però in natura diversi trà loro, tale diversità dovrà
parlando es ser espressa da una diversa inflessione di voce _ È molto difficile
pronunziar berie le Interrogazioni enfatiche, come pure ogni altra enfatica
espressione qualunque; né può assegnarsi regola per questo. Si fissi però, che
per ben proferirle è necessario vivamente sentirle nel fondo dell'anima; e che
la loro pronunzia deve praticamente essere tanto varia, quanto son diversi trà
loro l'Odio, l'Irisulto, la Disapprovazione, l'Orrore ec.Sulla Voce di
Giudizio 144. Nel fissare le varie
Derivazioni dalla italiana generica Voce di Giudizio essere, per i Tempi
formati da due Parole o introdotto un tratto d'unione, che la Lingua italiana
non usa. Con questo segno o inteso unicamente avvertire ; che le due Parole
sarò-stato, era-slalo ec. formano una sola semplicissima idea, com'era in
latino fuero, fueram cc.; che desse né possono né debbono considerarsi separatamente;
e che la prima di queste due Parole non è che un puro segno, nè à più quel
valore che sogliamo attribuirle, quando agisce da sola. Questa Osservazione conduce naturalmente ad
un altra, cioé che in ogni Lingua una stessa Parola può avere varj significati;
e ch'é impossibile conoscere a fondo una Lingua, finché non sappiamo in ogni
prattica circostanza attaccare a ciascuna Parola l'esclusivo suo valore -
Essere per esempio in tutte le varie Lingue da me conosciu-te, ora e Voce di
Giudizio, ed ora significa stare: Cosi
werden in Lingua Tedesca ora significa di-ventare, ora è puro segno di Tempo,
ed ora è Voce di Giudizio - Se i Signori
Grammatici avessero analizato quanto conveniva e com'era loro dovere, noi non
avremmo dalla Lingua Tedesca le barbare Traduzioni grammaticali « io divento
amare invere di anierò» tu diventi amato invece di sei amato «egli diventerebbe
amato avere invece di avrebbe amato » e simili.Povero Buon-Senso! Egli é
sepolto sotto un ammasso enorme di ciecamente venerate Assurdi-tà; essendo vero
pur troppo, che «En général l'Homme tient à ses Habitudes, comme il tient d son
Culte, à ses Institutions. La Paresse qui lui est
naturelle, et l' Ignorance qui en est la suite, sont de nouvelles raisons, qui
lui font préfères le chemin battu à la peine d' en frayer un nou-veau - Il aime
mieux croire sur parole, que de prendre la Raison pour guide (Maudru). CAPO III
Derivazioni dalle Radici di Rapporto
145. Le Voci di Rapporto generalmente sono stubili, vale a dire non
danno alcuna Derivazione — Abbiamo peró tré Rapporti, cioè di Numero di Tempo e
di Tungo, che debbon essere particolarmente analizati; e perché molte delle
loro Radici che chiameremo variabili,
danno Deriva-zioni; e perché sono per natura d' un uso frequentissimo nel Discorso. ‹46. Relativamente alle Voci di qualunque
altro Rapporto si fissi poi per Regola
generale, ch' esse o non danno alcuna Derivazione, o danno una Derivazione di
Nome qualitativo come le Radici di Luogo, di cui il seguente:Dalle Radici di
Luogo Dalle Radici variabili di
Luogo deriva un Nome qualitativo come da quelle di Oggetto (73); e questa
Derivazione si usa, quando con una sola parola e in via di Qualità vogliamo
esprimere il Luogo dell'Oggetto: Cosi da « sopra, sotto, avanti, dentro ec.»
abbiamo i Qualitativi « superiore, interiore, anteriore, interna ec. ».
PARAGRATO D° Dalle Radici di Tempo Dalle Radici variabili di Tempo abbiamo una
Derivazione di Qualità, come da quelle di Luogo (147): Cosi da oggi, jeri,
demani ec. abbiamo odierno, di-jeri, di-domani ec. (in latino hesternus,
crastinus ec.) ‹49. Trà le Derivazioni dalle Radici di Tempo esiggono
particolare attenzione alcune, che chiameremo Espressioni estese di Tempo.
Queste sere vono ad esprimere una Estensione di Tempo; esten-sione, la quale
comincia dall' Istante o Aggregato d'Istanti considerato come presente, e la
quale si prolunga fin dove richiede il Discorso. Tali Espressioni poi si riferiscono a Tempo o
passato o futuro: Quelle di Tempo passato sono « un ora fa —trè anni fa -cinque
secoli fà, e simili »: Quelle di Tempo futuro sono « da qui ad un ora — da qui
a trè mesi - da qui a dieci anni, e simili ».Dalle Radici di Numero 150. Le Radici di Numero sono uno, due, trè
ec.; e da esse abbiamo in genere cinque Deri-vazioni, che sono: 1.° Un
Sostantivo-astratto; come « Unità, Ambo, Terno, Decina ec. »: 2.° Un Nome
qualitativo ossia ordinale; come « primo, secondo, terzo, decimo ec.»: 3.° Una
T'oce mul-tipla; come « doppio, triplo, decuplo ec. "»: 4.° Una Voce aliquota; come « sudduplo,
sut-triplo, suddecuplo ec »: 5.° Un Espressione di ripetizione costante; come «
a uno a uno, a due a due, a sei a sei, a dieci a dieci ec. »: AVVERTENZA
Sulle Derivazioni in genere 85r.
Da quasi tutte le Voci Derivate, tranne quelle della Voce di Giudizio, si ànno
o almeno si possono avere delle nuove Derivazioni. Quindi le Voci Derivate
debbono distinguersi in Voci di primo e di seconda Derivazione - Sono di prima
quelle, che direttamente e immediatamente procedono da Voce radicale; e quelle
che procedono da Voce derivata, sono da noi dette di seconda De-rivazione. Dunque dalle Voci derivate potendosi avere
altre Derivazioni, è necessario fissare, che ogni Voce Derivata deve
considerarsi come Radicale; e quindi, che le teorie finora esposte per le Voci
ra-dicali, sono interamente applicabili alle Voci De-rivate, quando però non
ripugnino all'intrinseca loro
natura. Si avverta fnalmente, che non
tutte le Voci, sia radicali sia derivate, presentano pratticamente tutte le
finora enumerate Derivazioni. SEZIONE
TERZA VOCI SOSTITUITE 152. Sostituite chiamiamo (5) quelle Voci ed
Es pressioni, che per vezzo eleganza chiarezza o brevità sogliono dall'Uso
porsi in luogo d'altre Voci conosciute o di altre regolari Espressioni. Le Sostituzioni sono in ogni Lingua
moltissi-me; ed e facile ravvisarle analizando praticamente un Discorso
qualunque. Tralascio pertanto di qui farne anche la più semplice Esposizione, rimet-
tendo questa Materia interamente al Criterio analitico di chi stimerà
non inutile occuparsene qualche istante.
Avverto poi, che non è possibile scriver bene in una Lingua straniera,
quando non si sappiano conoscere e fare nella propria Lingua tutte le possibili
sostituzioni; a meno che non s'imparasse la Lingua straniera unicamente per
prattica, come da molti suol farsi della propria Lingua natia.DELLE VOCI PARTI
DEL DISCORSO 153. ANALIzaTE finora le
Voci isolatamente prese, ossia come Elementi del Discorso, dobbiam ora
considerarle come Parti del Discorso; vale a dire dobbiamo considerare
l'Ufficio la Posizione il Valore delle une relativamente alle altre, in quanto
ché prese insieme formano un sentimento completo. La Determinazione delle Voci indeterminate e
le varie possibili Situazioni degli Oggetti formeranno le due Sezioni di questa
Seconda Parte della nostra Analisi di Linguaggio. SEZIONE PRIMA
DETERMINAZIONE DELLE VOCI 154.
Abbiam visto che le Voci tanto di Oggetto (12) che di Azione (80) possono
essere e sono nella massima parte indeterminate. Ora una Voce indeterminata non
esprime e non presenta allo Spirito che una generica Idea. È vero, che qualche
volta la natura del Discorso esigge unicamenteche sia indicata questa Idea
generica; ma é pur vero, che le Voci indeterminate, onde avere idee chiare
giuste e precise delle Cose, debbono spes
sissirho determinarsi parlando. È
quindi necessario esporre dettagliatamente tali Determinazioni, tanto per gli
Oggelli che per le Azioni. CAPO I. Determinazione degli Oggetti 155. I Sostantivi indeterminati cioé
esprimenti un Oggetto indeterminato (42), in Italiano come in altre Lingue
molte si distinguono dai determinati col mezzo d'una piccola Voce il lo la ec.
chiamata comunemente Articolo - Quindi l' Articola non è che « Segno di Oggetto
indeterminato ». Quindi ogni Sostantivo cui si antepone o può anteporsi
l'Articolo, é indeterminato di sua na- นura. S'incontrano molte volte coll'Articolo dei
Sostantivi di loro natura determinati. In tal caso però si avverta, che frà
l'Articolo ed il Nome è sempre sottinteso un Sostantivo indeterminato di facile
so-stituzione; e quindi che l'Articolo appartiene propriamente a questo
sottinteso Sostantivo: Cosi « il Pò, il Sole, l'Europa, la Lombardia ec. »
significano « il fime detto Pò -l'Astro chiamato Sole —la Parte del Globo detta
Europa - la Parte d' Italia detta
Lombardia ec. ». .. 156. Ogai Oggetto o
Sostantivo indeterminato,quando al discorso non basta la sua generica
idea; deve di necessità convenientemente
determinarsi - Ma in Natura non esistono che Cose, Giudizj e Rapporti (7). Dunque la Determinazione d'un
Oggetto dipenderà necessariamente da uno o più di questi generali trè Capi
d'Esistenza. 15. Ma i Giudizj non sono
che Azioni men-tali: I Rapporti sono sempre determinanti di loro natura, anzi
nel discorso precisamente non fanno altro che determinare; e però basta
semplicemente accennarli - Dunque limitarci possiamo a parlare delle sole
Determinazioni dipendenti da Cose, ossia (9) da Oggetti Azioni e Qualità, tanto
radicali che derivate. Dunque riguardo agli
Oggetti o loro Nomi indeterminati analizeremo successivamente i Qualitativi i
Sostantivi ed i Verbi determinanti-og getto, cioè che ficano l'Idea precisa, la
quale in ogni prattico Discorso deve da poi attaccarsi a qualunque Sostantivo
che di sua natura sia indeter-minato. PARAGRAFO 1.° Qualitativo
determinante-oggetto Ogni Nome qualitativo
è di sua natura determinante aggetto, com'esprime la voce stessa qualitativo
cioè qualificante - Quindi se un Oggetto indeterminato debba prendere la
necessaria determinazione da una Qualità, basterà unire semplicemente il nome
di Qualità a quello di Ogget-to: E il Distintivo del Qualitativo
determinan-te-oggetto, consiste appunto in tale unione; come «l'Uomo dotto, il
Principe giusto ec.». ‹6o. Analizando gli Esempi qui addotti ed altri simili, è
facile comprendere in che precisamente consista la Determinazione di Oggetto,
la quale proviene da Qualità - L'Uomo per es. esprime un Idea generica,
comprendente tutti gli Uomini, e quindi applicabile a qualunque Individuo della
specie. Unendo però al sostantivo Uomo il qualitativo dotto, io ne limito l'Idea
generica, escludendo i moltissimi non dotti; ossia colla voce qualitativa dotto
determino l'Idea precisa, che nel prattico discorso devesi attaccare alla
parola Uomo. Dunque ogni Qualitativo
unito ad un Nome di Oggetto, non serve che a determinare l'Idea dell'Oggetto
medesimo; e ci convinceremo sempre più di questa verità, osservando che gli
Oggetti di loro natura determinati non possono mai essere uniti a Nome
qualitativo. PARAGRATO 2° Sostantivo determinante-oggetto Il determinare un Oggetto
col mezzo d'un altro Oggetto è cosa comunissima in ogni Lingua, • e serve
mirabilmente a diminuire il numero delle Parole — Ma un Oggetto che in una data
circostanza ne determina un altro, non è sempre ed in ogni discorso egualmente
determinante - Dunque ogni Sostantivo, quando sia determinante-og- getto, avrà il Distintivo suo
particolare. 163. In Italiano tal
Distintivo consiste nella particella di, la quale trovasi spesso unita
all'Articolo (155), avendosi allora del della ec. equivalenti a di lo, di la
ec. - Nelle Espressioni « la Casa di Pietro, il Calore del Sole ec. » Pietro e
Sole sono Sostantivi rispettivamente determinanti gli Oggetti Casa e Calore; e
però sono preceduti dalla particella di.
Credo superfluo far osservare in che precisamente consista la
Determinazione, che un Oggetto prende da un altro - Dicendo per es. la lasa,
esprimo un Idea generica applicabile a qualunque Casa. Ma se per la natura del Discorso mi é
necessario precisare la Casa di cui parlo, e se questa Casa è del comune Amico
Pietro; basta, che al Nome indeterminato Casa unisca quello di Pietro col mezzo
della particella di, caratteristico Distintivo dell'Ufficio che fà in questo
Discorso il sostantivo Pietro. Si noti,
che la particella di per difetto di Lingua in Italiano à varj significati; e
quindi che il Sostantivo seguente tale particella, non é sempre
determinante-oggetto - Questa Materia, come altre consimili, è di somma
importanza specialmente per passare dalla propria alla fondata cos gnizione di
altre Lingue; ma è difficile, e non può ben conoscersi che col molto analizare
e possedendo lo spirito metafisico del Linguaggio,Verbo
determinante-oggetto Spessissimo per determinare
un Oggetto ci serviamo d'un Azione, ossia d'un Verbo ch' è la Voce destinata ad
esprimere l'Azione — Ma un Verbo non sempre si trova nella situazione di
de-terminante-oggetto. Quando sia tale, avrà dunque nella Lingua il suo
particolar Distincivo. Il Distintivo
del Verbo determinante-og-getto in Italiano consiste nell' esser esso preceduto
dalla Voce quale coll' Articolo; avvertendo, che alla voce quale sogliamo guasi
sempre sostituire la voce che - Dunque
la Voce quale unita al- l'Articolo, non
è che « Segno di Verbo determi-nante-oggetto ». Dunque saremo certi, che un
Verbo è determinante-oggetto ognivolta che sia preceduto da il quale, la quale
ec. - Quindi pensa parla fugge ec. in «l'Uomo, il quale oppure che pensa che
parla che fugge ec. » sono Azioni ossia Verbi praticamente determinanti
l'Oggetto Uomo; e però sono preceduti da il quale o dalla equivalente
sostituzione che. CAPO II
Determinazione delle Azioni ‹66.
Dato un Verbo indeterminato cioè
espri- mente un Azione indeterminata
(20), è sovente necessario determinare l'Azione espressa dal medesimo — Ma un
Azione non può essere determi-nata da Qualità; perché le Qualità per loro
natura (‹5) non anno né possono avere relazione alcuna colle Azioni. Dunque,
richiamando il già stabilito per i generali trè Capi d'Esistenza (156) e per i
Rapporti (157), possiamo limitarci a par-
Care de eDe mia Giuderio e eatche le Azioni e da Azione ossia espresse verbalmente (26) si riducono tutte a
Giu- dizj (a). xti. Dunque ogni Verbo indeterminato, quando
al Discorso non basti l'Idea generica espressa dal medesimo, dovrà sempre essere
accompagnato o da un Sostantivo o da un Giudizio determinante-azio. ne, cioè
che fissi il vero punto di vista, sotto cui deve nel discorso riguardarsi una
di sua natura indeterminata Azione qualunque.
PARAGRAFO I.° Sostantivo
determinante-azione . 168. E determinante-azione ogni Nome di
Og-getto, il quale precisa l'Idea che deve prattica- (a) In Natura ogni Giudizio è Azione; ma non
ogni Azione è Giudizio - Essendo però
impossibile in un prattico sensato discorso esprimere un Azione senza contemporaneamente
giudicare, ne siegne che le Azioni espresse verbalmente possono con ragione
considerarsi come Giudizj. Se la Voce di
Giudizio è nelle Lingue unita quasi sempre a quella di Azione in una sola
Parola, devesi ripetere singolarmente dalla impossibilità di esprimere
sensatamente un Azione senza proferire
al tempo stesso analogo Giudizio.mente attaccarsi ad un Verbo indeterminato:
Cosi in « Cesare premiava i Soldati » il Nome Soldati serve a determinare
l'azione di premiare - Ma un Sostantivo non sempre nel discorso é
determi-nante-azione. Dunque quando lo sia, aver deve il suo particolar
Distintivo. s6g. In Italiano, ad
eccezione del Nome singa lare degli Oggetti Giudicante e Ascoltante cioè me e
te, e di qualche terzo Pronome come lui lei loro ec., il Sostantivo
determinante-azione è sempre uguale perfettamente al Sostantivo cardinale
(185). Si avverta però che il Nome cardinale corrisponde al così detto
Norninativo, e il Nome determinante-azione corrisponde al cosi detto.
Ac-cusativo. 870. Un Sostantivo
indeterminato alle volte deve accennare al singolare una Parte indefinita
del-l'Oggetto, ed al plurale un Numero indefinito degli Oggetti, ch' esprime il
Nome. Tale indefinita Situazione del
Sostantivo dev'essere indicata parti-colarmente; ed in Italiano la esprimiamo
al singolare con del o della, ed al plurale con dei o delle. Ora i Sostantivi in tal modo indefiniti,
possono anch'essi determinare le Azioni: Come « Datemi del Danaro, della Carta
ec.; o visto dei Soldati, delle Schiere er. ». Quindi in Italiano il Sostantivo
determinante-azione sarà alle volte preceduto da una di quelle Voci, che
sogliono comunemente essere segni del Sostantivo determinan-te-oggetto (163),
cioé del dello dei delle — Si fac-cia pertanto la debita attenzione, onde stante
la difettosa eguaglianza di segno, non abbia a prendersi per
determinante-oggetto un Sostantivo de-terminante-azione; vale a dire in termini
gram-maticali, onde non abbia a prendersi per Genitivo un vero Accusativo. PARAGRATO 2°
Giudizio determinante-azione È determinante-azione ogni
Verbo o Giu-dizio, che serve a fissare precisamente l'Idea ed il valore che
dobbiamo dare praticamente ad un Azione indeterminata qualunque: Cosi in «
Sento cantare — Voglio che partiate - Vedo che arrivano ec." cantare, partiate,
arrivano servono rispettivamente a determinare le Azioni o Giudizj espressi da
sento voglio vedo, che chiameremo Verbi o Giudizj determinandi — Ora un
Giudizio determinante-azione nel Discorso non à sempre quest' Ufficio medesimo.
Dunque quando è tale, esigge la necessaria chiarezza, che abbia il suo
particolar Distintivo. In Italiano il
Distintivo del Giudizio deter-minante-azione consiste o nell'esser espresso in
Modo Generico determinante (104 e seg.), o nell'essere preceduto dalla Voce
che; di cui dobbiamo estesamente parlare dopo la seguente essen- zialissimaSui
Giudizj determinanti-azione 173. Abbiamo
detto (173), che i Giudizj deter-ininanti-azione o si esprimono in Modo
generico, o si fanno precedere dal che. È quindi della massima importanza
conoscere, quando debbano usarsi col che e quando in Modo generico - Parimenti
è molto essenziale sapere con qual Tempo in ciascun incontro debba esprimersi
un Giudizio deter-minante-azione. Ora
per giugnere a tali cognizioni bisogna attentamente esaminare, e la Natura
dell'Oggetto Cardine del Giudizio determinante, e le Circostanze del Giudizio
medesimo; come passiamo partica-mente ad esporre nei due Articoli
seguenti. ARTICOLO 1.° Modo pei Giudizj determinanti-azione Ogni Voce di Modo Generico determinante (104 e seg.)
esprime per natura e Giudizio, e Tempo in cui questo si eseguisce; ma non
indica l'Oggetto Cardine di Giudizio (82) - Dunque i Giudizj
determinanti-azione saranno espressi in Modo Generico, ognivolta che non sia
necessario nominare il loro Oggetto cardinale; e quando l'Oggetto cardinale
deve nominarsi, saranno espressi col che. Ora l'Oggetto cardinale non
deve esprimer-si, e quando fù preventivamente nominato, equando si accenna un
Azione genericamente - Dunque : I.° Il
Giudizio determinante-azione si esprime al
Modo generico: 1.° Quando il Giudizio determinante accenna un Azione in
genere, senza riguardo alcuno all'Oggetto che la eseguisce; come «Sento
cantare, Sentii piangere ec.»: 2.° Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio
determinante è quello stesso del Verbo determinando; come » Voglio par-tire,
Voi credete essere, Pensavano tornare ec. »:
3.° Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio determinante fü già
chiaramente espresso, e in modo che non può nascere alcuna oscurità o
confusione; come «Li vedo arrivare, Vi sentiva ridere ec. ». II® Il Giudizio determinante-azione si la
precedere dal che, ognivolta che il suo Oggetto cardinale è diverso da quello
del Verbo determinani-do; avuto però il debito riguardo al primo e terzo Caso, espressi superiormente (L.°): Quindi
avremo « Vedo che arrivano, Voglio che parta, Sentii che cantavate ec. ». Si avverta, che in Italiano il Giudizio
deter-minante-azione quando sia futuro, si fa precedere quasi sempre dal che,
sebbene il suo Oggetto cardinale sia lo stesso che quello del Verbo
deter-minando: Cosi invece di « Credo dover partire - Dicono essere per tornare
ec. » diciamo «Credo, ehe partirò - Dicono, che torneranno oc. ».Tempo nei
Giudizj determinanti-azione 376. Il
Giudizio determinante-azione o è con temporaneo a quello del Verbo
determinando, o deve aver luogo in Tempo diverso. I.° Quando sia contemporaneo, si pone sempre
al Tempo presente: Come « Sento, che cantano - Sentii cantare, - Se sentirò,
che cantino ec.». Infatti il Giudizio
determinante eseguendosi contemporaneamente al determinando, basta che uno di
questi due Giudizj esprima il vero Tempo del-
l'Azione. Dunque questo Tempo essendo necessariamente espresso dal Verbo
determinando, pel Giudizio determinante
dovremo indicare soltanto il Modo; il che si la coll'espressione di Tempo
presente (126) - Dunque il Giudizio determinan-te-azione quando sia
contemporaneo a quello del Verbo determinando, con ragione si esprime al Tempo presente. Il. Quando non sia contemporaneo a quello del
Verbo determinando, il Giudizio determinante deve indicare il suo vero Tempo da
se. Dovremo quindi esprimerlo col Tempo conveniente, che sarà facile conoscere
dalla natura del discorso. Quindi avremo
«So, che partono, che partirono, che partiranno ec. Seppi, che partivano, ch'
erano partiti, che partirebbero ec. ».
177. Si avverta, che il Giudizio determinante-a-zione benché di sua
natura futuro, si esprime o almeno pud esprimersi al Tempo presente, ogni-volta
che la sua futurità è naturalmente e chiaramente indicata dal Verbo
determinando: Come «Spero arrivare, che arrivino ec. Temo partire, che derrano ene essendo peturie del predia .
da spero, temo ec., il Giudizio determinante non deve esprimere che Modo; e il Modo s'indica
colle Espressioni di Tempo presente
(126). • PARAGRAFO 3.° Della Voce CHE 178. Noi qui consideriamo la Voce che
puramente come distintivo del Giudizio determinan-te-azione, quando non è
espresso in Modo Generico (172); facendo avvertire, che tal Voce per intrinseca
natura sempre trovasi fra due Giudiz), e che di questi due Giudizj uno è
determinando, l'altro determinante; come abbiamo già ripetuto più volte -
Dovendo quindi molto riflettere su questi due Giudizi relativamente al che, ne
tratteremo separatamente; chiamando il primo Prece- dente, l'altro Seguente il Che. Si avverta, che in Italiano la Voce che à
varj Significati; e ch' è molto
essenziale saperli prat-ticamente distinguere, facendo le debite Sostitu-zioni,
quand' occorra per chiarezza maggiore.
GIUDIZIO PRECEDENTE IL CHE 179.
Riguardo al Giudizio precedente il Che é necessario osservare primieramente,
s'& desso affermativo o negativo (24).180. Quando sia Affermativo conviene
spinger oltre l'analisi ed osservare, s'è desso assoluto o inassoluto
I.° Chiamiamo assoluto il Giudizio precedente, quando contenendola in se
per l'indole e natura dell'Azione che indica, esprime la Certezza del Giudizio seguente il Che: Cosi in « Vedo che
fug- •gono, sento che cantano ec.» vedo
e sento sono due Giudizi assoluti, contenendo un assoluta Certezza dell'Azione
o Giudizio seguente; giacché riguardo alla mia persuasione non possono non
cantare e non fuggire, se io li vedo fuggenti e li sento cantanti. II.° Chiamiamo inassoluto il Giudizio
prece-dente, quando non esprime la Certezza del Giudizio seguente il Che; e
questo può avvenire in due maniere: O perché il Giudizio precedente contiene
nell' intrinseca sua forza e natura l'incertezza l' indecisione del Giudizio
seguente; come « mi pare, temo, dubito, volete forse che ec. » giacchè ciò che
mi pare o che temo o che dubito o su cui interrogo, potrebbe anche non essere:
O perché il Giudizio precedente esprime di sua natura, che il Giudizio seguente
relativamente ad esso è futuro; come «Spero, Voglio, Ordino ec. che par-tano»;
giacché del Futuro non si può mai avere
assoluta certezza. GIUDIZIO
SEGUENTE IL CHE 18r. Se il Giudizio
precedente è negativo, il seguente si esprime sempre in Modo indefinito(139. e
seg.); come «Ion vedo che partano, gnoro ossia non so che siano partiti ec. ».
Infatti in simili casi il Giudizio seguente il Che esprime una Cosa, la cui
esistenza è per noi incerta; come ci fa di sua natura conoscere il Giudizio
precedente negativo. Dunque dovendo mostrare tale in- certezza, il Giudizio seguente deve
esprimersi in Modo Indefinito. 182. Il Giudizio precedente essendo
afferma-tivo, si osserverà s'è desso assoluto o inassolu to (180).
I.° Se il Precedente ¿ assoluto, il Giudizio seguente si esprime in Modo
Definito (109 e seg.) ; come « Vedo che
partono - So che partirono ec ». Infatti
in simili casi, come ne assicura il Giudizio precedente vedo, so ec., il
Giudizio seguente il Che ci é presentato col massimo grado di Certezza. Dunque dev'essere espresso in Modo
Definito. II.® Se il Precedente è
inassoluto, il Giudizio seguente si esprime in Modo Indefinito; come «Mi pare
che partano - Voglio che partano, - Temo che partano ec. ». Infatti in simili
casi, come annuncia il Giudizio precedente mi pare, voglio, temo ec. (180), il
Giudizio seguente il Che contiene l'Incertezza della sua esistenza. Dunque
dobbiamo esprimerlo in Modo Indefinito.
AVVERTENZA 183. Abbiamo
superiormente fissato che, il Giudizio precedente il Che essendo negativo o
interro-, gativo (180 e sego), il Giudizio Seguente deve es-primersi in Modo
Indefinito -Se però il Giudizio precedente sarà e negativo e interrogativo al
tempo stesso, il seguente devesi esprimere in Modo De-finito; perché in tal
caso l'Incertezza effetto d'In-terrogazione, distrugge l'Incertezza effetto di
Ne-gazione. Ed infarti un Incertezza che si presenta in Modo incerto, non
esclude necessariamente ogni ombra d'Incertezza? — I Matematici, già persuasi
della Verità « Che due Quantità negative danno un Prodotto positivo»,
m'intenderanno più facilmente degli altri.
Quindi avremo «Non vedete voi, che fuggo-no? Non sento io, che ridono?
ec. »— Ed infatti chi può non vedere, che in questi e simili Esempi il Giudizio
precedente contiene l'assoluta Certezza del Giudizio seguente il Che? - Dicendo
affermativamente « Non sento, che ridano», la Negazione del Giudizio precedente
dà al Seguente la necessaria impronta d'Incertezza (181); giacché questo
ridere, non sentendolo io, è incerto almeno per me: Quindi relativamente a tale
Azione pronuncio un Giudizio analogo alla situazione del mio Spirito.
Aggiugnendo però al Giudizio precedente la forza interrogativa « Non sento
io?», questa rende l' Espressione del Giudizio seguente certa di ne-cessità;
giacché annulla l'effetto della Negazione.
Difatti col dire « Non sento io, che ridono? » io non domando se abbia
luogo l'Azione di ridere ; ma domando, se credasi che questo ridere non sia da
me sentito, cioè non sia a mia cognizione. Dun-- que la mia Domanda non solo non pone in
dub-bio l'esistenza dell'Azione, ma la afferma; giacche. l'Interrogazione non
potrebbe aver luogo, se l'Azione di ridere non esistesse almeno nella mia
persuasione. Dunque ogni Giudizio precedente il Che, quando sia
negativo-interrogativo, diviene affermativo-assoluco (180, 1.°). Io intendo ciò che dico; ma non so farmi
più intelligibile di cosi. SEZIONE SECONDA SITUAZIONI DEGLI OGGETTI 184. Uno stesso Oggetto, come fù già indica-.
to (65), può in diversi incontri presentarsi in Situazioni diverse. Esigendo
quindi la chiarezza del discorso che in ogni circostanza si precisi la vera
Situazione dell'Oggetto, parleremo di tali Sitia-210n, almeno delle primarie
distesamente; fissando per ciascuna il suo particolar Distintivo in Lingua
Italiano. - OGGETTO CARDINALE 185. Cardinale chiamiamo un Oggetto, quando è
Cardine di Giudizio (82); come io, i, il Sole, . Pietro ec. in « Io partirò - Tu scrivesti -
Il Sole : è coperto -Pietro fù chiamato ec.».
186. L'Oggetto Cardinale può nel discorso pre-. sentarsi come attivo,
passiva, o neutro cioé néittivo né passivo, dal Latino neuter significante nè l'uno nè l'altro. I.° È attivo, se agisce, cioè se la desso
l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu scrivi - Egli corre - Voi
leggete ec. ». II.° E passivo, se riceve
desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu sarai promosso —
Egli fù punito - Noi fummo chiamati ec. ».
IlI.® E neutro, quando né riceve né eseguisce Azione; e questo propriamente e solamente
suc-cede, quando l'Oggetto è Cardine d'un Giudizio di Qualità, cioé d' un
Giudizio in cui all'Oggerto cardinale si attribuisce qualche Qualità; come «Voi siete virtuosi —I Frutti erano maturi- l' Inverno fù rigido ec. ». L' Articolo (155) è il Distintivo dell'Og getto
Cardinale, se indeterminato; e se determi-nato, il suo Distintivo consiste, nel
non averne alcuno. OGGETTO NOMINATO Chiamiamo nominato un Oggetto, quando nel discorso
non à altro Ufficio che quello di puramente accennare ossia nominare se stesso;
come Pietro, Danaro, Città in « Egli è virtuoso quanto Pietro - Tutto si fa col
Danaro - Passarono per la Città ». L'Oggetto Nominato può in fondo considerarsi come
Oggetto Cardinale: Quindi à lo stesso Distintivo (187).ittivo né passivo, dal
Latino neuter significante nè l'uno nè
l'altro. I.° È attivo, se agisce, cioè
se la desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu scrivi - Egli
corre - Voi leggete ec. ». II.° E
passivo, se riceve desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu
sarai promosso — Egli fù punito - Noi fummo chiamati ec. ». IlI.® E neutro, quando né riceve né
eseguisce Azione; e questo propriamente
e solamente suc-cede, quando l'Oggetto è Cardine d'un Giudizio di Qualità, cioé
d' un Giudizio in cui all'Oggerto cardinale si attribuisce qualche Qualità;
come «Voi siete virtuosi —I Frutti erano
maturi- l' Inverno fù rigido ec. ». L' Articolo (155) è il Distintivo dell'Og getto
Cardinale, se indeterminato; e se determi-nato, il suo Distintivo consiste, nel
non averne alcuno. OGGETTO NOMINATO Chiamiamo nominato un Oggetto, quando nel discorso
non à altro Ufficio che quello di puramente accennare ossia nominare se stesso;
come Pietro, Danaro, Città in « Egli è virtuoso quanto Pietro - Tutto si fa col
Danaro - Passarono per la Città ». L'Oggetto Nominato può in fondo considerarsi come
Oggetto Cardinale: Quindi à lo stesso Distintivo (187).quando lo esprimiamo nel
discorso unicamente perché egli presti a noi attenzione, ossia quando viene da
noi effettivamente chiamato ; come « Ami-co, dove andate? - Pietro, prendi quel
Libro - Gran Dio, mi assisti ec.». Si
avverta, che possono chiamarsi i soli Oggetti aventi la facoltà di udire, o
almeno creduti tali in forza d'Immagi-nazione.
195. Il Distintivo
dell'Oggetto Chiamato suol essere o, che per lo più si tralascia. OGGETTO
INDEFINITO 196. Chiamiamo indefinito
un Oggetto, quando nel discorso ne esprimiamo una indefinita quan-tità, se
l'Oggetto è di Numero unale; oppure ne esprimiamo un Numero indefinito, se
l'Oggetto è di Numero plurale (170); come Cercano del Pane - Vedrete dei Soldati
ec.». Il Distintivo dell'Oggetto
Indefinito consiste nell'essere preceduto al Numero unale da del o della, e al
plurale da dei o delle; come già fü detto (170). OGGETTO CONTENENTE Chiamiamo contenente un
Oggetto, quando esprimendolo consideriamo in esso come deposta o deponibile
qualche cosa, ossia quando lo consideriamo come capace di contener qualche
cosa: Cosi Roma, Principe, Libri sono Oggetti contenenti in «Pietro è in Roma,
— Confidate, cioe ponete . la vostra confidenza nel Principe — Non sempre la
vera scienza è riposta nei Libri ».199. Il Distintivo dell'Oggetto Contenente
consiste nella Voce in, che unita spesso all'Articolo dà nel nella nei ec. OGGETTO RELATIVATO (a) • 200. Chiamo relativato un Oggetto,
relativamente a cui si proferisce un dato Giudizio, oppure cui si riferisce
esclusivamente un dato Giu-dizio: Cosi Pietro, Indolenza, te, lui, Guerra ec.
sono Oggetti relativati negli Esempj seguenti; col-l'attenta analisi dei quali
sarà facile formarsi una precisa Idea di questa speciale situazione degli
Oggetti: « Che si dice di Pietro, cioé relativamente a Pietro? - Mi accusano d'
Indolenza, cioè reluci-vamente a colpa d' Indolenza - Che fia di te, cioe
relativamente a te? - Disponete di Lui, cioè re-tativamente alla Persona di Lui
- Si parlava di Guerra, cioè relativamente alla Guerra ec. ». 201. Il Distintivo dell'Oggetto relativato
consiste generalmente nella particella di. Siccome però questa Voce suole avere
altri Significati (191), cosi in ogni circostanza importa molto il ben
anali- zare il sentimento del prattico
Discorso. (a) Questa Parola è troppo
barbara, e fors' anche non esprime la situazione dell' Oggetto chiaramente
quanto dovrebbe — Non m'è però stato possibile sostituirne altra
mi-gliore.OGGETTO RICEVENTE Chiamiamo ricevente un
Oggetto, quando trovasi nella situazione di ricevere effettivamente qualche
Cosa; come Soldati, Amico, Corriere ec. in « Diedero ai Soldati - Dissi all'
Amico - Consegnate al Corriere ec.». Il Discintivo dell'Oggetto ricevente è la Voce o, la
quale unita all'Articolo forma spesso le Voci composte al alla agli ec. .
OGGETTO TERMINANTE Chiamiamo
terminante un Oggetto, nel quale và a terminare un Moto, o un Azione col mezzo
di Moto; come Campagno, Amico, Voiec. in « Andiamo in Campagna — Scrivo all'
Amico — Quest' oggi verrò da Voi ec. ». Il Distintivo dell'Oggetto terminante è co munemente
la Voce a, come per l'Oggetto Ricevente (203). Quindi per distinguere in un
Oggetto l'una dall'altra situazione, bisogna ponderare e la qualità dell'Azione
e la forza del sentimento - Inoltre l'Oggetto terminante molte volte trovasi
preceduto da in, da ec.; e però convien fare moltissima attenzione alla natura
del Discorso. OGGETTO COMINCIANTE Diciamo cominciante ogni Oggetto, dal quale à
principio un Azione od un Moto; come Vienna, Storie, Soldati, Campagna ec. in «
Ebbi Lettere da Vienna - È narrato dalle Storie - Il Castello fü preso dai Soldati - Tornerà
dalla Campagna domani ec. ». 207. Il Distintivo dell'Oggetto cominciante é
la Voce da, che unita spesso all'Articolo forma le Voci composte dal dalla dagli ec. Si avverta, che la Voce da à varj
Significati, e quindi che non precede sempre un Oggetto co-minciante. Il
Buon-senso però e l'Analisi ne fa-renno facilmente conoscere il vero valore in
ogni prattico Discorso. 208. L'Oggetto
Cardinale attivo (186, 1.°) è in fondo cominciante di sua natura. Uno
stesso Oggetto però non può
contemporaneamente presentarsi in due diverse Situazioni. Dunque un Oggetto
considerato come Cardine di Giudizio, non può allo stesso tempo esser preso
come Comin-ciante. Si avverta peró che
ogni Oggetto Cardinale attivo, quando regga una Voce verbale indetermi-nata,
può colla massima facilità farsi passare ad Oggetto Cominciante col dare un
diverso giro alla frase e un differente aspetto all'azione: Cosi invece di dire
«I Soldati desiderano la Guerra » si può dire cLa Guerra è desiderata dai
Soldati»; benché tali Espressioni non abbiano precisamente la stessa identica
forza e valore. AYYEBTEN2A. Sull'Ordine diretto e inverso nelle
Azioni 209. Qui cade in acconcio
l'osservare, che in ogni Azione
indeterminata dobbiamo considerare come un Estensione di spazio, ossia come una
linea di Moro. Quindi in tali Azioni avremo sempre un principio ed un fine,
inseparabili da qualunque
Estensione. 210. Da ciò derisa,
che l'Azione indeterminata può presentarsi sotto due aspetti diversi, cioè
com ordine diretto o inverso. I.° Si presenta con ordine direito, quando la
consideriamo come passante dal suo principio al suo fine; come « lo scrissi una
lettera - Egli or-dino, che partissero »
Il.° Si presenta con ordine inverso, quando nell'Azione cominciamo a
considerare il fine, e da esso passiamo al principio; come • Una lettera fù
scritta da me - Che partissero, fu ordinato da lui » — Tali Espressioni però
debbono considerarsi, e sono effettivamente Sostituite (5). In ogni Azione indeterminata, sotto qualunque
aspetto si presenti dessa praticamente, avremo dunque sempre e principio e
fine; e questi due Cardini dell'Azione
debbono essere e sono sempre chiaramente espressi nel Discorso. 211. Rapporto alle Azioni determinate,
siccome queste risguardano soltanto l'Oggetto Cardinale, non possiamo in esse
considerare altra Estensione che quella di durata; come « Ho passeggiato due
ore — Dormirà tutta notte ec. ».212. Ben inteso quanto fü analizato finora,
colla guida dell' Analogia del Buon-senso e della Riflessione si può in
qualunque Lingua essere in caso di darsi ragione di tutto - E quale
sodisfa-zione per un Anima colta rinvenire ad ogn'istante motivo di ragionare,
dove si riteneva assolutamente precluso l'adito al Raziocinio ? Io non pretendo di aver completamente
esaurito la Materia trattata; giacché ciò che nasce, non puó al tempo stesso
giugnere alla sua perfezione. Parmi
peró, che l'esposto sia sufficiente per cominciare a formarsi un Idea
filosofica del Lin-guaggio. Le
inveterate Abitudini predominanti, la spesso trionfante Ignoranza, la
difficoltà di tanti indispensabili Raziocinj, l' Insufficienza la sfavorevole
Prevenzione e il Contro-genio quasi universale per Teorie astratte e
metafisiche, sono a questa Nuova Scienza ostacoli quasi insormontabili - Ma per
ciò che riguarda il creduto Bene dei Simili, il Filantropo spera anche immezzo
alla Dispera-zione. Quindi, a gloria della pensante Umanità dei Spiriti
illuminati e della sana Filosofia, mai cesseró di credere, che La vera Scienza
del Linguaggio abbia a vedersi un giorno assisa in seggio lumi-noso, al pari di
tant' altre più o meno utili Scienze.LINGUA
FILOSOFIÇO-UNIVERSALE
INTRODUZIONE 1. Ocri Nazione ebbe
ed à il suo proprio Lin-guaggia parsisolare. Le Persone colte però sogliono in
ogni civilisata Nazione occuparsi dello studio di qualche Lingua straniera, Se
dunque i Letterati si applicassero tutti allo studio d'una medesima Lingua,
potrebbe questa molto facilmente rendersi
Universale. 2. Ma il Linguaggio
di tutti i Popoli fü a poco a poco e capricciosamente stabilito dal bisogno e
dall'uso; vale a dire, che il Beto più ignarante della facietà fù sempre il
primario fondatore di tutte le Lingue. Dunque le Lingue che anno p ebbero
pratticamente asistenza, debbono di ses cessità essere complicate difficili
irregolari = Dunque nessuna delle Lingue esistite o esistenti, esser potrebbe
ragionevolmente la Lingua Universale pei
Dotli. 3. La Lingua Universale
pei Dotti dev'essere Lingua Dotta; vale
a dire, Lingua basata sullanatura delle Cose, e ridotta a sistema dal razio
cinio dalla meditazione dal calcolo dalla Filosofia - Dunque per formare un
Piano di Lingua Universale è necessario, prima analizare le Basi fondamentali
del Linguaggio in genere, indi esa- •
minare qual sistema Filosofico di Lingua sorger
potrebbe dai conosciuti Principi generali. 4. Quindi il nostro Lavoro sarà diviso in
trè Parti ; civé • I. LInGuA GanerIca II. LINGUA FILOSOFICA III. LINGUA UNIVERSALE Vedremo nella prima, quali sono e debbono
essere le Teorie e le Regole generali di Lingua, calcolate sulla natura stessa
delle Cose: Formeremo nella seconda il Piano per una Lingua possibilmente
Filosufica: Fisseremo nella terza, quanto a nostro credere è in genere
necessario per una ragionata Lingua Universale.
Si avverta, che per l'intelligenza completa dei qui sviluppati principi
di Lingua è duopo conoscere almeno in gran parte, ciò che si espose nella
premessa ANALISI DEL LINGUAGGIO; e che le Teorie qui esposte servono di
schiarimento all'ANALISI medesima.LINGUA GENERICA 5. Sorro al nome di Pensiero comprendendo
tutto ciò che occupa lo Spirito e quando agisce e quando sente, lo scopo del
Linguaggio é la Co municazione reciproca dei Pensieri; e tale Comunicazione
esigge un Mezzo di convenzione trà gli Uomini — Dunque nell'Analisi della
Lingua in genere dobbiamo esaminare e il Mezzo di Comu-nicazione, e quanto può
essere Soggetto di occupazione allo Spirito.
Dunque in sette separate Sezioni analizeremo succesivamente : Le Parole I Giudizj I Fonti Primitivi dei Giudizj I loro Fonti Secondarj Le Voci Indeterminate Le Voci Sostituite Alcune Cose di speciale Osservazione Chiamasi Parola « Ogni
vocale Suono o Aggregato di Suoni, emessi senza interruzione » (a). Le Parole possono essere
significanti o insignificanti - È significante ogni Parola, cui la Convenzione
sociale attacá un Idea o setiplice o composta; come tömô, Batticuore ec. : E
inst gnificante ogni Parola, cui dalla
Convenzione nori si attacca alcuha Idea; come sarebbe in Italianó Liudi,
Priroda ec. - Nessuña Lingua puó avere
ma. Le Parole Significanti sono o fuggevoli ô
pér-manenti. CAPO I Delle Parole Fuggevolt Chiamiamo fuggevoli «Quelle Parole, delle quali si
perde ogni traccia, appena proferite ». Le Parole essendo formate da suoni Voca-
321121003080.6070 (a) Suono Vocale vuol
dire « Qualunque Suono formato colla
Voce 9. l (6), & necessario
considerare partitamente totti ! Suoni
che serveno alla loro Formazione - Questi Suoni da noi si distinguono in
gusturali ed orali. PARAORATO S°• DE Storl Gutturali 31, Dal latino guitur chiamiamo griturali
«Quei Suoni, che senza il menomo sforzo e tenendo la Bocea più o merto aperta,
si formano interamente nell'iriterto della Gola ossia nella Loringe "-In
Italiano, come quasi in tutte le Lingue, i Suoni gutturali sono a, o, d, i, 0,
0, u (a). GỪTTURALI SBMPLICI E
COMPOSTI 12. I Suoni Gatturali si
distinguono in semplici e composti —Sono semplici, quando sonservano
inalterabile la primitiva loro natuta; come a, e, ¡ ec.: Sono composti, quando il Suono
comincia cón un Gutturale e fnisce con un altro; come in Italiano ai, ei, voi ee. Si avverta, che due o più Gutturali formano Suono composto, sol quando nel proferirli
tutti s'impiega il tempo, che sogliamo implegure per emetterne un solo. Quindi
nelle Parole reica, pie: coso ec. perché ei ed ie formino Suono composto, (a) e ed o armo duo Suoni differenti, uno
doperto o l'altre strello; o l'aerento da mo usato serve untedmento ad tadiente
il secondo, cisa il Duoro stretto conde in tado, dato 00. ¿ necestario proferirli con quel tempo, col
quale si pronunzierebbe un i od e semplice, ma lungo, come diremo (15). GUTTURALI BREVI & LUNGHI 13. Il Meccanismo della Voce e degli Organi
vocali esigge indispensabilmente, che in ogni Parola prolunghiamo qualcuno o
alcuni dei Suoni gutturali: E da ciò viene, che in varie Lingue alcune Voci
mancanti di Suono lungo ossia pro-lungato, debbono pronunciandole unirsi ad
altre Parole. 84. I Gutturali composti (‹2), come formati
da Suoni diversi, sono tutti lunghi di loro natura; essendo fisicamente
impossibile, che una stessa Voce proferisca più Suoni nel medesimo istante
indivisibile. • 85. I Gutturali Semplici
debbono distinguersi in brevi e lunghi, cioé si proferiscono ora lunghi
ed. ora brevi - E breve un Suono
gutturale sempli-ce, quando si emette colla massima possibile bre-vità; come i
ed e in ordine cardine ec.: È lungo un Suono gutturale semplice, quando la Voce
si poggia ossia si ferma un poco sopra esso; come a in Canto l'armi (a). (a) Se dovessi determinare il rapporto di
durata trà un Suono lungo ed un breve,
appoggiato ai lumi che somministra la Poesia specialmente latina greca e
tedesca, direi « Che il breve è la metà del Suono lungo »; vale a dire, che
nella Quando in ciascuna Lingua i
Gutturali semplici debbano pronunciarsi brevi e quando lun-ghi, può apprendersi
unicamente dall'uso. PARAGRAFO 2.° De Suoni Orali Dal latino os oris significante Bocca, chiamiamo
orali «Quei Suoni vocali, che propriamente si formano nella Bocca o in qualche
di lei parte »- Questi Suoni son quelli, che comu-. nemente sogliono chiamarsi
Consonanti. I Suoni Orali si
distinguono in prolungabili ed istantanei, come sono realmente in natura -
Chiamiamo prolungabili quelli, che volendo possono effettivamente prolungarsi;
come f, r, m, 1o, 2, ec.; avvertendo che m ed n sono prolungabili soltanto
prima della completa loro formazio-ne. Chiamiamo istantanei quelli, che non
potendo essere prolungati, si emettono in un solo istante indivisibile; come 6,
d, p, t, ec. pronuncia di due Suoni brevi dobbiamo impiegare tempo eguale a
quello, che s' impiega nella pronuncia d' un Suono lungo : Quindi la Voce non deve mai poggiare sopra un
Suono, che • di natura sia breve. Per
chi ama la Poesia e brama penetrare fin entro l' armonico di lei Santuario,
questa Osservazione può essere fe conda di utili riflessi. 21. Non sarebbe difficile almeno per un
determinato Linguaggio spiegaré meccanicamente, come debba prontinciarsi
ciáscal Subito vocalé. Omettiamo pero questa meccanica splégazione, e perché in
gran parte ittitile, e perché di sua hatará nojosa, e perché dalla voce d'an
Conoscitore cóls Fesercizio di pochi
minuti può apprendersi conve-fientemente lá Pronuncia di qualunque Suono
to-cale. PARAGALtO 3.° Delle Parti o Sillabe nelle Parole 29. Nelle Patole i Suoni Orali praticamente
si uniscono sempre a qualche Gutturalé; e proptia-mente tion servono che a
modificare ossia presen= tare sötto difletenti aspetti il Suono Guttatale cul
vanno uniti: Quindi non fortato da se té Parola né Parte di Parola össia
Sillaba. Il rumero delle Parti o Sillabe nelle Parole è quindi determinato dai
Suoni gutturall; e propriamtehte in diastina
Parola son tánte le Sillabe, quatti i Suoni Gut: turali o semplict o
composti (12). 23. Quindi in ogni
Sillaba dobblato distinguere il Suono bäse e i Suoni accessotj: Lä Base &
formata da un Suono Gutturale o semplice o cơm-posto; e gli Aecessorj sono gli
Orali che trovansi uniti alla Base - Diffatti, che il Suonó Gútturale sia la
Basé fondamentale d' ogni Sillaba e che gli Örali sieno puramente accessöri, é
provato da cio; che non possiamo aver
Sillaba senza Suono Gut-turale; ed invece possiamo benissimo averla senza Suoni Orali.
24. Inoltre la Voce non può troncarsi arrestarsi ossia finire con un
Suono Orale; giacché l'inter- rompimento
di qualunque Orale anche prolungabile (47) produce necessariamente un piccolo e
appena sensibile Suono gutturale, com'è facile conoscere colla propria
esperienza - Dunque ogni Sillaba deve
terminare con Suono gutturale. Dunque i Suoni Orali possono in ciascuna Sillaba
pre-, cedere la Base, ma non possono seguirla giammai (36). Dunque le tante Regole del sillabare si
riducono ad una sola e della massima semplicità; cioé « In ciascuna Parola ogni
suono Gutturale é fine di sillaba»— Ecco in qual modo al lume dell'Analisi del
Raziocinio e della Filosofia svaniscono tormentose inutili difficoltà, cagione
alla povera Fanciullezza di tante lagrime e di tanti eloquentissimi sospiri. 25. Ben fissato quanto si espose finora, se
volessi pronunciando separare le Parti costituenti le Parole « intanto, ardire,
correndo, batteva, coraggio ec. » dovrò dire «i-nia-nio, a-rdi-re, co-rre-ndo,
ba-ite-va, co-ra-ggio ec." - Questa maniera di decomporre le Parole
facendo terminare ogni sillaba con Suono gutturale, a primo aspetto parrà
strana a chiunque: Essa veramente si oppone all'Abitudine ed alle Regole
stabilite e seguite per tanti secoli da tutte le Scuole; ma non cessa per questo
d' essere ragionevole e ragionata.
Infatti decomponendo una Parola in sillabe, dobbiamo farlo in modo, che
riuniti i suoni di tutte le Parti, ne risulti poi l'Espressione dell'intera
Parola. Ora questo non può ottenersi, se non facendo terminare ogni sillaba con
suono Guttu-rale; come colla propria esperienza può convin-cersene ognuno da
se. Dunque la Decomposizione delle Parole non può, ne deve larsi
altrimenti. Onde ancor meglio
persuadersi di questa ve-rità, lasciata per in momento da parte ogni contraria
prevenzione, si pronunzino le varie sillabe delle suespresse Parole col Metodo
che ci fü insegnato e che s'insegna nelle Scuole. Avremo «in-can-to, ar-di-re,
cor-ren-do ec. "—Si confronti ora l'insieme di questi suoni parziali coll'
espressione totale di ciascuna Parola; e questo confronto si faccia, non come
sragionando sogliamo per abitudine (dicendo per esempio nella sillaba in « i ed
enne fa in»), ma si faccia come avviene realmente in natura. Non è egli vero,
che debitamente riunendo i suoni parziali, risulterebbe inetaneto, are-dire,
corerenedo ec. (a); vale a dire risulterebbero Parole diverse da quelle, che
intendiamo pronunciare? - Io scrivo unicamente per Chi, o ragiona o conserva
almeno la capacità di ragionare. Si dirà
forse: Come insegnare ai Fanciulli a (a)
Li e che si trovano in queste Parole espressi in ca-fattere piccolo, debbono
considerarsi come aventi un suono, che in duraia è metà d'un e breve (15), proferire i difficili suoni nto, mha, uma,
nce ec.? Primieramente il saper
decomporre le Parole con tutta precisione non è di assoluta necessità, che per
la sola Paesia; e chi impara a leggere una Lingua, è ben lontano dall'analizarne
i Prodotti poetici. Inoltre la Cosa e facile assai, quando abbandonati i soliti
sistemi, si volesse ascoltare e seguire ciò cha a tal proposito suggeriscono il
Buon-senso e la Matura. Si cominci dal
far proferire un breye fucile e ben inteso Sentimento: Dal Sentimento si passi
a eiascuna Parole: Dalla Parola si passi alle Sille-be: E da eiascuna Sillaba
si discenda alle Lette re— In somma per ben fare si faccia l'opposto di quel
che sempre si fase. PARAGRATO 4.° Della Posa nelle Parole 26. È fisicamente impossibile proferire di
seguito senz' alsuna interruzione le varie Parti d' una Pa: rola, facendo in essa
brevi tutti i suoni Gutturali. Quindi in
tutte le Linguei suoni gutturali di cia-ecuna Parola che può pronunciarei
isolatamente, sono o tutti lunghi, o alcuni lunghi ed altri bre-wi — Ma nei
suoni lunghi la Voce si ferma si posa più che nei brevi, anzi per un Tempo
precisamente doppio (‹5). Dunque in clascuna Parola pronunciabile
disgiuntamente dalle alire, avremo la Posa sopra ciascun suono gutturale, che
per genio o legge di Lingua sia lungo. Un assoluta precisione di
Pronunzia in punto Buoni lunghi e brevi, non si richiede che nella Poesia;
giacché in essa un suone breve prolungato o un suono lungo abbreviato è
bastante ad alterare il Metro, cioè quella Misura quella determinata Estensione
di suoni, cui la Poesia dey' es-sare costantemente soggetta - La Prose gode
maggiore libertà; giacché esente da Metro costante, non è sempre ugualmente
scrupolosa rapporto alla durata de' Suoni. CAPO II Delle Parole Permanenti Chismiamo permanenti « le
Parole espresse in modo che si conservano, e che cal mezzo della Vista ei
richiamano e il giusto loxo suono vocale, e l'Idea ch' esprimono ». 2g. Rendere
permanenti le Parole e proprio della Scritura, uno de più belli e piu utili
ritrovati dell'umana Capacità - Gli elementi della Scrit tura sono Segni; e questi
debbono essere varj e distinti, come i suoni Vocali che accennano. 30. Non sarà qui fuor di proposito avvertire,
che la Scrittura è naturalmente posteriore al Lin- biamo pronunciar le Parole come sono scritte,
giacché cio supporrebbe la Scriptura e anteriore alla Pronuncia e capace di
esprimere esattamente i Suoni vocali; ma dobbiamo pronunciarle secondo l'uso
migliore e più ricanoscinia d'ogni Nazione.
Quindi le Parole scritte non debbono in punto Pronuncia che richiamare i
Suoni precisi, coi quali dev'essere proferita qualunque Parola. Si fissi dunque, che la Scrittura serve a
richiamare esattamente e colla massima precisione tanto le Idee che i giusti
Suoni vocali; ma si fissi ancora, che questi Suoni vocali sono dalla Scrittura
rappresentati quasi sempre imperfettamente.
Quindi la Scrittura può esattamente definirsi «Se- rie di segni non gia rappresentanti ma solo
richiamanti a norma di Convenzione una serie d'Idee ed una serie di Suoni
vocali »— Con questa semplice Definizione si comprenderà facilmente come si può
benissimo pervenire ad intendere sui Libri ed anche a scrivere una Lingua
qualunque, senza saperne ben proferire una sillaba sola; come so vente uno
stesso Segno in diverse Parole à suono diverso; e perchè l'esatta Pronunzia
d'una prat-tica Lingua qualunque non può apprendersi che a forza di Esercizio e
di Conversazione. PARAGRAFO 1° Segni de' Suoni Gutturali 31. I Suoni Gutturali semplici in Italiano
sono . sette (11); ma si esprimono coi soli cinque segni a, o, i, 0, 4— E
quindi necessario far attenzione, che ciascuno dei segni e ed o serve ad
indicare due differenti suoni Gutturali, cioé uno più chiuso dell'altro. Il
solo Uso può far conoscere, quando questi Segni abbiano l'una e quando l'altra
Pro-nuncia. 32. I suoni Gutturali composti
si esprimeno coi soprafissati segni dei semplici, unendone secondo il bisogno
due o tré in una sillaba sola; come mio, suoi ec. È qui opportuno avvertire, che in Italiano il
segno i preceduto da c da g e da gl, moltissime volte non esprime suono
gutturale; ma indica semplicemente, che il c il & ed il gl debbono avere
quel suono stesso che dar loro sogliamo avanti al Gutturale i:: Come in caccia,
giusto, abbaglio ec. GUTTURALI BREVI E LUNGHI • 33. I cinque segni sopra fissati (31)
servono egualmente ad indicare i suoni Gutturali tanto brevi che lunghi. Quindi
il solo Esercizio può farci praticamente distinguere gli uni dagli altri. In Italiano se la -Parola termina con suono
gutturale lungo, si sovrappone al segno un ac-cento; come andò, verrà, perché
ec. PARAGRAFO 2° Segni de Suoni Orali • 34. I suoni Orali prolungabili (17)
sogliono ac-cennarsi coi segni m, r, s, n, ec.: I suoni Orali iscontanei
sogliono indicarsi coi segni b, d,p, t, ec.; e tanto gli uni che gli altri ánno
un determinato valore a norma della Convenzione di eiascun Popolo e Linguaggio
in particolare. ORALI ORDINARJ &
FORZATI 35. I segni de suoni Orali (3)
servono di loro natura ad esprimere in iscritto gli Orali ordinarj. Per indicare gli Orali forzali ci serviamo
dei st-gni medesimi duplicandoli, cioè scrivendo mm; it, ss ec. — Quindi il
segno Orale doppio ossia la Consonante duppia, non esprime due suoni; ma indica
soltanto, che il suono dev'essere forzato (^9), cio quasi doppio non in durata
ma in intensità. ORALI FINALI 36. Abbiam detto (34), che ogni sillaba
termina con suono Gutturale: Quindi, siccome in Iscritto molte parole finiscono
con segno Orale, e qui necessario aggiugnere qualche cosa riguardo ai Segni
orali finali, cioè che formano l'ultima lettera di varie Parole. Le Parole non sempre debbono pronunciarsi
come sono scritte; giacché la scritturá propriamente non rappresenta i suoni
Vocali, ma soltanto li richiama (30). Se dunque molte Parole finiscono con
segno Orale, non siegue che anche la loro Pronunzia abbia a terminare
precisamente col suono Orale marcato nella scrittura. 37. Le Parole, la cui ultima lettera è un
segno Orale, o si trovano immezzo o si
trovano alla fino del Sentimento - Chiamiamo fine del sentimento ogni Luogo
(endroit), in cui la Voce pronunciando deve o almeno può arrestarsi più o
meno: E chiamiamo Luogo immezzo al
sentimento, ogni Luogo in cui la Voce non può arrestarsi; perché altrimenti
lederebbe il Sentimento - Ora: L° Se le
Parole terminanti con segno Orale, sono immezzo al sentimento, il suono Orale
finale si unisce sempre alla Parola seguente: Cosi dicendo con tutti, l'n
finale deve nella Pronuncia unirsi al t seguente iniziale; e precisamente come
se fosse scritto in una sola parola contutti, ossia co-ntutti. Quindi in questo
caso le Parole o sillabe finali debbono considerarsi come effettivamente
terminanti con suono Gutturale. II.° Se
le Parole terminanti con segno Orale sono alla fine del sentimento, si richiami
(24) essere impossibile che la Voce si
arresti assolutamente in un suono Orale; giacché stante il Meccanismo degli
Organi vocali, la Cessazione d'un suono Orale qualunque deve necessariamente
produrre un appena sensibile suono Gutturale, che noi chiameremo Suono-cessante
- Dunque il segno Orale terminante una Parola che trovasi alla fine del
sentimento, esprime un suono Orale che poggia e che si unisce al
Suono-cessante. Ma il Suono-cessante è
di natura tale, che non può essere udito da chi ascolia. Esso dunque non può
far sillaba nella Parola. Dunque ogni Orale che sia seguito dal Suono-cessante,
siccome non può essere considerato isolatamente (22), potrà per convenzione
ritenersi formante sillaba col Gutturale precedente - Quindi tenor furor ardir,
quando siano alla fine del sentimento, saranno
considerate come Parole di due sillabe sole: Esse • però in natura sono di due sillabe e più;
più, formato dall'Orale finale unito al Suono-cessante ; più, che praticamente
non si calcola, perché non può essere udito da chi ascolta. Stà dunque il Principio, che ogni sillaba termina
con suono Gutturale. 38. La Lingua Russa
è in questo, come in altri Punti molti, più ragionata di tante altre, che pure
comunemente si credono Lingue più colte. Essa infatti à un segno apposito,
esclusivamente destinato ad accennare in iscritto quell' appena sensibile suono
finale, da noi chiamato Suo-
no-cessante. Quindi in Lingua Russa le Parole scritte, terminano tutte o
con segno Gutturale o col segno di Suono-cessante. La Lingua Italiana, tranne qualche
poetica Licenza, non à Parole che in un
prattico discorso possano finire col Sunno-cessante; ed è questa la primaria
cagione della vocale dolcezza pienezza e rotondità, esclusivamente propria alla
nostra Lingua. AVVERTENZA
39. Dall'esposto in questa prima Sezione si può rilevare, quanto si
opponga alla natura delle cose il Metodo comunemente usato per istruire i
Fanciulli nel Leggere; e si potrebbe dimostrare molto facilmente, che siffatto
Metodo colla nozione delle Lettere delle Sillabe del Compitare, insomma cogli
usati principi di Lettura infonde nel loro spirito insensibilmente i semi funesti d' un
perfettissimo sragionare. Oh quanti
traviamenti di Ragione deve l'Umanità ripetere dall'Istruzione Elementare! Se
co minciasi a ragionar nell'Infanzia, la Vita dell'Uomo sarà un immanchevole
Tessuto di esatti Ragionamenti; quindi
d'Onestà, di Morale, di Virtù, di Scienza, di Felicità. Ma se l' Infanzia
sragiona.... Oh quanto pochi, negli anni più maturi, si diriggono al Tempio
della Verità! SEZIONE SECONDA DEI GIUDIZI
Il Giudizio è « un
Operazione mentale, con cui affermiamo o neghiamo, che ad un Oggetto convengo
una data Azione o. Qualità » - Quindi tutti i Giudizj saranno o di Qualitá o di
Azione. I Giudizi possono secondo
le circostanze formarsi e quindi esprimersi in varj Modi o manie-re; e possono
riferirsi ad un Istante qualunque di Tempo. Dunque in questa Seconda Sezione
dopo alcune preliminari Avvertenze in quattro separati Capitoli tratteremo ° Degli Oggetti, Gardine di Giudizio ° De varj Tempi ai quali
possono riferirsi i Giudizj 3.° De varj
Modi, ne'quali si formano i Giudizj 4.° Delle Voci indicanti Giudizio Tempo
e Modo.
AVVERTENZA Sulle PARTI
costituenti un Giudizio. • 42. Ogni
Giudizio deve contenere e contiene essenzialmente trè Parti; cioè Cardine di
Giudi- zio, Voce di Giudizio, Attributo
di Giudizio. 43. Chiamiamo Cardine di
Giudizio « Ogni Og-getto, cui si attribuisce o si niega un Azione o Qualità (40) ». Chiamiamo Voce di Giudizio « La Parola esprimente il
nostro sentimento o parere, tanto affermativo che negativo ». Chiamiamo Attributo di
Giudizio « La Voce esprimente l'Azione o Qualità, che si attribuisce
all'Oggetto Cardine di Giudizio ». AVYERTENZA Sull' esprimere l' opposto nelle
Cose 46. È molte volte necessario
indicare precisamente l' Opposto di ciò, che una Voce esprime a norma di
Convenzione. Questo accade specialmente nelle Voci di Giudizio (44); giacché
ogni Giudizio negativo è assolutamente l'Opposto dello stesso Giudizio, quando
fosse affermativo - Dunque la Lingua aver deve un segno per indicare l'Opposto
d'una Cosa qualunque; e questo segno in Italiano comunemente suol essere la
Yoce not. Sul Segno di NUMERO GENERico
negli Oggetti La semplicità e facilità di
Linguaggio vuo-le, che il Nome degli Oggetti sia inalterabile, cioè sempre lo
stesso. Ed infatti le Lingue più difficili son quelle, che più variaro la
desinenza nei Nomi, come in altre Parole - Ora è facile inten-dere, che tanto
uno come più Oggetti possono formare il Cardine di Giudizio - Dunque la Lingua
avrà un Segno per indicare genericamente il Numero o unale o plurale degli
Oggetti. Ma gli Oggetti che alle
volte sono Cardine i Siurio dirono il divere circostang ure ari remo il Segno generico di Numero unale o
plura-le, non solo quando gli Oggetti sono Cardine di Giudizio, ma ognivolta
che sia necessario determinare il loro Numero in genere. AVVERTENZA
Sul sesso degli Oggetti 49. Gli
Oggetti organici, aventi cioé la facolià di propagarsi, possono essere di Sesso
maschile o femminile: Gl' inorganici sono mancanti di Sesso; quindi nè Maschj
nè Femmine; quindi Neutri — La Lingua avrà dunque dei Segni per l'opportuna
distinzione del Sesso nelle Voci di Oggetto; distinzione che nel discorso
praticamente non sein-pre è necessaria, giacché molte volte esprimiamo gli
Oggetti senza riguardo alcuno al loro Sésso.
in ale moteta, che ella mini Eliti n comi, non anno il loro particolar Distintivo:
Quindi in forza di convenzione e di uso vengon essi marcati col Segno di Sesso
ora maschile ed ora femminile - Parimenti si avverta, che in molte Lingue
Oggetti maschili anno alle volte il Segno femmi-nile, e Oggetti femminili il
Segno maschile. Quindi in ogni Lingua
prattica per conoscere il Sesso bisogna far attenzione alla natura dell'Oggetto
espresso dal Nome, o richiamato dal
Pronome. CAPO I Degli Oggetti, Cardine di Giudizio 5r. Cardine di Giudizio può essere o
l'Oggetto che giudica; o l'Oggetto che ascolta, cioè l'Oggetto cui è
partecipato il Giudizio; o un Terzo Oggetto, cioè un Oggetto diverso e da chi
giudica e da chi ascolta. PARAGRATO
1.° Dell' Oggetto Giudicante 52. L'Oggetto giudicante quando sia Cardine
di Giudizio, non à bisogno di farsi conoscere col proprio Nome, cioè col Nome
che gli compete come Individuo nella serie degli Esseri; ma deve solo
ac-cennare, che desso è il Cardine di Giudizio - Quindi è, che tutte le Lingue
fissarono una Voce generica applicabile a qualunque Oggetto, il quale trovandosi nella situazione di Giudicante, e
anche Cardine di Giudizio. Questa Voce in Italiano è io pel Numero
una- le, e noi pel plurale. PARAGRATO 2.°
Dell' Oggetto Ascoltante 53. Nemmeno l'Oggetto ascoltante quando
sia Cardine di Giudizio, à bisogno
d'essere espresso col proprio Nome, cioé col Nome che gli compete come
Individuo; bastando unicamente accen-nare, ch'è desso il Cardine di Giudizio -
Quindi abbiamo in tutte le Lingue una Voce generica applicabile a qualunque
Oggetto, il quale essendo •Ascoltante è
al tempo stesso Cardine di Giudizio.
Questa Voce in Italiano pel Numero unale é ous, pel plurale voi. AVVERTENZA
Gli oggetti giudicante e
ascoltante possono essere di Sesso tanto maschile che femminile. Siccome peró
nel discorso è indispensabile il loro in-tervento, o per lo meno la preventiva
indicazione loro personale; cosi ne conosceremo il Sesso na-turalmente, senza
bisogno di parzialmente indicarlo -Quindi le Vori io e noi, tu e voi servono ad
ambedue i Sessi egualmente. Si faccia attenzione che l'Oggetto giudicante
dev'essere necessariamente dotato della facoltà di giudicare, e di comunicare
il suo Giudizio; e l'Og-getto ascoltante dev'essere dotato della facoltà di
udire e d'intendere. Quindi, se Oggetti in natura mancanti di tali facoltà,
alle volte figurano nel discorso come giudicanti o ascoltanti; é solo, perché
in forza d'immaginazione si attribuiscono loro tali necessarie Facoltà. PARAGRAFO 3.°
Del Terzo Oggetto 56. Qualunque
Oggetto possibile è in grado di entrare nel discorso in qualità di Terzo
Oggelto, Quindi i Terzi Oggetti non possono esprimersi con delle Voci generiche;
ma bisogna accennarli col Nome loro particolare, indicandone al medesimo tempo
e Sesso e Numero-generico; : 57. Se però
il Terzo Oggetto sia già stato nominalmente espresso, allora nel continuare il
discorso possiamo anzi dobbiamo indicarlo con una Voce generica, applicabile a
tutti i Terzi Oggetti che sono Cardine di Giudizio dopo essere stati
preventivamente nominati: Ed infatti relativamente all'Oggetto l' essenziale d'
ogni Giudizio espresso in parole, consiste nel far conoscere l'Oggetto Cardine
di Giudizio. Dunque se quest' Oggetto fù già individualmente indicato, è
inutile nominarlo di nuovo; e basta solo con una Voce generica ac-cennare, ch'
è Cardine di Giudizio il Terzo Oggetto precedentemente nominato — Questo
raziocinio si applica anche ai Terzi Oggetti, che prat-ticamente non sono
Cardine di Giudizio.58. Qualunque Voce generica indicante cosi un Terzo Oggetto è detta Pronome di Terzo
Ogget-to; cioè« Voce generica, posta in luogo del Nome d'un Terzo Oggetto già
espresso»; o più esattamente « Voce generica, richiamante un Terzo Oggetto già
espresso ». Ecco le Voci, che usa la
Lingua Italiana per questi Pronomi :
... NUMERO UNALE
PLURALE maschile .... egli o esso
eglino o essi femminile. . . . ella o
essa elleno o esse 5g. Nel far uso dei
Pronomi di Terzo Oggetto si richiede grande attenzione, onde non abbia a
sorgere nel Discorso confusione ed oscurità - Si fissi quindi come Regola
generale, che trà il Pronome ed il Nome cui quello si riferisce, non deve
trovarsi alcun altro Terzo Oggetto, almeno dello stesso Numero e Sesso. PARAGRAFO 4..
Del Pronome Riflesso 6o. Nei
Giudizj di Azione gli Oggetti Cardine di Giudizio sogliono molte volte offrirsi
allo Spirito in un secondo aspetto in una seconda situa-zione, come lo sono
effettivamente in natura; e questo o per determinare l'Azione medesima, o
perché l'Azione presenti tutta l' estenzione ad essa necessaria in un dato
Giudizio: Come « io credo me — tu biasimi te — egli o ella punisce se -
noilodiamo noi— voi tormentate voi — essi o esse allontanano se»; che
propriamente debbono per gusto di Lingua esprimersi «io mi credo tu ti biasimi
— egli o ella si punisce — noi ci lodiamo — voi vi tormentate —essi o esse si
allontanano». 6r: Dunque la Lingua aver
deve una Voce esprimente qualunque Oggetto, il quale essendo già Cardine di Giudizio si trova nella suespressa
circo-stanza; vale a dire ci si presenta nello stesso Giudizio in una seconda
ossia diversa situazione - Questa Voce
generica, inserviente ad accennare nello stesso Giudizio una seconda Situazione
di qualunque Oggetto Cardinale, è da noi detta Pronome riflesso; cioé « Voce o
Segno riflettente ossia rimandante la nostra attenzione all'Oggetto Cardinale »
— Quindi il Pronome riflesso è dalla sua stessa natura impossibilitato ad
essere Cardine di Giudizio. In Italiano
se (francese soi) é il Pronome riflesso per tutti i Terzi Oggetti: Gli Oggetti
giudicante e ascoltante però anno un Pronome riflesso particolare e per ciascun
Numero; come può rilevarsi dagli Esempj superiormente citati (6o) - La Lingua
Russa à un sol Pronome riflesso.
AVVERTENZA Sugli Oggetti, Cardine
di Giudizio 62. Gli Oggetti Giudicante e
Ascultante, e i Terzi Oggetti non sempre
sono Cardini di Giudi-zio; giacché nel discorso possono presentarcisi invarie
Situazioni, come vedremo (184). Avendo però fissato rispettivamente il Nome
(52, 53) e Pronome generico (58) per
essi, quando sono Cardini di Giudizio; anche quando non lo sono, potremo
esprimerli rispettivamente collo stesso Nome o Pronome, accompagnato unicamente
da un Segno per indicarne in ogni circostanza la Situazione precisa. In Italiano questi Nomi e Pronomi quando non
sono Cardinali, non conservano la soprafissata loro espressione; eccettuandone
i soli noi, voi, esso, essa, essi, esse.
CAPO II De varj Tempi, ai quali
possono riferirsi i Giudizj Il Tempo si definisce
esattamente « Istante o Aggregato d'Istanti, in cui à luogo una qualunque
Azione o somma di Azioni ». Il Tempo deve distinguersi in totale e parziale — Il
Totale comprendé l'intera serie degl'I-stanti, che possiamo concepire trà il
principio ed il fine dell' Esistenza: Il Parziale comprende soltanto una parte
o porzione della serie totale. I nostri Giudizj potendosi riferire a qualunque
Epoca di Tempo, è qui necessario esporre le generiche Teorie del Tempo
Parziale, cioè considerato nelle varie sue Parti tanto assolute che
re-lative.Tempo Passato, Futuro, e Presente
Colla forza d'Immaginazione
considerando il Tempo totale come rappresentato da una Linea retta, tirata dal
principio al fine dell' Esistenza, non possiamo non vedere; che molti Istanti
già furono; che molti debbono ancora decorrere; e che un Istante indivisibile
separa sempre la serie degl'Istanti decorsi dalla serie di quelli che deb bono
ancora venire — Dunque dobbiamo dividere il Tempo totale in tré Tempi parziali,
cioè passato futuro e presente. Il Passato comprende tutti gl' Istanti de- corsi: Il
Fucuro comprende tutti gl'Istanti avve- nire: Il Presente occupa l'Istante
unico indivisi-bile, che separa il passato dal Tempo futuro. PARAGRAFO 2.°
Tempo Determinato e Indeterminato Il Tempo presente come formato da un solo Istante, è
sempre determinato di sua natuta: Ma il Tempo passato e futuro come formato da
una Junga serie d'Istanti, può nel Discorso essere determinato o indeterminato.
Il Tempo è determinato, se
chiaramente s' indica l'Istante o Aggregato d'Istanti, in cui aivenne o avverrà
ciò ch'esprime il Giudizio: É indeterminato, se la Cosa espressa dal Giudizio
si riferisce al Passato o Futuro in genere, vale a dire senza precisare limite
alcuno.6g. Nel Tempo Presente è necessario distinguere il Presente-assoluto ed
il Presente-relativo — È assoluto quello, che realmente decorre nel momento in
cui esprimiamo il Giudizio: È relativa quello, che sebbene di sua natura già
passato, pure da noi si considera sotto aspetto di Presente riguardo ad un
altra o più Cose avvenute nel Tempo medesimo; come l'Azione di entrare in « Io
entrava,: quando voi sortiste ». (V. Analisi п.° 116, 1.°). 70. Bisogna inoltre distinguere il
Presente-asso-lato in naturale e ideale - Assoluto naturale é ogn' Istante, che
separa effettivamente tutto il Passato dall'intero Avvenire: Assoluto ideale é
un Istante qualunque, preso nella serie del Tempo passato o futuro, e coll'
Immaginazione da noi considerato come
Presente. Il Presente Ideale, ossia ciò
che da noi ideal- mell'eni considera
canei di eso luri richiede Per esso
dimenticando la naturale assoluta nostra situazione, voliamo col pensiero dove
la circostanza ne chiama. In quei momenti di Entusiasmo il Presente. naturale
più non esiste per noi: Il Passato ed il Futuro prendono sembianze diverse ; e
l'Ordine reale delle Cose interamente svanisce.Tempo Passato e Futuro 71. I Tempi passato e futuro essendo formati
da lunga serie d'Istanti, noi possiamo in ciascuna di tali serie considerare
due Azioni eseguite o da eseguirsi in momenti diversi - In tal caso chiaro si
scorge, che una delle due Azioni espresse dai corrispondenti Giudizj, avvenne o
avverrà prima dell'altra - Dunque se consideriamo rispettivamente come passato
o futuro ciò ch' esprime il secondo Giudizio, anche, ciò ch'è espresso dal
primo sarà passato o futuro ma colla prerogativa di An teriorità. Dunque il Primo dei due Giudizj ossia il Tempo in cui esso à luogo, con ragione sarà
da noi rispettivamente chiamato passato-anteriore o futuro-anteriore; com'è
difatti in Natura. (V. Analisi n° 116,
IL° IlI.°). CAPO III De varj Modi, ne' quali possono formarsi i
Giudizj 72. I Giudizj si formano e però
anche si esprimono in varj Modi, secondo la diversità delle cir-costanze.
Distinguendo il Modo Definito in Indicativo e Condizionato, noi riduciamo
questi Modi al numero di nove: Almeno ci sembra, che nei Giudizj nove diversi
Modi meritino una particolare attenzione; e però passiamo a dare una succinta
nozione di ciascuno — Chi ne bramasse Det-taglio maggiore, consulti l' Analisi
premessa (ros e seg.). PARAGRAFO
I.° Modo Generico Formiamo spesso di seguito due o più Giudizi
riferibili ad un Oggetto medesimo, e inseparabilmente concatenati frà loro - In
tal caso, espresso con chiarezza e precisione il Giudizio principale cioè il
Giudizio base del discorso, consideriamo l'altro o altri come accessorj: Quindi
li esprimiamo in genere ossia in Modo Generico; nulla più richiedendosi per la
completa loro in-telligenza. Il Giudizio di Modo Generico può essere determinante
o accompagnante - È determinante, quando serve a determinare cioè a stabilire
il vero e preciso valore del Giudizio principale: È accompagnante quando unicamente
accompagna il Giudizio principale; cioe quando ciò ch' esprime, avviene
contemporaneamente all' espressione del Giudizio principale. Avvertasi, che i Giudizj Generici di Qualità
per loro natura non possono essere accompagnanti. Infatti il Giudizio in se stesso non esprime
che Affermazione o Negazione (40).
Quindi nei Giu-dizj da noi detti accompagnanti, devesi intendere ch'è accompagnante
non propriamente il Giudizio, ma la Cosa su cui cade il Giudizio, ossia
l'Attri-buto di Giudizio (45). Ora una Qualità non à per natura relazione
alcuna col Tempo. Dunquenon può aversi Qualità contemporanea al Giudizio
principale. Dunque i Giudizj Generici di Qualità non pussono essere
accompagnanti. Dunque sono accompagnanti i soli Giudizj di Azione. PARAGRATO 2°
Modo Indicativo Un Giudizio si dice
espresso in Modo In-dicativo, quando per intenderlo completamente basta
semplicemente indicarlo: Ciò avviene, quando ad un Oggetto si attribuisce un
Azione o Qualità colla massima possibile semplicità e certezza; vale a dire,
senza che vi sia annessa alcuna particolare circostanza o emozione dell'animo. Il Giudizio Indicativo può
essere isolato o dipendente - É isolato, quando esprime un senso in tutte le
sue parti perfettamente completo senza il concorso d'altro Giudizio: É
dipendente cioẻ dipende da altro Giudizio, quando senza il concorso d' un
secondo Giudizio presenterebbe un sentimento cone sospeso, e non perfettamente
compiuto riguardo al Tempo cui si riferisce. I Giudizj di Modo
Indicativo isolato appartengono tutti al Tempo o passato o presente o futuro
(06): Quelli di Modo Indicativo dipendente appartengono invece al Tempo o
presente-relati-vo ((19) o passato-anteriore o futuro-anteriore (71); come
infatti richiede la già analizata intrinseca natura di questi tré Tempi.Modo
Condizionato 78. E in Modo condizionato ogni Giudizio, la cui Verificazione • trovasi essenzialmente
attaccata all' eseguimento di qualche Condizione - Quindi il Giudizio
condizionato, relativamente alla Condizione è sempre di sua natura futuro. 79. Un Giudizio Condizionato può essere
pratti- quando la condizio inese abior e
estabile , ineseguibile, quando non può
aver più luogo la Condizione. 8o. Quindi il Condizionato Eseguibile non può
riferirsi che a Tempo futuro; e l' Ineseguibile deve necessariamente riportarsi
a Tempo o passato o presente. AVVERTENZA
Sui Modi Indicativo e Condizionato
8r. I Giudizj di Modo Indicativo e Condizionato sono tutti definiti di
loro natura. Chiamasi definito ogni Giudizio, il quale esclude ogni ombra
d'incertezza relativamente alla persuasione in cui tro-vasi chi lo proferisce;
ossia è definito ogni Giudizio il quale fa conoscere, che chi lo forma e
pronuncia, è persuaso di ciò ch' esprime il Giudizio medesimo.Modo Suppositivo 8a. È in 'Modo Suppositivo o di supposizione
ogni Giudizio, in cui ammettiamo come avvenuta o avvenibile una Cosa che
potrebbe anche non essere. 83. Essendo
in nostra facoltà portare su qua- Junque
Istante le nostre supposizioni, un Giudizio suppositivo può riferirsi a Tempo o
passato o presente o futuro.
PARAGATO 5.° Modo Volitivo
84. È in Modo volitivo ogni Giudizio, nel quale l'Oggetto giudicante fa
energicamente conoscere un atto di sua Volontà - Ma un atto d'intensa Volontà non può esternarsi che o comandando o
esurtando o pregando. Dunque il Giudizio Volitivo esprime sempre o Comando o
Esortazione o Preghiera. 85. Inoltre un atto di Volontà non può avere
alcuna influenza sul Tempo passato - Dunque il Giudizio Volitivo sarà di Tempo
o presente o fu биго. 86. Finalmente l'Oggetto giudicante essendo
un solo, non à bisogno di esprimere con parole un atto di Volontà riguardante
lui stesso — Dunque nei Giudizj di Modo Volitivo la Lingua mancherà di
espressione per l'Oggetto giudicante, se uno.Modo Ottativo E in Modo Ottativo ogni Giudizio, in cui desideriamo
energicamente che avvenga o sia ar-venuto, ciò ch' esprime il Giudizio
medesimo. Il Giudizio Ottativo può
essere eseguibile o ineseguibile - È Eseguibile, quando il Desiderio che lo
accompagna, può ancora sodisfarsi : È Ineseguibile, quando il Desiderio che lo
accom-pagna, non può più essere praticamente sodisfatto. Quindi l'Ottativo
eseguibile si riferisce unicamente a Tempo futuro; e l'ineseguibile si
riferisce a Tempo o presente o passato PARAGRATO 7.° Modo Condizionante É in Modo Condizionante
ogni Giudizio esprimente la Condizione, al cui verificamento si appoggia un
Giudizio Condizionale qualunque (78). 9r. Il Giudizio condizionante è di Tempo
o passato o presente o futuro, secondo l'Istante cui si riferisce ciò
ch'esprime il Giudizio medesimo.
PARAGRATO 8.° Modo
Indefinito 92. É in Modo Indefinito
ossia incerto ogni Giudizio, accompagnato da una specie d'incertezza rapporto
all'esistenza di ciò ch' esprime il Giudizo medesimo: I Giudizi Indefiniti possono riferirsi a qua lunque
Tempo tanto assoluto che relativo; giacché un Azione in qualunque circostanza
può presentarsi al nostro spirito coll'impronta dell'Incertezza. PARAGRATO 9.°
Modo Interrogativo É in Modo
Interrogativo ogni Giudizio accompagnato da Domanda ossia Interrogazione.
Quindi i Giudizi Interrogativi sono per loro natura Inde-finiti, rapporto a ciò
ch'esprimono. Si avverta però, che la loro Incertezza è abbastanza chiaramente
espressa dall' Interrogazione; e quindi che tali Giudizj si esternano colle
Voci di Modo Definito (81). Il Giudizio Interrogativo può essere semplice o
enfatico - È semplice, quando si chiede unicamente e nudamente ciò ch'è
espresso dal Giudizio medesimo: É enfatico, quando la Domanda è accompagnata da
Enfasi ossia dá un forte sentimento dell' Animo. 98. Un Giudizio Interrogativo
può riferirsi a qualunque Tempo tanto assolulo che relativo; essendo chiaro che
le Domande possono estendersi su tutti gl' Istanti possibili. Delle Voci indicanti Giudizio Tempo e
Modo 97. Benché il Giudizio, il Tempo
cui si riferi-sce, ed il Modo nel quale si forma ed enuncia, sieno tré Cose
assolutamente diverse, pure le Lingue sogliono praticamente esprimerle con una
sola Parola; il che produce un utilissima Brevità - É vero, che molte Lingue
alle volte usano per ciò più parole distinte frà loro; come in Italiano
era-stato, sard-stato ec. Ma se ben si ana-lizi, si troverà che tali distinte
Parole essenzialmente ne costituiscono una sola; com'era in Latino fueram,
fuero ec. É dunque di somma importanza
il ben conoscere nel Linguaggio le Voci, ch' esprimono al tempo stesso Giudizio
Tempo e Modo - Per amore di brevità tralascio di qui esporre quelle che à
stabilito la Lingua Italiana, e che formano la cosi detta Conjugazione della
Voce di Giudizio essere. 98. Intanto si
fissi, che sebbene nei Giudizj i Modi già analizati sieno nove (72), pure le
Voci esprimenti Giudizio Tempo e Modo ossia le Voci di Giudizio, in Italiano
come in altre Lingue molte non sono trà loro diverse, che pei soli quattro Modi Generico Indicativo Condizionato e
Indefi-nito. Per gli altri Modi poi le Voci si prendono. da qualcuno di questi
tré ultimi, colle opportune avvertenze sull'Inflessione vocale, sulla
Disposizione delle parole ec. analogamente alla natura di ciascun Modo in particolare. Quindi una
stessa Voce di Giudizio può praticamente
avere diversi Valori (30). SEZIONE TERZA
DEI FONTI PRIMITIVI DE GIUDIZI
99. Nel giudicare altro noi non facciamo, che attribuire ad un Oggetto o
un Azione o una Qualità (40) - Dunque i Fonti Primitivi dei Giudizi sono trè,
vale a dire gli Oggetti le Azioni e le Qualità di primitiva Esistenza, cioè
ch'esi-stono o che per lo meno s' immaginano effettivamente esistenti in
Natura. In Natura, almeno secondo la
nostra maniera di concepire, esistono ancora dei Rapporti: Essi però nei
Giudizj si presentano sempre sotto aspetto o di Oggetti o di Qualità, vale a
dire mancanti dell'assoluta primaria loro natura, e però non più primitivi. CAPO I
Degli Oggetti 100. Chiamiamo
Oggetto «Qualunque Cosa, cui può attribuirsi una qualche Azione o Qualità ». Negli Oggetti oltre il Numero generico ed
il Sesso di cui già si parlò (47, 49),
bisogna ossero vare altre Cose, come passiamo ad esporre. Denominazione degli Oggetti 101. Esistono in Natura moltissimi Oggetti
aventi le stesse Proprietà (122); e sarebbe impossibile assegnare un Nome
particolare a ciascuno di essi. Quindi
tutte le Lingue fissarono dei Nomi gene-rali, cioè dei Nomi esprimenti tutti
gli Oggetti individui che anno le stesse Proprietà. - Ma esistono ancora degli
Oggetti unici; vale a dire 0g-getti, ai quali non é possibile trovarne un
secondo avente uguali Proprietà: E questi debbono avere ed anno anch'essi nel
Linguaggio il Nome loro par-ticolare.
102. Dunque dobbiamo dividere i Nomi degli Oggetti ossia i Sostantivi in generici ed
individui - É generico ogni Sostantivo il quale esprime un Oggetto comprendente
molti Esseri della Natura; come Libro, Pianta ec. É individuo ogni Sostantivo
esprimente un Oggetto unico, ossia ogni Sa stantivo applicabile ad un solo
Oggetto e sempre allo stesso; come Vienna, Roma ec. : I Nomi Individui sono di
loro natura tutti determinati; e sono pure di loro natura indeterminati tutti i
Nomi Generici, presi isolatamente. Nel prattico discorso però bisogna distinguere i
Sostantivi Generici in assoluti, limitati, e determinati - É generico-assoluto
ogni Sa-stantivo, che nel contesto del discorso ci presenta un idea
assolutamente generica, ossia in tutta la sua possibile estensione; come Mare
in « Il Mareè incostante »-E generico-limitato ogni Sostan-tivo, che nel
contesto del discorso ci presenta uni Idea come ristretta ossia limitata ad un
numero speciale d'Individui; come Mare in « Il Mare tranquillo è piacevole » -
È generico-determinato ogni Sostantivo, che non in se stesso ma nel contesto
del discorso ci presenta un Oggetto assolutamente unico ossia Individuo; come
Mare in « Il Mare di Toscana». PARAGRATO 2.°
Situazione degli Oggetti 105. Per
Situazione noi qui intendiamo l'aspetto il modo, con cui in un Giudizio o
discorso ci si presentano praticamente gli Oggetti - Noi ve-diamo, che in
Natura uno stesso Oggetto in diverse Epoche o Circostanze é suscettibile di
Situazioni diverse. Dunque ognivolta che nominiamo un Oggetto, dobbiamo
precisarne la vera Situa-zione; vale a dire, dobbiamo chiaramente indicare
sotto qual aspetto o punto di vista noi lo consideriamo - Dunque il Linguaggio
aver deve i suoi Segni per dare a
conoscere le varie Situazioni degli Oggetti.
Credo necessario di qui esporre dettagliatamente queste varie
Situazioni, fissando per ciascuna un Nome che unito alla parola Sostantivo; ci
faccia subito conoscere la vera Situazione dell'Oggetto espresso dal Sostantivo
medesimo.SOSTANTIVO CARDINALE x06.
Chiamiamo cardinale ogni Sostantivo espri-mente un Oggerto, ch'é Cardine di
Giudizio (43): Cosi Pietro é Nome
cardinale in « Pietro é vir- tuoso
». SOSTANTIVO NOMINANTE 107. Chiamiamo nominante ogni Sostantivo
espri-mente un Oggetto, che deve meramente essere nominato: Cosi Pietro é
Sostantivo nominante in «Tizio é dotto
quanto Pietro». A VVERTENZA Il Sostantivo nominante puo in fondo cop-siderarsi
come Sostantivo cardinale (106); e nel Linguaggio infatti anno ambedue la
medesima espressione — Si avverta peró, che sono essenzial-mente distinti frà
loro; giacché il Nome Cardi-nale é sempre acompagnato dalla Voce di Giu-dizio,
e il Nominante mai. SOSTANTIVO DETERMINANTE-OGGETTO Chiamiamo
determinante-oggetto ogni So-stantivo esprimente un Oggetto, che serve a
deter-minarne un altro (103, 104): Cosi Pietro é Nome determinante-oggetto in
«Il Cavallo di Pietro - La Casa di Pietro ec. ». SOSTANTIVO DETERMINANTE-AZIONE 110. Chiariamo determinante-azione ogni
So- stantivo esprimente un Oggetto,
il quale serve a determinare un'Azione (201): Così Pietro è Nome
determinante-azione in « I soldati ferirono Pietro - Mandate Pietro al
Passeggio ec.». SOSTANTIVO
CHIAMANTE 111. Diciamo chiamante ogni
Sostantivo esprimente un Oggetto, che viene effettivamente chia mato: Così
Pietro è Nome chiamante in « Pietro, scrivete — Pietro, chi è venuto?
ec.». SOSTANTIVO INDEFINITO 122. Chiamiamo indefinito ogni Sostantivo,
che essendo di numero unale non definisce ossia non precisa la Quantità
dell'Oggetto, ed essendo plurale non precisa il Numero degli Oggetti ch' e- sprime: Cosi Inchiostro, Carto, - Bombe,
Cannoni sono Sostantivi indefiniti in & Vorrei dell'In-chiostro, e della
Carta - O'visto delle Bombe, e dei Cannoni ».
I Sostantivi indefiniti non possono esprimere, che Oggetti di loro
natura indeterminati; giacché soltanto in questi possiamo concepire e Numero
indefinito e indefinita Quantità!
SOSTANTIVO CONTENENTE 113.
Chiamiamo contenente ogni Sostantivo esprimente un Oggetto, il quale si
considera prattica-mente come capace di contenere una Cosa qualunque espressa
nel Discorso: Cosi Parigi, Casa, Libri sono Sostantivi contenenti in « Vi
tratterretelungamente a Parigi? — Pietro non é in Casa - Cercate l'Istruzione nei buoni Libri ». SOSTANTIVO RELATIVATO 114. Chiamiamo relativato ogni Sostantivo
esprimente un Oggetto, relativanzente a cui pronun- Pace — Lo accusano di Tradimento — Che si
dice di Pietro? ». SOSTANTIVO
RICEVENTE Chiamiamo ricevente ogni
Sostantivo esprimente un Oggetto, il quale effettivamente riceve qualche Cosa:
Cosi Pietro è Nome ricevente in « Consegnate questo Libro a Pietro - Dite a
Pietro ec. ». SOSTANTIVO TERMINANTE Chiamiamo terminante ogni Sostantivo esprimente un
Oggetto, ch' è termine o di Moto o d' un Azione col mezzo di Moto: Così Pietro
é Nome terminante in « Portate questa Lettera a Pietro - O'scritto a Pietro - Andate
da Pietro, e ditegli ec.». SOSTANTIVO COMINCIANTE Chiamiamo cominciante ogni
Sostantivo esprimente un Oggetto, nel quale comincia un Azione od un Molo: Così
Pietro è Nome cominciante in « Mi fù scritto da Pietro - Ciò dipende da Pietro
- Allontanatevi da Pietro ec. ». Speciali Espressioni di NuMEro per gli
Oggetti 118. Nunero significa « Voce o
Segno esprimen- nella medesima
circostanza e situazione. 11g. Ogni
Sostantivo indeterminato deve avere il distintivo di Numero generico, cioè un
Segno indicante se l'Oggetto espresso dal Sostantivo è al Numero unale o
plurale; come abbiamo già veduto (47). Questo Segno generico però non sempre
basta ad esprimere negli Oggetti la numerica
Idea conveniente. 120. Quindi il
Linguaggio oltre il Segno generico deve anche avere delle Speciali Voci di Nu
mero, le quali saranno determinate o indeterminate - Una Voce di Numero è
determinata, se esprime quanti uno la formano; come trè, dieci ec.: Una Voce di Numero é indeterminata, quando
non esprime quanti uno la formano; come pochi, alcuni, molti ec.. PARAGRAFO 4.°
Espressioni di suoco per gli Oggetti .
121. Luogo vuol dire «Punto o Aggregato di Punti, occupato nella Natura
da un Corpo qualunque »— Gli Oggetti di reale esistenza, almeno quelli di cui
parliamo più spesso, essendo nella massima parte corporei, ci troviamo
spessissimo,nella circostanza di dover indicare un qualche Rapporto di Luogo. Dunque il Linguaggio aver deve delle Voci
apposite per esprimere negli Oggetti i varj Rapporti locali. CAPO
II Delle Qualità 122. Per ben intendere il valore della Voce
Qualità, bisogna fissare quello di Proprietà d'un Oggetto qualunque - In ogni Oggetto dicesi
Proprietà «Tutto ciò, senza cui l' Oggetto cesserebbe d'esistere ».
123. Qualità poi chiamasi in ogni Oggetto « Tutto ciò, che in esso non è
Proprietà»; ossia « Tutto pit che anche
no avere se di rimarca ile e ele
PARAGRAFO 1.° Massimo Aumento
nelle Qualità É facile comprendere, che
le Qualità possono aumentare di forza ossia d'Intensità nella loro intrinseca
essenza e natura. Quindi alle volte possiamo ancora e dobbiamo considerarle
giunte allo stato di Aumento Massimo; vale a dire ad uno stato, oltre il quale
più non esiste Aumento. Questo Massimo
Aumento poi può essere assoluto o relativo - E assoluto, quando consideriamo la
Qualità giunta al suo Massimo senz'al-cuna restrizione; come « Cicerone fù
eloquentis simo, cioè eloquente nel
maggior grado possibile » : É relativo,
quando nell'Oggetto consideriamo la Qualità giunta al suo Massimo, sultanto
relativamente ad una determinata sfera d'altri Oggetti; come « Cicerone fù il
più eloquente dei Romani, cioè superò in Eluquenza tutti i Romani ». 126. Dunque il Linguaggio deve avere dei
Segni per esprimere nelle Qualità il Massimo Au
mento tanto assoluto che relativo. PARAGRATO 2° Massimo Decremento
nelle Qualita Le Qualità sono suscettibili di decrescere ossia
diminuire, come lo sono di aumentare. Quindi potremo e dovremo alle volte
considerarle giunte allo stato di Mussimo Decremento; cioé ad uno stato, oltre
il quale non esiste altro che zero. Il Massimo Decremento può essere anch'esso assoluto
o relativo, e precisamente nelle stesse circostanze del Massimo Aumento (‹25);
giacché il Decremento Massimo non è che il preciso Opposto del Massimo Aumento.
Avremo quindi « Tizio è ineloquentissimo - Sempronio è il più ine- loquente
degli Avvocati ». Dunque il Linguaggio aver
deve dei Segni per esprimere nelle Qualità il Massimo Decremento e assoluto e
relativo.Deterioramento nelle Qualità 130. Avviene sovente, che le Proprietà
degli Oggetti subiscono dell' Alterazione negli Elementi loro costitutivi. Ora
le qualirà negli Oggetti non sono, che il risultato delle loro Proprietà e
delle varie combinazioni degli Elementi che ne costituiscono l'Essenza. Dunque
alterate in un Oggetto le Proprietà, anche le Qualità debbono alterarsi
necessariamente. Se quindi l'alterazione
delle Proprietà ossia degli Elementi loro costitutivi, succeda gradata-mente;
le Qualità nel principio di tale Alterazione si troveranno non del tutto
svanite, ma soltanto peggiorate ossia in uno stato di Deterio-ramento: Così un
Pomo che oltrepassa lo stato di maturanza, non cessa d'esser dolce all'istante
; ma và gradatamente deteriorando, cioè passa dallo stato di dolce a quello di
dolciastro ec. ‹31. Dunque il Linguaggio
aver deve un Segno per esprimere il Deterioramento nelle Qualità. PARAGRAFO 4.°
Variazione nelle Qualità 132.
Ognuno coll' esperienza determina in se stesso l'idea assoluta ossia il valore
generico di ciascuna Qualità. Una stessa Qualità però pratti-camente non sempre
rimane nel grado medesimo di forza, ossia non sempre corrisponde perfetta- is mente all'Idea generica e assoluta che ci
siamo formati di ciascuna. Infatti, le Qualità potendo giugnere ad un Massimo e
Aumento e Decremento (124, e seg.), è chiaro che sortendo dal loro stato
ordinario, debbono o almeno possono passare per Gradi direi quasi infiniti. —
Ora ogni Qualità che trovasi fuori del suo stato e Valore assoluto, ossia che
non corrisponde esattamente all'Idea generica che noi già ci formammo di essa,
è da noi detta Qualità variata. Dunque il Linguaggio aver
deve Regole e Voci opportune per esprimere le Variazioni, che possono subire le
Qualità; come molto, poco, discretamente ec. CAPO III Delle Azioni Chiamiamo Azione «Tutto
ciò, che un Oggetto può fare in qualunque Istante di Tempo». PARAGRAFO 1.°
Verbi 135. La Voce di Azione
praticamente suol es sere unita alla Voce di Giudizio in una sola. Pa-rola;
come amure, scrivere ec. invece di essere amante, scrivente ec. Questa Parola è
ciò che chiamasi Verbo — Quindi il Verbo può definirsi «Parola composta da due Voci, una di Giudizio
l'altra di Azione n. 136. L'Unione di
queste due Voci in una sola *Parola
abbrevia é vero, ma rende la Lingua generalmente complicata e difficile -
Dunque il Linguaggio aver dovrebbe la Voce di Azione unita ; a quella di Giudizio,
solo quando tale unione produce Brevità senz' alcuna difficoltà o
complica-zione; e questo analogamente al nostro scopo può soltanto avvenire,
quando l'Azione è espressa in Modo Generico (102 e seg.). Difatti basta per ciò
stabilire, che la Radice di Azione aumentata d'un segno convenuto, esprime al
Modo Generica e l'Azione e la Voce di Giudizio.
137. Dunque il Linguaggio deve decomporre i Verbi in Voci di Giudizio e di Azione;
lasciando queste due Voci unite in una stessa Parola al •solo Modo Generico. 138. Ma il Modo Generico ora è determinante e
con trè Tempi diversi (104 e seg.), ed ora è accompagnante (106 e seg.) -
Dunque il Linguaggio fisserà dei Segni per le necessarie distin-zioni. PARAGRATO 21°
Azioni Determinate e Indeterininate
• 139. Chiamiamo determinata «Ogni Azione, che risguarda esclusivamente
l'Oggetto Cardine di Giu-dizio»; come dormire, correre ec. Chiamiamo in
determinata «Ogni Azione, che può risguardare
Oggetti diversi dal Cardine di Giudizio»; come scrivere, chiamare
ec. 140. Le Azioni Indeterminate, onde
formarne l'idea conveniente, nel
discorso debbono quasi sempre determinarsi - Quindi il Linguaggio avra le sue
Leggi per tale Determinazione (201 e seg.).
PARAGRAFO 3.° Determinazione del
Tempo nelle Azioni o Giudizj • 141. É
molre volte necessario indicare l'Istante o Aggregato d'Istanti, in cui arvenne
o avverrà un Azione o Giudizio; vale a dire, che molte volte bisogna
determinare il Tempo (68) d'una data Azione, non sempre potendosi riferire al
Passato o Futuro indeterminatamente.
142. Dunque il Linguaggio aver deve apposite Espressioni per la Determinazione del
Tempo. 143. Trà le Espressioni di Tempo
maritano particolare avvertenza quelle, che servono a indicare un Epoca
qualunque sia passata sia futura; Epoca la quale si fissa, partendo dal
presente e scorrendo col pensiero fin dove la natura del discorso comanda di
arrestarsi - Tali Espressioni da noi si chiamano estese Espressioni di Tempo; e
si formano sempre col mezzo d' un sostantivo di Tempo, come ora, giorno,
minuto, mese ec.: Quindi abbiamo pel passato « Un ora fa - Due giorni fa - Trè
mesi fa — Sei anni là ec.»; e pel fisturo «Da qui a un ora — Da qui a trè
giorni - Da qui a due secoli ec.». Da queste Espressioni è facile ri-levare,
che in esse partiamo sempre da un Epoca la quale si considera come
presente. 144. Dunque il Linguaggio avrà
un Segno particolare per queste Espressioni estese di Tempo. САРО
Iv 1 Cose comini agli Oggetti, Azioni, e
Qualità 145. Gli Oggetti indeterminati,
le Azioni e le Qualità sono egualmente suscettibili d' un generico. Aumento e Decremento; come passiamo ad
esporre nel seguente PARAGRAFO
UNICO Generico Aumento e Decremento
nelle Cose 146. Un Sostantivo Generico
(102) comprende moltissimi Individui. Dunque è impossibile formarsi un Idea
assolutamente generica, ossia un Idea che perfettamente corrisponda al valore
d'un Sostantivo Generico. L'Idea che noi attacchiamo ad un Sostantivo Generico
qualunque, non è propriamente che l'Idea d' uno degli Oggetti compresi sotto al
Nome Generico medesimo. Quindi possiamo, dir con ragione, che nello spirito
dell'Uomo ad ogni Sostantivo generico corrisponde l'Idea nou d'un Oggetto
generico, ma d' un Oggetto individuo.
Ora non tutti gli Oggetti Individui che ánno, eguali Proprietà, cioé che
sono compresi sotto lo stesso Nome. Generico, anno pure uguale perfe zione.
Fissata dunque l'Idea propriamente Indivi-
duta corrin sedente pl senti Sisalto spie del Oggetti individui, aventi Qualità superiori
o inferiori all'Idea medesima che noi consideriamo come Generica. In tal caso
fatto il confronto dell'Idea considerata generica coll'Idea dell'Oggetto individuo,
l'Uomo in forza d'abitudine ritenendo invariabile la prima, vede
necessariamente un Aumento o Decremento nella seconda, e quindi nell'
Oggetto ad essa corrispondente. Dunque i
Sostantivi Generici applicati a qualche Oggetto particolare, sono suscettibili
d'Aumento e Decremento, almeno secondo la nostra maniera di vedere. 147. Questo Raziocinio è pienamente
applicabile anche alle Azioni e Qualità - Infatti noi col-l' esperienza
fissiamo l'Idea assoluta e generica d'ogni Qualità ed Azione. Ora ognuno
conosce, che le Qualità ed Azioni d'una stessa specie prattica-mente non sempre
si presentano colla medesima intensità. Dunque confrontando un Azione o Qualità
particolare coll' Idea corrispondente da noi considerata Generica, spesso
troveremo che la prima è inferiore o superiore alla seconda. Dunque i Nomi Generici di Qualità e di Azione applicati a qualche Azione 6 Qualità
par-ricolare, al pari degli Oggetti o Sostantivi generici sono suscettibili
d'Aumento e Decremento. 148. Dunque,
siccome non sempre è necessario precisare la Quantita dell'Aumento o
Decremento, il Linguaggio dovrà avere del Segni per esprimere il generico
Aumento e Decremento negli Ogget-ti, Azioni e Qualità; Aumento e
Decremento, unicamente relativo all'Idea
generica che ci siamo preventivamente formati di ciascun Oggetto Azione e
Qualità in genere. 149. Sia per
l'Abitudine che abbiamo di espri-merli, sia per la maggiore facilità di
concepirli, é facile comprendere ciò che intendiamo per Aumento e Decremento
generico negli Oggetti ; ma non a tutti sarà egualmente facile il formarsi una
giusta Idea degli Aumenti e Decrementi generici nelle Qualità e specialmente
nelle Azioni. Questa difficoltà nasce da mancanza di uso, e singolarmente da
mancanza di apposite Espressioni - Un
quella facilità stessa, con cui un Italiano intende I Aumentativo
Librone e il diminutivo Libretto : E
anche in ciò la Lingua Russa e superiore a tutte le altre da me conosciute. Per agevolare quindi al nostro Spirito il
necessario concepimento di tali Aumenti e Decre menti, supponiamo che l'Aumento
si esprima con oltre, e il Decremento con retro. Fissando che nelle Azioni e
Qualità deve sempre esistere trá l'Idea radicale e il suo Aumento o Decremento,
quello stesso mentale Rapporto che passa trà Li-bro, Librone e Libretio, chi
può non concepire l'assoluto valore delle seguenti espressioni? LUMENTO
DEOREMENTO Libro ..
oltre-Libro retro-Libro Casa
oltre Casa • retro-Casa
bello .... oltre-bello .... retro-bello
dolce oltre-dolce retro-dolce
parlare oltre-parlare retro-parlare
punire oltre-punire retro-punire
intendere . oltre-intendere retro-intendere ec. Concludiamo dunque, che quando si sapesse esprimerle,
non é poi difficile afferrare simili Idee di Aumento e Decremento generico in
tutte le Cose. CAPO V Cose comuni alle Azioni e Qualità 150. Le Qualità egualmente che le Azioni sono
suscettibili di Modificazione e di Confronto; del che passiamo a trattare
separatamente. PARAGRAFO 1.° Modificazione nelle Azioni è Qualità • 15r. Le Qualità e le Azioni sono spesso
accompagnate e come compenetrate da qualche caratteristica Particolarità: Cost.
in « Un essere orrendamente deforme » esprimiamo l'orrore immedesimato colla
deformità»; e in « Correre velocemente » esprimiamo la velocità immedesimata
coll'Azione di correre. In simili casi l'Azione o Qualità e l'ac- compagnante Particolarità non ci presentano
che una sola Cosa, a Idea propriamente composta; ossia ci presentano, ciò che
noi chiamiamo Azione • o Qualità
modificato. Quindi è Qualità o Azione
modificata « Ogni Azione o Qualità, il cui assoluto valor naturale da noi si
percepisce come immedesimato col va-Jore di qualche caratteristica
accompagnante Particolarità ». $52. Il
Linguaggio dunque aver deve le sue Leggi per esprimere convenientemente
qualunque Modificazione nelle Azioni e Qualità.
PARAGRAFO 2.° Confronto nelle
Azioni e Qualità 153. Confrontare
significa « Porre due o più Cose dirimpetto o di fronte trà loro »— Il
Confronto succede ogni volta che bramiamo conoscere, se due o più Oggetti
posseggono una medesima Azione o Qualità in grado eguale o differente. Quindi
i Confronti sono frequentissimi nel
discorso. In ogni Confronto è necessario
distinguere l'Oggetto primo dal secondo. Chiamiamo primo, quella ch'è cardine
di Giudizio; e l'altro secondo: Così in « Pietro è più giovine di Paolo »
Pietro é primo Oggetto, Panlo é secondo
Oggetto di Confronto. • 154. L'effetto
di qualunque Confronto é necessariamente un Giudizio esprimente la scoperta
Egra-glianza o Differenza - La Differenza poi può essere in più o in meno;
secondoché l'Oggetto cardine di
Giudizio supera o è superato dall'altro nella confrontata Azione o
Qualità. Se fatto il Confronto, l'Anima
non iscorge colla necessaria chiarezza né Eguaglianza né Diffe-renza, si
astiene naturalmente dal giudicare; ossia pronuncia un Giudizio d'Ignoranza o
di Dubbio. $55. Dunque il Linguaggio
aver deve dei Segni per esprimere a norma delle varie circostanze il Giudizio,
che deriva dall' eseguito Confronto.
SEZIONE QUARTA DEI FONTI
SECONDARJ DE GIUDIZI $56. Chiamiamo
Fonti secondarj de Giudizj « Tutto ciò
che derivo genericamente dai Fonti pri-mitivi, vale a dire dagli Oggeiti Azioni
Qualità e Rapporti (99) di primitiva
Esistenza ». Le Derivazioni generiche
dai Fonti Primitivi sono quattro; cioè Oggetti, Qualità, Azioni e
Modificazioni. Le Definizioni già date per
le Qualità (123) Azioni (134) ed Oggetti (100) primitivi, sono applicabili
anche alle Azioni Qualità ed Oggetti de-rivati: Harvi però frà loro questa
differenza; che i Primitivi esistono realmente o in natura o in immaginazione,
e i Derivati basano la loro esi. stenza
sui Primitivi. Dunque nel Linguaggio
le Cose Derivate debbono esser espresse diversamente dalle Primitive, ossia in
modo che si conosca la Derivazione. 159.
Rapporto alle Modificazioni, esse non esistono né in natura né in
immaginazione; e perd sono soltanto derivate - Infatti una Qualità o Azione
allora è modificata, quando si concepisce da noi come compenetrata nella sua
essenza da qualche caratteristica particolarità (151). Dunque le Modificazioni
non esistono, che nella nostra maniera di concepire.. Dunque non esistono
realmente né in natura né in immaginazione (158). Dunque sono puramente derivate. Passiamo ora ad analizare le varie Cose Derivate,
distinguendole in Cose di prima e di se- : conda Derivazione; e avvertendo, che
le Teorie di qualunque specie esposte nella precedente Sezione per le Cose
Primitive, sono in tutta la loro estensione applicabili anche alle Cose Derivate.
CAPO I Delle Cose di Prima Derivazione Chiamiamo Cose di Prima Derivazione «Tutto ciò, che
deriva direttamente e immediatamente dai Funti Primitivi (‹56) ». PARAGRAFO I.
Derivazioni dalle Radici di Oggetto
162. Dalle Radici di Oggetto deriva una Qualis tà, che serve ad attribuire a un altr'
Oggetto in via di Qualità, ciò che forma il distintivo e l' essenza del primo,
cioé dell'Oggetto radicale: Cosi diciamo
« Paese montuoso - Luoghi paludosi ec. » dagli Oggetti Monte Palude ec. Dunque il Linguaggio aver deve un Segno indicante
ogni Nome Qualitativo, che deriva da Radice di Oggetto. PARAGRAFO 2.°
Derivazioni dalle Radici di Qualità Dalle Radici di Qualità deriva un Ogget-to-astratto,
un Verbo, ed una Modificazione. Chiamiamo Oggetto-astratto di Qualità *Ogni Oggetto
puramente intellettuale, che for-masi colla forza di Astrazione»; ed a cui si
attribuisce come la virtù di agire su tutti gli Og-getti, ne' quali trovasi
quella data Qualità: Cost Dolcezza, Orgoglio, Deformità, Virtù ec. sono
Oggetti-astratti, provenienti dalle Radici di Qualità dolce, orgoglioso,
deforme, virtuoso ec. Chiamiamo Verbo derivato da
Radice di Qualità « Ogni Verbo esprimente l'Azione di comunicare a qualche
Oggetto •una Qualità che prima non aveva »; come dolcificare, facilitare,
indebolire ec., cioé rendere dulce, facile, debole ec. La Modificazione
proveniente da Qualita, non è che la Qualità stessa, configurata e da noi
concepita come capace d' investire in tutta la sua essenza un Azione o qualche
altra Qualità (15g) . Dunque il
Linguaggio avrà dei Segni per indicare e gli Oggetti-astratti e i Verbi ossia
Azioni e le Modificuzioni, provenienti da Radice di Qua-sità. PARAGRAFO 3.°
Derivazioni dalle Radici di Azione Dalle Radici di Azione indeterminata (13g) abbiamo
cinque diverse Derivazioni ; cioè Vo-ce-attiva, Oggetto-attore,
Oggetto-astratto, Vo ce-passiva, e Qualità - Dalle Radici di Azione determinata
poi si anno le sole prime tré Deriva-zioni; cioè Voce-attiva, Oggetto-astratto
e Og getto-attore. 170. Chiamiamo attiva
ogni voce di Azione in- dicante, che
l'Oggetto Cardine di Giudizio è at-tivo; vale a dire indicante, ch'eseguisce
desso ciò ch' esprime la Voce medesima di Azione: Come «Pietro è corrente,
giuocante, parlante ec. cioé corre. aca, ma passiva ogni Voce di Azione
indicante, che l'Oggetto Cardine di Giudizio é passivo; vale a dire indicante,
che desso riceve l'Azione espressa dalla Voce medesima: Come «Pietro é
chiamato, lodato, deriso ec."-Si avverta che in Italiano come in altre
varie Lingue, alle volte si presentano sotto apparenza passiva delle Voci, che
realmente non sono tali ; come amato in « Essi anno amato», che si risolve
in « Essi amarono, cioé furono amanti». 172. Chiamiamo Oggetto-attore ogni
Oggetto che si considera nel discorso,
non qual esiste ef fettivamente in natura, ma unicamente qual At tore in una
data Azione: Come Scrittore, Vir citore, Cantore ec. 173. Chiamiamo Ogoetto-astratto di Azione
ogni 'Azione da noi considerata come
Oggetro, ma sul-tanto dopo il suo eseguimento; vale a dire ogni Azione che noi
consideriamo come Oggetto, non prima che si eseguisca o mentre si eseguisce, ma
propriamente nel fine nella conseguenza nell'effetto risultante dall'Azione
medesima: Cosi Vin cita, Passeggiata, Coltivazione ec. sono Ogget-ti-astratti
di Azione; perché sono propriamente l'effetto la conseguenza il risultato del
vincere, passeggiare, coltivare ec. 174.
Troviamo spesso in natura, che un Oggette à la prerogativa ossia l'attitudine
la capacità di poter ricevere una data Azione. In tal caso esprimiamo
quest'attitudine o capacità dell'Oggetto, attribuendogli l'essenza dell'
Azione. in via di Qua lità: Come « Terreno colcivabile - Sentiero prat-sicabile
ec.», vale a dire «che può essere coltiva-.to, praticato ec."— Le Azioni
veramente per loro natura non possono convertirsi in Qualità. Si avverta
quindi, che le Derivazioni colcivabile prut-ticabile ec. benché si presentino
sotto aspetto di Qualità, conservano sempre il fondo di Azione ossia non sono che
concise Espressioni d'un Giudizio e d'un Azione; come può meglio vedersi
sostituendo loro la vera Espressione per esteso, cioè « che può essere
coltivato, pratticato ec.». Dunque il Linguaggio aver
deve dei Segni onde marcare le cinque diverse Derivazioni, che si ànno dalle
Radici di Azione. PARAGRAFO 4.° Derivazioni dalle Radici di Numero Dalle Voci radicali di
Numero di Luogo e di altri Rapporti che non occorre analizare in dettaglio, si
a in genere una Derivazione di Qua-lità; e precisamente come dalle Radici di
Oggetto (162). Dalle Voci di Numero però
abbiamo anche altre Derivazioni; cioé un Oggetto-astratto, come Unità, Terno,
Decina ec.; e le Quantità multiple, aliquote, e di costante ripetizione. - 878.
Ogni Quantità che ne contiene un altra un dato numero di volte esattamente, é
detta inultipla di questa; e diciamo aliquota ogni Quan-tità, ch'é contenuta in
un altra un dato numero di volte esattamente. Quindi le Parti aliquote sono
precisamente l'Opposto dei Multipli - In Italiano i Multipli si esprimono con
doppio, triplo, decuplo ec.; e le Parti aliquote con sudduplo, sutriplo ,
suddecuplo oppure la metà, la terza parte ec. :
179. Negli Oggetti molte volte sogliamo considerare il Numero, ma unicamente
sotto l'aspetto di « Numero ripetuto senz' alterazione e continuante sempre
coll'ordine medesimo ». Le Voci che si usano per esprimere questo Numero, sono
da noi dette Voci numeriche di Ripetizione costan- te — Tali Voci in Italiano sono «a uno a uno,
a due a due, a dieci a dieci ec.r. 180.
Ora è facile comprendere, che le Voci per esprimere e le Quantiti multiple e le
Parti aliquote e i liumeri di Ripelizione costante possono e debbono derivare
dalle Voci radicali di Numero. Dunque il
Linguaggio avrà dei Segni per indicare e queste tre speciali Numeriche
Derivazio-ni, e le due Derivazioni generiche di Qualità (176) e di Oggetto-astratto (127). CAPO II
Delle Cose di Seconda Derivazione
‹81. Chiamiamo Cose di seconda Derivazione • Tutto ciò, che deriva da altre Derivazioni;
os sia le Derivazioni provenienti da Cose e Voci derivate ». PARAGRAFO 1.°
Derivazioni dai DERITATI Nomi d' Oggetto
182. Dagli Oggetti Primitivi abbiamo la sola Derivazione di Qualità (162). Dunque dagli
Oggetti derivati avremo o una Derivazione di Qua-lità, o nessuna Derivazione :
Altrimenti gli Oggetti Derivati sarebbero più fecondi dei Primitivi ; cioé una
Cosa che in se realmente non esiste, sarebbe più feconda che una di reale
assoluta esi- stenza. • Richiamando che gli Oggetti Derivati
provengono o da Radice di Qualità (164) o da Radice di Azione (109) o da Radice di Numero (177),
passiamo ad esaminare da quali Oggetti Derivati possiamo avere la Derivazione
di Quulità. Questa Derivazione non si
può avere dagli Oggetti che derivano da Radice di Qualità - Infatti la Qualità
derivante dagli Oggetti Primitivi (162) serve per attribuire a qualch' altro
Oggetto ciò che forma il Distintivo degli Oggetti primitivi medesimi. Dunque se
dagli Oggetti Derivati provenisse una Derivazione di Qualità, dovrebbe questa
usarsi egualmente per attribuire a qualche Oggetto il Distintivo dei medesimi
Oggetti Derivati - Ma il Distintivo essenziale e caratteristico d'ogui Oggetto
Derivato da Qualità, è espresso dalla Voce radicale da cui l'Oggetto deriva:
Cosi il fondo essenziale di Dolcezza è dol-ce, quello di Bonta è buono ec. -
Dunque dagli Oggetti derivati da Radici Qualitative non devesi avere
Derivazione di Qualità; giacché la Voce radicale esprime per natura, ciò che
dovrebbe esprimere tale Derivazione. Gli Oggetti-astratti di Azione non sono (173) che
Azioni consumate, le quali mentalmente si considerano come Oggetti. Se dunque
da tali Og-getti-astratti derivasse una Qualità, questa propriamente altro
essere non potrebbe che un Azione da noi concepita come Qualità, ossia un
Azione trasformata in Qualità. Ma Qualità ed Azione sono Cose di natura
intrinsecamente eterogenea; comeallo stato assoluto di Qualità (174) - Dunque
nemmeno dagli Oggetti-astratti di Azione possiamo avere Derivazione di Qualità;
giacché (tale Derivazione si oppone direttamente all' intrinseca loro natura. Chiamiamo Oggetti-attori
(172) quegli Og-geiti, che da noi si considerano esclusivamente come eseguenti
una data Azione. Questa partica lar maniera di considerarli non può loro
togliere la primitiva loro essenza. Essi dunque anche considerati come Attori,
sono e rimangono sempre veri Oggetti - Dunque dagli Oggetti-attori avremo
quella Derivazione di Qualità, che abbiamo da tutti gli Oggetti: Cost da
Proditore, Creatore ec. abbiamo proditorio, creatorio ec. Finalmente nulla ostando,
che ad un 0g-getto abbia qualche volta ad attribuirsi in via di Qualità, ciò
che forma l'essenza d'un Oggero Derivato da Radice Numerica, tali Oggetti
avranno la loro Derivazione di Qualità, e precisamente come gli Oggetti Primitivi
(162): Cosl da « Ambo, Terno, Cinquina, Decina ec.» abbiamo le Derivazioni
qualitative «binario, ternario, quinario, denario ec. n. 187. Dunque degli Oggetti Derivati i Numerici
e gli Oggetti-attori anno Derivazione di Qualità; e dagli altri, cioè dagli
Oggetti astratti tanto di Qualità che di Azione, non abbiamo alcuna Derivazione
(182).Derivazioni dalle Voci di Modificazione
188. Dalle Voci di Modificazione, che necesi sariamente sono tutte
derivate (15g), non abbiamo alcuna Derivazione - Infatti una Voce di
Modificazione non é, che una Voce di Qualità posta in grado di modificare ossia
di penetrare in tutta l'essenza qualche Qualità o Azione, immedesimandosi con
esse (151). Dunque la Voce di Modificazione è inseparabile dall'Azione o
Qualità che modifica. Dunque isolatamente presa non à in se stessa alcun
significato o valore, almeno come Modificazione; ossia isolatamente presa non
può avere altro valore, che quello della Qualità da cui deriva — Ma ciò che in
se nulla significa, non può dare una significante esistenza ad altre cose. Dunque dalle Voci di Modificazione non si può
avere alcuna Derivazione. PARAGRATO 3.° Derivazioni dalle DEAIrATE Voci di
Qualità 189. Da ogni Voce Qualitativa,
di qualunque provenienza ella sia, deriva sempre un Oggetto-a-stratto, una
Modificazione ed un Verbo come dalle primitive Radici di Qualità (164): Così da
paterno, amabile, interiore ec. abbiamo o almeno dovremmo avere «Paternità,
Amabilità, Interio rità — paternamente, amabilmente, interiormente
—paternizare, amabilizare, interiorizare, cioè rendere paterno, amabile,
interivre ec.». 1go. Dunque il
Linguaggio avrà dei Segni per marcare le Derivazioni provenienti dalle derivato Voci di Qualità. PARAGRAFO 4.°
Derivazioni dai DEAIYATI Nomi di Azione
191. Dalle Voci di Azione, di qualunque pro venienza esse sieno, deriva
sempre una V'oce-at liva, un Oggetto-astraito, un Oggetto-attore, una
Voce-passiva ed un Nome qualitutivo, come dalle Radici di Azione (16g) - Quindi
da paternizare, dolcificure, amabilizare ec. abbiamo o almeno dovremmo avere «
paternizante, dolcificante, ama-bilizante - Paternizazione, Dolcificazione,
Amabi- lizazione - Paternizatore, Dolcificatore,
Amabili-zatore - paternizato, dolcificata, amabilizato - paternizabile, dolcificabile, amabilizabile
». 193. Dunque il Linguaggio avrà dei
Segni, onde chiaramente marcare le Derivazioni provenienti dai Derivati Nomi di Azione. AVVERTENZA
Sui Qualitativi Verbali di Seconda Derivazione 93. Secondo il principio già stabilito (189)
anche dai Qualitativi Verbali di Seconda Derivazione (171) come paternizabile,
dolcificabile, ama-bilizabile ec. si dovrebbero avere le tré Derivazionidi
Oggetto-astratto, di Modificazione e di Verbo.
Le prime due Derivazioni si anno difatti, cioe « Paternizabilità, Dolcificabilità, Amabiliza
bilità — paternizabilmente, dolcificabilmente, amabilizabil- mente » — Rapporto alla terra cioé alla
Derivazione di Verbo, questa non si può avere, perché ripugna all'intrinseca
natura delle Cose. Infatti ogni Qualitativo Verbale di seconda Derivazione,
come paternizabile amabilizabile ec., include essenzialmente in se stesso un
Azione che deve ancora . eseguirsi: Così Uomo amabilizabile per esempio vuol
dire « Uomo, che può esser fatto capace di essere amato ». Se dunque da
amabilizabile si avesse una Derivazione di Verbo, questa dovrebbe propriamente
significare (166) rendere-amabilizabile
Cioe « Comunicare la Qualità di poter esser fatto capace di essere
amato». Ora è impossibile formarsi un Idea di questa Espressione; e ciò perché
è assurda in se stessa. Infatti si può benissimo dire «abilitare, preparare,
disporre un Oggetto ad essere amabilizato»: Ma i Comunicare ad un Oggetto la
Qualità di essere amabilizato» include assoluta contradizione — Dunque rendere-amabili.
sabile è un Espressione che nulla significa, anzi è un Assurdo.
Dunque, applicando questo Raziocinio a tutti i simili casi, dai
Qualitativi Verbali di seconda Derivazione (181) non si può avere Derivazione
di Verbo. 194. Le molte barbare Parole
usate finora, naturalmente debbono aver un poco indisposto l'A-nimo di chi
legge. Quindi lo si prega a riflettere, che andiamo qui preparando il, Piano
per la Lingua Universale, e che in essa tali Parole sono della massima dolcezza
e brevità: Per esempio « amare, amabile, amabilizare, amabilizabile,
ama-bilizabilità, amabilizabilmente » nella nostra Lingua Universale si
esprimono con « ema, emt, emiba, embì,
embis, emibio». SEZIONE QUINTA DELLE VOCI INDETERMINATE 495. In Natura tutto è determinato; vale a
dire, che ogni Cosa in Natura ci presenta di se l'Idea chiara individua e
distinta. Tutto danque dev'essere convenientemente determinato anche nel
Linguaggio — Ma nel Linguaggio esistono indispensabilmente delle Voci generiche
(ior, 13g). Dunque il Linguaggio deve con Leggi facili e costanti supplire al
difettoso bisogno d'introdurre Voci generiche; vale a dire, che il Linguaggio
deve stabilire Regole fisse e invariabili per determinare convenientemente
secondo le circostanze tutte le Voci di
loro natura indeterminate. Le Voci
Indeterminate di Oggetto e di Azione con quelle, che abbisognano di Leggi
speciali per la loro Determinazione; e però passiamo a tras- tarne separatamente.Voci Indeterminate di
Oggetto • 196. É indeterminato ogni
Sostantivo, il quale indeterminati alle
volte secondo la natura del Discorso si usano genericamente, ma più spesso
debbono determinarsi. . 197. La
Determinazione dei Sostantivi indater-minati dipende da qualche a Qualità o
Oggetto o Azione -Dunque per determinare
secondo il bisogno l'Idea d'una Voce indeterminata di Ogger-to, il Linguaggio
dovrà far uso o d'una Qualità o d'un Oggetto o d'un Azione determinante. 198. Ma i Nomi di Qualità, Oggetto e Azione
non sempre nel discorso servono a determinare gli Oggetti o Sostantivi
indeterminati - Dunque quando sieno determinanti-oggetio, avranno il Distintivo loro particolare. 199. In Italiano questo Distintivo consiste
pel Nomo di Oggetto nell'essere
preceduto dalla particella di (‹og), come «Il Principe di Napoli » ; pel Nome di Qualica nell'essere unito al Nome
dell'Oggetto determinando, come « Il Principe giu •sto»; pel Nome o Giudizio di Azione nell'
essere preceduto dalla Voce quale coll'Articolo, come «Il Principe, il quale ama i Popoli ».Voci
indeterminate di Azione E indeterminata ogni
Azione, che può risguardare Oggetti, diversi da quello che la ese-guisce, ossia
diversi dal Cardine di Giudizio (139). La Determinazione delle Azioni indeterminate dipende
da qualche o Oggetto o Giudizio ; giacché le Qualità possono modificare le
Azioni (151), ma per loro natura non possono avere altra nala one e ese uce in
eremiata dei Azione, il Linguaggio dovrà
far uso d' un Oggetto o d'un Giudizio determinante. Ma gli Oggetti ed i Giudizj non sempre nel discorso
servono a determinare le Azioni - Dunque quando sieno determinanti-azione,
avranno il loro particolar Distintivo. In Italiano questo Distintivo consiste pel Nome di
Oggetto nell'essere uguale al cosi detto
Nominativo (110), come « Voi amate lo studio»; e per la Voce di Giudizio
o nell'esser espressa in Modo Generico determinante (74) o nell'essere
preceduta dalla voce che; come « Voglio partire - Vedo, che partono»: CAPO III
Modo nei Giudizj determinanti-azione
204. I Giudizi determinanti-azione si esprimono in Modo ora generico,
ora indicativo, ed ora indefinito. Necessita quindi stabilire, quando si debba
usare l'uno piuttosto che l'altro di questi tré Modi nell'esprimere un Giudizio
o Verbo determinan-te-azione. PARAGRAFO
1.° Giudizj Determinanti al Modo
Generico 205. I Giudizi e quindi i Verbi
determinanti-a-zione si esprimono in Modo Generico (73) ogni- volta, che non occorre indicarne l'Oggetto
Cardine di Giudizio; e ciò, perché tale Oggetto fü già espresso
precedentemente. Diciamo quindi « Vorrei scrivere — Pensano tornare — Li vedo
corre- те ес. ». PARAGRAFO 2.°
Giudizj determinanti al Modo Indicativo
o Indefinito Nei Giudizj
determinanti-azione quando sia necessario esprimere l'Oggetto Cardinale, ogni
Giudizio si esterna in Modo o Indicativo (75) ó Indefinito (92); facendolo
precedere dal Segno di Determinazione, come sarebbe in Italiano che (203). I Giudizi
determinanti-azione si esternano in Modo Indicativo, ognivolta che
relativamente all'Oggetto Cardinale presentano un assoluta Certezza di ciò
ch'esprimono; come « Trovo, che manco — Viddi, che partivano - Sento; che
contate ». I Giudizj
determinanti-azione si esternano in Modo Indefinito, ogniyolta che presentano
del-l'Incertezza riguardo a ciò ch'esprimono; come «mi pare, che partano -
Dubitai, che partissero -Bramo, che vincano ec.». CAPO IV Tempo nei Giudizj determinanti-azione 20g. Per fissare il Tempo nel quale debbono
esprimersi i Giudizj determinanti-azione, bisogna osservare, se il Giudizio
determinante deve o no indicare il Tempo in cui desso viene eseguito. 210. Il Giudizio Determinante non deve
indicare il Tempo in cui viene eseguito, ognivolta che questo Tempo sia
espresso dall'Azione determi-nanda; vale a dire, ognivolta che il Giudizio
Determinante è naturalmente contemporaneo al Giudizio o Azione Determinanda —
In tal caso il Giudizio determinante si esprime sempre al Tempo presente;
giacché si deve solo accennare, che tale Giudizio è presente ossia contemporaneo
all'Azione determinanda: Come «sento cantare, o che si canta- Quando sentirò
battore, o che si bal- са ес. ». 211. Il Giudizio determinante deve da se
indis care il Tempo in cui viene eseguito, ognivolta che questo Tempo è diverso
da quello dell' Azione determinanda - In tal caso esprimiamo il Giudizio
determinante, a quel Tempo ch'esigge la na-
titi ec. ».212. Il Giudizio determinante è molte volte futuro
relativamente al Determinando. Se peró questa futurità trovasi naturalmente
espressa dall'in-trinseca natura dell' Azione Determinanda, il Giudizio
determinante non deve esprimere che il Modo.
Quindi in tal caso lo porremo al Tempo presente; perché l' espressione
di Presente indica in ispecie il Tempo, ed in genere il Modo (V. Anal, 126). Quindi avremo « Spero, che arrivino -
Comanda-te, che partano ec. » SEZIONE
SESTA DELLE VOCI SOSTITUITE 218. Chiamiamo Sostituite «Le Voci, che si
usano in luogo di altre». Le Voci sostituite servono moltissimo ad abbreviare
ed a rendere elegante e sonoro il Linguaggio.
In ogni Linguaggio le Sostituzioni prattica-mente sono molte; ed il
fissarle dipende unicamente dalla Convenzione sociale - Noi però ci. limitiamo
a qui parlare di alcune più generali, che chiameremo Pronomi, cioé « Voci poste
in luogo di Nomi Sostantivi, o almeno tali considerati da noi»; avvertendo, che
omettiamo di qui parlare di quei Pronomi, de'quali già si trai tò (57,61).Pronomi Determinanti-oggetto 214. Un Oggetto Generico è sovente determinato
da un altro Oggetto (197). Al Nome dell'Oggetto. determinante però giova molte
volte sostituire un Pronome; e ciò propriamente, quando l'Oggetto Determinante é o Chi giudica, o Chi ascolta,
! Terzo Oggetto già indicato nel
discorso - É dunque necessario conoscere questi Pronomi, il chi main ufo e i ereminare en O into, 8 gio deve chiaramente e particolarmente
fissarli. 215. Tali Pronomi in Italiano
sono « mio, tuo, suo, nostro, vostro, loro» significanti« di me, di te, di lui
o di lei ec. ». Nei Pronomi
determinanti-oggetto bisogna poi distinguere l'Oggetto ch' essi richiamano,
dall' Oggetto che determinano - Riguardo all'Oggetto che richiamano; alcuni,
cioè mio tuo suo, esprimono un sol Oggetto; ed altri, cioè nostro vostro loro,
esprimono più Oggetti. Rapporto all'Oggetto che determinano, in Italiano questi Pronomi nell'indicazione di Numero je di
Sesso sieguono sempre l'Oggetto determinato medesimo. CAPO II
Pronomi Indicanti-oggetto 216.
Nel discorso oltre gli Oggetti primitivi e derivati, molte volte da noi si
considera comeOggetto un Giudizio, un intero sentimento, ed anche un complesso
di Sentimenti e Giudizj - Tali Oggetti
per distinguerli dai Primitivi e Deri-vati, possono con ragione chiamarsi
Oggetti com-plessivi, cioè formati dal Complesso o unione di varie parti. Ora accade sovente, che nel discorso deb- basi o
nominare o richiamare un Oggetto com-plessivo. In tal caso invece di
richiamarlo o nominarlo con lunga serie e ripetizione di parole, possiamo e
sogliamo far uso di Voci apposite per semplicemente indicarlo; e queste Voci
son quel-le, che da noi si chiamano Pronomi indicanti .Oggetto - Dunque il
Linguaggio deve avere i suoi Pronomi per indicare gli Oggetti nel caso
suespresso, cioé gli Oggetti complessivi. Tali Pronomi in Italiano
sono « questo, codesto, quello, e ciò »—Si avverta, che questo e quello servono
spessissimo ad indicare un Oggetto qualunque in genere: Se poi questi Pronomi
si riferiscono a qualche Oggetio particolare, allora questo indica Oggetto
vicino a Chi giudica; codesto indica Oggetto vicino a Chi ascolta; quello
indica Oggetto che si considera lontano e da chi giudica e da chi ascolta.
Finalinente ciò si usa invece di qualunque dei trè precedenti Pronomi, quando
però non sieno congiunti a Nome sostan-tivo; e si usa specialmente invece di
questo e quello, quando servono a richiamare genericamente un Oggetto
qualunque. Si avverta inoltre, che questo e quello annopraticamente anche altri
usi, i quali però in fondo corrispondono alle Definizioni già date - Così dopo
aver espresso due o più Cose di seguito, volendo indicare l'ultima si dirà
questa, e per indicare l'altra o altre precedenti si dirà quella o quella
secondo la circostanza. CAPO III Pronomi
Generici Cardinali Le Lingue, specialmente
quelle i cui Verbi debbono essere accompagnati dal Cardine di Giu-dizio,
sogliono far uso di due Pronomi generici ; i quali si usano soltanto come
Cardini di Giudi-zio, e che noi perciò chiamiamo Pronomi gene rici cardinali. Uno di questi Pronomi si
riferisce unicamente ad Esseri, che noi consíderiamo come animati e ragionanti.
Esso serve ad esprimere in maniera generica un Numero indeterminato di tali
Esseri, considerati come formanti Cardine di Giu-dizio. Quindi questo Pronome
non puù mai rife rirsi agli Oggetti giudicante e ascoltante; perché per loro
natura tali Oggetti nel discorso non pos sono mai essere né indeterminati, né
espressi ge-nericamente. In Italiano questo primo Generico Pronome cardinale si
esprime colla voce si (francese on);
come « si dice, si credeva, si pretese ec. ". 221. Per formarsi una giusta Idea dell'altro
Generico Pronome cardinale, bisogna riflettere; chein Natura si anno delle
Azioni determinate, le quali non possono eseguirsi che da un Terzo Og-getto;
Oggetto peró che non sappiamo nominare, perché realmente da noi non si conosce.
Ora per indicare in qualche maniera questo incognito Og-getto, le Lingue
sogliono unire al Giudizio di Azione una Voce o Pronome generico cardinale
- Quindi questo secondo Generico Pronome
cardinale può esattamente definirsi « Segno esprimente, che il Cardine di
Giudizio è un Terzo Oggetto che non sappiamo nominare, perché da noi non conosciuto ».
Questo Pronome in Italiano è egli (francese il); ma non si usa, perché
l'indole della Lingua Italiana non esigge, che i Verbi sieno sempre
accompagnati da Nome o Pronome Cardinale: Quando però si usasse come in altre
Lingue molte, do vrebbe unirsi ai Verbi detti comunemente imper-sonali; come
"piove, lampeggia, tuona ec. ». Dunque il Linguaggio deve
fissare i suai due Pronomi Generici Cardinali. CAPO IV Pronomi Generici non Cardinali
. Alcune Lingue usano, mai
peróscome Cardini di Giudizio, due Pronomi Generici; i quali perciò da noi si
chiamano Pronomi generici non cardinali - Questi Pronomi anno generalmente
doppio significato: Quindi sono difettosi. Se peró si assegnasse una doppia Voce
per ciascuno, ogni difetto è svanito.22% Uno di tali Pronomi richiama sempre o
un Oggetto relativato (114) o un Oggeito cominciante (117) - Esso in Italiano
si esprime col ne (francese en); come « Che ne dite? - Parlatene bene — Egli và
in Campagna, ed io ne vengo ec. ». L'altro Pronome richiama sempre o un Og
getto terminante (116) 0 un Oggetto contenente (113) - Esso in Italiano si
esprime col vi o ci (francese y) ¿ come « Andate al Teatro? Forse vi andrò —É in Casa l'Amico? Non ci
dev' essere ec. ». 225. Dunque il
Linguaggio avrà i suoi Pronomi Generici non Cordinali. SEZIONE SETTIMA OSSERVAZIONI SPECIALI 226. É impossibile ridurre a semplice e ben
ordinato sistema tutte le Particolarità, le quali entrano nella composizione
d'un prattico Linguaggio. Quindi
crediamo cosa migliore l'aspettarsi dall'Uso e dall'Analisi la cognizione di
tali Partico-larità. Esistono pero delle
Cose, che meritano attenzione speciale; e di alcune di queste parleremo nella
presente Sezione, richiamando ch'é nostro primo scopo tracciare il Piano per la
Lingua Uni-versale.Verbi di Moto Nelle Espressioni di Moto
dobbiamo generalmente fare attenzione e al Luogo fine di Moro, e all'Azione
motivo di Moto. Il Luogo si considera come Oggetto terminante (116); e l'Azione
à una particolar maniera di esprimersi, che bisogna fissare per ogni determinato
Linguaggio. II. OssERvAzIonE Voci di più Significati In ogni Lingua esistono
delle Voci aventi più Significati; come in Italiano «essere, avere, fure,
ancora, per ec.». Potendo facilmente derivarne Equivoco e Confusione, deve ciò
ritenersi •difetto notabile di Lingua - Quindi il Linguaggio deve a ciascuna
Voce assegnare un solo Valore, o per lo meno precisare in quali circostanze una
Voce à uno piuttosto che un altro Valore. III.* OssevazIonE Espressioni
Sentimentali 229. L'Uomo vivamente
penetrato e soprafatto quasi da qualche
forte Sensazione Passione o Sentimento qualunque, è molte volte obbligato ad
esternare la Situazione dell'animo suo. Tal Esternazione generalmente succede
col mezzo di Suoni Gutturali prolungati, e aventi l'impronta di ciò che l'Anima sente: E questi Suoni son quelli,
che formano le da noi chiamate Espressioni Sentimen-cali -Quindi il Linguaggio
avrà dei Segni per indicare in iscritto tali Espressioni. IV. * OsSERvAzIONg Ortografia
230. Ortografia significa « conveniente Indicazione delle Parole in
iscritto » - Fissato un Segno per ciascun Suono vocale, le Parole debbono
scri-versi precisamente come si pronunciano, e a ciascun Segno deve
corrispondere un solo e sempre il medesimo Suono invariato; cosa, che nelle Lingue
praticamente non esiste. Inoltre una
delle Cose più rimarchevoli nel Discorso si è la Distinzione de' varj Giudizj e
Sentimenti frà loro. Parlando, noi marchiamo tale necessaria Distinzione con
delle Pause e variate Inflessioni di
Voce: Quindi scrivendo è necessario marcarla con dei Segni di convenzione,
corrispondenti alle Pause ed Inflessioni Vocali. V. OssErvazIone Sintassi
271. Sintassi vuol dire « giusta Disposizione delle Parole»- Ogni Lingua à la sua Sintassi
partico-lare, stabilita dal tempo e dall'uso. La Sintassi naturale però è una
sula: Dessa consiste nel seguire esattamente l'ordine naturale delle Ideequando
l'uomo é in istato di Tranquillità; e quando trovasi in istato di Passione,
consiste nel premettere le Idee che più lo colpiscono, appunto perché tali Idee
stante la sua situazione, gli si affacciano all'anima per le prime. Seguir sempre scrupulosamente la Sintassi Naturale
sarebbe un assoggettarsi ad una Specie di nojosa servilità. Quindi parmi, che
debbasi preferire una Sintassi ragionata; vale a dire « una Sintassi dipendente
e dalla natura delle Cose che si esprimono, e dai Suggerimenti dell' Orecchio
che cerca possibilmente evitare ogn'incommodo Aggregato di Suoni». Tale
Sintassi avrà il doppio van-taggio, di eliminare ogni urtante asprezza vocale,
e di produrre facilità d'intelligenza in chi ascolta. La Sintassi Ragionata può
considerarsi libera di sua natura. Quindi le Regole di questa Sintassi possono
ridursi ad una sola; cioè « Che ad ogni Voce deve sempre esser unito, ciò che
serve a far conoscere in tutta la sua estensione la vera forza l'esatto valore
l'Idea precisa della Voce medesima ». Dunque nella Sintassi ragionata le Parole saranno
sempre ben collocate, purchè s'intenda con facilità ciò ch'esse esprimono ed in
complesso e parzialmente. Dovendo quindi esprimere «Scrissi una Lettera a
Pietro», potremo liberamente combinare queste Parole in uno qualunque dei varj
Modi seguenti; giacchè trovasi in tutti la necessaria facilità d'intelligenza
:• Scrissi una Lettera a Pietro « Scrissi a Pietro una Lettera « Una Lettera Scrissi a Pietro « Una Lettera a Pietro scrissi « A Pietro Scrissi una Lettera « A Pietro una Lettera scrissi. Ma se dicessi «Scrissi a Pietro una Lettera,
da cui rileverà ec.», allora da cui rileverà ec. deve inseparabilmente restar
unito ad una Lettera, qualunque sia il posto assegnato a quest'ultima espressio
ne: Altrimenti il Senso sarebbe alterato; e però oscuro, confuso ed anche
inintelligibile. Parimenti se dicessi
«Scrissi una Lettera a Pietro, che ura
trovasi in Campagna», che ora cro-vasi in Campagno deve immediatamente unirsi
a Pietro. É facile moltiplicare simili Esempi, onde
perfettamente conoscere in che deve consistere l' essenza. della nostra
Sintassi Ragionata. LINGUA
FILOSOFICA 235. FIssATo ciò che forma
l'essenza del Linguaggio in genere ossia della Lingua Generica, supponiamo di
dover ora dar esistenza ad una Lingua colla guida della Ragione e con tutta la
possibile precisione del Calcolo. Questa Lingua potrebbe giustamente chiamarsi
filosofica, e la di lei Formazione è semplicissima; come passiamo ad analizare,
richiamando succintamente e quanto lo esigge il nostro scopo, ciò che fù
esposto in ciascuna Sezione della PRIMA PARTE.
SEZIONE PRIMA PAROLE 236. Le Parole sono formate da Suoni Vocali
(6) I Suoni Vocali sono Orali o Gutturali (10) - I
Gutturali sono Semplici o composti (12); e i Semplici possono essere lunghi o brevi (15) - ,Gli
Orali sono prolungabili o istantanei (17); o si gli uni che gli altri esser
ponno ordinarj o forzati (18). « Durqus fisseremo dei Segni per rappresen-«
tare i varj Suoni Vocali; ed a ciascun Segno
« applicheremo un Suono invariato e costante ». 237. Le Parole sono divisibili in Parti o
Sillabe (22); e la Voce deve in ogni Parola aver la sua Posa (26). « DuNQue fisseremo la Teoria per le
Sillabe « e Posa nelle Parole ». SEZIONE SECONDA GIUDIZJ
238. Gli Oggetti possono essere di Sessa maschi-le, femminile o neutro
(49); e di Numero unale o plurale
(47). « DUnQuE fisseremo dei Segni per
esprimere « negli Oggetti il Sesso, ed il Numero generico ». 239. Nelle Cose molte volte dobbiamo
esprimere precisamente il loro Opposto
(46). « DunquE fisseremo il Segno
indicante l'asso- « luto Opposto d'una
Cosa qualunque ». 240. Gli Oggetti
giudicante e ascoltante debbono esser espressi da apposita Voce generica (52,
53); I Terzi Oggetti debbono molte volte
esser espressi con dei Pronomi (57).DunQue fisseremo per tali Oggetti le
appo- « site Voci e Pronomi ». 241. Il Linguaggio aver deve un Pronome
ri- Nesso; vale a dire una Voce
esprimente qualunque Oggetto, che essendo Cardine di Giudizio, ci si presenta
nel Giudizio stesso in una Seconda situazione (6s). " DuNque fisseremo questo Pronome
ri-«flesso». 242. I Giudizj possono
riferirsi a varj Tempi (63 e seg.), e formarsi in varj Modi (72 e seg.) - Dunque bisognerebbe stabilire dei Segni per
ciascun Tempo e Modo. Ma le Lingue
sugliono comunemente con una sola Voce esprimere Giudizio, Modo e Tempo
(97). Dunque profittando dell'Uso già
felicemente in-trodotto, noi pure esprimeremo Giudizio Tempo e Modo con una
Voce sola; e questa Vore sarà della massima Brevità, perché frequentissima
nel Discorso. « DuNQuE fisseremo le Voci esprimenti al « tempo stesso Giudizio, Tempo e Modo».FONTI
PRIMITIVI DEI GIUDIZI 243. I Fonti
Primitivi dei Giudizj sono gli Og- •
getti, le Azioni e le Qualità di primitiva esistenza; vale a dire che esistono realmente o in
Natura o in Immaginazione: Inolire in Natura abbiamo ancora dei Rapporti (99). « DunQue fisseremo per la nostra Lingua
le « Voci Radicali; e fisseremo pure un
Segno « caratteristico indicante e la Natura della Cosa « (cioè se Oggetto,
Azione, Qualità, o Rapporto)! « e la sua
primitiva Esistenza ». OGGETTI 244. Secondo la diversità delle circostanze
gli Oggetti nel discorso possono
presentarsi in Situazioni diverse (105 e seg.).
« DuNQuE fisseremo dei Segni esprimenti la « Situazione precisa di ciascun Oggetto». 245. Oltre il Segno Numerico in genere (47)
il Linguaggio deve avere delle Speciali Voci di
Numero (120). « DunquE fisseremo
le Voci Numeriche Spe- « ciali ». 246. Il Linguaggio aver deve delle Voci
apposite per esprimere negli Oggetti il Luogo ossia un Rapporto qualunque locale (131).Dunque
fisseremo le occorrenti Voci di
"Luogo ». QUALITA' 147. Il Linguaggio aver deve dei Segni per
esprimere nelle Qualità e l'Aumento Massimo (126) e il Massimo Decremento
(129), tanto assoluti che relativi; come pure per esprimerne il Deterioramento
(131): « DunQus fisseremo i Segni
opportuni per « tali Aumenti, Decrementi e Deterioramenti ». 848. Il Linguaggio aver deve Regole e Voci
opportune per esprimere le Variazioni nelle Qualità (133). « Dunque fisseremo la Teoria per tali
Varia- « zioni ». AZIONI
149. Il Linguaggio aver deve dei Segni per distinguere nei Verbi al Modo
Generico il Modo accompagnante dal determinante, ed in questo i varj suoi Tempi
(138). « DunQus fisseremo dei Segni per
tale Distin- « zione ». 250. Il Linguaggio esigge Voci apposite per
la Determinazione del Tempo nei Giudizi (142)., e anche un Segno particolare
per le da noi dette estese Espressioni di Tempo (144). « DuNQue fisseremo pel Tempo e il Segno spe-«
ciale e le opportune determinanti Espressioni».OGGETTI AZIONI E QUALITA' 25r. Il Linguaggio deve negli Oggetti Azioni
e Qualità saper esprimere un Aumento e
Decremento generico (148). « DuNQuE
fisseremo dei Segni per questo ge-« nerico Aumento e Decremento in tutte le
Cose ». AZIONI B QUALITA' 252. Il Linguaggio aver deve le sue Leggi per
esprimere convenientemente qualunque Modificazione nelle Azioni e Qualità
(152). « Dunque fisseremo la Teoria per
esprimere « le Azioni e Qualità
modificate ». 253. il Linguaggio aver
deve dei Segni appositi ond' esternare il risultato dei Confronti fatti sulle
Azioni e Qualità; cioè dei Segni per esprimere la scoperta Eguaglianza o
Differenza, e questa tanto in più che in meno (155). « Dunque fisseremo gli opportuni Segni
di « Confronto». SEZIONE QUARTA FONTI SECONDARI DEGIUDIZI 254. I Fonti Secondarj de' nostri Giudizj
sono le Cose Derivate, che si riducono a quattro, cioé Oggetti Qualità Azioni e
Modificazioni (157) ; ele Cose Derivate debbono nel discorso distinguersi dalle
Cose Primitive (158). « DuNQuE fisseremo
dei Segni caratteristici per « ciascuna delle quattro generiche Derivazioni ». 255. Le Cose derivate possono essere di prima
e di seconda Derivazione (160). « Dungus
fisseremo l'opportuna Teoria per « distinguere le une dalle altre Derivazioni
». 256. Dalle Voci di Azione possiamo avere
cinque diverse Derivazioni («6)); tré delle quali, cioé Voce-attiva
Voce-passiva e Oggetto-attore esiggono de Segni speciali. « DuNQuE fisseremo i Segni occorrenti
per « queste trè speciali Derivazioni
». 257. I Verbi si esprimono in una sola
Parola soltanto al Modo Generico; e negli altri Modi si decompongono in Voci di
Giudizio e di Azione (137). « DunQuE
fisseremo la Teoria per esprimere « ¡
Verbi in qualunque Modo ». 258. Il
Linguaggio deve avere dei Segni appositi per alcune speciali Derivazioni dalle
Radici di Numero; cioè per indicare le Quantità mulciple, le Parti aliquote e i
Numeri di costante ripetizione (180). i
DuNQue fisseremo i Segni convenienti per
« queste trè numeriche Derivazioni speciali ».VOCI INDETERMINATE 259. Le Voci di Qualità, Oggetto e Azione non
sempre ma spesso nel Discorso servono a determinare degli Oggetti o Sostantivi
indeterminati (197, 1у8). DuNQuE fisseremo il necessario Distintivo per le Qualità, Oggetti e
Azioni, che sono de-« terminanti-oggelto ». 26o. Gli Oggetti ed i Giudizj
servono molte volte a determinare le Azioni, che abbisognano di Determinazione
(201, 202). • DuNQue fisseremo il
Distintivo per gli Og- " getti e
Giudizj, che sono determinanti-azione ».
SEZIONE SESTA VOCI
SOSTITUITE 26r. Al Sostantivo
determinante-oggetto si sostituisce spessissimo un Pronome (214). « DunQuE fisseremo i Pronomi determinan- « ti-oggecto ». 262. Il Linguaggio aver deve i suoi Pronomi
per indicare o richiamare gli Oggetti, specialmente complessivi (217).« Dunque
fisseremo i Pronomi indicanti-og «gelto
». 263. Il Linguaggio abbisogna di
alcuni Pronomi generici speciali; cioé due Cardinali (222) ed altri non Cardinuli (225). « DuNqus fisseremo le Voci per questi
gene- « rici speciali Pronomi ». SEZIONE SETTIMA OSSERVAZIONI SPECIALI É necessario stabilire la maniera di esprimere un
Azione, per metterci in istato di eseguir la quale facciamo un Moto qualunque,
ossia un Azione ch'è motivo di Moto (227). « DuNQuE fisseremo l' opportuna
Teoria ». Il Linguaggio deve a
ciascuna Voce assegnare possibilmente un solo Valore (228). « DunQue fisseremo
la Teoria per le Voci di « più Significati ».
266. Il Linguaggio aver deve dei Segni per in- . dicare in iscritto le Espressioni
sentimentali (299). « Dureus fisseremo i Segni necessarj per tali « Espressioni ». 267. Il Linguaggio aver deve la sua Ortogra-
fia (230) e Sintassi (231). «
DunquE fisseremo le opportune Regole di
« Sintassi e di Delle Conseguenze
stabilite per la LINGUA FILOSOFICA
268. Richiamando sotto un sol punto di vista le varie Conseguenze di
questa PARTE SECUNDA, chiaro si scorge, quanto semplice e facile sia la
Formazione d' una Lingua Filosofica; giacchè per essa bisogna soltanto: I. FIssARE dei Segni, per Convenzione
corrispondenti ai varj Suoni Vocali (236).
II. FISSARe la Teoria per le Sillabe e Posa nelle Parole (237). III. FIssARE dei Segni per esprimere
negli Oggetti il Sesso, ed il Numero
gent- rico (238). IV. FissARE un Segno per esprimere l'Opposto
nelle Cose (23y). V. FIssaRE le Voci per
gli Oggetti Giudicante e Ascoltante, ed i Pronomi per i Terzi Oggetti
(340). VI. FIsSARE il Pronome riflesso
(241). VII. FIssARE le Voci esprimenti
al Tempo stesso Giudizio Tempo e Modo (242).
VIII. FIssARE per la nostra Lingua le Voci Radicali (243). IX. FIssARE il Segno caratteristico per
le Parole Radicali (243).X. FIssARE dei
Segni per esprimere la Situazione precisa di ciascun Oggetto (244). XI. FIssARs le Voci Numeriche speciali (2
(5). XII. FIssARE. le Voci di Luogo (246). XIII. FIssARE i Segni per indicare
Aumento Decremento e Deterioramento
nelle Qualità (247). XIV. FIssARE la Teoria per le Variazioni nelle Qualità (248). XV. FIssaRE i Segni per distinguere le varie
Voci Verbali del Modo Generico (249).
XVI. FIssaRE le Determinanti Voci di Tempo, ed un Segno per le sue
Estese Es pressioni (250). XVII. FIssARE i Segni pel generico
Aumento e Decremento in tutte le Cose
(251). XVIII. FIssARE la Teoria per le
Azioni e Qualità modificate (252). XIX.
FIssARE gli opportuni Segni di Con-
fronto (253). XX. FIssARE i Segni
caratteristici per ciascun Genere di
Cose Derivate (254). XXI. FIssARE la
Teoria per distinguere le Prime Derivazioni dalle Seconde (255). XXII. FIssARE i Segni per le tré speciali
Derivazioni dalle Voci di Azione (256).
XXIII. FIssARe la Teoria generale per esprimere i Verbi (257).XXIV.
FIssARE i Segni per le tré Numeriche
Derivazioni speciali (258). XXV.
FIssARg il Distintivo per le Cose De-
terminanti-oggetto (259). XXVI.
FIsSARE il Distintivo per le Cose De-
terminanti-azione (260). XXVII.
FIssARs i Pronomi Determinanti-ogget- to
(261). XXVIII. FIssARE i Pronomi
Indicanti-oggetto (262). XXIX. FIssARg i
Pronomi Generici speciali (263). XXX.
FIssARE la Teoria per le Azioni, Ma-
tivo di Moto (264). XXXI. FIssARE
la Teoria per le Voci di più Significati
(265). XXXII. FIssARE i Segni per le
Espressioni sen- timentali (266). XXXIII. FISsARE le Regole di Sintassi, e
d'Or- ingrafia (267). 269 Ecco i semplicissimi trentatrè Punti di
Co-struzione, ai quali si riduce l' Essenza della Formazione d'una Lingua
ragionato - Quindi per dar Esistenza ad una Lingua Filosofica altro non si
richiede, che la prattica Esecuzione di quanto qui abbiamo sommariamente
accennato.LINGUA UNIVERSALE 270. NeLLi PARTE SeCONDA abbiamo
succintamente analizato cosa far si dovrebbe per formare una Lingua Filosofica;
e si è potuto facilmente la -Ora la
Lingua Universale non dev'essere, che la Lingua Filosofica praticamente
eseguita. Dunque la Lingua Universale dovrebbe
sistemarsi da una Società di Uomini dotti e di Nazione possibilmente diversa; e
tale Sistemazione dovrebbe essere preceduta da molte mature e ragionate Discussioni accademiche. Da tali Premesse ognuno facilmente
compren-de, che se produco il mio Piano di Lingua Uni-versale, non è per alcuna
speranza di vederlo adottato; ma solo per somministrare qualche lume in una
Materia, che può essere tanto vantaggiosa alla Republica delle Lettere ed alla
Società. Onde progredire col miglior
ordine possibile, in questa TeRzA PArTE non farò che richiamare successivamente
i trentatrè Punti di Costruzionegià stabiliti (a6g); assegnando le Regole e la
prat- tica Esecuzione per ciascuno. PUNTO I.°
Fissare i Segni pei Suoni Vocali I Suoni Vocali si
distinguono in Gutturali ed Orali (10). Distingueremo dunque in orali e
gutturali anche i Segni loro corrispondenti. SEGNI GUTTURALI, E LORO PRONUNZIA Nella nostra Lingua
Universale i Segni Gutturali sono cinque «a, e, 1, o, u» e si pronunciano come
siegue (a); avvertendo che il nostro i non à il puntino sopra. a ed e si pronunciano al solito, cioé come in
italie, admirable : e ed o si
pronunciano, sempre larghi, cioè come in serrait, rólait : e si pronuncia sempre largo, ossia
toscano; cioè come ou francese in doux,
tour ec. 273. I fissati cinque Segni «a,
e, 8, 0, u» servono ad esprimere i suoni Gutturali semplici e brevi (12, 15).
Sovrapponendo a questi Segni un (a) Nel
giustificato Supposto che la Lingua Francese sia la più generalmente conosciuta
dai Dotti, io da essa prendo e Caralteri e Radici di Parole per la mia Lingua
Universa-le. Quindi à anche stimato più conveniente indicare la Pro-nuncic dei
Segni Vocali col mezzo della Lingua Francese
• medesima.Accento, avremo l'espressione dei cinque Suoni Gutturali
semplici e lunghi (15); cioé «à, è, i, ò, ù »— Quindi l'Accento indica
solamente, che la Voce deve poggiarsi sul suono corrispondente al Segno
accentato; e deve poggiarsi precisamente come nell' ultima Sillaba delle Parole
francesi «dira, érait, brebis, marteau,
beaucoup ». 274. Dai quattro Segni
Gutturali semplici «a, e, o, u» formiamo otto Gutturali composti (12),
sovrapponendo e sottoponendo loro 'un puntino.
Questo Puntino equivale al suono &, e indica Dic-tongo cioè Suono
doppio, ossia Suono composto da due Gutturali.
2q5. Il Puntino sovrapposto equivale ad un seguente: Quindi «à, è, o, i»
si pronunciano «az, es, or, u». Il Puntino sottoposto equivale ad un a
precedente: Quindi «a, e, o, u» si pronunciano «io, re, 10, 1u» —In tutti
questi Dittonghi la Voce deve sempre poggiare sul Suono principale, cioè sulla
Base del Dittongo; e mai sul Valore del Puntino ossia sull'e, che deve
considerarsi come Suono Dittongale accessorio.
276. Praticamente qualcuno dei Dittonghi «&, é, ò, i» potrebb'essere
immediatamente seguito da Suono Gutturale; e qualcuno degli altri «a, ?, !, !»
potrebb'esserne preceduto immediatamente — In tal caso onde raddolcire la
Pronuncia si fissi per Regola generale; che il Suono ditton-gale a si converte
nel Suono Orale y, di cui parleremo in seguito (279); e che tal variazione di
Suono deve farsi nella Pronuncia soltanto, e mai in Iscritto. Nella nostra Lingua Universale i Suoni Gutturali son
dunque dicinito, dieci semplici e otto composti —Del Semplici cinque sono
brevi, cioé aa, e, s, o, u» e cinque lunghi, cioè «à, è, i, ò, ù». I Composti
sono tutti lunghi (14) di loro natura; e si formano con un Suono Gutturale
semplice, unito al Suono ‹ posposto o anteposto —Si pospone il Suono ‹ in «à,
è, o, i» e si antepone in « a, e, p, 4». SEGNI ORALI, E LORO PRONUNZIA I Segni pei Suoni Orali
istantanei (17) nella nostra Lingua sono sei; cioè «b, p, d, t, x, g»: E i
Segni per gli Orali prolungabili (17) sono undici; cioè «m, n, j, l, r; 5, 2,
1,1, с,у ». 279. I primi quattro Orali
istantanei, cioé «b, p, d, t, » e i primi otto prolungabili, cioé «m, n, f, 1,
r, s, 0, 2» si pronunciano al solito; vale a dire, come sogliono pronunziarsi
nella Lingua Francese — Gli altri cinque, cioé «x, 8,1, c, y » si pronunciano
come siegue : x si pronuncia sempre come
il k latino, ossia come suole pronunciarsi il e quando trovasi avanti a, o ed
zs. g avanti qualunque suono gutturale
si pronuncia sempre, come suol pronunciarsi in Francese quando trovasi avanti
«a, o, u" - gazon, gosier, goût
: y si pronuncia come il j francese in
je, ja- mais; avvertendo che il nostro
non à sopra il solito puntino. c si
pronuncia sempre come il ch francese in
cher, chambre ec. y si pronuncia come la
seconda parte dell'y nella parola francese moyer; avvertendo che chiamo seconda
Parte dell'y, ciò che di questo Segno rimane a pronunziarsi dopo aver proferito
la prima sillaba noi — Per gl' Italiani é più semplice dire, che il y si
pronuncia precisamente come il j italiano nella parola jeri. 280. I diciassette Segni Orali suespressi
indicano i Suoni Orali ordinarj (‹9): Gli Orali forzati (^9) poi s' indicano in
iscritto, duplicando il Segno ordinario; come già si costuma presso tutte le
Lingue - Quindi Il, bb, it, rr ec. accennano, non due Suoni Ordinarj, ma il
Suono Forzato di 1, в, t, r ес. 281. La nostra Lingua à inoltre 'dei Suoni e
quindi de' Segni Orali composti, cioè formato ciascuno da due diversi Segni
Ordinari, combinati in un Segno solo - Questi Segni Orali composti sono trè,
cioè so, , l; che si pronunciano come siegue :
os si pronuncia al solito come ks, ossia come ct in action : y si pronuncia, come pronunciasi gn in
crai- •gnant: ly si pronuncia, come pronunciasi il
doppio I in abeille. 282. Oltre i Segni fissati facciam uso anche
del- I'/, il quale però non à
pratticamente alcun Suono; e il cui valore sarà in seguito determinato
(392). 283. Dunque nella nostra Lingua i
Suoni Orali sono venti; diciasette Semplici, cioé «b, p,d, 1, к, д-т, н, f, 2, т, 5, а, а, у, с,
у,»; e trè composti, cioè « s, y,
y». 284. Per dare a questi Segui un
Nome, basta aggiugnere a ciascuno il Suono gutturale e: Avremo quindi « be, pe,
de, te, se, ge- me, ne, fe, le, re, se, ve, ze, se, ce, ye — de, ye, ye ». Si avverta, che questi Monosillabi esprimono
non il Suono del Segno, ma il Nome particolare di ciascuno onde poterli
indicare come Oggetti; come quando diciamo « un be, un de ec.» oppure « il xe,
il ge ec.». AVVERTENZA Le Cifre o Caratteri tanto manoscritti che di
Stampo, per la nostra Lingua si prendono dal Carattere Francese corsivo, colle
Variazioni Aggiunte e Modificazioni sopra accennate pei Segni tanto Gutturali
che Orali. Le Lettere majuscole della
nostra Lingua debbono di Figura essere uguali alle minuscole, ma più grandi in
Dimensione. I Segni majuscoli si usano
soltanto al principio di ciascun sentimento come al solito, ed al principio di
ciascuna Parola esprimente un 0g-getto determinato (103) o qualche sua
Deriva-zione; come « Roma, Vienna, Russia ec. - Ra- mano, Viennese, Russo ec. »
- Nei Nomi di Oggetto determinato e quindi nelle loro Derivazioni è poi
necessario questo Segno iniziale majuscolo,perché tali Nomi sortono dalla
Regola generale che in seguito (315) fisseremo pei Nomi di tutti gli Oggetti
indeterminati. PUNTO II.° Fissare la
Teoria per le Sillabe e Posa nelle
Parole 288. Le Parole nella nostra
Lingua anno tante Sillabe, quanti
contengono Suoni o Segni Guttu-rali, tanto semplici che composti (273). Le
Sillabe poi terminano sempre con Suono Gutturale, ad eccezione delle ultime che
possono finire in Suono Orale; avuto
però riguardo a quanto precedentemente si espose (36). 289. La Posa delle Parole è sempre o
nell'ultima Sillaba o nella penultima — E nell'ultima, quando in essa trovasi
un Segno o Suono Guttu- Si avverta, che
il Suono Gutturale lungo si usa solamente in poche circostanze, le quali
saranno in seguito determinate (364, 370).Fissare dei Segni per esprimere negli
Oggetti il NUMIRO GENERICO ed il sIsso
NUMERO GENBRICO 290. Il Segno di
Numero unale e i; « quello di Numero plurale -Questi Segni si antepongono ai
Nomi o Pronomi che ne abbisognano, ma senza unirli ad essi in una sola parola.
Quindi Padre dicendosi pero, scriveremo & il Padre - 1 pero; i Padri — « pero». Fissati cosi i due Segni di Numero gene-rico, i Nomi
e Pronomi diventano invariabili di loro natura; cioè servono egualmente ad
ambedue i Numeri unale e plurale.. Il Segno di Numero si omette ognivolta, che
riescirebbe inutile nel discorso; vale a dire, ognivolta che il Nome o Pronome
da se ci esprime naturalmente, se unale o plurale. SESSO • 295. La natura dell'Oggetto che si esprime,
fa da se necessariamente conoscere se l'Oggetto à Sesso; oppure se n'è mancante - Quindi è
inutile fissare un Segno per gli Oggetti neuiri, ossia mancanti di Sesso. 294. Rapporto agli Oggetti aventi Sesso,
questi debbono primieramente avere il loro Nome gene-rico, cio il Nome che
serve ad esprimere tutti gli Esseri d'una stessa Specie: Cosi in Italiano
ilNome generico Uomo esprime tutti gl' Individui della Specie umana; il Nome
generico Cavallo esprime tutti gl' Individui della Specie equina, ec. — Questo
Nome Generico dev'essere particolarmente fissato per ciascuna Specie di Oggetti
(315). Giò posto, nell' esprimere tali
Oggetti o devesi per la natura del discorso far attenzione anche al Sesso, o
no: Senò, li esprimiamo col loro Nome Generico: Se devesi far attenzione anche
al Sesso, allora distingueremo l'Oggetto femminile dal maschile nel modo
seguente. Per esprimere l'Oggetto
maschile facciamo uso del Nome Generico, come già si costuma in tutte le Lingue
- Quindi negli Oggetti aventi Sesso il Nome Generico esprime o l'Oggetto in
genere, o l'Oggetto maschile in ispecie. Nè in ciò può nascere alcuna difficoltà;
giacché il contesto e la natura del discorso troppo facilmente ne fa in ogni
prattica circostanza conoscere il vero significato di tali Sostantivi - Dunque
ommo, frero, eglo ec. significherà o «Uomo, Fratello, Aquila ec. » in genere; o
« Uomo, Fratello, Aquila ec. » maschile in ispecie. Per esprimere qualunque
Oggetto femminile fissiamo la Regola generalissima che «Si prepone al Nome
maschile il Gutturale composto e, formandone una parola sola». Quindi « Madre,
Donna, Sorella, Aquila-femmina ec." si dirà (294, 295) « épero, commo,
efrero, ¿eglo ec.».Fissare il Segno per esprimere nelle Cose l'opposto 297. Per esprimere in una Voce qualunque
il composto d, formandone una sola
Parola - Quindi «ba, be, bi, bo, bue» (308) significando «sono, ero, fui,
ero-stato, sarò » per esprimere « non sono, non ero, non fui, non ero-stato,
non sarò » diremo a cibo, abe, abi, cibo, abuen. PUNTO V.°
Fissare le Voci per gli Oggetti Giudicante e Ascoltante, ed i Pronomi
per i Terzi Oggetti OGGETTI GIUDICANTE
& ASCOLTANTE 298. La Voce per l'Oggetto
Giudicante al Numero unale è ma, significante io; al plurale è mu, significante
noi. La Voce per l'Oggetto Ascoltante al
Numero unale è te, significante tu; al plurale è tu, signi- fcante voi.
299. Queste Voci servono per gli Oggetti Giudicante e Ascoltante di
qualunque Sesso; giacché il Sesso di tali Oggetti si conosce necessariamente
dalla natura del Discorso (54). Si
faccia attenzione che in queste Voci come in quelle che saranno fissate in
seguito (301, 332),il Numero plurale si distingue dal Numero unale, mediante il
Segno generico di Numero già stabilito (290).
Per l'Oggetto Ascoltante la
nostra Lingua esclude qualunque sostituzione di Complimento - Quindi il Nome
per gli Oggetti Ascoltanti, qualunque esser possa il loro Grado Carattere
Dignità ec., è sempre al Numero unale ti, ed al plurale ti; precisamente come
usavano i Latini tu e vos. TERZI OGGETTI Ecco i Pronomi di Terzo Oggetto per ciascun Numero e
Sesso; avvertendo, che il Pronome maschile serve negli Oggetti aventi Sesso a
richia-mare, e l'Oggetto in genere, e l'Oggetto maschile in ispecie; come già
fù detto pei Nomi (295). Numero unale plurale
maschile - l. eglio esso | lu...
eglino o essi femminile (296) el.. ella
o essa | elz.. elleno o esse neutro - oli. egli o esso | olu.. eglino o essi
PUNTO VI.° Fissare il Pronome
Rifesso 302. Qualunque sia l'Oggetto
Cardine di Giu-dizio; cioé Giudicante o Ascoltante o Terzo, di qualunque Sesso
e Numero esso sia; la nostra Lingua usa
i un sol Pronome riflesso — Questo Pronome si esprime colla Voce, so
corrispondenteespresse dettagliatamente (60).
PUNTO VII.® Fissare le Voci
esprimenti Giudizio Tempo e Modo 303. Si fissi, che le Voci di Giudizio nella
nostra Lingua debbono senipre essere accompagnate da Nome o Pronome Cardinale;
richiamando, che il Cardine di Giudizio per le Voci al Modo Generico trovasi
espresso dal Nome o Pronome Cardinale
del Verbo determinando (205, e AnaLisi 175) - Dunque le Voci di Giudizio non
debbono esprimere né il Numero Generico, cioè se uno o più, né la Natura
dell'Oggetto Cardinale, cioe se Giudicante Ascoltante o Terzo; giacché
questi Numero e Natura sono chiaramente espressi dal Nome o Pronome
dell'Oggetto Cardinale medesimo - Dunque le Voci di Giudizio esprimeranno
soltanto Giudizio, Tempo e Modo - Dunque basta in ciascun Modo fissare una sola
Voce di Giudizio per ogni Tempo.- 304. I
Modi, Generico Indicativo Condizionato e Indefinito, sono i soli che abbiano le
Voci di Giudizio trà loro diverse (98). Dunque fisseremo le Voci di Giudizio
per questi soli Modi; e queste si applicheranno a tutti gli altri Modi,
precisamente come in Italiano (V. Anal. 101. e seg.).305. Voci di Giudizio al
Modo Generico de-terminante. presente -
bra. ... essere passato -bre.. .
essere-stato futuro - bre . . . . esser-per-essere 306. Un Giudizio di Qualità non può mai per
intrinseca natura accompagnare (74) un Azione o Giudizio. Gli accompagnanti
Giudizj di Azione non abbisognano della Voce di Giudizio; giacché l'Azione e il
Giudizio accompagnante, si esprimono in una sola Parola (353). Dunque nella
nostra Lingua non occorrono Voci di Giudizio al Modo Generico accompagnante. •• •
Profittando di tale mancanza, in luogo del Modo Generico accompagnante noi poniamo trà
le Voci di Giudizio due Voci sostituibili, una di tempo presente, l'altra di
tempo passato. Queste Voci corrispondono perfettamente alle Italiane essendo ed
essendo-stato; e serviranno ad abbreviare di molto la nostra Lingua. Eccole
: 307. Voci di Giudizio
sostituibili: presente - bro .... essendo passato
— bru . . . . essendo-stato308. Voci di Giudizio al Modo
Indicativo: me, 4, 44, èli, ole -mu, iu,
lus, èlu, olu (a) presente presente-relativo - be... io era, tu eri,
ec. passato — be .... io fui, ec., o sono-stato, ec passato-anteriore — bo.... io era-stato,
ec. futuro - bu... io sarò, tu sarai, ec. futuro-anteriore - bur...io sarò-stato,
ec. 30g. Voci di Giudizio al Modo
Condizionato: mi, 66, la, éle, ole — mu,
tu, lu, êls, olus presente - bal... io sarei, tu saresti ec. passato - bil ... io sarei-stato, ec. 310. Voci di Giudizio al Modo
Indefinito: хе) mi, t6, le eli, ole — mou, ilo, lu, elle,
olu presente - bar... che io sia, che tu sii, ec. presente-relativo — ber... che io fossi, tu
fossi, ec. passato - bir... che io sia-stato, ec. passato-anteriore - bor.. che io fossi-stato,
ec. PUNTO VIII.® Fissare le Voci Radicali per la nostra
Lingua 311. Nella nostra Lingua le
Parole Radicali si distinguono in variabili e stabili — Chiamiamo (a) Il valore di queste Voci fú già fissato
al 298 e 301.variabili quelle, dalle, quali variandone la Desi-nenza, derivano
altre Parole. Chiamiamo stabili quelle, che non danno alcuna Derivazione. RADICI VARIABILI • 312. Ad eccezione di alcune poche le quali
vengono particolarmente fissate, le Radici variabili per la nostra Lingua si
prendono (a) dalla Lingua Francese, come Lingua più generalmente conosciuta dai
Dotti; e si prendono colle seguenti Regole costanti. I.° Si scrivono possibilmente come si
pronunciano in Francese, e da noi si pronunciano poi precisamente come sono
scritte; vale a dire, che avendole scritte, dobbiamo poi pronunciarle con
(a) Sarebbe molto facile inventare nuovi Caralteri e Parole Radicali
affatto nuove; giacchè tale Invenzione in fondo si riduce ad una pura
materialità - Ma chi potrebbe determinarsi ad apprendere una Congerie enorme di
Voci barbare e cappricciose? Nelle Produzioni di Spirito la sola Novità basta
generalmente ad allarmare i Partiti la Critica e l' Oppo- sizione. Che fia dunque, se vi si uniscano
difficoltà quasi in-superabili?.
Altronde le Parole non sono che Segni destinati a richiamar delle Idee;
e queste Idee vengono attaccate alle Parole dalla sola Convenzione sociale -
Dunque la qualità del Segno e del Suono nelle Parole, è cosa affatto
indifferente per l' essenza del Linguaggio. Dunque possiamo anzi dobbiamo in
ciò profittare delle già acquistate cognizioni; prendendo le Voci Radicali da
una Lingua, che a di nostri sia la più generalmente conosciuta.tutto il rigore
delle Regole già stabilite per la nostra Lingua (272 e seg.). II.° Si sopprime l/ iniziale di qualunque
spe-cie; e si sopprime pure qualunque Acuento o altro Segno distaccato dalle
Lettere. Ill° Al § ed ai e e t aventi un
Suono prossimo al s, si sostituisce sempre s.
IV. Al Dittongo oi si sostituisce costantemente il Gutturale composto ó;
e questo sempre devesi pronunciare come abbiamo già detto (275). V.° Quando nella Parola Francese trovinsi di
seguito i due Segni of come in mogen, questi Segni nella nostra Lingua si scrivono
come in Francese; ma l'o prende il Suono di Gutturale semplice, e l'y prende il
Suono del nostro Segno Orale y
(279). VI.° Ai Suoni e Segni eu, oeu ed
u francese si sostituisce costantemente il nostro segno e suono 2 (272), che
sempre deve pronunciarsi largo ossia toscano.
RADICI STABILI 313. Le Radici
Stabili sono poche e d'un uso frequentissimo nel discorso. Quindi, benche si
pos. sano anch'esse prendere dalla Lingua Francese colle Regole sopra stabilite
per le Variabili (312), pure sarebbe meglio fissarle in particolare e
possibilmente monosillabe; come abbiamo già fatto per le Voci di Giudizio,
Pronomi ec., e come faremo per altre Voci formanti Parte essenziale di Grammatica.Questo Travaglio però è riservato
alla Formazione del Dizionaria; e quindi ad una scienziato Società (396, I.° e seg.). PUNTO IX.°
Fissare il Segno caratteristico per le Parole Radicali
314. Le Parole Radicali esprimono o Oggetti o Qualità o Azioni o Rapporti (243). Quindi
fisseremo separatamente il Segno caratteristico per ciascuna di tali Specie di
Radici. OGGETTI 315. Le Radici degli Oggetti indeterminati
debbono tutte finire col Gutturale semplice o; ed e questo il Segno loro
caratteristico - Quindi : I.° Se la
Parola Francese termina in e breve, si cangia quest'e finale in o: Cosi da
«Pere, Chambre, Homme ec. » avremo «pero, cambro, отто ес. ».
II.° Se la Parola Francese nella Pronuncia termina con un qualunque
Suono Gutturale lun-go, dopo questo Suono lungo si pone o; richiamando che le
Parole radicali si scrivono possibilmente come si pronunciano in Francese (312,
I.°): Cosi da «Argent, Bassin, Brebis,
Maison, Palais, Clou ec. » avremo «arjao, basseo, brebo, mesoo, pales, xluo ec. ». III.° Se la Parola Francese termina in 20r,
quand'anche queste lettere non si pronunciassero,all'r o l fiale azziugnesi o:
Cosi da « Cheral, Eerger, Or, ed o
arremo a cereo, bejeto, oto, ec. s. IV.
Finalmenie se la Parola Francese termina con qualanque Suono Orale che in
francese suole pronunciarsi, a quest' Orale si aggiugne l'o carai-teristico:
Quindi da •Lac, Canif ec o avremo •laro,
xanifo ec o 316 Le Radici degli Oggetti
diserminati, cioè i Nomi propri degli Tomini, Paesi, Fiumi ec., non prendono la
caratteristica o; ana si pronunciano o come in Francese, o come suole
pronunciarli la Nazione, presso cui si trovano o trovarono gli Oggetti
determinati che nominiamo. Quindi rolendo esprimere • Roma, Vienna, Londra, Pa
rigi, ec.= diremo o «Rome, Venne, Lordre, Pari, ec. • prendendo la Parola dal
Francese; op pure diremo «Roma, l'i, Loron, Pari ec» prendendo la Parula dall'
Espressione nazionale - Nel Dizionario i Nomi degli Oggetti determinati
dovrebbero stabilmente fissarsi. Da
qualunque Lingua poi si prendano le nostre Radici, si richiami che desse si
scrivono sempre possibilmente come si pronunciano (312, L.°). 317. I Nomi degli Oggetti determinati e le
loro Derivazioni, non avendo il Segno
caratteristico finale fissato pei Nomi indeterminati (315), in iscritto avranno
sempre la Lettera iniziale maju-scola (297); e sarà questo, almeno per la
Scrittu-ra, il Distintivo loro particolare.318. Le Radici delle Qualità debbono
tutte f-nire in l; ed è questo il Segno loro caratteristico — Quindi : I.° Se la Parola Francese termina in Guttu-rale,
le si aggiugne l: Cosi da «juste, rapide, joli ec. » avremo «justel, rapidel,
jole ec. ». II,° Se la Parola Francese
termina con Segni Orali, sia che questi
si pronuncino o no, gli Orali finali si cangiano in l: Cosi da « eloquent,
dous, amer, ec. » avremo «eloxal, dul, amel, ec.», III.° La Parola Francese terminando in le
breve, se questo le è preceduto da Orale, l'e breve finale si antepone al segno
l; così da «capable, noble, allable ec. » avremo «xapabel, nobel, af- fabel, ec.»: Se questo le è preceduto da
Guttu-rale, si sopprime l'e finale; cosi da « habile, facile ec. » avremo
«abil, fasil, ec."— Si avverta, che le s'intende preceduto da Gutturale,
anche quando la Parola francese terminasse in lle; giacché lle non è altro che
le col suono forzato nel-l'Orale (‹9): Quindi tranquille ci darà tranxil,
ec. IV.° Se la Parola Francese finisce
in l, non le si fà né Aggiunta né Variazione: Quindi • ci- vil, fatal ec. » danno «sivil, fatal,
ec."; richiamando che nella nostra Lingua le parole mancanti di accento
sull'ultima Sillaba, anno sempre la Posa sulla penultima (289).519. Abbiamo già
detto (289), che nella nostra Lingua le Parole anno la Posa sull'ultima
Sillaba, solamente quando questa Sillaba contiene un Gutturale lungo, cioé «à,
è, 1, o, i»— Fissiamo adesso, che le Parole Radicali non debbono mai avere
l'ultima sillaba lunga. Quindi le nostre Radici anno sempre la Posa nella
penultima sillaba (289). Quindi le nostre Radici non contengono mai Segno
Gutturale lungo - Quindi in molte Parole l'ultima Sillaba, che nella Pronuncia
Francese è lunga, diviene breve per noi: Cosi per esempio è breve l'ultima
sillaba nelle Radici «Jolil, eloxal, amel, ec.»; benché provengano da « joli,
eloquent, amer ec.», che in Francese ànno
1' ultima lunga. 320. Questa
Regola è generalissima; e non se n'eccettua che qualche Nome proprio, come «
Pa-ris, Bourdeaux, Rochefort, Perou ec.», i quali propri dipende dal non esser essi suggetti al
Segno caratteristico; come abbiamo già premes-
80 (310). AZIONI Le Radici verbali di Azione debbono tutte terminare
col Gutturale semplice a; ed è questo il Segno loro caratteristico. Le Radici Verbali per la
nostra Lingua siprendono dal Participio presente Francese, cangiando l'ant
finale in a caratteristico. Quindi da « voulant, aimant, écrivant ec. » avremo «
vula, ета, exriva, ес. ». Quando in
Francese manchi il Participio pre-sente, la Radice verbale si prende dal
Participio passato, cangiando in a caratteristico il Gutturale finale colle
altre lettere seguenti: Cosi da abstrai-Te, extraire ec. ossia dal loro
Participio passato « abstrait, extrait, ec. » avremo « abstres, extra,
ec.». 323. Le Radici verbali di Azione,
prese colla Regola qui stabilita e
aumentate dell'a caratteri-stico, esprimono sempre il presente del Modo
Generico determinante (353) : Quindi « vula, ema, exriva, abstra, extra, ec.»
significano «vo- lere, amare, scrivere,
astrarre, estrarre ec. ». 324. Nel
fissare le Radici di Azione si avverta, che l'a caratteristico non può mai
essere immediatamente preceduto dall' Orale b; e ciò per un motivo, che
addurremo in seguito (364). Quindi se la Radice di Azione (382) avrà il b
finale, questo deve sempre cangiarsi in p: Cosi da « tom-bant, succombant ec. »
avremo « tompo, sux- хотра ес. ». RAPPORTI
, 325. Il Segno caratteristico per le Voci di Rapporto sia r finale;
eccettuando quelle Voci, che vengono particolarmente fissate senza tale
Carat-teristica. Le Voci di Rapporto
nella massima partesono stabili. Quindi limitandoci a stabilire in seguito le Voci
radicali di Numero ed alcune di Tempo e di Luogo, per l'Espressione delle altre
ci riportiamo a quanto superiormente fü detto (313). AVVBATENZA
Sul Segno caratteristico delle Voci Radicali 326. Richiamando il qui esposto relativamente
alle Voci Radicali, si può cominciare a formarsi un Idea della semplicirà e
facilità di questa Lingua Universale - Le Parole della nostra Lingua sono tutte
ridotte a quattro Classi primitive; e ciascuna Classe à il suo particolar
Distintivo, cioe no,L, a, ro fnale. Questi Segni, quando sieno ultima lettera delle
Parole, anno costantemente sempre lo stesso valore: cioè indicano sempre, 1.° che la Parola è Radicale; 2° che la
Parola esprime o un Oggetto o una Qualità o un Azione o un Rapporto, secondoché
la Lettera finale é о, 1, а, г. E vero che i Nomi propri (316) non prendono
la Caratteristica o, e che alcune Voci Grammaticali anno per finale qualcuna di
queste quattio Lettere; ma nel Discorso
è assai facile conoscere dal sentimento i Nomi Propri, ed in Iscritto essi anno
il Segno iniziale majuscolo (317). Riguardo poi alle Voci Grammaticali che
terminano con qualcuno dei fissati quattro Segni caratteristici o, 1, a, r, si
avverta; che queste Voci anno tutte un significato particolare; e che sono po- chissime, d'un uso frequentissimo, e per
lo più monosillabe: Quindi non possono produrre né confusione né difficoltà -
Infatti in un prattico Discorso qual
Italiano potrebbe non distinguer subito il Pronome se da se Voce condizionante,
gli Articoli la gli lo dai Pronomi lo gli la, il Verbo porto dal Sostantivo
Parto, ec.? Eppure qui si tratta di Parole uguali perfettamente in Suono ed ‹in
Figura; laddore nella nostra Lingua si tratta soltanto dell' eguaglianza di
Lettera finale. AvVERTENZA Sul prendere le Voci Radicali 327. E facile prevedere che prendendo
dalla Lingua Francese le Voci radicali
colle Regole finora fissate, si avranno alle volte uguali delle Parole che
dovrebbero essere diverse, stante la diversità del loro significato. Il rimedio
a tale Inconveniente è peró della massima semplicità. Se un giorno qualche Società Accademica (
396, Prog.) si determinasse a compilare il Dizionario di Lingua Universale,
spetterà ad essa fissare una Legge per eliminare le Voci di più Si-gnificati,
come pure per variare alcune Radici ch'esser possono aspre lunghe e complicate
di troppo.Fissare i Segni per esprimere le varie Situazioni degli Oggetti Onde fissare i Segni per le varie Situazioni nelle
quali possono presentarsi gli Oggetti, è necessario distinguere i Sostantivi
che li espri-mono, in determinati e indeterminati — Chiamiamo Sostantivi
determinati tutte le Voci di Oggetro, che di loro natura fan conoscere il
Numero unale o plurale; come «Pietro, Rodano, Londra, io, voi, egli, esse ec.
». Chiamiamo Sostantivi indeterminati tutte le Voci di Oggetto, che debbono
essere necessariamente accompagnate dal Segno di Numero generico (2go); giacché
di loro natura queste Voci servono egualmente al Numero e unale e plurale.
SOSTANTIVI DETERMINATI Nei Nomi degli
Oggetti Determinali meritano particolare attenzione dieci Situazioni di- verse.
Queste Situazioni furono già analizate (105); e qui non dobbiamo che fissare il
Distintivo per ciascuna. Il Distintivo del Nome tanto cardinale (106) che nominante (107) consiste nel non averne
al-cuno: Quindi « Paolo, Parigi, tu, noi ec.» si dirà Pol, Рагі, й, ти, ес.». Il Distintivo del Nome determinante-ogget-to
(109) é la Voce de: Quindi « il Padre di Paolo » si dirà «« pero de Pol».Il Distintivo del
Nome determinante-azio-ne (110) é la Voce se: Quindi « chiamo te, voi, Paolo
ec. » si dirà « chiamo seti, se tu, se Pol, ec.». Il Distintivo del Nome chiamante (111) é la
Voce ye: Quindi «o Paolo, o Roma, o tu ec.» si dirà «ye Pol, ge Roma, ye ti,
ec.». •Il Distintivo del Nome contenente
(113) è la Voce ce: Quindi « in voi, in Parigi, in lei ec.» si dirà «ce tu, ce Part, ce elz, ec.». Il Distintivo del Nome relativato 114 è
la Voce je: Quindi «parlano di voi, di
Roma, di me ec.» si dirà «parlano je tu, je Roma, ja ты, ес. ».
Il Distintivo del Nome ricevente (115) é la Voce re: Quindi «diedi a
Lui, a Paolo, a voi ec. » si dirà «diedi re le, re Pol, re tu, ec.». Il Distintivo del Nome terminante (116) é la
Voce pe: Quindi «mandai a Paolo, a te, a lei ec. » si dirà « mandai pe Pol, pe
ti, pe él, ec.». Il Distintivo del Nome
cominciante (117) é la Voce ge: Quindi « partirono da Roma, da me, da Parigi
ec.» si dirà «partirono ge Roma, ge 33o.
I Segni per le varie Situazioni dei Nomi determinati sono dunque oito, cioè de
se ye ce je re pe ge; giacché il nome Cardinale e Nominante non à alcun Segno -
É poi superfluo avver-tire, che questi Segni formano parola da loro, e che
sempre debbono premettersi al Nome. Ecco
espresse di seguito le varie Situazioni dei Nomi « Pol, Roma, i1, Eu»; e
questa. Ope- razione de noi si chiama
Situare, cioè e porte ua Nome in tutte
le sue diverse Situazioni ». Si avverta
che det-oggetto e det-azione sono
Abbreviazioni di determinante-oggetto e determi-nante-azione. SITUAZIONI DEI NOMI DETERMINATI NoME
cardinale Pol Roma
nominante Pol Roma
tu det-oggetto de Pol
de Roma de te de tu det-azione
se Pol se Roma se ti se
lu chiamante ye Pol
ge Roma yoth ye tes
contenente ce Pol ce Roma ce h. ce lu relativato je Pol jo Roma
je ll je te ricevente re Pol
re Roma ro tl te tr terminante
pe Pol po Roma po ti pe
tu cominciante ge Pol go Roma ge il ge lis SOSTANTITI
INDETERMINATI 33r. I Nomi degli
Oggetti indeterminati possono Nome
indefinito (112). 332. I Nomi Indeterminati
abbisognano del Segno di Numero Generico (328). Quindi fissando che il
Distintivo in genere pel Nome indefinita è il Segno e unito al segno di Numero,
e richiamando che ‹ è il segno di Numero unale,quello di plurale (290), i Segni
distintivi per le varie Situazioni dei Nomi indeterminati saranno «s, de, se,
go, ca, je, ro, po, ga, se» pel Numero unale; e pel Numero plurale «z, du,
su, дь, си, за, ти, ри, ди, очь ».
Quindi i Segni per le varie Situazioni
dei Nomi indeterminati di Oggetto si formano in generale dai Segni dei
Nomi Determinati (330), cangiandone in
Segno di Numero l'e finale, e ponendo il Segno di Numero dove per i Determinati
non avvi alcun Segno. Ecco espresse di
seguito al Numero unale e plurale tutte le varie Situazioni di suxro e ommo ;
arvertendo, che ommo al Plurale è espresso da
O., e che all'Unale non avrà la situazione di Nome indefinito, perchè
ripugnante all'intrin-seca natura dell'Oggetto; osservazione da applicarsi a
tutti i casi consimili. SITUAZIONI DEI
NOMI INDETERMINATI NoMB unale
plurale cardinale i suxro, ¿ ommo
| usUaro, " O. nominante ¿ SUXTO, I
ommo | « SUXTO, « O. det.oggetto de suxro, de ommo| du suxro, du O. det.azione Se SUxTO;se ommo| su SUXTO, su O. chiamante yesuxro, y ommo | Jusuxro, yu
O. contenente cI SUxrO:, cE Omm |
CUSUXTO, Cu O. relativato JeSUXrO, jo ommo | jUsSUXTO, ju O. ricevente Te
SUXTO, rI smmo | Me SUXTO, TU O.
terminante pisuxro, pe ommo| pusuxro, pu O. cominciante gi suxro, grommo
| gu suoro, gu 0. indefinito NESUXTO
20 "| มน suscro, มน0.Fissare le Voci Nuneriche speciali Le Voci indeterminate di Numero (120) sono poche e
stabili. Quindi dovranno particolarmente fissarsi come le altre stabili Radici
(313) - Dunque noi qui esporremo soltanto le Radici e la Teoria pei Numeri
determinati (120). I Numeri da noi
si scrivono colle dieci oolite Cifre arabiche «0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9»: E
come con queste dieci sole Cifre possiamo scrivere qualunque numerica Quantità,
cosi in Voce esprimeremo qualunque Numero colle seguenti dieci Monosillabe,
corrispondenti alle Cifre Arabiche sottoposte :
г, по, ог, te, j, f, же, ls, го, по
0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,8,9 335.
Per esprimere con queste dieci Monosillabe un Numero qualunque, alle Cifre
arabiche formanti un dato Numero basta sostituire i Mano-sillabi
corrispondenti, seguendo l' ordine stesso delle Cifre — Quindi avremo: o ze |10 naze |20 vuze | 30 treze | 40
feze. I no |11 nana | 21 vuna
| 31 trena | 50 fize 2 vu |12
navu | 22 vuvr |32 trevu |60 oseze.
3 tre. |13 natre | 23 vutre | 33 tretre | 70 laze 4 fe 114 nafe. |24 vufe | 34 trefe
| 80 toze 5 fi |15 nafi |25
vuft. | 35 trefi |go noze 6 же
|16 nase | 26 vuse | 36 trese | 9r nona. 7 la 117 nala | 27 vula |37 trela
195 nofi 8 to | 18 nato | 28
vuto 138 treto 198 noto 9 no |19 nano |29 vuno |3y treno | 99
nono Si avverta, che ze unito ad
altra numerica Parola non vuol dire zero (nulla), ma significa ripetuto dieci volte;
cio indica, che il valore espresso dal Monosillabo precedente s'intende
ripetuto dieci volte: E tale è precisamente il valore della Cifra o, posta dopo
altra Cifra arabica qua-lunque. Si potrebbe in egual maniera continuare ad esprimere
verbalmente qualunque data Congerie numerica, sostituendo cioè alle Cifre
arabiche i corrispondenti nostri Monosillabi: Ma ciò riesci-rebbe incommodo
alla Pronunzia ed all'Orecchio. Quindi fissiamo, che le centinajo, migliaja ec.
debbono pronunziarsi con Parole separate, e precisamente come in Italiano:
Infatti leggendo per esempio il Numero 2300, noi diciamo « due-milas tré-cento
ec. » - Dunque facendo uso delle 99 espressioni soprafissate (336), per
esprimere in Voce qualunque Numero hno al Millione non si ri- chiedono che altre due sole Espressioni,
equivalenti alle italiane cento e mille.
338. Ora in Arabico cento si scrive 100, mille si scrive 1000. Dunque
per la Regola stabilita (335) cento equivale a nazeze, mille equivale a
nazezeze. Tali Espressioni però anno un
suono troppo in-commodo. Quindi per evitarlo premettiamo al ze finale il
Monosillabo indicante il numero dei 20 —
Quindi 100 si dirà novuzo, cioè 1
seguito do a ze 1000 si dirà natreze,
cioè s seguito da 3 ze 339. Le due
Espressioni navuze e naireze unite convenientemente e come in Italiano alle 99
sopra fissate (335) ci abilitano ad esprimere in Voce colla massima facilità
qualunque Numero fino a 9.99999 - Onde
continuare oltre 999999 le verbali Espressioni numeriche, fissiamo che nelle Parole
millione billione trillione ec. la forza ed il valore della parte lione si
esprime colla Monosillaba go. Per
esprimere millione billione trillione ec. ossia Illione, allione, 3ollione ec.
diremo dunque « nago, vujo, creyo, ec. continuando fin dove il bisogno lo esigge.
340. Onde porre in prattica l'esposta numerica Teoria vocale, supponiamo di dover leggere le
seguenti numeriche Quantità :128 — navuze vuto
506 — tre navuze se 2634 — vu
natreze, se navuze trefe 4057 — fe
natreze, file 65231 — ssefi natreze, vu
navuze trena 20613 — vuze natreze, se
navuze natre. 462389 — fe navuze sevu
natreze, tre navuze tono 805704 — to
navuze fi natreze, la navuze fe Si noti;
che le vocali numeriche Espressioni della nostra Lingua sono molto più brevi
che in qualunque altro Linguaggio; che praticamente è raro assai il dover
pronunciare un Numero d' una qualche lunghezza; e che, lo scopo primario della
Lingua Universale essendo lo scrivere in modo intelligibile a qualunque Nazione
e i Numeri nella nostra Lingua scrivendosi colle Cifre arabiche (334), potrà
ognuno leggerli anche coll' Espressione nazionale. PUNTO XII.°
Fissare le Voci esprimenti Luogo
34x. Parmi, che le poche seguenti sieno le Voci variabili più essenziali
per esprimere i Rapporti di Luogo. Quindi ne fisso per la nostra Lingua la
corrispondente Espressione radicale.
sopra sur | dentro dar | dirimpetto sotto sor | fuori dor | dinanzi (coram) avanti var | a destra tar | vicino dietro vor
| a sinistra tor | lontano ขนก fur
for342. Queste Voci nel discorso possono essere isolate o congiunte - Le
chiamiamo isolate , quando esprimono in genere un dato Rapporto di Luogo; come
avanti, lontano, a sinistra ec. in •egli
andò avanti, stà lontano, volterà a sinistra ec.». Le diciamo congiunte, quando
esprimono un dato Rapporto di Luogo in particolare, cioè quando si specifica
l'Oggetto riguardante quel dato Rapporto; e le chiamiamo congiunte appunto
perché vanno unite al Nome di Oggetto: Cosi avanti, lontano, a sinistra ec.
sono Voci congiunte in «Egli abita avanti al Teatro, lontano dal Teatro, a
sinistra del Teatro ec. ». Onde intendere
perfettamente il valore e la forza del Discorso, il Nome di Oggetto che và
unito alla Voce di Luogo, basta che sia puramente nominato. Esso dunque sarà
sempre nella Situazione di nominante, e ne avrà quindi il Distintivo (330,
332). Quindi « sopra la tavola, a destra di Paolo, dirimpetto a voi, lontano da
me ec. » si tradurranno «sur & tablo, lar Pol, wir tu, for mu ec: » Abbiamo due altri Rapporti
o Voci di Luogo d'un uso assai frequente nel discorso. In Italiano l'uno si
esprime con su, e indica in al to; l'altro si esprime con giù, e indica abbasso
- Ecco le loro Espressioni per la nostra Lingua: nir su (in alto) / nor giù
(abbasso) Dobbiamo non di rado
indicare genericamente il Luogo ove si trova, o l'Oggetto giudi-cante, o
l'Oggetto ascoltante, o un terzo Og-getto. Quindi è necessario fissare trè
apposite Es-pressioni, che saranno — sa qui o quà - sa costi o costà — za li
(ivi) o là. 346. Quando occorra esprimere dei Rapporti di Luogo composti, cioè
un Rapporto locale in genere ed un Rapporto in ispecie relativo all'Oggetto
giudicante ascoltante o terzo (345), uniremo le Voci parziali di tali Rapporti
in una sola Parola. Quindi «qui sopra,
lá dentro, quà giù o quaggiù ec. » si tradurranno «sasur, zadar, sanor,
ec.». Tali unioni sono piuttosto
frequenti nel discorso; ed abbiamo terminato sa sa za in Gutturale,
singolarmente per rendere dolci tali Parole com-poste. PUNTO XIII.®
Fissare i Segni per indicare Aumento Decremento e Deterioramento nelle
Qualità 347. Esprimiamo nelle Qualità
l'Aumento massimo (125) assoluto aggiugnendo alla Radice g ; e l'Aumento
massimo relativo aggiugnendo alla Radice n - Quindi « eloquente,
eloquentissimo, il più eloquente » si tradurranno «eluxal, eloxalg, eloxalr».
348. Il Massimo Decremento (128) è precisamente l'Opposto dell'Aumento
massimo: Quindi lo esprimiamo, preponendo alla Voce di massimo Aumento tanto assoluto che relativo il segno
diOpposto (297) - Quindi « ineloquente, ineloquen-tissimo, il più ineloquente »
si tradurranno « delo-deloxulg, deloxaln »; richiamando (2,6) che in questo caso il valore dittongale del
puntino nella Pronuncia si cangia nel nostro Orale y. 349. Quando si à Aumento o Decremento Massimo
relativo, l'Oggetto che circoscrive che limita il Massimo Aumento o Decremento,
deve soltanto essere indicato: Quindi avrà sempre la Situazione e il Distintivo
di nominante (330, 332) - Quindi «il più virtuoso de' Filosofi, il più saggio
de' Prin- cipi, il più incostante degli
Uomini ec.» si tradurranno « vertuuln u filosofo — 1 sajeln u pren- so -1 cixonstal e ommo ec.». 350. Si esprime nelle Qualità il Deterioramen
to (130), aggiugnendo alla Radice *: Quindi da «dul, amel ec. » avremo «dulo,
amelo ec.» cioè dolciastro, amarastro ec.
35r. Ecco di seguito le Espresioni di Aumento massimo, massimo
Decremento, e Deterioramento per le Qualità «prudal, dul, amel» cioè «
pru-dente, dolce, amaro "—Si avverta, che il mas simo Decremento d'una
Qualità non dev'essere e non è infatti, che l'Aumento massimo della stessa Qualità presa in senso opposto. prudente ec.
prudentissimo ec. prudalg il più
prudente ec. prudentastro ec. prudal
dul amel dulg
amelg prudaln duln
ameln prudalos dul 3s amelss imprudente ec. aprudal
imprudentissimo ec. aprudalg il più imprudente ec. aprudaln imprudentastro. ec. aprudalas
adul adulg aduln
adul 3s camel aumelg
cameln camelss PUNTO XIV.®
Fissare la Teoria per le Variazioni nelle Qualità 352. Le Qualità sono suscettibili di
moltissime Variazioni (132) Quindi è
impossibile stabilire per tali Variazioni dei Segni generali, dovendo ciascuna
essere in ogn'incontro espressa dalla sua Voce particolare - Quindi per le
Variazioni fissiamo questa semplicissima Regola generale, cioẻ che « Le Voci
esprimenti Variazione debbono sempre immediatamente precedere la Voce della
Qualità variato ». PUNTO XV.° Fissare i Segni per le varie Voci verbali del
Modo Generico 353. La Radice verbale
aumentata dell'a caratteristico (321) esprime al Modo Generico determinante il
Tempo presente: Cangiando l'a caratteristico in e, avremo il passato
Determinante; cangiandolo in z, avremo il Determinante futuro; e cangiandolo in
e avremo l'espressione pel Modo Generico
accompagnante.Quindi «ema, exriva, abstra, parla, vula» significando «amare,
scrivere, astrarre, parlare, volere »,
si avrà : amare ec. ema, extiva, abstra,
parla, vula aver-amato ec. eme, exrive, abstre, parle, vle esser-per-amare ec, emi, exrevi, abstri,
parte, vule amando ec. emu, exrevi, abstru, parles, viale PUNTO XVI.°
Fissare le determinanti Voci di Tempo, e un Segno per le sue ESTESE
Espressioni 354. Richiamando il già
premesso (313); mi li- mito a fissare le
seguenti Espressioni, come piu essenziali per il Tempo; benché non tutte gli
appartengano direttamente ed esclusivamente:
oggi jeri 355. Da queste si formano secondo il bisogno
altre molte Espressioni composte, che per altro sarà bene scrivere
separatamente: Come prima d'oggi va jur
| poco prima fu va prima di jeri va jer | molto prima fi va prima di domani va jor | appena prima do
vàdopo d'oggi vi jur l poco dopo fu Ur
dopo di jeri ขะ jer molto dopo
fo vi. dopo di domani U jar
| appena dopo do vi mezz'
oggi та зит mezzo jeri
ma jer mezzo domani ma jar ес.
ес. ес. 356. Se le Espressioni va e vi sono
accompagnate da Nome di Oggetto, come « prima di Gior-no, dopo la Scuola ec.»,
questo Nome è sempre nella Situazione di semplice nominante (332): Quindi si tradurrà «va a juro, vi 1 exolo ec.
». L'espressione ma (mezzo) si
usa non solo pel Tempo, ma ognivolta che si esprime la metà d'una Cosa
qualunque; avertendo, che il Nome di Oggetto è puramente nominante, e che non
deve avere Segno di Numero generico, perché inteso di sua natura: Quindi « mezza
Casa, mezzo giardino, ec. » si dirà «ma mesoo, ma jardeo, ec. ». Il Segno per le estese
Espressioni (143) di Tempo passato sarà l'Orale y aggiunto al Nome di Oggetto
esprimente Tempo: Quindi « un ora fà, due giorni Pa, tré settimane la, ec. » si
tradurranno «na uroy, vu juroy, tre semenoy, ec.». Le estese Espressioni di
Tempo futuro essendo il preciso Opposto di quelle di Tempo pas-sato, si
formeranno con quelle di Tempo passato (358) preponendo alla Voce di Oggetto il
segno di Opposto (297). Quindi « da qui ad un ora, da qui a due giorni, da qui a trè
settimane, ec. » si tradurranno «no duroy, uu ájuray, tre âse menoy, ес. ».
PUNTO XVII.® Fissare i Segni pel generico Aumento e
Decremento in tutte le Cose 360. Per
esprimere in un Oggetto Qualità o
'Azione qualunque (‹48) il generico Aumento, aggiugniamo alla Parola
l'Orale d; e per esprimerne il generico Decremento, aggiugniamo p: Quindi abbiamo Aumento Decremento Casa, ec.
Libro, ec. Cavallo, ec. mesoo
livro cevalo mesood
livrod cevalod mesoop
livrop cevalop dolce, ec.
• amaro, ec. virtuoso, ec.
vertuul dul amel
duld ameld vertuuld
dulp amelp vertuulp
fuggire, ec. fuya dormire, ec. dorma parlare, ec. parla furad
dormad parlad fugap
dormap parlap Fissare la Teoria per le Azioni e
Qualità modificate 361. Le Modificazioni che possono subire le
Azioni e le Qualità, sono pressoché infinite, e tutte radicalmente diverse trà
loro. Quindi tutte debbono essere in ogni circostanza espresse dalla Voce loro
particolare. Quindi non possiamo per esse fissare altra Legge, che quella già
stabilita per le Voci di Variazione (352); cioé che « Le Voci esprimenti
Modificazione debbono sempre immediatamente precedere la Voce di Azione o Qualità modificata ». PUNTO XIX.
Fissare i Segni di Confronto 36z.
Nella nostra Lingua to, 216, 20 significano
— to tanto — zu più — vo meno -
Ciò posto, per esprimere l' Eguaglianza o Differenza risulrante da qualunque Confronto,
alla Voce di Confronto cioè alla Voce esprimente l'Azione o Qualità per cui si
fa il Confronto, aggiugniamo la lettera iniziale d'una delle tré fissate
monosillabe to, zu, vo, secondo la natura e diversità del Confronto medesimo. 363. Queste Lettere iniziali aggiunte a
qualunque Voce di Confronto significano precisamente - E al pari di - z più di - a meno di -Quindi
il Nome dell'Oggetto seguente ciot. del secondo Oggetto confrontato (153),
dovrà semplicemente essere nella situazione di nominante (330, 832). Fissando
che correva nella nostra Lingua si dice be xurrà, e che saggio si dice sajel,
avremo dunque: Egli è saggio al pari di
loro (essi) Egli e saggio più di
loro Egli è saggio meno di loro Le ba sajelt lus La ba sajelz les Le ba sajelo lu Paolo correva al pari di me Paolo correva più di me Paolo correva meno di me Pol be xurrèt mi Pol be xurraz mi Pol be xurràs m PUNTO XX.°
Fissare i Segni caratteristici per ciascun Genere di Cose Derivate Verbi. Queste Derivazioni si anno, tanto
dalle Voci radicali come dalle Parole già derivate; ed ecco il modo di
esprimerle, qualunque ne sia la provenienza.
Alla Voce, sia radicale sia derivata, da cui abbiamo Derivazione I.° Per esprimere Oggetto-astratio derivato,
si aggiugne l'Orale s: Il.° Per esprimere
Qualità derivata, si ag-giugne il Guttarale lungo $:IlI.° Per esprimere
Modificazione, si aggiu- gne l'Orale
m: IV.° Per esprimere Verbo derivato, si
aggiu-gne l'Orale b, aumentandolo dell'a caratteristico (321) onde formare il
presente del Modo Ge-merico determinante (353) — Quindi il b nell' ultima
sillaba d' una Voce qualunque di
Azione indica costantemente, che la Voce
è derivata. Ecco perché nelle Radici di Azione abbiamo soppresso il b finale
(324) - Avremo dunque AVVERTENZA Sulle Voci di Modificazione, e sugli Orali
finali 365. Da ogni Voce di Qualità sia
radicale sia derivata, possiamo avere una Voce di Modificazione (164, 188); e
le Modificazioni si esprimono sempre coll'aggiugnere alla Voce un m (364).Ora
le Qualità possono subire un Massimo
Aumento o Decremento assoluto (124, 127), per esprimere il quale
aggiugniamo alla Voce ,quali-tativa un g (347, 348); ed é facile intendere, che
le Qualità anche giunte al lora Aumento o
Decremento Massimo assoluto, pussono essere modificanti - Dunque.per
esprimere la Modificazione proveniente da Voce Qualitativa aumentata o
diminuita al suo Massimo assoluto, non dovremo che aggiugnere il generico Segno
m alla Voce Qualitativa di Massimo
assoluto Aumento o Decremento - Quindi avremo :
dolcissimo dulg amabilissimo emig amarissimo
amelg paternissimo perotg doleissimamente dulgm
amabilissimamente emigm
amarissimamente amelgm paternissimamente peroigm 366. Nelle nostre Parole Derivate di
qualunque specie, si trovano spesso varj suoni Orali insieme uniti alla fine
della Parola. Io veramente & pro-curato, che le combinazioni generiche di
questi Suoni Orali finali riescissero facili a pronunziarsi. Siccome peró la Pronuncia di questi
accumulati Suoni finali potrebbe a
qualcuno riuscire men fa-cile, stabiliamo che «Nella Pronunzia quando si
voglia, è permesso introdurre frà l' ultimo e penultimo Suono Orale un
piccolissimo Suono Gut-turale, simile al Suono da noi chiamato cessante (37,
IL.°).•Per le Derivazioni da Radice di Oggetto
Determinato Dalle Radici di Oggetto
deriva generalmente una Voce di Qualità (‹62), che si esprime coll'aggiugnere
alla Voce radicale il Gutturale lungo i (364). Questa Derivazione qualitativa
esigge una particolare avvertenza per le Radici di 0g-getto Determinato, stanteché
desse non prendono l' o finale caratteristico (316). Abbiamo già fissato (317),
che le Derivazioni da Radice di Oggetto Determinato, in iscritto debbono avere
la lettera iniziale majusco-la - Inoltre, se la Radice di Oggetto Determinato
finisce in Gutturale lungo o in Orale, per la Derivazione di Qualità le
aggiugniamo l'i, secondo la Regola generale (364). Ma se la Radice di Oggetto
Determinato finisce con Gutturale breve, allora per la Derivazione di Qualità
questo Suono breve finale si cangia in i caratteristico di Qualità Derivata.
Quindi da Part Parigi avremo Pari parigino
da Vin Vienna avremo Vint
viennese da Rome o Roma, avremo
Romt romano da Itale o
Italia avremo Itali italiano.Fissare la
Teoria per distinguere le Prime Derivazioni
dalle Seconde 36g. Nella nostra Lingua
le ultime lettere delle Parole anno sempre il loro significato o valore
particolare (386); ad eccezione delle poche Voci che formano come la Base
grammaticale e che si apprendono molto facilmente coll' uso - Quindi,
conoscendo il limite finale di ciascuna Radice, per vedere se la Voce derivata
é di prima o se- gnersi alla Radice. Se
la Radice trovasi aumentata d'una Lettera sola, la Voce é di prima
Deriva-zione; e se trovasi aumentata di più Lettere, la Voce è di secondo
Derivazione. Si richiami (181) che diciamo di Seconda Derivazione, tutte le
Voci derivanti da Voce già derivata; sia questa di prima o seconda Derivazione
essa stessa. Si avverta, che le prime
Derivazioni da Radice Verbale, ad eccezione dell' Oggetto-astratto, non
prendono Aumento ma cambiamento finale; come abbiamo già veduto (353), e come
vedremo nel seguenteFissare i Segni per
le trè speciali Derivazioni dalle Voci
di Azione 370. Dalle Voci di Azione
oltre una Qualità ed un Oggetto-astratto possiamo avere tré speciali Derivazioni, cioé Voce-attiva, Voce-passiva,
e comprensione (te Quene ieri ni spec,
si marcano nella nostra Lingua,
cangiando l'a caratteristico della Voce Verbale (321) per la Voce-attiva, nel Gutturale lungo à per
la Voce-passiva, nel Gutturale lungo è per la Quulità, nel Gutturale lungo i
per l'Oggetto-attore, nel Gutturale lungo o
Rapporto all'Oggetto-astratto, per la Regola generale già stabilita
(364) si aggiugne l'Orale s alla Voce Verbale - Quindi « xultiva, ema, bles-sa,
dulba» significando «coltivare, amare, ferire,
dolcificare», avremo coltivare
ec. xultiva ema blessa dulba coltivante ec. xultivà emà
blessd dulbà coltivato ec.
xultivè emè blesse dulbè
coltivabile ec. xultiv emi blessi
dulbi coltivatore ec. xultivó emò blessò dulbò
coltivazione ec. xultivas
emas blessas dulbas. Fissare la Teoria
per esprimere i Verbi 378. I Verbi da
noi si esprimono in una sola Parola soltanto al Modo Generico (‹36). Negli
altri Modi li esprimiamo sempre con due Voci, una di Giudizio l'altra di Azione
(137). La Voce di Azione poi sarà attiva o passiva (370), secondoché è attivo o
passivo (170, 171) l'Oggerto Cardinale;
avvertendo che nella nostra Lingua l'Oggetto Cardinale deve sempre accompagnare
(303) la Voce di Giudizio - Quindi
avremo : io amo ma ba emà | sono amato mi ba emè tu ami
la ba emà | sei amato tz ba
emè egli ama le ba emà | è amato la ba emè noi amiamo mu ba emà | siamo amati mu ba
emè voi amate tu ba emà | siete amati tu bo emè essi amano. Lu ba emà | sono amati lu ba
emè Lo stesso dicasi di tutti gli altri
Modi e Tem-pi, pei quali furono già fissate le occorrenti Voci di Giudizio (304
e seg.); facendo solo attenzione, che «amo, amava, amai ec.» equivale a « sono
amante, era amante, fui amante, ec.».372. Abbiam detto (371), che l'Oggetto
Cardinale deve sempre accompagnare la Voce di Giu-dizio. Questo però non
toglie, che possano darsi di seguito più Giudizj con un sol Oggetto Cardi-nale,
espresso una volta sola: Come «Voi legge-
• te, leggeste, e leggerete »; oppure « Voi amate lo studio, abborrite
l'ozio, seguite la virtù, ec.». Ciò
premesso, l'indole e l'intrinseca natura della nostra Lingua ci guida
naturalmente alle due seguenti Osservazioni.
I.° Quando si abbiano di seguito più Giudizj di Azioni trà loro diverse
espressi allo stesso Modo e al Tempo medesimo, se si riferiscono ad un solo
Oggetto Cardinale, basta esprimere la
Voce di Giudizio e quindi anche l'Oggetto Cardinale una volta sola: Cosi
«io scrivo, leggo, chiamo, voglio ec.» si tradurranno «mi ba exri- và, lisà, appellà, vulà, ec. ». Il.° Avendosi di seguito più Giudizj della
stessa Azione espressi allo stesso Modo ma in Tempi diversi, quando si
riferiscano ad un solo Oggetto Cardinale, basta esprimere la Voce di Azione una
volta sola, facendola precedere da tutte le occorrenti Voci di Giudizio: Quindi
« tu ami, amavi, amasti, avevi-amato, amerai ec. » si tradurranno «t ba, be,
bi, bo, bu emà, ec.». Potrebbero farsi
molte consimili Osservazionianche relativamente ad altre Parti Grammaticali; ma
la prattica Circostanza, il Buon-senso e l'A-
nalogia sapranno suggerirle ad ognuno.
PUNTO XXIV.® Fissare i Segni per
le trè Numeriche Derivazioni
speciali Dalle Radici Numeriche
abbiamo Derivazioni di Oggetto-astratto (177), come « unità, ambo, terno,
decina ec. » e Derivazioni di Qua lita, come « primo, secondo, decimo ec.»
(176) formanti i così detti Numeri ordinali. Queste due generiche Derivazioni
da noi si esprimono colla Regola generale già stabilita (364); avvertendo, che
ultimo non potendo derivare da Voce nume-rica, sarà da noi espresso con derni
dal francese dernier. Inoltre dalle
Radici di Numero abbiamo tré Derivazioni speciali (177), cioè Quantità
mul-tiple, Parti aliquote, e Numeri di costante ripe-cizione; e per esse
fissiamo il Segno caratteristico, come siegue : I.° Per esprimere le Quantità
multiple aggiu-gniamo alle Radici di Numero (334) l' Orale x - Quindi «doppio,
triplo, decuplo ec. » si dirà «zux,
втех, пачех, ес. ». Il.° Le Parti
aliquote sono il preciso Opposto dei Multipli (‹78): Quindi le esprimeremo
colle Voci dei Multipli, preponendo loro il Segnodi Opposto (297) - Quindi «
sudduplo; suttriplo; suddecuplo ec.» si
dirà «avux, atrex', anazex, ec.». III.°
Pei Numeri di costante ripetizione ag-giugniamo alle Radici numeriche un f:
Quindi «a uno a uno, a due a due, a dieci a dieci ec. » si dirà «naf, vuf, nazef, ec. ». 375. Richiamando le Voci radicali numeriche
già fissate (334, e seg.), ecco il Quadro comprendente ogni Specie di Numeriche
prime Deri-vazioni. Questo Quadro può, come tanti altri, essere proseguito a
piacimento; e colla massima facilità può ciascuno utilmente continuarlo da
se. Radici Unità primo
doppio sudduplo a uno a uno
ec. ес. ec.
ec. ес. nas
nat ... naf บน vUS
vut VUX avux ขนf° tre
tres tret trex
ätrex tref fe
fes fer fex
afex fef fis
fit fix afix
fif 2 es os et
Вех axex sef •
. Ice. las
lai lax alax
laf tos toi
tOX atox tof
nos. not ПОХ
anox nof AVVERTENZA
Sul distinguere le Voci Radicali dalle Derivate 376. Le Radici per la nostra Lingua
prendendosi dalla Lingua Francese, é di molta importanzail sapere ben
distinguere nella Lingua Francese medesima le Voci radicali da quelle che sono
derivate; e su ciò non di rado sorgeranno pratti-camente dei dubbj e delle
difficoltà. Il fissare tutte le Voci che debbono considerarsi Radicali, spetta
ad un Accademia che si occupasse della Formazione del Dizionario; steso il
quale, ogni diff- coltà è svanita. Intanto per facilitare questa necessaria
Distinzione richiamero (99), che le Voci Radicali debbono esprimere Cose
esistenti sia in Natura sia in Immaginazione; laddove le Voci derivate
esprimono Cose, che anno la loro base su qualche Idea radicale - Quindi «Virtù,
Bellezza, Deformità ec.» non sono Voci radicali, perché tali Oggetti non esistono né in Natura né in Immagi-nazione;
ossia sono Voci Derivate, perché la loro espressione si londa sulle Idee
Radicali «virtuoso, bello, deforme ec.», esistendo in Natura degli Esseri
belli, virtuosi, deformi. Parimenti sono Voci radicali « Marte, Venere, Apollo,
Fenice, Elicona ec. »; perché esprimono Oggetti, i quali anno reale esistenza
nella nostra Immaginazione. Nella nostra
Lingua poi le Voci Radicali si distinguono dalle Derivate pei Segni
caratteristici, che abbiamo finora fissato per ciascun Genere di Cose tanto
derivate che radicali.377. La Teoria delle Derivazioni e la semplice maniera di
esprimerle, formano la Parte più bella più facile più feconda e più matematica
della nostra Lingua. Infatti data una Voce Radicale, possiamo secondo il
bisogno formarne all'istante moltissime brevi Parole, tutte diverse e distinte
frà loro; Parole, a ciascuna delle quali è attaccata la sua distintissima Idea
conveniente; Idee e Parole, la massima parte delle quali nelle Lingue usate non
esiste. Parimenti data una Voce derivata qualunque, analizando noi possiamo con
eguale facilità riportarla alla sua Radice o Voce primitiva. Stante la regolarità e costanza delle Leggi
finora fissate per le varie Derivazioni, il Dizionario della Lingua Universale
non dovrebbe contenere, che le poche Voci Stabili (313) e le semplici Radici
Variabili (311). Quindi questo Dizionario si ridurrebbe ad un piccolissimo Volume. Siccome dalle Voci Variabili si à
generalmente una Derivazione di Qualità, e dalle Voci di Qualità si può
generalmente avere una Derivazione verbale; possiamo dire, che da ciascuna Voce
variabile può aversi qualche Voce verbale.
Quindi molto interessa conoscer bene tutte le De-rivazioni, che si
possono avere dalle Voci verbali in genere - Eccone il Quadro; avvertendo, che
le qui usate barbare Voci italiane si pongono soltanto per richiamare
possibilmente la forza ed il valore di ciascuna Derivazione.emibi abbiamo •
amabilizabilmente emibim
amabilizabilità emilis. - La penultima Sillaba diventa breve
necessariamente, ognivolta che sia lunga l'ul-tima: Vi & peró lasciato
so- -
pra l'Accento, onde rilevarne più facilmente la Derivazione. amatorio
emot amatoriamente emöim |Fissare
il Distintivo per le Cose determinanti-oggetto
378. Ogni Sostantivo determinante-oggetto deve essere preceduto dal
Segno fissato per questa Si-tuazione, vale a dire dalla Voce de, oppure de o di
secondo i varj casi già analizati (330, 330).
Quindi «Il Principe di Napoli» si
tradurrà « z prenso de Naple»: « La Virtù del Principe e dei Soldati ec.» si tradurrà «a vertuuls di
prenso e du soldao ec. ». Ogni Qualitativo
determinante oggetto deve sempre immediatamente precedere il Nome dell'Oggetto
medesimo. Quindi « Il Principe virtuoso e giusto " si tradurrà «z vertuul
e justel prenso ». Ogni Voce ossia
Giudizio di Azione de-terminante-oggetto dev'essere preceduto dalla Voce xe,
corrispondente alle italiane quale e quali — Quindi «Il Principe, il quale ama
i Popoli » si tradurrà «‹ prenso, xe ba emà su puplo": E «I Principi, i
quali amano il Popolo» si tradurrà «« prenso, xe ba emà se puplo». PUNTO XXVI.°
Fissare il Distincivo per le Cose determinanti-azione 38r. Il Sostantivo determinante-azione
dev'essere preceduto dal Segno fissato per tale Situazione,vale a dire dalla
Vuce se oppure si o su secondo la varietà delle circostanze (330, 332). Quindi
« tu ami la virtù, essi cercavano me, voi troverete i libri» si tradurranno «te
ba emà se vertuuls, lu be cerià se me, iu bu truvà su lero ». 382. Il Distintivo del Giudizio
determinante-azinne consiste, o nell'essere questo Giudizio espresso al Modo
Generico determinante (353), o nell'essere preceduto dalla Voce xe, corrispondente
all'italiana che. Quando il Giudizio
determinante-azione debba esprimersi in Modo Generico, e quando debba essere
preceduto dal xe; essendo preceduto dal xe, quando porsi debba in Modo
Indicativo, e quando in Modo Indefinito; finalmente in qual Tempo debba essere
espresso a norma delle varie circostanze, fù già dettagliatamente analizato ed
esposto (204 e seg.). PUNTO XXVII.® Fissare i Pronomi Determinanti oggetto 383. I Pronomi determinanti-oggetto (215),
re-Jativamente all'Oggetto che determinano, nella nostra Lingua sono
invariabili, cioè servono egualmente a tutti i Numeri e Sessi; e relativamente
all'Oggello che richiamano, quelli di Oggerto
per ciascun Sesso. 384. Quando
l'Oggetto determinante sia quello stesso ch'è già Cardine di Giudizio, non
dovremo che indicare questa particolar circostanza; e ciò col mezzo del Segno
generico só, già fissato pel Pronome
rifesso (302). 385 Ecco per la nostra
Lingua l'Espressione di ciascun Pronome determinante-oggetto; Espressioni
provenienti dalle Voci già fissate (298, 30s):
mio, mia, miei, mie me | nostro, nostra ec. mue tuo ec.
te I vostro ec. tue
suo ec. (maschile) le | loro ec. (masc.) lue suo ec. (femminile) éle |
loro ec. (femm.) elue suo ec. (neutro) ole | loro ec. (neut.) olue Pronome riflesso ... riflesso
SÓ PUNTO XXVIII.® Fissare i Pronomi Indicanti-oggetto 386. Stante l' analogia di Espressione, noi
prendiamo questi Pronomi dalle Voci radicali sa, sa, 20 (345), aggiugnendo loro
r: Quindi avremo per tutti i Numeri e Sessi
questo, questa es. sar — codesto ec. sar - quello ec. zar. ciò si traduce sempre sar: ciò che si
traduce sxe, cioé sar xe.Quindi si dirà: questo giardino & sar jardeo questi giardini u sar jardeo
codesto Popolo 1 2 ar puplo codesti Popoli «s os ar puplo quella Città
‹ zar vilo quelle Città u zar milo
ciò fù detto sar bi disé da ciò vedete
ge sar iu ba vogà ciò che
dite sxe tri ba disc ciò che farai
sxe to bu fesa medita ció che
leggi — bar ti medità se sxo il ес. ес.
ес. ba hisa, ec. PUNTO XXIX.®
Fissare i Pronomi Generici speciali
387. Dei due Pronomi generici cardinali (219 e seg.) l'uno cioè il si
italiano (francese on) si traduce ome; l'altro cioè egli (francese il) si
traduce sar, significante ciò (386) - Quindi avremo: • :
388. Dei due Pronomi generici non cardina-li (223 e seg.) l' uno cioè ne
italiano (francese en) si traduce be, se richiama un Oggetto relati-vato; e se
richiama un Oggetto cominciante, si traduce ye: L'altro cioè il vi o ci
italiano (fran-cese y) si traduce le, se richiama Oggetto termi-nante; e se
richiama Oggetto contenente, si traduce r. Quindi avremo quattro Pronomi
generici non cardinali, come dagli esempi seguenti: Essi ne vollero le be ye vulà
Prendetene bar tu ye prend Tu ne troverai tz bus le truvà Vi andrò
ma bu be allà Vi erano entrati lu
bo yu antrà Egli non v'è le aba y età.
Tu vai a Roma, ed io ne vengo - te ba allà pe Roma, e mi ba y e venà. PUNTO XXX.°
Fissare la Teoria per le Azioni, MOTITO di Moto 389. Quando non si esprime il Lungo termine
di Moto, l'Azione motivo di Moto si pone al Modo Generico determinante (353)
senza farla precedere da alcuna Voce o Segno particolare; e precisamente come
in Francese - Quindi avremo: Andarono a
scrivere Ella verrà a trovarvi. Vado a chiamare ec. lu bi allà exriva èl bi venà se tu truva mi ba allà appella
ec.390. Esprimendosi il Luogo termine di Moto, l'Azione motivo di Moto si porrà
egualmente al Modo Generico determinante; ma si farà precedere dalla Voce pur,
che nella nostra Lingua significa motivo, cagione ec., ciot significa per,
onde, affine di, ec. — Quindi avremo :
Vado in Città a prendere ec, ma bos alla pr vilo pur prena ec.
Venite in Italia a vedere ec. bar tu venà pe Itale pur voya ec. Andremo al Teatro a sentire ec. mu bu allà pi teatro pur exula ec.. PUNTO XXXI.®
Fissare la Teoria per le Voci di più Significati 39r. Nella Lingua Francese come in ogni altra
vi sono delle Parole, che anno più Significati.
Quindi nel fissare le Radici per la nostra Lingua è necessario far
attenzione, che ogni Parola abbia un solo Valore; o almeno é necessario
precisare i varj Valori d'una stessa Parola, assegnando la prattica circostanza
in cui debba usarsi ciascuno - Questa Materia però è riservata all'Accademia,
che si occupasse della Formazione del Dizionario. Io quindi mi limito ad avvertire, che avendo
noi fissato le occorrenti Voci di Giudizio (304 e seg.), eta dal francese étant
significherà unicamente ed esclusivamente stare (latino munere);significato,
che la usata Voce di Giudizio suol già avere presso tutte le Lingue - Quindi si
dirà: Egli è in Roma Essi erano in Città Tu fosti vicino a lui Sarò in Teatro l ba età ce Rome lus be età ci vilo ti bi età
fur li mi bi età ci teatro ・ PUNTO XXXII.®
Fissare i Segni per le Espressioni Sentimentali • 392. E impossibile indicare convenientemente
in iscritto le improvise irresistibili Espressioni del Sentimento. Pure, perchè la nostra Lingua non
sia del tutto mancante di tali Espressioni, noi fissiamo per esse i cinque
Segni seguenti ah, eh, ih, oh, uh. Il
Segno h non à alcun suono (282), e serve solo ad accennare un sentimentale
prolungamento di suono gutturale. Ecco
il Significato dei cinque Segni fissati, i quali debbono sempre essere seguiti
dal cosi detto. Punto ammirativo -
Siccome a ciascun Segno corrisponde più d'un valore, sarà bene avvertire che il
Senso ne farà praticamente conoscere, quale dobbiamo applicarvi in ogni
particolar circostanza. ah! eh!
ih! oh! uh!
dolore | stupore I gioja | desiderio | sdegno sorpresa | ammirazione | piacere |
augurio / disprezzo terrore
| disapprovazione I orroreFissare
le Regole di Sintassi e di Ortografia La Sintassi della nostra
Lingua é la Sintassi ragionata (232); avvertendo solo, che dove si arresta la
Voce, abbiasi possibilmente Parola con Suono Gutturale finale. Rapporto all'Ortografia per
ciò che non fü da noi particolarmente fissato, seguiremo l'Orto-grafia
Francese; coll' avvertenza, che la nostra Lingua esclude assolutamente l'
Apostrofe. AVVERTENZA Sui Segni Finali
3g5. Nel percorrere la prima volta le Teorie qui fissate per la nostra
Lingua Universale, può sembrare che i Segni Finali destinati alla Distinzione
delle Cose, sieno pel loro numero imbarazzanti di troppo. Ed infatti le
moltiplici Derivazioni e Trasformazioni da noi esposte regolarmente e per
esteso, producono in Chi legge un sentimento poco vantaggioso - Quindi per
togliere quella contraria prevenzione che può aver prodotto una specie
d'illusoria apparenza, richiamo qui di seguito tutti i Segni Finali;
avvertendo, che si riducono a soli ventiquattro, e che ciascuno di essi à un
solo valore e sempre lo stesso.Segni Finali
Significazione Radice di
Oggetto Radice di Qualità Radice di Rapporto presente )
e passato ) Modo Generico
Deter-• futuro ) minante น Modo
Generico Accompagnante à Voce-attiva
Voce-passiva
Oggetto-attore Derivazione
Qualitativa тт Modificazione Oggetto-astratto Verbo derivato Massimo Aumento assoluto Massimo Aumento relativo Deterioramento
d Aumento generico Decremento generico Confronto di Eguaglianza Confronto in più Confronto in meno x .
Quantità Multiple Numeri di
costante Ripetizione Si dirà forse, che
questi Segni riescono imba razzanti e diffcili, quando trovansi uniti sui alla fine di in anso Prodnsi uni di
se ta, che il loro valore è costante:
Quindi la stessa unione di Segni Finali presenta sempre la medesima
espressione: Quindi tali Unioni essendo limitatissime in numero, possono
specialmente e dettagliatamente fissarsi. Cosi per esempio, stabilito una volta
che gm corrisponde all' issimamente degli Italiani, e sapendo che «dul, emì,
peroi» significano « dolce, amabile, paterno», qual Italiano non intenderà
subito la furza delle Espressioni dulgm, emigm, peroigm, e di tutte le altre
possibili che terminassero in gm? - Questa osservazione si applichi a qualunque
altra Unione di Segni Finali. Altronde è rarissimo il caso, che abbiansi
praticamente delle Parole con più di trè Segni Finali; e le Derivazioni verbali
da noi esposte (377), sono più di lusso metodico che di uso reale; ad eccezione delle eccezione delle prime undici, le quali per
altro sono della massima semplicità.3g6: Sarebbe molto facile assegnare la sua
Espressione vocale a ciascuna delle cosi dette Congiunzioni Preposizioni
Avverbj ec., insomma alle Voci Stabili che s'incontrano più frequentemente nel
Discorso: Ma tale Operazione è riservata ad un Accademica Società - Mi sarebbe
parimenti stato assai facile scrivere o tradurre qualche Squarcio nella mia
Lingua Universale, applicandovi le Regole più essenziali esposte finora. Ma
ogni Lingua dev'essere scritta e specialmente stampata coi suoi Caratteri
particolari; e questi Caratteri ancora non si anno pel nuovo Linguaggio -
Quindi conchiuderò questo mio Travaglio, indicando quanto facilmente potrebbe
in Europa eseguirsi il presentato Piano di Lingua
Filosofico-Universale.PROGETTO DI ESECUZIONE
• • 1. CoL Favore d'un MecENATE
filosofo generoso e potente dovrebbe in qualche distinta Città d' Europa
formarsi una Società di circa dodici Scien-
ziati. II. Questa Società
dovrebbe occuparsi della Formazione del Dizionario e Grammatica; e dovrebbe
anche produrre un piccolo Volume scritto nel nuovo Linguaggio. III. Questi Dizionario Grammatica e Volumetto
in Lingua Nuova dovrebbero comunicarsi alle varie Nazioni Europee; perchè
ciascuna col mezzo delle sue giù esistenti scieritifiche Accademie potesse
farvi le sue ragionate Osservazioni. IV.
In seguito dovrebbe radunarsi un Accademia
Generale, composta di circa quaranta scienziati In- dividui, scelti dalle diverse Nazioni Europee
in ragione di uno per ogni quattro Millioni circa di Popolazione.
V. Nell' Accademia Generale dovrebbero nuovamente ponderarsi le
Produzioni della prima Società (II); e gli Accademici presenterebbero le
Osservazioni della propria Nazione (III).
VI. Col Voto dell' Accademia Generale stabilito quindi e prodotto il
Dizionario la Grammatica e qualche Volume in Lingua Universale, queste
Opereformerebbero il Codice e il Testo permanente della Nuova Lingua.
VII. Durante l' Accademia Generale, gli Accademici di ciascuna Nazione
seguendo la Serie delle Decisioni Generali, potrebbero formare e Grammatica e
Dizionario per la propria Nazione. VIII.
Il Mezzo di Comunicazione per l' Accademia Generale sarebbe la Lingua Francese.
Quindi anche la prima Società (I) dovrebbe scriver tutto in Francese. IX. Le Spese occorrenti ripartirsi dovrebbero
sui varj Governi Europei in ragion di Popolazione — Ogni Governo poi potrebbe
facilmente indenizarsi del sostenuto Dispendio, facendosi per qualche tempo
privativa la Stampa delle Opere in Lingua Uni-versale. X. In meno di quattro o cinque Anni (a)
sarebbe così regolarmente sistemata in Europa una Lingua Filosofico-Universale;
e ognuno comprende con quanta facilità questa Lingua sarebbe poscia adottata
dalle Persone Colte di tutti gli altri civilizati Paesi del Globo.
(a) Mi riservo a far conoscere in seguito il Modo, con cui debbono
studiarsi le Lingue; ed intanto asserisco che avendosi Grammatica e Dizionario
per questa Lingua Univer-sale, quando la si studiasse col nuovo mio Metodo, può
chiunque in trè Mesi abilitarsi anche a scriverla perfettamente; benchè non
abbia alcuna cognizione di Lingua Francese.INDICE DICHTARAZIONE DELL'AUTORE DISCORSO PaRLIMINARE ・- ANALISI DEL LINGUAGGIO Introduzione
- pag. 5
"7. - » 15
PARTE PRIMA DELLE VOCI,
ELEMENTI DEL DISCORSO " 17 Voci Radicali -
» 18 Voci di Cosa -
- " 19 Oggetti -
- ivi Qualità -
- - 20
Azioni - - -
21 Voci di Giudizio -
• . » 23
Verbi - -
24 Voci di Rapporto -
- 25 Luogo -
- - ivi
Tempo - -
- » 26 Tempo
» 28 Tempo
- - -
ivi Numero - -
- - -
- » 29 Ordine
♥ - -
30 Sesso -
- - 3I
Modificazione - - 32 Variazione. -
33 Aumento e Decremento ivi
Confronto ..Eguaglianza - • -
pag. 35 Differenza - - n
36 Somiglianza - - » 37 Identità
- - » ivi
Approssimazione - -
- - » 38
Dichiurazione - - » ivi
Connessione- - - »
39 Esclusione » ivi
Sulle Voci di Rapporto » 40 Voci Derivate
- - » ivi
Derivazioni dalle Radici di Cosa -
» 41 Dalle Radici di Oggetto - »
ivi Avvertenza - -
- » 42 Dalle Radici di Qualità -
- » ivi Voce di Modificazione » 43
Sostantivo-astraito di Qualità -
» ivi Verbo derivato - »
44 Dalle Radici di Azione - »
45 Voci Attive e Passive - »
ivi Dalle Radici di Azione Determinato »
47 Voce Attiva - - », ivi
Sostantivo-astratto di Azione »
ivi Nome di Attore - » 48
Dalle Radici di Azione Indeterminata » ivi Voce Passsiva
- » 49. Nome Qualitativo » ivi
Avvertenza - » 50
Derivazioni dulla Voce Radicale di Giu-
dizio » 51 Del l'ardine di Giudizio - »
52 Del Tempo -
- » 53 Natura del Giudizio -
- 34 Giudizio Generico - - - pag. 55
Generico Determinante » 56 Generico Accompagnante » 58
Giudizio Definito - " 59
Definito Indicativo - » 60
Indicativo Isolato - » ivi
Indicativo Dipendente - », 63
Definito Condizionato - - » 65
Condizionato Ineseguibile - »
66 Condizionato Eseguibile " 67
Giudizio Suppositivo - - »
68 Giudizio Volitivo - -- »
70 Giudizio Ottativo -
- - " 72
Ottativo Ineseguibile - - ” 7ろ Ottativo Eseguibile -
" 74 Avvertenza - - »
ivi Giudizio Condizionante -
»75 Giudizio Indefinito - » 77
Dei Giudizj Condizionati •»
8I Giudizio Interrogativo » 82
Sulla Voce di Giudizio » 84 Derivazioni dalle Radici di Rapporto » 85
Dalle Radici di Luogo » 86 Dalle
Radici di Tempo » ivi Dalle Radici di Numero " 87
Sulle Derivazioni in genere
= » ivi Voci Sostituite. - - »
88 PARTE SECONDA • DBLLE VOCI, PARTI DEL DISCORSO • 89
Determinazione delle Voci »
ivi Determinazione degli Oggetti -
Qualitativo determinante-oggetto
pag. Sostantivo
delerminante-oggetto - 92 Verbo determinanto oggetto 94
Determinazione delle Azioni
ivi Sostantivo
determinante-azione - 95 Giudizio determinante-azione 97
Sui Giudizj determinanti-azione
98 Modo pei Giudizj determinansi- azione ivi
Tempo nei Giudizj determinanti- azione 100
Della Voce Che - » I01
Giudizin precedente il Che
ivi Giudizio seguente il Che » 102
Avvertenza » 103 Situazione degli Oggetti » 105
Oggetto Cardinale - » ivi
Oggetto Nominato - " 106 Oggetto Determinante-oggetto » 107
Ogretto Determinante-azione -
ivi Oggetto Chiamato .
ivi Oggetto Indefinito -
108 Oggetto Contenente -
ivi Oggetto Relativato -
109 Oggetto Ricevente -
- IIO Oggetin Terminante -
ivi Oggetto Cominciante ivi
Sull Ordine diretto e inverso nelle Azioni III
CONcLUSIONE - -LINGUA
FILOSOFICO-UNIVERSALE Introduzione - pag.
115 PARTE PRIMA • LINGUA GENeRICA -
- » 117 Delle Parole
- - - »
118 Delle Parole Fuggevoli - ivi
De Suoni Gutturali - - " 119
Gutturali Semplici e Composti
ivi Gutturali Brevi e Lunghi » 120
De' Suoni Orali - » I21
Orali Ordinarj e Forzati »
122 Avvertenza -
» 123 Delle Sillabe nelle Parole
- ivi Della Posa nelle Parole -
» 126 Delle Parole
Permanenti - - »
127 Segni de' Suoni Gutturali - » 128
Gutturali Brevi e Lunghi »
129 Segni de' Suoni Orali -
» ivi Orali Ordinarj e
Forzati » 130 Orali Finali • » ivi
Avvertenza - " 132
Dei Giudizj - - -
- - » 133
Delle Parti costituenti un Giudizio » 134 Dell' Esprimere l' Opposto nelle Cose
» ivi Del Segno di Numero
Generico negli Oggetti -
. - » 135
Del Sesso negli Oggetti Degli
Oggetti, Cardine di Giudizio pag. 136
Dell'Uggetto Giudicante - "
ivi Dell'Oggetto Ascoltanto - * 137
Avvertenza »ivi Del Terzo Oggetto - - *
138 Del Pronome Riflesso . *
139 Sugli Oggetti, Cardine di
Giudizio • 140 De varj Tempi, ai quali possono
riferirsi i Giudizj - - »
141 Tempo Passato, Futuro e Presente »'1
3 Tempo Determinato e Indeterminato »
ivi Tempo Presente » 143
Tempo Passato e Futuro - »
144 De varj Modi, ne' quali possono
for- marsi i Giudizj - » iviModo Generico -
" 145 Modo Indicativo - - » 146
Modo Condizionato - » 147
Avvertenza. - - »
ivi Modo Suppositivo • »
148 Modo Volitivo - » ivi
Modo Ottativo - » 149 Modo Condizionante - ) ivi
Modo Indefinito » ivi Modo Interrogativo - » 150
Delle Voci indicanti Giudizio
Tempo e Modo - - - " 156
Dei Fonti Primitivi de' Giudizj »
152 Degli Oggetti -
- » ivi Denominazione degli Oggetti - »
153 Situazione digli Oggetti " 154
Sostantivo Cardinale Sostantivo
Nominante Avvertenza -
Sostantivo Determinante-oggetto
Sostantivo Determinante-azione
Sostantivo Chiamante - Sostantivo Indefinito -
Sostantivo Contenente -
Sostantivo Relativato Sostantivo
Ricevente - Sostantivo Terminante - Sostantivo Cominciante - - рад:
155 ivi
" ivi ivi 156 ivi " ivi
» 157 » ivi
ivi ivi Speciali Espressioni di Numero per gli Oggetti
- » 158 Espressioni di Luogo per gli Од-
getti - ivi Delle
Qualità - » 159 Massimo Aumento nelle Qualità » ivi
Massimo Decremento nelle Qualità » 160
Deterioramento nelle Qualità - »
16I Variazione nelle Qualità ivi
Delle Azioni - -
- » 162 Verbi » ivi Azioni
Determinate e Indetermi- nate - -
Determinazione del Azioni - "
163 Tempo nelle - »
164 Cose comuni agli Oggetti Azioni
e Qualità Generico
- Aumento e Decremento » 165
nelle Cose » ivi Cose comuni alle Azioni Confronto nelle Azionie Qualità pag. 169 Dei Fonti Secondarj de' Giudizj "170
Dello Cose di Prima Derivazione n 171
Derivazioni dalle Radici di Oggetto " ¿vi Derivazioni dalle Radici di Qualità »
172 Derivazioni dalle Radici di Azione
» 173 Derivazioni dalle Radici di
Nunero » 175 Delle ('ose di Seconda
Derivazione » 176 Derivazioni dai derivati Nomi di Og- getto
ivi Derivazioni dalle Voci di
Modifica- zione - »
179 Derivazioni dalle derivate Voci
di Qualità ivi
Derivazioni dai derivati Nomi di Azio-
- - - )) 180
Sui Qualitativi Verbali di seconda
Derivazione . - »
iv Delle Voci Indeterminate - - »
182 Voci Indeterminate di Oggetto - »
183 Voci Indeterminate di Azione - »
184 Modo nei Giudizj determinanti-azione
» ivi Giudizj determinanti al Modo
Gene- rico - -
. » 185 Giudizj determinanti al Modo Indi- cativo o Indefinito ivi
Tempo nei Giudizj determinanti-azione» 186 Avvertenza
- » 187 Delle Voci Sostituite - - »
ivi Pronomi Determinanti-nggetto -
" 188 Pronomi
Indicarti-uggetto " ivi Pronomi Generici Cardinali - Pronomi Generici non Cardinali pag.
191 Osservazioni Speciali " 192
Verbi di Moto - » 193
Voci di più Significati - - ivi
Espressioni Sentimentali - ivi
Ortografia - » 194
Sintassi - -
ivi PARTE SECONDA LINGUA FILOSOFICA - » 197
Parole " ivi Giudizj
- - " 198
Fonti Primitivi de Giudizj
. - " 200
Oggetti - "ivi
Qualità - -
- * 201 Azioni
- ivi Oggetti Azioni e Qualità - " 202 Azioni e Qualità » ivi
Fonti Secondorj de Giudizj -
- " ivi Voci Indeterminate -
» 204 Voci Sostituite -
Osservazioni Speciali - »
205 Epilogo delle Conseguenze per la
Lingua Filosofica - - »
206 PARTE TERZA LINGUA UNITESALe Fissaro i Segni pei Sunni Vocali - Segni
Gutlurali e lom Pronunzia Segni Orali e
loro Pronunzia - AvvertenzaFissare la
Teoria per le Sillabe e Posa nelle
Parole - - pag. 215 Fissare de Segni pel Numero Generico, e pel Sesso
- - » 216
Nunero Generico - n ivi
Sesso - » ivi
Fissare il Segno per esprimere nelle Cose [ Opposto
" 218 Fissare le Voci per
gli Oggetti Giudicante Ascoltante e Terzi -
» ivi Oggetti Giudicante e
Ascoltante ivi Terzi Oggetti - " 219
Fissare il Pronome Riflesso
" ivi Fissare le Voci
esprimenti Giudizio Tempo e Modo - »
220 Fissare le Voci Radicali ' • >
222\ Radici Variabili " 223
Radici Stabili - n 224 Fissare il Segno caratteristico per le Parole Radicali " 225
Oggetti »ivi Qualita
8 227 Avvertenza - »
228 Azioni )) ivi
Rapporti " 229
Sul Segno caratteristico nelle Voci Ra-
dicali - » 230 Sul prendere le Voci Radicali " 231
Fissare i Segni per le varie Situazioni
degli Oggetti - » 232
Sostuntivi Determinati ivi Situazioni dei Nomi Determinati Sostantivi Inditerminati - pag.
234 Situazioni dei Nomi
Indeterminati 235 Fissare le Voci Numeriche speciali » 236
Fissare le Voci esprimenti Luogo
» 239 Fissare i Segni per
l'Aunento Decremen- to e Deterioramento
nelle Qualità» 24г Fissare la Teoria per
le Variazioni nelle Qualità -
Fissare i Segni per le Voci Verbali al
Modo Generico » 243 ivi
Fissare le Voci di Tempo, e un Segno per le sue estese Espressioni » 244 Fissare i Segni pel Generico Aumento e
Decremento nelle Cose - » 246 Fissare la Teoria per le Azioni e Qualità
modificate - - " 247 Fissare i Segni di Confronto ivi
Fissare i Segni caratteristici per le Voci Derivate
" 248 Sulle Voci di
Modificazione, e sugli Orali finali -
" 249 Sulle Derivazioni da
Radice di Oggetto Determinato -
" 25 г Fissare la Teoria
per distinguere le prime Derivazioni
dalle Seconde - " 252 Fissare i Segri per le speciali Derivazioni
dalle Voci di Azione - » 253
Fissare la Teoria per esprimere i Verbi » 254 Sulle Voci di Giudizio -
- " 255 Fissare i Segni per le Numeriche Sul distinguere le Voci Radicali dalle Derivate
- рад. 257 Delle Derivazioni specialmente Ver- bali -
» 259 Fissare il Distintivo per
le Cose deter- minanti-oggetto - " 26г
Fissare il Distintivo per le Cose deter- minanli-azione - - »
ivi Fissare i Pronomi
determinanti-oggetto » 262 Fissare i
Pronomi Indicanti-oggetto » 263
Fissare i Pronomi Generici Speciali » 264 Fissare la Teoria per le Azioni,
motivo di Moto • *265
Fissare la Teoria per le Voci di più
Significati " 266 Fissare i Segni per le Espressioni
Sen- timentali - - *
267 Fissare le Regole di Sintassi e di
Or- tografia » 268
Sui Segni Finali nelle Parole - »
ivi Avvertenza Finale - - »
271 Progetto di EsecuzioneOmettendone
alcuni di minore entità, notiamo i soli seguenti ERRORI
CORREZIONI Pag. Lin.
53 » 7 qualche
qualunque 138 » 10
Oggello, Oggetto. 156 »9
22 Quantità ! 214 »
8 Quantità. ze, se, ce
ze, je, ce 219 n ultima Voce, so
244 39 5 Voce so,
exriva exria 246 %
255 %9 ¼4 livro, livrod, livrop 19
Urro, lurod, Unge exri- exri-
Alla pagina 26g trà i Segni Finali deve porsi anche g, segno
caratteristico delle estese Espressioni di Tempo (358). - L'origine
dell' dioma si des riportare alla prima istituzione della Società. Poichè
avendo l'Uomo nelle sue facoltà quella d'istituire un Idioma atto ad esprimer
le cose, come lo prova-a. molti illustri Metafisici (*), i primi Uominii
formarono un idioma, se la Società non sorre sonza questo. Ora e molto
ovvio il nei- re, che un Idioma è assolatamente: necessario alla Società.
Poichè quei che convivono insieme per poter provvedere e alla propria e alla
comune felicità debbono manitestarsi scambievolmente le idee. le cognizioni gl'
incommodi i bisogni ec. Ma questa comunicazione non può ortenersi che
coll'Idio. ma. Dunque i primi Uomini dotati della. facoltà di formarlo, spinti
dal bisogno, ammaestrati dal-Je lunghe osservazioni, imitando: specialmente i
clamori naturali, istituirono un Idioma imperfetto ma sufficiente a conservare
e fomentare la Società; Idioma, ch'ebbe poi dai secoli successivi la sua
bellezza la sua perfezione.. 1C, Balinoci ap 5, Lie 1) de : 9 Anii
a Elus sensusque Homines hac facile possunt
artificialia reddere ; si nempe observent affectus. quos indicant, nec: ea
tantum. edant "impellente natura, ser consulto, ut que experiuntur
ca teris manifastent... Que
signa clamoribus non articulatis, habisu vultus et gestibus
continentur; atque.acsionis quam " vocant linguam contciunt. Usu autem constat facilem
expeditam secretam idea- rum communicatione hac lingua non obtineri,
distantia & interpesito corpore
impediri. Sensim igitur ab ea re-, cedere coguntur homines, ad eamque ferantur,
que vo- = cis distinctionibus nititur.. " Hanc ut instituant,
clamores naturales in primis protrahunt. et simul jungunt, rerum etam exterharum sonos referunt et
imitantur; unde voces oriuntur, qua elevatione: et depressione multum distantes aliquo:
modo, gestuum et clamorum vim exprimant.. Atque ita portm distinion, comulmam,
quantum pattur rocis & si duditus arganum rude: adhud et inexercitatum.
99127, L'Idioma è di due specie d'Azione e di Voce: Il primo è figlio di
Natura, il secondo di Convenzione; e dalla sola Convenzione si dee ripetere
tanta varietà di lingue, causa di notabili incommodi alla Società al Commercio,
e sopratutto al progresso delle Scienze e dell'Arti. 128. Che se alcun mi
chiedesse, come la lingua originaria essendo stata una sola à potuto tanto
moltiplicarsi la varietà delle lingue, rispon-derei: Che moltiplicandosi gl' Uomini,
la prima Società per procurarsi la sussistenza dovette necessariamente
separarsi in più rami. Queste nuove supponibile ch'abian ureso sentieri di ri,
ed a molto probabile, che non tutti gl' Individui di ciascuna Famiglia
possedessero perfettamente il primo Idioma. Inoltre avendo ogni regione
Clima, Cul-tura, Prodotti particolari, ogni Famiglia avrà do- vuto
istituire delle espressioni ignote a tutte le Famiglie lontane: Onde calcolato
il tutto, e avendo anche riguardo al vario inventore bizarro ingegno degli
Uomini, si può dire, che se partirono dal punto d'origine quattro famiglie,
dopo non molto l'idioma primitivo si sarà diramato in quattro idiomi appena più
intelligibili fra loro. Applicando la stessa analisi alle secondarie
diramazioni e suddiramazioni di ciascuna Famiglia, riflettendo che individui d'
idioma affatto diverso avran por dovuto convivere insieme per le varianti
circostanze e vicende de tempi, çome il dimostrano chiaramente le lingue ch'
ora diconsi Morte, qual por- si posa va ina, ala padigid un coso di
Lingue I20. L'Idioma di Voce è il più grande ri-trovato, l'opra più bella
dell'ipgegno umano. Par-lando della Memoria vedremo il mirabile influsso che
anno le parole sulle idee. Osserviamo intanto, che l'idioma di voce si distingue
in Fuggevole e Permanente: 'Il primo si eseguisce colla sola pro-nunzia, il
secondo collo scritto: Col Primo si comunicano le loro cognizioni quei che
convivono insieme: Col Secondo sappiamo le cose avve nute ne' secoli passati: O
col Primo finalmente o chi Sucondo 00 can datti due insieme sappiamo quel
САРО II. Del Discorso e dell' Aigumentazione, I30. Si
acerescono le cognizioni coversan- do cogl' altri e comunicandosi
scambievolmente le idee. Questa reciproca comunicazione d' idee si deve fare
con Discorsi Accademici, ma chiari ordinati concisi; giacchè lo stile Asiatico
non è la stile della Scienza. E' dunque necessario posseder bene la lingua, che
si usa in questi discorsi accademici (*). Siccome però lo studio della lingua
(*) Per acquistar cog izion: è necessario pos edere a fonde da liesta la
orbarie del siniena de isat e Scien- ze la Lingua Latina? Io non intendo
oppormi allo studia di questa lingua, giacchè è rroppo utile alla Republica lo
spiegars in lingua bolgi elementi delle Scienze debba Quante volte
succede, che Giovani anche di rari ta- Loti Fece non prese ando staid
dele sina asin? rà, che e loro colpa se non san questa lingua. Ma non e
meglio adattarsi ai bisogni altrui con vantaggio della7:35 •books.googleusercontent.com
uomo impara a sufficien- za la sua lingua volgare; non mi arresterò punto
intorno al Discorso Naturale, e invece passerò a dir qualche cosa dell'
Argomentazione. 131. L'Argomentazione è un Discorso Arti-ficiale, di cui
si è fatto finora tant'uso e tanta pompa ne' Circoli e nelle Scuole. Son varie
le specie dell' Argomentazione; ma la principale è il Sillogismo, che si può
definire = Conciso Raziocinio espresso colle parole =. 132. Il
"illogismo è formato da tre Proposizioni (**) Maggiore, Minore, e
Conseguenza, artificiosamente legate fra loro. Eccone un esempio:
(Minoiore) = Quel pense Spituale = (Minore) (Conseg.) = Dunque
l'Anima è Spirituale = 133. Loke del Sillogismo così scrive (Cap.
17. 110. 4) " lo nego, che il Sillogismo ajuti • nè punto nè poco a
trovar nuove prove o a far nuove scoperte, che è la funzione dell'animo più penosa insieme e più
utile, e forse la sua più alta
perfezione. Tutta l'arte dell' Sillogismo consiste nel disporre le prove, che già si san-
Gioventù della Socierà dello Spirito umano, che sostenere un uso inveteraro non
lodevole? Iraliani, è omai tempo di scuotere il giogo del Pe-cantismo.
Itiliani, uno sguardo alle estere illuminate Na-zioni, ed arrossiamo della
nostra condotta della nostra ce-cita nel seguire troppo scrupolosamente lei
traccie segnateci dai Predecessori: Rispettiamone il merito; ma siamo
at-saccati meno alle loro massime alle loro opinioni. Insomo ma la regola delle
nostre azioni non sia la sola Antichità, ma la Ragione • (**) Ogni Giudizio
espresso in parole dicesi Proposizione.no. Prima si conosce una verità, poi si
prova „ sillogisticamente. Il Sillogismo vien sempre da- » po la
cognizione. Dunque esso è d'un uso as- dee però trascurarsi del tutto;
giacchè serve a dimostrare la verità con evidenza, ed a convincerne alate
e la finfano e ci sigi i son ussa che un tazioni, che no in pao i Sil
buon Ri gionatore sarà sempre naturalmente un bravo Sillogistico; e poi
volendo anche apprendere la formazione materiale e scolastica del Sillogismo e
di quilunque altra specie di argomentazione, per-suadiamoci, che si fà più con
un ora di esercizio che con dieci volumi di regole. •134. Vi sono molte
altre specie di Argo-mentazione, derivanti in fondo dal Sillogismo, come
Entimema, Epicherema, Dilemma, Sorite ec; mi astengo però dal farne
parola nella persuasio-ne, che 1 miel Lettori avran glà studiato I Uma-nità.
Non mi resta pertanto a parlare che dell'in-duzione e dell' Analogia
considerate non come specie di argomentazione, ma come mezzi ottimi per iscoprir
la verità e per accrescer le cognizioni. 135. L'Induzione è fondata sulla
perfetta somiglianza delle cose, per cui passiamo a stabilire come regola o
legge universale quello che abbiamo solamente osservato in molte cose
particolari. Per duzi que quardo sia giuta, pesario sia. necessario
assicu- rarsi bene se le somiglianze sono reali ovvero ap-
parenti;e questo si otterrà coll' istituire molte osservazioni. E' necessario
inoltre esaminare atten.tamente, se queste osservazioni ed esperienze sono in opposizione
fra loro: Poichè quand' anche una sola si opponga ad un numero anche infinito,
l'Induzione sarà nulla. Quindi perchè un Fisico inferisca per Induzione,
che = Tutti i Corpi son gravi = molti debbono esser quelli ne' quali
os- .servò la gravità; e non deve averne incontrato alcuno che ne sia
privo. L'uso dell' Induzione è molto pericoloso, ma è frequente assai
specialmente nella Fisica. Poichè, date le stesse circostanze, una medesima
causa dee sempre produrre gli stessi effetti, come effetti simili ed eguali
denno sempre provenire dalla medesima causa; once possiam conchiudere essere
universale quel che osserviamo in molte cose, e in tutte lo stesso.
essenda Al dazione sata si iperienza ogia Osservazione. Nell' Analogia
però la somiglianza cose Mediche Militari e Politiche è più frequente
l'uso dell' Analogia che dell'Induzione. Di Analogia fanno uso anche i
Filosofi, e per essa inferiscono = Che le Bestie pensano = che le Stelle
anno il loro sistema planetario come il Sole = Che i Pianeti sono abitati
= ec.
Grice e Gioberti: la ragione conversazoinale e l’implicatura
conversazionale del bello – filosofia torinese – scuola di Torino – filosofia
piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo
italiano. Grice: “I like Gioberti; he published ‘Del bene, del bello,’
suggesting they are etymologically connected, and they are: BONUS alternates
with BENE in Roman, and the dimintuvie, BENETULUS, gives ‘bellus’ – So the
Roman implicature is that the ‘bello’ is a ‘little’ ‘bene’ – or gracious,
comfortable, and proportionate, rather than having to do with ‘bene’ itself. –
“like bene” – and affectionate diminutive, one hopes!” – Laureato, e parzialmente
influenzato da MAZZINI, lo scopo principale della sua vita divenne
l'unificazione dell'Italia sotto un unico regime: la sua emancipazione, non
solo dai signori stranieri, ma anche da concetti reputati alieni al suo genio e
sprezzanti del primato morale e civile degl’italiani. Questo primato era
associato alla supremazia del Papa, anche se inteso in un modo più letterario
che politico. Carlo Alberto di SAVOIA lo nomina suo cappellano. La sua
popolarità e l'influenza in campo privato, tuttavia, sono ragioni sufficienti
per il partito della corona per costringerlo all'esilio; non era uno di loro e
non poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico ma fu arrestato
con l'accusa di complotto e bandito dal Regno sabaudo senza processo. Anda a
Parigi e Bruxelles per insegnare FILOSOFIA. Nonostante ciò, trovò il tempo per
filosofare con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione.
Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto, divenne libero di tornare in patria. Al suo
ritorno a Torino, e ricevuto con il più grande entusiasmo. Rifiuta la dignità
di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo rappresentare la
sua città natale nella Camera dei deputati, della quale fu presto eletto presidente.
Cadde il governo. Il re nominò G. nuovo presidente del Consiglio. Il suo governo
termina. Con la salita al trono di Vittorio Emanuele II la sua vita politica
giunse alla fine. Ha un posto nel consiglio dei ministri, anche se senza
portafoglio, ma un diverbio irriconciliabile non tardò a maturare. E allontanato
da Torino con l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi, da cui non fa
più ritorno. Rifiuta la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione
ecclesiastica, vive in povertà e passa il resto dei suoi giorni a Bruxelles,
dove si trasferì dedicandosi agli studi filosofici. I primi due licei istituiti
a Torino celebrarono uno l'opera diplomatica di Cavour (il Liceo classico
Cavour) e l'altro il pensiero, anche politico, di G. (il Liceo classico G.). I
saggi sono più importanti della sua carriera politica; come le speculazioni di
Rosmini-SERBATI, contro cui scrive, sono state definite l'ultima propaggine del
pensiero medievale. Anche il sistema di G., conosciuto come “ontologismo” non è
connesso con le moderne scuole di pensiero. Mostra un'armonia con la fede che
spinge Cousin a sostenere che la filosofia italiana e ancora fra i lacci della
teologia e che G. non e un filosofo. Il metodo per lui è uno strumento
sintetico, soggettivo e psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e
comincia con la formula ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è
l'unico ente Ens. Tutto il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta
la conoscenza umana (le idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio
stesso. È intuita direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve
riflettere, e questo avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza
dell'ente e delle esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni
reciproche, sono necessarie per l'inizio della filosofia. G. è, da un
certo punto di vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e
nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla
conclusione che la chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si
fonda. In questo afferma che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata
dalla restaurazione del papato come dominio morale, è fondata sulla religione e
sull'opinione pubblica. Tale opera e la base teorica del neoguelfismo. In
Rinnovamento e Protologia si dice che abbia spostato il suo campo
sull'influenza degli eventi. La sua prima opera aveva una ragione
personale per la sua esistenza. Un amico, avendo molti dubbi e sfortune per la
realtà della rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de “La teorica
del sovrannaturale”. Dopo questa, sono
passati in rapida successione dei trattati filosofici. La “Teorica” è seguita
dalla “Filosofia”, dove afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una
nuova terminologia. Qui riporta la dottrina per cui la religione è la diretta
espressione dell'idea in questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella
storia. La Civiltà è una tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla
quale la religione è il completamento finale se portato a termine. È la fine
del secondo ciclo espresso dalla seconda formula, l'ente redime gli
esistenti. I saggi Del bello e Del buono hanno seguito l'introduzione.
Del primato morale e civile degl'Italiani e Prolegomeni sulla stessa e a breve
trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno, pubblicato clandestinamente
a Losanna da Bonamici, ha senza dubbio accelerato il trasferimento di ruolo
dalle mani religiose a quelle civili. È stata la popolarità di queste opere
semi-politiche, aumentata da altri articoli politici occasionali e dal suo
Rinnovamento civile d'Italia, che lo ha portato ad essere acclamato con
entusiasmo al ritorno nel suo paese natio. Tutti questi saggi sono stati perfettamente
ortodossi e hanno contribuito ad attirare l'attenzione del clero liberale nel
movimento che è sfociato, sin dai suoi tempi, nell'unificazione italiana. I
Gesuiti, tuttavia, si sono raduttorno al Papa più fermamente dopo il suo
ritorno a Roma e alla fine i saggi di G.i sono messi all'indice. I resti dei suoi
saggi, specialmente “La filosofia della rivelazione” e la Protologia espongono
i suoi punti di vista in molte parti. Tutti i saggi giobertiani, tra cui quelli
lasciati nei manoscritti, sono stati pubblicati da Massari (Torino). Il
Ministero dei beni culturali ha affidato la redazione dell'edizione nazionale
all'Istituto di Studi Filosofici Castelli, presso l'Università La Sapienza di
Roma. Altre saggi: Prolegomeni del Primato morale e civile degl’italiani,
Enrico Castelli; Primato morale e civile degli italiani, Redanò; Introduzione
allo studio della filosofia; Cortese; Teorica del sovrannaturale; Cortese; Del
rinnovamento civile d'Italia; G., Del rinnovamento civile d'Italia, Del
rinnovamento civile d'Italia, Filosofi d'Italia Bari, Laterza. Cfr. lettera di G.
a Leopardi in Scritti vari inediti di Leopardi
i dalle carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier. G. vive in Rue des marais S.
Germain, hotel du Pont des Arts n° 3. In lingua latina: "dal nulla", vedi anche
la locuzione Ex nihilo nihil fit di LUCREZIO. Antonio, su Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Istituto Castelli-Roma in. Anteprima disponibile su Anteprima della II edizione disponibile su
books.google. Massari, Vita di G., Firenze, Serbati, G. e il panteismo, Milano,
Spaventa, La Filosofia di G., Napoli, Mauri, Della vita e delle opere di G.,
Genova, Prisco, G. e l'ontologismo, Napoli, Pietro Luciani, G. e la filosofia
nuova italiana, Napoli, Berti, Di G.,
Firenze, Rumi, G., Bologna, Il mulino, Sancipriano, G.: progetti etico-politici nel Risorgimento,
Roma, Studium, Traniello, Da G. a Moro: percorsi di una cultura politica,
Milano, Angeli, Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di G.,
Milano, Mursia, Mustè, La scienza ideale. Filosofia e politica in G., Soveria
Mannelli, Rubbettino, Mustè, Il governo federativo, Roma, Gangemi, Leggiero, G.
Frainteso. Sulle tracce della condanna, Roma, Aracne, Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. attuale – Il Popolo d’Italia -- Non
bisogna cedere alla facile tentazione erudita di dare troppi precursori al FASCISMO
– o al GRICEANISMO --, come si è fatto da taluno in questi ultimi tempi. Il FASCISMO
– e il GRICEANISMO -- ha molti
precursori e e non ne ha nessuno. Non ne ha nessuno se alla parola “precursore”
si dà un significato strettissimo o letterale. Ha molti se la stessa parola
viene interpretata in un senso più lato. ln quest'ultima categorià può esser
posto G., especialmente dopo la posta all’indice dei suoi saggi.. Ecco un filosofo,
come Grice, che appare oggi attuale più di quanto non e ante, o anche
semplicemente venti anni fa. Ci sono nelle pagine dei suoi libri notazioni,
istruzioni, moniti, previsioni che il tempo ha confermato. Si vuole oggi, dal
FASCISMO, una vita studiosa, che sia forte nel corpo come nello spirito. Or
ecco come G., a proposito della necessità della GINNASIA, si esprimeva nel suo
Primato. Gl’ITALIANO indurino il corpo avvezzandolo al sole, allenandolo alla
corsa e ai GINNICI esercizì, rompendolo alle operose veglie e alle utili
fatiche, costringendolo a nutrirsi di cibi frugali, a posare su dura coltrice e
assoggettandolo in ogni cosa allo imperio dell'animo, il quale col domare i
sensi; si rende libero e franco e si dispone ai nobili affetti, ai vasti e
magnifici pensieri. Il FASCISMO ha battuto sempre in breccia certi persistenti
snobismi linguaioli, che sono ormai superstiti soltanto in piccoli gruppi.
Vedete come G. flagella gl’esotismi del tempo che fanno preferire le lingua
tedesca o la francese all'italiana, l'abietto forestierume, come, con parola di
scherno supremo, dice G. Riscuotano dunque se stessi da ogni ombra di
forestierume, non solo nelle cose gravi ma anco nelle leggere, perché queste
concorrono a informare il costume, che in opera di mutazioni morali è la somma
del tutto. E non lieve faccenda, ma gravissima e importantissima è LA LINGUA
NAZIONALE così per la stretta ed intima congiuntura dei pensieri con le voci,
onde gl’uni tanto valgono quanto l'espressione che li veste (dal che segue che
le parole non sono pur parole, ma eziandio cose) come perché ESSENDO LA FAVELLA
ITALIANA LO SPECCHIO PIU COMPIUTO E PIU VIVO DELLA SPECIALITA MORALI E
INTELLETTIVE DEL POPOLO ITALIANO, chi la trascura e disprezza non può essere
veramente libero, né aver cara l'indipendenza e la libertà della patria. Perciò
indizio grave di servilità e di declinazione civile e prova non dubbia di poco
amore verso il luogo natìo, è il trasandare la propria loquela e il vezzo di
parlare o di scrivere senza bisogno di lingua forestiera. Tale indegno costume
è altresì basso e vile! Pochi filosofi hanno, più del grande pensatore
torinese, posto in rilievo la somma importanza della lingua italiaa nella vita
del popolo italiano e i pericoli insiti nel trascurarla o avvilirla.
L'ostracismo che il regime ha dato agli eccessivi dialçttismi e ai tentativi di
creare su basi regionali delle letterature dialettali, trova la sua più alta
giustificazione in questo superbo brano di prosa giobertiana. E da ricordare
che G. definisce la italiana come la più bella delle lingue vive. Lo stile,
dice Buffon, è l'uomo. Lo stile e la lingua, dico io, sono il cittadino. LA
LINGUA E LA NAZIONALITA PROCEDENO DI PARI PASSO, perché quella è uno dei principi
fattivi e dei caratteri principali di questa, anzi il più intimo e fondamentale
di tutti, come il più spirituale, quando la consanguineità e la coabitanza poco
servirebbero ad unire i popoli unigeneri e compaesani, senza IL VINCOLO MORALE
DELLA COMUNE FAVELLA. E però Giordani insegna che la vita interiore e la
pubblica di un popolo si sentono nella sua lingua, la quale è l'effige vera e
viva, il ritratto di tutte le mutazioni successive, la più chiara e indubitata
storia dei costumi di qualunque nazione e quasi un amplissimo specchio in cui
mira ciascuno l'immagine ·della mente di tutto e tutti di ciascuno. E Leopardi non dubitò di affermare che la
lingua e l'uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa. Parole queste
che non sono mai abbastanza meditate. Quanto alla missione di Roma nella storia
italiana e in quella europea e universale, ecco alcune citazioni di G. che
hanno un sapore attualissimo. Il genio orientale affine a quello dell'Italia,
se non altro perché ROMA e una volta e sarà forse di nuovo un giorno, se posso
così esprimermi, l'oriente dell'Oriente. ROMA in effetto, nel bene come nel
male, nei tempi antichi come nei moderni, è arbitra suprema e norma delle genti
italiche. La figura di G., quale filosofo e patriota, ci è giunta un poco
deformata dalle polemiche del tempo. Ma bastano le citazioni di cui sopra per
far vedere che la portata educatrice del pensiero giobertiano, non è diminuita
con le vicende del tempo. G. è attuale, anche e soprattutto oggi, nell’ITALIA
DEL LITTORIO. The next day in “Il Popolo d’Italia” by Scrittore Fascista.
Ancora G. (Pubblicato in « Il Popolo
d'Italia » di Scrittore fascista La
prosa giobectiana è ricca di parole asprigne, saporose e di neologismi
indovinati. Si incontrano parole come queste: schifiltà, infemminire nell'ozio,
forestierume, perennare, sfasciume, smanceroso, attillature, disviticchiare,
mollizie, delicature, uomini faticanti, laicocrazia, fogliettisti, ecc. Ma più
importanti sono sempre i pensieri del filosofo torinese. In tutte le questioni
egli ha un punto di vista, che rappresentando le verità fondamentali, vale,
oggi, come sempre.. Ecco con quali termini G. stabilisce i compiti e i doveri
di un'aristocrazia degna di questo nome. Si tratta dell'educazione da impartire
ai figli degli aristocratici. Imprimano in essi la semplicità dei modi, la
grandezza dell'animo, l'austerità del costume, la tolleranza nelle fatiche, la
fermezza nelle risoluzioni, l’'intrepidità nei pericoli, la generosità nei
travagli; li assuefacciano a contentarsi del poco, a fuggire gli agi e le
pompe, a tenersi per depositari anziché padroni della loro ampia fortuna, come
di un tesoro da dispensarsi in opere di beneficenza e in imprese di utilità
pubblica. In G. si trova l'incentivo e la giustificazione delle opere di
ripristino archeologico, alle quali IL REGIME FASCISTA si è particolarmente
consacrato, non soltanto a ROMA, ma in ogni parte d'Italia. Se G. potesse
vedere lo spettacolo meraviglioso della ROMA di oggi, dovrebbe fare
constatazioni diverse da quelle del suo tempo. Gli scavi, la esumazione e la
restaurazione degl’antichi monumenti pagani (‘non cattolici’!) , non giovano
soltanto a documentare al mondo la nostra gloriosa storia tri-millenaria, ma
sono anche fonti di ricchezza, per il richiamo che essi esercitano su tutte le
·genti del mondo civile. Le poche decine di milioni spese per creare quei
capolavori che sono la via dell'Impero ROMANO, la via dei Trionfi, la via del
Mare, sono già stati recuperati almeno cento volte, attraverso l'affluire
ìncessante degli stranieri. Ma G. insiste sul lato morale delle ricerche
archeologiche così esprimendosi. Egli è doloroso a pensare che così pochi siano
al dl d'oggi gl’italiani solleciti di conoscere e studiare le patrie rovine e
che tale inchiesta si abbandoni, come inutile, all'ozio erudito di qualche
antiquario. L'archeologia non meno della filologia, ben !ungi dall'essere una
scienza sterile e morta, è viva e fecondissima, perché oltre a rinnovare il
passato, giova a preparare l'avvenire delle nazioni. Imperocché la risurrezione
erudita dei monumenti nazionali porta seco il ristauro delle idee patrie,
congiunge le età trascorse colle future, serve di tessera esterna e di taglia
ricordatrice ai popoli risorgituri, destandone ed alimentandone le speranze
colla voglia e con l'esca delle memorie. Tutta la storia d'Italia passa in
rapide sintesi potenti nelle meditazioni di G. I periodi di grandezza e di miseria, gl’alti e
bassi del nostro popolo, trovano in G. un indagatore e un illustratore vigoroso
e penetrante. Egli sente la storia e come s'inorgoglisce parlando dei periodi
di splendore, è amaro e violento quando trae a descrivere le epoche di
decadenza. Nella citazione che segue sono condensati tre secoli della nostra
storia, i quali dal punto di vista politico sono stati oscuri, perché furono
secoli di divisione e di servitù. Le ultime faville di virtù e di carità patria
perirono in Italia colla repubblica di FIRENZE; spenta la quale dalla truce e
schifosa progenie dei secondi Medici, l'ingegno secolaresco, costretto a menar
vita privata ed umbratile, non ebbe più altro campo dove esercitarsi che quello
degli studi: in cui rifulsero ancora tre sommi laici, il TASSO, il GALILEI, il
VICO, che nel culto della sapienza poetica, naturale, filosofica, andarono
innanzi a tutti, e risposero in un certo modo alla triade clericale e monachile
di BRUNO, di CAMPANELLA e di SARPI. Ma il rinnovamento del ceto civile nella
penisola e la creazione dell'Italia laicale è dovuta a ALFIERI che, nuovo ALIGHIERI,
e il vero secolarizzatore del genio italico nell'età più vicina e diede agli
spiriti quel forte impulso che ancora dura e porterà quando che sia i suoi
frutti, Questa profezia del Primato si è avverata. L'impulso dato da ALFIERI da
i suoi frutti col Risorgimento. Dopo una eclissi, tale impulso è lo stesso che
scatenò il maggio radioso e la marcia. È l'impulso che fece vincere la guerra e
trionfare la rivoluzione. Non ancora un secolo è passato e già queste parole
del Primato giobertiano fiammeggiano nei cuori delle generazioni littorie. «
Italiani - dice G. - qualunque siano le vostre miserie, ricordatevi che siete
nati principi e destinati a regnare moralmente sul mondo! G. nasce a Torino. Un dissesto finanziario del
padre, morto prematuramente, rese molto precarie le condizioni economiche della
famiglia. Formatosi nelle scuole dei padri oratoriani, rivela precoci interessi
per gli studi filosofici, e annoverò tra i suoi maestri e guide spirituali
Sineo, poi ricordato come il solo prete che avesse incontrato. Tuttavia G. è
essenzialmente un autodidatta, che, nonostante la malferma salute, si dedica
con inaudita intensità alle più disparate letture, toccando anche il settore
linguistico, storico, naturalistico, geografico, politico (con una precoce
passione per MACHIAVELLIi), e lasciandone traccia in una congerie sterminata di
appunti e di pensieri: in uno dei quali rivelava di essere stato "reso
anti-monarchico dalla lettura d’ALFIERI, irreligioso, ma per poco, da Rousseau,
pirronista dagl’altri filosofi (Meditazioni filosofiche inedite). Tali
frammenti provano come G. accumulasse una rilevante cultura filosofica, in
parte di tipo manualistico, ma in parte notevole ricavata da letture di prima
mano (sebbene non sempre nella lingua originale) concernenti in special modo le
opere di Platone, Agostino, Bacon, Bossuet, VICO, Leibniz, Malebranche, Gerdil,
Rousseau e Kant. Quest'ultimo, unitamente alla scuola scozzese di Reid, apparie
a G. il filosofo che aveva riportato "nel campo dell'osservazione quel
principio pensante, che molti aveano a tal segno obliato da confonderlo coi
sensi e colla materia. Alla linea di pensiero che iG. definiva allora
idealistica si affianca il confronto ravvicinato, ma costellato di dissensi,
con il tradizionalismo cattolico di
Maistre, Bonald,Chateaubriand, Ballanche e Mennais. È da osservare che
G. conosce bene il francesen e, ovviamente, il latino, mentre inizia studio del
tedesco. In linea generale, prevalse in G. un orientamento eclettico,
considerato peculiare e apertamente professato in opposizione allo spirito
esclusivo dei sistemi, pur in un quadro teorico segnato dalla polemica anti-sensistica
e dalla ricerca, non priva di momenti laceranti, di un punto di equilibrio tra
una persistente venatura scettica e l'ancoraggio, punteggiato peraltro da
corrosivi spunti anticlericali, alla religione, assunta come deposito di verità
oggettive, attingibili per via razionale solo in maniera parziale e
frammentaria. Oltre che sul piano teoretico, la necessità della rivelazione
cristiana s'imponeva per G. sul piano pratico e politico, essendo una religione
rivelata e positiva l'organo indispensabile della morale nella società",
ovvero anche "un'obbligazione sociale, chiamata a integrare il
mantenimento e l'accrescimento dei diritti, indicati come fine della politica.
La ragionevolezza dell'adesione alle verità dogmatiche della fede cattolica,
tenute distinte da quanto nella società religiosa vi è di accidentale e di
transeunte, sostituiva, in G., l'idea di religione naturale d'impronta
deistica, facendo salvi, da un lato, il principio di una rivelazione
soprannaturale depositata nella Chiesa cattolica e, dall'altro, il concetto di
un suo progressivo dispiegamento nella storia umana. Membro
dell'accademia ecclesiastica fondata dal Sineo e di quella dall'abate Solaro,
G. risentì dell'impronta - probabiliorista in campo morale e cautamente
giurisdizionalista in campo ecclesiastico - della facoltà teologica torinese,
da cui trasse alimento il suo vivace antigesuitismo. Addottorato in teologia, è
aggregato alla facoltà teologica, con la discussione di tre tesi: De Deo et
naturali religione, notevole per la padronanza della relativa letteratura, De
antiquo foedere, De christiana religione et theologicis virtutibus, la cui
edizione accademica restò per quattordici anni l'unica opera di G. data alle
stampe. Poco prima, èordinato sacerdote, dopo che la curia torinese e forse lo
stesso arcivescovo Chiaverotti erano intervenuti per vincere la sua ritrosia
all'ordinazione. È nominato cappellano di corte con uno stipendio annuo di 480
lire. Notevoli zone d'ombra caratterizzano la fase successiva della sua
biografia. La stessa renitenza del G. a tradurre in pubblicazioni l'immenso
materiale accumulato, nonostante la notorietà acquisita negli ambienti colti e
l'attività svolta in alcuni circoli filosofici e letterari, appare indicativa
sia di una persistente fluidità del suo pensiero, sia della percezione di un
sempre più chiuso clima intellettuale e politico, che G. tende ad attribuire,
sul fronte ecclesiastico, alle mene dei gesuiti e della "frateria" -
da lui personalmente contrastati in occasione della vicenda che aveva
coinvolto Dettori, allontanato dalla
cattedra universitaria con l'accusa di giansenismo - e, sul versante politico,
all'involuzione autoritaria del governo sabaudo. La riflessione di G. sui
rapporti tra religione e filosofia e tra religione e vita sociale seguì un
percorso non lineare. Ne sono documento eloquente le lettere indirizzate a
Leopardi (personalmente conosciuto a Firenze, durante un viaggio per l'Italia
in cui G. ha modo di incontrare anche A. Manzoni), le lettere al giovane amico
e discepolo Verga e una lettura accademica sull'accordo della religione
cattolica coi progressi della società civile (Ricordi biografici e carteggio, a
cura di Massari). Scrivendo a Leopardi da Torino G. confessa di aver
professato nel passato un puro teismo, e di aver mutato idea in seguito a nuove
indagini sulla "verità del Cristianesimo (e quindi del Cattolicismo che è
la sola forma invariabile di quello) come sistema dottrinale e come fatto
storico", e di essere approdato a una "adesione intima, schietta,
profonda alla religione cattolica", che gli aveva consentito di vincere i
fastidi, le amaritudini, i terrori, la malinconia che fin allora lo avevano
tormentato (Epistolario). Due anni dopo, reduce dall'aver "letto a
furia" Le mie prigioni di S. Pellico, scriveva al Verga una lettera in
cui, opposto il cristianesimo di Silvio a quello dei gesuiti, dei "nemici
della filosofia e della civiltà", rivelava di essere divenuto assertore di
una religione filosofica: cioè di una religione "immedesimata" e non
solo conciliata con la filosofia, fondamento di una morale austera,
"ispiratrice di azioni grandi e generose, e dell'oblio di se medesimo per
intendere unicamente al bene della patria. Nei primi anni Trenta, anche in
seguito alla lettura del Nuovo saggio sull'origine delle idee di A. Rosmini
Serbati, il G. enunciò in modo più stringente e sistematico l'idea di una
diretta connessione tra risorgimento filosofico e risorgimento nazionale,
appellandosi a una tradizione filosofica autoctona, dispiegata genealogicamente
da Pitagora al Rosmini, attraverso la scuola eleatica, la patristica latina,
l'umanesimo e VICO (lettera a Verga). Dichiarandosi continuatore di questa
linea ideale, G. manifestò una speciale consonanza con il pensiero di Giordano
Bruno, facendo a più riprese, in parallelo con l'evoluzione delle proprie idee
politiche, professione di panteismo. Tale collegamento è attestato da una
lunga lettera ai compilatori della Giovine Italia e ivi pubblicata sotto lo
pseudonimo di Demofilo. G. vi esaltava il panteismo come la sola filosofia
"destinata a fiorire un giorno col voto unanime dei buoni ingegni",
affermando di avvertire nelle dottrine politiche professate dai mazziniani
"un'applicazione di questi dettati" (cfr. anche lettera al Verga). La
lettera, ripubblicata con intenti antigiobertiani nel 1849 non da Mazzini, come
a lungo si credette, ma probabilmente da CATTANEO, col titolo Della repubblica
e del cristianesimo, era rivelatrice di una radicalizzazione delle convinzioni
del G., coinvolto in una serie di vicende destinate a mutare il corso della sua
esistenza: vi si proclamava la necessità di una religione civile finalizzata
alla liberazione dei popoli, ma, contemporaneamente, l'impossibilità di dar
vita a "una religione veramente nuova […], tanto che i filosofi, e gli
uomini universalmente cominciano a persuadersi, che fuori del Cristianesimo non
v'ha religione"; e vi si accennava a una lettura escatologica, ma non solo
ultraterrena, dell'idea cristiana di salvezza e di redenzione, implicante una sua
dilatazione dalla sfera individuale a quella sociale, prefigurata nella
promessa di un regno "da aspettarsi eziandio in questo mondo".
Nell'accezione giobertiana, ispirata ora a un messianismo politico-sociale in
vesti cristiane cui non erano estranei gli echi delle dottrine sansimoniane, il
motto mazziniano Dio e il popolo"diventa così il presupposto di una
cristianità novella, l'annunzio di un'epoca imminente in cui "Iddio sarà
umanato non nel figliuolo dell'uomo, ma nel popolo", e destinato non alla croce,
ma a un regno stabile, a una pace perpetua, all'immortalità e alla gloria. L'abito
di prudenza e di riservatezza adottato da G. non impedì che le sue idee
destassero diffusi sospetti di ateismo anche presso i suoi superiori. Ciò lo
induce a lasciare la carica di cappellano e a rinunciare al relativo stipendio.
Nel frattempo si era affiliato a una società segreta, detta dei Circoli, e poi
ad altra associazione patriottica di dubbia identificazione, forse i Veri
Italiani; non sembra che mai entrasse nella Giovine Italia, sebbene coltivasse
intimi rapporti con alcuni suoi affiliati, come l'abate Pallia. In seguito a
delazione, fu quindi coinvolto nella repressione prodotta in Piemonte dalla
scoperta della congiura mazziniana, arrestato con pesantissime accuse e tenuto
in carcere, senza processo, fino al settembre. Qui lo raggiunse un
provvedimento immediatamente esecutivo che lo esiliava senza permettergli di
incontrare alcuno dei suoi amici. Per poco più di un anno, G. visse a
Parigi in una situazione assai precaria, che lo induce ad autorappresentarsi
nei panni di uno "sdottorato" e uno "spretato" (era privo
di celebret per la messa), di uno che aveva "perduto tutto".
Nonostante le relazioni intrecciate con i molti italiani insediati stabilmente
o temporaneamente nella capitale francese, come il matematico G. Libri, Peyron,
Mamiani, Botta, e con esponenti di primo piano del mondo accademico francese,
come Cousin e Champollion, visse in relativo isolamento, in una città che
considerava il "microcosmo d'Europa" ma non amava, ascoltando le
lezioni accademiche di Fauriel e Jouffroy, impartendo per vivere lezioni
private d'italiano e progettando, senza realizzarli, lavori di argomento
filosofico o di polemica politica sulla sanguinosa repressione seguita alla
congiura e al tentativo mazziniano. Nella febbrile atmosfera intellettuale
della monarchia di luglio il G. avvertì come sintomi di una crisi epocale, ma
senza condividerne appieno i contenuti, i messaggi di rinnovamento sociale
espressi dalla tarda scuola sansimoniana, da Buchez, dalle Paroles d'un croyant
di F.-R. de Mennais. Lo scenario parigino, che gli appariva connotato dalla
totale estinzione del culto e della pratica cattolica, fornì nuovo alimento
alla venatura apocalittica del suo pensiero, che gli faceva presagire come
prossima la "fine del mondo; ma del mondo antico, donde sorgerà il
nuovo", nel quale gl’ordini morali di Cristo sarebbero diventati "gli
ordini civili delle nazioni", compenetrando lo Stato sino a produrre
"una società di uomini, retta da sé medesima, sotto la legge universale,
una, libera, fiorente, morigerata, santa, ed esprimente la concordia del cielo
colla terra" (lettera ad Unia). Per altro verso, si approfondiva sino a
divenire inconciliabile il dissenso del G. nei riguardi della linea mazziniana
e verso i movimenti insurrezionali, cui attribuiva la responsabilità di aver
"impedita o spenta una metà almeno di quel civile progresso che altrimenti
or sarebbe in Italia". Ne discendeva un caldo invito, rivolto ai suoi
numerosi corrispondenti piemontesi, all'accorta prudenza e a un lavoro di lunga
lena finalizzato a un apostolato politico basato sull'aperta propaganda delle
idee patriottiche. Dall'insieme delle posizioni giobertiane dell'esilio
parigino trasparivano una sostanziale sfiducia nel grado di maturazione
raggiunto dalla coscienza nazionale del popolo italiano, "languido, diviso
e inerte", un'attenuazione delle antecedenti pregiudiziali repubblicane e
l'abbandono delle convinzioni panteistiche. Sul piano politico, G. inquadra ora
la questione nazionale nella riapertura, ritenuta certa, del ciclo
rivoluzionario in Francia e nella susseguente esplosione di una guerra europea,
condizioni determinanti della liberazione dell'Italia dall'Austria e della
cacciata definitiva dei "nostri tiranni". Accetta, anche per
ragioni economiche, l'offerta di assumere l'insegnamento di storia e filosofia
nel collegio fondato a Bruxelles daGaggia (un ex sacerdote italiano
convertitosi al protestantesimo), che ospitava un centinaio di cattolici ed
evangelici. Forse anche in relazione alla più pacata atmosfera politica del
Belgio, dove i cattolici erano parte attiva del sistema costituzionale sortito
dalla rivoluzione, G. proseguì nella
revisione ideologica già profilatasi nel periodo parigino, prospettando più
lucidamente che nel passato un'esigenza di conciliazione, che non implicasse
identificazione, tra dogmatica religiosa e idee filosofiche e tra ordine
soprannaturale e ordine civile. Dichiarava in proposito che, mentre in precedenza
aveva immedesimato i dogmi cristiani colle idee, ora li disgiungeva, evitando
di ridurre il cristianesimo a una simbolica filosofia, ma considerandolo invece
il compimento della filosofia medesima"(a Pinelli). Ne conseguì la
decisione di produrre finalmente delle opere a stampa. Vide infatti la luce a
Bruxelles una sua "dissertazione religiosa" intitolata Teorica del
soprannaturale, o sia Discorso sulle convenienze della religione rivelata colla
mente umana e col progresso civile delle nazioni, composta in poco più di un
mese e stampata a spese dell'autore; cui seguirono, in rapida successione,
l'Introduzione allo studio della filosofia (Bruxelles), che ebbe una
circolazione superiore a quella, inizialmente limitatissima, della Teorica,
sebbene di entrambe le opere venisse interdetta l'introduzione nel Regno sardo;
la Lettre sur les doctrines philosophiques et politiques de m. de Lamennais
(dapprima anonima, nel Supplement à la Gazette de France, poi con firma e con
titolo leggermente mutato a Parigi-Lovanio); il saggio Del bello, composto come
voce dell'Enciclopedia italiana e dizionario della conversazione (Venezia)
diretta da Falconetti, e pubblicato anche come volume a sé nell'autunno del
1841, prima opera di G. edita in Italia, che doveva essere seguita da un altro
testo destinato alla stessa sede, Del buono, uscito invece in forma autonoma a
Bruxelles; e le dieci lettere Degli errori filosofici di Antonio Rosmini
(Bruxelles; la seconda edizione porta a 12 il numero delle lettere e
comprendeva altri scritti giobertiani). Nella Teorica G. fa i conti con
il proprio antecedente itinerario intellettuale e con le tendenze filosofiche del
suo tempo. L'opera, imperniata sull'analisi delle relazioni tra ordine
religioso e ordine civile osservate sotto un'angolatura gnoseologica, etica e
storica, aveva come principale obiettivo polemico la riduzione monistica della
sfera religiosa a quella civile o viceversa, operata, secondo G., dalle teorie
razionalistiche e panteistiche, dal "cristianesimo politico" dei
sansimoniani alla Buchez, dal tradizionalismo antimoderno di Maistre, Bonald e
del primo La Mennais. Dalle dottrine tradizionalistiche, tuttavia, G. prendeva,
rielaborandola, l'idea di una rivelazione primitiva cui veniva fatta risalire
sia l'attivazione (mediante il dono soprannaturale del linguaggio) della
facoltà di conoscere e di volere e quindi l'origine della civiltà, sia
l'infusione nella mente umana di verità sovraintellegibili, percepite come
misteri, analizzabili razionalmente solo per via analogica, e fondanti l'ordine
religioso. Ne discendeva una storia parallela, basata sul principio di
distinzione e di interrelazione, della civiltà e della rivelazione religiosa,
anch'essa rappresentata come progressiva, fino al suo compimento nella
rivelazione cristiana, custodita integralmente e infallibilmente dalla Chiesa
cattolica. Il tracciato di questo duplice cammino era per G. contrassegnato dal
progressivo incremento del ruolo della religione come "causa e
stromento" di civiltà, e dal graduale accostamento degli ordini politici
al modello di società organizzata costituito dalla Chiesa (visibile tra l'altro
nell'applicazione alla sfera politica del sistema elettivo proprio degli ordini
ecclesiastici). Emergevano pertanto dalle pagine della Teorica i lineamenti di
una rilettura della genesi della civiltà moderna, in opposizione alla tesi
delle sue origini protestanti, e una riaffermazione del primato della religione
sulla civiltà e della Chiesa sullo Stato, che si traduceva nella confutazione
dei sistemi politici, assoluti o democratici che fossero, i quali implicassero
una subordinazione della religione alla volontà del sovrano. Si trattava, in
definitiva, di un'apologia del cattolicesimo in senso civile, che nello scorcio
conclusivo dell'opera assumeva una marcata impronta nazionale. Tale
impronta era ancora più forte nell'Introduzione allo studio della filosofia.
L'opera era infatti imperniata sull'idea che toccasse all'Italia, dopo un lungo
periodo di oscuramento della sua tradizione filosofica determinato dalla
perdita dell'"indipendenza civile", promuovere la restaurazione della
"vera filosofia", scomparsa dall'orizzonte europeo in seguito
all'espulsione dell'"idea di Dio dallo scibile umano", e porre
rimedio agli effetti devastanti prodotti sul piano politico dalla diffusione di
falsi principî filosofici, generatori delle due contrapposte tirannidi
prevalenti nel mondo moderno, quella dei despoti e quella del popoli,
dipendenti "dallo stesso principio, e aventi uno scopo unico, cioè il
predominio della forza sul diritto". L'Introduzione intendeva porre le
basi di un organico sistema filosofico (inteso in senso molto estensivo), in
grado di contrapporsi alle deviazioni psicologistiche, soggettivistiche o
panteistiche della filosofia moderna generate principalmente, sul piano
speculativo, dal pensiero e dal metodo analitico di Cartesio e, su quello
religioso, dalla Riforma: un sistema imperniato sull'Idea, intesa, a suo dire,
in un'accezione totalmente diversa da quella utilizzata dai sensisti, dagli
idéologues e dai panteisti moderni (tra cui HEGEL), e analoga invece a quella
platonica e malebranchiana. Il riferimento all'Idea, intuita dalla mente umana
come oggetto reale e in atto che esiste indipendentemente dal soggetto, cioè
come Ente o principio ontologico e non solo gnoseologico, si realizza nel
giudizio sintetico a priori o formula ideale "l'Ente crea
l'esistente", che pone nell'atto creativo l'origine del mondo, e da cui
scaturisce, in ragione dell'identica matrice della realtà generata e del
pensiero, l'intera enciclopedia filosofica sul piano speculativo. Il principio
contenuto nella formula ideale si esplica infatti in un secondo ciclo creativo
che procede, a differenza del primo, dall'esistente all'Ente, e del quale è
partecipe, come causa seconda, l'azione dell'uomo in quanto dotato di
intelligenza e di libero arbitrio, che lo rende "in un certo modo
creatore" e simile a Dio. Mentre il primo ciclo è il principale oggetto
dell'ontologia, scienza dei principî, il secondo ciclo, nel quale si esplica la
"vita attiva", è l'oggetto dell'etica, scienza dei fini. Tra le
molteplici applicazioni della formula ideale abbozzate nell'Introduzione
assumevano un rilievo particolare quella concernente il rapporto tra religione
e civiltà secondo lo schema relazionale già profilato nella Teorica, e quella
riguardante la sfera della sovranità. In argomento G., ponendo nell'Idea
l'origine della sovranità, ne confutava sia il fondamento contrattualistico
(visto come prodotto delle deviazioni soggettivistiche e sensistiche della
filosofia moderna), sia l'identificazione con il potere assoluto di un
principe. Definendo la sovranità come un processo discendente dall'Idea, ma
nello stesso tempo partecipativo, G. pervenne alla enunciazione di una formula
politica (modellata sulla formula ideale), per la quale "il sovrano fa il
popolo" ma "il popolo diventa sovrano", mediante "la
trasformazione lenta, graduata e sicura del Demo in patriziato. Ciò si
traduceva in un'apologia della monarchia civile o rappresentativa generata dal
cristianesimo e già prefigurata negli ordinamenti medievali, vista come sintesi
tra un potere tradizionale e un'"aristocrazia elettiva" chiamata a
estendersi col progredire dell'incivilimento. Inoltre, distinguendo il diritto
sovrano dal diritto del principe, il G. finiva per recuperare come "unico
giure assoluto, essenziale, irrepugnabile" l'idea di sovranità nazionale,
trasferendo alla nazione (una volta istituita come corpo politico) il carattere
di primazia che i fautori dell'assolutismo attribuivano al principe: sino a
proclamare non solo il diritto di resistenza nei confronti del principe
assoluto, ma financo, in casi estremi, la legittimità della rivoluzione.
Il progetto di cui la Teorica e l'Introduzionecostituivano una prima cornice
speculativa era sintetizzato in una lettera a ROVERE (si veda) (Epistolario), dove G. esprime la convinzione
che il solo modo di giovare all'Italia fosse quello di "creare una scuola
di libertà temperata, morale, religiosa, italiana, una scuola di civiltà tanto
aliena dal sentire dei demagoghi quanto da quello dei despoti"; indicava
l'obiettivo di far della religione "una insegna nazionale"
immedesimandola "col genio dell'Italia, come nazione", facendone
"una di quelle idee madri che seggono in cima al pensiero degli uomini e
signoreggiano ogni parte del vivere civile". Con l'aggiunta che,
distinguendo "nella religione cattolica la credenza dall'istituzione"
e insistendo sulla seconda, non sarebbe stato difficile convincere gli
increduli che "il cattolicesimo, anche umanamente considerato, sia il
migliore degli istituti religiosi possibili. Un programma di così
ambiziosa portata prefigurava un disegno in qualche misura egemonico sul piano
culturale e induceva G. non solo a entrare in diretta polemica con le opere di
autorevoli esponenti del coevo pensiero europeo, come Cousin (in uno scritto
concepito come appendice dell'Introduzione, ma pubblicato inizialmente a parte,
a Bruxelles, le Considerazioni sopra le dottrine religiose di Cousin), e come
Lamennais (in un opuscolo duramente critico verso le sue ultime opere
filosofiche e politiche), ma soprattutto a competere con l'altro pensatore
italiano, Rosmini, che aveva intrapreso a propria volta, con intenti non meno
ambiziosi, un programma di edificazione di una filosofia cristiana capace di
misurarsi con il pensiero moderno. Il dissenso nei suoi confronti si era già
manifestato nell'Introduzione, dove alla dottrina rosminiana dell'Essere ideale
era mossa la critica di perdurante e invalicabile psicologismo e perciò di
soggettivismo e finanche di sensismo mascherato. Tale iniziale dissenso si
tradusse in acre e prolungata polemica, specialmente in ragione dei successivi
interventi dei seguaci del Rosmini, come Tarditi, Gastaldi, arcivescovo di
Torino, G. di CAVOUR (si veda), secondo i quali le tesi giobertiane menavano
dritto al panteismo. G. ribatté colpo su colpo, incominciando dalla già citata
alluvionale opera Degli errori filosofici di SERBATI (si veda), importante
soprattutto per il fatto che l'autore vi tracciava il processo teorico
attraverso cui era pervenuto alla formula ideale. Nella polemica G. è
affiancato e sostenuto dai suoi amici e seguaci, come Rossi di Santarosa,
mentre risultò vano l'intervento pacificatore di N. Tommaseo. Sempre a
Bruxelles, G. diede alle stampe l'opera
che doveva dargli la celebrità, Del primato morale e civile degli Italiani,
tirato nella prima edizione in 1500 esemplari. Concepito inizialmente come
"un'operetta di non molte pagine", "un discorsetto non solo sul
Papa ma sull'Italia", il Primato divenne strada facendo un ponderoso
lavoro in due grossi volumi, la cui scrittura procedette in parallelo con la
stampa fino al maggio dell'anno successivo. L'opera, dalla struttura
sovrabbondante e magmatica, colma di formule apodittiche e di scarti lessicali,
aveva tuttavia un suo asse portante nel tentativo di definire i caratteri
originali e permanenti della nazionalità italiana sintetizzati in quello che G.
chiamava genio nazionale. Plasmato da fattori naturali, come il sito geografico
e la feconda mescolanza di stirpi pelasgiche ed etrusche, connotato dalla
preminenza di elementi sacerdotali e aristocratici, dotato di un suo
particolare "genio federativo" espresso dalla "società di
popoli" realizzata dalla repubblica romana (poi tralignata in signoria
imperiale), riflesso culturalmente da un'ininterrotta tradizione filosofica
autoctona, il genio italico aveva trovato, secondo il G., una sua
configurazione effettivamente nazionale per opera del Papato, che lungo il
Medioevo gli aveva dato stabile forma avviando la traduzione in "ordini
civili" dei dettati religiosi e morali del cristianesimo. Il tratto
costitutivo della nazione italiana veniva così reperito in un principio ideale,
convalidato tuttavia da fattori naturali di tipo etnico e confermato dalla
storia: nell'essere l'Italia nazione religiosa per eccellenza, dotata di un
primato religioso determinato dal trapianto in Roma dell'Evangelo e
dall'elezione provvidenziale della sede romana a sede apostolica, che si
riverberava in un primato dell'Italia nell'ordine morale e civile, da cui
traeva il carattere di creatrice, conservatrice e redentrice della civiltà
europea. Il ruolo o la missione religioso-civile, che faceva degli Italiani il
nuovo Israele e dell'Italia una nazione sacerdotale, veniva perciò raffigurato
dal G. come indivisibile da quello del Papato: il quale, mediante l'esercizio
della potestà civile connaturata alla sua primazia religiosa, non solo aveva
costituito la nazionalità italiana, ma le aveva altresì impresso i tratti suoi
propri di nazione guelfa. Per converso, il declino della potestà civile dei
pontefici, iniziato nel tardo Medioevo e culminato nell'Età moderna, si era
tradotto nella decadenza, nell'asservimento politico, nella subordinazione
culturale dell'Italia e nella frammentazione politico-religiosa dell'Europa. Il
risorgimento italiano, concepito da G. sullo sfondo di una riunificazione
religiosa europea, veniva dunque a raccordarsi strettamente con la
restaurazione della "scaduta potestà civile del Papa in modo conforme e
proporzionato all'indole e ai bisogni del secolo". Tale formula conteneva
il nocciolo della tesi centrale del Primato: posto che, secondo G., l'esercizio
della potestà civile pontificia, perno della più ampia potestà civile della
Chiesa, era per sua natura suscettibile di assumere modalità variabili in
relazione al cammino della civiltà in senso secolare, essa era chiamata a
evolversi in maniera vieppiù adeguata alla propria originaria legittimazione
religiosa e alla progressiva acquisizione di "indipendenza civile" e
di capacità nazionale da parte dei popoli, assumendo le forme preminenti della
forza morale, della persuasione, dell'influenza pacifica e pacificatrice.
L'itinerario della potestà civile pontificia tracciato da G. procedeva dunque
dalla "dittatura", consona alle età barbariche, verso un "potere
arbitrale", delimitato dal fatto di non "avere alcun effetto civile
che non sia consentito alla libera [cioè liberamente] dalle parti gareggianti e
deliberanti". Si realizzava così la saldatura tra la restaurazione-riforma
del potere civile del Papato e il Risorgimento italiano: nel senso che la
ridefinizione del primo avrebbe reso possibile l'esercizio effettivo da parte
del pontefice del ruolo, mai assunto nel passato, di capo civile della nazione
sotto forma presidenziale (o dogale) - un ruolo, dunque, istituzionale, analogo
ma più forte di quello arbitrale -, e la contemporanea trasformazione in unità
"nazionale e politica" della preesistente, ma virtuale, unità
italiana senza che ne venissero toccati i legittimi poteri dei sovrani.
Quest'ultimo aspetto costituiva un altro snodo del Primato, che consentiva a G.
di tracciare una via consensuale, pacifica e aliena da fratture rivoluzionarie
per la costruzione dello Stato nazionale. Scartate come estranee alla natura e
alla storia del genio italico le forme del dispotismo e della democrazia
"demagogica" fondata sull'idea della sovranità popolare, e assumendo
come punto di riferimento il riformismo settecentesco, in specie di Leopoldo e
di Benedetto XIV, G. raffigura l'erigenda entità politica nazionale come una
confederazione dei maggiori Stati italiani, retti a monarchia
"consultiva" sotto la presidenza moderatrice del pontefice elettivo.
La formula della monarchia consultativa veniva preferita a quella della
monarchia rappresentativa per il fatto di non frammentare la sovranità, e di
permettere ugualmente ai sovrani di governare secondo il voto della nazione,
raccolto e filtrato da un corpo vitalizio di "veri ottimati" tratto
da un'aristocrazia selezionata dal merito e dall'ingegno più che dal sangue
nobiliare, agente come canale di collegamento con l'opinione pubblica.
Un'attenzione particolare era dedicata dal Primato al potere dell'opinione
negli Stati moderni, alle condizioni necessarie del suo sviluppo, al ruolo che
il clero era chiamato a esercitarvi nel rispetto del "principio sacrosanto
della libertà delle coscienze", alla funzione modernizzatrice delle
élitesintellettuali. L'utopia della confederazione italiana (tale la definiva
lo stesso G.) si traduceva in una forma politica composita, che richiamava in
certa misura l'ordinamento ecclesiastico, caratterizzata dalla presidenza
conciliatrice del pontefice, da un insieme di "aristocrazie civili e
consultative, ciascuna sotto un capo ereditario investito del supremo
comando", e finalizzata all'unione, all'indipendenza e alla realizzazione
della libertà civile, tenuta distinta da quella politica, cioè
costituzionale. Scritto come libro moderatissimo per non irritare gl’animi
e consentirgli di circolare per tutta la penisola (il che accadde, nonostante
gli interdetti dell'Austria e il divieto di smercio nello Stato pontificio),
con l'esplicita intenzione di raccogliere i più ampi consensi, il Primato
lasciava deliberatamente da parte argomenti di più immediata rilevanza
politica, che pure G. affermava di aver originariamente previsto, quali il
predominio dell'Austria o la laicizzazione del governo dello Stato pontificio.
Il Primatosegnava inoltre un ripiegamento rispetto ad alcune delle tesi
sviluppate nell'Introduzioneallo studio della filosofia e conteneva positivi
apprezzamenti nei riguardi della Compagnia di Gesù. Accolto con favore in
ambienti laici ed ecclesiastici, compresi quelli gesuitici, ma stroncato da
Ferrari nel quadro della polemica antigiobertiana che percorreva il suo saggio
La philosophie catholique en Italie (uscito in due puntate sulla Revue des deux
mondes, cui G. rispose con una lettera pubblicata in appendice alla seconda
edizione di Degli errori filosofici di SERBATI), il libro contribuì in modo
rilevante alla formazione dell'opinione nazionale, pur a prezzo o forse in
ragione delle sue reticenze e dissimulazioni, trovando una naturale
collocazione nel contesto del riformismo moderato degli anni Quaranta,
specialmente in Piemonte, grazie anche all'apologia, presente in certe sue
pagine, della missione nazionale riservata allo Stato sabaudo sotto il profilo
militare, e all'esaltazione del riformismo carloalbertino: temi subito ripresi
e sviluppati, in senso più marcatamente sabaudista ma anche meno proclive
all'idea del primato italiano, nelle SPERANZA DEGL’ITALIANI di BALBO (che sul
finire ha parte principale nella nomina di G. a socio nazionale non residente
dell'Accademia delle scienze di Torino). Di segno opposto furono le accoglienze
riservate al Primato da Mazzini e dai neoghibellini. La prima edizione del
Primato - la cui lettura era resa ancora più ardua dalla mancanza di un indice
analitico - andò rapidamente esaurita, e G. provvide ad allestirne una seconda
corretta, stampata dallo stesso tipografo belga, e comprendente un lungo testo
introduttivo, che venne tirato a parte in 2000 copie col titolo di Prolegomeni
del Primato. Qui G. abbandonava alcune delle originarie cautele, con un
pronunciamento a favore della monarchia rappresentativa e con un'acre denuncia
degli orientamenti settari attivi nella Chiesa e identificati in particolare
nell'Ordine gesuitico o, per meglio dire, nel "gesuitismo" inteso
come categoria morale contrapposta al "cattolicismo" e incompatibile
con la civiltà moderna e i suoi valori nazionali. Ciò innescava un'aspra
controversia, destinata ad aggravarsi e a prolungarsi nel tempo, con eminenti
scrittori della Compagnia, segnatamente con F. Pellico, fratello di Silvio, e
Curci, non senza il sostegno e l'incoraggiamento del padre generale J.
Roothaan. I Prolegomeni segnavano una prima sterzata rispetto alle
tonalità ecumeniche del Primato, e il riaffiorare nel G. di una virulenta vena
polemica che trovò un successivo sfogo nella pubblicazione del Gesuita moderno,
apparso a Losanna. Una parte non trascurabile nella vicenda ebbe il passaggio di
G. da Bruxelles a Parigi, reso possibile dall'autonomia finanziaria
assicuratagli dalla buona riuscita della sottoscrizione promossa a Torino da
Pinelli per una nuova edizione delle sue opere complete. A Parigi, ove rinsaldò
l'amicizia con G. Massari (divenuto nel frattempo suo discepolo e ammiratore),
G. si trovò nel pieno dello scontro sulle scuole delle congregazioni e nel
cuore delle controversie sulla Compagnia di Gesù innescate dai corsi tenuti al
Collège de France da Quinet e da Michelet. Soprattutto, suscitò grande eco
nell'animo di G., che ne avrebbe tratto a più riprese corrosivi spunti
antigesuitici, il coinvolgimento della Compagnia nei coevi conflitti politico-religiosi
della Svizzera, sfociati poi nella guerra del Sonderbund. Impostato come
una replica alle critiche dei padri Pellico e Curci, Il gesuita moderno si
trasformò strada facendo in un farraginoso lavoro in cinque volumi (l'ultimo
dei quali di documenti) scritto dal G. in uno stato di tensione e di
inquietudine che lo induceva a sospettare di una sistematica opera di
spionaggio messo in atto da emissari della Compagnia nei suoi confronti.
L'opera era un concentrato di argomenti antigesuitici ricavati dalla storia e
collegati dall'idea dominante già abbozzata nei Prolegomeni: la radicale e
irrimediabile ostilità dello spirito gesuitico, in quanto pervaso da
misticismo, lassismo morale e autoritarismo, a un cattolicesimo civile,
ispiratore del movimento nazionale. Nel rappresentare il gesuitismo come il
principale e più subdolo nemico del Risorgimento, G. prendeva anche in
considerazione, in un'appendice al quinto volume, le tesi enunciate d’Azeglio
nel saggio Della nazionalità, dove si affermava non essere l'indipendenza
politica un attributo necessario della nazionalità, e veniva definito
inammissibile il perseguimento di uno Stato nazionale se in conflitto con i
diritti dei sovrani. G. vi contrappone un'idea di nazionalità come
"creatrice di diritti", fattore sostanziale e incoercibile di
identità di un popolo, in tal modo proclamando non solo l'incomponibile
divaricazione tra due idee di nazionalità, ma anche prendendo definitivo
congedo dalle sfumature legittimistiche del Primato. Gli eccessi polemici
del Gesuita moderno, singolarmente contrastanti con la moderazione del Primato,
gli valsero un'accoglienza controversa e suscitarono non poche critiche anche
da parte di cattolici liberali come Balbo, SERBATI e Tommaseo; ma assicurarono
ulteriore udienza e popolarità all'autore e un'ampia circolazione, superiore a
quella del Primato, all'opera, che non era stata interdetta dalla censura
ecclesiastica ed era venuta a cadere in una fase in cui il vento antigesuitico
spirava forte negli Stati europei (la seconda edizione fu tirata in 12.000
copie). I cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nella situazione italiana
con l'elezione di Pio IX e l'accelerazione del movimento riformatore, gli
atteggiamenti assai cauti, se non riguardosi, del nuovo papa, già lettore del
Primato, nei confronti di G., e, viceversa, il moltiplicarsi delle critiche al
Gesuita modernoin Italia e più ancora in Francia, specialmente per mano
dell'archeologo Ch. Lenormant, indussero G., a porre mano a un nuovo lavoro,
l'Apologia del libro intitolato "Il gesuita moderno", con alcune
considerazioni intorno al Risorgimento italiano (Bruxelles e Livorno). Qui la
rinnovata battaglia contro il gesuitismo, estesa ora al partito francese dei
"laici ipercattolici" capeggiato da Montalembert, veniva a
connettersi più direttamente con i progressi compiuti nel frattempo dal
movimento nazionale e interpretati dal G. come una totale convalida delle
proprie tesi. Sennonché, tra l'inizio della stesura e della stampa, progredita
assai lentamente, e la conclusione del lavoro erano intervenuti il
sovvertimento della scena politica europea con la rivoluzione parigina del
febbraio (direttamente osservata e idealmente difesa dal G.), la concessione
degli statuti da parte dei maggiori sovrani italiani, la rivoluzione di Vienna
e la crisi dell'Impero austriaco, l'insurrezione milanese, l'avvio della guerra
in Italia. Inoltre la Compagnia di Gesù era stata espulsa da molti Stati, tra
cui quello sabaudo, tanto da far pensare al G. che i gesuiti, dei quali aveva
auspicato in lettere private l'espulsione, fossero "morti
politicamente", pur continuando a sopravvivere "i loro spiriti".
Tutto questo impose un rifacimento del capitolo finale dell'opera, più legato
all'attualità, e la stesura di un lungo proemio, datato Parigi, in cui i fatti
italiani, a partire dalla rivoluzione siciliana del gennaio, entravano
prepotentemente nella sua analisi, rendendo il libro ancor più eterogeneo nei
suoi contenuti e il suo titolo ancor più inadeguato, ma accrescendone pure di
molto l'interesse. L'opera vide finalmente la luce, in quattro edizioni quasi
contemporanee, quando il G. era ormai ritornato a Torino. Molteplici
elementi imprimevano all'Apologiail tono di un manifesto programmatico, in
linea con i numerosi interventi avviati da G. su alcuni giornali liberali come
la Patria di Firenze, l'Italia di Pisa, il Risorgimento e soprattutto la
Concordia di Torino, diretta da L. Valerio: in primo luogo, l'esaltazione,
condotta con toni volutamente forzati, dell'azione riformatrice di Pio IX, nel
quale G. indica l'incarnazione provvidenziale del pontefice da lui stesso
preconizzato, guida del Risorgimento nazionale interpretato come "un
evento religioso, europeo, universale", promotore di "una rivoluzione
fondamentale negli ordini umani del cattolicesimo" e di una metamorfosi
del Papato da "aristocratico e monarcale" a "popolano e
democratico come nelle sue origini"; in secondo luogo, la perorazione per
la sollecita creazione di un regno costituzionale dell'Alta Italia sotto la
dinastia dei Savoia, accompagnata dalla confutazione dei programmi
municipalisti e repubblicani. Per altro verso, l'Apologia portò allo scoperto,
sotto la sollecitazione degli eventi, venature del pensiero giobertiano in
precedenza tenute in ombra, riflettendone gli approdi più recenti. Il libro era
tutto attraversato dal tema della democrazia, non tanto intesa come ordinamento
politico, ma quale prorompente e benefica "rivoluzione, che per la mole,
l'estensione, la natura, l'importanza, la durata, non si può comparare a niuna
di quelle che la precedettero, la quale avrà per ultimo esito di conferire al
popolo la piena signoria delle cose umane"; rivalutava, rifacendosi alle
opere di Lamartine e Michelet, l'opera dei giacobini nella Rivoluzione
francese; assegnava a meta conclusiva del movimento nazionale, dopo la
necessaria fase federativa, la costituzione di uno Stato unitario, accennando a
una sua futura trasformazione in senso repubblicano; individuava il solo modo
di perpetuare la monarchia pontificia in una riforma costituzionale dello Stato
della Chiesa, che consentisse al papa, in quanto principe temporale, di regnare
senza governare e di realizzare la "separazione assoluta del governo
spirituale dal temporale". Quando rientrò a Torino, dopo oltre
quattordici anni di esilio e accolto da entusiastiche manifestazioni, G. era
reduce da una prima cocente delusione politica, determinata dall'annuncio
confidenziale, pervenutogli a Parigi e seguito da immediata smentita, della sua
nomina a ministro dell'Istruzione nel gabinetto Balbo, fatta cadere dal veto di
Carlo Alberto, che gli era e gli restò ostilissimo. In compenso, in un collegio
torinese e in uno genovese era appena stato eletto a sua insaputa alla Camera
subalpina, che alla metà di maggio lo proclamò proprio presidente. Fino alla
fine di luglio, tuttavia, G. non mise piede in Parlamento, perché ai primi di
maggio, accompagnato da don G. Baracco, già era partito per una lunga
peregrinazione politica, che lo avrebbe portato a Milano (dove ebbe un incontro
col Mazzini), al quartier generale piemontese di Sommacampagna (dove fu
ricevuto da Carlo Alberto), poi, attraverso la Lombardia e l'Emilia, a Genova,
a Livorno, a Roma (dove soggiornò due settimane e fu ricevuto in tre diverse
udienze da Pio IX), e infine, per l'Umbria e le Marche, a Bologna e a Firenze,
donde rientrò, via Genova, nella capitale sabauda. Il viaggio per l'Italia,
avvenuto in una fase in cui la guerra federale contro l'Austria aveva ricevuto
un colpo letale dall'allocuzione di Pio IX
- il cui significato il G. tentò invano di minimizzare - e dalla
reazione borbonica di maggio, fu tanto indicativo dei vertici raggiunti dalla
popolarità del G., ovunque fatto oggetto di accoglienze trionfali e talora
deliranti, e tanto ricco d'incontri con i più vari circoli politici, quanto
povero di durevoli risultati. Nel corso di tale viaggio, affrontato con lena
missionaria, il G. propagandò fervidamente alcune idee-guida: in nome della
concordia nazionale combatté a spada tratta le ipotesi repubblicane di ogni
genere, i movimenti da lui tacciati di municipalismo, i progetti per
un'assemblea costituente, che finì tuttavia per ritenere inevitabile e non
pericolosa a certe condizioni; invocò il pronto accoglimento dei voti di unione
al Regno sabaudo del Lombardo-Veneto e la proclamazione di un forte regno
dell'Italia settentrionale; tentò con la medesima energia di rilanciare la
soluzione federale, contro i riaffioranti particolarismi statali e dinastici,
non esclusi quelli del Piemonte; si adoperò per un consolidamento del sistema
costituzionale a Roma, utilizzando anche i propri rapporti di amicizia con il
ministro T. Mamiani. Analoghi programmi il G. sostenne durante la breve
vita del gabinetto Casati, al quale fu aggregato dal 29 luglio, giusto
all'indomani del disastro di Custoza, in qualità di ministro senza portafoglio
e poi dell'Istruzione, facendosi personalmente promotore della missione del
Rosmini presso Pio IX, finalizzata alla stipulazione di un trattato confederale
e di un nuovo concordato. Ma la firma dell'armistizio Salasco e l'interruzione
della guerra con l'Austria lo colsero di sorpresa. Di fronte alla svolta che
portò alle dimissioni del governo Casati, il G. abbracciò posizioni assai
impopolari presso i moderati, dapprima avversando e poi perorando una richiesta
di aiuto militare alla Repubblica francese, combattendo a spada tratta la
richiesta di una mediazione diplomatica franco-inglese, schierandosi per una
ripresa della guerra in una cornice federativa quanto mai inattuale. Le
ombrosità e le ambizioni del G., che aspirava alla presidenza del Consiglio,
ebbero modo di tradursi in aperto dissenso politico in occasione della
formazione del governo presieduto da C. Alfieri di Sostegno (poi da E. Perrone
di San Martino), che pure includeva tre amici del G. come il Pinelli, in
posizione preminente, Merlo e Santarosa. Al nuovo ministero G. dichiarò guerra
aperta con un opuscolo dai toni aggressivi, I due programmi del ministero
Sostegno (Torino). Accusato il nuovo governo di spirito municipalista, cioè di
disinteresse per le sorti degli altri Stati italiani, G., che aveva lasciato il
seggio parlamentare in occasione della sua nomina ministeriale, tentò, facendo
appello all'opinione pubblica nazionale, di promuovere una politica alternativa
basata sull'idea di una Costituente federativa con mandato limitato, da
contrapporre sia all'inerzia del governo piemontese in carica, sia ai programmi
di Costituente agitati dai gruppi democratici radicali. Fu quindi coinvolto
nella fondazione della Società nazionale per la confederazione italiana, che
tenne in ottobre a Torino il suo primo e unico congresso. Preceduto da un suo
infiammato indirizzo "ai popoli italici" (dov'erano tra l'altro
adombrati gli irreparabili guasti religiosi di un eventuale "funesto
scisma d'Italia e di Roma") e aperto da un discorso introduttivo in cui G.
denuncia le colpe dei repubblicani pratici e le "disorbitanze dei
democratici schietti e dei comunisti", il congresso si concluse con la
faticosa elaborazione di un progetto di Costituente federativa e con la
proclamazione del carattere irrevocabile della fusione delle regioni
settentrionali nel Regno dell'Alta Italia. Rieletto alla Camera nella
tornata suppletiva del 30 settembre e nuovamente asceso alla presidenza
dell'Assemblea, dopo le dimissioni del governo da lui accanitamente avversato
il G. ebbe a metà dicembre l'incarico di presiedere il nuovo ministero, in cui
assunse anche il dicastero degli Esteri. Salito alla presidenza del Consiglio
non più come simbolo di unità e di concordia ma come esponente di maggior
spicco dell'opposizione, nel discorso programmatico definì il proprio ministero
con l'appellativo di democratico, cioè, come disse, volto a innalzare la plebe
"a dignità di popolo", a serbare rigidamente l'uguaglianza dei
cittadini di fronte alla legge comune, a provvedere agli interessi delle
province, con implicito riferimento alla difficile situazione genovese, a
"corredare il principato d'istituzioni popolane, accordando con gli
spiriti di queste i civili provvedimenti"; manifestò inoltre l'intenzione
di riprendere la guerra interrotta, di promuovere una Costituente federativa
italiana, e proclamò il diritto degli Stati italiani - di fatto, il diritto
dello Stato sabaudo, cui attribuiva apertamente una funzione egemonica - di
intervenire negli altri Stati della penisola per evitare sommovimenti
rivoluzionari o interventi militari stranieri. G. s'inoltrò pertanto in una
politica nazionale alquanto avventurosa, seppur coerente con il principio,
carico di valore ideale ma povero di forza normativa e da lui ribadito in
documenti ufficiali, per il quale egli affermava la sussistenza di un diritto
della nazionalità, preminente sulle vigenti istituzioni politiche e imperativo
nelle relazioni tra gli Stati italiani. Venne così progettando invii di truppe
sarde nei punti critici della penisola e si propose come indesiderato mediatore
tra i sovrani italiani e i loro popoli. Del tutto vani si rivelarono i suoi
insistiti tentativi di intermediazione tra Pio IX, rifugiatosi a Gaeta, e la
commissione provvisoria di governo di Roma, intesi a ricondurre il pontefice
nel suo Stato con l'appoggio di truppe piemontesi subordinato al mantenimento
degli ordini costituzionali; e volti nel contempo a impedire l'ingresso di
Mazzini in Roma e la convocazione della Costituente italiana. Sul finire
dell'anno G. chiede e ottenne dal sovrano lo scioglimento della camera e
l'indizione di nuove elezioni, che videro il suo personale successo in dieci
collegi del Regno, ma produssero un'Assemblea decisamente sbilanciata sulla
Sinistra democratica. Poco attento agli equilibri parlamentari, che considerava
con un certo disdegno, abbandonate le velleità di convincere Ferdinando di
Borbone e gli indipendentisti siciliani ad affidare alla Costituente federativa
la composizione del loro prolungato conflitto, s'addentrò in un'avventura
militare che doveva riuscirgli fatale. Dopo aver lungamente tentato, grazie
anche ai suoi buoni rapporti con Montanelli, di indurre il governo democratico
toscano a più moderati consigli circa i ventilati progetti di Assemblea
costituente, posto di fronte alla traduzione di tali progetti in legge
operativa e alla successiva fuga di Leopoldo II, G. predispose in gran
segretezza un intervento armato piemontese in Toscana, per riportare il
granduca sul trono preservando il sistema costituzionale. La conoscenza del
disegno, rivolto contro un governo di orientamento marcatamente democratico, e
degli atti compiuti per realizzarlo, provocò la sollevazione del Parlamento
sardo, una frattura profonda nella compagine ministeriale e le dimissioni del
presidente del Consiglio, accolte di buon grado dal sovrano, pronto a
sostituirlo con il generale A. Chiodo. Per sostenere le ragioni della propria
politica, invisa ormai alla maggioranza dei gruppi parlamentari di ogni
orientamento, G. da vita a un giornale politico, il Saggiatore, sul quale
intervenne per invocare l'unità degli spiriti in occasione della ripresa della
guerra con l'Austria, da lui perorata ma ora altamente disapprovata per i modi
in cui era avvenuta. Dopo Novara l'abdicazione di Carlo Alberto e l'ascesa al
trono di Vittorio Emanuele II, G., su invito di Pinelli, accetta di entrare
come ministro senza portafoglio nel nuovo gabinetto presieduto da Launay,
nonostante il solco profondo che lo divideva dal primo ministro e dai suoi
orientamenti conservatori, e di assumere l'incarico di inviato straordinario
del Regno sardo a Parigi. L'indeterminatezza del compito affidatogli e gli atti
poco amichevoli compiuti dal governo piemontese nei suoi confron ti non
appena giunto a destinazione, indicavano che il vero significato della missione
era quello di togliere di mezzo l'incomodo personaggio, anche per favorire le
trattative di pace con l'Austria. Il G., che aveva preso a tessere relazioni
con vari personaggi della vita politica francese e inglese, tra cui
Tocqueville, reagì con la consueta irruenza, troncò ogni rapporto ufficiale con
il Regno sardo dimettendosi da deputato, da ministro e da inviato
straordinario, manifestò a chiare lettere il suo pessimismo sulla situazione
italiana, espresse il suo distacco dal Piemonte anche con la decisione di
restituire le somme pervenutegli per l'edizione delle sue opere, e si ritirò in
un secondo, volontario esilio. Si aprì per G. un altro periodo
operosissimo sul piano intellettuale e di riflessione, non certo distaccata,
sugli eventi di cui era stato protagonista. Nella corrispondenza privata, tutta
intessuta di riferimenti alla situazione italiana, francese ed europea, ebbe
modo di reagire, con sarcasmo misto ad amarezza, alla condanna comminata dalla
congregazione dell'Indice al suo Gesuita moderno, adottando pubblicamente la
linea del silenzio anziché quella della sottomissione. Sul piano politico
espresse a più riprese la convinzione che le idee repubblicane, colorate di
socialismo, fossero in fase di inarrestabile ascesa, affermando, in una letteram
di vedere all'opera una Provvidenza tinta di rosso "perché ordina tutto al
trionfo vicino o lontano di questo colore". Si dichiarava altresì fautore
di un ordinamento scolastico saldamente nelle mani dello Stato, in quanto
promotore e responsabile dell'"educazione nazionale", della gratuità
dell'istruzione primaria, dell'assistenza pubblica ai vecchi, agli ammalati e
alla povertà che non trova da lavorare. Mentre usciva a Capolago, per
iniziativa e con un'introduzione del Massari, una raccolta di lettere,
interventi e discorsi con il titolo di Operette politiche, G. riprese in mano i
propri lavori di argomento filosofico e religioso, editi e inediti, ma
soprattutto si dedicò alacremente alla stesura di una nuova opera di ampio
respiro che volle si stampasse a Parigi sotto la sua sorveglianza, pur
affidandone la pubblicazione all'editore torinese Bocca: era Del rinnovamento
civile d'Italia, che vide la luce in due volumi, il secondo dei quali
contenente anche una nutrita parte documentaria. Il Rinnovamento si
presenta come una riflessione politica che, prendendo spunto dalla
ricostruzione critica e storica degli eventi, affronta il tema generale delle
mutate condizioni interne e internazionali in cui l'unificazione nazionale
avrebbe ripreso il suo cammino. Il saggio proclama la fine della fase del
Risorgimento e l'inizio della fase del rinnovamento, concepito come parte
integrante "di un moto comune a quasi tutta l'Europa: il primo si era
mosso nella logica di una trasformazione graduale delle cose, il secondo
avrebbe assunto "aspetto e qualità di rivoluzione"; il primo era
stato movimento autonomo, governato dalle condizioni dell'Italia, il secondo
sarebbe dipeso "in gran parte dai fatti esterni"; il primo aveva
dovuto limitarsi all'obiettivo di un sistema federale "perché non ve n'era
altro possibile", il secondo non poteva escludere una possibile, e benefica,
accelerazione storica verso l'unificazione politica. Su questa falsariga G.
affrontava dettagliatamente, traendo lezione dagli errori che a suo giudizio
erano stati commessi da tutte le forze nazionali, una serie di argomenti di
grande impegno: l'insostenibilità del potere temporale dei papi, la maggiore
anticaglia superstite dell'età nostra, dannoso all'Italia, all'Europa e
soprattutto al cattolicesimo come causa di subordinazione del Papato alle forze
della reazione interne ed esterne; il posto e la natura del partito conservatore
e del partito democratico nella politica nazionale; le condizioni alle quali il
Piemonte, il paese più scarso di spiriti italici, dominato da una classe
politica di patrizi e di avvocati inclinati al municipalismo, guidato da una
dinastia stata finora impropizia all'ingegno, aristocratica e municipale, e
nondimeno l'unico ad aver preservato gli ordinamenti costituzionali, poteva
svolgere quel ruolo egemonico su scala nazionale che solo avrebbe salvato la
monarchia sabauda da un fatale declino. Un argomento che l'autore adduceva a
convalida delle proprie tesi, e che, diversamente dal Primato, implicava
l'attribuzione al REGNO SARDO di un ruolo anche morale (pur rimanendo una
futura "Roma laicale e civile il principio ideale della risurrezione
italica"), era la politica ecclesiastica inaugurata dalle leggi Siccardi:
un passo verso la "separazione assoluta tra le due giurisdizioni", la
temporale e la spirituale, costituente "la prima base della libertà
religiosa, che tanto è cara ai popoli civili", cornice necessaria alla
formazione di un clero "liberale e sapiente", capace di purgare la
religione "dagli errori e dagli abusi che la guastano". Ma il
Rinnovamento era pure un discorso di scienza civile, secondo la definizione
giobertiana, intessuto di riferimenti a MACHIAVELLI, ma condotto sulla base dei
"bisogni principali dell'età nostra, il predominio della filosofia,
l'autonomia delle nazioni e il riscatto della plebe": a soddisfare i quali
G. pone come condizioni l'esistenza di governi liberi, la costituzione di Stati
a misura nazionale, il funzionamento di ordini civili atti a promuovere
l'innalzamento della plebe a popolo. Per tale aspetto una funzione determinante
veniva attribuita, da un lato, all'"ingegno", cioè alle élites
intellettuali, chiamate a imprimere unità e coesione alla "sciolta
moltitudine", e a impedire che sotto il simulacro della democrazia
trionfasse invece la demagogia dei numeri e delle masse; dall'altro lato, alle
riforme economiche, "unico riparo al comunismo politico", se volte a
ripartire e a regolare le ricchezze (anche con l'imposta progressiva) e non a
inaridire le sue fonti. Il Rinnovamento, percorso tra l'altro da fremiti
antiborghesi, rifletteva una visione del movimento nazionale quale luogo
d'incontro e d'interazione tra le "aristocrazie dell'ingegno", tratte
dal popolo e da questo riconosciute, e le plebi anelanti al proprio riscatto
sociale, garantite da una monarchia non solo costituzionale, ma anche
schiettamente popolare. Nel pubblicare il Rinnovamento iG. era convinto
che l'opera sarebbe incorsa nell'interdetto della Chiesa. Quando apprese che il
S. Uffizio, con decreto condanna tutte le sue opere, in qualunque lingua
pubblicate, si consola col rilevare che, involgendo nella proscrizione anche
quegli saggi che sono conosciuti da tutti per irreprensibili, si erano meglio
manifestati il puntiglio di Pio IX e la vendetta dei gesuiti. I pesanti
giudizi su figure eminenti della classe politica subalpina di cui il
Rinnovamento è cosparso, provocarono una tempesta di polemiche, cui G. risponde
con due opuscoli, il primo dei quali contene una risposta (che non cambia, ma
semmai aggrava la sostanza di quei giudizi) alle risentite reazioni di
Rattazzi, di Gualterio e del generale Dabormida. Il secondo intitolato Ultima
replica ai municipali, ha soprattutto di mira il Pinelli e C. Bon Compagni,
schieratosi a difesa del vecchio amico del G. e ormai divenuto uno dei suoi
bersagli preferiti, il quale si è ammalato gravemente nel bel mezzo della
diatriba. La morte di Pinelli, sopravvenuta quando già l'opuscolo è stampato,
crea grande imbarazzo a G., che stese a tamburo battente un Preambolo in cui
rende giustizia sul piano personale alla figura del defunto, decidendo in
seguito, dopo vari tentennamenti, di far distruggere le oltre 1200 copie già
stampate dell'ultima replica - di cui resta un solo esemplare - e di mettere in
circolazione esclusivamente il Preambolo (Parigi e Torino). È l'ultimo
saggio edito lui vivente. In assoluta solitudine G. muore infatti
improvvisamente, nel suo modesto appartamento di Parigi. Tra le sue carte
rimase una mole imponente di frammenti manoscritti e di opere incompiute e
inedite, costituenti nel loro insieme una specie di continente sommerso, non
meno rilevante, per la conoscenza del suo pensiero, degli scritti da lui dati
alle stampe. Questo materiale manoscritto fu in parte pubblicato postumo, con
scarso rigore, dal Massari che, nel quadro di un'edizione delle opere inedite
giobertiane, di cui uscirono a Torino volumi, da alle stampe i frammenti Della
riforma cattolica della Chiesa e la Filosofia della Rivelazione, seguiti dalla
Protologia, forse la maggior opera filosofica di G., che ne aveva incominciato
la stesura negli anni Quaranta. A cura di Solmi, furono editi, con criteri non
meno discutibili, i frammenti della Libertà cattolica e della Teorica della
mente umana, insieme con il dialogo Rosmini e i rosminiani. In seguito La
riforma cattolica e La libertà cattolica furono ripubblicate, in modo più
corretto, da G. Balsamo Crivelli e da Bonafede, insieme con la Filosofia della
Rivelazione, e nell'edizione nazionale delle opere, da Vasale. Appartenenti per
la maggior parte alla produzione che G. aveva definito acroamatica, le opere
postume, pur nel loro stato di incompiutezza, rivelano un G. che si confrontava
in maniera più diretta con la critica della religione sviluppata dalla cultura
primo-ottocentesca, anche nelle sue espressioni radicali. L'obiettivo di questi
lavori era la dimostrazione dell'adeguatezza del cattolicesimo, liberato dalle
sue deformazioni temporalistiche, autoritarie e iper-mistiche, nel rispondere
ai bisogni intellettuali e morali dell'uomo moderno. A questo fine G. assumeva
come fondamento del suo rinnovato discorso religioso-filosofico la nozione
cattolica di tradizione, facendone il criterio ermeneutico dell'evoluzione
storica delle forme religiose e dello sviluppo del cristianesimo in senso
secolare. Ne derivava un'interpretazione molto audace per la sua epoca del
rapporto tra libertà e autorità in materia religiosa e, in generale, della
dogmatica cattolica. Tali opere dimostrano che il pensiero giobertiano in
materia religiosa si era vieppiù spostato dall'asse della riforma ecclesiastica
o politica a quella della riforma religiosa. Ciò spiega anche la riscoperta du
G. in epoca modernistica; senza trascurare tuttavia che una parte molto
consistente della cultura dell'Ottocento e del Novecento si è misurata con
l'eredità giobertiana, dall'idealismo al federalismo (specialmente
meridionale), dal gentilianesimo al nazionalismo e quindi al fascismo, dal
popolarismo di L. Sturzo alla cultura democratico-cristiana. Fonti e
Bibl.: La principale raccolta di manoscritti giobertiani è quella giunta dopo
varie vicende in possesso della Bibl. civica di Torino, che li conserva
rilegati in maniera alquanto arbitraria e classificati in un indice sommario:
si tratta di carte che G. aveva con sé al momento della morte, riguardanti i
frammenti miscellanei, appunti ed estratti di lavoro, e gli autografi delle
opere più tardive, pubblicate postume. Alla stessa biblioteca sono anche
pervenute una parte della biblioteca personale di G. (il cui principale nucleo
fu peraltro venduto all'incanto dopo la sua morte), poche decine di sue lettere
autografe e circa 2500 lettere di corrispondenti, il cui indice è stato
pubblicato col titolo Le carte giobertiane della Bibl. civica di Torino da G.
Balsamo Crivelli, al quale risale anche La fortuna postuma delle carte e dei
manoscritti di V. G. ora depositati nella Bibl. civica di Torino, in Il
Risorgimento italiano; cfr. anche P.A. Menzio, Cenni sulle carte e sui
manoscritti giobertiani, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino,
Manoscritti autografi riguardanti Il Rinnovamento sono conservati nella Bibl.
nazionale di Napoli e presso l'Istituto per la storia del Risorgimento italiano
di Roma, quasi integralmente pubblicati a cura di Quattrocchi nel volume
Inediti del Rinnovamento, ed. nazionale, Roma . L'Epistolario, a cura di
Gentile - Balsamo Crivelli, Firenze, è lungi dall'essere esaustivo; le lettere
sono riprese, salvo rari casi, da precedenti edizioni a stampa come: V. G.,
Ricordi biografici e carteggio, a cura di G. Massari, Torino Il Piemonte.
Lettere di V. Gioberti e Pallavicino, a cura di B.E. Maineri, Milano ; D.
Berti, Di V. G. riformatore politico e ministro con sue lettere inedite a P.
Riberi e G. Baracco, Firenze 1881; Lettere inedite di V. G. e saggio di una
bibliografia dell'epistolario, a cura di G. Gentile, Palermo ; Lettere di V. G.
a Pinelli, a cura di V. Cian, Torino; G. - Massari. Carteggio a cura di G.
Balsamo Crivelli, Torino; Carteggio Lambruschini - Gioberti, a cura di A.
Gambaro, in Levana. Un numero cospicuo di lettere a G. è pubblicato col titolo
di Carteggio di V. G., Roma in un'edizione che comprende lettere di P.D.
Pinelli (a cura di Cian), di I. Petitti di Roreto (a cura di Colombo), di
Baracco (a cura di Madaro), di Bertinatti (a cura di Colombo), di
"illustri italiani" e di "illustri stranieri", a cura di L.
Madaro. L'Edizione nazionale delle opere edite e inedite, avviata con la
riedizione dei Prolegomeni del Primato, a cura di E. Castelli e affidata nel
tempo a tre editori diversi, è giunta, con il secondo tomo dei Pensieri
numerati, a cura di G. Bonafede, Padova: comprende ormai tutte le principali
opere del G., pubblicate con criteri non omogenei. Materiale giobertiano
continua peraltro a venire alla luce: per es., Appunti inediti di V. G. su
Cartesio. La storia della filosofia, a cura di E. Bocca - G. Tognon, Firenze. Le
principali bibliografie giobertiane sono quelle di BRUERS (si veda), G., Roma
che comprende circa 1400 titoli, e di Talamo, in Bibliografia dell'età del
Risorgimentoin onore di Ghisalberti, I, Roma Tra le voci enciclopediche: G.,
V., di G. Saitta, in Enc. Italiana; di L. Stefanini, in Enc. Cattolica, VI; di
Mazzantini, in Enc. Filosofica; di Traniello, in Dict. d'hist. et de géogr.
ecclésiastiques, Per una sintesi delle interpretazioni: Bonafede, G. e la
critica, Palermo. Tra le opere più recenti: Passerin d'Entrèves, Ideologie del
Risorgimento, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), L'Ottocento,
Milano Noce, Gentile e la poligonia giobertiana, in Giornale critico della
filosofia italiana, Derossi, La teorica giobertiana del linguaggio come dono
divino e il suo significato storico e speculativo, Milano Traniello,
Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana
lombardo-piemontese (1825-1870), Milano Pignoloni, G. e il pensiero moderno, in
Rivista rosminiana, Le postume giobertiane nel giudizio della critica, Martina,
Pio Roma Vasale, L'ultimo G. fra politica e filosofia. Appunti sulle origini
ottocentesche dell'ideologia in Italia, in Storia e politica Romeo, Cavour e il
suo tempo, II, Roma-Bari Galimberti, G., Gentile, Rosmini, in Giornale critico
della filosofia italiana,Vasale, Riforma e rivoluzione nel G. postumo, in
Storia e politica, Rigobello, V. G., in Christliche Philosophie im katholischen
Denken des 19. und 20. Jahrhunderts, a cura di E. Coreth, I, Graz-Wien-Köln
Salvia, Il moderatismo in Italia, in Istituzioni e ideologie in Italia e in
Germania tra le rivoluzioni, a cura di U. Corsini - R. Lill, Bologna Traniello,
La polemica G. - Taparelli sull'idea di nazione e sul rapporto tra religione e
nazionalità, in Id., Da G. a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano Il
cattolicesimo riformato di V. G., in Storia illustrata di Torino, a cura di V.
Castronovo, Milano Romagnani, V. G., Chiodo, Launay, Azeglio, Roma Vasale, Il
significato del federalismo giobertiano nella storia d'Italia, in Stato
unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, a cura di G.
Pellegrino, Stresa-Milazzo Pesce, Peyron e i suoi corrispondenti. Da un
carteggio inedito, TrevisoG. Rumi, G., Bologna Cuozzo, Rivelazione ed
ermeneutica. Un'interpretazione di G. Milano. La sovrintelligenza. Concetto, METODO
E DIVISIONE DELLA FILOSOFIA. Dommatismo. COSTRUZIONE DEL PRIMO TERMINE DELLA
FORMOLA. L'Ente. Definizione del Primo. Distinzione del Primo psicologico e del
Primo ontologico. Il Primo filosofico. Caratteristica del Primo filosofico giobertiano.
Polemica contro SERBATI. Il Primo è l'Ente reale. Cosa sia la realtà. G. non arriva
a dirlo chiaramente. Difetto e pregio del suo concetto della reallà. Del
concreto: unità del positivo e del negativo. Deduzione della realtà dell'Ente
dal CONCETTO dell'Ente. Dal giudizio, “L’Ente è” non si deduce la realtà del.
L'intuito. O ľEnte Si contradice all'ontologismo. LA CONOSCENZA La riflessione
psicologica. La riflessione ontologica. LA PAROLA. COSTRUZIONE DELLA FORMOLA
IDEALE. Si confonde la realtà col puro essere Personificazione dell'Ente. Abbozzo della vera
via di dedurre la realtà dell'Ente. Realtà o SUSSISTENZA = intelligibilità o idealità.
G, non adempie questa esigenza. Relazione tra Ente ed Esistente. Processo a priori
e a posteriori. Causa ed Effetto. Prova dell'intuito. Identità dei due ordini, ontologico
e psicologico. Verità dell'atto creativo. L'intuito come prova dell'atto
creativo. Dommatismo. G., Platone, Schelling ed Hegel. Prove indirette
dell'intuito. Lo spirito è produzione di sè stesso. Intuito dell'intuito. Falso
concetto della libertà e necessitàd el pen.Conseguenze della dottrina
dell'intuito. Ontologismo e Psicologismo. Mancanza didialettica. L'intuito come
conoscenza dell'atto creativo. L'intuito immediato è la conoscenza empirica. Confusione
del primo pensabile edel primo conoscibile. Falso concetto del pensiero speculativo.
Duplice ordine psicologico: intuitivo e riflessivo. COSTRUZIONE DEL SECONDO E TERMINE
DELLA FORMOLA. G. e Rosmini. Insussistenza delle ragioni recate da G. per
difendere il primo ordine come condizione del secondo. Il concetto
dell'infinito condizione del concelto del finito. Concetto dell'Ente condizione
del concetto dell'esistente. La relazione ei suoi termini. L'ordine intuitivo
come cognizione non è che la scienza. Instanza di G.: concetto del Necessario e
del contingente. L'intuito dell'atto creativo è lo stesso processo a posteriori.
Il Noo. L'INTUITO SPECULATIVO O IL PENSIERO PURO. Prima prova dello Spinozismo giobertiano.
Identità e differenza tra Spinoza e G.. L'INTELLIGIBILITA'. Identità di creazione
e illustrazione. La vera imma. LA FORMOLA. Seconda prova. L’intuito. Contenuto dell'atto
creativo. Dio-Quantità. Caratteri dello Spinozismo: loro contradizione. Concetto
generale della differenza tra Spinoza e Gioberti. Anticipazione del concetto di
Dio come relazione assoluta. Confradizione. Doppio concetto dell'esistente e di
Dio. Dio Quantità. Lo spirito: contradizione. La vera dificoltà. Soluzione: Dio come SVILUPPO.
Prima di Kant e dopo Kant. nenza. Difetto dello Spinozismo. Doppia
intelligibilità delle cose. Difficoltà contro la immanenza nel sensibile. Paragone
della cognizione colla visione. Meccanismo nello spirito. Concetto dello
spirito del conoscere. Kant; l'empirismo. prova. siero. Confusione dell'lilea. Falso
Spinozismo. Dio semplice sostanza, non causa. Vero Spinozismo. Dio sostanza
causa e della rappresentazione. Relazione del pensiero puro coll'esperienza. Il
Noo passivo è il senso. L'Innatismo. IDELAE. SPINOZISMO. Forma dell'atto creativo:
meccanismo. DIFFERENZA TRA G. E SPINOZA. Intelligibile assoluto. Intelligibile
relativo. Fondamento della soluzione del problema G. riunisce i due difetti. Risposta
alla difficoltà precedente, e vero concetto dell'intelligibile relativo. COGNIZIONE
DELLA REALTÀ DE CORPI, E ORIGINE DELLE IDEE, COME PROVE INDIRETTE DELLA
FORMOLA. PASSAGGIO AL MISTICISMO. COGNIZIONE DELLA REALTA' DE' CORPI.Gioberti
non ammette la prova, ma l'inluito della realtà dei corpi. Ragioni del realismo.
Necessità di un principio superiore: cos'è. Galluppi: criticato da G. Certezza
e verità. Fede e Scienza. Certezza e vedenza metafisica, efisica. Critica.
Origine delle idee. precedenti, especialmente di Rosmini. La generazio La
dipendenza logica. Distinzione del Sovrintelligibile e dell'Intelligibile. Significato
e conseguenza di questa distinzione. Ragionee So Idealismo e Realismo
(imperfetti): idealismo assoluto; certezza ed evidenza. Ragioni dell'idealismo;
e suo difetto. SERBATI. Significato generale della questione. Critica de’ filosofi.
Distinzione de’ concetti in assoluti e relativi. Rità del mondo. Dottrina
propria di G. sulla cognizione de'corpi; e certezza ed evidenza di questa
cognizione. Significato e difficoltà del problema. Soluzione: l'Individuazione
(creazione: creare è individuare). G. pone bene il problema, ma non lo risolve.
Anzi fa impossibile ogni soluzione. Inconoscibilità dell'atto creativo nella
sua essenza. Perplessità di G. Critica. Certezza della cognizione de’ corpi. Distinzione
della certezza in fisica e metafisica. L'EVIDENZA come fondamento della CERTEZZA
in generale. Evi ne ideale. Analisi e sintesi. La produzione ideale
giobertiana: attività sintetica originaria. Critica di questa dottrina
vra ragione. Ente ed Essenza. Dipendenza logica e generazione. Contradizioni.
Doppio sovrintelligibile: Unità delle determinazioni razionali, e Trinità
divina. L'ldea come pura ragione o unità delle determinazioni razionali.
Moltiplicilà astratta e unità astratta. Pura sintesi o dipendenza logica, e
pura analisi. Vera unità: unità della sintesi e dell'analisi; la moltiplicità come
momento dell'unità;unità- processo assoluto. La relazione del concetto relativo
coll'Ente. Creazione. Due ipotesi: generazione, e creazione. Risultato. Assurdità
dell'atto creativo come punto di passaggio tra l'Ente e l'esistente. La
creazione è l'autogenesi dello spirito. La creazione è in sè generazione.
Conseguenze di questa dottrina. Risultato generale deila dottrina di G. sulla
produzione ideale. Passaggio al Misticismo. ELENCO di saggi di G. possedute
dalla Biblioteca di Torino. De Deo et naturali religione, de antiquo foedere,
etc. Taurini, Bianco. Teorica del sovrannaturale. Torino, Ferrerò e Franco. Accresciuta
d’un discorso preliminare e inedito intorno alle calunnie di un nuovo critico.
Capolago, Elvetica. Degl’errori filosofici di SERBATI. Capolago, Elvetica. Del primato morale e civile degl’Italiani.
Brusselle, Meline. Elenco favorito con gentile premura al Comitato Editore dal
Prefetto della Biblioteca. Carta. Capolago, Elvetica, Prolegomeni del
primato morale e civile degli Italiani. Brusselle, Meline; Introduzione allo studio
della filosofia. Brusselle, Hayez. Considerazioni sopra le dottrine religiose
di Cousin. Brusselle, Meline. Il Gesuita moderno. Losanna, Bonamici, Torino,
Fontana, Capolago, Elvetica, Apologia del saggio intitolato « Il Gesuita
moderno », con alcune considerazioni intorno al risorgimento italiano, Paris, Renouard.
Del Buono, Capolago, Elvetica. Del Bello. Firenze, Bucci; Allocuzione di un
filosofo a Pio IX. Torino; Discorso pronunziato nell’adunanza generale per
l’apertura del Congresso nazionale federativo nel Teatro Nazionale. Torino, G. Pombae;
I due programmi del Ministero Sostegno. Torino, Fontana; Anti-Primato papale e
l’automatismo romano distrutto dal Vangeloe dai Santi Padri, Torino. Lettre sur les doctrines
philosophiques et Politiques de Lamennais. Capolago, Elvetica. Del rinnovamento civile d’Italia, Paris, Crapelet; Operette
politiche, Documenti della guerra santa d’Italia, Capolago, Elvetica; Preambolo
dell’ultima replica ai Municipali. Parigi, Martinet; Risposta a Rattazzi. Sopra
alcune avvertenze di Gualterio. Al Generale Dabormida. Torino, Ferrerò e Franco;
Della filosofia e della rivelazione, pubblicata per cura di Massari. Torino, Botta;
Pensieri e giudizi sulla filosofia italiana, raccolti ed ordinati da Ugolini.
Firenze, Barbèra; Della protologia, Massari. Torino, Botta; Profezie politiche
intorno agli odierni avvenimenti d'Italia. Torino; Pensieri, Miscellanee.
Torino, Botta; Ricordi biografici e carteggio, raccolti per cura di Massari.
Torino, Botta; Studi filologici desunti da manoscritti di lui autografi ed
mediti fatti di pubblica ragione per cura di Fissore, Torino,Tip. Torinese; Una
lettera a ROVERE, pubblicata da Giovanni, Roma, Tip.delle Terme, di a. Balbi; Lettera
sugli errori politico-religiosi di Lamennais. G e Bruno. Due lettere inedite,
pubblicate da Molineri.Torino, L.Kourt; G.e Pallavicino. Lettere per cura di
Maineri, Piemonte, Milano, Rechiedei; METAFISICA ONTOLOGIA Dell'Ente come concreto
e reale. Dell'Ente, come astratto ed ideale,
Dell'atto creativo. TEOLOGIA RAZIONALE velazione e della Civiltà colla
Reli . Primo Storico Del tempo e dello spazio. Delle convenienze della ragione
colla R i COSMOLOGIA LOGICA fato, della fortuna e del destino, dell'accidente e
della necessità. Della sovrintelligenza e del desiderio Della definizione e della divisione. Del
metodo. gressisti. Della volontà umana. Delle facoltà dello spirito umano. Del
raziocinio e delle sue forme esteriori. Dell'arte critica. Ciclo generativo e
Cosmogonico Della forza cosmica.. DELLA PROPRIETA DELLE PAROLE. Delle proprietà
dell'uomo . Dei giudiziie delle proposizioni.
Prima di esporre la filosofia acroamatica si compie il ritratto della
vita dell'autore. G. si ritira nella vitaprivata- come ei parla disè stesso
cerca di rompere ogni legame non pure col Governo, ma cogl iuomini come sostiene
la vita – la povertà di lui dà occasione ad un atto generoso di SERBATI — per tenersi
pronto a stampare alcuna opera utile all'Italia non vuole dettare un Discorso
su ALFIERI – quali erano i casi improvisi che poteano indurlo a stampare —
perchè opina più probabile che la repubblica francese non cadesse — concetto
che egli ha di Luigi Napoleone -- in che fu fal laceilsuo giudizio sulla Francia—
nella metà del51 pone inlucc il Rinnovamenlo – intento di questo saggio : sua
convenienza e differenza col Primato– censura tutti e tutto coll'intendimento che
fa e cia pro nell'avvenire - - -rottura col Pinelli e coi municipali - pole
micaconesi— morte del Pinelli—si bruciano le copie del'opuscolo Ultima replica ai
municipali— l'autore lascia la politica e ri volge il suo animo tutto al le
opere nuove da pubblicare — forse la troppatensione di mente gli nocque- morte improvisa
e dolore universale— quanto danno fu alla scienza e alla religione– vocazione
di Gioberti no nmancata per la morte intempestiva— le opere postume– quando
furono scritte prima o dopo il 48?- il concetto
e il titolo di esse furon suggerito dalle circostanze o ne sono indipendenti? Tutto
ciò che ora è stampato appartenev a ad esse secondo l'intendimento dell'autore?
-quale fu quest intendimento? - gli scritti postumi sono solo l'apparecchio e
imateriali delle opere che voleva dare ala luce- il disegno però v'apparisce: qual
'è desso?- ragioni che rendono difficile a cogliere la connessione e la
verita della dottrina contenuta nei detti scritti apparente antinomia di cssa
dottrina -come ho proceduto io per afferrarne l'unità e la germana intenzione
in qual formamison risoluto di esporla- fu bene che il Massari curasse la pubblicazione
di essiscritti– potevano però esser emeglio ordinati da riuscire piùi ntelligibili–LA
DOTTRINA DI G. E PIU DIFFICILE DI QUELLA DI HEGEL. La filosofia ACROAMATICA non
è contraddittoria all'essoterica, ma solo tanto diversa - nesso tra l'una e
l'altra — differenze della cognizione diretta o spontanea di SERBATI e COUSIN dal
pensiero immanente di G. Doppio stato del pensiero umano caratteri dello stato riflessivo
e dello stato immanente– l'intuito dell'ente differisce da quello
dell'esistente — in che consiste la strellezza speciale dell'ente intelligibile
col pensiero immanente -come l'attività dello spirito coesiste coll'Ente senza
che questo sia subbiettivato condizioni proprie dello stato immanente - si
rimuove una obbiezione dell'attività umana suo doppio stato e differenze dell'uno
stato dal l'altro- - della personalità — la penetrazione del pensiero nello stato
immanente è diversa dalla compenetrazione dello stato successivo triplice
proprietà del pensiero immanente analoga a tre momenti dell'ente- lo spirito sebbene
una persona nel pensiero immanente non subbicttivizza la cognizione - l'ordine
psicologico è proprio della riflessione: suo fondamento ontologico– anche proprio
della riflessione è l'ordine cronologico - che fa il tempo -- onde nasce il
ripiegamento della intuizione sovra se stessa— falso modo d'intendere la
visione ideale che è la vita anteriore descritta da Platone nel Fe d r o -
difficoltà di cogliere il pensiero immanente -la distinzione ben nella della intuizione
dalla riflessione corregge la dottrina platonica - obiezione di Grote - come vi
si risponde - - dei giudizii – doppio giudizio obiettivo- lo spirito esce dallo
stato immanente coll'affermare egli l'Ente- come si afferra il pensicro immanente-
del modo come possediamo le idee - le quali nascono per via di disgregazione,
non di generazione— dei giudizii analitici e sintetici- si chiarisce un dubbio-del
raziocinio della filosofia: sua definizione—FILOSOFIA PRIMA -- Qual'è – cf. H.
P. GRICE, “FIRST PHILOSOPHY” -- ;sua distinzione dall'ontologia -obiezione
contro la Protologia: risposta -della circuminsessione dei veri: sua radice
-criterio del vero - onde nasce l'evidenza e la certezza scientifica — che è un
siste m a scientifico - in che senso i principii dipendono e sono illustrati
dalle conseguenze — le une non sono affatto eguali in valore agli altri-- dell'ipotesi,
de i postulati, ed egli assiomi- se i principii sono astratti, onde si trae la
concretezza, senza di che la scienza non avrebbe valore?- Il Primo della scienza
è la Formola ideale -- come si prova che è il Primo - mutua collegazione e
dipendenza delle verità secondarie e primato relativo della formola -- l'unità
scientifica deve salire e fondamentarsi nell'unità ideale trasparente
all'intuito - il processo non fa la scienza perfetta - questa risulta dalla
intima unione della cognizione riflessiva colla intuitiva -- dell'Ultimo della
scienza – LA PAROLA è IL PASSAGIO DAL PENSIERO IMMANENTE AL SUCCESSIVO -- onde
si cava LA NECESSITA DELLA PAROLA PER L’USO DEL PENSIERO RIFLESSO – ORIGINE DEL
LINGUAGGIO. Tre opinioni sentenza dell'aulo re- come può dirsi che il segno del
*linguaggio* è unito al'Idea unità della dottrina di G. su questa materia .
DOTTRINA DELL'ENTE Come l'unità e semplicità di Dio si accorda colla
moltiplicità degl’attributi - dell'unione dei contraddittorii in Dio - -
trasformazione dialettica dei divini attributi— Hegel contuttii panteisti confonde
il processo psicologico col'ontologico-l'antropomorfismo é opera del
l'imaginazionenon della ragione della futurizione divina -Iddio è insieme
sovrintelligibile e intelligibile- negatività di Dio- come conosciamo l'Assoluto?
Dio è personale: obiezioni, risposte— Dio produttività infinita-la potenzialità
e l'attualità sono diverse in Dio e nelle creature- Dio è libero e necessario-
è buono- l'esistenza di Dio è verità intuitiva pel pensiero immanente,
dimostrativa pel DOTTRINA DELLA CREAZIONE L'idea di creazione porta seco per
due rispetti l'idea di nulla—delcan successivo- la prova dimostrativa migliore traggesi
dalla nozione dell'infinito- processo protologico ed esplicativo delle attribuzioni
dell'Ente - attribuzioni esterne ed interne- doppia eptate - dell'infinito; onden'abbiamo
l'idea- è determinato; ma s'intendenon si comprende della presunzione divina
dell'infinito potenziale nel suo atto — antinomie rislessive: i panteisti
frantendono l'idea dell'infinito - assurdità dell'infinito nunerico - distinzione
dell'infinito possibile o potenziale dall'attuale - due infiniti: il relativo e
l'assoluto dell'infinito aritmetico monadico. giamento l'atlo creativo è uno in
sè anche nell'estrinseco é perfetto- puossi considerare per tre rispetti come infinito–
l'infinità potenziale del finito suppone il possesso attuale, benchè finito,
del l'infinità attuale- in che consiste siffatto possesso— l'atto creativo
interviene in tutto — è causa che l'unità dell'Idea si sparpaglia in molte idee
i generi sono vari- la varietà specifica
delle cose deriva dalla maggiore o minore intensità dell'atto creativo zione è divisione e moltiplicazione- rispetto
all'esistente l'attocreativo è sintetico e analitico - differenza della
causalità finita dall'in finita- che è IL CRONOTOPO – (STRAWSON, INDIVIDUALS,
chrono-topoical continunity -- sua unità- come dall'unità dell'istante e del punto
si biforca il tempo e lo spazio— l'intervallo è uno- genesi del cronotopo –
doppio valore delpunto e dell'istante- dell'in ternità e dell'esternità-
l'unità del continuo si rappresenta in ordine lo spazio e il tempo hanno un centro
al discreto sotto tre aspetti del passato, sintesi del continuo e del discreto
nei modi del tempo -- del presente e del futuro- l'eternità non cresce doppio continuo, attuale e potenziale
-infinitazione del cronotopo- in che senso il mondo è eterno - ogni epoca e
stato mondiale è una palingenesi a verso il passato , e una creazione verso l’avvenire
- il cronotopo e l'universo infiniti sono reali come intelligibili– l'indivisibilità del cronotopo dal pensiero
colto dal Kant- del pensiero divino e umano-- interio la crea
DOTTRINA DELL'ESISTENTE debbon si dire sull'esistente- questo somiglia all'ente
pereffetto della creazione- in che consiste l'impronta dell'ente che porta in sè
l'esistente diverso senso dato dall'autore alle voci METESSI (PARTICIPAZIONE) e
mimesi quale è il senso che in quest'opera si dà alla prima -- distinzione
della potenzae dell'atto- metessi O PARTICIPAZIONE potenziale,intermedia,eattuale
l a mimesi - essenziale alle forze create è il concreare e il generare: prove-
carattere del primo momento dello sviluppo dinamico – due Difficoltà di esporre la materia- nesso delle
cose dette con quelle che ritàe esteriorità del pensiero umano irrazionalità del
vero nella sua concretezza come il
pensiero umano conosce il continuo - l'immanenza dell'eterno dato ci dal pensiero—
l'estensione e la DURATA esprimono i limiti dell'esistente Dialettica; il diverso, la dualità, la moltiplicità
appartengono all'essenza della creazione in che versa la dialettica e onde trae
il nome due dialettiche: reale e ideale che forma il moto o vita dialettica- la
dialettica consta di due momenti, sebbene sembra che consti di tre- gli eterogenei,
cioè i diversi ed opposti ,non sono contraddittorii--- differenza della
eterogeneità dalla contraddizione secondo un certo rispetto l'eterogeneità è in
Dio- l'opposizione riguarda il negativo delle cose- il contrapposto è diverso dall'opposizione-
gli eterogenei importano gli omogenei e viceversa- che è il terzo armonico o dialettico
come mai il conflitto dialettico pruduce l'armonia — nell'unione dell'omogeneo
ed eterogeneo quale prevale ciò che è l'opposto in natura è l'antinomia nella scienza–
della antinomia reale e dell'apparente– della guerra- la polemica è la guerra nell'ordine
delpensiero- dello scetticismo - lo scetticismo obbiettivo non è sofistico -che
sono l'errore e la colpa - due periodi distinti della storia della filosofia -
- -divisione e riunione è ilprocesso universale e dialettico- diversità di processo
della dialettica dell'Ente e di quella dell'esistente della SCHEMATOLOGIA -- della
sofistica - il moltiplice e il conflitto son ridotto ad unità ed armonia
mediante la mediazione dell'infinito. cicli della virtù concreativa delle
esistenze realtà d'una intelligibilità relativa- il sensibile è la fuga dell'intelligibile
relativo da sèstesso, la sua moltiplicazione, diversificazione e rottura- prove
causa per cuil'intelligibile creato si manifesta come solo sensibile negli ordini
del tempo differenza della nostra dottrina da quella dei sensisti nozioni che racchiude l'idea del sensibile-
la successiva distruzione e rinnovazione delle forme sensibili è il nisus di esso
a diventare intelligibili- il sensibile consiste essenzialmente nella relazione
tra l'uomo intelligente e la natura intelligibile - del sensibile interno ed
esterno - se il sensibile può o no conoscersi- si chiarisce il significato della
parola “sensibile” -- il sensibile schietto
non si può pensare- prova che la sensazione non è la cognizione- qual'è l'oggetto
della cognizione del sensibile - come si risolve l’antinomia apparente di trovare
inescogitabile il sensibile e pure poterlo pensare la dottrina nostra è la
sintesi delle diverse dottrine precedenti Galluppi, Rosmini, Platone- nella dottrina
di G. non bisogna confondere l'intelligibile assoluto, l'intelligibile relativo
e il sensibile- la teorica dell'intelligibile relativo non annienta il sovrintelligibile
— si vien divisando più particolarmente la mimesi—mimesi
prevalente-esteriorità, apparenza, fenomeno, conflitto, passaggio, metamorfosi -la
gerarchia mimetica degli enti consiste nella varietà dei gradi conativi-si notano
i principali dellaluce- la maggiore intelligibilità nella natura corporea si
manifesta mediante la finalità , dell'uomo; il corpo, chi lo forma —del sonno e
dei sogni—l'istinto l'anima e il corpo in parte diversi , in parte uni - doppio
stato della vita; latente e manifesta— due vite dell'uomo- delle passioni: la
gloria, la malinconia, LA NOIA – facoltà dell'animo: il senso, l'imaginazione, la
memoria, la ragione— le scoperte e i trovati
appartengono allo sviluppo metessico del Cosmo -- che cosa è la scienza- lo
spirito creato è l'anima del mondo, lo spirito umano è l'anima della lerra-
gl'intelligibili intelligenti relativi non sono già dello steso genere due
specie di mentalità -che è il pensiero- in che si fonda l'identità del mondo-
metessi prevalente: sua definizione- doppia unità , la divina dell'atto
creativo, e l'unità metessica e concreativa della relazione; essa sovrasta a i termini
che la costituiscono - due relazioni--natura speciale della relazione che corre
tra l'Ente e l'esi Del progresso: che n'è il tipo e il principio – il
progresso considerato stente— l'azione finita è reciproca, quindi inseparabile
dalla passione: l'unità loro è la relazione, la relazione infinita è una m la
relazione è il verace assoluto che rappresenta la relazione essa è l'appicco
del finito coll'infinito - riscontro del vero col mondo - le relazioni sono
nelle cose, e non solo nello spirito nostro, e nella mente divina -- falsità
della dottrina di Hegel che pone l'assoluto e il concreto nelle sole relazioni
- la specie non è un'astrattezza la specie non è l'idea specifica- metessicamente
non si distingue il tutto dalle parti- come raffigurarci la concretezza della
potenza – delle contagioni morali e materiali- l'armonia della mimesi erumpe
sempre e risiede sostanzialmente nella metessi iniziale diversità della metessi
mimetica dalla finale -dell'implicazione e dell'internità delle cose- qual'è il
progress ometessico- v'è una permanenza metessica di ciò che passa
mimeticamente- Idea, metessie mimesi – il passaggio della mimesi è creazione e annientamente-
accordo di due opinioni opposte- tre condizioni mondiali vanità delle cose
umane in quanto passano e si annullano- della dottrina di Protagora- scienza mimetica
e metessica Come mai il reale può rassomigliarsi all'ideale? Come mai il finito,
il relativo e contingente può rassomigliare il necessario, l'assoluto l'infinito?
Come mai le cose materiali possono rassomigliare il pensiero? in riguardo alla
metessi iniziale, alla mimesi, e alla metessi linale la mimesi è progressiva nei
particolari, solo regressiva nel generale- il regresso è legge del progresso–
l'andamento cosmico si alterna di progressi e di regressi— la vita è la sintesi
e il dialettismo del progresso e del regresso ma conferma di ciò si trova
nell'esame dell'uomo, della religione, dell'arte e della scienza il progresso quando è passato diventa regresso
- accordo dei progressisti e dei regressisti- della periodicità– è circolare e regressiva di sua natura ha luogo nelle parti dell'universo, non nel
tutto - la forza rallentatrice necessaria alla società come alla natura se il progresso
sia reale o apparente --- la periodicità perfetta è sola apparente - corso
migliorativo di tutto l'universo- il progresso nasce dall'intreccio del tempo collo
spazio- Individuo (cf. P. F. STRAAWSON, INDIVIDUAL) e genere—processo estrinseco
dell'atto creativo l'evoluzione è nelle idee, nella metessi, non già nell'Idea—
che cosa è la generazione- essenziale alla
generazione è l'idea di specie, la quale non è astratta soltanto- la
generazione è l'estrinsecazione più viva della metessi specifica delle cose, e appartiene
alla mimesi – della SESSUALITA—dov'è il principio generativo se nello SPERMA o
nell'uovo- della donna e dell'uomo - la sessualità riscontrata colla dialettica
della femminilità e della VIRILITA –del conjugio — dell'individuo compiuto e in
che consiste la sua essenza e valore -- l'individuo e l'Idea sono nell'ordine
attuale i due estremi della realtà— influenza del pensiero negli effetti della generazione
la generazione e la nutrizione sono le principali azioni tanto del corpo quanto
dello spirito— altre consonanze tra il corpo e l'anima - del psicologismo e
dell'ontologismo - come ci può essere concretamente insegnata l'attinenza del
genere coll'individuo -due classi d'individui- - se l'individuo è sparito
dinanzi alle masse - che cosa è la plebe- relazione dell'ingegno colla moltitudine
-come può affermarsi che nell'ingegno v’abbia qualcosa del divino - Dell'amore,
dov'è il suo tipo, e quale n'èl'essenza - l'a more assoluto e infinito è
l'identità --ch'è l'amore rispetto all'esistente nello stato mimetico
dell'amore attivoe del passivo- del puro e corrollo cagione dello scisma tra
l'amor del cuore e quello dei sensi che
è l'ideale dell'amore – del maritaggio- del divorzio– l'amore corro tra i dissimili
armonici- universalità dell'amore—parentela dell'amore col Bello e col Buono del
Belo—origine del male- due morale, particolare e universale – ottimismo
relativo non assoluto - il mal morale è impossibile nell'etica divina e
universale l'antinomia apparente della
natura seco stessa si risolve mediante la necessità de gli ordini
--contraddizione della natura nello stato presente --dell'infelicità umana scopo
della vita terrestre-- della virtùe della libertà umana— l'uomo è potenzialmente
onni specie, può salire escendere nella gerarchia cosmica - la giustizia
cosmica procede per ragione geometrica - dell'abito- è verso l'anima ciò che
l'accrescimento e la nutrizione
verso il corpo la virtù è sforzo , è la
trasformazione della mimesi inmetessi -ed il sagrifizio dell'individuo alla specie-
La Società ha un fondamento metessico e
ideale e logico- la polizia è una metessi iniziale - la polizia dell'uomo
comincia coi primi principii della sua vita— individualità e polizia
principiano e crescono di conserva—unità dinamiche della nostra specie–
divisione del genere umano in generiche e specifiche – della nazionalità naturale
e artificiale- la misura dell'ampliazione dell'unità è il termometro della
civiltà- doppia unificazione dei popoli --autorità morale— il potere sovrano è fontalmente l'Idea—
formazione primordiale della società- unità progressiva dei vari ceti dellas ocietà—
della plebe e del l'ingegno - intento della riforma politica moderna - nel
mondo tutto è ordinato allo svolgimento del pensiero— ciò che accade ora in Europa
è in certa guisa una ripetizione di ciò che accadde in Grecia della demagogia: dominio
della Russia — unità sovrannazionale- unità intermedia tra la sovrannazionale e
la nazionale l'egemonia moderna dove risiede -del Primato, assoluto e relativo-
alcuni titoli del primato italiano il Cielo che rappresenta alla mente umana -
della causa e dell'effetto negli ordini finiti- attinenza della terra col cielo
- i vari mondi fanno un solo universo - il mondo non è solo un aggregato, ma un
aggregante - da che è prodotto l'individualità nei corpi- gerarchia degli esseri
della NUIDITA -il principio e il fine si somigliano e differiscono - della
materia in astratto e in concreto – la potenza generativa essenziale a ogni forza
creata- della preesistenza dei germi della legge centripeta inorganogenia- il centrfugismo
non è la stessa cosa dell'ipotesi della preesistenza dei germi la forza primitiva
quando erumpe nell'atto comincia colla dualità o colla moltiplicità?- gradi della
forza creata universalmente- dei cinque gran regni della natura della mutazione
delle specie- sunto della dottrina dell'autore- due leggi dell'esistente: legge
di eterogeneità, e legge di omogeneità della polarità infinito numerico solo
possibile nello stato di metessi - due soluzioni di esso - infinito aritmetico monadico
- l'infinito è il sovrannaturale- due errori sul mondo dell'ottimismo infinità potenziale
della creatura -delf u infinito e del sarà infinito. CICLO CREATIVO
Palingenesia Del secondo ciclo creativo; ritorno del'esistente al l'ente – è
solo per approssimazione -- la creazione non ebbe prima, perchè fu un Pri il secondo
ciclo creativo è umano e divino- come il principio e il fine sono finiti e
infiniti -che cosa è specificatamente la palingenesia come siam certi che esiste–
la palingenesia èo bietiva e subiettiva, cosmica e individuale— del progresso relativo
e del progresso assoluto delle cose come si dee intendere che lo stato
palingenesiaco sia mentalità pura della morte– dell'immortalità l'esistenza e inamissibile- la morteè un salto e grado secondo che si guarda
il discreto o il continuo futurità particolare
del l'anima la palingenesia consiste nell'acquistare la coscienza che non si ha-
è il colmo della coscienza due presunzioni dell’infinito potenziale– del libero
arbitrio- il processo palingenesiaco è un processo generativo- due metamorfosi:
mondane e oltramondane– obiezione contro la realtà della palingenesia: risposta–
ignoriamo l'avvenire– ha anche una base nell'esperienza—nella palingenesia l'internità
sarà esternata- di varioe rassomiglianza tra la cosmogonia e la palingenesia-
in che senso la negazione dell'immortalità umana è vera - unità dello stato
palingenesiaco – comunicazione dell'intelligenza e dell'amore coll'infinito
della felicità e beatitudine assoluta- l'uomo nella palingenesia opera- idea del
progresso palingenesiaco– lar ivelazione palingenesiaca non escluderà ogni
elemento misterioso. RELAZIONE DELLA PROTOLOGIA COLLA RIVELAZIONE. G. prima
cerca verificare psicologicamente l'idea di mistero poi si propose dimostrarla ontologicamente
infine porgerne una prova universalee protologica- la metessi è il sovrannaturale-
unione dialettica del naturale e sovrannaturale nell'atto creatico il sovrannaturale è universale; è nel principio
nel mezzo e nel fiue la natura senza la sovrannatura è in contraddizione seco
stessa- la dottrina del nostro autore toglie l'opposizione tra il naturalismo e
il sovrannaturalismo esagerati il sovrannaturale dell'ordine attuale è la
metessi anticipata nel seno della mimesi -nel sovrannaturale e nel sovrintelligibile
v'ha un elemento naturale e intelligibile due specie di sovrannaturale
differenza tra ilsovrannaturale e l'oltrenaturale –idea della religione-
religione perfetta è la rivelata la rivelazione è l'apice della cognizione- necessaria
ad accordare la riflessione coll'intuito due rivelazioni- la rivelazione immanente
è virtuale— la potenza primitiva delle due rivelazioni è l'intuito- la
rivelazione sovrannaturale spiega le potenze dell'intuito rimase infeconde per manco
di parola acconcia- la rivelazione esteriore diviene interiore- tre conseguenze
importanti- intento di G. nel suo sistema la ragione e la fede entrano l'una
nell'altra l'idea del l'infinito è il vincolo
tra il sovrintelligibile e l'intelligibile- essenza del mistero: misteri teologici,
antropologici, e teoantropologici- i misteri rivelati non sono effetto, ma
principio di ragione- esempi della fecondità razionale dei misteri rivelati- il mistero pertiene alla ragione e la supera
ad un tempo tre membri della formola,
tre essenze, tre misteri- vera dottrina di G.- nella vita terrena il
sovrintelligibile non diventa mai intelligibile- il vero sovrintelligibile non iscema-
del miracolo: se si pensa, è possibile- che cosa è il miracolo- ogni prodigio importa
un fatto obbiettivo e un fatto subbiettivo—il miracolo e la disposizione e attitudine
a crederlo si corrispondono nell'unità metessica- il fatto miracoloso non è nel
cosmo, ma nella palingenesia- i miracoli decrescono la natura (mimesi) e mito e
simbolo del sovrannaturale (metessi, palingenesia) il cristianesimo importa un
nuovo atto creativo, ciò come avviene? - perchè si tralasciano di esporre
partitamente i dogmi religiosi attinenze della rivelazione colla scienza, e
della religione colla filosofia Perchè
mi son risoluto a tessere questa conclusione il lettore non ricordando più le
cose lette negli altri volumi non avrebbe potuto giudicare quest'ultimo - m'è
piaciuto altresi di dare uno sguardo su tutto ciò da me pensato e scritto—
occasione dell'opera- carattere de la maggior parte degli’ Hegeliani—come è deltato
il saggio di SPAVENTAsulla filosofia di G.- le mie Considerazioni— sui aspramente
ripreso- soliloquio- nei primi volumi mostra iun po’ di risentimento -
l'esposizione della seconda parte si fa con modi dicevoli alla scienza- che cosa
mi ha fatto perseverare lungamente in questa opera, perchè l'idea di essa non
si era prima incarnata l'Italia alla stregua della filosofia dominante oltre alpi
perchè era noma la terra dei morti lotta interiore della filosofia di G.
ragione del suo tardi stampare la lotta cessa: creazione d'una dottrina la cui pellegrinità
sta nel nesso della religione collafilosofia -per anni secostesso esamina la bontà
e v rità del sistema tre stadi del suo processo intellettuale le nazioni coesistono
insieme csigiovano scambievolmente la nuova vita d'Italia necessaria al progresso
umano- ciò che hanno compiuto nel mondo i francesi e i tedeschi difetto della
civiltà da essi prodotta scopo della rinascenza italicacarattere della vitai taliana
d’ALFIERI a G. nel quale ciòche era virtuale e astratto diviene concreto e effettivo
chiude une poca e necomincia un'al tra -
medesimezza dell'idea individuale che costituisce l'eccellenza di G. coll'idea
sostanziale che costituisce il genio nuovo nazionale - rifà in sè tutto il
processo anteriore dello spirito umano quando acquistò il suo spirito intera
coscienza di se medesimo stima che i concetti nati gli in mente erano stati
indirizzali ad un alto line dalla Provvidenza si apparecchia ad eseguire il disegno divino-
moto dall'individuo alla nazione e alla specie- come nel divulgare la sua
dottrina e farla fruttare si mostrasse tradizionale e novatore ad un tempo
procedette per l'antagonismo degli estremi permeglio far spiccare l'armonia del
mezzo dissimula una parte del suo pensiero -- la filosofia la religione e la
nazionalità italica sono unite e connesse subbiettivamente e
obbiettivamente mosse dal l'idea al fatto, dai principi al metodo di
esposizione -carattere delle opere essoteriche e delle acroamatiche- G. possede
una dottrina ben divisata e armonica, di cui avea piena consapevolezza ciò sine
gada i critici- si discute la loro sentenza -si giunge ad una conclusione lutta
opposto alla loro con solo l'esame dei fatti -- si cerca allrcsi la dottrina
intrinsecamente e logicamente e si ha lo stesso risultamento, perché quasi tutti
i critici han franteso trina di G.- il medesimo ladot è accaduto a Spaventa qua
l'è il concetto nuovo ch'ioneporgo esso è stato ignoto fin'ora; nelle scuole
d'Italia s'è insegnato solo la parte essoterica di questa è contrapposto l'Hegelianismo
venuto il tempo che si studia e colliva la parte acroamatica che contenendo la sintesi
ed armonia di questo e di quella, del presente e del passato apre la via alla
speculazione avvenire nella controversia intorno a G. bisogna separare la tesi storica
dalla filosofica caratteri che distinguono, la dottrina di G. da quella di
Hegel, e il moto civile d'Italia da quello di Germania solo l'Italia ha oggi una
vera missione storica, il cuide lineamento trovasi degli scritti del torinese riscontri
tra le parti in cui fu divisa la dottrina c i vari periodi del rinnova - mentonazionale–
come l'egemonia piemontese ha prodotto i suoi frutti, così li produrrà il primato
il primato è tutt'uno colla rinovazione del pensiero italiano- ogni nazione ha
da natura un sito intellettivo che dee cavare dal suo l'Italia oggetto della
scienza sulura l'idealità infinita– riforma
religiosa c nuovavita del cattolicismo - senza una filosofia e teologia
infinitesimale ogni ristorazione religiosa è indarno- prova il recente moto di Germania
Döllinger non ha ragione di biasimare
gli italiani- i vecchi cattolici sono oppostosofistico dei Gesuiti quindi continuano
la sofisticare li giosa che travaglia la nostra età- diseltano d'una teologia
veramente nuova e proporzionata al bisogno- mentre coi loro ciechi colpi con
tro il papismo gesuitico ne han mostrato più che mai la necessità senza di
quella non si può distinguere l'essenziale dall'accessorio nella religione, nè
accordare il divino coll'umano-carattere della nuova teologia- modo come dee procedere
la riforma cattolica- l'entratura di essa appartiene al laicato, e in
ispezieltà all'italiano così la gerarchia non sarà annientata, nè scossa, ma
condotta a riformarsi da sè— il molo italico ristabilirà perfezionata l'unità morale
e civile d'Europa esso perciò è indirizzato ad una meta più alta di quella a cui
è giunta la Germania i forestieri malintendonoe
mal giudicano l'Italia. In parte ne han colpa i fautori della coltura tedesca
-ragione dell'imitazione tedesca tra noi deve cessare e dar luogo alla
produzione paesana nell'ordine dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni. La
teorica della conoscenza nel G. Esposizione e critica. In uno degli
ultimi scritti, certo l’ultimo saggio
filosofico, pubblicato pochi mesi prima di chiudere la sua lunga e
intensa operosità, SERBATI, discorrendo della necessità speculativa
di tener distinta nell' essere la forma ideale dalla reale, usce in
queste solenni parole. L'esperienza
tuttavia e la storia della filosofìa dimostrano, che e' è una somma diffcoltà a
distinguere e mantenere costantenftnte distinta nella mente la forma
ideale ed obbiettiva dell'essere, dalla forma reale, e me ne somministrò
non ha guati la prova quel facondo e immaginoso scrittore che diede
a me biasimo e mala voce d'aver proposta e stabilita una tale
distinzione, dettando tre volumi col titolo de' miei errori. Laonde con
tutto lo zelo e la fidanza egli si pose di contro a me, quasi
abbarrandomi il passo, e si dichiarò perfetto realista: incolpando gli
stessi scolastici realisti, di non essere stati tali abbastanza, ec-
cetto alcuni pochi. Ma pace a quell'anima ardente: e torniamo alla storia
*) ,. Si sa che gli avvenimenti politici del quarant' otto avevano
rav- vicinato i due grandi avversar], smorzato perfin le ire implacate
e sospettose del torinese, che faceva pubblica ammenda della
vivacità frequente delle sue polemiche, dichiarando che, appena
conosciuto di persona Rosmini, aveva cominciato anche lui " a
venerare ') RoiKiNi, Ariat. esposto ed esaminato, Torino, pre&z. La prefazione di quest'opera
postuma era Btnta pubblicata dal Bosmìnì Hteeao nella Riviìta
contemporanea di Torino, au, ir, voi. II, fase. 17» e 18', decembre 1854
egenoaio; riprodotta poi nella Poliantea Caffo^ca di Hilauo, Rosmini e CHoberH
247 con tutta Italia tanta sapienza e tanta virtù , ^). — Quanto a Rosmini,
benché l' animo suo non si fosse mai inasprito, i fatti lo conciliarono di più
con G., e non è questo il luogo dì ricordare le belle prove da lui date
de' suoi sentimenti verso il filosofo esule per la seconda volta '), e
poi quando fa morto, e quando prima ha a Gaeta a difenderne
calorosamente la fama a l' ing^no contro le insinuazioni e le
malignazioni d' un gran gesuita ^). Ebbene, tutto ciò e il tempo
corso in mezzo e il cammino in- tanto fatto nella scienza, non lo
rimossero fino al termine, come s' è visto dall' ultimo suo scritto
dianzi citato, dalla posizione già tenuta di contro alG.. E questi, dal
canto suo, ìn quel di- scorso che premise alla seconda edizione della sua
Teorica del sovrannaturale, e che si può considerare come Y ultima sua
scrit- tura di genere puramente filosofico, rimaneva anche lui al suo
posto, nonostante l' om^gio quivi reso alle virtù e alla sapienza dell'
avversarlo; poiché scrìveva: *U SERBATI ed io siamo d'accordo nel recare
alla riflessione la possibilità dell'errore, e il suo rimedio all'intuito
che la precede. Ma dissentiamo intorno al contenuto di tale intuito ; il
quale al parere dell' illustre Roveretano, non ci poi^e che un ente
astratto, iniziale, destituito di sussistenza ; laddove, al Discorso
preliminare tìiU 2' Bàìz.ifiìla Teorica del sovran7iaturide I, ^ n. Vedi
pure ciò ohe, quasi nel tempo atesBo, ne scriveva nobìlmeate nel
Rinnovamento àvUs, ediz. Napoli, Morano !) Vedi quel che HCTisae Q.
Uassuii, nella bua Bitiista pdiHca nel
Cimento di Torino commemoiando SERBATI. Sono due pagine dimenticate, e che
hanno tuttavia molta importansa per le opinioni politiche e per la
biografia del Rosmini; T. pure Tommaseo, A. Rosmini, (in Rimala Contemporanea
Liberatore. — Chi fu presente al colloquio e ne scriveva poi a Baff. De
Ceaare. attesta che le parole eloquenti dette dal Bosmini in quella
occasione lìaHciiono il più autorevole e più meraviglioso elogio di G.
>. Tedi Db CssAaB, Dopo la wndanna del S. Uffi,ziOt in N. Antologìa, G.
Gentile mio, ci dà un concreto effettivo, che nel primo de' suoi
termini è assoluto e apodittico. Or qual'è il miglior fondamento del
vero? l'astratto o il concreto? T
insusaistente o il reale? l'incoato o l'as- l soluto?, ').
I due filosofi, adunque, compiono la loro carriera filosofica con
opposta sentenza intomo al principio della loro dottrina, nonostante la
polemica vigorosa per dottrina e dialettica che s' era in propo- sito
dibattuta; talché si direbbe che essa non abbia avuta nessuna efficacia
sulle dottrine de' due filosofi. Questo però è appunto quello che ci
rimane ancor da vedere. f~^ Come Rosmini abbia introdotto V. G. nel
campo della ' moderna filosofia, cioè della filosofia kantiana,
l'abhiam veduto e dimostrato nel terzo capitolo della prima parte del
presente studio; coachiudendo, che già nella Teorica del sovrannaturale
egli ci apparisce sì un rosminiano, ma un rosminiano il quale vuole andare
avanti a Rosmini. Neil' opera che seguì immediatamente dopo, V
Introduzione aUo studio della Filosofia, si delinea ben nettamente la
nuova posizione speculativa di G.; e si vede quali essenziali modificazioni,
secondo lui, debbono subire le dottrine del filo- sofo roveretano.
Ma prima di studiare cotali modificazioni, vediamo come si muove in
questa nuova opera il pensiero dell'autore. / La concezione della storia
filosofica qui è l'es^erazloae di quella donde sì rifa nel Nuovo Saggio Rosmini;
ma certamente è mo- dellata sovra di essa. Pel Rosmini, come s'è notato,
v'ha sistemi che peccano per eccesso e sistemi che peccano per difetto di
apriori nella spiegazione del fatto del conoscere : da una parte falsi
idea- Op. cit, I, 2K. Cfr. Errori filoaqfiei di A. Bosmini, L'ultima
parola venunente à nel Rmnovat>ieato civile, dove è detto ancora uoa volta «
Cosi, per cagion d'esempio, il divorzio introdotto da un chiaro nostro
psicologo tra il reale e l'ideale, non si puA comporre stando nei termini
della psicologia sola; e se si muove da questo dato pei salir più alto,
si riesce di necessità al panteismo dell'Hegel e de' suoi seguaci
Jtosmitii e G. iiami, e dall'altra falsi empirismi. Ma nell'idealismo,
oltre l'errore di ammettere più elementi a priori che non ne siano
richiesti a quella spiegazione (Platone, Aristotele, Leibniz) può esservi
un più grave difetto : quello di far soggettivo, come avviene in Kant,
Va priori ricercato in seno alla conoscenza, la quale, se vuol essere
vera e certa, dev'essere invece oggettiva. Onde pel Rosmini Ì
sistemi sbagliati si riducono al postutto al sensismo o all'idealismo
sog- gettivo, cfae è una specie di scetticismo mascherato ; dacché il
pla- tonismo, a parte l'eccesso dell' a priori che va corretto, trova
grazia appo lui per l'assoluta separazione posta fra cotesto a priori e
il soggetto umano che conosce. E contro il sensismo e l' idealismo
soggettivo e si può dire (poiché pel Rosmini il senso era la fa- coltà
soggettiva per eccellenza) in genere, contro il soggettivismo ei si
proponeva di scendere in campo col Numo Saggio. Contro questo
soggettivismo insorge parimenti la filoso&a di G.; il quale
raddoppiando d'ardore per le dottrine platoniche riconosciute pure in
fondo al contenuto filosofico delle dottrine cristiane, tutti gli opposti
sistemi involge in una comune condanna con quel sensismo, che ormai,
quando usciva il suo libro, era già morto e sepolto cosi IN ITALIA come
in Francia; talché dimostrare sensistica una teorica, era lo stesso che
averla giudicata senza appello. E sensistica, a parere di G., è
tutta la filosofia moderna in Europa; a cominciare da Cartesio; il quale,
del resto, non fece se non applicare alla filosofia il metodo che aveva
già fatto ben trista prova con Lutero, nella Protesta, proclamando la
j intimità autonoma della fede religiosa. . -J Cartesio
sensista? " Parrà strano, scrive il Gioberti, a dire che il sensismo
sia conforme ai principii cartesiani, e che il Locke, il Condillac, il Diderot,
con tutta la loro numerosa ed infelice progenie, siano figliuoli legittimi del
Descartes; quando questi pretese nlle sue dottrine un teismo purissimo al
sembiante, e volle stabilire sopra uua salda base la spiritualità degli
animi umani. Ma il teismo del Descartes é puerilmente paralogistico. Il
suo dubbio Q. OmHk
metodico e assoluto, e il riporre eh' egli fa nel fatto del senso intimo
la base di tutto lo scibile, conducono necessariamente alla negazione di
ogni realtà materiale e sensibile, ). E che altro è il sensismo?
Spogliato dalle contraddizioni de' suoi partigiani, e ridotto al suo vero
essere dalla logica severa di Hume, riuscendo a un giuoco aubbiettivo
dello spirito, che, rimossa ogni realtà, è costretto s trastullarsi colle
apparenze, è propriamente scettico e si manifesta come l' ultimo esito di
ogni dottrina, che , metta nel sentimeuto dell'animo proprio i
princlpii del sapere . ). 1 Descartes, adunque, è uu sensista, e a
lui si deve tutta la serie di errori di cui è iutessuta la storia
della filosofia moderna ; egli è l'iniziatore, purtroppo, fortunato del
moderno sensismo psicologico, poiché pone come principio della filosofia un
fatto, che come tale non può essere se non un sensibile ^).
Insomma Locke e Condillac sono cartesiani. Né rileva che i successori
di Locke facciano caso della sensazione sola, e non del sentimento
interiore, imperocché questo e quello convengono nell'essere forme
sensitive, destituite di obbiettività assoluta , ). G., insomma, intendeva
parlare di soggettivismo, e di- COTa sensismo, che è pure una direzione
speculativa molto diversa. La colpa bensì non è propriamente sua, perchè
risale a Galluppi; il quale nella sua teoria della sensazione (che qui G.
ripete) aveva con essa confusa la percezione o rappresentazione e la
coscienza, introducendo nel seno stesso di quella le distinzioni che
sorgono ') Introdwi., lìb. 1, c&p. l" (ediE. di
Firenze, Poligrafia italiana) I, m. ») Ibid., p.
m-12. 3) «... E certameiite la seoteiiEa ; io penso, dunqm sono,
equivale a questa: io sento di oaeere pensante ... e più concisamente :
io sento, dunque sono . . . n pensiero conosciuto per via della
liflesaione, ò un meco fatto della coscienia, cbe appartiene al senso
interiore; onde il Cartesianismo che muove da quella, colloca in un
fenomeno della facoltà sensitiva la base della scienza >. Tntrod.,
lib. I, oap. 3". *) Op. àt., invece per cotesti fatti
ulteriori della psiche '). Del resto, G. risente presto l' iDcooTeuiente che
deriva dal fare un sensista delio stesso Cartesio, pel quale il fatto
della coscienza, invece che un sensibile (donde, secondo G., stesso non
può derivarsi mai l'essere) era una cosa stessa con l'essere, e quindi
noD un semplice principio psicologico '), ma una inscindibile unità del
principio psicologico e dell' ontol<^Ìco, che se fosse stata
fecondata, avrebbe già fatto procedere di molto la filosofia moderna.
Infatti, quando ai accinge a classificare tutte le scuole filosofiche
figliate dal sensismo cartesiano, comprendendo nella seconda categoria i
se- guaci del lochiamo, egli è costretto a porre &a i caratteri di
questo il ripudio della ontologia cartesiana, come ripugnante ai
principii e al metodo del Descartes, e troppo simile all'antica, dichiarata
dal francese filosofo insuMciente e buttata fra le ciarpe ; e
l'ommissione e lo sfratto implicito e tacito di ogni ontologia, ').
E già da questa medesima classificazione de' sistemi resulta cbiaro
che il nemico preso di mira è precisamente quello stesso di SERBATI: cioè
il soggettivismo, il falso so^ettìvismo, che ripete le sue origini da Cartesio,
anzi {ed ecco l'intreccio significan- tissimo della filosofia eterodossa
con la falsa filosofia!) da Lutero. Nelle cinque categorie, in cui
dovrebbesi, secondo G., partire tutta la storia della filosofia moderna, così
vengono distribuiti i vai^ indirizzi: nella 1" Cartesio e la sua
scuola: nella 2' Locke; nella 3' Spinoza, i panteisti tedeschi e in parte
Berkeley^; ') Eppure G. stesao aveva combattuta questa
teorica galluppiaaa, nella n. 3* della Teorica (II, 319 e segg.)
imputando al filosofo di Tropea < di Bveie considerato come semplice e
indivisibile ciù che è ancora composto, Bocomunando per tal modo elsmenti
svariatisaimi con una sola voce >. Il psicologiamo ed il BcnHÌaino sono
identici : l' uno è il Henstsma ap- plicato al metodo, l'altro è il
psicologismo adattato ai principii »- — Introd., - Gtt- Ha < Cartesio è sensista nei principii e
nel metodo voi. Sf a. Gentile nella i Kant e i
sensisti francesi dal Condillac in poi *) ; ' infine nell'ultima classe
si debbono collocare gli scettici assoluti, che giunsero al dubbio
universale, mediante i principii del sensismo, aiutati da una logica
s^^ce ed inesorabile; ... il cui principe è Hume ,
CapOTolgimenti, come si vede, ce n'è piti d' uno; e come va che G.
confonde il fenomenismo di Berkeley con l'idealismo assoluto di Fichte, di
Schelling e di Hegel, e l'idealismo trascendentale di Kant col sensismo di
Condillac PEcco: secondo lui, l'assoluto dei filosofi tedeschi non è l'idea
schietta, ma bensì l'idea mista di elementi sensitivi, e per dir meglio
un concetto, un astratto, un fantasma, frammescolato di elementi ideali;
insomma è un assoluto fantasticato dalla mente umana ; e cosi il Kant
converrebbe coi sensisti ' nel dare alla cognizione la proprietà del senso,
facendone una facoltà aubbiettiva, e quindi considerando il vero, come
relativo. È chiaro che la causa della con- fosione nel primo e nel
secondo caso è la medesima; per G., r a priori di Kant e de' suoi
successori è falso perchè contraddit- torio: è posto come a priori,
perchè necessario ed universale; e intanto lo si fa subbiettivo, e quindi
particolare all'individuo che conosce, e come esso contingente.
Questa falsa maniera d' intendere il nuovo soggettivismo, che
cominciava con la teoria della sintesi a priori dal negare definiti-
vamente quello scetticismo, cui fin allora il so^ettivismo era sempre
stato come equivalente, è un'eredità che G. raccoglie da SERBATI, e
rivolge subito, come or ora vedremo, contro di lui. E già si può
dire, che l'avesse raccolta nella Teorica del so- vrannaturale, quando, a
proposito dell'eclettismo francese, aveva ') E petcbè esclndecne ì
materìaliati, le cui open, come ricorda opportunamente il Imnge,
precedettero i libri e le dottrine di Condillac? ') parlato dì un
razionalismo imperfetto, che consente col sensismo ' nel so^ettivare
interamente e parzialmente la conoscenza „ ^), e meglio altrove,
discorrendo dell' egoismo psicologicor cui avreb- bero appartenuto
Cartesio, Reid e Kant, e del quale * l'egoismo ontologico metafisico di
un celebre filosofo tedesco, che im sima r ente stesso coll'esistenza
individuale, sarebbe la nect conseguenza ,). G., invero, come SERBATI,
non conosce altn gettìvismo che il falso antropometrismo
individualistico goreo, il soggettivismo, che il Rosmini combatteva in
Em. Pel soggettivismo, a parer di G., tot capita, tot senti donde,
secondo il principio di Lutero, tanti cristianesimi cristàani, e ' tante
filosofìe quanti sono i filosofanti, se et Descartes, rinnovatore della
verità subbiettiva, immaginata di già e da Protagora , Di guisa che è un
errore, dice Ìl I^ paragonare la riforma cartesiana a quella socratica ;
avendo 8 presentito la teorica delle idee assolute, che venne poscia
es] da Platone, e dovendosi quindi interpetrare il suo vvia^i • quasi —
contempla e studia te stesso nella idea divina. In breve: la
salvezza della scienza è nel platonismo, nella razione dell'idea dal
soggetto, nella oggettività della conos E si deve anche far forza alla
storia e in Socrate trovare PI se in Socrate si vuol trovare un principio
di sana filosofia, menti del maestro di Platone non si fa che una
ripetizione d tagora, come sono Cartesio e Kant, il famoso " sofista
i nisberga , ! Questa falsa interpetrazione della storia, in gran
parte fondamentalmente rosminiana, non pone del resto, G. bene egli
sei creda, fuori del criticismo kantiano, come non ne escluso SERBATI. Ed
è davvero curioso a vedere il gran ') Nota Nota Introd., I,
3»; H, Q. Gentik glìere invano che tutti i filosofi italiani della
prima metà del secolo fanno tra loro, accusandosi Ticende Tolmente di
kantismo e di so^ettivismo, intanto che ognun d'essi, senza accoi^erseae,
vi rimane impigliato. GALLUPPI (si veda) accusa SERBATI; Testa, Galluppi
e Rosmini; GRAZIA (si veda) Galluppi e Rosmini egualmente; G. e ROVERE
(si veda), Rosmini; e questi, G.. Così, SERBATI è persuaso che tutta la
sua attività filosofica fosse una guerra con- tinua contro il sensismo e
il soggettivismo. Ebbene, vien fuori Ìl Gioberti a proclamare che ancora
il sensismo è la dottrina filo- sofica predominante in Europa; dacché non
tutti i razionalisti si potesser dire immuni dal comun vizio, avendosi a
distinguere uu razionalismo ontologico e un razionalismo psicologico; ìl
secondo de' quali separa bensì, come non fa il sensismo, l' intelligenza
dal senso, ma a quella non dà altro fondamento che il soggetto, lo
stesso fondamento, in fine, del senso, senza perciò poter conferire alla
cognizione veruna certezza oggettiva. E in questo razionalismo
psicologico o psicologismo, che vogliasi dire, con Kant e Reid e Stewart,
va, secondo G., annoverato anche SERBATI, non correndo alcun mezzo
possibile Ira Io psicologismo e l'ontologi- smo, che anche lui, il
roveretano, rifiuta; sebbene né il filosofo italiano né i due Scozzesi
possano propriamente rientrare nel quadro della quÌntnplÌG«
classificazione del sensismo cartesiano, ossia della moderna
filosofia. ~ Oi certo il falso criterio onde il Rosmini aveva delineato
una storia della filosofia, passato a G., era agevole rivolgerlo
contro lo stesso Rosmini. Sennonché, quel che importa rilevare è
l'esigenza che l'uno e l'altro afiFermavano, ribellandosi a quel cotale
soggettivismo, in cerca di uno stabile e certo oggettivismo. SERBATI vuole
introdurre nella cognizione un elemento necessario ed universale, che sia
veramente tale, e dì cui ammette un intuito costitutivo dell'intelletto,
un intuito che, secondo una critica n^ionevole, devesì interpetrare come
una sem- plice aflfermazìone della universalità e necessità
(trascendenza, e quindi pare opposizione all'individuo contingente)
AeWa^Hori della cognìzioDe. E G. prende la stessa posizione di
contro all'empirismo, pur senza ripetere una critica che era stata
fatta, ma accettandone benal il resultato. Oggi si tiene per certo,
egli scrive nell' Introduzione, che Toler derivare con Locke i concetti
razionali dalla sensazione e dalla riflessione, ovvero con Condillac e
co' suoi seguaci, dalla sen- sazione sola, è un assunto d'impossibile
riuscimento; e che, sì come il necessario non può nascere dal
contingente, né l' oggetto' dal soggetto (ecco l'unica concezione
rosminiana d'oc/petto e soggetto: oggetto = necessario: soggetto =
contìngente), così i sensibili od esteriori non possono partorire l'intelligibile
, Per G. la questione stessa dell'origine dell'intelligibile, di cotesta
idea, involge una repugnanza; giacché, essendo essa oggetto immediato ed
eterno, come necessario ed universale della cognizione, non ha nn
principio né una genesi. Potevasi senza dubbio osservare all' autore, che
appunto la definizione stessa che egli dà della idea, inchìnde il
teorema, che gli avversarj volevan dimostrato. Comunque ciò sìa, egli
ammette bensì un' altra questione, che è la vera questione della
ideologia rosminiana; la quale è volta a indiare se derivando la
cognizione dell'Idea da una facoltà spe- ciale, che dicesi mente o
intelletto o ragione, ella è acquisita od in- genita; cioè, se l'uomo può
su^atere, eziandio pure un piccolissimo spazio di tempo, come spirito
pensante, ed esercitare la facoltà cogi- tativa, senz'avere l'Idea
presente; e quindi ne va in cerca e se la procaccia; ovvero, se ella gli
apparisce simultaneamente col primo esercizio della mente, tantoché il
menomo atto pensatìvo e l'Idea siano inseparabili , . E tal quistione,
che brevemente si può espri- mere, se l'Idea sia o no innata (nel senso
kantiano di forma si- multanea alla esperienza) ei la risolve
affermativamente, come il Rosmini, dichiarando che a suo avviso (per
rispetto nostro) non si può assegnare altra origine all'Idea, che
l'origine medesima dell' esercizio intellettivo. «)Iiib. I, oap. 3»j
n, 6. *) le O. Gentile Questa apparizione dell'Idea simultanea al
primo esercizio della mente corrisponde per l'appunto a quello che SERBATI
avrebbe detto propriamente nozione) dell'idea dell'essere. Anche per G. cotesta
nozione è la stessa intelligibilità, la evidenza stessa; anche per lui
non arguisce nulla di subbiettivo, oè risulta dalla struttura dello
spirito umano, secondo i canoni della filosofia critica, ) ; anche per lui è
" l' ometto della cognizione razionale in se stesso, aggiuntovi però
una relazione al nostro conoscimento , *). L'intuito di cotesta idea è dal
Gioberti stabilito con breve disamina del procedimento del conoscere, e benché
egli non se ne rimetta al Rosmini, è chiaro che psicologicamente la
lacuna, che egli stesso poi riconobbe in questa parte della sua teorica,
devesi alla grande efficacia esercitata sulla sua mente dallo studio di SERBATI
; talché, scrivendo quasi di getto, come fece, l' Introduzione, non avrà
pensato che ci volesse molta discussione a solidare già
muorevasi la mente iegazione del conoscere. nella esposizione,
del Ione fece il Massari nel un'ipotesi, la quale, per l'
indirizzo per cui sua, era assolutamente necessaria alla spie Si accorse
di poi del mancamento ; e lo v resto tanto piaciutali, che AeW
Introdtizio Progresso di I^apoli, quando già l' intrapresa polemica con
SERBATI cominciava a fargli guardare più attentamente ogni parte
della costruzione filosofica, cui aveva posto mano. B aMassari, scriveva:
Ho riletto quel poco che ho detto del- l'intuito iLviW Introduzione e
l'ho trovato ancor più scarso che non credevo; tanto che la critica che
vi ho fatta di non esservi steso davvantaggio e con nu^giore precisione
su questo punto manca affatto di fondamento , *) ; e a' 20 lugho tornava
a scrivergli : Non ') < Nozione io chiamo un'idea
considerata sotto questa relazione, in quanto doè ella mi serve, a
rendermi note le cose >; Bosuini, Prindpj di acietua morale, in Optre, ed.
Bstelli, TX, 2 n. ») Inirod. Cart, n, 375. Il MAasÀBi aveva fatto
una analisi dell' Introduzione ( la 1* ohe ne faue fatta in Italia) in
tie puntate del Frogreeso] è come vi ho detto che uDa iBcuoa, proreniente
dal mio testo del- l' Introduzione; ODde può parere che l'intuito sia una
facoltà mi- steriosa conforme all'inspirazione dei mistici; laddove
no la cognizioae umana e ordinaria, spogliata però del repli
riflessivo. L'ho definito, credo, nel libro degli i/rrori , '). - questa
definizione dell'intuito corrisponde evidentemente i trina già esposta di
SERBATI, che l'intuito dell'idea si rit un lavorio riflessivo sulla
cognizione ordinaria, mediante cesso d' astrazione. In G. non s'
incontra una teoria compiuta del f noscitivo, come si trova in SERBATI.
Ma qualche accennc qua e là, basta a dimostrarci che, sebbene l'autore
sia de che la psicologia, per dirla con la parola sua, non debb
fondamento né propedeutica alla ontologìa, della quale egli trattare
specialmente, tuttavia l' ideologia rosminiana giace alla sua dottrina.
Egli ammette un' ' attività intima e s< sima, che rampolla dall'unità
sostanziale dell’animo, e con primo raggia intorno a sé le molteplici
potenze, donde na varie modificazioni di esso animo , *); ripetizione,
anzi de d'un punto del rosminianismo, da noi già messo in rilii
L'intelletto, la facoltà dell'intuito secondo SERBATI, presso G. una
energia contemplativa che venir meno, ossia non può cessar d' intuire il
suo termine, se durre,in grazia di quell'unità sostanziale dello spirito,
la ce simultanea dell'esercizio deliamente^); come in SERBATI •)
Cart, n, 381 e aegg. ^Infrod., I, 2° (1, 135). Animo dice il
Gioberti; per castigatezz tuna di lingua, lovece di anima, spirito.
') < Tutte le potenze dell' aaimo amano esseDdo collegate
inBieme dosi a vicenda, è inverosimile il aupporre che l'energia
contemplat eoir meno, «enza che le altre facoltà a proporzione se ne
riaentan . Altrove dice che t l'intelletto è ti mezzo, con cui I
prende la manifestazione naturale del verbo ; Ma egli no a questo
propoailo, una terminologia costante. Gentile dell'intelletto vedemmo
esser necessario non solo alla costituzione dell'intelletto, ma anche, per
l'unità del soggetto, a tutta la fun- zione del conoscere. Né per G.
l'intuito ha un valore diverso da quello indi- cato nella teoria del
filosofo roveretano; come sarà agevole accor-gersene esaminando con la brevità
necessaria la teoria giobertìana della riflessione. L'iatuito
rosminiano vedemmo essere non vera e propria cognirjone, ma condizione di ogni
conoscenza, e però un vero a priori kantiano, una pura forma dell'
intelletto, che come tale distruggeva l'antica concezione di oggetto
opposto e separato dal soggetto, avendo dimostrato che il nuovo oggetto
non esisteva per sé, fuor della sintesi, essenzialmente soggettiva, co'
dati offerti dal senso ed elaborati nel soggetto. E G. scrive: Egli è
vero che l'in- tuito diretto della mente non basta a fare la scienza, ma
ci vuol di pili quella ridessione che ho denominata ontologica
dall'obbietto in cui ella si adopera. La quale arreca nel suo oggetto
quella di- stinzione, chiarezza e delineazione mentale, che senza
alterarne r intima natura, lo fanno scendere, per così dire, dalla sua
altezza inaccessibile, e accomodarsi all'umana apprensiva. Se
l'intuito fosse solo, l'uomo assorbito dall'idea non potrebbe
conoscerla, perchè ogni conoscenza importa la compenetrazione del
proprio intuito, e la coscienza di noi medesimi, ; vale a dire la
coscienza dell'intuito e la coscienza del soggetto, che in fondo sono una
medesima coscienza; dacché, anche per G., l'intuito è costitutivo del
soggetto, e non v'ha soggetto senza l'intuizione immanente dell'Idea.
Sicché l' intuito giobertiano neanch'esso fornisce una effettiva conoscenza, ne
è bensì anch'esso la pura condizione, la pura forma a priori, la quale ha
bisogno, come qui dice l' autore, della riflessione. Orbene, che è
questa riflessione, e qual'è l'ufficio suo? Essa [La riflesBione pertanto
dee accompagnue l'intuito primitivo; è come un intuito secondario, cioè un
replicamento cosciente del- l'atto coatemplativo della Idea; ma, appuoto
perchè cosciente, non è più puro intuito, non è più condizione, ma atto
di coscienza: essa è già coscienza. La riflessione importa quindi una
determinazione soggettiva e però una modificazione pur soggettiva; poiché
l'intuito è vago e indeterminato, mentre ogni atto di conoscenza è
essenzialmente determinazione ed unità; elementi che all'intuito non
possono essere aggiunti dall'oggetto suo, che non ha in sé né determinazione, .
né principio veruno di determinazione. Nel primo intuito la cognizione è
vaga, indeterminata, confusa, si disperge, si sparpaglia in varie parti,
senza che lo spirito possa fermarla, appropriarsela veramente, e averne
distinta coscienza. L'intuito secondario, cioè la rimessione, chiarifica
l'Idea, determinandola; e la determina, unificandola, cioè comunicandole
quella unità finita, che è propria, non già di essa Idea, ma dello
spirito creato , La riflessione, adunque, si deve considerare come una
funzione determinatrìce dell'intuito, o vogliam dire dell'» priori;
funzione fondata sull' unità del soggetto, di quell'attività intima e
semplicissima, che dianzi rilevammo. Ma in che modo avviene la de-
terminazione? Ciò succede, mediante l'uniOne mirabile dell'Idea colla
parola. La parola ferma e circoscrive l'Idea , ^); unione mirabile e
'misteriosa, donde s'inizia la conoscenza, come lo era quella percezione
intellettiva, per la quale Rosmini faceva sviluppare l'atto del
conoscere; ma unione necessaria, unione, come s'è visto, senza la quale
non v'ha umana conoscenza). E alla percezione intellettiva l'atto
prodotto per la riflessione si riconnette anche per la natura della
parola, che si sostituisce in esso alla sensazione rosminiana. G. infatti,
definendo la ») Introd. La parola, easendo il priocipio determinativo
dell'Idea à altreai una condizione neoeBjacia della esistenza e della
certezza rlfleasiva» 0. Gentile PAROLA,
come OGNI SEGNO, per un sensibile, osserva: Se adunque ella BÌ richiede
per ripensare l'Idea, ne segue che il sensibile è necessario per poter
riflettere e conoscere distintamente l'intelligibile). II cbe consuona
con la doppia natura dell'uomo composto di corpo e d'animo, e annulla
quel falso spiritualismo, che vorrebbe considerar gli organi e i sensi, come un
accessorio e un accidente della nostra natura. Sulle quali parole è bene
cbe meditino quanti sono che l'intuito giobertiano sogliono appaiare con
quello del Malebranche. Anche G., come SERBATI fa ricorso al sensibile e
Io ritiene necessario alla formazione dell'Idea; e il senso anche lui fa
costitutivo dell' oi^anismo unico dello spirito. Sennonché, sulla
natura di questo nuovo sensibile proposto da G. solvono varie difficoltà, sulle
quali non è pcasibile sorvolare, volendo fornire una idea non troppo manchevole
della sua teorica della cognizione. Vedemmo altrove (part. I, cap.
3") come già fin nelle Miscellanee, che sono sì prezioso documento della
formazione della mente del Gioberti, si accettasse e si lodasse la teoria
bonaldiana del lin- ' S^^SS^°- ^^^ 1"' nsll^ Introduzione è detto:
Parecchi scrittori moderni assai noti, fra' quali il Bonald merita un luogo
particolare, hanno avvertita la necessità del linguaggio per l'esercizio
del pensiero, *}. Ed è senza dubbio dal Bonald eh' egli ha mutuato la sua
dottrina, che ha, pel modo come sorse, una grave ragione storica. È
noto che l' empirismo inglese e il sensismo francese sì proponevano di spiegare
il linguaggio umano, come una invenzione dell'uomo, Reid per primo,
(poiché le profonde intuizioni del Vico passarono inosservate), nelle sue
Ricerche stdl' intendimento, dimostrò che il linguaggio nel suo più ampio [Cfr.
Teor. Sovr-, II, 35 < Senaa la contezia di qualche aenaibile, le idee
non aorebbeia acceBsibili alla mente nostra*. Teoria che bÌ conferma e ai
de- fiaiace meglio nella Protoloffia, per la qaale cfr. i Inoghi dUti
dallo Spàtbhti., nella FUoa. di Oiob., p. 53 n. *j Introd.]
SIGNIFICATO È NATURALE PRIMA CHE ARTIFICIALE. – cf. Grice. Definiva egli Il
linguaggio, efinizione, ai badi, espressamente citata e accolta dal
nostro G., ') tutti i SEGNI onde gli uomini fanno uso per comunicarsi
reciprocamente i loro pensieri, le loro conoscenze, le loro intenzioni, i
loro disegni e i loro desiderj , *}. Per Reid v' ba DUE SPECIE DI
LINGUAGGIO: UN LINGUAGGIO NATURALE, formato da quei vocaboli, che NON
HANNO UN SIGNIFICATO CONVENZIONALE, ma ne hanno uno che tutti intendono
naturalmente e per istinto; e UN LINGUAGGIO ARTIFICIALE, costituito dei
vocaboli non aventi altra significazione se non quella attribuita loro
convenzionalmente dagli uomini. Che vi sia un lii^uaggio naturale è
innegabile: e l'attestala sopravvivenza stessa di esso al linguaggio
artificiale: le modulazioni della voce, ì gesti, i tratti del viso o la
fisonomia, mezzi tutti onde l'uomo esprime naturalmente i pensieri, —
sono per l'appunto le tre classi alle quali riduce Reid tutti gli
elementi di cotesto linguaggio. Ora è ovvio dedurre, siccome fa appunto il
filosofo scozzese, che IL LINGUAGGIO ARTIFICIALE PRESUPPONE IL LINGUAGGIO
NATURALE, senza di cui gl’uomini non avrebbero potuto intendersi per
convenire nei significati di quei vocaboli onde resulta Il loro LINGUAGGIO
ARTIFICIALE. Di modo che se, come vuole l'empirismo, il linguaggio fosse
dovuto solver per un'invenzione umana, come la scrittura o la
stampa, tutte le nazioni, dice Reid,
sarebbero ancora mute, come i bruti. Né meno stringente è la critica da
Bonald opposta alla teorica del Condillac ) nelle sue Ricerche filosofiche.
Secondo Bonald il linguaggio ci è dato primitivamente con la prima
conoscenza; a causa della necessaria simultaneità della idea con la sua
espras- [Le parole sono I SEGNI principkli, ma non i soli Bagni, come sa
oiaaouuo; tntti i sentimeati sodo veri SEGNI deUe cose, secondo la bella
e profonda dottrina di Tommaso Eeid >; Introd. Rech. sur V entendemenf humain,
trad. Jouffro;, oliap. IV, sect. 2
in OtMvres (Paris Combatte la teoria com'era stata formulata da)
CoDdiUac; ma tiene por conto delld OBservazioni di Hobbes di Locke e di
tutti i sensisti.] aione (espressione, si noti, anche semplicemente * mentale «
) S contro i sostenitori dell'opposta sentenza, osserva che essi
comin- ciano dal supporre, contro ogni autorità ed ogni ragione,
l'uomo in uno stato primitivo bruto e insociale, e a tal grado di
barbarie, da essere perfino privato della facoltà di conoscere e
comunicare i proprj pensieri, per attribuirgli nello stesso stato i
pensieri, i sen- timenti, le affezioni, le intenzioni, i bisogni, Io
spirito d' invenzione e d'industria dell'uomo sociale e civilizzato ,
'). Lo critica di Bonald è in fondo identica a quella del Reid. Si
presuppone nell'uomo sfornito tuttavia del linguaggio, cbe gli tocca
inventare, qualità o attitudini necessarie all'invenzione; le quali non
possono non equivalere al possesso del linguaggio che vien negato,
comecché in una forma primordiale e naturalmente rozza. E questa ingenua
teoria del vecchio empirismo che fon- dava la società io un contratto, la
religione su un arbitrio dì legislatori, e Ìl linguaggio in una INVENZIONE
CONVENZIONALE, è stata anche in quest' ultimo campo, sconfitta dalla
moderna scienza della linguistica comparata; la quale se tra MuUer e
Witney discorda intorno alia necessità delle relazioni che intercedono
fra il pensiero e LA PAROLA, ha però definitivamente e
concordemente stabilito che il linguaggio è un fatto speciale, primitivo
e naturale dell'uomo, non essendovi alcuna società, per quanto barbara
e selvaggia, che non ne sia fornita; del pari che la sociologia e la
scienza delle religioni comparate hanno provato l' originarietà, cioè
l'apriorismo, del fatto sociale e del religioso. Ed è appunto
merito della scuola teologica francese, come osserva giustamente Janet),
di aver dimostrato contro i filosofi francesi la vanità delle teorie intorno
all'origine fattizia e riflessa di tutti i fatti i più importanti
dell'uomo sociale. A Bonald poi spetta particolarmente la lode per quel
che è del linguaf^io; e a lui specialmente volgeremo l'attenzione,
giacché [lUeherches phiioaophiquea, ohap. Il, in Oeuvres Paris La
ph&os. de LamtnnaU.] egli connette questa teorìa con quella della
rivelazione neceasaria per l'umana conoscenza, siccome fece tra noi G.. Bonald,
con l' Histoire comparée di Degerando alla mano, rileva che la filosofia
non è riuscita peranco a fissare un punto fermo, un criterio sicuro di
certezza e di verità, anzi per tutti i sistemi è finita nello scetticismo
e nel soggettivismo; e si chiede quindi se non fosse possibile "
trovare nei fatti sociali un fonda- mento alle dottrine filosofiche piìl
solido di quello che s' è cercato fin qui nelle opinioni personali , ') ;
e questo fondamento gli pare appunto di trovarlo nel linguaggio, che,
dimostrato non potersi inventare dagl’uomini, deve (non essendovi, secondo lui,
altra via) essere stato comunicato da Dio alla società umana, e in
questa appresa via via dagli individui. Si direbbe che il criterio di
Bonald riesce sottosopra a quello altrove rilevato da Lamennais; che
questa PAROLA, che possiamo accettare come saldo fondamento di certezza,
data da Dio all'umano consorzio, è precisamente la rivelazione. Ma quel
che v'ha di originale in Bonald, e prova che G. ne dipende io modo speciale, è
la teoria della PAROLA coma atto o strumento necessario del pensiero;
vale a dire che, dato che LINGUAGGIO, tutto il linguaggio aia rivelazione
divina, il pensiero dì cui il Bonald dice che la parola è il corpo, è
esso stesso tutto una rivelazione, cioè ha tutto per se stesso un
fondamento di certezza obbiettiva o sovrumana, nel senso di universale.
La quale è appunto la teoria di G., che ammette bensì una conservazione,
ma anche una alterazione della forraola ( = contenuto della rivelazione,
coni' è contenuto dell' intuito) ; e fa che il pensiero che rimane, anche
al- teratasi la rivelazione, possa tuttavia cogliere il vero. Di
guisa che la rivelazione (l'elemento sensibile della conoscenza) non è
accidentale ed esterno al pensiero, ma necesaario e quindi costitutivo di
esso ; sicché, essendo il pensiero un fatto, cotesto elemento sen-
sibile, ne dipende e gli è strettamente connesso. BecA. O. Gentile
Questa rivelazione, adunque, ha ud valore tutto speciale, in quanto
è qualcosa d' intrìnseco al pensiero stesso, tale perciò che il
ricorrervi non sia per quello un esautorarsi o uà apprendere dal di
fuori, ma bensì uno sviluppare se stesso; laddove, presso il Ijameanais
del Saggio sull’Indifferenza, il pensiero infermo per se medesimo e
incapace d' attingere il vero, si dee abbandonare, quasi per chiederle
conforto, alla rivelazione esteriore. Per G. la rivelazione va cercata
nella vita stessa del pensiero, equivalendo alla parola, che è tale a sua
volta, che senza di essa, come osserva Bonald, il pensiero non esisterebbe. Chi
rigetta la rivelazione, viene a rigettare secondo G., LA PAROLA, ossia
lo strumento necessario alla cognizione riflessiva dell'idea; epperò non
può attinger questa, senza la quale lo vedemmo già eoi SERBATI il
pensiero cessa di essere '). La necessità dì questo è pertanto la stessa
necessità della rivelazione, considerata unicamente per rispetto a quell'
ufììcio che dee compiere nel fatto della conoscenza. Sennonché, cosi
considerata, a che si riduce la rivelazione? Essa ci deve offrire LA
PAROLA, ossia I SEGNI delle cose, Il dato sensibile che circoscrive
l'idea dell'essere e le dà attuale esistenza di conoscere; e, come dice
l'autore, una successione di sensibili, per cui essa Idea rivela se
medesima all' intuito riflessivo dello spirito umano, e compie l'intuito
diretto, che li porge da sé. Non è del nostro tema trattare
ampiamente di questo punto della filosofia di G., che richiederebbe una
troppo lunga di- samina. E bisognerebbe sovrattutto discuterla, come in
parte ha fatto, da quel gran maestro che era, SPAVENTA (si veda) nelle
opere postume, una delle quali è appunto dedicata alla filosofia
della [ ') B il QiOBBBTi dice: Il ripudio assoluto della tradizione
religiosa e Bcientifica si trae dietro neceasariacoente quello della
parola. Ora, siccome l'aiuto della parola è neceaaarìo per conoscere
riflessivamente l'Idea, chi lo rifiuta dee eziandio dismetteie e gittar
da sé ogni cognizione ideale. Ha tolta l' Idea, che rimane? Nulla ».--
/«(roA, I. 3»; ») Op.] rivelazione.
Ma esse furono tutte scritte dopo la polemica col Elo- amÌDÌ, e sarebbe
perciò inopportuno il prenderle come un punto di partenza, volendo
discorrer di quella. Gì basta notare, che nella stessa Introduzione la
teoria della parola va messa in relazione con le dottrine di Reid e di
Bonald, dalle quali deriva, e co' principj rosminiani già adottati nella
Teo- rica del soEiannaturale; che deve intendersi {secondo la
distinzione di PAROLA NATURALE E PAROLA ARTIFICIALE, ripetuta dallo
stesso G.) '), come parola naturale, cioè come SEGNO della cosa, o sua
rappresenlanions, il che corrisponde appuntino alla teoria rosminiana
della sensazione, per la quale si determina e circoscrive l'ente
indeterminato. Infatti, secondo G., LA PAROLA ARTIFICIALE non può
esprimere se non le idee già espresse, e presuppone quindi LA PAROLA NATURALE, LA
RAPPRESENTAZIONE. Ora, se anche per G. ogni concetto si forma per una
determinazione che si fa per LA PAROLA dell' essere indeterminato dell'intuito,
ciò avviene, come s'è visto, per opera della riflessione; la quale
richiamerebbe perciò, secondo s'è pur notato, la percezione intellettiva
di SERBATI. Ma G., come ha mutato LA PAROLA, ha mutato anche, o crede
d'aver mutato, il concetto. Alla sua fìlo- [La potenza dell'intuito per
attuarsi ha d'uopo della PAROLA, cioè del sensibile! LA PAROLA È DI DUE
SPECIE: NATURALE ED ARTIFICIALE. Questo è IL LINGUAGGIO elle non può eaprimere
che le idee già espresse. IL LINGUAGGIO DELL’ARTE è sempre una traduzione del LINGUAGGIO
DELLA NATURA; è verso di esso db che la scrittura verso In PAROLA
ARTIFICIALE. Kioi d. Rivela):., Toriao, Botta. Meglio potremmo solidare questa
interpetrazione discutendo le difficoltà che fa insorgere la teoria della
PAROLA cori com' è esposta uell' Introduzùtne, o prima facie par che
quivi debba intendersi, esaminando la critica fattane dal Tbsta nelle sue
Considerazioni aopra l' InlrodtiziorK aUo st. ddla JHo*. di V. Q.,
Piacenza, Del Majno, 1845, part. n, p. 32 e segg. Ma non ist htc locus.
Con la critica del Testa consuona in alcuni punti quella di V. Db Gbaziì,
ne' suoi Discorsi au la logica di Hegel e su la Filos. speculativa {
Napoli, Gemelli) 2' rass.; e mutuata dal Testa pare l'obbiezione che
il critico calabrese muove all'ipotesi dell'intuito (iTÌ,p. 100) nel
Giobertiaee O. Gentile sofìa, che per la spi^azìone della
conosceoza ha bisogno del fatto della rivelaz ione egli coutrappone la
filosofla eterodossa, la quale, rifìutaodo lo strumento della
rivelazione, non può ammettere una riflessione che rifaccia l’intuito e
conduca perciò al possesso del- l'Idea; e deve quindi rinunciare alla
Idea, appigliandosi alla percezione del sensibile, il quale può essere
l'oggetto del senso esterno, come dell'interno, ossìa materiale ed
estrinseco, o spirituale ed intrinsepo. Donde, doppia eterodossia,
sensismo da una parte e psicologismo dall'altra; e in ambo i casi ' la
sostituzione del sensi- bile all'intelligibile, come principio, onde
muove la filosofia , '); ossia un metodo il quale, come vedemmo, conduce
direttamente al soggettivismo, allo scetticismo, al nullismo, dacché è
vano lo sforzo dei sensisti e de' psicologisti, di trarre dal sensibile
l'in- telligibile. La filosolia eterodossa, dunque, ammette
bensì anch' essa la riflessione; ma la sua rifiessione si differenzia
essenzialmente dalla riflessione della filosofìa ortodossa, in quanto,
non servendosi di quel mezzo che solo mette in grado di tornare, dopo il
primo intuito, fìno al termine di questo, si deve necessariamente fermare
al fatto della mente (per parlare dello psicologismo che c'interessa) e rimaner
quindi semplice riflessione psicologica, in luogo di pervenire all'Ente
intuito immediatamente e farsi, come dovrebbe, ontologica. '
Lo strumento, onde lo spirito umano si vale in psicologia, è la
riflessione psicologica, per cui il pensiero si ripiega sovra se stessO;
e afferma, non già la propria sostanza, ma le proprie ope- razioni
solamente. All'incontro nell'ontologia lo strumento è la contemplazione,
la quale si divide in due parti, cioè in uu intuito primitivo, diretto,
immediato, e in un intuito riflesso, che chiamar si può riflessione
contemplativa e ontologica , >). Cosicché la ri- flessione psicologica
è una operazione semplice ; l' ontologica una [Introd., I, 3"; II,
Bi e segg. *) Introd.] operaziooe duplice; quella si esercita sopra il
prodotto soggettivo di una precedente operazione (l'intuito)-; questa
sopra l'oggetto stesso della operazione precedente, che rifa
maturandola. Si potrebbe dire perciò, che la riflessione ontologica sia la
stessa riflessione psicologica aggiuntavi la ripetizione dell'intuito.
Infatti nell'ontologia lo spirito, ripensando, si rifa sull'oggetto immediato
dell'intuito stesso. Ma, egli è vero che nella riflessione contemplativa
, la mente rivolgendosi all'oggetto ideale, si ripiega pure di necessità
sull' intuito proprio, che lo apprende direttamente ; onde il tenor
psicologico del rìpensare accompagna sempre l'altro modo di riflettere;
tuttavia queste due operazioni, benché simultanee, sono distinte, perchè hanno
il loro termine in uu oggetto diverso , ). Una critica non molto difficile
qui può sorgere conti'o questa dottrina della riflessione ontologica. Se
l'intuito lascia uno stato speciale nella mente, un fatto, tal che sia
possibile coglierlo con la riflessione psicologica, due casi si posson
dare: o in esso v'ha uno specchio fedele dell'oggetto proprio
dell'intuito, e allora la riflessione psicologica è fondamento di una
conoscenza oggettiva per eccellenza, e non soggettiva, come pretende G.;
o non si riflette affatto (ovvero, che è lo stesso, non si riflette
fedelmente) il termine dell' intuito, e in tal caso questo primo intuito
è per- fettamente inutile. Il dilemma ci pare senza uscita.
La riflessione ontologica di G. sarebbe davvero un secondo intuito, se
potesse traspor- tare la determinazione sopravvenuta con la parola (dato
sensìbile) dall'interno del soggetto, dove interviene, nello stesso
oggetto; il che è impossibile, perchè secondo la sua teoria la parola è
un sensibile. E perchè dovrebbe potervela trasportare, cotesta
determina- [Cobi è par detta dal Oìobei-ti la riflesBione ontologica;
mentre la psicologica è pur detta osservaHva. «) latroduz.. l, 3",
II, 104. G. Qmiile zionep Perchè, avvenendo la determinazione
nella riflessione, es- sendo questa ontologica, il sensibile, principio
della determinazione, dovrebbe ripensarsi coli' intelligibile, e come
questo (poiché si tratta di un secondo intuito), fuori del soggetto; il
che, ripetiamo, è impossibile. Di certo la riflessione ontologica è l'
espressione, benché non esatta, d'una giusta esigenza del pensiero, come
or ora vedremo; ma contrapposta, com'è da G., a una riflessione
psicologica, fallisce al suo scopo, non potendo sfuggire alle conseguenze
dello accennato dilemma. Sennonché, G. ci dice: ' La rifles- sione
psicologica non ha per termine diretto il pensiero, come pen- siero, ma
il pensiero come sensibile intemo, cioè come atto dello spirito, e quindi
non riguarda direttamente l'Intelligibile, che si congiunge col pensiero
e lo illustra. Egli è vero che la riflessione del psicologo si connette
per indiretto coli' Intelligibile ; ma cì6 non prova nulla in favore dei
psicologisti; imperocché non ne partecipa, se non mediante quell'intuito
mentale, che, al parer mio, è il vero e necessario strumento dell'
ontologo , L'equivoco qui è evidente: la riflessione psicologica non
coglie il pensiero come pensiero, cioè in quanto intuisce l'Idea^,
ma lo coglie, secondo G., come un sensibile intemo ; dunque la
riflessione ontologica non fa altro che cogliere il pensiero come
pensiero. Ora, se la riflessione psicologica presuppone anch'essa un
intuito, e (poiché, parlando contro il psicologismo, G. si
riferisce specialmente a SERBATI) un intuito, che, come vedemmo
nella esposizione della teorica rosminiana, è costitutivo del pensiero,
é Introi., Nella FUoB. iella Uivdaz., G. scrive : Una meate aeiiEa
idee, e in igtato di tavola rasa perfetta è una contraddizione. La
facoltà con cui la meate creata afferra questa rivelaiione [la riveUsioae
imuaQente, virtuale, che diventerà attuala pei opera della riflessione]
che fa, la sua assensa, è l'intuito»; p. 88 Né pia uè raeao di ci6 che
dell'intuito aveva detto SERBATI. la sua propria essenza, come può fare a
ritornare sovra un pensiero ehe non siasi già appropriato
l'Intelligibile, e Io abbia ancora fiiori di sé, e sia ancora in atto
d'intuirlo? Insomma sì può concepire un intuito immediato
dell'Intelligibile come essenza del pensiero, che pur lasci il pensiero
sempre al puro stato di tcAida rasa, sempre in atto di guardare
l'Intelligibile, senza mai vederìo? Il pensiero per SERBATI intanto è
pensiero, in quanto ha un intelletto costituito dall'intuito
dell'intelligibile; non può quindi riflettersi su se stesso, senza
trovare in sé non già Ìl semplice atto astratto dell'intuito, ma sì
l'atto concreto, ossia l'atto terminante nell'Intelligibile: la forma, in
una parola, dell'intelletto. E l'equivoco propriamente consiste in ciò : nel
concepire l' intuito immediato come una pura dualità; dove, al pari della
visione corporea, da cui immaginosamente è desunta, non può essere se non
un'unità sintetica, di soggetto ed oggetto. L' intuito ond' è fornito l'
intelletto è una nozione, in cui Ìl soggetto e l'oggetto, come nel prodotto
della sensazione, sono affatto indistinti. Ora se la nozione è qualcosa
di perfettamente uno, ripiegandosi sovra di essa, lo spirito non può non
coglierne il contenuto, che è per l'appunto l'Intel- ligibile. SI'
equivoco si fa manifesto quando l' autore soggiunge che questo
scambiamento di metodi (psicologico ed ontologico) gli ' riesce un
trovato cosi bello, come l'assunto di chi adoperasse le dita e le
orecchie, per apprender la luce e distinguere ì colori in essa racchiusi
Qui sì immaginano la luce e ì colori come oggetti o segni esterni e
indipendenti dell'organismo sensitivo, in che si rappresentano; per modo che a
noi, sapendoli lì ad aspettare di esser da noi sentiti, sia dato
scegliere lo strumento più acconcio alla bisogna. Laddove fìa da quando è
pubblicato il celebre Manuale di fisiologia di Mailer, si sa da tutti che
non v'ha nulla di più falso. Quello che not sentiamo e diciamo luce e
colori, non è se non per la nostra sensazione e nella nostra sensazione.
Ma G. ignora questo concetto della soggettività della sensazione, comecché
avesse già appreso dagli scozzesi quella teoria della percezione
esteriore, per la quale venivano per sempre seppellite le vecchie idee
imniagiiii, che solo la leggerezza filosofica di Ippolito Taine doveva
più tardi esumare nella sua haldanzosa quanto vana guerriglia contro la
filosofia classica francese in genere, e per questo punto contro Royer-Collard
>). Or, come è uno shaglio credere che il colore che diciamo
di vedere con l'occhio, sia fuori dell'occhio, talché se si avesse
modo di riflettere sulla visione, si rifletterebbe sul semplice atto del
vederlo, ma non propriamente sul colore; così soltanto un equivoco può
far pensare che nella nozione rosminiana fornita dall' intuito
dell'Intelligibile, non siavi altroché l'atto dell'intuire; di guisa che
la riflessione sovra di essa pervenga soltanto indirettamente
all'oggetto, sul quale cotesto atto si esercita. L'oggetto qui è una cosa
stessa con l' atto, siccome vedemmo altrove discorrendo dell'intuito;
oggetto ed atto sono una cosa sola nell'intuito intellettivo, che è atto
insieme e forma dì esso, secondo la teoria di SERBATI. E questa è
la vera ragione che Tarditi avrebbe dovuto opporre a G., per dimostrargli
infondata, come tentò di fare nella prima e nella seconda delle sue
famose lettere, la distinzione fra le due riflessioni psicologica ed
ontologica). Le quali si po- [Convengo pienamente nella controcritica
oppostagli dal Janet nel primo de' suoi scrìtti en La crke phUoaopMques,
Paris. Li teoria scczzcBe toRlienda l'inutile intermediario dell'immagine
tra l'oggetto sensibile e il soggetto sensitivo, fece di certo un primo
passo verso quell'unità del tatto della sensazione, che non poteva
d'altronde concepirai senza i nuovi principj del kantismo, di cui giustamente
la psicologia genetica tedesca si con- sidera come un fedele compimento. Vedi
in proposito gli scritti del TabÌktino in Giom Napdet. di FUob. e
Lett. e 81 e del Cm*p- PELLi, ivi.
QnelH del primo bqu pure raccolti nei Saggi fUoeofici, Napoli, Morano,
Dopo la pubblicazione di quwto votame il Chiappelli tornò sull'argomento
nella Filosofiti delle Scude Italiane, in un art. sulle Attinenze fra il
criticiamo kantiano e la pri- coloffia inglese e tedesca. Siccome,
osserva Tarditi, noi non possiamo riflettere su ne»aa trebberò ira loro
distinguere solamente pel dÌTerso oggetto (e a questo soltanto s'è
appellato come a ragion distintiva in un passo dell’Introduzione già
citato G.); talché se l'una noa ha, né può avere un oggetto diverao dall'
altra, è chiaro che la distin- zione non possa più farsi. n G.,
veramente, negava più tardi che la distinzione si desuma soltanto dall' oggetto;
e voleva che si fondi anche sul metodo {Errori); e dava sulla voce a
Tarditi, che ciò non aveva saputo vedere •). Ma come sosteneva la sua
sentenza ? La diversità dei metodi in ogni ordine di ricerche consiste .
. . in quella del veicolo, che si dee scegliere per conseguire
l'oggetto ricercato; e la natura del veicolo è determinata da quella
dell'og- getto medesimo, considerata non in sé semplicemente, ma
nelle sue attinenze con le facoltà e le condizioni del cercatore , .
E più in là: ' Il punto, a cui si vuol giungere, determina
l'indirizzo che si dee tenere; l'intervallo che s'ha da correre, insegna
le operazioni da farsi, per superare gli ostacoli e toccare la mèta ,
'). Ora^ senza dire dei caratteri differenziali che G. poi indica
nei due processi che vuol distinti, basta notare che la sua deduzione
avrebbe un valore soltanto nel caso eh' ei avesse dimo- strato essere
realmente distinti i due pretesi oggetti di riflessione, poiché, a
confessione dello stesso G., la natura del metodo oggetto se Doa quanto da
noi o intuito se ideale, o percepito se reftle; pad la riflesBÌoDe
passare egualmente dall' oggetto atl' intuito, e dn questo a quello; anzi
ta rìfleasioue sull'intuito non puA essero completa, imparziale, quale s'addice
al filosofa, se non coasidera l'intuito, e nel soggetto di cui è atto, e nell’oggetto
in cui termina, e dal quale Sformalo*; Leti, d'un Sosminiano, Z\ ; e si riferisce alla teorìa della rytesiione
filosofica del Rosmini ; cfr. p. S e segg. Or se si distìngue e separa,
come fa il Tarditi, atta da oggetto, G. ha cagione. H vero è ohe essi non
sono afiatto distinti. ') Leti, eit, Errori. G. Omtile è
determinata dalla natura dell' oggetto. Contro il Tarditi che ammetteva
un atto di intuire distinto attualmente da un oggetto intuito, egli aveva
ragione; perchè se vi sono due termini di diversa natura, noi non possiamo
giungere a ciascuno di essi con un medesimo processo. Ma conviene prima
provare quella distinzione di atto e di oggetto nell'intuito; la quale è, pift
che altro, presupposta dal nostro autore. E peccando il suo
ragionamento di una siffatta petizion di principio, né potendosi
altrimenti che per astrazione distinguere r atto dall' oggetto, G. non
può dire nemmeno che la replicazione dell'intuito, cioè la riflessione, si
differenzi! per l'oggetto e pel metodo; poiché il metodo potrebbe esser
diverso solo allof che fosse differente l'ometto. E se il metodo trae i
suoi caratteri specifici dall'oggetto, e se l'oggetto è uno e
inscindibile, come si può distinguere una riflessione psicologica e una
riflessione ontologica? Il pensiero non si può riflettere se non sopra di
sé, come pensiero; e siccome è costituito tale dall'intuito dell'essere,
che gli dà l'idea dì questo, la riflessione non può non comprendere
direttamente questa idea dell' essere, che è oggetto dell'
intuito. Che se l'intuito si considera nel suo intimo e profondo
significato, secondo la critica da noi fattane, cioè io quanto esprime
l'oggettività vera (non la falsa oggettività fantasticata, con la im-
maginaria opposizione, a risolver la quale # ricercato l'intuito), e però
la vera soggettività, vedasi quanta ragione più si abbia di volere una
riflessione che, a differenza della riflessione sull’intuito, faccia
riflettere lo spirito sullo stesso oggetto dell'intuito. E a questo punto
noi volevamo arrivare. Perchè G. distingue una riflessione ontologica
dalla riflessione dei psicologisti ? Qnesta, egli dice, si ferma a un
fatto dello spirito ; quella ci conduce fino allo stesso oggetto ; e
quella è però da preferirsi, se si vuole evitare il soggettivismo. Or si
veda che fedele rosminiano è fin nell'affermazione di questa esigenza G. ! La
critica sbagliata Fatta da SERBATI delle forme kantiane, ecco che egli la
rivolge una seconda SERBATI 6 QwberH 27 Tolta contro SERBATI medesimo.
G., infatti, si accorge (l'intuito rosminiano è una pura e semplice forma
dell'intellet ne più né meno delle forme di Kant; se ne accorge e gli
pare, dìei l'insegnamento del Itosmini, di vedersi risorgere innanzi il
fosco fs tasma del soggettivismo. Quindi non gli basta un intuito,
coi bastava al Iio3mÌDÌ, onde salvare l'oggettività,
cioèl'universal e la necessità della scienza, e gliene vogliono due, un
doppio ìntu intuito riflesso o secondario, o veramente una riflessione oni
logica. Bisogna davvero che questa Idea stia fuori del soggel umano, stia
da sé, e bisogna cbe si vada sempre fino a lei, ti per un semplice
intuito (potenza o virtualità di conoscere), vi per un intuito riflesso,
reale ed effettivo conoscere. Ma il guajo è che se l'intuito, l'intuito
scempio, sul quale esercita la " riflessione eunuca , ^) del
Rosmini, è un semplice s< sibilo interno, o meglio, un semplice dato
soggettivo (che pel G: berti quel termine ha questo significato) opperò
individuali contingente, — non c'è modo di provare che non sia un
sempl dato soggettivo anche lo stesso intuito doppio, che gli si vuol
( stituire. À rigor di logica, infatti, la critica stessa che il
Qiobe muove a SERBATI, si può muovere a lui, e si può continuare
l'infinito contro chi intenda l'oggettività, cioè l'universalitì
necessità delle forme di cognizione, come opposizione al sogge
conoscitore. Giacché l' intuito è sempre la stessa operazione, ed i plica
sempre la medesima relazione tra soggetto ed oggetto, che si eserciti una
sola volta, sia che si eserciti due volte, riflessione ontologica rifa
l'intuito circoscrìvendone l'oggetto dato sensibile, offerto dalla
parola. Ora, se il prìmo^intuito i era bastato a cogliere l'intelligibile,
perchè e come deve potè cogliere il secondo ? L'aveva evolto, dirà G.; ma
appui perciò bisogna ripeterlo, quando si vuol predicare del dato
sensil quella intelligibilità, e formare il concetto. Ma anche a v'
ha risposta; cioè, l'intuito non è, come s' è visto un precedei Errori,
I, Gentile cronologico della percezione intellettiva, dell'atto
(che G. dice riflessione) della determinazione dell'Idea, del
differenziamento della primitiva identità. E se non precede
cronologicamente, come non deve, né può, poiché non v'ha l'identico senza
la differenza, né l'universale fuori del particolare, né l'uno fuori del
vario, é falso i! concetto d'un replìcamento dell'intuito nella
percezione intellettiva o nella riflessione; perchè il replicaraento
presupporrebbe l'intuito come un precedente anche cronologico, oltre che
logico ; con che si tornerebbe al vecchio concetto dell'a priori. La
riflessione ontologica, adunque, non può intendersi come in- tuito
riflesso, cioè come doppio intuito, nonostante l' esigenza che r
Intelligibile aia intuito nell' occasione stessa della percezione sensitiva,
oltre che solo; per la semplice ragione che da solo non è mai intuito, se
non come presupposto logico, come un quid trascendente il fatto della
conoscenza. D'altronde, il secondo intuito che si comprende in cotesta
riflessione ontologica, non è né più né meno che una ripetizione del
primo ; talché, insufficiente il primo, non pub non essere, e G. non dice
perchè né come non debba essere insufficiente il secondo, E perciò, rifiutato
il primo, egli non aveva nessuna ragione di tenersi contento al secondo,
come aveva avuto torto, a fil di logica, SERBATI, rifiutando le forme
kan- tiane, a contentarsi di quel suo primo intuito. Ma come
l'errore di SERBATI risguardava la sua interpetrazione di Kant, ma
non, ci pare, la sua teorica, ed anzi era prova, come s' è più volte
notato, delia buona esigenza da lui avvertita di una perfetta
universalità e necessità nel conoscere; così, con la sua teoria della
riflessione ontologica, G., se crede a torto di correggere SERBATI
e con esso anche il Kant, dimostra anche lui di avere avuto il giusto
concetto dei bisogni essenziali della scienza. E v' ha di più nel G..
Questi sente più forte una esigenza, che non si può dire sia stata
trascurata dal Rosmini, comecché in lui non sembrasse pienamente
soddisfatta; vale a dire l' esigenza dell' unità non pure come compimento
della dualità della sintesi, ma altresì come sua base, fondamento ed
inìzio. SERBATI (si veda) e G.
Infatti, con la riflessione ontologica 8Ì ritrae la differenza nel seno
stesso delU identità; perchè LA PAROLA, principio determinativo, aiceome è una
rivelazione dell'idea, così è strumento di quella riflessione, che risale
fino all'idea stessa, a guisa d'un quadro, in cui s' incornicia la vaga
Idea sconfinata, tanto per lasciarsi vedere dal finito spìrito umano. Ma
quadro e Idea sono una medesima cosa; tanto che la parola è detta
rivelazione dell'Idea, ed è propriamente PAROLA dell' Idea medesima. Sicché la
differenza qui scaturisce dal fondo stesso dell'identità, dall'Idea; e la
funzione dello spirito, per cui si apprende insieme l'identico e il
diverso, è precisamente la riflessione ontologica, che si rifa dal centro
stesso dell'identico; laddove, secondo G., la riflessione
psicologica non si rifaceva se non dall' atto stesso dell'intuito di
cotesto identico, cioè da un fatto sensibile, epperò da un diverso; il quale,
d'al- tronde, se pure era un identico relativamente all' ordine dei cono-
scibili, non conteneva però in sé il principio della differenza. G.,
adunque, senza riuscire a dimostrare l' insufficienza della riflessione
rosminiana, con la critica di questa e col volervi sostituire una
riflessione più compiuta, mirava a porre su più solido fondamento la
oggettività del conoscere, e a giustificare più sicu- ramente quella vera
sintesi a priori che per questa via accettava, attraverso SERBATI, da Em.
Kant; fondandola su quell'unità indis- solubile di identico e di diverso,
di uno e di moltepUce, di uni- versale e di particolare, di necessario e
di contingente, nella quale è la vita e la spiegazione del pensiero e del
mondo ; unità, del resto, di cui sentì pure il bisogno SERBATI, come in
parte s'è visto e meglio si vedrà nel capitolo ohe s^ue. E
per conchiudere intanto su questo punto, diremo che la riflessione ontologica
non è una operazione differente dalla riflessione psicologica, che G.
attribuisce a SERBATI; non potendone differire pel metodo, poiché non ne
differisce per l'oggetto, e non potendo per questo differirne, poiché non
esiste quella duplicità di c^getto, che è presupposta da G., e che ne
sarebbe condizione necessaria e sufficiente. L'immediatezza dell'intuito,
come 0. OmHle forma del conosoere, esclude essa appunto ogni
distinzione tra atto d'intuire e oggetto intuito, siccome distrugge
l'opposizione, che pur presuppone col suo letterale significato, fra
soggetto ed oggetto. Della proprietà delle parole. LA PAROLA, prima che
fosse scrtta, è PARLATA: LA PAROLA PARLATA è inventata da Dio, e la scrittura è
un trovato dell'uomo, e in specie del sacerdozio, secondo l'opinione di G., LA
PAROLA ARTIFICIALE, come espressione dell'idea, non è già il verbo creatore, ma
l'immagine del verbo, cioè il vero verbo della mente umana ;e quindi il vero medialoreidealetra
lo spirito e l'Idea. Se adunque lo spirito contempla l'idea a traverso della
parola, egli è chiaro, che LA PAROLA dee yelare appena e non coprire l'Idea, come
terso cristallo corpi sottostanti; quindi ella dee essere trasparente, e in ciò
consiste la sua semplicità e perfezione, Dalla semplicità della parola nasce la
proprietà delle voci, la purità e l'eleganza dei vocaboli; le quali doli della
parola si tra yasano nelle frasi, che esprimono l'unione armonica delle voci
mediante i concetti; e per via delle frasi riverberano quindi nello stile, e
generano la bellezza del discorso. Imperocchè il discorso è bello allora quando
le voci, le frasi, e quindi lo stile che ne deriva, sono semplici, proprie,
pure ed eleganti. Infatti la parola è semplice, quando vela appena il concetto,
e non lo copre dinanzi all'occhio della mente, nel qual caso la parola è per
l'opposto materialé, e oscura. La parola è propria, se è un RITRATTO FEDELE del
concetto che esprime; ed è sempre tale, ogni qualvolta LINGUAGGIO; della
precisione dei concetti mediante le diffinizioni, e della loro partizione
mediante le divisioni dell'organismo dei concelti mediante i giudizii; delle
pruove delle verità seconde mediante i raziocinii; e in fine del processo della
mente secondo il lenore obbieltivo dell’idee mediante ilmetodo. Ma poichè in
tutte queste operazioni della mente si può cadere in errore, ogni qual volta
non si fa buon uso dei canoni logici e della loro applicazione, quindi entra
innanzi la critica a giudicar dell'uso che si è fatto dei canoni logicali,
mediante il giudicatorio supremo dei principii che sovraslano alle stes.
seleggi. Diche noi dividiamo tutta la materia di questo capitolo in tanti
distinti articoli. conserva la sua semplicità. QUANDO LA PAROLA È PROPRIA
MANTIENE A CAPELLO LA CORRISPONDENZA PERFETTA TRA L’IDEA E IL SUO SEGNO
SENSIBILE, se ella SIGNIFICA l'idea increata, cioè l'ente; e se ella esprime
l'idea creata, cioè l'esistente è anche propria, ogni qual volta conserva la
corrispondenza tra la mimesi e la metessi. Quindi è, che LA LINGUA primitiva,
la quale ha due parti, l'una divina, e l'altra umana, e eminentemente propria;
imperocchè la parte divina di quella lingua consisiente nella rivelazione dei
verbi originali manteóne, perchè divina, la corrispondenza tra l'idea e IL
SEGNO, e la parte umana, consistente nel l'INVENZIONE DEI NOMI primitivi, mantenne
ancora la corrispondenza tra la mimesi e la metessi, perchè Adamo per nominare
i sensibili coi loro proprii nomi, li dedusse dagl'intelligibili, cioè dalla
loro radice melessica. Quindi è, ancora, che nella divisione delle lingue
avvenuta pel fatto di Babele non re, che non abbia più o meno perdule e guaste
molte primitive sue forme; che non costi di nomi e verbi anomali, eteroclili,
difettivi, e di molte altre irregolarità di linguaggio, sicchè ogni lingua
compare una rovina del primitivo idioma. Quindi è finalmente, che gli scrittori
autichi per che sono studiosissimi della proprietà delle voci e dello stile
(onde le loro distinzioni dei varii generi di stile, tenue, mezzano, sublime)
perciò sono appellati classici, e sono i soli che abbiano buona scuola, cioè
ispirano e producono altri scrittori grandi. Abbiamo detto che dalla proprietà
nasce la purità l'eleganza e la bellezza della lingua e dello stile; e quindi
del DISCORSO. E infatti la voce proprio nella LINGUA ITALIANA importa il concetto
d’identità, cioè della medesimezza di una cosa con seco stessa. Importa pure il
possesso che una cosa ha di sè medesima, perchè la cosa posseduta è quasi parte
è in certo modo faltura eziandio del possidente. Quindi il vocabolo proprietà è
spesso sinonimo di medesimezia. Così l' amor proprio è l'amor di sè; è desso
ancora sinonimo di possessione. Così gl’attributi specifici di una cosa, i quali
ne sono le proprietà, sono la cosa stessa, perchè le qualià e i modi degl’esseri
sono la sostanza modificata, valquanto dire la mimesi della metessi. Adunque LA
PROPRIETÀ DEL PARLARE altro non è che LA CORRISPONDENZA DELLA MIMESI CLLA METESSI
DEL DISCORSO; la quale corrispoc [Ma se LA PROPRIETÀ DEL LINGUAGGIO è la
fonte di tutti i pregi del PARLARE e dello scrivere, LA IMPROPRIETÀ DEL PARLARE
POI E UNA DELLA CAUSE PRINCIPALI DEGL’ERRORI ONTOLOGICI E LOGICI, che producono
la declinazione della filosofia, como avvertimino nella prima parte di questo
corso. L'errore in generale altro non è che lo sviamento dell'intelletto nella
cognizione della verità; e come tale si distingue dall'ignoranza, la quale non
importa la cognizione alterata del vero, ma bensì la privazione assoluta della
cognizione. E poichè al vero si oppone il falso; perciò siccome il vero significa,
in quanto è desso l'essere, così il falso non significa, secondo la bella
espressione di TASSO (si veda), perchè e desso il non essere denza
costituisce LA DIALETTICA DEL LINGUAGGIO, e quindi la improprietà ne è la
sofistica. Ora la purità del PARLARE importa la sua pulitezza, la quale è una
specie di proprietà; imperocchè la pulitezza, mostrando la cosa nella sua forma
nativa, fa che la cosa sia identica a se stessa, val quanto dire che
l'apparenza risponda alla sostanza; il che importa in altri termini che la cosa
ha possesso di sè medesima. E poichè la politezza importa la scelta di ciò che
costiluisce l'ornamento degl’oggetti materiali, cosi nella lingua l'eleganza è
inseparabile dalla purità delle voci. E siccome alla pulitezza si oppone
l'immondezza, che illai disce e deforma gl’oggetti, così all'eleganza si oppone
la vanità che li altera e deforma come se fosse unamaschera straniera. Altrettanto
succede nella lingua e nello stile. Dalla stessa fonte della proprietà e
semplicità del linguaggio scaturisce la bellezza dello stile e del discorso. Imperocchè
QUANDO IL LINGUAGGIO VELA appena e non appanna l'idea o il concetto, se ne
rende allora il ritratto fedele, nel quale caso l'idea increata o creata
manifesta naturalmente e senza ostacolo la sua luce diretta o riflessa nella PAROLA.
Ora il bello essendo lo splendore dell'intelligibile, sia assoluto, sia
relativo, che si rivela a traverso il sensibile, cosi quando LA PAROLA è
semplice e PROPRIA, è ancora bella necessariamente; e quindi la bellezza del
DISCORSO in sè raccoglie tutte le qualilà della PAROLA e dello stile, cioè la
semplicila e la proprieta, la purità e l'eleganza. cio è il nulla che non ha,
nè può avere virtù di significare. Ora le cause degl’errori si rieducono a due
principali, onde le altre derivano, cioè ally limitazione dell'uomo, e
quindi delle sue facoltà, e all'alterazione della parola, come espressione
dell'idea; ben'in leso però, che anche questa seconda dipende dalla prima. Dalla
limitazione dell'uomo e delle sue facoltà nacque lo sviamento del libero
arbitrio in ordine alla legge, e quindi l'esistenza del male morale; il quale è
cagione del male intelletsuale, inquanto è cagione del predominio del sensibile
suil'intelligibilee dellepassioni sulla ragione, onde deriva l'alterazione
dell'idea, e quindi l'esistenza del'l errore. Ma qualunquesia, dice G., la causa
della corruzione egli è indubitalo, che in origine l'alterarsi dell'idea è
congiunto equasi coetaneo a quello della PAROLA; laddove in appresso, e nel commercio
tradizionale, IL DISORDINE TRAPASSA NEI PENSIERI DAI SEGNI; sicchè
l'improprietà della PAROLA è la causa, e l'errore è l'effetto. Imperocchè, QUANDO
LA PAROLA È IMPROPRIA, siccome ella non mantiene più la perfetta CORRISPONDENZA
– e ripprasantanza -- tra l'idea e IL
SEGNO che la ESPRIME, cosi i concetti ideali sono travisati dai concetti
sensibili inchiusi nella PAROLA, e l'idea viene adulterala dalla METAFORA o
dalla etimologia. Nel quale caso i concetti ideali si corrompono
proporzionatamente, se giả una nuova rivelazione, o un magisterio esteriore,
organato dall'idea istessa, nón impedisce tali corruzioni della PAROLA,
serbando incorrolta quella genuina e originale CORRISPONDENZA FRAL’IDEA E IL
SUO SEGNO ESTERIORE. Idea gtnerale dell'opera, e tua diritieue in due libri. La
tloria delle religioni appartiene a snella della Blotofia. Si ritolrono alcune
obbieiioni in contrario. Perpetuità della Blotofia. Del metodo critico aegailo
dall’ autore nelle rirerebe aloriebe. Si liepolide ai nemici delle
eonpilatìoni. Del metodo dottrinale, oaaerralo dall' autore; perebd egli
anteponga la. linloti all’ analisi. Cenni sopra nn’ opera precedente. Prorotsione
cattolica dell’ autore. RUpoala a ehi te aoeuta di eiaer troppo ratlolico. La
moderazione' nelle dottrine non è oggi di moda. Via {utile e compendiosa, per
giungere alla gloria. In che senso l’ antere sìa sago del progresso. Sua
protrata, intorno alle persone generalmente; agli scritlori risi ed ai morti,
in itpeeio. Di Byron. Dei sentimenti , che mosiero l' auloro a scrirere. Contro
la sella degP Italogalli. Funesti influssi della Francia. Della eterodosna
moderna in generale, e della filosofia germanica in particolare. Gl’Italiani
debbono filosofare da sé. Dello stile filosofico. Importanza della lingua in
ordine alle cose.{.odi ifi An- tonio Cesari. Contro i cattisi amatori d’idee. Dei
parolai. Contro la barbarie dello scrirere, che domina in Italia. Della
cbiaretxa, bresild, semplicità, precisione, c purezza del dettalo. Esempi
italiani di elocuzione filosofica perfette. Del modo, con cui si può inoorar
nella lingua. Scusa dell' autore, intorno alla lingua e allo alile da lui
adoperato. Eaorlazioue ai giorani italiani. L’Iililà della sera filosofia. Elsa
non dee sparenlare i buoni goreroi, né i buoni principi. Sua opportunità,
r lG-2 per ristorare la religione. La Gloa^fia dee cucre collìfaU
specialmente dai cbicrici. Lodi del chiericato italiano. Del sacerdoiio frnncese
; sua antica dottrina, e suo virtù io ogni tempo. Del modo, eoo <ui li
coltivano le lettere da oleum chierìci franoesi. Della parlecipasìonc dei
chierici olla vita sociulo» Della liberti cattolica nel culto delle dottrine. »
Che il clero catiolico dee essere emìnenle anche nelle scìen* se profun<’,
per sortire picnamt nte rt-netlo del suo o>ini^te/io. Di certe sette politi*
che, che nocciono alla religione. ~ Dei ti elogi laici, che ioondcAO la
Francia: loro tracotanza. Al'eanza della filosofia colla religione. La dottrina
cattolica é la sola dottrina religiosa, che abbia un valore acientifico. Come
la novità si accordi coli*antichità nello cose filosoticlic. Si concbiude,
esortando gl* lioliaui a I. barare le sc cuse ipecuialve dai nuovi barbari.
DELLE DOTTBLNE Della dcelinaztone delle scienze spcculalive in generale.
Cunirapposlo fra- lo sla o fìorcnle delle matetnatiche e fi*ichr, e lo
s(|uallure della fihtsofìa ai ili nostri. » Sue cagioni gencr-chc.
Cobsidenuioui a <ju sia propos to sul'o stalo delia filosofia nelle varie
parli d'Europa. D.vario, che corre Ira le duii'ine fiancesi o U’de.-che, nato
dalle loro diverse attinenze colla religione. Di Descartes. 1 semi'li moderni sono suoi d’srepoli assai
piu legiilmi del Malebranche, e di altri antichi cartisiani. Dd panteismo
germanico; temperalo dalle tr iduioni religiosa: l’idea «i è oscurata, non
eslin a del tutto. Di Kant. Perelié t Tedeschi prot<‘Slanti furono io
filosofia più a ioni dall' eaipielà, che i Francesi rallo(ici. ^ Dtver* sita
d«‘ir ingegno spcculat vo, presso i Francesi e i tedeschi. Se ne cerca la causa
nella storia, e nelle origÌr>i di queste due nazirni. Delia filosofia
inglese: sue difie* n’nte dalla francese, e dalli germanica. Dei fìloSvfi
ftaìiaiii del secolo quiiidcciao, c del seguente. — DiVico : sue lodi. Epiio{:o
d.-I quadro. Della dedinazione degli eludi specidatici, in ordine al soggetto.
lufeiiurilà speculaliia e rnoralo dei popoli modcToi, verso gli antichi. La
no-a speciale dciruoQio moJeroo è Ir frivoUzza. La cagione di questo vizio è la
debolezza della faiol.à volihva. Inlluruza dtl voli re nella cogoiziouv, e oelf
ingegno dell’uomo. La modioiriià letteraria dui moderni nasce dalle hggcrizza
dei loto animi. Esempi S 2»S * es»e bi chiude il capitolo. . - Note.
Aula prima. Siti diltflanti tpleoJ Jì c Itiili, elle h fanno Ja m.eilri. 71 1 1
ptincipii dal Ufi Clw il inftoilo
El<w>fict> »i J>e di durre dai principi!, e non I metodo. Il ig.
Coiaio «.elude la «tiri» delle religioni da quella dtlU Bloiplia. Del cullo
reciproco de’ moderni Rfillofi ff.nceii. Di una iKioea Enciclopedia. Sopr. OD*
«poitigi. recefllo diDjroa. l'i. 1
lit ii, i6. IM ii, Ai nemici delle
wItiglieMf. Sullo lingua e luU' eluguenia francese. Sul primato della Fraocia.
L'.terodomia modarna non i fono ancora al «uo fine. Della periiia di Paolo
Luigi Cuarier nella lingua a negli icrillori italiani, Paw dal Letiinj; mila
lobrielA « ammauralega degli antichi tceitlofi. Sull'uli-iU dei buoni giiirnali
«ccletiailici. Pmm del Leibnu «olla libertà cattolica dcKii «eritteri, Querela
di Cousin eoutro il clero ffauceee. P«Mu del Leibnii contro i dùaipatori delle
antiche dotUine. Sull' apoilaiia lU alconi prelati ruwù Delle cagioni della
H>rorma. Che la tinceritA di Denartei nel proretiani cattolico è per lo meno
dubbia. Il Malebranche non è earleeiano intorno al primo principio dellalua
filoaoCa. Clia il «ig. Coutin ha ao concetto mollo ineaatio dello Spinci.Mio.
Pawo del Courier tuH'iitiulo aotTilo dei moderni. 1^ ^ ; iò 5, rcceoli e
ìuliani di una Tolontà forte: Napoleooet e Alfieri. Lodi deli’ Al> fieli. La
fursa della volontà dipende in gran parte dall* educasioae. Cbe co a sia r
educatione. Saa oeceuilA. Delle varie forme, che prese 1’ educazione, tecoodo
il ccM’to dei tempi e la varieii di'! popoli. Po pubblica presso gli antichi ;
qoasi pub- bloa nei basti tempi. » OelP opera dei chierici nell' iostitusione
dei giovani. L’educazione diveone pnvate, piesso i moderni.Cagioni di ciò:
false teorirlie in politica e IO pedagogia, inglesi e francesi. Di G angiacomo
Rousseau. Errori del suo Emito. Delle doUrìne poi tieba snlla liberti dell'
ednratione. Falsili loro. L’e* ducaaioQ^ manca quasi alTatto nello stato
presente di Europa. » Difetti dei metodi vi* genti dell* insegnare.
L’ias«gnameoto pubblico dee < ssere uno, forte, e dipendente dal* lo stalo.
Frivolezza dell' insegoamenlo cattedratico, quale si usa oggidì nei paesi più
civili. » Dei giornali. Diretti, e danni dei giornali, come per lo piò si
scrìvono in Francia. Nuocono al'e lettere e al e sciente dalia parte di chi
scrive, e di chi legge. Necessità dell’ iniìtiiuzione pubblica, e di un supremo
poto<e educativo. Quella non lìpugna ai costumi, oè questa alla libertà
politica dei moderni. Che M»sa sia r iagfgiiu spccuUtivu. D<2 tla setta dei sofisti moderni, e deg'ì
artefici di parole. ^ Quàlìià loto. Si chiamano a rtssrgoa le prìneipai diti
diU’ ingegno sfeeulativo, e con Pano d«l
Leibnii tull’abbierion» morale JcrU onioi moderni. Sulla patria di Napoleone.
Pano dfl tig. Cuusin mila balta«lia di Waterloo. Pel gioiliiio, che il tilt.
Villeoiain ha recato mll' AlCeii. Sugli errori della pueriiia. ^ Sull* uUbU di
tre clasii di gioroali. Soll’aliBio Jei generali. Lodi di alcuni illmiri
eruditi fraaceii. Pano del Malebraoche augi’ iugegni friToli. In che modo il
genio naiionale poeta imprimere la ma forma nelle icieate «peculatiee. Sull'
indola morale, e lugli ulUnii UUmli del Goèlhc. Diuu. Pag- SCDU
bill' iCTOKI. Le lodi d'ililia nim sana oggi pericolose per la sua
modcslio. Sano opportune, e perchè. Scopo del preienle dilcorsa. L'aifluiui di
CMO non t per ilcaa Ter» iiigiiiriUD agli tlnnieri. L* doUriiu del
primalo itili IBO è necetMtfai per rÙHltun- ziuie delle sci une
flloMBclie neita pcniioli. PASTE nanu. Dell' Hlonooiia uwlnUi e
rdtlin In genere. Di qidia cbe con. peti (He uDoni in paiticoUrc Lt
isdice dell' tiatononùi è neDi virtù creatrice, L'Italia è anlmMina
peraccdiema; rau- lonomia i la boM della mi* nMggionma. DeOnitionE del
primato italiano in noiTerale, La petùxria per It ina poitora è il centro
monte del nondo civile. Convenienu geogniGehe dell' lUUa coir India e
colla HeMpoUmia. La religione b flprtndpal S)ndimeiito del primato
italiano. II principio calttdieo è Ime- panbile dal genio narionile
d'Italia. Opinione dei ghibellini e del flloioll nominali a questo
propoaiUi, e aun falsiln. Del Hachiavelli , del Sarpi e <li Amalitii
ih ìlmcm. Ln xt» iIiiL- Irina
naiionnle d'Italia i quella dei rufIIì e dei realisti. ì!,s\iii-
cattolicismo e dall' Italia. L'Italia è la nniiuuc creatrice: Suo
ing^DO inventivo, c sul) liuiilà delle sue opere. Essa c pure la naiione
redentrice degli altri popoli, e non puA essere redenta per
open loro. I papi non (nrono ! caoM della divisione iT ita- lia, and lì
mottnrono benemeriti In ogni tempo ddroniU iu- liana ed enropea.
ObUeiionl e liipoile. Dei don nemici perpetui dellt penisela. Fati
perpelui e glorie di Roma in ósni tempo. L'Italia non dee invidiare alle
altre Milani la grandena e la potenia disgiunte dalla gìnitliia. Vino a qual
segno i coiHiuisU e II dominio temporale dell' antieo imperio romano
' sinno stati legitUini. Gmdeiie supcnliti della modema BÓma. Della
PMpapnda c ddle mitiioni. Puagone del SiTerlo e dd Boonaparte. L^Iialia/itaempTB
la più co9inopoK(Ìca delle nanoni. li auo principato si Tonda Mrratlutto
nella religione, j la quale di sua natura suvrasla a ogui cosa umnoa. L'
Italia tal ' in si lultc le cuii<ii£i<iiii ilei ^un nai limale
c politica risorgimento, \ sema ricorrere «Ilo somniossc iiilcsthie, alle
imitaiioai e inva- j sioni Farcsilere. Dell' umane ÌUliaoa. Essa non può
uUenersi colio rivoluiioiii, [l principio dcU' unità il.iliani è il
Pajia; il quale jiiiii unilìenrc h penisola, mediante una confeclemiinne
ilc'suui principi, Vanlnggi di una lega ilaliana. Il governo folemlivo è
connalurale all' llalia, e il pili imturale ili lutti i goterni. Danni
della centralità cccessita. La sicoreiia e la prosperità d'iLalia non sì
possono conseguire altrimenti che con un' alleaniB italica. 1 lUrcslieri
non possono impedire i]uett' alleanza, e non che opporvisì , debbono
deiideratlo. Semi dell'autore se entra a iliscorrcrc ili caie dì stato.
L'opinione nasce Ida pìccoli principii, ma dee essere edncato dai senno
della ni- liane,Dna province (oprattutlo debbom cooperare a ^TOfjr
l'opim'aue Hi-iriiiatì"imieiiVTlnnii « ti Piwnnnl>. ^Bìj^^ )jj \f Itoma pei popoli, e sua
imparzialità fra i pedali ed i prindpi. I L'onilA italica sareblie di grande
utilità iWti religione cattolica, . loro'genio. Deli.i (]d.s;i ili
S^ii.iia e luili. .l[lincnzc c
cor- risponderne delle famiglie regnatrid tugl' incrementi civili
dei popoli. itrfi^ nnn^^ ^pip rtr
il PIEMONTE, n delle sorti c he le Mno^reDiral|e ^\]f Ptnuy^fjm. Delta
concordia fra T'popoli 0 i principi italiani. D difetto di osa ta la
cauta principale del c)iM:atlinicnla d' Italia. Errore ili chi
.illribuÌKe tal decadi nHMi lo nib qualità della stirpe o alla religione.
ti'in- forlunia ilcgl' llaliaiii aiiehe pur quvsta parte iiarque dai
forestieri. Principii di risurgiiiienlo nel secalo passala , e rili^nu
cìtIIì (alte dai ptiaeipi ooslrali. Inlerratte dgfla rivolaiioiKi
rranceM, ora è il tempo opporUum di ripigiUrte. Necessitai di ordinare la
pubblici opìaione. Dne modi con cni quesla ai ap- I>alc9a ; lit parola
dei tmi e la alampa. Della monarehia conullatiia, e del Consiglio civile. La
Btarapa non dee essere MTva , iiv liceniiusa. La sala via per evitare
amenduc gli ccccs^ , ilà neir affidarne l'iodlriuo a un caniiglio
censorio. nella iniportwii* della iiuapa per la civUU. UtlliU della
signoria indivlH p« riRmnata gli siali. Si esortai» I prineipi ilaliani a
toDdare l'amona d' Italia. Del dirello delle rìibnne nriii lane a leniate
in Italia , dorante il secolo scorso. Decli- ii.ii e siitcessiva
del genio iiaiiunale della penisola. Iliscre- iiiiiiii: 111 uiieslo
genio da quello dei Francesi. Critica del gallicanìsmo. Di Benigna Bassuel :
censura riverente dell' ing^u e itelle opere di qncslo gran teologo. II
sacardoiia primflivo eUw dna poteri, l'ODO reHgloM e l'alln drile. formola
sociale : La («roonui* erta MÌl gli ordini civili, U ncerdoiio è il Primo
politico. Ciisto rinnovA a compimenlo il sacerdoiio primigenio. —
Necessità del potere civile nel sacerdoiio cria- liiino. Lode dei Gesuiti
del Paiaguai. Il polerc civile della Chiesa non toglie la dislùuione, che
corre rra lo «lato civile e il lacerdoiio. Dea toma, par mi pam il
poleniàTile dal Mce^ doxio, cioè la dillaliaa e failiitralo,
canispondenli ai due cfcU civili delle nazioni. Legittimiti della
dittatura ejerdiala dai Poniclici del medio evo. Il ciclo dittatorio
Gniscc quando c |jerioilo della dtilti'i lefulare il'lulia <
crKiirops, Dell'arbì- tr.ilo, iraliiiso ilal sacerdoitn. Il l'.ipa c
l'unico [iiiocip io dell' guerra. La dittatura pontiScale non lurna
inulìle in alcun Icinpo ; MU applicaiiane presenle e foUin. 11 I^pa è U
principio dell' anioDe d' lUlia. Il polcn civile del Mnrdouo non è
contrario ali* ipirìlualiU e HnUU dclb rai indole e del suo nìtuslerìD.
-I Del (HtiiHiiùnm. Crilict de'snoi prÌDcipii in- tono tU* cotUluiiom
della Cb'ma e al dogma caUolico. Dei doveri delle varie ciani dei
dUadini, in ordine all'aoioDe d'IU' lia, -/Danni cbe nascono dalle dottrine
esagerate di libertii. Esortaiioneagli esuli ilalìaiii. Del dcbilo che linririu
gl'llnliani gli adalatoridei pririi'ipi. l>i^i wihili, -M ji.il
ri/Min i' i!i[licil- menle srilabilc nelle soeiclà civili. Due specie iJi
palriilalo; fendala t civile. U primo è im^nevole, Oioesto e vituperalo.
0 secondo pnì euer lodevole e ntik, quando venga accompagnalo da eerte
condiuoni. I cattivi nobili tono la rovina delle nontrcbie. Dei chierici
secolari. In che modo essi pouano partecipare alle cose politiche. I^i
del chicrieala Italiano. Perch6 l' episcopato dì alcune province
cattoliche sia stalo Ulvolla per l'addielro men ragguardevole degli altri
ordini derieali. Del frati. Apologia del m(MMch̫no. Suoi benefiri
rÌq)«llo alla drilU etirqiei. Quando traligna ai miri rìfonnare, non
abolire. Dd moMchlinwwientalee delPocci- dcntale. Como ijueila si poiH
rendere fmtluoio al nodro inri- vilimento. Danni che nascono dai diìoiirì degeneri. In
cbs modo irrati possano influire salutarmeate nella politica ecotqM
rare ai progresai civili. Essi debbono mettere ndl' opinione il precipuo
fondamento della loro vHa. D colto ddle iciauie e dèlie lettere in
generale, ma i^edalinenie della aiosoBa, ddia politica e dell'istoria si addice
al loro minislerìo. La scienia ideale i inoiiaslìca [ter ecccllcnia.
Esurlaiionc ai venerandi alunni dei chiu;lru ilaliaiio. Della digniu'i
clericale. Gli ec- ctcsiaslici debbunu guardarsi cautamenle dall'
impicciolire o avvilire le co» della rclìgiuiic. Si uLbiclla che Ì popoli
moderni sono men grandi degli antichi. Risposta. Ddla lollerann
cristiana. Perche nei tempi addietro violala In alcuni paeii- Tali
viotaiioDÌ non si possono imputare alla Cbieta cattolica. Delk àoleeiia,
|)ru(1enia e risi:rva clericali: nel dtspularr a nei conversare. Si
rancluitc moslrando che il risorgimento d'ilalia I non pai iver luogo ,
sa non ri rimetlono in onora gl'ingegni privileglati, e non «i soUrae rindiiiuo
delle cose ri TOlgo degli j nomini oiediocrì. La riflessione
ontologica ferma, circoscrive, determina, chiarifica l’Idea, cioè Dio: ma nella
PAROLA si rannicchia, s'incarna, si compie l’ Idea: LA PAROLA (PARA-BOLA) porge l’idea cosi rannicchiata ed incorniciata
ed incarnata e compiuta alla riflessione. Qui covano, pare, molte
contraddizioni. Se la riflessione, che chiarifica e ferma l'idea; qual bisogno
ch’essa idea si rannicchi c si restringa nella PAROLA? qual bisogno che LA
PAROLA compia l’Idea, se la riflessione arreca distinzione, chiarezza,
delineazione nella medesima? Se QUEL CHE FA LA PAROLA, fa la riflessione
altresì, una delle due è superflua: ammetter l’una c l'altra, è metter l’una in
contraddizione dell’altra: supporre cioè che l’una non basti, senza l'altra, a
ciò a che basta veramente. Mavia: prendiamol’una e l’altra per delerminalrici dell'Idea,
cioè di Dio. G. dice che nell'intuito l’uomo è assorbito dall’idea, non la
conosce neppure. Siccome dall'altra parte diceva eziandio, che lo spirito trova
se stesso in Dio e il mondo in se medesimo; ne viene che anche la riflessione è
in Dio assorbita collo spirito: che il mondo lo è pure: e col mondo LA PAROLA,
parte di esso. In cotale assorbimento dell'uomo, della riflessione, della PAROLA;
assorbimento che toglie ogni cognizione, non è assurdo c contraddittorio il
dire che la riflessione e LA PAROLA, o tutte due insieme, servano a svegliare
lo spirito assopito , esse assopite; servano a chiarire e determinare, esse
confuse e indeter- minate nella universale confusione ed indeterminazione del cielo
e della terra, del Creatore c delle creature ? Inlrod. b) lìti pillilo rhe li'ga. Errori Cosa
sarebbe l'intuito giobertiano ? la visione -di I)io crean- te; cioè della
natura divina, dell’atto creativo, de’ termini di code- sto atto. Cos'è la
parola? un segno creato b). L’intuito dunque do- vrebbe pure vedere la parola:
la parola sarebbe parte della formula, intuita per natura da tutti gli uomini;
chi* l'Ente creante non può essere veduto senza gli effetti del suo operare. Ma
se nell’og- getto dell’intuito è LA PAROLA, è la riflessione altresì, come cosa
creata anch’essa; se l’Idea col creare illustra, e quindi determina; illustra LA
PAROLA altresì e la riflessione. Ecco nuova contraddizione e circolo nel dire
che la riflessione e LA PAROLA servono a delincare all’intuito ciò ch’egli ha
ad oggetto delincalo dalla natura: illustrare ciò onde vengono esse illustrate.
La quale contraddizione o circolo risulta da molte altre sentenze di G.
applicabili al proposito presente. Sentenza sua è. di frequente, che i
sensibili sono per sè inconoscibili; e solo per l’intelligibile, cioè per
l’Idea, siano conosciuti. L’apprensione sensisitiva non è un elemento
intellettivo. Il sensibile non può essere pensalo altrimenti, che
nell’intelligibile. L’intelligibile rischiara appunto i sensibili, perché li
produce, come l’ente e i sensibili sono illustrali dall' Intelligibile, perché
ne derivano, come esistenze. Dice: l’Eute è altresì « l’Intelligibile, c le
esistenze sono i sensibili. Le creature sono per sè inintelligibili, nè
s’intendono che in virtù dcU’intcl- g Errori Errori lntrod. ii. p. 14. n) Errori n. p. 45.
un vero sensibile >. Errori. Il sensibile è subbiedivo è inconoscigibililà
assoluta n bile di sua natura » A): « è
per se stesso inconoscibile e sub- ii bieltivo, non intellettuale, nè
obbiettivo,. è rispetto alla nostra cognizione un pretto nulla. L'intelligibile
(l’Idea, l’Ente) ii inonda lo spirito di un continuo chiarore, e gli rende
conosci- li bili tutte le cose » Ora LA PAROLA come ogni SEGNO, è un , <i
sensibile » Dunque per sé inconoscibile-, inintelligibile. Solo l’Idea,
l’Intelligibile la rischiara, la illustra, la Ja intelligibile all’uomo. «
Tanto è lungi, che LA PAROLA provi l'Idea razionale, che anzi que- ll sta
dimostra l'autorità di quella. LA PAROLA e la a) Dico sarebbe, perché G. stesso
Io distrugge in mille maniere, come vedemmo, e vediamo rontimitinenle. t)
Siccome it sensibile appartiene alla categoria delle esistenze, e queste pro-
cedono dall'atto creativo, la parola b di tua natura un effetto della c
reazione. L’idea -« crea «I segno che l’esprime . Primato, Errori lntrod. Qui de» esserci corso errore di
stampa, o nella sostituzione deila voce Iati ad esistenti; o nella
punteggiatura. Perche l'Eulc non deriva dall'Intelligi- bile come esistenza.
Dovrà leggersi, crrdo, il periodo: « I.’ Intelligibile rischiara ap- « punto i
sensibili, perché li produce, come l’Ènte; e i sensibili ccc. » « riflessione
stessa ripugnano, se non sono antivenute o guidate da « un lume intellettivo,
da cui, (e non dalla parola che per se stcs- « sa 6 un mero sensibile)
l’evidenza e la certezza provengono » a). Come pertanto può dirsi che la parola
« si richiede per ripensare « l’Idea; che il sensibile è necessario per poter
riflettere, e conoscere distintamente l'intelligibile ? b). Una cosa inconosci-
bile per sé, non conoscibile che per l’Idea; come potrà servire ad illustrare,
a chinrirc l’Idea, da cui riceve lutto il chiarore che possiede? L'idea
illumina la parola; la parola illumina l’Idea? Non v’ha circolo qui c
contraddizione? Che se amiamo trarne Inora qualciin'aitra, il modo non manca. G.
scrive talora, che l’idea, incarnandosi in una forma sensata, scade sempre
dalla propria altezza. L’idea dunque, se s'incarnasse nella parola, veramente
scadrebbe secondo quel testo; perderebbe di sua perfezione. Come può stare
pertanto che la parola, determini, illustri l'idea, la compia, cioè la
perfezioni? come può stare che l’Idea per compiersi c perfezionarsi s'incarni
in un sensibile, che la guasta e la rende imperfetta ? LA PAROLA ch’è detta in
un luogo da G. un sensibile in cui s'incarna l’intelligihile; diventa in un
altro una copia mondiale, contingente e linita del modello divino, necessario e
infi- « nilo, c un individuamenlo dell’idea eterna Siccome questo modello c
idea eterna è l'Intelligibile stesso, Dio; quindi la parola è una copia, un
individuamenlo di Dio nel quale s’incarna Dio. E notate, che « tante sorti di
parole create si trovano, quante sono le specie della esistenza; una PAROLA
matematica meccanica ed idraulica, che sono i numeri, le figure, i movimenti; UNA
PAROLA FISICA, cioè I FENOMENI DI NATURA; una PAROLA estetica c sono i tipi
fantastici; una PAROLA storica, c sono i fatti transitori o permanenti degl’uomini,
gl’eventi ed i monumenti; una PAROLA sovrannaturale, e sono gli avvenimenti
ffrodigiosi e sensibili; una PAROLA liturgica ordita di emblemi e simboli; c
infine una PAROLA grammalicale, parlata c scritta, ma per se stessa ARBITRARIA,
c però diversa dalle specie anteriori, che sono tutte naturali la (piale serve ad esprimere i concetti dell’animo e
quindi a tradurre ogni altro genere di FAVELLA. Di tutte pertanto le cose
create dee dirsi ciò che della PAROLA grammaticale: sono sensibili in cui
s'incarna Iddio; sono altrettanti individuamenti di lui; che lo compiono, lo
determinano, lo fermano, lo circoscrivono, lo illustrano: quantunque siffatta
incarnazione lo umilii veramente , sconci. Errori Inlvofl. u. ii. li. Ges.
Moti, tv: p. li. Prima!-» li. Anche la PAROLA sovrtwnnfurtile ? fi Ivi. lo
abbassi, lo r Nasce però curiosità di sapere, perchè mai nella parola s’in»
carni l'Intelligibile; ina nou « in quanto rispleude aU’intuilo: ib- bene in
quanto riverbera (cioè ridette) sulla riflessione » in quel punto famoso di
contatto che lega Dio coll’uomo? La riflessione, si è detto, che mediante la
parola circoscriveva , compiva l’idea ; quindi la parola preceder dovrebbe la
riflessione. Ma se la parola contiene l’Idea in quanto riflette mila
riflessione dell'uomo; la riflessione è preceduta alla PAROLA (PARA-BOLA): così
la riflessione va innanzi alla PAROLA (PARA-BOLA); e LA PAROLA (PARA-BOLA) va
innauzi alla riflessione nella stesso tempo. Eccoci di nuovo ucU’uno via uno.
Se la dottrina della riflessione determinatrice e illustratrice deU'iuluito
fosse vera, dovrebbe dirsi che la riflessione guida per mano l'intuito, lo
signoreggia. Or bene di ciò fa le risa G. contro i psicologisti: lo aveva credulo finora che la cecità sia la
causa principale per cui non si scorgouo gli oggetti: ora siccome l'intuito, non che esser cieco, è la
fonte della risiane, e v la riflessione non cede, se non in quanto partecipa
alla luce intui- tira, dovremmo dire, alla stregua dei psicologisti, che tocca
al « cieco il guidar per mano, non mica gli altri ciechi, (il che sarebbe già
degno di considerazione), ma chi 6 veggente in mo- ie do perfetto; cosa per
vero singolarissima ». h) Bene slà. Ma quel- li l’Ontologo, che pone per una
parte l'intuito del Sole stesso Eter- no Divino; e immagina dall’altra una
riflessione e un inondo di pa- role che sono necessarie a determinare, fermare,
ed illustrare il so- le, da che sono esse creale ed illustrate; quegli è che
s'introniBtte di far guidare i veggenti perfettissimamcnle da’ ciechi; che si
pensa di accendere il sole di mezzogiorno colle tenebre della mezzanotte. G.
consuona a SERBATI (si veda) nel riconoscere la necessità della PAROLA
(PARA-BOLA) per la riflessione. Differisce però dal medesimo nel- l’asscgnarne
la ragione : per dir meglio: il Rosmini ne dà ragione, ('impossibilità di
spiegar altrimenti la formazione delle idee astrai- le: G. non ne porge
nessuna, Imperocché non sembra- mi prova quel dire che il punto indivisibile,
di cui abbiamo discorso di sopra, (il
punto che lega Dio e l’uomo combaciantisi), « non può esser termine del
ripiegamento riflessivo, se non VESTENDO una forma sensibile – GRICE: Language,
The Dress of Thought. E siccome non è sensibile per se stes- ti so, siccome
versa in una mera relazione intelligibile, l’unico mo- ti ilo, con cui possa
rendersi sensato, consiste nell'incorporazione « mentale d) di un segno, cioè
della parola Ma perchè quel o) I.a rbiama perciò . un semplice insinimentn
necessario per mettere la riflessione in commercio colf intuito; Errori
Strumento riflessilo Semplice segno
insidine male stimolo per mi rumineia «I
al- « luorsi (l'iiniiiio umano), e il polline ette lo feconda »; Primato, « occs- • sione, cagione, inslrnnirntale del
lero. Necessità della PAROLA (PARA-BOLA). Bello Introd. il. p. 134. SERBATI (si
veda), S. Saggio. e. 4. a. I. Filo». Polii. Voi. Incorporazione spirituale.
Errori punto, rhY' puro relaziono intelligibile, ohe anzi è la cagnizinne,
rollio vedemmo , perché « non può esser termine del ripiegamento riflessivo, se
non vestendo una forma sensibile, se non rendenti dosi sensato, se non
incorporandosi in un SEGNO »? G. noi dice. Altri osserverà nondimeno che non
solo noi dice ma nemmeno può dirlo nel suo sistema: che perciò é impossibile a
G. di provare la necessità della PAROLA (PARA-BOLA). Egli afferma, che l’uo- «
ino nou può meglio nel suo stalo attuale riflettere senza PAROLA (PARA-BOLA),
che FAVELLARE senza LINGUA, vedere senz’occhi, c pensare senza corvello. Senza IL
LINGUAGGIO l'uomo ha ragione; ma non uso di ragione, ha la riflessione in
potenza, non in atto. Il che dice essere applicazione speciale ili una legge
generale dello spirito. La qual legge si è, che la riflessione universalmente
non si può csercitare, se non mediante il concorso del sensibile coll’intelligibile.
Ora di quale delle due riflessioni, già distinte da lui, parla il nostro
autore? Dell’ontologica: perchè dell’altra confessa che il sensibile è
l’oggetto medesimo dell'alto riflesso, onde LA PAROLA (PARA-BOLA) non en- ti
Ira necessariamente nel suo esercizio, se non in quanto tal riflessione si
connette colla riflessione ontologica; imperocché il sensibile per essere
pensato non ha d’uopo di un altro sensibile, che « lo vesta e lo RAPPRESENTI.
lo nè ammetto nè ripudio tale ragione: ma l'ammette G. certamente. Dunque a
sola la riflessione ontologica è La PAROLA (PARA-BOLA) necessaria. Perché?
perchè in os- ti sa il sensibile non è somministrato dall’oggetto
dell’operazione « il quale è il stdo intelligibile i Sla codesto e falso: è
falso che oggetto dell’ ontologica riflessione sia il solo intelligibile,
secondo G.. Non ci ha egli appreso che « la riflessione ontologica, tramezzando
fra le due altre operazioni (intuito e ridessione psicologica), abbraccia
congiuntamente il soggetto e l 'oggetto c li contempla con un allo unico?; che
nella riflessione Oli- ti tologica lo spirito si ripiega sovra di sé in quel
punto indivisibile, in cui il soggetto tocca l’oggetto, c abbraccia quindi
l’oggetto medesimo, come intuito dal soggetto? Dunque non è l'intelligibile
solo, l’oggetto della riflessione ontologica; ma è il soggetto eziandio, cioè
il sensibile, oggetto della psicologica. Ma se questo non ha ili bisogno di
sensibile, di PAROLA (PARA-BOLA), per essere ripensalo; se non n'ha bisogno l’
intelligibile, Dio, intelligibile per se stesso: come n'ha bisogno il punto in
che si congiungono si legano si toccano si combaciano Dio e l’uomo ? l’nione di
due termini, l’uno intelligibile per sé, l’altro per l'intelligibile, unione
di' è relazione intelligibile, perchè avrà d'uopo di sensibili, di segni, ad esser
oggetto di riflessione ? n’ Krrnri i. p. '20 fi. JThi|I. 201). r\ hi p. ini. di
Iti. e Krrori) Iti Che se « prima di credere alla parola, bisogna intenderla »
a); la parola a nulla servirà se non in quanto sia già in quel punto, unione,
unità, eh e la cognizione. £ se altronde la cognizione dovrà esser vestila
della parola , per diventar riflessione ; la veste dovrà insieme essere il
vestito, perché riflessione si ottenga, cioè cogni- zione vera, come la chiama G..
Questa è una di quelle « soluzioni ed avvertenze di cui non v’ ha il menomo
vesti- li gio in altri sistemi prima del Giobertiano li). Il che niuno vorrà
negare Della unicertalilà scientifica della farmolu ideale. Aimcoio punto.
Prtamiolo. L* formolo roiionale dee contenere l’organismo degli eie- menti
ideali. Per conoscere questa organizzazione, bisogna riscontrare essa forinola
1 coll albero enciclopedico.^-L’enciclopedia si compone di tre parti ,
filosofia, fisica e matematica, cko corrispondono alle tre membra della
iormola. Della filosofia in ispe- cicr si stende per tutta la formolo. Dell’ontologia,
psicologia, logica, etica e matematica ; come si connettano coi rari termini di
quella. Tavola rappresentativa deiralbero enciclopedico, conforme alC organismo
ideale. Spiegazione generica del- la tavola. Dello scienza ideale. Della
teologia rivelata e della filosofia. Principato universale della prima. Maggioranza
della seconda sulle altre scienze. Primato dell'ontologia fra le varie
discipline filosofiche ; necessario, acciò queste siano in fiore. Della
teologia universale. Delia matematica. La matematica tiene un lnogo mezzano tra
la filosofìa e |a fìsica Insufficienza della filosofia moderna, per dare una
teorica soddi- sfacente del tempo c dello spazio. Dichiarazione di queste due
idee, c dell’oggetto loro, mediante la forinola ideale. Della logica e della
morale. Queste due scienze hanno ciò di comu- ne, che appartengono al termine
medio della formolo. Della logica in particolare, c delle varie sue parti Dell’etica
in ispccicr. Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri. Convenienze, che
corrono fra loro. Della legge morale. Dell’imperativo. Del dovere, e del
diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal fisico,
che ne conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa nel terzo membro
della formolo. Dei duo cicli generativi. Varie sintesi, di Cui si compongono.
Dell' ordine dell’universo. Del concetto teleologico. L’idea di fine ci è
somministrata dal ciclo creativo. Dell’estetica. Del sublime e del bello, t-Delle
varie loro specie, e del modo in cui si connettono colla formolo. Del maraviglioso.
Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. Quindi
i suoi tizi. Gli stateti odierni, non hanno veri principii, perché mancano
della cognizione ideale. 1 difetti della teorica hanno luogo del pari nella
pratica. La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei bassi tempi. Dell’apoftegma
del MACHIAVELLI (si veda), che le instituzioni si debbono filirare veto i loro
principii. In che senso sia vero. Benefici influssi del Papato nella civiltà
delle nazioni. Di GIULIO (si veda) Cesare, institufore della tirannide
imperiale. Connessila della licenza colle dottrine di Lutero e del Descartes.
Della idealità delle nazioni. L’Idea é fonte del diritto. Attinenze del dovere
col diritto, c delle varie specie loro. Della sovranità. La sovranità assoluta
è 1’Idea. Della sovranità relativa c ministeriale. Non si trova in separato nel
governo o nel popolo. La società non è d’ instituzione umana, ma divina. Cosi anche
il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere , intorno al modo, con
cui si tramanda e perpetua di generazione in generazione. Forinola della
politica. Assurdità del suffragio universale. La capacità dee,accompa- gnare il
potere sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere indi-
pendente dai sudditi. La perfezione della sovranità consisto nell* unioqe del
potere tradizionale colla sufficienza elettiva. Il sovrano non può mai farsi da
sé in nessun caso. Ogni potere sovrano è divino. Inviolabilità del potere
sovrano. Delle rivoluzioni, e delle contrarivoluzioni: che cosa si debba
intendere sotto questi nomi. La verà rivoluzione, essendo 1’attentato contro
una sovranità legittima, è sempre, illecita. Lo stato politico di un popolo dee
corrispondere a’ suoi ordini primitivi c anticati. La monarchia é necessaria al
di d’oggi alla libortà europea. L'investitura della sovranità in una famiglia é
inviolabile, corno il dominio privato. Il potere ereditario, c la capacità
elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. Conformità della nostra
sentenza colla dottrina cattolica intorno all* inviolabilità del potere
sovrano. 1 fautori della licenza invertono la formula politica. L’idea divina ó
la suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’ idea divina. L’ontologismo
non é un metodo ipotetico, corno quello dei psicologisti. Iddio è 1’Intelligibile:
é 1’alfa e 1’omega della scienza. Si termina, riandando il primato dell’ idea
divina nelle varie parti della filosofìa. Si
Dtll'a conservazione dellaforinola ideale. La conservazione della
forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa. Suoi diversi
periodi. La confusione della filosofia colla religione nocquc in ogni tempo ab-
la scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi Del
razionali- amo teologico fiorente al di d’oggi. Si divide in due parti. Suoi
fondatori. La critica storica dei ra/ionalisti pecca per difetto di canonica.
Il razionalismo confondo insieme i rari ordini di fatti e di veri. Sua vecchiezza.
Dei Doceti. Il razionalismo è un vero naturalismo Del sovrannaturale: sua
definizione. Necessità di esso, per l’ integrità dell’ Idea. Possibilità e
convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordino sovrannaturale.
L’Idea cristiana è universale, come l'Idea della ragione. Nullità sintetica o
filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo é la religione
universale. Non si può mettere in ischicra cogli altri culti. Sua singolarità. Le
false religioni non distruggono l’ universalità del Cristianesimo. Accordo di
questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello
Strausse. Le false religioni sono lo sole, che debbano temere dei progressi
civili. Il Cristianesimo sovrasta, e non Sottostà alla coltura più squisita. La
civiltà moder- na, che lo combatte, è una barbarie attillata Delle prove
interne della .rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la
parola esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione
dell' Idea, chfe vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua
mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori sincrctici dell' ingegno
umano. Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione,
secondo le varie ragioni. Della inspirazione dei libri sacri. Sua definizione,
natura, estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. L’
ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. Etnografia della
rivelazione. Della predestinazione degl’ individuile dei popoli. Eccellenza delle
nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapctici: loro divario dai
Semiti. Delle nazioni madri. Degl’Israeliti; conservatori dell’Idea perfetta,
prima di Cristo. Dei fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed
essoterica. Fondamento naturale, o universalità di questa distinzione. Della
ordinazione civile e religiosa degl' Israeliti. Oltre la dottrina pubblica,
essi avevano una scienza secreta, acroamatica c tra- dizionale. Ragioni, in cui
si fondava questa 'distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese
essoterica la scienza acroamatica degl' Israeliti. L’alternativa dcl-
racroaraatismo c dclf essoterismo èia sola variazione, che si trovi nella
storia dell' Idea rivelata. Perchè Mosé non abbia insegnata espressamente i’
immortalità degli animi umani. Gl’Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro
angelologia e il dogma della risurrezione. Del sensismo proprio dei
razionalisti. Falsità del loro metodo nel cercare 1’origine delle idee e delle
credenze. Attinenze reciproche della dottrina esso- terica. Differenze, che
correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti c i Gentili. Del fìguralismo
ebraico. Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto
dato dal sig. Salvador delle iustituzioni mosaichc. La furinola ideale e il
telegramma, sono il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’Israeliti.
Dell'alterazione dellaformolo ideale. La barbarie non fu lo stato primitivo
dogli uomini. La storia delle religioni tion comincia dal sensismo, Per quali
cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva.
Vicende civili delle nazioni. Del patriarcato. Dello stato castale : sua
origine. Del predominio dei sacerdoti: sua legittimità. Genio religioso delle
società costituite sotto 1’imperio ieratico. I sacerdoti autori principali
della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro influenza nelle colonie
antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina
acroamatica ; fondò 1’essoterica. In che modo la MITOLOGIA é LA SIMBOLICA potessero
esser opera della moltitudine. La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse
la filosofìa. Vari indirizzi della fi- losofìa gentilesca. Riscontri.
dell’antico c del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui passò l'alterazione
della forinola ideale', oscurità, confusione, dimezzamento e disorganazione. Cagioni
dell’alteramente : predominio del senso e della fantasia; INFLUENZA DEL
LINGUAGGIO SULL’IDEA, e dell’ essoterismo sull’ acroamatismo; dispersione dei
popoli, perdita dell’unità universale. Del culto dei fetissi. Di un doppio moto
contrario, regressivo e progressivo, delle instituzioni religiose. Esempi. Epoche
della cognizione ideale: intuitiva, immaginativa, sensitiva e oslrattiva. Se
nel vario e succes- sivo alterarsi della forinola, si mantengano i suoi tre
membri, e come? Tavola delle trasformazioni ontologiche della fòrmola ideale,
corrispondentiaivaristati psicologici dello spirito umano. Dichiarazione della
tavola. Dell’ epoca intuitiva; corno 1' uomo ne sia scaduto. Il mal morale
consisto nella negazione del secondo ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali
per conservare lo stato intuitivo. L'essoterismo fu l’oc- casione della perdita
di esso. Dell’ epoca immaginativa. Del naturalismo fanta- stico c dell’
cinanatismo propri di questa epoca. Indole poco scientifica dell’ emanatismo.
Sua forinola. Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. Dottrina
dinamica degli cmanatisti. Della loro dualità primordiale, e delle dualità
successive. Dell’ androginismo , e delle dee madri ; loro connessione coll’
emanati- smo. I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla
cosmogonia. Del Kincrctisino emanatistico. Dei due cicli di tal dottrina: 1’
emanazione. Del ciclo remanativo: sua natura. —Corrompe la morale, c introduce
il pessimismo. Delle varie età cosmiche, secondo i miti di molti popoli
Gentili. come 1’ottimismo c il pessimismo si accozzino insieme nel sistema
degli em&ftatisti. Degli aratori, della teofanie o logofanie permanenti e
successive, e delle apoteosi. Come il sovrintelli- gibile si trovi alterato fra
queste favole. Del politeismo; nato dall’ emanatismo. Sua indole, e sue varie
forine. Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza della unità
ideale. Dell’idolatria: sua natura. Del panteismo: ò una riforma ieratica dell’
emanatismo. Il panteismo scientifico non potè essere il primo sistema nella via
dell’ errore. 1’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una mede- sima
dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma
scientifica. Proprietà speciali del panteismo. Universalità del panteismo nel
regnu dell’ errore. Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. Qual sorta di
progresso possa avero Terrore. Varie forme del panteismo Della condizione del
sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. Dei Misteri, da cui uscì la
filosofia laicale. Dell’ateismo. Questo sistema non potò essere anteriore al
secondo periodo della fi- losofia secolaresca. Si rigetta l! opinione di un
ateismo indico antichissimo Del sovrintelligibile. Serbato in parte dai
sacerdoti, o perduto affatto da' laici filosofan- ti, salvoclié dalle tre scuole
mezzo ieratiche dell’Italia e della Grecia. Dei tentati- vi antichi c moderni,
per riedificare umanamente il sovrintelligibile. Si conchiude, accomando
brevemente il tenia del secondo libro NOTE. IQS Nota prima. Sulle denominazioni
moderne dell’Io E DEL ME [CF. GRICE, “PERSONAL IDENTITY” – “I fell down the stairs,” “My brain aches –
my head was hit by a cricket ball”]. Di
alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. 166 Errori di
un giornalista francese sull’ amor di Dio. Del tempo e dello spazio, secondo il
processo ontologico. Passi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo
spazio. Della importanza, che la religione dà alla vita temporale. Degli
attributi divini ontologicamente considerati. L Influenza della colpa primitiva
in tutte le parti del pensiero e dell'aziono umana. Dei vari sistemi sulla
natura delle esistenze. Sull’infinità del mondo. Sugli assiomi di finalità o di
causalità. Se l'abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire
al Cristianesimo? Sull’origine della sovranità in alcuni casi particolari.
Dell'orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza
di Dio. L'idea di Dio non è solamente negativa. bit. Sulla voce rivelazione. Di
varie spezie del razionalismo teologico. Dei miracoli posteriori allo
stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malebranche sull’idealità del
Cristianesimo. Passo del Leibniz sulla rivelazione. . Sulla credenza
antichissima dei Samaritani nella risurrezione dei morti. Si esamina la
dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esi- stenza
degli angeli. I razionalisti confondono la dottrina acroamatica colla
essoterica. Sul fatto di Babele. Del sincretismo dei falsi culli, doma, mito e
simbolo zendico, ISci culti barbari l’Idea è esclusa dalla religione, c non
dalla scienza umana. 1/antropomorfismo e il psicologismo essoterico. Del
panteismo di Ulrico Zuinglio. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del
razionalismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Ib. Convenienze della
dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo.DELLA
DECLIAAZIOSE DAGLI SITUI SPECl'LATIV I, I* OHUISE ALL' UGGETTO. Della Idea. È
primitiva, indimostrabile, evidente, e certa per sé stessa. Necessità della
parola per determinare c ripensare l'Idea. 1 progressi della cognizione ideale
rispondono alla perfezione dello strumento, con cui si lavora, cioè della PAROLA
(PARABOLA). IL LINGUAGGIO È INVENTATO DALL’IDEA, clic parlò sè stessa. L’evidenza
e la certezza riflessiva abbisognano della PAROLA (PARABOLA). Il sensibile è
necessario per poter ripensare l’intelligibile. L'Idea è l’unità organica, la
forza motrice, e la legge governatriec del genere umano. L'Idea è l’anima delle
anime, l'anima della società universale. Ella può oscurarsi, ma non ispegnersi
affatto. Del suo primo oscuramento, e degli effetti, clic ne seguirono. Perdita
dell’ unità ideale , c morte morale del genere umano. Diversità delle stirpi.
Dell’ instaurazione sovrannaturale dell’ unità primitiva. Del genere umano
secondo l'elezione, sostituito al genere umano, secondo la natura. La Chiesa è
la riordinazionc elettiva c successiva del genere umano. Vicende storiche della
Chiesa. Colla perdita dell’ unità ideale venne meno al genere umano la sua
infallibilità,chepassò nella Chiesa. Quandoil genereumano riacquisterà questo
privilegio. Chi è fuori della Chiesa, è fuori del genere umano. Composizione
organica della Chiesa. Chiesa c conservatrice e propagalrice dell’ Idea :
unisce il prin- cipio della quiete a quello del molo. Delle forinole definitive
della Chiesa. Della scienza ideale, razionale e rivelata. Attinenze reciproche
di queste due parti. La scienza razio- nale, o sia la filosofia, si distingue
in due grandi epoche, ciascuna delle quali corrisponde a una rivelazione. Il nesso
fra la rivelazione e la filosofia è la tradizione. I.’ alteramente della
tradizione, e quindi della verità, fu nella sua origine una confusione delle
lingue. L’effetto di questa confusione è il gentilesimo. L’organizzazione
ecclesiastica è la sola via, con cui si possa conservare intatta la tradizione.
Della Chiesa giudaica, c della sua diversità dalla cristiana. La filosofia
gentilesca avea colla rivelazione primitiva una relazione diversa da quella,
che corre tra la filosofia cristiana c la rivelazione evan- gelica. Due
tradizioni, religiosa c scientifica. Due classi di sistemi filosofici; gli uni
tradizionali e ortodossi; gli altri anli- tradizionali ed eterodossi. I primi
suddividonsi in progressivi, cregressivi.—Qualitàprincipali,percuii sistemieterodossisi
distinguono dagli ortodossi. La filosofia ortodossa è perpetua. Vari modi, con
cui i sistemi eterodossi possono rompere il filo della tradizione. Tre età
della filosofia cristiana. Dell’età moderna. Del psicologismo: definizione di esso,
e dell'ontologismo, che gli è contrario. Il psicologismo è l'eterodos- sia
moderna delle scienze filosofiche. Descartes è il suo fondatore ; gran
matematico , meschinissimo filosofo. Paralogismi puerili del suo metodo.
Presunzione intollerabile del suo assunto e delle sue promesse. Cagioni, per
cui il Car- tesianismo invalse, ed ebbe una certa voga. Due dottrine c due
letterature in cospetto P una dell’altra, tra il secolo decimoquiuto c il
sedicesimo. Abusi e disordini, che allora regnavano. Necessità di una riforma’
cattolica. Tre riforme eterodosse ; due religiose, la terza filosofica. Il
tedesco Lutero, e l'italiano SOCINO (si veda), autori delle due prime; il
francese Descartes, della terza. Vizi della Scolastica, che prepararono gli
errori più moderni. Analogia del metodo protestante col metodo cartesiano.
Descartes non liberò la filosofìa, come oggi si crede, ma la ridusse WS in scrvilu. Contraddizioni ridicole della
sua dottrina. Descartes non somiglia a Socrate pel metodo, ne a Platone per la
teorica delle idee innate. Vizi del pronunziato cartesiano: io penso; dunque, sono.
[GRICE SU “DUNQUE” – IMPLICATURA CONVENZIONALE, NON CONVERSAZIONALE] Il
sensismo nc è la conseguenza. Assurdità del sensismo. Il predominio del
sensismo ha impicciolita la filosofia moderna. Danni recati da esso agli studi
storici. La religione è la chiave della storia. La filosofia nata dal ('.ar-
tesianismo si divide in cinque scuole. Del razionalismo psicologico diverso
dall’ ontologico. Due classi di filosofi francesi. Di alcuni eclettici francesi
in particolare. Si annoverano i diversi vizi e inconvenienti dell' eclettismo,
e quelli del psicolo- gismo. Obbiezioni dei psicologisti : risposta. Del senso
ontologico. L'ontologismo è conforme all’ indole e al processo del Cristianesimo.
llicpilogazioue delle cose dette in questo capitolo. DELLA FOIJIOLA IDEALI. Che
cosa s’intende per forinola ideale. Metodo, che l’autore si propone di tenere
in questa ricerca. Del Primo psicologico ontologico c filosofico. Il Primo
filosofico abbraccia i due altri. Varie dottrine sul Primo psicologico e
ontologico. Teorica di Antonio Rosmini intorno al concetto dell’ente
consideralo, come Primo psicologico: si riduce a quattro capi. Critica del
sistema rosminiano : il Primo filosofico è l’Ente reale. L'Ente reale è
astratto e concreto, generale e particolare, individuale e universale nello
stesso tempo. La filosofia moderna erra spesso, mutando il concreto in
astratto. Vari generi di astrazione c di composizione. Il Primo filosofico
contiene un giudizio. Doti speciali di questo giudizio: consta di un solo
concetto, che si replica su se stesso ;
è obbiettivo, autonomo e divino, vale a dire, che il giudicante è
identico al giudicalo. Il giudizio divino essendo il primo anello della
filosofia, questa è una scienza divina e non umana nel suo principio. Il
giudizio divino, con- tenuto nel Primo filosofico , non basta a costituire la
forinola ideale. Ricerca di un altro concetto per compiere la formola. Della
nozione di esistenza : analisi del concetto e della parola. Egli è impossibile
il salire logicamente dal concetto dell’ esistenza a quello dell' Ente. Bisogna
adunque discendere dal concetto dell' Ente a quello di esistenza. Necessità di
un concetto intermedio per effettuar questo transito nel processo discensivo.
L’idea di creazione è il legame tra le due altre. Obbiezioni controdiessa:
risposta. II processo psicologico corrisponde all’ontologico. Lo spirito umano
è spettatore continuo, diretto e immediato della creazione. L'idea di creazione
contiene un fatto primitivo c divino, che è il primo anello delle scienze
fisiche e psicologiche; quindi tutta l’ umana enciclopedia è divina nel suo
principio. Compimento della formola ideale. Altro giudizio contenuto in essa
formola. Distinzione c inseparabilità psicologica dell’Ente e dell’esistente. Del
vero ideale e del fatto ideale. Obbiezione contro il nostro processo ideale: risposta.
Dell’ organismo ideale. Problemi metafisici, che non si possono risolvere , se
non colla nostra formola, e ne confermano la verità. Del necessario c del
contingente. Dell’ intelligibile. Dell’ esistenza dei corpi. Cattivo metodo di
molti filosofi nel combattere l’idealismo. Dell’ individuazione. Dell’ evidenza
c della certezza. Possibilità del miracolo provata a priori. Nuove obbiezioni
contro la formula ideale: risposta. Dell’ origine delle idee. Vari sistemi dei
filosofi su questo punto. Critica della dottrina rosiniuiana, che tulle le idee
nascano da quella dell’Ente, per via di generazione. Esposizione sommaria della
nostra dottrina sull’origine delle idee : si riduce a tre capi. Convenienza
della nostra dottrina con un pronunzialo di VICO (si veda). Dei giudizi
analitici [cf. GRICE, IN DIFESA DI UN DOMMA] c sintetici. Esposizione della
nostra dottrina sulle varie classi di giu- dizi sintetici. Della natura del
raziocinio. Cenni su altre quislioni, che si attengono alla nostra formola.
L’aver dismessa o trascurata l’idea di creazione è la causa principale degli
orrori filosofici. Vane promesse ilei moderni eclettici, c flebolezza della
filosofia presente. Per ristorarla, bisogna abolire il psicologismo. Il
Cristianesimo rinnovò la forinola ideale. Ili santo Agostino : sue lodi : fondò
la scienza ideale. Della scienza ideale cattolica : sue prerogative. Degli Scolastici
: loro difetti. Del nominalismo e sua influenza sinistra nel rea- lismo. In che
consista il perfetto realismo. Si critica il principio fondamentale di Cartesio
colla scorta della formola ideale. Di Spinoza. Tre epoche della filosofia te-
desca. L’ontologismo dei panteisti tedeschi è solo apparente. Critica del loro
sistema. Vizi del panteismo in generale. Convenienze del panteismo coll'
eterodossia religiosa, e in ispecie colle opinioni ilei protestanti, c con
quelle degli Ebrei, dopo la divina abrogazione del loro culto. Le sensazioni sono segni delle cose. Passo
del Leibniz sul nesso del pensiero colla parola. Sulla base ontologica della
veracità. Indivisibilità morale ilei Papa c della Chiesa. Sulla mutabilità del vero,
secondo i panteisti. Sulla universalità logica dell’errore. Passo dello Spinoza
sull’ ontologismo. Passo di Cousin sul psicologismo del Descartes. Giudizio del
Leibniz su Cartesio c sulla sua dottrina. Del valore del Descartes nelle
scienze fisiche. Parere di Cartesio sulla speculativa dei matematici. Passo del
Mcujot su Cartesio. Ih. Dei furti letterari del Descartes. Esame dello
scetticismo cartesiano. Passo dell' Aucillon sullo stile del Descartes. 29!)
Della presunzione e dell’ arroganza del Descartes. Sopra una sentenza di VICO (si
veda). A che e (Trito i capi della Riforma scemassero il sovrintelligibile
rivelalo. Che gl’italiani hanno l’ingegno scultorio. Divario tra i Sociniani e
i moderni razionalisti. Esame dell’opinionedi Cartesio intorno al suo rogito.
Sul IVo di Lutero. Sul circolo vizioso del Descartes. Esame dell’opinione
cartesiana, che Iddio possa mu- tare le essenze delle cose. Vera idea della
filosofia socratica c platonica. Sulle idee innate del Descartes. Sopra una
sentenza del Thomas. Passo del Leibniz sul Cogito di Cartesio. Il secolo
attuale continua il precedente. Ib. Passo dello Stewart sulle sciocchezze dei
filosofi. Passo del sig. Cousin sugli studi forti. Ib. Sulla religione di
Napoleone. Critica di due opinioni del sig. Jouffroy. Cousin non conosce il
sistema del Malebranche. Quando nacque la filosofia moderna, secondo Cousin.
Dell’ ontologismo cristiano. Vari passi del Malebranche sulla visione ideale.
Si esamina la dottrina del Rosmini sulla visione ideale. L’ente ideale di
SERBATI (si veda) è insussis- tente, benché non sia subbiellivo. L’ente ideale
di SERBATI (si veda) è obbiet- tivo c assoluto, benché si distingua da Dio.
Tassi di FIDANZA (si veda) c di Gersonc sulla visione ideale. Medesimezza del
concreto c dell’astratto, dell'indivi- dualeedel generalenell’ordine dellecose assolute.
Passi del Malebranche e ilei Leibniz sull’ eloquio ideale. Sulla confusione
dell’ essere coll’ esistere. l’asso di VICO (si veda) sul divario, che corre
fra le voci essere ed esistere, e sull’USO
[DISIMPLICATURA, NON SENSO] IMPROPRIO, che ne fa il Descartes. tb. Passi del
Descartes, in cui questo filosofo sinonimo l ’ essere coll’ esistere. Sulla
voce esistenze adoperata nella formula. Sulle nozioni del necessario, del
possibile, del con- tingente, e sui principii, che ne derivano. Ib. Della
dualità ideale. Passo del Malebranche sulla impossibilità di di- mostrare
l’esistenza dei corpi. Sulle convenienze del sistema cartesiano collo Spi-
nozisrno. Passo del Leibniz sullo stesso proposito. Sopra due obbiezioni del
Paulus contro il sistema dello Spinoza. Ib. Cenno sulle tradizioni panteistiche
dei Rabbini. Di una opinione dell' Hegel tolta dal Leibniz.DELIA LNIAERSALITA
SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee contenere
l'organismo degli clementi ideali. l’er conoscere questa orga- nizzazione,
bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. L'enciclopedia
si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle
tre membra della forinola. Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la
forinola. Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si
connettano coi vari termini di quella. Tarala rappresenlalira dell’ albero
enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. Spiegazione generica della
tavola. Della scienza ideale. Della teologia rivelata e della filosofia.
Principato universale della prima. Maggioranza della seconda sulle altre
scienze. Primato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario,
acciò queste siano in fiore. Della teologia universale. Della malemalica. La
inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica. Insufficienza
della filosofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello
spazio. Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la
furinola ideale. Della logica c della morale. Queste due scienze
hannociòdicomune, che appartengono al termine medio della forinola. Della
logica in particolare, e delle varie sue parti. Dell’ etica in ispccie. Dei due
cicli creativi, e dei loro riscontri. Convenienze, ebe corrono fra loro. Della
legge morale. Dell’ imperativo. Del dovere, e del diritto. Dei tre momenti
dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. Della
pena eterna. Della cosmologia. Versa nel
terzo membro della forinola. Dei due cicli generativi. Varie sintesi, di cui si
compongono. Dell’ordine dell’ universo Del concetto teleologico. L’ idea di
fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Dell' estetica. Del sublime e del
bello. Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for-
inola. Del maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal
psicologismo cartesiano. Quindi i suoi vizi. Gli statisti odierni non hanno
veri principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. I difetti della
teorica hanno luogo del pari nella pratica. Del governo rappresentativo.
Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. Due
sistemi dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso. Suc- cessione
storica del sistema ortodosso. La libertà licenziosa e il dispotismo sono due
dottrine recenti c sorelle. Gloriose me- morie della seconda epoca del medio
evo. La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. Dell’
apoftegma di MACHIAVELLI (si veda), che le «istituzionisi debbonoritirare versoi
loroprin- cipii. In che senso sia vero, Rendici influssi del Papato nella
civiltà delle nazioni. Danni fatti alla medesima dall’Imperio. Di GIULIO (si
veda) Cesare, institutore della tirannide imperiale. Conuessità della licenza c
del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Descartes. Della idealità delle
nazioni. L’ Idea è fonte del di- ritto. Attinenze del dovere col diritto, e
delle varie specie loro. Della sovranità. La sovranità assoluta è l’Idea. Della
sovranità relativa e ministeriale. Non si trova in separato nel governo o nel
popolo. La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. liosì anche il
potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui
si tramanda c perpetua di generazione in
generazione. Forinola della poli- tica. l.a Immissione della sovranità dee
essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. Se tutti i
cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio
universale. l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a
costituirlo. Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. l.a
perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla
sufficienza elettiva. Dei due cicli generativi della politica. 11 sovrano non
può inai farsi da se in nessun caso. Della distribuzione della sovranità fra i
cittadini. Ogni potere sovrano è divino. Nello stato primitivo delle nazioni la
sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui, nè pareggia lafratullii
cittadini. n- violabilità del potere sovrano. Delle rivoluzioni, e delle con-
trarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto questinomi. La vera
rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita.
La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. Lo stato
politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. La
mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. L'inves- titura
della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. È
inviolabile, come il dominio privato. Il potere ereditario, e la capacità
elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. Delle corti. Conformità
della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del
potere sovrano. 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due
forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. L’idea divina è la
suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’ idea divina. L’ontologismo
non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. Iddio è
l'Intelligibile: è l’alfa e l’omega della scienza. Si termina, riandando il
primato dell’ idea divina nelle varie parti della filosofia. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale.
La conservazione della forinola è opera della rivelazione. Definizione di
questa. Suoi diversi periodi. La confusione della filosofia colla religione
nocque in ogni tempo alla scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti
cogli antichi. Del razionalismo teologico fiorente al di d’oggi. Si divide in
due parti. Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di-
fetto di canonica. Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e
di veri. Sua vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismo è un veronaturalismo. Delsovrannaturale:
sua definizione. Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. Possibilità e
convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordine sovrannaturale.
L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. Nullità sintetica c
filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo è la religione
universale. Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. Sua singolarità.
Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristianesimo. Accordo di
questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello
Strausse. Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita.
La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. Delle prove
interne della rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la
parola esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione
deli’ Idea, che vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua
mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ ingegno umano.
Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo
le varie ragioni. Della inspi- razione dei libri sacri. Sua definizione,
natura, estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. L’
ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivela-
zione. Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. Eccellenza delle
nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapetici: loro divario dai
Semiti. Delle nazioni madri. Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea
perfetta, prima di Cristo. Dei fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica
ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa distinzione. Della
ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica,
essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. Ragioni, in cui
si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese
esso- terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. L’ alternativa dell’
acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella
storia dell’ Idea rivelata. Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’
immortalità degli animi umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro
angelologia, e il dogma della ri- surrezione. Del sensismo proprio dei
razionalisti. Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle
credenze. Attinenze reciproche della dottrina essoterica. Differenze, che correvano,
per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. Del figuralismo ebraico.
Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal
sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. I,a formola ideale e il
letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’
Israeliti.DELL’ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato
primitivo degli uomini. La storia delle religioni non comincia dal sensismo.
Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura
primitiva. Vicende civili delle nazioni. Cinque forme successive di stato e di
reggimento politico. Anomalie storiche nell’ effetluazione di esse. Del
patriarcato. Dello stato castale : sua origine. Del predominio dei sacerdoti :
sua legittimità. Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio
ieratico. I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. Effetti
salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio
conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. In
che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine.
La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi
della filoso- fìa gentilesca. Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo.
Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale: oscurità ,
confusione , dimezzamento e disorganazione. Ca- gioni dell' alteramente :
predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c
dell’ essoterismo sull' acroamatismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’
unità universale. Del culto dei felissi. Di un doppio moto contrario,
regressivo e progressivo, delle instituzioni religiose. Esempi. Quattro epoche della
cognizione ideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. Se nel vario
e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come? Tavola
delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari
stati psicologici dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell'epoca
intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. Il mal morale consiste nella negazione
del secondo ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato
in- tuitivo. L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. Dell’ epoca
immaginativa. Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa
epoca. Indole poco scientifica dell’ emanatismo. Sua formola. Due sorti d’
emanatismo : psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli emanatisti.
Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. Dell’ androginismo,
e delle dee madri ; loro connessione coll’ emanatismo. I fautori di questo
sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. Del sincretismo emanatistico.
Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione. Delcicloremanativo: sua natura.
Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. Pelle varie età cosmiche,
secondo i inili di molti popoli Gentili. Come l’ ottimismo e il pessimismo si
accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. Degli «talari, delle teofanie o
logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrin -
telligibile si trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato
dall'emanatismo. Sua indole, e sue varie forme. Tutti i popoli politeisti conservano
una reminiscenza della unità ideale. Dell' idolatria : sua natura. Pel
panteismo: è una riforma ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico
non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. L’emanatismo e il
panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma
fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali
del panteismo. Universalità del panteismo nel regno dell’errore. Tutti i falsi
sistemi vi si riferiscono. Qual sorta di progresso possa avere Terrore, Varie
forme del panteismo. Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato
castale. Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. Dell’ ateismo. Questo
sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia
secolaresca. Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. Pel so-
vrintelligibile. Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici
filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della
Grecia. Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il
sovrintelligibile. Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo
libro. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. Del tempo c dello
spazio, secondo il processo ontolo- gico. Tassi del Leibniz e del Malebranche
sul tempo e sullo spazio Della importanza, che la religione dà alla vita
temporale. .Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune
dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. Errori di un
giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in
tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. Dei vari sistemi sulla natura
delle esistenze. Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di
causalilà. Del traffico degli schiavi
negli Stali Uniti. Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba
attribuire al Cristianesimo? Sull’ origine della sovranità in alcuni casi
particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può
dimostrare l’esistenza di Dio. L’idea di Dio non è solamente negativa. Sulla
voce ritelazionc. Di varie spezie del razionalismo teologico. miracoli
posteriori Dei allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malehranchc
sull'idealità del Cristianesimo. l’asso del Leibniz sulla rivelazione. Sulla
credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. Si esamina
la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza
degli angeli. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla
essoterica. Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma,
mito e simbolo zcndico. Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e
non L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. Del panteismo ili Ulrico
Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del razionalismo
teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana
col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4DELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA
DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee contenere l'organismo degli
clementi ideali. l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare
essa forinola coll'albero enciclopedico. L'enciclopedia si compone di tre
parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della
forinola. Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. Dell’
ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi
vari termini di quella. Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico,
confórme all’organismo ideale. Spiegazione generica della tavola. Della scienza
ideale. Della teologia rivelata e della filosofia. Principato universale della
prima. Maggioranza della seconda sulle altre scienze. Primato dell’ontologia
fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore.
Della teologia universale. Della
malemalica. La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.
Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del
tempo e dello spazio. Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro,
mediante la furinola ideale. Della logica c della morale. Queste due scienze
hannociòdi comune, che appartengonoal terminemediodella forinola. Della logica in particolare, e
delle varie sue parti. Dell’ etica in ispccie. Dei due cicli creativi, e dei
loro riscontri. Convenienze, ebe corrono fra loro. Della legge morale. Dell’ imperativo. Del dovere, e del diritto.
Dei tre mo- menti dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal lisico, che ne
conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa nel terzo membro della
forinola. Dei due cicli generativi. Varie sintesi, di cui si compongono.
Dell’ordine dell’ universo Del concetto teleologico. L’ idea di fine ci è
somministrata dal ciclo creativo. Dell' estetica. Del sublime e del bello.
Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. Del
maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo
cartesiano. Quindi i suoi vizi. Gli statisti odierni non hanno veri principii,
perchè mancano della cognizione ideale. I difetti della teorica hanno luogo del
pari nella pratica. Del governo rappresentativo. Originato dal Cristianesimo;
vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. Due sistemi dilibertàpolitica:
l’unoeterodosso, c l’altro ortodosso. Suc- cessione storica del sistema
ortodosso. La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c
sorelle. Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. La civiltà
moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. Dell’ apoftegma di MACHIAVELLI
(si veda), che le«istituzionisi debbono ritirare verso i loro principii. In che
senso sia vero, Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. Danni
fatti alla medesima dall’Imperio. Di GIULIO (si veda) CESARE, institutore della
tirannide imperiale. Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine
di Lutero e del Des- cartes. Della idealità delle nazioni. L’ Idea è fonte del
diritto. Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. Della sovranità.
La sovranità assoluta è l’Idea. Della sovranità relativa e ministeriale. Non si
trova in separato nel governo o nel popolo. La società non è d’istituzione
umana, ma divina. liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo
potere, intorno al modo, con cui si tramanda
c perpetua di generazione in generazione. Forinola della politica. l.a
Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della
scienza ideale. Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici?
Assurdità del suffragio uni- versale. l.a capacità dee accompagnare il potere
sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere indipen-
dente dai sudditi. l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del
potere tradizionale colla sufficienza elettiva. Dei due cicli generativi della
politica. 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. Della
distribuzione della sovranità fra i cittadini. Ogni potere sovrano è divino.
Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno
opochissimiindividui, nèpareggialafratullii cittadini. Inviolabilità del potere
sovrano. Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni:
checosasidebbaintenderesottoquestinomi. La vera rivoluzione, essendo
l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. La vera
contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. Lo stato politico
di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. La
monarchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. L'inves- titura della
sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. È inviolabile,
come il dominio privato. Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano
del pari alla civiltà dei popoli. Delle corti. Conformità della nostra sentenza
colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. 1
fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche
corrispondenti ai due cicli ideali. L’idea divina è la suprema forinola
enciclopedica. Universalità dell’ idea divina. L’ontologismo non è un metodo
ipotetico, come quello dei psicologisti. Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e
l’omega della scienza. Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle
varie parti della filosofia. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La
conservazione della forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa.
Suoi diversi periodi. La confusione della filosofia colla religione nocque in
ogni tempo alla scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi.
Del razionalismo teologico fiorente al di d’oggi. Si divide in due parti. Suoi
fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica.
Il razionalismo confonde insieme i vari ordini di fatti e di veri. Sua
vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismoèunvero naturalismo. Delsovrannaturale:
sua definizione. Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. Pos- sibilità e
convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordine sovrannaturale.
L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. Nullità sintetica c
filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo è la religione
universale. Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. Sua singolarità.
Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. Accordo
di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello
Strausse. Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita.
La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. Delle prove
interne della rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la
parola esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione
deli’ Idea, che vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua
mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno
umano. Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione,
secondo le varie ragioni. Della inspi- razione dei libri sacri. Sua
definizione, natura, estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei
razionalisti. L’ ermeneutica di questi
si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivela- zione. Della
predestinazione degl’ individui c dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle
lingue semitiche. Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. Delle nazioni
madri. Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. Dei
fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed esso- terica. Fondamento
naturale, e universalità di questa distinzione. Della ordinazione civile e
religiosa degl’ Israeliti. Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza
secreta, acroamatica e tradizionale. Ragioni, in cui si fondava questa
distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese esso- terica la
scienza acroamatica degl’ Israeliti. L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell'
essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea
rivelata. Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi
umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma
della ri- surrezione. Del sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del loro
metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. Attinenze reciproche
della dottrina essoterica. Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra
gl' Israeliti e i Gentili. Del figuralismo ebraico. Non è un trovato recente
degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig. Salvador delle
instituzioni mosaiche. I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso
della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. OEll’ ALTERAZIONE
(IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. La
storia delle religioni non comincia dal sensismo. Per quali cagioni diminuisse,
o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. Vicende civili delle
nazioni. Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. Anomalie
storiche nell’ effetluazione di esse. Del patriarcato. Dello stato castale :
sua origine. Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. Genio religioso
delle società costituite sotto l'imperio ieratico. I sacerdoti autori
principali della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro influenza
nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica
dottrina acroamatica fondò l’essoterica. In che modo la mitologia e la
simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica dell’
acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca.
Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui passò
l’alterazione della formola ideale: oscurità, confusione, dimezzamento e
disorganazione. Cagioni dell' alteramente : predominio del senso e della
fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa-
matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. Del culto
dei felissi. Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle
instituzioni religiose. Esempi. Quattro epoche della cognizione ideale:
intuitiva, immaginativa, sensitiva e astrattiva. Se nel vario e successivo
alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come? Tavola delle
trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici
dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell'epoca intuitiva; come
l’uomo ne sia sca- duto. Il mal morale consiste nella negazione del secondo
ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo.
L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. Dell’ epoca immaginativa.
Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. Indole
poco scientifica dell’ emanatismo. Sua formola. Due sorti d’ emanatismo :
psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli emanatisti. Della loro
dualità primordiale, c delle dualità successive. Dell’ androginismo, e delle
dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. I fautori di questo sistema
confondono la teogonia colla cosmogonia. Del sincretismo emanatistico. Dei due
cicliditaldottrina: l’emanazione. Delcicloremanativo: sua natura. Corrompe la
morale, e introduce il pessimismo. Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di
molti popoli Gentili. Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme
nel sistema degli emanalisti. Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie
permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrin - telligibile si
trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato dall'emanatismo. Sua
indole, e sue varie forme. Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza
della unitàideale. Dell' idolatria : sua natura. Pel panteismo : è una riforma
ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico non poli- essere il primo
sistema nella via dell’ errore. L’emanatismo e il panteismo sono
sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e
poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali del panteismo.
Universalità del panteismo nel regno dell’errore. Tutti i falsi sistemi vi si
riferiscono. Qual sorta di progresso possa avere Terrore, Varie forme del
panteismo. Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale.
Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. Dell’ ateismo. Questo sistema
non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. Si
rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. Pel so- vrintelligibile.
Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti,
salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. Pei
tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile.
Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. Sulle
denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. Del tempo c dello spazio, secondo il
processo ontolo- gico. Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo
spazio. Della importanza, che la religione dà alla vita temporale. Degli
attributi divini ontologicamente considerati. Di alcune dottrine erronee sulla
bontà e pravità degli atti umani. Errori di un giornalista francese sull’ amor
di Dio. influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’
azione umana. Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. Sull’ infinità del
mondo. Sugli assiomi di finalità e di causalilà. Del traffico degli schiavi
negli Stali Uniti. Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba
attribuire al Cristianesimo? Sull’ origine della sovranità in alcuni casi
particolari. Dell’ orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare
l’esistenza di Dio. L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce
ritelazionc. Di varie spezie del razionalismo teologico. miracoli posteriori
Dei allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malehranchc sull'idealità
del Cristianesimo. l’asso del Leibniz sulla rivelazione. Sulla credenza
antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. Si esamina la
dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli
angeli. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. Sul
fatto di Babele. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo
zcndico. Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non L’antropomorfismo è il psicologismo
essoterico. Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi
alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici.
Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col
fatalismo. AMDELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola
razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. l’er conoscere
questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero
enciclopedico. L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e
matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. Della filosofia
in ispecie : si stende per tutta la forinola. Dell’ ontologia, psicologia,
logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella.
Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo
ideale. Spiegazione generica della tavola. Della scienza ideale. Della teologia
rivelata e della filosofia. Principato universale della prima. Maggioranza
della seconda sulle altre scienze. Pri- mato dell’ontologia fra le varie
discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. Della teologia
universale. Della malemalica. La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la
filosofia c la fisica. Insufficienza della filosofia moderna, per dare una
teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. Dichiarazione di queste due
idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. Della logica c della
morale. Queste due scienze hannociòdicomune, che appartengono al termine medio della forinola. Della logica in particolare, e
delle varie sue parti. Dell’ etica in ispccie. Dei due cicli creativi, e dei
loro riscontri. Convenienze, ebe corrono fra loro. Della legge morale. Dell’
imperativo. Del dovere, e del diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del
mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. Della pena eterna. Della
cosmologia. Versa nel terzo membro della forinola. Dei due cicli generativi.
Varie sintesi, di cui si compongono. Dell’ordine dell’ universo Del concetto
te- leologico. L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Articolo
qlirto. Dell' estetica. Del sublime e del bello. Delle varie loro specie, c del
modo, in cui si connettono colla for- inola.Del maraviglioso. Della politica.
La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. Quindi i suoi vizi. Gli
statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione
ideale. I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. Del governo
rappresentativo. Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai
cattivi filosofi. Due sistemi di libertà politica: l’uno eterodosso, c l’altro ortodosso.
Suc-cessione storica del sistema ortodosso. La libertà licenziosa e il
dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. Gloriose me- morie della
seconda epoca del medio evo. La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei
liassi tempi. Dell’ apoftegma del Ma- chiavelli, che le istituzioni si debbonoritirare
versoi loro principii. In che senso sia vero, Rendici influssi del Papato nella
civiltà delle nazioni. Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. Di Cesare, institutore
della tirannide imperiale. Conuessità della licenza c del dispotismo colle
dottrine di Lutero e del Descartes. Della idealità delle nazioni. L’ Idea è
fonte del di- ritto. Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie
loro. Della sovranità. La sovranità assoluta è l’Idea. Della sovranità relativa
e ministeriale. Non si trova in separato nel governo o nel popolo. La società
non è d’ «istituzione umana, ma divina. liosì anche il potere sovrano. Due doti
essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda 461 c
perpetua di generazione in generazione. Forinola della politica. l.a Immissione
della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza
ideale. Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici?
Assurdità del suffragio uni- versale. l.a capacità dee accompagnare il potere
sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere indipen-
dente dai sudditi. l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del
potere tradizionale colla sufficienza elettiva. Dei due cicli generativi della
politica. 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. Della
distribuzione della sovranità fra i cittadini. Ogni potere sovrano è divino. Nello
stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno o pochissimi
individui, nè pareggia la fratullii cittadini. Inviolabilità del potere
sovrano. Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: che cosa si debba intendere
sotto questi nomi. La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una
sovranità le- gittima, è sempre illecita. La vera contrarivoluzione c onesta,
se non è violenta c tumultuaria. Lo stato politico di un popolo dee
corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. La mo-narchia è necessaria
al dì d'oggi alla libertà europea. L'investitura della sovranità in una
famiglia è subordinata alla salute pubblica. È inviolabile, come il dominio
privato. Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla
civiltà dei popoli. Delle corti. Conformità della nostra sentenza colla
dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. 1 fautori
della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche
corrispondenti ai due cicli ideali.
L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’
idea divina. L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei
psicologisti. Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. Si
termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della
filosofia. . de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione
della forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa. Suoi diversi
periodi. La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo
alla scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. Del
razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi.Si divide in due parti. Suoi
fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica.
Il razionalismo confonde insieme i vari ordini di fatti e di veri. Sua vecchiezza.
Dei Doceti. Il razionalismo è un vero naturalismo. Del sovrannaturale: sua
definizione. Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. Possibilità e
convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordine sovrannaturale.
L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. Nullità sintetica c
filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo è la religione
universale. Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. Sua singolarità.
Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristianesimo. Accordo di
questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello
Strausse. Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. Il Cristianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. La
civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. Delle prove interne
della rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la parola
esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione
deli’Idea, che vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua
mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ingegno umano.
Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo
le varie ragioni. Della inspirazione dei libri sacri. Sua definizione, natura,
estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. L’ ermeneutica di
questi si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivelazione. Della
predestinazione degl’ individui c dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle
lingue semitiche. Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. Delle nazioni
madri. Degl’ Israeliti ; conservatori dell'Idea perfetta, prima di Cristo. Dei
fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed esso- terica. Fondamento
naturale, e universalità di questa distinzione. Della ordinazione civile e
religiosa degl’ Israeliti. Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza
secreta, acroamatica e tradizionale. Ragioni, in cui si fondava questa
distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese essoterica la scienza
acroamatica degl’ Israeliti. L’alternativa dell’ acroamatismo e dell'
essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea
rivelata. Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli
animi umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il
dogma della ri- surrezione. Del sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del
loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. Attinenze
reciproche della dottrina essoterica. Differenze, che correvano, per questo
rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. Del figuralismo ebraico. Non è un
trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig.
Salvador delle institu- zioni mosaiche. I,a formola ideale e il letragramma,
erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti.
1ì>5 lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. La storia delle
religioni non comincia dal sensismo. Per quali cagioni diminuisse, o si
spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. Vicende civili delle nazioni.
Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. Anomalie storiche
nell’ effet- luazione di esse. Del patriarcato. Dello stato castale: sua
origine. Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. Genio religioso delle
società costituite sotto l'imperio ieratico. I sacerdoti autori principali
della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro influenza nelle colonie
antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina
acroamatica fondò l’essoterica. In che modo la mitologia e la simbolica po-
tessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica dell’ acroamatismo
produsse la filosofìa. Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. Riscontri
dell' antico e del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui passò l’alterazione
della formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione.
Cagioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza
del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroamatismo ; dispersione
dei popoli, e perdita dell’ unità universale. Del culto dei felissi. Di un
doppio moto contrario, regressivo e progressivo, delle instituzioni religiose. Esempi.
Quattro epoche dellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e
astrattiva. Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i
suoi tre membri, c come? Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo
ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano.
Dichiarazione della tavola. Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca-duto.
Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. Dei mezzi
sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. L’essoterismo fu
l’occasione della perdita di esso. Dell’ epoca immaginativa. Del naturalismo
fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. Indole poco scientifica
dell’ emanatismo. Sua formola. Due sorti d’ emanatismo : psicologico e
cosmologico. Dottrina dinamica degli emanatisti. Della loro dualità
primordiale, c delle dualità successive. Dell’ androginismo, e delle dee madri
; loro connessione coll’ emanatismo. I fautori di questo sistema confondono la
teogonia colla cosmogonia. Del sincretismo emanatistico. Dei due
cicliditaldottrina: l’emanazione. Del ciclo remanativo: sua natura. Corrompe la
morale, e introduce il pessimismo. Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di
molti popoli Gentili. Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme
nel sistema degli emanalisti. Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie
permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrin - telligibile si
trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato dall'emanatismo. Sua
indole, e sue varie forme. Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza
della unitàideale. Dell' idolatria : sua natura. Pel panteismo : è una riforma
ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico non poli- essere il primo
sistema nella via dell’ errore. L’emanatismo e il panteismo sono
sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e
poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali del panteismo.
Universalità del panteismo nel regno dell’errore. Tutti i falsi sistemi vi si
riferiscono. Qual sorta di progresso possa avere Terrore Varie forme del
panteismo. Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale.
Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. Dell’ ateismo. Questo sistema
non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. Si
rigetta l’opinione di un ateismo indico antichissimo. Pel sovrintelligibile.
Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti,
salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’Italia c della Grecia. Pei
tentativi antichi c moderni, per riedificare umanamente il sovrintelligibile.
Si conchiude, accennando brevemente il tema. Sulle denominazioni moderne dell’
lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo
ontologico. Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della importanza, che la religione dà alla
vita temporale. Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di
alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di
un giornalista francese sull’ amor di Dio. influenza della colpa primitiva in
tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. Dei vari sistemi sulla natura
delle esistenze. Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di
causalilà. Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. Se l’ abolizione della
schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? Sull’ origine
della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. Sui
diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L’idea di Dio non è
solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. Di varie spezie del
razionalismo teologico. miracoli posteriori Dei allo stabilimento del
Cristianesimo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. l’asso
del Leibniz sulla rivelazione. Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella
ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la dottrina filosofica dello
Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1
razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. Sul fatto di
Babele. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. Nei
culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non L’antropomorfismo è il psicologismo
essoterico. Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi
alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze
della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. DELLE
CONVENIENZE DELLA FORIOLA IDEALE COLLA RELIGIONE RIVELATA. Scusa dell’ autore.
Il sovrintelligibile e il sovrannaturale sono i due perni della religione.
Analisi del primo. Si escludono le false origini, che si possono assegnare al
concetto, che Io rap- presenta. Della sovrintelligenza. In che consista la
natura speciale di questa facolti. Sua analogia coll’istinto. Del sentimento,
che l’uomo ha delle sue potenze non esplicate. Definizione delia
sovrintelligenza. Come il concetto negativo del sovrintelligibile nasca da
questa facoltà. Obbiettività del so- vrintelligibile ; adombrata dalla
filosofia orientale. Analogia del sovrintelligibile col numeno di Emanuele
Kant: sbaglio del criticismo. Dei sovrintelligibili naturali. Attinenze del so-
vrintelligibile cogl’ intelligibili. Come il sovrintelligibile debba essere
riconosciuto e rispettato dalla filosofia. Dei sovrintelligibili rivelati. Loro
importanza, e armonia coi dogmi razionali. I sovrintelligibili della
rivelazione hanno un margine indeterminato. Del sovrannaturale. In che
consista, e sue attinenze colla formula. Connessione del suo concetto colla
magia dei popoli pagani. Varie spezie di sovrannaturale. Necessità dell’ idea
di sovrannaturale per la filosofia della storia : sua importanza per la
filosofia in genere. Il sovrannaturale appartiene al secondo ciclo creativo :
sue relazioni con esso. Dimostrazione a priori della realtà dell' ordine
sovrannaturale. L’ alterazione di quest' ordine costituisce il regresso.
Della forinola sovrannaturale : sua corrispondenza colla
razionale. Del ciclo cristiano : sua risoluzione. Della Chiesa; com' ella sia
il perno dell’ incivilimento. Del sincretismo delle sette cristiane eterodosse,
e della idolatria rinnovala per opera loro. Confutazione di un passo del sig.
Guizot sull’ unità religiosa. Della superstizione : in che consista. Del
processo a priori della fede cattolica. Due cicli rivelativi corrispondenti ai
due cicli creativi. Necessità della fede per ben filosofare. La fede sola
colloca l’uomo nel suo stato naturale. Ragionevolezza della disciplina
cattolica. L’ educazione ideale è impossibile fuori di essa. Lo scetticismo
esclude la vera grandezza, anche umana, dell’ ingegno. La fede è libera, e in
ciò consiste il suo merito. Tre doti della fede cattolica, utilissime all'uomo e
al filosofo. Efficacia di questa virtù, per avvalorare l' ingegno ontologico.
Quanto all’ abito ontologico conferisca la credenza del sovrannaturale. Tutte
le virtù teologali influiscono profittevolmente nell’uomo pensante e operatore.
Della vera misticità, e sue differenze dalla falsa. Empietà dell’ autonomia
razionale. Necessità della fede per la conservazione dei principii ideali. L’incredulità
moderna è la cagione precipua della debolezza degli animi c degl’ingegni. Utilità
dei misteri in genere per l’abito filosofico. Si considerano, per questo
rispetto, alcuni misteri in particolare. Della predestinazione, e della
eternità delle pene. Della inviolabilità scientifica della teologia. Di certi
novellini teologi, e della temerità loro. L’invenzione nelle cose ideali è
impossibile. Della giovinezza perpetua del Cristianesimo cattolico. Di una
certa classe di gementi, che credono morta o moriente la religione: si combat-
tono i loro timori. Della larghezza dell’ Idea cattolica: sua utilità per le
scienze in generale. Necessità della filosofia per far fiorire la teologia,
come scienza. La teologia e la filosofia hanno bisogno l’una dell’altra. Delle
cagioni, per cui la teologia cattolica c scaduta dal suo antico splendore. Il
clero cattolico dee essere un concilio di sapienti. Dee coltivare specialmente
le scienze filosofiche. Dell’acroamatismo ieratico, ch'egli si dee proporre. I
laici che coltivano la filosofia, debbono incominciare una nuova era razionale,
sotto la sovranità intellettiva della Chiesa. La filosofia eterodossa, che
regnò finora, è morta per sempre. Si concbiude esortando gl' Italiani a
intraprendere l’ instaurazione delle scienze speculative. Sulla voce essenza.
Del sovrintelligibile presso i filosofi eterodossi. Attinenze del
sovrannaturale col sovrintelligibile. Del sovrannaturale iniziale c finale del
Cristianesimo. Del sovrannaturale transitorio o continuo. Su alcuni passi di Guizot.
Sopra un cenno teologico del sig. Nisard. Sul fatto morale della
giustificazione. Sulle varie epoche filosofiche della storia. Delle idee
pure.Sul valore teologico dei razionalisti tedeschi. Il decadimento della
filosofia prova la verità del cat- tolicismo.Grice: “Italians find it harder
than the Germans to conceal their nationalism. Hegel is studied everywhere, but Gioberti is felt to
be TOO Italian, and he is. There are not two sentences in Gioberti that do not
mention Italy! Hegel could philosophise on being (the absolute being is the
King of Prussia) – but philosophers elsewhere took his remarks in a generalized
way, not a German way. Unlike with Gioberti, who cannot hide his ‘italianita’.
The fact that Mussolini wrote on him did not help. And that, along with
Gentile, and the Italian mainstream intelligentsia, the Italian risorgimento is
only a stone’s throw away from Fascism!” Grice: “Lorenzo Giusso, whom I like,
wrote a bio of Gioberti which I thought the best, it’s in Vita e Pensiero, and
in the series, “UOMINI DEL RISORGIMENTO” Gives him sense!” -- Vincenzo
Gioberti. Gioberti. Keywords: del bello, estetico,
il bello, metessi, implicatura metessica – mimesi – Plato on mimesis and
metexis, protologia, ontologismo, statua all’aperto, Milano – nella serie
uomini del risorgimento, bruno, gentile. -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Gioberti," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia
Grice e Gioia: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- filosofia ad uso de’ giovanetti – filosofia piacentina –
scuola di Piacenza -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Piacenza). Filosofo piacentino. Filosofo italiano. Piacenza,
Emilia-Romagna. Grice: “I joked with the maxim, ‘be polite’ – surely it’s
difficult to make that universalisable into the conversational categoric
imperative (‘be helpful conversationally) – but apparently Italians are less
Kantian than I thought!” -- Grice: “I love Gioia; he is like me, an economist
when it comes to pragmatics – see my principle of ECONOMY of rational effort; I
studied thoroughly his fascinating account about the origin of language, before
I ventured with my pritological progressions!” Dopo gli studi nel Collegio Alberoni veste l'abito
talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero tutt'altro che
ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo di JBentham,
dell'empirismo di Locke e del sensismo
di Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero di
Giansenio. Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni
politiche. Vince il concorso bandito dalla Società di Pubblica Istruzione di
Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità
d'ITALIA", alla quale partecipano 52 concorrenti. La sua dissertazione, in
cui sostiene la tesi di un'Italia libera, repubblicana, retta da istituzioni
democratiche e basata su comuni elementi geografici, linguistici, storici e
culturali, prefigura, come la maggioranza di quelle presentate, l'unità
italiana, benché questa tesi non sia gradita ai francesi che in quel periodo
occupano il nord Italia. La notizia del premio ricevuto gli giunge però in
carcere. Nel frattempo è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a scopo
di lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee
politiche giacobine a renderlo inviso all'autorità. Viene scarcerato grazie,
forse, alle pressioni di Bonaparte, e ripara a Milano. Il Trattato di
Campoformio, con la cessione di Venezia ad Austria da parte della Francia in
cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica Cisalpina, lo spinge però
ben presto a diventare oppositore della Francia. Dopo aver rinunciato al
sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica fonda "Il Giornale
filosofico politico", stroncato dalla rigida censura austriaca per le
posizioni sempre più apertamente patriottiche che Gioja vi sostiene. Dalle
colonne del "Giornale Filosofico Politico" scrive una lettera aperta
al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui denuncia i danni patiti in carcere.
Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi
Ligure e G. viene ARRESTATO NUOVAMENTE dagl’austriaci, per essere scarcerato in
seguito alla vittoria francese a Marengo. Viene nominato storiografo della
Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica "Sul commercio de'
commestibili e caro prezzo del vitto", ispirato dai tumulti per il rincaro
del pane, e "Il Nuovo Galateo". Viene rimosso dalla carica per le
polemiche seguite alla pubblicazione e alla difesa del suo trattato
"Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità, cause, nuova maniera
d'organizzarla" L'apprezzamento per i suoi solidi e realistici studi
di economia e di statistica, ai quali sono prevalentemente rivolti il suo
interesse e la sua attività, gli valgono però la nomina alla direzione del
nascente Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una febbrile attività
fatta di studi corredati da tabelle, quadri sinottici, raffronti demografici,
causa di nuove ed accese polemiche e della rimozione dall'incarico. Tale
attività gli rese uno dei primi studiosi ad applicare i concetti di Statistica
alla gestione economica dei conti pubblici (ad esempio per le tasse, gabelle, e
così via). Grazie alle sue conoscenze statistiche ed economiche elabora
concetti fortemente innovativi per l’epoca che ne fanno il precursore del
moderno dibattito giuridico in materia di risarcimento del danno alla persona
con una concezione che supera la questione patrimoniale. Notissima in
medicina legale la sua regola del calzolaio, che anticipa il concetto di
riduzione della capacità lavorativa specifica: un calzolaio, per esempio,
eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano
che non riesce più che a fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una
fattura di una scarpa e un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli
restano di vita, meno i giorni festivi. E ancora, seppur meno noti, concetti
come: "Ne' casi d'indebolimento o distruzione di forze industri,
considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito
o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell'offeso, noi restiamo
molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può essere riguardata
come Mezzo di sussistenza Mezzo di godimento Mezzo di bellezza Mezzo di
difesa Filosofia della Statistica (libro originale) “Rendendo
paralitico, per es., l'altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico
il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il
mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo
con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si
schernisce da mali eventuali difendendosi". Si tratta di principi
rivoluzionari per l’epoca, forse frutto di quel particolare mix di cultura che
deriva dalla sua formazione che inizia da sacerdote e approda a concezioni
rivoluzionarie; è il primo che riesce a prefigurare nell’uomo non solo una
sorta di macchina che produce reddito, ma anche un soggetto che attraverso
il lavoro realizza la propria personalità. In Italia oltre un secolo e
mezzo dopo, in sede giuridica inizierà il dibattito sul superamento del
risarcimento del mero danno patrimoniale per tener conto degli aspetti
relazionali e dinamici della persona riassunti nel concetto di danno biologico.
Sul filone di queste tematiche gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione
scientifica medico giuridica che raccoglie giuristi, medici legali e
assicuratori. Il "Nuovo Galateo" Testo fondamentale nella
storia dei Galatei, il Nuovo Galateo di G. fu scritto per contribuire alla
civilizzazione del popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo conosce ben tre
edizioni. La prima si sofferma in particolar modo sulla definizione laica di
"pulitezza" – cf. Grice, ‘be polite’ -- intesa come ramo della
civilizzazione, arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti, i
discorsi in modo da rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi. È
divisa in tre parti: "Pulitezza dell'uomo privato", "Pulitezza
dell'uomo cittadino", "Pulitezza dell'uomo di mondo".
Nella seconda edizione, Gioja ridimensiona il concetto di "pulitezza"
come l'arte di modellare la persona, le azioni, i sentimenti, i discorsi in
modo da procurarsi l'altrui stima ed affezione. La vecchia ripartizione è
sostituita da: "Pulitezza Generale", "Pulitezza
Particolare", "Pulitezza Speciale". Nella terza edizione
risale, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza l'importanza del concetto
di "ragione sociale", considerato dall'autore il fondamento etico del
galateo che avrebbe portato felicità e pace sociale mediante le buone maniere.
Fu membro della Loggia massonica "Reale Amalia Agusta" di Brescia,
che prese il nome dalla moglie del principe Eugenio di Beauharnais, primo Gran
Maestro del Grande Oriente d'Italia. A lui è intestata la loggia di Piacenza
all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Crollato il dominio napoleonica,
Gioja produce le sue opere maggiori: il "Nuovo prospetto delle scienze
economiche”; il trattato "Del Merito e delle Ricompense"; "Sulle
manifatture nazionali"; "L'ideologia". Gli ultimi tre libri
vengono messi all'Indice e il suo fecondo lavoro è interrotto da un nuovo
arresto per aver cospirato contro l'Austria partecipando alla setta carbonara
dei "Federati". Dopo quest'ultima peripezia, nonostante i
sospetti da parte del governo austriaco, ha finalmente davanti a sé qualche
anno di serenità e compone la sua ultima opera, "La filosofia della
statistica.” Nel cimitero della Mojazza fra tante ossa ignorate dormono senza
fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre Gioia. Prende il suo nome il Liceo
Classico di Piacenza. Rosmini, suo avversario in politica come in
religione, lo accusò di pretendere di proporre un codice morale, fondato su
principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura richiedeva sussidi
e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le benemerenze nelle
proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiara pubblicamente un
"ciarlatano". Altre opera: Del merito e delle ricompense,
Filadelfia, s.n., Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici, Nuovo
Galateo, Il Nuovo prospetto delle scienze economiche, Distribuzione delle
ricchezze, Milano, presso Pirotta in santa Radegonda, G., Produzione delle
ricchezze, Milano, presso Pirotta in
santa Radegonda, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa
Radegonda, G., Azione governativa sulla produzione, distribuzione, consumo
delle ricchezze, Milano, presso Pirotta in santa Radegonda, Sulle manifatture
nazionali, Dell'ingiuria, dei danni, del
soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili.
L’Ideologia. Filosofia della statistica. Note: Francesca Sofia nel Dizionario
Biografico degli Italiani. Ettore Rota
nella Enciclopedia Italiana, Cfr. Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di
Napoleone in Rassegna storica del Risorgimento, Fonte: Francesca Sofia,
Dizionario Biografico degli Italiani, rTreccani L'Enciclopedia Italiana,
riferimenti in Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo,
Milano-Roma, Ignazio Cantù, Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno:
Studiato nelle sue vie; passeggiate storiche, Saltini, Salomoni, Stefano Rossi,
Via Emilia. Percorsi inusuali fra i comuni dell'antica strada consolare, Il
Sole, Barucci, Il pensiero economico di G., Milano, Giuffre, Paganella, Alle
origini dell'unità d'Italia: il progetto politico-costituzionale di G., Milano,
Ares, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Pionetti, Melchiorre G.: il progetto politico per un'Italia unita e
repubblicana, Piacenza, Edizioni Lir, Tasca, Galatei. Buone maniere e cultura
borghese nell'Italia, Firenze, Le Lettere, G. (metropolitana di Milano). Treccani
Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, G., in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. fare alcun cangiamento senza
indebolirla. Egli previene così i suoi lettori contro ogni idea di riforma, e
svolge nel loro avimo un timor macchinale contro ogni innovazione delle leggi.
In generale tutte le metafore, i paragoni, le parziali analogie,le somiglianze
superficiali non possono far breccia che nell'animo del volgo. Agl’occhi del
filosofo i paragoni non sono ragioni. Essi possono schiarire una proposizione,
provarla mai. Parlare. Abbiamo veduto che le macchine sono utili e necessarie
al chimico, i telescopi all'astronomo, i disegni al meccanico, le figure al
geometra. Le parole sono forse egualmente utili, egualmente necessarie
all'esercizio del pensiero. Tre oggetti simili mi si presentano facilmente allo
spirito, dice Condillac. Se passo al quarto, sono obbligato, per maggior
facilità, d'immaginare due oggetti da una parte, due dall'altra. Se voglio
fissarne sei, fa duopo che li distribuisca due a due, o tre a tre; crescendo
questi oggetti, la mia vista si confonde, io non posso più numerarli. Al
contrario, se dopo d'averne considerato uno gl’unisco un altro, e a questa
unione appongo il nome “due.” Se a questi aggiungo un terzo, ed allanuova
unione appongo il nome “tre,” e cosi di seguito, caratterizzando con parole
distinte ogni aumento progressivo d'unità, arrivo ad annoverare moltissimi
oggetti facilmente. Alla stessa maniera, se ogoi volta che voglio pensare ad
una persona, sono costretto a richiamarmi ad una ad una tutte le sue qualità,
onde non confonderla con un'altra. Le note tracciate sulle carte di musica
rappresentano i suoni che si eseguiscono dagl’istrumenti. Le parole pronunciate
o scritte rappresentano le idee che si piagono nel l'animo. 1 mi
troverò nel massimo imbarazzo. Siano,a cagione d'esem pio, come segue, le qualità
d'una persona: Fisiche: Sesso maschile, anni: 20, capelli biondi, fronte alta,
cigli biondi, occhi neri, naso lungo, bocca grande, meoto prominente, marca
nera sulla guancia destra, mano sinistra storpia, piede destro zoppo, linguaggio
balbettante, accento francese. Morali = Melanconia, dissolutezza, mancanza alle
promesse, viltà, abitudine alla menzogoa, jocostanza. Civili = Patria, Rodez in
Francia, condizione, awmo gliato, professione, possidente. Se la mia attenzione
deve afferrare tutte queste idee alla volta, si troverà insufficiente al
bisogno; molto maggiore si farà la difficoltà, se per pensare nel tempo stesso
ad altra persona, sono costretto a schierarmi avanti alla mente con egual
melodo tutte le qualità che la caratterizzano. Se al contrario chiamo la prima “Pietro”,
la seconda “Paolo”, potrò facilmente richiamarmi l'una e l'altra, distinguerle
tra di loro, paragonar!e insieme. Queste parole sono poi ancora più necessarie,
allorchè si vogliono esprimere le qualità comuni a molti oggetti, a cagione
d'esempio, le qualità che si trovano in tutti gli u o miniod in tutti gli animali,
il che costituisce le idee astratte, come si disse di sopra, ovvero allorchè si
vogliono esprimere gli oggetti creati dalla nostra mente, come le idee di
gloria, d'infamia, di virtù, di vizio. Sebbene quando pronuncio le parole “uomo”
, animale. non mi si schiarino alla mente tutte le idee elementari che bo unito
a queste parole , cionnonostante ne veggo il TEORIA DELLA SENSAZIONE
porto, ne seolo le differenze, ne scorgo le somiglianze, alla stessa maniera
che sebbene pronunciando i numeri 100,000 e 10,000 non vegga le unità che li
compongono, so però che l'uoo sta all'altro come 100 a 10, ovvero come to a 1,
e conoscendo la maniera con cui questi dumeri sono stati formali, posso, ogni
volta che voglio, separarne le maggiori masse , scendere alle minori, per
arrivare alle minime e fipalmente agli elementi. Supponete che per isbaglio
qualcuno invece di dire che 1000 è decuplo di100, dica che 100 ė decuplo di
1000. Ben tosto l'abitudine chenoi abbiamo acquistata d'attribuire a queste
parole certe relazioni tra di esse, agisce sulloro suono, e cifa scorgere
all'istante l'as surdità dell'accennata proposizione. Il linguaggio si è per
rap 141 noi come quelle traccie che il piede del viaggiatore imprime
sull'arena di un vasto deserto, le quali lo guidano, quand'egli voglia,al punto
doode parti. Una parola che nella sua origine e un nome proprio, divenne
insensibimente un nome appellativo. Può in conse guenza accadere in forza delle
associazioni ideali e sentimen tali che uo nome generaleri chiami uno degli
individui ai quali s'applica. Ma lungi che ciò sia necessario alla forza del
raziocinio, è sempre una circostanza che tende ad illuderci.Si può paragonare
uno spirito che ragiona ad un giudice che deve decidere tra contendenti. Se il
giudice non conosce se non le loro relazioni al processo, s' egli ignora i loro
pomi, s'egli li designa per lettere dell'alfabeto o pe’nomi fittizi di Tizio, Cajo,
Sempronio, egli è quasi necessaria mente imparziale. Cosi in una serie di ragionanenti
noi corriamo medo rischio diviolare le regole della logica, allorchè la nostra
attenzione si fissa sui semplici segni,e quando l'immaginazione, presentandoci
oggetti individuali, non esercita sulnostro giudizio la sua influenza e non
viene a sedurci con accidentali associazioni. Le parole facilitano vie
maggiormente l'esercizio del pen iero quando il loro suono imita il suono della
cosa espressa, come sono le parole belato, cigolio, scricchiolare. Anche le
parole tracotante, orgoglioso, baldanzoso. Colle vocali piese rinfiancate dalle
acconce consonanti, e colla moltiplicità delle sillabe spirano una cerla
audacia di suono analoga all'indole dell'oggelto che esprimono. Anche quando
accennano l'uso o la proprietà della cosa indicata; cosi Fieberrinde o scorza
della febbre nel linguaggio tedesco, che accenna l'uso e laproprielà di questo
vegetabile, é preferibile alla parola Quinquina. Per la stessa ragione le
parole cui il nuovo stile indica i mesi nell’anno, hanno più pregi che quelle
dell'antico: fiorile ossia il mese de ' fiori, vendemmi atoreossia il mese della
vendemmia, sono nomi ben più espressivi che maggio e ottobre. ATTENZIONE E RAZIOCINIO.
Al contrario, allorchè si dà il nome di Pino del Nord al'albero prezioso che tutte
le nazioni maritti meriguardano come migliore per le alberature , si fa
supporre che questi bei pininon possono crescere s e donne'climi glaciali,
mentre trovansi nella Lituania, in altre provincie più meridionali, in quelle
stesse i cui fiumi corrono verso il Mar Nero. La parola Gallo d'India
rammentando che questo ani male è natio d'America, e ignoto ai Romani , venne
uel l'Europa del 16.° secolo, è per più titoli preferibile all'insignificante
parola “pollo”. Coquetterie in francese (civetteria) rappresenta al vivo il carattere
d'una donna galante, che tiene a bada mille amanti, a guisa d’no gallo che
vezzeggia cento galline ad un tempo. Al contrario allorchè gl’antichi chimici ci
parlavano del fegalo di zolfo, del butirro d’antimonio dei fiori di zinco. Spingevano
il pensiero sopra immagini non applicabili agli oggetti che volevano iudicare.
Anche quando le parole serbano tra di esse un cerlo rapporto costante, come
leparole quaranta, cinquanta, sessan ta, sellanta, Ollanta, novanta, ciascuna
delle quali avendo la stessa desinenza , è formata dalla moltiplicazione del
fat. comune dieci, ne'numeri naturali quattro, cinque, sei. Dello stesso ordine
progressivo de numeri nalurali. Siano i nomi delle nuove misure Myriametro
uoilà di Kilometro unità di Ectometro unità di L'influenza del linguaggio sulle
operazioni del pensiero si scorge sulla nazione Chinese. La quale, a fronte
delle altre incivilite, TEORIA DELLA SENSAZIONE 0.01 di metro Centimetro
unità di 0.001 di metro Si vede che dalla massima alla minima misura v'è una
progressione decrescente che segue la stessa legge, di modo che essendo data
una di esse, si possoo ritrovare le prece deotie lesus seguenti. Al contrario leantichemisuredipo
sla, lega, lesa, pertica, passo geometrico, passo ordinario, braccio, auna, piede,
pollice, linea, punto....non es sendo crescenti o decrescenti nella stessa proporzione,
D00 aveodo tra di esse rapportocomune, confondono la memoria, e colla notizia
d'una di esse non si può giungere alla cognizione d'alcun'altra. Dicasi lo
stesso delle altre misure e de'pesi puovi ed antichi, calcolati I primi in
ragione decupla e costante, i secondi senza nessuna ra gione graduata e
regolare. Cesarolti. tore Decimetro unità di 0.1 di metro Metro upità di 10
metri 10,000 metri 1,000 metri Decametro 100 metri unità di diritla,ne
avrò ildoppio in questa. Dimando qual è il u nunero de'gettoni che avevo da
principio in ciascuoa 6 mano? Qui si banno due condizioni note, o , per parlare
« come i malematici, due dati; l'uno, che se fo passare 6 un gellone dalla
diritta alla sinistra , ne avrò egual o u u mero in ambe le mani; l'altro che
se lo fo passare dalla « sinistra alla diritta, ne avrò il doppio in questa.
Ora roi «vedete,che,s'eglièpossibiletrovareilnumero ch'iovi u dimando , ciò non
può farsi, se non osservando le relazioni che haono i dati fra loro; e
comprendete che tali « relazioni saranno più o meno sensibili, secondo che i
dali « saranno espressi in un modo più o meno semplice. quan u do le si toglie
un gellone , è eguale a quello che avete u nella sinistra, quando a lei se ne
aggiunge uno , esprime « reste il primo dato con molte parole. Dite dunque più
ubrevemente:ilnumero dellavostra destra, scemalod'una unità, è uguale a quello
della sinistra più un'unilà; ov « vero:ilnumero della destra meno un'unità è
uguale a si può dire quasi barbara, sottomessa ai pregiudizi più assurdi, sta
zionaria da più secoli, altesa l'imperfezione della sua lingua. Mentre le nostre
liogue d'occidente e le più belle d'oriente riproducono lulle leparole con un
solo numero di lettere diversamente combinate , nella lingua chinese, quasi
ciascuna parola ha il suo segno partico lare; lo studio della scrittura esige
quindi un tempo infinito. L'incertezza e l'indeterminazione del senso delle
parole passando a vi cenda dal linguaggio orale alla scrittura,dalla scrittura
al linguaggio orale, producono una confusione da cui i più dotii possono appena
schermirsi colla più grande fatica. Egli è evidente che siffattalingua non è
buona che a perpetuare l'infanzia d'un popolo , desaligando seoza 'frutto le
forze degli spiriti più distinti, ed offuscando nella loro sorgente ipriini
Jampi della ragione. Gioja. Elein, di filosofia. Se voi diceste : il numero che
avete nella destra 4. Acciò il discorso faciliti l'esempio del pensiero,è
necessario che sia minimo il numero delle parole,invariabile l'oggetto
indicato,precisata, ovunque è possibile, la quantità · trarrò l'esempio da
Condillac: is Avendo de' gelloni nelle mie mani, se nefo passar uno dalla mano
dirilla alla sinistra, ne avrò tanti nell'una quanti nell'altra; e se nefo
passar uno dalla sinistra alla « Non si tratta d’indovinare codesto qumero ,
facendo « delle supposizioni ; bisogna trovarlo ragionando e passando « dal
cognito all'incognito per uoa serie di giudizi. 11 quello della
sinistra più un'unità ; o infine ancor più bre «vemevle:ladestraweno
unoegualeallasinistrapiùuno. pio in questa. Dunque il numero della mia sinistra
sce malo d'una unità è la metà di quello della destra accre « sciuto d'una
unità; e per conseguenza esprimerete il se « condo dato dicendo : il numero
della vostra mano diritta « accresciuto d'una unità è uguale a due volte quello
della 6 vostra sioistra scemato d'una unità. « Tradurrete questa espressione in
un'altra più sem “ plice , se direte : la destra accresciuta d'un'unità è
uguale a due sinistre scemate ciascuna d'uu’unità ; e giungerele “ a questa
espressione la più semplice di tutte : la dirilla « più uno uguale a due
sinistre meno due. Ecco dunque le « espressioni, alle quali abbiamo ridotti i
dati : u Questa sorta d'espressioni chiamasi equazioni in m a «tematica.Sono
compostediduemembriuguali.Ladirilla u meno uno è il primo membro della prima
equazione. La sinistra più uno, il secondo. « Le quantità incognite sono
inescolate alle cognite in 6 ciascuno di questi membri. Le cogoite sono meno
uno più uno , meno due : le incognite sono la diritla e la sini “ sira, coo cui
espriaiete idue numeri che andate cercando. « Finchè le cognite e le incognite
sono cosi mescolate w in ogni membro delle equazioni,non è possibile risolvere
u ilproblema.Ma nou v'è bisogno d'un grande sforzo du « riflessione per
osservare, che se vba un mezzo di traspor “ tare lequantità d'un membro
all'altro, senza alterare l'eguaglianza che passa tra loro, possiano, bon
lasciando in un membro che una sola delle due incogaite; sepa “ l'arla dalle
cognite, colle quali è mescolala. Questo mezzo si preseula da sè stesso; perchè
se la « diritlameno uno è uguale alla sinistra più uno, duoque TEORIA
DELLA SENSAZIONE Per tal guisa di traduzione in traduzione arriviamo alla più
semplice espressione del primo dato. Ora quanto « più abbreviarete il vostro
discorso, più si ravvicioeranno « le vostre idee,e quanto più saraono vicine,
più vi sarà « facile di conoscere tutte le loro relazioni. Ci resla a traltare
il secondo dato come il primo , e bisogna tradurlo u nella più semplice
espressione. Per la seconda condizione del problema, s’io fo pas “ sare un geltone
dalla sioistra alla diritta, ne avrò il dop « La diritta meno uno uguale alla
sinistra più uno. « La dirilta più uno uguale a due sioislre meno due.
ATTENZIONE E RAZIOCINIO. La diritta
uguale alla sinistra più due. « La diritta uguale a due sinistre meno tre. « li
primo membro di queste due equazioni è laslessa quantità; la dirilta; e vedete
che conoscerete questa quan lità, quando conoscerete il valore del secondo
membro e dell'altra equazione. Ma ilsecoodo membro « della prima è uguale al
secondo della seconda , poiché « sono uguali l'uno é o altro alla stessa
quantità espressa “ dalla dritta; duoque potete formare questa terza equa u
ziove: « La sinistra più due uguale a due sinistre meno tre. « Due più tre
uguale a due sinistre meno una sinistra. « Due più treuguale ad una sinistra. “
Cinque ugualead una sinistra. « Il problema è sciolto. Avete scoperto che il
numero de'geltooi che ho nella mano sinistraè cioque.Nelle equa u zioni , la
diritta uguale alla sinistra più due , la diritla uguale a due sinistre meno
tre, troverete che sette è il nu 6 Inero chc ho vella diritta. Ora questi due
numeri cioque 6 e sette,soddisfanno alle coodizioni del problema. quando un
problema è così facile,come quello scioltopur 6 ora, essa ne abbisogna
maggiormeote, quando iproblemi 66 65 56 dell'una « la diritla jolera sarà
uguale alla sinistra più due: e se la “dirittapiùunoèugualea due sinistremeno
due,dun « que la diritta sola sarà uguale a due sinistre meno tre: «
Sostituirete dunque alle due prime le due seguenti equa zioni. 6.Allora non vi
resta che una incognita, la sinistra, e a ne conoscerele il valore , quando
l'avrete separata, vale a » dire,falte passare tutte lecogoite dalla stessa
parte. Di - rete dunque Voi vedete sensibilmente in queslo esempio come la
asemplicitàdelle espressionifacilitailraciocinio,ecom ú prevdele che se
l'analisi ha bisogno di tal linguaggio sono complicati. Così il vantaggio
dell'analisi nelle male 6 mati che nasce unicamente dal parlare s s e il
linguaggio più semplice. Una leggiera idea dell'algebra basterà per farlo 6
ipleadere. In questa lingua non si ha bisogno di parole. Il più si sprime col seguoto,
il meno cou--; iuguaglianza con « siindicaou le quantitá con lellere o citre:Ý
, per es., sarà ilnu 6 mero de'geltoni che ho nella destra, e Y quello della
sinistra. e Non sarà fuoridi proposito l'osservare che non alla
sola semplicità del linguaggio, come pretende Condillac, sono debitrici dellaloro
perfezione l ematematiche, ma anche 1.o alla prudenza de'loro seguaci, la quale
consiste nel ritenersi nei limiti delle sensazioni e loro rapporti; 2. all'inva
riabilità de’rapporti tra gli oggetti da essi chiamati ad esa m e ; 3.o alla
possibilità di sottomettere le loro conclusioni alle verificazioni de'sepsi e
degli strumenti. Cominciamo dal 1.°:esistono degli oggetti estesi; ecco la
sensazione: gli oggetti estesi possono misurarsi gli uni per gli altri; ecco
l'osservazione che produce la geometria. L'es.senza dell'estensione, gli
elementi che la compongono, sono indagini che i matematici abbandonano agli
oziosi metafisici, e quindi non si espongono ai loro errori. Dite lo stesso
delle altre quantità esaminate dai matematici. a Cosi X – 1 = Y to 1, significa
che il numero de'gettoni che ho nella destra, scemato d'un'unità è uguale a
quelloche ho nella asinistra, accresciuto d'un'unità ,e X41 =2Y -2, significa che
il numero della mia destra accresciuto d'un'unità è uguale due volte a quello
della mia sinistra diminuito di due vuità. Ï due dati del nostro problema sono
dunque rinchiusi in queste equazioni: 5Y. Finalmente da X = Y+ 2, caviamoX = 5
to 2= X = 2 Y - capiamo egnalıneote X = 10 TEORIA DELLA SENSAZIONE 2. « X
fo 1 = 2 Y - 2 che diventano, separando l'incogoita del primo membro “Y +2= 2Y
- 3 a che diventano successivamente 9 6X uX 2.Y -3. De'due ultimi menibri di
queste equazioni facciamo 2Y "2*3=2Y-Y “2of3= Y la matematica non visono circoli
più o meno ro tondi, linee più o meno perpendicolari, superficie più o meno
quadrate, la misura di tutti i triangoli è uguale alla base moltiplicata per la
metà dell'altezza. E quando un rapporto come quello del diametro alla
circonferenza, cagion d'esempio, non può essere espresso con esattezza i
matematici continuano ad essere esatii, additando la quantità relativa all'uso
che se ne debbe fare, e che i seosi più 6X – 1 = Y to 1 66 Y+2 0 7; cda 3
ATTENZIONE E RAZIOCINIO. fini non potrebbero additare con precisione maggiore.I
m a tematici non dicono,ilcircolo sirassomiglia al triangolo come un oratore
dirà, l'uomo si rassomiglia al lione, e sarà costretto a lunga circonlocuzione
per fissare la specie di ras somiglianza ch'egli annunzia, Alla sorpresa deve
succedere in ciascuno la persuasione divedere un essere interamente simile a lui,
essendo simili le forme e i moti esteriori. Infatti meolre it selvaggio A, a cagione
d'esempio, stacca un fratto dal vicino albero, il selvaggio B, che si ricorda
d'avere fatto più vollelo stesso, spinto dalla fame, conchiude che A èmosso (1)
I tre antecedenti riflessi dimostrano falsa l'asserzione di Condillac, cioè che
le matematiche non bando sulle altre scienze altro vantaggio che di possedere
una migliore lingua, e che si procure rebbe a queste uguale simplicità e
certezza , se si sapesse dar loro de’ segni simili». Languedu Calcul, Anche, le
idee matematiche possono essere rese esteriori, cioè visibili, palpabili,
misurabili, in una parola sono susceltibili d'essere giudicate dai sensie dagl’istrumenti.
Coll'ajuto delle cifre e delle figure tracciale sulla tavolta,o rappresentate
da corpi solidi, I concetti matematici compariscono rivestiti di forme visibili
per chi ha gli occhi, tangibili per chi ne è privo. L'espressione dei rapporti
di quantità è sol tomessa ad una verificazione sensibile, facile, immediata;
nissuno ha finora osat o r i gettare il giudizio d'una bilancia, o sospettare
l'imparzialità d'una tesa, o la veracità del gra fomeiro. Colla scorta
de'principii esposti nell'antecedente sezione, ci sarà agevole cosa il seguire
i filosofi nelle congetture con cui spiegarono l'origine delle lingue. Si
suppongano due selvaggi A e B che s'incontrano la prima volta. Il primo
sentimento che si svolgerà oel loro animo, sarà lasorpresa sempre figlia della
novilà. Queste conclusioni si rinforzano in ragione de'movimenti e delle azioni
che ciascuno eseguisce, perchè a queste azioni sono associate idee e sentimenti
uguali. B intende dunque le azioni di A , leggeodo nel proprio animo e
consultando la propria memoria. A intende le azioni di B per gli stessi motivi;
si può dire che l'uno è specchio all'altro. B accorgendosi che comprende le
azioni di A, conchiude che A comprende le sue. B compresii sentimenti di
A,vedeodogli eseguire certe azioni; egli cercherà di far comprendere isuoi, ripetendo
le azionistesse: ecco il linguaggio de'gesti. I sentimenti da comunicarsi o
riguardano oggetti esterni presenti o lontani, ovvero riguardano gli interni
sensi del l'animo. Allorchè l'oggetto è presente, gli occhi direlti verso di
esso, il dito che lo accenna, la bacchetta che lo locca, il corpo che si slancia
verso di esso o se ne allontana, formano tutto il dizionario della lingua. Questi
segni possono essere chiamati indicatori. Allorchè si tratta d'oggetti lontani
, per esempio, d'un animale che si riuscì ad uccidere, o d'un altro da cui si
fu morsi, il selvaggio ne ripete l'accento, l'urlo, il grido, e ne esprime
cogli atteggiamenti delle mani, delle braccia, della testa le forme più rimar che
voli. Questi segni possono essere chiamati imitatori. Il rumore prodotto da un
torrente che precipita, da un monte che scoscende, dal vento che
fischia, TEORIA DELLA SENSAZIONE da uguale sentimento. A porta alla bocca
il frutto e lo mastica; B rammentando il piacere che provò mangiandolo, con
chiude che A lo prova ugualmente. Ad improvviso rumore A sospende l'operazione
del mangiare, alza il capo immota col guardo fisso dal lato donde proviene il
romore ed in attodi chi tende l'orecchio; B colpilo dallo stesso rumore e dagl’atti
di A, sente sorpresa e timore, e conchiude che A è sorpreso e intimorito. Cessato
il rumore, A riprende tranquillamente l'operazione del mangiare. La calma che
succede nell'animo di B gli dice che A si è calmato. Dopo questa scoperta, il
bisogno reciproco di comunicarsi a vicenda i propri sentimenti sembra naturale,
perchè è naturale la reciproca debolezza e comuni i pericoli. I due selvaggi
intendendosi reciprocamente, possono sperare un ajuto ne'loro bisogni, un
sollievo de loro dolori, una difesa contro gl’assalti delle beslie feroci. ATTENZIONE
E RAZIOCINIO. I segni indicatori, imitatori, figurati, divengono triplice
canale di comunicazione pe'sentimenti e leidee in forza delle leggi
d'associazione. Classificando gli elementi di questo linguaggio secondo la
natura de materiali che servono a formarlo, se ne distingueranno tre specie, i
gesti, le parole, la scrittura simbolica.La storia antica ricorda spesso l'uso
de' simboli anche presso nazioni già uscite dalla barbarie e sopratutto
pressole nazioni orientali. Dario essendosi inoltrato nel territorio della
Scizia colla sua armata, ricevette dal re degliSciti un messo che, senza
parlare, gli dal tuono che scoppia. Il canto degli uccelli, gli accenti
delle passioni sono altretanti suoni che il selvaggio ripete per farne iolendere
l'oggetto ad ogni momento di bisogno, accompagnandoli per lopiù coi gesti. Se1
Allorché sitratta di esprimere i propri bisogni, i propri timori, in somma le
affezioni che von simostrano ai sensi, il selvaggio ripete dapprima quelle
attitudini del corpo che le accompagnano. Per esempio, B vede o d o il luogo
ove rimase spaventato, ripeterà i gridi e i moti dello spavento, accid A non siespoogaaldaono
cui fu esposto egli stesso. Un sordo e muto volendo indicarci, che fu
calpestato da un cavallo, esprime dapprima con ambe le mani ,il moto preci
pitoso de'piedi del cavallo, quindi accenna ilproprio corpo che cade sul suolo;
posc i a ripete il moto del cavallo, escorre colle mani le varie parti del
corpo nelle quali fu calpestato. Dopo i segni esterni che accompaguano gli
affetti, il selvaggio, aguisade'sordie muti, cogliela somiglianzache scorge tra
i sentimeoti dell'animo e le qualità de'corpi esterni, e si serve di queste per
indicare quelli; per es., le passioni vive s'assomigliano alla fiamma, il loro
contrasto allatempesta,la loro calma a cielo sereno, l'animo dubbioso a due
mani che pesano due corpi. Ecco i gesti simbolici e figurati. La prima specie
comprende le azioni e le attitudini del corpo impiegate per imitare le forme e
i moti degli oggetti esteriori. La seconda, gli accenti della voce con cui si
ripe tono i gridi degli animali, e i suoni che accompagnano il moto degli
esseri inanimate. La terza, la pittura che si farà soventi sulla sabbia, sulla
corteccia degli alberi, od altro, sia degli oggetti che si vuole indicare, sia
delle azioni che vi si riferiscono. I suoni della voce altrondee le
articolazioni che gli accompagnano, possono, sia per sè stessi, sia per la loro
combinazione, presentare colleidee molteanalogie che non col piscono a prima
vista, ma che sono facilmente sentite ed avidamente accolte dalle società che
si pregiano di dire molte cose nel ininimo tempo, e colla minima fatica possi
bile. Il linguaggio articolato dovette dunque arricchirsi di giorno in giorno.
L'invenzione delle parole indicatrici de generi e delle specie,impossibile
aspiegarsi agiudizio di Rousseau, sem bra facilissima, giacchè se un albero
particolare A in dato luogoe tempo fu iodicato colla parola albero, è cosa
natu. rale che la stessa parola venisse applicata ad un albero sia mile , quindi
ad un terzo, ad un quarto. Cosicch è si per mancanza d'altra parola che io
forza della legge d'aoa. logia il nome proprio dovette divenire no me
appellativo. Si giunse finalmente a far uso di segoi affatto arbitrari e vi si
giunse in due maniere; dapprima per la degenera zione successiva del linguaggio
primitivo e imitatore, poscia per convenzioni espresse. dodicipezziilcadavere,e
glispedi alle dodici tribù di Israele, intendendo cosi di rendere comune ad
esse il suo dolore, e chiamarle alla vendetta. Il suo linguaggio fu inteso e il
suo desiderio soddisfatto:la tribù di Beniamino fu sterminata. TEORIA
DELLA SENSAZIONE De'gesti non si può fare grande uso nelle tenebre de con
persone alquanto distavti;la scritlura simbolica,benchè più perfetta de'gesti e
permanente, soggiace agli stessi in convenienti, oltre di essere più difficile:
al contrario gli accenti della voce, pronti, facili, variabili in tutte le maniere,
pon tolgono dall'occupazione chi ne fa uso, e lasciano il potere di parlare e
diagire. Queste ragioni fanno prevalere i suoni articolati. De dotti laboriosi
hanno spiegato come la lingua primitiva alterata dal tempo, dalla mischianza
del popolo e da diverse altre cause si trasforma nella nostra lingua italiana
moderna ; presenta un uccello, un sorcio, una rana e cinque freccie; col quale
simbolo il re voleva dire che se i Persiani non fuggivano come gli uccelli, non
si nascondevano in terra come i sorci, non si sommergevano nell'acqua come le rane,
cadrebbero vittime delle freccie degli Scili Il Levila d'Efraim volendo
vendicare la morte della sua sposa, ne fa 151 e come questa alterazione
seguendo un corso differente nei differenti paesi, rese le lingue sì dissimili
tra di loro. Quanto alle convenzioni che furono fatte, non è necessario molto
schiarimento. Si osserva che le parole non erano segni d'idee e di sentimenti,
se non perchè gl;uomini ac consentivano a prestar loro lo stesso senso.
Allorchè dunque conveone esprimere delle idee nuove, nulla si trova di più
semplice che d'intendersi per scerre loro una parola. Questa convenzione,
formata dapprima tra di quelli che avevano più pressante bisogno di designare
questa idea, divenne in seguito comune agl’altri. Ciascuna arte, ciascuna scienza
presenta le sue parole alla società, e lingue particolari. I segni arbitrari
dovettero la loro forza solamente alla doppia abitudine di quelli che gl’impiegano
e di quelli a cui si dirigono. Queste azioni, questi segni esteriori, che il
ragazzo imita, sono uniti nella mente di quelli che gli servono di modello a
dei sentimenti. Questi sentimenti lo sono ad alcune idee. I sentimenti e le
idee a suoni articolati. Il ragazzo imita dapprima i movimenti, ripete poscia i
suoni articolati o le parole, a cagione d'esempio, “padre”, “madre”, “vizio”, “virtù”,
“religione”, “demonio”. Il ragazzo non ha bisogno d'inventare i segni
artificiali delle idee. Egli gli impara soltanto. Ciò che per gl’antichi e un
lungo sforzo di genio, non è per lui che un esercizio meccanico della memoria.
Bentosto il ragazzo deve provare un principio di sentimento, ridendo all'altrui
riso, piangendo all'altrui pianto, fremendo all'altrui fremilo benchè ne ignori
la causa. Ma l'idea, s'ella esiste, essendo sempre la più difficile, la più
lontana, la meno interessante a conoscersi, il ragazzo è imitatore come la scimia.
Gli altrui moti, i gesti, l'accento, l’aria, il tono, tutti gl’attesteriori lo
colpiscono nei primi anni della sua vita e d occupano la sua attenzione. Egli è
spinto ad imitare ed arió petere tutto ciò che vede, ed i suoi organi mobili
cootraggono l'abitudine di molte azioni, priache il pensiero sia capace di
penetrarne lo scopo e d'osservarne il motivo: insginocchiarsi, fare il segno della
croce, piegare la fronte, giungere le mani, levarsi il cappello, fuggire nelle
tenebre, baciar l'altrui mano, fare inchini. La ripetizione frequente di questi
suoni, gesti, sentimenti gli unisce con stretti nodi e tali che quando i suoni
vengono a colpire l'orecchio o si presentano alla memoria, spingono gl’organi
motori ai gesti relativi, e il sistema sensibile agl’associati sentimenti. Questa
è la cagione per cui esempi ripetuti, antiche abitudini forzano la maggior
parte degl’uomini ad ammirare, fremere, tremare, sdegnarsi, passionarsi in
tutti imodi al suono delle parole le più insignificanti, le più vaghe, le più
vuote d'idee, e che appunto per la violenza dei sentimenti associati si
sottraggono alla analisi. Conviene anche osservare che più le parole sono
confuse ed oscure, più piacciono e soddisfanno il gusto degli ignoranti. Queste
ragioni ci spiegano il motivo per cui le stesse cose fanno impressioni diverse,
secondo che sono pronunciate in una lingua o in un'altra. Si osserva, dice
Rayoal, che i giudei stabiliti in gran numero alla Giamaica si facevano giuoco
d'ingannare i tribunali di giustizia. Un magstrato sospetta che tale disordine
potesse provenire da ciò che il suo Testamento, su'di cuido vevano giurare,era tradotta
in idioma inglese. E quindi decretato che per l'avenire I Giudei giurer ebbero
sul testo ebraico. Dopo questa precauzione gli spergiuri divendero
infinitamente più rari. Per simile motivo Augusto lascia sussislere eadem magistratuum
vocabula, acciò il popolo romano conchiudesse che sussisteva ancora la
repubblica, sussistendo i nomi delle sue magistrature, e il rispetto ma c
chioale eccitato negl’animi popolari dalle parole si, fissasse sulle nuove
cariche che ritenevano le antiche denominazioni. Trovandosi Leibnizio a
Nuremberg seppe che riera in quella città una compagnia di chimici, che col più
profondo segreto travagliavano alla ricerca della pietra filosofica. Il desiderio
d'entrarvi, gli suggerio l’idea che produce l'effetto bramato. Egli estragge dagli
antichi alchimisti una serie di frasi oscure, la cui unione forma una lettera
più oscura ancora e non intesada lui stesso. Questa lettera divenne un titolo
peressere accolto. Leibnizio, tanto più ammirato quanto meno inteso, fu
riconosciuto addetto e segretario della società. Bailly, Éloge de
Leibnitz. TEORIA DELLA SENSAZIONE. Il ragazzo o non la verifica che tardi,
come l'idea di “padre”, o non la verifica che in parte, come quella di “vizio”,
o, non la verifica mai nè può verificarla, come l'idea di “demonio”, “magia”, “angelo”,
“fortuna” e simili. Per eguale ragione, allorchè le idee più belle e più
sublimi vengono tradotte in lingua usuale, bassa, plebea, per dono parte di
quel pregio che conservano in una lingua antica o straniera. Quella specie di
spregio che si attacca agl’usi volgari e quella specie di rispetto che va unito
alle lingue morte od estere, sembra comunicarsi all'idea e degra darla a'nostri
occhi o sublimarla. L'indeterminazione del linguaggio più in morale e legi
slazione ha luogo, cbe nelle arti e nella storia naturale: gli oggetti di
queste sono verificabili e misurabili coi sepsie cogli strumenti, quindi le
stesse parole risvegliano in tutti presso a poco lestesse idee:al contrario gli
oggetti morali non essendo verificabili con eguale precisione, restano nella
nebbia della fantasia; le parole, da cui vengono indicati, partecipano della
loro oscurità ed incostanza, e per lopiù risvegliano idee diverse nelle diverse
teste in ragione delle circostanze in cui furono apprese. Pretendere che le stesse
parole (principalmente se trattasi di cose morali) risveglino in tuttele
stesseidee, egli è pretendere che quando è mezzo giorno a Milano sia mezzo
giorno dappertutto. Nei giardini d'Epicuro la parola “virtù” risvegliava idee
ridenti e piacevoli. Sotto i portici di Zenone, idee fosche e melanconiche. “Legge”
significa la volontà di tutti per un greco, la volontà d'un solo per un persiano.
le indicava per l'addietro un despota sciolto da ogni legge, attualmente
quest'idea è più limitata , ed ha diversi significati a Londra, Amsterdam,
Copenhague. “Libertà” nella mente del filosofo indica la somma delle azioni non
vincolate dalla legge. Nella mente del volgo, la facoltà d'invadere i beni
de'ricchi e di far nulla. Il massimo danno dall'indetermina zione delle parole
si fa sentire ne'trattati tra, le nazioni, in cui la loro ambiguità
diviene,causa o pretesto di guerre, nei codici criminali in cui l'oscurità
d'una frase estende l’arbitrio del giudice a danno dell'innocente ne’ contratti,
nei codici civili, nelle tariffe daziarie, in cui l'incertezza d'un'espressiooe
è fonte di mille liti tra i cittadini, e vessazioni a. Havvi alla China una
legge che condanna a morte quegli che non mostra sufficiente rispetto al sovrano.
Comparve un giorno nella gazzetta della corte un aneddoto non raccontato con
perfetta esaltezza. Il redattore fu arrestato, e i tribunali décisero che
mentire nelle gazzette della corte e non mostrare sufficiente rispetto al
sovrano. Quindi il redattore fu messo a morte. ATTENZIONE E RAZIOCINIO.“
commercio. La divisione uniforme del regno in dipartimenti, distretti, cantoni,
comuni, l'uniformità de' pesi, in isure, monete, gli stessi libri nelle
università, la stessa educazione ne’ licei lendono a dare alle parole la stessa
significazione, a diminuire le dispute, e quindi una somma noo de. finibile di
coilisioni sociali. Oltre l'indeterminazione del linguaggio proveniente dal
modo con cui l'impariamo e dalla natura dell'oggetto che esprime, bisogna dire
che in ogni lingua non v'ba quasi una parola che rappresenti sola una idea
chiaro-distinta da se stessa. Tutte prendono sensidiversi dal posto che
occupano nel discorso,dalle parole che le seguono o le precedono, dall'accento,
dal gesto, dagli atti che le accompagnano. La medesima parola unita ad alcune
ti mostra un dato espelto d'idee,uo altro, se si college con altre. Più avanti,
più indietro le ne farà vedere dei diversi. Detta con un tuono asseverante, ha
un senso. Con un tuono di meraviglia, un altro. Con irrisione, un terzo. Con interrogazione,
un quarto. Cosicchè si potrebbe assomigliare le parole ai colori delle peone
d'un colombo, che variano secondo il moto del sole, del colombo, dell'osservatore.
Sono quindi quovi, fonti d'errori i diversi sensi che le stesse parole
esprimono passando da un ordine di cose ad un altro. Un oratore, dopo avere
esaltato i nomi di molti personaggi illustri dell’antichità, si dirige così
a'suoi uditori: ingrati che noi siamo! noi cilngniamo della brevita della vita,
mentrei è innostro polere di renderci immortali. Egli è evidente che questa
argomentazione confonde due maniere di vivere che sono distiolissime e diverse.
Lo stesso difetto si fa vedere nella seguente massima di Rousseau. Se la natura
ci ha destinati ad essere sani, l'uomo che medita è un'animale depravato.
Perchè questa sentenza fosse vera, converrebbe provare che il primo ed unico
destino dell'uomo è di essere sano; che la virtù consiste nella sanità, e che
la meditazione è in compatibile coi buoni costumi. Allora un dollo sarà un
essere depravato come il soldato che espone la sua sanità e la sua vita in
difesa della patria. Si potrà dire che ogni ammalato è uno scellerato, un
mostro; che un monco è un Sano è qui'addiettivo del corpo, e significa uno
stato fisico; depravalo è addiettivo dell'auimo, e significa uno stato
morale. animale depravalo, avendoci la natura destinati ad essere sani
come ci ha destinati ad avere due braccia. Aliro esempio. Bernardin de Saint
Pierre vuole che assolutamente si bandisca l'emulazione dalle scuole pubbliche;
e per provare ch'ella è inutile, argomenta così. Analizziamo questo argomento.
L’emulazione per imparare la lezione, per fare dei temi, per studiare le
scienze è inutile ugualmente che per giocare, bere, mangiare. L'emulazione è
dunque da una parte e dell'altra la ripetizione della stessa inutilità, e per
conseguenza si devono ritrovare pelll'un caso e nell'altro le medesime cause di
questa doppia inutilità. Le funzioni dell'animo non son esse egualmente
naturali, egualmente aggradevoli che quelle del corpo? Egualmente naturali? lo
rispondo di no, se per naturali inten desi necessarie ed imperiose. Egualmente
aggradevoli? Questo è possibile, ma la causa si rifonde nel piacere d'essere applaudito, ammirato,
ricompensato. Quindi l'autore non s'accorge che coi buoni effetti
dell'emulazione lepla di provarne l'inutilità. Finalmente l'interesse, la mala
fede, le passioni lulle abusano delle parole, perciò, al dire di Parini, il
mercante è pronto inventor di lusinghicre fole 6 E liberal di forastieri nomi
6' A merci che non mnaivarcaro imonti. уоро campagna, come sono
necessarie talvolta per farli stu diare? Questa piccolo popolazione ha forse
immaginato delle astuzie, e inventati degl’artifizi per allungare gli studi, e
per ottenere un tema più difficile? Ho io avuto bisogno nell'infanzia di
sorpassare i miei compagni nel bere, mangiare, passeggiare, e per corvi
piacere? E perchè è egli slato necessario che imparassi asor passarli ne’miei studi,
per trovarci dilello? Non ho iopo. tulo instruirmi a parlare e ragionare senza
emulazioni? Le funzioni dell'animo non son esse egualmente naturali, egual
mente aggradevoli che quelle nel corpo? Ora l'emulazione è inutile oel bere e
nel mangiare, per che queste operazioni sono comandate dal più pressante, dal
più imperioso de’ bisogoi, l'amore della vita; ma quantivi e conciliano la
santità e la grassezza coll'inerzia e l'ignoranza? Gli scolari temono forse
tanto le ricreazioni quanto temono la dieta? Sono mai state necessarie le
minacce ed i castighi per condurli al refettorio o farli partire per
la Cromwel, per coprire le sue viste atobiziose col manto della religione,
aveva dato alla maggior parte de'suoi reggimenti i nomi dei santi del Testamento
Vecchio. Cromwel, dice uno scrittore anonimo di quel tempo, ha ballulo illam
buro in tutto il Vecchio Testamento. Si può imparare la genealogia del nostro
Salvatore dai nomi de'suoi reggimenti. Il commissario di guerra non aveva altra
lista che il primo ca pitolo di S. Matteo. In tutti i tempi, in tutte le
religioni, in tutti i partili, il fanatismo, il quale non sipiccò mai di equità,
diede a quelli che voleva perdere, non i nowi che merita vano, ma inoai che
potevano loro nuocere. Socrate, che depurando le idee superstiziose, le
conduceva all'unità di Dio, riceve il titolo d' aleo dai sacerdoti di Cerere:
empio chiamavasi presso gli Egiziani chi von adorava un gatto, un bue o un coccodrillo.
Si da dai Cartaginesi lo stesso titolo a chi abborriva il sacrifizio delle umane
vittime. I romani danno a tutti i cristiani il nome di galilei o giudei,
sforzandosi dire uderli odiosi non potendo dimostrarlı irragionevoli. Alla
China i nostri missionari che diffondeodo la religione dei galilei diminuiscono
il concorso ai tempii de' falsi idoli, e quindi i proventi de' sacerdoti,
vengono da questi dipinti come ribelli ed accusati di congiura coutro lo Stato.
Le espressioni odiose sono uo'arma troppo favorevole alla calunnia perchè ella
non s'affretti a farne uso. Egli è sempre un vantaggio l'avere pronta una
parola di sprezzo per caralterizzare i torti che si riaproverano ai propri
avversari. Con una di queste parole si prova tutto, si risponde a tutto, si
difende la propria opinione, si distrugge l'altrui. A Pascal, che con tanta sagacità
svela nelle sue lettere provinciali la corruzione della morale, e risposto
ch'egli era quattordici volte eretico. Gl’uomini saggi si guarderaono sempre
dalle espressioni dipartito ed esclu sive, e che traggono seco idee accessorie
infinitamente variabili e talvolta cootrarie. Essi dirapoo, a cagione
d'esempio, questa legge è conforme all'interesse pubblico, e lo prov r'anno
svolgendo la somma de’ beni di cui è seconda, ma non diranno, per es., questa
legge è conforme al principio della monarchia o della democrazia, giacchè se vi
sono delle persone nelle cui teste queste parole risvegliano idee
d'approvazione, ve ne sono altre nelle quali succede tulto l'opposto. Quindi se
i due partiti si mettono alle prese, la disputa non finirà che colla stanchezza
de’ combattenti, e per cominciare TEORIA DELLA SENSAZIONE
ATTENZIONE E RAZIOCINIO. Combinare od inventare. La ninfa della tignuola
d'acqua che si trova ne'nostri fiumi, dice Darwin , e la quale s’involge in
cerle casucce di paglia, di sabbia, di gusci,s a ben far si che questa sua abi
lazione sia alla ad equilibrarsi coll'acqua ; e perciò quando èsoverchiamente pesante,
viaggiunge un bocconcello dipa 'gliao dil egno, equando troppoleggiere, un pezzellodi
grossa rena. il vero esame, converrà rinunciare a queste parole
appassionate ed esclusive, per calcolare gli effetti della legge in bene e in
male. Osservano gli storici che nel corso della guerra del Peloponneso successe
taletrambusto nelle idee e ne' principii, che le parole più usuali cambiarono
di senso. Si da il nome di dabbenaggine alla buonafede, di destrezza alla duplicità,
di debolezza alla prudenza, di pusillanimità alla moderazione, mentre i tratti
d'audacia e di violenza passavano per slaoci d'animo forte e di zelo ardente
per la causa pubblica. Una tale confusione del linguaggio è forse uno de’ sintomi
più caratteristici della depravazione d'un popolo. In altri tempi si può
offendere la virtù. Ciò non ostante se ne riconosce ancora la sua autorità, quando
le si assegnano de’ limiti. Ma quando si giunge sido a spogliarla del suo nome,
ella perde i suoi diritti al trono, e il vizio se ne impadronisce e vi si
asside tranquillamente. Per capire ciò che succede allora in una nazione, basta
osservare ciò che succede nelle società de’ viziosi e scellerati. I ladri, gl’aggressori
, i monetari falsi, i contrabandieri si formano un linguaggio o uo gergo tutto
proprio che confonde tutte le idee di vizio e di virtù. Uniti da sentimenti
uniformi, volendo vendicarsi dell'opinione pubblica che li rispioge da sè, si
compiacciono ad affrontarla. Quindi nel loro dizionario sono escluse tutte le
impressioni del rossore, alterati i sentimenti del giusto e dell'ingiusto,
associate idee scherzevoli ad atti criminosi e nefandi. Una vespa, continua lo
stesso scrittore, ha colla una mosca grossa quasi com'era ella medesima. Posi
le ginocchia a terraper meglio osservare, evidiche ellase paròla coda e la
tesla da quella parle del corpo a cui sono annesse le ale. Prese ella
quindinelle zampe questa porzione di mosca, e s'alza con essa dal terreno circa
due piedi, ma un venticello leggiere scuotendo le ale della mosca, fa
capovolgere l'animale nell'aria, ed egli scese ancora colla sua preda a terra.
Osservai allora distintamenle che colla bocca le taglia primieramente un'ala, e
poi l'altra, e quindi fuggi via non più molestata dal vento. Questi due animale
lti,che sanno disporre le cose in modo, ossia ritrovare mezzi tali da oltenere
il fine bramalo, ci danno le prime idee dell'arte di combinare o invenlare.
Duhamel osserva che il felore delle sale degli spedali cresceva, avvicinandosi
al soffitto. Egli immaginò quindi uo ventilatore che facendo comunicare questa
parte delle sale con l'aria esteriore, caccia laria guasta. La combinazione di
Dubamel oon suppone nella disposizione dei mezzi più cognizioni di quelle della
tigauola e della vespa. Ma il fine ottenuto essendo molto vantaggioso
all'umanità, la combinazione è più pregevole. Il pregio di questa combinazione
cresce, se si riflette ch'ella è applicabile ad altri oggetti, a cagione
d'esempio, ai vascelli in mare. lo fatti vi sono delle combinazioni saggissime
profondissime, e che suppongono infinita destrezza nell'esecuzione. Ma siccome
non arrecano alcun vantaggio, non hanno alcun pregio agl’occhi del saggio.
Boverick, meccanico d'uva de, strezza e d’upa perseveranza prodigiosa, fabbrica
una catena di duecento anelli che col suo catenaccio e la sua chiave pesava
circa un terzo di grano. Questa catena e destinata ad iocatenare una pulce. Egli
fa una carrozza che s'apriva e si chiudeva a inolla, era tratta da sei cavalli,
porta quattro persone e due lacchè, e condolia da un cocchiere, ai piedi del
quale sta assiso un cane, e il lutto venne strascioato da una pulce esercitata
a questo travaglio. L'invenzione e l'esecuzione di questa macchina puerile fa
desiderare che Boverick impiega meglio i suoi talenti. Grice: “”Si suppongano due
selvaggi” – exactly my way of proceeding. Gioia has a lot of sense. An
engraving’s caption has it: ‘statistico e filosofo’ – And I like the fact that
like Socrates he did ‘elementi di filosofia ad uso de’ giovanetti’!” -- Melchiorre
Gioia, Melchiorre Gioja. Gioia.
Keywords: filosofia ad uso de’ giovanetti, galateo, pulitezza, Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Gioia” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giorello: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del libertino – filosofia milanese – scuola di Milano –
filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo
italiano. Milano, Lombardia. Grice: “I
like Giorello: he philosophises on evil and good – the devil wrestles with the
angel – but also on Mickey Mouse that he calls ‘topolino’ – “la filosofia del
topolino” – and perhaps ore exotically for us Oxonians, on ‘la filosofia di Tex,’
a ‘fiumetto’ of 1948!” –Si laurea a Milano sotto Geymonat). Insegna a Milano. Membro
de la Società Italiana di Logica” e de la Societa Italiana di Filosofia della
Scienza. Giorello divise i suoi interessi tra lo studio di critica e crescita
della conoscenza con particolare riferimento alle discipline fisico-matematiche
e l'analisi dei vari modelli di convivenza politica. Dalle sue prime ricerche
in filosofia e storia della matematica, i suoi interessi si erano poi ampliati
verso le tematiche del cambiamento scientifico e delle relazioni tra scienza,
etica e politica. La sua visione politica e di stampo liberal democratico e si
ispira, tra gli altri, a Mill. Si occupa anche di storia della scienza in
particolare le dispute novecentesche sul "metodo"e di storia delle
matematiche (“Lo spettro e il libertino”). Cura “Sulla libertà” di Mill. Ateo,
filosofa in “Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo.” Altre opere: Opere
Filosofia della matematica, Milano, L’nfinito, Milano, UNICOPLI, Lo spettro e
il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero, Milano, A. Mondadori, Le ragioni della scienza, Roma, Laterza,Filosofia
della scienza, Milano, Jaca Book, Le stanze della ricerca, Milano, Mazzotta, Europa
universitas. sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, La filosofia
della scienza, Milano, R.C.S. libri & grandi opere, Quale Dio per la
sinistra? Note su democrazia e violenza, Milano, UNICOPLI, La filosofia della
scienza, Roma Laterza, “Lo specchio del reame: riflessioni sulla comunicazione:
Longo, Epistemologia applicata. Percorsi filosofici, e Milano, CUEM, I volti del tempo, e Milano, Bompiani, Prometeo,
Ulisse, Gilgameš. Figure del mito, Milano, Cortina, Di nessuna chiesa. La libertà del laico,
Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con Forte, Balsamo, San
Paolo, La libertà della vita, Milano, Cortina, Il decalogo. I dieci comandamenti commentati
dai filosofi,, Non nominare il nome di Dio invano, Milano, Albo Versorio, Giulio
Giorello relatore al convegno internazionale "Science for Peace",
Milano, La scienza tra le nuvole. Da Pippo Newton a Mr Fantastic, Milano,
Cortina, Kos. Rivista di medicina, cultura e scienze umane, 4: Dio, Patria e Famiglia, Milano, Editrice
San Raffaele, Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, Milano, Bompiani,
Il peso politico della Chiesa, Cinisello
Balsamo, San Paolo, Viaggio intorno all'Evoluzione, Mascella, Zikkurat Edizioni
& Lab, Harsanyi visto da G., Milano, Luiss University press, Lo scimmione
intelligente. Dio, natura e libertà, Milano, Rizzoli, Ricerca e carità. Due
voci a confronto su scienza e solidarietà, Milano, Editrice San Raffaele, Introduzione a Apostolos Doxiadis e Christos
H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda, Lussuria. La passione della conoscenza,
Bologna, Il Mulino,. Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi,.
Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi,. Premio
Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, Parma, Guanda,. Noi che abbiamo l'animo libero. Quando Amleto
incontra Cleopatra, Milano, Longanesi, Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. CULTURA
Addio a G., filosofo della scienza e difensore della libertà By Vincenzo
VillarosaPosted on È morto il filosofo G., per le conseguenze dell’influenza da
COVID-19, dopo aver trascorso due mesi di degenza in ospedale ed essere stato
dimesso alla metà di maggio. Successore di Geymonat alla cattedra di Milano, il
filosofo aveva sposato la compagna Roberta Pelachin. Il Premier Conte lo ha
ricordato, in un messaggio sui social, come un filosofo che ha saputo
riflettere sui rapporti tra etica, politica e religione. Nato a Milano G.
si laurea in Filosofia seguendo la tradizione antifascista e marxista del
maestro GEYMONAT (si veda) e il difficile tentativo di contrastare le divisioni
tra pensiero scientifico e umanistico. In seguito, e docente di Meccanica
razionale a Pavia e poi a Catania, a quella di Scienze naturali all’Università
dell’Insubria e, infine, al Politecnico di Milano. Presidente della Società
Italiana di Logica e Filosofia della scienza. I suoi studi spaziavano dalla
mitologia all’antropologia e alla psicologia evolutiva fino alla bioetica e
alle neuroscienze. Uno tra i più bravi epistemologi italiani, insomma, capace
di unire il rigore per gli studi sul metodo della scienza alle riflessioni
sull’ambiente sociale e politico nel quale si muove la ricerca
scientifica. Accanto all’attenzione per le discipline fisico-matematiche
e all’accrescimento della conoscenza scientifica, G. analizza le modalità
complesse e contraddittorie della convivenza sociale e politica. Sulla scia del
pensiero di Mill – di cui aveva curato l’edizione italiana dell’opera Sulla
libertà, scrive, in particolare, pagine illuminanti sulla natura, i limiti e la
possibile difesa della libertà umana. La sua instancabile attività di
saggista e basata su un’approfondita conoscenza della produzione saggistica e
del dibattito internazionale intorno al discorso scientifico. La testimonianza
di questa ricchezza culturale è rintracciabile nella preziosa direzione
editoriale della collana Scienza e idee per Cortina e nella capacità di
divulgazione espressa, tra l’altro, nella collaborazione alle pagine culturali
del giornale Corriere della Sera. Tra le opere di saggistica, ricordiamo
Filosofia della scienza (Jaca Book) e due contributi di divulgazione
scientifica come La filosofia della scienza con Gillies, Laterza, e La
matematica della natura con Barone, Mulino. Nelle opere Di nessuna chiesa. La libertà del
laico (Cortina) e Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi), G. parla
del valore della laicità in maniera antidogmatica e rispettosa della visione
del mondo dei credenti. La curiosità intellettuale e la personalità
liberale del filosofo milanese si espresse anche nell’interesse sul rapporto
tra la cultura definita alta e quella popolare presente, ad esempio, nel mondo
dei fumetti. Il suo saggio pop su La filosofia di Topolino con Cozzaglio, Guanda, ne è una divertente ma non banale
rappresentazione. La perdita di G. toglie alla scena italiana uno dei più
attenti conoscitori dell’articolato cammino della filosofia e del sapere
scientifico e, allo stesso tempo, un difensore delle libertà individuali e
collettive, senza le quali non è possibile alcun accrescimento e consolidamento
del patrimonio culturale dell’umanità. RELATED TOPICS: FILOSOFIA,
LETTERATURA, PRIMA-PAGINA, SOCIETÀ Il paradigma dei sette vizi capitali nel
Medioevo. Il settenario. Il vizio della lussuria. Origine e delineazione del
vizio nel Medioevo. Vizio del corpo. Vizio dell anima. I coniugati e la
lussuria. Se non riescono a contenersi si sposino, meglio sposarsi che ardere
(Cor.). La lussuria come potenza nell Inferno. La lussuria come potere nel Inferno.
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell Inferno. La lussuria come
filosofia nel Canto V dell Inferno. La lussuria come inganno e come sovversione
nel Canto V dell Inferno. La lussuria nel Canto V dell Inferno. Non v è dubbio
che fra gli insegnamenti che Dante può riservare agli uomini del terzo
millennio ci sia anche quello di puntare su un solo profondo amore al centro di
tutta un esistenza, persistente anche oltre la soglia della morte, capace di
rinnovare la vita di una persona, di orientarla al meglio. Come afferma Emilio
Pasquini nel suo libro Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia,
la lettura della Divina Commedia dantesca si mostra rilevante anche nel terzo
millennio. Ovviamente, un opera di qualche secolo fa rischia di non essere più
adatta alle generazioni contemporanee. Ogni epoca conosce tendenze critiche
differenti per quanto riguarda la Commedia, ogni generazione legge il suo Dante
2, e quindi, come lo pone Renzi, siamo prigionieri anche noi del nostro tempo [Pasquini
segnala che, di tutti gli episodi della Commedia, soprattutto quello di Paolo e
Francesca risulta molto interessante per i lettori di oggi 4. L amore-passione
che forma il nucleo della storia continua a intrigare. Rappresenta una delle
idee riguardanti l uomo tra cui Dante, in un modo meraviglioso, stabilisce
legami nei suoi versi. Quelle connessioni creano la celebre feconda ricchezza
di Dante, la quale fa sì che tanto all epoca (quando si trattava della fede,
della relazione tra Creatore e creatura) quanto oggi (ormai importa la nostra
coscienza etica) si scoprono delle idee sorprendenti e chiarificatrici nell
opera 5. Accanto a questo, la storia dei due lussuriosi illustra pure la
persuasione [di Dante] della presenza, nella vita di ognuno, di un gesto
decisivo che sanziona la sorte eterna dell uomo. Oggi, asserisce Pasquini, una
simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futuro), su un piano totalmente
terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un esistenza, le svolte
cruciali che imprimono alla vita di un individuo una precisa e irreversibile
direzione, decidendo del suo destino in terra [Pasquini, Dante e le figure del
vero. La fabbrica della Commedia, Paravia, Bruno Mondadori; Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio
di Francesca nella Commedia di Dante, cit., Pasquini, Dante e le figure del
vero. La fabbrica della Commedia. Si può aggiungere che, in generale, la
ricerca della sapientia mundis del giovane Dante s inserisce perfettamente
nella visione contemporanea del mondo, la quale è completamente fissata sull
acquisizione di nuove conoscenze e su uno sviluppo personale completo.
Parallelamente, si rivela adatto alla società di oggi l avvertimento di Dante
adulto che tale ricerca deve essere interrotta quando rischia di condurre non
alla magnanimità ma alla folia. D’altronde, Inglese segnala che il carattere
realistico del poema, dei suoi personaggi e delle sue scene illustra che Dante
utilizza il mondo terreno come una metafora dell oltremondo, l altro mondo è
reso sensibile e leggibile con le forme del nostro mondo 8. Anche questo
aspetto della Commedia fa sì che i lettori di oggi possono capire abbastanza
facilmente il mondo sotterraneo evocato dal poeta. La conoscenza del mondo,
inoltre, stabilisce il legame tra il commento di Pasquini e quello del filosofo
G., la cui teoria riguardante la lussuria non concorda con la visione cristiana
del fenomeno, esposta nel primo capitolo della presente tesi. Ne risulta che la
lussuria, dal punto di vista cristiano, si presenta come un fenomeno
disprezzabile. Si tratta di una caratteristica umana da combattere e da
eliminare. Il filosofo, invece, adotta un punto di vista molto differente nella
sua recente monografia Lussuria. La passione della conoscenza 9. Propone un
analisi molto originale del vizio, mirata a provocare, nel ventunesimo secolo,
una sensazione di liberazione nel lettore della letteratura d ispirazione
cristiana sul soggetto. G. considera la lussuria non solo come un peccato, ma
anche, e in primo luogo, come una libertà: E per ciò [la lussuria] può
costituire il nucleo di una società aperta e libertaria, insofferente di
qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti 10. Anche se il concetto centrale
della tesi vi è inquadrato in un contesto quotidiano, universale e laico, non
viene trascurato il significato cristiano del termine. L autore approfondisce
il concetto di lussuria descrivendo come il desiderio lussurioso può
manifestarsi in varie forme: parla della lussuria come potere, come filosofia,
come inganno Andando al fondo della nozione di lussuria, stabilisce delle
relazioni significative tra vari testi, autori e concetti. Inglese, premessa,
in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci; G., Lussuria. La
passione della conoscenza, il Mulino, Bologna, risvolto della sopraccoperta.
Introduzione A mio giudizio la lettura del Canto V dell Inferno dantesco nell
ottica proposta da Giorello può offrirmi, e con me a tutti i lettori del
capolavoro d’Alighieri, una lettura fresca e interessante di questi versi già
ampiamente commentati. Vorrei dimostrare che le sue idee nuove permettono di
attualizzare questa parte del testo dantesco anzi, tutta la Commedia- e di
agganciarlo alla società del ventunesimo secolo (cf. Pasquini, cf. supra). Tutte
le manifestazioni della lussuria contemplate dal filosofo verranno applicate al
Canto V, poiché i suoi ragionamenti permettono di gettare nuova luce sul testo
dantesco e di presentarlo a una società diventata quasi completamente laica,
nella quale la religione cristiana è diventata un vago ricordo di altri tempi,
un fenomeno soltanto latente (cf. supra). Anche nel libro di G. L’aspetto
religioso della lussuria non è quello più importante, ma è sempre presente in
modo velato. Ciò significa che predomina la ricchezza rappresentata dalle varie
manifestazioni del concetto denominato lussuria, a scapito della visione
cristiana del fenomeno, la quale predica la restrizione di questo vizio. Tutto
ciò spiega perché i concetti delimitati da Giorello, in combinazione con
commenti da parte di Pasquini, mi faranno da filo conduttore per redigere la
presente tesi. L accostamento evidenzierà paralleli e complementi interessanti.
Dato che il mio scopo è l elaborazione di una nuova analisi della lussuria nel
celebre Canto V prendendo come guide alcuni studiosi contemporanei, l aggiunta
di pensieri e di ragionamenti provenienti dal libro Le conseguenze di un bacio.
L episodio di Francesca nella Commedia di Dante di Renzi arricchirà ancora l
esposizione, tra l altro la parte nella quale si tratta della colpevolezza o
dell innocenza di Paolo e Francesca. Renzi, nel suo libro, vuole reagire sia
alla retrocessione di Francesca in generale, sia all interesse privilegiato
mostrato dai critici per la tirata lirica di Francesca [L autore specifica che
l episodio di Francesca forma, infatti, una metonimia della Commedia, cioè la
parte per il tutto: [ ] drammatizza e presenta in exemplo la palinodia di
Dante, il suo abbandono degli errori giovanili, del mondo dell amore terreno e
della sua poesia (lo Stil novo), per cominciare l ascensione. Riferendosi a
Paolo Valesio, afferma però anche che il personaggio di Francesca si rivela
tanto intrigante che la palinodia rischia di diventare il suo contrario, una
palinodia della 11 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di
Francesca nella Commedia di Dante,
Introduzione palinodia: una nuova esaltazione dell amore terreno 12.
Accanto al riferimento a Valesi il testo di Renzi offre ancora molte
informazioni sorprendenti riguardanti altri autori e commentatori. Inglese,
poi, è il quarto critico principale che sarà evocato. Il suo commento all
Inferno mi ha procurato vari elementi chiarificatori, distinguendo, nella
Commedia, una struttura e una poesia, per esempio, o puntando sull importanza,
nel Canto V, di contrasti forti. Anche lui si mostra un difensore di una
dantistica del terzo millennio. La maturità della disciplina ( la quantità [dei
studi] è ormai misurabile solo con i mezzi dell elettronica ) non implica però
stagnazione, e lo dimostra bene, per quanto riguarda la Commedia, proprio la
vitalità del genere commento [In ogni capitolo della presente tesi, una nozione
filosofica evidenziata nel libro già citato di Giorello si trova alla base
delle idee sviluppate nel capitolo relativo. A quei ragionamenti s intrecciano
varie riflessioni dalla parte di Pasquini, Renzi, Inglese e alcuni altri
commentatori. Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Il
paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Come capitolo introduttivo
presenterò un resoconto generale del paradigma dei sette vizi capitali nel
Medioevo, incluso un attenzione particolare per la storia del vizio della
lussuria. Baserò questa visione d insieme sul volume I sette vizi capitali:
storia dei peccati nel Medioevo di Casagrande e Vecchio, Einaudi. Il settenario
Anzitutto si deve segnalare che il sistema dei vizi capitali non è un
invenzione di un individuo. Si tratta piuttosto di una raccolta di idee che si
è sviluppata attraverso secoli, continenti e persone diversi; di un enorme
enciclopedia nella quale si trova di tutto, un efficace schema classificatorio
per parlare del mondo [Un topos, per così dire. Una volta che il paradigma
aveva ottenuto la sua forma definitiva, ben circoscritta, ha avuto un successo
immenso, tanto presso i chierici quanto presso i laici. Si potrebbe dire che,
per quanto riguarda l Occidente, la storia medievale di questi sette vizi
inizia con gli scritti di tre ecclesiastici: Pontico, Cassiano e Gregorio.
Cassiano, avendo delineato nelle sue opere l insieme delle teorie del suo
maestro Pontico sui sette vizi capitali, ha scritto una delle opere più
significative per la cultura tanto religiosa quanto laica del Medioevo. Il
settenario dei vizi capitali, al quale Cassiano ed Pontico attraverso gli
scritti del suo allievo- ha contribuito, ha avuto grande successo. Dante,
quindi, ha vissuto in un epoca che accordava molto importanza all idea dei
sette vizi capitali. Si deve specificare che tanto Pontico quanto Cassiano
distinguono otto vizi capitali, al posto di sette: gola, lussuria, avarizia,
tristezza, ira, accidia, vanagloria e superbia (elenco tratto dall opera di
Casagrande e Vecchio). Magno, nella sua opera Moralia in Job, ne distingue
sette; non menziona più l invidia come vizio capitale. Anche Moralia in Job
costituisce un opera di notevole importanza per la cultura medievale: è molto
più di un [Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati
nel Medioevo, Torino, Einaudi, Il paradigma dei sette vizi capitali nel
Medioevo commento: esegesi, teologia, etica si mescolano a comporre un disegno
di larghissimo respiro [Il paradigma dei vizi capitali porta, naturalmente, l
impronta dell ambito nel quale è stato lavorato, cioè l impronta della società
monastica non solo quella occidentale. Infatti, Cassiano aveva apportato all
Occidente conoscenze orientali egiziane, siriane-, adottate dalla cultura
monastica orientale, raccolta nell Egitto. Anche il suo maestro, Pontico, aveva
imparato molto sui vizi capitali in quel crogiolo culturale che fu Alessandria
d Egitto alla fine del IV secolo 16, e nelle sue riflessioni, idee della
filosofia occidentale si sono confuse con questa sapienza proveniente dall
Oriente. Di più, le idee rappresentate dai sette vizi capitali risalgono, infatti,
alle difficoltà proprie alla vita nel monastero: Per i monaci essi
rappresentano gli ostacoli da superare lungo il cammino di perfezione al quale
si sono votati, in una continua battaglia contro se stessi e contro quel mondo
che si sono lasciati alle spalle 17. Detto questo, si può inquadrare la nascita
e lo sviluppo del settenario, almeno per quanto riguarda il Medioevo. In quello
che segue tratterò più in dettaglio la storia medievale di uno dei vizi
capitali, cioè di quello che costituisce il nucleo centrale della mia tesi: la
lussuria. Il vizio della lussuria Origine e delineazione del vizio nel Medioevo
Non solo il cristianesimo ha trattato il desiderio sessuale con diffidenza. Già
nella cultura pagana, gli individui si sfidavano da persone che riconoscevano
apertamente di sentire tali voglie. La religione cristiana si è adeguata molto
abilmente a queste preoccupazioni, riunendole in un vizio capitale chiamato
lussuria. Denominando così sentimenti vari e irrequieti, la fede calma, crea
ordine nel mondo, nella società, nella vita particolare di ogni persona che si
riallaccia alla tradizione cristiana. Diventa molto attraente in questo modo.
Lo sviluppo di paradigmi simili contribuisce alla popolarità di una concezione
di vita, tanto di visioni di tipo religioso come di concezioni pagani. Il
paradigma dei VII vizi capitali nel Medioevo Cassiano descrive la lussuria,
situandola nell ambito della natura propria agli uomini, come un vizio
intrinseco, come un aspetto essenziale della specie umana. Magno monaco e
papa-, anzi, pone che essa sarebbe un attività tutto naturale del corpo, che,
per di più, sarebbe intento da Dio. Da un punto di vista laico (nel senso di
ateistico), si vede apparire, in questo discorso, una concezione molto moderna
della sessualità umana. Rimanendo nel contesto cristiano, il papa, sviluppando
una tale visione, crea infatti un idea che spiana la via per la lussuria: se
forma un desiderio proprio all uomo tanto naturale quanto il bisogno di
mangiare e di bere, non si può evocare più niente per intimargli l alt. Ma, a
dire il vero, la visione della lussuria divisa in modo più ampio durante i
secoli medievali è quella ideata da Agostino. Secondo lui, l elemento chiave
che trasforma la sessualità dell uomo in un attività peccaminosa, sarebbe stato
il peccato originale. Prima della ribellione di Eva e Adamo contro Dio, i due
primi esseri umani sarebbero stati i padroni assoluti dei loro organi sessuali,
presenti per rassicurare la procreazione della specie umana. Dopo, invece, come
punizione reciproca per la loro disubbidienza a Dio, queste parti dei loro
corpi diventano insubordinati, non li possono più controllare. Anzi, sono
quegli organi del corpo a poter dominare l anima dell essere umano. Lì si
ritrova il primo vero aspetto della pena imposta ad Adamo ed Eva. La seconda è
rappresentata da una conseguenza irrimediabile del fatto che si sta parlando
dell attività responsabile per la generazione: l uomo trasmette quel peccato di
padre in figlio, per l eternità. Per forza, i figli nascono peccatori.
Nonostante il fatto che la visione agostiniana della lussuria era molto diffusa
durante il Medioevo, si comincia già a rivederla piu tardi. Si osserva infatti
un processo di desessualizzazione del peccato originale 18. Implica l
accettazione della concupiscenza come una delle conseguenze del peccato
originale, non come l effetto principale di questo. Tuttavia, la sessualità non
viene tolta dall ambito peccaminoso nel quale era stata introdotta: La natura
era ormai inevitabilmente corrotta [ Vizio del corpo Cassiano attribuisce alla
lussuria (denominata, in un primo momento, la fornicazione), tutto come alla
gola, lo statuto di vizio carnale, un vizio cioè che implica [Il paradigma dei
sette vizi capitali nel Medioevo] necessariamente la partecipazione del corpo. Rivendica
non solo la cooperazione degli organi sessuali, ma pure quella di tutti gli
organi legati alle esperienze sensoriali: gli occhi, le orecchie, il naso, la
bocca e le mani. La lussuria, infatti, si presenta come il solo vizio capitale
che coinvolge ognuno dei cinque sensi. Nel Medioevo, la collaborazione tanto
versatile del corpo umano alla fornicazione approda all idea che questo corpo
non solo partecipa allo svolgimento del vizio, ma ne subisce anche le
conseguenze. Quelle, naturalmente si tratta di conseguenze di atti peccatori-,
non appaiono sotto forme agrevoli: terribili mali di testa che i medici non
sanno come curare, progressiva perdita delle forze, vita breve e, su tutto, l
immonda malattia che attraverso piaghe ripugnanti e maleodoranti consuma
lentamente ma inesorabilmente il corpo, la lebbra [Per di più, il debole corpo
umano è inestricabilmente connesso con il vizio della fornicazione: senza la
presenza di un corpo, non si può manifestare la lussuria. Il vizio rivendica la
sussistenza della carne umana per poter apparire. Si tratta quindi di un
peccato intrinseco al fisico umano. A dire il vero, la lussuria non tocca a
qualsiasi corpo. Si ritrova essenzialmente in fisici maschili. Questo aspetto
della fisionomia della fornicazione non deve sorprendere: si parla di un
peccato il quale carattere ed essenza sono stati messi a punto negli monasteri
abitati da ecclesiastici maschili (fra le altre i padri fondatori del
settenario dei vizi: Pontico, Cassiano e Magno). A lungo, le donne non entravano
nel discorso sulla fornicazione, tranne come oggetti degli impulsi lussuriosi
maschili. Non vengono mai considerate capaci di intervenire come iniziatrici
per quanto riguarda questo peccato. La femmina, invece, ritenuta un essere più
debole che il maschio, era creduta molto suscettibile delle avance peccatori
esibite dal suo corrispondente maschile. Inoltre, l insieme di gioielli,
profumi, tenute ecc. (l ornatus, come scrivono Casagrande e Vecchio) che mette
l accento sull eleganza femminile si considerava un tutto che serviva
essenzialmente a rendere i corpi delle donne ancora più attraenti e, di
conseguenza, più sensibili ai suggerimenti lussuriosi dalla parte dei maschi.
Peraldo descrive le donne che si vestono e si truccano per andare a ballare tramite
una metafora memorabile: [sono [Il paradigma dei sette vizi capitali nel
Medioevo come] un esercito di soldatesse del Diavolo che si prepara a dare
battaglia per strappare a Dio l anima degli uomini 23. Quindi, nonostante il
fatto che le donne non possono esibirsi come istigatrici del vizio della
lussuria, sono consapevoli degli effetti che hanno i loro fisici sui loro
complementi, si avvalgono di queste loro qualità, e così, inconsapevolmente,
incitano negli uomini gli impulsi che li portarono ad atti lussuriosi. Vizio
dell anima Fin qui, la lussuria è stata dipinta come un vizio essenzialmente
corporale. A dire il vero, la sua origine non è soltanto carnale, ma si trova
nell interiorità più profonda dell anima umana. Proprio i monaci abitanti dell
ambito nel quale è cresciuta l idea del vizio capitale abbordata- hanno (tra l
altro) riconosciuto che il nucleo della fornicazione sarebbe di natura
spirituale. Nel vangelo secondo Matteo si può leggere una frase che non lascia
adito ad alcun dubbio: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già
commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt. 5, 28) 24. Ma questa idea non
implica che il corpo non potesse essere lussurioso. Inserisce piuttosto una
fase intermedia nell insieme di fasi propri all azione peccaminosa. In primo
luogo nascono le idee lussuriose nell anima dell uomo; in seguito si osserva
che, da questi pensieri, sorge una specie di corpo virtuale (questa costituisce
quindi la tappa alla quale si riferisce nella sentenza evangelica); infine l
atto adultero si svolge per quanto riguarda il corpo reale, di carne e ossa. A
proposito della nozione di carne, si dovrebbe ancora specificare la differenza,
quanto al peccato della lussuria, tra carne e corpo, vale a dire: quando l
anima cessa di pensare, immaginare, ricordare, assecondare, ascoltare, in una
parola servire il corpo, il corpo cessa di essere carne, oggetto e strumento di
quel desiderio eccessivo e disordinato che ha colpito l uomo dopo il peccato
originale, per tornare a essere solo corpo, un aggregato di materia che
garantisce la vita dell individuo [Il nuovo testamento, a cura di Giuliano
Vigini, revisione di Rinaldo Fabris, Milano, Paoline Editoriale Libri,
Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo,
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Si potrebbe dire, dunque,
che, riguardo alla fornicazione, non ci entra il corpo umano vero e proprio, ma
un suo equivalente virtuale, come l hanno formulato Casagrande e Vecchio. In
effetti, già nell ottica agostiniana della lussuria è inclusa l idea che gli
impulsi concupiscenti corporali, da soli, non costituiscono sensazioni
peccaminose. È precisamente la condiscendenza dell anima alle pulsioni carnali
che trasforma queste ultime in impulsi peccatori. In seguito, si deve
segnalare, in questo capitolo, il punto di vista piuttosto sorprendente di
Pietro Abelardo (XII secolo) sul vizio capitale della lussuria, soprattutto per
quanto riguarda la relazione tra anima e corpo. Abelardo sosteneva che tanto la
concupiscenza quanto l atto sessuale e i compiacimenti che lo accompagnano
avevano fatto parte della natura dell uomo a partire dal peccato originale.
Affermava che l elemento vizioso stava solamente nella transigenza dell anima
umana al corpo (carne, infatti) corrispondente. Con questa teoria, Abelardo
sviluppa, a dire il vero, una concezione molto moderna della sessualità umana.
Non per niente le sue asserzioni hanno provocato moltissime reazioni alla sua
epoca. La notevole importanza dell anima in quest ambito viene confermata dalle
conseguenze che ha il vizio della lussuria non solo per il fisico dell uomo ma
anche, e specialmente, per la sua anima immortale. La fornicazione corrompe il
corpo umano, lo rende impuro e infangato; ma è ancora molto più dannosa all anima:
una volta imbrattata da questo peccato, lo spirito dell essere umano,
debilitato e confuso, incoerente, è sull orlo della rovina. Si tratta di un
vizio talmente onnicomprensivo che abbraccia tutti i livelli e strati dello
spirito; si espande in tutti gli angoli della mente. Il danneggiamento dell
anima dalla lussuria si rivela incontestabilmente il più grave nell
indebolimento della ragione, componente più nobile e preziosa dello spirito
umano. Mina il potere della capacità più eccezionale dell uomo, cioè la potenza
di dominare tutti i suoi sentimenti, emozioni e impulsi facendo appello alla
ragione. In effetti, non solo la chiesa si preoccupava dalla decadenza della
ragione sotto l influsso di attività sessuali. Prima della tradizione
cristiana, un ampia tradizione pagana aveva cercato di offrire uno sfogo a
simili preoccupazioni. In questo modo, ha potuto crescere, fra le altre prima
in ambito pagano, poi in contesto cristiano-, l idea che l intelligenza
concetto concepito come positivo- dovrebbe essere capace di mettere l uomo
nella 16 Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo possibilità di
controllare gli impulsi carnali concepiti come negativi. Dato che gli ultimi
avvicinavano l essere umano dall animale, il contrasto tra questi di una parte,
e la nobiltà incontestabile della ragione umana d altra parte, si rivelava
grandissimo. Se è vero che tale opposizione si presentava palesemente in
contesto scientifico, per dirlo così intellettuale, filosofico ecc.-, la sua
importanza per la vita quotidiana dell uomo medio è inequivocabile, visto la
funzione [della ragione] di garantire la misura, la compostezza, l equilibrio
nella vita di ciascun individuo. Trasposto in ambito letterario, il dualismo
fra la ragione e gli stimoli carnali, e, più in particolare, la follia nella
quale può sfociare la vittoria riportata dalla carne alla ragione, s
impadronisce dei protagonisti dei romanzi cortesi. Il fenomeno rappresenta il
culmine assoluto dell incostanza confusa che può essere provocata in varie
misure dalla lussuria. I coniugati e la lussuria. Se non sanno vivere in
continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere (Cor.) Tra tutte le
persone che non scelgono la castità come cura della lussuria, i coniugati
formano un gruppo speciale. Il matrimonio, in effetti, non elimina la lussuria,
ma nella misura in cui vieta tutti i rapporti extraconiugali e limita quelli
coniugali [a quelli che servono alla procreazione e quelli che sono necessari
per soddisfare le sensazioni concupiscenti dei coniughi ed evitare, in questo
modo, che commettono il peccato della fornicazione], la contiene e la riduce
28. La storia del concetto di matrimonio, per quanto riguarda il vizio della
lussuria, si rivela alquanto complicata. In primo luogo si deve segnalare che
la ragione per la quale certi cristiani propendevano per la castità e non per
il matrimonio consisteva nel fatto che il matrimonio limitava solamente la
lussuria; non poteva escluderla. Ma, allo stesso tempo, questo fatto veniva
anche rivendicato dai credenti che volevano proteggersi dalla lussuria: il
matrimonio, dopo tutto, delimitava la portata del vizio. Poi, Agostino aggiunge
che considera l unione coniugale un bene, certamente inferiore a quello della
castità, ma comunque un bene, e questo non solo per la procreazione dei figli. Il
nuovo testamento, Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei
peccati nel Medioevo. Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo ma
anche per la società naturale che l unione tra i due sessi comporta. Di più,
pone che Dio avrebbe previsto l unione carnale tra gli uomini e i loro
complementi femminili prima del peccato originale, visto che entrambi i sessi
erano già dotati di organi sessuali chiaramente visibili e differenti prima che
Eva ed Adamo disubbidivano a Dio. Il peccato non sta dunque nel coito [...] ma
nell uso che gli uomini ne fanno. Queste idee agostiniane sono state molto
diffuse durante tutto il Medioevo. Finalmente, si deve ancora segnalare che il
legame stabilito tra il vizio della lussuria e il matrimonio fa sì che il
peccato si estende dall essere umano individuale alla comunità intera. Può
corrompere tutta una società; non si tratta più di un vizio dannoso alla vita e
all anima di una singola persona, a tal punto che minaccia tutta la specie
umana. Da questo punto di vista, il peccato occupa una posizione particolare,
anzi unica nel settenario dei vizi capitali. La lussuria come potenza nel Canto
V dell Inferno Nella sua esposizione sulla lussuria come potenza (o impotenza)
Giorello asserisce che la lussuria è mescolanza di tutte le cose del mondo,
rotture d ordine, spezzatura. Nel caso di Paolo e Francesca, di certo, la
lussuria è stata responsabile di una rottura dell ordine quotidiano, anzi, dell
ordine del mondo come i due innamorati lo conoscevano. La spezzatura della loro
realtà viene causata direttamente dalla potenza (cioè, dalla potenza nel senso
filosofico della parola: potenza come volontà) che costituisce una parte
essenziale del desiderio lussurioso che sperimentano. Dal momento in cui cedono
alla loro volontà lussuriosa, Francesca, consapevolmente, abbandona suo marito,
pone fine al suo matrimonio. Caìn attende chi a vita ci spense; il nome di
Gianciotto è taciuto per disprezzo, non certo per femminile riserbo Neanche
Paolo può più tornare indietro; la relazione tra lui e suo fratello è
irrimediabilmente danneggiata. Il bacio dei due lussuriosi segna un passaggio
chiave nella loro storia lussuriosa. Dopo una fase di dubbi e di disperazione,
è arrivato il momento in cui decidono di rinunciare a tutto quello che è
familiare, e di perdersi in un avventura della quale sanno che gli porterà sia
la felicità assoluta sia la perdizione. La tragica combinazione di tenerezza e
di rovina è illustrata dal v. 106 Amor condusse noi ad una morte: la prima e l
ultima parola del verso si rispondono fonicamente AMOR condusse noi ad una
MORte. Inglese chiarisce che, in questo modo, il verso s iscrive nella lunga
tradizione di una diffusa paretimologia (Federigo dall Ambra, son. Amor che
tutte cose: Amor da savi quasi A! mor si spone. Per di più, la parola morte,
nel Canto V dell Inferno, conclude la serie di proposizioni principali il cui
soggetto è Amore. In questo senso, la lussuria si presenta come una mescolanza
di tutte le cose del mondo: ogni diritto ha il suo rovescio. Di rado, la realtà
nella quale vivono gli esseri umani offre una gioia senza che,
contemporaneamente, appaia anche qualcosa che tempera questo sentimento. È un
dato che si manifesta in modo particolarmente chiaro in situazioni G. Lussuria.
La passione della conoscenza, Alighieri, Commedia. Inferno, revisione del testo
e commento di Inglese, Roma, Carocci Inglese, commento al testo in Commedia.
Inferno di Alighieri, Roma, Carocci, Alighieri, Commedia. Inferno, Inglese,
commento al testo in Commedia. Inferno di Alighieri, La lussuria come potenza
nel Canto V dell Inferno lussuriose. Paolo e Francesca propendono non solo per
la felicità (lussuriosa) ma anche per l aspetto penoso che essa implica. Da
quanto appena enunciato risulta che la dimensione della lussuria identificata
come la volontà forma una caratteristica fondamentale del fenomeno. Se manca
una forte volontà, non si può parlare di lussuria. È appunto dalla volontà
umana che procede il desiderio di qualcosa. Dal testo di Giorello emerge che il
desiderio an sich deve, infatti, considerarsi come essenzialmente lussurioso.
Nel caso di Paolo e Francesca, si tratta del desiderio dell altro. Dante presta
molta attenzione all espressione di tale potenza. È probabilmente una delle più
belle manifestazioni dello spirito umano: unica, forte, ma anche tragica. Forse
la bellezza risiede, appunto, nella tragicità. Quello che un essere umano può
realizzare grazie alla volontà commuove solo quando si mescola con altre
caratteristiche come, in questo caso, il tragico. Il desiderio umano, giudicato
lussurioso per definizione, è presente nel Canto V non solo nella decisione
presa da Paolo e Francesca. Ci troviamo nella prima parte dell Inferno, cioè
all inizio del viaggio sotterraneo di Dante personaggio. E siccome Dante parla,
infatti, di ognuno di noi, ci troviamo all inizio del viaggio che ogni
peccatore potrebbe desiderare, un giorno. Anche lui sperimenta un forte
desiderio. Si trova sulla via della perdizione, e vuole ritrovare la retta via.
Vuole andare verso la luce divina, è in cerca di una direzione nella sua vita.
Questa aspirazione predomina su tutto il suo essere, come il desiderio di
Francesca domina su Paolo e vice versa. Inoltre, Giorello pone che la
laicizzazione è la lussuria dell emancipazione dalla soggezione alla natura e/o
alla divinità emancipazione che costituisce la premessa di una società politica
matura. Secondo me, l autore suggerisce che l assunto che la laicizzazione sia
un processo lussurioso sarebbe ovviamente consono alla visione cristiana della
lussuria che la considera un vizio capitale. Classificare la laicizzazione tra
le varie forme in cui può manifestarsi la lussuria le conferirebbe lo statuto
di un azione peccaminosa. L idea principale che vuol esprimere il filosofo in
questa frase, però, è che il desiderio umano di venir liberati dall
assoggettamento a un potere superiore si rivela lussurioso, poiché si tratta di
un desiderio. Dante personaggio, tuttavia, desidera di esser assorbito
completamente dalla luce divina del Dio cristiano. E aspira alla stessa sorte
per tutti i suoi contemporanei. L opposizione G., Lussuria. La passione della
conoscenza. La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno tra la volontà
evocata da Giorello e quella di Dante personaggio illustra il punto di vista
del filosofo sulla lussuria. Che il carattere di un fenomeno sia o non sia
lussurioso non dipende dalla sua religiosità o laicità. Uno degli aspetti
essenziali della lussuria è la forza immensa della potenza umana che fa sì che
la lussuria può esistere. Oltre a ciò, l autore menziona che la lussuria
istituisce il nesso tra conoscenza e oblio 37. L aspetto della lussuria che è
analizzato e commentato in questo capitolo, la potenza, costituisce la forza
che spinge un essere umano ad avere curiosità e a cercare risposte alle proprie
domande. In questo senso, forma, infatti, l anello che lega l ignoranza e la
conoscenza. Dante personaggio vuole conoscere il mondo sotterraneo, e desidera
sapere se e come si può salvare. Dalla sua curiosità, quindi dalla sua volontà,
sorgerà la comprensione dei fenomeni che vuole capire. Si può pure trasformare
la conoscenza in oblio per il tramite della lussuria. Una volta che la
conoscenza è ottenuta, è possibile che essa provochi l oblio di altri fatti
conosciuti nell essere umano che la ottiene, com è illustrato dall epopea
mesopotamica la Saga di Gilgames alla quale si riferisce Giorello. Nel Canto V,
tuttavia, si osserva il contrario. Quello che era conosciuto nel passato non è
dimenticato, come pone appunto Francesca dopo che Dante le ha chiesto di
raccontare come lei e Paolo si sono rivelati i sentimenti amorosi reciproci: E
quella a me: Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/nella
miseria: e ciò sa l tuo dottore. Chiaramente, i due lussuriosi si ricordano
benissimo quello che sapevano prima del momento in cui la loro volontà di
conoscere li ha messi sulla via della perdizione, cioè, prima del momento in
cui si baciavano e s appropriavano la conoscenza dell altro. Anzi, in questo
passo, Dante autore utilizza letteralmente il verbo conoscere: Ma, s a conoscer
la prima radice/del nostro amor tu hai cotanto affetto/dirò come colui che
piange e dice. Ciò illustra l importanza ardente del significato del termine.
Per di più, Giorello pone che la potenza della dea [Venere] è quotidiana [ ],
non solo eccezionale. Si potrebbe sostenere, quindi, che la caratteristica
della lussuria rappresentata da questa volontà incredibilmente potente non si
manifesta unicamente in situazioni o momenti eccezionali. Costituisce una forza
sempre presente nell essere Alighieri, Commedia. Inferno. G. Lussuria. La
passione della conoscenza. La lussuria come potenza nell’Inferno umano, gli
appartiene. Non sarebbe capace di liberarsi da essa, se lo volesse. Questo,
però, gli è connaturale: si tratta di una parte dello spirito umano troppo
essenziale. Senza di essa non sarebbe più un uomo. Per di più, rappresenta un
impulso troppo gradevole. All uomo piace infinitamente provare una tale energia
dentro di se. Gli dà l idea che potrebbe, infatti, realizzare il progetto che
ha in mente, che potrebbe trovare la risposta alla sua domanda. Gli dà il
coraggio necessario per dare ascolto ai sentimenti che lo sopraffanno e per
arrischiarsi in una ricerca o una situazione che possibilmente finirà male. È
questo il momento in cui la volontà lussuriosa, quotidiana, alleggiando,
diventa eccezionale. Questo momento speciale si osserva pure nella storia di
Paolo e Francesca. Dopo un lungo tempo di voler esser insieme (da solo), arriva
quel punto in cui il desiderio di Paolo di sapere come sarebbe di trovarsi
nelle braccia della donna amata, diventa troppo forte. La bacia. Un momento
riempito in modo molto eccezionale di volontà lussuriosa. Giorello menziona
anche che la dea Venere (e quindi la lussuria) può rivelarsi maestra di inganno
40. Certo, nel Canto V, si osservano delle azioni ingannevoli: Francesca
tradisce suo marito, Paolo suo fratello. All aspetto ingannevole della
lussuria, però, sarà dedicato un altro capitolo della presente tesi. Ciò che
colpisce nelle pagine sulla lussuria come potenza in Lussuria. Passione della
conoscenza, e che potrebbe dar luogo a una riflessione interessante, è un idea
che deduce da un testo di Agostino, Città di Dio. Secondo G. si può capire da
quest opera che, secondo Agostino, la fiacchezza della nostra volontà
(contrapposta alla forza di quella divina) sia ben peggio di qualsiasi fisica
impotentia coeundi 41 perché nell ordine naturale l anima è anteposta al corpo.
Agostino descrive la lotta della passione il corpo e della volontà l’anima
parlando della lussuria, affermando che esiste almeno l imperfezione della
passione nei confronti della pienezza della volontà. Ciò pone l accento sul
valore più grande della forza mentale che è la volontà dell uomo a paragone del
suo corpo fisico. Rileva la preziosità e la versatilità della potenza, la quale
è valutata non solo dai fedeli cristiani ma anche da laici. Si potrebbe
sostenere, quindi, che si tratta di un punto di vista comune e, di conseguenza,
unificatore. L unione d idee Agostino, Città di Dio, Introduzione, traduzione,
note e apparati di Luigi Alici, Milano, Bompiani, La lussuria come potenza nel
Canto V dell Inferno cristiane e laiche (nel senso di provenienti dagli
antichi) si ritrova, appunto, nella Commedia dantesca. A mio giudizio questa
fusione è una delle caratteristiche più meravigliose dell opera. Si rivela in
modo splendido nel passo su Paolo e Francesca. La ricchezza del Canto V
proviene, tra l altro, dall enumerazione dei nomi di Semiramide, Cleopatra,
Tristano, e di tutti gli altri personaggi lussuriosi della mitologia classica
menzionati dalla guida di Dante, Virgilio. Inglese spiega che sono donne
antiche e cavalieri: insomma, l intero mondo del romanzo epico-amoroso, che
aveva, di fatto, connesso in un ciclo unico Troianorum Romanorumque gesta et
Arturi regis ambages [ avventure ] pulcerrime (Dve I x 2) La loro apparizione conferisce un atmosfera
unica all Inferno cristiano. Evocano la grandezza delle storie antiche di
alcune coppie famosissime. Risulta dai versi quanto sono care a Dante, tutto
come la sua fede. Il ricordo della disperazione, dell amore e della perdizione
caratteristico di queste storie si mescola, nel Canto V, ai sentimenti simili
di Paolo, Francesca e Dante. Per quanto riguarda quella relazione emotiva
triangolare tra Dante, Paolo e Francesca, si può segnalare che la sua forza
emozionale è ancora aumentata dal fatto che, per Francesca, la visita del
pellegrino forma un opportunità unica per confessarsi (dal punto di vista dei
colpevolisti di Renzi) o per comunicare e quindi rendere immortale la sua
tragica storia d amore (secondo la visione dei giustificazionisti di Renzi, cf.
infra). Inglese afferma che gli incontri fra il P. [Dante personaggio] e i
dannati si presentano come un momento affatto eccezionale nello svolgersi (che
non ha però vero svolgimento) della pena di questi ultimi [ ]: per un motivo
superiore ossia, per l edificazione del P. e poi dei viventi che leggeranno il
resoconto del viaggio la Provvidenza suscita in alcuni dannati un estremo atto
di personalità (v. 84) [ vegnon per l aere, dal voler portate 44 ]. Sul piano
poetico, ciò si traduce in una forte drammatizzazione degli episodi: Francesca,
per esempio, non avrà mai un altra occasione di confessarsi, di dare forma verbale
al proprio tormento. Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno d’Alighieri,
Alighieri, Commedia. Inferno. Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno d’Alighieri,
La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Da quello che precede,
risulta che un estremo atto di personalità implica una volontà potente, dato
che la volontà costituisce una parte essenziale dell essere umano. Si potrebbe
dire che, con l ultima frase, Inglese si presenta come un colpevolista, poiché
dare forma verbale al proprio tormento può significare dare forma verbale al
suo peccato e al modo in cui lo strazio della punizione infernale la tortura.
La seconda parte della frase di Inglese, però, potrebbe anche essere
interpretata come dare forma verbale al modo in cui entrambi il ricordo del
tempo d i dolci sospiri 46 e quello della fine tragica della sua storia d amore
la tormentano. Allora, per quanto riguarda Francesca, Inglese si presenterebbe
non solo come un colpevolista, ma anche come un giustificazionista. Ritornando
alle donne antiche e cavalieri, Renzi asserisce quanto segue: Se ci sarà ancora
una critica letteraria dedita a leggere con attenzione i testi, qualcuno
noterà, per esempio, che la pietà di Dante per Francesca, primo segno della sua
partecipazione emotiva alla storia di Francesca, seguita poi dallo svenimento,
era già cominciata al v. 72 e si riferiva alle donne antiche e cavalieri,
dunque a tutti quei fantasmi letterari che prima sono definiti peccator
carnali. Dunque Dante non solidarizza solo con Francesca. 47 Mentre Virgilio
annovera nome dopo nome, Dante personaggio sente come, nel suo cuore, cresce la
compassione. Ascoltando la sua guida, diventa sempre più commosso, triste e
silenzioso per tutto quell amore disperato, perso. Anche lui ha amato e perso la
persona amata. Pasquini pone che non si ha soltanto il dramma cruento dei due
giovani amanti riminesi; c è anche il dramma interiore di Dante che si sente
personalmente coinvolto in quella tragedia 48. Questo dramma interiore che
sperimenta il pellegrino di fronte alla tragedia romagnola si spiega, secondo
Pasquini, dall atto d accusa di Beatrice nel Purgatorio. Qualcosa di Francesca
ritorna in Dante e nel suo personale traviamento, sotto la spinta del rigoroso
atto d accusa cui lo sottopone Beatrice; il che spiega con chiarezza, quasi
completandolo, il suo turbamento che non è solo pietà di fronte alla tragedia
romagnola. Alighieri, Commedia. Inferno. Renzi, Le conseguenze di un bacio. L
episodio di Francesca nella Commedia di Dante. Pasquini, Dante e le figure del
vero. La fabbrica della Commedia, cIbidem. La lussuria come potenza nel Canto V
dell Inferno Secondo Ginguené, autore di Histoire littéraire d Italie, non è
stato il Dante filosofo e teologo che si rivela in altri passi della Commedia
che ha scritto l episodio di Paolo e Francesca, ma è stato il Dante innamorato
di Beatrice. In questo senso, il Canto V parla da ENEA – VIRGILIO (si veda) e
Didone, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, e pure d’ALIGHIERI (si veda) stesso.
Di conseguenza, tratta anche di ognuno di noi, poiché il passaggio di Dante
personaggio attraverso l inferno, il purgatorio e il paradiso celeste
rappresenta il viaggio simbolico di ogni peccatore che desidera ritrovare la
retta via. Ginguené, per di più, non evidenzia la pietà di Dante, ma nota che
la pena in fondo, se non è mite, è la più piccola fra tutte quelle previste dal
poeta 51. Renzi spiega come questo non sembra una grande osservazione, ma la
riprenderanno, in genere senza conoscersi l uno con l altro, molti critici, da
FOSCOLO (si veda) [Discorso sul testo della Commedia] a Barolini [Dante and CAVALCANTI
(si veda) (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric
Context. E ci aggiunge: Nardi [Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel
Duecento e in altri 54 ], che era l unico che di queste cose se ne intendeva
davvero, ha notato che, tra i peccatori nella carne, ALIGHIERI ha punito i
golosi più gravemente dei lussuriosi, invertendo l ordine d’AQUINO (si veda) Forma
un argomento che sostiene la tesi di Ginguené secondo la quale l unico vero
autore dell episodio di Francesca sarebbe stato il Dante amante di Beatrice, e
certamente non il Dante teologo. Anche per Francesco De Sanctis (in Francesca
da Rimini 56 ) e per Croce (La poesia d’ALIGHIERI), segnala Renzi, Dante, come
teologo e come cristiano, disapprova i peccati dei lussuriosi. Inglese
definisce la pietà di Dante ( pietà mi giunse e fu quasi 50 Pierre-Louis
Ginguené, Histoire littéraire d Italie, citato da Lorenzo Renzi in Le
conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante,
Ibidem, Foscolo, Discorso sul testo della Commedia, in Id., Studi su Dante, a
cura di Giovanni Da Pozzo, Firenze, Le Monnier,Barolini, Dante and Cavalcanti
(On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context, in
Dante studies. Nardi, Filosofia dell
amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri, in Id., Dante e la cultura
medievale, Bari, Laterza, il passo che interessa con i riferimenti ad AQUINO
(si veda). Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella
Commedia di Dante, cit., Sanctis, Francesca da Rimini, in Id., Lezioni e saggi
su ALIGHIERI (si veda), a cura di Romagnoli, Torino, Einaudi, Croce, La poesia
di Dante, Bari, Laterza. La lussuria come potenza nell’Inferno smarrito 58 ) un
profondo turbamento in cui sono fusi l orrore per il peccato e il dolore per l
umanità peccatrice giustamente punita 59. Per Sanctis e per Croce, da un punto
di vista emozionale, invece, Dante non condanna i lussuriosi. Croce sottolinea
pure il potere estasiante che ha avuto il libro narrando la storia di
Lancillotto e Ginevra sui due peccatori. Asserisce però che Dante, al contrario
di altri poeti, riesce a rompere e a superare l incantesimo dolce dell amore.
Così, afferma Renzi, il critico italiano è riuscito a ottenere un momento di
sovrano equilibrio nella storia della critica della Commedia, e in particolare
dello scontro tra colpevolisti [quelli che considerano Francesca una peccatrice
integralmente responsabile delle vicende] e giustificazionisti [quelli che si
fanno paladino della donna D altronde, per quanto riguarda la colpevolezza o l
innocenza di Francesca, Inglese segnala che la donna, affermando che Amor, ch
al cor gentil ratto s apprende, da un punto di vista psicologico si rivela
sincera, ma che, nella prospettiva etica del poema, è]obiettivamente falsa
poiché Amore è sempre soggetto delle azioni determinanti [ prese costui della
bella persona/che mi fu tolta: e l modo ancor m offende./amor, ch a nullo amato
amar perdona/mi prese del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor non m
abandona./amor condusse noi ad una morte. Da quest’angolatura, infatti, tutte
le due ipotesi (tanto quello della colpevolezza quanto quello dell innocenza di
Francesca) rientrano nelle possibilità. Si può considerare Amore come il vero
colpevole, o giudicare che la donna si è arresa a lui, caso in cui lei si
rivela responsabile per le vicende. Secondo Inglese, l aggettivo leggieri che
si trova nel v. 75 e paion sì al vento esser leggieri 63 farebbe parte di un
idea esclusivamente poetica (e quindi non strutturale) che vuole dimostrare, al
lettore, il peso carnale del peccato d amore. Tutto come questo formerebbe un
suggerimento puramente poetico, Francesca, nella poesia, vive come anima
tormentata dalla passione d amore, mentre dalla struttura è dannata per
adulterio incestuoso. Quindi, quello che De Sanctis e Croce attribuiscono a
Dante teologo e 58 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, Inglese, commento al
testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Renzi, Le conseguenze di un
bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di ALIGHIERI, Alighieri,
Commedia. Inferno, Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno diAlighieri,
Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87. 64 Giorgio Inglese, commento al
testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri. La storia di G. In
Articoli di Ciardi Dopo la scomparsa di G., ho letto molti ricordi a lui
dedicati. Uno dei migliori è senz’altro quello di Vincenzo Barone, che compare
nelle pagine di questo numero di Query . Ringrazio sentitamente Enzo per avere
accettato di scriverlo. image Io vorrei contribuire alla memoria
del nostro grande studioso (e amico) sottolineando soltanto uno tra i molti
suoi meriti. Giulio era anche un ottimo storico della scienza e delle
idee. Tale merito gli è stato riconosciuto da uno dei maestri del
Novecento in questo settore, Paolo Rossi Monti (il cui nome ricorre spesso in
questa rubrica e al quale è stato dedicato il primo numero di “Parastoria”, su
Query. Recensendo uno dei tanti bellissimi saggi di G., Prometeo, Ulisse,
Gilgameš. Figure del Mito Rossi scrive. G. è allievo di Geymonat. Insegna e si
è prevalentemente occupato di filosofia della scienza. Attualmente è anche
Presidente della Società Italiana di logica e filosofia delle scienze. Come il
suo libro dimostra, non solo utilizza una grandissima quantità e varietà di
testi, ma anche conosce come pochi (e minutamente la storia e i luoghi
dell’Inghilterra e, più ancora, dell’Irlanda. Giorello è del tutto consapevole
del fatto che il suo libro è una sorta di labirinto. Dentro quel labirinto (che
ha una struttura geometrica) egli conduce a volte trascina il lettore. Le
avventure di idee hanno la strana (per alcuni insopportabile) caratteristica di
essere un po’ avventurose: di portare molto lontano dall’idea che la filosofia
abbia il compito di mettere ordine nel mondo, di trasformarlo (come diceva il
mio maestro BANFI (si veda)) in una linda casetta. Una parte consistente della
filosofia italiana sembra impegnata a confrontare accuratamente fra loro i
testi di cinque o sei rispettabili filosofi di lingua inglese, a commentarli, a
commentare i risultati del confronto, a polemizzare con gli altri commentatori
tentando, nel più dei casi, arzigogolate mediazioni fra tesi contrapposte. Di
una cosa non mi pare lecito dubitare: G. non fa parte della vasta, soporifera e
innocua schiera degli oscuri e instancabili “roditori accademici. L’espressione
“roditori accademici” era un rimando a quanto scritto sul tema da Paul K.
Feyerabend, un pensatore con cui Rossi ha spesso polemizzato, ma per il quale
nutriva profonda stima.[3] E che anche G., non a caso, come ha ricordato
Barone, ben conosceva. Sua la prefazione all’edizione italiana di Against
method. Outline of an anarchistic theory of knowledge, pubblicato da
Feltrinelli. Rossi citava spesso, con orgoglio, che il suo libro che
compendiava decenni di ricerche sui rapporti tra scienza e magia, Il tempo dei
maghi. Rinascimento e modernità, fosse uscito nella collana “Scienza e idee”
diretta da G, per Cortina. Perché sapeva quanto G. avesse chiaro cosa
significasse fare storia della scienza, come ricorda nell’analisi del saggio di
Bellone, Molte nature. Saggio sull’evoluzione culturale. La parola chiave del
processo storico – come nota G. nella brillante prefazione che ha scritto per
questo libro – è imprevedibilità. Accade infatti spesso nel presente (ed è
accaduto spesso nel passato) che gli scienziati siano stati costretti a
“vedere” cose diverse da quelle che avrebbero invece dovuto scorgere sulla base
delle proprie credenze personali. Come ci ha ricordato Barone, G. si laurea sia
in filosofia che in matematica. Per questo motivo, come aveva presente Rossi, G,
non ha mai pensato che il semplice fatto di essere scienziati equivalga, per
coloro che svolgono tale professione, ad una autorizzazione «a parlare di testi
che non hanno letto, a prendere posizioni su questioni che non conoscono, ad
esprimere opinioni su problemi che non hanno mai avvicinato. Del resto, già
oltre un secolo fa il matematico Paul Tannery, uno dei padri fondatori della
storia della scienza come disciplina specifica, afferma che «per essere un
buono storico non basta essere scienziato. Bisogna prima di tutto volersi
dedicare alla storia, cioè averne il gusto; bisogna sviluppare in sé il senso
storico che è essenzialmente differente da quello scientifico; bisogna infine
acquisire una serie di conoscenze particolari, di ausilio indispensabile per lo
storico, che sono invece del tutto inutili allo scienziato che si interessa
solo al progresso della scienza. Anche per questo, G. era un fautore delle
collaborazioni. Come quella tra le innumervoli con Sindoni, che ha portato alla
realizzazione dell’affascinante Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita
intelligente nell’Universo, dove G., nella parte storica di sua competenza,
mostra (anche in questo caso) una conoscenza approfondita e raffinata degli
argomenti trattati. Mostrando, ad esempio, in nome di quella “imprevedibilità”
alla quale si accennava poco fa, come il “romanziere” Jules Verne avesse, sul
tema dell'abitabilità dei mondi, idee molto più chiare e precise dello
scienziato Flammarion. Del rapporto tra le due culture G. ha sempre preso il
meglio (non dimentichiamo che il celebre testo di Snow sull’argomento fu
introdotto in Italia dalla prefazione di Geymonat). Ed era consapevole del
ruolo decisivo della scuola nello sviluppare un processo di apprendimento
diverso rispetto a quello tradizionale. C’è soprattutto da vincere la scommessa
circa “l’avvenire delle nostre scuole”, come direbbe Nietzsche. Chi guarda
attentamente alle grandi svolte del pensiero scientifico e alla stessa
innovazione tecnologica non può non constatare come gli aspetti più creativi
abbiano travolto qualsiasi steccato disciplinare. Valeva ieri per le dottrine
di Copernico o per quelle di Darwin, vale oggi per le frontiere della
cosmologia o per quelle della biologia, per non dire dell’informatica e
dell’alta tecnologia. Potremmo dilungarci su non pochi esempi di virtuose
contaminazioni nelle scienze come nelle lettere. Ma ci limitiamo qui a ricordare
che la separazione delle culture è l’effetto più deplorevole dell’atteggiamento
che concepisce le acquisizioni dell’avventura umana come entità fisse, sospese
nel cielo platonico delle idee. Perciò G. (sempre utilizzando le parole di
Rossi) provava «una invincibile ripugnanza» per «gli elenchi di scoperte e di
ritrovamenti tecnici, per le sfilate di risultati eternamente veri e di errori
eternamente falsi. Ancora G. Cosa c’è di meglio per qualsiasi creazione dello
spirito umano che venire utilizzata, contestata, magari stravolta in un
dibattito (come è appunto quello scientifico), in cui in linea di principio
nessuna opinione è immune da critica o revisione? L’ospitalità che la scienza
offre a qualsiasi “straniero” (ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo
tipo. Non c’è miglior rispetto che quello che prende forma nelle modalità del
conflitto. Grazie di tutto, Rossi. A mio non modesto parere. Le recensioni sul
“Sole-24 ore”, a cura di Bondì e Monti. Bologna: Mulino, Feyerabend, La scienza
in una società libera. Feltrinelli: Milano, Rossi. Feyerabend: un ricordo e una
riflessione, in Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia.Bologna:
Mulino, Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della
conoscenza; Prefazione di G., Milano: Feltrinelli; Cfr. ad esempio, Rossi; A
mio non modesto parere, Rossi; Ci sono molti Galilei?in Un altro presente; Tannery.
De l'histoire
générale des sciences, in “Revue de Synthèse”) G. Flammarion,
lo “scienziato”, sconfitto da Verne, il romanziere, in Un mondo di mondi. Alla
ricerca della vita intelligente nell'Universo. Milano: Raffaello Cortina, G. Per una Repubblica delle Scienze e delle
Lettere, in Le due culture, a cura di A. Lanni. Venezia: Marsilio, Rossi.
Considerazioni conclusive, in Atti del Convegno sui problemi metodologici di
storia della scienza. Firenze: Barbera. G. Per una Repubblica delle Scienze e
delle Lettere. Grice: “The
etymology of libertine ruins it! – or ruins the concept. A slave liberated,
being of a low class condition, would be criticized for his excesses of
freedom!” Giulio Giorello. Giorello. Keywords: il
libertino, implicatura speculativa – specchio e il reame: la communicazione -- “il
fantasma e il desiderio” “lo spettro e il libertino” “lo specchio del reame” –
“il libertino” “lo scimmione intelligente” lo specchio di Narciso, Bruno,
Leopardi-- -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorello” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Grice e Giorgi: la ragione conversazionale al limite
-- l’implicatura conversazionale di Bacco – filosofia cavallinese – scuola di
Cavallino -- filosofia leccese – filosofia pugliese -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Cavallino). Filosofo cavallinese.
Filosofo leccese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Cavallino, Lecce,
Puglia. Si laurea a Perugia con Givone con “L’estetico” --. studia con Seppilli
e Arcangeli Studia etnomusicologia della “Grecìa salentina”, rivalutando i
brani in "grico". Altre opere: “Pizzica e rinascita”, La Gazzetta del
Mezzogiorno”. Cura “La danza delle spade e la tarantella. Insegna a Lecce. “Le
strade che portano al Subasio passando dal Salento” (Ed. Del Grifo, Lecce), “Tarantismo
e rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della
tarantella” (Lecce, Argo); “La danza delle spade e la tarantella: saggio
musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina” (Argo, Lecce). “Pizzica-Pizzica,
la musica della rinascita. La tarantella del tarantismo e la sua resurrezione:
struttura musicale, stato dell'arte e neotarantismo” (Lecce, Pensa MultiMedia);
“L'estetica della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina);
“Pizzica e tarantismo: la carne del mito dall'etnomusicologia all'estetica
musicale, Galatina, Edit Santoro); “Il tarantismo come mito: dagli errori di De
Martino alla rivalutazione del pensiero mitico, Galatina, Congedo); “Il mito
del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della rinascita, Galatina,
Congedo); “I poeti del vino, Galatina, Congedo); “La pizzica, la taranta e il
vino: il pensiero armonico, Galatina, Congedo, “La rinascita della pizzica,
Galatina, Congedo); Husserl e la Krisis,
3ª in “Segni e comprensione”, Milano); Il francescanesimo tra idealità e
storicità, in “Segni e comprensione”,
Porzincula (S.Maria degli Angeli); “Il canto popolare salentino, in Convegno Di
Studi Demologici Salentini, Copertino. F. Noviello e D. Severino, Capone,
Cavallino Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo secondo Schneider: nuove
prospettive di ricerca, in, Quarant'anni dopo De Martino: il tarantismo, Atti
del Convegno, Galatina, La iatromusica carne del mito: la pizzica pizzica tra
etnomusicologia ed estetica musicale, in, Mito e tarantismo Pellegrino, Pensa
MultiMedia, Lecce, La pizzica pizzica immensa risorsa culturale del Sud, in,
Terra salentina: i Sud e le loro arti, materiali del Convegno di Arnesano, La
Stamperia, Leverano, Pierpaolo De Giorgi, “Il ritorno di Dioniso” a proposito
di un libro diPellegrino, in “Segni e comprensione”, Fra aborigeni e
tarantismo, in, Settimana di promozione culturale pugliese C. Minichiello,
Pensa MultiMedia, Lecce, Le tradizioni popolari nei disegni di Severino, greco,
Copertino, Diario di bordo, in, La czarda e il vento: antologia di autori salentini,
Conte, Congedo G.i, Poesia sintetica, in, Il cuore di Amleto: testi, grafiche e
fotografie di autori contemporanei salentini e ungheresi, nota introduttiva di
G. Conte, traduzioni di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém, Pierpaolo De Giorgi,
I fogli, in “L'Immaginazione”; Chiedendo e schiodando, La vita amico è l'arte
dell'incontro e Maestà delle volte, in Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina, In
marcia di pace verso Assisi e Trilogia del molto e ben comunicare, in Omaggio a Maglie cuore del Salento, Torgraf,
Galatina, Fantastica pizzica, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia
con musica e danza, Gallipoli, Conte, Lecce, Gheriglio in disegno e preghiera,
in, Salentopoesia, festival nazionale di
poesia con musica e danza, Lecce, Conte, Lecce, Isola nel Trasimeno, in, Salentopoesia, festival
nazionale di poesia con musica e danza, Monteroni, Conte, Lecce, G. S'è
cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da Leggere, in Luigi Marzo: mostra di pittura,
Spello, catalogo, Spello, Lascio un cielo di luce cinica, in Sulle ali di
Pegaso senza mai cadere. Marzo: mostra di pittura, Città della Pieve, Tipografia
Pievese, Città della Pieve 1998. Discografia Album Fantastica Pizzica (MC Discoexpress)
Pizzica e Trance (MC Discoexpress) Pizzica e Rinascita (CDSorriso) Il tempo
della taranta: pizzica d'autore (CDDrim) Pizzica grica: to paleo cerò (CDPlanet
Music Studio) Pizzica e RinascitaRistampa (CD C&M) Taranta Taranta (CDIrma
records). La pizzica la taranta e il vino. Il pensiero armonico – G. G.B.
Il libro è stato pubblicato la prima volta
e dopo anni riteniamo
particolarmente ricordarlo per la sua attualità culturale. G., peraltro, è
socio della nostra ASSOCIAZIONE APSEC e collaboratore di questa nostra
rivista. La ricerca innovativa e serrata compiuta da G., in tanti anni di
impegno nelle acque agitate dell’etnomusicologia e dell’estetica, approda
finalmente al porto sicuro dello studio La pizzica, la taranta e il vino: il
pensiero armonico. Accade allora che scoperte e sorprese, esposte
con cura e rigore scientifico, si susseguano qui continuamente e senza
soluzione di continuità, offrendo una concezione finalmente reale del
tarantismo e della sua musica terapeutica, la pizzica pizzica, come pure del
decisivo ruolo simbolico e religioso del vino nella civiltà mediterranea. Sono
esperienze direttamente connesse con quelle antecedenti del dio Dioniso, il
nume più significativo della Magna Grecia e dei territori da essa influenzati,
archetipo dell’adesione entusiastica alla vita, della reciprocità e del
dialogo. Tramite Dioniso, nella musica e nella danza, come pure nel
vino e nell’ebbrezza, l’uomo recupera il contatto con le radici più profonde
dell’essere, che si manifestano armoniche, duali e complementari. Per questo i
simboli della taranta, della pizzica pizzica e del vino sono rimedi psicologici
che restituiscono l’armonia perduta e che si pongono come un’efficace risorsa
anche oggi, per costruire un nuovo umanesimo. Sono simboli mitici, che
collaborano con quelli della festa e del rito, e vengono prodotti da un
soggetto collettivo. Devono essere considerati come arte tradizionale, alla
stessa stregua dell’arte individuale. Nel delineare i confini di queste
concezioni, G. rimedita il brillante ma non del tutto sufficiente “pensiero
meridiano” di Nietzsche, di Camus e di Cassano. In Puglia, come in gran
parte del mediterraneo, “il pensiero armonico” è il pensiero della rinascita e
della misura, valori indispensabili anche oggi per un corretto cammino della
coscienza verso la comprensione di se stessa e dell’uomo verso la propria
natura divina.” IL PENSIERO ARMONICO E LA RICERCA IN PUGLIA La Puglia e il
pensiero armonico Il mare, l’armonia degli opposti e la luce mediterranea Il
pensiero armonico come incontro di mythos e di logos Le radici elleniche della
tradizione pugliese Archeologia e storia. Etnomusicologia ed estetica della
tarantella La ricerca comparativa sui brindisi e le analogie con la pizzica
pizzica Il mito e il pensiero armonico del Mediterraneo nella contemporaneità
L’ambivalenza del mito e la misura armonica La misura armonica e il
cristianesimo Monoteismo e panteismo Noi e i miti del tarantismo e del
labirinto. Verso un nuovo umanesimo I BRINDISI E LA PIZZICA PIZZICA COME
SIMBOLI DI RINASCITA I brindisi e la pizzica pizzica come simboli di rinascita
in Puglia La festa e il pensiero mitico della rinascita La forza estetica di
un’arte speciale del leccese, la pizzica pizzica Pizzica pizzica, tarantella e
bellezza L’umanesimo mediterraneo e la bellezza mitica della pizzica pizzica e
della tarantella Le civiltà del vino e l’ambiente poetico tradizionale della
Puglia I brindisi, la tradizione popolare e il soggetto collettivo La ricerca
etnomusicologica ed estetica e i brindisi tradizionali Il ritmo armonico della
pizzica pizzica e la gestione delle contraddizioni La cumbersazione e i
brindisi IL TEMPO CICLICO, LA RIVOLTA COLLETTIVA E IL PENSIERO ARMONICO
TRA ARTE E MITO Il tarantismo come rito di rinascita e il tempo ciclico come
attività psichica collettiva di rivolta Nietzsche, l’eterno ritorno e il
recupero del pensiero arcaico del Mediterraneo. Le analogie dello Zarathustra
con il tarantismo La vita come conoscenza: grandezza e miseria di
Nietzsche. L’eterno ritorno dell’identico e l’eterno ritorno dell’analogo
Gli errori di MARTINO (si veda) e le intuizioni di Camus. La rivolta come lotta
contro il negativo e come affermazione dell’essere e della vita I brindisi, la
pizzica pizzica e il rito del tarantismo come affermazioni della vita. La
ierogamia e la rinascita I simboli della rivolta e dell’inversione terapeutica
Il ruolo di inversione della pizzica tarantata: mito, ritmo e analogia La
pizzica scherma di Torrepaduli e la rivolta mitica I risultati dell’analisi
etnomusicologica: la biritmìa simbolica. La pizzica pizzica come analogon della
dynamis armonica universale PENSIERO ARMONICO E SOGGETTO COLLETTIVO Il
ritorno al cielo del Sud e i fraintendimenti di Nietzsche. Dioniso e il
pensiero armonico L’aióresis dionisiaca e la Processione dei Misteri di
Taranto. Il mare come simbolo armonico e come terapia L’intenzionalità
collettiva: il teatro tragico del tarantismo e la tragedia greca Il tempo
ciclico e la Magna Mater: l’evoluzione della coscienza La Grecia e il governo
rituale degli archetipi. Pizzica pizzica e labirinto I brindisi tradizionali e
la pizzica pizzica come arte tradizionale collettiva L’arte collettiva
tradizionale come arte del mito. L’umanesimo della misura IL SIMPOSIO, I BRINDISI E L’UMANESIMO DELLA
MISURA La tradizione pugliese e il simposio greco e magnogreco Il brindisi e il
simposio L’ethos del vino come armonia degli opposti La sperimentazione del
divino e l’etica della misura Il pensiero armonico, l’agape e il rischio della
dismisura La sublimazione del simposio La dismisura e la degenerazione del
simposio L’EMERSIONE DEL PENSIERO
ARMONICO DALLA RICERCA E DALLA COMPARAZIONE La danza, le uova e le corna come
simboli simposiali di rinascita. Il gesto dionisiaco delle corna nelle musiche
e nelle danze della rinascita I saperi tradizionali dell’equilibrio mensurale
del pensiero armonico: il ritmo e la benedizione La città di Brindisi,
l’origine del nome brindisi e il Bacco in Toscana La cena della spillazione Il
porto di Brindisi e le corna rituali come simbolo di rinascita. Il brindisi di
Dioniso e di Semole come benedizione Indice dei nomi Iconografìa comparativa Lecce
Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla
Contemporaneità Incontri culturali INCONTRI CULTURALI Tarantula. Antropologia
simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità Da Ernesto De
Martino ad oggi la Pizzica Salentina, la Taranta e tutto quel mondo che attorno
ad essa ruota in maniera spettacolare e folklorico, in realtà nasconde studi e
tradizioni che affondano le loro radici in un passato lontano. In una
prospettiva più ampia si può dire che in Europa c'è un luogo che da qualche
tempo a questa parte ha espresso una incredibile sequenza di suoni, stili,
artisti, esperimenti e contaminazioni culturali. Questo luogo è il Salento. La
Terra del Rimorso - come la definì MARTINO (si veda) - si è trasformata nella
Terra dello spettacolo delle tradizioni. Riportando con forza la cultura
popolare, l'attenzione per le radici, al centro dell'immaginario giovanile e
del consumo pop, il Salento si è rivelata una meta a cui non si può rinunciare.
A cinquanta anni dal viaggio della troupe di Ernesto de Martino nel Salento,
quei luoghi si sono trasformati in altro, dimenticando l’Oltre. Negli ultimi
vent'anni il Salento è stato spettatore della nascita delle dance hall del Sud
Sound System, e dell'irruzione sulla scena della pizzica, sottratta da un lato
al folklore, dall'altro all'accademia sino poi al più grande world music
festival del mondo, la Notte della Taranta. Degli aspetti antropologici
dell’argomento e di quelli iniziatici, simbolici ed esoterici se ne occuperanno
Maurizio Nocera e Pierpaolo De Giorgi in un incontro dibattito senza
precedenti Mail Presidente Ass. Thorah – piscopo. grazia @libero.it
Biografie relatori G., laureato in Filosofia, è etnomusicologo,
filosofo, musicista e poeta. Ha fondato e guida “I Tamburellisti di
Torrepaduli”, con i quali ha suonato in Italia e in tutto il mondo, provocando
la nascita-rinascita del genere musicale pizzica. Ha inciso sette dischi, che
hanno venduto più di centomila copie, scrivendone i testi poetici e le musiche.
Sue liriche sono state tradotte in greco e in ungherese. Assieme al pittore
Luigi Marzo, ha pubblicato il noto volume Le strade che portano al Subasio
passando dal Salento (Del Grifo). Ha tradotto in italiano La danza delle spade
e la tarantella di Marius Schneider (Argo, 1999) e ha pubblicato numerosi
volumi di ricerca, tra i quali Tarantismo e rinascita (Argo, 1999), L’estetica
della tarantella (Congedo 2004), Pizzica e tarantismo (Edit Santoro, 2005), I
poeti del vino (Congedo 2007), Il mito del tarantismo (Congedo, 2008), La
pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico (Congedo 2010), La
rinascita della pizzica: testi, poesia e storia dei Tamburellisti di
Torrepaduli. La via della Taranta (Congedo 2012) che riformulano radicalmente
le indagini sul tarantismo e sulla tarantella iatromusicale. Maurizio
Nocera - “Maurizio Nocera (classe 1947) … è un eccellente rappresentante di
quella genia … di intellettuali militanti, che sono sempre di meno, oggi, in
giro. “Impegnato” dalla punta delle (consumate) scarpe fino alla radice dei
(pochi) capelli, infaticabile viaggiatore, talent scout, esploratore di mondi
diversi, inguaribile sognatore, gran parlatore, insegnante, politologo,
promoter culturale, contastorie, indefesso ricercatore e divulgatore di patrie
memorie, bibliofilo, collezionista, scrittore, salentino al cento per cento
eppure cittadino del mondo, giornalista, poeta, saggista, storico, critico
letterario, editore. Vincenti, Io e Maurizio Nocera, in spigolaturesalentine. wordpress. co /spigolautori maurizio-nocer a/). Maurizio Nocera è
segretario provinciale dell'ANPI di Lecce.Grice: “Giorgi is not an Italian
philosopher; he is a Leccese philosopher. You have to be Leccese to be a Leccese philosopher,
and only a Leccese philosopher will NOT appropriate TARANTA – as Martino did –
misunderstanding it – The idea of Nietzsche on Bacco is all very well, but
Giorgi notes that you have to have the Leccese experience to understand all
this”. Pierpaolo De Giorgi. Giorgi. Keywords:
l’implicatura di Bacco, il ritorno di Dioniso; mito. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giorgi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della fiducia nella fiducia – filosofia vernolese – scuola di
Vernole -- filosofia leccese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Vernole). Filosofo vermolese. Filosofo
luccese -- Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Vermole, Lecce, Puglia Grice:
“Giorgi discovered a phenomenon I often overlooked: meta-trust: ‘la fiducia
nella fiducia e, alla Parsons, la fiducia di ego con alter, e alter con ego. Grice: “I love Giorgi, for
various reasons; unlike Sir Geoffrey Warnock, or me, who base our Kantian-type
morality on trust, Giorgi recognises a very apt distinction between trust and
‘meta-trust’ – fiduccia nella fiduccia: fiduccia nell’altro!” Insegna a Salento. Si laurea a Roma con “il giuridico
e il deontico” – Fonda il Centro Studi sul Rischio a Lecce. Studia i sistemi
sociali. Altre opera: “Sociologia del diritto” Manuale di diritto del lavoro e
legislazione sociale” “Azione e imputazione” “La società”; “Diritto e
legittimazione” “Mondi della società” o, con Stefano Magnolo” “Filosofia del
diritto” “Futuri passati” Fiducia è un meccanismo, un dispositivo di
riduzione della complessità. Fiducia non è un valore positivo dell'agire o
dell'esperienza; non rappresenta una preferenza rispetto al suo opposto, non ha
valore morale di preferibilità. Fiducia e sfiducia sono grandezze non
convertibili. Dare fiducia ad altri o suscitare fiducia in altri non sono
qualità morali, disposizioni buone, né preferibili o migliori in assoluto. Il
riscontro della loro preferibilità è la situazione, la conferma della validità
dell'orientamento alla fiducia può essere reperita solo nella dimensione
temporale, l'accertamento dell'opportunità può essere dato solo dal futuro. La
funzione della fiducia, infatti, si dispiega nella tensione fra presente e
futuro. In questa tensione si proietta nel presente il dramma dell'incertezza e
il rischio del non sapere. Il sapere, infatti, esclude il rischio e rende
inutile la fiducia. Il non sapere, invece, impone al singolo, al sistema
personale o sociale, la necessità di reperire un dispositivo di assorbimento
dell'incertezza che rischia di paralizzare l'agire. Il problema, allora, è il
tempo; lo spazio di questo tempo è il presente, una estensione temporale della
cui durata ci si rende conto soltanto quando è finita, cioè quando è già
diventata un passato. Lo spazio della fiducia è questo. Solo in questo spazio
si può avere fiducia. In esso cioè si può costruire, sviluppare, mettere alla
prova quella inevitabile avventura che è l'anticipazione delle aspettative
dell'altro. Fiducia non è altro che questa anticipazione che orienta l'agire e
l'esperire. Ma è un'avventura del presente che anticipa il futuro nella
rappresentazione di colui che ha fiducia, perché si serve solo delle risorse di
una propria prestazione effettuata in anticipo e costruita su una propria
rappresentazione del mondo. Una risorsa esterna, una certezza, renderebbe
inutile dare fiducia. La fiducia costituisce una mediazione tra la complessità
del mondo e l'attualità dell'esperienza. Una mediazione drammatica, rischiosa,
che si sostiene sul sapere di non sapere, che produce da sé le risorse che
investe e con le quali si espone al futuro anticipandolo e all'altro
rappresentandosi le sue aspettative. Fiducia non è affidamento all'altro.
Fiducia non è il racconto dell'altro. Non ci sarebbe il dramma, non ci sarebbe
neppure la possibilità di raccontare l'altro, se fiducia avesse a che fare
immediatamente con l'altro. Fiducia ha a che fare con la propria
rappresentazione dell'altro; essa è affidamento alle proprie aspettative
dell'altro. Fiducia è esposizione del sé. Fiducia è abbandono al sé, per questo
c'è il rischio, il dramma, la tensione. G., Presentazione dell'edizione
italiana, in N. Luhmann, La fiducia, Bologna, il Mulino, Riferimenti
Bibliografici, Berger, Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Bologna,
Luhmann, Illuminismo sociologico, Milano, Schütz, La fenomenologia del mondo
sociale, Bologna, La semantica del rischio Decisione razionale e azione
sociale G., Filosofia, Lecce, Centro Culturale. Sulla situazione delle
scienze sociali Se si osserva il panorama delle scienze sociali oggi, si
può affermare che esse sono alla ricerca di temi attuali riferiti alla società,
ma che per questo non dispongono ancora di una struttura teorica adeguata, in
particolare non sono pervenute ancora a una adeguata descrizione della società
moderna. Le discussioni teoriche vengono effettuate in relazione ad autori, in
particolare in relazione a classici. Questo comporta, nel modo di porre i
problemi, la presenza di un sovraccarico di vecchie prospettive e l’implicito
orientamento ad una società che in virtù del suo ottimismo sul progresso aveva
raggiunto i suoi limiti, ma poteva tener presente solo in misura limitata le
conseguenze della società moderna e le poteva trattare solo come problemi della
distribuzione del benessere. Le acquisizioni alle quali si è pervenuti sono
date da un atteggiamento scettico verso l’organizzazione e la razionalità
(Weber) o da una critica della struttura di classe della società moderna. Di
queste acquisizioni vive ancora oggi la discussione teorica. La società
moderna ha reso urgenti problemi completamente diversi: il problema
dell’ecologia, il problema delle conseguenze che derivano dalle nuove
tecnologie, dalla ricerca biologica e genetica: ma anche il problema delle
conseguenze legate a determinate politiche di investimento o quello relativo al
rapporto tra uso del denaro per fini speculativi o per fini produttivi. Si
tratta solo di alcuni indici degli ambiti problematici con i quali
continuamente si confronta la società contemporanea e rispetto ai quali la
soglia di attenzione, e quindi di preoccupazione, sembra essere più alta.
Negli anni più recenti è sembrato che la scienza sociale riuscisse ad andare
oltre la discussione sui classici: si è elaborato così un orientamento
problematico che può essere descritto mediante concetti quali complessità,
problemi del controllo e guida, possibilità dell’azione ed altri ancora. Così
la società viene descritta dalla prospettiva dell’agire politico e quindi dalla
prospettiva della pianificazione, la quale ha davanti a sé campi di realtà
altamente complessi, in cui tutte le azioni scatenano “conseguenze perverse” e producono
problemi che danno motivo a nuove forme dell’agire. Tuttavia anche questa
discussione ha raggiunto in modo incontestabile i suoi limiti, non dispone di
potenziale esplicativo dell’agire reale e ripropone ormai solo l’originaria
formulazione dei problemi. All’ottimismo del progresso si è sostituita la paura
del futuro, all’ansia della pianificazione e del controllo, la rassegnazione
verso le conseguenze perverse dell’agire che, non potendo essere previste,
vengono rese oggetto di analisi empirica: un motivo ulteriore per considerare
il presente con disappunto e per tentare di risolvere mediante il ricorso alla
morale ciò che sembrava impossibile risolvere mediante la razionalità.
Non si può affatto prevedere che nel prossimo futuro la scienza sociale
riuscirà a colmare il deficit teorico che la caratterizza e a pervenire ad una
convincente descrizione della società moderna. E’ possibile però isolare temi
speciali, che in questa direzione sono fruttuosi e possono essere utilizzati
perché le ricerche si concentrino su di essi. Il tema rischio può costituire un
tema cosiffatto. Esso è un tema nuovo rispetto alla discussione sui classici e
mantiene considerevole distanza rispetto alle teorie sulla decisione razionale
o sulla pianificazione razionale. Esso attualizza la dimensione del tempo, una
dimensione centrale per la società moderna da tutte le prospettive. Esso
altresì ha particolare riferimento rispetto ai temi che nell’opinione pubblica
hanno acquistato un significato considerevole e che, gradualmente, diventano
dominanti. Esso ha quindi tutte le chances di fornire un contributo rilevante
alla comprensione delle condizioni sociali nelle quali oggi inevitabilmente
viviamo e delle quali in un qualunque modo dobbiamo tener conto. Stato
della ricerca. Il tema rischio ha stimolato una mole immensa di ricerche
ed ha raccolto una letteratura che ormai non è più possibile controllare. Nella
letteratura meno recente il tema si è sviluppato prevalentemente sotto la voce:
insicurezza. La ricerca però si è concentrata su alcuni punti cruciali e non è
pervenuta all’elaborazione di una chiara concettualità teoretica.
Da una parte è dato di trovare ricerche sulla valutazione delle
conseguenze prodotte dalle nuove tecnologie; queste ricerche presentano
ramificazioni molto concrete: ad esempio la valutazione degli effetti
cancerogeni che derivano da alcuni prodotti chimici o la valutazione delle
possibilità che si verifichino eventi particolarmente improbabili ed insieme
altamente catastrofici. Questa letteratura è orientata nel senso delle teorie
della casualità o nel senso della statistica: essa ha prodotto a sua volta
altra letteratura che si occupa della posizione e del ruolo degli esperti
rispetto alla politica e che di conseguenza individua una perdita di prestigio
e di credibilità della scienza e degli esperti nelle diverse tecnologie,
qualora questi, sotto la pressione e l’urgenza delle decisioni siano costretti
a rendere manifeste le loro insicurezze o le controversie interne alla scienza
stessa. Si tratta di una letteratura e di un insieme di ricerche
che tematizzano i problemi della sicurezza rispetto a situazioni di pericolo
oggettivo, ma che non riguardano la prospettiva di chi, nell’agire concreto,
deve decidere se rischiare o non rischiare e a quali costi. Accanto
a queste ricerche è dato di trovarne altre che sono orientate in misura
crescente in senso psicologico e che indagano i modi in cui i singoli si
comportano in situazioni di rischio. Risultato di queste ricerche è una
distinzione di variabili che influenzano il comportamento, come ad esempio
l’influsso della fiducia di sé o del controllo di sé sulla disponibilità di
colui che agisce verso il rischio. Un altro orientamento di ricerca
si occupa dei deficit di razionalità e degli “errori” statistici che è
possibile individuare nel comportamento decisionale quotidiano. La
disponibilità al rischio dipende, secondo queste ricerche, non da ultimo dal
modo in cui colui che decide pone il problema col quale deve misurarsi.
Questi orientamenti ai quali si sostiene la ricerca sul rischio permettono di
comprendere perché gli esperti che si occupano della percezione e valutazione
del rischio e delle strategie del suo trattamento, siano essenzialmente
studiosi di scienze naturali, di statistica, di economia (in particolare per i
settori relativi alle teorie della scelta razionale, del calcolo dell’utilità,
ecc.) o di psicologia. Persino il tema comunicazione sul rischio viene trattato
da specialisti che hanno questa formazione. La sociologia si è occupata
fino ad ora prevalentemente degli aspetti limitati dei nuovi movimenti che si
formano nella società a seguito della accresciuta percezione del rischio. La
scienza politica ha manifestato scarsa attenzione per i problemi che derivano
dal fatto che le questioni legate al rischio sovraccaricano gli interessi
politici. Accanto alla medicina si è stabilizzata un’etica che si occupa dei
modi in cui la morale dovrebbe affrontare questioni che sembrano sottrarsi al
calcolo razionale. Nonostante la sua ampiezza, l’attuale ricerca sul
rischio non riesce a pervenire a risultati utili sia alla descrizione
dell’agire decisionale che alla determinazione di possibilità ulteriori degli
stessi ambiti decisionali, perché è legata da vincoli che derivano dal modo stesso
in cui il problema del rischio viene tematizzato. Questi vincoli sono definiti
dai modelli derivati dalle teorie della decisione razionale e dalle teorie
psicologico-individualistiche. Integrazione teorica. Tanto dal panorama
delle ricerche quanto dall’eterogeneità dei diversi approcci scaturisce un
considerevole bisogno di integrazione teorica. Le prestazioni innovative che è
possibile effettuare in rapporto allo stato attuale della ricerca dipendono dal
fatto che si riesca ad elaborare e a rendere disponibile una concettualità
teorica capace di rendere possibili questi riferimenti. Il concetto di
rischio è stato definito essenzialmente in relazione agli ambiti della
relazione razionale, per così dire, come concetto per la elaborazione dei
problemi del calcolo razionale. Da qui derivano considerevoli difficoltà di
delimitarne significato e contenuto. Nella letteratura si scambiano e si
utilizzano come equivalenti e fungibili con il concetto di rischio formulazioni
quali pericolo, danger, hazard, insicurezza e simili. Proprio per questo, sul
piano metodologico è necessario mettere in chiaro nel contesto di quali
distinzioni il rischio acquista il suo contenuto e significato proprio.
La distinzione tra rischio e sicurezza sembra inutilizzabile. Sicurezza in
quanto opposta a rischio, indica solo un posto vuoto che non può certo essere
riempito empiricamente. Sicurezza, nello schema rischio-sicurezza, indica solo
un concetto riflessivo: esso esibisce solo la posizione dalla quale tutte le
decisioni possono essere analizzate dal punto di vista del loro rischio.
Sicurezza, in questo senso, universalizza solo la coscienza del rischio;
d’altra parte non è un caso se, a partire dal XVII secolo, tematiche della
sicurezza e tematiche del rischio si sviluppano insieme. Per questo
sarebbe necessario provare se sia possibile intendere il concetto di rischio
utilizzando le prospettive fornite dalla teoria attributiva. Nel generale
contesto di una insicurezza rispetto al futuro e di un danno possibile, si
potrebbe parlare di rischio quando un qualche danno venga imputato ad una
decisione, cioè quando questo danno debba essere trattato come conseguenza di
una decisione (o da colui che decide o da altri). Il concetto opposto sarebbe
allora il concetto di pericolo, che è applicabile quando danni possibili
vengano imputati all’esterno. Una tale concettualizzazione permetterebbe di
utilizzare la problematica dell’attribuzione che si è rivelata fruttuosa e
saldamente sperimentata. La concettualizzazione proposta dà insieme
plausibilità al fatto che nella società moderna la maggiore coscienza del
rischio sia correlata all’accrescimento delle possibilità di decisione. Beck, Risikogesellschaft. Auf
dem Weg in eine andere Moderne, Frankfurt a.M., Beck, Politik in der
Risikogesellschaft. Essays und Analysen, Frankfurt a.M.,Covello, J. Mumpower,
Environmental Impact Assessment, Technology Assessment, and Risk Analysis, NATO
ASI Series, Berlin-Heidelberg, Douglas, Come percepiamo il pericolo.
Antropologia del rischio, Milano, Douglas, Wildavsky, Risk and Culture. An
Essay on the Selection of Technological and Environmental Dangers, California, Evers,
Helga Nowotny, Über den Umgang mit Unsicherheit. Die Entdeckung der
Gestaltbarkeit von Gesellschaft, Frankfurt a.M., Giddens, The Consequences of
Modernity, Stanford, Hahn, Willy H. Eirmbter, Rüdiger Jacob, Le Sida: savoir
ordinaire et insécurité, «Actes de la recherche en sciences sociales, Hijikata,
Armin Nassehi, Riskante Strategien. Beiträge zur Soziologie des Risikos,
Opladen, Johnson, Covello, The Social and Cultural Construction of Risk,
Dordrecht, Kaufmann, Sicherheit als soziologisches und sozialpolitisches
Problem. Eine Untersuchung zu einer Wertidee hochdifferenzierter
Gesellschaften, Stuttgart, Königswieser, Matthias Haller, Peter Maas, Heinz
Jarmai, Risiko-Dialog, Köln, Krücken, Risikotransformation. Die politische
Regulierung technisch-ökologischer Gefahren in der Risikogesellschaft, Opladen,
Luhmann, Sociologia del rischio, Milano, Perrow, Normal Accidents. Living with High-Risk Technologies, New York,
Wildavsky, Searching for Safety, New Brunswick-London, I titoli contrassegnati con l'asterisco sono
disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito
presso la Biblioteca del Collegio San Carlo. Presso la sede della Biblioteca,
dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la
registrazione. Grice: “Giorgi
understands trustworthiness perfectly. However, he does not seem to care to
provide a moral background for it, which is okay with me, since being
trustworthy and expecting others to be trustworthy is what an honest chap does!
It’s different with PERJURY, and Giorgi has shed light on the notion of
legitimacy – an oath of trustworthiness becomes a LEGAL BOND – not just moral.
It is however better to consider the moral trustworthiness as PRIOR
conceptually to the legal trustworthiness – even if conceptual priority can go
both ways. EPISTEMICALLY, to have a law that condemns perjury may be the best
way NOT to have faith in faith (fiducia nella fiducia) but PRESUPPOSE that the
other has a moral-legal bond to be trustworthy. The perjury figure in Roman law
has to be considered historically, since if there was something the Italians
are good at is Roman law!” -- Raffaele De Giorgi. Giorgi. Keywords: fiducia nella fiducia, il
giuridico, il deontico, imputazione, azione, fiduzia nella fiducia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Giovanni: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della civetta di Minerva – filosofia napoletana – scuola di
Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo
italiano. Napoli, Campania. Grice: “The
Italians love ‘divenire’ as in ‘being and becoming’ – but if I say Mary is
becoming a princess, ain’t Mary being?” Grice: “I like Giovanni; only in Italy,
you write an essay on Marx on cooperation and on Kelsen; and then of course an
Italian philosopher HAS to philosophise on Vico: ‘divvenire della ragione,’
Giovanni calls what I would call a critique of conversational reason!” Ha aderito successivamente alla Rosa nel Pugno. Simpatizzò per la monarchia e l'11 giugno
1946 fu tra coloro che presero parte agli scontri che causarono la strage di
via Medina; in seguito avrebbe spiegato la sua partecipazione con queste
parole: “Già leggevo Hegel ero monarchico perché credevo all'unita dello
Stato.” “Scappai quando la situazione s'incanaglì». Si laurea a Napoli con la
tesi “Vico: natura e ius.” Insegna a Bari.
Direttore di “Il Centauro. Rivista di filosofia". Altre saggi: “L'esperienza
come oggettivazione: alle origini della scienza”; “Il concetto di classe
sociale in Cicerone”; “La borghesia italiana”; “Il concetto di prassi”; “Marx
dopo Marx” (cf. Luigi Speranza, “Grice
dopo Grice.” Impilcature: Not Grice! --; “La nottola di Minerva”; -- il guffo
di Minerva – la civetta di Minerva -- “Dopo il comunismo”; il comune -- “L'ambigua
potenza dell'Europa”; “Da un secolo all'altro: politica e istituzioni” –
istituzione istituzionalismo istituismo “La filosofia e l'Europa”; “Sul partito
democratico. Aristocrazia, democrazia crazia cratos concetto di potere -- -- Opinioni
a confronto”; “A destra tutta. Dove si è persa la sinistra?” “Elogio della
sovranità politica, -- il sovrano – lo stato sovrano – Machiavelli -- Editoriale scientifica, “Le Forme e la storia.
Scritti in onore di Giovanni, Napoli, Bibliopolis, La parabola di Giovanni. Il dibattito
Un saggio di de Giovanni paragona Severino al filosofo del fascismo. Ma a tutte
le sue obiezioni è possibile rispondere È Gentile il profeta della civiltà
tecnica Ne rende possibile il dominio planetario. Eppure la legge del divenire
è eterna di SEVERINO Gentile e assassinato perché e la voce più autorevole e
convincente del fascismo. Eppure la sua filosofia è la negazione più radicale
di ciò che il fascismo ha inteso essere. Non solo. Essa è tra le forme più
potenti — non è esagerato dire la più potente — della filosofia del nostro
tempo. Di tale potenza lo stesso Lenin si e accorto — forse gli assassini di
Gentile non lo sanno neppure. Tanto meno lo sa la cultura filosofica dominante,
che mai riconoscerebbe a un italiano un così alto rilievo. Non solo.
Contrariamente agli stereotipi che vedono in Gentile un avversario della
scienza, l’attualismo gentiliano è l’autentica filosofia della civiltà della
tecnica: rende possibile il dominio planetario della tecno-scienza, ancora
frenato dai valori della tradizione. Altrove ho mostrato il fonda- mento di
queste affermazioni. Il saggio di G. Disputa sul divenire. Gentile e Severino
(Scientifica) è un grande e suggestivo contributo al loro approfondimento —
come d’altronde c’e da attendersi dalla statura culturale e sociale
dell’autore. Va facendosi largo nel mondo la convinzione che l’uomo non possa
mai raggiungere una verità assolutamente innegabile; che, prima o poi, ogni
verità siffatta resti travolta da altri modi di pensare, da altri costumi, cioè
si trasformi, muoia: divenga. Travolta, anche la certezza che esistano le cose
che ci stanno attorno; essa è innegabile solo fino a che esse non vanno
distrutte: era innegabile solo provvisoriamente. Esser convinti
dell’inesistenza di ogni verità assoluta è quindi, insieme, esser convinti
dell’inesistenza di ogni Essere immutabile ed eterno. Dio è morto, si dice. La
negazione di ogni verità assoluta e innegabile non investe dunque l’esistenza
del divenire del mondo. Anzi, proprio perché si fa largo la convinzione che il
divenire di ogni cosa e di ogni stato sia assolutamente innegabile (ed eterno),
proprio per questo è inevitabile che ci si convinca dell’impossibilità di ogni
altro innegabile e di ogni altro eterno. Gentile lo mostra nel modo più rigoroso
(mentre il fascismo, come ogni assoluti- smo politico, intendeva essere la
configurazione inamovibile dello stato. Ma è appunto per quell’estremo rigore
che G. rileva, a ragione, l’incolmabile contrasto tra la filosofia di Gentile e
il tema centrale dei miei scritti, l’affermazione cioè che la verità
assolutamente innegabile esiste e che tutto ciò che esiste (nel presente, nel
passato, nel futuro) è eterno, ossia non esiste alcunché che esca dal proprio
esser stato nulla e che sia travolto nel nulla. Certo, la più sconcertante
delle affermazio- ni. Che però G. considera fondata con altrettanto rigore.
Infatti, mi sembra, egli è inte-ressato al contrasto Gentile-Severino perché
vede in ogni forma di contrasto una conferma della propria prospettiva di
fondo, per la quale l’esistenza umana è, da ultimo, un contrasto insana- bile
tra il desiderio dell’uomo, finito, di esser sal- vato dall’Infinito e la
problematicità del rapporto finito-Infinito. Quindi, a suo avviso, per quanto
rigorose possano essere la posizione filosofica di Gentile e la mia, ci
dev’essere in entrambe un vizio o più vizi di fondo che non possono venir
estirpati. Attraverso una finissima procedura in- terpretativa de G. lo fa
capire rivolgendo domande, obiezioni sotto forma di domande. So- prattutto a
me. Provo a rispondere ad una soltan- to. In modo adeguato risponderò in altra
sede. Ma prima rivolgo anch’io una domanda a G.. La sua prospettiva — qui sopra
richiamata in modo molto sommario — intende essere una verità assolutamente
innegabile o una proposta dove non si esclude che la verità innegabile esista
da qualche parte? Propendo per la prima alternativa. Mi sembra infatti che
anche per G. l’unica verità
indiscutibile sia la storicità del reale, cioè il divenire che travolge ogni
altra presunta verità. La sua distanza da Gentile tende così a vanificarsi
nonostante le obiezioni, che a questo punto hanno un carattere subordi- nato. E
infatti G. mi chiede se non ci sia «qualcosa di ineluttabile» «nella condizione
mortale dell’uomo», se la morte non sia la prova inconfutabile, l’irrefutabile
cogenza che l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla — e anzi, lasciando da
parte il domandare, afferma che il mio discorso «si scontra con il fatto che
l’uomo muore. Il contesto in cui G. avanza
queste domande-affermazioni è incommensurabilmente lontano dall’ingenuità con
cui a volte queste domande mi vengono rivolte. Ma in questa sede può essere
opportuno richiamare — ancora una volta — che i miei scritti, ovviamente, non
hanno mai negato che l’uomo muoia e come muoia e resti il suo ca- davere, ma
hanno sempre negato che la nascita dell’uomo e delle cose sia un venire dal
nulla e che la morte sia un andare nel nulla; e lo negano perché mostrano che
questo andirivieni non è un fatto. Provo a chiarire. Che il dolore, l’agonia,
la morte dell’uomo (e il perire dei viventi e delle cose) sia un fatto
significa che se ne fa esperienza. Certo. Si fa esperienza dell’orrore della
morte, che è sempre la morte altrui. Ma chi crede che la morte sia un andare
nel nulla non crede (è impossibile che creda) che l’uomo vada nel nulla ma,
insieme, continui ad essere un fatto che appartiene al contenuto
dell’esperienza: gli appartenga nello stesso modo in cui gli apparteneva prima
di annientarsi. Nell’esperienza rimane il ricordo di coloro che sono andati nel
nulla, e il ricordo è un fatto; ma non rimane il fatto in cui consisteva il
loro es- ser vivi, non si fa più esperienza del loro esser stati vivi. Chi,
dunque, crede che la morte sia an nientamento crede che — pur avendo avuto
espe- rienza dell’agonia e del cadavere — ciò che è di- ventato niente sia
diventato anche qualcosa che non appartiene più all’esperienza, che non è un
fatto. Ma allora è impossibile che l’esperienza mostri che sorte abbia avuto
ciò che è uscito dall’espe- rienza, e quindi mostri che esso è diventato
niente. Di questa sorte l’esperienza non può che tacere. Cioè l’annientamento
non può essere un fatto. E se il cadavere viene bruciato e, come si dice,
diventa cenere; allora anch’esso, come tutta la vita passata di chi è morto,
esce dall’esperienza —anche se ne rimane il ricordo. Daccapo: che es- so,
diventando cenere, sia diventato niente non può essere l’esperienza ad
attestarlo. Ci si convince dunque che la morte è annienta- mento non sulla base
dell’esperienza, ma sulla ba- se di teorie più o meno consistenti. All’inizio i
vivi si fermano atterriti di fronte alle configurazioni orrende della morte dei
loro simili e restano colpiti dalla loro assenza; i morti non ritornano, vivi,
come invece il sole torna a risplendere al mattino. Anche su questa base,
quando si fa avanti la rifles- sione filosofica sul nulla, si pensa che ciò che
non ritorna sia diventato niente e si crede di sperimentarne l’annientamento.
Gentile sta al culmine di tale fede e, con la propria teoria generale dello
spirito, dimostra nel modo più radicale l’impos- sibilità di ogni realtà
esterna all’esperienza, sì che l’uscire dall’esperienza è per ciò stesso
l’andare nel niente. Ma, appunto, si tratta di una dimostrazione, di una
teoria, non della constatazione di un fatto. Dunque, la sconcertante
affermazione, al cen- tro dei miei scritti, che tutto ciò che esiste è eter-
no, non è un paradosso che si scontra con l’esperienza, cioè con il fatto che
l’uomo muore. All’opposto, a scontrasi con l’esperienza sono coloro che —
affermando la sua capacità di atte- stare l’annientamento degli uomini e delle
cose — vedono in essa ciò che in essa non c’è e non può esserci. Sono molti,
moltissimi? Non importa. An- che quando qualcuno ebbe a mostrare che è la Terra
a girare attorno al sole e non viceversa, tutti gli altri lo negavano,
sconcertati. A questo punto G. deve
mostrare per- ché (una volta escluso lo «scontro con il fatto») non accetta la
fondazione che di quella sconcer- tante affermazione ho indicato nei miei
scritti. At- tendo. Ma anche tutte le altre sue domande attendono la mia
risposta.Il tramonto del principe: "Fin dall'inizio della sua attività G.
ha accompagnato al suo discorso teorico e politico una notevole attività di
carattere storico-filosofico. Si può dire, anzi, che per certi versi questi
sono tre aspetti di una medesima ricerca che, secondo una tipica 'tradizione'
italiana, ha intrecciato, in modo consapevole, filosofia, storiografia e
politica. Ma questa è una considerazione preliminare, di carattere generale.
Ciò che distingue la posizione di de Giovanni è il modo con cui ha istituito
questo intreccio - il suo 'punto di vista' - e i risultati che è riuscito a
conseguire." (dalla prefazione di Michele Ciliberto). Con una postfazione
sulla storia de "Il centauro" di Dario Gentili Biagio di Giovanni. Giovanni.
Keywords: essere/divenire – dall’essere al divenire -- divenire della ragione conversazionale:
Vico, Hegel, Marx, nottola di Minerva; monarchia – stato -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giovanni: il divennire della ragione conversazionale” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Giovenale:
la ragione conversazionale e la satira del filosofo – Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Renowned for his satires in which it is
possible to identify a variety of philosophical interests, if not influences. Decimo Giunio Giovenale. Giovenale.
Grice e Giovio:
la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia nolese – filosofia
napoleta --- scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Nola). Filosofo nolese. Filosofo
napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Nola, Napoli, Campania. The son of Paulino di Nola.
From a letter written to him by his father, it appears that he was a keen
student of philosophy. Giovio.
Grice e Giraldi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – filosofia ventimigliana – scuola di Ventimiglia -- filosofia
ligure – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ventimiglia). Filosofo ventimigliano. Filosofo ligure. Filosofo
italiano. Ventimiglia, Liguria. Grice: “Only a Ligurian philosopher would
philosophise on Hegel’s real logic and lobsters!” -- Grice: Grice: “One good
thing about Giraldi is that he is from Ventimiglia and moved to Noli – the most
charming corners of Italy!” – Grice: “Giraldi calls his position ‘romatnic
essentialism;’ having born in Ventmiglia he would, wouldn’t he?”“I like
Giraldi; nobody in England would dare write “The son of Peter Pan,” but
Giraldi, otherwise known as the author of ‘Essenzialismo,’ did write ‘Il figlio
di Pinocchio’”! Il padre, originario di Dolceacqua e di
estrazione contadina, dopo il servizio militare riuscì la scalata del successo
al Casinò di Monte Carlo, affermandosi anche come uomo di grande saggezza e
religiosità. La madre invece era originaria di Ventimiglia, dove G. stesso
nacque e trascorse la sua infanzia. Sebbene la famiglia fosse benestante, egli
soffriva per la grande conflittualità interna, continuamente vessato dalla
sorella maggiore che non esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre
la madre non faceva parola con il padre di quanto assisteva. Racconta che in
questo periodo riusciva a trovare pace solo in chiesa. Con una bugia astuta riuscì a scappare di
casa, entrando in un collegio, dunque l'anno successivo si trasferì in un altro
collegio di Roma, ove tuttavia non riuscì a trovare la tranquillità sperata. Riuscì
a compiere studi classici a Roma, iscrivendosi poi all'Università. Non
frequenta le lezioni delle materie filosofiche curricolari, ma studia per conto
proprio. Tuttavia sigue abbastanza regolarmente le lezioni di PONZO, anche se
non e materia d'esame. Si laurea e presta servizio militare durante la seconda
guerra mondiale. Si laurea in filosofia discutendo molto animatamente la tesi
con Spirito, il quale ironizzò sulle sue
pretese di "fare una nuova filosofia". Insegna a Milano. Partendo
dalla teoria gentiliana, che vede in tutto una “mediazione”, e da quella di CONSENTINO,
che sostiene al contrario la totale "immediatezza", afferma che anche
l'atto puro, in quanto nuovo e spontaneo, non può che nascere senza alcuna
mediazione, quindi è l'equivalente dell'immediatezza, o del sentire puro. Pertanto
prova a risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi
hegeliana che possa superare sia il “divenirismo,” sia il coscienzialismo
antidivenirista. La soluzione è che l'immediatezza sarebbe sostanziata di
mediazione, e viceversa.L'immediatezza è così colma di mediazione, perché senza
di essa sarebbe cieca e una mediazione senza una immediatezza sarebbe nulla.
Inoltre, per avere una identità distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di
sé quanto necessario per identificarsi e per distinguersi. In “Etica del sentimento”, ancorando il
principio morale proprio alla sfera sentimentale, si focalizza sul sentimento
di libertà e propone nuove argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del
sentirsi responsabili, pur entro un tutto già dato. In “Gnoseologia del
Sentimento”, parte proprio dalla posizione del CONSENTINO per ripercorrere gli
itinerari di una filosofia dell'essere indiveniente e per affrontare gli
aspetti dinamici e volontaristici dell'Io. In “Filosofia giuridica” espone la
concezione di diritto naturale quale sentimento fondamentale giuridico,
condizione trascendentale di ogni diritto positive. Pertanto il diritto
naturale non sarebbe un codice sovrapponibile ad altri codici, ma la
precondizione che permette alle leggi positive di essere leggi e non atti
religiosi, estetici, scientifici o di altro tipo. Si occupa anche della
riflessione su temi politici.“Storiografia come rettorica” tende ad inquadrare
l'unitarietà artistica e scientifica della ricostruzione storica, coerentemente
con la tesi di CICERONE della “historia opus oratorum maxime” e con quella
aristotelica dell'entimema, in altre parole quel sillogismo retorico che si
differenzia da quello della necessità. In “Epistemologia” invoca una
demitizzazione anche delle teorie cosmologiche e scientifiche più accreditate
(l'evoluzionismo, la teoria del Big Bang, la meccanica quantistica), poiché tenderebbero
pure esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche, nonostante gli
apprezzabili sforzi a riferirsi alla filosofia da parte di alcuni notevoli
scienziati. Ad esempio nota che anche i migliori epistemologi che irridono il
concetto di sostanza, di fatto, riferiscono i dati sperimentali ad una
sottintesa sostanza soggiacente. In numerosi saggi dedicati alla religione,
analizzata nelle molteplici forme di spiritualità, avanza la tesi che il
proprium della religione sia la soteriologia, quindi non tanto il contenuto di
una dottrina, ma la speranza di salvazione dal negativo della vita e della
morte. Il principio cardine diventa dunque la speranza, e non più la fede, che
viene ricondotta ad un ruolo funzionale alla realizzazione della salvezza. L'analisi della religiosità tenta perciò di
emanciparsi dagli usuali preconcetti filosofici: se alla religione è stato
assegnato per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia
Dio si dà immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in “Immortalità
dell'anima” mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del
Pensiero con la determinazione individualizzata della persona. Il “Dizionario d’estetica
e linguistica generale”, con alcune integrazioni filologiche presenti in alcune
successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche per
l'attenzione dedicata all'estetica e sulle concezioni dei primitivi "di
ieri e di oggi". La proposta
avanzata per una filosofia della scelta e decisione si apre con una riflessione
sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole prendere le
distanza. Non si considera dogmatico, perché il suo metodo gli consente di
aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni riserva, ma ciò non lo
porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né agnostica, in quanto
la non possibilità di dimostrare (ad esempio l'immortalità, la vita
ultraterrena o l'esistenza di Dio) non equivale ad affermare la loro non
esistenza. Tra le numerose acquisizioni che lo difenderebbero dalle accuse
incrociate di scetticismo e agnosticismo enumera la consapevolezza di un
patrimonio di verità circa le possibilità di pensiero; la ricchezza dell'atto
di conoscenza anche nelle forme meno esplicate; l'emancipazione dalla divisione
del conoscere in intuizioni e concetto, sensazione e concetto; la pretestuosità
di coloro che esigono una purezza del conoscere senza inquinamenti
sentimentali; le aporie di una scienza oggettivante e insieme soggettivante al
massimo e dell'arte che, mentre il mondo odierno nega il reale, si riferisce
continuamente ad essa, particolarmente nella negazione. Non potendosi dare una irruzione nel
trascendente, è tuttavia possibile affermare la vasta pregnanza del trascendentale,
in altre parole di un terreno comune per l'esperienza e il pensiero. Si
considera pertanto idealista, nel senso che non esiste pensiero senza pensiero,
spirito senza spirito, “ideato” (significato) senza “ideante” (significans). Tuttavia,
differentemente dalle posizioni di Gentili, non crede che affatto il pensiero
sia liquido, tutt'altro; proprio perché l'idea diventa comune, e in essa il
Pensiero trova la sua pace, occorre una verità fondamentalmente ferma, non
mobilizzabile. Da questi presupposti sorge così una debita attenzione per la
scelta e la decisione. Distinguendo le
scelte apparenti, che sono totalmente arbitrarie, da quelle reali, quando al
termine dell'analisi si opera con un atto di buona volontà, una decisione
autentica ci si trova di fronte ad un bivio metafisico: impossibilità di
afferrare la realtà dei tre nominati reali (Dio, Anima e Mondo) e impossibilità
di negarli. Sorge appunto la decisione autentica, cui si arriva solamente
secondo una corretta formulazione di intenti e seguendo una fine immanente ad
ogni forma di scelta. Aristotelicamente e anche kantianamente la causa finale
riveste una primaria importanza. Se ogni uomo sceglie per sé, nessuna scelta
avrebbe una portata teoretica di cogenza, ma aprirebbe le vie della libertà
vera, dalla quale ne derivano conseguenze radicali e speculazioni abissali a
partire da una decisione, che può essere quella dell'anima unica immortale, o
quella del pensiero che viene ad essere dopo la materia, o la non esistenza di
Dio. Ciò permetterebbe anche di evitare il depauperamento culturale, con una
rivitalizzazione delle esperienze antiche.
La decisione personale propende per una concezione dell'anima unitaria,
di stampo aristotelico. Se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da lui
considerata "la più materialistica, e più grezza", preferisce pensare
ad una immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può donarla e concessa a
chi la chiede. Sul mondo reale fisico resta una indecisione, ma propende verso
un residuo di natura mentale, una sorta di noumeno mentale sulla scia di Kant e
Galluppi oltre il grande telone dei fenomeni. In questo caso però occorrerebbe
rapportarlo ad una mente divina, perché parlare di mondo senza Dio non avrebbe
connotazioni filosofiche. Infine, riguardo l'esistenza di Dio, punto in cui la
scelta diviene decisione pura, egli tende a negare la validità delle
dimostrazioni, pur scorgendo in esse una bella prova della potenza della mente
umana. La conclusione non è però la non esistenza di Dio, ma la non
dimostrazione della sua esistenza. Chi
ammette l'esistenza di Dio, tuttavia, deve assumere la radicalità di tale
affermazione "guardando il mondo dagli occhi di Dio" e non facendo
etsi deus non daretur. Chi prendesse la scelta teistica dovrebbe tacersi per
sempre e rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette in risalto anche la Volontà,
definendola potenza fattiva dell'Idea, e constatandone il carattere
generativo-spermatico, per collocare in una prospettiva differente il vitalismo
dell'élan vital bergsoniano e della Wille di Schopenhauer. Questo permette di
pensare l'Idea non solo quale conoscenza filosofica, ma anche negli aspetti
attivi, vitali e di sentimento. Ad essere eroicamente divini non sono pertanto
solo i pochi giunti al massime vette di autocoscienza teoretica, ma anche gli
umili che vivono inconsapevoli della propria dignità divina, folgoranti però di
una autocoscienza morale. Bàrel Dal
punto di vista poetico, l'opera principale di G. è il “Bàrel”, sorto
dall'ispirazione di un progetto di Papini esposto nell'autobiografia Un uomo
finito per un poema apocalittico, mai scritto. Altri spunti furono la lettura
di Lord of the World di Benson e dell'Apocalisse. Il Bàrel, presentato a Giovannetti de Il
Giornale d'Italia, che propose come titolo “Il Dio Eroico”. Gli anni seguenti,
segnati dalla Seconda Guerra Mondiale, furono l'occasione per trasporlo in
prosa. Questa versione, appena terminata la guerra, e proposta a vari editori
ma che per una serie di sfortunate coincidenze Mondadori non dispone della
carta, e dopo alcuni anni, quando la carta è disponibile, cambia idea sulla
pubblicazione; la casa editrice Api di Mazzucchelli nel frattempo fallì l'idea
di pubblicazione venne temporaneamente accantonata. Nel frattempo alcuni versi
sono pubblicati frammentariamente. Ri-ordina le due versioni in una unica opera
che contenesse sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo
sperimentale. La pubblicazione avverrà sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in
raccolte unitarie successive. Il tema è
insolito e il contenuto, con riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo,
non è di semplice accessibilità. Se può essere collocato in un momento
simbolico dell'arte, è anche classico e romantico, nei canoni dell'estetica
hegeliana. Nel Apocalisse grande, il protagonista Bàrel sovrappone le passioni
alle idee. In La cerca di Barel, ritorna in proporzioni umane e in La morte
degli dèi, scende negli abissi vertiginosi della filosofia, che la poesia tenta
di inseguire.Saggi: “Organon Philosophicum”, Ironia, morale, educazione,
Gheroni, Torino, “Etica del sentimento” Filosofia
dell'Unicità; “Gnoseologia del sentimento” (Pergamena); La filosofia giuridica,
Filosofia dell'Unicità, Milano “Filosofia della religione”. Filosofia
dell'Unicità, Epistemologia. Una nostra riforma della Logica Hegeliana (Pergamena)
La Metafisica. Pergamena, Iesous Eléutheros. La liberazione di Gesù: lettera
sistematica (Pergamena) Dizionario di Estetica (Pergamena); Studi nel periodico
Sistematica. Res Publica. Educazione civica, Pergamena Res Publica. Teoria
dell'Ineguaglianza (Pergamena); Nel Pleròma. Da Dio alla Materia (Pergamena); Storiografia
come rettorica; “Autobiografia come filosofia” (Pergamena); Memoriale
Ambrosiano; “Memoriale Italico” (Pergamena); Dio, Pergamena Estetica della Musica, Pergamena scon
Colloquia Edizioni. Meditazioni Hegeliane, Editrice, Meditazioni Platoniche, Pergamena
Capitoli sulla Scienza Moderna, Pergamena L'immortalità dell'anima, Pergamena Ricerche
filosofiche La filosofia del sentimento di Consentino, in Quaderni, Milano, Rabelais
e l'educazione del principe, Viola, Milano; ora in Paideia grande. Un mistico
bergamasco: Sisto Cucchi, Secomandi, Amiel Morale, Saggiatore, Torino,
L'educazione dei ciechi, Armando Roma, Società e Stato da Spedalieri a Marx,
Pergamena); “L’ESTETICA ITALIANA: figure e problemi” (Nistri-Lischi, Pisa); Storia
della pedagogia, Armando Roma "le
edizioni successive sono state scempiate da interventi dell'Editore riporta G.
in Sistematica); “La filosofia politica” (Pergamena); Adolfo Ferrière.
Psicologia, attivismo, religione, Armando Roma, Giuseppe Lomabardo Radice tra
poesia e pedagogia, Armando Roma, Gentile. Filosofo dell'educazione Pensatore
politico Riformatore della Scuola, Armando Roma Raffaello Lambruschini. Armando
Roma, Tissi filosofo dell'ironia, Pergamena Moralistica francese, Pergamena Saggi
su Sales, il Quietismo, La Rochefoucault, Prevost. Filosofi teoretici e Morali,
Pergamena saggi su Condillac, Senancour, Rensi, Hume, Camus, Barié, Galli,
Lazzarini, Castelli, Capitini. Gramsci e altri miti, Pergamena; Storia della
filosofia, Trevisini Milano; L'Italia nella dittatura e nella non democrazia,
Pergamena Paideia Grande, Pergamena Rabelais, Rosmini, Boncompagni, Gentile;
“STORIA DEL LIBERALISMO” Pergamena. Moltissimi saggi e studi di politica,
religione, filosofia, filologia e critica sono stati pubblicati nelle seguenti
riviste fondate da G. stesso: L'Idea
Liberale, Sistematica, attiva sino al. Filologia; Giovanni Michele Alberto
Carrara, De fato et fortuna. Tipografia A. Ronda, Milano, Studi sul Rinascimento,
Pergamena Saggi su: Seneca e la filologia; PETRARCA viaggiatore; VINCI filosofo;
Le fonti del Pontano lirico; Gli errori di ALIGHIERI in un poema umanistico
inedito; Il RINALDO di Tasso; Il T. Tasso corregge il Floridante; Rime inedite
di Cecco d'Ascoli; Carrara, Pergamena, Carrara,
Armiranda. Inedito umanistico, Pergamena Commedia inedita, testo latino; Carrara, III, De choreis Musarum, Pergamena Testo
latino. Segue un Saggio monografico sull'umanista. Carrara, Sermones
objurgatorii, Pergamena Sui tragici; Da mio diario filologico, Pergamena Filologia.
Teoria e saggi, Pergamena Su ALIGHIERI con verità, Pergamena MANZONI, in
Sistematica, Pergamena Gesù, Pergamena Poesia e prosa d'arte Collana dei
"Tredici". La Scala, novelle e poesie; Mutarsio, Torino Bàrel. I.
Apocalisse grande, La cerca di Bàrel, La morte degli dèi; Pergamena Hendecasyllabi
aliaque scripta, Pergamena L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena; Il figlio di
Pinocchio, Pergamena; Fratelli Frilli, Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena Quadri
Intemelii, Pergamena; Miniature. Codex aureus, Codex recens. Codex quadraticus,
Pergamena; Cento tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in
Hendecasyllabi. Il Codex recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è
a soggetto libero e vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli
scacchi. Con rubriche annesse che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene MVSA
LATINA, Pergamen; IL RAMO D’ORO, Pergamena Scritti in Italiano, Latino,
Francese, Romanesco, Biblico. Profili di gente nel mio tempo, Pergamena
Splendido novellare, Pergamena Cento racconti e novelle. Musis amicus,
Pergamena Versi e prose in Latino. Mimì o E tutto è amore, Pergamena Sorridono
i gigli. Liriche e restauro filologico di Saffo, Pergamen; TEVERE AMICO,
Pergamena, Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco da un popolano
di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, “Faust mediterraneo”, Pergamena, Atlantidos
persis, Pergamena, Villon, Il Testamento, saggio critico G., Pergamena, Amitiés
françaises, Pergamena, Nel Sublime, Pergamena Il mio Ponente, Pergamena Letture
belle, Pergamena; Piero Pastorino, Pinocchio, un figlio nato da una bugia, in La
Repubblica, sez. Genova. Docente universitario a Milano di Storia generale
della filosofia, è stato ripetutamente consulente all'Accademia di Svezia per
il conferimento dei Nobel per la letteratura. Ha al suo attivo un dizionario di
estetica e linguistica, una storia della pedagogia e ha scritto novelle. Vive a
Noli, di cui è cittadino onorario. Piotr Zygulski, Filosofo liberale, in
Termometro Politico; G. Pierre-Philippe Druet, Tissi, filosofo dell'ironia,
Revue Philosophique de Louvain, Dudley,
Sui tragici. Dal mio diario filologico, Revue Philosophique de Louvain, Da
"Autobiografia come filosofia" (Milano) e pagine integrative in
Sistematica, Milano, Pergamena, Grimaldi, Illuministi inglesi, in Disegno
storico del costituzionalismo moderno, Roma, Armando, Ottaviani, La scuola del
Risorgimento. la scuola italiana Roma, Armando, Semerano, La favola dell'indo-europeo,
Milano, Paravia; Mondadori. Grice: “Giraldi is obsessed with ‘essenza’, which is a coinage by Cicero
– essentia, meaning essentially nothing!” Grice: “Giraldi, who defended Gentile,
rightly, as a ‘pensatore politico’ – was obsessed with idealism – his
essentialism was supposed to supersede it, but he spends some time analysing
the situation in Italy with idealism, ‘a la catedra – but is dead – he refers
to Croce, Gentile, and the roots of
idealism in Vico, Sanctis, and Spaventa --.” Giovanni Battista Giraldi. Giovanni Giraldi. Giraldi.
Keywords. essenzialismo, essenzialismo romantico, storia della filosofia
romana, etica del sentimento, autobiografia come filosofia, mio ponente, filosofia
ligure, ‘l’aragosta’ – romanzo ligure -- Riviera di ponente, nel pleroma: da
dio alla materia, gentile, filosofo
politico -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giraldi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Girgenti: la ragione conversazionale a limite
– l’implicatura conversazionale della metrica del filosofo – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo girgentino. Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Girgenti, Sicilia. Grice: Ritter thinks Girgenti
is related to the Velia – and Pareto to the Crotone – so it’s amazing that
Bruto never liked those three Greeks of the Athenian embassy seeing that most
pre-Platonic philosophy came from Magna Grecia, that is, Italy! Some must have
remained in the genes!” -- Grice: “I like Girgenti; obviously Mussolini
didn’t!” Grice: “I love Girgenti – he philosophised in verse, not prosa – rhyme
being unexistant, it was all about the metre – he talks of ‘amicizia,’ which is
none other than Love that unites all things! And then he fell in the Etna!”
“Mussolini thought it was rude of the Girgentians to call their land
‘Girgenti,’ so he formulated a self-referential ‘decretto’: “From now on,
Girgentians shall be called Agrigentians.’” Peano objected: “Your decree is
self-contradictory or invokes a vicious regressus ad infiniutum!” -- filosofo italiano.
Siceliota. Nacque da una famiglia antica,
nobile e ricca di Girgenti.Come suo padre Metone, che ebbe un ruolo importante
nell'allontanamento del tiranno Trasideo, egli partecipò alla vita politica
della città, schierandosi dalla parte dei democratici e contribuendo al
rovesciamento dell'oligarchia formatasi all'indomani della fine della
tirannide, un governo chiamato dei "Mille". La tradizione gli attribuisce uno spirito severo
verso gli aristocratici. Dai suoi nemici fu poi esiliato nel Peloponneso. Tra i
suoi discepoli vi fu anche Gorgia. Successivamente Empedocle abolì anche
l'assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre anni, sì che non solo
appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano sentimenti democratici. Anche Timeo nell'undicesimo e nel dodicesimo
libro - spesso infatti fa menzione di lui - dice che Empedocle sembra aver
avuto pensieri contrari al suo atteggiamento politico. E cita quel luogo dove
appare vanitoso ed egoista. Dice infatti: 'Salve: io tra di voi dio immortale,
non più mortale mi aggiro'. Etc. Nel tempo in cui dimorava in Olimpia, era
ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che di nessun altro nelle
conversazioni si faceva una menzione pari a quella di Empedocle. In un tempo
posteriore, quando Girgenti era in balìa delle contese civili, si opposero al
suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si rifugiò nel Peloponneso ed
ivi morì. Si iscrisse alla Scuola di Crotone, divenendo allievo di Telauge, il
figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e rifiutò i sacrifici cruenti. Secondo
la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per attenersi
all'usanza secondo cui il vincitore doveva sacrificare un bue, ne fece
fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo distribuì secondo la
tradizione. Secondo altri seguì gli insegnamenti di Brontino e di
Epicarpo. La sua oratoria brillante, la sua conoscenza approfondita della
natura, e la reputazione dei suoi poteri meravigliosi, tra cui la guarigione
delle malattie, e il poter scongiurare le epidemie, hanno prodotto molti miti e
storie che circondano il suo nome. coppiata una pestilenza fra gli abitanti di
Selinunte per il fetore derivante dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano
e le donne soffrivano nel partorire, pensò allora di portare in quel luogo a
proprie spese le acque di altri due fiumi di quelli vicini. Con questa mistione
le acque divennero dolci. Così cessa la pestilenza e mentre i Selinuntini
banchettavano presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si
prostrarono e lo pregarono come un dio. Volle poi confermare quest'opinione di
sé e si lanciò nel fuoco. Si diceva che fosse un mago e capace di controllare
le tempeste, e lui stesso, nella sua famosa poesia Le purificazioni sembra avesse
affermato di avere miracolosi poteri, compresa la distruzione del male, e il
controllo di vento e pioggia. I sicelioti lo veneravano come profeta e
gli attribuivano numerosi miracoli. Le numerose testimonianze che
riguardano la sua biografia sono alquanto discordanti e non consentono di
attribuire un'identità precisa alla sua figura. A conferma di ciò sono le
numerose leggende sul suo conto. I suoi amici e discepoli raccontano ad esempio
che alla morte, essendo amato dagli dèi, fu assunto in cielo. Mentre Eraclide
Pontico, Luciano di Samosata e Diogene Laerzio sostengono che si suicidò gettandosi
nel cratere dell'Etna. Il vulcano avrebbe eruttato, dopo qualche istante, uno
dei suoi famosi sandali di bronzo.In realtà non sappiamo neanche se sia morto
in patria o forse nel Peloponneso. Si afferma che visse fino all'età di 109. Una
biografia di Empedocle scritta da Xanto, suo contemporaneo, è andata perduta. A
Empedocle la tradizione attribuisce numerose opere, fra cui anche alcuni
trattati – sulla medicina, sulla politica e sulle guerre persiane – e tragedie.
A noi sono giunti però solo frammenti dei due poemi: “Sulla natura” e “Purificazioni”.
Di “Sulla natura”, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti circa
400 frammenti. Delle “Purificazione”, di carattere teologico e mistico, abbiamo
poco meno di un centinaio. Il timore di Girgenti appare fin dalle prime righe
di “Sulla natura”. “O dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti,
e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente, e a te, musa agognata, o
vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo. Ciò che spetta agli effimeri
ascoltare, tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore devoto.
Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria fra i mortali con un
discorso, ricolmo di santità, che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera
alla vetta della saggezza. La filosofia di Empedocle si presenta come un
tentativo di combinazione sintetica delle precedenti dottrine ioniche,
pitagoriche, eraclitee e parmenidee. Distingue la realtà che ci circonda,
mutevole, dagli Quattro elementi primi, immutabili, che la compongono. Chiama
tali elementi "radici", non nate ed eternamente uguali e afferma che sono in tutto solo quattro,
associando ognuno di essi a un particolare dio, sulla base di concezioni
orfiche e misteriche proprie dei riti iniziatici allora in uso presso la
Sicilia. I quattro elementi (e i rispettivi dèi associati) dunque sono:
fuoco (Giove), aria (sua moglie, Era), terra (Edoneo), ed acqua (Nesti). L'unione
delle quattro radici (Giove-Era-Edoneo-Nesti) determina la nascita di una cosa.
Si tratta perciò dell’ *apparente* nascita di una cosa, dal momento che
l'Essere (le quattro radici) non si crea. “Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è
nascita di nessuna cosa. Solo c'è mescolanza.” In questo modo, i primi principi si empiono
così dell'essenza e del soffio vitale del potere divino. In Empedocle, Amore
(Φιλότης) e la «natura divina che tutto unisce e genera la vita. Are, o Marte, e
il dio del conflitto. Per Empedocle, l'uomo, essendo di origine divina,
raggiunge la vera felicità che quando si riune alla compagnia di Deo. Accanto
alle quattro "radici", e motore del loro divenire nei molteplici cose
della realtà, si pongono due ulteriori principi: Amore ed Odio (Discordia,
Contesa). Amore ha la caratteristica di "legare", "congiungere",
"avvincere" («Amore che avvince.” L’Odio ha la qualità di
"separare", "dividere" mediante la
"contesa". Così Amore
nel suo stato di completezza è lo Sfero, immobile, uguale a se stesso e
infinito. Amore è Dio e le quattro "radici" le sue
"membra", e quando Odio distrugge lo Sfero, tutte, l'una dopo
l'altra, fremevano le membra del dio. Infatti sotto l'azione dell'Odio, presente
alla periferia dello Sfero, le quattro radici si separano dallo Sfero perfetto
e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi. Prima bi-sessuate
e poi sotto l'azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in
maschi e non-maschi, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate. Alla
fine di questo ciclo, Amore riprende l'iniziativa e dalle membra isolate,
nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e non-maschi, poi esseri bi-sessuati
che finiscono per riunirsi, con le quattro radici che li compongono, nello Sfero.
Nelle Purificazioni, sostiene la metempsicosi, affermando l'esistenza di una
legge di natura che fa scontare agli uomini le proprie colpe attraverso una
serie continua di nascite, tramite cui l'anima, di origine divina, trasmigra da
un essere vivente all'altro. In questo poema gli esseri viventi, parti
costitutive dello Sfero di Amore divengono dèmoni errando nel cosmo. “È
vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da
vasti giuramenti: se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un
delitto o se qualcuno per la Contes abbia peccato giurando un falso giuramento,
i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila
stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura
mortale nel corso del tempo mutando i penosi sentieri della vita. L'impeto
dell'etere invero li spinge nel mare, il mare li rigetta sul suolo terrestre,
la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici
dell'etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch'io
sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente
Contesa.” L'Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del demone decaduto?
Con ogni probabilità, è l'Amore stesso che ci parla in questo frammento.
L'"io" dei due ultimi versi è l'autore del poema. Ma è anche, se
andiamo più a fondo, l'Amore. I demoni esiliati lontano dagli dèi saranno
allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a
errare tra i corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la
Discordia. Quando le parti dell'Amore che sono i demoni si riuniscono
nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente. Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si
trasforma in dio. Questa concezione conduce al rifiuto assoluto dei sacrifici,
poiché in ogni essere vivente vi è un'anima umana, che sta compiendo il suo
ciclo di reincarnazione. Se nel corso di questo ciclo l'anima si è comportata
secondo giustizia, al termine potrà tornare nella sua condizione divina. Dal
che, come Pitagora, anche a G. ripugnano i sacrifici animali e l'alimentazione
carnea. “Onde, uccidendoli e nutrendoci delle loro carni, commetteremo
ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei consanguinei; di qui la loro
esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la loro affermazione che
commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano l'altare con il caldo
sangue dei beati», ed G. dice in qualche luogo: Non cesserete dall'uccisione
che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità
della mente?” “Il padre sollevato l'amato figlio, che ha mutato aspetto, lo
immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo coloro che sacrificano
l'implorante; ma quello sordo ai clamori dopo averlo immolato prepara
l'infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio prendendo il
padre e i fanciulli la madre dopo averne strappata la vita mangiano le loro
carni.” Rispetto alla sua precedente opera vi sono delle contraddizioni che è
stato difficile per i suoi esegeti conciliare. Ad esempio, ad una visione
naturalistica del poema Sulla natura si contrappone la teoria della
reincarnazione delle Purificazioni: nel primo scritto l'anima è anche detta
mortale, mentre è definita immortale nel secondo. C'è chi ha spiegato tali
incongruenze con la versatilità di G., scienziato e profeta al tempo stesso,
medico e taumaturgo. C'è invece chi ha ipotizzato una paternità diversa delle
due opera. Uno dei busti ritrovati nella Villa dei Papiri a Ercolano,
identificato dapprima come Eraclito, solo più recentemente con Empedocle. Lo
stile di Empedocle viene lodato dagli antichi. DICANTVR EI QVOS PHYSIKOUS GRÆCI
NOMINANT EIDEM POETÆ QVONIAM EMPEDOCLE G. PHYSICVS EGREGIVM POEMA FECERIT. Siano
pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il
fisico G. scrive un poema egregio (CICERONE, De Oratore) padre della
retorica (Aristotele) LUCREZIO (De rerum natura) lo prende addirittura
come modello. Renan lo definisce uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton
e mezzo Cagliostro. Gli viene intitolato il Regio Liceo Classico di Girgenti,
dove studiarono, fra gli altri, PIRANDELLO (si veda) e Camilleri. Secondo
le discordanti fonti sulla vita di G. la cronologia andrebbe fissata. Cfr. GIANNANTONI
(si veda), “I pre-socratici” (Roma); Bignone (“Empedocle”, Torino); Robin; Schiefsky;
Platone, Parmenide, Diogene Laerzio; Timeo, ap. Diogene Laerzio; Aristotele ap.
Diogene Laerzio; Mannucci, “La cena di Pitagora” (Carocci); Satiro, ap. Diogene
Laerzio; Plutarco, de Curios. Princ., Adv. Colote, Plinio, HN, e altri. Così nella letteratura antica, come riferisce
Russel nella sua Storia della filosofia occidentale, citando un poeta anonimo. Grande
G. che, l'anima ardente, salta in Etna, ed è stato arrostito intero; Orazio, ad
Pison. , ecc. Ippoboto riferisce che egli, levatosi, si diresse all'Etna e,
giunto ai crateri di fuoco, vi si lancia e scomparve, volendo confermare la
fama che correva intorno a lui, che era diventato dio. Successivamente e
riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari e rilanciato in alto. Infatti,
egli e solito usare calzari di bronzo (Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi). Cfr.
anche Eraclide Pontico, fWehrli. “E questo tutto abbrustolito chi è? -
Empedocle. Si può sapere perché ti gettasti nel cratere dell'Etna? Per un
eccesso di malinconia. No: per orgoglio, per sparire dal mondo e farti credere
un dio. Ma il fuoco rigetta una scarpa e il trucco e scoperto (Luciano di
Samosata, I dialoghi). Timeo ci attesta esser lui finito di morte naturale.
Dicono alcuni che trovandosi egli in Messina a cagion di una festa sia ivi
caduto da un carro, e rottasi la coscia, sia morto. Credono altri che in mare
naufragasse: altri che si fosse strangolato da sé. Scinà, Memorie sulla vita e
filosofia d'Empedocle gergentino, GERGENTI – non GIRGENTI -- ed. Bianco,
Palermo – empedocle gergentino -- Apollonio, ap. Diogene Laerzio; Haase,
Principat; Philosophie, Wissenschaften, Technik; Philosophie (Doxographica, Forts.;
ed. Gruyter; Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Mondadori. Jori, G. in
Dizionario delle opere filosofiche, Milano, Bruno Mondadori. Avverte infatti
Jaeger. Dobbiamo guardarci dal prendere per pura metafora poetica l'espressione
della religiosità che lo trattiene dal seguire sino in fondo i predecessori
troppo sicuri di sé. Cardin, G., in Enciclopedia filosofica, Milano, Bompiani, Reale,
Storia della filosofia romana. D-K. Kingsley, Misteri e magia nella filosofia
antica. G. e la tradizione pitagorica, Il Saggiatore, In corrispondenza con le
quattro primarie anti-tesi del caldo (fuoco), del freddo (aria), dell'asciutto
(terra), e dell'umido (acqua). Le IV radici di G. risultano essere poi i IV
elementi di Aristotele e Tolomeo. Edoneo
è un appellativo proprio del dio degli
inferi Ade, cfr. in tal senso Esiodo Teogonia; o anche inno omerico A Demetra.
Forse si riferisce a Persefone; per una dotta riflessione su questo nome, certamente
un teonimo poco conosciuto, si rimanda a Gallavotti in G., Poema fisico e
lustrale, Milano, Mondadori; Valla. Secondo G., i due sessi (maschi,
non-maschi) furono determinati dalla separazione di creature di natura integra,
che si sono a loro volta evolute da forma di vita più primitive. Un papiro contenente
aforismi di G., consente tuttavia di integrare le due versioni, portando a
ritenerle complementari. Le due opere, quindi, farebbero forse parte di uno
stesso saggio filosofico. E stata anche avanzata l'ipotesi che si tratti di
Empedocle gergentino. Tale proposta trova conforto sia nella notizia di Diogene
Laerzio in merito alla folta chioma del personaggio sia alla specifica
collocazione del bronzo all'interno della villa dove fa pendant con il bronzo
raffigurante Pitagora che e suo maestro (Museo archeologico Nazionale di
Napoli. “Sulle origini”. Ne conservavamo
CCCL versi.”Martin ha consegnato complessivi LXXIV esametri dei quali XXV coincidono
con quelli già posseduti. Ma da ogni
parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo sfero rotondo che
gioisce di avvolgente solitudine. (G., D-K); Poema fisico e Lustrale,
Milano, Mondadori; Tonelli, G., Frammenti
e testimonianze; Origini; Purificazioni, con i frammenti del papiro di
Strasburgo (Milano: Bompiani). Bignone, G.. Studio critico, commento delle
Testimonianze e dei Frammenti, rRoma, L'Erma, Bretschneider, Torino: Bocca. COLLI
(si veda), G., Pisa, La Goliardica, Traglia, Studi sulla lingua di G.”, Bari,
Adriatica, Bodrero, “Il principio dell’amore nella filosofia di G.” Roma; Bretschneider,
La lingua di G., Bari, Levante, Volpi, G.: i suoi misteri rivelati in una
biblioteca; G., Milano,1. Filosofi: G.,
scoperto papiro a Strasburgo. Per gli studiosi è l'unica testimonianza diretta,
Strasburgo, Adnkronos, Pigliando il nostro G. a trattar le cose naturali,
cui sopra d'oga ' altro in tendea, ebbe egli a sdegno di seguir setta e maestro.
E come egli era franco di animo, e grande d'ingegno; così immagi nò giusta la
moda de' tempi, e l' usanza de' filosofi un sistema novello. Questo divulgato
gli acquista tal fama, ch'emulo ei divenne per gloria e per sapere de' fisici
più famosi di sua età Democrito e Anassagora. I greci di fatto accolsero con
ammirazione i suoi belli poemi; e chi vennero poi ricordarono con onore G. e la
FILOSOFIA i lui. Incerta fra tanto, manca, é corrotta è venuta la sua dottrina
sino a noi. Mancate per l'ingiuria de' tempi le opere del nostro Gergentino
(GERGENTI, non GIRGENTI), chi ha voluto conoscer ne lo spirito, è stato
costretto di rintracciarlo presso gli storici dell'antica filosofia. I quali
non hanno affatto cura di notare il vincolo, con cui destramente iva quegli
legando la sua filosofia. Anzi costoro così disparati li rapportano che si
possan tenere non altrimenti che rottami, da' quali non si puo il disegno
ricavar dell'edifizio, cui prima apparteneano. Però eglino non che han male e
tortamente fatto conoscere la fisica di G.; ma nè pur bene e dirittamente
apprezzare la forza e la virtu della sua mente. Giacchè l'eccellenza de'
sistemi è riposta nell' union delle parti, che si rispondon tra loro; e da
questo legame si misura l'ingegno di chi l'hanno inventato. G. inoltre scrive
in versi, e ‘abbellì le sue idee, come fanno i poeti. Per lo che pigliando
alcuni letteralmente le finzioni della sua fantasia gli apposero opinioni
assurde e grossolane. Illusi altri dall’immagini poetiche, che per lo più sono
equivoche, travidero; e più presto ci tra mandarono le loro illusioni, che i
pensamenti del nostro filosofo. Varie di fatto sono le forme, sotto cui ci
presentano G. i scrittori. Ora egli è dualista, e ora è scettico: ora
platonizza , e or favoleggia: e non ha gnari e, non so come, anche gridato qual
precursore di Newton. Sicchè G., tra biasimato, lodato, e sfigurato, è stato
sempre mal conosciuto, e SEMPRE CALUNNIATO. Volendo adunque richiamare in luce
la filosofia di lui, cerco e raccolto i frammenti de' suoi poemi, che per
avventura ci restano, e sparsi qua e là si leggono presso diversi filosofi.
Coll ' ajuto di questi, che sono gl’onorati avanzi della sua vera fisica, son
ito raccapezzando pri e poi restituendo la sua filosofia, Perchè tra le
opinioni, che gli storici appongono a G., ho quelle scelto, che ben s'adattano,
e naturalmente si legano colle idee, le quali si traggono da? frammenti di lui,
e le altre rigettato, che a queste si disdicono, o ne sono contrarie. Ho fatto
in somma ciò, che suol praticara ma si da chi 'voglioso di restaurare un'antica
statua o colonna raccoglie e mette insieme que' pezzi,, che tra loro s'
incastrano, e ben si connettono. Questo metodo che stimerà diritto chiunque non
è privo di senno, deve specialmente poter convenire a G.. Poichè Aristotele ci
attesta: colui più che altro fisico della sua età, aver detto delle cose, ch'
eran tra loro ben legate e concordi. Ho quin di fatto ogni sforzo per richiamare
alla sua purezza e integrità la dottrina del nostro filosofo quando da lui
stesso, quando dall' autorità degli antichi filosofi, sempre mettendo in
accordo le idee, che si traggono da questi e da quello. Però non è da
maravigliare, se con sì fatto accorgimento,
libera il nostro fisico di non poche assurdità, e se mi sia venuto fatto
d'abbozzare almeno il vero sistema di lui. La prima origine, e i primi elementi
delle cose, sono, per quanto pare, fuori la sfera del nostro intelletto, perchè
oltre: passano la sfera de' nostri sentimenti. Pure. i greci, cominciando da
Talete, s' occuparon tutti in si fatta vana ricerca, e tutti si smarrirono.
Alcuni degli Jonici coll'acqua, altri coll' aria, altri col fuoco formaron le
cose, e fabbricarono presto l'universo. Non così piacque a PARMENIDE DI VELIA,
e a LA SETTA DI CROTONE. Costoro, lasciato il mondo materiale, come indegno
delle loro meditazioni, si misero per strade diverse in un mondo astratto ed
intellettuale. PARMENIDE spiritualizza l'unico elemento degli Jonici; e pone
unica, e terna, immutabile sostanza. Uno è tutto, dice PARMENIDE, e tutto è uno;
sicchè le mutazioni della materia non altro sno per lui', che modi e semplici
apparenze. LA SETTA DI CROTONE dal mondo materiale rifuggi alla Geometria. E se
bene questa scienza non fos che un parto della nostra mente; púre l’ehbe quegli,
non si sa come, per lo modello, e 'l vero esemplar dell'universo. Però nella geometria
legge i rapporti e le proporzioni, che debbono aver le cose, che sono materiali;
e vide nell'unità i primi e veri principj de' corpi. Furon gli se ingegni presi
da prima di maraviglia così pel filosofo di VELIA, come per quello di CROTONE;
e corsero tutti a loro insegnamenti. Ma stanchi di poi di contemplare un mondo
o metafisico, o geometrico, ritornarono naturalmente alla materia; e nasce la
filosofia corpuscolare. I primi a far questo ritorno sono G.; Anassagora;
Leucippo e Democrito. Costoro calando dal mondo della SETTA DI CROTONE alla
materia materializzarono le unità di costui. Atomi chiamarono Leucippo e
Democrito i principj delle cose; particelle simili Anassagora; e G. col nome li
distinse di elementi degl’elementi. Ma in verità i loro principi altro non sono,
che le unità della SETTA DI CROTONE fatte materiali, espresse e indicate con
vocaboli diversi. Democrito lascia a suoi atomi l'indivisibilità, di cui le
unità della SETTA DI CROTONE sono fornite nello stato suo intellettuale. Questa
stessa indivisibilità secondo alcuni, nega ale parti simili Anassagora.
Differente dall'uno e dall'altro e per Aristotile l'opinione di G. Costui cerca
nella materia le sue unità, e dividendo e suddividendo i corpi giunge a quelle
molecole, che più non si possono dividere. Ma dove i sensi mancarono, suppli
colla ragione, e proseguendo la divisione delle molecole col suo pensiero,
s'accorse potersi queste sempre piu di nuovo dividere. Venne però affermando
che i suoi elementi degl’elementi eran divisibili, ma solo colla mente, non gia
col fatto. Distingue, così dicendo, le unità della setta di CROTONE dalle sue,
che sono materiali; e provvida in bel mo doalla durata della natura. Perchè
essendo i principi delle cose incapaci, secondo lui, d'ogni fisica alterazione,
quelle debbono sempre durare come al presente sono. Tennero tutti tre que fisici
non che per cosa assurda, ma impossibile, la creazione dal nulla. Ne venne loro
in mente, come ad alcuni indi piacque, di supporre la materia nuda d'ogni
qualità. Chiamano essi la materia senza forma, e senza qualità ciò che non è. Ciò
ch'è, dice G., è impossibile venire da quello, che non è. Ma diverse sono le
qualità ch’attribuiron costoro alle loro unità secondo che diversamente riguarda
ciascun di essi i corpi e la natura. Anagsagora ebbe le sue particelle non
altrimenti che briccioli minutissimi, ma simili in propieta a corpi, ch'eran
destinati a formare. E come varj sono i corpi e differenti le lor propietà;
così yarie e differenti pose in corrispondenza le qualità delle sue particelle.
Per lo che trasporta egli le qualità delle masse a' frammenti di esse, e,e
ristandosi alle apparenze ricava, come suol dirsi, da grande in piccolo. Gl’atomi
per Democrito sono al contrario tutti della stessa natura; e solo differiyan
tra loro per sito, ordine, e figura. Idea, che ben si conviene alla semplicità
della natura; la quale con pochi mezzi suol produrre fenomeni, che sono
pressochè infiniti, attesa la lor varietà, la lor moltitudine. G., ciò non o
stante, rigettò il pensier di Democrito; e volendo spiegare la varietà
materiale, de’ corpi, piglio, com’egli dovea, e genno consiglio
dall'esperienza.. Gli Jonici addensando o rarefacendo acqua, or l'aria, or
l'aria insieme e'l fuoco, diedero forma e qualità a ' corpi dell'universo. Da
questi e dal loro metodo si dilungo il nostro fisico. Studia egli i corpi, e
separandone le particelle cerca prima, e raccoglieva poi i loro componenti.
Però in luogo di fingere, ritrova ne' corpi i loro elementi; nè i corpi a
capriccio componea alla maniera degli Jonici, na li analizza come fanno i
chiniici. Le sue esperienze, sono egli è vero, incerte e imperfette, come si
leggono ne' versi di lui. Perchè dirizzandosi per una via non ancora usata
nelle fisiche ricerche, mancava d'ajuti e di stromenti; massime che la fisica
era allora metafisica e bambina. Ma ciò non pertanto que' primi e rozzi saggi
del nostro G. sono da stimarsi un chiaro testimonio del suo metodo, ch'era
tutto pratico e sperimentale. Coll'ajuto in fatti delle sue esperien ze
agginnse, a giudizio d' Aristotile, la terra all' aria, all' acqua, al fuoco,
e'l primo stabilì la dottrina de’ IV elementi. IV, dice egli, son le radici di
ogni cosa – I GIOVE (fuoco) II GIUNONE (terra) III PLUTONE (aria) IV NESTI
(acqua)-- figurando, sotto questi simboli il fuoco, la terra, l'aria, e l'acqua.
Per lo che nella sua fisica le unità materiali sono le parti, che diconsi
integranti de IV elementi; e questi le costituenti di tutti i corpi, che si
trovano in natura, Sebbene il fisico di Gergenti (non Girgenti – c’e un
Girgenti in RIETI) avesse distinto l' aria, l'acqua e la terra per le diverse
lor qualità. Pure in riguardo al fuoco l'ha e' tutte tre, come se state fossero
d' unica e medesima natura. Le particelle dell'aria e dell'acqua tendono,
secondo lui ', a condensarsi, come fa la terra. E al contrario crede G. essere
propietà del fuoco d'assottigliare, separare, e levare ogni solidezza alle
particelle dell' aria e dell' acqua. Di fatto e sua opinione che LA LUNA si
condensa a cagione del fuoco, che da essa si parte, non altrimenti che avviene
nell'acqua, quando si riduce in gelo. E se il fuoco indura i corpi umidi, e
vetrifica talvolta i solidi, ciò accade per G., perchè scioglie e separa l'aria
e l' acqua in quel li dimoranti. Gli elementi dunque aria e acqua sono stati
solidi, se la forza dissolvente del calore portato non l'ha alla liquidità, che
lor si conviene Non conosce, egli è vero, così pensando, qualunque corpo per
via del fuoco poter pigliare, passare, ritornare allo stato solido, o liquido,
o aerifornie; ma giunse a comprendere l'aria e l'acqua dovere al fuoco la loro
fluidità. Questa verità, che in tempi più felici avrebbe potuto generarne tant'
altre, e allor qual baleno in notte huja, che illumina in un attimo, poi l'
oscurità lascia più grande. Tal verita o affatto non e avvertita, o punto non e
ben compresa da’ filosofi d'allora. Aristotile si lagna di G., come di chi e ha
usato de IV elementi, non al trimenti che fossero stati II; contando quegli per
uno i tre, che questi avea realmente diviso aria, terra, e acqua. Anzi chi
furon dopo (quasi G. non già quattro, nia un solo elemento ha stabilito nella
sua filosofia) si diedero falsamente a credere il fuoco essere stato tenuto dal
nostro fisico per lo principio, da cui ogni cosa venne, e in cui ogni cosa
doveasi risolvere. Ma comunque ciò, sia, egli è certo, da che G. manifesta IV
poter essere gl’elementi delle cose, tutti abbracciarono la sua opinione. Di
leggieri ciascun' s'avvide l'aria, l'acqua, la terra il fuoco aver gran parte
nella composizione de’ corpi, e ne' cangiamenti più notabali, che avvengono nel
nostro globo e nel la nostra atmosfera. Di fatto non più a capriccio come prima
si solea, s'accrebbe o diminui il numero degl’elementi, e tolta ogn'instabilità
tra le scuole, comune e, e ferma rimase la sentenza de' IV ele Conta area la
dem fial menti. Sicchè su questa dottrina, qual ferma base, venendo assai dopo
a posare lfisica. Questa G. ricono scere deve', e lui onorare qual suo capo e
fondatore. Hanno le scienze, come ogni cosa umana i lor giri, e le loro vicende,
che si distinguono da' metodi, dalle opinioni, dalle verità, ed eziandio dagl’errori
che son dominanti. La fisica nella sua infanzia nise tra gl’elementi l' aria,
l' acqua, il fuoco, la terra. Questi, non ha guari, ha gia scomposto la chimica.
Altri ne sostituiranno i nostri posteri ch' al presente non si conoscon da noi.
Ma niuno negherà la debita lode al nostro filosofo che fondo il primo periodo
della fisica colla dottrina de’ IV elementi, e regola i primi debolissimi passi
dello spirito umano nello studio non che vasto ma difficile delle cose naturali.
Più alto senno, e più forza d'ingegno mostra G quando si mise a cercar le forze
che mettono in movimento la materia e gl’elementi. Si fatta 2, Dileta plaža
matukio ered ܐܐ
F Table tol fue ele 8 1 ricerca, siccome molto ardua, non era stata sin allora
impresa d'alcuno. Anassagora, attese le sue particelle prive di moto e di vita,
non sapendo altro che specolare, ricorre al DIVINO; e colla forza onnipoten te
di lui agita e sospinse le sue parti simili, o loro impresse quel moto, che
queste naturalmente non aveano. Fece costui, come chi a muover la macchina, in
luogo di peso, o di molla, cerca la man dell' artefice. Però Aristotele contro
lui si sdegna, e giustamente il rampogna. Basta a Democrito di fornire il moto a' suoi
atomi, nè cura di saper come e d'onde quello venne. Al più facilitò il
movimento immaginando un voto, ove ogni sorta d'atomi avesse potuto agevolmente
dimenarsi; e particolarmente attribuendo agl’atomi del fuoco la figura sferica,
come quella, che avesse questi potuto render atti a scorrere e sdrucciolare. Ma
G. e il primo al dir d'Aristotele, che con molto senno in natura conosce due
come cagioni del moto degli elementi St & © S forze C 19 menti . Una di
quelle chiama AMORE, amicizia, concordia, o l'altra come contraria o lio,
inimicizia, lite. L'amore di G. non è quel del la favola, di Parmenide di VELIA,
d' Esiodo, o d'altri fabbri di cosmogonia. E forse per costoro un principio
attivo che vivifica l’universo. Ma questa e un'idea, vaga, generale, e NULLA
UTILE ALLA FISICA. NON E COSI L’AMICIZIA DI G. La quale è una forza, fornita di
particolari propietà, e tanto intriseca alla materia, quanto si stima da noi la
sua gravità. In virtù di sì fatto amore le particelle simili tendono a unirsi
tra loro, e congiungendosi formano a mano a mano le masse. Masse che vie più
van sempre crescendo; perchè la maggiore sempre ne trae a se la minore, e l'una
all'altra infallibilmente s' unisce. Aria, dice G., si aggiunge ud aria, etere
a etere, fuoco a fuoco in modo che il minore al maggiore s’ accoppia. Sospinte
del pari dall’amore le particelle di natura diversa tendono a unirsi tra loro,
e compongono gli aggregati colla loro unione. L'amore in somma unisce la
materia si fattamente, che se in natura si gnoreggiasse la sua sola forza
diverrebbe l' universo unica męssa, unica sfera. Perchè è propietà peculiare
dell’amicizia di ridurre le cose che son più a una sola. La forza quindi per G.
simboleggiata dall' amore, amicizia, e concordia non è se non quella stessa che
oggi da’ chimici si chiama AFFINITA. L'odio, non altrimenti che l'amore, è
parimente intriseco agl’elementi de' corpi, ma le qualità d'uno son del tutto
opposte a quelle dell'altro. Tende l'inimiscizia a disunir le particelle
congiunte; sciogliendo le masse, e scomponendo gl’aggregati. E' singolar
propietà di quella ridurre l'uno in più: tal che se l'universo fosse una sola
massa e unica sfera, que sio in forza dell'odio si dovrebbe tutto quanto
sciogliere in minutissimi briccioli. Odio in somma, inimicizia, lite per G. son
e valgono forza dissolvente, o 1 tutt'uno 21 repulsiva. Di fatto chiama egli
anche il FUOCO inimicizia; perchè questa come quello distrugge e separa ogni
cosa. Dą ambidue queste forze tra loro opposte, d'ailinità una, e dissolvente
l' altra, significate dall' amore e dall'odio, il nostro G. ne rica il moto ne'
corpi. L'amicizia sollecita gli elementi all'unione tra lor l'avvicina, e nell'
avvicinarli tra loro parimente li muove. L'inimicizia all'incontro cospinge le
molecole unite, so spintele a poco a poco le stacca, staccate le del pari le
muove. Forze adunque sono l'amore, e l'odio del nostro fisico; come quelle che
avvicinando o respingendo gl’elementi cagionano lor movimento. Fors ze ch'egualmente
son chimiche, conie quel le, che uniscono e separano; compongono e scompongono
i corpi in natura. Ma come sono esse adombrate sotto le forme morali d'amore e
odio, di lite e concoradia; sono state mal comprese e capricciosamente
interpetrate. Alcuni videro in quel. le due forze IL DIVINO (“GOD IS LOVE”) e
la materia; altri: l'ordine e'l disordine; il bene e' l male. Chi la luce e le
tenebre; chi l'Oromaze e l'Arimanio de' Persiani, o altre cose simili. Tanto
egli è vero che il suo linguaggio, come poetico, ha recato ingiuria alla sua
filosofia. L'amore e l' odio, siccome dice il nostro fisico, han que signorie;
ma alternanti e separate tra loro. Comincia l'impero dell'odio, quando finisce
quiel dell'amore, e declinando la signoria dell'inimicizia, l' amicizia ritorna
a' suoi primieri onori. E come una sifatta vicenda non ha mai fine; così
costante si mantiene il movimento in natura, e gl’elementi in eterno s'uniscono
e separano. Esprime egli tal con tin: io e scambievole impero dell'odio e dell'
amore coll'immagine, e somiglianza d'un cerchio, che si revolve. Perché il
cerchio la periodi finiti, che all'infinito si posso no rinovare. Ma tolte le
voci d'impero e signoria, che son propie della poetica, si potrebbe la
filosofia di G. raſfigurare nella vicenda delle forze, mercè la qua. 23 bene i
ebre; chi ni, oabe ero, chei ell'aur Onn '. le i pianeti si'movono. In questi
or preva le la forza centripeta e viene a farsi maggior la centrifuga; or
prevale la centrifuga, e viene a farsi maggior la centripeta. Sicchè
alternativamente prevalendo le due forze centrali, i pianeti s' accostano e
discostano dal sole, e costantemente si mo vono nelle loro orbite ellittiche.
Tale dell’amicizia, e inimicizia di G.. Come gl’elementi s' uniscono; comincia
a preva ler l' inimicizia, che tende a separar le cose unite. E come gl’elementi
dividonsi; principia a superar l'amicizia, che tende a unir le separate. Per lo
che ambidue sempre operano, e si a vicenda prevalgono, che gl’estremi dell'odio
occupa l'amore, e l' inimicizia que' dell' amicizia. Giusta questa legge G. fa
e ternaniente operar l'amore e l'odio. Così, e ' dice, comanda o il füto, o la
necessità, o l'antico giuramento degli dei. Ma il fato del nostro filosofo non
è quello de. gli Stoici, o dei VELINI DI VELIA. Egli null’altro indica colla
parola necessità, che l'ins etarr Itale ம் care PA umpert 2.
la que 24 tima natura di quelle due forze. Siccome eterna ei reputala
materia, ed eterne le forze, da cui essa era animata; così l ' amore e l'odio
volea dover sempre e necessariamente operare. Gl’elementi secondo lui o son
separati, e ſrettolosa corre l’amicizia a unirli; o sono uniti, e impaziente va
l'inimicizia a separarli. Se per poco lascerebbe l' una o l’'altra di congiun
gere le cose separate, o segregar le congiunte, l'amore e l'odio, mutata natura,
non sarebbero più nè odio, nè amore. E' quindi pel nostro fisico così
necessaria l'eterna vicenda delle due forze, come invincibile si stima il
decreto del fato e della necessità. Il fato adunque nel dizionario del nostro
filosofo altro non significa che l' intima indole, e l'immutabile natura delle
due forze senza più. Però a torto Aristotile riprende lui, come chi avesse
introdotto nela la fisica il fato é la necessità. Posti questi principj va G.
squadernando il suo sistema, qual poeta, qua si collocato su d'un eminenza, di
la conta; ON ie. Sasa templando la natura dichiara agl’uomini le sublimi
lezioni di sua filosofia. Nulla, egli dice, manca, nulla ridonda nell'universo;
perchè la quantità della materia nè cresce nè manca. Tutto nasce, tutto muore,
tutto in altra forma trasformato risorge, L'accozzamento di parti, che son
disgiunte, n'è la nascita; e la separazion di quelle, che sono accozzate, n'è
la morte, La natura quindi null’altro è, che ” se parazione e miscuglio. Essa è
eterna; per che l'amore e l'odio sempre fa e disfà, strugge e compone. Mancherà
il presente ordine di cose, sorgerà subito un altro. Questo distrutto, di nuovo,
e sotto altra, guisa si verrà a formare. Così senz'alcuna fer posa uno in un
altro ordine successivamena te, e sempre sarà permutato. Nè per que: sti
continui giri si cangia la natura, ne ha od te luogo o confusione, o simmetria.
La materia non è stata, nè sarà mai senza moto. La natura è stata sempre qual
sempre sarà: cioè amore e odio, separazione e union d' elementi. Cosi parla G.
nel suo d ali 200 € c). och eta, Jade 26 poema sulla natura, o per dir meglio
cosi egli smentì anzi tempo chi dopo lui dovean supporre aver lui voluto il
caos immaginato sol da' poeti. Lo stato di confusione e di caos pel nostro
fisico, o non è stato, nè sarà mai, o sempre egli è stato e sarà. La natura
quella è ora, ch'è sta ta, e sempre sarà: miscuglio e separazione: amicizia e
inimicizia: nascita e morte. Passando G. d'una in un ' al tra idea strettamente
lega i suoi pensie ri. Siccome la materia è tutta divisa ne’ IV elementi; così
i corpi per lui eran composti presso a poco de'medesimi. Ma perchè ciò nulla
ostante quelli tra lor son tutti diversi; quindi anda ricercando in che, e.come
si differisser tra loro. Tal diffrenza ei rinvenne con gran perspicacia nella maniera
diversa, con cui gli elementi com binansi. Però non è nè l'aria, nè l'acqua, nè
la terra, nè’l fuoco che distingue le cose; ma la misurata lor mescolanza; in
breve, la proporzione in cui trovansi due o piti di quelli componenti.
Rappresentando da € st CL T 1 C 27 c2003 de poeta le sue idee ch'eran fisiche,
dicea: i dipintori mischiano colori diversi, e col mi schio di questi van
figurando uomini, piante, fabbriche, uccelli, e anche gli stessi dei. Non altrimenti
fa la natura. Ha ella, come IV colori, che sono i IV elementi, e va coll '
accozzare un poco di questo, di quello, e quell' altro forman do uomini, piante,
animali, donne leggiadre, e chiarissimi dei. Tutto lo studio di G. e quel di
scomporre i corpi, e scomponendoli cerca la ragione, in cui stavan tra loro le
parti componenti. Per chè e persuaso, che la loro varietà venne, ed era tutta
riposta nella varia proporzion degl’elementi. Aristotele che ammira un sì bel
pensamento da a G. il vanto d'aver lui il primo conosciuto una tal verità. Non
si può quindi negare il metodo di G., come quel lo, che volea l'analisi de'
corpi, esser chimico; chimiche esser le forze amore e odio, che inprimean moto
alla materia; e chimica esser tutta la sua fisica; perchè tra lai arch nemt 22 نماز
کی P.; Det ue opad ando de d 2 28 P ch for pa me pre me an CO fondata sulla
proporzion delle parti, che compongono i corpi pressochè infiniti della natura.
Può ora essere a chiunque manifesto G. il primo aver delineato il sistema
dinamico, che oggidi leva tanto rumore in Alemagna. Pone questo sistema alcune
sostanze semplici e primitive, che colle loro diverse combinazioni producono la
varietà de'corpi. Questo stesso fece G. ammettendo i primi elementi, e
combinandoli in varia e differente lor proporzione, Forze attrattive e
repulsive vogliono i Dinamici; e G. immagina affini tà e forza dissolvente, o
sia odio e amore. Che se quegli a spiegare gli stati e i volumi de' corpi si
fondano sul contrasto e rapporto, in cui si tiene la forza attrattiva colla
repulsiva; anche G. dice che l'inimicizia sta appiattata nelle parti de' corpi
pronta a vincer l'amicizia nel tempo opportuno. Ma io non mi maraviglio punto
di tal corrispondenza tra Dinamici e il nostro fisico. Gl’uomini gireranno sem
at c ) in D gi ti 29 pre nella stessa orbita, e torneranno sempre a riunirsi
nelle medesime ipotesi ogni qual volta, che si aggireranno sì oggetti, che
illustrar non si possono con osservazioni e co’ fatti. Perchè limitate essendo
le forze del nostro spirito, limitato sarà del pari il numero delle sue
combinazioni. ' I metafisici di fatto sogliono ricondurre sempre in iscena più
o meno vaghe, più o meno adornate le opinioni medesime. Gl’antichi vollero
rappresentar l'essenza de' corpi. Però Democrito immagina il sistema atomistico;
G. il dinamico. Oggi, che alcuni han pensato di tentar lo stesso, in Francia è
risalito in alto il sistema di Democrito, e quel di G. in Alemagna. Dobbiamo
persuaderci una volta che le scienze s' accrescono non già colle nostre
opinioni, che sono semplici fantasmi della nostra mente, ma coll'esservare ed
espri mere co' nostri pensieri i fatti e le consuetudini della natura. Questo
metodo per avventura non e ignoto in quella stagione in Gergenti. [NON
GIRGENTI, come oggi] Anacrone l'amico di G., poste giù le ipotesi, fonda la
medicina sull'esperienza, ed e capo della setta empirica. Il nostro fisico
cerca e stabiliva la varietà de' corpi cercando e stabilendo la proporzion de'
lor componenti. Ma i tempi imprimono nel nostro spirito la lor forma, il lor
carattere, le loro opinioni; operando su noi non altrimenti dell'aria la qual
si respira. Non è quindi da maravigliare se G. s'occupò, come allor si fa, su i
principi delle cose, e sulla generazion dell' universo. Il romanzo della
nascita del mondo e in que' tempi un'introduzione, che si stima necessaria alla
fisica. Niuno affatto potea meritare il titolo di sapiente, se non prima avesse
ordito la sua cosmogonia. Quindi i filosofi cominciavano allora i lor poemi
dalla creazione del mondo. Molto più, che a ciò fare non dovean perdere gran
tempo, nè durar molta fatica. Le loro cosmogonie sono un lavoro più di fantasia
che di ragione. Si fatti lavori meglio che cosmogonie potevan chiamarsi romanzi,
in cui i paragoni tenendo luogo di raziocini affermiare è lo stesso che
dimostrare; e le capricciose finzioni si scambiano come opere della natura. G.
dunque al par degl’altri intese alla formazion dell'universo; svolgendo e
dichiarando l' impero della sua inventata amicizia. Da prima nascita all'etere,
indi al fuoco, poi alla terra. Da questa trasse l'acqua, l'aria, l'atmosfera;
indi le piante, gl’uomini, e gli animali. Pose più diligenza e più tempo a
formar dalla terra; ma per opera dell'amore il genere umano. Rimescolando gl’uomini
colle piante, e co gli animali, tenne costoro come unica materia, in cui tutti
si fossero contenuti qua si in ischizzo, ma senza che distinta aves ser
presentato la irma, leggiadria, e ata titudine delle loro membra. Queste a poco
a poco idea egli essersi sviluppate, ed esserne venute fuori delle immagini,
prive di moto e di vita, simili alle pitture, ale le statue. Nella terza
generazione di poi furon distinti i maschi dalle femmine. Nella quarta s'
ebbero degl’uomini, che nascono gli uni dagl’altri; perché, distinto il sesso,
si mosse il carnale appetito. Le piante secondo lui fitte restarono in terra
per trarne l'alimento; e gli animali qua e la si divisero per cercare un
abituro conveniente alla loro natura. Queste cose sconce, incredibili, e
simiglianti sognò il nostro fisico, che dovrebbero passarsi sotto silenzio, se
non giovasse d'accennarle per dare șin' utile lezione allo spirito umano. Il
quale ardito, com’egli è, malgrado gli assai folgoranti brillantissimi lumi non
che della religione, ma della moderna deparata filosofia, a dì nostri va sempre
fisicando geogonie e cosmogonie. Darwin di fatto adotta gl’errori del nostro
Empedocle, e certamente da lui ha a trarre l'idea della successiva perfezione,
e a grado a grado del regno animale. L'uno e l'altro fa nascere i vegetabili
prima degl’animali nel tempo e nello stato, che le cose sono imperfette.
Entrambi del pari segnarono gl’animali essersi a poco a poco svieluppati, e
aver tratto tratto acquistato quella perfezione, di cui oggidi son forniti.
Vogliono tutti due, che dal principio i sessi fossero stati confusi si negl’animali
che negl’uomini. Ambidue affermano che l’universo giunse al grado di sua
perfezione, allorchè separati i sessi nacquero gl’animali gl’uni dagl’altri.
Darwin in somma dice unica essere stata la specie dei filamenti, che da origine
a tutti i corpi, che sono organizzati. E parimente e opinione di G., che unica e
la pasta da cui vennero vegetabili, animali, uomini, e Dei. Tanto egli è vero,
che i nostri pensatori sempre, o al men per lo più copiano, e s'arrogano le
speculazioni degl’antichi. Nella cosmogonia di G. siccome a chiunque è
maniſesto, non intervie ne, ne opera alcuna cosa il divino. Ma così pensando,
intendea egli di recarle onore più presto che ingiuria. Avendo egli la materia,
come allor si pensa, per cosa vilissima, teme che la sapienza si fosse bruttata,
se avessé preso a ordinare cose, che son del tutto materiali. Per lo che a
intendere la formazione dell'universo, lasciata la mente divina, invoca il caso,
e commise gli elementi in poter della fortuna. In sì fatti grossolani
sciocchissimi errori s' imbatte chi stoltamente, e senza una precedente saggia
e matura riflessio ne, vuol togliere il supremo artefice dal la fabbrica del
mondo. Il caso, fantasticano essi, siccome racchiude in se tutte le
combinazioni possibili ad avvenire. Così tra le molte, e assai e infinite, che
son mostruose, quelle poche ancora contiene, che son regolari. Infinite, dice
G., sono state le forme, che ha preso teria, e senza numero le combinazioni
degl’elementi. Ma queste si son succedute senz'alcuna posa sin dall'eternità, e
forse non han potuto durare perchè prive sono state di regola e simmetria. Dopo
tante é tante strane vicende, gl’elementi in fine, conchiude egli, essersi
disposti in la ma quell'ordine, che il
mondo ritiene, e da tutti con ragione, s’ammira. Dal caso a dunque G. forma
l'universo. Al caso attribui egli quel che privativamente è sol propio della
sapienza e dell'infinito potere d'un esser supremo. Da un accidente sogna egli
essersi condotto il presente ordine, ma dopo lungo, vario, e successivo
disordine. Queste idee và G. adornandh colla sua fantasia vivace, e poetica.
Figirra egli mani, piedi, gambe, busti, occhi, braccia, spalle, teste di
animali, di uomini, che tra lor misti é confusi si portan qua e là únendosi-
senza regola, e senza misura. Ora egli vede petti senza spalıe; teste senza
cervici; e fronti prive d' occhi. Or egli osserva piedi congiunti a colli,
occhi a spalle, teste å gambe, dita a fronti, e altre irregolari unioni. Quando
immagina egli de' tori in volto u e uomini colla testa di bue; e quando nota
nell'uomo l'impronta della pecora, e in questa quella dell'uomo. Em mano e 2 36
1 1 a i G. in somma finge, trasfornia, è com pone mille e mille specie di
mostri, che per lui una volta furono, e di quando in quando appariscono. Ma
dopo forme si sconce é fuor di natura dispone egli ca guialmente quelle membra
nelle proporzioni, e misure che al presente veggiamo. Che maraviglia è dunque,
ei conchiude, che dopo tanta varietà di mostri sieno a sorte venute le belle e
ben disposte macchine degli uomini e degli animali? In tal modo si sforza il
nostro fisico di render credibile ciò ch'è falsissimo. Facendo come chi gli
occhi s'acceca per meglio e più chiaramente vedere, Ma i suoi sforzi tutti
quanti gli tornarono vani. Non cape ne capirà in intelletto umano, che il mondo
il quale spira ordine, sapienza, e nia, sia l'opera del cieco, e dello stolto
accidente. Ciascuna parte d'un essere forma un sistema; un sistema formano
tutte le sue parti; un sistema tutti gl’esseri, che tra loro legati
corrispondono tutti al gran di fi armo 37 c scuna, segno dell'universo. I moti
varj e multiplici de corpi celesti son regolati da poche e semplicissime leggi;
le quali nascono e derivano da unica propietà della materia. Se dunque ogni
sistema indica combinazione, e questa suppone DISEGNO – H. P. GRICE, GENITOR,
ENGINEER -- e architetto; chi contemplando la fabbrica dell'universo, ch'è un
grande e maraviglioso sistema in cia. e in tutte le sue parti, potrà non
ammirar la mente di chi seppe non che idearlo, má farlo? Se il mondo è così
perfetto, qual dovrebbe essere, se fosse l'o pera d'un supremo fattore; se
l'universo non mostra in ciascuna sua parte, avvegna chè minima, alcun segno o
piccolo o lontano di casualità; chi senza empietà o stoltezza, potrà
riconoscerlo per opera del caso e non della mente d'un Dio? Ma senza più
travagliarci a dimostrar cid ch'è chiarissimo; l'esistenza d'un sommo fattore,
oltre all'essere scritta nell' animo nostro, si.legge ne' cieli, e a noi per
viene da ogn'angolo della terra. Da che Anassagora disse agli uomini la mente
divina con singolar magistero è giusta leggi invariabili, áver ordinato la
materia, niu. no vi fu, che nol consentisse. Il popolo d'Atene alza allora un
tempio a Dio, qual supremo fabbro degli esseri, e onora quel filosofo del
soprannome di mente. Anzi la ragione del volgo ha vinto in cið, e vincerà
sempre i lunghi ragionamen ti di qualunque filosofo. Il volgo non lo rigetta
con orrore le cavillazioni degl’atei, che tentano invano negar l'esistenza d'un
eterno fattore, ma poco o nulla cura altresì le speculazioni di que' sapienti,
che vogliono dimostrarla. E in vero tal verità alla classe appartiene, attesa
la somma evidenza, di quelle che sdegnan le pruove, e che si possono guastar
più tosto che ras sodare co' lunghi e sottili raziocinj d'una filosofia
illuminata. G. e Democrito sebbene fossero stati superati d’Anassagora, perchè
non già una mente divina, ma il caso avesser posto, come autor dell'universo;
pure son degnissimi d'onore per i loro metodi, o bel 39 osta k.. ** dias li
pensamenti nelle fisiche discipline. Poté Democrito per sua particolar virtù
concepi re egli il primo un sistema meccanico del mondo, fondato sulle propietà
de' corpi, o sulle leggi del niovimento. Valse G. per forza di sua mente a
immaginare anch'egli il primo un sistema chimico dell' universo, che posando su
i quattro elemen ti, è regolato da forze, e sottoposto alle leg. gi
dell'affinità. Ambidue tennero in onor l'esperienza, che certo e naturalmente
con duce alla scoperta della verità. Se chi do po lor filosofarono, fossero
stati poco più sensati; avrebber dovuto mettersi dietro la loro scorta, e
collegare insienre i modi chi mici di G. e i meccanici di Democrito. Si sarebbe
allora abbreviato il corso degli errori, e anticipato il principio di quella
filosofia naturale, che fa tant' onore a ' nioderni. Ma le sette smarrirono i
filoso fanti d' allora, e costrinser costoro tanto più a errare, quanto più
essi s' attennero alla metafisica, e si scostarono dall'esperi. mentare e
asservare. Dovettero scorrer piů Dice? 17 bile su 40 secoli, perchè venisse in
grande stato lo studio della natura. S'apparteneva veramen te a'nostri tempi,
che congiunte chimica e meccanica avesser portato la fisica a quel grado
d'altezza, in cui oggi si trova. Ma è sempre da confessarsi G. e De. mocrito
aver gettato i primi semi di que' vantaggi, che cal favore del tenipe la fi.
sica ha oggi ottenuto. Le opinioni di G. sų gli ele menti, e sull'origine delle
cose, se non son vere, almeno non sono ingiuriose nè al la sua mente, nè alla
sua filosofia. Splen dono tra gli abbacinamenti chiari i lampi d'ingegno, e un
metodo sopra ogn' altro riluce, che l'avrebbe guidato alle più bel, se gli
errori de' tempi non gliel' avessero contrastato. Ma non è così, quando il
nostro filosofo alle cose si rivol ge, che trattan d'Astronomia. I suoi sen
timenti su gli astri sono altrettanti assurdi. G. il fisico pare altr' uomo, e
tut. to diverso da G. astronomo. Tal differenza, che veramente è notabile, se 1
le scoperte, 41 non m'inganno, nasce da ciò, che la sua fisica si trae in gran
parte da' frammenti de' poemi di lui; là dove le sue opinioni astronomiche ci
vengon quasi tutte dagli Storici degli antichi filosofi. ' Non senza ra gione
quindi si può sospettare, che i suoi pensieri non sono strani e deformi, quan
do egli stesso l'annunzia; e al contrario pajono sconci ee mostruosi, allorchè
altri parlano in vece di lui. E maggiore tal congettura, qualor si considera
que compilatori essere stati grossissimi delle cose a stronomiche. Costoro
affastellano in confuse opinioni de’ filosofi, e o abbreviando le mozzano, o
interpolando le allungano, o pure in qualunque altra manieria, senz’alcuno
intendimento, ogni cosa deformando's le alterano. Non è quindi duro a com
prendersi, gli storici del nostro filosofo, tra per l'imperizia delle cose del
cielo, e per l'espressioni di lui, ch'eran tutte fi gurate e poetiche, averne
contraffatto la sua astronomia. Non si negan con ciò gli errori, in cui egli
per avventura avesse potuto cadere. So benissimo l' astronomia dei Greci,
sfornita.com'era in que' tempi d ' osservazioni, ridursi, tolto il nascere o
trae montar d' alcune stelle, a una raccolta d' antiche tradizioni, o di
opinioni bizzarre. Si conviene pure Empedocle aver potuto di: re il movimento
del Sole essere stato da prima più lento, che a' suoi tempi non e. ra. Si
concede altresi aver lui potuto opi nare l'asse della terra aver pigliato una
po sizione all' Eclittica inclinata, che prima non avea: (usanza de' cosmogoni
acconciare a lor talento le parti dell'universo, e condur le allo stato, in cui
ne' suoi tempi si trora no ). Ma non si può affatto credere, Empe docle aver
tenuto i tropici quasi due mura glie, cui giunto il Sole, essere stato stretto
a torcere il suo cammino; e aver segnato și fatti circoli non altrimenti che
due confi. ni, che impediscono il Sole camminando verso i poli d'oltrepassare
il suo termine. Chiamò egli que circoli con linguaggio fi. gurato i confini del
Sole; perchè a quel li il Sole giungendo par che il suo cam, 1 43 mino rivolga.
In breve intese egli indica re l'obbliquità dell'eclittica, e segnar lo spazio
in cui il Sole fornisce l'anquo ap parente suo corso. Giacchè l'anno si com
putava allora da’ solstizj, i quali dall'om bre osservar comodamente si possono
coll? ajuto dell'ago. Con tali e simili sconcezze si è guastata l ' astronomia
di G.; Però se tra per difetto di memorie di lui, e per ignoranza degli storici,
ė, ben diff cile d' indagar ciò che G. penso sul. le cose del cielo; è assai
più difficile sa per, ciò ch'egli non disse, e a torto a lui appongon gli
storici, Temendo gli Ateniesi, che la terra fosse stata un'abitazione mal soda,
furon solleciti della sua stabilità. Provvidero e glino alla propią sicurezza,
e a quella del genere umano: ma colla sola fantasia a modo del volgo.
S'appresentarono la ter ra in forma d'un monte, le cui barbe vanno a profondare
e perdersi negli ultimi lontani confini dello spazio. Assegnarono ina sieme
alla terra già divenuta nionte il suo vertice di forma rotonda; e quivi
loc:arono ferma sicura l'abitazione degli uomini. A mente dunque di quel popolo
il Sole e gli astri non givan mai sotto la terra, che nol poteano; ma
spuntavano e tramonta vano girando intorno intorno a quel verti. ce. Questa
opinione, che in Atene era un pubblico dogma, non si potea contra star da
filosofi senza grave lor danno. Il popolo pigliava alto sdegno di chi osava sen
tirne in contrario, e contro lui si scaglia va, come contro chi avesse tentato
di som. muover la terra é perdere a capriccio.il genere umano. I filosofi
d'allora tra per che adularan la plebe, come chi più che gli altri soglion
fuggire i pericoli; o per ehe su ' ciò nulla dissimili dal volgo crede van lo
stesso; non mai vi fu alcuno, che avesse ardito negare il monte, le radici, il
vertice, e la finta figura della terra. Non cosi fece il nostro filosofo, che
molto perito nelle cose naturali, anche da Sici lia si scaglid contro sì fatta
sentenza. Ri dea egli del monte, delle radici, del ver 45 tice.e aspramente
ripiglio, Xenofane, che avea per immensa la profondità della ter ra. Chi, dice G.,
tali co se divulgano, o poco veggono, o nulla san. no dell'universo.; Altri e
lontani da quelli del volgo fu. rono i sentimenti d' Empedocle intorno al la
terra. Fu opinione di lui, che fuoco bruciasse nel centro di questa. I sassi i
dirupi, gli scogli, ei riguardò come sco rie, che la virtù di quel fuoco avea
in alto levato. L'acque, che sorgon terma li, quelle sono, a suo credere, che
sotter ra scorrendo piglian calore dal quel mede simo fuoco. G. in somma im
maginò sin d'allora l'ipotesi del fuoco cen. brale, che Buffon, non è guari,
più bel la e vistosa ha richiamato alla luce. Pensavano gli Jonici, che la
terra sospinta dal vortice che occupava tutta la sfera, era stata condotta nel
centro di ques sta. Ma non sapeano essi comprendere, come quella, sfornita d'
appoggio, ben li brata si stesse nel punto di mezzo. Timidi quindi i filosofi
al par del volgo, ne dilatavan la base, e tormentando i loro ingegni si
sforzavan di sostenerla colle ipo: tesi. Talete avvisò la terra restar sospesa
nell'aria, non altrimenti che un galleggian te sull'acqua, Democrito e
Anassagora ne fecero la base non che larga, ma conca va; aifinchè l' aria quivi
sotto racchiusa la potesse sostentar con sodezza. Parmenide di VELIA credette
sostenerla col principio della ra gion sufficiente. La terra a suo pensare
stava nel centro, perchè non avea ragio ne, che la portasse per questo più
tosto, che per quel verso, Ma il nostro fisico si dilung) da co storo, e con
altri principj prese a spiegar sie la stabilita. L'acqua nella cosmogonia di
lui s' era separata dalla terra per l'im peto del giro, che questa facea. Pe.
rò la terra nel suo sistema rotaya. Rota va del pari secondo lui il cielo; è
altra differenza non pose nella rotazion dell' una e dell' altro, che nella
velocità, Minore la yolea nella terra, che stava nel centro; 47 1 rola, ando il
cla colo come star galo raal Po maggiore nel cielo, che in giri smisurati si
volgea. Da cid appunto egli ne trasse e perchè quella stesse in aria sen za
cadere. Se girate, egli dicea, con pre stezza una secchia; l'acqua non cadrà,
ancorchè nel girarsi si tenga capovolta. Tal è nella sfera i La conversion
celerissi ma del cielo vince ogni peso e ritiene la terra. Al moto dunque del
cielo egli in catenava la posizion della terra nel cen. tro, il suo rotare, e
lo starne, Si sihar rì, egli è vero, in quella spiegazione al par degli altri;
perchè allor s'ignorava la gravità della terra esser diretta al suo cen. tro.
Ma il suo metodo di ridurre più fe nomeni a un solo, e ripescare ne' fatti la
ragione di quelli, è molto degno di lode. Dall'esperienza della secchia, che
pre stamente si volge, han preso argomento chi son portati per l'antichità,
aver co nosciuto il nostro filosofo la forza centrifu. ga, Ma a pensar giusto,
ignorandosi allos ra le leggi del moto, niuno ebbe, nè as ver potea l'idea vera
e matematica di quel, 1 ajd a $ permas 30, ho murah ento: 48 d he Te la forza.
Egli è vero essersi saputo in que' tempi, e da G. essersi ben dimo strato la
velocità del girare impedir la ca duta de' gravi. Ma questo era fatto, non
forza, e più esempio, che principio. Eran sì lontani G. e gli antichi di cono
scer quella forza, che presso loro fu fer ma e costante opinione, i corpi a
cagion di circolazione avvicinarsi al centro se pe santi, fuggir dal centro se
leggieri. Ma se'a lui si può contrastare la co gnizion della forza centrifuga,
gli si deve certamente quella concedere della rotazion della terra. Opinione
era questa comune presso noi ne' tempi greci, e propia in ve rità della nostra
Sicilia Giacchè Ecfanto e Iceta la divulgarono in Siracusa; ma sin da tempi
antichissimi G. l'insegno nella nostra Gergenti – e NON GIRGENTI. Avea il
nostro Astronomo il Sole e le Stelle, come se fossero della stessa natura.
Opina egli quello e queste esser di fuoco. Ma non perciò è da credere, ch ' ei
tenesse la luce per eguale o simile al R te te e 1 49 1 fuoco terrestré. Non
sapendo egli qual fose se la natura della luce, che per altro è ignota anche a
noi, tenea il Sole come una massa ignita, che lanciava nella sua sfera le
sottili sue particelle. Queste ei credea, che dal Sole si moveano, e pro
gressivamente propagandosi giungeano agli occhi. La luce, dicea, va prima nel
mez zo, e poi perviene sino a noi. An ticipava così la scoperta bellissima
della pro pagazione della luce, che i Satelliti di Giove doveano in tempi
avvenire rivelare a Roemero. La vide, egli è vero, coll' in telletto, e senza
ridurla a fatto, la lascið nel posto di semplice opinione. Ma nel tempo de'
sogni e dell'ipotesi è degna cer to d'ammirazione quella opinione, che coll'
andar de' tempi è stata condotta al grado eminente di fisica verità. L'emission
della luce fu l'ipotesi, ch' allor tenne G., e cui oggi s' acco stano chi non
vogliono vaneggiar per no velle bizzarie. Questa a dì nostri d ' alcu ni è
rigettata, e in que' tempi era ancor contrastata. L'ipotesi che il Sole quanti
raggi manda, altrettanti ne perde, fece al lora, e ha fatto oggi credere a
parecchi, ch ' egli raggi mandando, e raggi perden do sì gradatamente
impoverirà di luce, che collo scorrer de' secoli giungerà sino a spe. gnersi.
Newton all'incontro dimostra in sensibile essere stata la perdita della luce
solare dal principio delle cose sino a noi. Anzi egli quasi sforzandosi
d'assicurar la luce alle future generazioni, cerca di sup plir la massa solare
con quella delle co mete. Le quali attratte dal Sole, quan do nel suo giro sono
vicinissime a lui, e su lui cadendo, colla loro materia vanno a risarcire la
perdita diurna delle particel. le solari. Ma G. in un modo, che se non sarà
forse il più vero, è certamente assai più ingegnoso, s' industrið provedero
alla durata del Sole. Siccome i raggi lan. ciati dal Sole son poi riflessi
dalla terra; cosà egli pensd, che quelli dopo la rifles, sion concentrandosi,
ritornano al Sole. Però questi per riflessione acquista quel, che per enuission
perde; e atteso un sì fat to circolo durerà sempre lo splendore del Sole. G. quindi
potė ben dire la luce essere al presente una riflessione di quella che fu una
volta lanciata dal Sole: Ma i compilatori dell'antica filosofia non capirono i
sensi del nostro filosofo. Credette ro essi due essere i Soli di G., uno
invisibile, visibile l' altro, che collocati in due opposti emisferi si
guardavan tra lo ro. La terra, eglino dissero, riflette al se condo i raggi
invisibili lanciati dal primo; e quello poi in forma di luce li rimanda alla
terra. Ecco con quali sconcez ze quegli storici guastarono i divisamenti del
nostro filosofo sull' emission della luce. Non meno speziosa fu la difficoltà,
che s'oppose a G. ne' suoi tempi contro la succesiva propagazion della luce.
Siccome nel tempo che la luce viene a noi, il Sole si move; così l'occhio
astretto a seguire la direzion della luce, vedrà il Sole in un punto, in cui fu,
e poi non g è più. Empedocle a
rispondere, non prese scampo nella prodigiosa velocità della luce, o in qualche
sottigliezza, cui i fabbri di si stemi soglion rifuggire. Non è il Sole, ei di
cea, ma la terra che in ventiquattro ore si volge: La terra' dunque nel rotare
s’im hatte ne' raggi solari, ed essa prolungan doli va a trovare il Sole nel
punto, in cui egli sta. Non si potrebbe di certo a di nostri in miglior forma
rispondere a chi in quel modo vclesse attaccar l ' emissione e successiva
propagazion della luce. G. ha la Luna
come opaca, perchè frapponendosi tra il Sole e la ter ra cagiona l' ecclisse.
Plutarco a lui solo, mettendo in non cale tutti gli altri, da il vanto d' aver
divolgato la Lu. na essere un corpo privo affatto di luce, che riflette i soli
raggi solari. La chiarez za della Luna' ei chiamava non che dolce e bénigna, ma
insieme straniera. Una lu ce straniera, dice G. qual poeta, circola intorno
alla 'terra. Ma G. ebbe la disgrazia d' aver avuto guastato ogni suo sentimento.
Achille Tazio dall' epiteto di straniera dato alla luce lunare da G., ricavo,
non so come, il medesi mo aver tenuto la Luna qual pezzo svelto dal Sole. Ma
buon per noi che ci sia re stato il verso di G., che smentisca
l'interpetrazione di Tazio: Anassagora per dare una misura del So le riferì la
grandezza di quest' astro al solo Peloponneso. Il nostro filosofo fu il primo,
cui venne in pensiero di comparar Sole e Luna tra loro. Egli credea che il Sole
fosse stato più della Luna distante dalla terra so pra due volte. Ciò non
ostante affermo quello essere stato assai più grande di que sta; sebbene
ambidue fossero appariti dello stesso diametro. In somma l'ineguale distanza fu
per lui certo argomento della lo ro diversa grandezza. Parrà ad alcuno ciò
essere stata cosa di lieve momento; e pure fu un passo, e un avanzamento che
allora fece la scienza del cielo. Giacchè niun altro prima di G., ed egli fu e
il solo e il primo, che insegnò gli astri lontani doverci comparire piccoli più
de' vicini. E gli pure fu il primo che pose in confronto tra lor gli astri non
solo, ma i loro diame tri. Dopo hui in fatti prima Eudosso misu rò i diametri
apparenti della Luna e del Sole; e poi cominciarono i Greci a stabili re i
periodi lunisolari, da cui nacque, e s’avanzò l'astronomia de' medesimi. Si
potrebbe quì aggiungere a formar tutto il quadro dell'astronomia del nostro fi
losofo, aver lui forse conosciuto che la Luna rotando intorno a se stessa si
mova circa la terra. Ma punto non conviene dar a G. una gloria o dubbia o
sospetta. Basta aver levato a suoi pensieri astronomici quella ruggine, di cui
li bruttò l'imperi zia di quegli storici. Appresso l' onorano al cuni qual
autore d'un poema sulla sfera in cui si descrive, secondo l'uso de' tem pi il
nascere e ' l tramontar d' alcune stel le. Ma i critici illuminati han quello
come opera d'ignoto autore e non di lui. Io non discordo da loro; anzi confesso
non essere stato G. intento a osservare, 1 1 come si conviene nell' astronomia.
In quell' età si costruiva il cielo da' filosofi non si osservava. Era quella
la stagione della fan tasia, delle opinioni, e dell'ipotesi, che suol sempre
precedere l' altra, che porta seco il raziocinio, l'osservazione, la veri tà.
Però non è poca la gloria di G. nell' aver conosciuto la ' successiva pro
pagazion della luce, la rotazion della ter ra, l'opacità della Luna, è
scostandosi dalle volgari stravaganze nell' aver compa rato il primo le masse
tra loro della Lu na e del Sole. Se non può egli quindi emulare Timocari e
Aristillo, Ipparco e Tolomeo, che nella Greca astronomia fu ron chiarissimi;
pure non è da negare lui aver saputo delle cose del cielo assai più che la sua
età non portava. Vennero quel. li assai dopo, e in tempi assai più illu minati
e felici; e non è maraviglia, che questi fossero stati di quello migliori. Una
fiaccola più o meno brilla, quanto più o meno pura è l ' aria, in cui brucia.
Dal cielo tornando alla terra non più 56 & troviamo il nostro filosofo, che
immagina l' origin delle cose; ma che studia e in terpetra con senno la natura.
La prima verità, che c'insegna, non già ragionando ma coll'esperienza, è il
peso e la molla dell' aria. Mette egli in opera in difetto di macchine e di
strumenti la clessidra, che s'usava allora da' nostri come orolo gio a misurare
il tempo. Avea questa la sua figura conica; la base forata a guisa di
minutissimo vaglio; e il collo lungo che stringendosi sempre più andava a fi
nire in un sottil bucolino. Si tenea allora la clessidra col collo all'ingiù; e
l'acqua, di cui era piena, lentamente gocciolando misurava le ore. Questa
appunto fu la macchina di G., che nelle sue ma ini diventò indice e misura di
fisiche verità. Introduce ei da poeta una donzella, che trastullando colla
clessidra la vuol en piere d'acqua. Ne tura essa l'orifizio col le dita, e
postane la base all' ingiù, cala quella verticalmente in un fonte. Entra allora
l'acqua per la base forata; ma per SC ay is ce 9 in C quanto la donzella prema, e travagli, la
clessidra non si può mai empiere tutta. Stanca finalmente la verginella, alza
le di ta, con cui chiudea quell'orifizio; ed ecco l'acqua che sale, e giunge
alla cima. Proposta l' esperienza, G. ne' suoi versi ne soggiunge lo
spiegamento. L' aria, dice egli, che sta racchiusa nella cavità della clessidra,
colla sua molla, resiste all' acqua, e la ripara di venire all'in su. Ma appena
la donzella alza, le dita, l'aria e sce, e però l'acqua non più impedita dall'
aria sale, e tutta empie la clessidra. In altro modo ci presenta ei la don
zella. Finge egli che questa volti la cles sidra; e allora un altra prova egli
ci reca del peso e della molla dell' aria. Chiude es. sa colla mano il bucolin
della clessidra, questa piena d'acqua volge colla base all' in giù; affinchè
l'acqua tutta fuori si ver si. Ma non senza sua sorpresa s' accorge che l'acqua,
lungi di cadere da ’ forellini della base, si ferma: Alza ella quindi la mano
con fretta; ed ecco l'acqua goccio h re
il a lare, e a poco a poco cadendo tutta fuori versarsi. Dichiarato il primo,
ſu agevole a G. spiegare il secondo esperimento. L' acqua, dicea egli, si
sforza d' uscire da' fo. rami della base. Ma l'aria sottoposta si resiste colla
sua molla, che venga a vince peso dell' acqua. Subito che la don zella alza la
mano, l'aria di sopra preme l'acqua sottoposta; e questa, ajutata dall' aria
soprastante, vince ogni restistenza, o vien fuori. Con tali esperienze, delle
propietà dell' aria mostrava egli e il peso, e la molla. Ciò nulla ostante
furon quelle nell'età d'ap presso poste ingiuriosamente in obblio. Se noti
fossero stati al rinascer delle scienze gli esperimenti di G., non si sareb be
certo levato tanto grido per l'invenzion del barometro. Ivi il mercurio sta
sospeso dalla forza dell'aria, come l'acqua sta so spesa entro la clessidra
dalla forza egual. mente dell'aria. Si fatte esperienze, che oggi son volgari,
allora erano rade e uti € 59 lissime alla fisica. Smarriti i Greci in que?
tempi o dalla lor fantasia, o dalla lor me tafisica, non pigliavan cura nè d '
esperien. ze, nè d'osservazioni; e privi di fatti, co storo eran pur privi di
scienza · Ne' versi di G. quindi il principio si trova, e la nascita dirò così
della fisica; perchè ivi si trovano i primi esperimenti. Democrito al par di G.
piglia va anch'egli allora la via de' fatti: sebene ambidue ne fossero stati
presto raggiunti dal divino Ippocrate. Sicché questi tre som mi uomini
cercarono allor di fondare un epoca novella nella Greca filosofia, sfor zandosi
di condurre gl'ingegni a studiar la natura coll' esperienza, e colla osservazio
ne. Ma tal metodo, ch'è lento, ostenta to, non potea esser gradito a Greci, che
impazienti erano e caldi; e però da pochi fu pregiato ed impreso. Sebbene G.
avesse posto ogni studio nello sperimentare; pure fu solo in Sicilia, senza
stromenti, nell'infanzia dela la fisica. Ne si creda Democrito, e Ippocrate
avergli potuto giovare, essendo e co lui di region lontanissima e questi de
tempi d'appresso. Pochi eran quindi i fat, ti, che potea egli raccogliere. I
medesimi non gli eran mica bastevoli all' uopo, ch' era assai vasto, e che
giusta l'usanza de tempi abbracciava tutta la natura. Di che veniva, ch'egli
spesso era costretto a suppli re il difetto de' fatti; e ciò il fece con assai
sagacità e senno: cui nercè l'arte inventò del congetturare. Questa non gia che
fosse stata da lui ridotta in canoni come si svol presso noi, che in ogni cosa
abbondiamo di regole; ma intriseca si tro va, e quasi nascosta ne' suoi
ragionamen ti. Anzi io credo non potersi in miglior modo rilevar l'artifizio
del suo metodo, che descrivendo l'andamento del suo spi rito; allor quando
pigliò ei a comparare i vegetabili agli animali. Furon tanti, e di tal momento
i rapporti, con cui egli quel li a questi lego, che giunse a scoprir del, le
verita, che son degne non che di ricordanza, ma di stupore. Il seme, il sesso,
la generazione, la nutrizione, la traspirazion de’ vegetabili fu. rono i varii
sorprendenti oggetti su cui fil filo s'applicò la sua mente. Da prima avverte. G.
comune essere il fine assegnato dalla natura 'e agli animali e a ' vegetabili.
Un animale, o una pianta, egli dioe, voglion produrre animali, o piante simili
a se. Questo fu messo da lui come base delle sue illazioni, e co nie fermo
segnale d'un punto, da cui egli partendosi non s' avesse potuto mica smarri re
nel proceder più oltre nelle sue nuove scoperte. Soggiunge egli appresso: come
l' animale viene dall'uovo, così la pianta dal seme. Attesi questi fatti
comincia o ' specolando a filosofarvi, e da quelli guidato va con franchezza
formando le sue conget ture. Se l'uovo e il seme, egli prosegue, comune hanno
il fine, ch' è la produzio ne; debbono l'uno e l'altro colla stessa attitudine,
e col medesimo impeto tendere al medesimo fine. Da sì fatto fine ad ambi comune
egli argomenta, come da un indice, comune dover essere la natura del seme e
dell' uovo. Ma G. forse à tal indizio si ferma? Nullameno. Egli torna di nuovo
a fatti, mette in opera da capo osservazioni; e si sforza rintracciar co. sì la
natura dell' uno e dell'altro. Empedocle tirando avanti la sua stes sa traccia,
trova e distingue sì nell' uovo che nel seme, non che germe, ma materia che il
germe nutrisce. L'animaletto fin, chè non nasce, o la pianticella finchè non
abbarbica ', traggono alimento da quella, Non è già, aver lui conosciuto le
foglie seminali; o aver lui detto la placenta u terina portar nutrimento all'
embrione per via del funicolo umbilicare. Egli non al tro conobbe, che due
esser debbano nell' uovo e nel senię le parti principali e muni: il germe e i
cotiledoni, che l'ali mento preparano alla pianticella, o all’em. brione, o nel
seme, o nell' uovo. Il nostro fisico quindi più non distinse dirò così ani mali
da piante. Ebhe egli il seme qual uovo de vegetabili; e chiamò le piante col
soprannome d ' ovipare. Ecco avere G. svelato agli uomini assai prima d’Ar véo
tutto ciò, che nasce', non d ' altro pro venir che dall'uovo. Teofrasto infatti,
e Aristotile a G. solo attribuiscon la gloria della scoperta di tal verità, e
gliela dan come propria. La fatica d’Arvéo, fu egli è vero, utilissima
all'avanzamento del le scienze, e degna di tutta la lode. Ma egli pubblicando
di nuovo lo stesso ritrova mento di G., null' altro fece che as sodar vie più
colle prove ogni cosa nascer dall'uovo. Chi adesso non giudicherà mag. gior
l'eccellenza dell'ingegno di chi colla mente va congetturando ciò, che del
tutto s’ è ignorato in preterito, e prevede ciò che sarà da scoprirsi in futuro?
Il nostro fisico, guidato com' egli era dall' induzione, spinse più oltre i
suoi ra gionamenti'. Affermd le piante al par de gli animali dover essere tutte
fornite di ses so. Conosciutosi da lui il seme null' altro esser che uovo, come
l'uovo si feconda per l' union del maschio colla femina; così argomentò egli
del pari il seme per la mescolanza di que' sessi doversi fecondare. Franco '
quindi e sagace stabili egli il pri mo, ed egli il primo distinse il sesso ma
schile e feminile in ogni vegetabile. Non si dubita prima di lui essersi
conosciuti ma schi e femine tra ' vegetabili: ma ciò soltan to attribuivasi a
palme, fichi, canape, pi stacchi. Però dal nostro fisico prende ori gine il
sistema, su cui oggi posa tutta la Botanica. Egli è vero non aver lui allora ne
cercato, nè mostrato gli organi genita li nelle piante, come poi han fatto con
grande studio i moderni; ma ciò facea e gli sempre col ragionare, e quelli
vedea dirò così, coll' intelletto. Nella testa de' grand' uomini, come dotati
d'una specie di tatto pella verità, la forza delle con getture si sostituisce
talvolta all' evidenza de ' fatti. Facea Empedocle a guisa d'un gran dipintore,
che solo abbozza il quadro con poche, ma pennellate maestre; e la scia poi agli
altri la cura di compirne il disegno, di colorirlo, e abbellirlo. Arveo definì
tutto nascer dall'uovo: Zalunziaski, Millington, Camerario, Vaillant prima, e
poi Linnéo mostrarono il sesso nelle piante. Ma costoro tutti quanti assodaron
la dottri na, e compiron l'idea tracciata dal nostro Gergentino. GERGENTI non
GIRGENTI. In verità non è poca la glo ria che a costui torna nell' aver lui il
pri mo schizzato degli originali, che di mano in mano col favore del tempo si
van tro vando in natura. Contemplare Empedocle, che conget tura è uno
spettacolo degno d'un filosofo. Ora egli scorto dall'analogia supera tutti i
suoi contemporanei', e più oltre proce dendo va diritto a trovare altre belle
ve rità. Ora privo di fatti, non ostante il vi. gor di sua mente, tentoni
cammina incer to tra verità, ed errore. Conobbe egli il sesso sol nelle piante.
Ma altro non pote va egli conoscere, attese le poche anzi le rade verità
solamente allor note. Quante altre osservazioni, quante altre verita gli
mancarono? Ignoto era allora l'antere, e gli stigmi esser gli organi genitali
delle pian i 06 cer te, e questi trovarsi ne' fiori. Niun sapea il polline
portato da venti aderire allo sti gma per via dell'umore, che in questo si stà.
Chi aveva allora osservato la Passiflo ra, la Graziola; e ' l Tulipano, che
come agitati d'estro venereo, erranti van cando la polvere, che loro fecondi?
Chi s'era accorto, in que' tempi la Valisneria, e l'altre piante acquatiche sul
punto de’ loro amori alzar lo stigma dall? acque, per accoglier cupide, e aperte
la polvere de' loro maschi? Non è però da recar mara viglia, se nell'ignoranza
di tali fatti non seppe Empedocle comprendere, come le pian. te, che fitte stan
sulla terra, si potesser congiungere per far la lor generazione a guisa degli
animali. Ma tenne egli come cosa non che non dubbia, ma certissima, e
l'induzione già gliel' aveva indicato, che il seme per l'unione si feconda
della fe mina col maschio. Però egli, posti in cia scuna pianta, come sullo
stesso talamo, quasi marito, e moglie, disse tutte le pian. te dover essere
ermafrodite. Fil questo, egli è vero, un errore; perchè in al cune piante i due
sessi son del tutto se parati, e distinti. Ma altresì, egli è vero, la più
parte delle piante alla classe ap partenersi dell'ermafrodite; oltr'a quelle,
che sono androgine, e poligame. G. appresso, il mistero passo a indagare della
generazion de’ vegetabili, con quella confrontandola degli animali. Gran cose
in prima osò egli dire sul la generazione animalesca. ' Immaginò egli starsi
divise ne' liquor seminali de’due ses si particelle analoghe al corpo d'ogni
ani male. S'ideò egli queste nella unirsi, e l'embrion formare del corpo or
ganizzato. Il carnale appetito egli ri pose in quelle particelle, che, separato
trovandosi nel maschio e nella femina, ten. dono naturalmente a unirsi. Ad
abbondan za de' due semi la cagione ei riferisce del parto o doppio, o triplo;
e a scarsezza o disordine degli stessi la nascita d'ogni sor ta di mostri. La
prole secondo lui al pa dre o alla madre somiglia in proporzione generazione i
2. del più o men prevalere del liquor semi nale quando della femina, quando del
ma schio. La ragione inoltre crede lui dare della sterilità delle mule, che
all' angustia attribuisce e obbliquita de canali della loro figura. Varie
spiegazioni va in com ma egli fantasticando, che io piglierei ros sore di
chiamar sogni, se chi han tratta to della generazione, non avessero sinora
sognato al pari di lui. Le molecole orga niche di Buffon, i vermi spermatici di
Le wenoek, l'uova di Bonnet e,di Haller, il filamento nervoso di Darwin, non
sono clie ipotesi più o meno, false o tutte immagi narie. La fantasia inoltre,
che tutte domi le umane, s' avvide G., poter avere anch'essa una parte nella ge
nerazione. Ricordava ei delle donne, che aveaito dato in luce bainbini simili a
sta. tue o pitture, cui quelle, essendo gravi. de, aveano a caso fisamente
guardato. Opinò egli quindi la fantasia della femin na, non altrimenti del
tornitore sul legro, na cose 2oho da ede
lidt? po 12.06 maa Potere dar forma, e simiglianza al feto. Non inancan.oggi,
chi credono poter più operare l' immaginazione del padre che alle quella della
madre. Ma niun disconviene, ato quasi secondo il linguaggio di G., che la
fantasia o della femmina o del maschio, giunge talvolta a tratteggiar, dirò
cosi, le membra, e la fisonomia della prole nel ventre della madre. Da si fatte
cose, stabilitasi. anzi tem po da G. la famosa analogia tra' vegetabili, e
animali, trasse egli, e cona chiuse del tutto eguale a questi duver es sere la
generaztone di quelli. Ne men dissimigliante tra loro, dice G., dover essere la
nutrizione de gli uni e degli altri. I vegetabili e gli a nimali dicea il
nostro filosofo, gli alimenti scompongono, e quel traggon da éssi, ch' è
conveniente e accomodato alla loro na turá. Ciò egli credea farsi in ambi due
per via dell'affinità insieme e de' pori. Dell'affinità cosi egli parlava.
Siccome le cose amare all'amare si uniscono, le dol UD Eury 7 Pizze,the is on
sullink ei de 1 dis Tec cer ci alle dolci; ogni sinile in somma al suo simile:
cosi gli esseri organizzati quel pren dono dagli alimenti, che lor si confa, e
può nutrire ciascuna delle propie parti. Chiaro fu eziandio il suo parlare de'
po ri. La nutrizione, egli è certo, separarsi e dividersi negli animali, e ne'
vegetabili per mezzo de' pori, che son differenti in dia metro. Le particelle,
dette nutribi li, è certo altresì non potere indistinta mente entrare per
qualunque di quelli: ma ciascuna insinuarsi nell' orifizio di que' bucolini,
ch'è analogo alla propia gran dezza. Un vino, egli dice, è diverso da un altro,
attesa la differenza non che del terreno ma della stirpe. Ecco come par, che il
nostro filosofo avesse voluto vie più assodar la sua opinione della forza dell'
affinità, e de' pori, massime su i vegeta bili (ch'è poi propietà d'ogni corpo
orga nizzato) i quali giusta la propia organiz zazione han da quelli preparato
gli ali menti, e si rendon capaci di saporé diverso. A senno dunque d'Empedocle
la nu se su red nog Ila ti co re со ali 71 Fari trizione si opera tra per l'affinità,
e la ti que varia ampiezza de ' pori per canali diversi, ce e va svariatamente,
ma sempre in pari re preciproco modo, vigore é aumento porgendo agli organi
diversi sien de' vegetabili, sien degli animali Empedocle frattanto, il modo
volendo indicare, con cui la nutrizione si sparge e dividesi fra gli organi
diversi, abbiam noi veduto essersi rifuggito all' affinità, ch'è certamene
un'ipotesi. Ma che maraviglia; se dopo la serie di tanti secoli da questo suo
pensare non sono mica iti lontani pa recchi pur tra’ moderni? Grande in verità
e diligentissima è stata oggidì la fatica de nostri fisiologi nell'indagare i
fenomeni del la nutrizione, Gli hanno essi ridotto a ' fat, ti, o a leggi
generali, che son propie e comuni a tutti i corpi organizzati. Nè pu re eglino
han trascurato di trovare nella contrattilità organica la forza, con cui gli
alimenti son trasportati in canali opportuni non sol negli animali, ma eziandio
ne've getabili sino all'alto delle propie foglie. Ma TX, ام د ገን
muito con tutto cið o nulla o poco si sono essi avanzati nell'additar la
maniera, con cui si fa la nutrizione per gli organi diversi. Non si nega oggi
darsi da' più a varii organi, una specie di gusto, cui mercè quel suc chino, e
tirino, che a ciascuno in partico lar si conviene. Ma poi tal fatto pensa mento
mostra forse esser del tutto falso il ritrovato d'Empedocle? E' troppo vero,
cho la natura yince in molte cose, e vincera sempre ogni nostra speculazione e
fatica e da filosofi per lo più non si recano, cho sole congetture, ed ipotesi,
Fattisi vedere eguali da Empedocle i rapporti degli animali co' vegetabili nel
se nie e sesso, nel generarsi e nutrirsi, non re. stava altro a lui che
applicarsi sulla tra spirazione comune ad entrambi. Conobbe egli, che gli uni e
gli altri per via de' pori similmente traspirano, e quella parte degli alimenti
tramandano che loro è su perflua. Alla traspirazione di fatto attribuì costui o
il perdersi dagli alberi nella fred da stagione, o il serbarsi quelle foglie,
che dalla natura, non a caso, ma particolar mente sono ordinate al traspirare e
al nu trir delle piante. I primi, ei disse, tra spiran molto in estate, e
spossati levan le foglie in autunno. I secondi traspiran po co in estate, e
robusti ritengon le foglie in inverno. Fonda egli la copia o scarsez za del lor
traspirare sull' ineguale diame tro, e contraria posizion de' lor pori.
Gli uni a suo giudizio hanno larghi i pori del le radici, angústi quelli de'
rami. Gli al tri all'opposto angusti i pori delle radici, larghi quelli de'
rami. Però i primi più, succhiando, e men traspirando non levan le foglie. I
secondi men succhiando e più traspirando perdon le foglie. Se una si fatta
posizione di pori, che immagind il nostro fisico, fosse stata confermata dalle
osservazioni, avrebbe sin d'allora egli sciola to un problema, che non poco
fastidio grandissimo stento ha recato a ' moderni. Era rizio comune a quell'
età organizzare ad arbitrio gli esseri della natura a fin di. poterne presto
dichiarare i fenomeni. Egli k e. 0 1 è vero non esser mancati a di nostri, chi
abbian conosciuto e distinto ne' vegetabili non meno di quattro specie di pori.
Ma chi ha potuto, o con qual microscopio potrà mai rinvenire, che a ' pori o
larghi o stretti delle radici corrispondano a rove scio quelli de' rami? Pur
tuttavia a G. in parte siam noi debitori della ragione, che mostra il come
dagli alberi cadan le foglie. La famosa traspirazione ne' vege tabili, da lui
allora scoperta, scioglie og gi a noi con somma nostra ammirazione o senza
nostra molta fatica un sì bel pro blema. Ognun vede le foglie cader più pre sto,
quando la state è più calda. Ognun pur vede gli alberi robusti più de' deboli
più tardi svestirsi di foglie. Anzi ognun vede altresì quegli alberi in inverno
rite ner le foglie, che poco traspirano. I 100 derni al più han distinto le
foglie, che cadono in pezzi da quelle, che intere si staccano, secondo che
l'une o l'altre sono al tronco diversamente attaccate. Costoro 75 di più son
giunti a conoscere, che alcuno foglie cadono intere, prima che le nuovo dalle
lor gemme si svolgano, e altre ristan no finchè non ispuntin le nuove. Da ciò
essi han tratto, che quegli alberi, i quali gettan le foglie dopo lo spuntar
del le gemme, debbon mostrarsi verdeggianti in inverno. E che all'incontro
quegli altri, i quali gettan le foglie pria dello spuntar delle gemme, debbon
vedersi nudi nella stege sa stagione. Che perciò? i nostri fisiologi forse san.
no oggi della caduta delle foglie dagli al beri assai più di quel, che ne seppe
al. lora il nostro filosofo? Abbian quanto si vo glia convenuto oggi i moderni
le foglie tra. spirar più quanto più abbondano di pori. Abbiano quanto si
voglia pure costoro af fermata la copia o della traspirazione o de' succhi si
travagliar le foglie, e i lor vasi ostruire, che finiscan di vegetare, muoja no,
e cadano. Eziandio ne abbiano essi inferito tutti gli alberi dovere perder le
fos glie, chi in Autunno, chi in Primavera. Ma k 2 26 de 60 fu NI tal
differenza non è se non perchè le fo glie di quelli più, e le foglie di questi
meno' traspirano, e l'une servon più, l' altre meno alla nutrizion delle piante?
E non è questa la grande scoperta appunto d' Empedocle, e che forma uno de'
suoi gran di elogi? Il pigliare i vegetabili e gli animali au mento dal calore,
il goder di gioventù, il cadere in malattia, il giungere alla vecchiez za, sono
altresì que' tratti di simiglianza perfetta, che il nostro fisico andava a
quel. li aggiungendo. Nè lascid ei di notare, che i vegetabili al par degli
animali si muv vano, resistano, si raddrizzino. Gran de com' egli era di mente,
e degno d' in. terpetrar la natura, talmente s’ ingegna va di legare il primo
con poche o comu ni leggi i due regni, che paion tanto di stanti e discordi tra
loro, il vegetabile e l' animale. Gli antichi presero maraviglia di questo
specolazioni di lui, e si ne restaron convinti, che si sforzarono aggiungervi
qual che cosa del loro, G. aveva già 0 PE C te 77 detto, che il seme senza più
è nella ter ra ciò, che il feto nell'utero ed egli no procedendo più oltre' non
ebbero a schi fo affermare la pianta essere un animale fitto in terra per le
radici, e l'animale una pianta, che cammina. I moderni poi non han tralasciato
punto di assai profittar de pensamenti di G., cui mercè tira ta avanti la
traccia e allungati, diciam.co sì, i suoi stessi passi, sono iti scoprendo
nuovi rapporti, che agli attimali legan le piante. Le piante dormire come gli
anima li; respirare coni'essi; avere i lor muli; pro. pagarsi i polpi al par
delle piante; esservi animali (che son quei, che vivono attacca ti alle pietre
) che cercano la luce e vergo essa rivolgonsi, come appunto fanno le pian
te: questi e simiglianti sono i grandi ogo getti, su cui i moderni profittando
di G. si sono fissati. Ciò non ostante no tante, e di tal momento le
differen ze, che separano gli animali da' vegetabili, che non è stato
possibile di ridurli in tut. to giusta la pretesa di G. alle medesime leggi.
Pare soltanto che nel presen te stato delle nostre cognizioni tutto con corra a
dimostrare aver la natura espresso e racchiuso dirò così quasi sotto unica fore
mola il gran fenomeno della nuova produzione de' corpi organizzati. Questa
appun to cercò, e questa rinvenne il nostro fisi co. Perchè distinse il sesso
nelle piante, e conobbe il seme non esser altro che uovo: e affermò apertamente
le piante, come gli animali, dover essere ovipare. Tali meditazioni d'Empedocle
su gli esseri organizzati', in difetto d'oga' altra pruova, basterebbero sole a
indicare la forza, e l'eccellenza del suo intendimento. Dovea egli supplir la
mancanza de' fatti, inventar de' metodi per non ismarrirsi, ras.
sodare i suoi pensieri incatenandoli, anti veder congetturando, Operazioni, che
vo gliono tutte ostinazione, sagacità; avvedi mento. Tal è la condizione dell'
umana natnra, che la nostra mente non può senza stento riflettere, ragionare,
scorrer le dub bie vie delle fisiche ricerche. No creda alcuno, ch ' ei qual
poeta, o cosmogono aves se ravvisato quelle somiglianze tra i vege tabili e gli
animali più colla fantasia che colla ragione. La fantasia crea non isco pre;
finge non ragiona; abbellisce non in catena; e se talora connette, i suoi lega
mi sono immaginari e non reali. Molti sono i cosmogoni tra gli antichi, Ma G. solamente
s' addita come chi com prese in egual modo operarsi la generazio ne negli
animali e ne' vegetabili. Fu egli è vero intento a legare questi a quegli esse
ri, come suol farsi dalla fantasia, che cor ca e ritrova più le somiglianze
delle cose che le lor differenze. Ma ciò avvenne dal metodo, con cui il nostro
Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI -- aju tava la sua mente, ch' altro non era,
nè esser poteą nella sua età, che quel dell' analogia. La quale, siccome essa
suole, argomentando da cose simili, potea soltana to condurlo, a veder
somiglianze. Se dunque G. e col favor dell' analogia pro pose congetture, che
poi si son trovate ve re dalle nostre osservazioni, e ben da dirsi ch' egli fu
nobile di monte, robusto ne suoi raziocinj, e di gran sentimento nelle cose
naturali., Un altro e più vasto teatro s' apre o rą di altre e nuove
specolazioni, G., posti da parte e vegetabili e bruti, staccò l’ Uomo dagli
esseri organizzati, con cui l'avea egli sin allora confuso. Prese costui a
considerar l’ Uomo solo e isolato non che in metafisica e morale, ma in pa
recchie fisiche scienze. Rivolse ei le sue prime indagini alla fisica dell'Uomo,
cui i corpuscolisti con gran cura in quel tema po attendeano. G., Anagsagora,
De mocrito scrissero sulla natura; ebbero tutti tre il soprannome di fisici: e
tutti tre ten tarono di svolgere l'economia, giusta cui vive, si muove, si
regola la macchina u mana. Fu forse un tale studio sull' uomo che sopra
ogn'altro lor distinse dagli altri filosofi. I quali, senza più, aveano fino
allora quello riguardato come un soggetto soltanto metafisico, o morale, o
politico. Ma ' le fisiche ricerche di G. sull’ Uomo trapassarono di gran lunga
quel le di Democrito e d’Anassagora. Perchè, sagace, com'egli era, si mise in
investigazio ni non prima tentate d'altri, e utilissime. Tanti furono i punti
di vista, sotto cui e' prese a contemplare il corpo umano; e al trettante può
dirsi essere state le scienze, cui diede principio il vigor di sua mente. Egli
il primo applicò la chimica, e sie a nalisi al corpo umano; segnd le prime li
nee d'anatomia: fece sforzi se non sempre efficaci, sempre almen generosi a
gettare i fondamenti della fisiologia dell' Uomo:: Il sistema di G. sulla
natura fu chimico; così chimiche del pari furono le sue prime ricerche
sull'uomo. Comincio egli a esaminar questo nelle sue parti, e quanto più allor
si potèa, ne imprese an cora l'analisi. La carne, ei dicea è coma posta di
parti eguali di ciascun de' quattro elementi. Di due parti eguali di fuoco e di
terra sono formati i nervi, e le unghie son similmente nervi raffreddati
dall'aria. VIII furon le parti, ch'ei distinse nelle cosa: due di terra,
altrettante di acqua, e quattro di fuoco. Se non si corresse un qualche
pericolo di travedere, chi non direbbe aver lui trovato l'ossa abbondare di
fuoco, perchè abbondan di fosforo? Ma che che ne sia, non v'ha dubbio, aver lui
dato principio con sì fatte analisi a un novello rano di chimica Ramo, che dopo
G. fu del tutto posto in non cale: ma che oggi, attesa la sua grand' utiltà con
ardor si coltiva, e che va sempre più smisuratamente crescendo sotto il nome di
chimica de corpi organizzati: Erasistrato, Herofilo, Serapione fu ron tra '
Greci, che s ' applicarono con som mo studio all' Anatomia. Ma innanzi a co
storo, vinti gli errori della religione e de' tempi, aveano cominciato a
coltivarla De mocrito in Abdera, e G. e in Gergenti, NON GIRGENTI. Descrive
quest'ultimo la spina del dorso, e tienla, come di fatto è, non ' altri menti
che la carena del corpo umano. Distingue egli di più inspirazione da espi
razione mostra i canali per cui si respira dalle narici. Ricerca egli inti ne
l'organo del sentire, e trapassando il neato uditorio, discopre quella parte
dell' udito, che attesa la sua forma torta e spi rale, chiamò egli allora, e
chiamasi anco ra la chiocciola. Questo è il poco a vanzo delle sue cognizioni
anatomiche, che per sorte sono arrivate sino a noi. Ma que sto stesso poco
mostra il suo gran sapere in questa scienza. Un gran pezzo di capi tello o di bảse',
il rottape d ' una colon na, o pilastro, bastan sovente a indicar e la
magnificenza di un edificio, e la perizia di un architetto. La sola scoverta
della chiocciola dimostra assai meglio, che non fecero ' gli antichi
scrittori', essersi il nostro filosofo molto avanzato nelle cose anatomi che.
Questa situata in luogo riposto dell' udito non si potea discoprir certamente
se non da chi fosse stato molto prima versa - to e perito nelle materie
anatomiche. Meno scarse son le notizie delle fun. zioni della vita e de' sensi
dell’ Uomo: e che per fortuna ci restano della fisiologia di G. Il sangue umano,
come ciascun sa, sempre alto, e sempre allo stesso modo co stanțe mantiene il
calore. Ippocrate pien di maraviglia l'attribuì a cagione sovrana turale e
divina. G. all'opposto eb be il calore, come cosa ingenita e conna turale al
sangue medesimo. In cid a lui s'accostarono ne' tempi d'appresso Aristotile,
Galeno, e tanti altri, Ma egli fu il primo, che a formare un sistema, trasse
dal calore del sangue, come da prima ca gione, una spiegazione non già vera, ma
certo artificiosa, delle funzioni della vita. Le regolate, pulsazioni delle
arterie a véano gia indicato al nostro filosofo, che il muove nelle vene. Ma
igno ta era a lui ', come ignota fu all'antichi tà,, la circolazione del sangue.
Però in ve ce di questa suppose egli in quel fluido un movimento d'oscillazione.
Il sangue, ei dicea, occupa parte, e non tutta la ca vità delle vene, e in
queste va quello giul $ u continuatamente oscillando. La for: che lo stesso
agita, era secondo lui il sangue si za calore:. e questo essendo ingenito al
san. gue costante ne mantiene e l'oscillazione e il moto. A tal movimento legò
il nostro filoso fo la respirazione, altra operazion della vi ta. Quando il
sangue, ei dicea, va giù verso il fondo de' vasi, l'aria tosto s ' insi nua ne'
sottili prominenti meati delle vene, ed entrando occupa quel vano, che nell'
andare si lascia in queste da quello. Ne perciò egli aggiungea l' aria quivị
restarsi: perchè il sangue, secondo G., spin to dal calore, e su tornando,
preme dolce mente quella, e fuori la caccia col suo ri tornare. Accade, seguiva
egli a dire, ciò che nella clessidra si osserva. Ivi l' aria respinge l'acqua,
o da questa quella è re spinta. Non altrimenti nella respirazione l' aria esce
o entra secondo che il sangue si porta o giù o su nelle vene. Però all'an dare
o venire del sangue risponde alter nando il venire o andare dell'aria. Ques sta
forma, entrando, l ' inspirazione; ilscendo 'l' espirazione e nell’unal e nell'
altra è riposto giusta il suo sistema il respirare d'ognuno. L'aria, che nella
respirazione esce ed entra nelle vene toglie al sangue a giu dizio di G. una porzion di calore. Ciò indusse gli antichi
medici, che abbrac ciarono tal sua opinjone, a curar coll'aria fresca e
matutina i ' morbi d'eccesivo 'calo re. Il respirar dunque cagionava secondo il
nostro filosofo diminuzion di calore. Da ciò anch'egli iuferiva la necessità,
che strin. ge gli animali a dormire. Il sonno in fat ti egli diceva; null'
altro essere, che dimi nuzion di calore. In quella parte quindi di fisiologia di
G. che riguarda le funzioni vitali, il sonno vien dal respirare, e questo dall'
oscillazione del sangue. Sicchè sonno, spirazion, movimento di sangue tra lor
son connessi, e tutti quanti a un tempo dal calore provengono. Nel calore in
somma e' pose la cagione di vita e di moto. La morte, egli dicea, è privazion
di calore però riguardava sonno come.egli il principio di morte. Giacchè questa,
a suo credere, è privazione, e quello diminu zion di calore. Tali principj di
medicina, ch'eran teorici, guidavano lui eziandio nel la pratica. A quel
piccol' calore., da noi già osservato, che ritenea la donna Gergentina –
GERGENTI, NON GIRGENTI -- caduta in asfissia conosce G., ch'ella era ancor
capace dell' aiuto della medicina. Tanto egli è vero, che la sua pratica era
alla sua teorica con corde, e questa per l'andamento naturale del suo spirito
era legata tutta e formava un sistema. Ecco in qual povero stato erano allo ra
l' anatomia, e la fisiologia, la fisica in breve del corpo umano. Nuda era
questa di fatti, e piena d'errori, e d'ipotesi. Ma tale è la condizione delle
fisiche discipline: Nascono esse imbecilli, a stento s'accresco no, e vanno non
di rado alla verità per la via degli errori. A chi allor poteva vee nire in
mente, che l'aria nel respirare' in luogo di toglier calore, ñe porga al sanana?
gue e ne porga gran copia? Come potea G. anticipar specolando in que di tante
yerità, che suppongono la cognizion di tante altre, e d'un immenso numero di
fatti, che allora ignoravansi? Segnd e gli quindi, non v'ha alcun dubbio, po
che e imperfette linee di chimica, d' tomia; di fisiologia del corpo umano. Ma
tali schizzi, avvegnachè informi, ma co me primi, e originali, son titoli
degnissimi di sua gloria, e gli concedono un sublime posto d'onore nella storia
delle scienze. Appartiene a nobilissimi ingegni (i quali sono ben pochi ), di
mostrare almen da lon tano quelle scienze, ch'al dir di Bacone son da supplirsi,
e che del tutto s'igno rano. G. fece ancor di più. Dino to egli la chiniica del
corpo umano, analiz zando gli ossi e la carne; accennò l'ana tomia discoprendo
la chiocciola; indicò la fisiologia legando al calore, come a un sol fatto, le
principali funzioni della vita. Su periore e' quindi al suo secolo non avrebbe
certamente lasciato ad altri la gloria d' accrescere queste utili scienze. Ma
nol poté, come chi privo fu di stromenti, e di tut. ti que' mezzi non solo
opportuni ma ancor necessari a ridurre in effetto i nuovi e và. sti disegni,
che a ora a ora a lui sugge riva il suo genio, Ma se non ebbe Empe docle la
fortuna di accrescerlo tutte, ebbe quella di stabilir meglio la fisiologia e
get tare lui il primo le basi di quell' altra parto d' essa, che riguarda i
sensi dell' uomo, Andano i corpuscolisti indagando pra d'ogn'altro nella lor
fisiologia come i nostri organi avessero potuto sentir gli oga getti che, son
fuori di noi. Credevan co storo tutti i corpi venire in ogn’ istante in
alterazione, cangiare, ed esalare particel le sottili, e invisibili. Eran
queste, sécon do loro, trasportate dall'aria, dall' acqua, dal fuoco su nostri
organi, e ivi adatta te eccitavan le sensazioni di que'corpi, da quali esse
spiccavansi. Piacque quindi a costoro le sensazioni null' altro essere, che
impressioni eccitate negli organi da particel m go le, che si parton dagli
oggetti, di cui quel le son, come quasi le immagini. G. intanto non dissenti
mica da loro. Ma il suo spirito, come quello che non erane certo, non se ne
mostrava del tutto convinto. Messosi costui quindi a esaminare i sensi a uno a
uno, adatto a ciascun di loro la sua propia e particolare spiegazione. Fece
egli così un'analisi de' sensi e sensazioni più profonda, che sin ' al lora non
s'era punto fatta d'alcuno. Ma quel ch'è più aperto egli dimostrò non es ser
lui punto ne' suoi pensamenti nè se. guace, nè schiavo delle comuni e dominan
ti opinioni. Giacchè egli nel chiarir questo o quel senso ora abbandona i
corpuscoli, or recali innanzi, o ora aggiunge agli stes si qualche nuovo
argomento. Trattando G. dell' odorato, e del gusto non altro mette in opera,
ch'e salazioni, e corpuscoli. Questi, agli dice, trasportati dall'aria s '
acconciano a ' pori del naso, e muovono il sentir dell' odorato. I cani, ei
soggiunge, cosi e non altrimenti indagan futando l'orme della fiera, Che se il
catarro, dice egli di più, irrigidisce le narici; allora i pori di questo tosto
s ' alterano, si respira a stento, e l'odor non si sente. Tratta egli appresso
dell'udito, e la sciati e pori, e corpuscoli, piglia dall'ana tomia il suo
nuovo argomento. L'udito, ei dice, nasce dalla battitura dell' aria nel la
parte dell'orecchia, la quale a guisa di chiocciola è torta in giro, stando
essa so spesa dentro, e come un sonaglio percossa. L'anatomia, ch'era allor
grossolana piccol conforto a lui porse nel dichiarare la vista. Conobbe G. un
de' tre umori, ch'è l' aqueo, e qualche membra na, senza più, di quelle, che
coprono il globo visivo. Però sfornito dell' ajuto dell' anatomia era egli
dubbio e incerto. G. nondimeno giunse a comprendere dover la luce avere gran
parte nella visio ne degli occhi. Ma come, e perchè, per quanto si fosse ei
travagliato, nol potè af fatto conoscere. Suppone il nostro filosofo entro
dell' occhio, non che, acqua, ma luce, che chia ma fuoco nativo. L'una, e
l'altra a suo credere, ivi stanno in tal quantità, che per lo più sono ineguali.
Così egli distingue gli occhi azzurri da' neri. Iprimi egli af ferma abbondar di
fuoco, scarseggiare d ' acqua; là dove i secondi esser poveri di fuoco s
ricchissimi d’aequa. Però ei soggiunge gli uni mal veggon di notte per difetto
di acqua; e gli altri veggon male di giorno per iscarsezza di fuoco. Ma sía o
poca, ó molta la luce che stanzia nell'occhio, ei la riguarda qual lu me dentro
una lanterna. Lo splendore del lume, ei dice., fuori della lanterna si span de,
e nella notte ci guida. Così i raggi di luce fuori dell' occhio si spargono,.e
ci di mostran gli oggetti. G. talora aga giunge a raggi della luce i
corpuscoli. I raggi secondo lui, che dall'occhio si lancia no, prima s'
imbattono nelle particelle, che si spiccan da corpi. Poi raggi e corpusco li si
congiungono giusta il medesimo: e insiene congiunti si portano all'occhio, e
muovono il senso visivo. Aristotile disapprova tali pensamenti di G. La visione degli ocohi, egli dice, è da
riſerirsi solamente all'acqua, e niente al fuoco. Nella storia dello spirito
umano accade sovente, che un er rore un altro ne " caccia, e ' l falso al
falso di mano in mano succeda. Aristotile oltrº a ciò rimprovera il nostro
filosofo, che dub. bio egli e incerto abbia, fatto cagion del vedere ora i
raggi uniti a' corpuscoli, e.o ra i soli corpuscoli. Ma in ciò sem bra
Aristotile a torto riprendere G. . Non sapea persuadersi il nostro Gergenttino
– GERGENTI, non GIRGENTI --, che totalmente passiva fosse la se de del senso
visivo. Non potea egli inol tre comprendere, che niuna parte avesse la luce nel
gran magistero del nostro vedere. Incerto restò quindi di se, di sue idee, e
delle spiegazioni volgari; ma tale incertez. za o quanto onore a lui reca !
Dubitar del le opinioni, che son false, e in voga, è il primo ma più difficil
passo, che si può fare verso del vero. La fisiologia, che va a di nostri spa
ziando per tutte le scienze, comunica ezian. dio colla metafisica e colla
morale. Quest' unione, ch'è il frutto naturale dell'avan zamento delle scienze,
fu dirò così presen tita dal nostro Gergentino – GERGENTI, NON GIRGENTI. E di
fatto sul la sodissima base della fisiologia cercò egli stabilire si l'una, che
l' altra. Da che Pittagora, e Parmenide di VELIA ab bandonarono i priini la
testimonianza de' sensi, come ingannevole, i Greci tenzona chi contro la
ragione, chi contro i sensi. Questi, è quella vennero quindi in discredito: 6
sorsero intanto i sofisti, e gli scettici. Socrate, Ippocrate', e altri di si
mil sorte tentaron conciliar la ragione co ' sensi. Ma vani furono i loro
sforzi. Duro la gran lite durante la Greca filosofia. La stessa rinacque al
rinascer tra noi delle scienze. Di nuovo si pugnò allor quando contro i sensi,
quando contro la ragione; e di nuovo si giunse allo scetticismo. Ma nggi simili
dispute sono già state bandite da noi; e si terran lontane, finchè lo studio
rono, 95 delle fisiche, e delle Matematiche avrà in Europa stato, e onore. Ne'
tempi di G. la scuola di VELIA orgogliosa facea ogni sforzo ad atter rare i
sensi, e a inalzar la ragione. Cid ch'è, dicevan gli Eleatici, è unico, eter no,
immutabile. E come i sensi ci mostra no il multiplo, il mortale, il mutabile;
co sì essi c' ingannano. Però conchiudean co storo la ragione poter sola
conoscere cid, che è, ed essa solamente decidere della realtà delle cose.
Contro i medesimi entrarono in lizza i corpuscolisti. Questi disdegnando lo
sotti. gliezze di quella scuola, fisici com'erano, difesero i sensi, senza
annullar la ragione. Anagsagora con sottile avvedimento distinse le particelle
simili da ' loro composti; Democrito gli atomi da' loro aggregati: ed Enia
pedocle gli elementi dalle lor combinazioni. Particelle simili, atomi, elementi,
dicean costoro, sono eterni, immutabili. Non son tali le combinazioni, gli
aggregati, i com posti, che mancano, e cangiano. Questi si conoscon da’sēnsi,
quelli dalla ragione. Eglino quindi tolsero ogni contrasto tra' sen si, e
ragione: assegnando a questa, e a quelli due provincie del tutto separate, e
distinte. I corpi, come composti, operano a senno di G., e di Democrito su i
nostri organi, che sono del pari composti. Eccitano quelli le nostre sensazioni;
ma queste a parer d' entrambi non son tali, che i corpi, La'scuola di Jonia
avea tal mente confuso le sensazioni cogli oggetti, che scambiava questi con
quelle, e tenea le" une, non altrimenti, che immagini fe delissime degli
altri. Non così pensarono i Corpuscolisti. Questi separarono, dirò co si, le
sensazioni dagli oggetti, che le ca gionano; è muovono, ed ebbero quelle, come
soli, e semplici modi, quali di fatto sono, del nostro sentire. Il bianco o il
ne ro, il caldo o il freddo, l'amaro o il dol ce esistono, diceano essi, ne'
nostri organi, nelle nostre sensazioni, e non già negli ogo getti. Costoro
quindi solean chiamare co 1 97 1. eglia gnizioni, di apparenza, e di opinione,
e non gia di verità, e di realtà quelle, che si traggon da' sensi. Ma non
perciò crede G., co me alcuni vogliono, le nostre sensazioni es sere
immaginarie. Cangiano queste, vero, secondo che a lui piaeque, come can gia lo
stato de' corpi, o come s’ înmuta la disposizione degli organi. Ma vero, e
reale è altresì il sentimento, che si desta da' cor pi. Tal' è della sua
dottrina, al pari di quella di Newton intorno a colori. Vege giamo ne' corpi o
rosso, o giallo. Ma ne i raggi di luce, che percuoton l'occhio, sono o rossi o
gialli; ne' rossi ne' gialli so no i corpi, che que' raggi colorano. Il ros ò
il giallo è in somma nell'occhio, e nell'impressione, che in esso fanno i rag
gi di luce: Così a creder di G. le sensazioni sono reali. Ma le medesime non
rappresentan mai le qualità, che ne' corpi appariscono; null'altro essendo, che
altret tanti modi del nostro sentire, Diversa da quella de sensi, credeano SO,
n 98. E 1. i corpuscolisti, esser la via, con cui s'ac quista da noi la
conoscenza degli elemen ti, o degli atomi. Questi non si poteano secondo loro,
come semplici, conoscer da' sensi, che sono composti. Ogni simile, era antico
assioma, non si può conoscere, non col suo simile. Però Democrito e G., tolta
a' sensi la cognizione de' sempliei, la riservarono all'anima. Per questo
l'anima, giusta Democrito, era for mata d'atomi; e secondo G. degli elementi, ma uniti alle due forze di
amo. re, e di odio. Colla terra, dicea il Ger gentino, veggiamo la terra, r
acqua coll' acqua, l ' aria coll' dria, il fuoco col fuo co; e coll' odio e
l'amore altresì l' odio, e l'amore. G. portava, dove potea, l'oc chio alla
fisica costruzione del corpo uma mo, e dava alle sue opinioni una veduta
anatomica. Credetto ei di veder nel cuo. re umano un centro, diciam così, di
siste ma; e ivi egli pose la sede dell'anima. Ma come G. in tutto, e sempre e
concorde a sestesso, cosi loco quella particolarmente nel sangue, che asperger
e bagna il cuore dell' uomo. Perchè ripostosi da lui il principio e di moto, e
di vita nel calore del sangue, li ancor e gli dovea ripor l’anima; Era questa
dota ta, a suo credere, di sentimento al pari de' sensi. Ma ambidue ricevevano
le loro impressioni: l'anima dagli elementi i sen si dalle combinazioni. L' una
acquistava la cognizione delle cose eterne, e immutabili, e gli altri la
notizia delle mortali, e mu tabili. I corpi esterni in somma oporavan sulla
macchina dell' uomo in due modi di versi: come elementi sull'anima, come com
binazioni su i sensi: e quella & questi e ran passivi. Nacque da ciò, che
Protagora, lo scoo ' lar di Democrito, portð opinione: l'intel letto altro non
esser che la facoltà di sen è nelle sensazioni stare ogni cogni zione, e
scienza: Per questo Crizia, qua si accostandosi al nostro filosofo, affermo,
pensare esser lo stesso che il sentire tire, e 1 ni 2.' 100 anima stanziarsi
nel sangue. Ma G. non si fermè quì al par di costoro: passò molto innanzi. A
parte dell' anima, che conosce gli elementi, un altra ne sup pose egli entro
noi, che è destinata a ver sarsi nella contemplazion delle cose intellet. tuali
e divine. Iddio secondo lui, non è una combi nazione a guisa de corpi; ne un
unità ma teriale cone son gli elementi. Dio, egli dice, non ha forma nè membra
umane; non si può veder cogli occhi, nè toccar col. le mani. Iddio è santa
mente, Costui non si può render colle parole, e muove l'uni verso co' suoi
veloci pensieri. Iddio in sostan za per lus è mente, e la sua vita è il pensare.
Così il nostro filosofo abbandona va la compagnia di Domocrito, e le cose
materiali: per tornare alla SETTA DI CROTONE, e alle cose, intellettuali. ins.
L'anima dunque, destinata da G. a conoscer cose spirituali, e divine, dovea
essere, e fu per lui altresì senza dubbio spirituale, e divina. Questa procede,
secondo che dicevano Empedocle, e i Pittagorici, da Dio, ed era particella del
la sostanza divina. Se ne appresentavano essi la ġenerazione sotto varie
immagini: or di fiaccola, che tante altre ne accende; or d'idea che tante altre
no genera; or di parola, che trasmette à chi ascolta, la ragion di chi parla: o
di cose simili, che sarebbe lungo il ridirle: Però paghi que' filosofi di esse
agevolmente popolarono il mondo d' innumerabili spiriti, che tutti e. ran
partecipi della natura divina. Di questa classe prese dirò così il nos,. stro
filosofo le anime spirituali. Le due a: nime, quindi annesse da lui nel corpo
dell' uomo forman la primaria base di sua me tafisica dottriną. Una egli
sostenne essero immateriale, materiale l' altra, ' quella ese sere immortale ed
eterna, e questa mori re insieme col corpo: la primą versarsi in contemplazion
di cose intellettuali, e astrat te; e la seconda in cognizione di elemen ti, e
di due forze odio, e amore.. Ma non mancherà çerto, cui si fatta 102 opinion di
dire anime in ciascun corpo di o gn' uomo semibri del tutto strana, e inde gna
della gravità d'un filosofo: Ma chi al tresì avea ' manifestato allora, é chi
fin' og. gi ci ha detto cose più vere, o più sapien. ti sull' union dell'anima
col corpo, e sul reciproco loro influsso, e commercio? Chi presi di boria,
annullato lo spirito, tutto riducono a macchina. Protagora volea, che
giudicare, e ragionare fosse la stessa facol. tà del sentire. Ma questa è
un'empietà; una mattezza. Tal la dimostrano l' unità del pensiero, e l'attività
del ragionare dell' uomo. Taglián costoro, come suol dirsi, non isciolgono il
nodo. Chi presi d' entusias mo, annullato dirò così il sistema organi co, tutto
l' uomo riducono a spirito. Stahl volea, che l'anima sola operava tutte quan te
le funzioni del corpo. Ma questa è u• na falsità, e una follia. Talla dimostra:
no i movimenti involontarj, e organici. Voglion costoro, como suol dirsi,
occultare il sol colla rete. Chi poco più 'ragionevoli, pigliata una via di
mozzo, vollero.combinare ambidue le forze dell'anima, e del corpo. Leibnitz
volea un'armonia prestabi lita, cui mercè lo spirito segua ne' pensie ri,
voleri i moti del corpo, cui quegli è congiunto: Ma questa è una ciancia, è una
fola più complicata della cosa stessa, che si vuole spiegare.. Lo spirito umano
in somma ha immaginato tante ipotesi su ciò, tanto più, o meno bizzarre, quanto
più o meno son le. teste scaldate di tutti filosofi. Nè vi è inoltre mai stata
ipotesi, che tosto non sia stata accolta, e non ab hia avuto assai partigiani:
tanto vale quel la specie di prestigio, che la novità ope ra sull’intendimento
dell'uomo ! Qual ma raviglia dunque, ch’ Empedocle abbia sup posto in ogni
corpo due anime? Non fu egli certo nè tanto delirante, quanto Protagora, tutto
macchina; nè tanto immaginario quanto Ştahl, tutto spirito; nè cost fantastico
qual Leibnitz tutto armonia pri initiva. Dichiarò egli a. rincontro della falsa
dottrina di Protagora, che le idee spirituali non procedono dal sentire. Svi
104 luppò anzi tempo contro Stahl le funzioni de' nostri organi, e quelle della
vita con fisiologiche ipotesi non di rado fondate sull' anatomia.. Prevenne G.
alla fine l' erroneo sisteina di Leibnitz, e i sensi, dis se, e le sensazioni
esser capaci di eccitar nell'anima la ricordanza di ciò, che prinia el!a sa, e
poscia., atteso il contatto colla materia, la stessa del tutto dimentica. Non è
quindi G. colla ipotesi delle due anime o men ragionevole, o più strano di
tutti i filosofanti, che sono stati finora. E ' da confessare che il problema
intorno alla reciproca azion dell'anima sul corpo forse appartenga alla classe
di quelli, che vincono qualunque intendimento dell' uo-. mo. Però non si sono
recate da noi, ne' si recheran per lo innanzi, che ipotesi, e sogni, che il
tempo, il quale suol confer mare i soli, e veri giudizi della natura andrà a
mano a mano struggendo. Non è già, che queste due anime', che noi leggiamo
presso molti degli antichi, e sopra ogn'altro' de' Pittagorici, sieno dana,
prendersi secondo la lettera. Intendean co storo distinguere il sensibile e
l'intellettuale: due maniere di facoltà, che sono entro l' uomo. Ma adombrarono
essi, come ' era u sanza d'allora, sotto vive impagini quelle facoltà, o,
diciam cosi, fecero le medesime divenire persona. G. di fatto secon do la
testimonianza di Sesto Empirico d ' ambidue quelle facoltà compose la sola
ragione. Questa, egli dice; è in parte uma in parte divina, e porta il nome di
retta ragione. Perchè questa corrego ge gli errori de'sensi, e può sola discer
nere il vero dal falso. Tanto egli è vero che le due anime di G., non rape
presentavano, che la facoltà sensibile e la facoltà intellettuale, e ambidue
faceano u. na cosa sola. Chi potrà or tolerare G. cole locato tra la classe de'
filosofi scettici. Egli non mai affermd essere inutile, o va« na la
testimonianza de' sensi. Apzi i sensi, egli disse, mostrarci i rapporti, che
han. no i corpi, e tra loro, e coll' individuo d'ognuno. I sensi, egli disse
del pari, sve. gliare nelle intellettuali facoltà le idee spi rituali, e,
astratte. Al più al più diffida va Empedocle de' giudizi de' sensi, che so
vente sogliono esser fallaci, o ingannevoli. Però egli volle, che i medesimi
fossero sta. ti guidati unicamente dalla retta ragione. Questa potea solo a
sentimento di lui discer nére il falso dal vero. Forse, dicea ai suoi tempi
Cicerone parlando di G., costui ci acceca, e ci priva de' sensi; allor quan do
egli crede, che non fosse in essi gran forza per giudicar di cose, che sieno
sot toposte agli stessi? Par, egli è vero, Empedocle degli e lementi trattando,
quali esseri semplici, ga gliardamente scatenarsi contro de'sensi. Par lui
scatenarsi altresi contro gli stessi, allor ehé, dirizzandosi al suo amico
Pausania, e con lui trattando dell'amore e dell' odio, ambidue forze immutabili,
gli avverte a non fidarsi.de' sensi, e a guardar le cose non già cogli occhi
del corpo, ma con que' della mente. Pare eziandio finalmente, giue sta cid,
che., CICERONE ine dice, lui andare in furia, contro i medesimi gridando: niuna
cosa poter noi nè veder, nè sentir, ne.co noscere: Ma altri, che questi
'argomenti ci vo gliono a definire come scettico il nostro fi losofo. Chi è
intento a esperienze e ad a nalisi; chi cerca con somina cura de' fat ti; chi
da questi tenta d'investigare l'ope razioni della natura sotto la guida dell' a
nalogia: certamente non sa, nè può esse re scettico. I fisici potranno non
prender cura di cose spirituali, e astratte; ma non mai l'esistenza negar di
que' corpi, le cui propietà con ardore cercano, e la cui in dole con diligenza
studiano. L' espres sioni quindi di quelle parole, non v'è dubbio ' dover
valutarsi secondo e il pen sare, e il parlare di quella stagione. Si chiamava
allora pero, e ciò che è; quel ch' è eterno, e immutabile, o sia quello, che
sotto i sensi non cade: Però Empedo cle a ragione parlando di elementi, e di
farze, come quelli, che sono eterni e im 0 2. 108 1 mutabili, rigettd affatto i
sensi: @ niuna cosa noi, disse, mercè loro potere o ve dere, o sentire, o
conoscere. Fra tanto, chi il crederebbe? che nel volersi definire il carattere,
o la dottrina d'uno stesso soggetto, si passi anche da' gran filosofi da uno
all' altro estremo del tutto contrario. Anche i grandi uomini tal. volta
precipitano i loro giudizi, e nel pre: cipitarli ·traveggono. E' cosa da farci
stor: dire il sapere, che la dove alcuni filosofi dichiaravano scettico G.;
altri all! opposto avessero lui materialista definito, Aristotile, e altri con
lui tacciano di materialismo il nostro Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI. Nel
siste ma di G. il pensare, dico Aristotile, lo stesso val che il sentire; ogni
nostra cogaizione viene dalle sensazioni: e con que: ste quella s' accresce. Ma
questo stesso è altresì una calunnia. Passivi sono, 4. senno di G., i nostri
sepsi; pas siva è parimenté una di quelle due ani me, ch'egli suppone materiale
entro noi. Pero la nostra scienza, disse egli, accrescersi colle nostre
sensazioni. Ma dall' una anima e dall'altra, dalle facoltà cioè sen. sibile, e
intellettuale, si forma, come a lui piacque, quella ragiono, che noi già
abbiamo osservato. Questa, secondo 'lui, pesa, compara, giudica: in breve
ragiona. Due sono i principj, giusta gli avanzi di sua filosofia, cui mercè la
ragione rettifica i giudizi de' sensi. Primo: il nulla viene unicamente dal
nulla. Secondo: il simile si può solamente conoscer col simile. La ragione
quindi secondo lui, riferisce le sens sazioni a tali, e ad altri principj (se
pur altri ne avesse ammesso costui ), o coll' ajuto di questi quella ci mostra
il roro. @ il falso. Poteva, cio posto, tal essere lui, qual co lo dipinge
Aristotile, un materia. lista? Chi ammette principi di conoscere; di giudicare,
assoluti, non ricavati da' sen. si, eterni, immutabili non può affatto cre dere,
che il pensare lo stesso sia che il sentire, nè punto può essere imputato co
stui di materialismo. Non v'è uomo, quanto si voglia grana. de, che non abbia i
suoi nei; e anche i gran genj sono soggetti sovente a censure. Si dice di G. in
metafisica non essere stato lui originale. Convien forse ora smen tire tal voce?
Nulla meno. Si bisogna esse re ingenuo; nè l'amor di colui, ehe si loda dee sì
impaniarci, che ci debba far supera: re l'amore del.vero. Si confessi pure G.,
al par de' corpuscolisti, in metafi sica non essere stato mai originale. G.
qnal allievo de' pitta gorici, e degli e leatici non seppe abbandonar punto le
idee da lui apprese in ambidue quelle scuole. La stessa venerazione egli
ritenne, che ave van costoro verso i principj astratti, Si diparti egli sol da'
medesimi (e co si avvicinossi alle scuole contrarie ' ) nel non aver lui
rigettato del tutto la testimonian za de sensi. Egli in que' dì si sforzo di
sedare colla sua nuova dottrina l'accesa pu gna di que', che litigavano chi
contro del, la ragione, chi contro de' sensi. Combind egli, e mirabilmente
congiunse i sensi cola la ragione, a questa, e a quelli assegno 111 - uffizj, e
diritti separati e distinti: e sen za nulla scemare dalla realtà di nostre sen
sazioni, gran forza, e autorità diede a prin. cipj generali; e astratti: Tutti
i corpusco listi furono in quella stagione eziandio, chi più, chi meno concordi
al nostro filosofo; e tutti egualmente in metafica tennero le parti di
conciliatori tra i due partiti allor dominanti. Tal'è la natura dello spirito u
mano. Fatica egli senza stancarsi, e riflet te anche sino al cavillo, quando è
sospin to dall'ardor del partito, e dall' amor del sistema ! Ma poi stanco ei
di meditare, o pugnare, cerca la quiete, e 'l riposo; e componendo insieme le
opinioni contrarie si lusinga d'aver trovato gia il vero. Avven ne allora in
somma ciò, che la storia filo sofica ci presenta a ogni passo. Sempre dall'urto.
di due opposti sistemi n' è il ter zo spuntato, che li ha conciliato, giunto.
Anzi quando molti in contrasto so no i sistemi; allora è appunto, che sorgon
gli ecclettici, che scegliendo opinioni, or da un partigiano, orda un altro,
tutti con accozzano i partiti tra loro, e li riducono & uno. Sarebbe tempo
ora mai di volgerci dalla metafisica alla morale di G.. Ma portatesi assai più
avanti da lui le sue ricerche, e le sue vedute sull'anima, di storna noi pure
per ora d'imprender tal via. La fisica (abbiam noi osservato espo nendo la
dottrina di G.), essere stata quella scienza, in cui ei sopra ognº altro si
distinse, e cui mercè alto ha so nato, e sonerà eternamente il nome di lui.
Mà nello studio della natura quello, che più l'allettava, e cui principalmente
egli intendeva, era la contemplazione de' corpi organizzati. Riferi egli da
prima (sic. come abbiam noi pure os servato ), gli a. nimali a '
vegetabili, e da questi portando le sue specolazioni sull' uomo giunse sino
alla metafisica. Dall' uomo poi tornò G. ad ambidue quegli oggetti quasi al le
sue considerazioni primjere,e domesti che · Ando egli indagando, se i
vegetabili fossero stati provveduti di gentimento, e se gli animali e
vegetabili fossero stati tutti due al par dell'uomo forniti di anima. Si fatta
investigazione non fu punto difficile al nostro filosofo, come chi piglia va
l'analogia per sua guida. I corpi non organizzati, egli dicea, nulla hañ di
comu ne co' vegetabili; perd se quelli son privi di senso, questi all'incontro
nę debbono esser partecipi. I vegetabili all'opposto, ei sogglungea, molto aver
di comune cogli a nimali. Ambidue han tra loro comu. ni le primarie funzioni
vitali: son dotati di sesso, si nutriscono, crescono, traspira ban gioventù,
han yeochiezza, han no indozzamenti, malattie, sanità, nasco no, muojono. Però
se gli animali son for niti di sentimento, anche i vegetabili in ciò debbono
essere a quelli compagni. Fu quindi sua opinione essere gli alberi, 6 le piante
capaci di tristezza, di gaudio, di voluttà, di dolore, di desiderio, di sde gno;
e di ogn'altro animalesco appetito. Anzi spingendo egli più oltre la forza di
sua analogia, posti eguali i fisici rapporti tra l'uomo, e gli animali, e tra
questi e i vegetabili, fu di parere, che l' avere un'anima materiale non fosse
un privilegio sol conceduto all' umana natura, ma comu ne eziandio a tutti
quanti i corpi organiz zati. Anima quindi, e sentimento egli die de, non che
agli animali; ma anima e sentimento altresì a ' vegetabili, e a ogni sorte
d'erbe, e di piante. ANIMA e sentimento da G. a’ vegetabili ! fiori che si
rattristano; erbe che si adirano; pianto, che ' o si rallegra no o piangono !
Quanti, non che qual fan. tastico piglieranno il nostro filosofo, ma ne
rideranno ancora al sentirlo? Ma non rideranno certo, chi più sag. gi e più
istrutti, non ignorano punto, che anche i Democriti, gli Anassagori, i Pla toni
abbracciaron si fatta sentenza (90 ). La quale non è già, che faccia a lui ono
re, perchè, abbia in cið avuto e compagni, e seguaci così solenni filosofi. Ciò
sarebbe un argomento d'autorità, che nulla, o po co conchiuderebbe in suo pro:
perchè filo-, 115 sofi ' ancor di gran nome stan sottoposti a errori grossolani,
e massicci. E' che la co sa non è in se stessa sì strana; come a pri ma vista
apparisce. L'anima materiale da que' gran filosofi negli animali, e vegetabi li
ammesza, in sostanza altro non era, che la fisica sensibilità de' moderni.
Questa vole van costoro, che fosse ne' vegetabili tal qua le tra gli animali si
trova: In virtù di que sta ', credevan gli stessi, i vegetabili al par degli
animali ésser capaci d'amore, odio, e d'ogn' altro animalesco appetito. Empe
docle in breve, e que gran filosofi ebbero e uomini, e bruti, e vegetabili come
do tati di senso, e la fisica lor sensibilità chia marono anima. Chi adesso
potrà dirittaa mente riprendere G.? Di poi non vi sono a di nostri de ' fi
siologisti famosi, che nelle piante trovano senso d' umido, di secco, di caldo,
di fred do, di luce, di tenebre; perchè non po che di quelle chiudono o aprono
i loro pe tali atteso il freddo o il caldo, il secco o l' umido, il lune o lo
scuro? Non vi soa P 2 116 no del pari quelli, che veggon nelle pian. te, chi il
senso del tatto, come nella sen sitiva; chi quel dell' amore, come nella
valisneria, chi una specie di gusto nell'e. stremità d'ogni radice, cui mercè
questa sceglio, e trae quella nutrizione, che si con. viene a ciascuna? Non son
finalmente o Darwin e le Metherie, che van cercando, é credono d'aver già trovato
ne' vegetabili e senso, o sensorio? Qual assurdo egli è dunque, se G., che ne'
suoi con cetti abbracciava tutta la natura, abbia u. nito insieme tutti i corpi
organizzati per via della fisica sensibilità, che credea essere a quelli
comtine? La natura, non v'è dub bio, aver distinto, e separato il vegetabile
dall' anirnale con differenze, e caratteri ben contrassegnati, e rivissimi. Ma
l' estendere la sensibilità dagli animali sino alle piante è una idea grande,
bella, e degna di un sommo filosofo. Non v'è, chi a prima vi sta non ne debba
restar preso, e non bra mi trovar vera quella, che vera sin ora non è. Ma
comunque ciò sia, una cosa ' solit è verissima, G. aver riguardato i corpi
organici in un aspetto diverso di quel, che fece Pittagora, o i filosofi prima
di lui. Costoro non ebbero nè pure in pen siero di considerar le piante, di
bruti, come dotati di sentimento, e di anima, G. fu il primo, almen tra
pittagori ci, a pensare in tal modo. Egli fu, cho ebbe e uomini, e bruti, e
piante, quali esseri congiunti tra loro dalla sensibilità, come quasi comune
strettissimo vincolo, o che suppose in tutti un' anima materiala egualmente.
Però egli fu anche il primo, che strinse l'uomo colle piante, o co ' brus ti ad
alquanti sognati doveri, che nasco Ro da quella ideata parentela, con cui e gli
legò quello con questi. Ecco ora come chiaro si vede su qual base vada a
poggiar la morale di G.. Sulla fisica fondo ei la sua, metafisia ca, e su
quella fondd egli ancora gran parte di quest'altra scienza. Con si fatte vedute
costui pubblico due gran poemi sul. Ii8 la natura il primo, e gulle purgazioni
il secondo. In questo G. stabilì la sua
etiça; in quello la fisica: ma fece precede re il primo al secondo, come
argomento pri mario della sua raffinata morale. La morale d'Empedocle fu in
verità nel suo fondo la stessa di Pittagora. Pu re lni citano gli antichi
scrittori, come chi. avesse alterato la prima antica dottrina di quel sommo
filosofo, e i tempi di lui ad ditano come la seconda epoca del pittago ricisino.
Ma ciò avvenne, perchè G., aggiustata la morale di Pittagora a suo modo, e
conforme al suo fisico pensa rė gi scostò al quanto dagl' insegnamenti di lui.
La colpa degli spiriti; una diversa maniera di metémpsicosi: l'astinenza di
qualche sorta di cibo, furono in tutto le gran novità, ch'egli introdusse nel
corpo della morale di quello. Tra queste come principale, e primaria è da
reputarsi l'o pinion della colpa degli spiriti. Non d ' al tra fonte, che da
questa, qual prima ca. il.119 gione, il nostro filosofo fece dipendere la
metempsicosi e le purificazioni, che sono i due çardini della morale
pittagorica. Fu opinione di G., che varj spiriti, mentre menavano yita beata,
avesser pec: cato. Però a cagion di delitto, si credet te da lui, quelli,
scacciati dal cielo, e pri vi degli onori divini, essere stati così astret ti
ad espiare i lor falli. Esuli, erranti, ra minghi, egli diceva, vanno lungi dal
cie lo per trenta mila anni, e pagan vagando il fio meritato del propio loro
delitto. L' etere quindi, e' soggiungea, precipita gli spiriti nel mare, il
mare sulla terra gli sbalza, la terra gli sospinge nell'aria, l ' aria sino
all' etere gl' inalza. A quelli sų giù sospinti perciò, e quà e la circolando
risospinti, oyunque era d'uopo in mare, in aria, in terra vivere in miseria e
in lutto. Tali spiriti, secondo che piacque a costui, andavan successivamente
informan do varj corpi, e questi appunto erano le infelici anime degli uomini.
Queste quindi stavano in pena delle lor colpe racchius e ne' corpi; i corpi
eran le prigioni delle ani me, e la matempsicosi, di cui Empedocle formo il
primo cardine di sua morale, giu ata il parer del medesimo, era una pena delle
stesse, ch'aveano prima fallato. Di si fatta reità delle anime che ragion fa
della metempsicosi, non si trova vestigio alcuno presso que' filosofi, che
furono in nanti di G.. Questa per la prima volta si legge ne' versi di lui. Ai
suoi tem pi fu, che la medesima divenne comune, o volgare: e Platono dopo fu
quello, che l' abbelli sopra ogn' altro. Pero da G. comincia una nuova età del pittago
ricismo; perchè da lui comincia l'opinione della fallenza delle anime, qual
base e ra gione della trasmigrazion delle stesse. Egli è vero, la metempsicosi,
comu ne a pittagorici, essere stata antichissima presso gli Egizi. Non si
dubita ne anche aver costoro diviso in più periodi il tempo della trasmigrazion
dalle anime, assegnato a ciascuno la durata di tre mila 121 anni. In ogni
periodo, credeano i medesi mi ogni anima, informato prima solamen te il corpo
di un uomo, andar poi tratto tratto passando non più ne' corpi d' altri uomini,
ma di qualunque animale,. che abita o l' aria, o il mare, o la terra. E' vero
altresì tal dottrina essere stata dall' Egitto portata da Pittagora presso de'
Gre ci. Non si dubita nè pure i Greci filosofi coll' andar del tempo averla
molto alterata. Altri restrinsero la metempsicosi ai soli corpi umani, altri
pari agli Egizj ľ1°. estesero dagli uomini ai bruti. Vi fu pa. rimente, chi
disse que periodi esseri tre, chi dieci, chi nove. Nè mancavan di quei, che
ridussėro la durata d'ogni periodo da tre mila a soli mille anni. G. fra tanto
afferind il nume ro di que' periodi esser dieci, e la durata di ciascuno di tre
mila anni. Ma l ' anime secondo lui migravano in ognuno di que' periodi in ogni
sola volta nel corpo d'un uomo, e in tutto il resto a ' finire il cir colo di
ciascun degli stessi, andavano mion che ne' bruti, ma eziandio nelle piante. Sono
fanciullo, dice G., sono donzella, augello, albero, pesce. Chi è or, che non
vegga esser questa un altra delle alterazioni recate da costui alla metempsi
cosi di Pittagora, e degli Egiziani? Questi la voleano solamente negli uomini,
o ne' bruti. Empedocle agli uomini, e a ' bruti aggiunse la trasmigrazione
ancor nelle pian te. Ma non si creda mica, che tale ag giunta d'Empedocle alla
dottrina della me tempsicosi di Pittagora, e degli Egiziani, fosse stata in lui
l'opera del capriccio, o del caso. Sarebbe cid indegno di un nuovo, e original filosofo.
Chi si risovviene del fisico sistema del primo, conosce che si dovea far
certamente quest' alterazione notabile alla metempsicosi del secondo, Gia si sa
aver avuto G. le piante, al par degli animali, dotate di sentimento, o d'anima
materiale. Ma non così aveano pensato nè Pittagora, nè gli Egiziani. Pero
quegli fece passar le anime e dagli uomini, e da bruti alle piante, e questi
cre dean, che le anime migrassero dagli uo mini nel corpo solamente de' bruti.
Le a mirne in somma in forza del sistema d ' Em. pedocle, dovean circolare
informando tutti que' corpi, che in qualunque maniera fos. sero stati
organizzati. Ecco le due novità recate dal nostro filosofo alla morale di
Pittagora, ma novi tà ben legate tra loro qual cagione ad ef fetto. Alla colpa
delle anime aggiunse G. la metempsicosi, come al delitto va compagna la pena.
Ma quel ch'è più, a questa e a quella unite insieme andò egli pure legando la
demonologia: articolo fon damentale della teologia de' pagani. i Vedea egli
quasi ingeniti all' uomo i semi si della virtù, che del vizio. Allor si pensava
lo spirito ' tendere naturalmente à cose spirituali ed eterne, e la materia al
le materiali e caduche. Credette ei quin di i semi della virtù nascer nell'
uomo dall' anima, e gli altri del vizio nascere in lui della materia. Ma
l'anima, a suo predere, chiusa nel corpo, restava contamina. ta dalla materia,
e. però era sospinta assai più verso il male, che il bene. Oimè, di cea egli,
come è misero, come. è infelice il genere umano. A quali guai, a qua li pianti
non è ei sottoposto Queste due tendenze dell'uonio al be: ne, e, al mal fare
raffigurò G., giu. sta il costume di quell'età, sotto le imma gini di due
opposti genj. Due, egli disse, sono i genj, che quali direttori delle azio ni
degli uomini, accompagnano ciascun uo « mo in tutto il corso della vita d '
ognuno di loro. Buono è l'uno, l'altro è malva gio. Il primo guida, o conforta
lui alla virtù; il secondo spinge e conduce il me desimo al vizio (94). Ma
ambidue questi genj non indicavano, che questa stessa dop pia tendenza. Pure
tutto il volgo allora venne nel credere, che ciascun uomo dal nascere al morire
fosse' stato realmente as. sistito da un genio buono, e da un altro malvagio.
Tanto egli è vero, che le im magini, sotto cui adombravano gli antichi filosofi
le loro specolazioni, fossero state ca gioni di superstizione, e di errori.
L'uomo non solo ha tendenze al be ne e al male, ma è capace altresì d' ope. rar
l' uno, o l'altro. Quante virtù, e quanti vizi di fatto ei mette in pratica !
Ma questi stessi ebbe la bizzaria Empedoc cle di designare sotto la figura di
genj. Singolari, non cho speciosi furono i nomi, con cui egli distinse i
demoni, che rap presentavano i vizi, ' e le sfrenate passioni degli uomini, De
nomi di Chtonia, d' He liope, d'Asafia, di Nemerte, o di parec shi altri ne
sjamo debitori a Plutarco. Singolari eziandio, non che speciosi, esser
dovettero i nomi, con cui distinse lo stesso l'opposta classe di genj, che
rappresenta vano le virtù, e le passioni imbrigliate de gli uomini, Mą il tempo,
che rode ogni cosa, non ha fatto quelli pervenir sino a noi. Pure è sfuggita da
sifatta ingiuria la nominazione, con cui G. appelle virtù, felice prodotto,
delle regolate passioni. I pittagorici furono usi chiamare il mondo spelonca, e
G., qual pittagorico, chiamò le virtù, e passioni virtuose ' potestà
conducitrici delle anime: quasi giunte nel mondo, come in un an tro. Il popolo,
che in ogni cosa vede portenti, e finge de' genj, accolse quasi revelazione
venuta dal cielo, la de monologia del nostro filosofo. Gli antichi scrittori,
pari al volgo, non compresero nè pure il vero intentimento di lui. Que sti però
dipinsero G., come chi avesse popilato l'intero universo di demo nj, e
attribuito a virtù de' genj ogni ope razion di natura. Ma questa stessa
dottrina de' genj fu il fondamento della magia, e teurgia fa mosa di G.. Questa,
in que' tempi cra un metodo di purificar le anime col favore degli Dei benefici,
che dovean con dir quelle all'unione con Dio. Gli Dei bendici non eran che
virtù astratte deifi. cate da lui: è nella pratica delle sante o pere era
riposto tutto il culto di quelli. Credea egli, non poter le anime ritornare
agli onori divini, da cui erat cadute, che coll' ajuto di quegli Dei, perchè
credeva altreşi non potersi quelle inalzare a Dio, che coll' esercizio delle
sante virtù. La teurgia in somma di G. e un retto, e diritto nietodo di
purificar le anime colle opere buone. Sembra cosa veramente incredibile che
uomini abbandonati al debile filo della pro pia imbecille ragione, e privi di
qualunque superior lume di rivelazione divina, avessero potuto architettare un
piano di quasi per fetta morale. Non fu gia la metempsicosi quella, che giusta
i pittagorici avesse po tuto purificar le anime. Questa non era purificazione e
virtù, ma pena dovuta al. delitto. Questa non si poteva in alcuna an corchè
menomisssima parte, o abbreviare, o alterare. Esser questa un decreto divis no,
essere un santo giuramento si spaccia va a tutti da G.. Ciascun anima
avvegnachè virtuosa, e purissima (così és. si pensavano ) non potea unirsi a
Dio, se non compiti i periodi, e il tempo tutto di esilin. Le purificazioni
altro cardine della morale di G. eran propiamente, secon do tutti i
Pittagorici, le sule, che a poco a poco lavavan le anime, e toglievan loro in
quel tempo, che informavano i corpi umani, ogni macchia, di cui le medesime
potevano essere dalla materia bruttate. Pur gate poi le sozzure, e finiti i
periodi tut ti del bando, allora era, che le anime già nette, secondo che allar
si credeva, fos sero agli antichi onori tornate, e alla vita divina... I sagri
riti poi, lo studio delle scien ze, la pratica della virtù erano i tre mo di di
purificazione inventati all' uopo da que' sommi filosofi. Sembra à prima vista
o superfluo o inutile essere stato il primo di questi mo di, e tutti gli
augusti riti, e quelle ceri-, monie solenni, che si metteano in opera al lor da
Teurgici. Ma si poteva scuotere, e infiammare altrimenti l'immaginazione de gli
uomini, affinchè questa si fosse resa docile agl' insegnamenti della virtù?
L'110 { 129 - mo materiale si solleva dal mondo materia le merce cose eziandio
materiali. Le cerimonie, ei riti sono i soli, che colle san. te immagini
níuovono i sensi, e astraendo li dalle cose impure alle pure gli inalza no. I
riti sono il verace linguaggio de sen si, che efficacemente parlando destano la
fantasia. A questa è sol conceduto ' creare tra il mondo materiale l'altro
spirituale: Disadatto pure si crederà forse essere stato lo studio delle
scienze a purificar le anime. Ma non è egli questo, che aliena lo spirito: dai
vizi, che l'introduce alle co se intelligibili; e che sveglia in lui le idee
immateriali e celesti? Non è egli vero al tresì l'anima, esercitata nelle cose
dell' in telletto, districarsi da' fantasmi del corpo, e. dalle false opinioni
del volgo? Era certa mente un ridicolo sogno quello de pittago rici, che collo
studio delle severe discipli ne fosse tornata alle nostr' anime la mé. moria
delle cose divine. Ma certamente all' opposto è un dogma incontrastabile,. che
tanto più la nostra mente si allontana dalla materia e dagli appetiti carnali,
quan to più la medesima s' aggira sulla contem. plazione o de' principj delle
cose, o delle matematiche, o elogn'altra scienza. Ma in verità e uso di riti, e
studio di scienze, e ogni qualunque altra cosa, che avessero potuto specolare
gli antichi, sa rebbe lor tornata inutile, ne sarebbe mai giunta a purificar nè
meno da lungi le a nime, se a tutto ciò non avessero costoro accoppiato del
pari la pratica della virtù. Questo in fine dovea essere il bersaglio, cui
dovean dirizzarsi que' grandi filosofi: o questo l'ultimo e principal metodo di
pu rificazione. Non si può infatti ne pure ideare quanto studio avessero posto
costoro ad astenersi da ogni ancorchè minimo fal lo. Tutti quanti (tranne il
loro raffinato orgoglio, e la loro squisita 'boria e super bia ) furono del
tutto.virtuosi. Di e nota te si recavan essi sopra se stessi, scrupo losamente
ogni lor fatto esaminando, e c gni movimento del propio loro cuore. In
estimabile era la diligenza, ch' essi adoperzano a nettar d'ogni ruggine
l'animo lo ro, e a far bene ogni cosa. Tutta la vita į medesimi spendevano in
contemplare oggetti spirituali, e. in praticar virtù, e que pre cetti, che si
leggono scritti ne' versi dorati. Si crederebbe quì finito il lavoro della loro
morale, Pure come eglino avevano que sta diviso in due parti, così alla
purifica zione aggiunsero altresì la perfezione. Non basta a Pittagora l'
essersi lusingato, che l'anima, mercè la prima si fosse e mondata da vizi, e
separata dalla materia, e liberata quasi dal vincolo, che la ren deva prigione.
Volle di più immaginarsi, che l' anima, mercè la seconda già prima purificata,
si fosse poi inalzata a Dio, o ripigliati gli antichi abiti, e forma, si fos se
confusa colla divinità medesima. Le ar nine in somma, che secondo Pittagora e
G., erano di loro natura divi ne, ma contaminate dalla colpa e mate ria ',
dovean prima purificarsi, e poi sì per fezionarsi, che fossero state degne di
tor nare a Dio, e agli onori primieri. Però l' immacolato, e innocente viver di
G. obbligo lui a spacciarsi qual Dio, e a promettere ai puri, e perfetti il
divino come premio. Sin quì G., e Pittagora furon d'accordo, e quegli fece uno
con questo. L' essere stata comune l ' opinione tra loro nel principio, da cui
la purificazione, e perfezione avesse avuto sua origine, non fece punto
discrepar l'uno dall'altro, Cre deano ambidue le anime tutte degli uomi ni, e
tutti gli spiriti altresì formare uni ca, e sola famiglia con Dio. Là poi, ove
i sistemi loro non furon punto d'accordo si fatti filosofi furon del tutto
discordi.G., altrimenti che Pittagora, riguardo uomini, bruti, piante come
unica famiglia. Non è più quindi da far sorpresa, se si ve de ora entrare in
iscena una terza novità di G., come riforma alla moral di Pittagora. Se si vuol
prestar fede ad Aristotile ad Aristosseno, e Teofrasto, Pittagora e i
Pittagorici della prima età uccidevano, eccettine i bovi destinati ai lavori,
ogni sor ta d'animali, e tranne i loro cuori e ma trici ne mangiavan le carni:
s ' astenevan solamente da' pesci. G. all'incontro fu il primo che proibì
affatto qualunque uso di carne; e riputò sacrilegio l'uccidere quale che si
fosse animale. Non veggo, dicea egli, perchè alcuni animali debbano serbarsi in
vita, e altri all'incontro si pog sano uccidere. Una è la legge per tutti, é
questa è pubblica per tutta la terra. Vedeva costui in tutti gli esseri organiz
zati, facendone un sol corpo morale, quasi unica é sola farniglia, Perd non
sapeva egli scorgere differenza notabile tra uomini, e bruti. Smanioso egli
quindi si scaglia con tro chi avesse sagrificato in que' tempi vit. time agli
Dei, che' attesa la metempsicosi, potevano per lo più esser uomini sottom bra
di bruti. Cessate, gridava G., o crudeli, di fare strage, e lordarvi di san gue:
Pazzo il padre, che sotto altra sem. bianza scanna il propio figliuolo, e vane
preghiere disperge all'aria e al vento. Stolti non veggono, che divorando le
fumanti sanguinose carni di animali le menbra pa. rimente divorano de' lor
padri, figliuoli, o congiunti. Si riderebbe oggi la presente età del: la
severità di G., e si reputerà cer tamente stravagante la sua pietà verso i
bruti. Ma ad altro, e più nobil fine ten devan le idee del nostro filosofo.
L'uomo è in mezzo a' suoi simili, e l' amore è il principale anello, che dee le
garlo cogli altri. L'amor verso i simili è il principale dovere di un uomo di
società: e la pieta n'è la base. Ma questa non si potrà avere giammai, se non
campeggia e dilatasi sopra tutti gli oggetti, che circon dano lui. Se l'uomo
deve avere pietà ver gli uomini, uop' è non che estenderla, mia cominciarla da'
bruti. Qualor ' si eser-: citasse ferocia contro i medesimi, agevol mente il
reo costume l'andrebbe portando ancor contro gli uomini. Anche tra noi, se non
può recarsi a effetto sì fatta proibizio. ne di scannar gli animali, sempre
egli vero, che debbasi tener come parte di e ducazione gentile, quella d'insinuare
ne gli animi ancor teneri de' giovani la pietà verso i bruti. Non son dunque da
ripren, dersi, così tentoni, gli antichi filosofi per quegli insegnamenti, che
oggi, mutate le usa nze, ci sembrano stolti. La proibizio. ne che G. diede a'
suoi scolari d ' uccidere gli animali, e cibarsene, ebbe in mira non sol di non
essere crudeli, e feroci cogli altri; ma di dispor loro ad amarsi l ' un
l'altro a vicenda, e nelle disgrazie scam. bievolmente aiutarsi. Egli non senza
sotti le avvedimento si sforzò così in persona de? suoi compatriotti svegliare
allora in tutta la generazione degli uomini quell'attitudine, che porta loro a
prender parte nell' altrui traversie: attitudine, che di sua natura è debole,
languida, spesso sopita, e quasi sempre soffogata, ed estinta. Però G. a
ingentilir gli animi umani, e rasla dolcire i costumi degli uomini, volle che
questi non si avessero bruttato le mani del sangue, né avessero mangiato le
carni de’ bruti. Chi è beniguo co ' bruti non può certo negare agli uoinini
amore, pietà, cor tesia, frattellanza. Pittagora nulla conse guente a' suoi
stabiliti principj della metem psicosi, trascurando quasi tutti gli anima li,
ſecesi soltanto scrupolo, e proibi, che si fosse recata alcuna ingiuria alle
piante, che non fossero state nocevoli. Ma G. fa molto più, e' meglio assai di
Pittagora. Egli dotate prima quelle di sen timento, proibi poi che si fosse
fatto loro del male: ailinchè non si fossero avvezza ti gli uomini ad offendere
esseri forniti di sensi e di organi. Fu in somma intendi mento di lui in tutte
le maniere, quasi tirando tutte le linee a un centro, stabili re tra gli uomini
fratellanza e amicizia Però fu, sollecito ei d ' ordinare, che oltre agli
animali, si avesse avuto compassione sin anche alle stesse piante.. Sarebbe
stata finalmente non che man. chevole, ma mulla la morale di G., s' egli non
avesse presentato o un premio, una pena agli osservanti, o violatori de' ciò,
precetti da lui stabiliti. La speranza del premio, e il timor della pena,
interni po. tentissimi stimoli dell'animo umano, inco raggiano i buoni a operar
la. virtù, spa ventano i mali a praticare il vizio. E' ben ragionevole quindi,
che G. avesse pigliato una via come stabili re e premio', e pena, sì alla virtù,
che al vizio: e il fece appunto combinando al par de pittagorici, colla
dottrina della metempsicosi. Il tempo di tre mila anni di ciascuno de' dieci
periodi di essa non era destinato da Empedocle a far cir colare sempre le anime
da un corpo in un altro. Le anime in ogni giro di tre mila anni informavano
secondo lui e vegetabili, e bruti. Di poi andavano esse in ultimo E luogo ad
avvivare il corpo di un uomo. questo finalmente morto, passavan quelle ad
abitare un luogo o di gaudio o di lutto secondochè le medesime avessero o bene,
o male operato. Quivi doveano esse restare, finchè finito avessero il primo
periodo di tre mila anni. Dovean le medesime torna. STo appresso a cominciare
il secondo di al tri tre mila anni, passando tratto tratto ne corpi: d' altri
bruti, di altre piante, o finalmente di altri uomini. Così successiva mente
doveano esse fare in tutto il corso degli interi dieci periodi: e cosi le
medesi mo doveano essere o premiato, o punite in ciascuno di essi. Ma al finire
di tutti i dieci circoli quelle anime, ch'eran tenaci ne' vizi, giusta G.,
bandite dal cie. lo, eran dannate in mezzo alle tenebre, e in un continuo lutto,
o un eterno suppli zio. Le altre poi, che virtuose al compir di quo' circoli si
fossero trovate belle e det. te secondo lui, si portavano all'etere puro, e
collocate in mezzo alla luce, sedcano in vi a mensa coi forti Danai, in eterno
go dimiento, nell' unione con Dio. Tutto ciò si raccoglie da ' versi di G.. Così
pur si pensava da' pittagorici di Sicilia; nè al trimenti si canto da Pindaro
nelle sue odi dirette a Gerone, e Terone. Ecco tutto, il quadro compito della
intera mora le di G. Egli è senz' alcun dubbio, essere stata questa assai
raffinata, e, molto diversa da quella del volgo. E ' cosa da recar mara. viglia
l'osservare, com ' essa in tempi assai caliginosi, fosse stata tanto bene
architetta ta, cosi brillante, e del tutto diretta a ri. pulire il costume, a
liberar l'uonio, quan to più s' avesse potuto dai vizi, e a nobi litar l'anima
e la mente di lui. Cid nulla ostante ella ha eziandio i suoi gran difetti.
L'essere stata la stessa riservata ai soli sapienti, e ai soli iniziati ne fu
il principale. Quel sistema d'Etica, che non è fatto per tutti gli uomini, non
può esser giusto, santo, verace. Tutti quan. ti gli uomini sono astretti agli
stessi doveri, e a una sola virtù, Si può considerare, & gli è certo, la
scuola pittagorica, qual.ce nobio, é i pittagorici quali religiosi dell' antica
Grecia. Ma l'orgoglio guastava le loro azioni, rendea yane le loro fatiche,
avvelenava ogni loro virtù. Pure è sem pre da reputarsi degno di lode il nostro
filosofo, che osservantissimo de' precetti pittagorici non ebbe difficoltà di
manifestarli, e divolgarli nel suo poema delle parilica zioni per solo e
semplice amore di onestà, e di virtù, G., tranne la super bia, radice infetta
dell' operare d'ogni an tico filosofo, è da celebrarsi, come quel lo, che
ornato di cortesia, amante degli uomini, e virtuoso, avesse aspirato sempre a
perfezionar molto se stesso. Ma gli onori, che si rendono a' tra passati; le
lodi, di cui s' onora la memo ria de gran genj, non possono nè recar loro
diletto, che più non sono, nè tocca re il lor cenere, che affatto è privo di
senso. Tutti i loro elogi, come quelli, che eccitano l'orgoglio e la vanità de'
viventi, noi guardano e a noi son diretti. Siam noi, che dagli omaggi, che si
tributano a quelli, prendiamo speranza di poter forse nieritare la stessa
gloria, e acquistar la fa na stessa presso le generazioni avvenire. Del nome di
G. fu una volta ne è oggi, e ne sarà sempre piena la ter,. La filosofia di lui
fu tenuta assai in 141 pregio presso tutta l'antichità tra Greci e Latini.
Quella occupa tal sublime posto di onore nella storia delle scienze, che G. si
può dir, che appartenga a tutte le più colte nazioni. La Sicilia fra tanto è la
sola che a giusta ragione lui vanta: qual suo. Felice quel suolo, beato quel
clima, cho dà il natale a' grandi uomini ! La memoria e la fama loro è un
fecondissimo germe, che in ogni età ne desta l' emulazione, e ne riproduce il
sapere. Tal dovrebbe essere a noi il dolce nome di G., caro alla yirtù, caro
alle lettere. Anatomia, fisiologia, chimica de cor pi organizzati possono lui
chiamare padre inventore. L' essersi ridotta la materia a quattro elementi; l'
essersi trovate due for ze in natura di repulsione, di affinità; 1"
essersi intrapreso il metodo di fisiche espe. rienze, la terra n'è a lui
debitrice. La scoperta della chiocciola; della successiva propagazion della
luce; del peso e della molla dell' aria; del nutrirsi, del traspira e
dell'essere ovipare le pianto al par de gli animali son cose tutte propie di
lui. Divolgati appena sì fatti suoi ritrovamenti, tosto si rese celebre il suo
nome in tutta la Grecia, ed egli uno de' concorrenti di venne tra Anassagora e
Democrito, La gloria di G., che in gran parte è ancor nostra, ci dee infiammare
a battere lo stesso sentiero. La Sicilia è la stessa oggi, ch'era allora ai
tempi di G.. Ella in ogn'angolo, e in tutta quanta la sua superficie presenta
a' nostri occhi oggetti sempre degni di nostre filoso fiche ricerche. Piante
d'ogni sorte, acque d'ogni specie ', minerali d'ogni genere, e i più distinti
volcani esistono nel nostro suolo. Il Fisico, il Chimico, il Botanico lo
storico naturale trova ovunque ampia materia d'appagar le sue brame. E ' no
stra somma vergogna il vedere oggi, che vengan tra noi gli stranieri a
insegnare a noi le cose nostre. Si saran forse cambiati il cielo, il clima, la
terra, che un di furono ne' tempi de' nostri antichi filosofi? O pur saran
venuti meno gli ingegni tra noi? Non sono eglino I SICILIANI dotati ancora o d’acume
nello specolare, e di prontezza nel riflettere, e di prestezza nell' eseguire,
che loro hanno in o gni tempo distinto? LA SICILIA una volta emula della Grecia
in ogni genere di colo tura non potrà anche a di nostri concorrere e gareggiar
nelle scienze colle più polite nazioni? Si pigli dunque orgoglio dell'
aggiustata idea di nostra antica grandezza. Questo, scossa l'inerzia, ci sarà
di stimo. lo ad una nuova carriera da imprendere. La fatica è l'unica via, che
conduce al sa pere, e questa ci porta, certamente alla fama. Si desti quindi in
ciascuno di noi la virtuosa imitazione d’Empedocle, e si co minci la
grand'opera con ardore e franchez za. Un felice evento coronerà allora ogni
nostro travaglio: la posterità ricorderà noi collo stesso onore, con cui pieni
d'ammi razione noi ricordiamo G. G. non che e eccellente filosofo: ma e del
pari profondo politico. SICILIANI, non andate quà là ad apprender ta pini da
questo e da quello ordini civili, e fogge di governo. Guardate i maestosi
avanzi delle nostre antiche città; specchia. tevi su li nostri passati famosi
legislatori; richiamate alla memoria i fatti chiarissimi, non che della nostra
Greca SICILIA, ma del la vita di G.. Così tratto tratto di verrete atti a
maneggiar le cose pubbliche, e ben presto vi sarà tra voi politica non cabala,
libertà non licenza. G., convinti un dì i nobili di Gergenti GERGENTI – non
GIRGENTI -- di peculato, atterrò ivi la lor signoria: Non è disdicevole quindi
l'imma ginarcelo, ch'egli colla stessa voce gli ota timati così riprenda di
nostra età. Finito è il tempo, in cui usurpata un ingiusta franchigia de'
pubblici dazj, generosi offri vate al Re il denaro del popolo, a fine e di
ottener da quello nuove insopportabi li prerogative, e di stringer questo vie
più nuove insoffribili catene. Finito è il tempo in cui macchinando l'esenzion
delle taglie, scaricavate gran parte del pubblico con peso sulle città
immediatamente al Re sotto poste a fine di disertar qrieste, e di rau nare
schiavi in gran copia nelle terre a voi immediatamente soggette. Finito è il
tem po, in cui voi assumendo la voce e qualità di nazione, che non avevate,
minacciosi vi rivolgevate contro del trono per non paga re, e taglieggiare il
popolo ogni tre anni. Già il Principe si è congiunto col popolo. Gia la voce
del Re, ch'è quella dell'ins tera nazione, è divenuta oggi più imperio, sa
insieme e sicura. Essa ha già rivelato il grande arcano del vostro tirannico
impe ro essere stato riposto nell'aver voi voluto fin'ora poco o nulla soffrire
de’ dazj, e far li tutti a carico andare della povera gen te. Chi di voi potrà
or tolerare con ani mo tranquillo tra vecchi debitori dello sta to non altri
nonni leggersi che i vostri, e de' vostri antenati? Chi sarà tanto scelleras to,
che rivelando il falso, voglia occulta re l'immensa estensione de' suoi ricchi
fon di; affinchè a danno del meschino e del povero, pagasse egli quanto meno si
possa 2 t 140 Chi sarà cosi ribaldo, che voglia sgravar d ' imposta la terra,
unica e sola sorgente di ricchezza in Sicilia, per istrappare con mano rapace
qualche misero tozzo dalla bocca faa melica dello stanco e affannato
agricoltore? Şe cið han fatto i vostri maggiori, sono essi stati i più tristi
nemici, anzi i più crudeli tiranni dell' infelice Sicilia. Si appartiene ora a
voi lavar le macchie di quelli, e onorar voi stessi, contribuendo alla pubblica
feli cità col pagarsi prontamente da voi a pro porzione della vostra opulenza,
Ma G. dovrebbero avere ezian dio qual modello non che i nobili, chi presi del
fantasma di democrazia vo lessero condurre a sfrenatezza la plebe. Quante altre
cose possiamo noi idearci a ver potuto lui dire, a costoro ! Egli poten do in
Gergenti GERGENTI non GIRGENTI stabilire un governo collo cato tutto nella
potestà del popolo, af fatto nol volle. A' popolari uni costui gli ottimati in
quella città; e teniperò così gli uni cogli altri. L'equilibrio de' poteri, con
cui s'amministrano le cose pubbliche, è la ma solida base, su cui dee riposare,
volendo si e florido e durevole, il presente gover no. L'equilibrio morale, non
altrimenti che il fisico, viene da contrarietà ed egua glianza di forze. Il
popolo ' non deve mai essere. -oppresso, ma all'incontro non dee ne pure essere
costui un oppressore. Se la sua forza sbilancia, lo stato andrà tutto a
soqquadro, e ruinerà senza meno. La ven detta piglierà allora il nome di forza,
di senno il delirio, di libertà la licenza. I poteri legislativo, giudiziario,
esecutivo si debbono a vicenda venerazione e rispetto; tutti debbono riunirsi,
e cospirare a un sol centro: e se per caso ne sia uno avvalla dee tosto
corrersi con mano presta a rialzarlo. Quanto è difficile mantenere og gi in
Sicilia un sl fatto equilibrio ! Appe na vi basterebbe un G.. Egli ad assodar
vie più la novella for ma di governo stabilita da lui nella sua patria, ebbe in
fin l' accorgimento di pian. tarla sulla pubblica coltura, e sul pub blico
civile costume. Qual sublime lezio to, t 2 148 è un sogno, zione ella è questa
da adottarsi da' nostri legislatori d'oggidi, se vogliono eternare, più che si
può, il presente governo stabi lito di fresco. Un impero assoluto si può
fondare tra selvaggi e tra barbari, e vien prosperando in mezzo a gente
corrotta. Ma è un delirio il pretender fer mo un governo costituzionale senza
nè col tura nè costume per base. Nello stato, in cui è il nostro suolo, non
potrà certamente portare la novella libera costituzione senza che fosse prima
quello preparato e divelto. Voglia Iddio che i nostri, posti giù l'e goismo, le
false massime, gl ' impeti, glodj imprendessero a imitare Empedocle, e i nostri
antichi felicissimi tempi. Ma se I SICILIANI tutti debbon trarre qualche utile
insegnamento dal nostro fil sofo; i Gergentini – GERGENTI, non GIRGENTI -- massime
ne dovrebbero emular la virtù. La patria de' grand ' uomi ni è quella su cui
sfolgora, riflette e va a concentrarsi, la gloria di loro. Si dovreb bero
ricordare i Gergentini – GERGENTI non GIRGENT, ch ' essi principalmente a G.
son debitori d'esa 149 ser tanto chiari, e così famosi nella nostra sicola
storia. Si dovrebbero eglino pur ri cordare, che vicino a que' tempi, che vis
sita oggi lo straniero, e sopra lo stesso suo. lo, che calcano i Gergentini -- GERGENTI, non GIRGENTI medesimi, dettò
allora G. a LEONZIO (si veda) l'eleganti, avvegnachè prime lezioni di Rettorica.
Gli stessi quindi a ripigliare in loro l'antico u sato splendore dovrebbero
richiamare tra loro e le fisiche e le matematiche discipli ne, e ogn'altra
amena e polita lettera tura. Allor si potranno i Gergentini – GERGENTI non
GIRGENTI -- gloriare a ragione d' aver prodotto, e dato la culla a G.. Così eglino
saran vera mente degni concittadini di lui. Ne altri menti si potranno
lusingare gli stessi di far risorger tra loro il verace spirito d' Empe docle,
e di poter quivi dire allo straniero. Dell' eccelsa sua mente i sacri versi
Cantansi d'ogn'intorno, e vi s'impara Si dotte invenzioni, e si preclare Che
credibil non par, ch'egli d'umana Progenie fosse. Il n'est pas ) Freret
raffigura l'attrazione e re pulsione di Newton nell'amore e odio di G.. E però dice besoin d'un long
discours pour montrer que le fond du systeme Newtonien, dé pouillé de
l'appareil et du détail de ses cal. culs se réduit a celui d ' Empedocle, Hi
stoire de l'Académie Royale Des Inscripti ons et belles lettres, Memoires -- Και γαρ ονπερ οιηθαη λεγειν αν τις μα. λιστα ομολογουμένως αυτω. Εμπεδοκλης και
TYTO TAUTO TETOVIE – G., di cui alcuno potrebbe portare opinione aver, detto
sopra di ogn'altro cose tra loro e a se stes so concordi; egli cadde nel
medesimo inconveniente (Arist. Metaph.) πος και 8το! O (Arist. de Coelo) -- Λευκίπι
και Δημοκρίτος Αβδερίτης φασι είναι τα πρωτα μεγεθη πληθ. μεν απαρα και μεγεθα
δε αδιαιρετα τροπον γαρ τινα παντα τα οντα ποικσιν αριθμους και εξ αριθ. μων
και γαρ ει μη σαφως δηλεσιν ομως τετο βελονται λεγαν 00 Leucippo e Democrito
dicono le prime grandezze essere infini te di numero, ma indivisibili. Essi in
certo modo fanno gli esseri o numeri, o da' numeri. E se ben non lo mostrano
chiu ro; pure questo vogliono dire. Εμπεδοκλης περι ελαχιστα εφη προ των
τεσσαρων στοιχειων θραυσματα ελαχιστα οιονα στοιχεία προ των στοιχεων ομοιομερη
και – G. prima de’ IV elementi suppone de minimi bricioli, che sono non
altrimen ti che gl’elementi degl’elementi, e parti simili Stob. Εcl. Phys. Ε
più chiaramente Plutarco de Pl. Ph. dice οιονα στοιχεια των στοιχείων »και
elementi degl’elementi. Ει δε στήσεται που διαλυσις ητοι ατος μον εσται το σωμα
εν ω ισταται η διαίρετον μεν ι μεν του διαι εθησομενον εδε ποτε καθαπερ εoικεν
Εμπεδοκλης βελεσθαι λέγειν. Se lo scioglinzento delle parti si fermerà in qual
che luogo, domando: o il corpo in củi ri starà è indivisibile, o è divisibile;
ma in alcun tempo mai non si potrà dividere, co me pare che C. abbia voluto
dire, Arist. de Coelo. Sicchè G. ammettea la divisibilità col pensiero non già
col fatto. È un assioma presso gli antichi εκ τε μη οντος μηδεν γινεσθαι nulla
farse da ciò che non è, Presso i Greci dev significava ciò ch ' esiste e il
under ciò che non è. Epicuro talvolta piglia il des per corpo e il under per
yoto. Ma diverso era il significato dell' del ov. G. ed Anassago ra chiamavano
Oy la materia dotata di qualità sensibili. E Democrito ed Epicuro la materia
fornita di figura. Al contrario i primi due indicavano col un oy la mate ria priva
di qualità, e i secondi la mates. ria senza figura. Di fatto Aristotile de GV e
156 gener. et corrupt. 1. 1 cap. 3 dice εστι γη το ον, το δε μη ον υλη της γης
και πυρος ωσαύτως. L Latini tradussero il δεν per res o corpus il jend Ev per
nihil o vacuum. E come non aveano parole corrisponden ti all' oy e' un or; cosi
l'indicarono colle stesse parole res et nihil. E ' nato da ciò un equivoco
nell' intendere i Greci. Questi non solo dissero nulla farsi da nulla; ia tal
volta alcuni di loro pensarono niuna cosa, che ha qualità, poter venire dalla
materia priva di qualità. (8) Απαντα γαρ κακείνος (Σμκεδοκλής ) ταυτα
ομολογήσας, ότι εκ τε μη ιοντος αμηχα • γον εστι γενεσθαι και Concedendo
Empedocle tutte le cose medesime,.e che sia impossi bile venire un essere
fornito di qualità de ciò, che ne è privo je Arist. de Xenophane VELIA (si
veda) et LEONZIO (si veda). Εμπεδοκλης
δε τα τετταρα προς τους ειρημενοις γην προσθας τεταρτον και Empedoclc disse
esser quattro gli elementi, aggiungen do la terra per quarto a’tre già detti
Aristot. Metaph. Σεληνην δε φησι συστηναι καθ' εαυτην εκ τα απολειφθεντος αερος
υπο τα πυρος • τατον γαρ παγηναι καθαπερ την χαλαζαν. La lu πα, dice Empedocle,
essersi condensata da se a cagione dall'aria, che fu abbando nata dal fuoco; perciocchè
questa 'si con densò a guisa di grandine Euseb. Praep. Evang. Lo stesso dice
Plut. de Pl. Ph. Origen. Phylosoph. etc. (10)
I sassi e gli scogli sulla terra so no stati giusta Empedocle formati dalla
forza del fuoco. Plut. de primo frigid. Ne per altra ragione credea il nostro
filosofo, chę i cieli siensi formati in guisa di çri stallo, che per l'azione
del fuoco. Plut. de Plac. Philos. Ως εν
υλης « δ λεγομενα στοιχα τετταρα πρωτος (Εμπεδοκλης ), απεν. και μεν χρηται γε
τετταρσιν αλλ ως δυσιν ουσι μονοις. πυρι μεν καθ' αυτο τοις δε αντικειμένοις ως
Em. μια φυσα γη τε και αερι και υδατι, pedocle fu il prinio che affermò quattro
ese ser gli elementi nella materia. Nondime no di questi non fu egli uso come
se fos 158 } νω sero ' quattro, ma due soli. Mette il fuoco per se ', e' come
al fuoco opposte l'acqua, ' la terra, l'aria, quasi avessero. queste uni ca
natura.,, Aristot. Metaph. Origen. Phylosoph. cap. 3. Clem. Alex. Strom.
Αναξαγορας μηχανη χρηται τω προς την κοσμοπίλαν » Anassagora usa della mente
nella sua cosmogonia non altrimen ti che d'una macchina Arist. Metaph. Πολλαχου
γουν αυτω (Εκπεδοκλα ) η μεν φιλια διακρινει το δε νεικος συγκρινα • μεν γαρ ε
! ς τα στοιχεία διαστήται το παν υπο τ8 14κας τότε το πυρ «ς συγκρίνεται και
των αλλων στοιχων εκαστον, οταν δε παντα υπο της φιλιας συνιωσιν ας το εν
αναγκαίον εξ εκαστε τα μορια διακρίνεσθαι παλιν. Εμπεδοκλης μεν 89 παρα τ8ς
προτερον πρωτος ταυτην την ατίας διελων εισενεγκεν ου μιαν ποιήσας την της κινη
σεως αρχη, αλλ' έτερας τε και εναντιας. Non di rado presso d'Empedocle
l'amicizia sepa ra; e l'inimicizia unisce. Imperocchè quan. do per l'inimicizia
l'universo si scioglie ne • OTULY 159 gli elementi; allora il fuoco si unisce,
e al par del fuoco, ciascuno degli altri elemen ii. Quando poi per via dell '
amicizia tutti gli elementi si uniscono; allora è di ne cessità che le parti di
ciascun elemento si separino. Però Empedocle fu il primo, che superiore agli
altri più antichi di lui, divi dendo questa causa, intro lusse non un solo, ma
piii e contrarj principj di movimento: l'anticizia cioè e l' inimicizia Arist.
Me taph, L ' vero che qui Aristo tile cerca di cogliere in assurdo il nostro
Empedocle"; perchè cerca di mostrare che l' amicizia talvolta separa, e
l'inimicizia ta lora unisce. Ma ciò non di meno confes sa che giusta Empedocle
l'amicizia e l'ini. micizia eran due principj di moto. E in ciò loda il n'ostro
filosofo, e l ' inalza so pra tutti que' ch'erano stati prima di lui. Molti
sono i versi di G. che lo pruovano, che noi rapporteremo ne' fram menti di lui.
Ma Aristotile lo dice chia. rissimo. Es un evný to vemos ev Tols peyuceo σιν,
εν αν ην απαντα ως φησιν (Εμπεδοκλης ) 160,, Se non fosse l ' inimicizia
inerente alle cose, tutte queste non farebbero che uno come dice lo stesso
Empedocle,, Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4. Simplicio inoltre de Coelo l. 1 Com.
rapporta che giusta Empedocle è propietà dell'amicizia ridurre tutto in una
sfera lovely o zipov (16 ) (Εμπεδοκλης ) το μεν πυρ κκκος καιλο. μενον
προσαγορευων και Empedocle chiamo il fuoco lité perniciosa Plut. de primo fri
gido. E lo stesso Plutarco ne soggiunge la ragione: Giacchè il fuoco ha la
facoltà di dividere e separare. Clem. Alexand. ad gentes Aristot. Metaphys. Plut. de Isid. et Osirid.
Wolf. de Manich. ante Man. S. 30 Bayle Dict. Art. Xenoph. (20 ) Aristotile" riferendo l. 3 taph.
l'opinione d'Empedocle sul circolo pe renne delle cose in virtù delle due forze
amicizia e inimicizia si lagna del nostro filosofo, che introduce la necessità
senza recare alcima cagione della necessità ws ay. 1 cap. 4 Me. 161 αγκαιον μεν
ον μεταβαλλεινκαι αιτίαν δ ' εξ ενο αγκής εδεμιαν δηλοι. Brukero de discipulis
Pythagorae. Moshem. nelle note a Cudwort. Αρχη η φυσις μαλλον της υλης. εγί
άχου δηπου αυτη και Εμπεδοκλης περίπιπτα αγομενος υπ' αυτης της αληθεας, και
την εσι. αν, και την φυσιν αναγκαζεται φαναι τον λογον ειναι: οιον οστουν
αποδιδους τι εστιν. ετε γάρ εν τι των στοιχεων λεγει αυτο ατε δυο ή τρια ατε
παντα αλλα λογος της μιξεως αυτων etc. Il principio delle cose è più presto la
nä tura che la materia delle cose.. Empedocle tirato dalla forza stessa della
verità spesso è costretto di confessare che la sostanza e la natura altro non
sia che la ragione o proporzione: ' come fa allorchè ei dice coså šia.l osso.
Poichè dice che l'osso non cen ga da questo o du quel elemento', nè da due
elementi, nè da tre, nè da tutti, ma dalla ragione in cui questi nell' osso si
stan. no ec. is Arist. de par. Animae l. 1. cap. E poi lo stesso Aristotile
soggiunge che 1 362 2 i filosofi prima di G. non fecerd lo stesso perchè non
soleano definire ciò che fosse la cosa astion de to. pen en San τ8ς
προγενέστερες επί τον τροπον τέτον, το τι ην αναι, και το ορισασθαι την ασιαν
εκ OTI My •:- Plut. de Plac. 1. ì cap. 6 Gal. Hist. Ph. Plut. de Plac. Ph.
Gal. ibid. Plut. de Plac. Ph. Arist.
de Resp. Crede G. che gl’animali, subito che nacque ro dalla terra, si divisero
e portarono in luoghi convenienti al loro temperamento. Que' che abbondavan di
fuoco o nell' ac qua o nell'aria. Gli altri ch'erano più gravi, abitarono la
terra ec. Darwin Zoonomia. Milano, La massa tutta del seme, che noz mostrava
alcuna forma, o figura chiama va Empedocle. 8ioques che potrebbe significa. re
tutta la natura organica secondo Simpl. 163 1 de Phy. aud. 1, 2. Com. Aldo:
Aristotile l. 2 de Coelo cap. 8 par lando dell opinione di Xenofane che credea
la terra infinita estendere sino alſ infinito le sue radici, soggiunge do
xakt.Eptidoxing ετως επεπλήξεν Per lo che Empedoche co si lo sferzò, e
soggiunge i versi d' Empe docle, che noi rapporteremo 'ne' frammenti di lui.
(29) Ταυτι δε τα εμφανη κρημνες και σκο: πελες και πετρας και Εμπεδοκλης μεν
υπο τα πυ ρος οιεται το εν βαθει της γης εσταται και ανε χεσθαι. Empedocle è
d'opinione che que sti sassi, questi scogli, questi dirupi, che sono agli occhi
di tutti, sieno stati inalza ti dal fuoco che sta nelle profondità dela la
terra „ Plut. de primo frigido, Quare quaedam aquae caleant", quae dam
etiam ferveant in tantum, ut non pog sint esse usui nisi aut in aperto evanuere,
aut mixtura frigidae intepuere, plures causae redduntur. Empedocles existimat
ignibus, quos multis locis terrà opertos tegit, aquam calescere, si subjecti
sunt solo per quod aquis transcursus est. Facere solemus dracones et miliaria,
et complures formas, in quibus gere tenui fistulas struimus per declive cir.
cumdatas; ut saepe eundem ignem ambiens aqua per tantum fluat spatii quantum ef.
ficiendo calori sat est. Frigida itaque in trat, effluit calida. Idem sub terra
Em. pedocles existimat fieri. Seneca Quest. Nat. Την γην εξ ης αγαν
περίσφεγγομενης τη ρυμη της περιφοράς αναβλυσαι το υδωρ la terra, da cui, come
fu condensata, per l'impeto della girazione spicciò l' ac qμα 15 Ρlut. de ΡΙ.
Ρh. Οτι δε μενα (γη ) ζητεσι την αιτίαν και λέγεσιν οι μεν τυτον τον τρόπον,
οτι το πλα τος και το μεγεθος αυτης αιτιον, οι δε ωσ: περ Εμπεδοκλης την τε
κραγε φοραν κυκλω περιθεασαν και θαττον φερομενην την της γης φοραν κωλυειν
καθαπερ το εν τοις κυαθοις υ δωρ και και γαρ τατο κυκλω το κυαθε φερομείς
πολλάκις κατω τα χαλκά γινομενον ομως ου φερεται κατω πεφυκος φερεσθαι δια την
αυτην 165 Citidy, Alcuni cercano il perchè la terra stia ferma nel mezzo, e
dicono esserne cagione la sua grandezza e larghezza, Al tri poi, siccome
Empedocle, son di pare re, che il cielo girando più velocemente del. la terra
sia la cagione, per cui la terra non cada nello stesso modo, che avviene allac
qua nel calice. Poichè seben questo si giri e stia col fondo su, e il labro
all' in giù; pure l' acqua, che di sua natura tende al basso, non cache per la
ragione medesima della girazione,, Arist. de Coelo Plut. de fac. in orbe Lunae,
Plut. de Pl. Ph. 1, 2. cap. 13 Laert. in Emp. Arist. de anima. Καθαπερ
Εμπεδοκλής φησιν, αφικνειο σθαι προτερον το απο τα ηλιο φως ας το μετα ξυ πριν
προς την οψιν, η επί την γην, δοξα δ ' ευλογως συμβαινειν Empedocle dice che la
luce, la quale viene dal Sole prinra giunge nel mezzo, e poi all'occhio ed aļla
terra. Il che pare che accada con buona ragio ne » s. Arist. de sensų et
sensili cap. 6. 166 tor. G. in prima ha
il Sole per una gran massa ignita' non già per una rijlessione di un altro sole
šíecome attesta Laerz, in Emp. Era in secondo opinione di Empedocle che il
simile si va sempre ad u nire al suo simile. Però venne a lui naturale il dire
che la luce lanciata dal So. le, dopo d' essersi riflettuta sulla terra, nasse
di nuovo ad unirsi al Sole, e poi di nuovo movendosi da quest' astro, tornasse
a risplendere. Per altro Plutarco stesso aper. tamente dice de Pyth. orac.. che
la luce del Sole secondo Empedocle risplende di nuovo αυθις ανταυγαν. Plut. de
Pl. Ph. Gal. Hist. Ph. Stobeo Ecl. Phys. e tunti altri, appongono ad Empedocle
l' opinione di due Soli, che si riguardavano, de quali l'uno mandava rag gi
invisibili e l'altra visibili ec. (38) Empédocle, sans recourir á l’in stanatneité de cette
émission ou á sa pro digieuse velocité disoit que cette objection se roit vraie,
si le soleil lui même étoit en mouvement; mais que la terre tournant au 167
tour de son axe, venoit au devant, du ra yon, et voyoit l'astre dans sa
prolonga tion. On ne répondroit pas mieux aujourd hui a cette objection, si
quelqu'un la pro posoit contre la propagation successive de la lumière et son
emission. Montucla. Hist. des Mathematiques Απολείπεται τοινυν το τα Εμπεδοκλεος ανακλάσει τιγί τα ηλια προς την σεληνην γεγες; σθαι τον ενταύθα φωτος οιον απ' αυτης οθεν 80's. Jequor
de deep porn Resta dunque co me vera la sentenza d'Empedocle. Però la luce
lunare non è nè calda nè assai splen. Plut. de fac in orb. Lunae. Est - il rien de plus juste
que ce vers, dont voici la traduction litterale de Greg en latin circulare
circa terram yolvitur a lienum lumen dit- il en parlant de lo lu ne? Achille
Tatius en tire une preuve qu' Empedocle a regardé cette planéte comme un
morceau détaché du soleil. Il n'a pas conçu que cet alienum lumen vouloit dire
lumière empruntée, ce qui est très-confor me a la verité. Montucla Hist. des
Math. dida, Isag. in Arat. Empedocles plus duplo lunam dia stare censet a terra
quam a sole. Galen. Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. Και τον μεν ήλιον φησι πυρος αθροισο μα μεγα και σεληνης μαζω » Empedocle di. ce il Sole
essere una gran massa di fuoco più grande della Luna Laert. in Emp. Plutarco de ' fac. in orbe Lunae, afferma che la Luna
al dir d'Empedocle giraya a simiglianza d'una ruota: Ora in que' tempi si
esprimea la rùvoluzione d'un corpo intorno al propio asse sotto la figura ra
d'una rủota, Cosi di fatto indicarono Seleuco d'Eritrea, Heraclide di Ponto,
Eco fanto di Siracusa, il movimento della tere ra intorno al propio asse. Per
altro i Pit tagorici sapeano che la Luna girando in torno alla terra çi
presenta sempre lo stes so emisfero. Il che come ciascun sa non può aver luogo,
se la Luna girando intor no la terra ſon rotasse intorno al propio asse: Sicché
è da credersi cl’Empedocle non ou esse ignorato questo movimento della Lu na.
Ma come Plutarco non ne fa che un sol cenno, che può essere equivoco; cosi io
non ho creduto di doverlo affermare come sicura opinione di G.. Fabricio Bibl.
Graeca Arist. de plant. Arist. nel med. luogo. Arist. nel med, luogo. Τα δε
σπερματα παντων εχ τινα τροφην εν αυτός και συναποτίκτεται τη αρχή καθαπερ εν
τοις ωοίς. η και κακως Εμπεδοκλης αρήκε φασκων ωοτοκαν μακρα δενδρα Ogni semè
contiene in sè qualche cosa d' alimen to uñitaniente al principio che genera,
sic come è nell' uovo. Per lo che Empedocle disse bene che gli eccelsi alberi
sono ovipa ri Theofrasto 1. i cap. ' 7 de Caus. Plant. Και τατο καλως λεγει
Εμπεδοκλης ποιησάς: Ούτω δ ' ωοτοκεί μικρα δενδρα πρωτον ελαίας •. Το τε γαρ
ωον κυημα εστι, και εκ τινος αυτα γίγνεται το ζωον, το δε λοιπον, τροφη τα σπερ
ματος, και εκ μερες γιγνεται το φύομενον, το δε λοιπον τροφη γιγνεται το βλαστω
και τη y 170 pión en xpern » Questo ben disse Emperor cle affermando, che i
piccoli alberi ezian dio sono ovipari. Poichè da una parte dell' uovo nasce
l'animale, e dal resto si fa la nutrizione di questo. Nello stesso modo ac cade
nel seme. Da una parte si formá la pianticella, ed il resto serve per nutrirla
Arist. de Gen. anim. Arist, de Gen. anim. Theofrasto 1. i cap. z de Caus.
Plant. Indi è che Malpighi aper: tamente dice Plantarum ova esse semina vetus
est Empedoclis dogma. Anat. Plant. In questi ultimi tempi Young è stato il
primo a dire che le piante ven gono, dal seme. Rozier journ. de Phys. Auril. e
Bonnet Deur. v. 5 p. 256 ha dimostrato l'analogia del seme coll' uovo. ο δε μαλιστα και κυρίως εστι ζη = τητεoν εν
ταυτη τη επίσημη τετο οστιν » όπερ ειπεν Εμπεδοκλής ηγουν α ευρίσκεται εν τοις
φύτοις γενος θηλυ και γένος αρρεν και ει εστιν ειδος κεκραμενον εκ τετων των
δυο γενών και Cio 171 she in questa scienza sia sopra d'ogn' al tro, e
propiamente da ricercare, lo disse Em pedocle: cioè se nelle piante si ritrovi
il sesso maschile e feminile, e se questi due sessi sien in quelle mischiati ed
uniti,, Arist. de Pl. 1. cap. 2. Per lo che è da ripu. ţarsi particolar
opinione d'Empedocle, quel, la del sesso nelle piante, e che queste fos sero
state ermafrodite. Si legga lo stesso Aristotile de Pl. Haaly 005 - λομεν
ζητειν πότερον ευρισκονται ταυτα τα δυο γενή κεκραμενα εν τοις φυτοις ως απεν
Εμπε doxninis:,, Dobbiamo ricercare se i dųe ses si nelle piante sien mischiati,
come vuole G.. Empedocles quidem divulsa
esse so bolis membra aiebat, ut in faeminae alia alia in maris semine
continerentur, atquo inde oriri animalibus venerei complexus ap.. petentiam,
dum partes illae inter se di stractae conjungi atque uniri concupiscunt. Galen.
de semine. Si legga parimente Aristot. de Gener, ànim. Plutarco de plac. Ph.
Arist. de Gener. anim. Εμπεδοκλης τη κατα συλληψιν φαντα. σια της γυναικος
μορφουσθαι τα βρεφη και πολ: λακις γαρ εικονων και αδριαντων ηρασθησαν γυναίκες
και ομοία τετοις απετέκον. » Empe docle dice che dalla fantasia della donna
piglia forma îl feto. Poichè spesso le don ne hanno la lor prole partorito
simile a statue o. a immagini, che hanno amato Plut. de Pl. Ph. Plut. de Pl.
Ph. Tutta la dottrina di G., siccome in appresso diremo, era fondata su i pori,
e sugli effluvj, che si spiccano secondo lui da' corpi, o per quelli s'intro
ducono, Plut. de Pl. Ph. I. 5. cap. 26. (58) Frondes amittere quibus aestatis
ca. lor humorem ahsumpserit; semper fronde re quae majorem succi copiain habent,
ut laurum, oleam, palmam 4 Hist. Ph. Gal. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph.
lPlutarco Symp. Si propone la questione, perchè l' ellera conserva le fo glie,
e gli altri alberi le perdono. Ei ri sponde con Empedocle per la disposizione
de’ pori. Perche τοις δε φυλλoφoυσιν εκ έστι για μανοτητα των αγω και στενότητα
των κάτω πι:,, ρων, οταν οι μεν επίπεμπωσιν οι δε φυλαττω σιν, αλλ' ολίγον
αθρουν λαβόντες εκχέωσιν ωσ. περ εν αγδηροις τισιν ουχ ομαλοις A quel le piante,
le cui foglie cadono į alimen to on basta a cagion della rarità de? pori
superiori, e della strettezza degl inferiori. Poichè per questi pori s’
introduce poco ali mento, e per quelli molto se ne dissipa. Indi è che quel
poco che hanno ritratto tosto lo perdono. Avyiene ciò che suole ac cadere negli
attignitoi, che sono inegual mente forați. Flore française troisieme edition
par MM. de La Marck et Decandolle T. Floré française Flore francaise Plut. de
Pl. Ph. Gal. Hist. Ph. Galeno Hist. Ph.
Plut. de Pl. Ph. Ρlut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 22 Gal. Hist. Ph. Plut. '
nel med. luogo. Gal. Hist. Ph. Plat. de Pl. Ph. Ρlut. de ΡΙ.. Ρh. Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 16 Gal. Hist. Ph. Arist. de Respirat. Arist.
'de Respirat. cap. 7 Gal. Hist. Ph. (71) Arist, de, Resp. Plut. de PI. Ph.
Pluit. de ΡΙ. Ρh. Plut. nel med. luogo. Gal. Hist. Ph. Si vegga la
niemoria seconda sulla Vita di G. Ρlut. de Pl. Ph. Τα μεν γλαυκα πυρωδη καθαπερ
Εμ. πεδοκλής φησι τα δε μελανoμματα πλεον υδατος εχιν η πυρος. » Che gli occhi
az zurri, come dice Empedocle, abbondano di fuoco, ed i rieri abbiano più d '
acqua che 175 di fuoco, Arist. de gener. An Τα μεν ημερας εκ οξυ βλεπεις τα
γλαυκα. δι ενδιαν υδατος. θατερα δε νυκτωρ δι ενδααν πυρός και che gli occhi
azzurri non veggano bene di giorno per difetto d' ac qua, ed i neri di notte
per difetto di fuo: εο, Arist. de Gen. an. Gal. Ηist. Ph. Ρlut. de P. Ph. Ειπερ
μη πυρος την οψιν θετεον αλλ' υδατος πασαν,, Perclie la visione non e d '
attribuirsi al fuoco, ma tutta all'acqua » Arist. de Gen. anim. Arist. de sensu et sénsili l. Empedocles
animum esse censet cor di suffusum sanguinem.
CICERONE (si veda) Tusc. quaest. e Ρlut.
de ΡΙ. Ρh. Εν τη τα αιματος συστασε. Αλλοι δε ήσαν οι λεγοντες κατα Εμ "
πεδοκλεα πριτηριον αγαι της αληθεας και τας αισθησεις αλλα τον ορθον λογον και
τα δε ορθα λογα τον μεν τίνα θαον υπαρχειν τον δε αν - θρωπινον. ων τον μεν
θαον ανεξοισθον ειναι. τον δε ανθρωπινον εξοισθαν. Ci sono stao 1 O 176 ti
alcuni, che han dettò con G. esé sere il criterio della verità non già i sensi,
ma la retta ragione. Questa poi essere in parte umana e in parte divina: la
prima potersi da noi manifestare, e l'altra nòi, Sext: Emp. adv. Log. Hụezio
Debolezza dello spiritous mano. Furere tibi Empedocles videtur: at mihi
dignissimum rebus iis ', de quibus lo quitur sonum fundere. Num. ergo is ex.
caecat nos, aut orbat sensibus, si parum magnam vim censet in iis esse ad ea,
quae sub eos subjecta sunt, judicanda? CICERONE (si veda) Lucullus Empedocles
quidem, ut interdum mi hi furere videatur, abstrusa esse omnia, ni hil nos
sentire, nihil cernere, nihil omni quale sit, posse reperire. CICERONE (si
veda) Lucullus Αρχαίοι το φρονων και το αισθανεσθαι ταυτον αναι φασιν ωσπερ και
Εμπεδοκλης (δη 01.,, Gli antichi, come disse Empedocle, vogliono che sia lo
stesso sentire, che ra 177 € 2. gionare. Arist. de anima, Arist. de Plant. Αναξαγορας
μεν και Εμπεδοκλης επί θυμια ταυτα κινεισθαι λεγουσιν αισθανεσθαι τε και
λυπεισθαι » Anassagora ed Empedo cle dicono che le piante sien mosse da de.
siderio, da tristezza, e da voluttà, Arist, de P1.Αναξαγοράς δε και ο
Δημοκρίτος και ο Εμπεδοκλής και νουν και γνωσιν εχεις απον τα φυτα Anässagora,
Democrito, ed Em pedocle dissero le piante esser fornite di men te e di
cognizione », Arist. de Pl. l. 1 cap. 1. Ρlut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 26. (90)
Arist. de.ΡΙ. 1. 1 cap. 1 Ρlut. de P. Ph. Πρωτοι δε και τονδε τον λογον Αιγυ πτιοι ασι αποντές, ως ανθρωπα ψυχη αθα γατος εστι. τα σωματος δε καταφθινοντος ες αλλο ζωον αια γενομενον εσδυεται. επεαν δε περιελθη παντα τα χερσαια και τα θαλασσια και τα πτηνα, αυτις ες ανθρωπό σωμα γινομες γον εσβυνειν. την περιαλησιν δε αυτή γίνεσθαι εν τρισχιλίοισι ετεσι. Sono gli Egizi i
pri Z 178 ηι. mi che dicono l'anima essere immortale; ma che 'morto il corpo va
questa sempre informando un altro animale; dimodochè dopo d' esser passata per
tutti gli animali o terrestri, o marini, o aerei torna di nuo ro ad informare
il corpo d'un uomo. Que sto giro compie l anima in tre mila an Herod. Euterp.
Τατω λογω ασι οι Ελληνων εχρησαντο οι μεν προτερον οι δε υστερον, ως ιδιω
εωυτων εοντι. των εγω αδως τα ονοματα και γραφω. Tra Greci alcuni prima alcuni
dopo han divulgato' la metempsicosi degli Egizi come opinione propria. E di
quelli non vo. glio scrivere i nomi; ancorche mi sieno, co Herod. Sext. Emp.
adν.. Math. 1. 8. (94) Ου γαρ ωσ. ο Μεγανδρος φησιν απαντι δαιμων ανδρι
συμπαράστατα ' ευθυς γενομεγω μυσταγωγος τα βιε αγαθος, αλλα μαλλον ως
Εμπεδοκλης διτται τιγες εκαστον ημων γενομες γον παραλαμβαγεσι και καταρχoνται
μοίραι κα! d'alluoves.,, Non è da credere come dice Menandro, che a ciascun di
noi, come ea gniti, gli nasce, assista un genio buono condut tor di tutta la
vita, ma piuttosto è da te nersi l'opinione d'Empedocle, il quale di che ciascuno
di noi dal punto della na scita è preso e governato da due genj e da due. fati
Plut. de anim. tranquill. E sog giunge lo stesso Plutarco che co' nomi de gen;
si esprimono σπερματα των παθων i se mi, delle passioni. Plut. de animi tranq. (96)
Αφ ων οίμαι ορμώμενοι και οι πυθα: γορεοι και μετα τατος Πλατων αντρον και στην
λαιον τον κοσμον απεφηναντο. παρα τε γαρ Εμπεδοκλα αι ψυχοπομποι δυναμας
λεγεσιν Ηλυθομεν τοδ ' υπ' αντρον υποστεγον E da queste cose, siccome io stino
i Pittagorici, e Platone dopo costoro, pre sero occasione di chiamar questo
mondo an tro e spelonca. Poichè presso Empedocle le potestà conducitrici delle
anime dicono: che siano finalmente giunte sotto quest' aniro coperto; Porph. de
Ant. Nymph. ed. Van -
Goens. Clem, Αlex. Strom. 1. 2. Stob. Εcl. 180 Eth. Jambl. Portrep.
cap. g Hierocl. in Com. Scheffer de Secta Italica. Pindaro nella prima ode
olimpica dirizzata a Gerone; dopo: d' aver descritto il supplizio di Tantalo,
che chiama atau λαμον βιον εμποσομοχθον vita priva do gni ajuto e perpetuamente
laboriosa » 'sog giunge „ questo supplizio forma il quarto dopo d' averne
sofferto altri tre » Mesta Tpl. ων τεταρτον πονον. Non si puo comprendere a
prima vista, come questo quarto suppli zio fosse stato perpetuo. Ma ciò è
intera mente dichiarato nella seconda ode. olim pica diretta a Terone
Gergentino. Quivi e gli dice: que', che dopo d'esser dimorati tre volte nella
terra e nell'inferno ocou do ετολμησαν ες τρις εκατερωθι μειγαντες: seppero
contener ľanimo loro nella pratica della virtil, arriveranno per la via di
Giove al la regia di Saturno, dove laure dell' O. ceano spirano dolcemente
attorno le isole fortunate, e splendono i fiori d'oro. vede quindi dal confronto
di queste due o. di, che la metempsicosi giusta Pindaro con Si 181 sisteva in
tre articoli: iº che l'anima del lo stesso uomo informava tre volte corpi u
mani, che ' v'era un intervallo tra la morte e'l rinascimento in cui i giusti
go deano di felicità, e i malvagi eran puni ti, 3º che le anime perseveranti
nella giu stizia per tutto il corso delle tre vite umia ne, andavano poi. cogli
eroi nell'impero di Saturno; e quelle, che s' erano mac chiate di colpe in
quello stesso tempo, an davano in fine a soffrire un supplizio eter πο:
απαλαμον βιον εμπεδoμοχθον. Gli sco liasti stessi di Pindaro, non altriinenti
che noi abbiamo fatto ', lo dichiarano: uno di essi dice υπεραγαν μεχρι τριτης
μετεμψυχοσέως Ev 8 %a740015 Tols peeport „ sostennero (le a nime ) sino alla
terza metempsicosi nell' uno e nell'altro luogo cioè a dire nel la terra e
nell' inferno. Ora trina di Pindaro pare che allora fosse sta ta conosciuta da'
soli sapienti. Poichè dopo che il poeir avea esposta la triplice trasmi
grazione soggiunge lo tengo sotto il mio gomito e dentro la faretra delle sette
vo: questa dot 182 lanti, il cui fischio si sente dal solo sa piente. Ma la
moltitudine ha lisogno d' interpetri ες δε το παν ερμηνεων χατιζα. Η saggio è
colui che conosce la natura, gli altri, che įmparano da lui, sono loquaci nxo
Root Taivajaworick e come i corvi inutilmente gracchiano. Per lo che pare, che
Pindaro s'astenea di parlar chiaramente per non ri velare al volgo il dogma
pittagorico della metempsicosi, ed opponea la furgawcola o loquacità del
profano al silenzio del pittagorico. Tutti gli antichi fanno onorata men zione
della filosofia di G.. Lascian do stare Aristotile e Teofrasto, noi sappia. mo
da Laerzio l. 10 Sect. 25 ch' Herma co l'epicureo la espose in 24 libri moto -
λικων περι Εμπεδοκλεας: Τra Latini poi aparte
di LUCREZIO (si veda) e di CICERONE (si veda), che ne fan sommi elogi, siano
avvertiti da CICERONE (si veda) me. desinio che si era stato un SALLUSTIO (si
veda), il quale area trattato la filosofia di G. nel la stessa guisa, che avea
fatto LUCREZIO (si veda) per quella del GIARDINO ROMANO. Tria per quanto si
raccoglie dalle parole di CICERONE (si veda) quell' auto re non era riuscito
cosi bene, come LUCREZIO (si veda). Lucretii poemata, ut scribis, ita sunt
multis luminibus ingenii: multae tamen ar. tis. Sed cum veneris, virum te
putabo, si Sallustji Empedoclea legeris; hominem non putabo, cioè a dire se
potrai sostener ne la lettura ti 'stimerò invitto e paziente. ma privo di senso.
CICERONE (si veda) Ep. ad Q. Non che Plutarco ne' tempi d'appres. 80, ma tutti
gli scrittori ecclesiastici ricor dano con lode Empedocle ed i suoi pensu.
menti. Vi ha un luogo di Temistio nell orazione 12 all' Imperator Gioviano, in
cui egli loda quest' imperadore per la lege ge da esso lui stabilita circa la
libertà del la religione. In questo luogo ei dice agar σθαι μεν εν και τις
αλλες το νομο προσηκ4 τον θαοτατον Αυτοκρατορα και μαλιστα δε οίς ουκ εφιασι
μονον την ελευθερίαν, αλλα και τις θεσμες εξηγείται και φαυλοτερον Εμπεδοκλεας
και Ma All Excave te Teals. Varia è stata l' interpetrazione di piu autori
intorno a que ste parole, e principalmente per l'Empe 184 parere che docle, di
cui fa menzione Temistio. Al cuni hanno sognato un altro G. di verso e
posteriore al nostro. Petavio, non si sa come, crede, che sotto il nome di G.
abbia quegli voluto significare G. Petit è di per G. s'inten la un cinico
chiamato Peregrino. Nè marican di quei, che credono essere stato rcfurrito in
quel luogo S. Policarpo martire. Iru biti gl'inteipetri Casaubono in not. ad M.
Anton, pas 87 è stato a giudizio di Fabricio Bibl. Graec., corui che meglio
l'hi interpetrato. AgarIsi Mesy XV x2. Toń andy (ita malo quam tos are 285,
quod tamen ferri potest, nec' senten tiae, quam volumus, repugnat ), 78 roles.po:
σηκ ή τον θιοτατον Αυτοκρατορα μαλιστα δε οίς (idest τετων vel εκεινων οις ) εκ
εφιησι Ꭸporgy etc., Degnissimo è l ' imperadore di
ammirazione e di venerazione non che per le cose, che in quella legge si
contengono, ma sopra di ogn'altro e per la libertà del la religione, e perchè
spiega quelle leggi, che sono state da Dio dettate, con perizia 185 non minore
di quella, per · Giove, che non fece quell'antico Empedocle., Di che si vede,
ch'era tanta e tale la stima, in cui allora si tenea il nostro filosofo, che ad
esso si comparava l ' Imperadore Gioviniano, allorchè si volea lodare.
Abulfarage presso gli Arabi, secondo che dice Fabric. Bibl. Graec. T. 1 p. 474
loda G.e, come chi avea ottimamen te conosciuto gli attributi divini.
Finalmente la filosofia d'Empedocle è stata vinovata da Campanella, da Magna.
no o Maignano. Fahr. Bib. Graec. nel me desimo luogo. Per lo che si vede
chiarissimo quanto male ORAZIO (si veda) conoscea il nostro filosofo; allorchè
disse. Ep. 12 !. 1 v. 20. G.; an Stertinii deliret acumen. a a Su i
Franmenti delle opere di Empedocle Gergentino. ROM nico è l' oggetto di questa
ultima mes moria: presentare a un colpo d'occhio tute ti accozzati gli avanzi
delle opere d'Empe. docle. Egli ne detò molte, e quasi tutte, com'era usanza in
que' di, le scrisse in versi.. Pure niun poema di lui è venuto sino à noi, e
pochi sono i frammenti, che di questi ci restano L'inno ad Apollo, e 'l poema
de' Persiani, furono, lui morto, bruciati. Il poema sulla sfera si reputa oggi
opera d'incerto autore, Del suo discorso sulla medicina non ce n ' è restato nè
anche vestigio: anzi ignorasi, se questo fosse stato scritto in versi secon do
Laerzio, o pure in prosa secondo Sui da. I frammenti in somma delle opere di G.,
che da noi si conoscono, ri guardano e fan parte di due famosi poe e non sia. a,
a 2 188 ni: l' uno sulle purgazioni, l'altro sulla natura. Il primo fu
intitolato a Gergen tini; il secondo a Pausania il medico el amico di lui. La
raccolta quindi de' fram menti de' versi d' Empedocle, di cui qui si parla,
appartiene soltanto a questi due gran poemi. Piü Eruditi, e tuti di gran nome
assai prima, e in varj tempi praticaron lo stesso. Stefano no pubblica il primo
non pochi nel suo Ibro della poesia fi. losofica. Fabricio prese appresso il
pensiero d'ampliar la raccolta di Stefano; e giusta il Mosenio quegli mol to
l'accrebbe. Ma ogni fatica di lui, co me attesta il Reimaro, tornò vana; perchè
morto Fabricio si perderono i suoi origina li,, e il pubblico non potè
coglierne il frut. to. Van - Goens di poi nell'edizione, ch ' ei fece del libro
della Groita delle Ninfe di Porfirio, manifestò aver già raunato più di
trecento versi di G., e promiso al più presto di recarli in luce. Avea, se
condo ch' attesta egli stesso, tratto gran pro 189 1 da' manoscritti che si
conservano nella libre ria di Leyden, e invitato tutti i dotti ad aiutarlo in
si fatio travaglio. Ma punto non si sa, se abbia o nò costui pubblica to la
raccolta de' versi del nostro filosofo, giusta la promessa di lui sotto titolo
di raccolta Empedoclea. E' sempre una singolar disgrazia il non potere
profittar delle fatiche degli uomini grandi. Le nostre librerie een prive non
che di manoscritti, ma scarseggiano ancora di libri. Non ci è venuto fatto di
ritroe' vare in esse nè pure lo stesso Stefano della poesia filosofica. Però,
mancan. ti gli aiuti, si è ito sù giù rifrustando an tichi scrittori per
cogliere or uno or due e di rado o sei, o dieci' o più versi di Emperlocle, che
sparsi si leggono in que sto, e in quell'altro. Fatica assai penosa, e ' tanto
più dura, quanto ha obbligato a durar quello stento, che farebbe chi il pri mo
si mettesse ad imprenderla, senza la spe. ranza di poter acquistare la gloria
debita a chi il primo l'avesse intrapreso. Unico conforto ne fu un Simplicio
dell'edizione d'Aldo, trovato nella libreria de' PP. Tea tini di Palermo (giacchè
questi ne' suoi co. mentari d ' Aristotile rapporta molti versi d ' Empedocle ).
Da questo libro furon tratti non pochi de' versi d ' Empedocle, che si tro van
messi insieme. in quest'ultima parte. Ma il medesimo disgraziatamente fu ruba.
to in quella libreria. Però non fu conco duto di potersi più riscontrare i
versi rac colti col testo; e si è dovuto, congetturan, do quasi tentoni, quando
supplir qualche parola a caso tralasciata, quando correg gere alcuni versi, che
per la prima volta erano stati o male lètti, o falsamente scrit ti. Si è detto
tutto ciò non perchè s' am. bisca lode di questa qualunque siesi fati ca; ma
perchè se ne abbia anticipato come patimento. In altri paesi d'Europa la race
colta de' versi d' Empedocle o gia è stata egregiamente recata in pubblico; o
se non è stata ancor fatta, si potrà certamente fare e più abbondante, e più
corretta, e più dotta, che non è questa. Non è quin 191 di la stessa da
considerarsi come un ope. ra perfetta, o degna degli sguardi de' Dot ti. Si
desidera soltanto, che si tenga la medesima, come un annotazione, con cui si
provano i pensamenti d' Empedocle espo sti nella terza Memoria. Ma comunque ciò
sia egli è certo, che i versi d'Empedocle smentiscono coloro, che portano
opinione lui essere stato o di niú no o di poco valore in poetica. Si fondan
costoro sopra Plutarco (1 ), il quale dice Empedocle avere ornato col metro i
suoi discorsi per evitare l'umiltà della prosa. Ma non si accorgono aver loro o
mal inte so o sinistramente interpetrato Plutarco, il quale pretese sol
definire, che sia stata di dascalica la maniera poetica del nostro filosofo.
Questa, come quella, ehe tratta e di filosofia, e di precetti sdegna le finzio.
ni e l'invenzione, in cui il pregio, il bel lo, e la natura consiste d'ogni
poesia. Per rò quegli disse, ch'Empedocle avea preso De Aud. Poet. 192 dalla
poesia, senza più, e la pompa, e il meiro. Questo stesso avea già gran tempo
prima annunziato Aristotilo, che fu non che savio ma di gran sentimento nelle
co se poetiche. Egli, a distinguer la poesia d' Omero da quella d'Empedocle,
affermò i uno e l'altro, tranne il metro, nulla tra loro aver di comune. Perché
Omero era un Poeta, com’ei diee, ed Empedocle un fisiologo (1 ). Ma se
Empedocle, qual didascalico, non merita é nome e lode, che si convie ne a poeta,
non si pao negare aver lui necupato in que' dì il primo luogo tra di dascalici,
Aristotile di fatto non seppe in miglior modo contrassegnare la differenza tra
la vera poesia e la didascalica, che comparando tra loro il più gran poeta e il
più eccellente didascalico; Omero ed Em pedocle. Nè altrimenti si pensò ne '
tempi d' appresso. Cicerone chiama egregio il poe (1 ) De Poet. cap. 1. 793 ma
d'Empedocle sulla natura. Anzi mettendo egli a confronto i versi di Par menide,
di Xenofane, e d' Empedocle, che furon tutti tre poeti didascalici, dice aper
tamente, che più belli ed eleganti erano i versi del nostro filosofo. Che se
poi mancasse ogn'altro argomento ad apprez zare il merito di lui, sarebbe
certamente bastevole il sapere i poemi d'Empedocle es sersi cantati ne'
pubblici giuochi di Grecia. Ognun sa, che questa, piena allora di gu sto, e
severa nel gindicare, non concedea tali onori se non a soli grandiuomini. Nel
resto ciascuno su cið, o del raffinamento del la poetica d'Empedocle, ne può da
ise giu dicare. Il solo leggere i frammenti, che ci sono restati, basta a far
che chiunque ne resti persuaso e convinto. Il dialetto de' Siciliani e de'
Pittagorici era comune; e questo appunto era il Dori co. Pure G. avvegnache
fosse stato Lib. 1 de Orat. (Acad. Quaest. l. 4. Ъь 194 o SICILIANO e
Pittagorico, non mise in opera, che il dialetto Jonico, coine quello, ch'era
tra Greci poeti il più polito e gentile. Fu inoltre la musa di G. dolcissima. E.
gli ne' suoi versi non sol si servì di quel dialetto, ma nel farli scelse le
parole più dolci e sonore. Platone, parlando d ' Era clito, d'Empedocle, dice
che le muse di quello eran più dure, e le altre di questo più molli (1 )
ancorchè l' uno e l'altro aves sero usato il dialetto medesimo degli Jonj
Plutarco stesso poi non lascia di notare, che gli epiteti apposti da Empedocle
non erano, come per lo più esser ' sogliono ne' poeti, di puro ornamento, ma
esprimeano la natura delle cose. Ne cita egli di fatto l'aggiunto dato da
Empedocle a Ve. nere qual datrice di vita; il sempre verdeg: giante dato
all'alloro; l'abbondante di san gue adattato al fegato: e altri simiglianti.
Anzi il medesimo Plutarco da a G. Plut. in Sophista. Plut. Sympos. l. 6 Erotic. il vanto d' aver meglio e più: destramento
usato d'aleuni epiteti d'Omero: Ne reca ' egli in pruova l'aggiunto d'agglome
rator di nubi, che questi attribuisce a Gio ve, e quegli all' aria, e l'altro
di difena SOF del corpo, che Omero dà allo seudo, ed Empedocle all'anima. Ma
perchè più dilungarci in rapporta: re antichi testimonj su cið? I franımenti
stessi d ' Empedocle chiaro ci mostrano l' éc cellenza della sua poesia. Basta
dirsi aver lui tenuto Omero per modello nelle sue o pere poetiche. Le voci, le
frasi, le me taforé, la giacitura delle parole, le desi nenze de' versi son le
medesime in quello, che in questo. Si può quindi dir con ra gione l'apparenza
de' suoi versi, e la sein bianza de' suoi poemi essere stata tutta di Omero.
Oltre che riluce in lui una viva cità nelle immagini, e una novità sin"
nel le stesse parole. Moltissimi sugi epitéti ed espressivi e leggiadri non si
trovano in al Plut. Symp. cun altro poeta: 1. pesci, per tacer d i tant
altri, " sono chiamati da lui quando nutriti, quando abitatori dell'acqua;
gli uccelli cimbe volanti; gli Dei ' di lunghissi. mi secoli. Anzi Aristotile
nella sua poeti ca indica come una metafora assai bella, e allora nuova,
quella con cui Empedocle esprime la vecchiaja; chiamandola l'occa. so della
vita. Chiunque poi legge nelle sue opere la descrizione della natura; "
che qual pittore con quattro colori, fa tutte le co se con quattro elementi; o
l' altra della visione, che comparata a una lucerna, fa le sue funzioni; o
quella della clessidra, o cose simiglianti ', non gli potrà certo ne gare il
pregio, che si conviene a vaga e bella fantasia. Per lo che da' framinenti di
G. si prende quel diletto, che pigliar si suole guardando i rottami d'una
qualche nostra Greca Sicola anticaglia. Nel mettersi insieme si fatti frammen,
ti si sono in prima distinti i versi, che appartengono al poema della natura,
da. quelli, che fan parte dell'altro sulle pur 197 1 lande prezi Foce cck que
nal elle gazioni. Ciò non è riuscito punto difficile, Perchè il primo tratta di
cose fisiche, e 'l secondo di cose morali. In quello d'ordi nario, perchè
diretto al colo Pausania i verbi si trovano in singolare. In questo all'oppesto
perchè indirizzato a Gergentini, i verbi si leggono in plurale. Perd e dalla
sintassi e dalla materia è stato age vole il se parare i frammenti d'un poema
da quelli dell'altro. Si sa oltr'a ciò il poema di G. sulla natura esser.
diviso in tre libri. Molti stenti ha costato il congetturare qua li sieno stati
trà versi, che ci restano, quel li che appartengono o al primo, o al se condo,
o al terzo, In çiò fare è stato di mestieri ricercare se per avventura gli
scrit tori, che ne riferiscono i frammenti, aba biano citato il libro. Talora
d' alcuni ver si, che certamente si sa dalla testimonian za degli scrittori
doversi collocare in uno de' tre libri, si è rilevata la materia, che in
ciascuno di essi trattavasi dal no stro Gergentino, Stabilita poi la materia la
ni che ung en. he da ur. 198 stato ben facile il riferire allo stesso li bro
tutti que' frammenti, che si versano sullo stesso soggetto. Ma non di rado con
frontando i frammenti tra loro si è trova to, che alcuni finiscono con versi,
che son principio di altri. Con tale studio quindi e simigliante artifizio si è
cercato di collo care o prima, o dopo alcuni frammenti, che sono dello stesso
libro. Nel resto sarà meglio il tutto giustificato nelle note, e l' ordine con
cui sono rapportati i frammen ti, e l'autore, da cui sono stati ricavati e
l'intelligenza, con cui sono stati interpe trati '. Fra tanto se questo
qualunque siesi lavoro non sarà stimato degno di lode, po trà almeno, meritare,
nell' emenda de dete ti il perdono del pubblico. RACCOLTA DE FRAMMENTI. ΠΕΡΙ
ΦΥΣΕΩΣ βιβλ. α. Παυσανία συ δε κλυθι δαίφρονος Αγχίτου υιε. Εστί αναγκης χρημα
θεων σφραγισμα παλαιον Αϊδιον πλατεεσσι κατεσφραγισμενον ορκοις Τεσσαρα των
παντων ριζωματα πρωτον ακους Ζευς αργής, ηρητε φερεσβιος η αίσθωγευς Νηστις θ'
' δακρυοις τεγγα κρενωμα βρoταον Των δε συνερχομενων εξ εσχατων ιστατο νακος
Διπλ' ερεω: τοτε γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ ' αυ διεφυ πλέον
εξ ενος ειναι Δοιη δε θνητων γενεσις δοιη και απολαψις Την μεν γαρ παντων
συνοδος τικτατ’ ολεκτιτε Ηδε παλιν διαφυαμενών θρυφθασα γε δρυπτα Και ταυτ
αλλασσοντα διαμπερες εποτε λήγα DELLA NATURA Lib. I. Pausania figliuol del
saggio Anchito Tu ciò, ch ' io dico, attentamente ascolta E' volere del Fato, è
degli Dei Decreto antico, che ab eterno fue Segnato con solenni giuramenti. Il
bianco Giove, la vital Giunone, E Pluto, e Nesti, che piangendo irriga I canali
dell'uom, son d'ogni cosa, Odimi in prima, le quattro radici. Ma come quelli
tra di lor s'accozzano Dall' ultimo confin sorge la lite. Dųe son le cose, ch'
a narrarti io prendo: Ora l'uno dal più risulta, ed ora Nasce dall' uno il più:
cosa mortale Doppio ha nascimento, e doppia ha morte. Genera, e strugge l '
union del tutto; E questa sciolta, torna pur di nuovo CC 20 2 Αλλοτε μεν
φιλοτητί συνερχομεν ’ ας εν απαντα Αλλοτε αυ διχα παντα φορεμενα νακεος εχθα
Εισοκες αν συμφωντα το παν υπενερθε γενητα. Ουτως η μεν εν εκ πλεογων μεμαθηκε
φυέσθαι Η δε παλιν διαφυγτος ενος πλεον εκτελεθεσ: Τη μεν γίγνονται τε και και
σφισιν εμπεδος αιων Η δε διαλλασσονται διαμπερες αποτε ληγει Ταυτη α εν εασσιν
ακινητα κατα κυκλoν. Αλλ' αγέ μυθον κλυθι - μεθη γαρ τοι φρεγας αυξ Ως γαρ και
πριν ειπα πιφασκων πειρατα μυθων Διπλ’ ερεω: τοτε μεν γαρ εν αυξηθη μονον ειναι
Εκ πλεονων τοτε δ' αυ διεφυ πλεον εξ ενος αναι Πυρ και υδωρ και γαια και κερος
απλετον υψος Νικοστ' αλομενον διχα των αταλαντον εκαστον Και φιλοτης εν τοισιν
ιση μηκοστε πλατοστε Την συν νω δερκε μη δ ' ομμασιν ησο τεθηπως Ητις και
θνητοισι νομιζεται εμφυτος αρθροίς Tητε φιλαφρονεας ιδ ' ομοιϊα εργα τελεσι
Γιθοσυνην καλεοντες επωνυμον ιδ " αφροδιτην Την στις μετ ' οτοίσιν
ελίσσομενην δεδαηκε. Θνητος ανηρ συ δ' ακ8ε λογων στoλoν εκ απατηλον Ταυτα γαρ
ισα τε παντα και ηλικα γενναν εατσι Τιμης δ' αλλης αλλο μεδα παρα δ ' ήθος
εκαστω Εν δε μερά κρατεεσι περίπλομενοιο χρονοιο. Και προς τους ατ' αρ'
επιγιγεται δ ' απολήγα Ogni cosa, ch' è nata, a separarsi. Tutto alterna cosť,
e così dura Eternamente: ed ora in un si accozza Per la virtù dell' amicizia,
ed ora Per l'odio della lite si sparpaglia, Standosi in aria, finchè non si
unisca, Cosi l'uno dal più nascer costuma. Cosi dall' un già nato il più
rinasce. Entrambi han vita; ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l' uno e
l'altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra di un cerchio eternamente
gira. Ma tu il mio parlare attento ascolta, Che lo spesso sentire, e risentire
La mente aguzza. Come pria ti dissi Raccogliendo la somma del discorso Due son
le cose, ch'a 'narrarti io prendo. Ora l'uno dal più si forma, ed ora Nasce
dall' uno il piii; ch'è terra, e fuoco, και ed aria d'un'immensa altezza, Oltre
di questi, che tra lor son pari, Havi lite dannosa, ed amicizia, Ch'ha per
lungo, e per largo egual misura.?' u colla mente la contempla. Invano Ed acqua,
CC Η Ειτε γαρ εφθαροντο διαμπερες εκετ ’ αν καισαν. Τατο δ ' επαυξησε το παν τι
κε; και ποθεν ελθον; Πη δε κεν απολοιτο επει των δ ' δεν ερημον; Αλλ ' αυτ ’
εστιν ταυτα διαλληλων δε θεοντα Γινεται αλλοτε αλλα διηνεκες αιεν ομοια (4).
205 Stupidi gli occhi sopra dessa fisi. Questa d'ogni mortal nelle giunture Si
vuole innata, e chi n'han senso in mente Fanno, comº essa fa, opre leggiadre.
Di Venere col nome o d'allegrezza La chiamano, sebben finor niuno Seppe
indicare dentro a quali cose Si aggirasse involuta. O tu niortale, Ascolta i
detti, che non son fallaci: L'amicizia, e la lite sono eguali, Hanno la stessa
età, l' origin stessa Sol con diverso onor l ' una sull'altra Impera, e piglia,
com'è lor costume, Il comando a vicenda al fin del tempo, Scritto a ciascuna
dal voler del fato. Nulla viene oltr' a ciò, ch' ancor non è Nulla di quel, che
è, desser finisce; Se pur finisse., riaver non mai Potrebbe in alcun tempo
l'esistenza. Doy ' andrebbe a perir, se non v'ha luogo Di ciò solingo, ch'al
presente esiste? E se quel', che non è, ora venisse D ' onde verrebbe? e che?
come potrebbe Accrescer questo tutto, s' egli è tutto?? Επι νεικος μεν
ενερτατον ικετο βενθος Δινης εν δε μεση φιλοτης στροφαλιγγα γένηται Εν τη δη
ταδε παντα συνερχεται εν μονον είναι Ουκ αφαρ αλλα θελυμμα συνισταμεν αλλοθεν
αλλο Των δε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρια θνητων Πολλα δ' αμικτ ’ εστηκε
κερασσαμένoίσιν εναλλαξ Οσσ ' ετι νεικος ερυκς μεταρσίον • 8 γαρ αμεμτώς Το παν
εξέστηκεν επ ' εσχατα τερματα κυκλα Αλλα τα μεν τ ' εμιμνε μελεων τα δε τ ’
εξεβεβηκεν Οσσον δ ' αιεν υπεκπροθεει τοσον αιεν επηει Η επιφρων φιλοτης
αμεμπτως αμβροτος ορμη Αιψα δε θνητ’ εφυοντο τα πριν μαθον αθανατ’ είναι Ζωρα
δε τα πριν ακρητα διαλλαξαντα κελευθες Των δε τε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρία
θνητων EΠαγτ οιαις ιδεησιν αρηροτα θαυμα ιδεθαι Sempre dunque le cose son le
stesse, Si mischian, si separano, a vicenda Movendosi tra lor, e nascon sempre
Novelle forme, ma tra lor simili. Avea la lite già toccato il fine Ultimo del
girar, quando amicizia Del cerchio, in cui si volge, al centro arriva. Tutte le
cose allor vanno ad unirsi Per fare l'un; ma a poco a poco il fanno, Base a
base di quà di là giungendo. Dagli elementi, che tra lor si mischiano Razza
infinita di mortali nasce. Ma in mezzo a que', che s'accozzar, vi furo Altri,
che ' ncontro senzı alcun miscuglio Restaron puri; perchè lite ancora In alto
li tenea Piena di colpa Ella com'è, voleva il tutto scisso Sull' estremo confin
del cerchio trarre. Però de' membri, alcuni fuor spuntaro, Ed altri nò. Ma
quanto innanzi corre Sempre la lite, tanto sempre è pronta L ' amicizia a venir
saggia, divina, Nuda di colpe, d' immortale forza Σ Η δε χθων τατοισιν ιση
συνεχυρσε μαλιστα Ηφαιστω τ ' ομβρωτε και αθερι παμφανοωντι Κυπριδος ορμησθεισα
τελειοις εν λιμενεσσιν Ειτ ' ολίγον μειζων ειτα πλεον εστιν ελασσων Ίων αιματ’
εγένοντο και αλλης ειδεα σαρκος. Η δε χθων επικαιρος εν ευτυκτοις χοανοισι Τα δυο
των οκτω μερεων λαχε νηστιδος αιγλης Τεσσαρα δ ' ηφαιστοιο. Τα δ ' οστεα λευκα
γένοντο Αρμογιης κολλησιν αρηροτα θεσπεσιηθεν E nascer ecco, e divenir nascendo
Della morte alla falee sottoposti Que', che prima sapean esserne immuni, E
mutando sentier trovarsi misti Que', che puri eran pria senza miscuglio.
Formasi in somma dalle cose miste Un numero infinito di mortali, Che d'ogni
specie son, d'ogni figura, Si, ch'a vederli è certo maraviglia. Ne'porti
estremi della bella Dea Giunse la Terra là dov' ogni cosa Or di massa crescendo,
ed or mancando Il più meno si fa, e 'l meno più. Ivi la Terra in parte egual
s'avvenne All' aria trasparente, al fuoco, all'acqua, E da tale union indi
formossi Qualunque specie di carne, e di sangue. Quando la terra era d'amor
sospinta In pevere ben salde a sorte trasse Dell'otto parti, d' acqua chiara
due, Quattro di fuoco: e per divin volere Col glutin d'armonia tutte s'uniro:
dd διο Βελιον μεν θερμoν οραν και λαμπρον απαντη Αμβροτα γ οσσ ' εδεται και
αργέτι δευεται αυγη Ομβρον δ ' εν πασι νιφρεντα τε ριγηλοντε Εν δ ' αιης
προρεεσι θελυμγα τε και στερεωμα. Εν δε κοτω διαμορφα και αν διχα παντα
πελονται Συν δ εβη εν φιλοτητι και αλληλοισι ποθκται. Εκ τετων γαρ παντ' ην
οσσα τε εστι και εσται Δενδρατο βεβλαστηκε και ανερες ηδε γυναικες Θηρεστ’
οιωνοίτε και υδατο θρεμμονες ιχθυς Και τι θεοι δολιχαιωνες τιμησι Φεριστοι και
Αυτα γαρ εστι ταυτα δι αλληλων θεοντα Γινεται αλλείωτα E l'ossa bianche furon
tosto fatte. Da per tutto si vede il Sol, che desta Calore, e lancia della luce
i raggi, E quegli ancor, che senza morte sono, Quasi da fame o pur da sete
spinti, L'aria ricercar bianco splendente. Puossi ovunque veder l'acqua; che in
neve: Talòr si muta, e facilmente gela: o pur la terra, da cui vengon fuori Le
salde cose. Quando impera lira Tutto è biforme, ed ogni cosa è scissa, Ma
regnando amicizia il tutto corre Pronto ad unirsi, e l'una all' altra cosa Per
interno desir s'abbraccia, e stringe. Tutto viene da quelli, e per l'amore, Ciò,
che fu, cid, che è, ciò che sard, Germogliaro cosi alberi, e piante Nacquero
maschi, e donne, e fiere, e uccelli, E pesci ancor, che son d'acqua nutriti; O
pur gli Dei di secoli lunghissimi Chiari per gl' inni, e per gli onor prestanti.
Sempre in somma le cose soil le stesse, Sempre tra loro han moto, e cangian
forma. d d 2 Ως δ ' oπoταν γραφεες αναθηματα ποικιλλωσιν Ανερεσ αμφί τεχνης υπο
μη τινος δεδαωτες Οιτ ' επει καιν μαρψωσι πολυχροα φαρμακα χερσι Αρμονια
μιξαντε τα μιν πλεω αλλα και ελασσω. Εκ των αδεα πασ' εναλίγκιά πορσυνέσι
Δενδρεάτε κτιζοντες και ανερας nde γυναίκας Θηρας τ’ οιωνες τε και υδατο
θρέμμονες ιχθυς Και τε θεες δολιχαιωνας τιμησι φεριςτες Ουτω μη σ ' απατα φρενα
ως νυ κεν αλλοθεν «να Θνητων οσσα γε δηλα γεγαασιν εσπετα πηγήν. ταυτ ' ισθί
θεα παρα μυθον ακουσας Αλλα τορώς Εν δε μερα κρατεεσι περίπλομενοίο κυκλοίο Χα,
φθιγει ας αλληλα και αυξεται εν μέρει αισης Αυτα γαρ εστι ταυτα οι αλληλων δε
θεοντα Γιγοντα ανθρωποιτε και αλλων εθνέα θνητων: Αλλοτε μεν φιλοτητα
συνερχομεν ασ ενα κοσμου Qual dipintor nell'arte sua perito Sa' i quadri variar,
che la pietate Del tempio alle colonne, appende in dono A santi numi. Egli con
man piglian do Ora più, ora men di questo, è quello Colore, insiem con '
armonia li vmischia, E poi con essi va pingendo immagini Che son del tutto
simili agli oggetti: Uomini, donne, fiere, uccelli, e piante;. Ed i pesci, che
son đ 0 pur gli Dii di secoli lunghissimi Chiari per glinni, e per gli onor
prestanti; Cosi la mente certo non s'inganna Dº ogni nato mortal qualora dice
Esserne fonte sol quegli elementi. Tu.ciò, che ho detto, tieni pur per fermo.
Di tutto il nascer sai, fuorchè di Dio, Sul quale il mio parlar non è diretto.
acqua nutriti Or l'amicizia, ed or la lite impera Del cerchio intorno
rivolgendo i passi, E luña e l'altra, come vuole il fatoo Manca a vicenda, ed a
vicenda sorge. Sempre le stesse son, sempre alternando Αλλοτε δ ' αυ διχ'
εκάστα φορεμενα νικεος εχθα Εισοκεν αν συμφωντα το παν υπεγερθα γενηται. Ουτως
η μεν εν εκ πλεονων μεμαθηκε φνεσθαι Η δε πάλιν διαφωντος ενος πλεον εκτελεθεσι.
Τη μεν γίνονται και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε τα διαλλάσσοντα διαμπερές δαμα
λογια Ταυτη αιεν εασσιν ακινητα κατα κυκλος Σ Τεσσαρα των παντων ριζωματα
πρωτον ακα! Πυρ και υδωρ και γαιαν η αιθερος απλετον υψος Εκ γαρ των οσατ' ην
οσατ ' εσσεται οσσα τ ' εσσι(11 Αυταρ επε μεγα νεικος ενι μελεεσσιν ετρέφθασε
Ες τίμαστ' ανορεσε τελιoμενοιο χρονοιο Ο σφιν αμοιβαιος πλατεος παρεληλατο ορκα
Si muovono. Deil' uom la razza nasce, Tant' altre razze di mortali han vita.
Talor per amicizia in ordin bello Tutto si unisce; ma talor per stizza Di lite
il tutto si separa, è stassi Sospeso in alto, finchè non s'unisca. Cosi l'uno
dal più nascer costuma. Così dall' un già nato il più rinasce. Entrambi han
vita, ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l'uno, e l' altro Alterna, e
l'alternar non ha mai fine Sopra d'un cerchio eternamente gira. Quattro,
figliuol d'Anchito, in prima ascolta Son radici di tutto: il fuoco, e l'acqua,
La terra, e l ' aer d'un immensa altezza; Perchè da questi sol viene, e deriva
Ciò, che fu ', ciò, che è, ciò, che sard. Dopo, che lite, la gran lite ascosa
Era stata ne' membri, il tempo scorso, Agli onori salt. Perchè l'impero
Alternar si dovea, com'era scritto Con solenne, ed eterno giuramento. 256 Αρτια
μεν γαρ αυτα εαυτων παντα μερέσσιν Ηλεκτωρτε Χθωντε και κρανος ηδε θαλασσα Οσσα
Φιν εν θνητοίσιν αποπλ.αχθεκτα πεφυκέν. Ως δ ' αυτως οσα κρασιν' επαρκεα μαλλον
εασσιν Αλληλοις εστερνται ομοιωθεντ' αφροδιτη. Εχθρα πλειστον επ', αλληλων
διεχεσι μαλιστα Γεννητε κρασατε και αδεσιν εκμακτρισι Παντη συγγίγεσθαι αηθεα
και μαλα λυγρα Νακεσ γεννηθεντα οτι σφισι γεννας οργα ,. Αλλο δε τοι ερεω •
φυσις αδενος εστιν απαντων Θνητων εδε τις ολομενα θανατοιο τελευτη Αλλα μογον
μιξις τε διαλλαξις τε μιγεντων Εστι. φυσις δε βρoτοις ονομαζεται ανθρωποισι Οι
δ ' οτε δε κατα φωτα μιγεν φως αιθερι κυρα Η κατα θηρων αγροτέρων γενος και
κατα θαμνων Ηε κατα οιωνων τοτε μεν τα δε φασι γενεσθαι 217 Tutto è perfetto,
perchè tutto ha pari Íl numer delle parti, che il compone. Tal è la Terra, il
Sole, il Cielo, il Marc E tutto quel, che tra mortali errando Miste ha le parti
giusta sua natura. Ciò, che ridonda poi al lor miscuglio Da Venere s ' unisce
al suo simile, Giacchè le cose simiglianti forte S'aman tra lor. Na spesso le
divide L'inimicizia. Nascon quindi mostri Strani assai per la stirpe., e per la
tempra, E per le forme, ch' hanno in loro impresse; Perchè la lite li produce
allora Ch' appetiscon le cose il generare. Un altra cosa a dichiararti io
prendo: Nulla ha natura, nè mortale ha morte, Che danno arrechi. Perch' è sol
miscuglio, E delle cose miste è scioglimento Ciò, che natura gli uomini
chiamaro. Quando a caso nell'aria s'imbatte Il miscuglio, che fa dell' uom la
razza, O quella degli uccelli, o delle piante, Ευτε ο αποκριθωσι τα δ ' αυ
δυσδαιμονα ποτμαν Ειναι καλεσιν Βιβλ. β. Νυν δ ' αγε πως ανδρωντε πολυκλαυτωντε
γυναικων Εννυχιες ορπηκας ανήγαγε κρίνομενον πυρ Των δε κλυθ'.8 γαρ μυθος
αποσκοπος εδ' αδας μων Ουλοφυες μεν πρωτα τυποι χθονος εξανατελλον Αμφοτερων
υδατοστε και αδεος αι σαν εχοντες τετ' ανέπεμπε θελον προς ομοίον ευεσθα Ουτε
τυπω μελεων ερατον δεμας εμφαινοντες Ουτ’ ενοπην ετ ' αυ επιχωριον ανδρασι,
ηουν Πυρ μεν Πολλα μεν αμφιπροσωπα και αμφιστερνα φυέσθαι Βεγενη ανδροπρωρα τα
δ ' εμπαλιν εξανατέλλας Ανδροφυη βεκρανα μεμιγμεγα τη μεν υπ ανδρων Τη
γυναικοφυη σκιεροις ήσκημενα γυιοις O de' bruti selvaggi, allor si dice Che
nascon essi; e quando si discioglie Il miscuglio di lor, ch' han trista morte. Come
nel separarsi il fuoco trasse De' maschi i germi oscuri, e delle donne, Che
piungon molto, odimi, che 'l dire Rozzo non è, nè fuor sen va del segno.
Perfetti in prima dalla terra i tipi Spuntaron tutti. Ma siccome il fuoco Su
n'esulò il suo simil -bramando, Restaron quelli sol umide forme, e l'immago per
lor parti aventi. Però nel tipo de' lor membri ancora Non mostravan ľamabili
fattezze Del corpo, non ancor l'organ di voce, Nè la natia degli uomini favella.
L'acqua, Nascon de' mostri con due facce, o petti.. Bovi son questi con umano
volto, Comini quelli con bovina testa, D'opachi membri son forniti, e tutti e e
2 2 20 Η μεν πολλαι κορσαι αγαυχενες εβλαστησαν Οφθαλμοι δε επλασθησαν γαρ
πτωχοί μετωπων (18 Βραχιονες γυμνοι χωρίς μορφονται γε. ωμων (19). Τατον μεν
βρoτεων μελεων αριδαιαστον ογκον Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν' ας εν απαντα
Για το σωμα λελογχε βια θαλέθοντος εν ακμή. Αλλοτε δ ' αυτε κακησι διατμηθοντ ’
εριδεσσιν Πλαζεται ανδιχο εκαστα περι ρηγμινι βιοιο. Ως αυτως θαμνοισι και
ιχθυσιν, υδρομελαθροις Θηρσιτ’ οραμελεεσσιν ιδε πτεροβασμισι κυμβας (20 Σδε δ
αναπνα παντα και εκπγ: πασι λιφαιμο ! Σαρμων συριγγες πυματον κατα σωμα
τετανται Και σφιν επιστομίοις πυκνοις τετρηντα αλοξι Ριγων εσχατα τερθρα
διαμπερες. ωστε φαγον μεν Σ 221 L'han di maschio, e di donna insiem confusi
Sorsero teste senz' aver cervici. Privi di fronte furon fatti gli occhi. Nude
le braccia senza spalle fatte, I membri umani giaccion tutti in massa Bella, e
vistosa. Per anior talvolta S' uniscono tra loro, e corpo a caso Nel fior si
forma della verde etate. All'opposto talor spiccansi i membri Per trista lite,
e quà e là d' intorno Alla spiaggia di vita erran divisi. Apvien ciò pure agli
alberi, alle fiere Che montanine son, a pesci ancora Abitator dell acqua, ed
agli uccelli Che solcan l ' aria coll ' alate cimbe Ecco nel respirar come da
tutti L' aer dentro si tira, é fuor si manda, Delle vene i canali si propagano
Agli estremi del corpo, e metton capo Delle nari ne' solchi, in cui le
punte Σ Kευθαν αιθερι δ ευπορίαν διο
οισι τετμησθαι Ενδεν επαθ οποτ.ν μεν επαίζη τερεν αμα Αιθαρ παφλαζων
καταϊσσεται οίδματι μαργω. Ευτε δ ' αναθρησκ 4 πμλιν εκπν: 1. ωσπερ οταν πας
Κλεψυδρας παιζοσα δι ευποτρος καλκoιο Ευτε μεν αυλα πορθμον επ' ευκαδα χερι
θισα Εις υ2τος βαπτητι τερεν δεις αργυφεοιο Ουδε γ' ες αγγος ετ’ ομβρος
εσέρχεται αλλα μιν εργ ! Αερος όγκος εσωθι πεσων επί τρηματα πυκνα Σισοκ α τ
οστεγασι πυκνον ρέον. αυταρ επάτα Πνευματος ελλειποντος εσέρχεται αισιμων υδωρ.
Ως γ' αυτως οθ' υδωρ μεν εχω κατα βενθεα καλκα Πορθμα χωσθέντος βρoτεί » χροι
ηδε πορο! ο Αιθήρ δ' εκτος εσω λελιημενος ομβρον ερυκα Αμφι πυλας ισθμοιο
δυσηχεος ακρα κρατύνων Εισοκε χέρι μεθ, τοτε δ' αυ παλιν εμπαλιν και πριν
Πνεύματος εμπίπτοντος υπεκθι αισιμον υδωρ - Ως δ' αυτως τερέν αιμα
κλαδισσομενον δια γυιων Οπποτέ μεν παλινoρσον επαιν5 μυχονδε Θατερον ευθυ, ρεμα
κατερχεται οι ματι θυον Ευτε δ' αναθρων Α4 παλίν ειπν.4 ισον οπισσα Hanno
sturate, Ma di sangue in parte Sono que tubi, e non del tutto pienii. Però
calando giù s'occulta il sangue, E lascia all ' aer libera ed apertit
Dell'entrata lu vir per le bouciucce. Avvien cosi, che quando il sangue molle
In gil si lancii nell'interno, tosto L'aria, che ferve, con sue vacue bolle
Entra con furia. E quando poi balzando Ritorna il sangue, torna fuor di nuovo
Uscendo l'aria. Guarda quà donzella Intenta a trastullare colla clessidra Di
facil bronzo, ch'al martello regge. Empier d'acqua la vuol: perciò ne tura
Colla sua bella man prima la bocca Dell'orifizio, e quindi per la base Di
spessi forellin tutta bucata L'immerge in mezzo della limpid' acqua. in questa
intanto dentro non penétra Perché l'aria racchiusa nella clessidra Sovrastando
a' forami con la molla L ' acqua preme, sospinge, ed allontana. Che se appena
riapre la donzella Il già chiuso orifizio, di repente Ως δ ' οτε τις προοδον
νοεων ωπλίσσάτο λυχνον Χειμεριην δια νυκτα πυρος σέλας αιθομελοιο L'aria sen
fugge; e come questa manca L'acqua fatale, che presiede all' ore, Ch'entrar
pria non potea, entra nel vaso. La clessidra è già piena: or la donzella In
altra guisa guarda là, che gioca. Ella con man turandone la bocca Dalla base
forata vuol che cada L' acqua fatale, di cui quella è zeppa. Ma cupido d '
entrar laer di fuori Quasi forte confin l ' acqua ritiene Intorno á forellini
gorgogliante. Se quella poi leva la mano, allora All'opposto di pria laer di
sopra Cadendo all ' acqua ý giù la manda, è questa Per gli forami della base
gronda. Tal è del sangue, che colante scorre Per le membra. Se presto si ritira
Affollandosi in dentro, allor di colpo Schiumosa l' aria con vigor rientra. Poi
quel ratto s' avanza, e questa fuori Esce coil passo egual retrocedendo. Come
d'inwerno per l'oscura notte Chi prende a viaggiar prima prepara Αγας παντοίων
ανεμων λαμπτηρας αμοργός Οιτ ' ανεμων μεν πνευμα διασκιανασι αεντων Φως δ ' εξω
διαθρωσκον οσον ταγαωτερον ηεν Λαμπεσκεν κατα βηλον αταρεσι ακτινεσσιν. Ως δε
τον εν μηνιγξιν εεργμενον ωγυγίον πυρ Λεπτησιν οθονησιν εχευατο κακλοπα κερης
Αι δ ' υδατος μεν βενθος απεστεγον αμφινααντος Πυρ δ ' εξω διαθρωσκον οσον
τανάωτερον Μεν U Βιβλ. και Ου τοσε τι θεος εστιν και τοτε και τοδε Ουκ έστιν
πελασθαι εν οφθαλμοίσιν εφικτος Ημετέροις η χέρσι λαβαν υπερτε μέγιστη Πειθες
ανθρώποισιν αμαξιτος ας φρεγα πιπτα. Ου μεν γαρ βροτεη κεφαλη κατα γυια κεκασθα
Οι μεν απαι γωτων γε δυο κλαδοι ασσεσιν Lampade,.e lume di un ardente fiamma, E
poi li mette dentro una lanterna, Che da venti difenda la fiammella; Perchè di
questi come van spirando Disperge il soffio. Ma di fuor si lancia La luce,
intanto, e quanto più si estende, Tanto illumina più presso la struda Corai di
notte vincitor non vinti; Cosi il naturale antico fuoco, Che la pupilla
circolure irradia, Stassi dell' occhio in le membrane chiuso Sottili al par di
vel, che dall ' umore, Il quale in copia dall' intorno scorre Tutto il difendon.
Ma di là movendo Quanto più lungi puà fuori sį spande. Nè questo, o quello, nè
quell' altro è Dio, A noi cogli occhi non è mai concesso Di poterlo veder, nè
colle mani Di poterlo trattar: che della mente Esser suole la via grande, e
comune, Per cui persuasion entra nell' uomo. Οι ποσες και θοα γουνα παι μηδεα
λαχνηεντα Αλλα Φρην ιερη και αθεσφατος επλετο μενον, Φροντισι κοσμον άπαντα
καταϊσσεσα θοησιν ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ. Ει δ ' αγε νυν λεξω πρωθ ηλιον αρχην Εξ ων δη
εγενοντο τα νυν εσoρωμεγα παντα Ταράτε και ποντος πολυκυμων ηδ' υγρος αηρ Τιταν
η δ αθηρ σφιγγων περί κυκλoν απαντα Iddio non è di mortal capo ornato, Che su
membri s'estolle. A lui sul dorso Non spiegansi i due rami. Egli non have Ginocchia,
che al cammin ci fan veloci. Egli piedi non ha, nè quelle parti Che vergogna, e
lanugine ricopre. E mente sol, è sacra mente Iddio, Ch'esprimer non si può da
nostra lingua: In un istante tutta la natura Col veloce pensier ricerca, e
scorre. DELLA NATURA. V B R SI Che non si sa a quale de tre Libri appartengono.
Dirotti in prima co' mięi versi d' onde Ebbe origine il Sole, e d'onde
ogn'altro Che noi veggiam; l ' ondoso mar, la terra L'aria, che nel suo sen
chiude, e raccoglie Ogni umido vapor, la luce, e letere Che tutto cinge, e
tutto intorno avvolge. 23ο Πως και δενδρεα μακρα και ειναλιοί καμασκνες (25)
Ειπερ, απαρονα γης τε βαθη και δαψιλος αθηρ Ως δια πολλων δη γλωσσης ρηθεντα
ματαιως Εκκέχυται στοματων ολιγον τε παντος ιδόντων Ουδε τι τα παντος κεγεον
πελα ουδε περισσον Ως γλυκυ μεν γλυκυ μαρπτε πικρον δ ' επι πικρον Ορέσες οξυ ο
επ ' οξυ εβη θερμον δ εποχευετο θερμος Γνους οτι παντων « σιν απορροια οσσ '
εγένοντο Kευθεα θηριων μελεων μυκτηρσιν ερευνων Ούτω γαρ συνεχυρσε θεων τοτε
πολλακι δ ' αλλος In qual maniera furon pria formati E gli arbor alti, ed į
marini pesci. Per la lingua di molti invan discorre La terra, e l ' Eter non
dver con fine Quella nelle radici e questo in alto. Ciò la bocca di color si
sparge per Che nulla, o poco sanno, e guardan lungi Colla veduta corta d'una
spanna » Vacuo non c'è, e nulla pur ridonda; U Dolce a dolce s' unisce, ed all'
amaro Corre l'amaro, e l'aspro all aspro vanne, E verso il caldo si conduce il
caldo. Ogni corpo, ch ' esiste, il dei sapere, Vibra lungi da se parti vaganti,
Fiutando indaga le ferine tane, Tale in quel punto s’intoppò correndo Ma in
altra guisa per lo più s' avviene οπη συγεκυρσεν απαντα Η δ ' αυ φλοξ ιλααρα
μινυνθαδικαις τυχε γαιης Κυπρίοδος εν παλαμης πλασέως τοιηστε τυχοντα Τη δε μεν
ιοτητι τυχης πεφρονήκεν απαντα Και καθ' οσον μεν αρμοτατα συγκυρσε πεσοντα Αλλα
οπως αν τυχη ΓIαντα γαρ εξακης πελειζετο γυια θεσιο (38) Και δα παρ’ ο δη καλαν
έστιν ακουσαι Ενθ' ουτ' ηελιοιο διειδετο ωκεα γυια Αρμογιης πυκίγως κρυφα
εστηρικτα Σφαιρος κυκλοτερης μοί1 περίγ 19 εκων Dove ogni cosa s' imbatte i Fiamma
lunare s' incont Insiem con Terra, che Nelle man di Ciprigna cost Col parer di
fortuna al tutto intese In quanto a caso s'accordar tra loro Nell'incontrarsi
Ma come sorte volle Tutte di mano in man le membra scosse Furon del Dio Ciò,
che è bello convien, che si ripeta Le pronte membra non vedeano il Sole Salde
in occulto d' armonia fur fatte In tonda sfera stretto quasi il tuttó Αυξα δε
χθων μεν σφετέρος γενος αθερα δ ', αι: θηρ Κατα το μαζων εμιγνυτο δαιμονι δαμων
Αιθηρ μακρησι κατα χθονα δυετο ριζας Οινος απο φλοιου πελεται σαπεν εν ξυλω
υδωρ (46) Αλλα διεσπασθαι μελεως φυσις ή μεν εν ανδρος Η γ ' εν γυναικος Μηνος
εν ογδοατα δεκάτη που επλετο λευκον Ως δ ' οτ’ οπος γαλα λευκών εγομφώσει και
εδησεν. Ουτω δε ωοτοκει μικρα δενδρα πρωτον ελαιας Νυκτα δε γαια τιθησιν
υφισταμενη φαεισσι Lieto dell'unità solingo gode: Aria ad aria s ' aggiunge, e
terra a terra; Il minore al maggior spirto s' unisce: Della terra le barbe aer
penetra; L'acqua scomposta sotto la corteccia Vino diventa, Della prole le
membra stan dis ise Parte nel maschio, e parte nella femina, Al giorno dieci
dell' ottaro mese Nelle poppe si forma il bianco latte. Come gaglio rappiglia
il bianco latte, Cosi da prima partoriscon l'uovo Gli arbor non alti della
verde uliva Luce impedendo fa la terra notte Ήλιος οξυβελης ηδε ιλαϊρα σεληνη
απέσκεδασε.αυγας Ες γαμαν καθυπερθεν απεσκιφωσε δε γαιης Τοσσον οσοντ ’ ευρος
γλαυκωσιδος επλετο μηνης Гщи ру тар уцау апожариву детi Uдор Ηερι δε ηερα διον
ατάρ πυρι πυρ αιδηλον Στοργην δε,στοργη κακος δε τε νεικεί λυγρω Παντα γαρ ισθι
φρονησιν εχαν και σωματος αισαν Λιματος εν πελαγεσι τετραμμενα αντιθρωντος Τη
τε νοημα μαλιστα κικλεσκεται ανθρωποισιν Αιμα γαρ ανθρωπους περι καρδιον εστι
νοημα Προς παρεον γαρ μητες αεξεται
ανθρωποισι οθεν σφισιν ας Και το φρογαν αλλοια παριστατα Dolce è la Luna, e
durdeggiante il Sole. Disperge i raggi sulla Terra, e sopra Tant è la luce, che
le fura, quanto Il disco è largo della glauca Luna. Terra veggiam con terra,
acqua con acqua, Aer divin con aere, e lucente Fuoco con fuoco, e con amore '
amore, E veggian lite con dannosa lite. Uomini, bruti e piante ben lo sai Han
tutii mente, e parte di ragione, Stassi la mente dove più ridonda II sangue,
che su giù sempre si muove, Perchè dal sangue, che circonda il core Il pensiero
nell' uom sua forza prende; Il pensare dell' uom cresce e al presente Però il
pensare sempre a lui diverse Mostra le cose. 238 Ενδ ' εχυθη καθαροισι τα δε
τελετουσι γυναικες Ψυχεος αντιασαντα Νηπιοι και γαρ σφιν δολιχοφρονες ασι
μεριμνα Οι δε γενεσθαι παρος εκ εον ελπιζασιν Ητοι καταθνησκαν τε και
εξολλυσθαι απαντη Αλλα κακοίς μεν καρτα πελ4 κρατ€8 σιν απιστών, Ως δε παρ' η
ιετερης κελεται πιστωματα μεσης Γναθη διατμεζεντα ενι σπλαγχνοισι λογοιο Ταυτα
τριχες και φυλλα και οιωνων πτερα πυκνα Και λεπίδες γιγνονται επί στιβαροισι
μελεσσιν αυταρ ελικος οξυβελας νωτοισι δ ' ακανθι επιπεφρικασι Της δαφνης των
φυλλων απο παμπαν εχεσθαι Col solito calor si forma il maschio Ma se l'utero
poi s'affredda a caso La famina ne vien. Stolti non lungi col pensier veggendo
Prendon lusinga di poter esistere Ciò, che innanzi non fu, o quel, ch'esiste
Potersi in tutto struggere, e perire. Il malvagio non crede, e non cedendo Alla
forza del ver, trionfo meni, Ma cosi detta, e vuole, che tu creda La nostra
musa. Tu dentro l'interno I detti scissi, ne penétra il senso. Della stessa
natura sono i peli, Degli arbori le frondi, e degli uugelli Le fulte piume, o
pur le squame sparse De' pesci sopra la ben soda carne. Ed il riccio marin, a
cui le spine Acute gli si arricciano sul dorso, Dalle foglie d' allor la man
ritieni Τετο μεν εν κογχασι θαλασσονομοις βαρυνωτοις Και μην κηρυκαντε
λιθορρινων χελυωντε Ενθ οψε χθονα χρωτος υπερτατα ναιεταεσαν Βυσσω δε γλαυκης
κροκο καταμισγεται Φυλος αμουσον άγουσα πολυστερεων καμασκηνων κορυφας ετεράς
ετεραισι προσαπτων Μυθων μητε λεγαν ατραπον μιαν Νυκτος ερκμαιης αλαωπιδος
Αλφιτον υδατι κολλησας θαλλαν Καρπων αφθονιισι κατ ηερα παντ εγιαυτον. Ουδε τις
ην κανοισιν Αρης θεος, ουδε Κυδοιμος Ουδε Ζευς Βασιλευς, ονδε Κρονος, ουδε
Ποσειδων Αλλα Κπρις Βασιλαα. Del mar le conche di pesante dorso, Il murice
riguarda, e le testuggini Che son coperte di petrose scaglie: Bene in questi
aninai veder tu puoi Come del corpo sta la terrợ in cima. Si mischia al bisso
il fior del croco azzurro. La goffa turba de' fecondi pesci Guidando Somma a
sonima giungendo del discorso Per diversi sentier prender cammino Della solinga
tenebrosa notte Coll acqua unendo la farina d'orzo. Germoglian ricchi di lor
frutta in tutte Le stagioni dell'anno in mezzo all' aria. Marte non han qual
Nume, nè Minerva Del tumulto guerriero eccitatrice: A Nettuno, a Saturno, Giove
il rege hh Την οιν' ευσεβεεσσιν αγαλμασιν ιλασκονται Γραπτοις δε ζωοισι,
μυροισι τε δαδαλεοδμοις, Σμυρνης τ' ακρητου θυσιαις λιβανου τε θυωσους Ξουθων
τε σπονδας μελιτων ριπτοντες ες ουδας Στανωποι μεν γαρ παλαμαι κατα για
κέχυνται Πολλα δε σαλεμπη α τατ ’ αμβλυνεσι μεριμνας Παυρον δε ζωησι βια μερος
αθροισαντος Ωκυμοροι καπνοίo δικην αρθεντες απεπταν. Αυτο μονον πασθεντες οτω
προσεκυρσεν εκαστος Παντος ελαυνομενοι και το δε ολον ευχεται ευρειν Ουτως ατ’
επιδερκτα τα δ' ανδρασιν ετ ' επακιστα Ουτε νοω περιληπτα ή και συ 80 επα ωο
" ελιασθης Πευσεαι.ε πλεον γε βροτάη μητις ορωρε Negano omaggio; e prestan
solo il culto A Venere Regina, che sdegnata Placan con santi simulacri, e pinti
Animali, e con mille odor, che l'arte Ingegnosa travaglia, o co' profumi Di
pura mirra, e d'incenso spirante Soave odore, e fanle sagrifizio Sopra la terra
il biondo miel spargendo. In parte angusta delle membra è sparsa La nostra
mente. Abbonda pur la cispa Ch' ottenebra il pensier, e ne' viventi Poch'è la
porzioni di vital forza, Che qual fumo sen fugge, allorchè morte Di repente ei
fura. E quindi ognuno, D' ogni parte sospinto, sol di quello, Cui per sorte s'
avvien, resta sicuro. Altero intanto di trovar presume Tutto, e saper ciò, che
non puossi ancora Nè veder, nè sentir, nè colla mente Comprendere dall ' uom.
Giacchè vagando in guisa tal ti scosti Prendi consiglio da ragion; che l'uomo
hh 2 Αλλα θεοι των μεν μανιην αποτρεψατε γλωσσης Εκ δ ' οσιων στοματων, καθαρην
οχετευσατε πηγην Και σε πολυμνηστη λευκο λενε παρθενε μεσα Αντομαι ων θεμις
εστιν εφημερoισιν ακ84ν Πεμπε παρ' ευσεβιης ελασσ' ευημιoν αρμα Μηδε σεγ
ευδοξοιο βιησεται ανθεα τιμης Προς θνατων αγελεσθαι εφ ω ' οσιη πλεον απον
Θαρσα και τοτε δη σοφιης επ ακροισι θοαζη Αλλα γαρ αθρεα πας παλαμη πη δηλον
εκαστον Μητε τιν οψιν εχων πιστει πλεον η κατ’ ακτην Η ακοην εριδαπών υπερ
τρανωματα γλωσσης Μητε τι των αλλων οποση πορος εστι νοησαι Γυιων πιστην ερυκε
γορα θ ' η δηλον εκαστον Col suo saper più oltre non s'inalza. Dalla lor lingua,
santi numi, tale Furor cacciate, e dalle vostre bocche La purissima vena in lor
sgorgate. Te Verginella bianchibraccia musa, Cui più corteggian disiosi amanti,
Te prego attente a porgermi l'orecchie A fin di quello udir, che lice all '
uomo, E come te non pungerà la gloria Fiori a coglier d'onor presso i mortali,
Perciò più cose ti potrò svelare. Ma agitando i destrier docili al freno Porta
da Religion lontano il carro. Prendi fidanzı: andrai ratta a sedere Di sapienza
allor sull’ alta cima. Colla ragion contempla il tutto, e vedi Ciascuna cosa
chiarų si, che certa Ti si dimostri. Ne maggior la fede Presta al senso di
vista, che all' udito; Nè all'orecchio, che raccoglie i suoni Credi più della
lingua, che discopre Le cose. Nè all'una più, ch' all'altra Credi di quelle vie,
per cui ci viene Πεση Φαρμακα και οσσα γεγασι κακών και γηραος αλκας ετα μενω
σοι εγω κρανεω ταδε παντα. Παυσις δ ' ακαματων ανεμων μενος οιτ' επι γαιαν
Ορνόμενοι πνοιαισι καταφθινυθουσιν αρουραν Και παλιν ην και εθελησθα παλιντονα
πνευματ' επαξές Θησεις δ ' εξ ομβροια κελαινα καιριον αυχμον Ανθρωποις θησας δε
εξ αυχι8οίο θεραου Ρευματα δενδρεοθρεπτα τα δ' εν θερι αησαντα Αξας δ ' εξ
αΐδαο καταφθίμενου μενος ανδρος La notizia de' corpi, ed il pensare. De' sensi
in somma poni giù la fede: Ti sia guida ragion, onde discerna In ogni cosa
chiaramente il vero. Quanti i rimedi fugator de' morbi, Come vecchiezza si
conforti, udrai. Che tutto a te io solamente suelo, De' venti infaticabili
frenare L'ira saprai; che con furor piombando Sopra la terra, col soffiare, i
campi Guastano tutti; o pur se n'hai piacere Concitar li potrai, se son
tranquilli. Saprai d'inverno tra procelle scure Produr di state il lucido
sereno, O pur nel fitto della secca state Produr le piogge, che nutriscon gli
alberi, E del caldo l'ardor tempran movendo Aure soavi. Giungerà tua forza Sin
dall'inferno a richiamar gli estinti ΠΕΡΙ ΚΑΘΑΡΜΩΝ. Ω Φιλοι οι μεγα αστυ κατα
ζανθου Ακραγαντος Ναιετ ακρην πολεως αγαθων μεληδεμονες εργων χαιρετ. εγω δ
υμιν θεος αμβροτος ουκ ετι θνητος ΓΙωλευμα μετα πασι τετιμένος ωσπερ εοικε
Ταινίας τε περιστεπτος στεφεσιν τε θαλαιης Τοισιν αμ’ ευτ ’ αν ικωμα ες αστεα
τηλεθοωντα Ανδρασι ηδε γυναιξι σεβιζομαι. οι δ ' αμ' εποντα Μυριοί εξερεοντες
σπη προς κερδος αναρπος Οι μεν μαντοσυνεών κεχρημενοι οι δε τι νουσων Παντοίων
επυθοντο κλύειν ευηκέα βαξιν Αλλα τι τοις δ ' επικειμ' ωσει μέγα χρημα τι πραση
σών Ει θνητων περιειμι πολυφθορεων ανθρωπων DELLE PURGAZIONI. Salvete, o miei
diletti, abitatori Dell' alta rocca, e della gran cittate, Che del biondo
Acragante bagnan l’acque. Salvete, o cari, cui virtute è cura. Immortale sori
Dio, nè qual mortale Sto più tra voi, d'onor, siccom'è giusto, Pieno fra tutti.
Allorchè cinto il capo Di larghe bende, e di festanti serti Io porto il piè
sulle città fiorenti, Corrono, e maschi, e donne a darmi culto. E mille, e
mille, che là van col passo Dove dritto il sentier li mena al lucro, Ali
s'affollan d'intorno nel cammino: E mi seguono ancor quelli, che intenti Stansi
a svelar dell'avvenir gli arcani, Ed altri, che saper bramano l'arte Sagace di
guarir qualunque morbo. Ma perchè mi dilungo tali cose Nel riferire, quasichè
d'eccelse Gesta pur si trattasse, se vincendo Ogni mortal, sopra di lor
m’inalzo? Σ Εστι δε αναγκης χρημα θεων ψηφισμα παλαιον Ευτε τις αμπλακιησι φονω
φιλα γυια μιανη Δαιμονες οιτε μακραιωνος λελογχασι βιοιο Τρις μιν μυριας ωρας
απο μακαρων αλαλησθαι Την και εγω νυν αμι φυγας θεοθεν και αλήτις Νακεί
μαινομεγω πισυνoς Αιθεριων μεν γαρ σφε μενος ποντον δε διωκεα Ποντος δ ' ες
χθονος ουδας ανεπτυσε γαιαδες αυ γας Ηελία ακαμαντος οδ ' αιθερος εμβαλε δινας
Αλλος δ ' εξ αλλε δεχεται στυγερσι δε παντες (8ο αγα λοιμωγατε και σκοτος
ηλεσκέσις be E ' volere del fato, è degli Dei Decreto antico, che s'alcun
peccando Di quegli spirti, che sortiron vita Lunghissima, lordò le proprie mini
Quasi di sangue, sia costui cacciato Lungi dall' alte sedi, in cui beata Vivon,
vita gli Dei, e vada errante In репа del fallir tapino in terra, Finché ritorni
primavera ai campi Tre volte dieci mila; ed un di questi Io son, ch' ora dal
Ciel men vo lontano Vagando quà, e là esul ramigo, Solo in poter di furibonda
lite. } L'aria gli spirti, che falliro, caccia In mar con forza, il mar li
getta in terra, La terra li rigetta su lanciando Del sole infaticabile ne'
raggi, D ' aria nel turbo il sole infin gli scaglia. L'un dopo l'altro van cosi
girando, E tutti traggan pien di duolo i giorni. Van per gli prati, e per lo
scuro erranti ii 2 252 Ενθα φόνoστε κοτοστε και αλλων εθνεα κηρων Κλαυσα τε και
κοκυσα ιδων ασυγηθεα χωρον Ω πoπoι η δειλον θνητων γενος ω δυσανολβον Οιων εξ
εριδων εκ τε στoναγων εγεγεσθε (84). Εξ οιης τιμης και οι μηκεος ολβα Εκ μεν
γαρ ζωων ετιθεα νεκρα «δε' αμκβων Σαρκων αλλογνωτί περιστελλασα χιτωνε Και
μεταμπεχασα τας ψυχας Ηλυθομεν του ' νπ ' αντρον υποστεγον Ηδη γαρ ποτ' εγω
γενομενην κεροστε κορητε Θαμνοστ’ οιωνοστε και εν αλι ελλοπος ιχθυς (89). Εν
θηρσι δε λεοντες οραλεχεες χαμαιεύναι Γιγονται σαν ναι εγι δενδρεσιν ηύκομοισιν
(go ). Ivi la stragge, e l'ira, ivi tant' altri Mali hanno sede. Insolito
abitar vedendo piansi. Ah! La razza mortal quant' è meschina ! Quanto infelice
! Quali affanni, e liti Siete nati a soffrir! Da quale onor son misero caduto,
Da qual grandezza di felicitate, Da vita a morte son, forma mutando L'alme
involgendo, e quasi ricoprendo Della straniera veste delle carni. inIn
quest'antro coperto al fin siam giunti. Fanciullo io fui un di, donzella,
uccello, Albero, e senza voce in mar fui pesce, Qual sopra ogn'animal s'alza il
Leone Giacente in terra, abitator de monti 254 Εν9 ' ησαν χθονιητε και Ηλιοπη
ταναίτις Δηρίς θ ' αιματοεσσα και αρμονίη ιμερωπις Καλλιστω τ’ αισχρητε θοωσατε
Δαναητε Νημερτης τεροεσσα. μελαγκαρπος Ασαφια Ξεινων αιδοιοι λίμενες κακοτητος
απαροι φιλοι οιδα μεν εν οτ ' αληθαη παρα μυθους, Oυς εγω εξερεω, μαλα δ'
αργαλειτε τετυκται Ανδρωση και δυσζηλος επι φρενα πιστέος ορμη (93) Ουκ αν ανηρ
τοιαυτα σοφος Φρεσι μαιτεύσατο Ως όφρα μεν τε βιωσι το δε βιοτον καλεσιν Τοφρα
μεν εν εστι και σφι παρα δειγα και εσθλα Πριν δε παγασαι βροτοι λυθεντες τ ’
εδεν αρ' εισιν(94 Αλλα το μεν παντων νομημον δια τ’ ευρυμέδοντος Tal su gli
arbor fronduti il lauro eccelle. Chtonia gº era là con Eliope Di larghi occhi,
e la cruenta Deri Con armonia, piena d'amor, nel volto. Vera del par Thoòsa, e
Deinèa E la turpe Callisto, e insiem l'amabile Nemerte, ed Asafia, che il tutto
oscura O Gergentini di mal fürè ignari Degno porto d'onor degli stranieri. Io,
mici cari, so ben ', che nel mio dire Stassi la verità dentro nascosa, Ala
della fe la forza l'uom travaglia E pena, e dispiacer gli reca in mente. Saggio
non v'è, che possa con sua mente Pensar, che l'uomo mentre vive questa, Che
chiaman vita, esista solo, e colga E beni, e mali; si che l'uomo nulla Sia
prima il nascimento, e dopo morte. Ma questa legge pubblicata a tutti Αιθερος
ηνεκεός τετατα δια τ ' απλέτε αυγης (95). Ου παυσεσθε Φονοιο δυσηχεος'; 8κ
εσoρατε Αλληλες δαπτόντες ακηδεμησι νοοιο;. Μορφήν δ ' αλλαξαντα πατηρ φιλον
υιόν αερας Σφαζα επευχομενος μεγα νηπιος και οι δε πορευντα Λισσομενοι θυοντες
οδ ' ανηκοστος ομοκλεων Σφαξας εν μεγαροισι κακης αλεγυνατο δαχτα Ως δ ' αυτως
πατερ' υιος ελων και μητερα παιδες Θυμoν απορραισαγτα. φιλας κατα σαρκας εδεσι
Oιμοι οτ’ και προσθεν με διωλεσε νηλεές ημας Πριν σχετλι’ εργα περι χειλεσι
μητισασθα! Dell' aria si distende per l'immenso Splendore, e l'alta region dell
Etere Che per lunghezza, e per larghezza è vasto.? Ancor si sparge per le
vostre mani IL sangue gorgogliante degli animai? Ah non vedete colla mente
piena Di sprezzo, che sbranandovi, a vicenda Vi diorate? E che mutata forma Il
padre alzando il suo caro figliuolo Lo scanna, e pazzo grandi cose prega Tutti
color, che sacrifizj fanno, Sen van supplici orando; ma quest'altro Nell'atto
di scannar gridi mandando D' udirsi indegni, in segno di minaccia Malvagio in
casa desinar prepara. Cosi talora avvien, che danno morte Il figlio al padre,
ed alla madre i figli, E questa, e quel fucendo privi d'anima Le care in cibo
ne trangugian carni. Perchè crudele il di ah non mi spense Prima, ch'avessi
fatto il gran peccato D' appor tal cibo sopra le mie labbra ! kk 558 Ταυρων δ '
ακρίτοισι φονοις και δευετο βωμος Αλλα μυσος τετ ' εσκεν εν ανθρωποισι μεγιστον
Θυμoν απορρασαντας εεδμεναι ηϊα γυια. Τοι γαρ τοι χαλεπησιν αλυοντες καιστησιν
Ου ποτε δαλαιων αγιων λεωφησετε θυμον. Ολβιος ος θαων πραπιδων εκτησατο πλετον
Διαλος δω σκοτοεσσα θεων περι δοξα μεμπλε Εις δε τελος μαντάστε και να τοπολοι
και 1ητροι Και προμοι ανθρωποισιν επιχθονίοισι πίλονται Ενθεν αναβλαστασιν θεοι
τιμηση φεριστοι Αθανατους αλλοισιν ομεστιοι αυτοτραπεζοι Ανδρομεων αχεων
αποκληροι εοντες απειροι. Non macchiava l'altar sangue innocente De’ tori un di.
Ma sommo allor misfatto Dagli uomin si credea privar dell' anima Gli animai, e
divorarne i membri in cibo. Chi dalla colpa, che da se molesta, E ' tormentato,
non avrà nell' animo Mai requie al suo misero dolore. Felice è quegli, che
possiede i beni Della mente divina, ed infelice E' quel, che male degli Di
pensando Ne porta tenebrosa opinione. I vati infine, ed i cantor degl' inni I
medici, ed i forti capitani, Che de' terrestri uomini son guida Ivi rinascon Dü
d'onor prestanti. Nella stessa magion, a mensa stessa Stando cogli altri Dii,
d'ogni vicenda D'ogni umarło dolor futti già privi. kk 2 16ο Ην δε τις.ν
κανοισιν ανηρ περιωσια αθως Ος δη μηκιστον τραπιδων έκτησατο πλετον Παντοίων τε
μάλιστα σοφων επικράνος έργων Οπποτε γαρ πασησι ορεξατο πραπιδεσσι Ραγε των
οντων παντων λευσεσκεν εκαστα Και τε δεκ ' ανθρωπων και τ' ακoσιν αιωνεσσι
ΕΠΙΓΡΑΜΜΑΤΑ Περι Ακρωνος • Ακρον ιατρον Ακρων ακραγαντινον πατρος ακρου Κρυπτα
κρημνος ακρος πατριδος ακροτατης Τιγες δε το δευτερον στιχον ουτω προφέρονται
Ακροτατης κορυφής τυμβως ακρος κατεχα (104) 261 5 Tra quelli o'era l' uom sopra
d'ogn ' altro Eccelso nel saper, che della mente L' altissimo tesor chiudea.nel
seno. Egli pieno d'amor tutti indagava De' sapienti i fatti, e le scoperte
Dotte di lor. E quando del suo spirto Ogni forza intendeva, ad una ad una Tutte
schierate le cose reali In dieci o venti secoli abbracciando Rapidamente col
pensier vedea. EPIGRAMMI INTORNO AD ACRONE. L'alto di gran saper medico Acrone,
Nato dun alto padre in G. Alta, rupe tien alta per sepolcro Della sua patria
posto in alta cima. Alcuni leggono così il secondo verso Alta tomba ritien
sull' alta cima аба. Περι Παυσαγικς Παυσαγι: ιητρον επωνυμον Αγχίτου υιον Φωτ’
Ασκλεπιαδης πατρις εθρεψε Γελα Ος πολλούς μογεροίσι μαρανομένους κεματοισι
Φωτας ατέστρεψαν Φερσεφονης αδυτων Δειλοί πανδειλοι κυαμας απο χειρος, εχεσθαι,
Ισον τοι κυαμες τρωγειν κεφαλασθα τοκων Ναν μα τον αμετερας σοφίας ευρoντα
τετρακτην Παγον αεγνας φυσεως ριζωμα τ' εχεσαν Di Pausania. Il medico che
nomasi Pausania E' d' Anchito figliuol', è discendente Degli Asclepiadi, ed ha
per patria Gela, Che lo nutri. Costui molti languenti I'er penosi malor dalle
segrete Di Persefone stanze a forza trasse. Versi d' incerto Autore attribuiti
da alcuni ad Empedocle. Scostate, o miseri, del tutto in felici Dalle fave la
mun: mangiar di queste Egli è privare i genitor del capo. Giuro per quel, che
nella nostra scuola Scoperse il qucttro, che racchiude il forte, E la radice
eterna di natura. ANNOTAZIONI ALLA RACCOLTA DE FRAMMENTI. Questo verso si trova
presso Laerz. in Emp. Egli dice ny de o lavraylas spwjeevas αυτε, ω δη και τα
περι φυσεως προσπεφωνηκεν Pausania è amato da G., e que sti gli intitola il suo
poema sulla natura E siccome questo verso forma la dedica; cosi si è collocato
il primo. La frase per quanto pare è Omerica come si può vedere Iliad. 11 V.
450 Iliad. 1: V. 451. (2 ) Presso Simplicio de Phys. aud. l. 8 p. 272 ediz.
d'Aldo. Perchè questi due ver si si suppongono dagli altri, che li seguono, si
son collocati prima. Per altro Plut. de exil. afferma che cosi cominciava la
filosofia d'Empedocle. (3 ) IL 2. 3 verso son rapportati da Laerz. che se 1. 8
in Emp. I primi tre da Sext. Emp. adv: Phys. 1. ģ, da Plut. de Pl. Ph. l. 1
cap. Tutti quattro poi da Stobeo Ecl. Phys. Questi si sono premessi per la
ragio ne ch'esprimono i quattro elementi, che sono base di tutta la filosofia di
G. Si conviene da tutti che sotto Giove è in: dicato il fuoco, e da Nesti
l'acqua, condo Vossio de Idol. 1. 2. cap. 7 e Fabricio nelle note à Sesto
Empirico deriva da yalay fluere. Vi è solo un disparere tra gli Scitiori per
gli due simboli. Giunone e Plutone.
Pois chè secondo Cic. de Nat. Deor. l. 2.cap. 26 Plut. l. 1. cap. 3. de Pl. Ph.
Macrob. Satur. l i cap. 15, da Giunone è
espressa l'aria; ed al contrario giusta Athen. Apol. 22. Achill. Tazio in Arat. Laert. I. 8 in Emp.
Stobeo Ecl. Phys. 1. i Heracl. Allegaz, Omeriche,p.
443., -sotto il simbolo di Giunone è indicata la terra. E però per questi
Plutone era la• ria, e per quelli la terra. Aïd oyeus in luogo di aïdris Om.
11. 20 V. 61. Esiod. Theog. v. 913. Hpn epoßios Omer. Hyinn. in matr. o. mnium
'. Nella traduzione si è formato GIOTATO 2 per tmesi. 269 9 col. Di questi
versi il 7 e l'8 sono riferi ti da Laerz. in Emp. I. 8. Stobeo Ecl. Phys Dal 10
sino al 15 si trovano presso · Arist. Natur. Auscult. l. 8 cap. 1. Il. 22
presso Ciem. Alex. Strom. I. 5., ed il 21 e 22 presso Plut. Amat. Tutti poi
eccetto il g e'l 10 sono rapportati da Simplicio de Phys. Aud. I. 1 p. 34 ediz.
d'Aldo. Siccliè si è supplito il 10 con Aristotile, e'l lo stesso Simplicio. Questi
versi che sono al numero di 36 fan parte del primo libro della natura. Poichè
lo stesso Simplicio dice chiaramente sy 7pUTW TO φυσικών.99 και nel primo libro
delle cose fisiche I versi 3, 4, 5 pajono d ' essere un'imi, täzione d'Omero.
II. 6.v., 146, e 149. Il 5 portá P&T Th, ma si è cangiato in.dpuntu come
più confacente al senso. Nel 6 in luo go di xdcepecei dinge si è posto 8T0T€
anges.co me Omero. Il. -10. V. 164. Nel z la paro la Qiaotati amicizia non
significa in verità che ainore, siccome fa Omero. Il. 6 v. 161 c in quasi tutta
l'ariade che dice QLXOTNTO felgympia rab. Dal 7 al 12 sembra di essere una sem
270 * plice imitazione d' Esiodo nella Theog. Poichè Empedocle mette in
contrasto l'amore e lo dio come Esiodo fa colla notte e'l giorno. Ne’ versi 6,
13 e 32 si trova la parola ' deau Trepes. collocata nello stesso modo che suol
fa re Opiero. Il. 10 v. 325 e 331. II. 12 v. 398. II. 19 v. 272. Odys. 4 V.
209. Odys. 7. v. 96. Odys. 10 v. 38. Odys.. 14 v. 11. Sicchè pare che
l'orecchio d Empedocle era educato al suono de' versi Omerici, Nel verso 14
aloy Euroly alla maniera d'Omero. Il. 1 v. 290. Nel 16 reipata pewIwon siccome
0. mero παρατα τεχνης. Nel 20 1 ’ αταλαντον co me Il. 15 v. 302. Nel 21 è da
dirsi che intanto, l'amicizia sia di lunghezza e larghez za eguale, in quanto i
corpi possono risulta re da parti eguali de quattro elementi. Al meno questa
interpetrazione pare più confa cente al suo sistema; se non si vuole abbrac
ciare quella, che deriva dal pittagoricismo, per cui il numero quattro era il
più perfetto. Nel 22 100. TEINTWS per attonito e Omerico. II. 4 v. 246. Nel 24
cina poves's dovrebbe esser nominativo giusta la Grammatica. Na si v. 271
lasciato in accusativo; perchè gli Attici alcuna, volta, coře si vede presso
Aristof. in avibus, sogliono usare l'accusativo in luogo del nomi nativo.
L'epye texti si trova spesso in Omero e in Esiodo: cosi Odys. 7 V. 272.Esiod.
Theog. V, 89. Il 25 è simile a quello dell' Iliad. 9 v. 558, e pile d'ogni
altro ad Esiod. Theog. v. 595. Nel 27 laratnaon è d ' Omero. II. 1 v. 526. Nel
30 il Trepiadojevolo è pari mente adattato al tempo e all'anno presso Omero'.
Odys. iv. 16 ed Esiod. Opera v. ' 384. Nel 31 si osserva l'id atoange in fi. ne
del verso come in Omero. Il. 6 v. 149. (5) I versi 12 e 13 si trovano presso
Arist, Poet. cap. 25, e Ateneo lib. 10 p. 424. Tutti poi sono rapportati da
Simplicio de Phys. aud. 1. i'p. 7 d' Aldo. Essi sono stati posti nel primo
libro del poema; perchè Simplicio li riferice come quelli che precedeano altri,
che da lui sono notati per versi del primo lix bro προ τετων των επων • Nel
verso 7 è 11 si è scritto a Jey.TTW5 in luogo di queuent Ews come si legge in
Sims plicio. Nel 10 si trova vtsupper feri ch'è d' 272 Omero II. 9 V. 502,
Nell'ultimo, si ha l espressione Jaunese idiogui ch ' è comune presso Omero ed
Esiodo: cosi Il. 18 v. 83. Odys. 13 v. 108. De scụto Herc. v. 140 ', ed in
tanti altri lunghi dell' uno e dell'altro poe ta. Teocrito nell' Idyl.. 17 v.
77. non è difficile che imita G., dicendo egli εθνεα μυρια φωτων α εinmiglianzα
di quel che dice il nostro poeta nel 8 verso e nel 14, Simplic. de. Phys. aud.
Quer sti versi sono quegli stessi innanzi a' quali di ce Simplicio ch' erun
collocati quelli della na: ta L' epiteto Truji Payowymi è Omerico. II. 8 v. 320
e 435. Orfeo nell'inno all' etere, chiama l ' etere dotepo@ eyzes I primi tre'
versi sono presso Arist. de anima li i càp. 7, e tutti presso Simp. de Phys.
aud. I. 2 p. 66 Aldo. Simplicio af ferma che appartengano al primo libro d' Em.
pedocle λεγει εν πρωτω. Ε come sono dello stesso tenore della nota (6); cosi si
sono si tuati vicino a quelli. Nel 1 verso επικαιρος in luogo di επίκρανος 273
è d'Omero. II. 1 v. 572, e il v. 572, e il xoayolai é ' Esiod. Theog. v. 865.
Nel 3 l’ oGTEL deuxa è parimente d ' Esiod. Theog. v. 540, e 557 e d'Omero. Il.
24 v. 793. (8 ) I primi due versi si trovano presso Plut. de primo frigid., e
il 7, 8, 9 presso Arist. de gen. et corrupt. Tutti presso Simpl. de Phys aud. l.
1 p. 8, e nella pag. 34 sono pre ceduti da due seguenti versi. 1 እእእ.
αγε των δ * οαρων προτερων επί μαρτυρα δερκεί Ει τι και εν προτερoισι λιποξυλον
επλετο μορφη • 1 Di questi due versi non si sa che voglia dire quel Altofurov
legno pingue: Perchè pa-. re ch? Empedocle voglia rapportarsi a' prece: denti
colloquj dove forse v'era qualche for. ma Altrotuloy. Si è cercato di
sostituire Action Yugov, ma neppure s intende. Però si sono trascurati nel
testo questi due versi. Nel 3 verso si legge presso Plut. Svopa EVTA xep ply a
negyté, ch? è spiegato tenebroso, ed crribile. Ma come non si sa ď' onde poss m
m 274 sa derivare played soy si è sostituito plyndor, che più si conviene
all'acqua. Indi è che si è scritto VIOOEYTA,xoh pigns.ovte. E' vero che il vero
so diventa spondaico; ma gli epiteti dell' ac qua sono più confacenti alla sua
natura, e corrispondono più all'intendimento d'Empedo cle, che in questi versi
vuol dare i caratteri di ciascuno dei quattro elementi, siccome at testa
Simplicio de Phys. aud. - p. 7. Nel 4 προρε8σι θελυμνα τη luogo di προθελυμνα.
It' 9 vi 537. Il 5 verso è simile a quello d. Omero. Il. 18 v. 511, ilil 7 al
v. 70. Il. e al. v. 38 d' Esiod. Theog., e l'8 al v. 163 Odys. 15. Nel 9, e 10
l ' epiteto de' pesci υδατοθρεμμονες, e quello degli Dei δο. arxay wres sono
tutti due propj d'Empedocle; giacchè non si leggono presso altro poeta. Il
Tlpenoi Ospirtoi pare che sia preso dal v. 494. Simplic. de Phys. aud. 1. 1 p.
34. Egli li rapporta dopo quelli della nota (8) e dice, che Empedocle li
soggiunge in esempio. Non v'è quindi dubbio, che debbono essere collocati nel
primo libro, e dopo di quelli. Vi 275 si trovano alcuni versi ripetuti alla
maniera Omerica, e nel g versa ľws YÜ XEV come nel v. 749 Il. 11, e nel v. 11
della Theog. d' Esiod. Nel 10 si e mutato l'acheta in fore, e nell' 11 vi si
troνα μυθον ακεσας nel miodo stesso d'Omero II. 7 v. 54. Odys. 2 z v: Simplic.
de Phys. aud. l. 1. Costui, dopo d' avere rapportato i versi delle note. 80ggiunge
και ολιγον δε προελθων αυθις Çnti. Però si son collocati dopo, e come ap
partenenti al primo libro. Il 7 di questi ver si è quello stesso, ch ' è stato
inserito da 9 nes versi della notą. Il 2 verso si trova presso Plut. net lib.
de adulat. et amici discrimine: il terzo presso Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4.-
Tutti tre presso Clem. Alex. Strom. I. 6. Il secondo verso, si rapporta
d'alcuni ne: pos nilov ufos, ma Empedocle nel 19 della nota (4) dice c7 NETOV,
e per altro pare più armonioso ed Omerico. Questi versi, come quel li, che
indicano i quattro clementi ', non si possono collocare che nel primo libro. m
m 2 276 ! (12 ) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4. Simplic. de Phys. ' aud. Plutaroo
nel lib. de Reip. geć. praecept. vi allude dicen da τιμας ονομαζω κατ'
Εμπεδοκλεα. Questi ver si non possono appartenere, che al primo li bro; perchè
in esso dichiara Empedocle le due forze amicizia e lite. Simp. 1. i de Phys.
aud. p. 34. La parola aprice del primo versa può significare pari di numero,
perfetto, ed adatto. Si è tradotta pari; perciocchè si è trovato che i corpi,
di cui Empedocle enumera le parti de gli elementi, da cui quelli son composti,
non sono che di numero pari. Cosi l'ossa di oi to parti nota, la carne di parti
eguali de quattro elementi nota et.. Arist. de Gen. et Corrupt. e De Xenoph. Gorg., at Zenon.
Plut. de Pl. Ph. l. 1 e adv. Golot. Si sono collocati nel primo libro perchè
Plutarco dice chiaramente de Pl. Ph. l. i λεγα δε ετως και των πρώτων φυσικών και Anno de Tol spaced è modo turto
ď Omero Il., Odys. 11 V. 453. Odys.
10 2: 7 V. 495 ec. L'a.JavaTolo TEMBUTn è d' Esiod. in Scuto Herc., ' e
nell'ultimo verso Bpomois "QvIpomolol è maniera greca che spesso si tra,
va presso Omero ed Esiodo che dicono Bpotox ardpa. Il Duris nel principio come
opposto a 76 deutn pare che indicasse la nascita. Ma co me in fine significa
natura si è lasciato cob. la sua propia significazione di natura. Plut. adv.
Colot. Questi versi, come si vede dalla materia, sono una continuazio ne di
que' della nota antecedente. Si sospetta che questi versi fossero sta ti
alterati da qualche copista. Vi si osserva ows per uomo in genere neutro, che
suol esa sere presso i Greci di genere maschile. Simpl. de Phys. aud. 1, 2, pag. 85 Aldo. E
siccome queg!i dice « TOTO'S AS T8 Εμπεδοκλεας εν τω δευτερη των φυσικών προ
της ανδριων και γυναικιων σωμάτων διαρθρωσεως TAUTU TC ETn, Empedocle nel
secondo libro delle cose fisiche canta questi versi prima di parlare della
formazione e articolazione de' corpi de maschi e delle femine Non vi ha 278
quindi alcun dubbio, che questi versi fan par te del secondo libro, e che il
soggetto di que. sto libro si versa sulla nascita degli uomini, e de' corpi de'
maschi e delle femine. Però è, che tutti i versi che riguardano la formazio ne
degli uomini, e de' loro membri, e delle parti del corpo umano e loro funzioni
sono stati da noi posti nel secondo libro. IL 3 verso è un'imitazione d'Omero
nel v. dell' Iliad. Quais secondo Simpli cio esprime la massa tutta, del seme,
che an cora' non indicava la forma de' membri. Aeliano de Nat. anim. Le forme
descritte in questi versi sono ricor date da tutti gli antichi scrittori come
singo lari. Cosi Arist. Nat. ausc. Esse non poterono durare, perchè non eran
tra loro convenienti. Di quando in quando ne na. sconto de' simili, e questi
sono i mostri.: Simpl. de coelo 1. 2.
Arist. de coel. De Gen. I. Isaac. Tzetze in Comm. ad Lycophr. Epi vax65 Simpl.
de coelo Simpl. de Phys. aud. 1. 8 p. 258 279 Aldo. Nel terzo verso si è
spiegato pngjely! al la maniera d'Omero Il. Nel 6 e nel 7 - sono da notarsi ud
poplene Opols, opsta μελεσσι, € πτεροβαμμoσι κυμβας clie sono ma niere
originali di G.. Aristot. de respir. Questo è il più bel frammento d'Empedocle,
e forse l ' avanzo più, venerando dell'antica fisica, in cui non solo si spiegà
da Empedocle il modo a suo credere del nostro respirare, ma si di mostra
eziandio il peso, e la molla dell' a. ria. Egli è stato tradotto per quanto si
può letteralmente, e solamente si è ito aggiungen. do talora la forma della
clessidra, senza di che non si avrebbe potuto chiaramente com prendere Il coros
del 4 verso corrisponde al cruor de’latini. Il. Chi si conosce – Omero può
accorgersi come va adattando Em. pedocle tutte le parole e frasi d'Omero nel 5.
sino all ': 8 verso. Lo stesso WTTEL OTAY Trays è ď Omero nel v. 362 Il. 15..
L'EPOMBAEOS, che Omero applica ail' acqua'. Ili 16 v. 174, Empedocle l'adatta
alla duttilità del bronzo 200 Verso. It all'acqua, nel 9 TEPEY Ejedes dell' 11
è d' 0. mero Il. 14 v. 406. L'autap ETHTU nel 15 è forma parimente Omerica Il.
11 V. 304 Odys. l. 9 v. 371 ec. L'ayrilor ud wp nel 16 si trova applicato al
giorno in Oniero, e qui che non può esser fatale se non per che nella clessidra
è destinata a notare le ore che scorrono. Nel 18 verso Bpotew Xpor presso
Esiod. Opera è preso per umano corpo, qui per la mano. Nel 20 ilil duonysos è
applica to alla guerra. Il. v. 395 ec. Da Empedocle si acconcia al
gorgogliamento dell'acqua Arist. de sensu et sensili lib. i cap. Nel 2 verso
σελας πυρος αθομενοιo e d'Omero. Il. 9 v. 559. Il. II. 11 v. 219. II. 6 v. 282
ec. Il 24uepiny νυκτα e simile all' αμβροσιην δια νυκτα d' O mero. Il. 2. v.
57. Nel 3 si trova apopg85 ch'e' una metafora, quasi che le lanterne di
fendendo il lume da venti se li succhiassero; giacchè quopges vuol dire
succhianti. Il mayo Town dyepewr Odys. 5 v. 293 e 304. Nel 4 verso il divanid
ve si aeyrwy si trova in Omero Il. 5 v. 526. Nel 5 ci ha un epiteto de' 2. Nel
dia 282 indomiti; per raggi ch ' è molto ardito UTCpert chè non sono vinti
dalla notte. La stessa pa rola walioruto nel i verso per preparare è Omerica.
Il. il v. 86 '. In quanto poi alla costruzione delle lanterne è da dirsi, che
for se allora erano di corno trasparente. Il i e gli ultimi due versi presso
Giov. Tzetze Chil. Il 2 presso Theod. de Curat. Graec. l. 1. IlIl 22,, 3, e 4
pres SO Clem. Aless. Strom. Dal 5 sino all ' ultimo presso lo stesso Giov.
Tzetze Chil. Gli ultimi due versi sono anche rap portati da Chalcid. in Tim.
Pl. Essi sono sta ti tutti disposti nell' ordine, in cui sono no tati, che
sembra non esser disconveniente, e fanno certamente parte del lib. 3. Poichè
Tzetze nella Chil. 7 p. 382 nel rapportarli soggiunge Εμπεδοκλης τω τιτω των
φυσικων δεικ: VUOY TIS ' N. sold togey το θεα κατ' επ'ος ετω λεγων. 9,
Empedocle nel terzo libro delle cose fisiche. volendo indicare quale sia la
sostanza di Dio dice cosi Il pendea nel senso in cui qui lo pigliu Empedocle è
comune ad Omero nell' Odissea n n. 282 o ad Esiodo nella Theng. Clem. Alex.
Strom. Il. 1 ver so manca d'un piede, e si potrebbe compiere leggenda Ει ο αγε
τοι μεν εγω λεξω. Vi si os serva poi la stessa maniera d Oniero nell ' ap porre
degli epiteti al mare, all'aria, aile tere. Athen. Dipnosoph. Il devd pece
pecupce è d'Omero. Il. Lo stesso Athen. nel medesimo luogo attesta che tutti i
pesci da Empedocle furon chiamati zce paglves. Aristot. 1. 2 de coelo cap. 8 e
De Xenoph. Zenon, et Gorg. Gli
ultimi due versi presso Clem. Aless. Strom. Plut. de Pl. Ph. I. i cap. 18. Theo dort. de mater. et mundo
Serm. Plut. Symp. l. 4 quaest. 1.
Macro bio Saturn. l. 7 p. 521. E siccome in Plut. si leggono alterati; cosi
sono stati correlti con Macrobio. Plut. quaest. Nat. Plut. quaest. Nat. et de Curiosit.
Alcuni leggono Keuuata, altri rappese. (283
ra, ma si è sostituito xeu-ged, che pare più acconcio al senso dell'autore
Arist. Nat. Auscult. e De
Part, Anim. I. i cap. 1, Simpl. I. Phys. Simpl. de Phys. and. I. 2 p. 73.
Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 23. L'
epiteto de incepa come dice ' Hesichio' è propio d' Empedocle.; ed il
polyurgadins d'Omero Il. Simpl. l. 2 de Phys. aud. Aldo. (35) Simpl. 1. 2 nel
med. luog. (36) Simpl. 1., nel med. luog. Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 73. (38 )
Simpl. l. 8 de Ph. aud. Plut. in l. non posse suaviter vivi jut. xta epicuri
decreta. Simpl. de Ph. aud. Simpl. nel med. luog. Simpl. nel med. luog. (43)
Arist. de Gen. et Corrupt. Simpl. de coelo Com. Arist. de Gener. et Corrupt. 1.
i cap. 6. La frase zgova dupsyo, presso Omero Il. Plut. quaest. Nat. p. 916.
Arist. de Gener. anim. 1..1 cap. 18. (48) Arist. de Gener. anim. I. 4 Plut. nel
lib. de Amic. multitud. Arist. de Gener. anim. Alcuni leggono μακρα δενδρεα. Plut. quæst. Platon.
Plut. de fac. in orbe lunae dove in luogo d' ožupeans è da leggersi očußeans e
in vece di naiyo Iraupe. Plut. de fac. in orbe lunae. Questi versi sono stati
corretti da Xilandro. Arist.
Metaph. de anim, Sesto Emp. adv. Gram. e
adv. Log. l. 7 Chalc. in Tim. Pare
che in questi versi Empedocle abbia imitato Omera Il. 13 v. 31, e Il. 16 v.
215. Il tip apo ndoy Omerico. Il. L'epiteto della lite rugpw, che da Omero si
adatta alla vecchiaja, e talora alla ferita ec. è situato in fine del verso
come in Omero II. Sext. Emp. adv. logic.
Stobéo Ecl. Plys. l. 1 p. 131. L' última verso è anche rapportato da Chalcid.
in Tim. Pl. ed è un imitazione di quello d' Esiodo nella Theog. 7 spe pezy
750" T δες, περι δε εστι νοημα Aristot. de anima Aristot. de anima"
nel med. luog. Aristot. de
Gener. 1. i cap. 13. Plut. adv. Colot. Clem. Alex. Strom. Theodor. de curat.
aegritud. Ethnic. Acciaolus Theod, interpres I. i contra Graecos. Arist.
Meteorol., atspao TURVO è d ' Omero. Il.
11 y. 454, e otißola pous pedeerol è d ' Esiodo opera Plut. Symp. Deve lege gersi andyl.
Plut. Symp. quaest. Plut. Symp. I.,1 quaest. 2, e nel lib. de fac. in orbe lunae. Put. de Orac
defectu. Per finire il verso si è supplito nella traduzione artos. Plut. Simp. I.? quaest. Plut. de
Orac. defect: Plut. Simp. quaest. Arist.
Poet. Meteor. Theophr. de Caus. Plant. Athen. Dipnosoph. Que sti versi si son
collocati come appartenenti al poema 'della natura; perchè parlano di Ve nere,
che indica l'amicizia. Vi si trova il Soydan codpots parola composta da
Empedocle, che non si legge in altro poeta. Si dee lege gere Κυπρις nel testo,
e non Kπρις. Sesto Emp. adv. Log. 1.? Gli ul. timi due versi sono anche
rapportati da Plut. nel 1. de áud. Peet. Nel verso Scalig. legge suve ETEITA,
ed Erric. Stef. dely ETECL; ma ne' MSS. si trova SaneM.T, Si è quindi
conservata, come sta ne' MSS., e si è ritratta da dep @ os che più s' adatta al
senso dell'autore. Questi versi unitamente agli altri delle note sono riferiti
da Sesto Emp. come quelli, che con poche interruzioni si suc vedono. E come
Empedocle si dirizza ad un solo, ch'è Pausania;' cosi tutti fan parte del 287
Chil. 1, pra poema sulla natura, Sesto Emp. adv. Log. Sesto Emp. nel med. luog.
Laerz. in Emp. 1. 8. Joan. Tzetze I versi sono anche pres. so Clen). Alex. Strom.
Nel 5 si legge d' alcuni παλιγτιτα c d' altri παλιντινα; mα da Casaub. si vuole
raditova, e fondasi so Suida. Nell'ultimo verso è da notare che il sanare gl'
infermi si esprime, presso gli an tichi avastne dall'inferno. Plut. in amat.
Horaz. l. 2 Sat. Laerz. in Emp. I versi 3 € 4 si trovano presso Sesto Emp. adv.
Gramm., e presso Philost. Vit. Apoll. Se condo Laerzio cosi Empedocle avea dato
prin. cipio al suo poema delle purgazioni cvcpzopese νός των καθαρμων φησίν.
Sesto Emp. adv. Gram. I. 1 e Laerz. in Emp. 1. ' 8. Sesto Empirico mette questi
due versi dopo quelli della nota e soge. giunge nas nary. Sicchè icon c'è
dubbio che appartengano alle purgazioni. Plut. de exil. I. 2, e l'ultimo meza
288 zo verso è presso Hierocle in aur. carm., il quale lo ' rapporta unitamente
al penultimo ως Εμπεδοκλης Φυσι ο Πυθαγοραος I primi tre versi presso Plut. nel
lib. de vit. aere alieno, e tutti quattro presso lo stesso Plut. de Isid. et
Osir., e presso Eusebio. Hierocl. in aur.
carm. Hierocl. in aur. carm. Clem. Alex. Strom. Clem. Alex. Strom. I. 3 0 70xO1
peegee herdos Il. Clem. ' Alex, Strom. Clem. Alex. nel med. luog. Stob. Ecl.
Phys. Porph. de Antr. Nymph. Ediz. di Van - Gcens Clem. " Alex. Strom.
Origen, Phy losophumera. Phil. in V. Apoll. Athen. Dipn. In luogo di do7Os, che è un epiteto dato da Esiodo e
da Poeti Greci al pesce, presso d' al.cuni si legge eurupos. A prima vista pare
che l' epiteto ignito non abbia luogo; mu ove si voglia riflettere che giusta
Empedocle, gli ani mali molto caldi cercarono l'acqua, ed ivi soggiornarono, si
può comprendere in qual senso abbia potuto adattare al pesce l ' epiteto
Europos. Eliano de Nat. anim. Questi versi appartengono al poema delle pur
gazioni. Perchè Eliano nel rapportarli soggiun ge λεγει δε και Εμπεδοκλης την
αριστην αναι με: τοικησιν την τα ανθρωπου ει μεν ας ζωον η ληξις αυτην μεταγαγα
λεοντα γινεσθαι και δε ας φυτον dadyny. » Empedocle dice che ottima sia da
stimarsi la trasmigrazione dell'uomo, se do vendo passare in un bruto la sorte
lo porta nel corpo del leone, e se in una pianta lo porta nell' alloro L'
epiteto ηύκομοισιν Ο. mnerico. Plut. de animi tranquill. L'epiteto έροέσσα e d'
Esiodo che dice Θαλιη εροεσσα και ma non s' intende quello di μελαγκαρπος che
vuol dire produttrice di frutti neri che Empe docle adatta ad Asafia o sia al
genio dell' oscurità. Tzetze Chil. dice Ecco πεδοκλης προ παντωντε φιλοσοφος ο
μέγας • γα γαρ την ασαφα αν μελαγκορον υπαρχαν ως κελαινωπας τον θυμον ο
Σοφοκλης που λεγα G. filosofo, grande sopra d'ogn'al tro, chiama Asafia o sia
l'oscurità di nera pupilla conie Sofocle dice l'animo di nero via In sostanza
poi vuol qui indicare Em pedocle quello che noi diciamo animo cupo, che tutto è
coperto, e tutto fa con riserva. Diod. Sic. Bibl. Hist. 1. 13 p. Clem. Alex. Strom.
Plut. adv. Colot. L'ultimo verso è stato corretto da
Giov. Clerc. Bibl. Choisie Arist. Rhet. l. i cap. 13. Si son collocati in
questo poema delle purgazioni; perchè Aristotile dice che riguardano la proi
bizione d uccidere gli animali. xoy ws EyeTedo κλης λεγα περι τε μη κτιγαν το
εμψυχσν. τετο γαρ τισι μεν δικαιον τισι δε και δικαιον. » Co me dice Empedocle
parlando della proibizione d' uccidere qualunque animale. Poichè que sto non
può essere giusto per alcuni e per al tri nò L' epiteto supurtedortos é d'
Omero e quello d'atletoy è d ' Esiodo. Sesto Empir. adv. Phys. Plut. de
Superst. Nel verso l'entBTT05 si è tradotto per indegno d'essere udito come půs
letterale. Na potrebbe avere due altri sensi cioè: da non essere compreso, o
pure come colui, che è pieno di Qyaxer che vuol dire contumacia, o inobbedienza;
perchè senza di ciò non si ritrae un senso che sembra ragio nevole. a legurato
d'apra è d' Omero nell' Odys. Porphyr. de non necandis ad epulan dum animalibus
ediz. di Lio ne 0285dic epga per scelleraggini è d'Omero Odys. Porphyr. de non
necandis ad epul. anim. Il primo verso somiglia a quello ď Omero Il. Alcuni
leg, gono appatolor in luogo d ' cxpitolob. Clem. Alex. exhortat. ad gentes.
Awe Q10ste Odys. Clem. Alex. Strom. Clem. Alex. Strom. I. 4 Bpotol o pu. re
ardpes sain horlon. Il. Clem. Alex,
Strom. Questi due versi sono stati corrotti. Nel primo verso Sca. ligero legge
fyte TPUDEGcus in luogo d' AUTOTA. OO 2 292 che non FIG. In verità questa
seconda maniera cor risponde meglio all'opertio. Nel secondo leg ge Ευγιες
ανδρειων αχεων αποκηροι ατειρεις. dla ad altri è piaciuto all' aydpelwy di
sostituire l' and pouleur ch'è più adatto e pie Omerico; all' електро! ľ
Anouampor ch'è anche più ragione vole; ed in fine all ατειρείς I'' ατηρείς si
sa donde possa derivare. Si potrebbe dire più presto artelpon. Vi sono poi di
quei che in luogo di amewn leggong amoywy; dimodochè spiegano coi forti achivi.
I primi due versi sono presso Laerz. 1. 8 in Emp., e tutti si leggono presso
Janibl. de Vit. Pyth. Questi versi si sono col locati nel poenia delle
purgazioni; perchè in questo poema Empedocle dichiara la morale pittagorica.
Presso Suida voce Axpwr e Laerz. in Emp. Questo epigramma, come dicono e Suida
e Laerzio, è diretto a punzecchiare Acrone, che domanda a la grazia di ergere
un gran monumento a suo padre in un luo. go alto della città di Gergenti.
Empedocle va scherzando.col nome di Acrone e la parola acron che in Greco
significa alto e altezza. Ma questo scherzo non si può rendere nel no stro
linguaggio. Laerz. in Emp. I. 8 & Towvoploy indi ca nome conveniente alla
cosa. Perchè liquo gavin in greco può significare che fa cessar i mali, e i
dolori. Perciò Empedocle scherza col nome del suo amico. Questi due versi s'
attribuiscono dit Aulo Gellio Noct. Att. A G. , e da altri ad Orfeo. Ma in
verità so no della scuola pittagorica. Si legga Didym. Geoponicon Varii sono i
sen timenti degli Scrittori sulla proibizione, che facea la scuola Pittagorica,
di mangiar del le fuve. Secondo alcuni, perchè non sono sa lutari, e secondo
altri perchè sono simili agli organi della generazione. Di fatto Gellio dice
che l'astinenza delle fave era un simbolo, eon cui si volea indicare da
Empedocle l'a ' stinenza delle cose veneree.
Questi versi esprimono il giuramen to che si facea nella scuola
Pittagorica. Si leggono presso Jambl, de vit. Pyth. Ma non semhrano d'esser di
G. cosi perchè non corrispondono allo stile del nostro poeta, come ancora
perchè vi si osserva il dia. letto dor ico, che non mai egii usò ne' suoi
poemi. ROMA BIBLIOTECA MEMORIA Απηρεν ασ Κροτωνα της Ιταλίας και κακοι τομές
θες τοις Ιταλιωταις εδοξασθη συν τοις μας θεματας και οι περι τας τριακοσίες
οντες ωκoνoμαν αριστα τα πολιτικα ωστε σχεδον αριστοκρατίας αναι την πολιτααν
και Pittagora si porto in Cro tona d'Italia; ed ivi dando leggi agľ Italias ni
fu egli in onore unitamente a' suoi disce poli. Trecento de' quali
amministravano otti mamente le cose politiche, si che quella re pubblica era di
posta a governo di ottimati, Laerz. in Pythag. La persecuzione della scuola
pittagorica nacque da ciò, giusta Jamblico nella Vita di Pittagora, che i
pittagorici allontanavano il popolo dalle magistrature, e da' pubblici
consigli, e voleano essi soli, come sapienti, regolar le cose pubbliche.Grice:
“If people call William of Ockham, Surrey, Occam, I shall call Empedocles of
Agrigentum Agrigentum, or Agrigento simpliciter in the vulgar.” Vide “Italic Griceians” While
in the New World, ‘Grecian philosophy’ is believed to have happened ‘in
Greece,’ Grice was amused that ‘most happened in Italy!’ Empedocle da Girgenti
– Keywords: Girgenti – “You say Gergenti, and I say Girgenti” -- -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Empedocle," per Il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Girgenti: Boezio e la ragione conversazionale
al limite -- l’implicatura conversazionale -- la parola che non s’incatena – filosofia
palermitana – scuola di Palermo – filosofia siciliana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Palermo). Filosofo palermitano. Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I love Girgenti for
many reasons! For one, he has
edited Boezio ‘as he is’! – then he has elaborated on Socratic irony, a concept
that needs some elucidation, if ever one did! Also, he has edited the ‘logica retorica’ of Cicero,
which is welcome!”Frequenta gli studi classici a Palermo, sotto Brighina,
Franchina, Armetta, Mirabelli e Puglisi) e poi si è trasferito a Milano sotto Bontadini,
Bausola, Melchiorre e Giussani. Si laurea sotto Reale con “Platonismo e Cristianesimo
in San Giustino Martire” – Studia “Porfirio tra henologia e ontologia
riproponendo la questione degli universali come origine del "pensiero
forte". Insegna a Milano I suoi studi sono concentrati sul rapporto tra
filosofia greco-romana e Cristianesimo, e in particolare nell'influenza che il
platonismo ha esercitato sui Padri della Chiesa. Per analizzare questo tema,
applica due categorie ermeneutiche: la "storia del’effetto" e la
"fusione dell’orizzonte”. Secondo la storia dell’effeto, la Patristica latina
deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo antico,
che fa da tramite rispetto alla filosofia medioevale. Secondo la fusione
dell’orizzonte, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo deve essere
analizzato superando due opposte posizioni: la "praeparatio
evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la filosofia pre-cristiana
sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la
"Ellenizzazione del cristianesimo" di Harnack, secondo cui nell'incontro
con la filosofia, il Cristianesimo avrebbe smarrito la vocazione originaria (e
dovrebbe pertanto “de-“ellenizzarsi, de-filosofarsi). Una posizione mediana
potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo cattolico e le
chiusure del cristianesimo protestante non-cattolico. Saggi: “Porfirio:
catalogo ragionato” (Vita e Pensiero, Milano); “Giustino Martire, il primo
cristiano platonico” Vita e Pensiero, Milano); “Porfirio, Vita e Pensiero,
Milano); Porfirio, Laterza, Roma-Bari; “Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano,
Incontri con Gadamer, G. Girgenti, Bompiani, Milano “Platone” G. Girgenti,
Bompiani, Milano; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato,
Padova; Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista
con Sossio Giametta, Mursia, Milano. G. Giorello, Corriere della Sera, 1ºScheda
biografica, curriculum e nel sito
dell'Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Selezione di
pubblicazioni Porfirio negli ultimi cinquant’anni. Bibliografia
sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria riguardante il
pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, presentazione di Reale, Vita e
Pensiero, Milano, Porfirio, Isagoge, prefazione, introduzione, traduzione e
apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, versione latina di Severino
Boezio in appendice, Rusconi, Milano, nuova edizione Bompiani, Giustino
Martire, il primo cristiano platonico. Con in appendice “Atti del Martirio di
San Giustino”. Presentazione di C. Moreschini, Vita e Pensiero, Milano,
Giustino, Apologie. Prima Apologia per i Cristiani ad Antonino il Pio. Seconda
Apologia per i Cristiani al Senato Romano. Prologo al “Dialogo con Trifone”,
introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte,
Rusconi, Milano, Aristotele, Poetica, introduzione, traduzione, note e sommari
analitici di D. Pesce, revisione del testo, aggiornamento bibliografico, parole
chiave e indici di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano,
Porfirio, Sentenze sugli intellegibili, prefazione, introduzione, traduzione e
apparati di G. con in appendice la versione latina di Marsilio Ficino, Rusconi,
Milano. G. Girgenti, Il pensiero forte di Porfirio. Mediazione tra henologia
platonica e ontologia aristotelica, introduzione di G. Reale, Vita e Pensiero,
Milano, Porfirio, Storia della Filosofia
(frammenti), a cura di A. R. Sodano e G. Girgenti, Rusconi, Milano, Introduzione
a Porfirio, “I filosofi”, Laterza, Roma-Bari, La nuova interpretazione di
Platone. Un dialogo di Hans-Georg Gadamer con la Scuola di Tubinga e Milano e
altri studiosi (Tubinga), introduzione di H.G. Gadamer, prefazione, traduzione
e note di G., Rusconi, Milano, nuova edizione ampliata: Platone tra oralità e
scrittura, Bompiani, Milano, Porfirio, Vita di Pitagora, monografia
introduttiva e analisi filologica, traduzione e note di A. R. Sodano, saggio
preliminare e interpretazione filosofica, notizia biografica, parole chiave e
indici di G., in appendice la versione araba di Ibn Abi Usabi’a, testo greco e
arabo a fronte, Rusconi, Milano, J. Patocka, Socrate. Lezioni di filosofia antica,
introduzione, apparati e bibliografia di G. Girgenti, traduzione di M. Cajtham l,
testo ceco a fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Wojtyla,
Persona e Atto, a cura di Reale e T. Styczen, revisione della traduzione
italiana e apparati a cura di G. Girgenti e P. Mikulska, testo polacco a
fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Struttura dell’anima
dell’anima secondo Agostino e presupposti neoplatonici, in: Autori vari,
Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, Donzelli, Roma, Der Begriff der
Verantwortung in der Welt der Antike und des Christentums, in Götz – J. Seifert
(Hg.), Verantwortung in Wirtschaft und Gesellschaft, Rainer Hampp Verlag,
München; J. Seifert, Ritornare a Platone. La fenomenologia realista come
riforma critica della dottrina platonica delle idee, in appendice un testo
inedito su Platone di A. Reinach, prefazione e traduzione di G. Girgenti, Vita
e Pensiero, Milano, Autori vari, Incontri con Hans-Georg Gadamer, edizione
italiana a cura di G. Girgenti, Bompiani, Milano, Porfirio nel vegetarianesimo
antico, “Bollettino Filosofico: Dipartimento di Filosofia Calabria”, Due fonti
neoplatoniche indirette di Cusano: Porfirio e Giamblico, in Nicolaus Cusanus
zwischen Deutschland und Italien Beiträge eines deutsch-italienischen
Symposions in der Villa Vigoni vom (Veröffentlichungen des Grabmann-Instituts),
hrsg von Martin Thurner, Akademie Verlag Berlin, Plotino, Enneadi, traduzione
di Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di G. Reale.
Porfirio, Vita di Plotino, a cura di G. Girgenti, “I Meridiani. Classici dello
Spirito”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
K. Wojtyla, Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi
integrativi, a cura di Reale e Styczen,
apparati e indici di G. , Bompiani, Milano; Diogene Laerzio, Vite e dottrine
dei filosofi. Commentaria in Porphyrium. Schepps Samuel
Brandt Leipzig European Social Fund Saxony Crane Jouve OCR-ed,
Franzini Leipzig Stoyanova Robertson Mount Allison Fonticola (Ludwig
Maximilians Munich). Leipzig Germany Schepps Brandt BoezioVienna Leipzig Tempsky Freytag.
Secundus hic arreptae expositionis labor nostrae seriem translationis expediet,
in qua quidem uereor ne subierim fidi interpretis culpam, cum uerhum uerbo
expressum comparatum- que reddiderim, cuius incepti ratio est quod in his
scriptis in quibus rerum cognitio quaeritur, non luculentae orationis
lepos, sed incorrupta ueritas exprimenda est. quocirca mul- tum profecisse
uideor, si philosophiae libris Latina oratione compositis per integerrimae
translationis sinceritatem nihil in Graecorum litteris amplius desideretur, et
quoniam humanis animis excellentissimum bonum philosophiae comparatum
est, BOEZIO IN YSAGOGAS PORPHIRII. BOEZIO IN YSAGOGE; BOEZIO COMMENTA IN
ISAGOGAS G,; INCIP COMENTV BOEZIO in isagogis porphirii; Expos Scda
L; COMENTV BOEZIO IN ISAGOGAS R; inscriptione carent
CFHNS (nisi quod in FH recens quaedam est), item e codd. Isagogen tantum a
Boethio translatam continentibus ΛΣ ; ISAGOGAE PORPHYRII TRANSLATAE
DE GRECO IN LATINVM A VICTORINO ORATORE (sic) ΓΦ ; INCIP LIBER
YSAGOGARVM (HΥS-) POR- PHYRII (I pro Y Π ) AII ,-
Icipidt isagoge porphyrii (m. poster.) Ψ; de titulo operis
cf. Prolegomena fidi—reddiderim] cf. Horat. Ars poet. cf. Cic. Acad. post.
fędi C foedi Hm1N infidi FGm1 7uerbo]e uerbo
N incoepti CEGHPRS 10 corrupta Em1Sm1
incorruptae Em2 (e in mg. add. sed del .) Lm1 11
uidebor brm 13 graecis Lm2 ut uia et filo quodam
procedat ORATIO, ex animae ipsius efficientiis ordiendum est. triplex omnino
animae vis in uegetandis corporibus deprehenditur, quarum una quidem uitam
corpori subministrat, ut nascendo crescat alendoque subsistat, alia uero
sentiendi iudicium praebet, tertia ui mentis et ratione subnixa est.
quarum quidem primae id officium est, ut creandis, nutriendis alendisque
corporibus praesto sit, nullum uero rati- onis praestet sensusue iudicium.
haec autem est herbarum atque arborum et quicquid terrae radicitus adfixum
tenetur, secunda uero composita atque coniuncta est ac primam sibi sumens
et in partem constituens uarium de rebus capere potest ac multiforme iudicium.
omne enim animal quod sensu uiget, idem et nascitur et nutritur et alitur,
sensus uero diuersi sunt et usque ad quinarium numerum crescunt, itaque
quicquid tantum alitur, non etiam sentit, quicquid uero sentire potest,
ei prima quoque animae uis, nascendi scilicet atque nutriendi, probatur esse
subiecta. quibus uero sensus adest, non tantum eas rerum capiunt formas quibus
sensibili corpore feriuntur praesente, sed abscedente quoque sensu sensibili-
busque sepositis cognitarum sensu formarum imagines tenent memoriamque
conficiunt, et prout quodque animal ualet, lon- gius breuiusque custodit, sed
eas imaginationes confusas atque ineuidentes sumunt, ut nihil ex earum
coniunctione ac compo- 1 uia et filo quodam] CEm2H (uia
fort. ras. ex uiae), uiae et filo quodam N uiae (s. l.
R) ex filo quodam EmIGPR edd . uiae ( ex uia S ) ex
quodam filo LS uiae ( s. l . filo m1 ) quodam F
ratio CEmIGLRS ex] ab Hm1NP efficienti Em1
efficientis Fa. c . 3 post uitam add . solum CFHP
solam N corporis GNRL a.r.Sa.r . 5 rationis FGRS
6 procreandis CHNP 7 nutriendisque ( om . alendis) EL
sit s. l. Gm2Nm2 9 terra CN 10 ac] ad FSm1
at LSm2 et G 11 rebus] quibus GRS de rebus
de quibus L 12 poterit E post iudicium add .
capit E (sed del.) L, s. l. m2 in HRS 13 et nutritur om. CHP,
s. l . nutritur (om. et) Lm2 14 ita CHR 16
poterit E quoque prima FGm2H 19 praesente ante
feriuntur FHN praesentes CHm1N abscedente]
Em2FGHmINESa.r . absente CEm1Hm2LPSp.r . 20 re- positis GR 22
imagines FHN 23 ante sumunt add. sic brm
sitione efficere possint, atque idcirco meminisse quidem possunt, nec
aeque omnia, admissa uero obliuione memoriam recolli- gere ac reuocare non
possunt, futuri uero his nulla cognitio est. sed uis animae tertia, quae secum
priores alendi ac sen- tiendi trahit hisque uelut famulis atque
oboedientibus utitur, eadem tota in ratione constituta est eaque uel in rerum
prae- sentium firmissima conceptione uel in absentium intellegentia uel in
ignotarum inquisitione uersatur. haec tantum humano generi praesto est, quae
non solum sensus iraaginationesque perfectas et non inconditas capit, sed
etiam pleno actu intel- legentiae quod imaginatio suggessit, explicat atque
confirmat, itaque, ut dictum est, huic diuinae naturae non ea tantum cognitione
sufficiunt quae subiecta sensibus comprehendit, uerum etiam et insensibilibus
imaginatione concepta et absen- tibus rebus nomina indere potest et quod
intellegentiae ratione comprehendit, uocabulorura quoque positionibus aperit,
illud quoque ei naturae proprium est, ut per ea quae sibi nota sunt ignota
uestiget et non solum unum quodque an sit, sed quid sit etiam et quale sit nec
non cur sit, optet agnoscere, quam triplicis animae uim sola, ut dictum
est, hominum natura sor- tita est. cuius animae uis intellegentiae motibus non
caret, quia in his quattuor propriae uim rationis exercet, aut enim aliquid an
sit inquirit aut si esse constiterit, quid sit addubitat, quodsi etiam
utriusque scientiam ratione possidet, quale sit 2
admissa] CR amissa EFGm1NP amissam Gm2LS, ras. et s.
l. ex admissam H memoriam om. FGR, s. l. Sm2,
memoria H hiis F, sic saepe cogitatio
CNm2 animae uis CEL ante trahit add . uires brm 6
ea CHm1N est ante constituta CEGS , om. R contentione EGm1Sm1
contemplatione R, m2 in GLS in s. l. Gm1PmS , del.
Lm2 ignotorum Hm1N imaginationes EN 11
conformat Gm2Pm2 13 cognitione] in cognitione FHNP 14et] ex
Em1HN sensibilibus CEm1Hp. c. Nm2 sensibus Ha. c.
Nm1 ante imaginatione add. sibi E (del. m2)
NPSm2 imaginatione] in agnitione Gm1Sm1 agnitione
Gm2R post concepta add. nomina Hm1, idem post rebus s.
l. m2 sint E 19 optat LR quia] qua
Gm1 atque EHm1Pm1 scientiam post ratione
E sententiam Hm1 possedit FRS unum quodque
uestigat atque in eo cetera accidentium momenta perquirit, quibus cognitis cur
ita sit quaeritur et ratione nihilo minus uestigatur. Cum igitur
hic actus sit humani animi, ut semper aut in rerum praesentium comprehensione
aut in absentium intellegentia aut in ignotarum inquisitione | atque inuentione
uer- setur, duo sunt in quibus omnem operam uis animae ratiocinantis inpendit,
unum quidem, ut rerum naturas certa inqui- sitionis ratione cognoscat, alterum
uero, ut ad scientiam prius ueniat quod post grauitas moralis exerceat, quibus
inquirendis permulta esse necesse est, quae uestigantem animum a recti
itinere non minimum progressione deducant, ut in multis euenit Epicuro, qui
atomis mundum consistere putat et honestum uoluptate metitur, hoc autem idcirco
huic atque aliis accidisse manifestum est, quoniam per imperitiam disputandi
quicquid ratiocinatione comprehenderant, hoc in res quoque ipsas euenire
arbitrabantur, hic uero magnus est error; neque enim sese ut in numeris, ita
etiam in ratiocinationibus habet, in numeris enim quicquid in digitis recte computantis
euenerit, id sine dubio in res quoque ipsas necesse est euenire, ut si ex
calculo centum esse contigerit, centum quoque res illi numero sub- iectas
esse necesse est. hoc uero non aeque in disputatione seruatur; neque enim
quicquid sermonum decursus inuenerit, 4 aut om. CNR, s. l. Gm2Sm2
5 rerum add. edd. post praesentium, ante Brandt; cf. p. 137,
6 6 ignotorum Gm2Hm1Lm2N ante in- uentione s. l. in
Hm2 8 inpendat FPSa.c . naturam FHm1N certa
inquisitionis] Gm2H certae inquisitionis FNP
inquisitionis certa CELm2 , om. certa Gm1Lm1RS (fort. recte) 10
quod] eius quod r exer- cet Hm1 12 minimum ante non E
minime FSm1 diducant FGm2 13 atbomis plerique
codd . consistere in mg. Hm2 constare CFP, post er . ł consistere C
honestam Em1P honestatem F 14 uoluptate om. F uoluptatera CEHm2
(te* m1) LNR, add . corporis L (del. m2) R, s. l. Gm2, ante
uol. edd . mentitur CEGHPRSm1 hoc] haec H 16
racione CN comprehenderent m1 in EHN nero]
ergo H maximus E error est CFHNP post
sese add. res FR , s. l. Pm2 19 digitos
CEFN id natura quoque fixura tenetur, quare necesse erat eos falli
qui abiecta scientia disputandi de rerum natura perquirerent, nisi enim prius
ad scientiam uenerit quae ratiocinatio ueram teneat disputandi semitam, quae
ueri similem, et agnoscere quae fida, quae possit esse suspecta, rerum
incorrupta ueritas ex ratiocinatione non potest inueniri. cum igitur ueteres
saepe multis lapsi erroribus falsa quaedam et sibimet contraria in disputatione
colligerent atque id fieri inpossibile uideretur, ut de eadem re contraria
conclusione facta utraque essent uera quae sibi dissentiens ratiocinatio
conclusisset, cuique ratiocinationi credi oporteret, esset ambiguum, uisum est
prius disputationis ipsius ueram atque integram considerare naturam, qua
cognita tum illud quoque quod per disputationem inueniretur, an uere
comprehensum esset, posset intellegi, hinc igitur profecta est logicae
peritia disciplinae, quae disputandi modos atque ipsas ratiocinationes
internoscendi uias parat, ut quae ratiocinatio nunc quidem falsa, nunc autem
uera sit, quae uero semper falsa, quae numquam falsa, possit agnosci, huius
autem uis duplex esse perpenditur, una quidem in inueniendo, altera in
iudicando. quod Marcus etiam Tullius in eo libro cui Topica titulus est,
euidenter expressit dicens; Cum omnis ratio diligens disserendi duas habeat
partes, unam inue- niendi, alteram iudicandi, utriusque princeps, ut mihi
quidem uidetur, Aristoteles fuit. Stoici 20 Tullius] Top. 2, 6 s.
1 ante natura add . in HLSpr, s. l. Pm2 3
post nisi add . quis r prius enim E 4
disputandi om. GRS ad ueri similem s. l . ał que ueri se
similem agnouerit Hm2 et agnoscere] FSm1 ( om . et) et
agnouerit EGLPRSm2 ( om . et) edd. ut ex hoc delectia rationum que- amus
agnoscere Hm1, s. l . ał et agnouerint quae fida et reliqua
m2 ut ex diligentia rationum queamus ( ex quaeramus C )
agnoscere CN 7 et sibimet] sibimet C sibi et
EGRS 9 post re s. l . si Cm1? 10 cuique)
CHm1N cuiue cett . 13 tunc FHNPm1R post an add .
id R, s. l. Gm2Lm2, 2 litt. er. C 15 ipsis ratiotinationibus
Hm2 16 ante internoscendi add. et brm uiam CFHN
19 inneniendi et iudicandi ( om . in) Hm2 24 quidem uidetur]
FHNPCic . uidetur quidem GRS quidem om. CEL autem in altera
elaborauerunt; iudicandi enim uias diligenter persecuti sunt ea scientia
quam διαλεκτικήν appellant, inueniendi artem,
quae τοπική dicitur quaeque ad usum
potior erat et ordine naturae certe prior, totam reliquerunt, nos autem
quoniam in utraque summa utilitas est et utramque, si erit otium, persequi
cogitamus, ab ea quae prima est, ordiemur, cum igitur tantus huius considera-
tionis fructus sit, danda est huic tam sollertissimae disci- plinae tota mentis
intentio, ut primis firmati in disputandi ueritate uestigiis facile ad
rerum ipsarum certam comprehen- sionem uenire possimus. Et quoniam qui sit
ortus logicae disciplinae praediximus, reliquum uidetur adiungere, an omnino
pars quaedam sit philosophiae an ut quibusdam placet, supellex atque instru-
mentum, per quod philosophia cognitionem rerum naturamque deprehendat, cuius
quidem rei has e contrario uideo esse sententias. hi enim qui partem
philosophiae putant logicam con- siderationem, his fere argumentis utuntur,
dicentes philosophiam indubitanter habere partes speculatiuam atque
actiuam. de hac tertia rationali quaeritur an sit in parte ponenda, sed
eam quoque partem esse philosophiae non potest dubitari, nam sicut de
naturalibus ceterisque sub speculatiua positis solius philosophiae uestigatio
est itemque de moralibus ac 2 uias] ENPCic.p, om. cett. codd .,
uiam brm ea scientia] Pm1Cic . eam scientiam EPm2
edd. eam scilicet scientiam CN artem et scientiam FSm2
scientiam GHLRSm1 διαλεκτικήν ] Cic. dialecticen CFGHL-
NPm2RS dialecticam E dialectica Pm1 τοπική ] Cic . topice Gm2LNS topica
CEFGm1HPR 4 quaeque] quae et Cic . 5 prior] prior est
GLa.c.RS 6 in—est et] CN Cic., s. l. Pm2, om. cett. codd., Boethius
etiam in comment. in Cic. Top. lib. I p. 1047 D haec uerba respicit 8
prima] prior Cic . ordiemur] EHm1NCic . ordiamur
CGHm2LPRS ordinamus F 13 quid FHm1NPp.c . quod
a.c . 14 ante reliquum add . esse GHP pars sit quaedam
GN quaedam pars sit L 18 hii EHL 20
ante habere add . duas L m 1860 21 post
rationali add . uel orationali EFGH (del. m2) RS (del. mS) id
est logica L ( s. l. m2) edd. ad an s. l . si
Cm2 24 inuestigatio L reliquis quae sub actiuam partem
cadunt, sola philosophia perpendit, ita quoque de hac parte tractatus, id est
de his quae logicae subiecta sunt, sola philosophia iudicat. quodsi speculatiua
atque actiua idcirco philosophiae partes sunt, quia de his philosophia
sola pertractat, propter eandem causam erit logica philosophiae pars, quoniam
philosophiae soli haec dis- putandi materia subiecta est. iam uero inquiunt :
cum in his tribus philosophia uersetur cumque actiuam et speculatiuam
consideratio|nem subiecta discernant, quod illa de rerum naturis, haec de
moribus quaerit, non dubium est quin logica disciplina a naturali atque morali
suae materiae proprietate di- stincta sit. est enim logicae tractatus de
propositionibus atque syllogismis et ceteris huiusmodi, quod neque ea quae non
de oratione, sed de rebus speculatur neque actiua pars, quae de moribus
inuigilat, aeque praestare potest, quodsi in his tribus, id est speculatiua,
actiua atque rationali, philosophia consistit, quae proprio triplicique a se
fine disiuncta sunt, cum specula- tiua et actiua philosophia partes esse
dicuntur, non dubium est quin rationalis quoque philosophia pars esse
conuincatur. qui uero non partem, sed philosophiae instrumentum putant,
haec fere afferant argumenta, non esse inquiunt similem logicae finem
speculatiuae atque actiuae partis extremo, utraque enim illarum ad suum
proprium terminum spectat, ut speculatiua tractat Ep.r.FR, m2 in
GLP 3 diiudicat CHm2 5 sola philo- sophia CFN
pertractet Em1 tractat Hm1 7 iam] tam R
ita FL 9 sublectas discernat Em2 10 dubium non
est CEL non est dubium F 11 a om. LS, s. l.
Gm2Pm2, postea add. R disiuncta (iunc in ras. m1? )
R est enim] etenim GLRS post tractatus add. est LR, s.
l. Pm2 14 orationibus E ratione Lm1, add . est L
17 sint Rm1, ex sit Sm2 cumque H (q.
er .) Lm2N 18 et] atque EFNP philosophiae pbr
dicantur Lm2N non est dubium EFHNP 21
haec—argumenta del. G asserunt
(ss in ras. m1?) C similem om. GR, post finem s.
l. Sm2, ad similem s. l. ł proprium Pm2 22
ante speculatiuae add . sed R, s. l. Gm2Lm2 extremum E
(u ex a uel o m2 ) GL (um ex am m2 )
Pm2RSm1 23 proprium suum C ut] ita ut brm
quidem rerum cognitionem, actiua uero mores atque instituta perficiat,
neque altera refertur ad alteram, logicae uero finis esse non potest absolutus,
sed quodammodo cum reliquis duabus partibus colligatus atque constrictus est.
quid enim est in logica disciplina quod suo merito debeat optari, nisi
quod propter inuestigationem rerum huius effectio artis inuenta est? scire enim
quemadmodum argumentatio concludatur uel quae uera sit, quae ueri similis, ad
hoc scilicet tendit, ut uel ad rerum cognitionem referatur haec scientia
rationum uel ad inuenienda ea quae in exercitium moralitatis adducta
beatitu- dinem pariunt. atque ideo quoniam speculatiuae atque actiuae
suus certusque finis est, logicae autem ad duas reliquas partes refertur
extremum, manifestum est non eam esse philosophiae partem, sed potius
instrumentum, sunt uero plura quae ex alterutra parte dicantur, quorum nos ea
quae dicta sunt strictim notasse sufficiat. Hanc litem uero tali ratione
discernimus. nihil quippe dicimus impedire, ut eadem logica partis uice simul
instrumentique fungatur officio, quoniam enim ipsa suum retinet finem isque
finis a sola philosophia, consideratur, pars philosophiae esse ponenda est,
quoniam uero finis ille logicae quem sola speculatur philosophia, ad
alias eius partes suam operam pollicetur, instrumentum esse philosophiae non
negamus; est autem finis logicae inuentio iudiciumque rati- onum. quod scilicet
non esse mirum uidebitur, quod eadem pars, eadem quoddam ponitur instrumentum,
si ad partes corporis animum reducamus, quibus et fit aliquid, ut his
quasi quibusdam instrumentis utamur, et in toto tamen corpore par- tium
obtinent locum, manus enim ad tractandum, oculi ad 1 rerum] Em2H(in
mg. m1?) Lm2 edd., post cognitionem add . rerum s. l. Pm2Sm2,
add . naturalium rerum F, s. l. Gm2, om. cett . 2ad alteram] de altera Em2 3 non potest
esse FGN 4 est om. C 5 aptari FGm1Hm1Pm2R 6
affectio EFHLm2Pm1Bm1 8 intendit F 9 rationum
scientia CLP 10 mortalitatis bm 11 parant Ea.c .
pariant Hm1 15 alterutra] utraque EP, add. post
alterutra H, del. m2 ante dicta add . supra EP, s. l.
Lm2 18 enim] nero CFHN 21 ei F 24 uidetur
Em1FGm2LNPm2 28 optineant Fp.c.S uidendum, ceteraeque
corporis partes proprium quoddam uidentur habere officium, quod tamen si ad
totius utilitatem corporis referatur, instrumenta quaedam corporis esse
deprehenduntur quae etiam partes esse nullus abnuerit, ita quoque logica
disciplina pars quidem philosophiae est, quoniam eius philo- sophia sola
magistra est, supellex uero, quod per eam inqui- sita philosophiae ueritas
uestigatur. Sed quoniam, quantum mihi quoque breuitas succincta largita est,
ortum logicae et quid ipsa logica esset explicui, nunc de eo nobis libro
pauca dicenda sunt quem in praesens sumpsimus exponendum, titulo enim proponit
Porphyrius introductionem se in Aristotelis PREDICAMENTO conscribere, quid vero
valeat haec introductio vel ad quid lectoris animum praeparet, breuiter
explicabo. Aristoteles enim librum qui De X PREDICAMENTI inscribitur hac
intentione composuit, ut infinitas rerum diuersitates quae sub scientiam cadere
non possent, paucitate generum comprehenderet, atque ita quod per
incomprehensibilem multitudinem sub disciplinam uenire non poterat, per
generum, ut dictum est, paucitatem animo fieret scientiaeque subiectum.
decem igitur genera rerum esse omnium considerauit, id est unam substantiam et
accidentia nouem, quae sunt II QUALITAS III QVANTITAS IV RELATIO V VBI VI
QVANDO VIII FACERE et pati, IX SITVS X HABERE, quae quoniam genera essent
suprema et quibus nullum aliud superponi genus posset, omnem necesse est
multitudinem rerum horum decem generum spe- 1 quoddam] quod
Em1 (aliquod m2 ) G 2 utilitatem post corporis
EG, ante totius L quas FSm2 5 quidem post
philosophiae H quaedam L uero] uero est L 8
quoque om. L quidem edd . ueritas Cm1N
succincta] CNPSm2 sua mora EFGHR sua mota
Sm1 succincta suam moram L ortum om . L et de ortu CNF quod
CF est G explicaui CELm2PRS 11 titulum
CHm1N lectoris s. l. Gm2, post animum CN, post
praeparet H. om. E 14 paret EFGNRS 15 scribitur
EGRSm1 17 ita quod s. l. Gm2 (itaque m1) Rm2 quod
( om . ita) s. l. Sm2 20 decem] in decem C 23 et
om. FLNP situm habere CRa.c . situm esse habere Gm1S
genus superponi H possit Ea.c.FGm1NPRS ante horum add.
per s, l. Pm2, ante species CFLR. s. l. Gm2Sm2
cies inueniri. quae quidem genera a se omnibus differentiis distributa
sunt nec quicquam uidentur habere commune nisi tantum nomen, quoniam omnia
esse praedicantur. quippe I SBSTANTIA est, II QVALITAS est, III QVANTITAS est,
et de aliis omnibus ‘est’ uerbum communiter praedicatur, sed non est
eorum communis una substantia uel natura, sed tantum nomen. itaque X genera
ab Aristotele reperta omnibus a se differentiis distributa sunt sed quae
aliquibus differentiis disiunguntur, necesse est ut habeant proprium quiddam
quod ea in singularem solitariamque vindicet formam. non est autem idem
proprium quod accidens accidentia enim et venire et abesse possunt, propria ita
sunt insita, ut absque his quorum sunt propria, esse non possint. quae cum ita
sint cumque Aristoteles X rerum genera repperisset, quae vel intellegendo mens
caperet vel loquendo disputator efferret - quicquid enim intellectu
capimus, id ad alterum sermone uulgamus —, euenit ut ad horum X PREDICAMENTI
intellegentiam quinque harum rerum tractatus incurreret, scilicet generis,
speciei, differentiae, proprii, accidentis. generis quidem, quoniam oportet
ante praediscere quid sit genus, ut X illa quae Aristoteles ceteris
anteposuit rebus, genera esse possimus agnoscere, speciei uero cognitio
plurimum ualet, ut quae cuiusque generis sit species, possit agnosci. si enim
quid sit species intellegimus, nihil impediti errore turbamur. fieri enim
potest, ut per speciei inscientiam saepe quantitatis species in relatione
ponamus et cuiuslibet primi generis species alteri cui- 4 omnibus
aliis FHLN 9 quoddam S 10 uendicet HLP
uindicent ( ent in ras.) S constituat CN 11 euenire
FGm2R (om. et) abire NP 12 propria ita] propria enim
ita H proprietates EGm1S propria uero ita edd .
insitae EGm1S 14 uel om. FP 16 cupimus E
alterutrum FPm2S ante accidentis add. atque
FHNP et L 21 inter- posuit m1 in EGS
superposuit Em2NP praeposuit FGm2 possemus
FN 22 cognitio post ualet LP 24 impedito
(uel in- ) Ca.c.EGm1HNS impedit R turbari
CS 25 inscitiam F 26 cuilibet] cuiuslibet Gm1N,a.r. in
EFS libet generi subdamus atque ita fiat permixta rerum atque
indiscreta confusio; quod ne accidat, quae sit natura speciei ante noscendum
est. nec uero in hoc tantum prodest speciei cognoscenda natura, ne priorum
generum species inuicem per- mutemus, uerum etiam ut in eodem quolibet
genere proximas species generi nouerimus eligere, ut ne substantiae mox animal
dicamus esse speciem potius quam corpus aut corporis homi- nem potius quam
animatum corpus, at uero differentiarum scientia in his maximum retinet locum,
qui enim omnino qualitatem a substantia uel cetera a se genera distare
cogno- scimus, nisi eorum differentias uiderimus? quomodo autem discernere eorum
differentias possumus, si quid ipsa sit diffe- rentia nesciamus? nec hunc solum
nobis inscientia differentiae offundit errorem, uerum etiam specierum quoque
tollit omne iudicium. nam omnes species differentiae informant, ignorata
differentia species quoque necesse est ignorari, quomodo uero fieri potest, ut
quamlibet differentiam possimus agnoscere, si omnino quae sit nominis huius significatio
nesciamus? iam nero proprii tantus usus est, ut Aristoteles quoque
singulorum PREDICAMENTI propria perquisiuerit. quae propria esse quis
deprehenderit, antequam quid omnino sit proprium discat? nec in his tantum
propriis haec cognitio ualet quae singulis nomi- nibus efferuntur, ut hominis
risibile, uerum etiam in his quae in locum definitionis adhibentur, omnia enim
propria rem subrectam quodam termino descriptionis includunt, quod suo
quoque loco 25 suo loco] lib. IV c. 15 s. 1 generis Gm1REa.r.Sa.r
. fiet CH fit N permixtio FHm2LNP 4
primorum FNP 5 in om. CERS, s. l. Gm2 6 ante generi add
. cuilibet brm 7 aut—corpus om. E, s. l. Gm2Sm2 8 corpus om. FP ,
del. Hm2 9 qui] quomodo Ep.c.HPp.c.R 11 nouerimus
R quo- modo—ignorari (16) in inf. mg. Em2 autem] nero
E(m2) 14 offundit] E (m2) Pm1 obfundit Hm2
diffundit Gm1 effundit cett.; cf. p. 159,16 15
informant differentiae brm 16 quomodo] qui FNP uero
om. G 18 huius
nominis FNP 20 perquisierit R quis esse FR
21 deprehen- derit in ras. E deprehenderet Np.c . deprehendet
( ex -it) P 22 proprii Gm2N post singulis add
. tantum FHLNP 24 subiecto EGm1RS oportunius
commemorabo, accidentis quoque cognitio quantum afferat, quis dubitare queat,
cum videat inter X PREDICATMENTI IX accidentis
naturas? quae quomodo accidentia esse putabimus, si omnino quid sit accidens
ignoremus, cum praesertim nec differentiarum nec proprii scientia nota sit,
nisi accidentis naturam firmissima consideratione teneamus? fieri enim
potest, ut differentiae loco uel proprii per inscientiam accidens apponatur,
quod esse uitiosissimum etiam definitiones probant, quae cum ipsae ex
differentiis constent et fiant unius cuiusque definitiones propriae, accidens
tamen non uidentur admittere. Cum igitur Aristoteles rerum genera
collegisset, quae nimirum diuersas sub se species continerent, quae species
nuraquam diuersae forent, nisi differentiis segregarentur, cumque omnia in
substantiam atque accidens, accidens uero in alia nouem praedicamenta soluisset
cumque aliquorum PREDICAMENTI fere sit propria persecutus, de his ipsis quidem
praedicamentis docuit, quid uero esset genus, quid species, quid differentia,
quid illud accidens, de quo nunc dicendum est, uel quid proprium, uelut nota
praeteriit, ne igitur ad PREDICAMENTI Aristotelis uenientes, quid significaret
unum quodque eorum quae superius dicta sunt ignora|rent, hunc librum
Porphyrius de earum quinque rerum cognitione per- scripsit, quo perspecto et
considerato quid unum quodque eorum quae supra praeposuit designaret, facilior
intellectus ea quae ab Aristotele proponerentur addisceret. Haec quidem
intentio est huius libri, quem Porphyrius ad introductionem PREDICAMENTI se
conscripsisse ipsa, ut 1 opportunius NR post accidentis
add . teneri L , post naturas (3) tenere HN
3 quonam modo FHLNP 5 tota EN, m1 in GPS 6
tenemus C 7 insciciarn FN 11 ante
rerum add . decem cod. Monac. 4621 brm, recte? 15 nouem om. S
edd., s. l. Em2Gm2 16 fere om. EFGS, er. H 18 nunc om.
GRS est dicendum CL eorum delendum esse coni.
Engelhrecht 23 quo] ut CHLNP inspecto FNP perfecto EGm1
24 eorum] cod. Monac. 4621 ( om . quae), om. codd. nostri
proposuit FP proposui H posuit NR 25 ab om. ENR
praeponerentur CHm2NR 27 ipse L ita F
dictum est, tituli inscriptione signauit, sed licet ad hoc unum huius
libri referatur intentio, non tamen simplex eius utilitas est, uerum multiplex
et in maxima quaeque diffusa est. quam idem Porphyrius in principio huius libri
commemorat dicens; Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud
Aristotelem praedicamentorum doctri- nam, nosse quid genus sit et quid
differentia quidque species et quid proprium et quid apcidens, et ad
definitionum adsignationem et omnino ad ea quae in diuisione uel
demonstratione sunt, utili hac istarum rerum speculatione, compendiosam tibi
traditionem faciens temptabo breuiter uelut introductionis modo ea quae ab
antiquis dicta sunt adgredi altioribus quidem quaestionibus abstinens,
simpliciores uero mediocriter coniectans. Utilitas huius libri quadrifariam spargitur, namque
ad illud etiam ad quod eius dirigitur intentio, magno legentibus
usui Porph. Boeth.
Busse). 2 eius utilitas est] FGm2 (in mg. add.) HP
utilitas eius est in mg. add. Em2 est eius utilitas s. l. add. Lm2
eius est utilitas N, om, RS; est tamen simplex eius utilitas
C uerum in mg. Em2 sed GLS sed et R
multiplex et in mg. Em2, s. l. Sm2 est er. uid. E
5 ante Cura add . PROLOGVS RS, de inscript. codicum
Isagogen tantum con- tinent. cf. ad initium libri Chrysaori] G
chrisaori EHNPa.c . Γ ( s. l . menanti) Ώμ2ΣΦ chrysaoni S chrisarori (
uel cris- uel chriss-,1 CFLPp.c . R lATl m1
*! (-oui) ante et add. te C (er.) FLNA (del.)
Σ , s. l . scil, te E 6 ante
praedicamentorum add . X Δ 7 sit genus L
A et om . Φ quidue N
8 pr . et s. l. E, om . A 9 diffinitionem Em1 \
m2 , in -nes, hoc in -num mut. F 10 in]
ad FHP , ante in er . ad uid. C diuisionem Ca.r.FHNP
T a.r . A a.r . Q uel]
et N et ad FHP uel in ΔΣΦ demonstrationem Ca.r . (-ne ras.
ex -ne ut uid .) FHNP F a.r. A a.r .(b utili] edd
. utilia codd . 11 hac] HP , s. l. Sm2 hanc CLNΤ ΛΙIΣΦ , del . Δ , om . EFGRS speculationem CEa.r.Hm2L A a.r
. ΑΦ , in -num corr. Σ compendiosa ras. exsa C A 12 traditione ( uel
-cione) CLΝ Φ , ras. ex
-nem HT A 14 altioribus] ab altioribus A 17
quadrifaria S ante ad add . et EGP , s. l.
L 18 etiam om . G est et ad cetera, quae cum extra
intentionem sint, non tamen minor ex his legentibus utilitas comparatur, est
enim per hoc corpusculum et PREDICAMENTI facilis cognitio et defini- tionum
integra adsignatio et diuisionum recta perspectio et demonstrationum
ueracissima conclusio, quae res quanto difficiles atque arduae sunt, tanto
perspicaciorem studiosioremque animum lectoris expectant. dicendum uero est
quod in omnibus libris euenit. nam primum si quae sit intentio cognoscatur,
quanta quoque utilitas inde prouenire possit expenditur et licet extra multa,
ut fit, huiusmodi librum sequantur, tamen illam proxime utilitatem uidetur
habere, ad quod eius refertur intentio, ipso libro quem sumpsimus exponente,
cum eius intentio sit ad PREDICAMENTI intellectum facilem comparandi, non
dubium quin haec eius principalis probetur utilitas, licet non minores sint
comites definitio, diuisio ac demonstratio, quorum nobis quaedam hic
principia suggeruntur, sensus uero totus huiusmodi est : ‘cum sit, inquit,
utilis generis, speciei, differentiae, proprii accidentisque cognitio ad PREDICAMENTI
Aristotelis eiusque doctrinam, ad definitionum etiam adsignationem, ad
diuisionem et demonstrationem, quae sit harum rerum utilis überrimaque
cognitio, compendiosam, inquit, tra- utilitas legentibus FHP 3
opusculum CEp.r.FGm2HLN, recte ? integra om. ER, s. l. Gm2Sm2
recta] perfecta CFGm2- Hm1N 8 post libris add .
his HNP hoc R, s. l, sed exters. G sit] est H id
est (add. Lm2) perpenditur Em2Lm2 10 ante huius-
modi add . in CE (del.) G (del. m2) N librum] LPm2RSm2,
om. Hm1 , libros FGm1Sm1, s. l. Hm2 , libro CE (del.) Gm2NPm1
sequntur ( uel sec-) R, m1 in EGS 11 uidentur FH
ad quod] aliquod Cm1 ad quam FGm2Pm2 eius] eorum
FGm2HPm1 12 ante ipso add . ut (s. l. est Lm2) in
hoc CFHLNP, s. l . ut in Em2 hoc Gm2 ex-
ponendum CE (dum in er . te?) FHLNP ( ex
-dus m1 exponere m2 ) Sm1 post cum s. l .
enim Hm2 13 praeparandi H 14 ante dubium
add . est FHNP , s. l. Gm2, post s. l. L 15 minoris
CGm1N 16 nobis om. C hic quaedam C
principalia NSm1 17 huiusmodi totus EG 19 eamque
Hm1Sm1 20 ad om. C, s. l. Gm2 , et FHN et ad
P et] ac H, om. CFNP , et ad edd . demonstrationemque CN
demonstrationum- que FP quae] quia Lm2R, om. CFNP 21
traditione ras. ex -nē H ditionem faciens ea quae
ab antiquis large ac diffuse dicta sunt, temptabo breuiter aperire’, neque enim
esset compendiosa, nisi totum opus breuitate constringeret et quoniam
introductionem scribebat, ‘altiores, inquit, quaestiones sponte refngiam,
simpliciores uero mediocriter coniectabo’, id est sim- pliciorum quaestionum
obscuritates habita in eis quadam coniecturae ratiocinatione tractabo. Tota
quidem sententia huiusce prooemii talis est, quae et utilitate überrima et
facilitate incipientis animo blandiatur, sed dicendum uidetur quidnam
celet amplius altitudo sermonum, necessarium in Latino sermone, sicut in
Graeco άναγκαΐον , plura significat, diuersa
enim significatione Marcus Tullius CICERONE dicit necessarium suum esse aliquem
atque nos, cum nobis necessarium esse dicimus ad forum descendere, qua in uoce
quaedam utilitas significatur. alia quoque significatio est qua dicimus
solem necessarium esse moueri, id est necesse esse, et illa quidem prima
significatio praetermittenda est, omnino enim ab eo necessario quod hic
Porphyrius ponit aliena est. hae uero duae huiusmodi sunt, ut inter se certare
uideantur quae huius loci obtineat significationem, in quo dicit
Porphyrius; Cum sit necessarium, Chrysaori; namque, ut dictum est, neces-
Marcus Tullius] cf. infra apparatum. 2 enim om. E 3
corpus HNPm1 4 refugio EGR 5 simplicium
Gm2LPm2 6 eas EFGm1HNSm1 7 ad quidem s.
l. autem Gm2 8 prohemii EPS uberrima
<sit> Brandt 9 animum EGLm2Pm2R uidetur om.
ERS, s. l. Gm2 11 ΑΝΑ Γ ΑΙΟΝ uel ANAKAION
uel sim. codd . ANA IT CION ł
ANAKAION C 12 etenim F ad Marcus Tullius in mg .
Marcus enim tullius pro fundanio inquit descripsistine eius neces- sarium id
est adiutorem danium ( leg . fundanium) add. Hm2, ex Mario Victorino De
defin., Boeth. p. 906 B, haustum, Cic. IV 3 p. 236 frg. 6 Mueller 13
aliquod C aliquid Hm1NPm2 nos] Hm1Pp.e.Sm1
nostrum cett.; an nostrum est scribendum ? ante cum add .
ut EG (del. m2) HLm2P uel F nos Hm2 14
dicamus L 16 post , esse] esset F est
Hm1LNP 18 uero om. N ergo F Chrysaori] CEm1 chrisaori
uel eris- uel crys-uel crisar- uel sim. cett .
necessarium] harum E ( s. l . duarum necessitatum m2 )
Gm1S necessarium harum F sarium et utilitatem
significat et necessitatem, uidentur autem huic loco utraque congruere, nam et
summe utile est ad ea quae superius dicta sunt, de genere et specie et
ceteris disputare, et summa est necessitas, quia nisi sint haec ante
praecognita, illa ad quae ista praeparantur, non possunt cognosci, nam
neque praeter generis uel speciei cognitionem PREDICAMENTA discuntur nec
definitio genus relinquit et differentiam, et in ceteris quam sit utilis iste
tractatus, cum de diuisione et demonstratione disputabitur, apparebit, sed
quamquam necesse sit haec quinque de quibus hic disputandum est, prius ad
cognitionem uenire quam ea quibus illa praeparantur, non tamen ea
significatione hic a Porphyrio positum est qua necessitatem significari uellet
ac non potius utilitatem, ipsa enim oratio contextusque sermonum id clarissima
intellegentiae ratione significat, neque enim quisquam ita utitur ratione,
ut aliquam necessitatem referri dicat ad aliud, necessitas enim per se
est, utilitas uero semper ad id quod utile est refertur, ut hic quoque, ait
enim Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem PREDICAMENTI
doctrinam, si igitur hoc necessarium utile intellegamus et id nomine ipso
uertamus dicentes: cum sit utile. Chrysaori, et ad eam quae est apud
Aristotelem praedicamen- 1 et om. R, del. CGm2 significans R ante
necessitatem add . altera R, s. l. Gm2 4 necessitas est
E quia om. NS sint post haec F, post
praecognita H 5 agnosci CN post cognosci add .
quae (om. E) praedicamenta dicuntur CEGL (in sup. mg.
m2) PR cognitiones (del. et s. l . quae add. m2)
praedicamentarum (rum del. m2 ) dicuntur S
nam—discuntur om. GRS, in sup. mg. Lm2 nam—cognitionem in mg.
Em1?, reliqua om . 7 nec] sed istis cognitis nec C sed nec
S neque N sit] erit Em2GLm1RS 13 significare
FN 15 utatur Sm1 oratione CHm1N 16 aliud]
aliquid CHm1N 17 post se add . quiddam
CFHPN, s. l. Em2Lm2 , quidem edd . quod] ad quod NP defertur
Gm1Lm1RS 18 enim om . C Chrysaori] eaedem fere quae p. 147,
set in codd. scripturae 19 et] te
et L 20 post doctrinam add . nosse quid genus
sit C nosse quid sit genus et cetera in mg. Lm2 22
Chrysaori] ut 18 et om . EFGS te et L
doctrinam praedicamentorum C torum doctrinam, nosse quid
genus sit et cetera, recte se habebit ordo sermonum; sin uero id ad ‘necesse’
permutetur atque dicamus : cum sit necesse, Chrysaori, et ad eam quae est apud
Aristotelem PREDICAMENTI doctrinam, nosse quid genus sit et cetera,
rectae intellegentiae sermonum ordo non conuenit. quocirca hic diutius
immorandum non est. quamquam enim sit summa necessitas his ignoratis non posse
ad ea ad quae hic tractatus intenditur perueniri, non tamen de necessi- tate
hic dictum est necessarium, sed potius de utilitate. Nunc uero, licet idem superius dictum sit, tamen
breuiter quid ad PREDICAMENTI generis, speciei, differentiae, proprii
atque accidentis prosit agnitio, disputemus. Aristoteles enim in X PREDICAMENTI
genera constituit rerum quae de cunctis aliis PREDICARE ut quicquid ad
significationem uenire posset, id si integram significationem teneret,
cuilibet eorum subiceretur generi de quibus Aristoteles tractat in eo libro qui
De decem praedicamentis inscribitur, hoc ipsum uero referri ad aliquid uelut ad
genus tale est, quale si quis speciem supponat generi, hoc uero neque praeter
cognitionem speciei ullo modo fieri potest nec uero ipsae species quid
sint uel cuius magis sint possunt perspici nisi earum differentiae
cognoscantur, sed differentiarum natura incognita, quae unius 1
recte—sermonum] recte intellegentiae sermonum ordo conuenit CLP
(ex 5) uero] autem C atque] itaque FN ut
CLH (in ras.) Chrysaori]] sit GLRS nosse —sit om.
EH 5 ordo ante sermonum E post
his s. l. quinque Lm2 pr. (sic) ad om. G
, in mg. Em1? tractatus hic H intendit L
peruenire Lm1S 9 ante hic add. solummodo
F 10 nunc] nam F 11 quod EN 12 possit
Lm2 cognitio R possit Fa.c.LS Aristoteles delend.
esse coni. Brandt
eo om. E 17 De om. NS , de s. l. Lm2 uero
s. l. Gm2 18 post , ad om. GRS, s. l. Em2Lm2P qui
S 19 neque er . L nec N post
cognitionem add. generis neque praeter cognitio- nem CFHP (in
mg. m2) generis nec E (s. l. m1?)N, s. l. generis
et Lm2 20 nullo Lm2 neque F 21 magis]
modi CEm2 (in aliis m1) Hm1Pp.c.(corr. m1?) modo
N possint S possumus Gm1Lm2 possemus
m1 possimus E perspici] scire EGm1 (sciri m2
) L agnosci RS cuiusque speciei sint differentiae, modis
omnibus ignorabitur, quare sciendum est quoniam, si de generibus Aristoteles
tractat in PREDICAMENTI, et generum natura cognoscenda est, cuius cognitionem
speciei quoque comitatur agnitio, sed hoc cognito, quid sit differentia non
potest ignorari, quamquam in eodem libro plura sint ad quae nisi maximam
peritiam et generis et speciei et differentiae lector attulerit, nullus omnino
intellectus patebit, ut cum ipse Aristoteles dicit : diuersorum generum et non
subalternatim positorum diuersae secundum species et differentiae sunt, quod
his ignoratis intellegi inpossibile est. sed idem Aristoteles proprium
unius cuiusque PREDICAMENTI diligentissima inquisitione uestigat, ut cum
substantiae proprium post multa dicit esse quod idem numero contrariorum
susceptibile sit, uel rursus quantitatis, quod in ea sola aequale atque
inaequale dicatur, qualitatis etiam, quod per eam simile et dis- simile
aliud alii esse proponimus, et in ceteris eodem modo, ut quae sit proprietas
contrarii, quae secundum relationem oppositionis, quae priuationis et habitus,
quae affirmationis et 8—10] Aristot. Categ. c. 3, p. l b , 16 s. 13 s.]
ibid. c. 5, p. 4 a , 10 s. 15 s. (dicatur)] ibid. c. 6, p. 6 a , 26 s. 16 s.]
ibid. c. 8, p. 11 a , 15—19. 18 (quae sit)—153, 1 (negationis)] ibid. c.
10. 1 sit differentia S 5 non potest s. l. Gm2
quamquam] cum F et generis—differentiae post attulerit E
8 pateat EGLRS dicit] Brandt dicat codd. edd.; cf. 13.
p. 154, 14. 21. 153, 2. 6
10 post secundum add . se EGL (del.) ES, er. uid.
H et om. CN, del. Lm2, er. uid. H; cf. Aristot. Cat. c. 3
τών Ιτέρων γενών καί μή ΰπ’ αλληλα τεταγμένων ετεροι τω εΤδεε κο· αϊ διαοοραί et Boethii
interpretat. In Categ. Arist. p. 177 A (om. se) quid GRS 11
possibile EG ( post est signum interrogat.) RS
propria FHNP 14 ante numero s. l. cum
E aequum Em1FGLm1RS; cf. p. 153, 17 atque] aut N 16 dicitur
FHLm2P et dissimile] F uel dissimile s. l. Em2
aut dissimile s. l . Gm2Pm1? , om. cett.; cf. Aristot. Cat. c
. 9 Τ ών μέν ouv είρημένων — τό ομοιον χα) άνο'μοιον — αοτήν et Boethii
interpretat A (simile et dissimile,)
aliis DGPm1RS ( s in ras); cf. Aristot, ibid . έτέρω , Boeth. ibid . alteri 18 post
relationem add . contrarii Em1, del. et s. l . ut sapientia
stulticiae m2 negationis, in quibus ita tractat tamquam iam
peritis scienti- busque quae sit proprietatis natura; quam si quis ignorat,
frustra ea quae de his disputantur adgreditur. iam uero illud manifestum est,
quod accidens maximum PREDICAMENTI obtineat locum, quod proprio nomine nouem PREDICAMENTI
circumdat. Et ad PREDICAMENTI quidem quanta sit huius libri utilitas ex
his manifestum est. quod uero ait et ad definitionum adsignationem, facile
cognosci potest, si prius substantiae rationum diuisio fiat, substantiae
ratio alia quidem in descriptione ponitur, alia uero in definitione, sed ea
quae in descriptione est, pro|prietatem quandam colligit eius rei cuius
substantiae rationem prodit, ac non modo proprietate id quod monstrat informat,
uerum etiam ipsa fit proprium, quod in definitionem quoque uenire necesse
est; si quis enim quantitatis rationem reddere uelit, dicat licebit; quantitas
est secundum quam aequale atque inaequale dicitur, sicut igitur proprietatem
quidem quantitatis in ratione posuit quantitatis et ipsa tota ratio ipsius
quantitatis propria est, ita descriptio et proprietatem colligit et
propria fit ipsa descriptio, definitio uero ipsa quidem propria non colligit,
sed ipsa quoque fit propria, definitio namque substantiam monstrat, genus
differentiis iungit et ea quae per se sunt communia atque multorum in unum
redigens uni speciei quam definit reddit aequalia. ita igitur ad
descriptionem utilis est proprii cognitio, quoniam sola proprietas in
descriptione colligitur et ipsa fit propria sicut definitio quoque, ad
definitionem uero genus, quod primum 1 ita om. RS, s. l. m2 in
EGL tamquam iam] quasi C 5 optinet FHm1LmSN
obtineat ante praedicamentorum E libri huius CGLRS
utilitas] brm intentio codd . 10 post
substantiae add . uero F, s. l . enim Lm2 16 ante
dicat s. l . sc. ut Lm2 20 proprietates CFHNP
ipsa] ita G nam qui Gm2Lm1 (namque qui m2 )
S 26 proprietas sola CLP sola proprietas sola
FGm1S 27 ad sicut s. l . ł sic Em2 uero s. l
. Hm2 quod om . F quidem R
ponitur, et species, ad quam genus illud aptatur, et differentiae, quibus
iunctis cum genere species definitur, sed si cui haec pressiora quam
expositionis modus postulat uidebuntur, eum hoc scire conuenit, nos, ut in
prima editione dictum est, hanc expositionem nostro reseruasse iudicio, ut ad
intellegentiam simplicem huius libri editio prima sufficiat, ad
interiorem uero speculationem confirmatis paene iam scientia nec in singulis
uocabulis rerum haerentibus haec posterior colloquatur. Ad diuisionem uero
faciendam tam hic liber est utilis, ut praeter earum scientiam rerum de quibus
in hac libri serie disputatur, casu fiat potius quam ratione partitio,
hoc autem manifestum erit, si diuisionem ipsam diuidamus, id est si nomen ipsum
diuisionis in ea quae significat partiamur, est namque diuisio generis in
species, ut cum dicimus ‘coloris aliud est album, aliud nigrum, aliud uero
medium’, rursus diuisio est, quotiens uox plura significans aperitur et
quam multa sint quae ab ea significantur ostenditur, ut si quis dicat ‘nomen
canis plura significat, et hunc, latrabilem quadrupedem que et caeleste sidus
et marinam bestiam’, quae omnia a se definitione disiuncta sunt, diuidi autem
dicitur et quotiens totum in partes proprias separatur, ut cum dicimus
‘domus aliud sunt fundamenta, aliud parietes, aliud tectum’, et haec quidem
triplex diuisio secundum se partitio nuncupatur, est autem] in prima editione
nihil eiusmodi. 1 post
ponitur add . utile est CN, post species s. l . utilis
est Lm2 et species—aptatur in mg. Em2Gm2 illud
genus C 3 eum om. E , s. l. Gm2 , ei R 4
uti FGLRSm1 5 reseruasse] CPm2 edd . reser- uare E (
-re in ras .) FGm2HNPm1 (ante reseruare add. se m1,
del. m2) reseruantes Gm1S seruantes Lm1 seruare
m2 reseruantes sumus R 8 colloquatur] m1 in GLS
eloquatur CEm2 (in ras.) HN collocatur Em1R , m2 in GLS
edd . loquatur FP 9 utilis est LP 10 rerum om.
E 12 post . si om. EG, s. l. Sm2 13 ante
partiamur s. l . si E partia- tur Gm1 14 aliud
est] CEp.c.R edd . aliud esse Ea.c.GHLPS esse aliud
FN 15 rursum CEGNPm1R est s. l. Sm2 , ante
diuisio FHNP , et ante rursus et post
diuisio R 16 quam] quod EG a.c . (quae p.c .)
LRS sunt CFLNPa.c. 18 quadripedemque Sm1 20
distincta FHm1NP 23 partitio] separatio EGLm1Pm1RS
alia quae secundum accidens dicitur, ea quoque fit tripliciter, aut cum
accidens in subiecta diuidimus, ut cum dico ‘bonorum alia sunt in animo, alia
in corpore’, uel rursus cum subiectum in accidentia, ut ‘corporum alia sunt
alba, alia nigra, alia medii coloris’, rursus cum accidens in accidentia
separamus, ut cum dicimus ‘liquentium alia sunt alba, alia nigra, alia medii
coloris’, et rursus ‘alborum alia sunt dura, alia liquentia, quaedam mollia’,
cum igitur ita omnis sit diuisio aut secundum se aut per accidens, utraque uero
partitio tripliciter fiat cumque in superiore secundum se triplici partitione
sit una diui- sionis forma genus in species separare, id neque praeter generum
scientiam fieri ullo modo potest neque uero praeter differentiarum, quas
necesse est in specierum diuisione sumi, manifestum est igitur, quanta utilitas
huius libri ad hanc diuisionem sit quae primo aditu genus ac species et
differentias tractat, secunda uero ea diuisio quae est secundum se in uocis
significantias, nec haec quidem ab huius libri utilitate discreta est. uno enim
modo cognosci poterit, utrum uox cuius diuisionem facere quaerimus, aequiuoca
esse uideatur an genus, si ea quae significat definiantur, et si ea quae
sub communi nomine sunt, definitione clauduntur, species esse necesse est, et
illud commune eorum genus, quodsi illa quae proposita 3 sunt alia
H uel] aut brm rursum FS 4 corporalium
Ca.c.Hm1N rursum F 6
liquentia Ea.c.Gm1 8 fit G sit ante omnis F
, post diuisio N 9 accidentia S 10 superiori
Sm2 11 sepa- rare om. EN possit Em2 uero om. C
post praeter s. l . scientiam Sm2 ea del. L, er.
uid. P ante quae add . est N (om. post
quae] P (er. uid.) secundum—significantias] FHN
uocis post significantias C se et in
om cett . 18 uno] nullo F quo m2
in HLP enim] quidem N 20 si] nisi FLm2Pm2
significant CNPm2 et (om. si, ) in ros. Hm2 si
et RS (et s. l. m2 ) si om. EL, s. l. Gm2Pm2 ,
etenim L (ex et m2) Pm1 communi nomine] CEm2 (in ras.)
FHNP (nomine s. l. m2 ) communione cett. 21 sunt del. L, s.
l. Pm2 ante definitione add . una FHL (del. m2) R, s.
l. Em2Pm2 diffinitione s. l. Gm2 claudantur EGLRS
22 earum ES post genus s. l . necesse est Gm2
praeposita EGPS uox designat, non possunt una definitione
concludi, nemo dubitat quin illa uox sit aequiuoca neque ita sit communis his
de quibus PREDICARE ut genus, quandoquidem ea quae sub se posita significat,
secundum commune nomen non possunt una definitione comprehendi, si igitur ex
definitione manifestum fit quid genus sit, quid uero nomen aequiuocum,
definitio uero per genera differentiasque discurrit, quisquamne dubitare potest
aeque in hac diuisionis forma plurimum huius libri auctoritatem ualere? illa
uero secundum se diuisio quae est totius in partes, quemadmodum discernitur ac
non potius generis in species diuisio esse putabitur, nisi sint genus |et
species et differentiae earumque uis ante disciplinae ratione tractata? cur
enim non quisquam dicat domus species potius esse quam partes fundamenta,
parietes et tectum? sed cum occurrit generis nomen in una quaque specie totum
posse congruere, totius uero in una quaque parte sua nomen conuenire non posse,
manifestum fit aliam diuisionem esse generis in species, aliam totius in
partes, conuenire autem nomen generis singulis speciebus ostenditur per id,
quod et homo et equus singuli animalia nuncupantur, neque tectum uero neque
parietes aut fundamenta singillatim domus nomine appellari solent,
sed 1 concludi om ., nemo— comprehendi in inf. mg. Gm1?
nemo—ita sit in ras. Em2 2 uox—communis] uox non (non er. L,
om. S ) sit communis Gm1 uel 2 Lm1Sm1, post uox add . sit
aequiuoca neque (non, sed del. G ) ita ( om. G etiam S ) s. l. Gm2
uel alia Sm2, in mg. Lm2 3 ante his add . de E
(er.) G (del. m2) ES his s. l. Lm2
4 post posita s. l. sunt Hm2 non possunt] definiri (
uel diff-j (-ri ex -re Cm2 ) non possunt (add .
neq. Cm1, er.
et una add. m2) nec CFN 6 fit] H est
C sit cett . 8 aeque] etiam CFHm1NPSm1 9 auctorem
GR utilitatem Lm2 10 discernetur Hm2 (fort. recte)
discernatur N ac] et FHNP 11 esse om. R,
ante diuisio FN sit FSm1 sunt G et]
ac R 12 earum quauis ELR, m2 in GHPS , earum quis
Fm1 quamuis ( om . earum,) m2 ; cf. p. 157, 3 13
quisque CFHR esse potius FNR 14 dum F 15
quaque om. FN 17
sit ELRm1 (est m2 ) S 19 id om . RS,
s. l. Em2Gm2 singula CEa.r. (ut uid.) GLPm1 singularis
Sa.c . singu- laque R 20 aut] ac FHLNP neque
S 21 singulatim CNR appel- lari] nuncupari
FHLNP cum fuerint iunctae partes, tunc recte totius nomen excipiunt, de ea
uero diuisione quae secundum accidens fit, nullus ignorat quin incognito
accidenti incognitaque ui generis ac differentiarum facile euenire possit, ut
accidens ita in subiecta soluatur quasi genus in species, et postremo
omnem hunc ordinem partitionis foedissime permiscebit inscientia. Et
quoniam quid hic liber ad diuisionem prosit ostendimus, nunc.de demonstratione
dicemus, ne per ardua atque difficilia haereat qui in tanta hac disciplina
uigilantissimo ingenio et sollertissimo labore sudauerit. fit enim
demonstratio, id est alicuius quaesitae rei certa rationis collectio, ex ante
cognitis naturaliter, ex conuenientibus, ex primis, ex causa, ex necessariis,
ex per se inhaerentibus, sed genera speciebus propriis priora naturaliter sunt;
ex generibus enim species fluunt, item species sub se positis uel
speciebus uel indiuiduis priores naturaliter esse manifestum est. quae uero
priora sunt, ea et praenoscuntur et notiora sunt sequentibus naturaliter,
duobus enim modis primum aliquid et notum dicitur, secundum nos scilicet et
secundum naturam, nobis enim illa magis cognita sunt quae sunt proxima,
ut indiuidua, dehinc species, postremo genera, at uero natura conuerso modo ea
sunt magis cognita quae nobis minime proxima, atque ideo quamlibet se
longius 1 tunc er. C
accipiunt F 3 incognita m1 in GRS accidente
CN accidentia, del . a EGm2Rm2
accidenti—differentiarum in mg ., ante facile add . ea accidentia,
sed del. E incognitaque—differentia- rum om. GR
cognitaque (sic) ut generis ac differentiarum Sm1, del. m2 4
soluamus FHNP 5 postremum HP hunc ante
omnem L, post ordinem R 6 inscitia FHN 7
quid hic liber) FGm1NP quid liber hic Em2HL hic quid
liber Gm2 liber quid hic Em1R liber hic quid S; quid ad
diuisionem hic liber C 8 ne—haereat] rem perarduam atque difficilem
illi etiam FN ; ne et - in in difficil ** ia
et hereat in ras. C 9 hereat s. l. Sm2 etiam m1 tota
CFN 11 alicuius om. CL 13 priora propriis C
15 pr . uel om. L, del. Pm2 19 enim] uero N 21
natura] Ea.c.GR naturae Ep.c.FHLPS secundum
naturam CN; cf. Boeth . Post. Analyt. Aristot. interpret. lib. I c. II p. 714
B non enim idem est natura prius et ad nos prius neque notius natura et
nobis notius. 22 quantumlibet Em2 quantolibet Pm2 a
nobis genera protulerint, tanto magis erunt lucida et naturaliter nota,
differentiae uero substantiales illae sunt quas per se inesse his rebus quae
demonstrantur agnoscimus, praecedere autem debet generum ac differentiarum
cognitio, ut in una quaque disciplina quae sint eius rei quae demonstratur convenientia
principia, possit intellegi, necessaria uero esse ea ipsa quae genera et
differentias dicimus, nullus dubitat qui speciem sine genere et differentia
intellegit essq non posse, genera uero et differentiae sunt causae specierum. idcirco
enim species sunt, quia genera earum et differentiae sunt quae in
syllogismis posita demonstratiuis non rei solum, uerum conclusionis etiam
causae sunt, quod postremi Resolutorii locupletius dicent. Cum igitur
perutile sit et definitione quodlibet illud circumscribere et diuisione dissoluere
et demonstrationibus comprobare, haec autem praeter earum rerum scientiam
de quibus in hoc libro disputabitur, neque intellegi neque exerceri ualeant,
quis umquam poterit dubitare quin hic liber maximum totius logicae adiumentum
sit, praeter quem cetera quae in ea magnam uim tenent, nullum doctrinae aditum
praebent? Sed meminit Porphyrina introductionem aese conscribere neque
ultra quam institutionis modus est, formam tractatus egreditur, ait enim ‘se
altiorum quaestionum nodis abstinere, 1 protulerunt FLR
praetulerint N 2 substantiales] substantiae uel E 3
inesse post rebus C esse, del . in E
4 in om. C, s. l. Sm2 6 possint Hm1P 7 ante
genera add. et LP 8 intellegit in mg . Cm2, post
esse in ras. N 9 causae sunt FHL sunt om. R
causa G 11 demonstrantibus EFGLPm1RS; cf. Boeth. ibid. c. VI
p. 718 D de- monstratiuus syllogismus 12 postremis L in (s.
l.) postremis Pm2 postremo EFGPm1RS resolutoriis L
resolutarii F resoluturi RS resoluituri G
resolutius ac E 13 dicemus EGLPm1RS 15 demon- stratione
N 16 in om. FGPR, s. l.
Hm2S 17 ualeant] m2 in EHLS ualent CEm1F (n
del .) GHm1NP (n in ras .) RSm1 22 nec
N 23 egre- ditur] CF (aegr-) HNPm1 aggreditur
L egredi EGRS aggredi Pm2 altioribus
FN nodis om . Cm1Sm1 modis FNRa.c., s. l. Cm2, in mg.
Sm2 simplices uero mediocri coniectura perstringere’, quae uero
sint altiores quaestiones quas se differre promittit, ita proponit : Mox,
inquit, de generibus ac speciebus illud quidem, siue subsistunt siue in solis
nudisque intellectibus posita sunt siue subsistentia corporalia sunt an
incorporalia et utrum separata a sensibilibus an in sensibilibus posita et
circa ea constantia, dicere recusabo, altissimum enim est huiusmodi negotium et
maioris egens inquisitionis. Altiores,.inquit, quaestiones praetereo, ne
eis intempestiue lectoris animo ingestis initia eius priraitiasque perturbem,
sed ne omnino faceret neglegentem, ut nihil praeterquam quod ipse dixisset,
lector amplius putaret occultum, id ipsum cuius exequi quaestionem se differre
promisit, addidit, ut de his minime obscure penitusque tractando nec
le|ctori quicquam p. 54 obscuritatis offunderet et tamen scientia
roboratus quid quaeri iure posset agnosceret, sunt autem quaestiones quas sese
reti- Porph. Boeth. altissimum— negotium] Abaelardus, Epistolae, Opp. I p.
5 ed. Cousin. 1 simpliciores L praestringere
G perscribere CFN 2 sunt N 3 inquit om
. Ω ac] et ΗΝ Ω post
quidem add . quod EG (del.) Sm2 quae m1 4
subsistant L nudisque] nudis purisqne Ω ; Porph. p. 1, 10 έν μο'να'.ς ψιλοΐς έπινοίαϊς 5 substantia Em1 sunt ante
corporalia Σ , post incorporalia Δ sint LR A m2 , ras . ex sunt II 6
separat R a sensibilibus om. Gm1 (s. l. m2) Sm1 (cf.
proxima), ras. ex ab insensi- bilibus \ m2; om . Porph. p.
1,12 ab CEa.r. A m1 A m1 an in sensibilibus posita et]
FG (posita s. l. m2 ) LR Ψ an in sensibilibus (a sensibilibus m2 ) et S an
ipsis sensibilibus (posita om .) iuncta (in mg.) et ( om . II) Γ , s. l . Π m2 et ( cetera om .) CEHPm1 h m1 (s. l. an
et in sensi- bilibus posita m2 ) A m1 ( in mg . an
sensibilibus iuncta m2 ) Φ an (cet. om.)
NPm2 Σ 7 consistentia CHF
A m1 8 enim—negotium] FHLP Q ( sed est enim A
) Abaelard . negotium ante est CEGRS enim est
negotium huius modo (sic) N; Porph. p. 1, 13 βαθύτατης οϊοης τής τοιοΰτης πραγματείας 10 ante eis add . in, sed
del. E 11 primitiaque R per-
turbent FN 12 neglegentiam Gm1P praeter (s.
l.) quam C praeter id quam L 13 putasset
C 14 exequi quaestionem] exeeutionem (uel eis-)
EGHm1LRS 15 penitus Em1FG ne L 16
effunderet Ca.c.EGLNR infunderet Cp.c.FS ; cf. p. 145,
14 17 possit C a.c. Fa.c . se N cere promittit,
et perutiles et secretae et temptatae quidem a doctis uiris nec a pluribus
dissolutae, quarum prima est huiusmodi. omne quod intellegit animus aut id quod
est in rerum natura constitutum, intellectu concipit et sibimet ratione
describit aut id quod non est, uacua sibi imaginatione depingit ergo
intellectus generis et ceterorum cuiusmodi sit quaeritur, utrumne ita
intellegamus species et genera ut ea quae sunt et ex quibus uerum capimus
intellectum, an nosmet ipsi nos ludimus, cum ea quae non sunt, animi nobis
cassa cogitatione formamus, quod si esse quidem constiterit et ab his
quae sunt, intellectum concipi dixerimus, tunc alia maior ac difficilior
quaestio dubitationem parit, cum discernendi atque intel- legendi generis
ipsius naturam summa difficultas ostenditur, nam quoniam omne quod est, aut
corporeum aut incorporeum esse necesse est, genus et species in aliquo horum
esse oportebit quale erit igitur id quod genus dicitur, utrumne cor- poreum an
uero incorporeum? neque enim quid sit diligenter intenditur, nisi in quo horum
poni debeat agnoscatur, sed neque cura haec soluta fuerit quaestio, omne
excludetur ambi- guum. subest enim aliquid quod, si incorporalia esse
genus ac species dicantur, obsideat intellegentiam atque detineat exsolui
postulans, utrum circa corpora ipsa subsistant an et praeter corpora
subsistentiae incorporales esse uideantur. duae quippe incorporeorum formae
sunt, ut alia praeter corpora esse 1 promisit C 2
doctissimis P 4 statutum L discribit E 5
id s. l. C capiamus
C ipsi nos] ipsos FR ipsos ** (-os ex i
m2 ) S ipsi Hm1 nos s. l. m2 eludimus
Hm2 cogitatione] imaginatione F 11 intellectu ras.
ex -tu E ac] et R 12 parat FHm1PRS
discer- nendae atque intellegendae.. naturae EFGHNRS 13 natura L
osten- datur N 16 utrum FHm1NP an] aut ex ut F
uero om. N 19 excluditur Cm2GHp.c.LPRS aliquid quod] alia
quae (que N) FN aliud (ex aliquid]
quod E esse post species FHL, om. N 21 ac]
et H intellegentiam atque] animum intelligentiamqne F
intellegen- tiamque N ipsa corpora EFGHN et
om. CFHLN (fort. recte), del. Pm2 23 subsistentia
Ca.c.Gm2L substantiae Cp.c.FN (s. l . ł subsistentes)
incorporalia Gm2L possint et separata a corporibus in sua
incorporalitate perdurent, ut deus, mens, anima, alia uero cum sint incorporea,
tamen praeter corpora esse non possint, ut linea nel superficies uel numerus
uel singulae qualitates, quas tametsi incorporeas esse pronuntiamus, quod
tribus spatiis minime distendantur, tamen ita in corporibus sunt, ut ab his
diuelli nequeant aut separari aut, si a corporibus separata sint, nullo modo permaneant,
quas licet quaestiones arduum sit ipso interim Porphyrio renuente dissoluere,
tamen adgrediar, ut nec anxium lectoris animum relinquam nec ipse in his
quae praeter muneris suscepti seriem sunt, tempus operamque consumam, primum
quidem pauca sub quaestionis ambiguitate proponam, post uero eundem
dubitationis nodum absoluere atque explicare temptabo. Genera et species aut
sunt atque subsistunt aut intellectu et sola cogitatione formantur, sed
genera et species esse non possunt, hoc autem ex his intellegitur, omne enim
quod commune est uno tempore pluribus, id unum esse non poterit; multorum enim
est quod commune est, praesertim cum una eademque res in multis uno tempore
tota sit. quantaecumque enim sunt species, in omnibus genus unum est, non
quod de eo singulae species quasi partes aliquas carpant, sed singulae uno
tempore totum genus habent, quo fit ut totum genus in pluribus singulis uno
tempore positum unum esse non possit; neque enim fieri potest ut, cum in
pluribus totum uno sit tempore, in semet ipso sit unum 1 a om. CS,
s. l. Em2 corporalitate ELS possunt ELNPR 4
tamenetsi Ca.c . (tam ras. ex tam) L tam si
Em1 tamensi GRS quod]
eo quod L tamen om. G
tam N 6 uti EGLPa.r.RS ante diuelli add. aut Hm1, del.
m2 a om. ERS, s. l. Gm2 separatae exta H
quaestiones licet FHLPN 9 rennuente Ca.r.Ga.c.LNS ut] ita
ut R 13 dubietatis L exsoluere CF 14 atque]
et EGLPRS 15 solo ( s. l. Pm2 ) et FHNP uno tempore
pluribus] multorum uno tempore N 18 est (s. l. m2 ) enim
G tota sit] transit F est
unum Fm2H non, s. l . quod S, ut non CHm1N carpunt RS capiant F
participant Nm1 habeant Hm2Lm2P possunt F possint S
enim om. FN. del. L unoque Gm2 sit uno FHN
tempore in mg. Gm2 numero, quod si ita est, unum quiddam
genus esse non poterit, quo fit ut omnino nihil sit; omne enim quod est,
idcirco est, quia unum est. et de specie idem conuenit dici, quodsi est quidem
genus ac species, sed multiplex neque unum numero, non erit ultimum genus, sed
habebit aliud super-positum genus, quod illam multiplicitatem unius sui nominis
uocabulo includat, ut enim plura animalia, quoniam habent quiddam simile, eadem
tamen non sunt, idcirco eorum genera perquiruntur, ita quoque quoniam genus,
quod in pluribus est atque ideo multiplex, habet sui similitudinem, quod genus
est, non est uero unum, quoniam in pluribus est, eius generis quoque
genus aliud quaerendum est, cumque fuerit inuentum, eadem ratione quae superius
dicta est, rursus genus tertium uestigatur itaque in infinitum ratio procedat
necesse est, cum nullus disciplinae terminus occurrat, quodsi unum
quiddam numero genus est, commune multorum esse non poterit, una enim res
si communis est, aut partibus communis est et non iam tota communis, sed partes
eius propriae singulorum, aut in usus habentium etiam per tempora transit, ut
sit commune ut seruus communis uel equus, aut uno ] tempore omnibus
commune fit, non tamen ut eorum quibus commune est, sub- stantiam constituat,
ut est theatrum uel spectaculum aliquod, quod spectantibus omnibus commune est.
genus uero secundum nullum horum modum commune esse speciebus potest;
nara numero] in numero NR quoddam FS quodque
N quidem R 5 ad ultimum s. l .
maximum E super se (se s. l. G ) positum GR 6
sui] LP edd . ui cett. (post nominis F ) hominis
R 7 uocabulo] HLP edd., om. cett . concludat
H concludit Lm1 includat m2 includit R
12 requirendum F perquirendum N 13 ratio
Hm1N tertium genus CL 14 nestigabitur FH
nestigabit N 15 quodsi] quod NR quiddam] quoddem
(sic) R 17 si communis] sic omnis F quae com- munis CN
si om. R post
post , communis est add . ut puteus et (uel H ) fons CHNP
(del. m2) , in mg. E, s. l. Lm2 18 proprie CFLNR
post singulorum add . sunt HP , s. l. Lm2 ,
post sunt s. l . ut puteus et fons Pm2 19 habent
G etiam om. FNP iam LS 21 sit NP (
ras. ex fit) est R ita commune esse debet, ut et totum
sit in singulis et uno tempore et eorum quorum commune est, constituere ualeat
et formare substantiam, quocirca si neque unum est, quoniam commune est, neque
multa, quoniam eius quoque multitudinis genus aliud inquirendum est,
uidebitur genus omnino non esse, idemque de ceteris intellegendum est. quodsi
tantum intel- lectibus genera et species ceteraque capiuntur, cum omnis
intellectus aut ex re fiat subiecta, ut sese res habet aut ut sese res non
habet nam ex nullo subiecto fieri intellectus non potest —, si generis et
speciei ceterorumque intellectus ex re subiecta ueniat, ita ut sese res ipsa
habet quae intel- legitur, iam non tantum in intellectu posita sunt, sed in
rerum etiam ueritate consistunt, et rursus quaerendum est quae sit eorum
natura, quod superior quaestio vestigabat. quodsi ex re quidem generis
ceterorumque sumitur intellectus neque ita ut sese res habet quae intellectui
subiecta est, uanum necesse est esse intellectum qui ex re quidem sumitur, non
tamen ita ut sese res habet; id est enim falsum quod aliter atque res est
intellegitur, sic igitur, quoniam genus ac species nec sunt nec cum
intelleguntur, uerus eorum est intellectus, non est ambiguum quin omnis haec
sit deponenda de his quinque pro- positis disputandi cura, quandoquidem neque
de ea re quae sit 1 sit] s. l. Lm1? brm, om. cett . post tempore add. sit Np, s. l
. Em2 conformare N substantias FHNP
ante si add. et Hm1 , del. m2 ad quoniam s.
l . quod Hm2 4 multiplex m2 in CEGP,Lm1 8 habeat
N aut—habet in mg. Gm2 ut s. l. Lm2Sm2 9 habeat N
, post add . nanus est intellectus (Intellectus otn. brm ) qui de
nullo subiecto capitur in mg. Lm2, s. l. Rm1? brm
intellectus post potest C 11 ipsa res
HLN pr . in om. ENR ,
s. l. F 13 etiam om. CL 14 uestigabit Lm2
inuestigabat F esse post intellectum F ,
post uanniu N , om . R enim falsum est
CKNP est om . H , er . L enim om. R
si CNPS, m1 in GHL , nec R
igitur—intelleguntur om . R quoniam om. CN ac] et
S neque FHN quae Sm1 neque FH cum
om. GLPS s. l. add. E, sed del . uerus] nec uerus GLR earum
HN est eorum CL non] neque N 22 fit
Lm2 neque de ea de qua uerum aliquid intellegi proferriue possit,
inquiritur. Haec quidem est ad praesens de propositis quaestio; quam nos
Alexandro consentientes hac ratiocinatione soluemus. non enim necesse esse dicimus
omnem intellectum qui ex subiecto quidem fit, non tamen ut sese ipsum
subiectum habet, falsum et uacuum uideri. in his enim solis falsa opinio ac non
potius intellegentia est quae per compositionem fiunt. si enim quis componat
atque coniungat intellectu id quod natura iungi non patitur, illud falsum esse
nullus ignorat, ut si quis equum atque hominem iungat imaginatione atque
effigiet Centaurum. quodsi hoc per diuisionem et per abstractionem fiat, non
quidem ita res sese habet, ut intellectus est, intellectus tamen ille minime
falsus est; sunt enim plura quae in aliis esse suum habent, ex quibus aut
omnino separari non possunt aut, si separata fuerint, nulla ratione
subsistunt. atque ut hoc nobis in peruagato exemplo manifestum sit, linea in
corpore quidem est aliquid et id quod est, corpori debet, hoc est esse suum per
corpus retinet, quod docetur ita : si enim separata sit a corpore, non
subsistit; quis enim umquam sensu ullo separatam a corpore lineam cepit?
sed animus cum confusas res permixtasque in se a sensibus cepit, eas propria ui
et 4 Alexandro] testimonia Simplicii in Categ. Aristot. p. 50 a , 45 ss.,
Dexippi p. 50 b 15—31 (= p. 45, 12—28 Busse), Dauidis (Brandis) adfert
Prantl, Gesch. d. Logik im Abendlande I 623 n. 24. 6
sit CEFH (ex fit ) NPR ante ut add . ita FN
, s. l. Gm2Pm2 habeat FHm1NP 7 post uideri
add . ut si quis dicat lineam esse cum longitudine sine latitudine non est
omnino falsum F 8 compositionem] conjunctionem EGLPRS,
recte? 9 quisquam HP
quisque N ponat H intellectu] in intellectu
F id om. N 10 patiatur NR 11 pr . atque]
aut N efficiet L ( c ex g m2)
efficiat CF effigiat Sa.c . 12 haec E
ad abstractionera s. l . ł (??)positionem Lm2 ł
abscisionem Pm2 fit R 13 ita post res
C, om. R 14 ille] ipse R 16 ut s. l. Cm2, del. Lm2 ,
post hoc F ad peruagato s. l . ł uulgato
Pm2 18 hoc om. F est om. ELS, s. l. Gm2 , et
F 19 ante docetur add . et CHNP, in mg. Lm2 20 a om. ERS,
s. l. Gm2 21 anima Em1Gm1Pm2Sm1 22 post
permixtasque add . corporibus brm capit C
eas in mg. Hm2 cogitatione distinguit, omnes enim huiusmodi
res incorporeas in corporibus esse suum habentes sensus cum ipsis nobis corporibus
tradit, at nero animus, cui potestas est et disiuncta componere et composita
resoluere, quae a sensibus confusa et corporibus coniuncta traduntur, ita
distinguit, ut incorpoream naturam per se ac sine corporibus in quibus est
concreta, specnletur et uideat. diuersae enim proprietates sunt incorpo- reorum
corporibus permixtorum, etsi separentur a corpore, genera ergo et species
ceteraque uel in incorporeis rebus uel in his quae sunt corporea,
reperiuntur. et si ea in rebus incorporeis inuenit animus, habet ilico
incorporeum generis intel- lectum, si uero corporalium rerum genera speciesque
perspexerit, aufert, ut solet, a corporibus incorporeorum naturam et solam
puramque ut in se ipsa forma est contuetur, ita haec cum accipit animus
permixta corporibus, incorporalia diuidens speculatur atque considerat, nemo
ergo dicat falso nos lineam cogitare, quoniam ita eam mente capimus quasi
praeter corpora sit, cum praeter corpora esse non possit, non enim omnis qui ex
subiectis rebus capitur intellectus aliter quam sese ipsae res habent,
falsas esse putandus est, sed, ut superius dictum 20 superius] p. 164, 8.
2 corpore EGLRS 3 at
nero om. C animi ( om . cui) R et om. GRS, s. l.
Lm2 post disiuncta add . ut equum et hominem quae iungi non patitur
natura, post composita add . ut corpus et lineam et (sic)
disiungi natura non patitur R 4 a s.l. m2 in EGLS 5
ante incorpoream add . in FLNS 7 et] ut S
sunt proprietates CLR , add. ut equum et cetera R 8 ante
corporibus add. et C etiamsi R et, s. l. si Cm2F
separarentur F (ra s. l.) R separantur Lm1N ergo
om. FN, del. Lm2 , uero H, s. l. Lm2 corporeis Cm1GHLPa.c.R
10 incorporeis] corporeis Cm1 11 animus inuenit FHNP
post ilico add . ibi F, s. l. Gm2, add . quo E, sed del.
incorporalium Em1 speciesque] et species esse F prospexerit
HR 14 ante haec add . et H (del. m2) N, s. l.
Cm2 animus cum accipit F 15 accepit Pm1S
animus accipit C post incorporalia add . ea
CHm2LPN diuisa Gm2 16 desiderat Em1Ga.c . falso
ante dicat F falsam CGm1Lm1 ( post
nosl NRS 17 capiamus Cm2N 19 sese om. F
ipsae om . H , s. l. Em2 , ipsa F est, ille quidem
qui hoc in compositione facit falsus est, ut cum p. 56 hominem
atque equum | iungens putat esse Centaurum, qui uero id in diuisionibus et
abstractionibus assumptionibusque ab his rebus in quibus sunt efficit, non modo
falsus non est, uerura etiam solus id quod in proprietate uerum est inuenire
potest. sunt igitur huiusmodi res in corporalibus atque in sensibilibus,
intelleguntur autem praeter sensibilia, ut eorum natura perspici et proprietas
ualeat comprehendi, quocirca cum genera et species cogitantur, tunc ex singulis
in quibus sunt eorum similitudo colligitur ut ex singulis hominibus inter se
dissimilibus humanitatis similitudo, quae similitudo cogitata animo ueraciterque
perspecta fit species; quarum specierum rursus diuersarum similitudo
considerata, quae nisi in ipsis speciebus aut in earum indiuiduis esse non
potest, efficit genus, itaque haec sunt quidem in singularibus, cogitantur uero
uniuersalia nihilque aliud species esse putanda est nisi cogitatio
collecta ex indiuiduorum dissimilium numero substantiali similitudine, genus
uero cogitatio collecta ex specierum similitudine, sed haec similitudo cum in
singularibus est, fit sensibilis, cum in universalibus, fit intellegibilis,
eodemque modo cum sensibilis est, in singularibus permanet, cum
intellegitur, fit uniuersalis. subsistunt ergo circa sensibilia, intelleguntur
autem praeter corpora, neque enim interclusum est ut duae res eodem in subiecto
sint ratione diuersae, ut linea curua atque caua, quae 1
cõpositionem GHR facit post hoc H 2
quia Gm1R quod Sm2 3 id om. N, s. l. Em2H,
post diuisionibus F assumptionibus Em1Gm1P atque
assumptionibus CL post solus add. intellectus F ,
scil, intellectas s. l. Lm2 6 corporibus FHN
post sensibilibus add . rebus CHLNP 8
ante genera add . et CFS ; et species et genera R
11 post pr . simili- tudo add . colligitur N , scil,
colligitur s. l. Hm2Sm2 cognita Cm1F cognita uel
cogitata N 12 ueraciter Lm2N perfecta Em1NP
sit FN 13 in om. C 14 earum] Pp.c. (corr.
m1?) eorum cett . 17 substantiarum R 18 collecta
cogitatio Cm1LP 22 autem] tamen R 23 eadem
Em1Gm1Ha.c . eidem Gm2Lm1 fin eodem m2 ) PR e *
dem (sic) S in ante subiecto s. l., post
eodem er. uid. C, om. EGLPRS 24 sint om. L concaua Cm2N
cauata Lm1 res cum diuersis definitionibus terminentur
diuersusque earum intellectus sit, semper tamen in eodem subiecto reperiuntur;
eadem enim linea caua, eadem curua est. ita quoque generibus et speciebus, id
est singularitati et uniuersalitati, unum quidem subiectum est, sed alio
modo uniuersale est, cum cogitatur, alio singulare, cum sentitur in rebus his
in quibus esse suum habet. His igitur terminatis omnis, ut arbitror, quaestio
dissoluta est. ipsa enim genera et species subsistunt quidem alio modo,
intelleguntur uero alio, et sunt incorporalia, sed sensibilibus iuncta
subsistunt in sensibilibus, intelleguntur uero ut per semet ipsa subsistentia
ac non in aliis esse suum habentia, sed Plato genera et species ceteraque non
modo intellegi uniuersalia, uerum etiam esse atque praeter corpora subsistere
putat, Aristoteles uero intellegi quidem incorporalia atque universalia,
sed subsistere in sensibilibus putat; quorum diiudicare sententias aptum esse
non duxi, altioris enim est philosophiae, idcirco uero studiosius Aristotelis
sententiam executi sumus, non quod eam maxime probaremus, sed quod hic liber ad
Praedicamenta conscriptus est, quorum Aristoteles est auctor.
Illud uero quemadmodum de his ac de propo- sitis probabiliter antiqui
tractauerunt et horum ma- xime Peripatetici, tibi nunc temptabo
monstrare. Praetermissis his quaestionibus quas altiores esse
praedixit, Porph. Boeth. earum] HPp.c.(corr. m1?) eorum
cett. enim om. LP quippe P, s. l. Lm2 concaua
Cm2N eadcmque FLRS 6 post singulare add .
est R, s. l. Sm2 9 post , alio] alio modo LR
post uero s. l . praeter corpora Pm2 11
subsistentia in ras. E substantia GSm1 13
ante esse s. l . ea E praeter s. l. Cm2
15 ante sensibilibus add . ipsis G 16 dixi
Lp.c.Sa.c . 17 uero s. l. Cm2 20 auctor est CLP
est om. G ante lemma ISTORIA add. S, sic (
uel HIST-) ante omnia paene lemmata uero] autem Σ post,
de om. E 22 probabiliter] λογιχώτίρον Porph. p.
1, 15 tractauerint Cp c . GH X m1 23 monstrare
(demonstrare N ) temptabo FLN 24 ante
Praetermissis add . EXPOSITIO S, sic paene ubique ante explicat,
lemmatum Missis Sm1 exoptat mediocrem introductorii
operis tractatum, sed ne haec ipsa sibi harum quaestionum omissio uitio
daretur, apposuit quemadmodum de propositis tractaturus est, ex quorumque hoc
opus auctoritate subnixus adgrediatur, ante denuntiat, cum mediocritatem quidem
tractatus promittit detracta obscuri- tatis difficultate, animum lectoris
inuitat, ut uero adquiescat ac sileat ad id quod dicturus est, peripateticorum
auctoritate confirmat, atque ideo ait de his, id est de generibus et spe-
ciebus, de quibus superiores intulerat quaestiones, ac de pro- positis, id est
de differentiis, propriis atque accidentibus, sese probabiliter
disputaturum, probabiliter autem ait ‘ueri similiter’, quod Graeci
λογικώς uel Ινδόξως dicunt, saepe enim et apud
Aristotelem λογικώς ueri similiter ac probabiliter dictum inuenimus
et apud BOEZIO et apud Alexandrum. Porphyrius quoque ipse in multis hac
significatione hoc usus est uerbo, quod nos scilicet in translatione,
quod ait λογικώς , ita interpretari ut rationabiliter’diceremus omisimus,
longe enim melior ac uerior significatio ea uisa est, ut probabiliter sese
dicere promitteret, id est non praeter opini- onem ingredientium atque
lectorum, quod introductionis est proprium, nam cum ab imperitorum
hominum mentibus doctrinae secretum altioris abhorreat, talis esse introductio
debet, p. 57 ut praeter opinionem ingredijentium non sit. atque
ideo melius haec om. S harum que LS horumque
Gm1 quaestionum] insti- tutionum Gm1Lm1RS omissi
Em1 omisso Lm1Sm1 amissio F 3 est s. l. Em2 ,
esset Gm1 ex] et FHN , s. l. (om . ex) Em2
quo- rum FHN 4 subnisus EGm1Sm1 aggreditur
EGLPRS 8 et] ac R 10 de] R, om. cett . 11
post ait add . id est C 12 λογιχώς
uel ένδόξως ] edd., ante λογιχώς add .
uel CGLPR ; ΛΟΓ ΙΚΟΟ uel ΛΩΓΙ- ΚΩΟ uel
alia sim. codd .; ΕΝ ΔΩ ΧΟΝ C, sim. Η endo ΧΩ Ο E ΕΝ ΑΟΓΩ
Ο S, alia uarie cett . 13 et om. GR est S λογιχώς ] S, in cett. eadem fere quae
12 14 Boethum] b boetum p boethon
Em2GNS (recte?) boeton CEm1PR boethion
F bethon H boetoton Lm1 boeten m2 Boethum
(-tium m)rm uerbo usus est CEGLRS 17 λογιχώς ] item ut 13, λογικώτερον edd. se L *mitteret, s.
l . pro Cm2 23 ingredientium opinionem C non
ante praeter CEG (corr. m2) L atque ideo]
ergo Gm1 (atque ita m2 ) LPm1RS melius
probabiliter quam om. R, s. l. Gm2Sm2 probabiliter quam
rationabiliter, ut nobis uidetur, interpretati sumus, antiquos autem ait de
eisdem disputasse rebus, sed se eorum illum maxime tractatum insequi quem Peri-
patetici Aristotele duce reliquerint, ut tota disputatio ad Praedicamenta
conneniat. 2 eisdem] E (eis in ras .)
hisdem cett. disputasse post rebus C, ante de
eisdem L, disputare N
se post illum add. brm, post
sed Brandt sequi CEm2HN reliquerint] Gm1HPp.r .
relinquerint FSm1P a.r . relinquerent. R a. r.Sm2
reliquerunt CEGmSLNRp.r . EXPLICIT (CΟΜ- MENTARIORV add . C , COMENTORVM add. F , COMTV
PLOLOGI, sic, add . S) LIB. I. INCIPIT (LIB. add. F )
II.(INCIPIT. om. R ) CEFGPRS ( uariis cum scripturis
compendiisque), subscriptio deest in HLN Quaeri in expositionum
principiis solet, cur unum quodque ceteris in disputationis ordine praeponatur,
uelut nunc in genere dubitari potest, cur genus speciei, differentiae, proprio
accidentique praetulerit; de eo enim primitus tractat, respondebimus
itaque iure factum uideri; omne enim quod uniuersale est, intra semet ipsum
cetera concludit, ipsum uero non clauditur, maioris itaque meriti est ac
principalis naturae quod ita cetera cohercet, ut ipsum naturae magnitudine
nequeat ab aliis contineri, genus igitur et species intra se positas
habet et earum differentias propriaque, nihilo minus etiam accidentia, atque
ita de genere inchoandum fuit, quod cetera naturae suae magnitudine cohercet et
continet, praeterea illa semper priora putanda sunt quae si auferat quis,
cetera perimuntur, illa posteriora quibus positis ea quae ceterorum
substantiam perficiunt, consequuntur, ut in genere et ceteris, nam si animal
auferas, quod est hominis genus, homo quoque, quod species est, et rationale,
quod differentia, et risibile, quod proprium, et grammaticum, quod accidens,
non manebit et 2 ante Quaeri codd. et p exhibent idem lemma (sine
inscript.) quod p. 171,10 habent, om. brm expositione CGm1L expositionis
S prin- cipii CGm1L 3 dispositionis N 5
praetulerat C tractat in ras ., s. l . scil, conamur
Em2 tractare Em1Sm1 6 respondemus F 8 clu- ditur
(i ex e m2 ) S naturae] naturae suae
F 10 igitur] itaque C et om . CN 11 etiam
minus HS 12 etiam om. R etiam et C ita]
idcirco CE (in ras.) HLm2NP ideo F inchoandum fuit]
erat incho- andum FHNP 13 ante cetera add . et L
natura suae magnitudinis FHN coerceat et contineat Lm2
14 priora] propria LS aufert Ca.c . 19 ante
proprium add . est P, s. l. Lm2 post
grammaticum add . esse FHP, s. l. Em2 post accidens
add. est FP , ante N interemptum genus cuncta consumit,
si uero hominem esse constituas uel grammaticum uel rationale uel risibile,
animal quoque esse necesse est. siue enim homo est, animal est, siue rationale,
siue risibile, siue grammaticum, ab animalis substantia non recedit,
sublato igitur genere et cetera con- sumuntur, positis ceteris sequitur genus;
prior est igitur natura generis, posterior ceterorum, iure est igitur in dispu-
tatione praepositura. Sed quoniam generis nomen multa significat hoc -
est enim quod ait : Videtur autem neque genus neque species simpliciter
dici; ubi enim non est simplex dictio, illic multiplex significatio est, prius
huius nominis significationes discernit ac separat, ut de qua significatione
generis tractaturus est, sub oculis ponat, sed cum neque genus neque
species neque differentia nec proprium nec accidens significatione
simplici sint, cur de his tantum duobus, genere inquam ac specie, dixit non
simpliciter dici, cum proprium, differentia atque accidens ipsa quoque sint
significatione multiplici? dicen- dum est quoniam longitudinem uitans tantum
speciem nomi- nauit eamque idcirco, ne solum genus significationis esse
multi- plicis putaretur, enumerat autem primam quidem generis significationem
hoc modo; Genus enim dicitur et aliquorum quodammodo se habentium
ad unum aliquid et ad seinuicem collectio, 10 s. Porph. Boeth. Porph.
Boeth. esse om. P 2 post grammaticum add .
esse FHP , s. l. Em2 3 esse post est Gm2L , om. EGmIRS, post esse
add . constituas EP , s. l. Lm2 alt . est] sit FHNP 5
et om. FHNR consummantur S 9 enim est L 10
ante Videtur add . INCIPIT Δ DE GENERE ΓΔΛΠ2Φ Incipit diffinicio
generis Ψ m. post., om. cett . autem om.
HN est significatio C tractatus R 14 est]
sit P oculos HN neque genus om. C 15
pr . nec FHP neque proprium neque N simplicia G
(a add. m1 uel 2) LSm2 ac] et C 17 non] nec G 18 atque
om. C est om. G solem Gm1 quidem om. C
24 ad] et ad S aliquod EN P IIS aliquem in ras
. Cm2, fort . aliquid m1 secundum quam
significationem ROMANI dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO,
et multitudinis habentium aliquo modo ad inuicem eam quae ab illo est
cognationem secundum diuisionem ab aliis generibus dictae. Una, inquit, generis
significatio est quae in multitudinem uenit a quolibet uno principium trahens,
ad quem scilicet ita illa multitudo coniuncta est, ut ad se inuicem per eiusdem
unius principium copulata sit, ut cum ROMANI dicitur genus; multitudo enim ROMANI
ab uno ROMOLO uocabulum trahens et ipsi ROMOLO et ad se inuicem quasi
quadam nominis hereditate coniuncta est. eadem enim quae a ROMOLO societas
descendit, ROMANI inter se omnes uno generis nomine deuincit et colligat,
uidetur autem secuisse hanc generis significationem in duas partes, cum
copulatiuam coniunctionem admiscuit dicens; genus dicitur et aliquorum
quodam- modo se habentium ad unum aliquid et ad se inuicem collectio, tamquam
et illud genus dicatur ad unum se aliquo modo habere et hoc rursus genus
dicatur, quod ad se inuicem unius generis significatione coniuncti sint. hoc
uero minime; eadem enim a quolibet uno propagata societas et ad illum qui
princeps est generis, totam multitudinem refert et ipsam 1
significationem] diffinitionem Φ romanura
Cm1G scilicet om. Porph.
ante inuicem add . se L (s. l. m2) brm
Busse; cf. p. 173, 12 4 eam quae] eamque CR 5 dictae]
Hm1Lm2R \ m2 W dictam cett.; cf. p. 173, 14 et Porph. p. 1, ( τού πλήθοος_ ) κεκλιμένοι» 7 uno om. FGRS, s.
l. Em2 , unum H; cf. 21 ad quem s. l . ał quod Lm2
8 est coniuncta F 9 dicitur—Romanorum in mg. E, s. l. Gm2, uerba multitudo enim
Romanorum del. Lm2 11 post trahens add .
sit E (del.) G (del. m2), s. l. Lm2 12 ea E (ras. ex eadem )
FHN ab CEH 14 colligit CFPm2RS alligat
L 16 genus om . H, s. l. N dicitur] edd., om.
H dici cett. (s. l. N) 17 ad] et ad S
aliquod N collectionem FH aliquo modo om. EGRS rursus post genus C
rursum S dicatur—generis om. GRSm1 dicatur unius
generis s. l. m2 coniunctiua
EGR coniuncta Sm2 sint] NS sunt CFHLP
, om. EGR post minime add . est LPm2 22
refert—multitudinem om. EGSm1, s. l. m2 (sed praefert )
inter se multitudinem uno generis nomine conectit et continet. quocirca
non est putandus diuisionem fecisse, sed omne quic- quid in hac generis
significatione intellegendum fuit, aperuisse. ordo autem uerborum ita sese
habet — qui est hyperbaton intellegendus — genus enim dicitur et
aliquorum ad unum se aliquo modo habentium collectio et ad se inuicem aliquo
modo habentium — rursus collectio subaudienda; est enim zeugma, cuius
significationis adiecit exemplum: secundum quam significationem Romanorum
dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem Romuli, et
multitudinis rursus habitudine habentium aliquo modo ad inuicem cognationem,
eam scilicet quae ab illo est, id est ROMOLO, secundum divisionem ab aliis
generibus dictae, scilicet multitudinis. haec enim multitudo aliquo modo
ad unum et ad se inuicem habens genus dicta est, ut ab aliis discerneretur, ut
ROMANI genus ab Atheniensium ceterorumque separatur, ut sit integer uerborum
ordo genus enim dicitur et aliquorum collectio ad unum se quodammodo habentium
et ad se inuicem, secundum quam significationem ROMANI dicitur genus ab
unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO, et multitudinis secundum
diuisionem ab aliis generibus dictae, habentium scilicet hominum aliquo modo ad
inuicem eam quae ab illo est, id est Romulo, cognatio- 1 nomine]
EGLRS uinculo CFHN nomine uel uinculo P 4 se FHNP
qui om. ER, s. l. Gm2Sm2
pr . sese L 7 ante collectio s. l . et ( ut uid
.) C subaudiendo N , post sub. add .
est LR, ante s. l. Pm2 8 zeuma EFGHPS 14 dictam
EGm1Lm1PSm2 haec enim multitudo om. ERS, s. l. Gm2
aliquo modo om . FP, ante add . et C, post add . se P
(del. m1?), s. l. Gm2H 15 post unum s. l .
aliquid Gm2 post habens add . cognationem Pm2 edd. separetur
Fa.c.N separaretur CFp.c.HLm1 sit] sic H
(sit post uerborum,) P (sit post ordo,) sic
sit F ; integer sit C ; ordo uerborum, post repet . sit
N 18 collectio om. E 20 ab] ad F
habitudinem F , post repetit uerba post . aliquo — exemplum
(6—8) G 22 dictam CEGm1Lm1Sm2 post habentium add .
se Lm2P 23 id est om. S, in quo post cognationem locus
p. 172, 4—13 secundum—deuincit et collegit (sic) repetitus (5 dicta
est, 12 ea script.) nem.’ Atque haec hactenus;
nunc de secunda generis signi- ficatione dicendum est. Dicitur
autem et aliter rursus genus, quod est unius cuiusque generationis principium
uel ab eo qui genuit uel a loco in quo quis genitus est. sic enim Orestem
quidem dicimus a Tantalo habere genus, Hyllum autem ab Hercule, et rursus
Pindarum quidem Thebanum esse genere, Platonem uero Atheniensem; etenim patria
principium est unius cuiusque generationis, quemadmodum et pater. haec autem
uidetur promptissima esse significatio; ROMANI enim sunt qui ex genere
descendunt ROMOLO, et Cecropidae, qui a Cecrope, et horum
proximi. Quattuor omnino sunt principia quae unum quodque prin- cipaliter
efficiunt. est enim una causa quae effectiua dicitur, uelut pater filii,
est alia quae materialis, uelut lapides domus, tertia forma, uelut hominis
rationabilitas, quarta, quam ob rem, uelut pugnae uictoria. duae uero sunt quae
per accidens unius Porph. Boeth. generationis om . A ,
in ras. C quae Gm1 ll m1 5 a loco] ab eo loco
CEGLRS; Porph. p. 2, 1 άπ6 τού τόποα sic ex si Cm2 enim
in ras. Cm2 6 oresthē C oresten LN ΣΝΑΣΦ horestem FH T dicemus S genus
habere F 7 Hyllum] Gm1 yllum m2 illum ( ad
quod s. l . tan- talum A m2 ) cett . autem om. G
8 ante Thebanum add . dicimus 2 9
principium] Porph. p. 2,4 αρχή τις ; cf. infra p. 178,
17 10 et] Ν Ψ (er. uid.) brm, s. l . Δ , om. cett. Busse; Porph. p. 2, 5 καί om. codd. quidam (habet M) ; cf. p.
176, 1 11 esse om. H sunt om. EFG- ΗΝS ΑΑΣ , s. l. Lm2 , in mg . U m2 dicuntur edd.;
Porph. p. 2, 6 λέγονται ; cf. p. 176, 7
12 cecropides Σ 13 a Cecrope]
cecropis Ea.c . (a cecropis p.c .) G (cae-
m1 ci- m2 ) R ex genere descendunt cecropis LS ΑΑΣ, s. l. Em2 ( om . cecropis), fort. ex p. 176, 8
; Porph. Κ εκροπίδαι ol άπό Κέκροπος eorum HL A
, in ras . 2 14 efficiunt principaliter H 16
filii] et filius Em1FGLPRS post materialis add .
dicitur FPR 17 ante forma add. a R, s. l.
Sm2, ras. in E uelut (i er .) C quam]
NS, om. R , quae cett., fort. recte ob rem s. l. Rm2 18
pugnae uictoria] N pugna uictoriae cett . duo CNP
accidentes Ea.c.GHm1 ( in mg . ał accidentialiter m2 )
Lm1RSm2 accidentis m1 cuiusque dicuntur esse principia, locus
scilicet ac tempus. quoniam enim omne quod nascitur uel fit, in loco ac tempore
est, quicquid loco uel tempore natum factumue fuerit, eum locum uel id tempus
accidenter dicitur habere principium. horum omnium in hac secunda generis
significatione duo quae- dam ex alterutris assumit, quae ad significationem generis
uidebuntur accommoda, ex his quidem quae principalia sunt, effectiuum, ex his
uero quae accidentia, locum. ait enim genus dicitur et a quo quis genitus
est, quod est effectiua principalium causa, et in quo quis loco est procreatus,
quae est accidens causa principii. itaque haec secunda significatio duo
continet, eum a quo quis procreatus est, et locum in quo quis editus, ut
exempla quoque demonstrant. Orestem enim dicimus a Tantalo genus ducere;
Tantalus quippe Pelopem, Pelops Atreum, Atreus Agamemnonem, Agamemnon
genuit Orestem. itaque a procreatione genus hoc dictum est. at uero Pindarum
dicimus esse Thebanum, scilicet quoniam Thebis editus tale generis nomen
accepit. sed quoniam diuersum est illud, a quo quis procreatus est, locusque in
quo quis editus, uidetur diuersa esse generis significatio procreantis et
loci, quam in secunda scilicet parte enumerans unam fecit. sed ne uideretur
duplex, per similitudinem coniunxit dicens: etenim patria principium est unius
cuiusque generationis, uel in ras. E et
C quicquid ex quo quid Cm2, ante add . et F, post add .
enim L accidentaliter
CLN accidentialiter EGPSm2; cf. indicem Meiseri ex alterutris
duo quaedam FP consumit
S sunt Cm1H sumit Cm2, s. l.N generis significationem H
uidebantur LPRS uideantur EG accommodata R
post quidem add . causis codd., om. unus F, del. Hm2
ante effectiuum add . sumit H accidentalia N dici
CFNP et om. C, s. l. Lm2 quisque CGRS 10 loco
procreatus est L procreatus est loco N quod
GKS 13 editus] editus est FHNP post quoque add .
ipsa FHP, s. l. Lm2 oresten LN , item 16 14
pelopen E 15 agamemnonen EG (-men) 17 quoniam]
quia FHN ante Thebis s. l. a Hm2? 18 editus] editus est
CL accipit C est om. G 19 pr.
quisque R editus] editus est NP (est s. l. m2 )
22 post uideretur add . tamen EP, s. l. Lm2 adiunxit
FN 23 patria s. l. Cm2, in mg. F generati Em1
generis RSm1 quemadmodum et pater. sed quoniam in significationibus
euenit fere, ut sit aliquid quod intellectui significatae rei propinquius esse
uideatur, quoniam duas generis apposuit significationes, multitudinis scilicet
et procreantis, cui generis nomen conuenientius aptetur, iudicat atque
discernit dicens hanc esse promptissimam generis significationem quae a
procreante deducta sit; hi enim maxime Cecropidae sunt qui a Cecrope
descendunt, hi ROMANI, qui a ROMOLO quae cum ita sint, confundi rursus generis
significationes uidentur. si enim hi sunt maxime Romani qui a Romulo originem
trahunt, et haec significatio illa est quae a procreante deducitur, ubi
est reliqua, quam primam quoque enumerauit, quae est multitudinis ad unum et ad
se inuicem quodammodo se habentium collectio? sed acutius intuentibus plurimae
admodum differentiae sunt. aliud est enim a quolibet primo procreante
genus ducere, aliud unum genus esse plurimorum. illud enim et per rectam
sanguinis lineam fieri potest et non in multa diffundi, ut si per unicos
familia descendat, huic enim aptabitur secunda illa generis significatio, quae
a procreante deducitur; prima uero illa non nisi in multitudine consistit.
illud quoque est, quod prima procreationis principium non requirit, sed,
ut ipse ait, sufficit aliquo modo se habere ad id unde huiusmodi generis
principium sumitur, secunda uero significatio nullam uim nisi procreante
sortitur. item in illa PRIMAE SIGNIFICATIONIS multitudine huius secundae
particularitas continetur, ut in 2 fere] saepe C (ante euenit
) LNPm2S intellectu G significandae FRSm2
propinquis F propinquus Gm1PR
propinquum N quoniamque Em2HLm2P, post quoniam add.
qui Sm1, del. m2 generi EGH (s er .) 6 esse
om. G 7 ducta R cecropides R 8 Cecrope]
cecropede FR (-ide) post Romulo add . descendunt
N 9 significationes generis C 11 ducitur Lm1 15
est s. l. F, post enim CL enim om. N aliquolibet ( om . a) G 16
deducere CLm1 et om. N 18 si s. l. Lm2, del. Sm2
per—descendat] puer unicus familiam distendat Cm1FHN aptatur
N 21 est] est intellegendum C primae Hm2 24 <a>
procreante Engelbrecht prima EGHLm1RS Romanorum
genere Scipiadarum genus; nam cum sint ROMANI, Scipiadae sunt. quoniam enim ad
ROMOLO et ad ceteros ROMANI secundum ROMOLO habitudinem iuncti sunt, ROMANI sunt,
SCIPIADAE uero dicuntur ad secundam generis significa- tionem, quia eorum
familiae SCIPIONE et sanguinis principium fuit. Et prius quidem
appellatum est genus unius cuiusque generationis principium, dehinc etiam
multitudo eorum qui sunt ab uno principio, ut a ROMOLO; namque diuidentes
et ab aliis separantes dicebamus omnem illam collectionem esse ROMANI
genus. Sensus facilis et expeditus, si tamen ambiguitas una solvatur. cum
enim prius multitudinis significationem retulerit ad generis nomen, post autem
ad procreationis initium, nunc contrario modo illam prius a se enumeratam
significationem dicere uidetur quae est procreationis, illam uero posteriorem
quae est multitudinis; quod contrarium uideri potest, si quis ad ordinem
superius digestae disputationis aspexerit. sed hic non de se loquitur, sed de
humani consuetudine sermonis, in quo prius eam significationem generis
fuisse dicit quae a procreante sit tracta, accedente uero aetate loquendi usu
nomen generis etiam ad multitudinem habentem se quodam- modo ad aliquem fuisse
translatum, hoc uero idcirco, quoniam Porph. Boeth. nam] natura
CFL 2 scipiades HNP ante pr. ad add . et FHNP
, s. l. Em2Lm2 post, ad om. L 4 scipiades N 5 quia] quod
E et om. NP, s. l. Cm2 8 generationis in ras. Cm2
generis PR 9 nam- que sic
etiam B Bussii om. ΛΦ, add. Hm2 \ m2
nam 2 quam edd. Busse; Porph. p. 2, 8 το πλήθ-ος—δ 10 post
aliis add . generibus F , s. l. Lm2 11
collationem Λ collectionem post esse HP ;
romanorum esse collectionem F 12 post facilis s.
l . est Lm2Pm2 facile ( om . et) FN expeditur
FNPa.c . 13 retulerat F retulit R 14 post ,
ad om. FHNR, s. l. Sm2 post nunc s. l . autem Lm2
15 prius] posterius CLm2NP numeratam N 16
post uidetur add . priorem CGLNP 18 perspexerit
C 21 loquendique CN et (s. l. m1?) loquendi
H 23 ante hoc s. l . dicit Lm1?, post
idcirco in mg . dixit Pm2 superius dixerat : haec enim
uidetur promptissima esse significatio, ut ab hac, id est secunda, quam
promptissimam significationem esse dixit, illa quoque nuncupata uideretur, quae
est multitudinis. prius enim genus inter homines appellatum est quod quis a
generante deduceret, post autem factum est, ut per loquendi usum etiam
multitudinis ad aliquem quodammo|do se habentis genus diceretur propter
diuisionem scilicet gentium, ut esset inter eas nominis societatisque
discretio. His igitur expletis uenit ad tertium genus quod inter FILOSOFI
tractatur cuiusque ad dialecticam facultatem multus usus est. horum
quippe generum historia magis uel poesis tractat exordium, tertium uero genus
apud philosophos consideratur. de quo hoc modo loquitur. Aliter autem rursus
genus dicitur cui supponitur species, ad horum fortasse similitudinem dictum.
et- enim principium quoddam est huiusmodi genus earum quae sub ipso sunt
specierum, uidetur etiam multitudinem continere omnem quae sub eo est. Duplicem
significationem generis supra posuit, nunc tertiam monstrare contendit, hanc
autem ad superiorum similitudinem 1 superius] p. 174, 10. 14—18] Porph.
p. 2, 10—13 (Boeth. p. 26, 19—23). 1 enim] autem p. 174 , 10
2 secundum GR a (s. l.) secunda E 5
quis Cm2 prius m1 7 duceretur Cm1
diuisiones EFHLm2NP 8 esset] est (s. l.) et
E has FH 9 expeditis N ad om. F 10
cuius CF multus post usus Lm1R , multum
G 11 poesi Cm1 13 hoc] 2 litt. er. C 14
genus ante rursus Λ , post
dicitur Φ cui—genus (16) om. N, quod indicatur
uoce usque addita (dicitur usque earum); sic (
saepe etiam usque ad) paene constanter in N aliisque codd. ubi
mediae lemmatum partes omissae sunt 15 ab.. similitudine GL \ m2 \Z 16 eorum A
m2 A earum—specierum] Porph. p. 2, 12 τών δφ’
lauto 17 ipso om . h m1 se m2Lp.c. \HA>
sunt add. Gm2 \ m2 uideturque brm Busse; Porph . xai
SoxeT xai etiam] enim F autem Δ 18 omnem] 2
( h m1 ß m1 ) omnium CEGLPRS h m2 U m2 earum FHN, s. l. post
omnium Lm2 sub eo est] PA m1 AU m1 ST est Φ
sub eo (ipso F \ m2 se Lm2 ) sunt (est E, s. l. G )
specierum EFGHLNPp.c . (sunt eo sub a.c .) RS \ m2 U m2
sunt sub eo specierum C; cf. Porph. p. 2,12 s . 19 pro- posuit edd
. 20 superiorem FLm1Pm1 dictam esse arbitratur. superius
autem dictae significationes sunt una quidem, cum nomen generis quadam
principii anti- quitate ad se iunctam multitudinem contineret, alia uero, cum
genus ab uno quoque procreante duceretur, quod eorum quae procreantur
principium est. cum igitur sint superius duae generis propositae
significationes, tertium nunc addit de quo inter philosophos sermo est, illud
scilicet cui supponitur species, quod idcirco genus uocatum esse sub opinionis
credit ambiguo, quoniam habet aliquam similitudinem superiorum. nam sicut illud
genus quod ad multitudinem dicitur, uno suo nomine multitudinem claudit, ita
etiam genus plurimas species cohercet et continet. item ut genus illud quod
secundum procreationem dicitur, principium quoddam est eorum quae ab ipso
procreantur, ita genus speciebus suis est principium. ergo quoniam utrisque est
simile, idcirco nomen quoque generis etiam in hac significatione a superioribus
mutuatum esse ueri simile est. Tripliciter igitur cum genus
dicatur, de tertio apud philosophos sermo est; quod etiam describentes
adsi- Porph. Boeth. dictam esse arbitratur] ut dictum est GRS
autem om. C, s. l. Lm2, del.
Pm2 dictae] duae Lm1, ante sunt s. l . dictae m2
, duae ex dictae H (ras.) Sm2, ante dictae s. l. Pm2, ante
sunt edd., post R 2 quidem om. C cum in mg.
Cm2 quae m1N quadam om. EFG quandam H
qua RSm1 antiquitatem H 3 ad se iunctam]
CLm2 ad se et adiunctam HN ad se iniunctam Sm1 ab
uno quoque iniunctam R adiunctam cett.; cf. p. 177, 2
continet Cm1 (corr. in mg. m2) Nm2 aliam G 4
deduceretur E 5 qui P 6 tertiam et
qua F 7 post scilicet add . genus F, s. l.
Sm2 8 ante opinionis add . suae N, post CHLP, s.
l. Em1?, in mg. Sm2 se m1 9
creditur Ca.r.FR a
multitudine Ep.c.FHN 11 suo] sub C (nomine sub
uno) FHNPm2 , ex suo EL ita in mg. Cm2, s. l. Nm2 13 est]
esse EGLm2RS 14 post suis add . constat
FHN, post genus s. l. Em2 est] CLm1P esse cett .
15 idcirco] id C nomen post generis FHNP,
post quoque L 16 in hac etiam FHN hanc
significationem CP 18 cum genus—sit (p. 180, 2) om. N
dicitur S A m1 /AS 19 etiam] etiam et R gnauerunt
genus esse dicentes quod de pluribus et differentibus specie in eo quod quid
sit praedicatur, ut animal. Iure tertium genus philosophi ad disputationem
sumunt; hoc enim solum est quod substantiam monstrat, cetera uero aut
unde quid existat aut quemadmodum a ceteris hominibus in unam quasi populi
formam diuidatur ostendunt. nam illud quod multitudinem continet genus, illius
multitudinis quam continet substantiam non demonstrat, sed tantum uno nomine
collectionem populi facit, ut ab alterius generis populo segregetur. item illud
quod secundum procreationem dictum est, non rei procreatae substantiam
monstrat, sed tantum quod eius fuerit procreationis initium. at uero genus id
cui supponitur species, ad speciem accommodatum speciei substantiam informat.
et quia inter philosophos haec maxima est quaestio, quid unum quodque sit
— tunc enim unum quodque scire uidemur, quando quid sit agnoscimus —, id circo
reiectis ceteris de hoc genere quam maxime apud philosophos sermo est, quod
etiam describentes adsignauerunt ea descrip- tione quam subter annexuit.
diligenter uero ait describentes, non definientes; definitio enim fit ex
genere, genus autem aliud genus habere non poterit. idque obscurius est quam ut
primo aditu dictum pateat. fieri autem potest ut res quae esse
ante genus Pm1, post dicentes Σ et om. F differentiis R quid]
iterum quod P praedicetur Γ 3 ut animal om . ΑΣ 5 est solum enim CN enim est solum
FP existit E (it in ras .) GLPS
existet Sm1 extitit HN <multitudo> a
Brandt 7 una... forma EGRS diuidantur G
ostendit EGLPm1S 8 multitudinis] multi- tudinem G 12
procreantis Nm1 13 atque G 14 ad speciem om.
N ad differentiam Cm2FLm1Pm2 edd . 15 quaestio est FHN
16 unum om. EGRS enim] etenim FN quodque unum
G uidemur] debemus E (in
ras.) GPm1RS, post uidemur add . uel debemus Hm1
del. m2 post reiectis add . quia non demonstrant
substantiam L temptatis temporum Sm1, del. m2 19
post quod add . genus EPm1, del. m2 ait ex aut Em1
addit m2NP addidit F 21 ex] de H 23
dictum om. FH dictu GLS autem] enim FNP
alii genus sit, alii generi supponatur, non quasi genus, sed tamquam
species sub alio collocata. unde non in eo quod genus est, supponi alicui
potest, sed cum supponitur, ilico species fit. quae cum ita sint, ostenditur
genus ipsum in eo quod genus est, genus habere non posse. si igitur
uoluisset genus definitione concludere, nullo modo potuisset; genus enim aliud
quod ei posset praeponere, non haberet, atque idcirco descriptionem ait esse
factam, non definitionem. descriptio uero est, ut in priore uolumine dictum
est, ex proprietatibus infor- matio quaedam rei et tamquam coloribus
quibusdam depictio, cum enim plu|ra in unum conuenerint, ita ut omnia simul
rei cui applicantur aequentur, nisi ex genere uel differentiis haec
collectio fiat, descriptio nuncupatur. est igitur descriptio generis haec :
genus est quod de pluribus et differen- tibus specie in eo quod quid sit
praedicatur. tria haec requiruntur in genere, ut de pluribus praedicetur, ut de
specie differentibus, ut in eo quod quid sit. de qua re quoniam ipse posterius
latius disputat, nos breuiter huius rei intellegentiam significemus exemplo.
sit enim nobis in forma generis animal. id de aliquibus sine dubio
praedicatur, homine scilicet, equo, boue et ceteris. sed haec plura sunt.
animal igitur de pluribus praedicatur, homo uero, equus atque bos talia sunt,
ut a se discrepent, nec qualibet mediocri re, sed tota specie, id est tota
forma suae substantiae. de quibus dicitur animal; homo enim et equus et
bos animalia nuncupantur. praedicatur ergo animal de pluribus specie
differentibus. sed quonam modo fit 9 in priore uolumine] cf. p. 42, 8—43,
6 potius quam p. 153, 10 ss.; cf. Proleg. adn. 7. 1 genere G
post supponatur add . sed cum (alii add. P ) subponi- tur (
uel sup-) CFHN, s. l. Pm2 non— potest (3) del. E
2 col- locatur CFHNPm2 non] enim EF 7 ei (eius HN
) aliud quod HNPm1RS possit EGS priori LN
ex om. GHS, s. l.
Em2Lm2 11 plurima L plura post unum C
16 post . ut om. FG late E (in ras.) FHP, ecte ? 19
exemplo] hoc modo CLP 20 prae- dicetur CEGPm1RS ante
equo add . et FHLN, er. P 21 boue] et boue L
et er. uid. C 22 a] ad Lm1S 23 mediocri re] medio-
critate H 24 forma tota E (del. tota) G 26 fit om.
G haec praedicatio? non enim quicquid interrogaueris, mox animal
respondetur: non enim si quantus sit homo interrogaueris, animal respondebitur,
ut opinor; hoc enim ad quantitatem pertinet, non ad substantiam. item si qualis
interroges, ne huic quidem responsio conuenit animalis, ceterisque omnibus
interrogationibus hanc animalis responsionem ineptam atque inutilem semper esse
reperies, nisi ei tantum apta est quae quid sit interroget. interrogantibus
enim nobis quid sit homo, quid sit equus, quid sit bos, animalia respondebitur.
ita nomen animalis ad interrogationem quid sit de homine, equo atque boue
ac de ceteris praedicatur, unde fit ut animal praedicetur de pluribus specie
differentibus in eo quod quid sit. et quoniam generis haec definitio est,
animal hominis, equi, bouis genus esse necesse est. omne autem genus aliud est
quod in semet ipso atque in re intellegitur, aliud quod alterius prae-
dicatione. sua enim proprietas ipsum esse constituit, ad alterum relatio genus
facit, ut ipsum animal, si eius substantiam quaeras, dicam substantiam esse
animatam atque sensibilem. haec igitur definitio rem monstrat per se sicut est,
non tamquam referatur ad aliud. at uero cum dicimus animal genus esse,
non, ut arbitror, tunc de re ipsa hoc dicimus, sed de ea relatione qua potest
animal ad ceterorum quae sibi subiecta non] num FHN rogaueris
Cm1GS 3 ante animal add . mox F respondetur
F ut] non FHN 4 post qualis add . sit
FHNP, s. l. Em2, s. l. homo sit Lm2 interroges] Em1Lm1P
roges cett . nec CG haec CSm2 id m1
hic FN 5 interrogantibus EG 6 ineptam]
CFHNPp.c.Lm2 idiotam E (s. l. i . inertem m2) GLm1 (s.
l. inpro- priam m1?) Pa.c.S Hilgard idiotam uel ineptam
R idiotae Engelbrecht 7 nisi] ni C
interrogat Em2HN enim] autem F post . quid] quidque
R sit om. E animal C item EGLm1PRS 11
ac] et R ante bouis add . atque FHNP 14 genus
autem C ante alterius add . ad CEm2HN
praedicationem Em1PSm1 edd., post add . refertur Pm2 edd . 18
dicas Lm2 21 esse om. EGRS, s. l. Lm2 re om. EGR, s. l. Sm2
post hoc add . nomen C, s. l . Em2Pm2, ante FHNS
de del. L, s. l. Pm2 22 relatione in ras . E
ratione GLPm1R sunt praedicationem referri. itaque character
est quidam ac forma generis in eo quod referri praedicatione ad eas res potest,
quae cum sint plures et specie differentes, in earum tamen substantia
praedicatur. Huius autem definitionis rationem per exempla subiecit
dicens: Eorum enim quae praedicantur, alia quidem de uno dicuntur solo,
sicut indiuidua ut Socrates et hic et hoc, alia uero de pluribus, quemadmodum
genera et species et differentiae et propria et accidentia com- muniter,
sed non proprie alicui. est autem genus qui- dem ut animal, species uero ut
homo, differentia autem ut rationale, proprium ut risibile, accidens ut album,
nigrum, sedere. Omnium quae praedicantur quolibet modo, facit Porphyrius
diuisionem idcirco, ut ab reliquis omnibus praedicationem generis seiungat ac
separet, hoc modo. omnium, inquit, quae praedicantur, alia de singularitate,
alia de pluralitate dicuntur. 7—14] Porph. p. 2, 17—22 (Boeth. p. 27,
2—7). 1 post itaque add . ut P, s. l. Lm2
est om. R, post generis F quiddam Ea.r.G
quidem CNPm1 2 praedicatione post res C 3
eo- rum CGNS, m1 in ELP 4 tantum E substantiam NR
, -a ex -a CS; cf. p. 187, 11. 18 5 autem om. C,
in mg. Lm2 8 indiuiduum C indibus ( s. l . indiuidua
Em2 ) diabus (a, ex e E ) EG ut Socrates—
hoc om. CLNP ,—risibile (13) om. E (in mg . sicut socrates et hic
et hoc) GH ut] sicut Em2 (in mg.) RS ΑΣ et hic et hec et hoc F 9 uero
om. CFLNPR autem Σ
quemadmodum—risibile (13) om. CL ( sed uerba est autem
11 —sedere 14 exhibet p. 184 , 14) NP ut genera, om. reliqua
usque accidens (13) F 10 differentia Sm1
m1 pro- prium Γ 11 sed] et ΛΣ proprie] L (p. 184, 14) R Ψ propria ΓΑΑΠ ( ras. ex -ae) 2 (a in ras
.) Φ ( post alicui); Porph. p. 2, 20
ιδίως est— risibile om. R
est—sedere (14) om. S 12 uero s. l . Δ m2 Φ m2 ante
accidens add . ut CL ut] id est CLm2P uel
E et R; Porph. 2,22 otov 14 ante
nigrum add. et R 16 a LPS 17 post
separet add . et (F) id facit FHN, s. l. Em2
18 pr . alia] alia quidem FHN alia de singularitate om.
G, s. l. Em2, post pluralitate CLm1 post . alia] alia uero
FHNS dicuntur] praedicantur post singularitate FHN
de singularitate uero, inquit, praedicantur quaecumque unum quodlibet
habent subiectum de quo dici possint, ut ea quibus singula subiecta sunt
indiuidua, ut Socrates, Plato, ut hoc album quod in hac proposita niue est, ut
hoc scamnum in quo nunc sedemus, non omne scamnum – hoc enim uniuersale
est —, sed hoc quod nunc suppositum est, nec album quod in niue est uniuersale
est enim album et nix —, sed hoc album quod in hac niue nunc esse conspicitur;
hoc enim non potest de quolibet alio albo PREDICARE quod in hac niue est, quia
ad singularitatem deductum est atque ad indiuiduam formam constrictum est
indiuidui participatione. alia uero sunt quae de pluribus PREDICARE, ut genera,
species, differentiae et propria et accidentia communiter, sed non proprie
alicui. genera quidem de pluribus praedi- cantur speciebus suis, species uero
de pluribus praedicantur indiuiduis; homo enim, quod est animalis
species, plures sub se homines habet de quibus appellari possit. item equus,
qui sub animali est loco speciei, plurimos habet indiuiduos equos de quibus
praedicetur. differentia uero ipsa quoque de pluri- bus speciebus dici potest,
ut rationale de homine ac de deo corporibusque caelestibus, quae, sicut
Platoni placet, animata sunt et ratione uigentia. proprium item etsi de una
specie PREDICARE, de multis tamen indiuiduis dicitur, quae sub conuenienti
specie collocantur, ut risibile de Platone, Socrate et ceteris indiuiduis quae
homini supponuntur. accidens etiam 1 uero om. FHN 2
possunt CLm1 3 ante Plato add . ut FH, s. l.
Lm2 et N edd . 4 quod] ut F ut] et N 6 sed]
sed et F 7 niui Gm2Sm1 enim est FL 8 niui
Sm1, item 9 9 hac] alia EFGR (a.c.ut uid. ac p.c.)
Sm1 post , ad om. GHLR, s. l. Em2Nm2, in FSm2 14
propriae FGa.c.Sm1 propria CHLN post alicui uerba
lemmatis p. 183, 11—14 est autem—sedere add. L 15
plurimis FN post indiuiduis add . suis CFHP
17 qui] quod FHN 19 praedicatur FHN potest dici
E 21 quae om. R, s. l. Sm2
q. er. N item] autem Lm2P specie om. C 23
tamen ante de H post indiuiduis add .
dicitur CLP, s. l. Hm2 hominibus EG homini *
( b. ? er.) L supponantur Em1GS supponuntur ante
homini C de multis dicitur; album enim et nigrum de multis
omnino dici potest quae a se genere specieque seiuncta sunt. sedere etiam de
multis dicitur; homo enim sedet, simia sedet, aues quoque, quorum species longe
diuersae sunt. accidens autem quoniam communiter accidens esse potest et
proprie alicui, idcirco determinauit dicens et accidentia communiter, sed non
proprie alicui. quae enim proprie alicui accidunt, indiuidua fiunt et de uno
tantum valentia PREDICARE, ea quae communiter accipiuntur, de pluribus dici
queunt. ut enim de niue dictum est, illud album quod in hac subiecta niue
est, non est communiter accidens, sed proprie huic niui quae oculis
ostensionique subiecta est. itaque ex eo quod commu- niter praedicari poterat —
de multis enim album dici potest, ut albus homo, albus equus, alba nix —,
factum est, ut de una tantum niue PREDICARE illud album possit cuius
partici- patione ipsum quoque factum est singulare. omnino autem omnia genera
uel species uel differentiae uel propria uel acci- dentia, si per semet ipsa
speculemur in eo quod genera uel species uel differentiae uel propria uel
accidentia sunt, manifestum est quoniam de pluribus PREDICARE. at si ea in his
speculemur in quibus sunt, ut secundum subiecta eorum formam et substantiam
metiamur, euenit ut ex pluralitate praedicationis ad singularitatem uideantur
adduci. animal enim, 3 enim om. C et (s. l.
m2) enim L sedit CN simia] post
sedet FH et simia R aues] auis N set et
aues F sedet auis H 4 quo- que om. FN ,
uero L quarum Lm1 post sunt s. l . sedent
Pm2 scil, sedent Sm2 5 ante communiter add
. et FHN, s. l. Em2Pm2 7 propria HN pr . alicui om.
GLR quae s. l. Sm2 cum E (s. l. m2)FH enim
proprie s. l. Em2Sm2 propria N accidunt ali- cui
E ea quae] et quae E ea quidem quae N eademque
cum P et cum F cum H 9 queunt om.
Em1G, s. l. Sm2 possunt E m2 Pm1 (potest m2 )
R niui Sm1 niue est subiecta HL niui
Sm1 nunc G 12 ostensione GRS ita (q. er .) C ita quoque Sm2, ad
itaque s. l . quoque Hm2 15 niui GSm1 17
differentias CE (s in er . e?) GL 20 quoniam]
quod G 21 ut] et FN subiectam CEGH a.r.Lm1PSm2 22
substantiamque ( om . et) FHNP metiantur E
mentiamur Ca.r.Sa.c . eueniet HN pluritate Gm1P
quod genus est, de pluribus praedicatur, sed cum hoc animal in Socrate
consideramus — Socrates enim animal est —, ipsum animal fit indiuiduum, quoniam
Socrates est indiuiduus ac singularis. item homo de pluribus quidem hominibus
praedi- catur, sed si illam humanitatem quae in Socrate est
indiuiduo consideremus, fit indiuidua, quoniam Socrates ipse indiuiduus
est ac singularis. item differentia ut rationale de pluribus dici potest, sed
in Socrate indiuidua est. risibile etiam cum de pluribus hominibus praedicetur,
in Socrate fit unicum. communiter quoque accidens, ut album, cum de
pluribus dici possit, in uno quoque singulari perspectum indiuiduum est.
Fieri autem potuit commodior diuisio hoc modo. eorum quae dicuntur, alia quidem
ad singularitatem praedicantur, alia ad pluralitatem, eorum uero quae de
pluribus PREDICARE, alia secundum substantiam PREDICARE, alia secundum
accidens. eorum quae secundum substantiam praedicantur, alia in eo quod quid
sit dicuntur, alia in eo quod quale sit, in eo quod quid sit quidem, genus ac
species, in eo quod quale sit, differentia. item eorum quae in eo quod quid sit
PREDICARE, alia de speciebus PREDICARE pluribus, alia minime; de
speciebus pluribus praedicantur genera, de nullis uero species. eorum autem
quae secundum accidens praedicantur, alia quidem sunt quae de pluribus
praedicantur, ut accidentia, 1 plurimis R 5 si s. l.
Lm2Sm2 quae et est om. F est— indiuidua in
mg. Cm2 7 est post singularis E 9 hominibus
om. FN praedicatur CEGL (ante hominibus) Pm1RS dici possit
N in Socrate om. ER unica Em1GS unicam Lm1
unita R 10 cum s. l. Em2Sm2 11 possit dici
E singulari] singulari corpore CFHN perspectum] CE (in ras.) FH, m2 in LPS
perspecta Lm1 a.c . (perfecta m1p.c .) R perfectam
Pm1Sm1 profecto ( alt . o in ras .) N profecto
perfecta G in- diuidua EGLm1RS 12 ante
eorum add . ut GRS, del. EL 13 dicun- tur] praedicantur
Pm2 praedicantur] dicuntur L ( ex dicantur m2
) P 14 plurimis R praedicantur] dicuntur N
17 pr . quod— differentia (19) in ras. Em2 post , in eo— differentia
(19) om. GR 19 iterum FN 20 pluribus (plurimis H )
praedicantur FHN 21 post speciebus add .
quidem FHNP pluribus om. GRS, s. l. Lm2, post
praedicantur Em1Fm1 23 post pluribus add .
speciebus CFHN, s. l. Em2 alia quae de uno tantum, ut
propria. Posset autem fieri etiam huiusmodi diuisio. eorum quae PREDICARE, alia
de singulis PREDICARE, alia de pluribus. eorum quae de pluribus, alia in eo
quod quid sit, alia in eo quod quale sit praedicantur. eorum quae in eo
quod quid sit, alia de diffe- rentibus specie dicuntur, ut genera, alia minime,
ut species, eorum autem quae in eo quod quale sit de pluribus prae- dicantur,
alia quidem de differentibus specie PREDICARE, ut differentiae et accidentia,
alia de una tantum specie, ut propria. eorum uero quae de differentibus
specie in eo quod quale sit praedicantur, alia quidem in substantia PREDICARE,
ut differentiae, alia in communiter euenientibus, ut accidentia. et per hanc divisionem
quinque harum rerum definitiones colligi possunt hoc modo. genus est quod de
pluribus specie differentibus in eo quod quid sit praedicatur. species est quod
de pluribus minime specie differentibus in eo quod quid sit praedicatur.
differentia est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit in
substantia PREDICARE. proprium est quod de una tantum specie in eo quod quale
sit non in sub- stantia praedicatur. accidens est quod de pluribus specie
differentibus in eo quod quale sit non in substantia praedicatur. 1 quae om. FN una C (s. l. add .
specie ) FHN possit FRS potest N 2 etiam
om. LP 4
post pr . sit add . praedicantur CFHNP, s.l. Lm2 6 specie]
speciebus Ea.r.FLNPS 7 autem in mg. E, s. l. Lm2 9
accidentia et differentiae C post accidentia add .
communiter Pm2 edd . 10 uero om. GRS, in mg.
Em2Lm2 quae in mg. Em2 de differentibus specie om.
GLRS, in mg . de specie differentibus Em2 de om . C 11
substantiam RSa.r . conuenientibus Pm2 13 de- finitiones]
diuisiones FHm1 14 specie differentibus hic F, post quid
sit (15) cett.; cf. proxima et p. 193, 1 15 est] autem
E substantiam R proprium—praedicatur (20)] om. GR, in
mg. Em2 proprium (uero s. l. add. Lm2 ) est quod de pluribus minime
specie differentibus in eo quod quale ait (sit s. l. Lm2 ) non in
substantia praedicatur LPm2 non in substantiam praedicatur
Sm1, del. m2, in sup. mg . ( ante non inse- renda ) haec
proprium est quod de pluribus specie minime differentibus, deinde pauca
uerba, quorum extremum <praedi>cat<ur>, cum mg.
abscisa, sequuntur uerba accidens est —praedicatur , m2 ante specie add . et CE
(del.) GLP Et nos quidem has diuisiones fecimus, ut omnia a semet
ipsis separaremus, Porphyrio vero alia fuit intentio. non enim omnia nunc a
semet ipsis disiungere festinabat, sed tantum ut cetera a generis forma et
proprietate separaret. idcirco diuisit quidem omnia quae PREDICARE aut in ea
quae de singulis praedicantur, aut in ea quae de pluribus, ea uero quae
de pluribus PREDICARE, aut genera esse dixit aut species aut cetera, horumque
exempla subiciens adiungit : Ab his ergo quae de uno solo PREDICARE, differunt
genera eo quod de pluribus adsignata praedi- centur, ab his autem quae de
pluribus, ab speciebus quidem, quoniam species etsi de pluribus praedican- tur,
sed non de differentibus specie, sed numero; homo enim cum sit species, de
Socrate et Platone praedicatur, qui non specie differunt a se inuicem,
sed numero, animal uero cum genus sit, de homine et boue et equo praedicatur,
qui differunt a se inui- cem et specie quoque, non numero solo. a proprio uero
differt genus, quoniam proprium quidem de una sola specie, cuius est proprium,
praedicatur et de his quae sub una specie sunt indiuiduis,
quemadmodum Porph. Boeth. separemus GNRm1Sm1 porphirii
Lm1 fuit alia CN 4 forma generis H separet
NPa.c.Sm1 ante idcirco add . hic FRS 5 diuisit s.
l. Em2 separauit m1 quidem s. l. R, ante
diuisit L 6 praedicarentur FHLm2Pm2 plurimis
Em1Lm2 uero] autem C 7 plurimis FGm2N
praedicarentur FHLm2 8 horum F 9 Ab om. GHP, s.
l. ER ergo] uero H praedicarentur N 10 prae-
dicantur Em1GLm2PRSm2 Busse 11 ab his—accidens (p. 189, 14)
] Ω, om. cett., sed in S particulae lemmatis
plerumque HISTORIA inscriptae uariis locis expositionis insertae
sunt, item particulae quaedam in L; quorum locorum lectiones hic pro- ponentur
post . ab] Ω (etiam B Bussii) a edd.
Busse 12 post quidem add . differunt genera Γ praedicatur ΛΣ 13 sed non] sed
om . Σ non tamen H m2 ‘i’ 14 Platone] de
platone A 16 sit genus Σ 17 boue] de boue
Γ 18 et om. ΓΦ non] Porph. p. 3, 1 aX\’ οΰχί solum edd. cum Porph . τώ άριθ·μώ μόνον 20 hiis Φ 21 una om. Porph. p. 3, 3 risibile de homine
solo et de particularibus homini- bus, genus autem non de una specie
praedicatur, sed de pluribus et differentibus specie. a differentia uero et ab
his quae communiter sunt accidentibus differt genus, quoniam etsi de
pluribus et differentibus specie PREDICARE differentiae et communiter acciden-
tia, sed non in eo quod quid sit praedicantur, sed in eo quod quale quid sit.
interrogantibus enim nobis illud de quo praedicantur haec, non in eo quod
quid sit dicimus PREDICARE, sed magis in eo quod quale sit. interroganti
enim qualis est homo, dicimus rationalis, et in eo quod qualis est coruus,
dicimus quoniam niger. est autem rationale quidem differentia, nigrum uero
accidens. quando autem quid est homo interrogamur, animal respondemus;
erat autem hominis genus animal. Nunc genus a ceteris omnibus quae quolibet modo
praedi- 3 specie s. l. Γ, om. optimi codd. Porph. p. 3,5, delend. uid.
Bussio 5 locum quoniam—animal (16) post
genus p. 193, 18 add. LS etiamsi LS sΠ*ΙΓ specie differentibus ΛΣ ; Porph. διαφερόντων τψ ειόει 6 differentia
Lm2S 7 sed non] Δ ( ad sed
s. l . id est tamen m1? ) Π ( ad sed
s. l . uel tamen m1? ) A Busse tamen non LS ΤΣΦ non tamen Ψ edd.; Porph. p.
3, 8 άλλ’ οόκ , cf. supra p. 188,
13, infra 190, 12 7 sit om. L sed in eo quod quale quid
sit] codd. cum Porph. p. 3, 8 codicib. Lm2Mm2 άλλ’ έν τψ όποιον τ£ έστιν , delend. uid. Bussio 8 quid om. S Φ interrogantibus—sit (11) om . Φ ad interrogantibus s. l . uel interrogati Δ nobis] LS A m2 Ii (del. m2) Busse
nos A m1 (enim post nos,) Ψ , om . ΓΔ2 ( decst Φ ); Porph. p. 3, 8 έρωτησάντων γάρ ήμών uel τινών codd . post
illud s. l . quomodo (m1?) uel de quo (m2) Δ haec s. l. Lm2 10 post quale add .
quid Π (del. m2) Ψ m Busse, om . LS VM pbr, om. etiam p. 194, 7 (cf. p. 195, 4. 196,
8. 15) , aliquid s. l . Λ ( deest Φ ); Porph. p. 3, 10 έν τψ ποιόν τί έατιν 11 interroganti] ΑΣ a.r . Ψ interrogantibus S interrogati cett.; Porph. p, 3,
10 έν γάρ τψ έρωταν 12. dicimus] Π m2 ΣΨ , om . Φ , dicitur cett.; Porph. p. 3, 11 οομέν 14 autem om. N quid est] quidem FN
qui Gm1, s. l . est m2 quod est L 15 interrogamus
P A , m1 in EGR Z interrogemus S
erat] RS, m1 in Ρ ΔΛ , est 1 erit cett.; Porph. p. 3, 13
vjv genus ho- minis Σ cantur separare
contendit hoc modo. quoniam enim genus de pluribus PREDICARE, statim differt ab
his quidem quae de uno tantum praedicantur quaeque unum quodlibet habent
indiui- duum ac singulare sublectum; sed haec differentia generis ab his quae
de uno PREDICARE, communis ei est cum ceteris, id est specie,
differentia, proprio atque accidenti idcirco, quo- niam ipsa quoque de pluribus
praedicantur. horum igitur singulorum differentias a genere colligit, ut solum
intellegendum genus quale sit sub animi deducat aspectum, dicens : ab his autem
quae de pluribus praedicantur, differt genus, ab speciebus quidem primum,
quoniam species etsi de pluribus praedicantur, non tamen de differentibus
specie, sed numero. species enim sub se plurimas species habere non poterit,
alioquin genus, non species appellaretur si enim genus est quod de pluribus
specie differentibus in eo quod quid sit PREDICARE, cum species de
pluribus dicatur et in eo quod quid sit, huic si adiciatur ut de specie
differentibus PREDICARE, speciei forma transit in generis; id quoque exemplo
intellegi fas est. homo enim praedicatur de Socrate, Platone et ceteris quae a
se non specie disiuncta sunt, sicut homo atque equus, sed numero quod
quidem habet dubitationem quid sit hoc quod dicitur numero differre. numero
enim differre aliquid uidebitur quotiens numerus a 2 quidem om. CHN qui G, ex
quae Lm2 3 post praedicantur add . ut socrates et hic
et hoc H quae CN 5 uno] uno solo LS est
ei L est om. CEHN 6 post specie add .
et FHP, s. l. Lm2 accidente Lm2Pm1N 9 aspectum
deducat E ab] CL (s. l.) NSm2, om. cett . 10 autem]
enim P post pluribus add . id est ( add . specie,
sed del. E ) ab his quae ( haec s. l. E ) de pluribus
Em2GPRS 11 a R primum om. S, s. l. Lm2; deest p. 188,
12 12 praedicatur S non tamen] sed non S de
om. FHNP 15 plurimis Em2GPRS 16 plurimis EGR dicatur]
praedicetur C praedicatur edd . 19 fas est] placet
HNPm1 post enim s. l . cum sit species Em2Pm2 quod est
species Lm2 20 et ceteris del. E qui Ep. c . disiuncta ( ad quod s. l .
differunt)—equus del. E 21 post equus add . uel
bos LP 23 differre (in mg. H) post aliquid
FHLN aliquis GS quoties (-cies) EPRS numero
differt, ut grex boum qui fortasse continet triginta boues, differt numero ab
alio boum grege, si centum in se contineat boues; in eo enim quod grex est, non
differunt, in eo quod boues, ne eo quidem : numero igitur differunt, quod
illi plures, illi uero sunt pauciores. quomodo igitur Socrates et Plato specie
non differunt, sed numero, cum et Socrates unus sit et Plato unus, unitas uero
numero ab unitate non differat? sed ita intellegendum quod dictum est numero
differentibus, id est in numerando differentibus, hoc est dum numerantur
differentibus. cum enim dicimus ‘hic Socrates est, hic Plato’, duas fecimus
unitates, ac si digito tangamus dicentes ‘hic unus est’ de Socrate, rursus de
Platone ‘hic unus est’, non eadem unitas in Socrate numerata est quae in
Platone. alioquin posset fieri ut secundo tacto Socrate Plato etiam
monstraretur. quod non fit. nisi enim tetigeris Socratem uel mente uel digito
itemque tetigeris Platonem, non facies duos, dum numerantur. ergo differunt
quae sunt numero differentia. cum igitur species de numero differentibus, non
de specie praedicetur, genus de pluribus et differentibus specie dicitur,
ut de boue, de equo et de ceteris quae a se specie inuicem differunt, non
numero solo. tribus enim modis unum quodque uel differre ab aliquo dicitur uel
alicui idem esse, 3 continet EGLRS differt C, add .
neque CP, s. l. Hm2, s. l . nec Lm2 4 ne— differunt]
H ( post quidem del . haec m2 ) N
igitur om. EG nec in eo (recte?) quidem differunt.
Igitur numero differunt L non nisi quidem numero. Igitur differunt
numero F non nisi (eo add. S, sed del .) quidem numero
differunt RS Numero igitur (Igitur numero C )
differunt, cet . om. CP quomodo] quo R igitur]
uero C 6 specie—Plato om. F 7 pr . unum
PS 8 differt CEm2NPR post intellegendum add . est
CL 10 dum] cum F ante rursus s. l .
et S possit FLRS posset fieri in mg. Cm2 ut]
in Cm2Em2G tactu socrates Em1G ante etiam
add . et ( sed et in etiam del. uid. E ) EG
demonstraretur LP 19 speciebus CFHN post genus s.
l . quoque Lm2 et om. Em1 ( s. l . et de m2
) R specie differentibus EF 20 pr . de om.
CL et om. FH de s. l. Em2Lm2 ceterisque
quae F inuicem specie FN genere, specie, numero.
quaecumque igitur genere eadem sunt, non necesse est eadem esse specie, ut si
eadem sint genere, differant specie. si uero eadem sint specie, genere quoque
eadem esse necesse est, ut cum homo atque equus idem sint genere — uterque enim
animal nuncupatur, differunt specie, quoniam alia est hominis species,
alia equi. Socrates uero atque Plato cum idem sint specie, idem quoque sunt
genere; utrique enim et sub hominis et sub animalis PREDICAZIONE ponuntur. si
quid uero uel genere uel specie idem sit, non necesse est idem esse numero,
quod si idem sit numero, idem et specie et genere esse necesse est; ut
Socrates et Plato, cum et genere animalis et specie hominis idem sint, numero
tamen reperiuntur esse disiuncti. gladius uero atque ensis idem sunt numero,
nihil enim omnino aliud est ensis quam gladius, sed nec specie diuersi sunt,
utrumque enim gladius est, nec genere, utrumque enim instrumentum est,
quod est gladii genus. quoniam igitur homo, bos atque equus, de quibus animal PREDICARE,
specie differunt, numero ergo etiam eos differre necesse est. idcirco hoc plus
habet genus ab specie, quod de specie differentibus PREDICARE nam si integram
generis definitionem demus, dabimus hoc modo : genus est quod de plu-
1 ante genere add . id est P, s. l. Hm2Lm2
genere—esse specie om. EGRS
numero] et numero C 2 esse post specie C,
ante eadem FH ut si—differant specie om. FHNPm1 ,
in mg. add., sed del. m2 genere— eadem sint om. C 3
sunt F 4 est] esse ( idem ante necesse ) GSm1
sunt EFGKHm1NRSm1 5 animalia FHN nuncupantur
FHNS differentia Hm1N 6 species om. FG, ante est C
7 uterqne EGLPRS, recte? 8 et om. CP sub hominis
et om. GLRS, s. l. Em2Pm2 post , sub om. C ponitur
Lm2Sm2 9 sit] sint S sunt Fm1 (in mg . est m2)
Nm1 10 quod si—necesse est post disiuncti (13)
transpos. et 13 enim pro uero scr. brm 12 tamen]
tantum CLm1 15 diuersi * (s er.) , om ,
sunt C est gladius FN 16 ad
instrumentum s. l . bellicum Em2 17 bos ante
homo EG atque bos post equus FN 18
ergo om. FHNP, del. Cm1? Lm1? Sm2 etiam s. l.
Lm1? ante id- circo add . et F, s. l. Sm2
ab specie om. EGLS a R de] a R ab
CEGLS 20 post specie s. l . quidem L
definitionem ( uel diff-) generis FHNP 21 dabimus om.
EG ( add . dicimus post modo) RS, s. l. Lm2, post
modo C ribus specie et numero differentibus in eo quod quid
sit prae- dicatur, at uero speciei sic : species est quod de pluribus numero
differentibus in eo quod quid sit praedicatur. A proprio uero differt genus,
quoniam proprium quidem de una sola specie, cuius est proprium, PREDICARE
et de his quae sub una specie sunt indiuiduis. proprium semper uni speciei
adesse potest neque eam relinquit nec transit ad aliam, atque idcirco proprium
nuncupatum est, ut risibile hominis; itaque et de ea specie cuius est
proprium praedicatur et de his indiuiduis quae sub illa sunt specie, ut
risibile de homine dicitur et de Socrate et Platone et ceteris quae sub hominis
nomine continentur. genus uero non de una tantum specie, ut dictum est, sed de
pluribus. differt igitur genus a proprio eo quod de pluribus speciebus
praedi- catur, cum proprium de una tantum de qua dicitur appelletur et de
his quae sub illa sunt indiuiduis. A differentia uero et ab his quae communiter
sunt accidentibus differt genus. differentiae atque accidentis discrepantiam a
genere una separatione concludit. omnino enim quia haec in eo quod quid
sit minime PREDICARE, eo ipso segregantur a genere; nam in ceteris quidem
propinqua sunt generi, nam et 1 specie—differentibus] specie non
(non Lm2 s. l. et R et cum cett. P ) numero solo (solo s. l. Lm2, om. P )
differentibus LPR 2 plurimis S 3 in—sit om.
HN 4 proprium] prius S proprium—praedicatur] pro- prium
praedicatur et de una sola specie C quidem—est proprium om
. G, s. l. Em2 quidem om. etiam S 6 post
proprium add . uero N enim brm 7 uni om. GS, post speciei E (s. l.
m2) HR 9 post hominis add . est edd . 11 et]
ut RS de om. FN, s. l. Pm2 Platone] de platone
G et ceteris] ceterisque FHNP 12 qui Em2 13
ut s. l. Hm2Pm2 de om. N plurimis CEm1GNR, add .
et differentibus specie S, in mg. Pm2 ( om . specie) 14
praedicetur Lm2P 15 post tantum s. l .
specie Lm2 appellatur FHm1NR 17 sunt accidentibus]
accidunt HN 18 genus] cf. ad p. 189, 5; post locum p. 189,
5—16 uerba Quare—praedicantur s. add. L discrepantia FL 19
separatione del. et s. l . diffinitione Em2, post
separatione add . uel definitione Hm1, del. m2 20 sint
Em2HN 21 in] CL (s. l. m2) N, om. cett. de pluribus
praedicantur et de specie differentibus, sed non p. 65 in eo quod
quid sit. si quis enim | interroget : qualis est homo? respondetur rationalis,
quod est differentia; si quis : qualis est coruus? dicitur niger, quod est
accidens. si autem interroges: quid est homo? animal respondebitur, quod est
genus. quod uero ait: haec non in eo quod quid sit dicimus PREDICARE, sed
magis in eo quod quale sit, hoc magis quaestioni occurrit huiusmodi. Aristoteles
enim differentias in substantia putat oportere PREDICARE. quod autem in
substantia PREDICARE, hoc rem de qua PREDICARE, non quale sit, sed quid
sit ostendit. unde non uidetur differentia in eo quod quale sit praedicari, sed
potius in eo quod quid sit. sed solvitur hoc modo. differentia enim ita
substantiam demonstrat, ut circa substantiam qualitatem determinet, id est
substantialem proferat qualitatem. quod ergo dictum est magis, tale est
tamquam si diceret: uidetur quidem substantiam significare atque idcirco in eo
quod quid sit PREDICARE, sed magis illud est uerius, quia tametsi substantiam
monstret, tamen in eo quod quale sit praedicatur. Quare de pluribus
praedicari diuidit genus ab his quae de uno solo eorum quae sunt
indiuidua praedi- cantur, differentibus uero specie separat ab his quae
Porph. Boeth.
plurimis FH 3 respondebitur R rationabilis N
quis om. R, post s. l . scil. (om. brm) interroget
Hm2brm post , est om. HN 4 dicetur FHN
interrogetis N 9 autem] uero FHN 10 qualis
Cm2FHP 16 tamquam] ac F 20 uerba
Quare—praedicantur (21) et p. 193, 18 et hic ( hic om .
praedicatur) habet L, eadem iam ante lemma add. S predicari
ex preditur Pm2 genus diuidit hic L hiis
F 21 sola F eorum—accidentibus Ω , in sup. mg . non sunt indiuidua
accidentibus add. Lm2? dicuntur ut indiuidua quae de una solummodo
substantia dicuntur R, om. cett. codd . eorum quae sunt indiuidua
om. L eorum om. L
(hic) A ante
differentibus add . de ΓΛΦ ; differentibus—quibus
praedicantur post colligamus
inseruit S, itaque uerba quae —quibus praedicantur (195, 5)
et illic et hic habet separatur Φ , in mg . genus add . Γ sicut species praedicantur uel sicut
propria; in eo autem quod quid sit PREDICARE diuidit a differentiis et
communiter accidentibus, quae non in eo quod quid sit, sed in eo quod quale sit
uel quodammodo se habens praedicantur de quibus praedicantur. Tria
esse diximus quae significationem hanc tertiam generis informarent, id est de
pluribus PREDICARE, de specie differentibus et in eo quod quid sit. quae
singulae partes genus a ceteris quae quomodolibet praedicantur distribuunt ac
secernunt, quod ipse breuiter colligens dicit; id enim quod de pluribus PREDICARE,
genus ab his diuidit quae de uno tan- tum praedicantur indiuiduo. indiuiduum
autem pluribus dicitur modis. dicitur indiuiduum quod omnino secari non potest,
ut unitas uel mens; dicitur indiuiduum quod ob soliditatem diuidi nequit,
ut adamans; dicitur indiuiduum cuius praedicatio in reliqua similia non
conuenit, ut Socrates : nam cum illi sint ceteri homines similes, non conuenit
proprietas et PREDICAZIONE Socratis in ceteris. ergo ab his quae de uno tantum
praedicantur, genus differt eo quod de pluribus PREDICARE. restant igitur
quattuor, species et proprium, differentia et acci- 6 diximus] p. 181,
15. 2 diuiditur Φ , s. l . genus add.
Lm2 differentibus S 3 ante quae add .
et CEGP quae om. R non om. S (hic) quod]
quia R 4 post . sit] Σ est cett; cf. p. 196, 8
quodammodo in ras. Em2 quod ad modum CG
quemadmodum LP quod a modo R quomodo Ψ edd. Busse ; Porph. p. 3, 19
πώς ; cf. supra p. 128, 10 5 praedicantur
om . ΓΦ ante de quibus add . de
his S ( ad p. 194, 22 ) ab his Σ his A hiis Φ de quibus praedicantur] S (ad p. 194,
22) ΓΛ (de s. l .) 2Φ , om. cett . 7 informant FHm1N post,
de] Hm2LPm2, om, CEGNRS , sed FHm1Pm1; cf. p. 181, 16 8
et om. R 9 quolibet modo CL
(modo s. l. m2 ) N quo *** libet (libe er. uid .) F praedicatur
GPm1 10 colligens breuiter EGS 12 dicitur pluribus
C 13 non potest secari CFN 14 indiuiduum—dicitur (15)
om. G 15 adamas HLm1P (-as ras. ex -ans), amans
R 18 ceteros NP 20 igitur] ergo FP dif- ferentiae
EHa.c.NP, ante add . et H, s. l. Lm2 dens, quorum a genere
differentias colligamus. singulis igitur differentiis ab his rebus segregabitur
genus. ea quidem differentia qua de specie differentibus genus dicitur, separat
ab his quae sicut species praedicantur uel sicut propria. species enim omnino
de nulla specie dicitur, proprium uero de una tantum specie PREDICARE
atque ideo non de specie differentibus. item genus a differentia et accidenti
differt, quod in eo quod quid sit PREDICARE; illa enim in eo quod quale sit
appellantur, ut dictum est. itaque genus quidem ab his quae de uno praedicantur
differt in quantitate PREDICAZIONE, ab speciebus uero et proprio in
subiectorum natura, quoniam genus de specie differentibus dicitur, proprium
uero et species minime. item genus in qualitate praedicationis a differentia
accidentique diuiditur. qualitas enim praedicationis quaedam est uel in eo quod
quid sit uel in eo quod quale sit PREDICARE. Nihil igitur neque superfluum
neque minus con- tinet generis dicta descriptio. Omnis descriptio uel
definitio debet ei quod definitur aequari. si enim definitio definito non sit
aequalis et si quidem maior sit, etiam quaedam alia continebit et non necesse
est ut semper definiti substantiam monstret; si minor, ad omnem
definitionem Porph. Boeth.
quarum Cm1Lm1 colligamus ante differentias C
colligemus (e ex i) H; cf. ad p. 194, 22 2 ea quidem —dicitur
om. S
3 post differentibus add . praedicari edd . separat ab
his] FLm1R dum separat ab his S differt ab his CN
differt (s. l. Em2) ab (a L) specie et proprio HP
, s. l. Lm2 (seperat—propria [4] del. Lm2, om. P), s. l . et ab
his add . Hm2, om. EG separatur ab his edd.; cf. p.
194, 20 4 praedicantur post propria H 5 nulla]
nulla alia LS 8 enim] uero FHN 10 a LNR 13
ab FHP (b er .) 15 praedicare GR 16 Nihil
ex Nil Pm1? pr . neque om . ΛΛΠΣΨ Porph. p. 3, 19 Busse, del . Γ m2 17 genus F dicta om. E, s. l . Σ , post descriptio G locus Porph. s. plenior est (cf
. τής έννοιας , quod deest ap.
Boeth.) 18 Omnis descriptio in mg. Em2 (in contextu ras.), om. GR,
s. l. Sm2 post Omnis add . enim L, s. l. Sm2, post
debet C (er.) EGR 19 definito om. FPS et om.
CFN 21 definitio ( uel diff) Ca.r.N post si s. l
. sit L definitio C definiti ( uel diff)
Em2HN substantiae non peruenit. omnia enim quae maiora sunt, de
minoribus praedicantur, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime;
nemo enim uere dicere potest omne animal homo est. atque idcirco si sibi
praedicatio conuertenda est, aequalis oportebit sit. id autem fieri
potest, si neque super- fluum quicquam habet neque diminutum, ut in ea ipsa
generis descriptione dictum est enim esse genus quod de pluribus specie
differentibus in eo quod quid sit praedicetur, quae descriptio cum genere
conuerti potest, ut dicamus quicquid de pluribus specie differentibus in
eo quod quid sit PREDICARE, id esse genus. quodsi conuerti potest, ut ait, nec
plus neque minus continet generis facta descriptio. 1
substantiam CEm2 4 pr . est om. C 5
oporteat EGHL ( a del .) PRS ante sit add .
ut E (in ras. m2) FLNPR, s. l. Cm2Hm2 6 habeat R
diminutiuum Em1 7 enim est G esse s. l. Em2L,
post genus Pm2 8 praedicatur Em2FNa.c . post
ut s. l . si Lm2 quicquid] quod EGLm1RS 10
praedicatur Em2 11 conuerti potest] * (ñ er .) con- uertitur
C conuertitur. est F conuerti (non del .) potest
S neque — neque FLm2P nec—nec HLm1 neque—nec
N 12 continet s. l. Nm2 Sm2, om. F, post
generis CEGL facta] dicta p. 196, 17 BOEZIO V. C. ET I
LL EXCONS. ORD. PATRICII IN ISAGOGAS (YSAGOG. E ) PORPHYRII ID EST
INTRODVCTIONEM (introductiones C ) A SE TRANSLATAS EDITI- ONIS SECVNDAE
COMMENTARIVS SECVNDVS EXPLIC. (commen- tum in secdo lib. explic. C,
post PORPHYRII add . SCDE EXPOSITIO- NIS LIB. II. EXPLICIT E )
INCIPIT C ( pleraque litt. minusc.
scr .) GE ( uariis cum scripturis compendiisque ); sede trans-
lationis comtarius expł incip lib IΙI. L ; EXPL COMMENTARIVS.
II. INCIPIT LIB TERTIVS. S; EXPLIC COMENTORV LIBER SCDS. INCIPIT TERTIVS N·,
EXPLICIT LIBER SECDS. INCIPIT LIBER TERTIVS (TERCIVS LIBER P ) FP ;
INCIPIT LIBER TERTIVS R ; subscriptio deest in H Superior
de genere disputatio uideatur forsitan omnem etiam speciei consumpsisse
tractatum. nam cum genus ad aliquid praedicetur, id est ad speciem, cognosci
natura generis non potest, si speciei quae sit intellegentia nesciatur.
sed quoniam diuersa est in suis naturis eorum consideratio atque
discretio, diuersa in permixtis, idcirco sicut singula in prooemio proposuit,
ita diuidere cuncta persequitur. ac primum post generis disputationem de specie
tractat. de qua quidem dubitari potest. si enim haec fuit ratio praeponendi
generis reliquis omnibus, quod naturae suae magnitudine cetera
contineret, non aequum erat speciem differentiae in ordine tractatus
anteponere, quod differentia speciem contineret, cura praesertim differentiae
ipsas species informent. prius autem est quod informat quam id quod eius
informatione perficitur. posterior igitur est species a differentia,
prius igitur de differentia tractandum fuit. etenim prooemio etiam consentiret,
in quo eum ordinem collocauit quem naturalis ordo suggessit, dicens utile esse
nosse quid genus sit et quid differentia. huic respondendum est quaestioni,
quoniam omnia quaecumque dicens] p. 147, 5. 7. 148, 17. 2
uidetur CGHL, ras. ex uideatur PS 3 sumpsisse
CHN 5 ne- scitur FHm1 mixtis Fa.c.Lm1 8
posuit H diuidere ante ita G, post
cuncta CLP , diuise HNa.c . prosequitur Gm1PR 10 pro-
ponendi CFNR genus R 12 nonne Em2FHPSm2 ante
aequum add . et HP, s. l. Em2 speciei differentiam
EFHLm2P; cf. p. 239, 9 13 obtineret CLm1 14 ipsae CNP
est s. l. Gm2Lm2 15 informet E 16 post
Em1GLm1RS igitur] ergo C a om. CRS, er. L 17 ut
enim N ut CH etiam om. CF 18
post quo add . prius CN eam ordine CFN quam
CFN 19 post dicens add . ubi ait E 20
ante huic add . sed E ad aliquid PREDICARE,
substantiam semper ex oppositis sumunt. ut igitur non potest esse pater, nisi
sit filius, nec filius, nisi praecedat pater, alteriusque nomen pendet ex
altero, ita etiam in genere ac specie uidere licet. species quippe nisi
generis non est rursusque genus esse non potest, nisi referatur ad speciem; nec
uero substantiae quaedam aut res absolutae esse putandae sunt genus ac species,
ut superius quoque dictum est, sed quicquid illud est quod in naturae
proprietate consistat, id tunc fit genus ac species, cum uel ad inferiora
uel ad superiora referatur. quorum ergo relatio alterutrum constituit, eorum
continens factus est iure tractatus. De specie igitur inchoans ait hoc
modo. Species autem dicitur quidem et de unius cuiusque forma, secundum
quam dictum est primum quidem species digna imperio dicitur autem species
et ea quae est sub adsignato genere, secundum quam sole- mus dicere hominem
quidem speciem animalis, cum sit genus animal, album autem coloris speciem,
trian- gulum uero figurae speciem. Sicut generis supra
significationes distinxit aequiuocas, ita idem in specie facit dicens non esse
speciei simplicem signi- ficationem. et ponit quidem duas, longe autem plures
esse 7 superius Porph. Boeth. positis Gm1Sm1 3 nomen] non Ea.c.Ga.c . 4
uideri EP 8 in om. R 9 consistit CLNPSm2
constat Em1 tum R ac] et H 10
referuntur FLm1 referantur NS refertur Pm2R
11 continuus CN 12 ante De add . sed CH
, m1 in LRS , si E de ex sed Sm2
sed del. Lm2Rm2 13 ante Species inscriptio
DE SPECIE (EXPLICIT DE GENERE. INCIPIT DE SPECIE Ψ ) additur in 11 et om. L 14
primum] G edd . primi L primis Sm1 priami
cett. Busse; Porph. p. 4, 1 πρώτον piv είδος άξιον τυραννίδος (Eurip. Aeol. frg. 15, 2 N.) ; cf .
quemlibet illum infra p. 200, 22 15 post digna
add . est HNPR AAΦ , s. l. LSm2, edd. Busse; om. Porph. post et ras.,
s. l . etiam Γ 17 qui- dem om. N,
post add . esse FR, s. l. L , esse post speciem s. l.
Pm2 cum—animal om. S 18 autem om. Ε ΑΣ 20 ita om. HN
manifestum est, quas idcirco praeteriit, ne lectoris animum prolixitate
confunderet. dicit autem primum quidem speciem uocari unius cuiusque formam,
quae ex accidentium congregatione perficitur. cautissime autem dictum est
unius|cuiusque, hoc enim secundum accidens dicitur. quae enim uni cuique
indiuiduo forma est, ea non ex substantiali quadam forma species, sed ex
accidentibus uenit. alia est enim sub- stantialis formae species quae humanitas
nuncupatur, eaque non est quasi supposita animali, sed tamquam ipsa qualitas
substantiam monstrans; haec enim et ab hac diuersa est quae unius
cuiusque corpori accidenter insita est, et ab ea quae genus deducit in partes.
postremumque plura sunt quae cum eadem sint, diuersis tamen modis ad aliud
atque aliud relata intelleguntur, ut hanc ipsam humanitatem in eo quod ipsa est
si perspexeris, species est eaque substantialem determinat qualitatem; si
sub animali eam intellegendo locaueris, deducit animalis in sese
participationem separaturque a ceteris animalibus ac fit generis species.
quodsi unius cuiusque proprietatem consideres, id est quam uirilis uultus, quam
firmus incessus ceteraque quibus indiuidua conformantur et quodam- modo
depinguntur, haec est accidens species secundum quam dicimus quemlibet illum
imperio esse aptum propter formae 1 praeterit
CEGLPR primo FHNP formam] CN figuram cett haec
GL ( s. l. add . species m2) RSm1 uni om. EGRS 6 ea om.
HN ante species (specie H ) add . ac CHN ex
om. CH 8 forma, s. l . species (m. 2) E pr . quae] sed
quae E eaque] ea quae EFGH Lm1Sm2
post sed add . est brm, post qualitas S 11
unius cuiusque corpori] CNPm2R in (s. l. Lm2) unius
cuiusque (in add. Lm1, del. m2 ) corpore (ex -ri Lm2) FHLPm1 unius
cuiusque (in s. l. Sm2) corpore EGS accidentaliter
CLm2P sita FHLm1 si ita Na.c . ea] hac F
postremoque CNPm2 (recte?) postremo quoque Rm1
postremum quae Rm2S postremum H 13 sunt FH post
atque add . ad CHR 14 intelligantur LRm1 si
post humanitatem FHN respexeris N eaque]
Cm1N ea quae cett . determinet R 16 eam om. GPRS
(recte?) , s. l. Em2 se Lm1N 18 species generis
C 20 informantur LPm2 accidentalis
Lm2Pm2 quamlibet FLm1 quodlibet Sm2 illum
om. CHLNP illud RS eximiam dignitatem. huic aliam
adiungit speciei significationem, id est eam quam supponimus generi. nos vero
triplicem speciei significationem esse subicimus, unam quidem substantiae
quali- tatem, aliam cuiuslibet indiuidui propriam formam, tertiam de qua
nunc loquitur, quae sub genere collocatur. credendum uero est propter
obscuritatem eius quam nos adiecimus, quia nimirum altiorem atque eruditiorem
quaereret intellectum, ea tacita praetermissaque ceteras edidisse. cuius quidem
speciei haec exempla subiecit, ut hominem quidem animalis speciem, album
autem coloris, triangulum uero figurae; haec enim omnia species nuncupantur
eorum quae sunt genera, animal quidem hominis, albi autem color, trianguli
figura. Quodsi etiam genus adsignantes speciei meminimus dicentes quod de
pluribus et differentibus specie in eo quod quid sit praedicatur, et
speciem dicimus id quod sub genere est. Dudum cum generis descriptionem
adsignaret, in generis definitione speciei nomen iniecit dicens id esse genus
quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid ait prae-
dicaretur, ut scilicet per speciei nomen definiret genus. nunc uero cum speciem
definire contendat, generis utitur nuncupatione dicens speciem esse quae sub
genere ponatur. Porph. Boeth. Dicens s. 3 subiecimus
CLN substantialem FLm2Bm2 4 indiuiduam G 5
collocatur (-catur in ras. m2) E colligatur GLm2
(colligitur m1 ) Rm1s 6 est] est quod EPRS 7 quia]
quae CN quaerit C quaeret Hm1N praetermissa quae
Em1Sa.c . praetermissa Rm1 dedisse Gm1 edidisset
R, ante edid. add . ipsum r 9 ut] et
EGLm1Ra.c.S 11 eorum quae] CFHN earum quae EGR
earumque LPS 12 trianguli figura] Lm1 figura
trianguli Pm2 forma trianguli HNPm1 trianguli
forma cett.; fort , trianguli >uero>; cf. 10. 199, 19 13 Quodsi] Quid
sit FPm1 (Quod sit m2 ) Quod CL Sic Λ2 signantes F 14 et om. F, s. l.
R 15 sit om. ERS praedicatur—quid sit (19) om. N
id s. l. Hm2 16 quod sub assignato genere ponitur (est p
) edd., Porph. p. 4, 6 το όπό τό άποοοθ-έν γένος 19 et differentibus p. 180, 1 20 genus
definiret C 21 nunc] nam Cm1 cui quidem dicto
illa quaestio iure uidetur opponi. omnis enim definitio rem declarare debet
quam definitio concludit, eamque apertiorem reddere quam suo nomine
monstrabatur. ex notioribus igitur fieri oportet definitionem quam res illa sit
quae definitur. cum igitur per speciei nomen describeret uel definiret
genus, abusus est uocabulo speciei uelut notiore quam generis atque ita ex
notioribus descripsit genus. nunc uero cum speciem uellet termino descriptionis
includere, generis utitur nomine rerumque conuertit notionem, ut in generis
quidem sit notius speciei uocabulum, in speciei autem descrip- tione sit
notius generis, quod fieri nequit. si enim generis uocabulum notius est quam
speciei, in definitione generis speciei nomine uti non debuit. quodsi speciei
nomen facilius intellegitur quam generis, in definitione speciei nomen generis
non fuit apponendum. cui quaestioni occurrit dicens: Nosse autem
oportet quod, quoniam et genus alicuius est genus et species alicuius est
species, idcirco necesse est et in utrorumque rationibus ntrisque
uti. Omnia quaecumque ad aliquid praedicantur, ex his de quibus
praedicantur, substantiam sortiuntur; quodsi definitio unius cuiusque
substantiae proprietatem debet ostendere, iure ex alterutro fit descriptio in
his quae inuicem referuntur. ergo quoniam genus speciei genus est et
substantiam suam et Porph. Boeth. post , definitione ( uel
diff-) CHNPm2 claudit C nec concludit F 3
monstrabat E (-bat ex -batur? m2 ) R
5 sit] est FHN 6 notiorem FR uelit FHNPm1 9
conuertit] uidetur conuertere CHLm2P genere R 10
post quidem add . descriptione CFHLN, in mg. Em2, fort.
recte autem] quidem C uero FHNP 11 sit om.
G pr . genus FH 16 autem om. Porph . quod add. edd.;
Porph. είϊέναι χρή ότι, έπεί χτλ . pr . est om. FN, s. l
. Λ , ante alicuius Σ idcirco in utrisque necesse est utrorumque rationibus
uti Σ et] hoc N om . FPSA S
neutrorumque Em1 utrasque Em1 utriusque Λ 20 post definitio add . uel
descriptio CFHNP, s. l. Em2Lm2
ante inuicem add . ad CL, s. l. Pm2 , ad se F,
s. l. Rm2 ante
substantiam add . in FHm1, del. m2 post , et om. F, s. l.
Hm2Sm2 uocabulum genus ab specie sumit, in definitione generis
speciei nomen est aduocandum, quoniam uero species id quod est sumit ex genere,
nomen generis in speciei descriptione non fuit relinquendum. quoniam uero
diuersae sunt specierum qualitates aliae enim sunt species, quae et
genera esse possunt, aliae, quae in sola speciei | permanent proprietate
neque in naturam generis transeunt —, idcirco multiplicem speciei
definitionem dedit dicens: Adsignant ergo et sic speciem: species est
quod ponitur sub genere et de quo genus in eo quod quid sit praedicatur.
amplius autem sic quoque : species est quod de pluribus et differentibus numero
in eo quod quid sit praedicatur. sed haec quidem adsignatio specialissimae est
et quae solum species est, aliae uero erunt etiam non specialissimarum. Tribus
speciem definitionibus informauit, quarum quidem duae omni speciei conueniunt
omnesque quae quolibet modo species appellantur, sua conclusione determinant,
tertia uero non ita. cum enim duae sint specierum formae, una quidem, cum
species alicuius aliquando etiam alterius genus esse potest, altera, cum tantum
species est neque in formam generis 9—15] Porph. p. 4, 9—14 (Boeth. p.
29, 2—7). 1 genus om.
H generis FLS ab om. F a NR, s. l. Hm2 specie s.
l . Hm2 species F definitionem ( uel diff-)
FGHP 2 pr . est] fuit Lm2 ( post
aduocandum) Pm2 3 descriptione] definitione (uel diff-)
CFHLm2N diffinicione uel descripcione P 4 relinquendum]
omittendum FHN uero post sunt H 8
reddit FN 9 ergo] uero PLm2 autem Σ et er. Λ speciem sic
F quae CNR h m1 (quo m2 ) ΛΣ 10 quo] EGHLm2Pm1 > qua cett . 11
amplius—praedicatur (13) om. L 12 et om . S
ac EGRS 13 post praedicatur add . ut homo equs
(sic) bos et asinus et cetera C 14 specialissimae] ΧΨρ (-me) specialissima cett. codd. brm ; Porph. p. 4, 12
aΰτη μέν ή άπόδοσις τού εΐδιχωχάτου άν εΐη et om.
FHR, s. l. Pm2, del. Sm2 sola C 17 omnis G 18
determinantur Hm2 19 post ita s. l . est
Hm2 sint om. Em1 sunt CEm2GR ante
specierum add . species Cm1, del. m2 20 post cum
s. l . sit Lm2 , post aliquando EP (del.
m1?), post species s. l . scil. sit N transit,
priores quidem duae, illa scilicet in qua dictum est id esse speciem quod sub
genere ponitur, et rursus in qua dictum est id esse speciem de quo genus in eo
quod quid sit praedicatur, omni speciei conueniunt. id enim tantum hae
definitiones monstrant quod sub genere ponitur. nam et ea quae dicit id
esse speciem quod sub genere ponitur. eam uim significat speciei qua refertur
ad genus, et ea quae dicit id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit
praedicatur, eam rursus significat speciei formam quam retinet ex generis PREDICAZIONE
idem est autem et poni sub genere et de eo praedicari genus, sicut idem
est supponi generi et ei genus praeponi. quodsi omnis species sub genere
collocatur, mani- festum est omnem speciem hoc ambitu descriptionis includi.
sed tertia definitio de ea tantum specie loquitur quae numquam genus est et
quae solum species restat. haec autem species ea est quae de
differentibus specie minime praedicatur. nam si id habet genus plus ab specie,
quod de differentibus specie praedicatur, si qua species praedicetur quidem de
subiectis, sed non de specie differentibus, ea solum erit superioris generis
species, subiectorum uero non erit genus. igitur PREDICAZIONE ea quam species
habet ad subiecta, si talis sit, ut de differen- tibus specie non praedicetur,
distinguit eam ab his speciebus 2 ponitur—genere om. N
rursum CR quo] Schepss qua codd. et edd.;
praedicaretur EGLRS praedicetur edd . 5 ponuntur
Cm2HN 6 speciem om. Sm1 species m2G post
eam add. tantum FHNP, s. l. Lm2 7 qua] CNP
quae cett . 8 quo] p Schepss qua codd. brm; cf. 3
genus s. l. Em2, ante add . species G praedicetur
FHLm2NP praedicaretur S 9 speciei om. C 10
est post autem E (s. l. m2) R supponi EFGHLRS 11
generi] genere CGm1 12 omnes (sed collocatur )
ELN 13 post est add . autem CEGL (del. m2) S
(del. m2) 15 est om. EGS, ante genus ΗR , fit L per- stat E ( pers in ras.) HNa.c . 17
habet ante plus FH, post N, plus post
habet L a RS 18 si qua species om. N
praedicetur om. N praedicatur Em1HSm2 post
subiectis add . Species uero differentibus numero N 19
de om. N 21 de—non] non differentibus specie N 22
ante distinguit add . sed hanc terciam, sed del. E, post add
. enim, sed del. RS quae genera esse possunt et monstrat eam
solum speciem esse nec generis PREDICAZIONE tenere. illa igitur tertia
descriptio speciei quae magis species ac specialissima dicitur, definitur hoc
modo : species est quod de pluribus numero differentibus in eo quod quid
sit PREDICARE -- ut homo PREDICARE enim de CICERONE ac Demosthene et ceteris
qui a se, ut dictum est, non specie, sed numero discrepant. Ex tribus
igitur definitionibus duae quidem et specialis- simis et non specialissimis
aptae sunt, haec uero tertia solam ultimam speciem claudit. ut autem id
apertius liqueat, rem paulo altius orditur eamque congruis inlustrat exemplis. Planum
autem erit quod dicitur hoc modo. in uno quoque praedicamento sunt quaedam
generalissima et rursus alia specialissima et inter generalissima et
specialissima sunt alia. est autem generalissimum quidem super quod nullum
ultra aliud sit superueniens genus, specialissimum autem, post quod non erit
alia inferior species, inter generalissimum autem et spe- cialissimum et genera
et species sunt eadem, ad aliud 7 ut dictum est] p. 188, 13 ss. 12—p.
206, 18] Porph. Boeth. et (s. l. m2) monstrabat S
monstratque FHNP solam Sm2 3 speciei] solum species
est N speciei—species ac] quae (s. l. m2) solum species
magisque (in ras.) species H 4 hoc modo in mg.
Hm2 ante species add . Dicitur enim FHP et
differentibus numero p. 203, 12 6 Cicerone] socrate N
post ac add . de R 8 duae—claudit] C (om. pr .
et) E (in ras. m2) FH (solum) LNP duabus quidem et specialis-
simas et non specialissimas species claudit GR una quidem et
specialis- simam et non specialis ultimam speciem claudit Sm1, del. et in
mg. corr. m2 (apte sunt post duae quidem,) 10 id
om. LR rem om. EGS, s. l. Pm2, post orditur Lm2
12 in uno quoque—solum species RS
Q , om. cett . 14 rursum Γ et inter—alia
om. RS 15 sunt om . T m1, in mg. scil. sunt ut corpus
m2 , est ut uid . Δ
16 super— ultra] ultra quod nullum RS ultra nullum ΓΦ
17 specialissima R quod] quam RS 18 autem om
. Γ ante et
genera add . alia p alia sunt quae brm; Porph. p. 4,
19 άλλα, α ν,α'ι γένη quidem et ad aliud sumpta.
Sit autem in uno PREDICAMENTO manifestum quod dicitur. substantia est quidem et
ipsa genus. sub hac autem est corpus, sub corpore uero animatum corpus, sub quo
animal, sub animali uero rationale animal, sub quo homo, sub homine uero
Socrates et Plato et qui sunt particulares homines. sed horum substantia quidem
generalissi-mum est et quod genus sit solum, homo uero specialissimum et quod
species solum sit, corpus uero species quidem est substantiae. genus uero
corporis animati; et animatum corpus species quidem est corporis, genus
uero animalis. animal autem species quidem est corporis animati, genus uero
animalis rationalis, sed rationale animal species quidem est animalis, genus
autem hominis, homo uero species quidem est rationalis animalis, non
autem etiam genus particularium hominum, sed solum species. et omne quod ante
indiuidua proximum est, species erit solum, non etiam genus. Praediximus
ab Aristotele decem praedicamenta esse dis- 19 Praediximus] p. 151,
12. 1 quidem post eadem R 5 ad om
. Λ , s. l. R T uno] uno quoque R A (quoque
er .) Φ , ad
uno s. l . isto A m2 2 est quidem] R ΓΦ est quiddam ( repet , est S ) cett . 3
est post corpus S, om . Φ 5 uero] RST iI (s. l. m2)
Φ , om . ΛΛΣΊ Busse; Porph. p. 4. 23 δέ 6 uero] codd. nostri, om. Busse; Porph. p.
4, 24 δέ post , et om. RS 7 eorum
RS generalissimum] codd. PQ (non L) Bussii edd . genera-
lissima codd. nostri; Porph. p. 4, 25 τό γινικώτατον 8 uero om. R
9 ante et add . est 2 pr . specie
R 10 est om . 2 , s. l . Δ 11 et] sed et brm, recte ut uid.; Porph. p.
4, 27 αλλά καί est om. R 12 animal autem] rursus
animal brm; Porph. p. 4, 28 κάλιν δέ to ζώον 13 uero] ΓΔ (s. l. m2)
Π*!' , om. cett . animalis] Δ (s. l. m2) ΣΊ ’ ( post ratio- nalis). om. cett.; Porph. p.
4, 29 γένος δέ τού λογικού ζώου 14 animal— est om.
R 15 autem] uero RS 16 autem del . h m2 genus
etiam R 17 et om. CEGP indiuiduum F
est s. l. E erit CGR solum species erit LS
erit solum species E solum species est CR solum speciem
non etiam genus esse liquet G 19 Praedicimus R, add.
etiam L posita, quae idcirco praedicamenta uocauerit, quoniam
de ceteris omnibus praedicantur. quicquid uero de alio praedicatur, si non
potuerit PREDICAZIONE conuerti, maior est res illa quae PREDCIARE ab ea de qua PREDICARE.
itaque haec PREDICAMENTI maxima rerum omnium, quoniam de omnibus PREDICARE
sunt. in uno quoque igitur horum PREDICAMENTI quaedam generalissima sunt genera
et est longa series specierum atque a maximo decursus ad minima. et illa quidem
quae de ceteris PREDICARE ut genera neque ullis aliis supponuntur ut species,
generalissima genera nuncupantur, idcirco quia his nullum aliud superponitur
genus, infima uero quae de nullis speciebus dicuntur, specialissimae species
appellantur, idcirco quoniam integrum cuiuslibet rei uocabulum illa suscipiunt
quae pura inmixtaque in ea de qua quaeritur proprietate sunt constituta. at
quoniam species id quod species est ex eo habet nomen, quia supponitur generi,
ipsa erit simplex species, si ita generi supponatur, ut nullis aliis
differentiis praeponatur ut genus. species enim quae sic supponitur alii, ut
alii praeponatur, non est simplex species, sed habet quandam generis
admixtionem, illa uero species quae ita supponitur generi, ut minime speciebus
aliis praeponatur, illa solum spe- cies simplexque est species atque idcirco et
maxime species et specialissima nuncupatur. inter genera igitur quae sunt
generalissima et species quae specialissimae sunt, in medio 1
uocauit Lp.c.P dicuntur N 3 poterit CNSm1
res om. E, sed ras ., ratio R 4 post ,
praedicatur] dicitur HNP 5 maxime Em1G a.c . 7 quaedam]
quae CFHN genera om. CN, ante sunt F
et om. CHN maximis CFHNPm2 11 quia] quoniam
HN inper- mixtaque Em2HPm2 intermixtaque NPm1 de
qua s. l. Sm2 de quo R quae E (ex alia uoce)
N 15 at] ut CFN quod] quoniam E 16 nomen
om. FN quia] quoniam F aliis om. C
ante alii add . generi CL (del. m2), post s. l. P simplex om. GRS, s. l .
Em2Lm2 atque idcirco maxime (-ma H ) species est (est om. H ) in mg. Hm1?, s. l.
Lm2 ante species add . est P, post C, s. l. Lm2 specialissima EGSm1 sunt
om. EG, s. l. Pm2, post quae L sunt quaedam quae superioribus
quidem collata species sunt, inferioribus uero genera. haec subalterna genera
nuncupantur, quod ita sunt genera, ut alterum sub altero collocetur. quod
igitur genus solum est, id dicitur generalissimum genus, quae uero ita sunt
genera, ut esse species possint, uel ita species, ut sint genera
nonnumquam, subalterna genera uel species appellantur. quod uero ita est
species, ut alii genus esse non possit, specialissima species dicitur.
His igitur cognitis sumamus PREDICAMENTI unius exemplum, ut ab eo in
ceteris quoque PREDICAMENTI atque in ceteris speciebus in uno filo atque
ordine quid eueniat possit agnosci. substantia igitur generalissimum genus est;
haec enim de cunctis aliis PREDICARE ac primum huius species duae, corporeum,
incorporeum; nam et quod corporeum est, substantia dicitur et item quod
incorporeum est, substantia PREDICARE sub corporeo vero animatum atque
inanimatum corpus ponitur, sub animato corpore animal ponitur; nam si sensibile
adicias animato corpori, animal facis, reliqua uero pars, id est species,
continet animatum insensibile corpus. sub animali autem rationale atque inrationale,
sub rationali homo atque deus; nam si rationali mortale subieceris,
hominem feceris, si inmortale, deum, deum uero corporeum; hunc enim mundum
ueteres deum uocabant et Iouis eum appellatione 1 quidem om. EG
collata] FHm1NPm2 collatae Cm2EGHm2 ( add. e, sed
exters .) Lm2 collocata Pm1 collocatae Cm1Lm1RS (in
ras.) sunt species CLR haec] et C nominantur
FHNP 3 alterutrum Ea.r.Pm1 alterutro Pm2 ita s. l. Em2Lm2, ante ut
C ut sint — est species (7) s. l. Em2 9 igitur] ergo
E ante in add . ut Lm2Pm2 uno quoque
Em2H (quoq. del. m1 ?) PRS quod Ea.c .
GLm2Pm1R 14 duae om. HN sunt add. C,s.l. Pm2,
ante duae L post pr . corporeum add . et C, s. l. Pm2 ,
atque FHN 15 ante post . substantia add . et ES
(del) , ex R 17 sub animato—ponitur om. R post . poni- tur]
collocatur FHNP 18 adicies RS 19 inanimatum
Cm1Lm2NPm2S (in s. l. minus cert .), post add . et s.
l. Pm2 20 post rationali add . autem L 22
feceris om. GRS, s. l. Em2 , scil. fecisti ( ante hominem) s.
l. Sm2 constituis L post uero s. l . dico Lm2,
post corporeum Sm2 23 deum ueteres LN
dignati sunt deumque solem ceteraque caelestia corpora, quae animata esse
cum Plato, tum plurimus doctorum chorus arbitratus est. sub homine uero
indiuidui singularesque homines ut Plato, CATONE, CICERONE et ceteri, quorum
numerum pluralitas infinita non recipit. cuius rei subiecta descriptio
sub oculos ponat exemplum substantia corporea incorporea corpus animatum inanimatum
animatum corpus sensibile insensibile animal rationale inrationale rationale
animal mortale | inmortale homo Plato CICERONE CATONE Superius posita
descriptio omnem ordinem a generalissimo usque ad indiuidua praedicationis
ostendit. in qua quidem substantia generalissimum dicitur genus, quoniam
praeposita est omnibus, nulli uero ipsa supponitur, et solum genus
propter eandem scilicet causam, homo autem species solum, quoniam Plato,
1 dignati sunt] designauerunt Em2 deum quoque HLm2P 2
cum] tum Em2F platone Lm2PSm1 tunc CGLSm1 4
cato om. C, ante plato L , tito N 5 oculis
CFP 6 ponit Lm1 figuram supra de- pictam exhibent P (est altera de
duabus ipsa quoque a m1 facta, prior minus dilucida est), nisi quod ad pr .
animal add . sensibile et rationale post post .
animal pos., et E, in quo ordo nominum cato plato cicero est,
simillima est in G, sed extrema pars homo—Cicero deest, et in H,
nomina tamen socrates plato cicero sunt; in S uoces mediae
tantum substantia—homo extant, sub uoce homo unum nomen est
FVLCO GONCŁ, (explicare non potuimus); figura deest in CFLNR, in F post
ponat exemplum est SVBSTANTIA 8 ad om. H, s. l. Em2
indiuiduum FLN in qua] et E 10 uero] ergo H
Cato et Cicero, quibus est ipsa praeposita, non differunt specie, sed
numero tantum. corporeum uero, quod secundum a substantia collocatur, et
species esse probatur et genus, substantiae species, genus animati. at uero
animatum genus est animalis, corporei species. est enim animatum genus
sensibilis, animatum uero sensibile animal est; ipsum igitur animatum
propter propriam differentiam, quod est sensibile, recte genus esse dicitur
animalis. animal uero rationalis genus est et rationale mortalis. cumque
rationale mortale nihil sit aliud nisi homo, rationale fit animalis species,
hominis genus. homo uero ipse Platonis, CATONE, CICERONE non erit, ut
dictum est, genus, sed est solum species. nec solum differentiae rationalis
species est homo, uerum etiam Platonis et CATONE ceterorumque species
appellatur, propter diuersam scilicet causam. nam rationalis idcirco est
species, quoniam rationale per mortale atque inmortale diuiditur, cum sit
homo mortale. idem nero homo species est Platonis atque ceterorum; forma enim
eorum omnium homo erit substantialis atque ultima similitudo est autem communis
omnium regula eas esse species specialissimas quae supra sola indiuidua
collocantur, ut homo, equus, coruus — sed non auis; auium enim multae
sunt species, sed hae tantum species esse dicuntur —, quorum subiecta ita sibi
sunt consimilia, ut substantialem differentiam habere non possint. in omni
autem hac dispositione priora genera cum inferioribus coniunguntur, ut
posteriores efficiant species; nam 1 Cato] tito N et
om. P, s. l. Lm2 5 corporis FN enim] autem CLSm2
ipsum post igitur FL (s. l. m2), om. EGRS propter]
praeter H 7 quae ER 8 post rationale
add. est genus R, s. l . scil. genus L 11 Catonis om.
CLN titonis N ante Ciceronis add . et CFHP
12 species est solum C 13 catonis et platonis CL
platonis titonis N 15 post rationalis add .
homo G homo om. EGLS 17 atque] et C eorum
enim E erit] est FHNP ante omnium add
. et R post regula add . est EG esse
ante eas FNS (s. l. m2), om. EGR 21 enim]
uero CEGLRS 22 haec Gm1NR hee P species om.
E quarum Em2FSm2 sibi om. R disputatione
F iunguntur CLm1 coniungantur m2 efficiunt
Fa.c.Sm1 efficiat m2 ut sit corpus substantia, cum
corporalitate coniungitur et est substantia corporea corpus. item ut sit animatum,
corporeum atque substantia animato copulatur et est animatum substantia
corporea habens animam. item ut sit sensibile, eidem tria illa superiora
iunguntur nam quod est sensibile, tantum est, quantum substantia corporea
animata retinens sensum, quod totum animal est. item superiora omnia rationi
iuncta efficiunt rationale postremumque hominem superiora omnia nihilo minus
terminant; est enim homo substantia corporea, animata, sensibilis,
rationalis, mortalis nos uero definitionem hominis reddimus dicentes animal
rationale, mortale, in animali scilicet includentes et substantiam et corporeum
et animatum atque sensibile. et in ceteris quidem speciebus atque generibus ad
hunc modum uel genera diuiduntur uel species describuntur. Quemadmodum
igitur substantia, cum suprema sit, eo quod nihil sit supra eam, genus erat
generalissimum, sic et homo, cum sit species post quam non sit alia species
neque aliquid eorum quae possunt diuidi, sed solum indiuiduorum — indiuiduum
enim est p. 71 Socrates et Plato —, species erit sola et
ultima species Porph. Boeth. eadem H idem ex
eidem Lm2 6 retinet CN habens L 7 ratio-
nali Pm2 coniuncta HL efficiuntur Ea.r.GS 8
postremoque CHNP (recte?) postremum (-mo L) uero
LS 11 inter mortale et in animali add . quia
animal includit[ur] in se et substantiam et corporeum et animatum atque
sensibile R 12 atque] et H 14 describuntur] dis-
tribuuntur FN 15 cum] R (sed ante breuis ras.)
fi quae cum cett . (quae del. et in mg. scr .
parentesis 5 m2 ); an quae scribend .? suprema om. S
summa G eo quod] et A a.c . nihil] nullum N SA
sit om. F, s. l . Λ , est post
eam Λ2 erat] RSm1 erit m2F
sit P est cett. codd . edd. Busse; Porph. p. 5, 2
ήν sic
et—species dicitur (p. 212, 15) ] RS Q , om. cett . et]
etiam RS ΤΦ , glossa ut uid. ad et in Π alia]
aliqua RS; add . inferior ΔΛΠΣ*Ρ Busse, post species Γ , om. RS Φ edd. Porph. p. 5, 3
aliud R post
diuidi add . in species edd., recte ut uid., etiam Bussio placet;
Porph. p. 5, 3 χών χέμνεοΟαι ουναμένων εις είδη post indiuiduorum add .
species R 20 post Plato add . et hoc album
brm, fort. recte; Porph. p. 5, 4 xat χοοχι χό λεοχόν solum R solam S et,
ut dictum est, specialissima. quae uero sunt in medio, eorum quidem quae supra
ipsa sunt, erunt species, eorum vero quae post ipsa sunt, genera. quare haec
quidem habent duas habitudines, eam quae est ad superiora, secundum quam
species ipsorum esse dicuntur, et eam quae est ad posteriora, secundum
quam genera ipsorum esse dicuntur. extrema uero unam habent habitudinem. nam et
generalissimum ad ea quidem quae posteriora sunt, habet habitudinem, cum genus
sit omnium id quod est supremum, eam uero quae est ad superiora, non
habet, cum sit supremum et primum principium, specialissimum autem unam habet
habitudinem, eam quae est ad superiora, quorum est species, eam uero quae est
ad posteriora, non diuersam habet, sed etiam indiuiduorum species
dicitur, sed species quidem indiuiduorum uelut ea continens, species autem
superiorum, uelut quae ab eis contineatur. ipsa om. R, post
sunt Γ species erunt RS; Porph. p. 5, 6 είη αν εϊδη 3 uero—sunt om. S, s. l . autem quae sunt sub
se erunt m2 uero] autem RSm2 V<]?} fort.
recte post ipsa] sub ipsis R 4 duas habent ΔΛ2 Busse; Porph. p. 5, 7 έχει Sio σχέσεις habentes S 7 dicuntur esse
R extremae (-me) Sm1 h m1 A2 m2 b 8 habent unam Δ et generalissimum] id quod generalissimum est RS; Porph. p.
5, 9 το τε γάρ γενιχώτατον 9 habet] habet
unam Δ 10 genus post omnium R,
post sit S Σ id] hic R
ea R 11 post uero add . habitudi- nem Γ non habet hic om., post principium add . non
habet habitudi- nem R, add . et (ut diximus) supra quod non est aliud
superueniens genus edd. cum Porph. p. 5,12 12 ante
specialissimum add . et brm Busse, fort. recte, om.
codd. (etiam LPQ Bussii); Porph. p. 5, 12 «ύ τί> είδιχώτατον δέ specialissimam R
T m1 specialissima S autem] etiam brm 13
eam om. RS 14 posteriora] inferiora
RS 511 , recte ? 15 non diuersam] Sm1 edd . quorum diuersam A
m1 non ( del. uel om . diuersam,) Sm2 A m2 et cett.
Busse; Porph. oi% άλλοίαν species dicitur—indiuiduorum om. FHN ,
sed—indiuiduorum om. CT quidem om. Σ, post add.
dicitur edd.; codd. quidam Porph. λέγεται eam N 17
post continens add. est Σ autem] uero L 18
his NR illis F contineantur CEm2H
continetur N Ω ( sed corr . K m2, ex -entur
II m2 ) Ex proportione speciei nomen et generis ostendit. nam ut
genus, quoniam non habet genus supra se, generalissimum genus dicitur, ut
substantia, ita species, quoniam non habet sub se speciem, sed indiuidua,
specialissima species dicitur, ut homo. quid est autem species non habere
his praeesse quae neque in dissimilia diuidi possunt, ut genera diuiduntur,
neque in similia secantur, ut species. quae uero inter genera generalissima
speciesque specialissimas constituta sunt, ea et species et genera nuncupantur,
quoniam et ipsa aliis supponuntur et his alia subiciuntur, quorum uel in
dissimilia uel in similia possit esse partitio. cumque duae sint habitudines et
quasi comparationes oppositae, quae in omnibus generibus speciebusque
uersentur, una quidem quae ad superiora respi- ciat, ut specierum, quae suis
generibus supponuntur, alia uero quae ad inferiora, ut generum, cum speciebus
propriis praeponuntur, generalissima quidem genera unam tantum retinent
habitudinem, eam scilicet quae inferiora complectitur, illam uero quae ad
praeposita comparatur, non habent. generalissimum enim genus nulli supponitur.
item species specialissima unam possidet habitudinem, per quam scilicet ad sola
genera comparatur, illam uero quae ad inferiora committitur, non habet; nullis
enim speciebus ipsa praeponitur. at uero quae subalterna sunt genera, utraque
habitudine funguntur. 1 propositione FPm1 et om. N,
del. Sm2 , etiam FL 2 super F se om. CN, s, l.
Lm2 4 species specialissima FHN 5 speciem Lm2
post habere add . nisi ( ex 2 al. litt. m2 ) L hoc est
N id est R, inseruit Pm1? 6 possint
ESm2 7 ante neque add . sed P, del. m1?, s. l·
Lm2 quae—constituta] specialissimae constitutae, cet. om.
EGRS ea et] illae (illa L )
uero EGLRS 9 et om. FP quoniam] quae EGLm1R
subponantur S 10 subiciantur S pr . uel om. EGR, s. l.
Lm2 uel in similia om. EGRS 11 possint EGLm1S
possunt R paratio Cm1 partitiones EGLa.r.RS
cumque—comparationes om. EGRS, in mg. Lm2 duo
Cm1 sunt NPa.c. subpositae CHm1Lm1N, om. F 13
uersantur EGL 16 una Cm1 retinent ante
tantum H retinet R habent N illam—comparatur (21) om. S habet
G, m1 in CEH 19 genus enim H nullis F 23 quae]
illa quae F utramque habitudinem G nam et illam
possident quae ad superiora respicit, quoniam quae subalterna sunt, habent
superpositum genus, et illam quae de inferioribus PREICARE; habent enim
subalterna genera suppositas species, ut corporeum ad substantiam quidem eam
retinet habitudinem qua potest poni sub genere, ad ani- matum uero eam
qua potest de specie praedicari specialissimae uero species licet ipsae
indiuiduis praeponantur, tamen praepositi habitudinem non habebunt, idcirco
quoniam illa quae speciei ultimae supponuntur, talia sunt, ut quantum ad
substantiam unum quiddam sint non habentia substantialem differentiam,
sed accidentibus efficitur, ut numero saltem distare uideantur, ut paene dici
possit et pluribus praeesse speciem et quodammodo nulli omnino esse
praepositam. nam cum species substantiam monstret unam, quae omnium indi-
uiduorum sub specie positorum substantia sit, quodammodo nulli praeposita
est, si ad substantiam quis uelit aspicere. at si accidentia quis consideret,
plures de quibus PREDICARE species fiunt, non substantiae diuersitate, sed
accidentium multitudine. itaque fit ut genus quidem semper plurimas sub
1 ad illam et quae s. l . ał illud et
ał quod L ad om. CGHLPS quoniam quae] quantum que
S 2 post sunt add . genera P, s. l. Lm2 3
praedicantur Hm1Sm1 4 superpositas Hm1 5 qu * a
(i er .) C poni potest E 6 quae EHm1LPN
specie] speciebus R 7 prae- ponuntur Hm1Pm1 8
subpositi E habent EP habebit Gm2 9 ul-
tima EGLm1S ad substantiam] substantia F 10
quidem GLm2S non] nec FHLm2NP habentia] Em2
habentes CEm1GL (es ex al. litt. m2 ) PS
habentem R habent FHN 11 post sed s.
l . scii, ex Hm1? accidentibus del. et s. l . ał
accidentalem Hm2 uel al ., acci- dentalem, s. l . ał
accidentibus Lm1, s. l . Nam accidentibus m2 saltim
Lm2NPR 12 possint EFGLRS et] nec F, m1 in HLN 13
species EGL ( es in er . em? m2 ) Pm1RS
esse om. FHN praepositae EGLRSm2 (-tum m1 ) nam
cum—praeposita est (16) in sup. mg. Lm2 14 monstraret
HPm1 monstrat RS unam, quae] S unaque CFHNP
( ras. ex -que) unam quamque EGR unam * L 15
substantiae GLR sit s. l. ante substantia Pm2,
om. EGLR , est S ante quodammodo add. fit HN, post
nulli C, om . est CHN 16 ad om. EGPRS 17 ac
GR praedicatur EGLRS se habeat species; de
differentibus enim specie PREDICARE, differentia uero nisi pluralitati non
conuenit. at uero species etiam uni aliquando indiuiduo praeesse potest. si
enim unus, ut perhibetur, est phoenix, phoenicis species de uno tantum
indiuiduo PREDICARE; solis etiam species unum solem intellegitur habere
subiectum. ita nullam multitudinem species per se continet, cum etiam si
unum sit tantum indiuiduum, speciei tamen non pereat intellectus; quibusdam
enim suis quasi similibus partibus praeest. ut si aeris uirgulam diuidas,
secundum id quod aes dicitur, idem et partes esse intellegitur et totum.
idcirco dictum est speciem, licet sit indiuiduis praeposita, unam tamen
habitudinem possidere, unam scilicet qua species est. quoniam enim praepositis
subditur, species nuncupatur, et est superiorum species tamquam subiecta
inferiorum quoque species, idcirco quoniam eorum substantiam monstrat. speciem
uero substantiam nuncupamus, nec ita est species substantia indiuiduorum,
quemadmodum speciei genus; illud enim pars substantiae est, ut animalis homo reliquae
enim partes rationale sunt atque mortale, homo uero Socratis atque CICERONE
tota substantia est; nulla enim additur differentia substantialis ad hominem,
ut Socrates fiat aut Cicero, 1 de differentibus enim] quod de
differentibus CL 2 ni C 4 est post
unus FHP, post phoenix N 5 solem] EGPpr
solum cett. codd . bm; cf. p. 218. 3. 219, 17 . 7 cum om. S ut CFN
tantum om . ENRS; cf.p. 219,11 post indiuiduum add . unius
generis G 8 tamen om. C perit Sm2, add . sensus et F
9 post uirgulam add . in partes suas (suas partes P )
id est (id est om. F ) aeneas particulas (particulas om. F , aeneas
uirgulas, sed del. L ) CFHLN, in mg. Pm2 10 in-
telliguntur H 12 possidet FN unam] illam L
eam unam F 13 ante qua s. l . in Sm2
14 nuncupatur] nominatur FHN 16 demonstrat CEGLP est
om. S, post species in ras. N , esset F 17 substantia
(ia ex ie F ) ante species FNa.c.RS, post
indiuiduorum C 18 ani- malis homo] EGLm1 homo
animalis Sm2P animal hominis CLm2Sm1 hominis
animal FH (inis in ras. m2 et post animal 2 litt.
er .) NR 19
etenim R sunt om. EGR post mortale add . adduntur
( om. N ) animali ad diffiniendam substantiam hominis N edd . uero
om. CFGLRS sicut additur animali rationale atque mortale, ut homo
integra definitione claudatur. idcirco igitur species specialissima tantum
species est atque hanc solam possidet habitudinem ad superiora quidem, quoniam
ab his continetur, ad inferiora uero, quoniam eorum substantiam format et
continet. Determinant ergo generalissimum ita, quod cum genus sit, non est
species, et rursus, supra quod non erit aliud superueniens genus,
specialissimum uero, quod cum sit species, non est genus et quod cum sit
species, numquam diuiditur in species et quod de pluribus et
differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. ea uero quae in medio
sunt extremorum, subalterna uocant genera et species, et unum quodque ipsorum
speciem esse et genus ponunt, ad aliud quidem et ad aliud sumpta. ea uero quae
sunt ante specialissima usque ad generalissimum ascendentia, et genera dicuntur
et species et subalterna genera, ut Agamemnon Atrides et Pelopides et
Tantalides et ultimum Iouis. Posteaquam naturam generum ac specierum
diuersitatemque monstrauit, eorum ordinem definitionis descriptionisque
com- memorat. ac primum quidem generalissimi generis terminum Porph.
Boeth. rationalis atque mortalis N 3 possidet] optinet
P 6 post deter- minant add . philosophi C
ergo om. CN enim EGLm1 <t> p.c.; Porph. p.
5, 17 τοίνον ita om. CGHP, s. l. Em2 A m2 quod]
quoniam S 7 sit genus NR et rursus—genera ut (17)
] LRS ii , om. cett . rursum S 8 erit] LRS T
est cett.; Porph. p. 5, 18 οΰχ αν ειη 9 pr . quod] quae S h a.c . post. quod—et quod
(10) om. L 10
diuidatur S 11 et] et de L 13 uocant] Λ2Φ uocantur cett. edd.
Busse;
Porph. χολοΰσι 14 ipso eorum S speciem]
Brandt species codd. Busse ponunt] A m2 U m2 , e
coni. scr. Busse , ponuntur T m1 possunt m2
cum cett .; species esse potest et genus edd.; Porph.
p. 5, 22 xal έχαοτον αδτών είδος είναι xal γένος τίθενται 17 post , et om. R ut om. FS 18
et om. CEG pelides F post . et om. C 19 ultimo F 20 Post ** quam
CL diuersitatem GLm1R , -que in ras. E, er. P
inducit, id esse generalissimum genus quod cum ipsum genus sit, non habet
superpositum genus, hoc est speciem non esse, et rursus, supra quod non erit
aliud superueniens genus. si enim haberet aliud genus, minime ipsum
generalissimum uocaretur. specialissima uero species hoc modo : quod cum
sit species, non est genus, ex opposito, quoniam opposita ex oppositis
describuntur interdum. nam quoniam praepositio opposita est suppositioni, genus
autem praeponitur, species uero sup- ponitur, si idcirco erit primum genus,
quia ita superponitur, ut minime supponatur, idcirco erit ultima species,
quia ita supponitur, ut praeponi non possit, oppositorum igitur recte ex
oppositis facta est definitio. Est alia rursus descriptio : quod cum sit species,
numquam diuidatur in species, id est genus esse non possit. si enim omne genus
specierum genus est, si quid non diuiditur in species, genus esse non
poterit. Est rursus alia definitio : quod de pluribus et differentibus numero
in eo quod quid sit praedicatur. de qua definitione saepe est superius
demonstratum. nunc 18 saepe superius]11 ss. 203, 11. 205, 4. 1
inducit] RSm1 indicit Em1 indicat GLa.c.
dicit CEm2FHLp.c. NPSm2 inducit dicens brm
indicat dicens p id om. EGRS, s. l. Lm2 3 non om.
EGRS, s. l. Lm2 superueniens om. EGRS, s. l. Lm2
si—genus om. EGRS, in mg. sup. Lm2 5 uocetur EGLm1Sm2;
post inlatus est locus p. 219,14—220, 3 quoniam
ridere—exemplam in EGL, quoniam irridere (sic)
—praedicatur p. 219, 15 (qui locus tamen infra quoque extat) in S
specialissima—idcirco erit in ras.
C post modo add. describitur edd. 6 opposito]
opposita F opposito est H; post add. Quia
sicut genus (genus in mg. F ) generalissimum est cui non aliud genus
superponitur, ita et species specialissima nuncupatur, cui alia species non
subponitur (superponitur F ) et utrumque ex opposito dicitur alterius
sicut pater ex opposito dicitur filii F, in inf, mg. cum nota
d(esunt) h(aec) Hm1? opposita
om. EGR, s. l. Sm2 quoniam om. EN si er. E
sed La.c, Pm2 11 ante ut add. rursus
RS ut praeponi non possit] ut minime praeponatur CFHN (in mg. add.
m2) oppositorum om. EGLRS recte om. C quod] Lm1 edd. quae
cett. ante numquam add. quae CGHm1, del. m2
diuiditur CLRSm1 est om. C possit] posse
CFN potest edd . potest EGLRS Est] et FHNS
et om. N illud attendendum est. si, ut paulo superius dictum
est, speciei unum indiuiduum potest esse subiectum, ut phoenici atomum suum, ut
soli corpus hoc lucidum, ut mundo uel lunae, quorum species singulis suis
indiuiduis superponuntur, qui conuenit dicere speciem esse quae de pluribus
numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur? sunt enim quaedam
quae de numero differentibus minime dicuntur, ut phoenix, sol, luna, mundus.
sed de his illa ratio est de qua etiam superius pauca reddidimus, quae paululum
inflexa commodissime nodum quaestionis absoluit. | omnia enim quae sub
speciebus specialissimis sunt, siue infinita sint siue finito numero
constituta siue ad singularitatem deducantur, dum est aliquod indiuiduum,
semper species permanebit neque indiuiduorum deminutione, dum quodlibet unum
maneat, species consumitur. ut enim dictum est, tametsi plura sint indiuidua,
substantiales differentias non habebunt. id uero in genere dici non
conuenit, quod his praeest quae substantiali a se differentia disgregata sunt;
praeest enim speciebus quae diuersis differentiis informantur. 1 paulo
superius. superius] p. 215, 2 ss.
1 est om. G, s. l. Lm1 si, ut] sicut FGPSm1
sic La.c. supra RS 3 suam S solis F
mundi FR, add. hoc inane spacium s. l. Lm2, post lunae in
mg. et hoc immane spacium quod uidemus P quo- rum] quae
Lm1 4 indiuiduis om. EGRS post superponuntur add . quod si
ita est ut species de uno quolibet indiuiduo praedicetur (praedicatur P )
ut de phoenice (phe- P ) P edd. qui] quomodo
Hm2LP 6 praedicetur L 8 mundus om. EGRS, s. l.
Lm2 illa his EG ratio est om. EG 9 paulum
N inplexa ( uel im-) EHm1LP nodum ras. ex
modum EN 10 sub] suis EGS in suis R
specialissima GPm1RS 11 sint] sunt CHa.c.Lm1R
finita CHm2N 12 deducuntur Lm2R adducuntur P,
add. ut fenix uel sol R aliquid FL semper—deminutione
om. EGRS, in mg. Lm2 semper s. l. Pm1?, post species N, om. L (m2) 13 deminutione] C
diminutione cett. dum om. S si EGLm1R
14 ante consumitur add. non EGL (del. m2)
RS ut] quod EGLRS 15 tamenetsi G tamen si
RS sunt F ante substantiales add. si G, s.
l. Sm2, ras. in E 16 id uero om. EG quod L idcirco
id R id circo Sm1 , circo del. m2 ante
speciebus s. l. genus E si igitur earum una
perierit et ad unitatem speciei reducta sit ratio, genus esse non poterit, quia
de differentibus specie praedicatur. non ita in speciebus. si enim omnium
indiuidu- orum natura consumpta sit et ad unius singularitatem indiuidui
superpositae speciei praedicatio peruenerit, est tamen species ac permanet.
talia enim sunt illa quae pereunt ac desunt, quale est id quod permansit et
subiacet. quod uero dicimus de pluribus numero differentibus speciem
praedicari, duobus id recte explicabitur modis, uno quidem, quia multo
plures sunt species quae de numerosis indiuiduis praedicantur, quam hae quibus
unum tantum indiuiduum uidetur esse sup- positum, dehinc hoc, quia multa
secundum potestatem dicuntur, cum actu non semper ita sint, ut risibilis homo
dicitur, etiamsi minime rideat, quoniam ridere potest. ita igitur species
de numero differentibus praedicatur; nihilo enim minus phoenix de pluribus
phoenicibus PREDICARE, si plures essent, quam nunc, quando unus esse
perhibetur. item solis species de hoc uno sole quem nouimus, nunc dicitur, at
si animo plures soles et cogitatione fingantur, nihilo minus de pluribus
solibus indiuiduis nomen solis quam de hoc uno praedicabitur. idcirco
igitur species de pluribus numero differentibus dicitur praedicari, cum sint
aliquae quae de singulis indiuiduis appellentur. Illa uero quae subalterna
uocantur ita definiri queunt : subalternum 1 eorum EFGLm1RS
redacta EGLPm2RS edd. 2 de om. E 3 si enim] nam
si EGLRS 5 suppositae LNR superposita S
uene- rit EGLRS 6 alia EGLa.c.RS ante sunt s.
l. non E 7
quale] quam EGLa.c.RS et] ac CFHNP 8 de numero
pluribus Ca.c. numero de pluribus p.c. 9
excusatur EGLRS quidem uno EG multo om. FN, s. l.
H 11 hae om. ER hee C eae H ea
N ante qui- bus add. e CR, er. uid. E
tantum om. S suppositum esse RS 12 dehinc] deinde
EGLRS hoc om. FHNS 13 semper om. CFH 14
etiamsi—praedicatur om. F de loco quoniam ridere eqs. in EGLS
cf. ad p. 217 , 5 igitur] etiam E 15 nihil EGLPRS
16 phoenicibus om. F 17 ita (a in ras. m2) E hoc om. S,
post uno F 18 ac EGR ante animo s. l.
in Pm2 19 cogitationes Ca.c.F ante de add.
enim EG 20 praedicatur EGLRS 22 appellantur
FHN genus est quod et genus esse poterit et species, ad eumque
modum est ut in familiis, quae procreant et procreantur, ut etiam subiectum
monstrat exemplum : ut Agamemnon Atri- des et Pelopides et Tantalides et
ultimum Iouis. Atreus enim Pelopis filius tamquam eiusdem species quasi
Agamemnonis genus est. item Agamemnon Pelopides et Tan- talides, cum Pelops ad
Tantalum comparatus Tantalusque ad Iouem quasi species itemque Tantalus ad
Pelopem, Pelops ad Atreum tamquam genera esse uideantur, cum Iuppiter ueluti
sit horum generalissimum genus. Sed in familiis quidem plerumque ad
unum redu- cuntur principium, uerbi gratia ad Iouem, in generibus autem et
speciebus non se sic habet. neque enim est commune unum genus omnium ens nec
omnia eiusdem generis sunt secundum unum supremum genus, quem- admodum
dicit Aristoteles. sed sint posita, quemad- Porph. Boeth. Aristoteles]
Metaph. II, 3, p. 998 b , 22. 1 et om. RS et
genus om. EG ad—ut] CG ( ut om.) Hm2 ad
eumque ( et ad eum N) modum sunt ut Hm1N ad
eumque ( eum que * L eundem Pm2 ) modum qui
(s. l. Lm2, part. in ras. Pm2) est (s. l. Pm2) LP
ad eum modum qui est EFR ad eum ( eum del. m2,
post que eu er.) modum, in ras. quae est m2
S 4 et Tantalides—Iouis] Lm2Pm2 (om. et
Tantalides ) R edd., post species (5) Lm1S, om. cett. 5
quasi] quae si Sm1, del. m2, ante add. et F, s. l. Pm2 ,
est R Agamemnonis] tamen his ( is R) EGLm1R tamen
non his Sm1, del. m2 genus est del. Sm2 est om. P
ante Pelopides add. non E atrides non (
non del. m2) L 7 comparatus] (s in ras. m2) H comparatur
(cõ-) cett Tantalusque] ut tantalus quae G idemque CP idem N Atreum]
creontum EG creontem Lm1 tareontum S tamquam]
quasi EGLR quae S uelut HP 11
reducuntur ante ad N, post reducuntur add.
omnes L, s. l. Pm2; reducunt coni. Busse; cf. p. 224,
19 reduci; Porph. p. 6, 3 άναγουοι 12 ad om. EGRS A 13 speciebus] in
speciebus R sic se ΝΣ habetur EG
neque—dicerentur (p. 221, 5) ] RS Q , om.
cett. enim om. R 14 neque Busse 15 sunt
generis Γ 16 sunt \ m2 2 ; Porph. p. 6, 6
χείοθ·ω quemadmodum om. S, add. dictum
est edd., idem post Praedicamentis h m2 W m2; om. Porph. p.
6, 7 modum in PREDICAMENTI, prima X genera quasi prima X principia;
uel si omnia quis entia vocet, aequiuoce, inquit, nuncupabit, non uniuoce si
enim unum esset commune omnium genus ens, uniuoce entia dicerentur; cum
uero X sint prima, communio secundum nomen est solum, non etiam secundum
rationem, quae secundum nomen est. Cum de subalternis generibus diceret,
familiae cuiusdam posuit exemplum, quae ab Agamemnone peruenit ad Iouem,
quem quidem pro numinis reuerentia ultimum posuit. quantum enim ad ueteres
theologos, refertur Iuppiter ad Saturnum, Saturnus ad Caelum, Caelus uero ad
antiquissimum Ophionem ducitur, cuius Ophionis nullum principium est. ne igitur
quod in familiis est, id in rebus quoque esse credatur, ut res omnes
possint ad unum sui nominis redire principium, idcirco deter- minat hoc in
generibus ac speciebus esse non posse; neque enim sicut familiae cuiuslibet,
ita etiam omnium rerum unum esse principium potest. fuere enim qui hac opinione
tenerentur, ut rerum omnium quae sunt unum putarent esse genus quod ens
nuncupant, | tractum ab eo quod dicimus ‘est’; omnia enim inquit]
sententia, non uerba Aristotelis. 1 quasi in ras. Σ sic A
m1 sicut Ψ 2 prima om. Γ , post
decem Π 2 uocat A m1 II 3 nuncupauit S, in ras.
ex -bit Γ 4 genus omnium Busse entia
uniuoce R post uniuoce add. omnia edd. cum
Porph. πάντα uero] autem Γ enim ΔΔΣΦ
; Porph. δέ sunt FH prima] principia Lm1
prima genera m2P (genera s. l. m2 ), prima principia N
ΓΣ 7 ante rationem ( ante nomen E )
add. definitionis ( uel diff-) ELRS Q , om. Porph. p.
6, 11 quam E post est add . solum CHN 8
Cum] Quoniam CLm1NS Quoniam (del. m2) cum H
di- cens CLm1N dicit in ras. S cuius Pm1
cuiusque F eiusdem R
ponit Sm2 ab om. F, s. l. Gm2 nominis EGLS nomini R
11 ad ueteres] aduertere Sm1 aduertisse CEFGLm2P
aduertit se R referantur Hm1N 12 caelium ( uel
ce) LPm2RS zethum F zechum N Caelus]
Hm2 caelius (uel ce) LPm2Sm2 celium R
caelum CEGHm1Pm1Sm1 zetus F zehus N
othionem F ( sed ophionis) 14 esse ( Pm2 est m1 )
quoque FHNP ante
sui exters. uid. proprii E 17 familia H 19 ut]
et Fa.c.S ut et N 20 est] esse S sunt
et de omnibus esse PREDICARE itaque et I SBVBSTANTIA est et II QVALITAS est
itemque III QVANTITAS ceteraque esse dicuntur; nec de his aliquid tractaretur,
nisi haec quae PREDICAMENTI dicuntur, esse constaret. quae cum ita sint,
ultimum omnium genus ens esse posuerunt, scilicet quod de omnibus PREDICARE ab
eo autem quod dicimus est participium inflectentes Graeco quidem sermone
Sv Latine ens appellauerunt. sed Aristoteles sapientissimus rerum
cognitor reclamat huic sententiae nec ad unum res omnes putat duci posse
primordium, sed X esse genera in rebus, quae cum a semet ipsis diversa
sint, tum ad nullum commune principium reducantur. haec autem X genera
statuit I SVBSTANTIA II QVALITAS III QVANTITAS IV AD ALIQVID V VBI VI QVANDO
VII SITVM VIII FACERE IX PATI X HABERE quod uero occurrebat quoniam de his
omnibus esse PREDICARE — omnia enim quae superius enumerata sunt genera, esse
dicuntur, ita discussit ac reppulit dicens non omne commune nomen
communem etiam formare substantiam nec ex eo debere genus esse commune
arbitrari, quod de aliquibus nomen commune PREDICARE quibus enim definitio
communis nominis convenit, illa communis nominis iure species iudicabuntur
et communi illo vocabulo uniuoce PREDICARE quibus uero non convenit, vox
his communis tantum est, nulla uero substantia. id autem manifestius declaratur
exemplis hoc modo. animal hominis atque equi genus esse PREDICARE; demus
igitur 1 post. et om. EGRS, s. l. Lm2 2 cetera C
3 de] in GLm1RS 5 esse om. EGRS, s. l. Lm2 6
autem s. l. L enim C est] esse FS
principium EG, m1 in LPS inflectentes post quidem
N quidem ante
Graeco R ante sermone add. de P, s. l. L
post Latine add. autem FHN, s. l. Pm2 prudentissimus
FNP rerum] principiorum EGLm1Pm1RS 9 omnes ante
res C, om. EGRS, s. l. Lm2 dici FGm1Pm2 10 ad
FHNRm1 ipso Em1GPm1S ipsa FHN ipsos Rm1
sunt CLm1R edd. 11 reducuntur EFGLm2RPm1S 15 nu-
merata CEGL innumerata S repulit CEFHRP 17
eo debere] eodem uere (e re add. S ) EGSm1 18 post
arbitrari add. debet E 19 praedicatur E
praedicetur FHNP nominis communis FN 22 his uox
FHNP manifestis FLp.c. praedicatur S
dicamus CHN animalis definitionem, quae est substantia
animata sensibilis; hanc si ad hominem reducamus, erit homo substantia animata
sensibilis, nec ulla falsitate definitio maculatur. rursus si ad equum, erit
equus substantia animata sensibilis; id quoque uerum est. conuenit igitur
haec definitio et animali, quod commune est homini atque equo, et eidem equo
atque homini, quae species ponuntur animalis. ex quo fit ut homo atque equus
utraque animalia uniuoce nuncupentur. at si quis hominem pictum hominemque
uiuum communi animalis nomine nuncu- pauerit, definiat si libet animal
hoc modo, substantiam animatam esse atque sensibilem. sed haec definitio ei
quidem homini qui uiuus est conuenit, ei uero qui pictus est, minime; neque
enim est animata substantia. igitur homini uiuo atque picto, quibus communis
nominis definitio, id est animalis, non potest conuenire, non est animal
commune genus, sed tantum commune uocabulum diciturque hoc nomen animalis in
uiuo homine atque picto non genus, sed uox plura significans; uox autem plura
significans aequiuoca nuncupatur, sicut uox ea quae genus ostendit, uniuoca
dicitur. itaque id quod dicitur ens, etsi de omnibus dicitur PREDICAMENTI
quoniam tamen nulla eius definitio inueniri potest quae omnibus PREDICAMENTI
possit aptari, idcirco non dicitur uniuoce de prae- dicamentis, id est ut
genus, sed aequiuoce, id est ut uox plura significans. Conuincitur etiam hac
quoque ratione id quod dicimus, ens PREDICAMENTI genus esse non
posse. 2 hanc] uel hanc E 3 facultate Em1 4
equus] equi CFPm2 5 definitio (uel diff-) haec
FHN homini] et homini CNP atque] et, FHNPR
eidem] CEm2FH a.r.NPR idem Em1GHp.r.Lm1S eadem
Lm2brm ea eidem p animalis EGLa.c. una uoce
E nun- cupantur C nominentur FHN 9 uiuum]
uerum EGLm1PRS 10 si libet] scilicet CHm1N animal om.
E uero] FHP, om. S ,
quidem cett. 13 est post substantia LP 16 dicitur
quae Em1Sm1 dicitur quod LSm2 dicitur quia
CFN 17 genus] genus est FN uox—significans om.
CEGP, s. l. Lm2Sm2 18 autem] enim RS ante
aequiuoca add. quae CEGP nuncupantur GS 19
ita ELm1 23 id est om. CFN ut genus om. F
24 quoque om. N unius enim rei duo genera esse non possunt, nisi
alterum alteri subiciatur, ut hominis genus est animal atque animatum, cum
animal animato uelut species supponatur. at si duo sint sibimet ita aequalia,
ut numquam alterum alteri supponatur, haec utraque eiusdem speciei genera esse
non possunt. ens igitur atque unum neutrum neutri supponitur; neque enim
unius dicere possumus genus ens nec eius quod dicimus ens, unum. nam quod
dicimus ens, unum est et quod unum dicitur, ens est; genus autem et species
sibi minime conuertuntur. si igitur PREDICARE ens de omnibus PREDICAMENTI
PREDICARE etiam unum. nam I SBVSTANTIA unum est, II QVALITAS unum est, III
QVANTITAS unum est ceteraque ad hunc modum. si igitur, quoniam esse de omnibus PREDICARE,
omnium genus erit, et unum, quoniam de omnibus PREDICARE, erit omnium genus.
sed unum atque ens, ut demonstratum est, minime alterum alteri
praeponitur; duo igitur aequalia singulorum PREDICAMENTI genera sunt, quod
fieri non potest. cum haec igitur ita sint, id Porphyrius determinauit dicens
non ita in rebus, ut in familiis omnia ad unum principium posse reduci nec
omnium rerum commune esse genus posse, ut Aristoteli placet; sed sint posita,
inquit, quemadmodum in PREDICAMENTI dictum est, prima X ge|nera quasi X prima
principia, scilicet ut nulla interim ratio perquiratur, sed auctoritati
Aristotelis concedentes haec decem genera nulli 3 ac R
sint post aequalia pos. RS, repet. FL (s. l. m2) P 4
sibi- metque ( quae F) FLm2Pm1 ita s. l. Lm2
5 ante haec add . aequa C , sed del . eidem
Pm2 eius S neutris Em1 8 pr . unum
post nec, om . post ens H dicitur om. S
dicimus Rbrm 13 esse] ens Lm2P post
omnibus add . his CP, in mg. Hm2, add . praedicamentis (s. l.
m2) his L post erit add . ens CHN et
unum—omnium genus om. R 15 sed] si in ras. Em2 ut om.
FH praeponi FH 17 hoc Ea.c. edd. sit edd . 19
deduci LS duci Em1 genus ante esse CFN,
post posse S poterit F 21 sint] FHm1
sunt cett . 23 prima om. N, post principia R
ut om. EGS 24 auctoritate Em1Hm1 ad auctoritatem
FN accedentes CFNS alii generi esse credamus subiecta,
quae si quis entia nuncupat, aequiuoce nuncupabit, non uniuoce; neque enim una
eorum omnium secundum commune nomen definitio poterit adhiberi. quae res facit,
ut non uniuoce de his aliquid PREDICARE si enim uniuoce PREDICARE genus
esset eorum commune nomen quod de omnibus PREDICARE; at si genus esset,
definitio generis conueniret in species. quod quia non fit, commune his id quod
dicimus ens, uocabulum est uocis significatione, non ratione substantiae X quidem
generalissima sunt, specialissima uero in numero quidem quodam sunt, non tamen
infinito, indiuidua autem quae sunt post specialissima, infinita sunt.
quapropter usque ad specialissima a generalissimis descendentem iubet Plato
quiescere, descendere autem per media diuidentem specificis differentiis;
infinita, inquit, relinquenda sunt; neque enim horum posse fieri
disciplinam. Porph. Boeth. Plato] Phileb. p. 16 C. Polit, p. 262 A—C.
Sophist. p. 266 A. B adfert Busse. 1 entia nuncupat]
ERS (-pet), etiam entia nuncupat N ab ens entia nuncupat
(-pet Lm2 ) CGL etiam nuncupat (nuncupat post
ens P ) ab ens entia HP entia nuncupat ens F 2
nuncupabit (-uit FHN ) post uniuoce FHNP ,
nuntiauit S unam—definitionem ( uel diff-) poterit
adhibere FHN 3 nomen ex non Em2G 5
esse Hm1, add . ens s. l . L, ante esset P
eorum om. CN, post commune L 6 nomen in
mg. Hm2, del. Lm2 ens CH(in mg.) Lm2 ( s. l. ante
eorum) N 7 con- uenerit Em1 8 his om. GS 10
sunt om. S 11 in numero om . Δ quodam] quaedam Pm1 sunt om., post
indiuidua add . est S tam C infinito] Fp. c
. (finito a.c .) Hm2S TNtt p.c
. Φ in infinito Hm1N W a.c . indefinito C ( ras.
ex -tio) EGL a.c . (in indefinito et ał definito corr.
m1 ) PR kIPV (in er .) 12 indiuidua—quiescere) LRS Q
, om. cett . 13 sunt infinita LRS Busse; cf. p. 226, 22
a om. R 15 ante descendere post usque
(cf. ad p. 178, 14) add. ad id CHP diuidentem per me-
dia Γ 16 ante infinita add . indiuidua uero
Δ , sed del., post add . uero ΓΦ 17 enim s. l. L, del
. Γ horum] N ii ( ante add . et ΛΦ , er.
uid . Γ , post add . indiuiduorum Γ ) eorum cett.;
Porph. p. 6, 16 τούτων disciplina Cm1
Quoniam specierum nosse naturam ad sectionem generum pertinet quoniamque
scientia infinita esse non potest — nullus enim intellectus infinita circumdat
—, idcirco de multitudine generum, specierum atque indiuiduorum rectissima
ratione persequitur dicens supremorum generum numerum notum — enim X
PREDICAMENTI ab Aristotele esse reperta quæ rebus omnibus generis loco
praeferenda sint —, species uero multo plures esse quam genera. nam cum decem
suprema sint genera cumque uni generi non una, sed multae species supponantur
proximaeque species supremis generibus subalterna sint genera usque dum
ad ultimas species descendatur, nimirum unius generis multas species esse
necesse est utrobique dif- fusas, specialissimas uero multo plures esse quam
subalterna, quoniam per multitudinem generum subalternorum ad specia- lissimas
descenditur species. quas multo plures esse quam genera subalterna hoc
maxime ostenditur, quod inferiores sunt; semper enim genera in plura subiecta
diuiduntur. decem uero generum species multo plures quam unius existere
manifestum est, uerum tamen etsi plures sunt, certo tamen numero con- tinentur;
quem facile si quis discutiat omniumque generum species persequatur,
possit agnoscere. indiuidua uero quae sub una quaque sunt specie, infinita sunt
uel quod tam multa 1 generis EGLRS, recte? 2 scienti
GRS scienti alicui Lm2 5 su- premorum] supra horum EG, m1 in
LPS ante numerum add . esse FHNP, post notum L
6 post reperta s. l . commemorat Em2 7 gene-
ris om. R, post
loco L , generum S sunt CFH (ras. corr.)
NPRSm2 8 nam cum—genera om. EGRS 9 sunt FLP (ras.
corr.) 11 sint post genera C sunt F
13 subalternas FH (s in ras. m2) N, ante sub. add . genera PS, s. l. Lm2 16 hoc] in
hoc F inferiora FHm1Lm2NP 17 semper enim genera]
FHN semper si genera Cm1 semper enim sub- alterna (genera
subalterna P ) Cm2 (part. in mg.) P et semper subalterna
genera RS et (om. G) semper subalterna EGL
plurima N 18 ge- neris G unius] generis unius
R species unius generis Lm1 19 sint L
compraehenduntur L prosequatur NR 22 species G
specie ante sunt FHLNR tam] FHN ea
EGLPRS tam ea C sunt diuersisque locis posita, ut
scientia numeroque includi comprehendique non possint, uel quod in generatione
et corruptione posita nunc quidem incipiunt esse, nunc uero desinunt. atque
idcirco suprema quidem genera et subalterna et species eas quae
specialissimae nuncupantur, quoniam finitae sunt numero, potest scientiae
terminus includere, indiuidua uero nullo modo. idcirco igitur Plato a magis
generibus usque ad magis species id est specialissimas praecipiebat facere
secti- onem; per ea enim quae finita essent numero, iubebat descen- dere
diuidentem, ubi autem ad indiuidua ueniretur, standum esse suadebat, ne, quod
natura non ferret, infinita colligeret. ita uero genera in species diuidi
comprobabat, ut specificis differentiis soluerentur. de specificis autem
differentiis melius in eo titulo ubi de differentia disputatur, ac largius disseremus.
hic enim hoc tantum dixisse sufficiat, eas esse specificas differentias quibus
species informantur, ut rationale uel mortale hominis. cum igitur diuidimus
animal, rationali atque inratio- nali, mortali inmortalique separamus. hoc ergo
ceteraque genera talibus differentiis quae subiectas species informent,
Plato censuit esse diuidenda usque dum ad specialissima 13 de specificis—
disputatur] lib. IV c. 8. 1 sint EFGHp.r . ( ex
sunt) LPRS numeroque] FHN in unum EGLm1
(numero m2 ) RS numeroque in unum CP
concludi LS 3 uero) ex quidem uero P recepit
Brandt , quidem CEGLRS, om. FHN; cf. p. 223, 12 5 easque ( om .
quae,) LR specialissime GS 7 igitur om. C magis a
EGLPRS usque ad magis species] FHN magis om. C quam a
speciebus cett . 8 id est] e ut uid. er. C
specialissimas] CFHN a ( add. L ) specialissimis cett.; cf.
p. 225, 13 9 essent] sunt FN 10 diuidentem] diuisionem
EGHm1 (diuisorem m2 ) Lm1PRS 11 nec HN 12
comprobat ELm1 (probabat m2 ) R ut et
soluerentur om . EGPm1 (s. l. m2) RS post ut add . in edd . 13
autem om. EGLPm1 (uero m2 ) RS 14 de om.
FG differentiis CS a.c . 16 rationabile E uel om.
ERS et Lm1 17 ante rationali et
inrationali add . in Em2 rationale atque inrationale ( uel
irr-) EGN p.c.RS 18 mortali om . N mortale EGLPS inmortaleque
EGNp.c.PRS ; mortale (sic) ac (s. l.) inmortali
L 18 hoc ergo add. Brandt , cetera <quo>que
Engelbrecht separabimus FHN separauimus R 19
informant Fa.c.Lm1NR ueniretur, dehinc consistere nec
infinita sequi, quoniam indiuiduorum numquam esset nec disciplina nec
numerus. Descendentibus igitur ad specialissima necesse est diuidentem per
multitudinem ire, ascendentibus uero ad generalissima necesse est colligere
multitudinem. collectiuum enim multorum in unam naturam species est et magis id
quod genus est, particularia uero et singularia e contrario in multitudinem
semper diuidunt quod unum est; participatione enim speciei plures homines unus,
particularibus autem unus et communis plures; diuisiuum est enim semper
quod singulare est, collectiuum autem et adunatiuum quod commune
est. Diuidere est in multitudinem quod unum fuerat ante dissoluere,
omnisque diuisio e contrario compositionem coniunctionemque meditatur. quod
enim, cum sit unum, dispertiendo diuiditur, id ipsum ex pluribus rursus
partibus adunando componitur ut igitur superius dictum est, indiuiduorum quidem
similitudinem species colligunt, specierum uero genera : similitudo uero nihil
est aliud nisi quaedam unitas qualitatis. ergo substantialem
similitudinem indiuiduorum species colli- gere manifestum est, substantialem
uero similitudinem specierum genera contrahunt et ad se ipsa reducunt.
rursus Porph. Boeth. p. 32,
1—8). 9 participatione—11 plures] Abaelardus, Theolog. christ., II p. 486 ed.
Cousin. 18 superius] p. 166, 8 ss. 3 ante igitur
add . illis L necesse—singulare est om. N 4 ire
ante per L T ascendentibus—plures (11) ] Ω , om. cett . 6 post multitudinem excidisse
in unum coni. Busse ( cum Porph. p. 6, 18 e’:; εν
), add. edd . 8 e contrario—semper] Γ edd. cum Porph.
p. 6, 20 semper in multitudinem e contrario cett. codd. Busse 9 est unum Φ 10 unus, unus autem et communis particularibus
plures Abaelard . 11 commune P a.c . communes Φ enim post est FS Φ , om. CELR , ante est cett . 12
est om. E 14 est] enim C est enim L
in om. G , s. l. Lm2 15 post dissoluere add
. est C 17 plurimis F 19 uero] ergo
CEGLm1RS 20 nisi] ni C generis adunationem differentiae
in species distribuunt, spe- cieique adunationem in singulares indiuiduasque
personas accidentia partiuntur. cum igitur haec ita sint, necesse est semper
cum a genere descendis ad speciem, diuidendo semper facere multitudinem,
cum uero ab speciebus ascendis ad genera, componendo colligere et plura quae in
specierum differentiis fuerant similitudine qualitatis adunare. in speciebus
etiam idem considerari potest. ut enim ipsae indiuidua, quae sunt infinita, una
similitudine substantiali colligunt. ita indiuidua speciem propria
infinitate distribuunt. omnia enim indi- uidua disgregatiua sunt et diuisiua,
species uero et genera collectiua, species quidem indiuiduorum collectiua atque
adu- natiua, specierum uero genera, ut ita dicendum sit : genus quidem species
distribuunt et species ab indiuiduis in multitudinem deducuntur, rursus autem
genus quidem multas species colligit, species autem particularem singularemque
multitudinem ad singularitatis deducit unitatem. igitur plus genus adunatiuum
est quam species. species namque sola indiuidua colligit, genus uero tam
species quam ipsarum quoque specierum indiuiduas contrahit singularesque
personas. sed in hoc conuenienti utitur exemplo dicens quoniam partici- patione
speciei, id est hominis, CATONE, Plato et CICERONE pluresque reliqui homines
unus, id est milia hominum 1 post generis s. l .
ergo E species] specie G speciem Lm1
2 ante indiuiduasque s. l . in Hm2 3 haec igitur
LNP 4 species ELm2R 5 a ELS ad ( tamen
speciebus) G 6 et om. EGLPRS plures
EFGLPm1RS quae ante fuerant EGLPRS 7
fuerint S simili- tudinum (-nem Pm2 ) qualitates ( ex
-tis Pm2) EFGLPRS ante adunare add . et EGLPR 8
poterit Lm2 ante ipsae add . species N, post in mg.
Cm1? ipsae] Cm2H ipsa cett . 9 unam similitudinem
substantialem EFGLRS 10 propriam infinite (uel -tae,
-tate H ) EGHLPRS 12 post adunatiua add .
est CGH (in mg. m1?) Lm2 NPm2 13 specierum uero
genera s. l. Hm2 14 distribuit EGRS 15 ducuntur
EGHN 17 ducit HN 19 cum species tum N 20
indiuidua EGHLPRS 21 participationi G post
unus add . est Hm2 in eo quod sunt homines, unus homo
est; at uero unus homo, qui specialis est, si ad hominum multitudinem qui sub
ipso sunt consideretur, plures fiunt. ita et plures homines in spe- ciali
homine unus est et specialis unus in pluribus infinitus. sic igitur quod
singulare quidem est, diuisiuum est, quod uero commune, quoniam multorum
unum est, ut genus ac species, collectiuum atque adunatiuum. Adsignato
autem genere et specie, quid est utrumque, et genere quidem uno, speciebus uero
pluribus — semper enim in plures species diuisio generisest, genus quidem
semper de specie PREDICARE et omnia superiora de inferioribus, species autem
neque de proximo sibi genere neque de supe- rioribus; neque enim conuertitur.
oportet autem aut aequa de aequis praedicari, ut hinnibile de equo, aut
maiora de minoribus, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime;
neque enim ani- mal dices esse hominem, quemadmodum hominem dices esse animal.
de quibus autem species prae- Porph. Boeth. est. ut et 3
fiunt, ita r 2 pr . qui] quamuis FNm1 post . quae
EPR 3 et] ut Cm1 4 unus est] unum est ał (haec del.
m2) unus est C post . unus] unus est LS infinitis
CLm1 diffinitus R 5 quidem om. FN diuisum
Em1 diuisuum N quod] quia quod, s. l . est
G 6 uero commune] FS commune uero Cm1 (
post uero add . est m2 ) HN commune est
uero LPm2R commune est numero EGPm1 ac] et
R ad Em2GLPm1 8 Assignati Pm1 quid est]
FHPm2 \ m1 quide CNRS quid sit Π m2 xV edd . quod est cett. Busse; cf .
sunt p. 236, 14 9 utrum- que— uno] CEGHPm1
(quidem ex quodem) RS h m2 W m2 xP utrumqae quodque sit
genus unum (unum genus N ) FN & m1 AZΦ utrumque et (et om . L Π ) cum (cumque Π ) sit genus unum LPm2 il m1 utrumque
unum Γ species uero plurimae FLNPm2 TΔ m1 Λ2Φ ; ad utrumque— pluribus cf. Porph. p. 7,
1 11 genus —indiuiduis (p. 231, 16) ] RS Q , om. cett .
speciebus R 14 autem] Porph. p. 7, 4 γάρ 15 aut] RS edd., om . Ω Busse; Porph. ή aequis] aequo R ignibile R 17
uero] autem S post minime add . praedicantur Γ utroque loco dices] RS
dicis Ω edd. Busse; Porph. ειποις άν dicatur, de his
necessario et speciei genus PREDICARE et generis genus usque ad generalissi-
mum; si enim uerum est Socratem hominem dicere, hominem autem animal, animal
uero substantiam,| uerum est et Socratem animal dicere atque substantiam.
semper igitur superioribus de inferioribus praedicatis species quidem de
indiuiduo PREDICARE, genus autem et de specie et de indi- uiduo, generalissimum
autem et de genere et de generibus, si plura sint media et subalterna, et
de specie et de indiuiduo. dicitur enim generalissimum quidem de omnibus sub se
generibus speciebusque et de indiuiduis, genus autem quod ante specialissimum
est, de omnibus specialissimis et de indiuiduis, solum autem species de
omnibus indiuiduis, indiuiduum autem de uno solo particulari. indiuiduum autem
dicitur Socrates et hoc album et hic ueniens, ut Sophronisci filius, si solus
ei sit Socrates filius. Breuiter quaecumque superius dicta sunt commemorat hoc
modo. cum, inquit, adsignauerimus quid sit genus et quid species, cumque suis
ea definitionibus comprehenderimus docuerimusque unum genus semper in plurimas
species solui, 2 generalissima Sm2 (specialissimum m1
) ΓΛΛ 3 enim] autem S 4 autem] uero Λ uero] autem Δ 5 et Socratem animal] A m2 A m2 ( om .
et,) Ψ hominem et (et om , AA ) animal Α m1 Α m1 Φ et hominem ani- mal RS Σ et ( om . II ) socratem et (et om
. Γ ) hominem ( del . Γ m2 ) et ( om. T ) animal ΓΠ ; cf. Porph. p. 7, 11 6 igitur]
RS enim Ω ; Porph. οΰν superioribus] superiora RS TA a.c . 7
praedicantur RS VA a.c . species] et species R
indiuiduo] cod. Q. Bussii brm indiuiduis RS Q ( ante
add. eius Σ ); Porph,. p. 7, 13
τοΰ άτο’μοο 10 sunt RS m2 p.c
subalterna] de subalternis A 11 enim] autem S 13 et
de om. R de om. S 14 de] Ω cum Porph. p. 7, 17 et de
RS 15 pr . de om. S post . de] et de R 17 autem]
enim N TAΛΣ ; Porph. p. 7, 19 ie 18 album]
aliud T m1 (et illud m2 ) A m1 ut] et Ν ΤΑ m2 ΑΣ 19 socrates sit CEGLPRS; Porph. εΤη Σινγ,ράτης 20 quae FHN
21 et om. R illud, inquit, adiungimus quoniam omnia superiora
de inferioribus praedicantur, inferiora uero de superioribus minime. et ea quae
sunt utilia de PREDICAZIONE modo rite pertractat. ostendit autem genus in
plurimas species semper solui adsignata generis definitione. quod enim de
pluribus rebus specie iffdiertenbus in eo quod quid sit praedicaretur,
esse definiuit genus. nihil autem sunt plurimae res specie differentes nisi
plurimae species; de quibus autem praedicatur genus, in ea ipsa dissoluitur.
ostensum est igitur ex definitionis adsignatione unius generis esse species
plures. quae cum ita sint, genus quidem de specie PREDICARE, species uero
de indiuiduis omniaque superiora de inferioribus, inferiora de superioribus
nullo modo. id quare eueniat paucis absoluam. quae superiora sunt,
substantialiter ea genera esse praediximus, qua uero sunt genera, ampliora sunt
quam una quaeque species. neque enim in plurima diuideretur genus, nisi
ab una quaque specie maius existeret. id cum ita sit, nomen generis toti conuenit
speciei; non enim coaequatur solum speciei generis magnitudo, uerum etiam
speciem superuadit. idcirco igitur omnis homo animal est, quoniam intra
animalis uocabulum et homo et cetera continentur. at uero nullus dixerit
: omne animal homo est; non enim peruenit ad totum animal hominis nomen, quia,
cum sit minus, nullo modo generis uocabulo coaequatur. itaque quae maiora sunt,
de minoribus PREDICARE, quae minora, non conuertuntur, ut de maioribus
praedicentur. at uero si qua sint aequalia, ea secundum naturae
parilitatem conuerti necesse est, ut hinnibile atque equus, quoniam ita
sibimet 1 quoniam] quod S 2 uero om. ES 4
ante genus add. unum FHNPR, in mg. Cm2, recte? 5 definitio (
uel diff-) Ea.c.GLPm1S 6 esse] et esse R
definiuit] designauit Sm1 10 ante esse add .
semper FHNP 13 id cur HN idcirco F ea
add. Em2 quae L ( s. l. illa) PS 15
quaque E quoque S 17 toti] totum non R
post enim repet . non R 21 cetera] cicero F
cetera animalia G 23 itemque Lm1S 24 post post.
quae s. l . uero Hm2 26 sunt FHLN pari- tatem
EGLp.c.RS 27 ignibile R ita] si ita H
coaequantur, ut neque equus non sit hinnibilis neque quod sit hinnibile,
non sit equus. fit ergo ut omne hinnibile equus sit et omnis equus hinnibilis.
quae cum ita sint, ea quae superiora sunt, non modo de sibi proximis
inferioribus PREDICARE, uerum etiam de inferiorum inferioribus. nam si illud
recipitur, ut ea quae superiora sunt, de inferioribus PREDICARE, inferiorum
inferiora superioribus multo magis infe- riora sunt, uelut substantia
praedicatur de animali, quod est inferius; sed animali inferius est homo, PREDICARE
igitur etiam substantia de homine. rursus Socrates inferius est homine,
praedicabitur igitur substantia de Socrate. ita- que species quidem de
indiuiduis PREDICARE, genera uero et de speciebus et de indiuiduis. quod
conuerti non potest; nam neque indiuidua de speciebus aut generibus prae-
dicantur nec species de generibus. ita fit ut genus quod est generalissimum, de
omnibus subalternis generibus praedi- cari et de speciebus et de indiuiduis
possit. de ipso nihil. ultimum uero genus id est quod ante specialissimas
species collocatur et de solis speciebus specialissimis dici potest,
species uero de indiuiduis, ut dictum est, indiuidua autem de singulis
praedicantur, ut Socrates et Plato, eaque maxime sunt 1 non om. brm
post sit (si R ) add . nisi CH (s. l. m2) LNPS
ni R inhinnibilis EG nec FN quid CF
2 pr . sit om. S post . sit] est CEGLm1RS ; non sit om.
brm; post add . nisi CLNPRS , s. l. Hm2 ergo om.
H enim F sit equus FHNP 3 hinnibile N, post
hinn. add . sit
L, ante P 4 sunt om. S, ante superiora EGP
sibi om. H 5 si om. S, s. l. Hm1? 8 uelut om. LS
ut C 9 pr . est s. l. Lm2 post . est
s. l. Gm2 praedicatur CELm2RS 10 etiam om. FG
11 ante de add. et EGLR ita R de
speciebus] hic desinit cod. F 14 aut] ac R 15
itaque CHNP quod est] quidem CP quidem est
R 16 post praedicari add . potest L (s. l.)
m1 possit m2 N 17 possit om. N potest L
post ipso add . uero HNPR, s. l. Cm2Lm2 uero] autem
L id est] CHm2NS id est autem est Hm1 id autem
est EGLa.c. (id est autem ut uid. p.c .) RP ante
om. EGR, s. l. Pm1? 19 collocat EGR et om. HN
20 post uero add . quae post indiuiduis add
. dici potest R autem] enim Lm1 21 ea quae
maximae G p. 78 indiuidua quae sub ostensionem |
indicationemque digiti cadunt, ut hoc scamnum, hic ueniens atque quae ex aliqua
proprie accidentium designantur nota, ut, si quis Socratem significatione uelit
ostendere, non dicat Socrates, ne sit alius qui forte hoc nomine nuncupetur,
sed dicat Sophronisci filius, si unicus Sophronisco fuit. indiuidua enim
maxime ostendi queunt, si uel tacito nomine sensui ipsi oculorum digito tactuue
monstrentur, uel ex aliquo accidenti significentur uel nomine proprio, si solus
illud adeptus est nomen, uel ex parentibus, si illorum est unicus filius, uel
ex quolibet alio accidenti singularitas demonstratur, eo quod ad esse
unam praedicationem habeat eiusque dictio non transeat ad alterum, sicut
generis quidem ad species, specierum uero ad indiuidua. Indiuidua ergo
dicuntur huiusmodi, quoniam ex proprietatibus consistit unum quodque
eorum, quarum collectio numquam in alio eadem erit. Socratis enim
proprietates numquam in alio quolibet erunt Porph. Boeth.ostensione
EGPS ostentationem HN indicationeque EGPS indaga-
tionemque N 2 ante hic (is ex hic E
) add . ut CEGR et L atque quae]
Hm2LNP atque EGHm1 atque ea quae S eaque quae
CR propria CH proprietate R 4 qui
post forte HP 5 forte ante alius N 6
Sophronisci LNRS; cf . ei p. 231, 19 7 quaeant R
si uel ex siue Lm2 sensu GL ( ante add .
siue) P ( ras. ex -sui) R ipso Cm1LPm1R
tactuque H tactu uel R 8 monstrantur R
accidenti significentur uel om. EGR accidente N ante
uel add . id est CH (del. m2) Lm2NP 9
nomine om. EGR , post proprio S illud om
. S, del. Lm2
10 post uel add . si HR, s. l. Lm2 11
demonstretur S eo quod in ras. Cm2 eaque H
(que add. m2, post er . quod) N ea quae P; post
quod add . accidentia in mg. Cm2 de (s. l.) accidenti in con - textu , ał eo quod
accidentia in mg. L ad esse unam] unam ad sese C ad
sese unam HN ad se unam L (s. l. et in mg . de se a.c.)
P 12
habeat] EGHm2Lp.c.PRS habet Cm1Hm1La.c.N habeant
Cm2L in mg . dictio] praedicatio CNSp.c . transit
CHNR 13 species] m2 in CH (in mg.) P, La.c . specierum cett .
16 quarum—pluribus (p. 235, 3) ] R il , om. cett .
quarum] Π m2 Ψ quorum cett . in
alio post eadem s. l . \ m2 in alium R,
post alio add . quolibet 2 particularium, hae
uero quae sunt hominis, dico autem eius qui est communis, proprietates erunt
eaedem in pluribus, magis autem in omnibus particularibus hominibus in eo quod
homines sunt. Quoniam superius indiuiduum appellauit, huius nominis rationem
conatur ostendere. ea enim sola diuiduntur quae pluribus communia sunt; his
enim unum quodque diuiditur quorum est commune quorumque naturam ac
similitudinem continet. illa uero in quae commune diuiditur, communi
natura participant proprietasque communis rei his quibus com- munis est
conuenit. at uero indiuiduorum proprietas nulli communis est. Socratis enim
proprietas, si fuit caluus, simus, propenso aluo ceterisque corporis
lineamentis aut morum institutione aut forma uocis, non conueniebat in alterum;
hae enim proprietates quae ex accidentibus ei obuenerant eiusque formam
figuramque coniunxerant, in nullum alium conueniebant. cuius autem proprietates
in nullum alium conueniunt, eius proprietates nulli poterunt esse communes,
cuius autem proprietas nulli communis est, nihil est quod eius
proprietate participet. quod uero tale est, ut proprietate eius nihil
parti- post particularium add . eaedem edd
. cum Porph. p. 7, 24 haec Δ eae Φ post
hominis s. l . proprietates Δ dico— communis
om. R 2 proprietates er . Λ proprietatis Γ 3 eadem Δ m1 2 pr . in] et in Γ post . in] et in ΓΛ m2 Φ omnibus om. S 4 in om .
Φ post sunt add .
continentur (ex p. 236, 7) R 6 ostendere conatur C 7
<in> his brm quodque unum Cm1 quibus EGLPRS
edd . 10 participan- tur R post . communi ( om . est) Gm1
proprietas om. E proprietates Gm1 12 caluus, simus]
caluissimus EGHm1 (caluus uel simus m2 ) Lm1PR 13
perpenso ESp.c . albo Em1 (caluitio m2 ) G
uentre N corporis linea del., sed lin. er., s. l .
corruptus Hm2 liniamentis CEG LNPm2S
14 post institutione add . probatus EP, s. l. Lm2
uocis] Cm1EGPRS uocisue sono Cm2HLm2 (uocis uel
sonus m1 ) N con- ueniebant EGm1Hm1P haec
G 16 in nullo alio EGHLm1PS cuius—conueniunt om. EGLRS
cuius] eius P autem] uero N ita- que P in
nullum—eius om. P post eius add . itaque N
igitur L 18 poterant EGL potuerunt ex
poterunt P potuerant R autem om. LS
proprietatem EGLRS proprietate * (s er .) H 20
proprietatem EGH LPRS nihil] nulli Lm2P
participat ER cipet, diuidi in ea quae non participant, non
potest; recte igitur haec quorum proprietas in alium non conuenit, indi- uidua
nuncupantur. at uero hominis proprietas, id est specialis, conuenit et in
Socratem et in Platonem et in ceteros, quorum proprietates ex accidentibus
uenientes in quemlibet alium singularem nulla ratione
conueniunt. Continetur igitur indiuiduum quidem sub specie, species autem
sub genere. totum enim quiddam est genus, indiuiduum autem pars, species uero
et totum et pars, sed pars quidem alterius, totum autem non alterius, sed
aliis; partibus enim totum est. De genere quidem et specie et
quid generalissimum et quid specialissimum et quae genera eadem et species
sunt, quae etiam indiuidua, et quot modis genus et species dicitur,
sufficienter dictum est. Hic retractat omnia breuiter quae supra latius
absoluit dicens indiuiduum ab specie contineri, species uero ipsas a genere,
huiusque causam reddens ait : omne enim genus totum est, indiuiduum pars. totum
enim genus in eo quod genus est, continet, tametsi species esse potest; totum
enim non ut genus species est, sed ut ea quae supponitur generi. genus
igitur in eo quod genus est, totum est speciebus, semper enim continet eas. at
uero indiuiduum pars semper est, num- Porph. Boeth. proprietates
Em1NR conueniunt N 4 pr . et om. C secund .
in om. S tert . in om. HNP 5 uenientes ex accidentibus
C ex accidente (om . uenientes ) EGLm1RS 7 Continetur
om. R (cf. ad p. 235, 4) con- tinentur A m2 K m1 Z
quidem om . Φ est quidem Δ 8 totum—indi- uidua (14) ] R Q ,
om. cett . 9 pars—uero] pars est species autem Δ 10 pr . totum] totum est ΛΦ 11 sed in aliis, in partibus edd. cum Porph. p. 8,
2 12 quod ΛΣ 13 et quid
specialissimum om . A quod A2 14 sint. R ΓΛΙIΣ; cf. p. 237, 15 quod GS
tot Pm1 modis om. S 15 dicatur N ΥΔΛΠΦΨ , s. l. add . Σ ; cf. p. 237, 19
16 Hic om. NR, s. l. Hm2 17 teneri
C ipsas om. E ipsa Cm1 18 huiusce
Lm2 pars om. E genus enim Cm1 (ante genus s.
l. totum m2) HN 20 totum] tum Hm1 tunc Ν
enim] autem S 23 est ante semper CN
pars post est LS quam enim ipsum aliquid sua
proprietate concludit. species uero et totum est et pars, pars quidem generis,
totum uero indiuiduis. et cum pars est, ad singularitatem refertur, cum totum,
ad pluralitatem. quoniam enim unum genus pluribus speciebus superest, una
quaelibet species pars est generis, id est unius, quoniam autem species
pluribus indiuiduis praeest non est uni indiuiduo totum, sed plurimis. idcirco
enim totum dicitur, quia plura continet et cohercet. nam ut pars sit ali- quid,
una ipsa unius pars esse poterit, ut uero totum sit, unum ipsum unius
totum esse non poterit. idcirco alterius quidem pars est species, aliis uero
totum. Et de genere quidem et specie dictum est et quid sit gene- ralissimum
genus, quoniam id cui nullum aliud superponitur genus, et quid specialissima
species, quoniam ea cui species nulla supponitur, et quae genera eadem
sunt, eadem et species, scilicet subalterna quibus aliquid superponitur,
aliquid uero supponitur, quae etiam indiuidua, ea scilicet quorum proprietates
alteri nequeunt conuenire, et quot modis genus uel species dicitur, genus
quidem aut in multitudine aut in pro- creatione aut in participatione
substantiae, species uero aut ex figura aut ex generis suppositione,
sufficienter dictum est. quibus absolutis modum uoluminis terminabo, ut quarti
area libri differentiae reseruetur. 2 ante post . pars
add . et C , post er . que L totum in mg. Cm2
uero om. HN autem C (in mg. add. m2) L quidem
S 3 indiuidui Cm1NS et] sed CHN post post . cum
add . uero R 4 quoniam] quod L 7 plu- ribus
HLm2NS 9 unum ipsum brm 12 Et] sed in er . et
Lm2 specie] de specie EG 13 post id add .
est P, s. l. Em2 14 quod C specialissimum ( om .
species,] HN nulla species NR 15 superponitur
(ras. corr. E) nulla EG eadem s. l.
Lm2 16 supponitur HR aliquid uero supponitur om. ENR,
in mg. Cm2 17 ea om. EGLPRS 18 non queunt G
quod Em1GN quod quot R 20 aut in participatione
s. l. Gm2 post substantiae add . aut ex figura S
consistit edd . uero aut] autem N 21 figura] genere
S ex om. E est om. S post area s. l . ubi
discutiamus ea Em2 23 ante subscriptionem initium libri IV
usque ad p. 239, 6 iniecta scriptum, post subscrip - tionem
E ANICII MANLII (MALLII G ) SEVERINI BOETII (BOECII G ) V. C.
ET I LL . EXCONS (EXC. E ) ORD. PATRICII IN ISAGOGEN (YSAGOGAS E )
PORPHYRII (PORPHIRII E ) ID EST INTRODVCTIONE A SE TRANSLATAE (ID
eqs. om ., SCDAE E ) EDITIONIS LIB. III. EXPL. INCIP. LIB. IIII. EG
; EXPLICIT LIBER TERTIVS. (LIB. IIII. EXPLICIT L ) INCIPIT (LIBER
add. LS ) QVAR- TVS L (add. mS) NPRS (uariis cum.
compendiis) ; LIBER QVARTVS C; subscriptio deest in H De differentia
disputanti non aeque illud debet occurrere quod in generis specieique tractatu
de collocationis ordine quaerebatur. illic enim meminimus inquisitum, cur esset
omnibus praepositum genus, ut id primum ad disputationem ueniret, cur post
genus species esset iniecta, nunc uero superuacuum est dicere, cur post speciem
differentia sumpta sit, cum illud iam fuerit inquisitum, cur non ante speciem
collocata sit. quodsi mirum uidebatur speciem differentiae in
disputationis loco fuisse praepositam, quod differentia continentior et
magis amplior esset specie, quid est quod possit quisque mirari, si eandem
differentiam ante proprium atque accidens collocauerit, cum proprium unius
semper sit speciei, ut posterius demon- strabitur, accidens uero exteriorem
quandam ostendat naturam nec omnino in substantia PREDICARE, differentia
uero utrumque contineat, et de pluribus speciebus et in substantia PREDICARE?
sed haec hactenus, nunc ad ipsa Porphyrii uerba ueniamus.
Differentia nero communiter et proprie et magis 3 quod—inquisitum] Porph.
Boeth. De differentia Differentiae E Differentia G
Differentiam La.c . disputanti] in disputando CEGLm1N non
aeque illud] non illud quoque C 3 quod] ut HN
collationis Cm1HN 4 quaerebatur] hic desinit cod. S
11 ante specie add . ea EG ab HL est
quod om. GR ( post quid add .interrgatiue) s. l.
Lm2 , sit Em1 sit quod m2 an quisquam? ad
quisque add . iure possit Em2 12 post
eandem add . iure E, s. l. Lm2 13 sit unius speciei
semper C unius sit semper speciei R unius semper
speciei sit N 15 substantiam NR 16 substantiam
Em1 ante Differentia inscriptio DE ( om . Ψ )
DIFFERENTIA additur in 2 et magis proprie in mg.
Cm2? proprie dicitur. communiter quidem differre alterum ab altero
dicitur, quod alteritate quadam differt quocumque modo uel a se ipso uel ab
alio. differt enim Socrates a Platone alteritate et ipse a se uel puero uel iam
uiro et faciente aliquid uel quiescente et semper in aliquo modo habendi
alteritatibus. proprie autem differre alterum ab altero dicitur, quando inse-
parabili accidenti ab altero differt. inseparabile uero accidens est ut nasi
curuitas, caecitas oculorum, cicatrix, cum ex uulnere obcalluerit. magis
proprie differre alterum ab altero dicitur, quando specifica differentia
distiterit, quemadmodum homo ab equo specifica differentia differt
rationali qualitate. Tribus modis aliud ab alio distare PREDICARE genere.
specie, numero, in quibus omnibus aut secundum substantiales quasdam
differentias alia res distat ab alia aut secundum accidentes. nam quae genere
uel specie distant, substantialibus quibusdam differentiis disgregata sunt,
idcirco quoniam genera et species quibusdam differentiis informantur. nam quod
homo ab arbore genere distat, animalis sensibilis qua- litas in eo
differentiam facit. addita enim sensibilis qualitas praediximus]
dicitur] λεγέσ&ω Porph. p. 8, 8; cf . nuncupatur
infra communiter—distiterit (12) ] R Q , om. cett . 2 ab om . A , s.
l . Γ 3 ipso om. R 4 pr . a
om. R X puero] a puero ΣΦ 5 uiro] a uiro Φ et] R T uel cett.; Porph. p. 8, 11 χοιί aliquod S 6 habendi] habendi se Φ ; Porph. p. 8, 12 τού πώς εχειν 7 ab om . ΔΛΣ quandam R
8 accidente R ; post add . alterum edd. cum Porph. p. 8,
13 ab om . Σ 10 coaluerit Σ m2 post proprie add . autem ΓΔ (fort. recte) uero Φ ; Porph. p. 8, 15 hi 11 ab om . ΛΣ 12 destiterit TX m1 AZ quem-
admodum—differt del. Lm1? 13 differentia om. Ν Σ ante rationali add . id
est CEGL, s. l . Hm2 A m1? rationabili CEGLPR 14
ab] LP, om. cett . 17 accidens CEm2 accidentales Lm2 18
disgregata— quibusdam om. N, s. l. R 19 post quibusdam
add . substantialibus Hm2 edd.,recte? ad informantur s.
l. disregantur N 21 ea Hm1Lm2NP animato
animal facit, eidem detracta facit animatum atque insensibile, quod uirgulta
sunt. igitur homo atque arbor genere differunt — utraque enim sub animalis
genere poni non possunt, differentia sensibili secundum genus discrepant, quae
unius ex propositis tantum genus, id est hominis informat, ut dictum est.
illa uero quae specie distant manifestum est quod ipsa quoque differentiis
substantialibus discrepant, ut homo atque equus differentiis substantialibus
discrepant, rationabilitate atque inrationabilitate. ea uero quae indiuidua
sunt et solo numero discrepant, solis accidentibus distant. haec autem
sunt uel separabilia uel inseparabilia, separabilia quidem, ut moueri, dormire;
distat enim alius ab alio, quod ille somno prematur, bic uigilet. distat item
inseparabilibus accidentibus, quod hic staturae sit longioris, hic minimae.
Quae cum ita sint, in ternarium numerum has differentiarum diuersitates
Porphyrius colligit hisque ipse nomina quibus post utatur, apponit dicens :
omnis differentia uel communiter uel proprie uel magis proprie nuncupatur,
communiter quidem eam differentiam sumens quae quodlibet accidens monstret,
quae in quadam alteritate consistit, ut si Plato a Socrate differat, quod
ille sedeat, hic ambulet, uel quod ille sit senex, hic 5 ut dictnm est]
p. 208, 17 ss. 1 eiusdem E et idem G eadem L
inanimatum L , in- er. EP; cf. p. 208, 14 ss . 2 post
arbor add . quae H (linea del., sed lin. er.) L (del.
m1) N 3 animali ( om . genere) N 4 ante
differentia add . sed ex E nam brm, post s. l .
igitur Pm2 5 praepositis CLm1N positis Em1, s. l .
homine et arbore Lm2Em2 6 distant specie C quod
om. CHN 7 dis- crepare CHN ut—discrepant om. EGL, s. l.
R 8 discrepant om. C 9 post inrationabilitate
add . distant L 10 sunt add. Lm2, in mg. Pm2 13
distant Hm1Pm2 distet L distat enim E 14
sit om. R, ante staturae HN staturae sit post
longioris L minimae] Ppr minime cett. codd.
bm 16 isque EG ipsis C post utatur] postulatur
EGR 17 propria Ca.c.L 18 propria L differentiam
eam HNP a differentia (om. eam) E 19 ad
sumens s. l . exordium Em2 monstraret EGLm1
(demonstraret m2 ) R 20 ut si] uti EGLm1 (uti
si m2 ) R a om. CGR, s. l. Lm1?Pm2 differt ex
-rat E 21 sit om. C est EGL (s. l.) R
iuuenis. a se ipso etiam saepe aliquis differre potest, ut si nunc quidem
faciat aliquid, cum ante quieuerit, uel si nunc adulescens iam factus sit, cum
prius tenera uixisset infantia. communes autem differentiae nuncupatae sunt,
quoniam nullius propriae esse possunt differentiae, sed separabilia
accidentia sola significant. nam et stare et sedere et facere aliquid ac
non facere multorum atque adeo omnium et separabilia esse accidentia manifestum
est. quibus si qui differunt, communibus differentiis distare dicuntur.
praeterea puerum esse atque adule- scentem uel senem, ea quoque separabilia
sunt accidentia. nam ex pueritia ad adulescentiam atque hinc ad
senectutem, ab hac denique ad decrepitam usque aetatem naturae ipsius
necessitate progredimur. illud forsitan sit dubitabile de unius cuiusque forma
corporis, an ullo modo separari queat. sed ea quoque est separabilis, nullius
enim diuturna ac stabilis forma perdurat. idcirco nec peregrinus pater relictum
domi puerum, si adulescentem redux uiderit, possit agnoscere; forma enim semper
quae ante fuerat, permutatur atque ipsa alteritas qua distamus ab altero,
semper diuersa est. Constat igitur hanc communem differentiam separabilibus
maxime accidentibus applicari, propria uero est quae inseparabilia
significat acci- dentia. ea huiusmodi sunt, ut si quis caecis nascatur oculis,
si quis incuruo naso; dum enim adest nasus atque oculi, ille caecus, ille erit
semper incuruus. atque haec per naturam. sunt uero alia quae per accidens
corporibus fiunt, ut si cui uulnus 1 post differre add
. quidem L 2 cum ante in mg. Cm2 nunc si C
3 iam er. L, post nunc N 5 proprie CL sed]
CLm2NP , om. EG , et R quae HLm1
separabiles E, post add . enim Lm1, del. m2 6 pr .
et om. P ac] et HNP 7 ideo EGL post
omnium add- sunt edd . et om. H esse om. G,
post accidentia EL ; separabilium esse accidentium N 8
si om . N quid EG qua R 9 discuntur E
10 ante separabilia add . ueraciter R 14 eo
Lm1 15 est separabilis] est separabilis forma PR separabilis forma
est EGL nullius—per- durat om. GR, in mg. Cm2, s. l.
Pm2 ac stabilis] et stabilis C ( ut uid .) N ac
stabili P estimabilis E 18 alteritas ipsa
EG 19 altera EGLm2R 22 nascetur Em1 24
ante erit add. etiam R semper om. C
inflictum cicatrice fuerit obductum, haec si obcalluerit, pro- priam
differentiam facit; distabit enim alter ab altero, quod hic cicatricem habeat,
ille uero minime. postremoque in his omnibus uel separabilibus accidentibus uel
inseparabilibus alia sunt naturaliter accidentia, alia extrinsecus,
naturaliter quidem ut pueritia uel iuuentus et totius conformatio corporis, sic
caeci oculi et curuitas nasi. et superiora quidem exempla separabilis
accidentis per naturam sunt, posteriora uero inse- parabilis. item extrinsecus
uel ambulare uel currere; id enim non natura, sed sola affert uoluntas,
natura uero posse tan- tum dedit, non etiam facere. atque haec sunt separabilis
accidentis extrinsecus uenientis exempla, illa uero inseparabilis, ut si qua
cicatrix obducta uulneri obcalluerit. Magis propriae autem differentiae
praedicantur, quae non accidens, sed substantiam formant, ut hominis
rationabilitas; differt enim homo a ceteris, quod rationalis est uel quod
mortalis hae sunt igitur magis propriae, quae monstrant unius cuiusque
sub- stantiam. nam si illae quidem idcirco communes dicuntur, quia separabiles
atque omnium sunt, aliae autem propriae, quoniam separari non possunt,
quamuis sint in accidentium numero, illae iuro magis propriae praedicantur,
quae non modo a subiecto separari non possunt, uerum subiecti ipsius speciem
substantiamque perficiunt. ex his igitur tribus differentiarum diuersitatibus,
id est communibus, propriis ac magis propriis, fiunt secundum genus uel
speciem uel numerum discrepantiae nam ex communibus et propriis secundum
numerum distantiae nascuntur, ex magis propriis uero secundum genus ac
speciem. 1 ante cicatrice add . si H 6 uel
om. C formatio HNPm2 sic] HPm1 (et si m2
) Rm1 (sieque m2 ) si EGLm1 (sique m2 )
tum CN 9 post currere add . sunt E 10
uoluptas L 11 at Em1 atqui m2 separabilis
sunt C 13 uulneris Lm2P autem propriae
La.c.R 14 substantia Cm1 15 informant Pm2, recte?
16 a om. HN rationa- bilis EGLPR post mortalis
add . est C hae] Hp.r.L haec cett . sunt igitur]
enim sunt H 20 quoniam] quod R 22 ab G post
ipsius add . suis Em1, del. m2 23 tribus igitur
CG 24 ac s. l. Em2 , et CR Uniuersaliter ergo
omnis differentia alteratum facit cuilibet adueniens, sed ea quae est
communiter et proprie, alteratum facit, illa autem quae est magis proprie,
aliud. differentiarum enim aliae quidem alte- ratum faciunt, aliae uero aliud.
illae quidem quae faciunt aliud, specificae uocantur, illae uero quae
alteratum, simpliciter differentiae. animali enim differentia adueniens
rationalis aliud fecit et speciem animalis fecit, illa uero quae est mouendi,
alteratum solum a quiescente fecit; quare haec quidem aliud, illa uero
alteratum solum fecit. Omnis differentia alterius ab altero distantiam
facit. sed haec uel est communis et continens uel cum quodam proprio et magis
proprio differentiarum modo. quare quicquid qualibet ratione ab alio diuersum
est, alteratum esse dicitur. si uero accesserit illi diuersitati ut etiam
specifica quadam differentia sit diuersum, non alteratum solum, uerum etiam
aliud esse praedicatur. alteratio igitur continens est, aliud uero intra
alterationis spatium continetur; nam et quod aliud est, alteratum est, sed non
omne quod alteratum est, aliud dici potest. itaque si accidentibus
aliquibus fuerit facta diuersitas, alteratum 1—11] Porph. p. 8, 17—9, 2
(Boeth. p. 34, 7—15). 1 ergo] uero CEGR; Porph. osv
alterum E h m2 A 2 sed ea—quiescente fecit (10) ] Ω , om. cett . ea quae est eqs. ] cum
cod. A Porph. cett. α: μέν—κοιοϋσιν, a: 81 άλλο 3 alterum Δ , item 4 autem] uero ΔΣΦ 7 altera Φ* enim] autem A a.c . 8 ratio- nale
2 facit ΓΣΦ item 9; Porph. p.
9, 1 ίποίησεν et speciem animalis
fecit om. codd. quidam Porph., deleri uult Busse 10 faci(??) ΓΔ m2 ΣΦ qua * ( (??) ? er.) re
* C qua in re (si add. GLm1, s. l . siqui- dem m2
) EGL 11 ille Gm1 illae Δ solum om.
EG, s. l. Cm2 , solum modo P fecit] ΔΛ , om. P,
facit cett.; Porph. p. 9, 2 έποίηοιν 13 uel est]
L uel ex EG est uel N, om . est CR, om .
uel HP (ante est add . quidem ) communi
EG continenti E ( -ti * ) G cum om. N, s. l. Em2
eo m1 14 proprio] proximo GR, post proprio add . uel
ma- ximo P 18 inter Gm1 19 nam et] Hm1NR
igitur et EG igitur omne ( et add. C) CHm2L 21
erit HN quidem effectum est, quoniam quidem quolibet modo uel
ex quibuslibet differentiis considerata diuersitas alterationem facit
intellegi, aliud uero non fit, nisi substantiali differentia alterum ab altero
fuerit dissociatum. itaque communes et propriae differentiae, quoniam
accidentium, ut dictum est, sunt, solum efficiunt alteratum, aliud uero minime,
magis propriae autem, quoniam substantiam tenent et in subiecti forma
praedicantur, non modo alteratum, quod est commune uel substantiali uel
accidenti differentiae, sed etiam aliud faciunt, quod ea sola retinet
differentia quae substantiam continet formamque subiecti. atque hae quidem
differentiae quae faciunt aliud, specificae nuncupantur idcirco, quod ipsae
efficiunt speciem; quam cum substantialibus differentiis informauerint, faciunt
ab aliis ita esse diuersam, ut non alterata solum sit, uerum etiam tota
alia praedicetur. itaque fit huiusmodi diuisio, differentiarum ut aliae
alteratum faciant, aliae nero aliud. et illae quidem quae faciunt alteratum,
simpliciter puro nomine differentiae nuncupantur, illae uero quae aliud,
specificae differentiae PREDICARE atque ut planius liqueat quid sit alteratum,
quid aliud, tali describuntur termino uel declarantur exemplo : aliud est
quod tota speciei ratione diuersum est, ut equus ab homine, quoniam rationalis
differentia animali adueniens hominem fecit aliudque eum quam equum esse
constituit. item si unus homo sedeat, alter assistat, non efficietur homo
diuersus ab homine, sed eos alteratio sola disiungit, ut eum qui assistit
ab eo qui 5 ut dictum est] p. 242, 4 ss. 19 ss. 1 post , quidem om.
HNP, del. Lm2 uel ex quibuslibet om. H ad differentiis s. l . uel
diuersitatibus Rm1 ? 7 formam N 9 accidentali Hm2NPm2
facit EGLP 10 quae er. C 11 hee P 12
ipsae om. EGLR 14 alteratum E (in ras. m2) P
alterum GLR 15 aliud R sit E 16 ut
om. EH faciunt HNR facient Em2 facie
m1 20 describantur Em1 21 ratione specie (sic) E
ab om. EGL, s. l. HP 22 facit HLNPm1 23 esse] est
Em1 ita R itaque N 24 effi- citur N
efficiatur (ur add. m2 ) P sedet faciat alteratum. item
si ille sit nigris oculis, ille caesiis, nihil, quantum ad formam humanitatis
attinet, permutatum est. ita secundum has differentias alteratio sola
consistit. at si equus quidem iaceat, homo uero ambulet, et aliud est equus ab
homine et alteratum, dupliciter quidem alteratum, semel uero aliud.
alteratum est enim, uel quod omnino specie diuersum est — et est aliud; omne
enim aliud, ut dictum est, etiam alteratum est —, uel quod accidentibus distat,
quod ille iaceat, hic ambulet, semel uero est aliud, quod
rationabili atque inrationabili differentiis dis|gregatur, quae specificae
sunt et substantiales dicuntur. est igitur alteratum quod ab alio
qualibet ratione diuersum est. Secundum igitur aliud facientes diuisiones
fiunt a generibus in species et definitiones adsignantur, quae sunt ex genere
et huiusmodi differentiis, secundum autem eas quae solum alteratum
faciunt, alteratio sola consistit et aliquo modo se habendi
permutationes. Quoniam in principio operis huius generis, speciei,
differen- 13—17] Porph. p. 9, 2—6 (Boeth. p. 34, 15—19). 18 in prin-
cipio o. h.] p. 147, 5. 1 facit Em1G item om.
EGR, in mg. Hm2, s. l. Lm2 si om. EGL, post ille R, in mg.
Hm2 post . ille] iste N caesius La.c . (ce-) Pm1
caecis N cecus C 3 item in ras. L post
has add . quo- que HNP, s. l. Lm2 sola s. l. Em2
ut GN 4 uero om. E 5 ab] de P pr . alterum GLm1
6 post uero add . est C enim om .
H (quidem add. post est ) N, ante est CGPR 7
enim om. G 8 distet R 9 iacet HLm1N
ambulat H rationali atque inrationali HLm2R 10
differentia N segregatur CR specificae sunt]
differentiae specificae C 13 post facientes add .
differentias edd., om. codd. cum cod. C Porph. p. 9,3 et Dauide
commentatore p. 177, 23 (Busse); post add . et edd. cum Porph . τέ 14 quae— faciunt (16) ] L Q ,
om. cett . 15 ante sunt add . definitiones Γ definitiones scilicet Δ et] ex Δ m2 16 ante alteratio add .
at CG alteratio sola consistit] ai έτερότητες μο'νον συνί- ατανται Porph. p. 9, 5 17 et] in
CEGLR ad Δ ; Porph.
v.at aliquo modo] aliquando Γ se add. Em2 habentis R
habentibus EGLm1 permutatione R permutationibus
CEGLm2 18 huius om. EGR, ante operis s. l. Lm2
specieique EGLNPR; tiae, proprii accidentisque notitiam ad diuisionem
atque ad definitionem utilem esse praedixit, idcirco nunc differentiarum
ipsarum facta diuisione easdem partitur et segregat, quaenam differentiae
diuisionibus ac definitionibus accommodentur, quae uero minime. quoniam
igitur diuisio generis ita in species facienda est, ut illae a se species omni
substantiae ratione diuersae sint, idcirco non probat assumendas esse eas ad
diuisionem differentias quae uel separabilis uel inseparabilis accidentis
significationem tenent, idcirco quoniam, ut dictum est, solum faciunt
alteratum, aliud uero perficere et informare non possunt. inutiles igitur sunt
ad diuisionem hae differentiae quae faciunt alteratum. segregandae igitur sunt
communes et propriae a generis diuisione, illae assumendae tantum quae sunt
magis propriae. illae enim faciunt aliud, quod generis diuisio uidetur
exposcere. ad definitionem quoque eaedem magis propriae plurimum ualent, communes
et propriae uelut inutiles segregantur; communes enim et propriae, quoniam
accidens diuersi generis ferunt, nihil substantiae ratione conformant,
definitio uero omnis substantiam conatur ostendere. specificae uero
differentiae illae sunt quae, ut superius dictum est, speciem informant
substantiamque perficiunt; hae sunt magis propriae. eaedem igitur sicut in
diuisionem, ita etiam in definitionem assumuntur. ut enim dictum est, eaedem
diffe- 9 ut dictum est] superius] ut enim dictum est] infra p. 253, 12
ss. 258, 9 ss. 260, 6 ss. 2 definitionem] defensionem G
utile E 4 ac definitionibus om . EG 5 diuisio
igitur E 7 eas ante assumendas P, ante
esse HN diuisiones NRm1 8 uel inseparabilis om. EGR 9 idcirco—faciunt] uel eas differentias
quae faciunt (faciant R ) EGL (del. m2) R 10 aliud—
alteratum (12) om. EGR 14 aliud faciunt C 15
definitionem] diui- sionem Cm1EGLm1 eadem Em1G 16
plurimum om. EG post
ualent add . nam EGL (del. m2) P 17 uelut—propriae om.
EGR enim om. CH 18 proferunt Lm2Pm2 procedent
m1 praecedunt N a.c. informant N hee CP
haec E 22 eaedemque C eadem Em1GL
diuisione GN, add . generis GL etiam om. HN et P 23
diffinitione N ut enim— sumuntur om. edd .
rentiae nunc quidem constitutiuae ad definitionem specierum sumuntur,
nunc diuisiuae ad partitionem generis accommodantur. ita igitur cum diuisiuae
sunt generis, aliud constituunt, in substantiae uero definitione speciei
informationem faciunt, cumque magis propriae et aliud faciant et specificae
sint, eo quidem quo aliud faciunt, diuisionibus aptae sunt, eo uero quo
speciem informant, definitionibus accommodatae sunt. communes autem et propriae
quoniam neque aliud faciunt, sed alteratum, neque omnino substantiam monstrant,
aeque a diuisione ut a definitione disiunctae sunt. A superioribus ergo
rursus inchoanti dicendum est differentiarum alias quidem esse separabiles,
alias uero inseparabiles. moueri enim et quiescere et sanum esse et aegrum et
quaecumque his proxima sunt, separabilia sunt, at uero aquilum esse uel
simum uel rationale uel inrationale inseparabilia. inseparabilium autem aliae
quidem sunt per se, aliae Porph. Boeth. assumuntur Ea.c . partitionem]
coparationem N 3 ita—faciunt (4) in mg. sup. Hm2 Ita
igitur cum diuisio generis aliud quaerat. substantia uero speciei
informationem Hm1, eadem uerba loco ita—faciunt adiungit
N Ita igitur cum ad diuisionem generis aliud querant. aliud uero ad
speciei informacionem faciunt Hm3 3 diuisiuae] CHm2LN
(priore loco) Pm1 diuisione EG ad diuisionem
Hm3R diuisio Hm1N (post. l) Pm1 sunt] CHm2LN (pr. l.),
om. EGHm1 et 3 N (post.
l.) R, s. l. Pm2 constituunt] CHm2N (pr. l.) Pm2
quaerat Hm1N (post. l.) Pm1 quaerant ( uel que-,)
Hm3R quam erat EG constituunt quam erat L in
substantiae uero definitione] CHm2LN (pr. l.) Pm2 in substantia
uero Pm1R substantia uero EGHm1N (post. l.) aliud
uero Hm3 4 post uero add . ad Hm3
faciunt om. EHm1N (post.
l.) 5 pr. et om. HN, s. l. Pm2 faciunt
Lm1Pm1 et] ac C eo] in eo N 6 quidem om.
L quod HLm1NP (d er .) uero] modo N 7 quod
HRm1 9 sed] sub G monstrat CGm1 11 ergo om
. H uero N 2 ; Porph. p. 9, 7 ouv
rursus om. H 12 aliae... aliae h m1 separabiles
esse Φ 13 alias uero—perceptibile (p. 249, 2) om.
C moueri—perceptibile] R Ω , om. cett . 14
ante quaecumque s. l . omnia Λ 15 at—inseparabilia in sup. mg . h m2 acylum ΓΦ acilum ΛΣ , sim. . al . 16
post inseparabilia add . sunt PAS<P edd. Busse, om.R
h cum Porph. p. 9,10 uero per accidens; nam rationale
per se inest homini et mortale et disciplinae esse perceptibile, at nero
aquilum esse uel simum secundum accidens et non per se. Superius
differentias triplici diuisione partitus est dicens aut communes esse aut
proprias aut magis proprias, dehinc easdem alia diuisione in duas secuit partes
dicens has quidem aliud facere, illas uero alteratum. nunc tertiam earum quidem
facit diuisionem dicens alias esse separabiles, alias inseparabiles, posse
autem de uno quoque cuius multae sunt differentiae, plurimas fieri diuisiones
ex ipsa differentiarum natura manifestum est. nam si omnis diuisio differentiis
distribuitur, quorum multae sunt differentiae, multas etiam diuisiones esse
necesse est. fit autem ut animal diuidatur quidem hoc modo: animalis alia
quidem sunt rationabilia, alia in rationabilia, item alia mortalia, alia
inmortalia; item alia pedes habentia, alia minime; rursus alia herbis
uescentia, alia carnibus, alia seminibus. ita nihil mirum uideri debet, si
multiplex differentiae est facta partitio.ac primum quidem cum in ternarium
numerum differentiae membra secuisset, communes et proprias et magis proprias
nuncupauit. secunda uero diuisio communes et proprias intra nomen alteratum |
facientis inclusit, magis proprias uero intra aliud facientis. haec nero
tertia diuisio, quae ait dif- ferentiarum alias esse separabiles, alias inseparabil
es, 5 Superius... dicens aut eqs.] p. 239, 18. 7 dicens has eqs.| p. 244,
2. 2 perceptibile] ΦΨ perceptibilem cett
. ( in mg . capacem T ) 3 uel] et Γ simium P post accidens add .
est Γ , s. l. Lm2, ras. in E et om. Ν ΑΣ 4 post
se add. est P 5 differentia R 7
dicens in mg. Hm2 8 earum quid R earundem
CN quidem post pr . alias C 9 post post ,
alias add . uero C 14 animal] in animali quod H
diuiditur H quidem ante diuidatur Lp, om.
brm 15 animalium N edd . quidem post sunt NP, om.
H rationalia alia inrationalia H 18 item P
20 post secuisset add . ait HP aut CN
et magis—et proprias om. EG 21 nun- cupari H
nuncupauerit LPR 22 facientes CNPm1 propria
R proprium Em1GLp.c . 23 facientes CN qua
CLNRm1 unam quidem ex alteratum facientibus separabilibus
differentiis adiungit, ceteras uero intra inseparabilis differentiae uocabulum
claudit. una quidem ex alteratum facientibus. id est propria differentia, et
reliqua quae aliud facere demonstrata est, id est magis propria, inseparabiles
differentiae esse dicuntur. quarum subdiuisio fit. inseparabilium
differentiarum aliae sunt per se, aliae secundum accidens, per se quidem magis
pro- priae, secundum accidens uero propriae. per se autem aliquid inesse
dicitur quod alicuius substantiam informat. si enim idcirco quaelibet species
est, quoniam substantiali differentia constituitur, illa differentia per
se subiecto adest neque per accidens aut per quodlibet aliud medium, sed sui
praesentia speciem quam tuetur informat, ut hominem rationabilitas. homini enim
huiusmodi differentia per se inest, idcirco enim homo est, quia ei
rationabilitas adest; quae si discesserit, species hominis non manebit.
et has quidem quae substanti- ales sunt, inseparabiles esse nullus ignorat;
separari enim a subiecto non poterunt, nisi interempta sit natura subiecti.
secundum accidens nero inseparabiles differentiae sunt hae quae propriae
nuncupantur, ut aquilum esse uel simum; quae idcirco per accidens
nuncupantur, quoniam iam constitutae speciei extrinsecus accidunt nihil
subiecti substantiae commodantes. Illae igitur quae per se sunt, in
substantiae Porph. Boeth. ex om. EG, in inf. mg. L
alteratum post facientibus R, om. G post
facientibus add . id est communem L (in inf. mg.) P 2
adiungit] ponit La.c . cetera R ceterasque Lm2
alteram C 3 una ras. ex una C quidem]
quidem fit G quippe HN 4 et om. G, s. l. E
5 inseparabilis E esse om. G 6 post
quarum add . quidem Lp ita brm post aliae
add . enim EGL 8 inesse aliud ( ex aliquid m2 )
L 11 neque] non Lm2R, ante neque add . quae
Hm2 12 post medium add . quae sunt propria Hm1,
del. m2 13 rationalitas H, item 15 15 ei s. l.
Hm2 16 quidem eas (sic) C 17 nullus esse C 18
nisi] ni EG 20 proprie CN aquilum] cf. p. 248, 15
22 accedunt Hm1N subiecto Hm1 subiectae
Lm1N (-te) 24 Igitur illae C in om .
N ratione accipiuntur et faciunt aliud, illae uero quae secundum
accidens, nec in substantiae ratione dicuntur nec faciunt aliud, sed alteratum.
et illae quidem quae per se sunt, non suscipiunt magis et minus, illae
uero quae per accidens, uel si inseparabiles sint, intentionem recipiunt et
remissionem; nam neque genus magis aut minus praedi- catur de eo cuius fuerit
genus, neque generis differentiae, secundum quas diuiditur; ipsae enim
sunt quae unius cuiusque rationem complent, esse autem uni cuique unum et idem
neque intentionem neque remissionem suscipiens est, aquilum autem esse uel
simum uel coloratum aliquo modo et intenditur et remittitur. Differentiis rite
partitis earum inter se distantiam monstrat atque unam quidem repetit quam
superius dixit. cum enim tres esse dixisset differentias, communes, proprias,
magis proprias, alteratum facere dixit proprias, sicut etiam communes, aliud
minime, sed hoc solis magis propriis reseruauit. nunc igitur idem repetit
dicens quoniam inseparabiles differentiae quae substantiam monstrant, id est
quae per se subiectis speciebus insunt easque perficiunt, aliud faciunt, illae
uero superius] rationem GR h suscipiuntur Lm2
percipiuntur Φ aliud] illud
E illae—suscipiens est (12) ] Ω , om. cett . 3 dicuntur] accipiuntur Φ (ex 1); Porph. p. 9, 16 λαμβάνονχαι uel παραλαμβάνοντα codd ., λέγονται Dauid comment. p. 184, 16 alteratum]
alterum W- m1 et om . Γ 4 quidem om . Λ uero Γ 5 uero quae] quidem
Γ si om . Φ 6 sunt ΔΣΦ brm Busse; Porph. p. 9, 18 v.dv—Jaw 7
aut] Λ Busse et cett. codd. edd. (cf.
4); Porph. p. 9, 19 ή cod. M
m; cett . 9 ipsae] otuxat Porph. p. 9,
20 10 post rationem add . id est diffinitionem Φ 11 neque—remissionem cum Porph. p. 9, 21
cod. Μ , ooxe ανεσιν οντε έπίχασιν cett . 12
aquilum] cf. ad p. 248, 15 autem om. P 13 pr .
uel] et Γ colorari Em1 et om. CLR 14
et] uel R 17 esse post dixisset HNP, ante
tres P 18 alteratum—proprias] proprias alte- ratum facere
dixit HNP 19 post aliud add . uero HNPR, s.
l. Lm2 quae sunt propriae, id est secundum accidens inseparabiles
differentiae, neque in substantia insunt nec aliud faciunt, sed tantum, ut
superius dictum est, alteratum. item alia distantia est earum differentiarum
quae secundum substantiam sunt, ab his quae secundum accidens, quoniam quae
substantiam mon- strant, intendi aut remitti non possunt, quae uero sunt
secundum accidens, et intentione crescunt et remissione decrescunt. id autem
probatur hoc modo. uni cuique rei esse suum neque crescere neque deminui potest;
nam qui HOMO (cavallo) est, UMANITA (cavallita) suae nec crementa potest nec
detrimenta suscipere. nam neque ipse a se plus aut minus hodie uel
quolibet alio tempore homo esse potest nec homo rursus ab alio homine plus homo
potest esse uel animal. utrique enim aequaliter animalia, aequaliter homines
esse dicuntur. quodsi uni cuique esse suum nec cremento ampliari potest nec
inminutione decrescere, quod per id facile monstrari potest, quoniam quae
genera sunt uel species, nulla intentione uel remissione uariantur, non est
dubium quin differentiae quoque, quae unius cuiusque speciei substantiam
formant, nec remissionis detrimenta suscipiant nec intentionis augmenta. itaque
substantiales differentiae neque intentionem neque remissionem
suscipiunt. huius causa haec est. quoniam esse uni cuique unum et idem est,
et p. 84 intentionem re|missionemue non suscipit huius exemplum.
genus 2 nec N substantiam N sunt EN
neque edd . 4 est] L (s. l. m2) P edd., om. cett .
sunt om. E 5 secundum accidens quo- niam quae om. EGP
6 ante intendi add . quae EGP post pos-
sunt add . secundum (s. l. E) accidens EGP sunt
om. CHL 7 in- tentione] intensione Pm2 edd., item 17—p. 253,
6 9 deminui] Pm1 minui L (ex diminui m2)
N diminui cett . quia C 10 decrementa Em1G edd . 11
uel] aut L 12 neque N 13 uterque P aequa-
liter—dicuntur] aequaliter corporales. aequaliter animati. aequaliter ho- mines
esse dicuntur H, eadem uerba loco æqualiter— dicuntur adiungit
sic utrique enim aequaliter eqs. N 15 ampliorari
EGLPm1 17 ante non s.. et ob hoc Em2
informant Pm2 21 suscipient N cuius HNP
22 post unum add . est L 23 remissionemque
N post exemplum add. sit Lm1 edd. (ante
huius distinctio) , est Lm2, s. l. Hm2 enim dici non
potest plus minusue cuilibet genus; omnibus enim genus aequaliter superponitur differentiae
quoque quae diuidunt genus et informant speciem, quoniam speciei essentiam
complent nec intentionem recipiunt nec remissionem. quae uero secundum
accidens differentiae sunt inseparabiles, ut aquilum esse uel simum uel
coloratum aliquo modo, et intentionem suscipiunt et remissionem. fieri enim
potest ut hic paulo sit nigrior, hic uero amplius simus, ille minus aquilus, at
uero quod non omnes homines aequaliter rationales mor- talesque sint, nec
specierum nec differentiarum natura uidetur admittere. Cum igitur
tres species differentiae consi- derentur et cum hae quidem sint separabiles,
illae uero inseparabiles, et rursus inseparabilium cum hae quidem sint
per se, illae uero per accidens, rursus earum quae sunt per se differentiarum
aliae quidem sunt secundum quas diuidimus genera in species, aliae uero
secundum quas ea quae diuisa sunt specificantur, ut cum per se differen-
tiae omnes huiusmodi sint, animati et inanimati, Porph. Boeth. differentiarum—19
specificantur] Abaelardus, Introduct. ad theolog., II p. 94.
1 post cuilibet add . esse L edd . 2 quae
om. GPR, del. Hm1? 3 formant CEGLm1R species
Lm2NP ante quoniam add . quae EGHLPR essentiam]
substantiam N 4 ante quae add.
ill<a>e G aquilum] cf. ad p. 248, 15
colorari EG 8 nigrior sit HNP hic— aquilus] hic uero
minus hic magis acilus ille autem minus hic amplius simus illo uero minus
E amplius simus] amplissimus G, add . sit L aquilus]
ut 6 9 non quod R ut non HNPm1 quoniam non
m2 ratio- nabiles ELm2P 12 considerantur Λ m2 ( in er . -entur) 2 13 haec EG
illae—sensibilis om. CEG 14 et—sensibilis (ibid.) om. HLNP
16 rursus—sensibilis (ibid.) om. R per se sunt Λ2Φ 17 quidem om
. Λ2 18 ea] ΓΔΨΨ edd . haec ΛII2 20 animatum et inanimatum sensibile et
insensibile rationale et inrationale mortale et inmortale h m1
animati—insensibilis] Porph. p. 10, 4 εμψύχου και αίαβητικου ante sint add . animalis
edd. cum Porph . τοϋ ζώου quattuor et om.
sensibilis et insensibilis, rationalis et inrationalis, mortalis et
inmortalis, ea quidem quae est animati et sensibilis differentia. constitutiua
est substan- tiae animalis — est enim animal substantia animata sensibilis, ea
uero quae est mortalis et inmortalis differentia et rationalis et
inrationalis, diuisiuae sunt animalis differentiae; per eas enim genera in
species diuidimus. Fit nunc differentiarum plena et suprema diuisio, quae
est huiusmodi. differentiarum aliae sunt separabiles, aliae inse-
parabiles, inseparabilium aliae sunt secundum accidens, aliae substantiales.
substantialium aliae sunt diuisibiles generis, aliae coustitutiuae specierum.
quod uero ait : cum igitur tres species differentiae considerentur, ad hoc
retulit, quod in prima differentiarum diuisione partim eas communes esse,
partim proprias, partim magis proprias dixit, quas rursus tres differentias
alias separabiles esse monstrauit, alias inseparabiles, separabiles quidem
communes, inseparabiles uero proprias ac magis proprias. inseparabilium uero
fecit diuisionem dicens alias esse secundum accidens, quae propriae
nuncupantur, magis proprias uero secundum substantiam considerari. earum
uero quae secundum substantiam sunt, subdiuisionem facit, quod 3
constituta T m1 4 post animata add . et ΓΛ Busse, om . ΔΠΣΦΨ Porph. (p. 10, 6) edd . 5 ea] he ex e Rm2 est]
sunt R 6 diffe- rentia om . CEGPR et om
. CLR \\ rationabilis et inrationabilis (rac- et irrac-
P ) Lm2P 7 diuisi Em1 diuisae GPm1
has HP; Porph. p. 10, 8 St’ αΰτών genera in] L (s. l. m2) ΓΔΠ . (in mg. m2) Ψ Porph., om. cett
. 11 post inseparabilium add. uero C 12
generis om. EGR, in mg. Lm2 15 post esse add .
dixit HNP dicit R 16 dixit om. HPR, s. l.
Em2 rursum H 17 alias insepa- rabiles esse (esse om. N
) monstrauit HNP 18 ac] et HN 20 accidens] se
EG(er.), s. l. Pm2, add . substantiam Em1 alias (alia E ) se-
cundum substantiam considerari G edd., in mg. Em2, s. l . alias secun-
dum Pm2, post considerari add . et illas esse secundum
accidens edd. quae—considerari om. E post quae s.
l . uero secundum accidens Pm2 propria C proprias
Pm2 nuncupari Pm2 21 eorum (sic) uero quae secundum
substantiam s. l. add. Em2 post quae add.
et C aliae earum genus diuidant, aliae speciem informent. ad
cuius rei facilem cognitionem illa tertii libri specierum generumque dispositio
transcribatur. sitque primum substantia, sub hac corporeum atque incorporeum,
sub corporeo animatum atque inanimatum, sub animato sensibile atque
insensibile, sub quo animal, sub animali rationale atque inrationale, sub
rationali mortale atque inmortale et sub mortali species hominis, quae solis
deinceps indiuiduis praeponatur. in hac igitur diuisione omnes hae differentiae
specificae nuncupantur, generum enim specierum- que differentiae sunt,
sed generum quidem diuisiuae, specierum autem constitutiuae. id autem probatur
hoc modo. substantiam quippe corporei atque incorporei differentiae partiuntur,
corporeum uero animati atque inanimati, animatum sensibilis atque insensibilis.
ita igitur genera substantiales differentiae partiuntur et dicuntur
generum diuisiuae. at uero si eaedem differentiae quae a genere descendentes
genus diuidunt, colligantur et in unum quae possunt iungi copulentur, species
informatur. nam cum animal species sit substantiae omnia enim superiora de
inferioribus praedicantur et quicquid inferius fuerit, species erit etiam
superioris —, animatum tamen atque 2 illa tertii libri.. dispositio] p.
208, 12 ss. 1 diuidunt N diuident R
informant CNR, add . atque construant H atque constituunt
(-ant ex -ent P ) NP, s. l. Lm2 (ex p. 256,
3) at E 2 facilitatem G cognitionem om.
EG illa s. l. Hm2 3 trans- feratur Hm1N; post
transcribatur spatium ad inscribendam figuram ut uid. relictum in
EG sub] ubi E hoc Em1GLm1R 4 atque
incorporeum in mg. Em2 sub
corporeo om. GR, in mg Em2, s. l. Lm2 6 animal sub om. E sub animali om.
GR rationabile E 7 et om. HN, del. Em2 12
patiuntur Em1G corporeum— partiun- tur (15) om. Em1, in mg .
corporeum ( ex corpore m3 )—inanimati (ani- matum autem s. l.
add. m3 ) sensibilis— partiuntur add. m2 13 ani- matum om. G, post add . autem
Em3 enim Lm1, del. m2 , et er. N 14 post
insensibilis add . partiuntur CL substantialis Gm1Pm2
15 si del. Lm2, post si del . et R heaedem
P (dem er .) R (h del .) hae HN 16
quae post descendentes L 17 in ex al. litt. Em2 18
informantur EHN informant part. ras. ex informatur
Lm2 fit E sensibile quae sunt differentiae, si
referantur ad genera, diui- siuae sunt, constitutiuae uero fiunt animalis
eiusque sub- stantiam formant atque constituunt definitionemque conformant, ut
sit animal substantia animata sensibilis, substantia quidem genus, animatum
uero atque sensibile eiusdem differentiae constitutiuae. | item animal
rationabilitas atque inrationabilitas diuidit, mortali etiam atque inmortali
diuiditur, sed iuncta rationabilitas atque mortalitas, quae animalis diuisiuae
fuerant, fiunt hominis constitutiuae eiusque perficiunt speciem atque omnem
eius rationem definitionis informant atque perficiunt. at si
inrationabilitas cum mortalitate iungatur, fiet equus aut quod- libet animal,
quod ratione non utitur, rationabilitas uero atque inmortalitas copulatae del
substantiam informant. ita eaedem differentiae cum referuntur ad genera,
diuisiuae generum fiunt, si uero ad inferiores species considerentur, informant
species earumque substantiam conuenienti copulatione constituunt. In hoc
quaesitum est, quemadmodum dicerentur esse hae diffe- 1 post
sunt add . eiusdem P (s. l. m2) edd . diuisiua Em1G
2 post sunt s. l . si ad speciem Lm2Pm2
uero om. N, del. Pm1?, s. l. Hm2Rm2 fiunt s. l. Rm2 3
definitionemque] diuisionemque EG formant Hm1 4 quidem]
uero N 5 ante genus add. eiusdem CN , post add .
est s. l. LPm2 ante differentiae add . generis GP, post
add . diuisiuae R post constitutiuae add . animalis R,
s. l . speciei animalis Lm2 6 rationabilitas—diuiditur]
P rationalitas atque inrationalitas diuidit mortalitas ( ex
inmortali m2 ) etiam atque inmortalitas ( ex inmor- tali m2 )
diuidit ** · H rationabilitas atque irrationabilitas mortale atque
inmortale diuidit C rationale atque inrationale (diuidunt
add. N ) mortale atque (et N ) inmortale diuidit (diuidit om. N
) NR inrationabile (inratio- nale L ) atque inmortale
diuiditur EGLm1, in mg. ante atque add . irracionale. mortale
etiam atque m2 rationabilitas atque irrationabilitas, mortalitas
atque immortalitas diuidit brm 7 rationalitas E 8
diuisiua Em1GLm1R 9 constitutiua GLm1R eiusque]
hominisque HNP nominis (del. Lm2) eiusque
EGL 10 atque perficiunt s. l. Rm2 11 irrationalitas
EP mortali Lm2Pm1 fiat G aut] atque L
12 rationalitas HP 13 inmortalitas] inrationabilitas R
dei om. G , post substantiam E (s. l. m2) L
formant HN item HL 14 di- uisae E 17
esse om. C eae EGR heae P rentiae specierum
constitutiuae, cum inrationabilis differentia atque inmortalis nullam speciem
uideantur efficere. respondemus primum quidem placere Aristoteli caelestia
corpora animata non esse; quod uero animatum non sit, animal esse non posse;
quod uero non sit animal, nec rationale esse concedi. sed eadem corpora propter
simplicitatem et perpetuitatem motus aeterna esse confirmat. est igitur aliquid
quod ex duabus his diffe- rentiis conficiatur, inrationabili scilicet atque
inmortali. quodsi magis cedendum Platoni est et caelestia corpora animata
esse credendum, nullum quidem his differentiis potest esse subiectum quicquid
enim inrationabile est corruptioni subiacens et generationi, inmortale esse non
poterit, sed tamen hae differentiae, quoniam substantialium differentiarum in
numero sunt, si iungi ullo modo potuissent, earum naturam et speciem
quoque possent efficere. atque ut intellegatur, quae sit haec potentia
efficiendae substantiae specieique formandae, respiciamus ad proprias atque
communes, quae tametsi iungantur, speciem substantiam que nulla ratione
constituunt. si quis enim loquatur ambulans, quae sunt duae communes dif-
ferentiae, uel si albus ac longus, num idcirco isdem eius substantia
constituitur? minime. cur? quia non eiusdem sunt generis, quae alicuius possint
constituere et conformare sub- Aristoteli cf. De caelo; ed. Didot IV
part. II p. 38 a , frg. 24 (Cic. de nat. deor. II 15, 42 cum locis ab Heitzio
adlatis). 9 Platoni Tim. E. 39 E ss.; cf. supra p. 209, 2. 1 species
G inrationalis CEGP differentiae E 5
concedit Lm1N 7 est] esse CN, ad est s. l . ał
esset L aliud G 8 con- ficeretur H, s. l. ( add . ał) ad conficiatur L
irrationali Lm2P 9 ac- cedendum CN (ac er
.) H (ac in
ras. m2 ), concedendum edd . est platoni CN et om. C 10 credendum
om. CN 11 inrationale (irr- P ) HP 13 ante
substantialium add . in CHN, post diff. om. CHNR 16 efficientiae G 17
tametsi] etsi C etiam (si er. H ) etsi H ( in mg . ł
tametsi m2 ) NP 19 loquitur HN 20 sit
H num ex non Rm2 isdem] NP eisdem (ei
in ras. m2 ) L hisdem cett., post s. l . differentiis
add. Em2 21 ante cur add . id HNP, s. l.
Lm2 eius EG sunt ante eiusdem N, post
generis L 22 possunt NP con- firmare Em1GRm1
stantiam. ita igitur hae, id est inrationale atque inmortale, etiamsi
subiectum aliquod habere non possunt, possent tamen substantiam efficere, si
ullo modo iungi copularique potuissent, praeterea inrationale iunctum cum
mortali substantiam pecudis facit: est igitur constitutiua inrationalis
differentia, item inmor- tale ac rationale coniuncta efficiunt deum: est
igitur inmortale quod speciem formet, quodsi inter se iungi nequeunt, non
idcirco quod in natura earum est, abrogatur. Sed hae quidem quae diuisiuae
sunt differentiae generum, completiuae fiunt et constitutiuae specierum;
diuiditur enim animal rationali et inrationali differentia et rursus mortali et
inmortali differentia, sed ea quae est rationalis differentia et mortalis, con-
stitutiuae fiunt hominis, rationalis uero et inmortalis del, illae uero quae
sunt inrationalis et mortalis, inrationabilium animalium, sic etiam et supremae
substantiae cum diuisiua sit animati et inanimati dif- ferentia et sensibilis
et insensibilis, animata et sen- sibilis congregatae ad substantiam animal
perfecerunt. Porph. Boeth. aliquod om. C aliquid
LP possunt— substantiam] possent tamen substantiam possent C
4 mortale EGPm1 5 irrationabilis NP ita R 6
coniunctae HN 8 eorum edd . 9 haec CL heae
P 10 generum om. EG fiant Cm1Em1G sunt Σ 11 diuiditur—insensibilis (18) ] 2
, om. cett . 12 pr . et—differentia om. 2 , add. X m2 13 ea...
differentia] Porph. ai... διαοοραί rationalis.. mortalis cum
cod . M Porph., cett . τοΰ 6-νητοδ καί τού λογικού 14 fiunt]
definiunt Δ m1 ΙΛΣ hominem Δ m1 ΑΣ 15 dni in ras.
2 , add . sunt et angeli Δ , sed del., ante dei
add. angeli et Π m2 , sed del.; codd. Porph. p. 10,13
aut θεού aut άγγέλοο quae sunt
add . X m2 post mortalis add . constitutiuae
sunt Γ 16 inratio- nalium X m2 \ m1 , add . sunt
Φ etiam] enim Φ supremae substan- tiae] T m2 (suae
substantiae m1 ) X m 2 (superna substantia m1 ) suprema
substantia cett. codd. edd. Busse; cf. Porph. animatum EGR sensibile
E (le in ras .) R 19 congregata ER
perficerent G perficiunt in ras . 2 post
perfecerunt add . animata uero et insensibilis perfecerunt plantam
edd. cum Porph. p. 10, 17, om. BOEZIO etiam in commentario Geminum
differentiarum usum esse demonstrat, unum qui- dem quo genera diuiduntur, alium
uero quo species infor- mantur; neque enim hoc solum differentiae faciunt, ut
genera partiantur, uerum etiam dum genera diuidunt, species in quas
genera deducuntur efficiunt, itaque quae diuisiuae sunt gene- rum, fiunt
constitutiuae specierum, huiusque rei illud exemplum est quod ipse subiecit;
animalis quippe differentiae sunt diuisiuae rationale atque inrationale,
mortale atque inmortale; his enim PREDICAZIONE diuiditur animalis, omne enim quod
animal est, aut rationale aut inrationale aut mortale aut inmortale est.
sed istae differentiae quae diuidunt genus quod est animal, speciei substantiam
formamqne constituunt, nam cum sit homo animal, efficitur rationali mortalique
differentiis, quae dudum animal partiebantur, item cum sit equus animal,
inrationali mortalique differentiis constitui|tur, quae dudum animal
diuidebant. deus autem cum sit animal, ut de sole dicamus, rationali
inmortalique efficitur differentiis, quas diuidere genus habita partitio paulo
ante monstrauit. sed hic, ut diximus, deum corporeum intellegi oportet, ut
solem et caelum ceteraque huiusmodi, quae cum animata et rationabilia
Plato esse confirmat, tum in deorum uocabulum antiquitatis ueneratione
probantur assumpta, de primo quoque genere, id est substantia demonstrantur
uenire. nam cum eius diuisiuae sint differentiae 18 ut diximus] p. 208,
22 ss. 20 Plato] aliud EHm1Rm2 alio m1 uero om.
R 4 partiuntur GPm1 diuidendo N 5
deducantur HN dicuntur R diuiduntur C (uid in er
. duc? m2 ) diuisae Em1Gm2HR 6 huius C rei om. EGR s.
l. Lm2 7 ipse] ille R diuisae Em1Gm2 8 mortale
atque inmortale om. EGR, in mg. Lm2 9 quod animal est] animal
HNR 10 pr . aut om. R post rationale add .
est HN 11 est om. HR quod] hoc C 13
post efficitur add. ab his EPm1, del. m2, s. l. Lm2 post
differentiis add . constituitur Cm1, del. m2 14 partiebantur]
diuidebant Lm1R 15 diuidebant] parciebantur R 16 ut] si
CH, in ros. N, recte?; cf.p. 208, 22 20 confirmet C (et
in ras. m2 ) HLm2N 22 substantiam Em1 23 demonstrantur] idem
monstratur HN idem (super ras. Cm2, s. l. Pm2) demonstrantur
Cm1Pm1, alt. n del. Cm2Pm2 euenire HNPm2, add. s. l .
differentiae Lm2 diuisae Em1Pm1 sunt EHm1
animatum atque inanimatum, sensibile atque insensibile, iunctae
differentiae sensibilis atque animati efficiunt substantiam ani- matam atque
sensibilem, quod est animal, iure igitur dictum est, quae diuisiuae sunt
differentiae generum, easdem esse constitutiuas specierum. Quoniam ergo eaedem
aliquo modo quidem acceptae fiunt constitutiuae, aliquo modo autem diuisiuae,
specificae omnes uocantur. et his maxime opus est ad diuisiones generum et
definitiones, sed non his quae secundum accidens inseparabiles sunt, nec magis
his quae sunt separabiles. Omnes a genere differentias procedentes
genus ipsum a quo procedunt, diuidere nullus ignorat, ipsae autem quae diuidunt
genus, si ad posteriores species applicentur, informant substantias easque
perficiunt, eaedem igitur sunt constitutiuae specierum, eaedem
diuisibiles generum, alio tamen modo atque alio consideratae, ut si ad genus
relatae quidem in contrariam diuisionem spectentur, diuisibiles generis
inueniuntur, si uero iunctae aliquid efficere possint, specierum constitutiuae
sunt, quae cum ita sint, hae differentiae quae genus diuidunt, rectissime
diuisiuae nominantur - quae enim constituunt speciem, specificae sunt, sed
constituunt speciem hae differentiae quae Porph. Boeth. post
constitutiuas add . et completiuas C completinasque
HNP (ex p. 258,10) 6 ergo] igitur P needem
uel heedem hic et 15. 16. p. 261, 1 codd. quidam alio
P ( ras. ex aliquo,) Γ (o in ras .)
quidem] ΓΔΛΙIΨ , om. cett.; Porph. p. 10, 18 μεν 7 aliquo—inseparabiles sunt (10) ] Ω , om. cett . alio ras. ex aliquo
ut uid . Γ autem modo Φ autem add . 5 m2 10 sunt inseparabiles Γ his om . Γ 12 post
Omnes add . enim R quo] quibus EGR
procedent Em1 15 post sub- stantias s. l .
earum L eas substantiasque (quae N ) HNR sunt
igitur HL 16 post eaedem add . sunt
LR 19 sint CHPRm1 21 diui- siuae] specificae Lm2
nominantur] nuncupantur HΡΝ enim om. C
post speciem add. eaedem speciem faciunt, quae uero speciem
faciunt CHN sunt generis diuisiuae - eaedemque sunt specierum
constitu- tiuae. quare iure quae generum diuisiuae sunt et quae specierum
constitutiuae, specificae nuncupantur, has igitur in diuisione generis et in
definitione specierum accipi oportere manifestum est. quoniam enim
diuisiuae sunt, per eas diuidi oportet genus, quoniam autem constitutiuae, per
eas species definiri; quibus enim unum quodque constituitur, isdem etiam
definitur, constituitur autem species per differentias generis diuisiuas, quae
sunt specificae, iure igitur specificae solae et in generis diuisione et
in specierum definitione ponuntur, et de specificis quidem haec ratio est, de
his autem quae uel separabilia uel inseparabilia continent accidentia, nihil in
generum diuisione uel definitione specierum poterit assumi, idcirco quoniam
quae diuisibiles sunt, substantiam generis diuidunt, et quae
constitutiuae sunt, substantiam speciei con- stituunt. quae uero sunt
inseparabilia accidentia, nullius substantiam informant, unde fit ut multo minus
separabilia accidentia ad diuisiones generum uel specierum definitiones
accommodentur; omnino enim dissimiles sunt substantialibus differentiis,
nam inseparabilia accidentia hoc fortasse habent commune cum specificis, hoc
est substantialibus differentiis, quod aeque subiectum non relinquunt, sicut
nec specificae differentiae, separabilia autem accidentia ne hoc quidem;
sepa- 1 diuisae Gm1 eaedemque] H (hee-)
NP eaedem C igitur eaedem (eaedem s. l. Lm2 ) quae
(que E ) sunt EGLR constitutiuae specie- rum C 2
quare—constitutiuae om. EGLR quare iure] iure igitur P
4 diuisionem HLm2P et] uel R definitionem (uel
diff-) HL ( s. l . ał constitutione] P diuisione
Em1 6 eius Em1 7 post definiri add .
oportet CN, s. l . (scil. add.
E ) EL quibus—definitur om. EGLR, in mg. Pm2 hisdem
CHN 9 solae s. l. Em2 10 post , in om. HN
12 continent] concedunt EG, s. l . uel faciunt Gm1? 13
post uel add . in L 16 sub- stantiam] HN, om. Em1
, speciem CGLm1R (post informant) s. l. Em2 , speciei
substantiam Lm2P edd . 17 formant H multo om. C
18 ad diuisiones—accidentia (20) in inf. mg. Gm2 definitiones]
diuisiones Em1G 19 ante substantialibus add .
a HN, recte? 22 ante quod add. id H (linea
del., sed linea er. uid.) N ad quod aeque s. l. ał quod hae
similiter L sic G (ut er .) L (ut del.
m2) 23 ne] nec LN rari enim possunt, nec tantum
potestate et mentis ratiocinatione, sed actus etiam praesentia, et omnino
ueniendi uel discedendi uarietatibus permutantur. Quas etiam determinantes
dicunt: differentia est qua abundat species a genere, homo enim ab
animali plus habet rationale et mortale : animal enim neque ipsum nihil
horum est nam unde habebunt species differentias? neque enim omnes oppositas
habet nam in eodem simul habebunt opposita —. sed, quemadmodum probant,
potestate quidem omnes habet sub se differentias, actu uero nullam, ac
sic neque ex his quae non sunt, aliquid fit neque opposita circa idem
sunt. Specificas differentias definitione concludit dicens
substantiales differentias a quibusdam tali descriptionis ratione finiri
: differentia specifica est qua abundat species a genere, sit enim genus
animal, species homo : habet igitur homo differentias in se, quae eum constituunt,
rationale atque mortale; omnis enim species constitutiuas formae suae
differentias in se retinet nec praeter illas esse potest, quarum
congregatione perfecta est. si igitur animal quidem solum genus est, homo
uero est animal rationale mortale, plus habet homo ab animali id quod rationale
est atque mortale, quo igitur abundat species Porph. Boeth. nec] non
brm 4 Quae h m1 dicuntur A m1 est add
. \ m2 5 que Em1 quae Ga.c . abundant (ha-
G ) Em1G a om. N ho-
mo—-nullam (11) ] R Q , om. cett . ab om . ΓΦ 6 enim] enim
tamen R autem A 7 horum nihil Γ 8 enim om . Φ , add . & m2
, autem er . T : Porph. p. 11, 3 ούτε ίί ; enim pro
autem; cf. ad p. 16, 15; an autem ( cf. T )
Boethius scripsit ? opposita R habet] habent cett
. codd. et edd . 9 nam] nec R habebit Φ ( post opposita), non habe- bunt Δ 11 habet] P p.c . Φ*Γ habent cett . ac sic om. N
sic ex si Em2G 12 hiis Φ sint Sa.c . opposita] ex oppositis quae R h m1
13 circa idem sunt] Porph. &pa περί τό αΰτο εσται 15 diffiniri
Pm2R 19 constitutiuae Em1GLp.c.Rm1 in se om. C
est uero E 23 id] id est EGP a genere, id est quo
superat genus et quo plus habet a genere, hoc est specifica differentia, sed
huic definitioni quae- dam quaestio uidetur occurrere habens principium ex
duabus per se propositionibus notis, una quidem, quoniam duo con- traria
in eodem esse non possunt, alia uero, quoniam ex nihilo nihil fit. nam neque
contraria pati sese possunt, ut in eodem simul sint, nec aliquid ex nihilo fieri
potest; omne enim quod fit, habet aliquid unde effici possit atque formari,
quae pro- positiones talem faciunt quaestionem, dictum est differentiam
esse id qua plus haberet species a genere, quid igitur? dicendum est genus eas
differentias quas habent species, non habere? et unde habebit species
differentias quas genus non habet? nisi enim sit unde ueniant, differentiae in
speciem uenire non possunt, quodsi genus quidem has differentias non
habet, species autem habet, uidentur ex nihilo differentiae in speciem
conuenisse et factum esse aliquid ex nihilo, quod fieri non posse superius
dicta propositio monstrauit. quod si differentias omnes genus continet,
differentiae autem in contraria dissol- uuntur, fiet ut rationabilitatem atque
inrationabilitatem, mor- talitatem atque inmortalitatem simul habeat
animal, quod est genus, et erunt in eodem bina contraria, quod fieri non
potest, neque enim sicut in corpore solet esse alia pars alba, alia nigra, ita
fieri in genere potest; genus enim per se conside- ratum partes non habet, nisi
ad species referatur, quicquid igitur habet, non partibus, sed tota sui
magnitudine retinebit, nec illud dubium est, quin in partibus suis genus
habeat 1 post , quo] quod Em1 (quid m2 ) GHm1R
a om. H 2 hoc—dif- ferentia om. C huic] hunc
Em1N 4 per se ante notis brm unam GHa.r.
5 aliam C (sic) Ha.r. post quoniam add . quidem
C 6 sit C nec N 10 id om. R qua]
quod GHLm1P; cf. p. 270, 12 dicen- dumne Lm2 11
genus ante non habere HNP habent] habet Lm2
12 habet] habebit CEGLm1, in mg. Rm2 (om. m1) 13 ueniunt
R 15 uidetur GLm1P differentia EGL ( ex
-tiasj P 16 esse] est CLP aliquando Em1 18
contrarium HLm2NPm1 contrario R 19 mortalitatem atque
inmortalitatem] CNP, s. l. Lm2, om. cett . 22 esse post
alba N, post alia P 25 detinebit N
in] HNP, s. l. Lm2, om. cett . contrarietates, ut animal in
homine rationabilitatem, in boue contrarium. sed nunc non de speciebus
quaerimus, de quibus constat, sed an ipsum per se genus eas differentias quas
habent species, habere possit atque intra suae substantiae ambitum continere,
hanc igitur quaestionem tali ratione dis- soluimus. potest quaelibet illa
res id quod est non esse, sed alio modo esse, alio uero non esse, ut Socrates
cum stat, et sedet et non sedet, sedet quidem potestate, actu uero non sedet.
cum enim stat, manifestum est eum non agere sessi- onem, sed potius standi
inmobilitatem. sed rursus cum stat, sedet, non quia iam sedet, sed quia
sedere potest; ita actu quidem non sedet, potestate uero sedet. et ouum animal
est et non est animal. non est quidem animal actu, adhuc namque ouum est nec ad
animalis processit uiuificationem, sed idem tamen est animal potestate, quia
potest effici animal, cum formam ac spiritum uiuificationis acceperit.
ita igitur genus et habet has differentias et non habet, non habet quidem actu,
sed habet potestate. si enim ipsum per se animal consideretur, differentias non
habebit, si autem ad species reducatur, habere potest, sed distributim atque ut
eius speciebus separarim nihil possit euenire contrarium. ita ipsum genus
si per se consi- 1 post homine s. l . habet E,
post rationabilitatem Lm2 2 nunc om. EGR, s. l.
Lm2 4 suae intra C 6 quaelibet illa res] HLm2NPm1
quaelibet res ( res s. l. E) CEPm2 quidlibet Lm1R
quodlibet G 7 alio uero non esse om. Hm1, s. l . alio non esse m2 8
secund . sedet om. CEGR 9 enim om. CEGLPm1 (s. l .
autem m2) R sessione G 10 mobilita- tem
CEGLm1P mobilitate N cum stat in constat
mut . ERm2 13 actu om. EG 14 neque CL
ad om. E animal G animalis quidem L
spiritum] speciem CHR genus et] ELm2NP et genus
et H genus CGLm1R 17 non habet quidem—potestate] habet
quidem potestate sed non habet ( habet om. C) actu CEm2P
habet quidem actu sed non habet potestate Em1G 18 consideretur]
quis (s. l.) consideret E 19 autem] enim R
reducat E distributim] HLm2PRm2 distri- butum CN
distribute EGLm1 distributam Rm1 atque—contrarium] atque in
species separatum ( separatim H) ut nihil possit esse (
euenire H) contrarium CHN, add. locum atque ut
eius—contrarium C nihil] et nihil G 21 si ipsum genus
HN deretur, differentiis caret; quod si ad species referatur, per
distributas species uel in partibus suis contraria retinebit, atque ita nec ex
nihilo uenerunt differentiae quas genus retinet potestate nec utraque contraria
in eodem sunt, cum contrarias differentias in eo quod dicitur genus, actu
non habet, inpos- sibilitas enim eius propositionis quae dicit contraria in
eodem esse non posse, in eo consistit quod contraria actu in eodem esse non
possunt, nam potestate et non actu duo contraria in eodem esse nihil impedit,
quae uero nos contraria diximus, Porphyrius opposita nuncupauit. est enim
genus contrarii oppositum : omnia enim contraria, si sibimet ipsis
considerantur, opposita sunt. Definiunt autem eam et hoc modo :
differentia est quod de pluribus et differentibus specie in eo quod quale
sit PREDICARE; rationale enim et mortale de homine PREDICATO in eo quod quale
quiddam est homo dicitur, sed non in eo
quod quid est. quid est enim homo interrogatis nobis conueniens est dicere
animal, quale autem animal inquisiti, quoniam ratio- nale et mortale est,
conuenienter adsignabimus. Tres sunt interrogationes ad quas
genus, species, differentia, proprium atque accidens respondetur, haec autem
sunt : quid 13—20] Porph. p. 11, 7—12 (Boeth. p. 37, 6-12). 1
species] differentias H 2 uel om. Lm1 uelut
HLm2 sin eo] id HN quot E 7 actu ante
contraria H, post eodem CLN in eodem esse—in
eodem om. EG 8 post non possunt add . quantum ad
genus potestate solum, quantum ad species actu et potestate Rm2 9
nil L contraria nos C 11 si om. HN, s. l. Cm2 si in semet Lm2P
considerentur CLm2 12 sunt om. HN 13 autem om.
H enim C et om. CEGHNP 2 , ante eam 4
; Porph. p. 11, 7 xo; όντως 14 quae EP
de om. C et om.
CEGLIR; Porph. xat ; cf. infra p. 267, 1 15 ra-
tionale—animal (19) ] R Q , om. cett . 16 praedicatur T
a.c. m1 quid- dam om. ΓΦ 18 homo om. R ΔΦ , s. l . scil, homo \ m2 ; Porph. άνθρωπος 19 post post , animal add . sit
C, ante EG inquisiti] Porph. p. 11, 11 πυνθανομενων 20 et om. CEGLR; Porph. p. 11, 12
xac est om. HNR, s. l . 2 m2 assignauimus E
assignamus G 22 hae Hp.r.LR edd . heede m P
sit, quale sit, quomodo se habeat, nam si quis interroget: quid est
Socrates? responderi per genus ac speciem conuenit aut animal aut homo, si quis
quomodo se habeat Socrates interroget, iure accidens respondebitur, id est aut
sedet aut legit aut cetera, si quis uero qualis sit Socrates interroget,
aut differentia aut proprium aut accidens respondebitur, id est uel rationalis
uel risibilis uel caluus. sed in proprio quidem illa est obseruatio, quod illud
proprium dici potest quod de una specie PREDICARE, accidens uero tale est quod
qualitatem designet quae non substantiam significet, differentia uero
talis est quae substantiam demonstret, interrogati igitur qualis una
quaeque res sit, si uolumus reddere substantiae qualitatem, differentiam
praedicamus, quae differentia numquam de una tantum specie praedicatur, ut
mortale uel rationale, sed de pluribus, quod igitur de pluribus speciebus inter
se differentibus PREDICARE ad eam interrogationem, quae quale sit id de quo
quaeritur interrogat, ea est differentia cuius talem posuit definitionem :
differentia est quod de pluribus 1 se om. G, s. l. E
habet CEGLR 2 per om. H ac N 3 pr .
aut] ut CHm1N post , aut] ut Hm1N habet R, post
habeat del . se habet G 4 iure—legit] differentia aut
legit G aut differentiam * ut (a er.) legit E
differentia respondetur (respondetur etiam R) id est aut sedet aut
legit Lm1 5 aut] et HLm1NP quale H proprio aut
accidenti EGR respondebitur] CLm2P respondebit
EGR respondetur HLm1N 7 pr . uel om. LN uel
risibilis uel caluus] Lm1 edd . uel mortalis uel caluus
CHLmSN uel mortalis uel alicuius EGR uel mor- talis uel
saluus uel caluus Pm1 uel mortalis uel risibilis uel caluus
m2 10 quae non—demonstret] Differentia uero talis est (haec om. L)
quae (que ELm1 atque m2 ) non substantiam significet
(-cat Lm1, add. m1 Differentia uero talis est quae substantiam
significat, del. m2 ). Differentia
uero talis est quae (non add., sed del. E ) substantiam demonstret (at Lm1 )
EGL post significet in mg. Proprium uero est quod non sub-
standam significat H 11 quae] quia R demonstrat
CLm1 inter- roganti R ( extis] quale R 12
constantiae G 13 numquam] non C tantum de una
C 14 sed om. EG, s. l. Lm2 15 quod] quod- si R
16 ad praedicatur in mg . respondetur E 18 pluribus—differen-
tibus] cf. p. 265, 14 specie differentibus in eo quod quale
sit praltdicatur; cuius definitionis causam rationemque pertractans ait;
Rebus enim ex materia et forma constantibus uel ad similitudinem
rtfateriae et formae constituti- onem habentibus, quemadmodum statua ex
materia est aeris, forma autem figura, sic et homo communis et specialis ex materia
quidem similiter consistit genere, ex forma autem differentia, totum autem hoc
animal rationale mortale homo est, quemadmodum illic statua. Dixit
superius differentias esse quae in qualitate speciei PREDICARE, nunc autem
causas exequitur, cur speciei qua- litas differentia sit. omnes, inquit, res
uel ex materia formaque consistunt uel ad similitudinem materiae atque formae
substantiam sortiuntur, ex materia quidem formaque subsistunt 3—10]
Porph. Boeth. post quale add . quid Lm2(in ras.) E (sed er.)
Rm1, del. m2, add . quid post sit s. l. Hm2 4
post similitudinem add . proportionemque LNRQ ( in mg . nempe
communionem Γ ); om. Porph. p. 11, 13 et) ac ΓΔΙΙΨ- , om . L Α2Φ formae] A m2 HI!1- speciei CEGHNPR h m1
specieique L Λ2Φ formae speciei
er. uid . Γ ; cf. Porph. et infra 13 ss . 5 quem-
admodum—differentia (8) ] LR Q , om. cett. post
materia add . quidem edd., recte ut uid.; Porph. μέν 6 aeris] et (s. l. m2) aere (in ras. m2)
Ψ forma] ex ( in al. litt. xV m2 )
forma L xV brm Busse; Porph . εΐϊοος post figura haec Proportionale autem (enim Φ ) dicitur (est Σ ) quod proportionem omnium
specierum teneat (tenet Σ ) id est communionem omnium
partium uel (et T ) specierum quae diuidi (diui- dendo Rhm1
diuidendae Th m2 \l m1 2'l> ) ex ea (eo ΣΣ ) contingunt (con- tingant R ) per (del. Σ ) differentiam figuras ΓΠ m2 diffe- rentiam
figuras \ ) add . LR T m1 h m1 ΑΠΣΦ , om . Ψ , del . T m2 \
m2 7 simi- liter] Busse similiter proportionaliter LR
ll m1 similiter proportionaliterquc ΓΔΙ m2 Φ'Ρρ proportionaliter
2 brm; cf. Porph. p. 11, 15 8 ante genere add . in Γ m2 (ex m1 ) L Σ toto Ga.c . 9
ratione E ante mortale add . et CEGHLPR, om . N
Q cum Porph. p. 11, 16 homo est om. N , ex
homine Δ m2 11 differentiam HN 12
praedicaretur HN causis Em1 post cur add . autem
Hm1, del. m2 qualitas speciei H omnis ELm2N
uel om. EGR 14
consistit Ea.c.HLm2 subsistit N 15 sortitur
HLm2N ex om. CEGR formaque] et forma P
omnia quaecumque sunt corporalia; nisi enim sit subiectum corpus quod
suscipiat formam, nihil omnino esse potest, si enim lapides non fuissent, muri
parietesque non essent, si lignum non fuisset, omnino nec mensa quidem, quae ex
ligni materia est, esse potuisset, igitur supposita materia ac praeiacente cum
in ipsam figura superuenerit, fit quaelibet illa res corporea ex materia
formaque subsistens, ut Achillis statua ex aeris materia et ipsius Achillis
figura perficitur, atque ea quidem quae corporea sunt, manifestum est ex
materia formaque subsistere, ea uero quae sunt incorporalia, ad similitudinem
materiae atque formae habent suppositas priores antiquioresque naturas, super
quas differentiae uenientes effi- ciunt aliquid quod eodem modo sicut corpus
tamquam ex materia ac figura consistere uideatur, ut in genere ac specie
additis generi differentiis species effecta est. ut igitur est in
Achillis statua aes quidem materia, forma uero Achillis qualitas et quaedam
figura, ex quibus efficitur Achillis statua, quae subiecta sensibus capitur,
ita etiam in specie, quod est homo, materia quidem eius genus est, quod est
animal, cui superueniens qualitas rationalis animal rationale, id est
speciem fecit, igitur speciei materia quaedam est genus, forma uero et
quasi qualitas differentia, quod est igitur in statua aes, hoc est in specie
genus, quod in statua figura conformans, id in specie differentia, quod in
statua ipsa statua, quae ex aere 2 potest] putem G putemus
R 4 nec om. Gm1
ne EGm2L 5 ma- teria est] fit materia HNP ante
igitur add . si E , sed del . 6 in om. R
ipsa ER figuram Hm1La.r . peruenerit HN 9 corpo-
ralia HNP ex om. C 11 prioris Em1G 12
antiquiorisque G 13 tamquam om. CLP, del. Hm2 ex]
ea GL (in ras. m2) R 14 materia ac figura] brm materia
(in ras. Lm2) forma ac figura (ac figura del. Lm2 ) LP forma
ac figura CEGHRp figura ac forma N 15 generi]
generis EG 16 aes—statua (17) om. N materiae G 17 et
quaedam—statua] CH, om. Lm1 ( in mg . et quaedam figura m2
) P statua (cet. om.) EGR 18 quod] quae edd . 22
et om. EGR, s. l. Lm2 quali- tatis R igitur est (est
s. l. Pm2 ) HNP 23 figura] forma N 24 post
quod add . est igitur Pm2 figuraque conformatur, id in
specie ipsa species, quae ex genere differentiaque coniungitur. quodsi materia
quidem speciei genus est, forma autem differentia, omnis uero forma qualitas
est, iure omnis differentia qualitas appellatur, quae cum ita sint, iure
in eo quod quale sit interrogantibus respondetur. Describunt autem
huiusmodi differentias et hoc modo: differentia est quod) aptum natum est
diuidere quae sub eodem sunt genere; rationale enim et in- rationale hominem et
equum, quae sub eodem sunt genere, quod est animal, diuidunt.
Haec quidem definitio cum sit usitata atque ante oculos exposita, eam
tamen plenius dilucideque declarauit. omnes enim differentiae idcirco
differentiae nuncupantur, quia species a se differre faciunt, quas unum genus
includit, ut homo atque equus propriis discrepant differentiis; nam sicut
homo animal est, ita etiam equus, ergo secundum genus nullo modo
distant. Porph. Boeth. p. 37, 18—38, 1). formatur
CHNP quidem] quaedam CHLm2PR 3 autem] nero N uero]
ergo Lm1 autem N qualitas] HNPm1
qualia CEGLR uel qualis s. l. Pm2 5 ante respondetur
excidisse differentia coni. Brandt 6 post
autem add . et L (del.) R; Porph. p. 11, 18 post
8e add . *αί cod. B
differentias] Em2GHPm1 xV differentiam CLPm2 ΓΛΑΙIΣΦ differentia Em1NR; Porph
,. τάς τοιούτας διαφοράς et] LPR i , om. cett.; Porph. *a\ οοτως 7 qua CG actum R
natura] HL (del. m2) ΓΑΛΠΦ om. cett.; Porph. πεφοχος;
ante quae add. ea Γ2 , s. l. A m2 , del. m. al. ,
illa s. l. Δ m2 genere sunt ΣΑΨ
rationale—sunt genere om. EG 9 et equum] equnmque C 10
diuidit L 11 cum—oculos in mg. E sit usitata] sita sit
situr (sic) Em1 ita sit m2 situ sit sita G
ante om. HNR, s. l. Lm2 oculis HN 12 post exposita add.
superius R ea GNR plenius dilucideque declarauit]
(claruit Em1Gm1 ) CEm2Gm2 plenius dilucideque
declarauit L plenius lucidinsque declarauit Hm2 plenius
dilucidiusque claruit R exempli insuper luce declarauit ( ex
decla- ruit N ) NP plenius dilucideque exempli insuper luce
declarauit Hm1 exempli insuper luce reserauit edd . 13
species ase differre] specie ( ex specierum, sequ. rasura )
differentiam E species in aere differentiam G species
ase differentiae Lm1 14 a] ad R concludit N
nam in ras. Lm2 sed EG quae igitur secundum genus
minime discrepant, ea differentiis distribuuntur, additum enim rationale quidem
homini, inratio- nale uero equo equus atque homo, quae sub eodem fuerant
genere, distribuuntur et discrepant, additis scilicet
differentiis. Adsignant autem etiam hoc modo: differentia est qua
differunt a se singula; nam secundum genus non differunt, sumus enim mortalia
animalia et nos et inrationabilia, sed additum rationabile separauit nos ab
illis, et rationabiles sumus et nos et dii, sed mortale adpositum disiunxit nos
ab illis. Vitiosa ratione et non sana quod uult explicat definitio
quorundam. id enim esse dicunt differentiam qua una quaeque res ab alia distet,
in qua definitione nihil interest quod ita dixit an ita concluserit :
differentia est id quod est differentia, etenim differentiae nomine in eiusdem
differentiae usus est 5—10] Porph. p. 11, 21—12, 1 (Boeth. p. 38,
1—5). 2 describuntur EG post equo
distinguunt edd., post equus expec- tatur igitur’
Schepps , additum eqs. nominatiuum absolut . (cf. indicem Meiseri)
interpretatur Brandt qui Lm2P 5 autem om .
\, del. Lm2 A. m2 etiam om. H etiam et
Λ eam et Ν Σ ; Porph. p. 11, 21 St καί 6
qua] Porph. διαφορά έσχιν δχψ διαφέρει έκασχα; ‘an
quo?’ Busse, sed cf. infra p. 271, 1.7. 18. 272, 17 . 6 nam—ab illis (9) ] LR Q
, om. cett. post nam add . homo et equus cum Porph.
edd. (cf. etiam infra p. 271, 9. 12, sed etiam supra p. 269, 9) , etiam
Bussio homo atque equus addendum uid . 7 enim] autem Γ 8 inrationalia ( uel irr-) R ?ΓΠ (in ras.) ros. ex -bilia Δ sed—illis (9) om. R ratio- nabile]
p.r rationale \ a.r. et cett . separauit] disiunxit ΓΦ 9 et] CHP, s. l. er. uid. Δ , om. cett . rationabiles] L \ m1 2
rationale CP rationales cett., add . enim ΕGΗ ΑίΙΦΨ ; codd. Porph. aut λογικοί aut λογικά sumus om. CEGHP;
Porph . έσμέν et nos om. E et om. N di C dei ut
uid . 2 sed—ab illis om. EG 11 ante
Vitiosa in ras. Haec E ratione] L edd., om. cett.
(recte?), in ras . est E et om. G sane E (in
ras.) NP explicans HNP non (s. l. m2)
explicat L 12 id] cf. p. 263, 10 13 aliis R
distat HN differt P 14 dixerit Lm2P an]
utrum R concluderit L concludat EGR id quod
est om. E ante differentia add . ipsa ER
differentia om. G 15 etenim om. EGR differentiae nomine] qua
differt una res ab alia, id est id quod est differentia est differentia.
Differentiae nomine fid est—nomine in ras. m2) E in—definitione]
usus in eius diffinitione N definitione dicens : differentia est
qua differunt a se singula, quodsi adhuc differentia nescitur, nisi definitione
clarescat, differre quoque quid sit qui poterimus agnoscere? ita nihil amplius
attulit ad agnitionem qui differentiae nomine in eiusdem usus est
definitione, est autem communis et uaga nec includens substantiales
differentias, sed quaslibet etiam accidentes hoc modo : differentia est qua a
se differunt singula; quae enim genere eadem sunt, differentia discrepant, ut
cum homo atque equus idem sint in animalis genere, quoniam utraque sunt
animalia, differunt tamen differentia rationali, et cum dii atque homines sub
rationalitate sint positi, differunt mortalitate, rationale igitur hominis ad
equum differentia est, mortale hominis ad deum, atque hoc quidem modo
substantiales differentiae colliguntur, quodsi Socrates sedeat, Plato
uero ambulet, erit differentia ambulatio uel sessio, quae substantialis non
est. namque istam quoque dif- ferentiam definitio uidetur includere, cum dicit
: differentia est qua differunt singula; quocumque enim Socrates a Platone
distiterit nullo autem alio distare nisi accidentibus potest —, id erit
differentia secundum superioris terminum definitionis, quam rem scilicet
uiderunt etiam hi qui definitionis huius uagum communemque finem reprehendentes
certae conclusionis terminum subiecerunt. 2 nesciatur Lm2
(non noscitur m1) P definitione] in definitione N 3
qui] LN quomodo CEGPR qui (d er.) H possemus
EG possi- mus R 4 ita om. EGR cognitionem
NPm2, post agnitionem add. a cogitatione Hm1, del. m2, s. l. uel
cognitione m2, del. m. al. set om. EG accidentales Lm2Pm2
9 sunt EGHLm1R in om. GNR et om. EGR
rationabilitate CGLm1 rationale N sunt CEGLm1R 12
positi] post EG post differunt add. tamen L
rationabile L 13 est om. C 15 ambulatio uel om.
EG, s. l. Lm2 16 nam HLm1 ista E quo EGHm1
post differunt add. a se R cumque EG
quoque Rm1 quocumque modo P post enim s. l.
modo Lm2 19 de- stiterit CEm1HPRm2 distauerit m1
post alio s. l. modo Em2 ac- cidentibus] ex
accidentibus P Interius autem perscrutantes de differentia
dicunt, non quodlibet eorum quae sub eodem sunt genere diuidentium esse
differentiam, sed quod ad esse conducit et quod eius quod est esse rei pars
est; neque enim quod aptum natum est nauigare erit hominis differentia, etsi
proprium sit hominis, dicimus enim animalium haec quidem apta nata sunt ad
nauigandum, illa uero minime, diuidentes ab aliis, sed aptum natum esse ad
nauigandum non erat completiuum substantiae nec eius pars, sed aptitudo quaedam
eius est, idcirco, quoniam non est talis quales sunt quae specificae dicuntur
differentiae, erunt igitur specificae differentiae quaecumque alteram faciunt
speciem et quaecumque in eo quod quale est accipiuntur. Et de differentiis quidem ista
sufficiunt. Sensus propositionis huiusmodi est. quoniam superius
dixit determinasse quosdam differentiam esse qua a se singula dis- p.
90 creparent, ait alios diligentius de differentia | perscrutantes
non 1—15] Porph. Boeth. perscrutantes] EGHP perscrutantes et
speculantes cett.; Porph. p. 12, 1 προσεξεργοζόμενοι de differentia] CH (linea
del., sed lin. er.) Σ differentiam cett.
edd. Busse; Porph. p. 12, τά περί τής διαφοράς 2 non] non solum R , quodlibet] quod
habet ELm1 h m1 X , post quod- libet er.
habet 23 diuidentium esse om. X , s. l.
Lm2 sed quod— dicuntur differentiae (12) ] LR Q , om.
cett. 5 aptum] actu R natum om. LR; Porph. p. 12,
4 τδ πεφοχέναι πλεΐν 6 dicimus] Porph. p. 12, 5 εΐποιμεν γάρ dv , unde
dicemus coni. Brandt; infra 12 erunt ειεν άν ; p. 234, 16.
(erit). 17. 235, 2 (erunt) 7 ani- malia A acta
Rm1 nata om. LR 8 aliis] illis A actum
Rm1 natum om. R est R erit h m2 10
neque Busse 11 est om. R quoniam om. LR 12
quae om. Φ igitur] ergo
L 13 alteram— quaecumque om. H
et] ea EG quale in er. quid ut uid. Hm2 quid EG post est
add. esse EG accipiunt EG 15 Et—sufficiunt
om. N Et om. CEGP; Porph. 12,11 Καί de om. EG A diffe- rentiis]
Porph. περί μίν διαφοράς quidem om. H
sufficiant CL X m2; Porph. άρχει 18 alios] ilico EGLa.c. ilico
alios P de differentia] differentiam CLm1P fuisse
arbitratos recte esse superius propositam definitionem, neque enim omnia
quaecumque sub eodem posita genere dif- ferre faciunt, differentiae hae de
quibus nunc tractatur, id est specificae, numerari queunt, plura enim sunt quae
ita diuidunt species sub uno genere positas, ut tamen eorum substantiam
minime conforment, quia non uidentur esse differentiae speci- ficae nisi illae
tantum quae ad id quod est esse proficiunt et quae in definitionis alicuius
parte ponuntur, hae autem sunt ut rationale hominis, nam et substantiam hominis
conformat et ad esse hominis proficit et definitionis eius pars est. ergo
nisi ad id quod est esse conducit et eius quod est esse rei pars sit, specifica
differentia nullo modo poterit nuncupari, quid est autem esse rei? nihil est
aliud nisi definitio, uni cuique enim rei interrogatae quid est? si quis quod
est esse monstrare uoluierit, definitionem dicit, ergo si qua
definitionis pars fuerit, eius erit pars quae unius cuiusque rei quid esse sit
designet, definitio est quidem quae quid una quaeque res 1 positam
EG 2 posita] posita sunt EGL post genere add. quae Lm1, del. m2 3 differentiae—id
est om. CN hae om. H id est om. R, er. uid. H, s.
l. Lm2 nominari HLm2NR 5
earum H 6 quia] quae CH specificae ante
esse H, post N 7 proficiant R et quae] eaeque G
eae quae Em1, del. m2, etiam proxima inponuntur del.
m2in del. Lm2, om. P diffinitiones N
definitionibus EGLm1 aliqua N partes EGLP post
ponuntur add. ut mortalis rationalis Em1, del. m2 hae]
ea EGLm2P 9 et s. l. Lm2 et ad G con-
format—hominis om. EG 11 conducat EHm2Lm2N et eius— pars
sit] N et eius quod ( add. quid Rm1, del. m2 , quidem
ex quid Hm2 , del. m3 ) est esse rei pars sit (est Hm1)
HR et eius rei quod est (est del. Lm2 ) esse pars est (est
om. Lm1, s. l. sit m2) CL et eius quod quidem esse rei pars
est P eius rei quod quidem (aliquid add. E) EG 13 esse om. G, ante
autem H nihil del. Em2 est s. l. Lm2Rm2
esse E (del. m2) G unius cuiusque R 14 interrogatae] ad
inter- rogationem CHN quis] quid Lm2 quod] id
quod CHNP qua] quid CHN 16 post eius
s. l. rei Lm2 quae] quod HLm1N quid] quod N
sit esse L esse fit G est esse Hm1N 17 designat
Lm2P significet Hm1N est quidem] enim est HN quae
quid] quia N sit, ostendit ac profert, demonstraturque quid
uni cuique rei sit esse per definitionis adsignationem. illae uero differentiae
quae non ad substantiam conducunt, sed quoddam quasi extrin- secus accidens
afferunt, specificae non dicuntur, licet sub eodem genere positas species
faciant discrepare, ut si quis hominis atque equi hanc differentiam
dicat, aptum esse ad nauigandum. homo enim aptus est ad nauigandum, equus uero
minime, et cum sit equus atque homo sub eodem genere animalis, addita
differentia aptum esse ad nauigandum equum distinxit ab homine, sed aptum esse
ad nauigandum non est huiusmodi, quale quod possit hominis formare
substantiam, sed tantum quandam quodammodo aptitudinem monstrat et ad faciendum
aliquid uel non faciendum oportunitatem. Id circo ergo specifica differentia
esse non dicitur, quo fit ut non omnis diffe- rentia quae sub eodem genere
positas species distribuit, specifica esse possit, sed ea tantum quae ad
substantiam speciei proficit et quae in parte definitionis accipitur, concludit
igitur esse specificas differentias quae alteras a se species faciunt per
differentias substantiales, nam si uni cuique id est esse quodcumque
substantialiter fuerit, quaecumque differentiae substantialiter diuersae
sunt, illas species quibus adsunt, omni substantia faciunt alteras ac
discrepantes, atque hae in definitionis parte sumuntur, nam si definitio
substantiam monstrat 1 ostendit om. E ostenditur
N ac er. E, om. N profert om. N demonstratque CLm1
quid] quod Lm1Pm1R quidem quid N 2 per om. EGR, in mg. Lm2 assignatione EG 3
ad om. EΡ quasi om. EGPR 5 faciant om. EG
facient CLm1Rm1 7 homo enim (autem LR )—equus]
HLNR hominem equum (cet, om.) CEGP 10 esse ad—sed
tantum (11) om. EG 11 quale om. EGR, del. Lm2 ante quod
(quid P ) add. per L (del. m2), s. l. Pm2
post substantiam add. sicut rationale quae est substantialis
qualitas C 12 habitudinem Hm1 13 opportunitatem
CR differentia specifica C 18 ante esse
add. eas HΝΡ, s. l. Lm2
quae—differentias om. EGR ad faciunt s. l.
1 informant Lm2 19 differentias ex
distantias Lm2 idem est ( in ras. m2 ) esse
H idem esse est R 21 sint Hm1 omnes
EGP 22 substantias P substantiae Hm1 substantiae
ratione N et substantiales differentiae species efficiunt,
substantiales dif- ferentiae erunt partes definitionum. Proprium uero
quadrifariam diuidunt. nam et id quod soli alicui speciei accidit, etsi
non omni, ut homini medicum esse uel geometrem, et quod omni accidit, etsi non
soli, quemadmodum homini esse bipedem, et quod soli et omni et aliquando, ut
homini in senectute canescere, quartum uero, in quo concurrit et soli et omni
et semper, quemadmodum homini esse risibile, nam etsi non semper rideat, tamen
risi- bile dicitur, non quod iam rideat, sed quod aptus natus sit; hoc autem ei
semper est naturale et equo hinnibile, haec autem proprie propria perhibent
esse, 3—p. 276, 2] Porph. (Boeth.
et om. EG, s. l. Pm2 2 erunt post partes
Lm2 sunt m1 sunt post definitionum CGR, s. l.
Em2 3 DE PROPRIO om. H, add. Lm2 EXPLICIT DE DIFFEREN.
(DIFFERENTIIS Ψ ) INCIPIT DE PRO- PRIO
2<F 4 et s. l. C 5 hominem R h m1 A 6
uelut H geo- metram CEm1G edd. Busse et quod—perhibent
esse (14) ] LR ( locum hic om., p. 277, 7
post adest inserit) Ω , om. cett.
omni] Porph. p. 12, 14 παντί—τφ εϊδει 7 etsij et R T m1 ante
homini add. et R 8 homini] Porph. όνΟ-ρώπψ παντί , unde homini omni coni.
Busse 9 post uero add. est Φ in quo concurrit et del., in mg.
conuenit T m2 10 hominem R Σ 11 risibilem R ΓΣΦ ; Porph. ώς τψ άνθρώπψ τό γελαστιχόν non semper rideat]
L Σ non rideat ΓΑ non ridet ( hic ut uid. s. l. semper
add., sed er. \ ) R AIIΨΨ semper non rideat
Busse non rideat semper edd.; Porph. p. 12, 18 χαν γάρ μή γελά αεί risibile tamen L Λ edd. Busse; Porph. άλλα γελαστιχο'ν 12 iam] semper Σ edd.; Porph. άεί , cod. Mm2 ί)Bη rideat—natus sit om. Φ 13 sit natus R, add. ad ridendum R ΓΑ ridere Σ,
ante sed add. ridendum Φ ; om. Porph.
semper ei est naturale L semper est ei naturale Γ ei
semper naturale est Σ ante et add. ut (om.
etiam B Bussii) edd. Busse ; Porph. p. 12, 20 ώς , om.
cod. A 14 autem] Porph. 81 xai , om.
xai cod. A proprie—esse] L Λ (esse s.
l. m2 ) Σ (esse om. ), proprie domi- nanterque
(nominantur T m2 ) propria perhibentur (perhibentur del.
Γ m2 ) ΓΦ proprie nominantur (nominant Π )
propria R ΔΙΙ uere dicuntur propria Ψ ; Porph.
χυρίως ΐßιά φασιν quoniam etiam conuertuntur. quicquid enim
equus, hinnibile, et quicquid hinnibile, equus. Superius dictum est omnia
propria ex accidentium genere descendere, quicquid enim de aliquo praedicatur,
aut substan- tiam informat aut secundum accidens inest. nihil uero est
quod cuiuslibet rei substantiam monstret nisi genus, species et differentia,
genus quidem et differentia speciei, species uero indiuiduorum. quicquid ergo
reliquum est, in accidentium numero ponitur, sed quoniam ipsa accidentia habent
inter se aliquam differentiam, idcirco alia quidem propria, alia
priore atque antiquiore nomine accidentia nun|cupantur. et de accidentibus
paulo post, nunc de propriis, quae quadrifariam diui- duntur, non tamquam genus
aliquod proprium in quattuor species diuidi secarique possit, sed hoc quod ait
diuidunt, ita intellegendum est, tamquam si diceret nuncupant, id est
propria quadrifariam dicunt, cuius quadrifariae appellationis significationes
enumerat, ut quae sit conueniens et congrua nuncupatio proprietatis ostendat,
dicit ergo proprium accidens quod ita uni speciei adest, ut tamen nullo modo
coaequetur ei, sed infra subsistat ac maneat, ut hominis dicitur proprium
medicum esse, idcirco quoniam nulli alii inesse ani- 3 superius eqs.]
fort. enim equus om. N equus—equus CEGHNP U ( sed add.
et si homo, risibile, si risibile, homo est] cum Porph. p. 12, 21, post
pr. equus add. et R A est et L est
etiam est et (sic) Φ equus est et hinnibile
est (est s. l. F\ m2 ) et quicquid hinnibile equus est ΓΔ est equus est hinni- bile et quicquid est
hinnibile est equus ( quattuor est s. l. m2 ) Ψ equus est hinnibile et quicquid hinnibile est
equus est et si homo est risibile est et risibile homo est 2 4
alio N 6 ante species add. et Lm1,
del. m2 7 et om. R genus—diiferentia om. EGR, s. l.
Hm2 11 ante antiquiore add. in ER 12
nunc ex nam Hm2 quadrifarie N in
quadrifariam (-um GP ) EGP diuidunt H (ur
er. ) P (ur del. m2 ) aliquid
CPm1 14 ait om. E ( in mg. dicitur m2 )
G est R diuiduntur EG 15 nuncu- pantur
EGR proprie CEm1G propriam ut uid. Pm1
propriam m2 dicuntur EGHm1La.c.NR quadrifariam
C 18 proprietas Ea.c. (proprii p.c. ) G
dicitur CEHLa.c. (corr. m1 et 2) P ergo om. C
proprium s. l. Cm2 primum m1 20 ei ante
nullo HN ac] et HNP dicimus HN malium
potest, nec illud adtendimus, an hoc de omni homine praedicari possit, sed
illud tantum, quod de nullo alio nisi de homine dici potest medicum esse, et haec
quidem significatio proprii dicitur inesse soli, etsi non omni; soli enim
speciei, etsi non omni coaequatur, ut medicina soli quidem inest homini, sed
non omnibus hominibus ad scientiam ad- est. Aliud proprium est quod huic e
contrario dicitur omni, etsi non soli; quod huiusmodi est, ut omnem quidem
speciem contineat eamque transcendat, et quoniam quidem nihil est
sublectae speciei quod illo proprio non utatur, dicimus omni, quoniam uero
transcendit in alias, dicimus non soli: hoc huiusmodi est quale homini esse
bipedem, proprium est enim homini esse bipedem, omnis enim homo bipes est
etiamsi non solus, aues enim bipedes sunt, geminae igitur significationes
proprii quae superius dictae sunt, habent aliquid minus, prima quidem quia non
omni, secunda uero quia non soli, quas si iungimus, facimus omni et soli, sed
demimus aliquid secundum tempus, si ei adiciatur aliquando, ut sit haec tertia
proprii nuncupatio ‘omni et soli, sed aliquando, ut est in senectute
canescere uel in iuuentute pubescere; omni enim homini adest in iuuentute
pubescere, in senectute canescere, et soli, pubescere enim solius hominis est,
sed ali- 1 hoc om. EG homini EN quod] quia HN
nisi de homine post esse N 3 medicus Hm1N 4
inesse] CP, s. l. Hm2Lm2, om. EGR inest N
etiamsi Em2 (et m1) Hm1LR etiamsi
EHm1L (repet, post inest) PR coaequetur Em2Hm1
ante medicina add. homini H (del. m2) LNR
homini om. NR, s. l. Hm2 adest] adesse potest CLN
potest esse H; de R cf. ad p. 275, 6 7 est ante
aliud HN, post CG, om. E
8 etiamsi HLNR quid HN 10 quod illo—non soli
in inf. mg. Em2 post
dicimus add. enim C 11 aliis Em2G 12 hoc]
id N post quale add. est s. l. Hm2, post
homini CG hominis R, post homini add.
proprium Em2 enim in mg. Em2 14 etiamsi—geminae
om. EGR 17 sed Hm2 si m1 demimus]
HN deminus Cm1 i demimus ί deest minus m2 dempsimus R
dedimus Em1 (addimus m2) G deest minus
LP 18 eis HLP ei post adiciatur
N omni et soli] et soli et
omni C sed] si G 21 post. in] et in
HN 22 est hominis HN quando, neque enim omni tempore,
sed in sola tantum iuuen- tute. haec igitur determinatio proprii in eo quidem
modo quod omni et soli inest, absoluta est, sed ex eo minuit aliquid uel
contrahit, cum dicimus aliquando, quod si auferamus, fit pro- prii integra
simplexque significatio hoc modo : proprium est quod omni et soli et
semper adest, omni autem et soli speciei et semper intellegendum est ut homini
risibile, equo hinnibile; omnis enim et solus homo risibilis est et semper.
neque illud nos ulla dubitatione perturbet, quod semper homo non rideat; non
enim ridere est proprium hominis, sed esse risibile, quod non in actu,
sed in potestate consistit, ergo etiamsi non rideat, quia ridere tamen posse
soli et omni homini semper adesse dicitur, conuenienter proprium nuncupatur,
nam si actus separatur ab specie, potestas nulla ratione disiungitur.
Quattuor igitur significationes proprii dixit, nam prima quidem,
quando accidens ita subiectae speciei adest, ut soli ei adsit, etiamsi non
omni, ut homini medicina; secunda uero, 1 in om. EGR, s. l. L,
post tantnm P tamen L post iunentnte add.
pubescit N 2 post proprii add. integra
simplexque significatio GHP (del. m1? ex 5) in eo—fit proprii
om. R modo om. N, del. Lm2 inest om.
EG est Lm1 minus La.c. minui N
minuens P aliquid uel] atque significationem in ras.
Em2 uel] CNP et GL, om. ΕH 4 quod] quam N simplexque] et
simplex HLNR proprii R 6 soli et omni N
secund. et om. GLR, s. l. Pm2 omni
autem—intellegendum est om. Rbrm 7 et semper om. EGR, del.
Lm2, s. l. Hm2Pm2 intellegendum est del. et s. l. adest
scr. Hm2, in mg. quod soli et omni adest m. al. 8 post.
et om. EGPR post semper add. similiter et
equus hinnibile brm 9 illud Hm2 enim Hm1N 10
proprium est NPR sed] si est R esse del. Lm2 est R 11 sed] si R
12 si non rideat etiam C quia om. N, s. l. Hm2
tamen om. R autem HN possit La.c.N
potest Em2 post omni add. adsit H (del. m2)
adest N 13 ante semper s. l. et Hm2
semper om. R ante conuenienter add. et H (er.) L
(del. m2) NP 14 si] etsi Hm1Lm1N separetur Em2
a C 15 proprii om. EG nam prima] unam CHm1 (primam m2)
N nam (s. l.) primam
P homini medicina] hominem esse medicum C secundam CHN;
in mg . ał. se- cunda autem cum omni accidit etsi non soli ut homini esse
bipedem add. L uero] autem CL (in mg.) cum soli
quidem non adest, omni uero semper adiungitur, ut homini esse bipedem; tertia
uero, cum omni et soli, sed aliquando, ut omni homini in iuuentute pubescere;
quarta, cum omni et soli et semper adest, ut esse risibile, atque ideo
cetera quidem conuerti non possunt : neque enim coaequatur quod soli, sed non
omni speciei adest, species quidem de ipso dici potest, ipsum uero de specie
minime, qui enim medicus est, potest dici homo, homo uero qui est, medicus esse
non dicitur, rursus quod ita est alii proprium, ut omni adsit etiamsi non
soli, ipsum quidem de specie PREDICARE potest, species uero de eo minime, nam
bipes praedicari de homine potest, homo uero de bipede nullo modo, rursus quod
ita adest, ut omni et soli, sed aliquando adsit, quoniam de tempore habet
aliquid deminutum nec simpliciter semper adest, reciprocari non poterit,
possumus enim dicere omnis qui pubescit homo est, non omnis homo pubescit:
potest enim minime ad iuuentutem uenire atque ideo nec pubescere; nisi forte
non sit pubescere hominis proprium, sed in iuuentute pubescere, aut, etiam cum
nondum est in iuuentute aut etiam praeteriit, tamen sit ei proprium non
tale quale tunc fieri possit, cum praeter iuuentutem est, sed quale cum in
iuuentute consistit, atque ideo hoc 1 cum] quae N soli —adiungitur
del. Hm2 omni accidit etsi non soli CHm2L semper s. l.
Hm2 2 hominem C tertiam CHN soli et omni
N omnio m. LNR homini om. N quartam CG (sic) HN 4
post. et om. EG, add. Pm2 inest CHm1N ideo
om. E adeo HLR
coaequantur HN 6 quodj quia cum Hm1N non omni sed
soli N sed] si R 7 qui enim—dici homo om. EGR 8 homo dici
C 9 ad alii s. l. a t illud L, post
add. una pars R de homine praedicari C 13 adest
ex est Em2 distat Hm1 assit ex sit
Hm2 14 diminutum EN nec] et Hm1 non] non tamen
dicimus L homo] qui est homo L qui homo est (qui
et est s. l. m2) H 18 ante sed add.
solummodo Hm2, ante in CN, post post. pubescere
L aut] Hm2La.c.Pm2 ut EGHm1Lp.c.Pm1R autem
CN 19 cum] Hm1NR quod CEGHm2LP etiam s. l.
Hm2 iam Em1 20 sit] adsit CHN ei om. G fieri om. C, in ras. Lm2 fieri
possit del., est s. l. scr. Hm2 potest L
(in ras. m2) P est C 21 post quale
add. tunc fieri potest (posset CHLm1N) CH (s. l. m2) LNP
quod non in omne tempus tenditur, etiamsi tale est, ut omni p.
92 speciei adsit, quod ta|men in tempus aliquod differatur, integrum
atque absolutum proprium esse non dicitur, quartum est quod ita alicui adest,
ut et solam teneat speciem et omni adsit et absolutum sit a temporis
condicione, ut risibile quod a superiore plurimum distat; nam qui risibilis
est, semper ridere potest, rursus qui potest in iuuentute pubescere, cum ipsa
iuuentus non sit semper, non ei adest semper ut in iuuentute pubescat, haec
autem quarta proprii significatio quoniam nulla temporis definitione
constringitur, absoluta est atque ideo etiam conuertitur et de se inuicem
proprium atque species praedicantur; homo enim risibilis est et risibile
homo. Accidens uero est quod adest et abest praeter sub- iecti
corruptionem, diuiditur autem in duo, in separa- bile et in inseparabile,
namque dormire est separabile accidens, nigrum uero esse inseparabiliter coruo
et Aethiopi accidit, potest autem subintellegi et coruus albus et Aethiops
amittens colorem praeter subiecti corruptionem, definitur autem sic quoque;
accidens est 13—p. 281, 7] Porph. p. 12, 23—13, 8 (Boeth. p. 39,
10—21). 1 quod] quia HN 2 speciei] tempori
EGR aliquid C 4 alicui om. EG, del. Hm2 ali
R alii Lm1 pr. et om. EGLR post. et] ut
La.c.R 5 post. a s. l. Hm2 6 qui ex
quod Lm2 7 ante cum add. sed CH (del.
m2) NP, s. l. Lm2 8 adest] est EGR in iuuentute deleri
uult Hilgard 9 quoniam] quam EGLm2P 10 definitio ( uel difd–)
EGLm2R constringit EG 11 et de se] et ideo de se
P de se om. R De specie EG 12 risibile
C et om. EGHR 13 inscript. om. HL K
ACCIDENTE ΝR ΔΣ 14 uero om.
A 15 diuiditur—sub- sistens (p. 281, 3) ] LR Q ,
om. cett. duobus L 16 in om. Φ nam A Busse amittens
colorem] A m1 T" nitens colore c ett. edd. Busse;
Porph. άποβαλών τήν χροιάν; cf. supra p. 101,
13 corruptionem subiecti LR ϋίΓΦ ; codd. Porph.
φθοράς aut ante
τοΰ υποκειμένου aut
post; definitur] Porph. p. 13, 3 ορίζονται quod contingit eidem esse et non esse, uel
quod neque genus neque differentia neque species neque proprium, semper autem
est in subiecto subsistens. Omnibus
igitur determinatis quae proposita sunt, dico autem genere, specie,
differentia, proprio, accidenti, dicendum est quae eis communia adsint et quae
propria. Quouiam, ut superius dictum est, quae de aliquo PREDICARE, uel
substantialiter uel accidentaliter dicuntur cumque ea quae
substantialiter PREDICARE, eius de quo dicuntur substantiam definitionemque
contineant et sint eo antiquiora atque maiora, quod ex substantialibus PREDICATO
efficiuntur, cum ea quae substantialiter dicuntur pereunt, necesse est ut simul
etiam ea interimantur quorum naturam substantiamque formabant, quae cum
ita sint, necesse est ut quae accidenter dicuntur, quoniam substantiam minime
informant, et adesse et abesse possint praeter subiecti corruptionem, ea enim
tantum cum absunt subiectum corrumpere poterunt, quae efficiunt atque
conformant quae sunt substantialia, quae uero 8 superius] p. 276,
4. 1 contigit - R
A ante pr. esse add. et R, s. l. \ m2; om. Porph.
p. 13, 4 post. et] uel L ( post uel littera
er. ) edd.; Porph. η , codd. CM
nat 2 post genus s. l. est A m2 neque
species neque differentia ΔΔΣ edd. Busse;
Porph. οοτε διαφορά οϋτε είδος post proprium add. sit
LR 3 consistens Λ 4 praeposita Δ m1 5 dico—accidenti om. Γ propria Φ proprio et L ΔΑΣ accidente H et accidenti L A
m2 (et accidente m1 ) ΛΣ de accidenti
EG 6 eis] his CHP hiis Φ uel his R , om. EG; Porph.
p. 13, 7 αΰτοϊς adsint] sint
R sunt L Λ m1 ηιΙΧΣ ; Porph. πρδσεοτιν et om. G 7 post
propria add. EXPLICIT DE GENERE SPECIE DIF- FERENTIA PROPRIO
ACCIDENTE Σ 8 ut om. EG alio CEGR 9
accidentialiter CP accidenter HR dicuntur] praedicantur
R cum EG 11 definitione EG maiora atque
antiquiora C 12 quod] quia R substantialiter CN
efficitur CHm2LN 13 cumque N , post cum s.
l. accidenter E intireunt P an informabant?
acci- dentaliter Lm2 16 et om. EGR, s. l. Lm2 abesse et
adesse H 17 possunt N tantum enim C 18
perrumpere E potuerunt LR 19 informant HN
non efficiunt substantiam, ut accidentia, ea cum adsunt uel absunt, nec
informant substantiam nec corrumpunt, est igitur accidens quod adest et abest
praeter subiecti corruptionem, id autem diuiditur in duas partes, accidentis
enim aliud est separabile, aliud inseparabile, separabile quidem dormire,
sedere, inseparabile uero ut Aethiopi atque coruo color niger. in qua re
talis oritur dubitatio. ita enim est definitum : accidens est quod adesse et
abesse possit praeter subiecti corruptionem. idem tamen accidens aliquando
inseparabile dicitur; quod si inseparabile est, abesse non poterit, frustra
igitur positum est accidens esse quod adesse et abesse possit, cum sint
quaedam accidentia quae a subiecto non ualeant separari, sed fit saepe ut quae
actu disiungi non ualeant, mente et cogitatione sepa- rentur. sed si animi
ratione disiunctae qualitates a subiectis non ea perimunt, sed in sua
substantia permanent atque perdurant, accidentes esse intelleguntur, age
igitur, quoniam Aethiopi color niger auferri non potest, animo eum atque
cogitatione separemus, erit igitur color albus æthiopi, num idcirco species
consumpta sit? minime, item etiam coruus, si ab eo colorem nigrum imaginatione
separemus, permanet tamen auis nec interit species, ergo quod dictum est
et adesse et abesse, non re, sed animo intellegendum est. alioquin et sub-
stantialia, quae omnino separari non possunt, si animo et cogi- tatione
disiungimus, ut si ab homine rationabilitatem auferamus 1 cum—absunt] uel
cum adsunt uel cum absunt H uel cum absunt uel cum adsunt
N cum uel (uel s. l. m2 ) absunt uel adsunt L; ante
assunt (sic) add. uel P 3 ante adest
add. et P 4 dinidunt EGLR accidens
edd. aliud est enim H ante dormire add. ut brm 6 ut
om. HR edd. 7 dubietas CEG (recte?) post. est add.
Hm2 8 et] uel N potest CL 9 dicit EG
11 abesse-et adesse E 12 ab CRm1 14 animi] hac
C 15 eas EGN permaneant G ac R 16 acciden-
ter CG intellegantur Em1 igitur] enim HN 17
eum om. G, ante separemus C , uero E atque]
et HLNPR 18 num ex non Rm2 19 consumptae
(consumpta R ) sunt EGLR edd. ita CEP 20
imagine EGR 21 interiit Lm1PR pr. et om. EGR, s. l. Lm2
22 et om. CEG 23 si] saepe Hm1LNP 2t
rationalitatem P — quam licet actu separare non possumus,
tamen animi imaginatione disiungimus —, statim perit hominis species, quod idem
in accidentibus non fit: sublato enim accidenti cogitatione species manet. Est
alia quoque accidentis definitio ceterorum omnium priuatione, ut id dicatur
esse accidens quod neque genus sit neque species nec differentia nec proprium;
quae definitio plurimum uaga est ualdeque communis. sic enim etiam genus
definiri potest, quod neque species neque differentia nec proprium sit nec
accidens, eodemque modo species ac differentia et proprium, cum autem
eadem similitudine definitionis plura definiri queant, non est terminans et
circumclusa descriptio, praesertim cum longe sit a definitionis integritate
seiunctum quod cuiuslibet rei formam aliarum rerum negatione
demonstrat. Quibus omnibus expeditis, id est genere, specie, differentia.
proprio atque accidenti, descriptisque eorum terminis quantum postulabat
institutionis breuitas, ea ipsa communiter pertrac- tanda persequitur, ut quas
inter se habeant differentias haec quinque, de quibus superius disputatum est,
quas uero com- muniones, mediocri consideratione demonstret, ut non
solum 1 separari EG possimus EL post tamen
add. si L, s. l. Hm2Pm2 imaginatione] cogitatione
N statimque C (q. er. ) H (q. del.
m2) N periit PR 3 item CHm1 sit EN (ut
uid.) sublata
EGR enim s. l. Cm2 accidenti om. EGR, post
cogitatione N ante cogitatione er. et
C quoque om. EGP (sic)
accidentis om. C, post definitio R ad
priuatione s. l. quae fit per priuantiam Em2 id
om. EG dicat EGR 6 fit C neque differentia neque
proprium LNR 8 enim om. NR nec ( ante
differentia) CH 9 neque NR sit om. L, post accidens
R neque N 10 proprio HPm1 11 plurima
L queunt EGLm1R termino Ep.c.R et om. EGR 12 ab LR
ac G negatione rerum E
demonstret N post genere add. quidem CP ante
proprio add. et H ante quantum add.
et PR, s. l. Lm2 17 post breuitas repet. expeditis PR,
s. l. Em2 pertractanda om. C retractanda
HNP 18 ante quas s. l. quia Em2 de quibus om. E
disputandum G quas nero] quasue CL quid ipsa
sint, uerum etiam quemadmodum inter se compa- rentur, appareat. quid]
H, m2 in CLP quod NPm1 quae Cm1EGLm1R compa-
rantur E 2 BOEZIO ( BOETI E) V. C.ET I LL .
(EXINI sic E ) EXCONS. ORDINAR. PATRICII IN ISAGOGAS PORPHYRII (
Y ex I Gm2) ID EST INTRODVCTIONEM IN CATEGORIAS A SE
TRANSLA. (sic EG)
EDITIONIS SECVNDAE LIBER IIII. EXPL. ( EXPLICIT’ E) . INCIPIT LIBER
V. EG ; EXPLICIT LIBER ( LIBER om. C) QVARTVS. INCIPIT
LIBER ( LIBER om. HN) QVINTVS CHLNP, add. DE
COMMVNIBVS GENRIS. DIFFER. SPEC. ACCID. ET PROPI N ; EXPLICI
R Expeditis per se omnibus quae proposuit et quantum in unius
cuiusque consideratione poterat, ad scientiae terminum breuiter adductis nunc
iam non de singulorum natura, id est uel generis uel differentiae uel
speciei uel proprii uel acci- dentis, sed de ad se inuicem relatione
pertractat, nam qui communiones ac differentias rerum colligit, non ut sunt per
se res illae considerat, sed ut ad alias comparentur, id autem duplici modo,
uel similitudine, dum communitates sectatur, uel dissimilitudine, dum
differentias, quae cum ita sint, nos quoque, ut adhuc fecimus, propter
planiorem intellectum philosophi uestigia persequentes ordiemur de his
communio- nibus quae adsunt generi et speciei et differentiae uel proprio et
accidenti. Commune quidem omnibus est de pluribus
praedi- Porph. Boeth. p. 40, 1—16). 3 cuiuscumqne
C considerationem Ea.r.G 4 id est om. N, add.
Rm2 5 pr . uel om. P secund. uel] et
P 6 nam quia R namque Hm1N 7 sunt. om. C 8
ille GLNP, post illae s. l. sint Cm2 ut om.
R ad s. l. LRm2 post alias add. qualiter
CHPR, s. l. Lm2 comparantur EGHm2, recte? cf.p. 284, 1 post
autem s. l. fit Cm2L, in mg. Em2, post
duplici s. l. Pm2 9 dum—dum om. EG sectatur]
retractat R retractantur L (n del., s. l. a
i sectatur] P differentiae La.c.P uel
differentia EG 11 ad adhuc s. l. id est
(uel G ) hac tenus EGm2 12 his] his omnibus R
communibus EGR utrumque et om. EGLR
uel om. R et NP 14 et] uel EGL atque
R 15 ante Commune add. inscriptionem DE
COMMVNIBVS GENERIS (ET add. ΔΠ ] SPECIEI DIFFERENTIAE PROPRII ET ACCIDENTIS ΛΠ Busse, N in subscript. libri IV
cum alio ordine uerborum, DE HIS (HIIS Φ ) COMMVNIBVS QVAE ASSVNT (sunt A ) GENERI ET
SPECIEI (ET SPECIEI om. T ) ET DIFFERENTIAE ET PROPRIO ET
ACCIDENTI (accidenti proprio et differentiae A ) ΓΑ (litt. minusc.) Φ , INCIP. DE EORV COMVNIBVS 2 DE
COMMVNITATIB; OMNIVM. i', inscript. om. CEGHLPR
cari, sed genus quidem de speciebus et de indiuiduis, et differentia
similiter, species autem de his quae sub ipsa sunt indiuiduis, at uero proprium
et de specie cuius est proprium et de his quae sub specie sunt indiuiduis,
accidens autem et de speciebus et de indiuiduis. namque animal de equis et
bobus et canibus praedicatur, quae sunt species, et de hoc equo et de hoc boue,
quae sunt indiuidua, inrationale uero et de equis et de bobus praedicatur et de
his qui sunt par- ticulares, species autem, ut homo, solum de his qui
sunt particulares praedicatur, proprium autem, quod est risibile, et de homine
et de his qui sunt particulares, nigrum autem et de specie coruorum et de his
qui sunt particulares, quod est accidens inseparabile, et moueri de homine et
de equo, quod est accidens separabile, sed principaliter quidem de
indiuiduis, secundum posteriorem uero rationem de his quae continent
indiuidua. Antequam singulorum ad unum quodque habitudinem tractet, illam
prius respicit quam omnes ad se inuicem habere uide- 1
sed—separabile (16) om. HNP post. de om. R 2 autem]
quidem Δ hiis Φ , item 4 3
post indiuiduis s. l. praedicatur Em2 at uero —separabile
(16) om. CEG at uero—indiuiduis (5) om. Σ · 4 de his om.R 5 post. de
om. R 6 bubus Lm1 A bobis R, ante add. de L
T de bobus Busse et canibus cum Porph. p. 13, 14 om. edd.,
delend. uid. Bussio 7 praedicatur post species R pr.
(sic) de om. R 8 inrationabile L et om.
Porph. p. 13, 15; ante et add. similiter R 9
de om. R bubus RLm1 A praedicatur s. l.
\ m2 (dicitur m1 ), post particulares Λ2 quae L TA 10 quae R ΓΑ 11 particularia R, add. homines
L 4ΛΦ ; om. Porph. proprium—particulares (12)
om. R quod est] otov Porph. p. 13, 17
12 pr. et
om. L ΆΣ Busse (casu ut uid., cf. eius adnot.
ad Porph. v-ai ), add. \ m2 13
pr. et om. Busse; Porph. p. 13, 18 τοΰ τε εΐδοος 14 qui] quae R de homine—equo
post separabile R 16 sed om. Π Σ post
principaliter add. accidens praedicatur Φ , s. l. accidens Lm2 17
secundum—rationem] secundo uero (cet. om.) N ΛΣΦ ; secundo etiam T m1 ; uero post
secundum C posteriore E ratione E orationem
Λ ante de add. et edd.
cum Porph. p. 13, post indiuidua add. speciebus N Σ 20 uidentur RG antur. haec est
autem una communio quae propositarum quinque rerum numerum pluralitate
praedicationis includit; omnia enim de pluribus praedicantur, in hoc ergo sibi
cuncta communicant, nam et genus de pluribus praedicatur, itemque species
ac differentia et proprium et accidens, quae cum ita sint, est eorum una atque
indiscreta communio de pluribus PREDICARE, disgregat autem ipsam de pluribus PREDICAZIONE,
quemadmodum in singulis fiat, quod unum quodque propositorum de quibus pluribus
praedicetur ostendit, ait enim genus quidem de pluribus praedicari, id
est speciebus ac specierum indiuiduis, ut animal praedicatur de homine atque
equo ac de his indiuiduis quae sub homine sunt atque sub equo, item genus PREDICARE
de differentiis specierum atque id iure. quoniam enim species differentiae
informant, cum genus de speciebus praedicetur, consequens est ut etiam de
his dicatur quae specierum substantiam formamque efficiunt, quo fit ut genus
etiam de differentiis praedicetur ac non de una, sed de pluribus; dicitur enim
quod rationabile est, esse animal et rursus quod inrationabile est, esse
animal, ita genus de speciebus ac differentiis praedicatur ac de his quae sub
ipsis sunt indiuiduis. differentia uero de speciebus dicitur pluribus ac de
earum indiuiduis, ut inrationabile et de equo praedicatur ac boue, quae sunt
plures species, et de his quae sub ipsis sunt indiuiduis eodem modo dicitur;
nam quod de uniuersali praedicatur, praedicatur et de indiuiduo. quodsi
differentia de speciebus dicitur, praedicabitur etiam de eiusdem speciei sub- 1
praepositarum HN 5 post. et] atque R 7
autem] ut est E 8 quod] ut Em2P et quod
La.c. et ut p.c., ante quod s. l. in eo
Hm2 praepositorum HN 9 ostendat ELm2P 10 id
est om. HNR, er. G 11 atque] et CL equo ac de om.
EG ac] atque CL et R 12 de om. L, s. l.
Cm2 qui EGP post. sub om. LNP 14 enim del.
E 15 praedicatur HN 16 perliciunt HNP 18
rationale EGHNP 19 quod om. R, in ras. E, quoniam
GLm1 inrationale HNP est om. R 21 differentiae...
dicuntur R 22 inrationale ( uel irr-) Em2
(rationabile m1) HLm2NP 23 bouej de boue N et de]
deque EG 25 et ante praedicatur C 26
praedicatur C etiam om. EN iectis. species uero
de suis tantum indiuiduis praedicatur; neque enim fieri potest, ut quae species
est ultima quaeque uere species ac magis species nuncupatur, haec alias
deducatur in species, quod si ita est, sola post speciem indiuidua restant,
iure igitur species de suis tantum indiuiduis praedicantur, ut homo de
Socrate, Platone, CICERONE et ceteris, proprium item de specie PREDICARE cuius
est proprium, neque enim esset proprium alicuius, si de alio diceretur; de quo
enim una quaeque res ‘et soli et omni et semper’ dicitur, eiusdem proprium esse
monstratur quae cum ita sint, proprium de specie dicitur, ut risibile de
homine; omnis enim homo risibilis est. dicitur etiam de indiuiduis speciei de
qua praedicatur; est enim Socrates, Plato et CICERONE risibilis, accidens uero
et de speciebus pluribus dicitur et de diuersarum specierum indiuiduis.
dicuntur enim coruus atque Aethiops nigri et hic cor- uus et hic
Aethiops, qui sunt indiuidui, nigri secundum nigredinis qualitatem uocantur.
atque hoc quidem est accidens inseparabile, sed multo magis separabilia
accidentia pluribus inhaerescunt, ut moueri homini et boui — uterque enim
mouetur —, et rursus ea quae sub homine sunt atque boue indiuidua, moueri
saepe praedicantur. sed aduertendum est auctore Porphyrio quod ea quae
accidentia sunt, principaliter quidem de his dicuntur in quibus sunt
indiuiduis, secundo uero loco ad uniuersalia indiuiduorum referuntur, atque ita
praedicatio 1 praedicabitur CLP 3 uero C 5
praedicatur Cm1EGLRm2 7 esse E 8 nisi HPR,
ex si CLm2 aliquo CHP ante diceretur add.
non R, s. l. Lm2 9 pr. et om. EGHN secund.
et om. G tert. et om. EG, del. Lm2, s. l. Pm2; ad
et—semper cf. p. 275,10 12 etiam] autem HPm1 13 Plato]
et piato N et om. CEG risibiles CH et
om. EGLP 14 pluribus om. CN dicitur om. H, post
indiuiduis s. l. scil, praedicatur m2 specierum
om. HN 15 dicuntur in ras. Hm2 dicitur
GNR niger NR et om. EGHN 16 et om. EG
post nigri add. autem R, s. l. Lm2 19
et om. EG 20 et om. CEGP 21 mouere
Ea.c.Gm2 actore Ea.c.R 23 post dicuntur
add. nam non subsistunt praeter haec quibus adsunt et nulli prius acci- dunt
quam indiuiduis R 24 post uniuersalia add.
ad speciem G superiorum redditur, ut quoniam nigredo singulis
coruis adest, dicitur adesse coruo. nam quia omnia particularia qualitas ista
accidentis nigredinis inficit, idcirco eam de specie quoque PREDICARE dicentes
coruum, ipsam speciem, nigrum esse. In quibus omnibus mirum uideri potest,
cur genus de proprio PREDICARE non dixerit nec uero speciem de eodem proprio
nec differentiam de proprio, sed tantum genus quidem de speciebus ac
differentiis, differentiam uero de speciebus atque indiuiduis, speciem de
indiuiduis, proprium de specie atque indiuiduis, accidens de speciebus
atque indiuiduis. fieri enim potest ut quae maioris PREDICAZIONE sint, ea de
cunctis minoribus praedi- centur, et quae aequalia sunt, sibimet conuertuntur,
eoque fit ut genus de differentiis, de speciebus, de propriis, de accidentibus
praedicetur, ut cum dicimus ‘quod rationale est, animal est’, genus de
differentia, quod homo est, animal est, genus de specie, quod risibile est,
animal est, genus de proprio, ‘quod nigrum est’, si forte coruum uel Aethiopem
demonstremus, animal est, genus de accidenti praedicamus, rursus quod homo est,
rationale est, differentia de specie, 1 superiorum] E ( s.
l. id est specierum) GP superioribus cett. sub-
teriorura superioribus brm ut—dicitur om. EG 2
post coruo s. l. speciali Lm2 3 nigredinis
accidentis C infecit HLm1 eam] eamdem Lm2Pm2 (it
eadem m1 ) eadem EG eo Rm1 ea m2
de om. P 4 ipsum specie EGPRm2 post ipsam
add. scilicet C nigram C 5 omnibus s. l.
Cm2 6 utroque loco neque R 7 differentias
R 8 atque Rbrm et de p differentiis]
indiuiduis pr cum p. 286, 1, differentiis <atque indiuiduis>
coni. Brandt; cf. p. 287,12—21 differentias HLPR 9 proprium
de specie atque indiuiduis om. H 11 maiores praedicationes
EGR sunt Ca.c. (ras. i ex u) Pm2R
ea s. l. L eadem C eaedem ( om. de G )
eae Pm1 hae ER cunctis] dictis EGR 12
et om. EG conuertuntur ] Em1GLm1Rm2
(conuertentur m1 ) conuertantur CEm2HL m2NP ad
eoque s. l. i ideo G fit] quale sit
EG 13 pr. de] et de HNP secund.
de om. R et de HLNP tert. de om. E et
HNPR et de L quart. de] et NP et
de HL atque R 14 praedicatur EG rationabile
CEGLm1NR 15 animal est] sit animal E ( ad sit s.
l. pro est) GLR de s. l. EGm2L post differentia
add. praedicatur GP (del. m1?), s. l. Lm2, s.
l. praedicari Em2 16 eat genus om. G accidente
R 19 rationabile Em1G post specie add.
praedicatur G quod risibile est, rationale est,’ differentia de
proprio, quod nigrum est, rationale est, si æthiopem demonstremus, dif-
ferentia de accidenti; item quod risibile est, homo est, species de proprio,
‘quod nigrum est, homo|est,’ si æthiopem designemus, species de accidenti, qua
in re etiam quod nigrum est, risibile est in Aethiopis demonstratione ut
proprium de accidenti praedicatur. conuerti autem ad totum accidens potest, ut
quoniam in indiuiduis singulorum esse proponitur, idcirco de superioribus etiam
PREDICARE, ut quoniam Socrates animal est, rationalis est, risibilis est et
homo est, cumque in Socrate sit calvitium, quod est accidens, praedicetur
idem accidens de animali, de rationali, de risibili, de homine, ut accidens de
quattuor reliquis PREDICARE sed horum profundior quaestio est nec ad soluendum
satis est temporis, hoc tantum ingredientium intellegentia expectet, quod alia
quidem recto ordine PREDICARE, alia uero obliquo, quoniam moueri hominem
rectum est, id quod mouetur hominem esse conuersa locutione proponitur,
quocirca rectam Porphyrius in omnibus propositi- onem sumpsit, quodsi quis uim
praedicationis et solutionis adtenderit in singulis praedicationibus comparans,
eas quidem 1 differentiam HR 3 accidentia G post
item add. quod rationale est homo est species de differentia Hm1,
del. m2 speciem ELm2PR, item 5 6 ut om. R, del. ELm2 post
proprium s. l. etiam Pm2, post
accidenti N, s. l. Cm2 praedicetur CHLm1NPm2 ad
om. N, s. l. Cm2 8 ut ex et Hm2
in] N, s. l. m2 in EHP, om. cett. praeponitur Ca.c.EGHLNR 9
praedicatur CHLNR ante animal add. et HN 10
ante rationalis add. et HNP, s. l. Cm1?
rationabile Lm1 ante risibilis add. et HNPR, s.
l. Cm1? Lm2 risibile Cm1EGLm1 et (s. l. m1?) homo est
post rationalis est C et om. EG 11
praedicatur CHLm2NP 12 secund. de om. CEGR tert.
de om. R quart. de om. C ut] et
CHN praedicatur CHN dissoluendum N expectet idem
quod spectet quoniam]
nam HLm2NP moueri posthominem Cm2Pm2 17 moneatur
N ante proponitur s.l. non Hm2
proportionem EL uim quis EGLR uim om. Hm1,
ante adtenderit s. l. m2 praedicatae H
praedictae Lm2Pm2 et solutionis] CN solutionisque
L solutionis Gm1Hm2 (locutionis m1 ), s. l. add.
Pm2 solutione Gm2R solue (sic) E attenderit in
ras. Em2 ostenderit R prolationes quae rectae sunt, inueniet a
Porphyrio esse enumeratas, eas uero quae conuerso ordine praedicantur, fuisse
sepositas. Commune est autem generi et differentiae con- tinentia
specierum. continet enim et differentia species, etsi non omnes quot genera,
rationale enim etiamsi non continet ea quae sunt inratio· nabilia quemadmodum
animal, sed continet homi- nem et deum, quae sunt species, et quaecumque
praedicantur de genere ut genera, et de his quae sub ipso sunt speciebus
praedicantur, et quae- cumque de differentia PREDICARE ut differen- tiae, et de
ea quae ex ipsa est specie praedicabuntur. nam cum sit genus animal, non solum
de eo praedicantur ut genera substantia et animatum, sed etiam de his quae sunt
sub animali speciebus 4—p. 292,
10] Porph. p. 13, 22—14, 12 (Boeth. p. 40, 17—41, 12). 1 esse
om. GN, add. Hm2 enumeratas] N numeratas cett. 2 prae-
dicantur] proferuntur HN 3 positas Gm1Hm1
suppositas Pm2 4 de Porph. cf. ad p. 103, 7
5 Communis Σ , m1 in EH \ est om. E Porph.
(p. 13, 33) Busse, post autem N 6 continet—sunt (p.
292, 8)] LR Q , om. cett. 7 etiamsi ΔΣ quod i
m1 quas A m2R 8 enim om. R, 8. l.
Δ inrationalia 2Φ , add. ut genus codd. praeter R
Σ , om. etiam Porph. p. 14,2, delend. uid. Bussio 9 sed]
tamen brm 10 deum] angelum R angelum et deum L;
Porph. cod. A θεόν, cett. άγγελον 11
genera] Σ genus cett. Busse (sed genera probare
uid.); cf. ut genera 16. p. 293, 20 , ut differentiae; Porph.
όσα τε ν,ατηγορεΐται του γένους ώς γένους et]
eadem in ras. A m2 12 et] Z p, s. l. A m2,
om. cett. (aliter er. T ) Busse
item brm; cf. ad quaecumque] Lm2R Z quaeque cett.
13 de differentia] differentiae Lm1 A differentia R ΓΦ
; cf. ut differentiae p. 294, 1; Porph. p. 14,4
όσα τε τής διαφοράς ώς διαφοράς ex] sub L \
et R; Porph. έξ praedicantur Γ 15 genus sit
ΔΛΣ 16 praedicatur R ut om. edd. genera] L
Z Busse genus cett. codd., om. edd.; cf. p. 394, 3—5;
Porph. p. 14,5 γένους... ώς γένους αατηγορεΐται ή
ουσία 17 sunt om. L animalis Δ omnibus PREDICARE
haec usque ad indiuidua. cumque sit differentia rationalis, praedicatur de ea
ut differentia id quod est ratione uti, non solum autem de eo quod est
rationale, sed etiam de his quae sunt sub rationali speciebus PREDICARE ratione
uti. commune autem est et perempto genere uel differentia simul perimi quae sub
ipsis sunt; quemadmodum enim si non sit animal, non est equus neque homo, ita
si non sit rationale, nullum erit animal quod utatur ratione. Post eam
quae cunctis adesse uisa est communitatem, singulorum ad se similitudines ac
dissimilitudines quaerit, et quoniam inter quinque proposita genus ac
differentia uniuersalioris praedicationis sunt, siquidem genus species continet
ac differentias, differentiae uero species continent neque ab his ullo
modo continentur, primum generis ac differentiarum similitudines colligit, ac
primam quidem ponit hanc, dicit enim commune esse generi ac differentiae, ut
species claudant; 1 praedicatur LR ante haec add.
et s. l.
Lm2, in mg. Γ, post haec
Λ haec del. \ m2 2
rationalis] codd. (etiam Bussii LQ rational, in P uox paene
tota euanuit) rationale edd. Busse; Porph. διαφοράς τε οόσης τής τοΰ λογιχοΰ ; cf. infra p. 293,
14 rationalis diffe- rentia; 295, 11 sub rationali
differentia, unde rationalis nominatiuum potius
intellegas quam cum Porph. genetiuum praedicantur Φ 3 eo coni. Busse non] et non L *l 4 autem] ΓΦ , s. l. Km2, om. cett.; Porph. p. 14,
8 δε 5 ante sunt s. l. sub
ipsa \ m2 sub rationabili- bus h m1, del. m2 post
rationali add. animali ΠΦ, s. l. Lm2
praedicatur ΓΔΛΣΦ a.c.; Porph. p. 14,
9 χατηγορηθήσετοι 6 ante
ratione add. id quod est s. l. & m2 W m2
Busse id quod potest LR post com- mune s. l.
illis Γ est autem Φ ante
perempto add. hoc Λ genere] Porph.
ή τοΰ γένους , om. η cod. Μ 8 enim] Σ , s. l. Ψ m2, om. cett.; Porph. p. 14,11 γάρ sit] est CEGHP 9 ita] sic
L ac b m1 \ 12 ad se] ad esse EGP et om.
CEG, s. l. Pm2, del. Lm2 13 generis ac differentiae CN
uniuersaliores praedicationes CEGNP 14 ante
species add. et LR 15 nec N 16 ac] et
N 17 primum LNP hanc] hanc communionem H 18 commune]
hoc commune H communionem LR ac] et CGLP
concludant HN nam sicut genus sub se habet species, ita etiam
differentia, tametsi non tantas quot habet genus, etenim genus quoniam
differentiam etiam claudit et non unam tantum sub se differentiam cohercet ac
retinet, plures necesse est habeat sub se species, quam quaelibet una
earum differentiarum quas claudit, ut animal PREDICARE de rationabili et
inrationabili. quodsi ita est, PREDICARE et de his quae sub rationali sunt
positae speciebus et de his quae sub inrationali. est ergo commune animali et
rationali, id est generi et differentiae, quod sicut genus de homine et
de deo PREDICARE, ita etiam rationale, quod est differentia, de deo ac de
homine dicitur, sed non in tantum haec praedicatio funditur quantum animalis,
id est generis, animal enim non de deo solum atque homine, sed de equo et boue
praedicatur, ad quae rationalis differentia non peruenit. sed
quandocumque deum supponimus animali, secun- dum eam opinionem facimus quae
solem stellasque atque hunc totum mundum animatum esse confirmat, quos etiam
deorum nomine, ut saepe dictum est, appellauerunt. Secunda item communio est generis
ac differentiae, quoniam quaecumque PREDICARE de | genere ut genera,
eadem de his quae sub p. 96 ipso sunt speciebus praedicantur; ad
hanc similitudinem 15 quandocumque — 18 appellauerunt] Abaelardus, Introduct.
ad theolog., II 34. saepe] p. 208, 22. 259, 19. 1 habeat Lm2
differentiae EGR 2 post. genus om. EGR, post
quoniam Cm1, corr. m2 3 differentias CHm1L etiam
del. Lm2, om. N et om. EG, s. l. Lm2 tantum om. H, s. l.
Lm2 4 ante plures add. sed EGL
adhibeat R ut habeat L 5 quas om. L quam
EGHPm1R 6 rationali CHLN inrationali ( uel irt-)
HLN 7 rationabili Cm1EGm2P 8 inrationabili ( uel
irr-,) CEGNP commune est, post s. l. ergo C;
ergo om. EG, add. Pm2 10 et de deo om. EG
rationabile CEGR 11 in om. LN 12 haec om.
EG 14 rationabilis R 16 opinionem] CHNPm2
Abaelard. propositionem EGLPm1R qua EGLm1P solem]
coelum Abaelard. 17 confirmant EGLm1 confirmet
N 20 de genere praedicantur C post eadem add.
et L 21 ipso] genere H ad hanc similitudinem om.
EGR; ante ad s. l. et Pm2 quaecumque de
differentia prædicantur ut differentiae, et de his quae sub differentia sunt ut
differentiae praedicantur, cuius sententiæ talis est expositio, sunt plura quae
de generibus praedicantur ut genera, ut de animali dicitur animatum, dicitur
substantia, atque haec ut genera, haec igitur praedicantur et de his quae
sub animali sunt, ut genera rursus; nam hominis et animatum et substantia genus
est, sicut ante fuerat animalis. item in ipsis differentiis quaedam
differentiae inueniuntur quae de ipsis differentiis PREDICARE, ut de rationali
duae differentiae dicuntur, quod enim rationale est, utitur ratione uel
habet rationem, aliud est autem uti ratione, aliud habere rationem, ut aliud
est habere sensum, aliud uti sensu, habet quippe sensum et dormiens, sed minime
utitur, ita quoque dormiens habet rationem, sed minime utitur, ergo ipsius
ratio- nabilitatis quaedam differentia est ratione uti, sed sub rationabilitate
homo positus est; prædicatur igitur de homine ratione uti ut quaedam
differentia, differt enim a ceteris animalibus homo, quia ratione utitur,
demonstratum igitur est quia sicut ea quae de genere praedicantur, dicuntur de
generi subiectis, ita etiam ea quae de differentia prædicantur, dicuntur de
his quae differentiae supponuntur. Tertium commune est
quod ante quaecumque add. et EGL(del. m2), er.
uid. C
quaeque GPR praedicantur om. EGR, post ut differentiae
H ut differentiae om. EG post differentiae add.
eadem quoque L, post de his P (om. et), eadem s.
l. Nm2 2 post sub add. ipsa NR
sunt ante sub H ut differentiae om. H, s. l.
Nm2 ut differentia EG 4 post. dicitur om. L
5 ante substantia add. et LPm2 6 rursus
ante ut GR, post L 7 antea fuerat H ante fuerant
(n s. l. m2) L fuerant ante R 8 quae- dam s. l. Cm2
9 praedicentur Cm2 ut om. HN 11 autem habere rationem
aliud uti ratione NR. 12 ut om. H sicut N
est om. H 13 sed minime utitur om. N sed—dormiens
om. EGPE, del. Lm2 ita—rationem in sup. mg. Nm2 15 sed
om. EG, s. l. Pm2 16 positus est homo R esse ( om. est EGP est ex
esse Lm2 esse del. Pm2 ) praedicatur. Igitur EGLP 17
ut om. EG, s. l. Cm2 post diffe- rentia add. est EGP a] L,
om. cett. 18 homo ante ceteris H est igitur
HLN quia] quod CL post. generum EGLm2P 20 post his
add. quoque HN 21 post Tertium add.
uero P, s. l. Lm2 quod] quia C sicut absumptis generibus
species interimuntur, ita absumptis differentiis species de quibus differentiae
praedicantur, intereunt, commune enim est hoc, uniuersalium in substantia
pereuntium perire subiecta. sed prima communio demonstrauit genera de
speciebus praedicari, sicut etiam differentias, propter hanc igitur
similitudinem si auferantur genera, species pereunt, sicut etiam species perire
necesse est quae sub differentiis sunt, si uniuersales earum differentiae
consumantur, cuius exemplum est: si enim auferas animal, hominem atque equum
sustuleris, quae sunt species positae sub animali, si auferas rationale,
hominem deumque sustuleris, qui sunt sub rationali differentia collecti. Et de communitatibus quidem
hactenus, nunc de generis et differentiae dissimilitudine
perpendit. Proprium autem generis est de pluribus prædicari quam
differentia et species et proprium et accidens; animal enim de homine et equo
et aue et serpente, quadrupes uero de solis quattuor pedes habentibus, homo
uero de solis indiuiduis et hin- nibile de equo et de his qui sunt
particulares, et 14—297, 2] Porph. p. 14, 13—15, 8 (Boeth. p. 41, 13—42,
14). 1 sicut—ita om. EG consumptis ( post
ita) Pm2 6 igitur] qui- dem E sicut] sic
GHm2LN 7 species etiam HNP 10 quae] quia H
qui ex quia Nm2 12 collocati HNP, recte? cf. 10.
p. 300, 18 Et om. CEGP, del. Lm2 13 perpendet G
14 PROPRIO C PRO- PRIIS post DIFFERENTIAE L
GENERI R DE PROPRIIS EORVM (EORVNDEM Ψ ) Ρ Ψ ; de Porph. cf. ad autem om ·. ΓΦ generi LNR A ; cf. infra p. 297,
15. 16 s. 299, 17. 300, 23. 301,10. (13) 302,11 est ante
generis s. l. A , om . Σ , om. Porph. p.
14,14 16 ante quam add . magis L (er.)
A (del. m2) differentiae EGHLPm1R ; Porph.
p. 14, 15 ή διαφορά et species—differentia LR ii
, om. cett . et proprium] propriumque A 17 de equo et
(de add. \ ) homine ΔΑ post uero add
. uidetur ΓΦ , m1 in L ΔΑ , del. m2; om. Porph. p. 14,
17 solis om. R 20 ante equo add . solo
edd. cum Porph. μόνον , fort. recte post ,
de om. R, s. l. Lm2 accidens similiter de paucioribus,
oportet autem differentias accipere quibus diuiditur genus, non eas quae
complent substantiam generis, amplius genus continet differentiam potestate;
animalis enim hoc quidem rationale est, illud uero inratio- nale. amplius
genera quidem priora sunt his quae sunt sub se positae differentiis, propter
quod simul quidem eas auferunt, non autem simul aufe- runtur; sublato enim
animali aufertur rationale et inrationale. differentiae uero non auferunt
genus; nam si omnes interimantur, tamen substan- tia animata sensibilis subintellegitur,
quae est animal, amplius genus quidem in eo quod quid est, differentia uero in
eo quod quale quiddam est, quemadmodum dictum est, praedicatur, amplius
genus quidem unum est secundum unam quamque speciem, ut hominis id quod est
animal, differen- tiae uero plurimae, ut rationale, mortale, mentis et
disciplinae perceptibile, quibus ab aliis differt, et genus quidem consimile
est materiae, formae uero differentia, cum autem sint et alia
communia 1 autem om . Σ enim Lm1 4
continet genus LR; Porph. p. 14, 20 τό γένος περιέχει 5 enim om. 2 uero A m1 est in mq.
Lm2 6 quidem genera Lm1R priora om. L 7 sub
se ante sunt L, post positae R positis ΓΛΦ
, m1 in L Λ2 quidem om. L, ante simul R
auferunt] h m1 V aufert cett.; Porph. p. 14, 22 ( τα γέν-r
) σοναναιρεΐ οΰτός aufe- runtur] A m1 W aufertur
cett.; Porph. p. 14, 23 σοναναιρεϊται 9 aufertur rationale—aufernnt
genus om. R 11 si] etiamsi brm cum Porph. p. 15, 1
καν ; fort. etsi scribendum tamen om . Σ ,
s. l. A m2 A m2 12 sensi- bili R subintellegitur]
Φ subintellegitur potest R subintellegi potest
cett.; Porph. p. 15, 2 επινοείται quod Δ
Busse; Porph . οϋσια...ήτις ήν τό ζψον 14 uero om.
L quiddam om. R quid edd . est om. LR
TΛΦ 15 quemadmodum] sicut LR est dictum Λ
Busse 16 quidem genus hA m1 Z est unum LR
17 ante hominis add. est edd. Busse; om. Porph.
p. 15, 4 18 plures brm cum Porph. p. 15, 5 πλείοος
; cf. infra p. 301, 21; post plurimae add . sunt ΑΣ
Busse; om. Porph. mentis
5 m2 risus m1 20 cum simile R 21 autem Cp.c
. haec a.c . et om. G et propria generis et
differentiae, nunc ista sufficiant. Proprium quidem quid sit, conuenienti
atque integro uocabulo definitum est. sed per abusionem illa etiam
propria quorumlibet dicuntur quae in una quaque re ab aliis continent
differentiam, licet cum aliis sint ea ipsa communia, per se quippe proprium est
homini quod ei omni et soli et semper adest, ut risibilitas, per usurpatam uero
locutionem etiam proprium hominis rationabilitas dicitur non per se
proprium, quippe quod ei cum deorum est natura commune, sed homini
rationabilitas proprium dicitur ad discretionem pecudis, quod rationale non
est; id uero propter hanc causam, quoniam id proprium unius cuiusque dicitur
quod habet suum, quo igitur quis ab alio differt, proprium eius non absurda
usurpatione praedicatur, sed nunc quod dicit proprium generis esse de
pluribus praedicari quam cetera quattuor, id ipsum generis tale proprium est,
quale per se proprium dici solet, id est quod semper et omni et soli adsit
generi, generi enim soli adest, ut differentia, specie, proprio, accidenti
überius atque affluentius praedicetur, sed de his differentiis,
speciebus, propriis atque accidentibus id dici potest quae sub quolibet 1
proprii P et] ac EGP nunc om. Porph. sufficiunt Λ m1 2 ; Porph . άρκείτω ταϋτα , cod. B
apxet τοααδτα 3 quidem] autem
C quod R in una quaque re] CLP re om.
N una quaque E una quaeque G unam quamque
HR 6 differenda EGLm1 7 omni et soli] et soli et omni
C pr. et s. l. Lm2 post , et om. EG
10 post ei add . quoque HNP 12 rationabile
HR post uero add. fit L , s. l. Pm2 14 aliquo
Lm2 differat Cm2Hm1N 15 nunc om. EG , post
quod C 17 tale ante quale P est proprium LP
post , est om. CN 18
et add. brm adest C generi enim in mg. Hm2
enim] uero C autem L 19 post ut add .
et H (del. m2) N et specie HLN et
proprio HLR et (atque R ) accidente HLm1
(-ti m2 ) NR 20 affluentius] CHNPm2
fluentius Lm1, s. l . ł lucidius m2 cluentius E (
s. l . habundantius] Pm1 licentius G luculentius
R de] e R speciebus post differentiis pos. Brandt, ante codd. pr, om.
bm et propriis CHLN atque om. P genere
sunt, id est differentiae quidem quae quodlibet diuidunt genus, species uero
quae diuisibilibus generis differentiis infor- matur, proprium autem illius
speciei quae sub illo genere est quod differentiis est diuisum, accidentiaque
quae his hae- reant indiuiduis quae sub ea specie sunt quam designatum
genus includit, hoc facilius exempla declarant, sit enim genus animal,
quadrupes ac bipes differentiae sub animalis positae continentia, homo atque
equus species sub eodem genere constitutae, risibile atque hinnibile propria
earundem spe- cierum, uelox uero uel bellator accidentia quae his
indiuiduis accidunt quae sub speciebus equi atque hominis continentur :
animal igitur, quod est genus, praedicatur et de quadrupede et bipede, quae
sunt differentiae, quadrupes uero de bipede non dicitur, sed tantum de his
animalibus quae quattuor pedes habent; plus igitur praedicatur genus quam
differentia, rursus homo de Platone ac Socrate praedicatur, animal uero
non modo de hominibus indiuiduis, uerum etiam de ceteris inratio- nabilibus
indiuiduis dicitur; plus igitur genus quam species praedicatur, sed cum sit
proprium hinnibile equi speciei cum- 1 differentiae] CNp
differentias EG, m1 in HLP de (om. HPR) dif- ferentiis
m2 in HLP, Rbrm quidem om. B, ante add . sunt C, post N
genus diuidunt HN 2 speciebus Hm2Lm2 specie
Pm2brm diuisi- bilis Hm1Pm1R ( add . est), dissimilis
E ( add . est) G, ad diuisibilibus in mg. ał quae
diuisiuis Lm2, sed ante generis add est ERm2, add .
sunt, post et (del. m2) P informantur CLm2
3 pro- prio m2 in HLP (ante s. l. de add.) brm post autem add
. quod est EGP (del. m2) illi Lm1 diuisiuum
Lm1 diuiditur (om . est; N accidentiaque]
CEGHm1Lm1 accidentia quoque Pm1 (de accidentibus quoque
m2 ) accidentia Rp accidensque N accidentibusque
Hm2Lm2brm quae] quod N hereat N haerent Pm2
edd . 5 sint G 10 uelox— bellator] HNP (uel om. ,
et s. l. m2 ), uelox uero dux uel bellator C uelox uero uel
bellator dux L uelox uero bellator dux EG ferax
uerox (sic) ( s. l . equus m2 ) bellator dux R 11
accidant H accidencia Pm1 12 et om. EGP 13
et bipede] HNP, om. R bipede C de bipede
EGLm1 et de bipede m2 quadrupedes G 14 his
om. GR, s. l. Cm2Lm2 ac] et P post praedicatur add. et
ceteris HNP 17 hominis C (s in er. b.? m2 )
GHm1N 19 sed—praedicetur om. EG hinnibile ante
proprium N, om. LR simile H equi om. H
que genus quam species überius praedicetur, praedicatio quo- que generis
proprii supergreditur praedicationem, accidens quoque etsi pluribus inesse
potest, tamen saepe genere con- tractius inuenitur, ut bellator non proprie
nisi homo dicitur, ut uelocitas in paucis animalibus inuenitur. quo fit,
ut genus differentia, specie, proprio et accidentibus amplius praedicetur. Atque
haec est una proprietas generis quae genus ab aliis omnibus disiungat ac
separet, oportet autem, inquit, nunc eas differentias intellegere quibus
diuiditur genus, non quibus informatur, illae enim quibus informatur
genus, plus quam ipsum genus sine dubio praedicantur, ut animatum et corporeum
ultra animal tenditur, cum sint differentiae animalis, sed non diuisiuae, sed
potius constitutiuae; omnia enim superiora de inferioribus praedicantur, quae
uero de inferioribus praedicantur neque conuerti possunt, haec ab eis quae
inferiora sunt amplius praedicantur. Post hoc aliud proprium
generis ostendit quo ab his differentiis quae sub eodem sunt positae,
segregatur, omne enim genus continet differentias potestate, differentia
uero genus non potest continere, animal enim rationale atque inra-
tionale continet potestate; neque enim inrationabilitas neque rationabilitas
animal poterit continere, potestate autem ait continere animal differentias
quia, ut superius dictum est, 23 superius] p. 264, 16. 1 praedicatur Cm1R 3 inesse] inest
C ante saepe add . semper uel Hm1, del. m2 contractius
genere H inneniri C 5 pr. ut er. uid. C, om.
HPm1 et LN, s. l. Pm2 6 ante differentia
add . et Hm2LN ante specie add . et HL et
de N ante proprio add. et HL et de N et
om. E accidente R 8 inquit om. N, del. Hm2
10 post informatur add . genus C
illae—informatur om. EGLR, post praedicantur (11) add . Ipsae enim
diffe- rentiae a quibus informatur genus Lm1, ante plus quam
transpos. m2 illae enim] nam illae P ante plus add .
nam GR 11 sine dubio om. HN et om. EG 12
tendit EG ? tenduntur R sunt H 15 ab om.
H 18 eodem] eo HN eodem genere C segregetur
HN 20 rationabile ELm2P atque om. EGR, s. l. Pm2
inrationale om. EGPm1R inrationabile Lm2, s. l. Pm2 21
inrationalitas neque rationalitas HN 22 poterunt CHLP
post differentias add . proprias CL (del. m2), ante HNP
genus quidem omnes sub se habet differentias potestate, actu uero minime,
ex quo fit ut alia proprietas oriatur, sublato enim genere perit differentia,
ueluti sublato animali interimitur rationabilitas, quod est differentia, at si
rationale interimas, inrationale animal manet, sed obici potest : quid? si
utrasque differentias simul abstulero, num poterit remanere genus
dicimus: potest, unum quodque enim non ex his de quibus praedicatur, sed ex his
ex quibus efficitur, substantiam sumit, itaque fit ut genus sublatis diuisiuis
differentiis permanere possit, dum tamen maneant illae quae ipsius generis
formam substantiamque constituunt, quoniam enim animal animata
atque sensibilis differentiae constijtuunt, hae si maneant atque iungantur,
perire animal non potest, licet ea pereant de quibus animal praedicatur,
rationale scilicet atque inrationale. unum quodque enim, ut dictum est, ex his
substantiae proprietatem sumit ex quibus efficitur, non ab his de quibus
praedicatur, amplius si utrasque differentias genus potestate continet, ipsum
per se neutram earum intra se positam collocatamque con- cludit. quodsi actu
quidem eas non continet, sed potestate, actu etiam ab his poterit separari; hoc
ipsum enim, potestate eas continere, id erat actu non continere, genus
uero, quod quaslibet differentias actu non continet, actu ab eisdem etiam
separatur. Kursus aliud est proprium generis, quod ex pro- 1 omne
GR 2 alia ut EGP 4 rationalitas HN at om.
EGR rationabile CLm1R 5 inrationale om. EG
inrationabile Lm1R quod CEGLP qui R 6
post abstulero add. rationales et inrationales E num] non
EGLm1P 7 dicimus] sed dici EP de quibus—his in
mg. Hm2 8 post , ex] de P 9 itaque]
atque GR atque ita C atque ideo EP 10
post tamen add . earum P illa C ( a. in er
. ae m2 ) N quod E 11 quoniam—constituunt
in mg. inf. Em2 animati Cm2LR 12 differentia HN
differendis Pm1 haec C (c er.) EGHN
manent E 15 dictam est] diximus C 17 ante
ipsum s. l. tunc Hm2 18 neutra G neutrum
R positum collocatumque LPm1R 20 etiam] quidem E post
poterit add . genus EG post enim add . quod
est R, s. l. Pm2 21 erit Lm2R quod] quae E
23 eat om. ENR prietate praedicationis agnoscitur, omne enim genus
ad inter- rogationem ‘quid est unum quodque?’ responderi conuenit, ut animal in
eo quod quid est de homine praedicatur, differentia uero minime, sed in eo quod
quale sit; omnis enim differentia in qualitate consistit, sed hoc
proprium tale est quale superius diximus, non per se, sed secundum alicuius
differentiam dictum, alioquin commune est hoc generi cum specie, ut in eo quod
quid sit praedicetur, sed quia hoc genus a differentia discrepat, quoniam
differentia quidem in eo quod quale est, genus uero in eo quod quid est
praedicatur, generis proprium dicitur non per se, sed ad differentiae
comparationem, et in omnibus reliquis eandem rationem conueniet speculari;
quodcumque enim ita generi proprium dicitur, ut nulli sit alii commune, sed
tantum hoc habeat genus ut omne genus et semper, id secundum se proprium
nuncupatur, quicquid uero cum quolibet alio commune est, id non per se, sed ad
alterius differentiam proprium dicitur. Alia rursus generis et diffe- rentiae
separatio est, quod genus quidem speciei unum semper adest, scilicet proximum
plura - enim possunt esse superiora, uelut hominis animal atque
substantia, sed proximum eiusdem hominis animal tantum —, differentiae uero
plures uni speciei 5 superius] p. 297, 9. 1 post agnoscitur add . Omne enim
genus ei proprietate cognoscitur praedicationis P, in inf. mg. Lm2 generis E
2 quid est] quidem E quidem quid est HN unum om.
E respondere CLR 4 sit] est HN 7 hoc
ex huic Em2 8 ac G 9 est] sit N 11 et om.
EG 12 conuenit CHNP 13 generis Pm2 alii sit
C 14 tamen E habeat—semper] Cm2Hm1N habeat genus
et omne genus et (et om . Lm2R ) semper Cm1Hm2Lm2R
habeat omne genus semper EG habeat genus omne semper
Lm1 genus hoc (del. m2) haheat omne genus (genus omne
m2 ) et (s. l. m2) semper P 15 se om. CN , illud Cm2
(s. l.) id H post proprium add . dicitur quod per se
proprium CHN 16 ad om. C, in mg. Hm2 17 pr .
differentia C 18 est om. HNR , s. l. E uni
R 19 proximum Cp. c . proprium a. c . ad plura in
mg. genera Lm2 , enim genera P 20 ante
animal s. l . sed genus Cm2 21 post speciei
add. semper adsunt E adesse poterunt, ut rationale
atque mortale homini, itaque fit definitio ex uno quidem genere, sed pluribus
differentiis, ut hominis animal rationale mortale. Rursus alia discretio est,
quod genus quidem quasi subiecti locum tenet, differentia uero formae, ita ut
illud sit materia quaedam quae figuram suscipiat, haec uero sit forma
quae superueniens speciei substantiam rationemque perficiat. Idcirco uero
pluribus differentiis a genere differentiam segregauit, quia haec maxime
generis quandam similitudinem contineat, quia est uniuersalis et praeter genus
inter ceteras maxima, sed cum alia plura communia pluraque propria generis
inter se ac differentiae ualeant inueniri, nunc, inquit, ista sufficiant, satis
est enim ad discretionem quaslibet differentias assumere, etiamsi non quae dici
possunt omnia colligantur. Genus autem et species commune quidem ha- bent de
pluribus, quemadmodum dictum est, prae- dicari. sumatur autem species ut
species et non etiam ut genus, si fuerit idem et species et genus. Porph.
Boeth. adesse—mortale om. EGR ut om. HN ut homini
C Hominis itaque C hominis, itaque P 2
ante pluribus add . de Lm2 3 post
rationale add. atque edd . est om. HNR 4 quidem
om. C 5 ita ut om. EGLm1 ut m2 quaedam om.
EG, s. l. Lm2, ante materia P quae om. R, s. 1.
Cm1? quod Em1 6 suscipiens Lm1R 7 uero om.
EGLR 8 differentias CEGHm1Pm1 9 continet EGLPR 10
et om. N praeter] post HPm1 maxima inter ceteras
H in N cetera Lm1Pm2 edd . maximi G maximae
Pm1 12 nunc — sufficiant] HLNR (recte? an ex p. 297,
1?) ista inquit sufficiunt GP sufficiunt inquit ista C
ista quidem sufficiunt E 14 non post omnia E (s.
l.) p, ante brm colliguntur Hm1R 15 ET SPECIEI]
SPECIEIQVE C; de Porph. cf. ad p. 102, 7 17 de pluribus om.
G 18 sumatur—prae- dicantur (p. 303, 2)] LR Q , om. cett .
autem] autem et L ΛΛΦ ; Porph. p. 15, 11
11 et om . ΓΔ sed RΣ 19 ut add . \ m2 pr . et] L cum
Porph. p. 15,12, om. codd. cett. edd. Busse genus et species Ε Σ commune autem his
est et priora esse eorum de quibus praedicantur, et totum quiddam esse utrum
que. Generis et speciei enumerat tria communia, unum quidem, de
pluribus praedicari; genus enim et species de pluribus praedicantur, sed genus
de speciebus, ut dictum est, species uero de indiuiduis. sed nunc de illa
specie loquitur quae tantum species est. id est quae non etiam genus est, sed
ultima species, quodsi talem speciem ponamus quae etiam genus esse
potest, ac de ea dicamus quoniam commune habet cum genere de pluribus
praedicari, nihil interest an ita dica- mus, ipsum genus id secum habere
commune de pluribus praedicari, talis enim species quae non est solum species,
ea etiam genus est. Est autem commune his quoque quod utra- que priora
sunt his de quibus praedicantur, omne enim quod de aliquibus praedicatur, si
recto, ut dictum est superius, ordine dicatur, prius est his de quibus
praedicatur. Praeterea est illis hoc etiam commune, quod genus ac species totum
sunt eorum quae intra suum ambitum continent et cohercent; omnium enim
specierum totum est genus et omnium indi- ui|duorum totum species, aeque enim
genus et species aduna- p. 99 tiua sunt plurimorum, quod uero
multorum adunatiuum est, id eorum quae ad unitatis formam reducit, recte
dicitur totum. superius] p. 290, 15 ss. 1 est om.
L priora] propria La.c. Tk a.c A m1 2 esse] est C
5 ante genus add. et H (er.) N 6 post
genus add . quidem L 8 est, sed] est ut est H ut
est N 12 secum] H (cum in ras. m2 )
LR secundo CEGNPm2 (-da m1 ) de pluribus—commune
post praedicantur (15) E 13 quod E 14 his commune
HN 15 omne—-praedicatur (16) in mg. Hm2 dicatur]
praedicatur CN his] de his G 18 etiam hoc N
eorum sunt C 20 genus est NR et] ut Hm1
ante species add. est CNP, post E (in ras.) H 23 quod
E re- ducuntur Ca.c.N Differt autem eo quod
genus quidem continet spe- cies sub se, species uero continentur et non
continent genera; in pluribus enim genus quam species est. genera enim
praeiacere oportet et formata specificis differentiis perficere species;
unde et priora sunt naturaliter genera et simul interimentia, sed quae non
simul interimantur. et species quidem cum sit, est et genus, genus uero cum
sit, non omnino erit et species. et genera quidem uniuoce de speciebus
praedi- cantur, species uero de generibus minime, amplius genera quidem
abundant earum quae sub ipsis sunt specierum continentia, species uero a
generibus abun- dant propriis differentiis. amplius neque species fiet umquam
generalissimum neque genus specialissimum. Expeditis communibus
generis ac speciei nunc de eorum discretione pertractat. differre enim dicit
genus ab specie, quoniam genus continet species, ut animal hominem,
species 1—15] Porph. p. 15, 14—24 (Boeth. p. 42, 21—43, 10). 1 PROPRIO
H DIFFERENTIIS C; de Porph. cf. ad p. 105, 16 2
Differunt ENR edd.; Porph. p. 15, 15 διαφέρει post autem add . genus
a specie Φ continet quidem
N 3 sub se er. uid . 5 , s. l. 2 m2, ante
species (2) ΓΦ ; Porph. p. 15, 15
περιέχει τά είδη species s. l.
Gm2 continetur C A continetur a genere Γ ; Porph . τα δέ είδη περιέχεται et om. EG
continet C ΑΦ 4 in pluribus—differentiis (14) ] LR Q
, om. cett . enim] quidem S ; Porph. p. 15, 16 ετι τά γένη 5 ante oportet s. l . et 5
m2 et s. l . 5 m2 , hic om., sed ante
perficere pos. LR h m1 (del. m2) A ; Porph.
p. 15, 17 ν.α'ι διαμορφωθ-έντα 7 sed] si R 9 est] Porph. p. 15,
19 πάντως εστι; exciditne omnino ? pr .
et om . LR I , s. l . A m2 ; Porph. p. 15,
19 εστι και γένος post . et]
A (del. m2) Φ cum Porph. p. 15,
20, om. cett. edd. Busse 10 uniuoce quidem AAS ; Porph.
τά μέν γένη de speciebus] Porph. p. 15, 21 των δφ’ έοοτά ειδών 12 quidem genera L
s m2 i\Y . Busse; Porph. τά μέν γένη sunt (s. l. L) sub ipsis LR;
Porph. p. 15, 22 των όπ’ αΰτά ειδών 13 a om . ΓΦ ab A m1 , del. m2 14 fiet
post umquam C fit HN 15 neque genus
specialissimum om. H post genus add . fiet
CEGR fiet umquam ΑΑΣ fiet species L;
Porph. 15, 24 ούτε τδ γένος ειδικάιτατον 16 ac] et CE 17 differt GR
a HLNR 18 pr . speciem HN uero non continet
genera; neque enim homo de animali prae- dicatur. itaque fit ut species quidem
contineantur a generibus, numquam uero contineant genera, omne enim quod
amplius praedicatur, illius est continens quod minus dicitur, quodsi
genus amplius praedicatur quam species, necesse est ut spe- cies quidem
contineatur a genere, genus uero speciei nullo ambitu praedicationis includatur,
huius autem ratio est quo- niam genus semper suscipiens differentiam speciem
facit, hoc est, genus quod habebat latissimam praedicationem, coartatum
differentia et contractum speciem facit; omnino enim generi iuncta differentia
speciem reddit et ex uniuersalitate atque latissima praedicatione in angustum
speciei terminum con- trahit. animal enim, cuius praedicatio per se longe
lateque diffusa est, si arripiat rationalis differentiam, si etiam
mortalis, deminuit atque contrahit in unum hominis speciem, unde fit ut
minor sit semper species quam genus atque ideo contineatur, sed non contineat,
sublatoque genere auferatur et spe- cies; si enim totum auferas, pars non erit,
quodsi species auferatur, genus manet, ueluti cum animal sustuleris, interi-
mitur etiam homo, si hominem auferas, animal restat, haec etiam causa est, ut
genus de specie uniuoce praedicetur, id est ut species suscipiat definitionem
generis et nomen, sed 1 continent HN enim om. C 6
contineantur NR speciei om. R specie Cm1 in
specie Lp.c . species N post nullo add . modo
EGHPR, s. l. Lm2 7 includitur EGLm1P includat N
post autem s. l. rei Cm2 8 semper om.
HN species N hoc—facit (10) om. EG 9 est s.
l. C, om. HN, del. Pm2 habet Lm2Pm2 coartatum ex
coapta- tum Lm2, in mg . ał coaptata ipsa diffinitio et contracta speciem
facit m1 coaptata Hm2P apta Cm1
(aptata m2 ) Hm1N 10 et] LR, s. l. Pm2 , om. CHN (de EG
cf. ad S) contracta Lm2 omni Hm2Lm2 11 et om. G, s. l. ELm2 atque] et EHNPR 12
post praedicatione add. generis CNP, s. l. Lm2 speciem EG contrahitur Hm2 14
differentia C ( ras. ex -ã) R etsi etiam E et s. l.,
del. si etiam Lm2, et R diminuit EHLPR ; diminuitur atque
contrahitur N unam C (am in ras. m2 )
Hm2NR 16 continentur sed non continent N 17 et om.
EGR 19 remanet C cum] si P 21 est causa
C 22 generis et nomen] et generis nomen E et nomen generis
N generis nomen R non e conuerso. definitionem quippe
speciei genus suscipere non uidetur; substantiam enim priorum inferiora
suscipiunt, si enim definias animal et dicas substantiam esse animatam atque
sensibilem aut si praedices de homine animal, uerum dixeris, si etiam animalis
definitionem de homine prædicaueris dicasque hominem esse substantiam
animatam atque sensi- bilem, nihil fuerit in propositione falsi, sed si hominis
defini- tionem reddas ‘animal rationale mortale’, ea animali non con- ueniunt;
neque enim quod animal est, id dici poterit animal rationale mortale, fit
igitur, ut sicut species generis nomen suscipit, ita etiam capiat
definitionem, et sicut genus nomen speciei non suscipit, ita nec eiusdem
definitione monstretur, sed cuius nomen et definitio de aliquo praedicatur, id
uniuoce dicitur, cum igitur generis et nomen et definitio de specie praedicetur,
genus de specie uniuoce dicitur, quoniam uero speciei de genere. neque
nomen neque definitio praedicatur, non conuertitur uniuoca praedicatio.
Differunt genera <ab> speciebus hoc quoque modo, quod genera superuadunt
species suas aliarum continentia specierum, species uero genera dif-
ferentiarum pluralitate, animal enim, quod est genus, superuadit hominem,
quod est species, quia non hominem solum continet, uerum etiam bouem, equum
aliasque species, quas suae spatio praedicationis includit, species uero, ut
homo, superuadit genus, ut animal, multitudine differentiarum, nam quod actu
genus 1 e conuerso] est (om. R) conuersio EGLPR 2
non er. H sub- stantiae EGLm2 (-tia m1 )
PR enim priorum] enim proprium EGP diffinitionem ( om . en.
pr .) R 3 et om. CHNP 4 aut] brm at
CHLNP, om. EGR 5 definitione E 7 nil C fuerat
Cm1 fueris HN falsi] mentitus HN sed] quod
CHN hominis definitionem om. EGR hominis rationem L 8 addas
EGR, post si ( om . reddas,) add. P , reddas addas L pr .
animali Ea.c.LR animal est G conuenit CNPa.c. 9
ante quod add. id HNPR, s. l. Lm2 id dici] EGLa.r.P
dici Lp.r.R idcirco dici HN id circo id dici C
11 et om. EG 12 defini- tionem ( uel diff-) monstret
EGR 14 pr . et om. CEG,
s. l. Lm2 15 praedicatur E uniuoce de specie C 17
a add. brm , ab Brandt 18 modo om. NR 19
continentia aliarum C 21 quod] quae N non s. l
Cm2 22 equum bouem HN 24 namque quod Lp.c . non
habet rationale uel mortale nullas quippe actu genus retinet | differentias,
easdem species suae substantiae inhaerentes atque insitas tenet, homo enim
rationalis est atque mortalis, quod genus minime est; animal enim neque
mortale est per se neque rationale, quodsi genus quidem plus unam
continet speciem, at uero species multis differentiis infor mantur, superat
quidem genus speciem continentia specierum species uero uincit genus
differentiarum pluralitate. Illa quoque est differentia, quod genus quoniam
omnium primum est, numquam in tantum descendere poterit, ut fiat ultimum,
species uero, quae cunctis est inferior, in tantum ascendere non poterit, ut
suprema omnium fiat; numquam igitur nec species generalissimum fiet nec genus
specialissimum. Sed ex his quae dictae sunt differentiae aliae sunt quae genus
ab specie propriae coniunctaeque disterminant, aliae uero quae non solum
genus ab specie, uerum etiam a ceteris diducunt ac disterminant, neque in his
tantum differentiae quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris considerentur
oportet, si proprie normam quaerimus discretionis agnoscere. uel
om. R 4 mortale] rationale CHN 5 rationale] R
inratio- nale CHN per se rationale EGLP unam continet
speciem] EG (unam s. l. m2 ) Lm1 quam unam
continet speciem Lm2R una continet (continet una C )
specie CHNP 6 species uero ( om . at) C informa-
tur Lm1Pm1 7 species G 9 quoniam] quod Hm2
11 in tantum ascendere non] numquam in tantum ascendere LNR 12
nec... nec] et... et Hm1N et... nec C, pr . nec om. P 14 ex his om.
EG, s. l. Lm2 sunt om. E
differentiarum CN differentiis R genus s. l.
Cm2 a R 15 proprie coniuncteque ( ras. ex -teque
Η ) HΝR (recte?) propriaeque G coniunctaeque om.
EG 16 ab] a R diducunt] Em2R deducunt cett.
distinguunt ac deducunt ( om . disterminant] HN 17 neque (et quae
non CHN, s. l . ał quae L ) in his tantum differentiis quae sunt
dictae ( L quae sunt dicta G quae dictae sunt CHNP quid
sint in ras. E ) uerum etiam in ceteris (add. quoque HLm1N, del.
Lm2 ) considerentur oportet CEGHLNP neque in his tantum oportet
considerare differentias quae sunt dicta uerum etiam in ceteris oportet R
; differentiae scr. Brandt ; neque enim in (de bm ) his tantum
oportet (oportet om. p ) differentiis quae sunt dictae, uerum etiam in
ceteris considerare (considerari oportet p ) edd. 18 propriae CEGLP 19
discretionis quaerimus HR Generis autem et proprii
commune quidem est sequi species - nam si homo est, animal est, et si homo est,
risibile est et - aequaliter praedicari genus de specie- bus et proprium de his
quae illo participant; aequaliter enim et homo et bos animal et Cato et
Cicero risibile, commune autem et uniuoce praedicari genus de propriis
speciebus et proprium quorum est proprium. Tria interim generis ac
proprii dicit esse communia, quorum primum illud est, - quoniam ita genus
sequitur species ut proprium, posita enim specie necesse est intellegi
genus ac proprium; neutrum enim species proprias derelinquit, nam si homo est,
animal est, si homo est, risibile est; ita quemad- modum genus, sic proprium ab
ea specie cuius est proprium, non recedit. Illud quoque, quod aequalis est
generis partici- patio, sicut etiam proprii, omne enim genus aequaliter
specie- bus participatur, proprium uero indiuiduis omnibus aequaliter
adhaerescit, manifestum uero est participationem e?se generis aequalem; neque
enim plus homo animal est quam equos Porph. Boeth. COMMVNITATIBVS Ψ ; de Porph. cf. ad p. 102, 7 2 Genus
Em1Gm1 consequi Pm1 3 nam—risibile] LR Q, om. cett. pr
. est s. l. h m2 5 illo] sub illo R participant]
continentur R , add. indiuiduis edd. cum plerisque
codd. Porph. p. 16, 4 6 post animal add. est ΓΦ , om. Porph. p. 16, 5 et Cato et
Cicero] Porph . xat Άνοτος και Μέληχος post risibile add.
est Φ 7 autem et] autem CEGP autem est
(est s. l . h m2 ) et (om. R) R h autem
his Ψ autem hiis et Φ his (s. l. m2) autem et Γ ; Porph. p. 16, 6 δέ καί speciebus propriis
R 8 post pr . proprium add . de his Ν Σ , s. l. de
propriis Gm2 10 illud est primum R 11 post
proprium add. quoque CH (del. m2) N ac]
et C 13 si] et si HN risibilis EGHNP
15 post quoque add. est commune R, s. l. Lm2 , s. l . scil,
commune est Hm2 a genere (generis Hm2 ) participatio
est HN 16 proprii] a proprio Hm1N ante
speciebus add . a H ab L (del. m2) NB, post add .
suis R 17 parti- cipat ** (ur er .) E 18
adheret N participatione EGR generi E ( ex
genere m2 ) R 19 aequale EG aequale
proprium R, post aequa- lem add. s. l . et proprii Lm2,
in mg . et proprium Pm2 atque bos, sed in eo quod sunt animalia,
aequaliter animalis, id est generis ad se uocabulum trahunt. CATONE (si veda) etiam
et CICERONE (si veda) æqualiter risibiles sunt, etiamsi aequaliter non rideant;
in eo enim quod apti ad ridendum sunt, dici risibiles possunt, non quod
iam rideant, aequaliter ergo ea quae sub genere sunt, suscipiunt genus, sicut
ea quae sub propriis, propria. Tertium illud, quod sicut genus de speciebus
propriis uniuoce praedi- catur, ita etiam proprium de sua specie uniuoce
dicitur, genus enim quoniam substantiam speciei continet, non modo eius
nomen de specie, uerum etiam definitio praedicatur, pro- prium uero quia
speciem non relinquit eamque semper sequitur nec in aliam speciem transgreditur
nec infra subsistit, defi- nitionem quoque propriam speciebus tradit; cuius
enim nomen uni tantum conuenit speciei cui coaequatur, dubitari non potest
quin eius quoque definitio speciei conueniat. quo fit ut sicut genus de
speciebus, ita proprium de sua specie uniuoce praedicetur. Differt
autem, quoniam genus quidem prius est, posterius uero proprium; oportet enim
esse animal, dehinc diuidi differentiis et propriis, et genus
qui- Porph. Boeth. eo] eodem HLm2NR 2 ad se om. EGR, s.
l. Lm2 etiam om. H et om. R 3 pr .
aequaliter om. C 6 suscipiant Em1Lm1 genera
EGLPm2 gen. ante suscipiunt HNP 7 illud] illud
commune est G quid Cm1 9 enim om. E nomen
eius C 11 quia om. EGLP derelinquit Lm2P
eamque] eique HN ei quae R ea quae Pm1 ae-
quatur Pm2 12 definitio (diff-) ELm2 (diffinitione
m1 ) Pm1 definitio enim R 13 proprium Ea.r.R
proprii Ep.r.L ( ras. ex propriis,) P
traditur EGLm2Pm1 14 cui] uel ei C eique HNPm2
(cuique m1 ), et (del. m2) cui L aequatur
L 18 De proprietatibus Δ ; de Porph. cf. ad p.
105, 16 GENERIS ET PROPRII] EORVM P PROPRII] SPECIEI L 19
Differunt C edd . autem om. N autem genus et proprium LR Δ2 ; Porph. p. 16, 9 Διαφέρει δέ δτι τό μίν γένος quidem om.
HNR est om. H 20 oportet—interimunt genera (p. 310, 10)
] LR Q , om. cett . 21 pr . et om. L dem de
pluribus speciebus praedicatur, proprium uero de una sola specie cuius est
proprium, et proprium quidem conuersim praedicatur de eo cuius est proprium,
genus uero de nullo conuersim praedicatur, nam neque si animal est, homo est,
neque si animal est, risi- bile est; sin uero homo est, risibile est, et
e conuerso amplius proprium omni speciei inest cuius est pro- prium, et soli et
semper, genus uero omni quidem speciei cuius fuerit genus, et semper, non autem
soli, amplius species quidem interemptae non simul inter- imunt|genera,
propria uero interempta simul in- terimunt ea quorum sunt propria, et bis
quorum sunt propria interemptis et ipsa simul interimuntur. Rursus tale
proprium sumit, quod ad alterius comparationem proprium nuncupetur, dicit enim
proprium esse generis prius esse quam propria, oportet enim prius esse
genus, quod ueluti materia differentiis supponatur, uenientibusque differentiis
fieri speciem, cum quibus propria nascuntur, si igitur prius est 1
praedicatur] R A m2 n edd . praedicari cett. codd.
Busse (propriis, et genus distinguit, sed cf. 16
oportet et p. 311, 9 Rursus differt); Porph- p. 16, 11 κατηγορεΐται 2 una sola] Porph. ενός , cod. C add . μόνοο est om. Φ 6 si R homo est] homo et ΔΑΠΨ (et er .), homo, et Busse homo
est (est s. l. m2 ) et L; Porph. p. 16, 13 et δέ άνθρωπος et e conuerso] et
conuerso L h m1 et conuersim si risibile est homo est R
si risibile est homo est 2 ; Porph. p. 16, 14 καί εμπαλιν , add. ei γελαστικόν, άνθρωπος cod. C 8 et
soli] TA m2 et uni Δ m1 ΑΣ et uni et soli LR ΠΦΨ ; Porph. p. 16, 15 καί μόνψ speciei quidem
2 9 post speciei add . inest LR TA ( s. l
.) ΠΦΦ- (in mg. m2) edd. Busse, om . Δ2 cum Porph . soli] Porph. p.
16,16 και μόνω 10 species s. l.
L propria brm cum Porph . interempta Φ interimuntur HL 11 post
genera add. quorum sunt species A propria] genera
brm Busse (in adn.) cum Porph. p. 16, 17 interimuntur HΡ 12 ea om . Η ΤΦ species brm cum
Porph . quarum brm et his— interemptis om. EG et]
quare edd., Porph. p. 16, 18 ώστε καί 13 in- teremptis
ante et his CP et ipsa] et ipsa etiam propria Φ ipsa propria 2 interimuntur
simul CGLR ad 10—13 cf. p. 312, 13 ss . 14 Rursus om. EG, s. l. Pm2
, sed R ad om. H, s. l. Pm2 comparatione
HPm1 15 nuncupatur Cm2Em2Ga.c.N pr . esse om. N,
s. l. Pm2 uelut N species Lm2 nascantur
N genus quam differentiae, prius etiam differentiae quam species et
speciebus propria coaequantur, non est dubium quin pro- pria generibus posteriora
sint, ac per hoc quod dictum est, proprium esse generis prius esse quam
propria, commune est hoc generi cum differentia, differentiae enim
species conformantes priores considerantur esse quam propria, siquidem
speciebus ipsis priores sunt, quas propria ratione determinant, sed ut dictum
est, hoc proprium ad differentiam proprii intellegendum est, non quale superius
per se proprium constitutum est. Rursus differt genus a proprio, quod
genus quidem de pluribus praedicatur speciebus, proprium uero minime; nam neque
genus est, nisi plures ex se species proferat, nec proprium, si alteri cuilibet
speciei possit esse commune, fit igitur ut genus quidem plurimas sub se species
habeat, ut animal hominem atque equum, proprium uero unam tantum, sicut
risibile hominem. Quo fit ut illa quoque differentia nascatur : genus enim
praedicatur quidem de speciebus, ipsum uero in nulla praedicatione supponitur,
proprium uero et species alterna praedicatione mutantur, fit enim praedicatio
aut a maioribus ad minora aut ab aequalibus ad aequalia, genus igitur,
quod maius est, de speciebus omnibus praedicatur, species uero, quoniam minores
sunt, de generibus non dicuntur, ut animal de homine dicitur, homo uero de
animali nullo modo praedi- catur. at uero proprium, quoniam speciei aequale
est, aeque 1 etiam] enim Lm2 2et om. EG et
si H 4 est hoc] HL (hoc del. m2 ) N
est et hoc C esse Pm1 et hoc est m2
est EGR 5 diffe- rentia] differentiis CHN
differentiae om. EG enim s. l. Cm2, post species
EG informantes prius N 6 considerentur Hm1R
esse s. l . Cm2 7 quam G 8 hoc om.
EGR 10 a om. NR quod] quo- niam L de] a
C 12 proferet Lm2 14 species sub se C 16 quoque del.
Em2, post add . proprietas (s. l. Lm2) ex GL, s. l. Pm2
nascan- tur Ep.c . 17 de speeiebus quidem C ipsis
CN in om. CN 19
mutuantur La.c.Pm2 praedicatio om. EGR, s. l. Lm2 20
quod] quoniam E (in ros.) Gm2 21 est s. l. Em2
praedicabitur N 22 minora CEGLm2P praedicatur
atque supponitur, ut risibile de homine dicitur - omnis enim homo risibilis est
—, eodemque conuertitur modo; omne enim risibile homo est. Differt etiam
proprium a genere, quod proprium uni et omni et semper speciei adest, genus
uero ex his duo quidem retinet, in uno uero diuersum est. nam speciebus
suis et semper adest et omnibus, non uero solis; hoc enim haeret propriis, quod
singulas tantum species continent, hoc generibus, quod plures. igitur propria
quidem singulas optinent species, genera uero non singulas, adest igitur
proprium uni soli speciei et semper et omni, genus uero omni quidem et
semper, sed non soli, ut risibile homini soli, ani- mal uero eidem homini, sed
non soli; praeest enim ceteris, quae inrationabilia nuncupamus. Praeterea si
auferatur genus, species interimuntur nam si non sit animal, non erit homo —,
si auferas species, non interimitur genus; nam si non sit homo, animal
non peribit, species uero et propria quoniam sunt aequalia, alterna sese uice
consumunt; nam si non sit risibile, homo non erit, si homo non sit, risibile non
manebit, consumunt igitur genera sub se positas species, non uero ab his
inuicem consumuntur, species uero et proprium inuicem perimuntur et
perimunt. 1 supponitur] (sub- HP ) CHm2Lp.c.P praeponitur cett.,
recte? 2 enim om. C locus risibilis est—quidem
speciebus (p. 315, 7) bis in E scriptus, pag. 229—231 (E I ), ubi deletus
est, et p. 232—234 (E II ) 3 etiam om. R, del. Lm1 , enim
m2 autem etiam H a genere pro- prium C a
om. R 4 speciei s. l. Hm2 5 uero] quidem E I qui- dem
duo CNB , om . quidem E I 7 haeret propriis] E
III GL haeret (ł inerit m2 ) tantum propriis
P erat (erit R ) tantum propriis (proprii N ) esse
CNR heret propriis uel aliter hoc enim erat tantum H; ad
haeret cf. p. 298, 4 tantum species—quidem singulas om. E
I tan- tum del. Lm2, s. l. Pm2 , post species
NR 8 continerent CHm2 con- tineret N contineant
Pm2 10 soli///// E I solius E II G 11 sed]
et HN soli homini NP 13 inrationalia H
auferamus EGLPR 14 interi- mantur L erit] est
N 19 sub se positas] sibi (om. H) suppositas HN
21 perimuntur] consumuntur Lm2 perimunt] perimuntur Lm2
pereunt HNPm2 Generis uero et accidentis commune est
de pluri- bus, quemadmodum dictum est, praedicari, siue separa- bilium sit siue
inseparabilium; etenim moueri de pluribus et nigrum de coruis et de
hominibus Aethio- pibus et aliquibus inanimatis. Nihil est quod inter
cetera ita sit a generis ratione dis- iunctum, sicut est accidens, nam cum
genus cuiuslibet substantiam monstret, accidens uero a substantia longe
disiunctum sit et extrinsecus ueniens, nihil fere notius commune potest
habere cum genere quam de pluribus praedicari, genus enim de pluribus
praedicatur speciebus, accidens uero de pluribus non modo speciebus, uerum
etiam generibus animatis atque inanimatis, ut nigrum dicitur de rationabili
homine, de inra- tionabili coruo et de inanijmato hebeno, album etiam de
cygnoj p. 102 et marmore, moneri de homine, de equo et de stellis
ac de sagitta, quae sunt separabilis accidentis exempla. 1—6]
Porph. p. 16, 19—17, 2 (Boeth. p. 44, 12—16). 1 GENERIBVS
ACCIDENTIBVS E I E II m1 ACCIDENTI R
de Porph. cf. ad p. 102, 7 2 Commune uero est generis et accidentis
2 Generi N Generibus E I accidentibus E
I m1 3 praedicari ante quemadmodum L siue—pluribus
et] LR Q , om. cett . separabile 2 m1 4 sit] sit
accidens 2 inseparabile 2 m1 5 post et om.
R de om . E II HNR ΑΦ , recte?
homine E III omnibus L A ( ras. ex hominibus)
hominibus om. brm, delend. uid. Bussio; cf. p. 116, 5. 123, 22. 131,
2 homine Aethiope; Porph. p. 17, 1 κατά κοράκων καί Αίθ·ιοπων aethiopus EIII et (et de
G, del. m2 ) aethiopibus GPm2 T2 6 ante aliquibus add. de
Gm2 in animis E I , ante inanimatis add .
naturis H (del. m2), post CN , praedicari Γ ( in mg . praedicatur) Φ ; Porph. καί tivmv άψΰχων 7 in ceteris E III
GLm1P 9 a om. R 10 uere GR uero ha- bere
potest C enim] uero C 14 rationabile E III
a. c. Gm1 rationali HNP post homine add .
et N irrationali HNP 15 ebeno E III 16 marmore]
de marmore P post homine add . et N
17 sagitta] CHLm1NPm1 (sagittis m2 ) agitatis E
III GR edd . ał de agitatis scil, rebus id est mobilibus
Lm2 Differt autem genus ab accidenti, quoniam genus ante
species est, accidentia uero speciebus posteriora sunt; nam si etiam
inseparabile sumatur accidens, sed tamen prius est illud cui accidit quam
accidens, et genere quidem quae participant, aequaliter partici- pant,
accidenti uero non aequaliter; intentionem enim et remissionem suscipit
accidentium participatio, generum uero minime, et accidentia quidem in indi-
uiduis principaliter subsistunt, genera uero et species naturaliter
priora sunt indiuiduis substantiis, et genera quidem in eo quod quid sit praedicantur
de bis quae sub ipsis sunt, accidentia uero in eo quod quale aliquid sit uel
quomodo se habeat unum quod- que; qualis est enim Aethiops interrogatus
dices ‘niger’, et quemadmodum se Socrates habeat, dices quoniam sedet uel
ambulat. Porph. Boeth. PROPRIIS] DIFFERENTIA C; de Porph. cf. ad p.
105, 16 QVID INTER GENVS ET ACCIDENS SIT Φ (ex p. 116,
10) 2 genus s. l. Hm2 ab om . HRE III
Δ accidenti] Δ accidente cett . 3 speciem
ΧΦ posteriora ante speciebus C inferiora XA m1
AS 4 nam—unum quodque (14) ] LR Q , om. cett . si
etiam] etsi etiam ΓΦ sed om . Γ si Σ
5 prius] plus S 6 genere] A m2 Busse
genera cett. codd. edd . quae] quibus A m1 aeque
Δ 7 accidenti] p Busse accidentia codd. brm; ad 5
et— 7 cf. Porph. p. 17, 6 s. et infra p. 315, 12—14 enim om. L in
mg: figuram quandam habet Δ , aliam (cf. ad p. 320,17)
Γ 9 uero om. R in om . Γ Busse,
s. l . Rm2 A m2 K ; cf. p. 315, 21; Porph. p. 17, 9 έπΐ
τών άτομων 10 nero om . Δ 11 post
naturaliter add. non principaliter LR AΑΦ ; om. Porph. p. 17, 9 12 sit] est LR
A ante de add. et, sed del. ΓΔ 13 hiis Φ 14 ante quale add.
et R sit] cod. Q
Bussii edd . est cett. codd . quomodo om. R quodammodo
A m2 se s. l. A m2 habet A m1 15 eat
ante aethiops ΔΑ , post HΝ ΤΣΦ enim om. L
interrogatur Φ dices] LRT
dicis cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 15 respondebimus;
Porph. p. 17, 12 έρεΐς 16 quo- modo Δ habeat ante socrates A habet ΗR Φ dices] K m2 dicis cett. codd.
edd. Busse, cf. p. 317, 16 dicemus; Porph . έρείς 17 ambulet La.c.N Differentiam generis et
accidentis hanc primam proponit, quod genus quidem ante species sit, quippe
quod materiae loco est et differentiis informatum species gignit, at uero
accidens post species inuenitur. oportet enim prius esse cui aliquid
accidat, post uero ipsum accidens superuenire; nam si subiectum non sit quod
suscipiat, accidens esse non poterit, quodsi genus quidem speciebus subiectum
est nec possunt esse species, nisi eis genus ueluti materia supponatur, acci-
dentia uero esse non possunt, nisi eis species supponantur. manifestum est genus quidem esse
ante species, accidentia uero post species. Rursus alia differentia, quoniam
genus neque intentionem neque remissionem suscipere potest, quo fit ut quae
participant genere, aequaliter eius nomen definitionemque suscipiant; omnes
enim homines aequaliter animalia sunt eodemque modo equi, nec non inter
se homo atque equus et cetera animalia comparata aeque animalia praedicantur,
accidentis uero participatio et intenditur et remittitur, inuenies enim
quemlibet paulo diutius ambulantem, paulo amplius nigrum et in ipsis
Aethiopibus considerabis omnes non aeque nigro colore obductos. Alia
quoque differentia est, quoniam omne accidens in indiuiduis principaliter
subsistit, genera uero et species indiuiduis priora sunt; nisi enim singuli
corui 1 et accidentis] ab accidentibus HN ponit C
2 pr. quod] quid C quoniam (del. m2)
quod E II 4 post esse add . aliquid P, s.
l. Lm2 5 si—sit] nisi sit subiectum HN nisi subiectum
sit R 6 quid Cm1 potest H 7 speciei HN
est] sit N nec] non CEGLP 8 uelut CEGLP
uel R supponitur C 9 supponatur ( uel
subp-) EGH 10 ante manifestum add . nam EGLP
11 post Rursus add . uero C post alia add .
est CGP 13 generi CEGP 15 eodem EHLR 18
paulo amplius nigrum paulo diutius ambulantem HN post ambulantem
add . et LR 19 et] et si (si s. l, Lm2 ) LR
si EGP omnis GLm2R aequa nigredine coloris
(coloris del. Lm2) HLNP 20 obductus EGLm1R ,
post obd. add . esse C est EGLR est
om. HN 21 in om. CG genera—priora sunt] C species
uero et genera indiuiduis priora sunt HLm1N genera uero speciebus et
indiuiduis priora sunt GP genera nero et speciebus et indiuiduis
posteriora sunt Lm2 genera indiuiduis priora sunt E et
indiuiduis posteriora sunt R 22 singulariter EGPR nigredine
infecti essent, comi species nigra esse minime dicere- tur. ita fit ut
accidentia post indiuidua esse uideantur. nam si prius est id cui aliquid
accidit quam illud quod accidit, nop est dubium prius esse indiuidua, posterius
uero accidens, genera uero et species supra indiuidua considerantur; hoc
idcirco, quoniam de his omnibus praedicantur eorumque substantiam propria
praedicatione constituunt, sed dici potest genera quoque ipsa et species
posteriora indiuiduis inueniri; nam nisi sint singuli homines singulique equi,
hominis atque equi species esse non possunt, et nisi singulae species
sint, eorum genus animal esse non poterit, sed meminisse debemus superius
dictum esse genus non ex his sumere substantiam de quibus praedicatur, sed de
eo potius, quod differentiis constitutiuis eorum substantia formaque
perficitur, itaque si genus quidem diuisiuis differentiis interemptis non
perimitur, sed manet in his quae eius constitutiuae sunt eiusque formam
definitionemque perficiunt, cumque differentiae diuisiuae generis speciebus
sint priores — ipsae enim species conformant atque constituunt —, non est dubium
quin genus etiam pereuntibus speciebus possit in propria manere substantia,
idem de speciebus dictum sit; species enim superioribus differentiis, non
posterioribus indiuiduis informantur, quae cum ita sint, species quoque ante
indiuidua subsistunt, accidentia uero nisi sint 12 superius] essent
in ras. Lm2 , sunt N sint
R 2 esse om. EGR 4 indiui- duum CHN 5 super
CN 8 genera] de genere R quoque om. R
quaeque EGP ipsa om. EGPR et species] atque species
(specie R ) LR specieaque N 9 nam nisi] nisi
enim EGR nara nisi enim (enim del. m2 ) C
homines—nisi singulae (10) in mg. Em2 homi- nes EN 10
et om. EG singulis E singuli G
singulares Lm2R 11 eorumque Lm2 earum brm 12
ex del ., his om. E 13 de eo] eo Hm1N ex eis Hm2
de eis Lm2 quod del. Hm2, er. L , quo GPR 14
eorum om. Lm1 eius R edd . quae eius Hm2 de
quibus eius Lm2 substantiam formamque perficiunt Hm2
normaque N 15 diuisiuae (post differentiae N)
differentiae interemptae non perimunt HLN 16 eius- que] quae
eius C quaeque eius EGP 17 speciebus generis
LNR 20 permanere Lm2R 23 quaeque EG quibus
accidant, esse non possunt, nullis uero prius accidunt quam indiuiduis; haec
enim generationi et corru|ptioni sup- p, 103· posita uariis semper
accidentibus permutantur. Illam quoque adnumerat differentiam quae est superius
dicta, quod genus quidem, quia rem demonstrat et de substantia
praedicatur, in eo quod quid est dicitur, accidens uero in eo quod quale est
aut in eo quod quomodo sese habet res. nam si qualitatem interroges, accidens
respondebitur, ut si qualis est coruus, ‘niger’, si quomodo sese habeat, aliud
rursus accidens, aut sedet aut volat aut crocitat. nam cum accidens in
nouem praedicamenta diuidatur, qualitatem, quantitatem, ad aliquid, ubi,
quando, situm, habitum, facere, pati, cetera quidem omnia in ‘quomodo se
habeat’ interrogatione ponuntur, qualitas uero in qualitatis sciscitatione
responderi solet. nam si interrogemur qualis est æthiops, respondebimus
accidens, id est ‘niger’, si quomodo se habeat Socrates, tunc dicemus aut
‘sedet’ aut ‘ambulat’ aut superiorum aliquid accidentium. Genus uero quo ab aliis quattuor differat,
dictum 4 superius] p. 189, 4 ss. 195, 1 ss. 18—p. 319, 14] Porph. Boeth. pr.
accidunt Lm1 accident N prius post accidunt
C 2 post indi- uiduis add. quia indiuidna prima sunt quantum
ad praedicationem P, in mg. Lm2 4 adnumera ( ann- G)
EG annumerant Hm1 dicta est superius R est sepius
(corr. m2) dicta C sepius (corr. Hm2) dicta
est HN 5 quidem om. EGR 6 dicitur om. N, s. l.
Hm2 post uero add. aut P 7se H post habet
add. res CLm1, del. m2 9se EGHN habet
Clm1 aliud rursus accidens] aliud uero accidens rursus C aut
uolat aut sedet HLN 10 croccit Hm1 groccitat N,
post add . egrotat P nam] at EGLm1 ac (ut uid.)
R 12 quanto Em1 quan- tum G situm habitum
quando C post omnia add. id est VIIII Hm1, del.
m2 13 habeant Ep.c. Lm2P interrogationem EGR 14 inter-
rogemur] C edd. (cf.p. 314, 15) interrogemus cett., recte?
cf.p. 58, ss. 99, 23 15 respondemus HNR 16 dicimus
EHLRbrm 17 aliquod ELa.c.N 18 uero] uerus Pa.c.
ergo CHL (in ras. m2) R Φ enim A ; Porph. p. 17, 14
uiv ουν quod EGPm1Rm1 T<l> ab] ΔΣΨ , s. l. Il m2, om. cett.
quattuor om. G, s. l. Δ m2 est. contingit
autem etiam unum quodque aliorum differre ab aliis quattuor, ut cum quinque
quidem sint, unum quodque autem ab aliis quattuor differat, quater quinque,
uiginti fiant omnes differentiae, sed semper posterioribus enumeratis et
secundis quidem una differentia superatis, prop(??)terea quia iam sumpta
est, tertiis uero duabus, quartis uero tribus, quintis uero quattuor, decem
omnes fiunt, quattuor, tres, duae, una. genus enim differt a differentia et
specie et proprio et accidenti; quattuor igitur sunt omnes differentiae.
differentia uero quo differat a genere dictum est, quando quo differret genus
ab ea dicebatur; relinquitur igitur quo differat ab specie et proprio et accidenti
dicere, et fiunt tres. rursus species quo 1 contingit—ad accidens
LR Q , om. cett. contigit R A m1 Y m1 2 aliis om. Porph. p.
17, 15 quidem om. L K Busse; Porph. μεν 3 post sint add. res
L unum quodque autem] il m2 xP p Busse unum autem
Β ΤΜΙ m1 Σ una autem L ΑΦ et unumquodque brm; Porph. ίνος ϊέ εκάοτοο aliis om. Porph. differt Δ 4 uiginti del. A, pos t
XX add. uel quinquies quattuor Rm1 quater V. XX
uel del. et post fiant add. uiginti m2
fient ΑΑ m1 Φ fuerint Γ post differentiae add. sed
non sic se res ( res om. p) habet edd. cum Porph. p.
17, 17 άλλ’ οοχ οδτως εχει set om. Γ 6 superatis] subtractis ΓΦ (ex substr- ) quia]
quoniam L A Busse sumpta] subtracta Γ 7 uero] autem LR T<l' duobus
R 8 omnes om. L post
fiunt add. differentiae Γ (s. l.) Π m2 edd. Busse (sed om. etiam
eius codd. LP) cum Porph. p. 17, 20 9 enim] autem Γ a om. Σ ,
s. l. A m2 et specie et proprio] a specie a pro- prio R
specie proprio Σ 10 et om. Σ
accidente R Σ igitur quatuor R differentiae omnes
La.c. generis differentiae R; Porph. p. 17, 22 at
διοφοραί 11 quo om. R differat] La.c. ( a
del.) Σ differret R differt cett. a
om. R 12 quo] quid L A Busse quod m1,
om. A ; ubi
quo est (hic et 11. 13. 14. 319, 1. 2. 3. 5. 7 bis), Porphyrius
π-j scripsit (p. 17, 23 et 22. 24. 25. 26 bis.
18, 1. 2. 3. 4) differret] LR Ψ (alt. r s. l.)
differre Λ differt ΓΙIΣΦ 13 igitur] ergo
2 quod R A differt A a.c. ab Brandt a LR il , s. l. A
m2, om. cett. et om. Β ΤΑΣ a L 14 accidente
R ΓΔ2Φ post tres add. differentiae Λ ( ei
fiunt tres differentiae. rursus in mg. m2) 11 m2 (
species m1) Γ ( rursus differentiae pos.)
Busse (cum duobus suis codd.), om. cett. codd. edd. Porph. quidem quo
ΓΔ2Φ; Porph. π-jj έν quidem differat a differentia
dictum est, quando quo differret differentia ab specie, dicebatur; quo autem
differat species a genere, dictum est, quando quo differret genus ab specie
dicebatur; reliquum est igitur, ut quo differat a proprio et accidenti
dicatur. duae igitur etiam istae sunt differentiae. proprium autem quo differat
ab accidenti relinquitur; nam quo ab specie et differentia et genere differat,
praedictum est in illorum ad ipsum differentia. quattuor igitur sumptis
generis ad alia differentiis, tribus uero differentiae, duabus autem speciei,
una autem proprii ad accidens, decem erunt omnes, quarum quattuor, quae erant
generis ad reliqua, superius demonstraui- mus. Quoniam differentias atque
communitates generis ad differentiam, ad speciem, ad proprium atque accidens
persecutus est, idem quoque ad ceteras facere contendens praedicit, quot omnes
differentiae possint esse quae inter se comparatis com- 1 differt R
A quo] quid A Russe quod Lm1 \ 2
differret] Lm2 Rm2 Aß p.c. tfl p.c. differet Lm1Rm Uα a. c.
ΦΨ a.c. differt Δ2 differtur Γ differentia ab
specie] ΓΦΨ ( sed a, scr. ab
Brandt), a (s. l. A m2) specie (s. l.
et add. Δ m2) differentia ΔΔΣ edd. Busse
species a ( et Ώ ) differen- tia L H differentia
ab ea R; Porph. p. 17, 26 ή διαφορά τού είδους
quod A m1 3 differat] L differt cett. (ex
differet V ) a om. R ϋϊ quo] quid Δ
Busse quod A 4 differret] L yAIW
differet R Φ differt ΓΑ2 4 ab specie] Γ a
specie L ΔIΙΔΦΦ specie 2 ab ea R 5
differt R, add. species ΓΑΠΨΨ , s. l. Lm2; om.
Porph. a om. accidenti] L acci- dente
cett. dicitur R 6 igitur om. 2 7
autem om. R, s. l. h m2 ab om. Σ
accidenti] edd. accidente codd. fort.
relinquetur; cf. Porph. p. 18, 3 χαταλειφθήσεται 8
ab Brandt a ΓΦ , om. cett. pr. et om.
R differet Λ m1 differret m2 differt A m1 2
, s. l. proprium add. Lm2 dic- tum Σ 9
differentia ante ad ipsum Σ differentiis Β ΓΑΦ ;
Porph. p. 18, 5 ... διαφορά 11 pr. autem] uero A
ad accidens] et accidentis ΓΔ«ι7ΠΦ; Porph. p. 18, 7 πρός
τδ σορβεβηχος 13 erant] erunt N reliqua] N
Λm1ίΣΦΨ reliquas cett. (in mg. ad aliquas T m2); Porph.
p. 18, 8 πρός τά άλλα 16 utrumque ad om. NR 17 idem quoque]
idemque Lm1NR ad cetera C de ceteris HLN
praedicit om. R nunc dicit H 18 possunt
CHLm1N commissisque N mixtisque rebus his quae supra
propositae sunt efficiantur. sunt autem uiginti. nam cum quinque sint res, una
quaeque res earum si a quattuor aliis differat, quinquies quater, uiginti
differentiae fiunt, quod appositarum litterarum manifestatur exemplo. sint
quinque res ueluti quinque litterae A B C D E. differat igitur A quidem
ab aliis quattuor, id est B C D E, fient quattuor differentiae. rursus B
differat ab aliis quattuor, id est A C D E, erunt rursus quattuor; quae
superioribus iunctae octo coniungunt. C uero tertia ab reliquis differt
quattuor, scilicet A B D E; quae quattuor differentiae supe- rioribus
octo copulatae duodecim reddunt. quarta D reliquis quattuor comparetur
differatque ab eisdem, id est A B C E, fient igitur rursus quattuor; quae
superioribus duodecim ap- positae sedecim copulant. quodsi ultima E ab aliis
quattuor differat, scilicet A B C D, fient aliae quattuor differentiae;
quae compositae prioribus uiginti perficiunt. et sit quidem
huiusmodi descriptio: positae
EHLNP efficiuntur HN ante una add.
et HLNPR res om. HN 3 si om. HN a om.
R uiginti om. E fiant Rm2 5 uel E 6
aliis] reliquis HN 7 fiant R differt
Ha.c.LN aliis] reliquis L 8 id est om. HN 9
ab] codd. reliquis] aliis L ante reliquis
add. si L, s. l. Pm2 12 differatque] differat aeque EGP
( differt m2) R eis GHNPm1R 13 fiunt N
fiant R igitur om. HN post quattuor add.
differentiae HN 15 fiant R faciat L
faciet HN aliae om. H alias LN
differentias HLN 16 superi- oribus C et sit
quidem] CGP et quidem sit R et sic (ex si
) quidem est E quarum ( quorum LN) quidem
sit HLN 17 discriptio C figu- ram om. G (duae lineae uacuae)
Hm1N, supra depictam dedimus ex E, eandem uarie exornatam habent R (post
uerba quattuor differentiae supra 7) Γ (in mg ad locum p. 314, 7 ss.), litteras
tantum omissis lineis Quae cum ita sint, in generibus quoque et
speciebus et ceteris idem considerabitur. erunt ergo quattuor differentiae,
quibus genus a differentia, specie, proprio accidentique dis- iungitur; aliae
rursus quattuor, quibus differentia a genere, specie, proprio atque
accidenti discrepat; rursus quattuor spe- ciei ad genus ac differentiam,
proprium atque accidens; quat- tuor etiam proprii ad genus, differentiam,
speciem atque acci- dens; quattuor insuper accidentis ad genus, differentiam,
speciem atque proprium. quae coniunctae omnes uiginti explicant
diflferentias. sed hoc, si ad numeri referatur naturam compara- tionisque
alternationem; nam si ad ipsas differentiarum naturas uigilans lector aspiciat,
easdem saepe differentias inueniet sumptas. quo enim genus differt a
differentia, eodem differentia distat a genere, et quo differentia distat ab
specie, eodem species a differentia disgregatur, et in ceteris eodem
modo. in hac igitur dispositione differentiarum, quam supra disposui, easdem
saepius adnumeraui. atque si differentiarum similitudines detrahamus, decem
fiunt omnino differentiae, quas ad prae- sentem tractatum uelut diuersas atque
dissimiles oportet assu- mere. age enim differat genus a differentia,
specie, proprio in mg. sup. add. Hm2, quaternas litteras ( B C D E
cett.) infra singulis litteris A cett. positas quadratis inclusas
exhibet L; in C in mg. (litt. minusc.) hae duae figurae sunt, quarum posterior
spectat ad p. 321, 20 ss. 323, 9 ss: in P figura est per quinque
ob- longa deorsum continuata, quorum primum hic proponitur : 3
ab CEGHP accidentique] atque accidenti ( -te N)
HN 4 dif- ferentiae G ab CEGHNP ac om. N ad LP
10 post hoc add. fiet E (s. l. m2)
fit H (s. l. m2) niget L (in mg.) R 13 adsumptas
R differat C 14 ab] a R saepius om. EGPR, s.
l. Cm2, post ad- numeraui L adnumerauit Cm2GP
atque) EGP at CR itaque HLN si om.
N multitudines, s. l. ał similitudines L 18
fient edd. atque accidenti, quattuor differentiis, quas supra
iam diximus. item sumamus differentiam, distabit haec a genere primum, dehinc
ab specie, proprio atque accident. sed quo discrepet a genere, iam superius
explicatum est, cum diceremus quo genus a differentia discreparet.
detracta igitur hac comparatione, quoniam supra commemorata est, relinquuntur
tres distantiae quibus differentia ab specie, proprio accidentique disiungitur;
quae iunctae cum superioribus quattuor septem differentias reddunt. post hanc
species si sumatur, quattuor quidem eius essent differentiae secundum
numeri diuersitatem, cum ad genus, differentiam, proprium atque accidens
comparatur, sed priores duae comparationes iam dictae sunt. nam quo species
differat a genere tunc dictum est, cum quid genus differret ab specie
dicebamus, quid uero species a differentia distet commemoratum est, cum
differentiae ab specie dissimilitudines redderemus. quibus detractis duae
supersunt integrae atque intactae speciei ad proprium atque accidens
discrepantiae; quae iunctae cum septem nouem differentias copulant. proprii
uero si ad numerum differentiae considerentur, quattuor erunt, scilicet
ad genus, differentiam, speciem atque accidens comparati, quarum quidem
tres superiores differentiae iam dictae sunt. nam quid proprium distet a
genere, tunc dictum est, cum quid genus a proprio distaret ostendimus, rursus
quid proprium a differentia discrepet, in colligenda distantia differentiae
propriique superius accidente N 3 ab] HN a
cett. accidente HN quod L dis- crepet]
distet HN 5 hac igitur C 6 distantiae]
differentiae L 7 a LN accidenti C
accidenteque H disiungitur ante ab specie C
8 reddunt differentiae C 9 sumatur] mutatur E 11
ante differentiam add. et HLNP ante proprium add. et
P cõpararetur C cõparantur N 12 differat
post genere EN a
om. EGHNP differret] GLm2Pm2R differet ΕLm1 differat HNPm1 differt
C ad speciem R ad specie C 15 ab specie]
CG a specie EHLm2NP ad speciem Lm1R 17
post speciei add. id est EGP 18 differentias
copulant] complent differen- tias C 20 comparatae Ep.c.
(ex-ti) GHm2PR quorum EGLm1R 21 quod C 22 proprium—cum
quid om. EGR distaret a proprio H demonstratum
est, quid uero proprium distet ab specie, tunc expositura est, cum quid species
distaret a proprio dicebatur. restat igitur una differentia proprii ad
accidens, quae superioribus iuncta decem differentias claudit. accidentis nero
ad cetera possent quidem esse quattuor, nisi iam omnes proba- rentur esse
consumptae. nam quid differat uel genus uel dif- ferentia uel species uel
proprium ab accidenti, supra mon- stratum est, nec sunt diuersae differentiae
accidentis ad cetera quam ceterorum ad accidens. itaque fit, ut cum sit
quinque rerum numerus, si prima assumatur, quattuor fiant differentiae,
si secunda, tres, uincanturque secundae rei ad ceteras difterentiae a prima ad
ceteras una tantum distantia; nam cum prima habuerit quattuor, secunda retinet
tres. tertia uero si sumatur, duas habebit differentias, quae uincantur a
primis quattuor differentiis duabus; quarta si sumatur, unam habebit
differentiam, quae uincitur a primis quattuor differentiis tribus, quinta uero
quoniam nullam omnino habebit differentiam nouam, totis quattuor a prima
differentiis superatur. atque hoc nume- rorum gradu quidem usque ad denarium
numerum tenditur : quattuor, tres, duae, una, ut generis quidem quattuor,
diffe- rentiae uero tres, speciei duae, proprii una, accidentis nullap p.
105 sit. et primae quidem generis comparationes quattuor nouas tenent
differentias, secundae uero differentiae comparationes 1 uero om.
EGR a EGLR 2 cum] quando R 5 cetera] extera
Cm1 6 differret H differet N 7 accidente
CHN monstrauimus H 8 ante diuersae
add. plus R, s. l. Lm2 10 ad prima s.
l. ł una res Hm2 sumatur HN fient C
11 uincanturque] C (pr. n om.) Lm1 (iungantur m2)
N, m2 in HPR ( iungenturque Rm1) , uincantur EGHm1Pm1 12
primis L 13 habuerat C habeat Lm2NP
retineat Lm2 14 diffe- rentias habebit C
uincuntur Lm1R 15 duabus (s. l. E) differentiis
EHN post duabus add. distantiis GR post
quarta add. nero R, s. l. autem Pm2 16
post tribus add. subdistantiis E distantiis
G 17 habet HL 18 primis brm hoc] ex hoc
HLN numeri HN 19 gradus HLm1N quidam
HN 20 post post. quattuor add. sint CHm2L (del.
m2) P sunt Hm1N 22 sit] Rbrm est CEGLP, om.
HN et om. EGR quidem s. l. Em2L, post
generis C 23 teneant HLm1NR tres nouas tenent;
una enim superius adnumerata est, uincitur autem a primis quattuor nouis
differentiis una tantum. speciei uero tertia comparatio duas tantum habet
differentias nouas, duas quippe superius adnumeratas agnoscimus, et uincitur
a quattuor primis duabus tantum differentiis nouis. proprium uero unam
retineat nouam, quoniam tres habet superius adnumeratas, uincaturque a prima
nouis tribus differentiis, quinti uero accidentis comparationes quoniam nullam
retinent nouam differentiam, totis quattuor a primis generis
transcendantur. atque ad hunc modum ex uiginti differentiis secundum
numerum decem secundum dissimilitudinem contrahuntur. ut tamen has secundum
dissimilitudinem differentias non in quinario tan- tum numero, uerum in ceteris
notas habere possimus, talis dabitur regula quae plenam differentiarum
dissimilitudinem in qualibet numeri pluralitate reperiat. propositarum
enim rerum numero si unum dempseris atque id quod dempto uno relin- quitur, in
totam summam numeri multiplicaueris, eius quod ex multiplicatione factum est
dimidium coaequabitur ei plura- litati quam propositarum rerum differentiae
continebunt. sint igitur res quattuor A B C D; his aufero unum, fiunt
tres; has igitur quater multiplico, fient duodecim; horum dimidium 1
teneant HLm1NR ten. post nouas CR
adnumera (tamen eat ) C uincitur autem] et uincatur
HLm1 ( et del., uincitur m2) N 2 nouis quattuor
primis HN adnumeratas om., in mg. enumeratas G uin-
catur Lm1 uincantur HN uincuntur C 6
ante unam add. tantum L, post EGPR retinet
Lm2Pm2 edd. 7 uincanturque N uincatur qua re EG
uincitur haec R uinciturque edd. quinta N 8
comparatio Lm2N retinet HLN, post nouam HN
primis] CLPH a.r. primi EGHp.r.NR transcendentur
Lm2 transcendatur N transgrediantur C
transcenduntur edd. 11 tamen er. uid. E non G
(etiam post diffe- rentias est non ) 13 uerum] uerum
etiam C ceteris quoque brm notas] Lm1N
notis CEGHm2 ( totas m1) Lm2PR 15 reperiat] pariat Cm2Hm1N
17 post numeri add. si CHP simul EG
18 ei om. EGN 19 sunt Lm1R 20 igitur] ergo
CEN fiant LR hos EGLPR post igitur add. si N tres H per totam
summam R multiplica C multipli- cato E
fiunt HN fiant R post horum add. si
L teneo, sex erunt. tot igitur erunt differentiae inter se rebus
quattuor comparatis : A quippe ad B et C et D tres retinet differentias, rursus
B ad C et D duas, C uero ad D unam; quae iunctae senarium numerum complent.
atque hanc quidem regulam simpliciter ac sine demonstratione nunc dedisse
suffi- ciat, in Praedicamentorum uero expositione ratio quoque cur ita sit
explicabitur. Commune ergo differentiae et speciei est aequaliter participari;
homine enim aequaliter participant par- ticulares homines et rationali
differentia. commune uero est et semper adesse his quae participant; sem- per
enim Socrates rationalis et semper Socrates homo. Dictum est
saepius ea quae substantiam formant, nec remissione contrahi nec
intentione produci; uni cuique enim id quod est, unum atque idem est. quodsi
differentia spe- cierum substantiam monstret, species uero indiuiduorum, æqualiter
utraque ab intentione et remissione seiuncta sunt; quo 6 in
Praedicamentorum expositione] p. 272 C. B— Porph. Boeth 14 saepius] cf.
infra. 1 teneo] sumo N sumo tenens ( tenens
del. m2) H si (ex sumo m2) teneo L
pr. erunt ante sex N, s. l. Hm2 post. erunt
ante igitur ( ergo H) HL 2 detinet HN 4 complent
numerum H 5 dedisse nunc HN 8 DIFFERENTIAE ET
SPECIEI] plerique codd. fort. ex 9 sumptum, om. Δ , SPECIEI ET DIFFERENTIAE Γ2Φ , r ecte ut aid.; Porph. p. 18,
10 Περί τής κοινωνίας τής διαφοράς καί τοΰ είδοος , cod. Μ Περί κοινών είδους καί διαφοράς 9 est add. Hm2 10 homine—parti-
cipant (12) ] LR Q , om. cett. homini R T a.c.
hominem L \ 11 ratio- nalem differentiam L \ , post
differentia add. nam omnes homines æqualiter homines sunt et
aequaliter rationales Σ 12 et del.
uid. Δ , om. Ψ his adesse LR
<t> post quae add. eorum ΓΔΠΦ 13 enim om. R rationabilis CEGPR
U Busse, add. est ΓΔΦ , s. l. A m2
14 saepius i. e. p. 250, 24 ss. 314, 5 ss. ; saepe de duobus locis
etiam p. 293, 18 dictum; superius P, fort. recte, cf. ad p. 317, 4.
337, 8 17 monstrat HLNP 18 utraeque CP
seiunctae CGPR fit ut aequaliter participentur. omnes enim
indiuidui mortales aeque sunt atque rationales sicut homines. nam si idem est
‘esse’ homini quod est esse rationale, cum omnes homines aeque sint homines,
necesse est ut sint aequaliter rationales. Aliud quoque commune habent quoniam
ita differentiae sui participantia non relinquunt ut species. semper enim
Socrates rationalis est Socrates enim rationabilitate participat, semper homo
est, quia scilicet humanitate participat. ut igitur differentiae sui
participantia non relinquunt, ita species his quae ea parti- cipant, semper
adiuncta est. Proprium autem differentiae quidem est in eo quod quale sit
praedicari, speciei uero in eo quod quid est: nam et si homo uelut qualitas
accipiatur, non sim- 11— p. 327, 16] Porph. p. 18, 15—19, 3 (Boeth. p.
46, 15-47, 11). 1 mortales—sicut homines] ( sunt
ex sint Lm2, add. homines Lm1, del. m2,
sunt del. Pm2; atque Lm1Pm2 et HLm2Pm1; sicut
del. et sunt scr. Pm2) HLP aeque mortales atque rationabiles
sunt ut homines C aeque (s. l. m2) mortales
(ex -lis m2) sunt atque rationabilis (sic)
sunt (part. ras. ex sicut m2) homines E
mortales sunt atque ( atque sint N) rationales sicut
homines NR mortalis atque rationabilis sicut homines G
2 nam—homines (4) om. N idem est] E ( est in mg.)
HR idẽ CL id est ( ẽ G) GP est del.
Lm2 esse post ration. EL, repetit. post ration. P,
om. CH rationali R rationalis Lm1
rationabile G rationabili E rationabilis
Lm2P 5 ante commune add. est H
habent om. HR, s. l. EL ( n del. m2) differentia
R 6 relinquit R relinquent Pm1 derelinquunt
Lm1 rationabilis EG 7 rationabilitati CGP
rationalitate HN post semper add. enim G 8
quia ex qua Em2 humanitati EGLP
differentia HLNR 9 relinquit HLNR par- ticipent
E 11 SPECIEI ET DIFFERENTIAE ( DIFFERENTIIS E) ΕG ΤΖΦ , recte ut uid. , DE PROPRIIS
EORVM ( EORYNDEM Ψ ) Ρ Ψ ; Porph. p. 18, 15
Περί τής διαφοράς τού εϊδοος και τής διαφοράς , cod. Μ Περί τών ιδίων ειδοος και διαφοράς 12 autem om. Η uero C Q quod ex quid
C 13 species EGHNP uero om. H autem
Busse eo quod] quo Γ est] sit R
14 nam—generationem (p. 327, 15) ] LR Q , om. cett.
accipitur A m1 non] R ΓΔΈ cum Porph. p. 18,
17 hic non L non hic A m2 H Busse non
sic Λ m1 Σ non homo Φ pliciter erit qualitas, sed secundum id quod generi
aduenientes differentiae eam constituerunt. amplius differentia quidem in
pluribus saepe speciebus con- sideratur, quemadmodum quadrupes in pluribus
animalibus specie differentibus, species uero in solis his quae sub specie sunt
indiuiduis est. amplius diffe- rentia prima eat ab ea specie quae est secundum
ipsam; simul enim ablatura rationale interimit homi- nem, homo uero interemptus
non aufert rationale, cum sit deus. amplius differentia quidem componitur
cum alia differentia rationale enim et mortale compositum est in substantia
hominis, species uero speciei non componitur, ut gignat aliam aliquam speciem;
qui- dam enim | equus cuidam asino permiscetur ad muli generationem, equus
autem simpliciter asino num- quam conueniens perficiet mulum. Expositis
communitatibus quantum ad institutionem per- tinebat differentiae et speciei,
eorundem nunc dissimilitudines colligit dicens quoniam differunt, quod species
in eo quod quid sit praedicatur, differentia uero in eo quod quale sit.
huic differentiae poterat occurri. nam si humanitas ipsa, quae species est,
qualitas quaedam est, cur dicatur species in eo quod quid sit praedicari, cum
propter quandam suae naturae sed] id (del.) R 3 considerantur
Δ 4 pluribus] Porph. πλείστων , cod. B πλειόνων 6 specie] una specie R Γ ( sunt ante specie ) ΛΨ ; Porph. p. 18, 21 άκο το είδος 7 prima ante differentia Δ prior edd.fort· recte cum Porph. κροτέρα; cf. p. 328, 32 superioris ab ea]
et Γ ab ea—ipsam] ab ea quae est secundum se
specie 2 8 post ipsam add.
differentiam Δ (del. m2)
Λ 10 deus] angelus LR ponitur Δ 12 sub- stantiam edd. cum Porph. p. 19, 1 εις οπδστοσιν speciei] specie
R 13 aliquam ante aliam T\A , post
speciem 2 14 equus] asinus Σ asinae Φ equae Σ 15 equus] asinus 2 autem om. N enim C ΔΛ2 asinae Pm2 conueniens numquam 2 16 mulum
perficiet CEG perfici ad mulum R 17 Positis N
instructionem H 18 eorum L earundem edd.; cf.
indicem Meiseri s. neutrum 20 differentiae C uero om.
CGP autem R post sit add. qua inter se differunt
differentia et species Hm1, del. m2 21 huic] nunc G
differentia G 22 dicitur CLm2 praedicatur
GR proprietatem quaedam qualitas esse uideatur? huic respondemus,
quia differentia solum qualitas est, humanitas uero non est solum qualitas, sed
tantum qualitate perficitur. differentia enim superueniens generi speciem
fecit; ergo genus quadam differentiae qualitate formatum est, ut procederet in
speciem, species uero ipsa, qualis quidem est, secundum differentiam
illius quae est pura ac simplex qualitas, qua scilicet perficitur et
conformatur, qualitas uero ipsa pura simplexque nullo modo est, sed ex
qualitatibus effecta substantia. itaque iure diffe- rentia, quae pure ac
simpliciter qualitas est, in eo quod quale est sciscitantibus
respondetur, species uero in eo quod quid sit, licet ipsa quoque quaedam
qualitas sit non simplex, sed aliis qualitatibus informata. Rursus illa quoque
differentia est, quia plures sub se species differentia continet, species uero
tantum indiuiduis praesunt. rationabilitas enim et hominem claudit et
deum, quadrupes equum, bouem, canem et cetera, homo uero solos indiuiduos.
atque in aliis speciebus eadem ratio est. idcirco enim definitiones quoque
secutae sunt, ut differentia uocaretur quod in pluribus specie differentibus in
eo quod quale sit praedicatur, species uero quod de pluribus numero
differentibus in eo quod quid sit praedicatur. Ideo etiam superioris naturae
sunt differentiae, quoniam continentes sunt specierum. nam si quis auferat
differentiam, speciem 1 respondebimus G tantum om.
EG solum, s. l. ał tantum L 4 facit
CLN 5 formatum est s. l. Gm2 6 ad qualis s.
l. ł quali- tas Hm2 post quidem add. non
EGP (del. m2), in mg. Hm2 9 post sed s. l.
hec L iure itaque C 11 species—quid sit in mg.
Gm2 12 sit] est HN, add. iure respondetur CG (in mg.
m2) LP 13 rursum E, add. differentiae et speciei
C illa om. E ipsa CGP post quoque
add. his HN differentia est] differunt in ras. E est
om. P in hoc a specie distat G 15 uero om. CEGP
rationalitas HΝ post
quadrupes add. enim P, s. l. Lm2 canem om.
C camelum R 17 sola indiuidua Lm2R pr. in]
de Pm2 20 praedicetur HLN species—praedicatur om.
E 21 praedicatur] dicatur GHLPm1 post differentiae
add. quam species CLP speciebus N post
quoniam add. enim HLN 23 sunt ( erunt L)
post specierum EGL, ante conti- nentes R
nam om. LR, post quis s. l. enim Lm2
quoque sustulerit, ut si quis auferat rationabilitatem, hominem deumque
consumpserit, si uero hominem tollat, rationabilitas manet in speciebus
reliquis constituta. est igitur differentiae specieique distantia quod una
differentia plures species continere potest, species uero nullo modo. Alia
rursus est differentia, quoniam ex pluribus differentiis una saepe species
iungitur, ex pluribus speciobus nulla speciei substantia copulatur. iunctis
enim differentiis mortali ac rationali factus est homo, iunctis uero speciebus
nulla umquam species informatur. quodsi quis occurrat dicens quoniam permixtus
asino- equus efficit mulum, non recte dixerit. indiuidua enim indi- uiduis
iuncta indiuidua rursus alia fortasse perficiunt, ipse uero equus simpliciter,
id est uniuersaliter, et asinus uniuer- saliter neque permisceri possunt neque
aliquid, si cogitatione misceantur, efficiunt, constat igitur
differentias quidem plurimas ad unius speciei substantiam conuenire, species
uero in alterius speciei naturam nullo modo posse congruere. Differentia
uero et proprium commune quidem habent aequaliter participari ab his quae
eorum participant; aequaliter enim rationalia rationalia sunt et risibilia
risibilia. et semper et omni adesse com- 18—p. 330, 4] Porph. Boeth.
rationalitatem HN 2 aero] quis R rationalitas
HLa.c.N 3 est om. CEGP 4 specieqne R et
species C distant C distantia est EGP
species] significationes Em1 5 differentia est C 6
saepe om. EGR post pluribus add. uero R 8
enim] etiam Lm1 igitur Lm2Pm1 10 asinae
HLm2 11 perficit GP 12 perficiant Lm1R 14 nec..
nec C neque permisceri possunt om. EGR neque aliquid]
non aliquid EGR cogi- tatione si HN 18 COMMVNIBVS] d e
Porph. cf. ad p. 102, 7 20 par- ticipari] praedicari L ab
his—dicitur (p. 330, 2) ] LR Q , om. cett. ab om.
Σ , del. A m2 21 post enim s.
l. quae T m2 rationalia rationalia] Tk m2 <t>W m2
edd. rationalia rationabilia Π rationalia
A2<V m1 rationabilia LR & m1 rationabilia
rationabilia Busse sunt om. R, s. l. h m2 22
et er. uid. Δ post.
risibilia om. LR \2 , post add. sunt codd., om. L cum Porph.
p. 19, 6 mune utriusque est. si enim curtetur qui est bipes, sed ad
id quod natum est semper dicitur; nam et risibile in eo quod natum est habet id
quod est semper, sed non in eo quod semper rideat. Nunc
differentiae propriique communia continua ratione persequitur. commune enim
dicit esse proprio ac differentiae quod aequaliter participantur æque enim
omnes homines rationa- biles sunt, aeque risibiles, illud, quia substantiam
monstrat, istud, quia est aequum proprium speciei et subiectam speciem non
relinquit. Aliud etiam his commune subiungit : æqualiter enim semper
differentia subiectis adest ut proprium; semper enim homines rationabiles sunt,
ut semper quoque risibiles. sed obici poterat non semper esse bipedem hominem,
cum sit bipes differentia, si unius pedis perfectione curtetur. quam tali modo
soluimus quaestionem. propria et differentiae non in eo quod semper
habeantur, sed in eo quod semper naturaliter haberi possunt, semper dicuntur
adesse subiectis. utrisque ΓΛΣΦ si] sine R ΓΦ qui est] quies R quidem L
A post bipes add. non substantiam ( substantia ΑΦ ) perimit ( perimitur Ψ ) L ΑΨ Busse (in adn. deleri
mauult) , non substantia perit ( peribit Σ ) ΓΠΣΦ p , om. Rbrm, Porph. p. 19, 8, Boeth.
in comment. 2 sed] ta- men R ad id quod] ad quod L AΠ (post est repet. ad id ) Σ Busse ad id ad quod Ψ , ad id post est h m1 post est add. habet
et id quod est L A (del. m2) 2 , ‘fortasse id quod
est recipiendum’ Russe : Porph. p. 19, 8 αλλά πρός το πεοοχένοι το ( το om. Μ) άει λέγεται nam -om. R 3 in eo] eo EGLR A
m1 ad C 72 id Ρ Π ad id *F aliquod N habet id quod est
semper] C ( id s. l. m1?) L hA ( "habet—est del. m2), pro
id exhib. hoc H et id Σ , est om. N habet semper Ρ Π habet EG semper
dicitur ΓΦΨ , om. R 4 sed—rideat] in om. C, in mg.
Hm2, in quod semper rideat EG non quod semper rideat R Ψ ; Porph. έπε'ι ναι τό γελαστικόν τώ πεφυχέναι έχει τό αεί, άλλ' ο όχι τώ γελάν άει 6 enim] autem
Lm2P dicitur CEGR proprii C 7 rationales
Cm2ELm2P 8 atque NR 9 istud] illud EGHN (add.
risibilis ) P aequum om. H aeque EG, recte? propriae
EGLPR et om. EG ac N subiectam om. C
subiectum EGPm1 10 reliquit ELa.c. etiam his] hic
etiam HN 11 subiectis s. l. Gm2 12 rationales
Cm2HN 15 ante propria add. et HNP (del. m2), s. l.
Lm2 propriae CEGPm2 proprii R et om. CE,
del. Pm2 16 post in] ex HN si enim quis
curtetur pede, nihil attinet ad naturam, sicut nihil ad detrahendum proprium
ualet, si homo non rideat. haec enim non in eo quod adsint, sed in eo quod per
naturam adesse possint, semper adesse | dicuntur. ipsum enim semper; p.
107 non actu esse dicimus, sed natura. numquam enim fieri potest,
ut per naturae ipsius proprietatem non semper homo bipes sit, etiamsi potest
fieri, ut pede curtetur, etiam si deminuto pede sit natus; in his enim non
speciei atque substantiae, sed nascenti indiuiduo derogatur. Proprium
autem differentiae est quoniam haec quidem de pluribus speciebus dicitur saepe,
ut rationale de homine et de deo, proprium uero de una sola specie, cuius est
proprium. et differentia quidem illis est consequens quorum est
differentia, sed non con- uertitur, propria uero conuersim praedicantur quorum
sunt propria, idcirco quoniam conuertuntur. Distat a proprio differentia,
quia differentia plurimas species 10—17] Porph. Boeth. curtetur
quis N nil C attinet s. l. Lm2, post
naturam R 2 ad om. EG ualet om. EGR 3 pr.
in om. CEH, s. l. Lm2Pm2 , ab Gm1, del. m2 post. in om.
EGNP, s. l. Lm2 4 possunt HN dicuntur semper adesse
R 5 actum... naturam E umquam Ea.c.G 7
potest om. EG, post fieri L, postea (om. fieri ut
) HN pede] HLm1N ambo pede Em1GR utroque pede
Em2Lm2P; ambobus curtetur pedi- bus C ante etiam (om. C) add. uel CL (s. l. m2) R
diminuto CEGLPR 8 pede om. C sit natus] nascatur
C de inscript. ap. Porphyr. cf. ad p. 105, 16 11 autem] uero
Δ quoniam] quod ΓΦ 12 saepe— conuertitur (15) ]
LR Q , om. cett. saepe om. Lm1R, ante dicitur Lm22
; Porph. p. 19, 11 λέγεται πολλά*ις rationabile
R 13 post , de] A , om. cett.; cf. Porph. p. 19, 12 et
infra p. 332, 3 deo] ii angelo R deo et
angelo L; cf. Porph. p. 19, 12 adn. ante proprium add.
et Δ uero om. R de una] L 4 m2 4' in
una R ΓΔ m1 ΠΣ una Φ ; Porph. έφ’
ένός post specie add. dicitur Δ 16 post prædicantur add. de his Δ (s. l. m2) edd. ex his Σ hiis Φ, om. Porph. p. 19,
14 18 post. diffe- rentia om. C plurimis R
plures L pluribus EG speciebus Em2GR
claudit ac de his omnibus praedicatur, proprium uero uni tantum speciei
cui iungitur adaequatur. rationale enim de homine atque de deo, quadrupes de
equo et ceteris animalibus, risibile uero unam tantum tenet speciem, id est
hominem. unde fit ut differentia semper speciem consequatur, species uero
differentiam minime. proprium uero ac species alternis sese uicibus aequa prædicatione
comitantur. sequi uero dicitur, quotiens quolibet prius nominato posterius
reliquum conuenit nuncupari, ut si dicam omnis homo rationabilis est, prius
hominem, posterius apposui differentiam; sequitur ergo differentia speciem. at
si conuertam nomina dicamque omne rationabile homo est, propositio non tenet
ueritatem; igitur species differentiam nulla ratione comitatur. proprium uero
et species quia conuerti possunt, mutuo se secuntur : omnis homo risibilis est
et omne risibile homo est. Differentiae autem et accidenti
commune quidem est de pluribus dici, commune uero ad ea quae sunt 16—p.
333, 3] Porph. Boeth. clauditur EGRm2 claude his (sic)
ml 2 cui iungitur] coniungitur Lm1N, add. et L
rationabile CGLPR 3 pr. de om. CH, er. L
post deo add. praedicatur R, s. l. Lm2 post
quadrupes add. uero R et ceteris] ceteris E
ceterisqne GP 6 ac] et E 7 aeque G R ( -(??)e )
comitentur HN comitatur ex commitetur Rm2
sequi] si quid EGPm1 8 quotiens om. EG, s. 1. Pm2 qualibet
re ( re s. l. Pm2) prius nominata HLNPm2R
reliquam HLm2NPm2 reliqua Lm1Rm2 uero qua
m1 rationalis Cm2HN est om. N 10 posterius ex prius
Em2 opposui EG posui Lm1R ergo] enim
E 11 at] et Hm1 nomina] ut (in ras. Lm2) prius
differentiam nominem HNP, in mg. Lm2 12 rationale HN
propositi CG proposita oratio in ras. E 13 nulla ratione
differentiam C proprium—secantur in mg. sup. Hm2 14 sequuntur
PRm2 sequntur E ante omnis add. ut L, post
add. enim HNP
15 et om. EG, s. l. Lm2 est om. R 16 ACCI- DENTIS ET
DIFFERENTIAE E ΕΤ] uel P
ACCIDENTI C de in- script. ap. Porphyr. cf. ad p. 102, 7 17
accidentis Cm2 il commune adesse om. N 18 post
uero add. est Ρ ΑΠ Busse, om. Porph. p. 19, 18
inseparabilia accidentia, semper et omnibus adesse; bipes enim semper
adest omnibus coruis et nigrum esse similiter. Duo quidem differentiae et
accidentis communia proponit, quorum unum separabilibus et
inseparabilibus accidentibus cum differentia commune est, ab altero uero
separabile acci- dens segregatur. tantum uero inseparabile secundo communi
concluditur. est enim commune differentiae cum omnibus accidentibus de pluribus
praedicari; nam et separabilia et inse- parabilia accidentia sicut
differentia de pluribus speciebus et indiuiduis prædicantur, ut bipes de coruo
atque cygno et de his indiuiduis quae sub coruo et cygno sunt, nuncupatur. item
de eodem coruo atque cygno album et nigrum, quae sunt inseparabilia accidentia,
praedicantur. ambulare enim uel stare, dormire ac uigilare de eisdem
dicimus, quae sunt acci- dentia separabilia, reliqua uero communitas ea tantum
acci- dentia uidetur includere quae sunt inseparabilia. nam sicut differentia
somper subiectis speciebus adhaerescit, ita etiam inseparabilia accidentia
numquam uidentur deserere subiectum. ut enim bipes, quod est differentia,
numquam coruorum speciem derelinquit, ita nec nigrum, quod accidens
inseparabile est. differentia enim idcirco non relinquit subiectum, quoniam
eius substantiam complet ac perficit, accidens uero huiusmodi, 1
post semper add. in eodem genere P omni R;
Porph. p. 19, 18 παντί post omnibus
add. hominibus et L hominibus Λ (del. m2) 2 nigrum esse] ΓΛ»ηίΨ nigris (
nigros Hm2) esse EGHm1 nigredo esse L
nigrum adest \A m2 nigrum CNΡR ΙΙΣΦ Russe; Porph. p. 19,
19 τότε μέλαν είναι (sic Μ, μέλασιν είναι Βm2 μέλαν eett.) 4 quaedam HΝ et] atque ΗΝ 5 sepa- rabilibus om. G, s. l. Em2 6
uero] autem E 7 uero] enim R, recte? post
inseparabile add. accidens L accidens cum inseparabilibus
differentiis in mg. Hm2 secunda
communione HLP differentiae CEGLm2P 11 et de his—cygno
om. H, cygno sunt om. EGR nuncupantur
G praedicatur uel nuncupatur
C praedicantur—separabilia om. N enim s. l. C etiam H isdem CPm2 hisdem ER
dicitur LP 17 post inseparabilia add. accidentia C 19 accidentia
inseparabilia HN deserere uidentur C corui N
21 est inseparabile C 22 subiectum non relinquit C
derelinquit Lm1 post huiusmodi add. est
edd. quia non potest separari; neque enim possit esse accidens
inseparabile, si subiectum aliquando relinquit. Differunt
autem quoniam differentia quidem continet et non continetur continet enim
rationabilitas hominem, accidentia uero quodam quidem modo continent eo quod in
pluribus sunt, quodam uero modo continentur eo quod non unius accidentis sus-
ceptibilia sunt subiecta, sed plurimorum, et differentia quidem inintentibilis
est et inremissibilis, acci- dentia uero magis et minus recipiunt. et
inpermixtae quidem sunt contrariae differentiae, mixta uero con- traria
accidentia. Huiusmodi quidem communiones et proprietates dif-
ferentiae et ceterorum sunt, species uero quo quidem p. 108 differat a
genere et differen|tia, dictum est in eo quod dicebamus, quo genus differret a
ceteris et quo dif- ferentia differret a ceteris. Post differentiae et accidentis
redditas communitates nunc de eorum differentiis tractat. ac primum quidem
talem proponit. 3—18] Porph. Boeth. post. posset Lm1
potest HLm2NPR post accidens repet. esse G , 3
uel 4 litt. er. L 2 reliquerit H
relinqueret N 3 ACCIDENTIS ET DIFFERENTIAE Γ EARVNDEM C EORYNDEM E de inscript. ap.
Poiphyr. ef. ad
p. 105, 16 4 Different Cm1 Differt L ΣΐΑηιΐ m1 Φ post autem add. differentia
ab accidenti Γ 5 et om.
GHP continet— sunt (15) ] LR il , om. cett. enim]
autem L rationalitas ΓΑ a.c. Π2ΦΨ 6 quidem om. Δ2 7 sint L ΓΔΛΠΦ»ιί m1 | ·uero post modo Ψ , del. ΓΦ (ut uid.)
9 sint A 10 intentibilis ΓΣ Busse inintensibilis edd.; Porph. p. 20, 4
άνεπίτατος; ef. Roensch, Collect. phil. p. 299 12
post uero add. sunt ΛΦ 14 Huiuscemodi Δ 15 quod
EGR quidem om. 2 quidam Em2G 16
a om. EGH 2 differentiae E est om. C 17 quo]
quod R A m1 differet R differt CEGP 2
a om. ΕGΗΡR ΤΠ,ΣΦ quod EGR is m1 18 differet R
differat L A differt G a om. EGHR TWZ 19 reddit
has E communicantes Rm1 communiones m2 20
primam HN quidem om. HN tale C
differentia, inquit, omnis speciem continet. rationabilitas enim continet
hominem, quoniam plus rationabilitas quam species, id est homo, praedicatur :
supergressa enim substantiam hominis in deum usque diffunditur. accidentia uero
aliquando quidem continent, aliquando continentur. continent quidem, quia
quodlibet unum accidens speciebus adesse pluribus con- sueuit, ut album cygno
et lapidi, nigrum coruo, æthiopi atque hebeno, continentur uero, quoniam plura
accidentia uni accidunt speciei, ut uideatur illa species plurima accidentia
continere. cum enim æthiopi accidit ut sit niger, accidit ut sit simus,
ut crispus, quae cuncta sunt accidentia æthiopis, species, quod est homo, omnia
quae habet intra se plurima accidentia uidetur includere. huic occurri potest:
quoniam differentiae quoque aliquo modo continentur, aliquo modo continent,
ut rationabilitas continet hominem plus enim quam de homine prædicatur,
continetur quoque ab homine, quia non solum hanc differentiam homo continet,
uerum etiam mortalem. re- spondebimus : omnia quaecumque substantialiter de
pluribus praedicantur, ab his de quibus dicuntur non poterunt conti-
neri; quo fit ut differentiae quidem non contineantur ab specie, etsi sint
differentiae plures quae speciem forment. accidentia uero continentur, quoniam
accidentia speciei substantiam nulla praedicatione constituunt; nam nec proprie
uniuersalia dicuntur 1 omnis speciem] species R rationalitas
HNP 2 rationalitas HNP 3 substantia
N aliquando—aliquando] aliquo modo quid N ante
lapidi s. l. pario Em2 post nigrum add.
ut CEGLP, ante edd. ante Aethiopi add. et
E continentur uero] HLm2NP continentur- que cett. 9 plura HN 10 enim]
etenim N ad simus s. l. naribus pressis E
12 ex quod part. ras. quae Cm2 quod est]
quidẽ G ante intra add. et E plurima om. EGH 13 occurri] opponi HN 14
pr. aliquo modo] aliquando EGLm2P post. aliquo modo om.
N aliquando Em2Lm2P 15 rationalitas H 17 homo]
nomen hominis HN mortale edd. respondemus HN
respondebimus contra haec GLPR 18 praedicantur de pluribus
C 20 a R 21 sunt H differentiae om. HN speciem
forment] CEGP speciem formant Lm(??) ( informent m2
hrm) N formant speciem H informant speciem R 22
con- tineantur HN 23 ad constituunt in mg. ał
subsistunt Hm2 accidentia, cum de speciebus pluribus
dicuntur, differentiae uero maxime. quae enim quorumlibet uniuersalia sunt, ea
neoesee est eorum quorum sunt uniuersalia, etiam substantiam continere. qno fit
ut quia differentiae substantiam monstrant, intentione ac remissione careant —
una enim quaeque substantia neque contrahi neque remitti potest, at uero
accidentia quoniam nullam constitutionem substantiae profitentur, intentione
cre- scunt et remissione decrescunt. Illa quoque eorum est dif- ferentia, quod
differentiae contrariae permisceri, ut ex his fiat aliquid, non queunt,
accidentia uero contraria miscentur et quaedam medietas ex alterutra
contrarietate coniungitur. ex rationabili enim et inrationabili nihil in unum
iungi potest, ex albo uero et nigro coniunctis fit aliquis medius color.
Expositis igitur distantiis differentiae ad cetera restat de specie
dicere, cuius quidem differentias ad genus ante colle- gimus, cum generis
ad speciem differentias dicebamus. eiusdem etiam speciei distantias ad
differentiam diximus, cum differentiae ad species dissimilitudines
monstrabamus. restat igitur speciem proprii et accidentium communioni
coniungere, tum differentia segregare. Speciei autem et
proprii commune est de se intri- cem praedicari; nam si homo, risibile est, et
si risi- Porph. Boeth. pluribus speciebus HN 2 maximae EH, add.
dicuntur uniuersalia et ( et om. R) proprie Lm2 (in mg.) R 4 ut om.
CG, s. l. Lm2 5 una quaeque enim HNR 6 quoniam] quia
E 7 profitentur] monstrant R ante intentione add.
et HN 9
his] se C 10 misceantur N permiscen- tur R
et] ut C 11 coniunguntur LN fiat C 12
rationali C ( bi s. l. er.) HN inrationali HN in unum]
L in om. cett.; cf. indicem Meiseri s. unus 13 post
color s. l. ut uenetns Pm2 15 ad genus— differentias
om. EG 16 dicebamus] diximus EGP 17 diximus] dice-
bamus C 19 proprio HLm1NP accidenti Lm1
accidenti tum HPm2 accidentique (om. et ) N communione
HLm1NP tunc R 20 disgre- gare N 21 de
inscript. ap. Porph. cf. ad p.
102, 7 23 nam—dictum est (p. 337, 4) ] LR Q , om. cett.
post homo add. est ΔΣ , s. l. A m2
et si] ΔΕΈ et L ΓΛΠΦ ita et R post
risibile add. est ΔΣΨ bile, homo est –
risibile uero quoniam secundum id quod natum est sumi oportet, saepe iam dictum
est —; aequaliter enim sunt species his quae eorum partici- pant et propria
quorum sunt propria. Commune, inquit, habent propria atque species ad se
ipsa praedicationes habere conuersas. nam sicut species de proprio, ita
proprium de specie praedicatur; namque ut est homo risibilis, ita risibile homo
est; idque iam saepius dictum esse commemorat. cuius communitatis rationem
subdidit, eam scilicet, quia aequaliter species indiuiduis participantur,
sicut eadem propria his quorum sunt propria. quae ratio non uidetur ad
conuersionem praedicationis accommoda, sed potius ad illam aliam similitudinem,
quia sicut species aequaliter indiuiduis participantur, ita etiam propria; æque
enim Socrates et Plato homines sunt, sicut etiam risibiles. itaque
tamquam aliam communionem debemus accipere quod est additum : aequaliter enim
sunt species his quae eorum participant et pro- pria quorum sunt propria. an
magis intellegendum est hoc modo dictum, tamquam si diceret ‘aequalia enim sunt
species et propria’? nam quia species eorum sunt species quae spe- ciebus
ipsis participant, et propria eorum propria quae|pro- p.109 priis
participant, proprium atque species aequaliter utrisque sunt, id est neque
species superuadit ea quae specie parti- 8 saepius] cf. infra.
1 est om. R ante secundum add. et A
(s. l.) Busse, om. Porph. p. 20, 13 id om.
J! 2 natum] Porph. p. 20, 14 κατά τό πεοοχέναι γελάν sumi oportet]
LR dicitur Q ; Porph. ληπτεον 3 sunt om. Φ , post spe- cies P earum
R, ex eorum ut uid. 5 m2 7 ita—est homo in mg.
Hm2 praedicamus EGHm2P p.c.R namque om. N nam
R 8 ita homo risibile est E ita est risibile homo
R iam] etiam C saepius] HN superius cett. (recte?); cf. saepe 2, et ad p. 317, 4.
325, 14 10 qua CGLP eadem] eodem modo E 11 ratio]
puto Em2 12 accommo- data edd. 13 qua CGEm1P
ante indiuiduis add. ab HNR, s. l. Lm2 14
participatur H 18 ac Lp,c.Pm2 est om. C 19 æqualiter
N 20 post propria add. quorum sunt propria
C 21 et propria— atque species] atque proprium species N
23 post. speciei EGLP cipant, neque propria
superuadunt ea quae propriis participant. cumque haec propria specierum sint.
propria, species ac pro- pria aequalia esse necesse est atque inuicem
praedicari. Differt autem species a proprio, quoniam species
quidem potest et aliis genus esse, proprium uero et aliarum specierum esse inpossibile
est. et species quidem ante subsistit quam proprium, proprium uero postea fit
in specie; oportet enim hominem esse, ut sit risibile. amplius species quidem
semper actu adest subiecto, proprium uero aliquando potestate; homo enim
semper actu est Socrates, non uero semper ridet, quamuis sit natus semper
risibilis. amplius quorum termini differentes, et ipsa sunt differentia; est
autem speciei quidem sub genere esse et de plu- 4—p. 339, 3] Porph. p. 20, 16—21,
3 (Boeth. p. 49, 11—50, 2). 14 quorum—differentia] Abaelardus II, Introduct. ad
theolog. p. 94; Theo- log. christ. p. 488; De unit, et trinit. diuina p. 58
Stoelzle. 1 nec CELN 2 haec om. LN, del. uid.
E sunt EHa.c.N, add. et
CE (del.) GH (del.) P (del. m2) propriis (post sint ) E
(del.) G proprii Ha.c. 4 DE PROPRIETATIBVS Δ DE
DIFFERENTIA C; de Porph. cf. ad p. 105, 16 5 a om. GHLNR, s. l. Pm2 il m2 6
et om R SΣ ; Porph. p. 20, 17 cod. BM χαί proprium—praedicari (p. 339, 2) ] LR Q
, om. cett. et om. Porph. 9 post R Σ post enim add. ante
L ut] Porph. p. 20, 20 Ινα xai ( Voti om. cod. M) ut sit s.
l. \ m2 11 potestate] Porph. p. 20, 21 xol δονάμε: 12 enim] uero L est om. R non
uero semper] ΔΛΠΨ edd. Busse
non semper autem Γ2Φ semper autem non LR; Porph. p. 20, 22
γελά δέ oix αεί ; cf. infra p. 340,
4 13 quamquam (uel quan- ) L ΓΦ natura in ras. A m2 14 termini] definitiones (uel
diff- ) LR ΓΦ , ad termini s. l. ł diffinitiones \ m2
differentes] ΓΑ differentes sunt Δ»ιίΠ2Φ
differunt LR s m2 ii} ; Porph. p. 20, 23 ων οί οροί διάφοροι
; quo- rum termini, id est diffinitiones ( id est diff. om. p.
94) sunt differentes ( sunt differentiae p. 488) , ipsa
quoque sunt differentia Abaelard. 15 spe- cies R, post speciei
s. l. diffinicio A m2 quidem] R T\ m2 (in ras.) Ψ brm
Busse in adn., semper \ m1 (ut uid.) All/ p Busse in contextu
, esse semper L quidam terminus Σ ; quidem sub genere semper
esse Φ ante sub add. et L A Busse;
Porph. εατιν δέ ειδοος uev το οπδ τό γένος είνα: ribus et
differentibus numero in eo quod quid est praedicari et cetera huiusmodi,
proprii uero quod est soli et semper et omni adesse. Primam proprii et
speciei differentiam dicit quoniam species potest aliquando in alias
species deriuari, id est potest esse genus, ut animal, cum sit species animati,
potest esse hominis genus. sed nunc non de his speciebus loquitur quae sunt
specialissimae, atque hunc confundere uidetur errorem, quod cum de his
speciebus dicere proposuerit quae essent ultimae, nunc de his quae sunt
subalternae et saepe locum generis optineant disserit. propria uero nullo modo
esse genera possunt, quoniam specialissimis adaequantur; quae quoniam genera
esse non queunt, nec propria quae sibi sunt aequalia, genera esse permittuntur.
Rursus species semper ante subsistit quam proprium—nisi enim sit homo,
risibile esse non poterit, et cum ista simul sint, tamen substantiae cogitatio
praecedit proprii rationem. omne enim proprium in accidentis genere collocatur,
eo uero differt ab accidenti, quia circa omnem solam quamlibet unam speciem uim
propriae praedicationis continet. quodsi pviores sunt substantiae quam
accidentia, species uero substantia est, proprium uero accidens, non est dubium
quin prior sit species, proprium uero posterius. Dis- 1 est] sit 2
edd.; cf. p. 340, 13. 341, 22 2 praedicari] Porph. p. 21,
2 κατηγορούμενον είναι post huiusmodi add.
praedicari I m1, del. m2 pro- prium R quod est
om. ΓΦΨ , del. \ m2;Porph. τό μονω προοείνα;. 3
soli et omni et semper Λ semper et soli et omni 2
scilicet semper et omni Gm1, ante scilicet in mg. sali
et semper m2 4 ad dicit s. l. dicunt
Έ 5 diriuari EGNPR 7 specialissimae sunt H 8
hunc s. l. L nunc N hinc C hic
Em2 uidetur confundere C 9 essent] sunt L 11
genera s. l. Lm2, ante esse HRS 13 non queunt]
nequeunt L non pos- sunt NR 14 permiitunt C (
ur er.) N species—subsistit] species est semper ante C
15 homo sit LPR 16 ista] ita CLa.c. 18 uero]
Brandt enim codd. edd. accidente CNR quia]
quod L 19 speciem om. H propriae del. Lm2
20 post continet add. accidens autem quando continet,
ad multas species potest diffundi EL. (in mg. inf. m2) Pbrm 21
accidens — proprium uero om. R 22 uero om. EG, s. l. Pm2
Decernuntur GHLP Disterminantur E cernuntur etiam
species a propriis actus potestatisque natura; species enim actu semper
indiuiduis adest, propria uero ali- quotiens actu, potestate autem semper.
Socrates enim et Plato actu sunt homines, non uero semper actu rident, sed
risibiles esse dicuntur, quia tametsi non rideant, ridere tamen poterunt.
natura itaque
species et proprium semper subiectis adest, sed actu species, proprium uero non
semper actu, uelut dictum est. At rursus quoniam definitio substantiam
monstrat, quorum diuersae sunt definitiones, diuersas necesse est esse
substantias; speciei uero et proprii diuersae sunt definitio- nes,
diuersae sunt igitur substantiae. est autem speciei definitio esse sub genere
et de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicari; quam
superius frequenter expositam nunc iterare non opus est. proprium uero non ita
: definitur : proprium est quod uni et omni et semper speciei adest.
quodsi definitiones diuersae sunt, non est dubium spe- ciem ac proprium
secundum naturae suae terminos discrepare. Speciei uero et
accidentis commune quidem est de pluribus praedicari; rarae uero aliae sunt
communi-20 18—p. 341, 2] Porph.
Boeth. species om. EHP, s. l. Lm2, ante etiam G a
propriis in ras. Lm2, a (om. R) proprio
Pm2R actu CHLm1N 2 post uero add. non
semper ( actu s. l. add. Lm2) sed EGLPR 3
actu om. EG, del. R, s. l. Lm2 autem semper om. EGR
4 ante sunt add. semper N 5 quia om.
HN, s. l. Lm2 tametsi] etiamsi C potuerunt N pos-
sunt R non (del. E) poterunt EG 6
ante species add. e(??) R, ras. L ad- est]
adsunt H 7 uelut] ut NR 9 diuersas—definitiones
(10) om. N 11 igitur—speciei] substantiae igitur. est speciei autem
H substantiae— de pluribus in mg. inf. Gm2 speciei definitio]
diffinitio speciei spe- cies C 12 sub genere esse HΝ 14 opus non H ita definitur, om. non Hbrm, er. E; ita, <sed>
definitur Brandt, cf. p. 347, 4 15 spe- ciei om. H 18 de inscript.
ap. Porph. cf. ad p. 102, 7 19 uero] autem H est quidem
C 20 sunt aliae HRT tates propterea, quoniam quam
plurimum a se distant accidens et id cui accidit. Speciei atque
accidentis similitudinem communem dicit de pluribus praedicari; de pluribus
enim dicitur species, sicut et accidens. raras uero dicit esse alias
eorum communiones idcirco, quoniam longe diuersum est id quod accidit et cui
accidit. cui enim accidit, subiectum est atque suppositum, quod uero accidit,
superpositum est atque aduenientis naturae. item quod supponitur substantia
est, quod uero uelut accidens praedicatur, extrinsecus uenit. quae omnia
multam eius quod est subiectum et eius quod est accidens differentiam faciunt.
tamen inueniri etiam aliae possunt speciei et accidentis inse- parabilis communitates,
ut semper adesse subiectis — aeque enim homo singulis hominibus | semper adest
et inseparabilia p. 110 accidentia singulis indiuiduis
praesto sunt —, et quod sicut spe- cies de his quae indiuidua continet, aeque
de pluribus accidentia indiuiduis praedicantur; nam homo de Socrate et Platone,
nigrum uero atque album de pluribus coruis et cygnis quibus accidit
nuncupatur. Propria uero utriusque sunt, speciei quidem in
eo quod quid est praedicari de his quorum est species, 20—p. 342, 15]
Porph. Boeth. quam om. ΗL ΣΑΛ'Ψ (recte?), s. l.
Π m2 , quem R qui (ut uid.) N; Porph. p. 21, 6
itXststov distant ante a se Δ (s. l. m2) A , a se om.
N 2 ante accidens add. et Γ id om. 12 , s. l. Pm2 ,
hoc Σ ; Porph. p. 21, 7 *a\ το m οομβέβηχβν accidunt Em1P
3 atque] et HL accidens Έ dicit om. E, s. l. Lm2Pm2 de
s. l. Lm2 5 dicit alias, post er. esse uid. C 7
atque] et H 8 est om. EGHP adueniens EPm1
accidentis N 11 et eius] eius est E 12 possunt)
sunt E insepa- rabiles Cm1GP 13 subiectis semper
adesse HN post adesse add. possunt E 15 sicut] L (s. l. m2)
Rbrm, om. cett. codd. p 16 conti- nent H ante
accidentia add. ut CH 17 praedicatur G et
om. EGHPR 20 ET om. R de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 105,
16 21 in] et C 22 est] sunt Hm1 sit Σ praedicare EGm1P , praedi- catur
2 de his om. Σ hiis Φ quorum—in eo] in eo accidentis autem quorum est
species Φ accidentis autem in eo quod quale quiddam
est uel aliquo modo se habens; et unam quamque substantiam una quidem specie
participare, pluribus autem acci- dentibus et separabilibus et inseparabilibus;
et spe- cies quidem ante subintellegi quam accidentia, uel si sint
inseparabilia — oportet enim esse subiectum, ut illi aliquid accidat —,
accidentia uero posterioris generis sunt et aduenticiae naturae. et speciei
quidem participatio aequaliter est, accidentis uero, uel si inseparabile sit,
non aequaliter; Aethiops enim alio Aethiope habebit colorem uel intentum
amplius uel remissum secundum nigredinem. Restat igitur de proprio
et accidenti dicere; quo enim proprium ab specie et differentia et genere
differt, dictum est. Quod nunc proprium speciei et accidentis se
exequi polli- cetur, tale proprium intellegendum est quod, ut superius dictum
est, ad comparationem dicitur differentium rerum. species enim in eo quod quid
est praedicatur, accidens uero in eo quod quale est. qua differentia non ab
accidentibus solis species 2 unam quamque—4 inseparabilibus] Abaelardns
II, Introduci. ad theolog; Theolog. christ. p. 479. 17 superius] quale] quale
est N quidem CEm1 quidam m2
uel—habens om. CEGHN 2 aliquo modo] quomodo ΓΦ ; Porph. p. 21, 10 πώς ; cf. supra p.128, 10 adn.
et—nigredinem (12) ] LR Q , om. cett. 3 unam R
qui- dem om. Abaelard. participari L ΓΔΣ a.c. Φ praedicari \ m1 autem]
uero L Abaelard. 4 tert. et om. Γ 5 post quidem add.
sane L ΓΛ (s. l. m2) ΙIΣΦ Busse, om. R ΛΨ cum Porph. p. 21, 12 post subintel-
legi add. potest Lpr possunt bm; Porph.
w\ τά piv είδη προεπινοεΐται uel om. Φ ad uel si s. l.
etiamsi K m2 6 inseparabilibus R 8 generis om.
R aduentiuae R 9 aequalis Λ accidens L T m1
A m1 10 alio Aethiope] Porph. p. 21, 16 ΑίίΚοπος
13 accidente HNR ΔΣ , ante er. de P 14 enim]
etiam H a] cod. Q Bussii (om. cett.) edd. (cf.p. 344,
9), ab scr. Brandt speciei Ca.r.EGR et om.
CEGHPR differen- tiae GR 15 differt om. L
differat ΦΣ distat R est dictum H, add. in
illorum differentiis ad ipsum 2 18 dicatur R 20
est om. GP, post add. praedicatur H discernitur,
uerum etiam a differentiis ac propriis, nec solum species ab eisdem, uerum
etiam genus. praeterea quod species in eo quod quid est praedicatur, accidens
uero in eo quod quomodo sese habeat, id quoque commune est cum genere;
genus quippe ab accidenti in eo quod quid est et quomodo se habeat
praedicatione diuiditur. Item unam quamque substantiam una uidetur species
continere, ut Socratem homo, atque ideo Socrati una tantum propinquitas est
species hominis. rursus indiuiduo equo una species equi est proxima,
itemque in ceteris; uni cuique enim substantiae una species praeest. at
uero uni cuique substantiae non unum accidens iungitur; uni cuique enim
substantiae plura semper accidentia super- ueniunt, ut Socrati quod caluus,
quod simus, quod glaucus, quod propenso uentre, et in aliis quidem substantiis
de numero accidentium idem conuenit. Dehinc semper ante accidentia
species intelleguntur. nisi enim sit homo cui accidat aliquid, accidens esse
non poterit, et nisi sit quaelibet substantia cui accidens possit adiungi,
accidens non erit. omnis autem sub- stantia propria specie continetur. recte
igitur prius species, accidentia uero posterius intelleguntur;
posterioris enim sunt, ut ait, generis et aduenticiae naturae. nam quae
substantiam non informant, recte aduenticiae naturae esse dicuntur et
posterioris generis; his enim substantiis adsunt quae ante diferentiis
informatae sunt. Rursus quoniam species substantiam 1 decernitur
Rm2 ac s. l. Lm2 a EGH et a P 3
praedicatur post species H quod om. E, s. l. Gm2 4 se
EP habet LR id—habeat (6) om. R est commune
H post est add. speciei
L (s. l. m2) brm 5 accidenti] edd. accidente
codd. quod om. E 8 propinquitate EPm1
propinqua L species est LR 9 est equi H
item H 10 una—substantiae in mg. Hm2 13 quod
simus om. C 15
accidentium ex accommodantium Hm2 post conuenit
add. dicere R ante om. C 16 accidit CHLNPR,
recte? 18 autem del. Lm2 enim P 20 uero om.
R, in mg. Lm2 posterius] postremo R enim] uero CE
21 generis ut ait CR nam quae] nam Rm1 namque
EG nam quia CN 22 ante recte add. ideo EGL (s. l. m2) P (del. m2)
esse om. H monstrat, substantia uero, ut dictum est,
intentione ac remis- sione caret, speciei participatio intentionem remissionemque
non suscipit. accidens uero uel si inseparabile sit, potest inten- tionis
remissionisque cremento et detrimento uariari, ut ipsum inseparabile accidens
quod Aethiopibus inest, nigredo. potest enim quibusdam talis adesse, ut
sit fuscis proxima, aliis uero talis, ut sit nigerrima. Restat
nunc proprii communiones ac differentias persequi. sed quo proprium differat a
genere uel specie uel differentia. superius demonstratum est, cum quid genus
uel species uel differentia a proprio distaret ostendimus. nunc reliqua
ad com- munitatem uel differentiam consideratio est, quid proprium accidentibus
aut iungat aut segreget. Commune autem proprii et
inseparabilis accidentis est quod praeter ea numquam constant illa in
quibus considerantur; quemadmodum enim praeter risibile non subsistit homo, ita
nec praeter nigredinem sub- 14—p. 345, 2] Porph. Boeth. demonstrat
H ac] et H 2 remissionemque] ac remissionem H 3
si s. l. CLm2 4 in (del. m2) incremento H
decremento R edd. uti R ita E 5 ante
nigredo add. ut Hm1N id est s. l. Hm2 6 fu-
scis] La.c. edd. fuscus Lp.c. et cett. aliis
uero] edd. uero aliis codd. ( uero s. l. Lm2)
8 post proprii add. et accidentis N ac]
ad EGLm1 9 quo] Cm2 (part. ras. corr.) quod
Cm1EGLm1NPR quid HLm2; cf. p. 342, 13 10 quid] quod
N quicquid E uel differentia uel species H a
s. l. Lm2 12 uel] et N quod E quae
Hm2LR 13 iungit EGHm1LPm1R segregat LPR
separet N 14 ACCIDEN- TIS] Porph. p. 21, 20 cod. Μ σομβεβηχοτος, cett. τοδ άχωρίστοο σομβεβη- αότος ; de Porph. cf. etiam ad
p. 102, 7 16 est post commune L, ante
accidentis AA m1 accidentis inseparabilis est m2
praeter ea] prop- terea Φ constant] CH Busse
(coll. p. 159, 7) consistant EGNPR h m1 A p.c. W
edd. consistunt L A a. c. 112Φ consistent r\ m2 illa post
quibus N 17 quemadmodum—Aethiops (p. 345, 1) ] LR Q
, om. cett. 18 ita om. 2 , s. l.
A m2 subsistit] non subsistit A m2; Porph. ΰποσταίη dv sistit Aethiops, et quemadmodum semper et
omni adest proprium, sic et inseparabile accidens. Quoniam proprium semper
adest speciebus nec eas ullo p. 111 modo relinquit quoniamque
inseparabile accidens a subiecto non potest segregari, hoc illis inter se
uidetur esse commune, quod ea in quibus insunt, praeter propria uel
inseparabilia accidentia esse non possint. inseparabilia uero accidentia com-
parat, quoniam, ut in specie dictum est, rarissimae sunt speciei atque
accidentis similitudines. quocirca multo magis proprii atque accidentis
communitates difficile reperiuntur. accidens enim in contrarium diuidi solet,
in separabile accidens atque in inseparabile, quae uero sub genere in
contrarium diuiduntur, ea nullo alio nisi tantum generis praedicatione
participant. quodsi proprium inseparabile quoddam accidens est, a
separabili accidenti plurimum differt, atque ideo nullas proprii et
separabilis accidentis similitudines quaerit. sed quia ipsum proprium certis
quibusdam causis ab inseparabilibus accidentibus differt, horum et communitates
inueniri possunt et inter se differentiae. quarum una quidem ea est quam
superius exposuimus, secunda uero quoniam sicut proprium semper et omni
speciei adest, ita etiam inseparabile accidens; nam sicut risibile omni homini
et semper adest, ita etiam nigredo omni coruo et semper adiuncta est. 8 ut
in specie dictum est] 1 et omni om. H et om. R; Porph. παντι και άεί 2 sic om. P sicut C
et om. R 3 semper om. H 4 quodque Hm1 5
inter se post commune H 6 ea in] eam (m del. m2)
H insunt] sunt R, add. ipsa
propria et inseparabilia accidentia sunt E (del. et s. l. glosa est scr. m2) L
(in mg. m2, om. sunt) P (om. sunt) uel] et LNR 7
possunt EHLm2NP uero s. l. Cm2 ante comparat s.
l. proprio Cm2, post s. l. scil. proprio L 8
sunt post accidentis H 10 ante accidens
add. scilicet E 11 enim] uero R 12 sub
genere om HΝΡ, del. Lm2 14 quiddam CL quoddam
post est H 16 simili- tudines—accidentibus in mg.
Em2 17 causis om. EG rationibus
Lm2PR differentiae] dissentiae uel differentiae H 19 est
ea H 21 post accidens add. est
H 22 et semper om. H et semper adest s. l. Gm2
post. et] N edd., om. cett. Differt autem quoniam proprium
uni soli speciei adest, quemadmodum risibile homini, inseparabile vero
accidens, ut nigrum, non solum æthiopi, sed etiam coruo adest et carboni et
hebeno et quibusdam aliis. quare proprium conuersim praedicatur de eo
cuius est proprium et est aequaliter, inseparabile autem accidens conuersim non
praedicatur. et propriorum quidem aequaliter est participatio, acciden- tium
uero haec quidem magis, illa uero minus. Sunt quidem etiam aliae
communitates uel proprie- tates eorum quae dicta sunt, sed sufficiunt etiam
haec ad discretionem eorum communitatisque traditionem. Proprii atque accidentis
prima quidem differentia est quia proprium semper de una tantum specie dicitur,
accidens uero minime, sed eius praedicatio in plurimas diuersi generis
substantias speciesque diffunditur. risibile enim de nullo alio nisi de homine
praedicatur, nigrum uero, quod est inseparabile quibusdam accidens, tam coruo
quam æthiopi, quae diuersa sunt specie, tum coruo atque hebeno, quae differunt
generi- bus, non tantum specie, praesto est. quo fit ut propriis
quidem Porph. Boeth. .
1 PROPRII ET ACCIDENTIS] CP W , item Porph. p. 22, 4 cod.
M ( των αυτών plerique cett. ),
ACCIDENTIS ET PROPRII cett., nisi quod EORV II EORVNDEM Ψ ; de Porph. cf. etiam ad p. 105, 16 2 Dif-
ferunt CG ΔΣΦ ; Porph. p. 22, 5 διενήνοχεν proprium om. Σ 3 risi- bili N
inseparabile—minus (10) ] LR Q , om. cett. 4 soli
L A‘l> 5 etiam] aeque R hebeno plerique codd., item
proprium est ΓΦ post. est] ΓΔ (del.
uid.) ΙΙΣΦΨ cum Porph. p. 22, 8, om. LR A Busse 8
autem] uero ΔΛ Busse conuersim non] nec conuersim
A proprii R A m2 2 proprium uero Φ 9
aequaliter] R 2 , coni. Busse , aequalis cett.; Porph. και
τών μέν ιδίων έπίτης ή μετοχή 10 hae Δ 11 uel] Porph. τέ
καί earum C dictae CEGHP hae N
et R traditionem
ex distractionem E contradictionem Gm1 14
est om. H 16 praedicatio eius H species Cm1
diuersae HLNPm2 diuisae m1 20 speciei H
(ante sunt) N tunc R nec non Lm1 sed
tum m2 21 tantum specie] uni tantum speciei P
conuersio aequa seruetur, in accidentibus uero minime. quoniam enim
propria in singulis esse possunt atque omnes continent, species conuerso ordine
praedicantur; nam quod risibile est. homo est, et quod homo, risibile. nigrum
uero non ita, sed ipsum quidem de his praedicari potest quibus inest,
illa uero ad huius praedicationem conuerti retrahique non possunt; nigrum enim
de carbone. hebeno, homine atque coruo prae- dicatur, haec uero de nigro
minime, nam quae plurima continent, de his quae continent praedicari possunt,
ea uero quae continentur, de sese continentibus nullo modo nuncupantur.
Rursus proprium quidem aequaliter participatur, accidens remis- sionibus atque
intentionibus permutatur. omnis enim homo aeque risibilis est, æthiops uero non
æqualiter niger est, sed, ut dictum est. alius quidem paulo minus alius
uero taeterrimus inuenitur. Et de proprii quidem atque accidentis
differentiis satis dictum est. restabat uero accidentis ad cetera communiones
proprie- tatesque explicare, sed iam superius adnumeratae sunt, cum generis,
differentiae, speciei et proprii ad accidens similitudines ac
differentias adsignauimus. fortasse autem his institutus animus et sollertior
factus alias praeter eas quas nunc diximus com- munitates uel differentias
quinque rerum quae superius sunt positae reperiet, sed ad discretionem atque
eorum similitudines comparandas ea fere quae sunt dicta sufficiunt. nos
etiam, quoniam promissi operis portum tenemus atque huius libri seriem
primo quidem ab rhetore Victorino, post uero a nobis 1 conseruetur
(con s. l. m2 ) aequa conuersio H 2esse presunt (presunt
del. m2) H esse Lm1 esse habent Lm2R 4 post
post. homo add. est CLR post risibile
add. est LPR 5 quibus] in quibus R ante
hebeno add. de H, er. uid. L 9 continentur HN 11 proprium
post quidem H (s. l. m2) quidem om. G
permittatur E deterrimus CLN 16 proprii *
(s er.) HL differentiis om. G proprietate E
accidens G 18 replicare EGLPR iam] etiam EG
enumeratae La.c. 19 speciei] et speciei NR ad accidens] et accidentis
Em1La.c.R his om. NR 23 ante eorum
add. ad EGLPR 24 sufficiant HR 26 ab in a
mut. ut uid. C Latina oratione conversam
gemina expositione patefecimus, hic terminum longo statuimus operi continenti
quinque rerum disputationem et ad Praedicamenta seruanti. 1
conuersa ELm1 continenti om. C quinque] V L (in
ras. m1?) edd., om. cett. 3 et om. C seruienti
brm ANICII MALLII SEVERINI BOEZIO LIBER V EXPLICIT SECVNDI SVPER YSAGOGAS
COMMENTI P FINIT EXPLICIT EDITIONIS SECVNDAE COMMENTARIORV LIBER V FELICITER.
AMEN (er. uid.) DEO GRATIAS C
ANICII MANLII SEVERINI BOEZIO ILLVSTRIS CONSVLIS EXPLICIT
LIBER ANICII. MANLII SEVERINI BOEZIO A. M. S. B. N V. C. ET ILL. I LL S. N EXCONS EXCS
N ORD. PATRICII. (ΈΧC. —PATR. om. G) IN ISAGOGAS (YS-
EG) PORPHYRII (I pro Y N) IDE. INTRODVCTIONES
(-NE E) IN CATEGORIAS (KATH- N) A SE (om.
N) TRANSLATAS. (-TĘ E , IDE— TRANSL. om. G) EDITIONIS
(EDΙCΤ- E , AED- N) SCDĘ LIBER V (QVINTVS N) EXPLICIT
EGN, add. TIBI PAX. AMEN. E ; QVINQVAE (sic) FIT OPTATVS HIC
FINIS ISAGOGARV R; subscriptione caret H, item e codd. Isagogen tantum a
BOEZIO translatam continentibus ΓΛΣΦΊ’ (nisi quod in Φ recens
quaedam est); post traditionem habent EXPLIC. LIB. HISAGOGARV
PORPHIRII Δ, EXPLICIT Π. gradatimfoliacontrahit.Videtur
hæcnonminusdilatatio ne, contra iones foliorum honorare solem, quam homines genarum
gestu, moru labiorum. No folumuero 'in plantis, quæ ueftigium habent uitæ, fed etiam
in lapidibus aspicere licet, imitations, & participationem quandam luminum supernorum,
quem ad modum helicis lapis radijsaureisso laresradio simitatur. lapis autem, qui
uocatur cælioculus, uel solis oculus, figuram habet fimilēpu pillæ oculi, atqsex
media pupillae micatradius. Lapis quoque selenitus, id est lunaris, figura lung
corniculari similis, quadam sui mutatione lunarem fequitur motum. Lapis deinde helio
selenus, id est solaris, lunarisóz imitatur quod ã modo congreffum folis, &
lunæ, figuratcs colore. Sic diuinornm omnia plena funt, terrena quidem cælestium,
cæleftia uero super cælestium proceditæ quilibetor d o rerum uso ad ultimum .
Quæ enim super ordinem rerü colligū curin uno, hæc deinceps dilatan
turindescendendo, ubi aliæ animæ subnuminibusalñs ordinantur. Deinde &
animalia funt sol ana multa, uel ut leones, & galli, numinis cuiusdam solaris
pro fua natura participes, unde mirum est, quantum inferiora in eodem ordine cedant
superioribus, quamuis magnitudine, potentias non cedant hin eserunt gallum
timeri am leone quam plurimum, & quafi col0i . cuius rei causam a matería, sensu
ue assignare non possumus, sed solum ab ordinis supernicontemplatione. quoni
amuide licet præsentia folaris uirtutis conuenitgalto magis quam leoni: quod&
inde appare Marfil. Ficin. in Interprete
FICINO. Vem ad modum amatoresabipsa pulchritudine, quæcircasensumapparet,
addiuinam paulatim pulchritudinem ratione progrediuntur: fic&
sacerdotesantiqui,cùmconli, derarentinrebus naturalibus cognacionemquandam compassionemç;
aliorumadalia &manifestorum aduiresoccultas,& omniainomnibus inuenirent,
facrameorumscien quicquidest, pulchrumeft, & bonum
eft.etiamsiindecorporissequaturin commodum. Corpus enim nonpars hominis, fedinftrumentum:
instrumentiuero malumnonpertinetadutentem. Quomodo differantduohæc, fcilicetfecundumfeipfum,&
quaipsum. Ietioneseius modi, fcilicet secundum feipsum, & quaipsum, etiam apud
Aristotelemdistin, D guuntur. Quod enim secundum seipsum alicui competit ,
poteste i non competere primo. Quod autem qua ipsum conuenis præter id, quod conuenit,
secundum se ipfum etiam primo competitei, atque adæquatur. Pulchrum igitur, fi commensurationis
animæ causaest, atq;obhoc ipsum dicitur pulchrum, efficito, ut melius inanima dominetur
deceriori, perficitąnos, & animæ deformitat empurgat: hac ipfa ratione bonum
est, non quidem pe raccidens, fedquarationepul. chrum .fienim qua pulchrum est commensuratum,
eft & bonum. Bonãenim estmensura
cercéquá pulchrum est,exiftit& bonum. Similiter turpe, qua turpe,malum est.
Nam qua curpe eft, informe est qui 1 quiagallus, quafiquibufdáhymnis
applaudit furgentisoli, & quafiaduocat, quãdoexantipodum
mediocæloadnosdeflectitur, & quando non nullisolaresangeliapparuerunt formiseiusmodi
prædici, a r c f, cum ipfi i n s e fine form a essent, nobis tamen, qui formati
sumus, occurrere formati. No nunquam tione. Quæ fecundumfefuntin corporea, non localicerpræsentia
corporibus, adsunt eis,quotiescunqueuolunt, adillauergentia, atquedeclinantià, quatenusuidelicet
naturaliteradea uergunt, arqueinclinantur. Sed enim cum nonadfint localia conditione
corporibus, habitudine quadam eisadfunt. Quæ fecundum sesuntincorporea, certenonper
substantiam, & peressentiam corporibusadsunt. Non enim corporibus cómifcentur
ueruntamen ex ipsa inclinatione, quasimo mentouisquædam subfiftitinde comunicataiam
propinquacorporibus. Ipsa namq inclinatio secundam quandam uim substituít corporibus
iam propinquam. mæ, fecundữ corporafuntdiuisibiles. Non omne, quod agitinaliud appropinquatione,
&ta &ufacit,quodfacit,fedetiam qupæropinquarido, & tangendo faciuntali
quid fecunduma ccidens, nonutuntur propinquirate. Anima corporialligatur conuersione quadam
adpassionesprouenien resacorpore. Rursum foluiturquatenusa corpore nihil patitur.
Quod natura ligauit, hoc &ipsa naturasoluit. Rursusquod conciliauitanima, hoc
& animadirimit. Naturaquidem corpusinanimadeuincit, animauerose ipsam in corpore.Quamobrem
natura corpusab anima separaczanimauerose ipsam à corporesegregat, saclia
us modi . Qui 1 Proc. De Sacrif. & Magia.
ICOR bada mler: in: no.N enlos ur, but aliano compiz quider Locum siue causisadintelligibilianos
ducentibus. FICINO INTERPRETE. De natura, e alligatione,o solutioneanime.
Nimaquidemmediüquiddameftintereffentiam indiuiduam, arqueessentiamuera corpora
A diuisibilem. Intellectusautem essentiaest,indiuiduafolum. Sed qualitates, materialesq
for lael, ea ncense garia 1, fiu ucent oxd zateni XOM etiam dæmones
nisisuntsolares leonina fronte quibuscum gallusoböceretur, repente
disparuerunt. Quod quidemindeprocedit, semper quæineodem
ordineconstitutainferiora funt, reuerentur superiora: quemadmodum
plerişintuentes uirorum imagines diuinorum,hocipsoas. pe&uuererisolentturpe
aliquidperpretare. Vt autem summatimdicam, aliaadreuolucionessolis
correuoluuntur, ficutplantæ, quasdiximus: aliafiguramsolariumradiorumquodammodoimitan
tur, ut palma, dactylus: aliaigneamsolis naturam, ut laurus: aliaaliudquiddam
uideresanelicetpro prietates, quxcolligunturin sole, passimdistribucasinsequentib.
insolariordineconstitutis, scilicet angelis, dæmonibus,animis, animalibus, plantisatque
lapidibus. Quo circasacerdotijueterisautho resàrebusapparentibus superiorum
uiriumcultumad in uenerunt, dum aliamiscerent, alia purificarent. Misceban t
autem plura i n uicem, quia uidebant fimplicia non nullam habere numinis
proprieratem, non tamen fingulatim, sufficientem ad numinis ilius ad uocationem.
Quamobrem ipfa multorum comixtioneattrahebant supernos influxus: acßquodipfi componendo
unumexmul tisconficiebant, assimilabantipfiuni, quod est super multa, constituebantæ
statuas exmaterñismul tispermixtas: odores quoq compositos colligentes:arceinunum
diuina symbola, reddentesísun um tale, qualediuinumexiftit secundum effentiam, comprehendens,
uidelicet uires quam plurimas. Quorum quidem diuisiounamquamg debilitauit, mixtiouerorestituitin
exemplarisideam. Non nunquam ueroherbauna, uellapisunus, addiuinum sufficitopus.
Sufficicenim Cnebison, ideftcar duus, ad fubitam numinis alicuius aparacionem ,
ad custodiam uerò laurus. Raccinum, ideftgenus uirgultispinosum, cepa, squilla,
corallus, adamas, laspis, fed adpræsagiumcortalpæ, adpurificatio. nem
uerosulfur, &atos marina. Ergo sacerdotes permutuam rerum cognationem, compassionem'.
conducebant inunum, per repugnantiam expellebant purificantes,cum oportebat, sulfure,
atque asphalto, idestbitumine, aquaas per gentes marina, purificat enim sulfur quidem
propterodorisa cumen, aquaueromarina propterigneamportionem, &
animaliadrjsindeorum cultucongruaad hibebant, cxtera't similiter. Quamobrem
abës, atoßsimilibus recipientes primum potentias demonum, cognouerunt, uideliceceasesse
proximasrebus.actionibus naturalibus: atq; perhæcnatura lia, quibus
propinquantin præsentiam conuocarunt. Deindeà dæmonibus adipfasdeorumuires
actiones & processerunt, partimquidem docentibus dæmonibus addiscentes, partim
uero industria propria interpretantes conueniencia symbola, inpropriam deorum intelligentiam
ascendentes, ac deni q post habitis naturalibus rebus, actionibusque, ac magna
ex parte dæmonibus in deorum feconfortium receperunt. PORPHYRIVS DE
OCCASIONIBVS, De natura corporeorum, atque in corporeorum. Mnecorpuseftin loco,
nullumuerocorum, quæfecundūsesuntin corporea, uelaliquid tale, estinloco. Quæ
secundum sesuntincorporea, eoipso, quodpræstantiusestomni corpore, atqueloco, ubiquesunt,
nondistanti quidem, sedindiuiduaquadam condi USCE inuss sdina labor Pt, imi
adns aberi is,fip liol Sicdi liatiei ,unto 10,p Omnia MMM $ Omnia quodammodo
suntin omnibus pro conditionecorum, quibusinfunt. On fimiliter omniainomnibus intelligimus,
sed propriese habetadomniauniuscuíu sed sentia: intellectuquidem
intelle&ualiter, inanimauero rationaliter: in plantis seminarie, in
corporibus imaginariè: ineodem quod his omnibussuperiuseft, modoquodamfuper
intellectuali, atquesuperessentiali essentiæ, aliatandem naturx supe
rioris,aliaanimæ, aliaintele&ualis: uiuuntenim & ila: etfi nullum eorum,
quæabiplisexi ftunt, uirameisfimilemsorciatur. aliaueropartim quidem fle&tunturadila,
partimetiamnonflestuntur aliacandem folumde flectunturadgenituras, neqzinterimadse
reflectuntur. per , educere. Anima quidé habet omnium rationes. Agit autē
secundã eas, uel ab alio ad ex peditionemeiusmodi prouocata, uel ipfa fe ipfamintus
conuertensadrationes, & cum abaliopro uocatur, tanquamadexternacommititintroducere
sensus: cum uero ingredicurinseipsam, adintel ligentiasperuenit: necigitursensus
extra imaginationem funt, necß,utdixeritaliquis, intelligence quatenus
competunt animali Anima eft immortalis. Anima ef t essencia inextensa, immaterialis,
immortalis, in'yita habenteaseipsauiuere, arosese fimiliterpossidente. Passio animæ,
atque corporisestlonge diuersa. Liudestpati corpora, aliudincorporea. passioenim
corporụm cum transmutatione cötingit passiouero animęest accommodatio quædam, &
affe&ioadrem ipfam, & a&ioquædã, nullo modo fimilis calefationi, frigefactionią corporum, quamobrem
sipassiocorporū, cũtrans mutatione fit,dicendum eft omnia incorporea esse passionis
expertia. Quæ enim a materia, corporf busipfeparatasuntadu, eadempermanent: quæueromateriæ
corporibus propinquant, ipsaqui d e m n o n sunt passiua, sed illa, in quibus
hæc apparent, patiuntur, quád o enim animal s e n d t, anima quidam fimilis
esseuideturharmoniæ cuidam separatæ ex seipsam chordas mouenti cötemperatas
Corpus aữrsimileharmonię, quæ inseparabilisinestchordis, fed causa mouendieffeuideturanimal
propter eaquod fit animatū, quod quidem simile eft mufico, exeoquodfitcõcinnum,
corporaueros quæ per passione sensualem pulsantur, fimilia contemperatis chordis
apparent. Etenim ibinon harmonica quid é separata patitur, fed chorda . &
mouet f a n e musicus p ipsam, quæ sibi i n eft, harmoniā: newtamen chordaratione
musica moueretur etiam, fiuelletmusicus, nifi harmonia ipsaiddixit.
nataestquemadmodum corpora, sed fecundum nudam ad corporapriuationem. Quãobrenihil
prohibetinterila, alia quidemesse essentia, alia uerò non essentia: &
aliarursusante corpora, alia ueròunacumcorporibus: itemalia a corporibus separata,
alia uerò non separata. Præter eaaliasecun dum sesubfiftentia, aliaueroalijs, utsintindigentia:
alia deniqa&tionibus, uitisfexfemobilibuse adem, sedaliauitis, &qualibu
sa&tionibus quodammodo permutata,nempefecundumnegatione corum, quæ ipfanon
sunt, non secundum assistentiameorum, quæ sunt, appellatur. Pussiones materie prime
assignat esimiliter à Plotino. Ateriae propria apudantiquos hæc funtincorporeaquidem,
diuerfaenimeftàcorporibus, prætereauitæexpers, negintelle&tus, neckanima, neque
aliquid fecundum seuiuens. Itêin, formis, permutabilis, infinita, impotens. Quapropternec
ens, feduerum nõens, imagomol lisapparens, quoniãqd primo estinmole,eftipfum
impotens, itéappetitio subsistentia & ftansno instacupræterea fempinse apparens,
tum paruum, rum magnữ,tūminus, tūmagis, tūdeficiens, cī excedens, quoduefiatfemp,
maneatuerònunquã, nec tamen aufugere potens,quippecútotius entisfit defectus. Quamobrēquicqd
pmittat, mentitur: aciimagnūappareant, interimeuadirparo uũ, quafienimludus quid
ãeftinnõensaufugiés, Fugaenimeius non fit loco, sed dūabencedeficis, Quamobren.
in infummiseftunitas cumuirtute: ininfimis multitudo cum debilitate. N corporeæ
fubftantiædescendentesquidemdiju dicentur, atqßinsingula potentiæ defe&umul
tiplicantur, adscendentes autemutuntur, atæ fimul recurrunt inunumcopia poteftatis.
Quegenerant, partimconuertuntur ad genita, partimminimè. Mne, quodsuaessentiagenerat,
aliquid sed eterius generat, atqomne genitü adgenitorina O curaconuertitur, eorumuero,
quægenerant, alia quidem nullo modo conuertuntur ad genitas Sensus, imaginatio,
memoria intelligentia. Emorianonest imaginationü conferuatio quædam, ámdtāmpastwintorspobaristale
vias spoluéwata, sed eft ipfas propositiones, fiue productiones ina&um
corū, quæ medicatus eft animusnu: nec rurfusabsq inftrumentorum sensualium
passione sunt senfus, sic & intelligentiæ non absque imaginatione, nisianalogaconditiofit:
quemadmodum figura consequens quiddam est ad animal sensuale, sic phantasma ali
quidconsequensadintelligentiam anima intelligentis in animali. 1N
Despeciebusuite. On solumincorporib æquiuoca conditio est, sed ipsa etiãm vita multipliciter
prædicatur eftenim uita plantæ, animalisalia: aliarursus intellectualis Alia IN
N>M Dedifferentijs incorporeorum. Pfain corpore orī appellatio non secundum communicatē
unius, eiusdemiş generis, sic cognomi. Quam obremquæineasunt imagines,
in suntindeteriorirursus imagine, quem admodum in speculo id quodalibilitum eft,
apparetalibi, & ipsum speculum plenumese uidetur, nihilqz habet, dum om nia
uidetur habere. funt, aut non funt, quappter nulla corūpaticur: quodempatienseft,
non oportetitafe habere, fed efetale, ütalterariqueat, atointeriminqualitatibus
eorī, quae ingrediuntur, ficásinferuntpas fionem. Eiñamos quodinest alteratio non
aqualibec accidit, nexigicur imaceriapacítur. Nāsecun dum fe ipfam qualitatis estexpers,
nesprorsusformx, quae funtinca, ingrediences; uicissim sexe, untes, sed passio fic
circa compofitum, & uniuselsein compositione confiftit, hocenim
incontrarijs uiribus& qualitatib ingredientiữz inferentiumą passione perfeuerare
in fubfiftendo uidetur. Quá obre mea quoru um i uere est ab externis, ne
casciplis, nimirum & uiuere, & non uiuere pat i possunt. Sed ea, quorum
esse in u i t a consistit, passionis experte, necessarium est permanere
secunduum itam, quemadmodūm uitä uacuitati conuenit & non pac, quarenus &
uitæuacuicas. Icaq ficut permutari, acpati composito ex materia, forma
côtingit, ideftcorpori, neqstamenidmateriæ accidic, ficujuere, areinterire, patiofecundumhocipfum
incompofitum exanima, corporeæperspicitur, neqstamé animæidcontingit, quoniam
animanoneft aliquidexuita, & non uita conflatum, sed uica solum
constatquippe, cum fimplex essentia fit, ipfaqsanimæ ratio fit natura ipfa se mouens.
Omnis intellectuseft omniformis. Ntelle&ualis esentia fic in partibuseftconfimilis,
ut & in particulari quolibet intelle&u, uniuer soosintelle&u fint entia:
fed intele&u quidem uniuerfali endaeciam particularia uniuersalifint
ratione: in particularia ut čincellectu eciāmi uniuersalia fimulacos particularias
intconditione qua dam particulari: Omnisuitain corporeaquocunq; mütetur,permanetimmortalis.
Nuicisin corpore ispces susmanentibus prioribus in se firmisefficiuntur, dūnihilfuiõdunt,
neos pmutantad substantiâ inferiori bexhibendam, quapptern ed quæ inde subfiftūccũaliquagdi
tioneueltráf mutatione subsistûr, nechoc qdēefficitur, ficutgeneratiointeritus,
gmutationisą particeps, ingéciaigitur, & incorruptibilia funtaroingčitæ, incorrupcx'ssecīdū
hoc ipfumeffecta. Quomodo intelligatur quod eft fuperius intelectus uigilantiãmultadicatur,
fed perfomnū ipsum cognitioeius, peritia'oshabetur, fimilinãque fimile cognosci
folet, quoniã omnis cognitio, assimilatio quæ dá ef t ad hoc ipsum, quod cognoscitur
ens uel ut falsam concipimus passionecă, ingentem uidelicet ili, quidigreditur extrase
ipsum, ipfeenimquisque quemadmodum existenter deftuere, atokperse ipfum poteftreduciad
ipfum non ens ente superius, ficabence, sepsipfodigres diensiam traducitur ad non
ens, quod entisipfius est casusatqzruinia. Substantia in corpore aest ubi cunque
uult. Atura corpori snihil impedit, quinquod fecundum fe incorporeum eft, ficubicung,
& quò modocunque. Sicuc enim corpori incomprehensibile est, quod molis eft expers, nihilą
adip Porphyr de Occasionib.
Quidpatiatur, quidnon. Afsiones circa id funt omnes, circaqd accidit &
interitus.Vía enim ad interitãeft admissio passionis, acohuius est interirecuius eft paci. In cerireaūc in corpore ūnullű, sed
quædã interilaaur Anima quia per effentiam eft uita, non moritur. yIrca essentiam,
cuius efe confiftic in uita, & cuius passione suit a quædã funt, nimirum&
morg in quali aliqua uita uersatur, non in priuatione uitæ fimul tota. Quoniamneqs
passio, seu uita est omnino, illic ad non uiuendum, iplaqz illic accidit orbitas.
Sillo quod eft mente superius, per intelligentiam quidem multa dicuntur: considerantur
D temuacuitatequadă intelligentiæ intelligentiam eliore; quem admodum
dedormienteper Non ens aut eft fuperiusenteut Deus, aüt inferius cum materia.
Vod non ensdicitur, auciplínos machinam urab ipso entealiquando separaci, aut super
intelligimus,dum ens possidemus qua propter fi separamur ab ente, ens ipsum non
super inetelligimus non ens super ens ipsum, sed iamnon N sumpertiner: sicin corporeo
ipsum, quod molle diftenditur, non fic obstaculum & quafi non acec, neque enim
quod incorporeum eft locali conditione quo uulc discurrit locus enim cum mole
simul exiftit, neq srurfus corporum limitibus coercecur, quod enim quomodo cūqiiacetinmole,
in angustum cohiberi poteft, & conditione locali transmutationem agere, quod
aucemestamole,mag nitudine prorsusexemptū, hocabójs, quæ funt inmole contineri non
poteft, a motuş i localiper manet liberum. Igitur qualiquadam, certaque dispositione
reperituribi, ubi cunque disponitur, loco inter eatum ubique, tum nusquam simul
exiftens, qua propter quali quadam certaque affectione uel super cælum, uel in parte
mundi quadam apprehenditur: quando uero in aliqua mundi pàřectenetur, non
oculis quidem aspicitur, sed ex operibus eius præsentia sua fit hominibus
manifestas Substantia in corpore inullo corpore cohibetur, sed produci tescamin
corpore perquamse corpori applicát. Vodeft in corpóreū, li quando in corporecomprehendatur,
nonopuseftutitaconcludatur, Q quem admodum inparcoferæ clauduntur, nullum namque
corpus poteft ipsumficinfeco hibere, nequeficutüterliquoremaliquem trahit, &
cohibet, autfacum, fed oportetipsum ia nd C TO MmM. fubftituere cavite
Vniaersales cause non conuertuntura defectus, fed eosadfe conuertunt. V l
l a substantiarum, quæ universæ sunt, a t æ perfectæ ad suam conuertitur geni
cură. Omnes auté perfectæ subftantiæadgenerantiarediguntur, & id quidem ad corpus
uso mundanum. Quomodo differenterestubiq; DeusintelleĀus,animas Euseftubiq, quianusquam
intellectus est:ubiq etiã,quianufquam anima deníqueubiqet EX PORPHYRIO DE AB
ftinentia animalium quinetiam cognoscitipsum, quod in feest, naturaliterperpetuo
uigilans, atque fom/ num, quo hic opprimitur, deprehendit. Cui non sane educationem,
nutritionemque trademus consentancã, tūhuius locinaturæ, tum
suiipsiuscognitioni conuenientem, Beatitudo non eft diuinorum cognitio, fed uita
diuina. Eata nobis contemplatio non est uerborum accumulatio, disciplinarumque multitudo,
quemad Bmodum aliquis forteputauerit: neque enim iracomponitur, neque pro quantitate
rationūac quare perfectio quidê aprioribus fecunda fubftituit cõferuanseade
ad priora conversa, defectusautempri oraetiam ad pofteriora defledit, eficitqzut
hæc ipfa diliganta superioreinterim differentia Marsil. FICINO (si veda) in
substitucreuiresab ipsa in se ipsum unione extramanantes, quibus descendens corporiaplícatur,
copula itaßeius ad corpus per ineffabilem quandam suiipsiu simpletur extensioné,
quam obrénõ aliud adem ultūipfuamlligat, fed ipfum certe se ipfum, nec
igiturefoluit ipsum corpus quãdofrangitur autinterit,fèdipsum
pociusfemetipsumcnodat, quando a familiari erga subiectâ affectione diuercio
Quod quidemcūsit perfectum ad animā estreda&um, animam in quã intellectualem,
ideoas círculouoluitur, anima uero mundi ad intellectum attollitur, intelle&us
auteerigitur ad principio Omnia itaque perueniunt ad hoc ipsum ab extremis exordientia,
quatenus facultas suppecitunicuic perueniūt inquam eleuatione ad primū, illucusą
perducta: quæ quidēautex propinquo, autex. lon ginquoeficifolet. Hæcitas non solum
appetere Deum dicipossunt, sedetiam prouiribusafequizin substancijsuero particularibus,
et ad multa labipotentibus in eft procliuitas deflectēs adgenicuras:
ideoiginhis deli&um dicitur accidissezinhis infidelitas eft damnata. Has igitur
contaminatipla materia, propter ea quod ad hác defledipossint, cũtameninterea ad
diuinūs e ualeant convertisse: quoniã eft & nufquā: fed Deus quidem
ubique& nusquãeftcorum omnium, quæ funt poft ipsum. Sui uerò ipfius eft folum,
ficutest, atqueuult. Intellectus autem in Deo quidem ubica est, fed ineis, quæ funt
poftipsum, existirnusqua pariter, et ubique anima tandem in incelecttu, acor
Deo, fimiliter eft ubique, incorporeuero ubique est simul et nusquam. Corpus aut
et inanima, et in intellectu, et in Deo, omnia pro se et o cūentia, tum non
entia ex Deo sunt, et ideonec tamen ipse Deus eft,cum entia,tum nonentia, nec existit
in eis. Si enim esset duntaxat ubiq ipfe quidem omnia, et in omnibus esset.
A quoniam est, et nusquam, omnia sane
per ipsum fi unc fiunt a ž r ursus in ipso, quiam ipse existit ubios: diversarursusab
ipso, quoniam ipse nusqua. Similiter intelectu subicexistens, atqs nus quam,
causa est animaram, animasæ sequentium: neq s ipse anima est, neg quæ post
animam, neque in cis existic: quoniam uide licet non folum ubiqueest, eorumque,
quæ funt post ipsum, sed et nusquam. Rursus anima neque corpu seft, neque est in
corpore, fedcausacorporis,quoniam dum ubiq eftper corpussimuleft, &incorporenus
quam, processus denique universi in illud definit, quodnec ubiqfi mui, nequenusquamesseualet,
sed alternis quibus damuicibus utriusque fit particeps. Giustino (filosofo) filosofo e martire cristiano
Lingua Segui Nota disambigua Disambiguazione – "Giustino martire"
rimanda qui. Se stai cercando altri martiri con questo nome, vedi San Giustino.
San Giustino Justin filozof. jpg Icona russa di Giustino Padre
della Chiesa e martire Nascita Flavia Neapolis, MorteRoma Venerato
daTutte le Chiese che ammettono il culto dei santi Santuario
principaleCollegiata di San Silvestro Papa, Fabrica di Roma (VT) Ricorrenza Attributipalma,
libro Patrono difilosofi Giustino, conosciuto come Giustino martire o Giustino
filosofo (Flavia Neapolis, 100 – Roma, 163/167), è stato un martire cristiano,
filosofo e apologeta di lingua greca e latina, autore del Dialogo con Trifone,
della Prima apologia dei cristiani e della Seconda apologia dei cristiani. A
lui dobbiamo anche la più antica descrizione del rito eucaristico.
Iustini Philosophi et martyris Opera, Fu uno dei primi filosofi
cristiani, e venerato come santo e Padre della Chiesa dai cattolici e dagli
ortodossi. La memoria si celebra il 1º giugno. La Chiesa Cattolica
lo considera anche santo patronodei filosofi insieme a Caterina d'Alessandria,
pur non essendo nessuno dei due nel novero dei Dottori della
Chiesa. Giustino, che spesso si dichiarava in verità samaritano, visto il
suo nome e il nome di suo padre - Bacheio - sembra piuttosto di origini latine
o greche. La sua famiglia probabilmente si era stabilita da poco in Palestina,
al seguito degli eserciti romani che qualche anno prima avevano sconfitto gli
Ebrei e distrutto il Tempio di Gerusalemme. Come riferisce Giustino
stesso nel Dialogo con Trifone, venne educato nel paganesimo ed ebbe un'ottima
educazione che lo portò ad approfondire i problemi che gli stavano più a cuore,
quelli riguardanti la filosofia. Racconta che la sua smania di verità lo portò
a frequentare molte scuole filosofiche. Presso gli stoicinon trovò giovamento,
in quanto il problema di Dio, per questa filosofia, non era essenziale. Poi
frequentò la scuola peripatetica, ma anche presso questi filosofi non trovò
quanto cercava. Si recò presso un filosofo pitagorico che lo sollecitò dunque
ad approfondire le arti della musica, dell'astronomia e della geometria. Ma Giustino,
troppo concentrato nel voler raggiungere la verità e la "conoscenza di
Dio", reputava tempo sprecato il soffermarsi su tali materie.
Approdo al platonismo Da ultimo frequentò una scuola platonica; un
maestro di questa filosofia era da poco giunto nel suo paese e presso questa
corrente filosofica trovò quanto credeva di cercare. «Le conoscenze delle
realtà incorporee e la contemplazione delle Idee eccitava la mia mente...»,
dice Giustino. Si convinse che questo lo avrebbe portato presto alla visione di
Dio, che considerava essere lo scopo della filosofia. Decise di ritirarsi in
solitudine lontano dalla città, ma in questo luogo appartato, secondo quanto
racconta nel prologo del Dialogo con Trifone, incontra un anziano, con cui
inizia un serrato dialogo, incentrato su Dio e su cosa fare della propria vita.
Dopo aver dichiarato all'anziano la sua idea di Dio Ciò che è sempre uguale a
sé stesso e che è causa di esistenza per tutte le altre realtà, questo è Dio»,
l'anziano lo porta a ragionare su di un aspetto che forse a Giustino era
sfuggito: come possono i filosofi elaborare da soli un pensiero corretto su Dio
se non l'hanno né visto né udito? E porta il giovane a meditare sulle persone
considerate "gradite a Dio" e dallo stesso "illuminate", i
Profeti, che nel tempo avevano parlato di Dio e profetizzato in Suo nome, in
particolare la "venuta del Figlio nel mondo" e la possibilità
attraverso di Lui di avere una "vera conoscenza del divino. Conversione al
cristianesimo Dopo questa esperienza, Giustino si converte al Cristianesimo e
per tutto il resto della sua vita educherà i discepoli, utilizzando gli stessi
schemi usati dalle altre scuole filosofiche. Oltre a questo incontro, che fu
decisivo per la sua conversione, Giustino indica anche un altro fatto che lo
rinfrancava nella fede: «Infatti io stesso, che mi ritenevo soddisfatto delle
dottrine di Platone, sentendo che i cristiani erano accusati ma vedendoli
impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti ritenuti terribili, mi
convincevo che era impossibile che essi vivessero nel vizio e nella
concupiscenza. Giustino viaggia molto, andò a Roma una prima volta e
quando ritornò vi aprì una scuola filosofica a impronta cristiana, i suoi
insegnamenti insistevano molto sui fondamenti razionali della fede cristiana.
Questo approccio, molto diverso da quelli tradizionali, suscitò numerose
controversie sia con gli stessi cristiani sia con alcuni filosofi, specialmente
con Crescenzio il cinico. La sua fede lo porterà a subire una morte
violenta. Fu condannato a morte da Giunio Rustico che era prefetto di Roma e
amico dell'imperatore filosofo ANTONINO (si veda), con queste
parole: Coloro che si sono rifiutati di sacrificare agli dèi e di
sottomettersi all'editto dell'imperatore, siano flagellati e condotti al
supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi.» Di questo
processo esiste ancora il verbale: Martyrium SS. Justini et sociorum VI.
Giustino venne decapitato assieme a sei dei suoi discepoli, Caritone e sua
sorella Carito, Evelpisto di Cappadocia, Gerace di Frigia, schiavo della corte
imperiale, Peone e Liberiano. Le sue reliquie furono traslate da Roma, e
si trovano attualmente sotto l'altare maggiore della Collegiata di San
Silvestro Papa a Fabrica di Roma, in provincia di Viterbo. Giustino fu il primo
di una serie di autori cristiani che intravide in Eraclito, Socrate, Platone e
negli stoicidegli autori precristiani, precursori del Cristo e da esso
ispirati. Anche lo Spirito Santo è identificato con Dio stesso. A suo avviso,
la nozione trinitaria fu introdotta già dal platonismo. A Giustino si deve la
più antica descrizione della liturgia eucaristica. Egli fu il primo ad
utilizzare la terminologia filosofica nel pensiero cristiano ed a tentare di
conciliare fede e ragione. Si schierò duramente contro la religione pagana ed i
suoi miti mentre privilegiò l'incontro con il pensiero filosofico. La
figura di Giustino attrasse l'attenzione di Lev Tolstojil quale dedicò al santo
cristiano una breve agiografia, Vita e passione di Giustino filosofo martire. Saggi:
Dialogo con Trifone, Paoline, Milano Le due apologie, Paoline, Milano Opere Parisiis,
apud Carolum Morellum typographum regium, via Iacobaea ad insigne Fontis Il
Dialogo con Trifone, la Prima apologia dei cristiani e la Seconda apologia dei
cristiani, ci sono pervenute in un manoscritto conservato a Parigi. La Prima
apologia dei cristianinIo, Giustino, di Prisco, figlio di Baccheio, nativi di
Flavia Neapoli, città della Siria di Palestina, ho composto questo discorso e
questa supplica, in difesa degli uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e
perseguitati, io che sono uno di loro. (Apologia Prima) La Prima apologia dei
cristiani è indirizzata all'imperatore Antonino Pio e al Senato romano. In essa
compare un tema che sarà ampiamente sviluppato dall'apologetica cristiana, cioè
la critica della prassi diffusa presso i tribunali romani, per la quale il solo
fatto di appartenere alla religione cristiana era motivo sufficiente di
condanna. Giustino inoltre polemizza con i pagani riguardo ad
alcune contraddizioni interne alla società romana, per esempio fa notare come,
mentre i cristiani sono condannati a morte perché ritenuti atei, vari filosofi
greci e latini sostengono apertamente l'ateismo senza
conseguenze. Interessante, poi, è il fatto che Giustino citi
abbondantemente vari brani dei vangeli sinottici per esporre le dottrine
cristiane; ancor più notevoli sono i tentativi dell'apologeta per convincere i
pagani della verità del Cristianesimo attraverso le citazioni di autori
classici sia di filosofia come Socrate e Platone che di mitologia come Omero e
la Sibilla che vengono accostati a brani dei vangeli o dell'Antico
Testamento. Sia la Sibilla sia Istaspe profetarono la distruzione,
attraverso il fuoco, di ciò che è corruttibile. I filosofi chiamati
Stoici insegnano che anche Dio stesso si dissolve nel fuoco, ed affermano che
il mondo, dopo una trasformazione, risorgerà. Se dunque noi sosteniamo alcune
teorie simili ai poeti ed ai filosofi da voi onorati perché siamo ingiustamente
odiati più di tutti? Quando diciamo che tutto è stato ordinato e prodotto
da Dio, sembreremo sostenere una dottrina di Platone; quando parliamo di
distruzione nel fuoco, quella degli Stoici; quando diciamo che le anime degli
iniqui sono punitemantenendo la sensibilità anche dopo la morte, e che le anime
dei buoni, liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo sostenere le stesse
teorie di poeti e di filosofi. Quando noi diciamo che il Logos, che è il
primogenito di Dio, Gesù Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza connubio,
e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non portiamo
alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di
Zeus. Voi sapete infatti di quanti figli di Zeus parlino gli
scrittori onorati da voi: Ermete, il Logos; Asclepio, che ascese al cielo;
Dioniso, che fu dilaniato; Eracle, che si gettò nel fuoco e Bellerofonte, che
di tra gli uomini ascese con il cavallo Pegaso. Se poi, come
abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato generato da Dio come
Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa
concezione è comune alla vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero
di Zeus. Se poi qualcuno ci rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso
anche questo è comune ai figli di Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi,
furono soggetti a sofferenze. Se poi diciamo che è stato generato da una
vergine, anche questo sia per voi un elemento comune con Perseo. Quando
affermiamo che Egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e
che ha resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo
concordare con le azioni che la tradizione attribuisce ad Asclepio (Apologia
Prima) L'opera si conclude con una petizione che contiene una lettera
dell'imperatore Adriano, la quale serve a Giustino per mostrare come anche
un'autorità imperiale era del parere di giudicare i cristiani in base alle loro
azioni e non in base a dei pregiudizi; ed una lettera dell'Imperatore Marco
Aurelio e del "Miracolo della pioggia" durante le guerre
marcomanniche. La filosofia in effetti è il più grande dei beni e il più
prezioso agli occhi di Dio, l'unico che a lui ci conduce e a lui ci unisce, e
sono davvero uomini di Dio coloro che han volto l'animo alla filosofia Dialogo
con Trifone) Oltre alle già citate Prima apologia dei cristiani (Ἀπολογία πρώτη
ὑπὲρ Χριστιανῶν πρὸς Ἀντωνῖνον τὸν Εὐσεβῆ; Apologia prima pro Christianis ad
Antoninum Pium) e Seconda apologia dei cristiani (Ἀπολογία δευτέρα ὑπὲρ τῶν
Χριστιανῶν πρὸς τὴν Ρωμαίων σύγκλητον, Apologia secunda pro Christianis AD
SENATVM ROMANVM), Giustino scrive il Dialogo con Trifone (Πρὸς τρυφῶνα Ἰουδαῖον
διάλογος, Cum Tryphone Judueo Dialogus), opera dedicata a un certo Marco
Pompeo. Il tema è il confronto con il giudaismo, con il quale i cristiani
avevano in comune l'Antico Testamento, un terreno utile per un dialogo. Si
tratta di un dibattito che si svolge ad Efeso nell'arco di due giorni e vede
protagonisti Giustino e Trifone, nel quale è stata individuata da alcuni
storici la personalità di un rabbino realmente esistito. Lo scopo di questo
dialogo è mostrare la verità del cristianesimo, rispondendo alle principali
obiezioni mosse dagli ambienti giudaici. In particolare, Giustino vuole
dimostrare che il culto di Gesù non mette in discussione il monoteismo e che le
profezie descritte nell'Antico Testamento si siano avverate con l'avvento di
Cristo. Il dialogo assume toni sempre rispettosi e amichevoli e non si
conclude, com'era consuetudine per gli scritti cristiani, con la richiesta da
parte del giudeo del battesimo. A tal proposito, alcuni studiosi si sono
chiesti se effettivamente le motivazioni portate avanti da Giustino in questo
dialogo fossero valide a convertire un giudeo. Sembra piuttosto verosimile,
invece, che quest'opera sia una risposta di Giustino ai dubbi che i cristiani
stessi del tempo nutrivano verso la loro fede. L'opera presenta
anche un prologo, in cui Giustino racconta di un suo incontro con un vecchio
saggio che lo introdusse al cristianesimo. Giustino lo interroga tra l'altro
sulla dottrina, da lui professata, della trasmigrazione delle anime anche
dentro corpi animali, esposta nel Timeo platonico. L'interlocutore gli risponde
che una tale possibilità non avrebbe senso, perché non darebbe nessuna reminiscenza
delle colpe passate e quindi neppure la capacità di pentirsi. In secondo luogo,
il vegliardo passa a confutare la dottrina dell'immortalità dell'anima. Bobichon, "Filiation divine
du Christ et filiation divine des chrétiens dans les écrits de Justin Martyr"
in P. de Navascués Benlloch, Crespo Losada, A. Sáez Gutiérrez (dir.),
Filiación. Cultura pagana, religión de Israel,
orígenes del cristianismo, vol. III, Madrid La reliquia di San Giustino Martire
( PDF ), su parrocchiafabrica.it. ^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo,
BUR saggi, G. Giustino Martire: il primo cristiano platonico : con in appendice
"Atti del martirio di San Giustino", Pubblicazioni del Centro di
Ricerche di Metafisica, Platonismo e filosofia patristica, n. 7, Milano, Vita e
pensiero Tolstoj, «Vita e passione di Giustino filosofo martire». In: Lev
Tolstòj, Tutti i racconti, a cura di Igor Sibaldi, Milano: Mondadori, Collana I
Meridiani Bobichon, "Œuvres de Justin Martyr : Le manuscrit de Londres
(Musei Britannici) apographon du manuscrit de Paris (Parisinus Graecus),
Scriptorium Barbaro, Apologia seconda di S. Giustino filosofo e martire in
favor de' Cristiani al Senato romano traduzione dal greco nell'italiano
pubblicata in occasione che mette fine alla sua quaresimale predicazione
Treviso, Tipografia Trento Essendo manifesto da tutte l'opere di san Giustino,
ch'egli ben sapeva e confessava l'equalità del Verbo col Padre. Lettera di
Adriano. Lettera di Marco Aurelio al Senato. ^ Cit. in Jacques Liébaert, Michel
Spanneut, Antonio Zani, Introduzione generale allo studio dei Padri della
Chiesa, Queriniana, Brescia Visonà, introduzione a Saint Justin, Dialogo con
Trifone, Paoline Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR Rizzoli.Saggi, Milano,
BUR Rizzoli G., Giustino Martire: il primo cristiano platonico, Vita e
Pensiero, Niccoli, GIUSTINO Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana Bellinzoni, The Sayings of Jesus in the Writings of
Justin Martyr, Leiden, Brill, Bobichon, Dialogue avec Tryphon, édition
critique. Editions
universitaires de Fribourg, Introduction, Texte grec, Traduction Commentaires,
Appendices, Indices Étienne Gilson, La Philosophie au Moyen Âge. Des origines
patristiques a la fin du XIV siècle, Payot, Paris La filosofia nel Medioevo. La Nuova Italia, Scandicci Quasten. Patrologia,
Marietti, Giustino, santo, su Treccani.it – Enciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giustino, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Giustino, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Opere di Giustino Giustino su open MLOL, Horizons Unlimited Opere
di Giustino, su Open Library, Internet Archive.Audiolibri di Giustino Giustino
Giustino su LibriVox. Giustino, su Goodreads. Giustino, in Catholic
Encyclopedia Appleton Giustino, su Santi, beati e testimoni, santiebeati Apologia
Prima, su monastero virtuale Apologia Seconda, su monasterovirtuale.it. URL
Santi Caritone e compagni, discepoli di san Giustino, in Santi, beati e
testimoni Enciclopedia dei santi, santie beati. Catechesi su vatican di papa
Benedetto su Giustino tenuta durante l'udienza generale Opera Omnia dal Migne
Patrologia Græeca con indici analitici e traduzioni su documenta catholica omnia.
eu. Biografie Cristianesimo Portale Filosofia Patristica
studio dei Padri della Chiesa Taziano il Siro teologo e filosofo
siro Filosofia cristiana. Giuseppe Girgenti. Girgenti. Keywords: la parola
che non s’incatena, Giustino martire, la traduzione di Boezio delle Categorie
di Porfirio, traduzione di Marsilio Ficino delle sentenze sugl’intelligibili di
Porfirio, henologia platonica, categoria, prediccamento, Agostino, Boezio, predicare,
predicato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girgenti” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Girotti: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della curva – la filosofia nella storia d’Italia – il caso
Gentile – filosofia veneta – scuoa d’Adria. filosofia italiana – Luigi Speranza (Adria). Filosofo adriase. Filosofo veneto Filosofo Italiano.
Adria, Rovigo, Veneto. Grice: “I like Girotti; for one, he has explored the
idea of ‘beauty,’ which Sibley should, but did not!” Si laurea a Padova, sotto SANTINELLO (si veda) e BERTI
(si veda). Pubblica Filosofia (La Scuola, Brescia). Pubblica: “Gouhier e la sua
storia storica della filosofia” (Unipress, Padova). “Comunicazione filosofica” “Società
Filosofica Italiana.” Altre saggi: “Aristotele, dal platonismo all’autonomi” (Polaris,
Faenza); “Modelli di razionalità nella filosofia”, Sapere, Padova; Discorso sui
metodi, Pensa, Lecce; Medioevo vs oggi: tra tabula rasa e innatismo, Sapere,
Padova; Riforma Gelmini e filosofia Sapere, Padova; Essere e volere, Pensa
multimedia, Lecce; Siamo completamente liberi di volere ciò che vogliamo?, Il Giardino
dei Pensieri, Bologna); Bellezza e responsabilità, Diogene Multimedia, Bologna;
Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia, Bologna; GENTILE; Diogene
Multimedia, Bologna); “Il fico proibito dell’Eden e la giustificazione del
male, Diogene Bologna; Un viaggio intorno all’io: Da Atene a Delfi dialogando,
Diogene, Bologna; Sul permesso di morire, Diogene Bologna; Comunità di ricerca,
Gouhier in Enciclopedia Filosofica Bompiani,
La collana si chiama Briciole di Filosofia “una storia storica che si
fermi all’esibizione dei dati diventa semplice una ‘cronaca’; infatti, nel
momento in cui si espone la filosofia di Grice, per poter abbracciare
l'oggettività si dovrebbe rimanere all’interno di un'asettica descrizione,
quella che G. definisce como “fenomenologia dello spirito metafisico. G.
distingue la fenomenologia come metodo e lo spirito metafisico come oggetto.
Seguendo il metodo della fenomenologia, il filosofo-storiografo sarebbe
invitato a fermarsi alla lettura del dato per descrivere ciò che esso mostra.
Seguendo “lo spirito metafisico”, il filosofo- storiografo ritroverebbe l'oggetto
o topico della sua ricerca, cioè il fatto spirituale. È su questo fatto spirituale che G. refina Gouhier
in quanto trova che Gouhier, quando ha messo le vesti dello storico della storia
storica della filosofia, sia scivolato in una loro descrizione bergsoniana, ammessa
anche da Gouhier. Cf. Grice on the
longitudinal history of philosophy. “We should treat those who are dead and
great as if they were great and living – it’s a matter of introjecting into his
shoes, or sandals!” -- “La distillazione filosofica” GENTILE nasce a
Castelvetrano, provincia di Trapani, ottavo di dieci fratelli, due dei quali
erano già morti quando egli vide la luce. Suo padre, che si chiamava anche lui Giovanni, era
farmacista; sua madre, Teresa Curti, maestra elementare. Da quel poco, o
non molto, di autobiografico che, sempre restio alla confidenza e all'effusione
dell'animo, pur si deduce dagli scritti e, in particolare, dai carteggi con i
suoi maestri pisani, Jaja ed Ancona,
risulta che il rapporto con i genitori fu intenso, nutrito di forti affetti;
sebbene, per altro verso, travagliato, a causa soprattutto, oltre che della
morte del fratello Gaetano, delle disavventure professionali del padre. Le
quali derivarono dal forte e alquanto anarchico convincimento di non dover
sottostare, nella gestione della farmacia di cui era proprietario e titolare,
alle nuove regole introdotte dalla legge sanitaria emanata dal governo di F.
Crispi; e dalla sua decisione di chiudere perciò la farmacia, che si trovava a
Campobello, e ritirarsi con la famiglia nella vicina Castelvetrano, quindi di
riaprirla tornando da solo là dove quella si trovava e subendo un nuovo
processo per il reiterato suo rifiuto di sottostare alle nuove regole. È
probabile che nell'animo sensibile, e più impressionabile forse di quanto il G.
fosse disposto ad ammettere, del giovinetto che intanto attendeva agli studi
scolastici, si formassero, nei confronti della terra siciliana, ossia di un
luogo così fortemente segnato da dolori e umiliazioni, sentimenti contrastanti.
Non che per le sofferenze che involontariamente aveva inflitto al padre, egli
prendesse allora a odiare, o anche soltanto a disistimare, il siciliano Crispi,
al quale sempre invece guardò come a un grande personaggio, l'unico degno di
rappresentare sul serio, nella decadente Italia di fine secolo, lo spirito
autentico del Risorgimento, nelle cui battaglie era stato protagonista.
Ma nei confronti della piccola, e pur amata, patria siciliana, i suoi
sentimenti furono in effetti misti; e abbastanza presto si sublimarono, assumendo
forma intellettuale, in quelli che, se lo si legge con attenzione, si colgono
al fondo del libro che, quando era professore a Pisa e insegnava dalla cattedra
che era stata del suo maestro Jaja, egli dedicò a Il tramonto della cultura
siciliana (Bologna). Libro singolare, in effetti; che, riboccante di passione e
di affetti, concerne un "tramonto" atteso e auspicato di
"cose" che, profondamente radicate nella storia e nelle tradizioni
dell'isola, meritavano, a suo giudizio, di "tramontare" per sempre
risolvendosi in assai più ampio e comprensivo orizzonte di pensieri e di
cultura. Nella Sicilia "moderna", con poche eccezioni, il G. non
coglieva infatti se non materialismo, illuminismo astratto, anticlericalismo
estrinseco, e niente romanticismo, niente idealismo, nessun serio sentimento
della vita vissuta nel segno di più alte idealità. E con questi
"caratteri" spiegava le difficoltà che l'isola aveva opposto al
Risorgimento nazionale e, quindi, alla vera cultura idealistica. Quando perciò,
divenuto nel 1906 professore di storia della filosofia nell'Università di
Palermo, il G. dette inizio all'insegnamento che doveva condurlo alla prima
sistemazione del suo pensiero nell'idealismo attuale, c'era nel suo impegno
filosofico qualcosa di missionario, quasi che nel fondo di sé sentisse di
operare in partibus infidelium e il suo compito consistesse nel riscattare nel
suo idealismo gli assai diversi principî ai quali la Sicilia era rimasta
ferma. Nell'isola il G. non rimase se non il tempo necessario al conseguimento
dei primi traguardi scolastici; e quando, finalmente, ottenuta, nel 1893, un
anno prima della naturale scadenza, la licenza liceale presso il liceo Ximenes
di Trapani, fu ammesso, avendo vinto il relativo concorso, a frequentare la
Scuola normale superiore di Pisa, era uno studente critico bensì di molti
aspetti della cultura siciliana quello che approdava alla sponda toscana, ma
recante tuttavia in sé non pochi segni di quella. Il positivismo che,
colorandosi sotto l'influsso di R. Schiattarella di materialismo e
anticlericalismo, largamente dominava la cultura siciliana non era passato sul
suo animo e sulla sua mente senza lasciare qualche traccia; e se non vi era
passato intero, in parte almeno vi era passato: il che spiega l'intransigenza
con la quale, compiuta la sua più autentica formazione alla scuola pisana dello
Jaja, egli si impegnò a cancellarne, nel suo pensiero, ogni possibile
traccia. Nel componimento scolastico consacrato a U. Foscolo con il quale
ottenne la licenza liceale colpiscono in effetti le due tonalità che lo
caratterizzano: quella civile, che sarebbe poi rimasta, attraverso la
trasfigurazione risorgimentale, al centro dei suoi sentimenti e interessi, e
l'altra, antiromantica, appresa alla scuola del suo professore di italiano, V.
Pappalardo, e ribadita attraverso lo studio della Storia della letteratura
italiana di Giudici. E si può e si deve, del resto, andare anche oltre. Fu
forse allora, infatti, negli anni in cui fu studente in Sicilia, che il G.
venne positivamente in contatto con la questione del "fatto"; che
certo, nel corso del suo pensiero, subì, rispetto al punto di partenza,
trasformazioni così profonde da rendere questo quasi irriconoscibile nel
risultato conseguito. Quasi, tuttavia, e non del tutto: perché, assunto nella
prospettiva dell'atto, il "fatto" è bensì l'astratto che quello,
l'atto, perennemente supera conseguendo e conquistando la sua concretezza, ma,
oltre a esser anche la sua "determinatezza", si rivela altresì, nel
processo costitutivo dell'atto, indispensabile e necessario: con la conseguenza
che, nell'idealismo attuale, la sua è bensì una morte, caratterizzata tuttavia
nel senso, piuttosto, della "trasfigurazione". Non s'insisterà
mai abbastanza sull'importanza che, proprio per queste ragioni, la Scuola
normale ebbe, con i professori che vi insegnavano, lo Jaja e il D'Ancona, in
primo luogo, ma anche A. Crivellucci, nella formazione del giovane allievo
siciliano. E ai professori debbono aggiungersi i compagni che egli allora
v'incontrò, Volpe e Pintor, Congedo, Salza, Radice. Anche qui, per altro,
avrebbe torto chi semplicemente ritenesse che al fuoco dell'idealismo
professato dallo Jaja il G. bruciasse ogni scoria positivista e rapidamente
acquistasse la fisionomia che in seguito sarebbe stata la sua. È vero invece
che la dicotomia determinatasi in lui quando, in Sicilia, per un verso si
accendeva di entusiasmo per il Foscolo e i valori civili da lui rappresentati e
per un altro si piegava al culto reverente dei fatti, in qualche modo si
ripropose anche a Pisa. Ed egli dovette subirla anche qui perché alla filosofia
senza storia né arte che gli veniva insegnata da Jaja corrispondevano la storia
e la letteratura senza filosofia che gli provenivano dall'esempio di D'Ancona e
di Crivellucci. Il che, naturalmente, non deve sorprendere, perché a
predominare, anche a Pisa, era allora il positivismo con il congiunto metodo
storico; e con il suo idealismo di derivazione spaventiana Jaja costituiva, in
quell'ambiente, piuttosto l'eccezione che non la regola. La produzione
scientifica in cui, senza abbandonare la rivista Helios, che si pubblicava in
Sicilia, a Castelvetrano, e alla quale seguitò infatti a non far mancare la sua
collaborazione, allora si impegnò appare nettamente scissa fra l'erudizione
pura, da una parte, e la filosofia, altrettanto pura, da un'altra (anche se,
nel ricercare e commentare i testi di quest'ultima, il giovane G. mostrava
chiari i segni del metodo che aveva appreso d’Ancona e dal Crivellucci, e che
dette del resto chiara prova di sé nella dissertazione accademica Delle
commedie di Grazzini, detto il Lasca, pubblicata negli Annali della Scuola
normale superiore di Pisa. Le cose più notevoli uscite tuttavia dalla sua penna
a conclusione del suo periodo pisano sono, com'è noto, la tesi su Rosmini e
Gioberti, discussa con Jaja e quindi, discussa anch'essa con quest'ultimo, la
più breve indagine su La filosofia di Marx. Di questi due libri, il primo
costituisce il documento, altrettanto precoce che maturo, di un'indagine
condotta nel segno di Bertrando Spaventa e della sua idea relativa alla
relazione intercorrente fra il pensiero italiano e quello europeo, fra A.
Rosmini e V. Gioberti, da una parte, I. Kant e Hegel da un'altra. Il secondo è
invece il documento della capacità dimostrata dal giovane studioso di cogliere
il carattere, che a lui sembrava nel fondo idealistico, della filosofia di K.
Marx, e altresì di entrare con autorevolezza in uno dei dibattiti - quello
concernente la "crisi" del marxismo - fra i più vivi che allora si
accendessero nella cultura dell'Europa contemporanea. Lo studio dedicato
a Rosmini e Gioberti, e alla loro polemica fu steso per il conseguimento della
laurea in filosofia, che il G. ottenne con il massimo dei voti e il diritto
alla stampa. Quello dedicato a Marx fu composto per la tesi di abilitazione
all'insegnamento che egli conseguì l'anno successivo e gli dette la possibilità
di un ulteriore periodo di perfezionamento da trascorrere presso l'Istituto di
studi superiori di Firenze, dove fu per un anno e dove ebbe modo di entrare in
contatto con gli illustri professori che allora vi insegnavano e che, fra gli
altri, si chiamavano Villari, Vitelli, Rajna. Fra questi era anche il
professore di filosofia, il neokantiano F. Tocco, con il quale i rapporti non
furono né semplici né facili, ma con il quale comunque conseguì un nuovo
titolo, discutendo una tesi sulla filosofia italiana del periodo che da
Genovesi va fino a Galluppi, e che poi divenne un volume, pubblicato, nelle
edizioni de La Critica, da Croce (Da Genovesi a Galluppi: ricerche storiche,
Napoli). Fu, anche quello trascorso a Firenze, un periodo importante; e
se il rapporto con il Tocco fu, malgrado asprezze e incomprensioni, proficuo
perché lo mise comunque in contatto con un Kant diverso da quello di Bertrando
Spaventa mediatogli dall'insegnamento di Jaja; se quello con Villari fu
alquanto burrascoso, dei grandi filologi, classico il primo, romanzo il
secondo, Vitelli e Rajna dovette conservare per sempre un grato ricordo, se è
vero che ancora negli ultimi anni progettò di ristampare, del secondo, il libro
su Le fonti dell'Orlando furioso, ossia uno dei monumenti più insigni della
vecchia scuola del metodo storico. Con l'anno trascorso a Firenze,
nell'estate 1898 i suoi Lehrjahre avevano termine; e gli anni che seguirono
furono non facili; anzi decisamente difficili, perché l'esigenza per lui
imperiosa di trovare un lavoro, e perciò un posto nell'insegnamento medio, era
pari a quella che egli avvertiva non meno viva e urgente di non interrompere
gli studi filosofici, nei quali aveva già realizzato un'impresa notevole, con
quei tre lavori, così ricchi di dottrina e di idee. Ma l'esigenza di proseguire
senza nocive interruzioni la intrapresa carriera dello studioso implicava
l'altra che l'eventuale sede non fosse dispersa nella lontana provincia
meridionale e lontana perciò dai centri vivi della cultura nazionale, dalle
università e dalla biblioteche. E la preoccupazione principale del G. fu
allora, in particolar modo, di non essere costretto a far ritorno nell'isola
dalla quale era partito anni innanzi: sì che quando ebbe la sede di Campobasso,
con l'incarico di filosofia al liceo Mario Pagano, non poté dirsene del tutto
scontento, perché di lì poteva raggiungere di tanto in tanto Napoli, dove la
frequentazione del filosofo hegeliano S. Maturi, professore al liceo Umberto e,
sopra tutto, di Benedetto Croce, con il quale era entrato in contatto quando
ancora era studente del terz'anno, largamente lo compensavano dalla solitudine
alla quale era invece, per il resto del tempo, costretto. Del resto, non
fu quello di Campobasso un periodo che si protrasse nel tempo. E la fortuna
girò in suo favore, perché G. poté ottenere un posto presso il liceo Vittorio
Emanuele di Napoli: il che gli dette la possibilità di rendere veramente
intrinseci i legami intellettuali con Croce, ossia con il già illustre studioso
che, in quello stesso anno, concluso il periodo degli studi soltanto eruditi,
giunto al termine della discussione intrapresa con i testi di Marx e dei marxisti,
era tornato alla filosofia e aveva dato all'estetica la sua prima
sistemazione. A ragione, e del resto non è un'osservazione peregrina, è
stato detto che, se senza Croce non s'intende G., altrettanto è vero per
l'inverso. Ma ancor meglio potrebbe dirsi e ripetersi che, se si prescindesse
dalla collaborazione, stretta, intensa e anche conflittuale, che subito si
stabilì fra il libero studioso Benedetto Croce e il giovane ex normalista
siciliano, poco o niente si capirebbe della cultura italiana che nel bene (secondo
alcuni), nel male (secondo altri) per circa mezzo secolo fu dominata dalle loro
personalità e dalle loro opere, spesso intrecciate le une alle altre nel segno
prima della concordia discors e poi dell'aperta polemica. È difficile decidere
chi fra i due, se il più vecchio o il più giovane, giovasse all'altro nella
forma più decisiva. E forse, posta così, la questione è posta male, perché, se
è vero che da G. Croce ricevette impulsi a cogliere nel pensiero che si veniva
formando in lui le difficoltà che ne nascevano e ad affrontarle nel segno
dell'unità, se è vero, d'altra parte, che la collaborazione prestata dal
giovane studioso alla formazione della filosofia dello spirito non avvenne
senza che egli ne traesse grande giovamento per le tante idee con le quali
veniva in contatto e la non comune dottrina storica e letteraria con il cui
carattere venivano al mondo, anche è vero che in questi bilanci del dare e
dell'avere c'è sempre qualcosa di angusto, di gretto, di meschino: e conviene
perciò, dalle parole generali, passare di volta in volta ai fatti
determinati. Sta comunque di fatto che, mentre il carteggio fra i due si
faceva tanto intenso e frequente che non c'era, si può dire, giorno senza che
uno scambio intervenisse a proporre osservazioni, suggerimenti, informazioni e,
magari, contrasti; mentre l'amicizia si approfondiva nella collaborazione, la
diversa indole dei due ingegni ne riusciva non soffocata, ma in qualche modo
persino potenziata. E, come si è detto, c'erano, meno infrequenti di quanto non
si pensi, anche i contrasti, anche le polemiche, garbate, amichevoli, ma
ferme. Se, per esempio, nella questione concernente il materialismo
storico (una filosofia, per il G., e non, come per Croce, un semplice
"canone empirico": una filosofia della storia, fondata per altro
sullo scambio del trascendentale e dell'empirico), il dissenso rimase senza
soluzione, la discussione, che in buona parte si svolse per lettera, su forma e
contenuto nell'estetica condusse i due filosofi a un accordo sempre più stretto;
e anche qui è, non solo alquanto meschino, ma sopra tutto difficile chiedersi,
e quindi rispondere al quesito, se a condurre il gioco fosse piuttosto G., o se
invece fosse Croce che, via via che veniva impadronendosi dell'intero
territorio dell'estetica, suggeriva il tema e controllava lo svolgimento.
Intanto, la realizzazione del progetto di una rivista letteraria, storica e
filosofica, che si chiamò La Critica (il primo numero uscì il 20 gennaio),
dette a Croce, e a G., lo strumento attraverso il quale la loro collaborazione
potesse rendersi visibile e concreta in risultati specifici, attraendo altresì
su di sé, fra consensi e dissensi, l'attenzione del mondo culturale italiano e
non soltanto italiano, perché l'anno precedente era uscita la prima edizione
dell'Estetica crociana e il successo travolgente del libro, andato al di là di
ogni previsione, non poteva non ripercuotere sulla rivista appena agli inizi la
sua positività. La Critica divenne così, velocemente, un severo luogo di
ricerche, di studi, e anche, spesso, di impietosi esami critici; e, con il
diverso accento caratterizzante lo stile del direttore e del suo principale
collaboratore, svolse un'opera della quale sarebbe vano voler disconoscere
l'importanza. L'oggetto della "critica" era costituito dalla cultura
positivistica, che era bensì in declino quando la rivista iniziò la sua
battaglia, ma non tanto, tuttavia, che se quell'urto violento e sistematico non
si fosse prodotto, avrebbe trovato così presto la via della sua risoluzione. Al
contrario, si direbbe: perché, malgrado la non eccelsa qualità dei suoi
pensatori, e certa loro tendenza a dividersi fra un alquanto volgare
materialismo e vacue accensioni mistiche e "spiritualistiche", il
positivismo aveva, nella sua forma di "metodo storico", non soltanto
prodotto alcune opere egregie e importanti, ma era penetrato in profondità
nella cultura e nel costume dei professori e della classe dirigente del paese.
E "positivista" era in sostanza il pensiero democratico e altresì,
malgrado il marxismo, quello socialista; positivisti altresì, con maggiore o
minore intensità, erano stati, e per qualche tratto ancora erano, gli stessi
Croce e G., che in quella tradizione, e non in un'altra, avevano compiuto i
primi passi. Con la conseguenza che quella loro battaglia antipositivistica,
esaltata, enfatizzata e mitizzata da alcuni, deprezzata e magari deplorata da
altri, fu, con le sue luci e le sue ombre, anche una battaglia che giorno dopo
giorno i due filosofi amici condussero contro quel loro "sé stesso" che
di essere emendato nel senso della nuova filosofia avesse avuto necessità. E
molte cose della vecchia "fede" certamente furono lasciate cadere,
che qui non occorre elencare. Ma alcune no; e, per fare qualche esempio, certo
si deve anche alla severa disciplina erudita appresa alla scuola dei maestri
del metodo storico se, come nessun altro ai suoi tempi, Croce esplorò gli
angoli più riposti della "regione" seicentesca, e scrive il saggio su
La novella di Andreuccio da Perugia (Bari), e il G. non disdegnò le minute
ricerche rinascimentali che sottese e affiancò ai grandi quadri d'insieme, e
rievocò le ombre dei suoi maestri toscani per scrivere il bel libro dedicato a
Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono. Il soggiorno a
Napoli fu, nel rapporto con Croce, quale non poteva non essere: importante,
fondamentale perché ebbe per conseguenza di renderlo sempre più stretto, sempre
più profondo e, perciò, più stimolante. Il che, trattandosi del rapporto di due
pensatori che in quello impegnavano la parte più delicata del loro essere,
significa altresì che, per ciò stesso che toccava il profondo, scopriva le
differenze mentre celebrava le affinità e persino le identità, e potenzialmente
conteneva in sé il germe del suo rovesciamento nell'inimicizia. La polemica sul
marxismo contribuì a far meglio conoscere a entrambi le rispettive, e diverse,
fisionomie intellettuali; e i due ne uscirono, sebbene avessero ciascuno
mantenuto il proprio punto di vista, rafforzati nell'amicizia. Ma la polemica
epistolare, e rimasta perciò privata, sulla questione della filosofia e della
storia della filosofia, aveva già, sotterraneamente, impresso qualche
preoccupante vibrazione alla struttura portante dell'edificio; perché a Croce,
sebbene avesse alla fine dato il suo consenso alla tesi del G., era anche
sembrato di cogliervi qualche tratto di vecchio hegelismo, il cui Idealtypus
era rappresentato allora a Napoli da S. Maturi; e questo G. non l'aveva
gradito. L'amicizia per allora rimase salda, e anzi, via via, si approfondì,
perché in realtà non solo la filosofia e la scienza riguardava, ma anche le
cose dell'anima e dell'esistenza, che nella battaglia culturale non potevano,
del resto, non essere coinvolte. E poiché nella Critica il G. sistematicamente
svolgeva il compito che si era assunto di ricostruire le origini della
filosofia contemporanea in Italia e intanto, al margine, scriveva note e
recensioni per lo più molto polemiche nell'atto stesso in cui, su un altro
fronte, conduceva la sua aspra battaglia, in nome della filosofia che non può
non essere immanentismo assoluto, contro quello che perciò sembrava a lui
l'equivoco del modernismo cattolico: delle eventuali dispute che intanto i due
filosofi svolgessero in privato la rivista non risentì e non mostrò il segno.
La collaborazione che essi vi svolgevano e realizzavano fu perciò, per anni e
anni, vista e avvertita come se i due fossero quasi una sola persona che, di
volta in volta, faceva prevalere il rigore filosofico e l'eleganza letteraria,
nutrita anch'essa di rigore. Si aggiunga che allora Croce fu impegnato, fuori
della Critica, nella costruzione della Filosofia come scienza dello spirito; e
che, per parte sua, mentre svolgeva il suo lavoro e si impegnava a seguire i
progressi filosofici del suo amico, sul piano teoretico il G. mostrò in quei
primi anni la tendenza a restare in disparte. Avvertiva, e in una lettera
del 1908 inviata al Maturi lo scrisse anche in modo esplicito, che se avesse
dovuto esprimere intero il pensiero che intanto gli urgeva dentro con Croce
sarebbe giunto allo scontro, e avrebbe dovuto combatterlo. Sapeva, o riteneva
di sapere, che, svolto con rigore, il tratto spaventiano del suo pensiero
avrebbe dato luogo a conseguenze diverse da quelle che Croce stava allora
ricavando dalle sue premesse, e sistemando nei suoi libri; e della migliore
qualità filosofica di quelle era altrettanto convinto come della necessità che
per allora non convenisse mettere in crisi una collaborazione dalla quale
frutti copiosi la cultura italiana poteva ancora attendersi. Del resto, la
cautela del G. e la sua decisione di lavorare per, e non contro, l'alleanza con
Croce non potevano esser tali da impedire che, talvolta anche in pubblico,
sebbene non dichiarate, le differenze emergessero; e fu quel che puntualmente
avvenne quando G. scrisse (e per allora non pubblicò) la prolusione al suo
corso libero di filosofia teoretica nell'Università di Napoli. Da Napoli,
dove nell'insieme trascorse un sereno periodo (aveva sposato Erminia Nudi, una
maestra conosciuta a Campobasso), quasi per intero consacrato all'insegnamento
- aveva ottenuto la libera docenza che esercitava nel corso libero di filosofia
teoretica presso l'Università e dal 1904 aveva assunto anche un incarico di
filosofia e pedagogia presso l'Istituto superiore di magistero Suor Orsola
Benincasa -, alla riflessione filosofica, allo studio, G. passò a Palermo,
perché nel frattempo - dopo che un primo concorso per la filosofia teoretica lo
aveva visto soccombere per l'ostilità dimostratagli da Tocco, e anche a causa
della debole difesa fattane da A. Labriola, gravemente ammalato e quasi
impossibilitato a parlare - aveva vinto la cattedra di storia della filosofia
per quella Università. Così, senza averlo sul serio desiderato, era di nuovo
approdato alla sponda siciliana; e meno che mai lo aveva desiderato Croce, che
non solo vedeva interrotta una consuetudine di vita, di collaborazione e di
lavoro che doveva a ogni costo essere difesa, ma anche temeva che il nuovo
ambiente potesse distrarre in vario modo l'amico e, sotto diversi punti di
vista, allontanarlo da lui. Il timore di Croce non aveva allora nessun
altro fondamento che sé stesso e l'intuizione di cui si alimentava. Era infatti
qualcosa come una congettura, una supposizione. Ma la congettura, la supposizione,
e il timore, non si rivelarono tuttavia per intero infondati; perché, come
forse era inevitabile, nel nuovo ambiente G. non poteva non ottenere la
posizione preminente e da protagonista che non solo il prestigio di cui godeva,
ma anche e sopra tutto la forte personalità della quale era dotato, non
potevano non assicurargli. La sua posizione divenne preminente nell'Università
e, quindi, nella Biblioteca filosofica che, per le iniziative di G. Amato
Pojero che ne aveva la cura principale, divenne un centro vivo di dibattiti,
nel quale l'idealismo attuale definì per la prima volta sé stesso e vide la
luce. Anticipato in modo più che parziale con il breve saggio che G. dedicò a
Le forme assolute dello spirito e, senza presentarlo in altra sede, incluse nel
volume su Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia come sua ideale
premessa (e conclusione), l'idealismo attuale trovò la sua prima espressione
nella memoria, letta presso la Biblioteca filosofica su L'atto del pensare come
atto puro (Palermo), quindi nell'altra su Il metodo dell'immanenza, e ancora
nelle pagine consacrate a La riforma della dialettica hegeliana e a Spaventa
che l'aveva avviata, nonché nel Sommario di pedagogia come scienza filosofica,
il cui primo volume contiene in effetti una sorta di teoria generale dello
spirito sotto specie pedagogica. Un volume, questo, che quando lo lesse
in bozze Croce giudicò con qualche severità, perché gli parve che non solo il
G. si fosse espresso con nettezza contro la possibilità che tra le forme dello
spirito potesse darsi la "distinzione", ma anche che, senza nominarlo
e perciò con tanta maggiore asprezza, avesse polemizzato proprio con lui che
nella distinzione aveva fatto e stava facendo consistere il criterio supremo
dell'intelligenza della realtà. Da queste dichiarazioni di autonomia e di
indipendenza, che, implicitamente (ma in modo per altro trasparente),
contenevano qualcosa come una sfida, Croce non poteva non essere preoccupato; e
tanto più in quanto il senso di indipendenza e di autonomia era confermato da
quel che scrivevano gli allievi siciliani del G.: Fazio-Allmayer e Omodeo,
Saitta e Albeggiani; e anche Ruggiero, che siciliano e residente in Sicilia non
era, ma attualista sì, anzi ultrattualista, come ci teneva a dichiararsi e come
aveva del resto dimostrato con la memoria, pubblicata anch'essa nell'Annuario
della Biblioteca filosofica, su La scienza come esperienza assoluta. La
pubblicazione degli scritti attualisti del G. e le varie manifestazioni che
allora innegabilmente si ebbero del formarsi di una scuola che in quella forma
d'idealismo riconosceva l'unica rigorosa e, perciò, possibile, non potevano non
provocare prima o poi la reazione di Croce. Il quale aveva bensì fatto il
possibile perché G. tornasse a Napoli come professore nell'Università, convinto
che in tal modo la collaborazione sarebbe tornata alle vecchie forme senza le
perturbazioni provocate dalla "scuola" e dagli spiriti non sempre
positivi che, in effetti, vi si formano o tendono a formarvisi. Ma il suo
tentativo non ebbe, com'è noto, successo, perché forti e insormontabili furono
le resistenze che l'ambiente accademico napoletano dimostrò all'accettazione
della sua proposta. E così accadde che, persa quella battaglia nella quale
aveva speso molto del suo prestigio e delle sue energie, quando una grave
sciagura privata gli dette il senso che tutto ormai, nella sua vita dovesse
giungere all'estremo chiarimento, Croce decidesse di rendere pubblico il
"dissidio" filosofico che lo divideva dall'idealismo attuale; e
scrisse, per la Voce di Prezzolini, un articolo in forma di lettera, nel quale
i termini del dissenso erano definiti con amichevole fermezza. La scelta della
Voce significava, nelle intenzioni crociane, che la disputa non riguardava La Critica,
ossia il luogo della loro comune opera culturale; e si svolgeva, per così dire,
al margine di questa. Ma la decisione di mettere in piazza il loro dissenso
ferì in modo particolare G.: anche se, decisa nella sostanza e orientata non a
sanare, bensì a ulteriormente precisare, il dissenso, la replica che anche lui
affidò alla Voce, si presentasse come la risposta amichevole a un'amichevole
richiesta di chiarimenti teoretici. Il dissenso era comunque stato dichiarato;
e non mancò di suscitare molta impressione: tanto più che, replicando a sua
volta, con fermezza, Croce prese atto di un divario che concerneva non la
periferia, ma il centro stesso delle loro filosofie. Il periodo siciliano
fu comunque fecondo di molto lavoro. E oltre ad aver gettato le basi
dell'idealismo attuale, G. svolse infatti e approfondì alcuni essenziali
aspetti della scolastica e del Rinascimento; e scrisse di Bruno, di Telesio, di
Vico, mentre la collaborazione alla Critica continuava con il consueto ritmo e,
dopo la tempesta teoretica, nei rapporti con Croce era tornata la calma. Deve
anzi dirsi che, malgrado varie traversie di natura familiare e qualche
apprensione per la sua salute, fu quello un periodo nella sostanza sereno,
sebbene non possa escludersi che egli lo considerasse provvisorio e in cuor suo
non desiderasse una sede diversa e migliore. Quando infatti a Napoli e a Roma
si liberarono due cattedre, la prima università fu subito scartata, perché vivo
era ancora il ricordo della sconfitta patitavi quattro anni prima, ma la
seconda no; e fu invece presa in seria considerazione. Il G. riteneva infatti
che l'opposizione di Barzellotti, titolare della cattedra di storia della
filosofia, potesse essere in qualche modo aggirata e vinta. Ma il calcolo
risultò errato: a Roma per allora non fu chiamato; e dopo un tentativo,
esperito senza troppa convinzione, di essere chiamato a Torino, città molto
amata da Croce, che non avrebbe visto male un suo trasferimento colà, ma assai
meno da lui, che la considerava lontana, fredda ed estranea ai suoi gusti e alle
sue abitudini, scelse infine di andare a Pisa, dove sarebbe succeduto a D. Jaja
e, con l'atmosfera della giovinezza, anche avrebbe ritrovato la Scuola normale,
luogo e fonte inesausta di cari e intensi ricordi. A Pisa tornò con un
piglio e una convinzione ben diversi da quelli con i quali vi era approdato,
giovane e sperduto studente siciliano, tanti anni prima. Vi approdò con il
piglio del pensatore che, ormai sicuro di sé e delle sue forze, sente di dover
svolgere una missione non solo filosofica, ma anche, lato sensu, civile e
politica. La forte accentuazione teoretica che nei precedenti anni aveva
conferito alle sue pagine, anche di storia della filosofia, non aveva mai
spento in lui, se mai aveva rafforzata, la convinzione spaventiana che
ricostruire la filosofia italiana nella sua storia significasse in realtà
contribuire, con le armi della cultura, alla prosecuzione del Risorgimento,
riaccenderne negli animi la consapevolezza, battersi contro la corruzione
letteraria che in Italia si era per secoli fatalmente intrecciata con lo
splendore delle arti. Egli faceva insomma vibrare e risuonare un corda che a
Jaja era rimasta sostanzialmente estranea, ma non ad Ancona, ebreo e fervente
patriota risorgimentale, e nemmeno, nei suoi modi particolari, a Crivellucci.
Del resto, la prolusione pisana è; e con gli avvenimenti che lo
caratterizzarono e con quelli che ne sarebbero seguiti, quell'anno fatale
avrebbe ben presto provveduto a trasformare dal di dentro atteggiamenti,
abitudini, costumi, ad accelerare il ritmo delle passioni, talvolta in
superficie, altre volte in profondità, a rendere esplicito e visibile quel che
per l'innanzi fosse rimasto chiuso nel segreto delle coscienze. A Pisa,
per altro, G. non stette a lungo, perché già nel 1918 egli passava
all'Università di Roma per ricoprirvi la cattedra di storia della filosofia,
dalla quale, sempre nella stessa Università, sarebbe passato a quella di
filosofia teoretica, lasciata libera da Bernardino Varisco. Ma, a parte
le passioni e anche le incertezze e le angosce politiche che li
caratterizzarono, quelli pisani furono anni importanti: per i risultati
filosofici innanzi tutto, che G. vi conseguì. Fu allora, infatti, che, dopo
averne offerto un primo saggio nel Sommario di pedagogia, e quindi nelle memorie
palermitane, egli procedette senz'altro a tracciare le linee della Teoria
generale dello spirito come atto puro, nata dalla scuola e pubblicata la prima
volta quello stesso anno: così come dalla scuola nacquero in quel medesimo
tempo i Fondamenti della filosofia del diritto, nei quali, espressione suprema
dell'unità, e unità esso stesso, l'atto era indagato nella sua dimensione,
oltre che teoretica, pratica, senza che fra l'una e l'altra potesse operarsi la
distinzione per la quale, in Croce, i distinti erano i distinti. Ma a Pisa il
G. avviò anche la composizione del Sistema di logica come teoria del conoscere,
la sua opera in ogni senso più rilevante: della quale scrisse il primo volume
che, nato anch'esso dalla scuola, vide la luce e dovette attendere per avere il
suo compimento nel secondo volume, dedicato alla logica del concreto.
Agli anni di Pisa appartiene anche, con sicurezza, Il tramonto della cultura
siciliana, un libro del quale si è già avuto modo di accennare come presenti un
duplice carattere, di condanna della cultura siciliana positivistica,
materialistica e, deteriori sensu, illuministica; e di speranza: la speranza
che nel segno dell'idealismo attuale, nato nell'isola per virtù di un
siciliano, quella si riscattasse ed entrasse a pieno titolo nella civiltà
moderna. Gli anni pisani furono quelli del primo conflitto mondiale, di
quel dramma, anzi di quella tragedia, dopo la cui conclusione niente sarebbe
più stato come prima. Il G. li visse con passione, fra esaltazioni e
depressioni, come ogni altro italiano del suo ceto, della sua condizione e
della sua cultura; ma anche con il sempre più netto convincimento che,
all'inizio, non era stato scevro di dubbi anche forti, che quella di entrare in
guerra a fianco della Francia e della Gran Bretagna contro gli Imperi centrali
fosse stata una giusta decisione, una sorta di chiamata del destino
risorgimentale della nazione. Il G. non era nazionalista, e meno che mai era
disposto a vedere nell'evento bellico la manifestazione delle forze sanamente
irrazionali che spezzano l'ordine stabilito dalla logica, sconvolgendo i suoi
concetti. Dalle deteriori manifestazioni di misticismo e vario sensualismo,
così frequenti allora nella "cultura" italiana e non soltanto
italiana, si tenne sempre discosto. Ma quando gli indugi diplomatici furono
rotti e la guerra fu dichiarata, egli scoprì in sé l'interventista che
all'inizio non era stato, e progressivamente venne intensificando e
attualizzando le critiche che nei confronti dell'Italia e dell'assetto politico
e morale che si era dato dopo la conclusione del Risorgimento erano già in lui,
allo stato potenziale e, in qualche caso, più che potenziale. Le essenzializzò
e attualizzò perché, senza con ciò diventare nazionalista e seguitando anzi a
oppugnare ogni idea della nazione che attingesse a concezioni naturalistiche o,
peggio, razzistiche, il suo principio, gli parve tuttavia che la prova
terribile alla quale l'Italia aveva deciso di sottoporsi richiedeva che di lì
in avanti i piccoli pensieri cedessero a pensieri grandi e che quel che s'era
ottenuto sui campi di battaglia non fosse poi amministrato dai politici di
sempre, maestri non di drammi, ma di mediocri commedie. Di qui, anche in
questo campo così pericolosamente esposto ai venti violenti delle passioni,
delle "cupidigie", per dirla con il poeta, e dei "brividi",
la ragione profonda dell'ulteriore distacco che allora, giorno dopo giorno, si
venne compiendo da Croce. Il quale, come si sa, non solo era stato contrario
alla guerra, condividendo le realistiche preoccupazioni di Giolitti e di
quanti, come lui, erano persuasi che, vinta o persa, la guerra avrebbe comunque
rappresentato per l'Italia un troppo grave rischio. Ma anche aveva dichiarato
che avrebbe considerato una grave onta per il popolo italiano se all'improvviso
i suoi governanti avessero stracciati i trattati e si fossero schierati dalla
parte di coloro contro i quali avrebbero, semmai, dovuto combattere. Anche nei
confronti della guerra che, quando fu dichiarata, li vide entrambi consapevoli
che il loro posto non potesse essere se non quello che l'Italia aveva scelto
per sé, l'atteggiamento dei due filosofi fu, nella sostanza, assai diverso. E
Croce considerava la guerra alla stregua di un evento irresistibile della
natura, ne vedeva la trama violentemente economica e utilitaria, così che
sempre il suo monito fu che non si sottomettesse alla sua particolare logica la
logica dei superiori valori della verità e della cultura, del pensiero e
dell'arte. Diverso fu, invece l'atteggiamento del Gentile. Senza che
perciò si inducesse a passare il segno e a farsi, come Croce diceva,
"l'animo di guerra", egli la considerò tuttavia come una grande
occasione rigeneratrice, come un evento assoluto, recante in sé il segno di una
tal quale superiore provvidenzialità. Mentre Croce confidava, o quanto meno
sperava, che nell'Europa di domani il meglio dell'Europa di ieri fosse
conservato e potenziato, e nella religione degli studi, nella civiltà dei
rapporti intellettuali, nell'universalità delle idee, gli odi nazionali si
placassero e depurassero, il G. inclinava viceversa, lui che nazionalista non
era mai stato e nemmeno a rigore era diventato, verso i toni dell'esaltazione
nazionale. E fu allora che, per la forza di queste sue convinzioni e passioni,
si preparò la sua futura adesione al fascismo, nel quale, mettendo come fra
parentesi le molte cose che certo non appartenevano al suo costume, egli
credette di scorgere, e in questo convincimento fu poi irremovibile, lo
strumento del riscatto "risorgimentale" dell'Italia. Il sistema
filosofico che fino a quel punto il G. aveva elaborato negli scritti dei quali
qui sopra si è detto era per intero incentrato su questo concetto: che, come la
filosofia antica e quella medievale e moderna (che non riusciva perciò a esser
tale), era rimasta ferma, anche nelle sue dimensioni idealistiche, a un
concetto intellettualistico e soltanto descrittivo del concetto, del soggetto e
della sua attività, con la conseguenza che il concetto non era autoconcetto, e
cioè la sua eterna autogenerazione e autoproduzione, nell'idealismo invece, che
per questa ragione meritava di essere definito "attuale", questo
proprio avveniva. E il concetto era autoconcetto, il soggetto, soggetto, e non
concetto (astratto) del soggetto: non era una sorta di res naturalis che il
concetto appunto si limiti a contemplare, a descrivere nel suo astratto
organismo logico, e non a produrre nell'atto del suo atto. Di qui la tesi,
caratteristica di questo idealismo, che nella sua concretezza e attualità,
l'atto non può trascendere il suo atto, questa trascendenza dell'atto non
potendo essere se non, essa stessa, atto; e l'altra tesi secondo cui la teoria
che dell'atto intendesse darsi è perciò una teoria vera (secondo G.) ma
astratta: una teoria astratta del concreto (vero anch'esso, naturalmente: e a
fortiori). E di qui l'interna, forte tensione di questa filosofia; che, per un
verso (e sopra tutto nelle sue prime formulazioni) era orientata a svalutare e
criticare ogni teoria che, in quanto soltanto contemplativa e descrittiva,
fosse perciò incapace di cogliere l'atto se non come un "fatto", e
dunque come il suo opposto, falsità ed errore, se l'atto era viceversa verità e
concretezza. Ma per un verso (e questo accade sopra tutto nel secondo volume
del Sistema di logica, non senza che per tale via il G. provasse a rispondere
al rilievo di ineffabilità e misticismo rivoltogli da Croce) la questione
dell'astratto e del fatto assumeva un altro volto, e l'atto era bensì celebrato
nella sua non obiettivabile attualità, ma il fatto e l'astratto gli si
rivelavano a loro volta indispensabili, erano (per dirla in modo tecnico) il
suo opposto, ma anche il suo diverso, un grado attraverso il quale, sia pure
dissolvendolo, il concreto era, nel e per il suo costituirsi, costretto a
idealmente passare. Il punto critico di questa filosofia sta qui: nel suo
essere, non, come tante volte si è detto, misticismo e indistinzione, ma nel
porsi come una sintesi, attuale e intrascendibile, di opposti, senza poter
rinunziare - donde l'ambiguità - a trattare gli opposti come gradi, e cioè come
diversi o distinti: nell'essere insomma una teoria dell'unità che in eterno
supera la distinzione, e della distinzione che, proprio perché è in eterno
superata, non può veramente uscire dal quadro e si rivela come la condizione
insostituibile della sua possibilità. Verità del concreto, dunque: ma
anche dell'astratto; che nelle opere del secondo attualismo, e cioè nel Sistema
di logica e oltre, si rivela non, quale all'inizio era, come natura,
immobilità, impenetrabile assenza di coscienza, ma come circolo e mediazione,
punto semovente che parte da sé e per fare ritorno a sé: come circolo, e perché
no, dunque, come esso stesso logo concreto? Come logo concreto; e perché no,
dunque, come logo astratto, se questo è mediazione e coscienza, e niente più di
questo il logo concreto può essere? A Pisa, negli anni della Grande
Guerra, il G. rivelò a sé stesso la passione politica che gli stava dentro come
assopita; e assunse perciò una dimensione che non era più soltanto quella del
professore che parla dalla cattedra e magari fa conferenze, ma era bensì quella
dell'"intellettuale" militante, che si rivela al grande pubblico
attraverso i giornali quotidiani. Ai quali in effetti, assumendo una
consuetudine che avrebbe, con diversa intensità (nel tempo), mantenuta fino
alla fine della sua vita, G. allora prese a collaborare: tanto che quando, a
guerra finita, raccolse in un volume che intitolò Guerra e fede (Napoli) quanto
aveva scritto durante il suo corso, il libro risultò tutt'altro che smilzo, e
comunque più consistente di quello che lo seguì, e nel quale, con il titolo
Dopo la vittoria (Roma 1920), sistemò gli articoli composti nei due anni
iniziali dell'agitato, inquieto, drammatico dopoguerra. Un periodo,
quest'ultimo, nel quale sempre più decisamente G. cercò la sua parte e venne
via via inasprendo la sua posizione, perché l'idea natagli nei passati anni,
durante le sue meditazioni sulla storia d'Italia e sulla fatale dicotomia che
nell'età del Rinascimento si era prodotta fra lo splendore artistico e la
decadenza politica e morale, quest'idea doveva ora essere messa alla prova
della realtà, doveva diventare uno strumento forte e tagliente di lotta e di
azione politica. Il che implicava che, pur seguitando a dichiararsi liberale,
sempre più egli sentiva di doversi opporre al liberalismo quale si era riflesso
nel costume politico italiano, nella degenerazione dei metodi parlamentari,
nell'arte del compromesso e del perenne rinvio delle decisioni: un'arte nella
quale maestro insuperabile gli sembrava fosse Giolitti, che per lui fu allora
non il ministro, come Salvemini l'aveva in precedenza definito, della malavita,
ma l'artista di ogni cosa che fosse mediocre, si contentasse della mediocrità e
rinunziasse a volare alto nei cieli della grande politica. Furono,
questi, mesi drammatici, che egli visse in uno stato d'animo teso e agitato, e
nel segno di un'attività senza soste, che dette a tratti l'impressione di
essersi risolta in frenetico attivismo. Che certo non si placò quando Croce è
chiamato da Giolitti a ricoprire nel governo la carica di ministro
dell'Istruzione pubblica e dette la sua opera alla riforma della scuola media e
introdusse sia l'esame di Stato, sia l'insegnamento della religione. Alle cose
della scuola G. aveva, per parte sua, cominciato a interessarsi da molto tempo:
ossia fin da quando, giovane professore nel liceo di Campobasso, s'era reso
conto di quante manchevolezze l'affliggessero. E poi aveva pubblicato il
Sommario di pedagogia, così che a giusto titolo era, in quel campo, considerato
un'autorità; che, divenuto ministro, Croce non tardò a riconoscere, chiamandolo
a presiedere "la commissione per lo studio dell'autonomia universitaria e
dell'esame di Stato", nonché "a far parte di quella per la riforma
dei programmi presieduta da Vitelli", nominandolo commissario
dell'Istituto femminile superiore di magistero di Roma e confermandolo nel
Consiglio superiore dell'istruzione pubblica (Turi). A Croce, del resto,
G. non fece mancare il suo appoggio, pieno e incondizionato. Almeno nei
risultati da raggiungere, e nelle conseguenze che occorreva trarre da alcune
generali premesse, i due filosofi amici concordavano senza riserve. E nel
sostenere, per esempio, la tesi che la religione dovesse costituire materia
d'insegnamento, il suo pensiero non differiva da quello di Croce se non per il
modo e per la diversa posizione che alla religione egli riserva nel sistema
dello spirito. La sua idea era insomma che, come per pervenire alla pienezza
del suo sé nella filosofia, lo spirito passa attraverso le fasi ideali, e
contrapposte, dell'arte (soggetto) e della religione (oggetto), così anche
nella scuola questo ritmo dovesse trovare una sorta di trascrizione temporale o
fenomenologica, quasi che, per giungere alla filosofia, anche lì si dovesse
percorrere la regione del mito di cui le religioni s'interessano. Ma la
religione della quale il progetto ministeriale prevedeva l'insegnamento era
quella cristiana e cattolica, la più perfetta, per G., di tutte le religioni
quando, appunto, proprio nella forma assunta dal cattolicesimo la si fosse
considerata. Era, questa, della perfezione cattolica, un'idea che G. aveva
sostenuto quando, nei primi anni del secolo vigorosamente aveva polemizzato con
i modernisti cattolici. E, per questo riguardo (oltre che per quello
concernente la struttura dello spirito), il suo accordo con Croce era piuttosto
sulle conclusioni che non sul metodo. Che è poi quello stesso che si dà a
vedere nell'idea che presiedette all'introduzione dell'esame di Stato, perché se,
nel propugnarlo, G. vi implica il concetto secondo cui in esso lo Stato
realizzava una delle dimensioni della sua eticità, Croce non vi vedeva se non
uno strumento di controllo e a questa luce ne interpretava la necessità.
La cosa più singolare fu allora che, nell'atto in cui più stretto si rivelava
il legame dei due filosofi impegnati in una importante impresa pratica, il loro
dissenso filosofico tornò invece a farsi acuto e a complicarsi con quello
politico generale, perché nei confronti del fascismo la reazione di Croce fu
bensì, agli inizi, cauta e anche esitante, ma certo in quel movimento egli non
vide nemmeno una piccola parte delle idealità che G. riteneva gli fossero
intrinseche e immanenti. Del resto, dopo due anni che era salito sulla
cattedra romana, G. fondò, assumendone la direzione, il Giornale critico della
filosofia italiana: una rivista di sola filosofia che anche per questo suo
carattere non si contrapponeva in ogni senso alla Critica, ma in un certo senso
sì, anche perché nella nuova rivista gli scolari che subito si erano stretti
intorno al nuovo professore, e in lui vedevano il sole della filosofia
mondiale, riconobbero l'organo della scuola. E questo, come si sa, era il punto
che Croce meno apprezzava ed era disposto a perdonare. Il momento
decisivo della vita del G. venne quando, caduto il governo del Giolitti nel
quale Croce aveva ricoperto l'incarico di ministro, e succedutogli uno
presieduto da Bonomi con Corbino all'Istruzione pubblica, egli ebbe modo di
riflettere sulle mille difficoltà che dal mondo politico e parlamentare sempre
sarebbero state opposte a ogni tentativo che si fosse fatto d'introdurre nella
scuola una seria riforma. La disistima che, in linea generale, già da molto
tempo G. nutriva nei confronti della classe dirigente italiana trovava così,
nella recente esperienza fatta quando Croce era al governo con Giolitti, nuovo
alimento. E può ben darsi che anche da questo egli fosse indotto a guardare con
sempre più grande favore al movimento fascista e a considerare con politica
indulgenza la violenza e le illegalità di cui nutriva la sua azione. I
documenti necessari a rendere certezza questa, che è solo una congettura,
mancano, che si sappia. Ma non è improbabile che, appunto, riflettendo sulle
recenti esperienze, G. allora si persuadesse che, nella questione della scuola
come, in generale, in quella concernente il governo del paese, il regime
parlamentare dovesse cedere il campo a un sistema politico diverso, fondato
sulla rapidità delle decisioni e sulla forza necessaria a tradurle nella
realtà. E altresì deve aggiungersi che, nel pensare così e nell'orientare in
questa direzione le sue scelte politiche, come molti altri egli fu forse tratto
in inganno dalla scarsa esperienza che, nel complesso, aveva non solo della
politica, ma anche della storia; che, se gli fosse stata meglio nota, gli
avrebbe con ogni probabilità in segnato che la politica è un'arte
difficile, complessa e insidiosa, non in quanto si svolga in un Parlamento e da
questo attenda il consenso, ma perché è politica, e ha a che fare con le
passioni e gli interessi, nonché con il loro governo. Come che sia,
l'occasione di mettere alla prova i convincimenti che via via gli si erano
formati dentro venne quando, avendo ricevuto dal sovrano l'incarico di formare
il suo governo, che succedeva così a quello per breve tempo presieduto da L.
Facta, MUSSOLINI scelse infine come ministro della Pubblica Istruzione proprio
Gentile. È stato detto da taluni che, entrando in quel governo come
indipendente e soltanto per le sue competenze non politiche ma tecniche, il G.
accettava da Mussolini quel che avrebbe benissimo potuto accettare da Giolitti
e da chiunque gli avesse offerto un'analoga occasione. Ma, sebbene egli non
avesse ancora dichiarato il suo consenso esplicito al fascismo, e fascista
ancora non potesse perciò essere detto, è pur vero che quel che pensava di
Giolitti e della tradizionale classe politica italiana non gli avrebbe forse
consentito di collaborare nel governo con uomini per i quali nutriva disprezzo,
e non stima. Nel governo in cui entrava G. poteva infatti contare sugli ampi
poteri che, nel dargli fiducia, il Parlamento aveva concesso a Mussolini, che
governò infatti soprattutto con i decreti legge e con facilità poteva aggirare
le opposizioni; e di questo, che considerava un vantaggio, egli si giovò con
larghezza e altrettanta fermezza, perché, appunto, al governo era andato con
l'idea di realizzare comunque la riforma; e a realizzarla era deciso. Non
è possibile, in poco spazio, raccontare le vicende complesse e intricate alle
quali il progetto gentiliano della riforma dette luogo. E basteranno due
rilievi: uno rivolto a ricordare la struttura a cui la riforma tendeva e alla
quale infine mise capo, l'altro diretto a rievocare le fiere critiche che essa
suscitò, non solo nel mondo politico, ma anche in quello della scuola. La
struttura della scuola riformata prevedeva una scuola elementare obbligatoria
per tutti, nella quale il senso della tradizione nazionale, della religione e
della letteratura tenessero il centro e costituissero il criterio per la
formazione del giovane, al quale certo non sarebbero mancate le nozioni
elementari dell'aritmetica e della scienza. Accanto al ginnasio-liceo,
destinato a formare le future élites dirigenti e, comunque, gli strati più alti
della popolazione, la scuola riformata prevedeva quattro indirizzi fondamentali
a cui, come ha scritto S. Romano, corrispondevano quattro distinti ruoli
sociali; e altresì prevedeva che l'educazione impartita nelle elementari
sarebbe stata completata, per i figli del popolo, con tre anni di
complementare, mentre una scuola industriale e tecnico-commerciale, integrata
da un istituto tecnico per chi avesse inteso proseguire nello studio, avrebbe
corrisposto alle esigenze formative di queste professioni, insieme con una
scuola magistrale, proseguibile in un magistero universitario, per certe parti
analogo alla facoltà di lettere e filosofia. Le critiche che a questo
modello di scuola, qui sommariamente descritto, furono rivolte posero subito in
rilievo il carattere conservatore, statico e anche classista di una struttura a
cui faceva in effetti riscontro l'idea di una società immodificabile nei suoi
equilibri politici ed economici. E forti furono subito, da parte di non pochi,
le riserve avanzate circa il ruolo riservato al ginnasio-liceo, nel quale lo
studio delle due lingue classiche, il latino e il greco, prevaleva su quello
delle lingue moderne e, nel complesso, la parte riservata alle lettere appariva
rispetto a quella fatta alle scienze naturali, predominante. Si aggiungano le
critiche rivolte all'abbinamento, nel liceo, della filosofia e della storia, e
anche della matematica e della fisica; e sopra tutto al primo, che sconvolgeva
antiche abitudini sia degli storici, sia dei filosofi, alquanto astrattamente
dedotto da una teoria e che in concreto non aveva, e non ebbe, il potere di
rendere filosofi gli storici, e storici i filosofi. E infine non si dimentichi
che la riforma non piacque a molti cattolici, scontenti del potere che lo Stato
veniva a esercitare sulle scuole private, e a non pochi laici, scontenti essi
pure che la religione cattolica fosse diventata materia obbligatoria per tutti
i cittadini dello Stato italiano. Accanto alle molte critiche, occorre
tuttavia anche ricordare e sottolineare che la riforma gentiliana nasceva da
una visione coerentemente unitaria, e certo non era la veste di Arlecchino che
altrimenti (e come poi è accaduto) avrebbe rischiato di essere: tante idee di
diversa provenienza mal combinate e peggio tenute insieme dallo spirito
deteriore del compromesso politico. Per quanto concerne il rilievo (certo non
infondato) di elitismo e persino di classismo, conviene dimenticare il nodo
che, per parafrasare ALIGHIERI, tiene al di qua di ogni ragionevole traguardo
chi, ripugnando all'idea di fare delle classi economiche più forti le vere
destinatarie dell'alta cultura, intesa perciò come strumento di conservazione e
di trasmissione del potere, con alquanta semplicità di spirito ritenga che la
difficile questione si risolva col "democratizzare" la cultura, ossia
con l'estenderne l'ambito e abbassarne il livello. L'esigenza che G. (e questo
non può essere negato) cercava di realizzare, e che per alcuni versi si
traduceva in istituti didattici inadeguati, era diretta a far entrare nelle
menti che "cultura" significa, in primo luogo, la grande difficoltà
che s'incontra nel tentativo che si faccia di conseguirla: un tentativo che va
a buon segno soltanto se ci si impegna nell'acquisizione degli strumenti
tecnici, storici, linguistici, filosofici, scientifici, senza i quali il mondo
del sapere non dischiude i suoi tesori. Ma qui, su questo difficile problema,
che tende a tornare insoluto dinanzi a chi pur lavori nel tentativo di
risolverlo, occorre non insistere. All'apparenza con una decisione
improvvisa, che non fu comunicata se non a Mussolini, che doveva essere
informato, e della quale nemmeno Croce fu messo al corrente, G. si iscrive al PARTITO
NAZIONALE FASCISTA. E sulle ragioni che lo indussero, mentre era ministro, a compiere
questo passo, che certo non era privo di gravi conseguenze, si è molto
discusso; e da alcuni si è avanzata l'ipotesi che a prendere questa decisione,
che rese contenti i suoi allievi romani, ma non altri che ne rimasero invece
alquanto sgomenti, egli fosse indotto da due diverse, ma convergenti,
persuasioni. La prima, che quello fosse l'esito necessario non
tanto dell'idealismo attuale, che con il fascismo in quanto tale poco aveva in
comune, quanto piuttosto della riflessione da lui condotta nei passati anni
sulla storia d'Italia e sulla possibilità che ora il fascismo aveva nelle mani
di reintegrarne in unità le secolari scissioni e lacerazioni, la politica
imbelle e la letteratura vuota, compiendo il Risorgimento. L'altra,
immediatamente pratica e politica, che la riforma sarebbe stata meglio difesa,
e altrimenti non potesse esserlo, se il liberale che egli era, ed era
considerato, avesse mostrato di condividere senza riserve la convinzione
mussoliniana e fascista e avesse così posto termine, o almeno un freno, alle
critiche che gli si muovevano e alle diffidenze da cui era circondato. In
ogni caso, il passo che doveva decidere il destino di G. era compiuto. Ed è
quanto meno dubbio che, se lo compì anche per salvare la riforma dalle forze
che l'avversavano e minacciavano di impedirne l'attuazione, quel passo servisse
veramente allo scopo. I mesi che precedettero l'assassinio di Matteotti, e che
videro quattro giorni dopo le sue dimissioni dal governo, furono
drammaticamente segnati da gravi difficoltà, a superare le quali non bastarono
né il tattico appoggio datogli dal capo del governo, né gli inviti alla
resistenza provenienti dai suoi scolari e amici romani, né il sostegno deciso
di Croce che, malgrado il sempre più netto incrinarsi dei loro rapporti e la
frattura che entrambi sapevano, in cuor loro, inevitabile, non glielo fece
mancare e, nella sua impresa di ministro, lo sostenne. Le dimissioni dal
governo non furono un atto di autonomia, di distacco dal fascismo che si era
macchiato di un gravissimo delitto, di opposizione alla sua politica. Furono,
infatti, da lui motivate con pure ragioni di opportunità politica e
nell'interesse sia del governo, sia di colui che lo presiedeva: ossia con
l'argomento secondo cui le opposizioni delle quali la sua riforma era da tempo
l'oggetto potessero diventare un pretesto per colpire Mussolini o avessero
comunque, pretesto o no, a indebolire la posizione politica di lui che,
all'improvviso, era venuto a trovarsi in una situazione obiettivamente molto
difficile. Accusato apertamente dalle opposizioni di essere il
responsabile e il materiale mandante del delitto, MUSSOLINI è allora non solo
in pericolo, ma sembrava altresì aver perduto la sicurezza e la
spregiudicatezza che, in momenti non altrettanto gravi, erano sembrate la dote
precipua del suo essere un politico nuovo, estraneo alle astuzie deteriori e
alle infinite mediazioni della prassi parlamentare. E, proprio perché
sull'indecisione dimostrata da Mussolini egli ebbe allora, in lettere private,
a formulare critiche precise - nonché il timore che quello smarrisse la via e
naufragasse -, proprio per questo il proposito di rendergli il più possibile
sgombro di ostacoli il cammino dovette sembrargli l'unico che un seguace fedele
dovesse preoccuparsi di tradurre in comportamenti conseguenti. Al
fascismo, dunque, con quel gesto il G. non tolse il suo consenso, ma piuttosto
lo rinnovò in un momento in cui non mancarono, fra i suoi allievi, quelli che,
delusi dall'indecisione mussoliniana, lo esortavano a prender lui la guida
effettiva, e cioè politica, del fascismo in crisi. Furono quelle settimane
drammatiche, perché, oltre gli elementi obiettivi che rendevano tale la crisi,
a coloro che, nel campo fascista, lo spingevano verso posizioni estreme si
contrapponevano gli amici che, o antifascisti o in via di diventar tali, gli
davano il consiglio opposto: non di rimanere nel partito di MUSSOLINI, ma,
decisamente, di uscirne, mettendo in salvo una volta per tutte il suo
"nome onorato". Drammatiche sono, in questo senso, le lettere che
allora gli scriveno Radice, collaboratore fedele e amico fraterno, e Omodeo,
uno degli allievi prediletti della scuola palermitana. Furono giorni,
settimane, mesi molto difficili anche perché il dissidio con Croce, che, come
si è detto, mai si era sul serio ricomposto e, come il fuoco la cenere, sempre
aveva seguitato a sottendere i loro rapporti, giunse allora, finalmente, alla
sua definitiva espressione. E quali, a determinare la rottura che in sostanza
si consumò, possano essere stati gli episodi e le circostanze specifiche, sta
di fatto che era la logica delle cose a rendere grave ogni episodio, ogni
circostanza che, se tale logica non fosse appunto stata così forte e imperiosa,
avrebbero, con ogni probabilità, potuto avere un esito diverso. Sulle
ragioni profonde che la determinarono e misero fine a un sodalizio durato quasi
trent'anni, molte cose si dissero allora, molte sono state dette poi, quando
parve che il distacco cronologico consentisse la serenità necessaria alla formulazione
del giudizio. E questa non è la sede dove la questione possa essere analizzata
in ciascuno dei suoi aspetti, filosofici, politici, psicologici; e si può ben
dire che, per quanto attiene al suo concreto e determinato delinearsi e
decidersi, essa risulti definita dalle due lettere che G. e Croce si
scambiarono: essendo tuttavia quest'ultimo che, di fronte alla dolorosa
meraviglia espressa dall'altro nell'apprendere che certi suoi comportamenti
avevano seriamente messo in pericolo la prosecuzione, non solo del loro
sodalizio scientifico, ma, addirittura, della loro amicizia, obiettò che al
dissidio mentale nel quale da tempo si trovavano se n'era aggiunto un altro, di
natura pratica e politica; e che le cose dovevano perciò fare il loro corso
necessario, fino alle estreme conseguenze. Le dimissioni che il G.
presentò e che Mussolini accettò, nominando al suo posto il liberale, e grande
amico di Croce, A. Casati, segnarono nella sua vita una svolta importante.
Nella sua vita, s'intende dire, pubblica e politica; e non nei suoi sentimenti
e convincimenti politici che, a quanto risulta, fino all'ultimo dei suoi giorni
rimasero quelli che lo inducenno a chiedere la tessera del PARTITO FASCISTA. Non
nei sentimenti e nei convincimenti, dunque. Ma nella vita pubblica e politica,
sì. Al governo infatti G. non torna più. E alla politica del paese partecipa
bensì, nei primi tempi, come presidente della commissione dei quindici
(divenuta poi dei diciotto), il cui compito fu di svolgere una revisione
costituzionale in senso autoritario dello Stato. Partecipò bensì come
vicepresidente del consiglio superiore della pubblica istruzione: una carica
importante, questa, che gli consentiva di vegliare sull'integrità della
riforma, proteggendola da quanti avevano interesse a intervenirvi per alterarla
e stravolgerla. Ma, intesa in senso stretto, dalla politica, in sostanza, egli
allora uscì. E la sua partecipazione alla vita del regime fascista si realizzò
nelle istituzioni culturali (per esempio, l'Istituto nazionale fascista di cultura,
poi di cultura fascista) delle quali ebbe la cura e che presiedette; e se nei
giornali e nelle riviste politiche alle quali normalmente collaborava non perse
occasione per dire il suo parere su ciò che più da vicino lo toccava,
l'argomento prescelto fu quasi sempre culturale, anche se mai egli mancò di
collocarlo nel quadro costituito della sua fede fascista e della sua fedeltà al
regime mussoliniano. Almeno su due episodi occorre tuttavia, non essendo
possibile in questa sede un più largo discorso, soffermarsi. E di questi uno
era bensì di natura anche filosofica e culturale, perché implicava in modo
preminente l'idea che da anni ormai egli aveva elaborato della filosofia e
dello Stato che, identico alla filosofia, rappresenta il vertice stesso dell'autocoscienza;
ma anche era di natura politica, e persino diplomatica, coinvolgendo
direttamente l'azione del governo e del suo capo. Si allude al concordato con
la S. Sede. E G. lo avversò in un pubblico discorso, che non ebbe conseguenze
pratiche perché sulla via concordataria MUSSOLINI è deciso ad andare fino in
fondo, e l'opposizione del filosofo formalmente rientrò: sebbene quell'episodio
dovesse seguitare ad agire dentro di lui che, forse anche per questo, quasi
volesse rinverdire dentro di sé quel gesto di autonomia non andato a segno, per
tutta la vita polemizzò con i filosofi cattolici e, in modo particolare, con
gli ambienti dell'Università cattolica del S. Cuore di Milano, in primis con
Gemelli, che egli trattò con la mano rude che riservava a certe sue battaglie
culturali e filosofiche. L'altro episodio è costituito dalla battaglia
che egli sostenne perché ai professori universitari fosse imposto il giuramento
di fedeltà al regime fascista. E a parte le modalità con le quali e attraverso le
quali si svolse; a parte il nesso con le vicende della replica che, per
iniziativa di Amendola, e a nome di tanti e tanti intellettuali, Croce dette al
Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da G.; a parte le tragiche
ferite che questa imposizione apriva nella coscienza di tanti che innanzi a sé
videro o la prospettiva della miseria o quella dell'abdicazione ai dettami
dell'etica, c'è qualcosa che a questo riguardo merita di essere notato. E
questo è il singolare concetto della "concordia" a cui, com'era
accaduto persino nei giorni cupi della crisi aperta dell'assassinio Matteotti
(e come ancora sarebbe accaduto vent'anni dopo nei mesi della Repubblica
sociale), anche in quel caso G. si appella per sostenere che, se l'opposizione
resa evidente e, anzi, drammatizzata dal conflitto dei due manifesti, il suo e
quello di Croce, fosse stata superata da un formale atto di fedeltà al regime,
l'unità sarebbe stata ristabilita e nessuna discriminazione avrebbe più avuto
alcuna ragione d'essere nei confronti di dissenzienti che non erano, ormai, più
tali. E la cosa singolare è che, nell'argomentare così, non solo egli mostrava
di credere che, se il giuramento fosse stato dato, le ragioni del dissidio
politico che ai suoi occhi lo aveva reso necessario sarebbero venute meno; ma
addirittura riteneva che potesse essere e definirsi unità autentica quella che
fosse stata conseguita per la via della coercizione e non per quella, da lui
tante volte definita come l'unica possibile, della libertà, mediante la quale
lo spirito costituisce sé stesso. Quella dell'enciclopedia è l'impresa
alla quale G. dedica la parte più viva della sua energia di grande
organizzatore culturale. La parte più viva, e anche la più grande, la più
impegnata e costante, quella con la quale il suo "tutto" quasi per
intero giunse a coincidere. Quasi per intero; perché, accanto all'opera
dell'Enciclopedia, occorre non dimenticare l'altro grande suo impegno, che fu
costituito dalla Scuola normale superiore di Pisa, della quale ècommissario,
quindi direttore, e che nella sua stessa persona difese dall'attacco mosso da
Vecchi di Val Cismon che, divenuto ministro dell'Educazione nazionale, gli
mostra intera la sua ostilità, giungendo anche a destituirlo. Il provvedimento
del ministro è presto ritirato perché, sollecitato da G., nella controversia
intervenne direttamente il capo del governo, che rimise al suo posto il
filosofo; che poté così continuare la sua opera di potenziamento e di
ammodernamento della Scuola, e rendere assai più agevole il soggiorno, e migliori
le condizioni di studio, agli studenti interni. Dai quali dovette sopportare
non poche manifestazioni di antifascismo, perché, fra La Sapienza e la Normale,
per opera di alcuni giovani professori, e in primo luogo di Calogero, Pisa era
diventata un centro assai vivo di opposizione al regime fascista. Il
consenso del quale questo aveva goduto fin verso la metà degli anni Trenta era
andato impallidendo quando, con la guerra di Spagna e poi, con le leggi
razziali, si ha netta l'impressione che l'allineamento alla Germania
nazionalsocialista avrebbe avuto per conseguenza la tragedia di una seconda
guerra europea e mondiale. E, ancora una volta, il G. si trovò a dover
affrontare un conflitto, difficile e penoso, con i giovani che, direttamente o
no, erano anche suoi allievi e non poco, comunque, avevano ricevuto da lui. Le
testimonianze, scritte e anche orali, che rimangono di quegli anni pisani
dicono di un suo atteggiamento incerto fra paternalismo e autoritarismo, fra
benevole indulgenze e improvvise durezze. Un atteggiamento, questo, tipico di
un uomo generoso e, nello stesso tempo, incapace di comprendere le ragioni del
dissenso; e che, su un piano di ben altra drammaticità, si ripeté quando,
avendo accolto e cercato di "sistemare" alcuni intellettuali tedeschi
che avevano dovuto lasciare la loro terra perché ebrei (Kristeller, Löwith,
Rubinstein, per citarne solo tre), la medesima questione gli si presentò, per
gli ebrei italiani, in seguito alla promulgazione delle già ricordate leggi
razziali. Anche in questo caso, infatti, quanto fu benevolo e comprensivo nei
confronti dei perseguitati, altrettanto il suo atteggiamento fu debole nei
confronti di chi di quella persecuzione si era reso responsabile. E se niente
egli disse in quegli anni in difesa di provvedimenti che non potevano non
ripugnargli profondamente, in pubblico non se ne dissociò. Ma si diceva
dell'Enciclopedia, nell'organizzare la quale, nel dirigerla, nell'avviarla alla
sua realizzazione, G. seppe altresì formare, nella sede romana di piazza
Paganica, un luogo di lavoro affatto particolare, segnato in profondità dalla
sua energia, ma anche dal suo vivo senso della libertà della scienza, che in
sostanza, tenendosi in difficile equilibrio fra il censore ecclesiastico e
quello politico, egli seppe per lo più garantire agli studiosi che vi
collaboravano e che, se non certo in maggioranza, in buon numero erano
antifascisti o non fascisti. Si pensi, per fare qualche nome, a Sanctis,
che all'Enciclopedia seguitò a collaborare anche dopo che, per non aver voluto
prestare il giuramento di fedeltà al regime, aveva dovuto rinunziare alla
cattedra romana. Si pensi a Calogero, a Giusti, a Malfa, a Antoni, e ad altri
che, se, come si è detto, non erano propriamente ostili al fascismo, nemmeno
gli erano amici incondizionati; e qui si possono, per esempio, fare i nomi di
Chabod, di Sestan, di Maturi. A proposito dell'Enciclopedia sono state
poste, tra le altre, due questioni: se il G. la concepisse come un grande
monumento, fascista, da innalzare al fascismo, o se da questa idea si tenesse
tanto lontano quanto per contro era convinto che quello dovesse essere un
monumento italiano, frutto e documento dell'unica, ossia della più alta,
cultura italiana; e, inoltre, se l'enciclopedia, quale il G. la concepì e disegnò,
abbia patito la conseguenza della chiusura e dell'angustia della cultura
idealistica e fosse perciò poco disposta a concedere alle scienze naturali,
fisiche e matematiche, lo spazio che queste avrebbero richiesto e, beninteso,
meritato. Alla prima deve rispondersi che, certo, nata in quegli anni e resa
possibile dal fascismo, l'Enciclopedia appartiene al numero delle opere che
allora si produssero. Ma fascista non è nella concezione, perché esplicitamente
il G. sostenne il suo carattere in primo luogo scientifico, culturale e non
politico. E fascista non è nel contenuto, perché, oltre a essere scritta da
molti che fascisti non erano, e anzi al regime erano avversi, anche gli
studiosi che aderivano al regime vi scrissero per lo più da studiosi e non da
fascisti. Sì che, al riguardo, occorre distinguere e mantenere le distinzioni:
aggiungendo (e con questo si passa all'altra questione) che, come non fu
fascista nella concezione, così nemmeno fu "idealistica" nel senso
vulgato, per il quale si dice "idealismo" e s'intende qualcosa come
un oltraggio recato alla scienza. In realtà, come accanto a studiosi idealisti
tanti altri vi scrissero che idealisti non erano affatto, così non sarebbe
giusto dire che in generale le scienze vi fossero depresse, e che le relative
voci non fossero affidate a studiosi di provato e, spesso, di grande
valore. Il lavoro svolto nelle Università di Roma e di Pisa,
l'Enciclopedia, e quindi l'Università Bocconi di Milano, l'Istituto per il
Medio e l'Estremo Oriente, il Centro nazionale di studi manzoniani (di cui G. è
stato nominato commissario, e che è affidato alle cure sapienti di Barbi e del
suo collaboratore Ghisalberti) non resero però meno intensa la sua attività di
studioso. Certo, venne meno in G. la possibilità e, con questa, anche
l'interesse, di coltivare la ricerca storica nelle forme che questa aveva
assunto, presso di lui, negli anni precedenti. Ma nel 1931, rielaborazione di
un corso tenuto nell'Università di Roma, dove (come già si è ricordato) era
succeduto al Varisco sulla cattedra di filosofia teoretica, il G. pubblicava La
filosofia dell'arte, documento di aspra polemica anticrociana, ma anche, nello
stesso tempo, rielaborazione dell'idealismo attuale dal punto di vista del
sentimento, interpretato ora come una sorta di grande Grundakkord, presentante
tratti di essenzialità e precategorialità della stessa vita spirituale. E
quindi pubblicava l'Introduzione alla filosofia, raccolta di scritti
concernenti l'esame dei concetti fondamentali della filosofia, studiati e
prospettati dal punto di vista conseguito dall'idealismo attuale. E senza la
pretesa di ricordare tutti i tanti scritti, spesso di varia occasione, che egli
allora compose e con i quali fu presente nel dibattito e nella vita culturale
del paese, converrà tuttavia far menzione degli scritti dedicati ai poeti, e
cioè, in pratica, a Dante (La profezia di Dante, Roma; Il Purgatorio, Firenze),
a Manzoni e infine a Leopardi, il più amato, e quello altresì al quale dette
forse il contributo, in questo campo della critica letteraria, più notevole
(Manzoni e Leopardi, Milano; Commemorazione di Leopardi, Roma; Poesia e
filosofia di Leopardi, Firenze). Se la si osserva dall'alto, e la si
scruta nel non breve periodo seguito alle battaglie per la riforma della
scuola, contro il concordato, per l'istituzione del giuramento da imporre ai
professori delle università, la vita di G. sembra, come si è detto, svolgersi
prevalentemente all'interno delle istituzioni culturali delle quali ebbe la
cura. E qui, fra le luci e le ombre di queste molteplici attività, che lo
condussero anche all'acquisto della Sansoni, si ha quasi l'impressione che il
personaggio sfugga a una definizione; che, malgrado la sua spesso ingombrante
presenza, ci fosse in lui qualcosa di segreto, di irriducibile, con il quale
egli era forse il primo a non voler prendere, fino in fondo, contatto.
L'uomo era orgoglioso, sicuro di sé: tollerante, come si è detto, ma anche
deciso e prepotente. E non avrebbe mai consentito che qualcuno spingesse, o
provasse a spingere, lo sguardo per andare al di là di quella spessa corazza
attivistica, dietro la quale si muovevano forse più cose di quante amici,
nemici, egli stesso supponessero. Mentre impediva che altri penetrasse nel suo
animo, non era certo lui quello che fosse disposto ad aprirlo perché egli
stesso vi guardasse dentro. Un contributo gentiliano alla "critica"
di sé stesso sembra, francamente inconcepibile. Non senza perciò che un moto di
stupore si determinasse nell'ambito di chi vi conduceva qualche ricerca, dal
suo archivio sono emersi alcuni inediti dedicati alla questione della morte,
ossia a un tema, per il teorico dell'idealismo attuale, insidioso fin quasi al
limite dello "scandalo" (filosofico). Da qualche altro indizio
documentario può desumersi che se la fedeltà che lo legava al FASCISMO non
venne meno e intatta rimase l'ammirazione per Mussolini e inconcussa la fiducia
in lui, nei confronti del razzistico nazionalsocialismo il G. mostrò tutt'altro
che inclinazione o simpatia. Il che peraltro non gli impedì di accettare senza
discussione alcuna la guerra che coinvolse tragicamente anche l'Italia. Nei tre
anni successivi - in quei tre anni così gravi di disastri, di distruzioni, di
sconfitte, e anche di dolorosi lutti familiari, mentre il nesso che aveva unito
le coscienze alla patria si spezzava, perché la difesa di questa non
s'identificava più, per molti, con la difesa della libertà, da vent'anni
perduta -, in questi tre anni G. scelse il silenzio; che fu rotto solo in poche
occasioni: quando esaltò in un articolo il Giappone guerriero, che, nei modi
noti era entrato in guerra attaccando gli Stati Uniti d'America; e quindi con
il famoso discorso agli Italiani del 24 giugno 1943. È difficile dire
come, dentro di sé, G. valutasse il dissenso politico sempre più vivo nei
confronti del regime, e che egli non poteva non cogliere nei giovani con i
quali, a Roma e a Pisa, aveva frequente contatto: anche se è indiscutibile che
di quel dissenso, di quell'avversione, del progressivo distacco dal fascismo di
molti che pure in questo avevano creduto e riposto speranze, egli non partecipò,
chiuso nel suo sentimento di fedeltà come in una fortezza della quale
convenisse non abbassare, bensì, piuttosto, tenere ben alzati i ponti
levatoi. È questa, come si sa, la ragione per la quale egli accettò
l'invito rivoltogli dal segretario del partito fascista, Scorza, di pronunziare
dal Campidoglio un discorso che si rivolgesse agli Italiani, impegnati nella
terribile prova della guerra e che, da qualche settimana avevano ormai il
nemico in casa, fortemente attestato nella terra siciliana. Accettò l'invito
che altri, interpellati prima di lui, avevano declinato. Salì sul Campidoglio,
e pronunziò il suo discorso, che alcuni lodarono per il coraggio che aveva
dimostrato e per il rischio al quale aveva in tal modo esposto la sua persona,
e altri invece fortemente deplorarono e criticarono, cogliendovi come il segno
della sua perdizione, del suo ribadito essersi reso estraneo a quel suo più
profondo "sé stesso" dal quale non pochi avevano tratto una lezione
di libertà. Certo, con quel suo discorso, così teso, così eloquente e così,
politicamente, ingenuo, G. mostra intero il dramma, anzi rivelò la tragedia
nella quale, forse al di là della sua stessa consapevolezza, si
dibatteva. Poi vennero la caduta di Mussolini e del fascismo, le
umiliazioni che egli dovette subire quando il suo antico segretario al ministero
della Pubblica Istruzione, Severi, divenuto a sua volta ministro nel governo
formato da Badoglio, rese, senza alcuna seria ragione, pubbliche tre lettere
che gli erano state da lui privatamente indirizzate a proposito, sopra tutto,
di questioni concernenti la Scuola normale superiore di Pisa. Il che provocò
giudizi aspri su di lui sia da parte dei fascisti che lo ritennero pronto a
mettersi al servizio dei nuovi governanti, sia da parte di non pochi
antifascisti uniti ai primi, in questo caso, da un non diverso giudizio.
Poi venne l'8 settembre, la cui notizia il G. apprese mentre si trovava a Roma,
dove si era recato uno o due giorni prima, per affari personali, da Troghi, un
piccolo paese sito a pochi chilometri da Firenze, nel quale, in una casa di
campagna messa a disposizione sua e della sua famiglia dall'amico G. Casoni,
aveva trascorso i mesi estivi, occupato a scrivere Genesi e struttura della
società, il suo ultimo libro, estremo frutto di un corso di lezioni tenute
all'Università di Roma. E le settimane successive furono quelle in cui,
liberato Mussolini, e formatosi, con la proclamazione della Repubblica sociale,
un governo fascista con sede a Salò, egli ricevette, tramite Biggini, divenuto
ministro dell'Educazione nazionale, l'invito a recarsi al Nord per un incontro
con il capo del governo, il "vecchio amico" al quale, ancora una
volta, non poté non concedere quel che quello gli chiedeva. Così fu nominato
presidente dell'Accademia d'Italia, trasferita da Roma a Firenze, dove fu
sistemata a palazzo Serristori. E qui, dopo che il "commovente"
incontro con l’amico" Mussolini aveva come riacceso in lui il desiderio di
non starsene in disparte e, invece, di combattere la sua ultima battaglia, egli
riprese il lavoro, cercando di riorganizzare l'Accademia e lavorando con i
pochi soci che vi si recavano, assumendo la direzione della Nuova Antologia,
cercando di riprendere contatti, e rapporti, per avviare nuove imprese. Ridette
vita e autonomia, e questa è una circostanza singolare, la cui genesi
richiederebbe qualche studio e attenzione, all'Accademia dei Lincei che infine
era stata in parte assorbita nell'Accademia d'Italia, e quindi soppressa. E
riprese ancora a collaborare ai giornali, perché, mentre gli eserciti alleati
risalivano la penisola e alla guerra che investiva le città e le campagne
un'altra si aggiungeva, di Italiani contro Italiani, gli sembrò che non si
potesse non far di nuovo risuonare il tema della concordia e dell'unità.
Era un suo vecchio tema, una sua convinzione tenace che, nel livido e tragico
teatro che era allora l'Italia, fu qual era stata durante la crisi seguita
all'assassinio di Matteotti, e quindi al tempo del giuramento fascista imposto
ai professori universitari, anche se, risuonando nella solitudine e nel gelo
che circondavano la sua persona, il suo accento risultasse ancora più livido,
ancora più tragico. Il G. riprese quel tema nel fosco crepuscolo dell'Italia
fascista, forte lui della convinzione che gli Italiani sarebbero tornati a
esistere come soggetti politici solo se fossero retroceduti al di qua delle
ideologie e qui, in questo luogo ideale, avessero ritrovato la loro unità e
identità di Italiani. Era una convinzione nutrita di illusione; e che fosse
tale, si comprende non solo se le sue parole siano ripensate nel clima di quel
tragico inverno, ma anche se si riflette sullo scambio logico sul quale, ancora
una volta, si fondavano, e che si rivela non appena si consideri che per un
verso sembrava che la conciliazione, la concordia, la ritrovata unità e
identità dovessero realizzarsi in un luogo ideale, irraggiungibile dalle
ideologie, dal fascismo, dunque, e dall'antifascismo, mentre per un altro era
la Repubblica sociale a rappresentare, nel segno dell'italianità, quel luogo
ideale. Ancora una volta le diverse componenti della sua anima, quelle
che, nel loro contrasto, conferiscono alla sua personalità un'inconfondibile
dimensione tragica, urtarono violentemente l'una contro l'altra. E la fedeltà
mantenuta usque ad mortem al fascismo si accompagnò alla protesta che egli più
volte elevò contro le atrocità alle quali intanto si dava luogo, da parte dei
fascisti, con torture, uccisioni, gravi violenze. La sua morte, avvenuta
per mano di un commando partigiano comunista, che lo attese nei pressi della
Villa Montalto al Salviatino, sulle colline di Firenze dalla parte di Fiesole,
nella tarda mattina, al suo ritorno a casa dopo la mattina trascorsa al lavoro
a palazzo Serristori, fu perciò anch'essa una morte violenta. E suscitò molta
emozione, anche fra coloro che lo avevano combattuto e mai avevano perdonato a
lui, filosofo dell'atto e della sua assoluta libertà, la scelta fascista, cui
era rimasto fedele. Due domande, semplici, ovvie e altrettanto inevitabili,
si pongono, e sono state poste, a proposito della sua ultima scelta politica e
sulle ragioni che determinarono la decisione di ucciderlo. E la risposta non è,
per quanto concerne la seconda, altrettanto semplice di quella che può e deve
darsi alla prima. Alla Repubblica sociale il G. aderì per le ragioni da lui
stesso addotte; perché si trattava non di scegliere di nuovo, ma di ribadire,
nel momento del supremo pericolo, la scelta fatta vent'anni innanzi. E non
c'era calcolo politico che bastasse a mettere in crisi questa decisione, perché
l'intero universo si concentra e vive nell'atto puro, e quel che resta fuori
non è se non calcolo, astuzia: ossia, a rigore, niente. Alla seconda domanda
rispondere si potrà in modo adeguato quando nuovi documenti interverranno a far
luce nelle molte zone oscure che tuttora impediscono di vedere tutta la verità;
che emergerà quando e se emergerà: e allora si vedrà fino a che punto nella
decisione di uccidere il G. che aveva rinnovato il suo legame con il fascismo e
con Mussolini siano entrate anche valutazioni politiche non direttamente note a
quanti, sulla collina fiorentina, spezzarono il filo della sua vita. Qui
basterà ricordare che nella chiesa di S. Croce, in Firenze, il nome del G.
indica, sul pavimento, il luogo della sua sepoltura. Opere. Le opere
complete del G., raccolte via via durante la vita dell'autore, prima da Laterza
(Bari), poi da Treves-Tumminelli (Milano e Roma), quindi da Sansoni (Firenze),
furono riprogettate e stampate dopo la morte del G. e la fine della guerra
mondiale da questo medesimo editore, al quale subentrò negli ultimi anni, ma
senza alcuna mutazione di veste tipografica e di caratteri, l'editrice Le
Lettere, sempre di Firenze. L'edizione definitiva rispetta fondamentalmente le
partizioni già previste dal G., e cioè: Opere sistematiche; Opere storiche;
Opere varie alle quali due si aggiungono, una IV, Frammenti, e una V,
Epistolari. A queste cinque partizioni si è unita di recente, una VI di Scritti
inediti e vari, nella quale sono apparsi fin qui Eraclito. Vita e frammenti
(con il facsimile del manoscritto della traduzione di Diels), a cura di H.A.
Cavallera, premessa di F. Adorno, Firenze 1996, e La filosofia della storia.
Saggi e inediti, a cura di Schinaia, premessa di Garin. A parte questi due
ultimi, i volumi fin qui pubblicati delle Opere complete sono quarantanove,
perché ancora in preparazione risulta il XXIX, dedicato a B. Spaventa; e
aumenteranno, negli anni a venire, nella sezione comprendente i Carteggi,
alcuni dei quali sono già in lavorazione, come quello con G. Calogero, a cura
di C. Farnetti, e l'altro con G. Chiavacci, a cura di M. Simoncelli.
Qui converrà ricordare in quanto inserite nel testo della voce le
principali opere del G.: Rosmini e Gioberti, Pisa; La filosofia di Marx, ibid.
1899; Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari; I problemi
della scolastica e il pensiero italiano; La riforma della dialettica hegeliana,
Messina; Sommario di pedagogia come scienza filosofica, I, Pedagogia generale,
Bari; II, Didattica, ibid.; Teoria generale dello spirito come atto puro, Pisa;
I fondamenti della filosofia del diritto, ibid.; Sistema di logica come teoria
del conoscere, La logica dell'astratto, La logica del concreto, Bari; Le
origini della filosofia contemporanea in Italia,, Messina; Capponi e la cultura
toscana nel secolo decimonono, Firenze; La filosofia dell'arte, Milano;
Introduzione alla filosofia, ibid.; Genesi e struttura della società,
Firenze. Fra i carteggi, quello con Croce, comprendente le sole
lettere del G., è raccolto in Lettere a B. Croce, cur. di Giannantoni, Firenze
(il testo di riferimento è Croce, Lettere a Gentile, a cura di Croce, con
introd. di Sasso, Milano). Ma sono anche usciti: G. - Jaja, Carteggio, a cura
di Sandirocco, Firenze; G. - Omodeo, Carteggio, a cura di Giannantoni; G. - Maturi, Carteggio, a cura di Schinaia,
Gentile - Pintor, Carteggio, a cura di E. Campochiaro, Fonti e Bibl.: Tre sono
le biografie fin qui dedicate a G.: Lalla, Vita di G., Firenze; Romano, G.: la
filosofia al potere, Milano; G. Turi, G. G.: una biografia, Firenze. Si
aggiungano i ricordi e le testimonianze di Gentile: G.: dal Discorso agli
Italiani alla morte, Firenze; Ricordi e affetti, Firenze. Sulla uccisione di
G., v. Canfora, La sentenza. Marchesi e G., Palermo, dove si trova
l'indicazione della precedente bibliografia relativa a questa pagina non ancora
definitivamente scritta. Cfr. anche Sasso, La fedeltà e l'esperimento, Bologna.
La bibliografia su G. è assai ampia: per gli scritti di G. ci si deve ancora servire
della Bibliografia degli scritti di G., a cura di V.A. Bellezza, in G.: la vita
e il pensiero, Firenze, e anche di Il pensiero di G. Gentile. Atti del
Convegno, Roma. Per gli scritti, si veda: Bonechi, Croce - G.: bibliografia
Giornale critico della filosofia italiana. In questo ambito per un primo
orientamento si può innanzi tutto cercar di distinguere fra quanto di e sul G.
è stato scritto dai principali discepoli delle sue due scuole, la palermitana e
la romana, e cioè da V. Fazio-Allmayer, da Omodeo, Albeggiani, Ruggiero, e
quindi Spirito, Volpicelli, Volpicelli, Calogero, Chiavacci, lo stesso Carlini,
ecc. in ciascuna delle loro opere, e quanto invece al pensatore siciliano è
stato dedicato con esplicita intenzione storiografica. Non sempre agevole da
rispettare, la distinzione può tuttavia essere di qualche utilità; e qui si
indicheranno gli scritti appartenenti alla seconda classe (mentre per la storia
"filosofica" dell'attualismo, può vedersi Negri, G. G., Firenze; cfr.
anche A. Lo Schiavo, Introduzione a G., Bari). Sono, innanzi tutto, da tener
presenti gli studi raccolti nei quattordici volumi della serie G.: la vita e il
pensiero, Firenze. Si veda quindi: G. De Ruggiero, La filosofia contemporanea,
Bari; U. Spirito, Il nuovo idealismo italiano, Roma; Id., L'idealismo italiano
e i suoi critici, Firenze; La Via, L'idealismo attuale di G. G., Trani; Sarlo,
G. e Croce. Lettere filosofiche di un superato, Firenze; Calogero, Il
neohegelismo nel pensiero contemporaneo, in Nuova Antologia; Holmes, The
idealism of G. G., New York Carabellese, L'idealismo italiano, Roma; Guzzo,
Sguardi sulla filosofia contemporanea, Roma, Ciardo, Un fallito tentativo di
riforma dello hegelismo: l'idealismo attuale, Bari; E. Garin, Cronache di
filosofia italiana, Bari; Harris, The special philosophy of G. G., Urbana, IL;
A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienza idealistica in Italia, Padova Spirito,
G., Firenze, Noce, Il suicidio della rivoluzione, Milano; Bellezza, La
problematica gentiliana della storia, Roma; Noce, G. G.: per una
interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Negri,
L'inquietudine del divenire. G. G., Firenze, Sasso, Filosofia e idealismo, G.,
Napoli. Armando Girotti. Girotti. Keywords: la curva, la curva della bellezza,
la linea, la linea della bellezza, storia storica, non filosofica – unita
longitudinale – longamiranza, distillizione filosofica – Gentile, il Gentile di
Girotti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girotti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Gitio: la
ragione conversazionale e a setta di Locri -- Roma – scuola di Locri –
filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Locri,
Calabria -- According to Giamblico, a Pythagorean.
Grice e Giudice: la ragione conversazionale al rogo
-- l’implicatura conversazionale di Bruno – filosofia napoletana – scuola di
Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo
Italiano. Napoli, Campania. Grice: Grice: “Giudice amply proves my trust in the
worth of the longitudinal unity of philosophy, for Giudice has unearthed some
philosophical minutiae in Bruno – like his tract to Sir Philip Sidney on
‘Atteone,’ which are jewels of implicature!” -- “For Italian philosophy, Bruno
is interesting: it’s not all saints like Aquinas; they had hereetics, too – and
usually the heretics had a better philosophical background – into what the
Italians called the lovely ‘hermetic tradition’ – we used to have one at Oxford
in pre-lib days!” -- Grice: “If I am a Griceian, Giudice is a Brunoian – the
Italians prefer ‘brunista’ or ‘bruniano,’ but I follow Katz is respecting the
full surname – if it is ‘bruno,’ you add things, you don’t substract things!” Essential Italian philosopherwho has studied in depth
the origin of philosophy in the Eleatic school. Si laurea a Napoli e studia BRUNO e la filosofia del
rinascimento. Fonda la Societa Bruno. Altre opera: “BRUNO” (Marotta e
Cafiero Editori, Napoli); “La coincidenza degl’opposti” (Di Renzo, Roma); “Bruno,
Rabelais e Apollonio di Tiana, Di Renzo, Roma); “Due Orazioni. Oratio
Valedictoria e Oratio Consolatoria, Di Renzo, Roma, “La disputa di Cambrai.
Camoeracensis acrotismus, Di Renzo, Roma); “Il Dio dei Geometri” quattro dialoghi,
Di Renzo, Roma); “Somma dei termini metafisici”; “Tra alchimisti e Rosacroce,
Di Renzo, Roma, “Io dirò la verità. Intervista a Bruno, Di Renzo, Roma, “Contro
i matematici, Di Renzo, Roma, “Il profeta dell'universo finite” – “Epistole
latine, Fondazione Luzi,. Scintille d'infinito” (Di Renzo Editore). BRUNO,
Giordano (Philippus Brunus Nolanus; Iordanus Brunus Nolanus, il Nolano). Nacque
a Nola, nel Regno di Napoli, figlio di Bruno, uomo d'arme, e di Fraulisa
Savolino: è battezzato con il nome Filippo. Della città natale, dove trascorse
l'infanzia e iniziò i primi studi, conserva poi sempre un ricordo nostalgico. Si
reca a Napoli per studiare lettere, logica e dialettica: in quello Studio ebbe
come maestri il Sarnese (COLLE (si veda)), filosofo di tendenze averroiste, e
fra' Teofilo da Vairano, agostiniano, da lui ricordato in seguito con sincera
ammirazione. La lettura di uno scritto di Pietro Ravennate suscitò fin da
allora in lui l'interesse per la mnemotecnica. Con una incipiente
formazione laica, entra come chierico nel convento napoletano di S. Domenico
Maggiore, dove assunse il nome Giordano (forse in onore del domenicano fra'
Giordano Crispo, maestro allo Studio) e quel nome ritenne poi sempre, salvo che
per una breve parentesi. Mal compatibile, per carattere e prima formazione, con
la regola conventuale incorse nelle prime infrazioni per aver spregiato il
culto di Maria, nonché quello dei santi (una denuncia contro di lui venne
allora stracciata dal maestro dei novizi). Con cautela va accolta la
notizia da lui in seguito fornita (Doc. parigini) di un invito a Roma per
mostrare la propria abilità mnemonica a Pio:va però notato che allo stesso
pontefice il B. dichiarò di aver dedicato L'arca di Noè,operetta smarrita di
argomento morale (Dialoghi italiani). Ordinato suddiacono e poi diacono,
venne consacrato sacerdote dopo aver compiuto i ventiquattro anni, e celebrò la
prima messa nella chiesa del convento domenicano di S. Bartolomeo a Campagna,
presso Salerno. Dopo aver soggiornato in altri conventi del Napoletano, fece
ritorno allo Studio di S. Domenico Maggiore in Napoli come studente formale di
teologia: il curriculum quadriennale comprendeva un corso speculativo (prima e
terza parte della Summa tomista) e un corso morale (seconda parte della
Summa,alternabile con il quarto libro delle Sentenze di PLombardo esposte da
Capreolo). È da ritenere che il B. abbia superato gli esami annuali, e quelli
di licenza, per cui sostenne le tesi "Verum est quicquid dicit D. Thomas
in Summa contra Gentiles" e "Verum est quicquid dicit Magister
Sententiarum" (Doc. parigini). Tali studi, se da una parte
suscitarono in lui una non mai smentita ammirazione per l'opera d’AQUINO (si
veda), d'altra parte dovettero ingenerargli quel fastidio per "les
subtilitez des scholastiques, des Sacrements et mesmement de
l'Eucharistie" (Doc. parigini,), con il conseguente disinteresse per la
problematica teologica manifestato in seguito nelle proprie opere come pure,
più tardi, in sede processuale. Fin dagli anni conventuali mostrò per contro
interesse per opere estranee al curriculum, nonché decisamente vietate, quali i
"libri delle opere di S. Grisostomo e di S. Ieronimo con li scolii di
Erasmo" (Doc. veneti). Ciò che, unitamente all'espressione dei propri
dubbi circa il dogma della Trinità durante una discussione sulla eresia ariana,
portò all'istruzione di un processo a suo carico da parte del padre provinciale
(con l'occasione venne ricostruito anche il precedente atto d'accusa già
distrutto): in una scrittura smarrita inviata a Roma egli doveva figurare come
sospetto di eresia. Mentre il processo veniva iniziato, il B. non esitò
ad abbandonare il convento e la città, probabilmente nel febbraio 1576, e nello
stesso mese dové giungere a Roma, dove prese alloggio nel convento di S. Maria
sopra Minerva, confidando forse che il proprio caso passasse ignorato tra i
disordini che turbavano la città. Egli stesso venne però coinvolto in tali
disordini e imputato di "aver gettato in Tevere chi l'accusò, o chi
credette lui che l'avesse accusato a l'inquisizione" (Doc. veneti, I):
imputazione infondata (come è mostrato dal mancato riferimento ad essa nelle
successive vicende processuali), con tutto che un secondo processo contro di
lui venne istruito dall'Ordine dei predicatori. Dopo i primi mesi di
quell'anno, saputo che i propri libri erasmiani erano stati rintracciati a
Napoli, B., deposto l'abito, abbandonò Roma, raggiunse GENOVA e si trattenne a insegnando
la grammatica a figliuoli e leggendo la Sfera a certi gentilomini (Doc. veneti).
Da NOLI passa a SAVONA e quindi a Torino; di lì, non avendovi trovato
trattenimento a sua satisfazione", si recò a Venezia, dove si trattenne
non più di due mesi, facendovi stampare, allo scopo di guadagnare qualcosa,
"un certo libretto intitolato De' segni de' tempi", da lui fatto
esaminare dal domenicano Remigio Nannini: opera pur questa smarrita. A Padova
fu persuaso da alcuni domenicani a indossare l'abito pur quando non avesse
voluto rientrare nell'Ordine: ciò che il B. fece dopo essersi recato, per Brescia,
a Bergamo. Toccata Milano, lasciò l'Italia attraverso la Savoia, diretto a
Lione: giunto a Chambéry e avvertito dai domenicani locali dell'ostilità che
avrebbe incontrato nella regione, si trasferì a Ginevra, dove fin dal 1552 una
comunità evangelica italiana era stata fondata dal marchese Gian Galeazzo
Caracciolo di Vico. A Ginevra, dimesso nuovamente l'abito, il B. si
guadagnò da vivere come correttore di bozze tipografiche. Risulta tuttavia che
egli aderì formalmente al calvinismo, come provato non tanto dalla immatricolazione
universitaria autografa, quanto da un processo per diffamazione ai danni del
titolare di filosofia Antoine de la Faye, istruito contro di lui dal
concistoro: B. venne riconosciuto colpevole e virtualmente scomunicato. Dopo un
debole tentativo di difesa, egli si riconobbe colpevole, pregò di essere
riammesso alla cena, e il giorno 27 venne prosciolto dalla scomunica. Tale
episodio (che avrebbe lasciato tracce durevoli nelle sue opere mediante la
propria polemica anticalvinista) determinò la sua partenza da Ginevra.
Recatosi questa volta a Lione, non avendovi trovato modo di sostentarsi, vi si
trattenne solo un mese e si recò quindi a Tolosa, che era proprio in quel tempo
uno dei baluardi della ortodossia cattolica: ciò che dimostra la portata della
sua reazione anticalvinista, confermata anche dal tentativo che allora fece di
ottenere l'assoluzione da un padre gesuita. La mancata assoluzione, "per
esser apostata" (Doc. veneti), non gli impedì di essere invitato "a
legger a diversi scolari la Sfera, la qual lesse con altre lezioni de filosofia
forse sei mesi" (Doc. veneti), nonché di conseguire il titolo di magister
artium: ed ottenere per concorso il posto allora vacante di lettore ordinario
di filosofia: onde lesse, "doi anni continui, il testo del LIZIO De anima
ed altre lezioni de filosofia". Da accenni fatti più tardi dallo stesso
B., è dato inferire che il suo insegnamento incluse lezioni di fisica,
matematica e lulliane. Risale a quest'epoca la composizione della Clavis magna,
trattato mnemotecnico-lulliano rimasto inedito e smarrito. Si delineò una
ripresa della lotta tra cattolici e ugonotti, e il B. dové lasciare Tolosa
"a causa delle guerre civili" (Doc. veneti, IX). Trasferitosi a
Parigi, vi intraprese "una lezion straordinaria", cioè un corso di
trenta lezioni su altrettanti "attributi divini, tolti d'AQUINO (si veda)
dalla prima parte, che alcuni vogliono costituisse l'operetta inedita e
smarrita "di Dio, per la deduzion di certi suoi predicati universali"
(Doc. veneti). A Parigi non poté accettare un lettorato ordinario per l'obbligo
- che, come apostata, non volle assumersi - di frequentare la messa; tuttavia
conseguì tale rinomanza mediante il lettorato straordinario, che, come ebbe a
dichiarare egli stesso, "il re Enrico terzo mi fece chiamare un giorno,
ricercandomi se la memoria che avevo e che professava, era naturale o pur per
arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con quello che li dissi e feci
provare a lui medesimo, conobbe che non era per arte magica ma per scienza"
(Doc. veneti): episodio che ben si comprende tenendo conto del fatto che la
corte francese era frequentata da intellettuali come Perron e Tyard di cui sono
noti gli interessi per il sapere enciclopedico e l'arte della memoria come
strumenti per un piano di riforma culturale. Tuttavia i rapporti del B. con la
corte - che sarebbero durati, direttamente o indirettamente, per circa un
quinquennio - si spiegano altresì sul piano ideologico-politico, ove si tenga
conto dell'analogia tra l'equidistanza bruniana dal rigorismo cattolico e da
quello protestante, e la posizione mediana dei politiques, che controllavano la
corte, tra l'estremismo cattolico dei ligueurs e quello protestante degli
ugonotti. Durante questo primo soggiorno parigino apparvero a stampa le
prime operette bruniane a noi pervenute: il Deumbris idearumcon raggiunta
dell'Arsmemoriae, opera mnemotecnica e lulliana stampata da Gourbin, da B.
dedicata ad Enrico III, il quale "con questa occasione lo fece lettor
straordinario e provisionato" (Doc. veneti, IX: egli venne cioè a far
parte del gruppo dei lecteurs royaux, tendenzialmente contrari al conformismo
aristotelico della Sorbonne); seguì, nello stesso anno, il Cantus circaeus,
operetta mnemotecnica stampata da Gilles e dedicata, per conto del B., da Regnault
ad Angoulême, fratello naturale del re, essendo B. stesso "gravioribus
negociis intentus" (Opera); quindi il De compendiosa architectura et
complemento Artis Lullii (Gourbin) dedicata dal B. all'ambasciatore veneto
Giovanni Moro. La prima parte del De umbris rielabora materiale lulliano
e mnemotecnico ai fini di una ricerca gnoseologica che presuppone,
platonicamente, una corrispondenza tra mondo fisico e mondo ideale; la seconda
e terza parte costituiscono un manuale mnemotecnico per cui il B. attinge in
particolare al ravennate (l'impostazione didascalica è ripresa nell'Ars
memoriae, in cui elementi della tradizione astrologico-ermetica si inseriscono
nella elaborazione lulliana e mnemotecnica, fermo restando l'intento
gnoseologico). Il Cantus circaeus, in due dialoghi, presenta un'applicazione
concreta dell'ars esposta nel De umbris, non senza un'intenzione satirica che
sarà poi sviluppata nello Spaccio. Il De compendiosa architecturarielabora gli
elementi tecnici del lullismo allo scopo di offrire uno strumento gnoseologico
per cui l'ordine universale risulta riflesso nello schema simbolico. B.
terminava la composizione dell'unica sua commedia, il Candelaio, stampata prima
della fine dell'anno (anteriormente forse al De compendiosaarchitectura) da
Guillaume Julien figlio. Sul frontespizio l'autore si definiva "Academico
di nulla Academia, detto il Fastidito, in tristitia hilaris, in hilaritate
tristis. Il Candelaio, scritto in un volgare popolaresco ricco di
napoletanismi plebei, ma non senza echi della tradizione burlesca
rinascimentale (Aretino, Berni, ecc.) accanto a moduli parodici della retorica
classica, riflette sul piano morale il momento di rottura con l'Ordine, né è da
escludere che la composizione ne fosse stata iniziata prima dell'allontanamento
dall'Italia. Dedicata Alla signora Morgana B., personaggio napoletano di non
sicura identificazione, la commedia, di ambientazione appunto napoletana - la
cui azione si svolge vicino al seggio di Nilo" - investe satiricamente tre
materie principali e l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo e la
pedanteria di Manfurio", in una sorta di applicazione alla vita morale del
principio bruniano della corrispondenza e identificazione dei distinti
nell'uno. Fin dalle pagine preliminari si notano del resto motivi che,
riallacciandosi alla base teoretica dell'elaborazione lulliana e mnemotecnica
delle operette latine, anticipano alcuni presupposti dei più tardi dialoghi
filosofici ("Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla
s'annichila; è un solo che non può mutarsi..."). Dalla dedica del
Candelaio si sono desunti due titoli di presunte opere smarrite del B. (Gli
pensier gai e Il troncod'acqua viva), mentre nell'atto I, scena II, si trova
citata un'ottava ("Don'a' rapidi fiumi in su ritorno") di un
"poema" inedito e smarrito, cui appartiene forse anche l'ottava
"Convien ch'il sol, donde parte, raggiri" citata tre anni dopo negli
Eroici furori. L'ambasciatore inglese a Parigi, Cobham, inviava un
preoccupato messaggio al primo segretario del Regno d'Inghilterra, Walsingham,
informandolo dell'intenzione del B. di passare in Inghilterra: la
preoccupazione concerneva l'ambigua posizione bruniana in fatto di religione.
L'arrivo del B. in Inghilterra, con lettere di raccomandazione di Enrico III
per il proprio ambasciatore presso Elisabetta - il tollerante Michel de
Castelnau (cui era affidato il compito delicato di sostenere la causa di Maria
di Scozia presso la regina) -, è da porre nell'aprile. Da una parte il B. poté
essere indotto a lasciare Parigi "per li tumulti che nacquero" (Doc.
veneti) - o più esattamente per il delinearsi di quella reazione cattolica che
due anni più tardi avrebbe indotto il re a revocare gli editti di pacificazione
con i protestanti -; d'altra parte non è da escludere che il suo viaggio in
Inghilterra potesse rientrare in un piano dei moderati francesi inteso a
mobilitare la corrente politique inglese ai fini di una distensione
politico-religiosa in Europa. Ma non è certo da trascurare la personale urgenza
bruniana per una sua affermazione sul piano accademico-speculativo dopo i
tentativi compiuti a Tolosa e a Parigi. Al suo arrivo in Inghilterra B.
prese dimora nella casa del Castelnau, a Butcher Row, dove "non faceva
altro, se non che stava per suo gentilomo" (Doc.veneti). Fa una visita a
Oxford, al seguito del conte palatino Laski: in tale occasione, pur non facendo
parte degli oratori designati, sostenne un pubblico dibattito con i dottori
oxoniensi, in particolare con il teologo Underhill, richiamandosi alla logica
aristotelica in polemica con le posizioni ramiste. Rientrato a Londra, è da
ritenere che indirizzasse allora la sua pomposa lettera Ad excellentissimum
Oxoniensis Academiae Procancellarium, clarissimos doctores atque celeberrimos
magistros (allegata ad alcuni esemplari della Explicatio triginta sigillorum),
con la quale faceva istanza per l'ottenimento di una lettura a Oxford. Sebbene
dai registri universitari non risulti che B. abbia tenuto un corso formale in
quella sede, la sua stessa testimonianza di avervi tenuto "pubbliche
letture, e quelle de immortalitate animae, e quelle de quintuplici
sphaera" (Dialoghi italiani: vedi Doc. parigini, I, e Opera), risulta
confermata dalla pur ostile testimonianza di George Abbot (cfr. McNulty), il
futuro arcivescovo di Canterbury, allora membro del Balliol, da cui si apprende
che, dopo la prima visita a Oxford, il B. vi tornò nel corso della stessa
estate e vi iniziò un corso in latino sostenendo, tra l'altro, la teoria
copernicana del movimento della Terra e della immobilità dei cieli: anticipando
quindi pubblicamente quanto da lui elaborato nei dialoghi londinesi stampati
l'anno seguente. Così il B. come l'Abbot concordano nell'affermare che tale
corso venne interrotto per pressioni esterne (stando all'Abbot, il medico Martin
Culpepper, guardiano di New College, e Matthew, decano di Christ Church,
avrebbero rilevato un plagio bruniano nei confronti del ficiniano De vita
coelitus comparanda: ciò che può essere inteso con riferimento ai prestiti
ficiniani nella terminologia bruniana). Interrotto il corso dopo la terza
lezione, rientrò a Londra, presso il Castelnau, ribadendo il proprio
atteggiamento antiaccademico, in direzione quindi antiaristotelica e insieme
antiumanistica. A Londra il B. condusse la propria polemica culturale e
speculativa sia in discussioni nell'ambito dei circoli paraccademici di corte,
sia mediante la divulgazione a stampa delle proprie teorie già respinte dal
pubblico universitario inglese. La prima opera pubblicata a Londra è un
volumetto contenente l'Ars reminiscendi, l'Explicatio triginta sigillorum
(preceduta in alcuni esemplari dalla già citata lettera agli Oxoniensi) e il
Sigillus sigillorum. Solo per l'Explicatio e per la lettera è possibile
precisare l'officina tipografica, che è quella di Charlewood, dalla quale
sarebbero uscite tutte le rimanenti opere londinesi. L'Ars reminiscendi
è, con lievi varianti, una riproduzione dell'ultima parte del Cantus circaeus.
Gli scritti che seguono portano la dedica all'ambasciatore francese, con parole
di riconoscenza per la familiare ospitalità. L'elencazione dei triginta sigilli
mostra che questi rappresentano la sintesi formale dei segni ovvero ombre delle
cose e delle idee. Dalla Triginta sigillorum explicatio appare manifesto il
presupposto gnoseologico del complesso simbolismo mnemotecnico bruniano. Nel
Sigillus sigillorum si manifesta la fede del B. nell'unità del processo
conoscitivo, cui corrisponde, sul piano ontologico, la fondamentale unità
dell'universo. Alla innegabile utilizzazione di elementi propri alla tradizione
platonico-alchimistica, fa qui riscontro l'assenza di preoccupazioni e tendenze
d'ordine mistico-religioso: il carattere "speculativo" del Sigillusfa
di quest'opera il legittimo antecedente della serie dialogica italiana. Il
mercoledì delle Ceneri, B. venne invitato a illustrare la propria teoria sul
moto della Terra nella "onorata stanza" di Greville, a Whitehall, in
compagnia di Florio e del medico Gwinne, essendo presenti due dottori oxoniensi
sostenitori del sistema geocentrico e un cavaliere di nome Brown (in sede
processuale tale riunione venne dichiarata come avvenuta invece in casa del
Castelnau). La conversazione degenerò presto in un diverbio causato dalla
intolleranza dei due dottori oxoniensi: sdegnato, il B. si licenziò dall'ospite
e di lì a qualche giorno iniziò la stesura della Cena de le Ceneri (stampata
nello stesso anno). Tramite il resoconto della sfortunata discussione, il
B. enuncia in questi dialoghi la propria cosmografia: movendo
dall'eliocentrismo copernicano, egli approda intuitivamente a una concezione
originale dell'universo che per molti rispetti sembra anticipare i postulati
della scienza moderna. Già prima dell'arrivo del B. in Inghilterra, la corrente
scientifica distaccatasi dalle università e sostenuta dalla corte elisabettiana
(Recorde, Dee, Field, Digges) aveva mostrato un certo interesse per le teorie
copernicane: è in questa corrente appunto che si inserisce ormai l'attività
inglese di B., sia per le istanze "scientifiche" (elaborazione di una
moderna teoria astronomica), sia per quelle letterarie (ripudio del latino e
adozione del volgare per trattazioni scientifico-speculative) e perfino
politiche (adesione alla moderata fazione puritana capeggiata da Dudley, conte
di Leicester, nei contrasti tra questo e il tesoriere elisabettiano Cecil: ciò
che ci è rivelato dal confronto tra la prima e la seconda redazione del dialogo
II della Cena). Suddivisa in cinque dialoghi, dedicati all'ambasciatore
francese, la Cena è in sostanza un'opera cosmografica che, se da una parte
contrasta il geocentrismo aristotelico e tolemaico, d'altra parte trascende
l'eliocentrismo copernicano con l'affermazione della pluralità dei mondi
nell'universo infinito (non senza la suggestione implicita della definizione ermetica
di Dio, come sfera infinita il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non
si trova in alcun luogo): sul piano teologico ne deriva l'affermazione
dell'infinito effetto della causa infinita, nonché l'interpretazione prammatica
di quei passi delle Scritture che concordano con la concezione vulgata
dell'universo. L'impostazione polemica dell'opera investe, nel dialogo
II, tutti gli strati della contemporanea società inglese mediante una
rappresentazione vivacemente realistica. B., pur adottando la forma dialogica
della tradizione speculativa rinascimentale, la piega alle esigenze della
propria polemica, accostandosi non di rado alla maniera parodica della
tradizione aretiniana: onde non manca la satira della pedanteria grammaticale
oltre che di quella peripatetica. Gli attacchi contenuti nella Cena alla
università di Oxford e alla società inglese suscitarono una forte reazione
negli ambienti accademici e cittadini: reazione che coincise con una serie di
offese, anche materiali, del pubblico londinese contro gli addetti
all'ambasciata francese e contro, la stessa sede diplomatica. Nell'emozione del
momento il B. poté ritenersi oggetto diretto di quella reazione anticattolica:
è certo tuttavia che la pubblicazione della Cena gli fece perdere molte di
quelle simpatie che era riuscito ad accattivarsi a Londra. Di qui l'esigenza di
premettere ai già composti quattro dialoghi speculativi De la causa, principio
et uno, un dialogo "apologetico" che si risolse però,
caratteristicamente, in un ribadimento della propria polemica, salvo un
riconoscimento esplicito della validità della tradizione speculativa oxoniense
anteriore alla Riforma e la lode di alcuni personaggi conosciuti a Oxford (in
particolare Martin Culpepper e Tobie Matthew). La pubblicazione dei nuovi dialoghi,
dedicati anch'essi al Castelnau, seguì di poco quella della Cena. Il primo
dialogo della Causa si distingue dai rimanenti quattro anche per i diversi
interlocutori (tra questi Elitropio è Florio, mentre Armesso sembra
identificabile con Gwinne); notevole, tra gli interlocutori dei rimanenti
dialoghi, lo scozzese Alexander Dicson Arelio (nativo di Errol), discepolo
londinese del B. e autore di un'opera mnemotecnica, De umbra rationis et
iudicii ispirata al De umbris bruniano: l'opera era stata attaccata da William
Perkins, ramista di Cambridge, il quale non mancò di accomunare i nomi di B. e
del Dicson nella sua riprovazione del metodo mnemonico classico considerato in
opposizione a quello ramista. La presenza di questo interlocutore, insieme con
l'attacco frontale a Ramo nel dialogo III, può valere a farci considerare la
Causa come opera di letteratura militante nell'ambito della contemporanea
polemica ramista (per l'aspetto politico non va dimenticato che l'attività del
Dicson era in linea con il programma politique). I quattro dialoghi più
propriamente speculativi della Causa concernono la definizione dei tre termini
enunciati nel titolo: "causa" e "principio" sono intesi,
rispettivamente, come la "forma" e la "materia" che,
indissolubilmente unite, costituiscono l'"uno", cioè il
"tutto". Movendo dalla critica dei postulati della tradizione
aristotelica, e non senza ricorso alle formulazioni di stampo neoplatonico ed
ermetico, B. giunge in tal modo a fornire una originale base teoretica alla
propria cosmologia già in parte enunciata nella Cena e di lì a poco elaborata
nei dialoghi De l'infinito. Il motivo della satira antipedantesca si
accentua nella Causa con una aderenza polemica alle posizioni culturali delle
due università inglesi. Il ritmo serrato con cui alla pubblicazione della
Cena e della Causa segue quella dei dialoghi De l'infinito, universo e mondi e
dello Spaccio de la bestia trionfante si spiega tenendo conto del fatto che B.
doveva aver elaborato buona parte del materiale confluito poi nei tre dialoghi
cosmologici. Anche l'Infinito porta la dedica al Castelnau, mentre lo Spaccio è
dedicato a sir Philip Sidney, nipote del Leicester, mostrandoci in tal modo la
portata dei contatti letterari, oltre che politici, dal B. avuti in
Inghilterra. Nei cinque dialoghi De l'infinito, in polemica con la fisica
aristotelica, il B. rigetta la teoria della divisibilità all'infinito e
ribadisce la propria teoria della infinità dell'universo e della pluralità dei
mondi. In questa opera risulta enunciato il pensiero bruniano sul rapporto tra
filosofia e religione conforme alla teoria averroista esposta dal Pomponazzi.
Tra gli interlocutori figura Fracastoro, tracce delle cui dottrine sono
reperibili nel dialogo; discutibile rimane l'identificazione di Albertino con
Gentili (da B. certamente incontrato a Oxford): potrebbe trattarsi invece di
personaggio nolano. La nuova concezione dell'universo esposta nei tre
dialoghi cosmologici si riflette sul piano etico con la trilogia dei dialoghi
tradizionalmente definiti "morali", a cominciare dallo Spaccio, il
cui tono satirico ravviva un'invenzione che risale, letterariamente, ai
dialoghi "piacevoli" di Niccolò Franco. Lo Spaccio espone un
piano di riforma morale che implica la critica all'etica cristiana delle Chiese
riformate non meno che di quella cattolica, in nome di un attivismo umanistico
contrapposto al tradizionale umanesimo misticheggiante e retorico.
L'ispirazione acristiana dell'etica bruniana sembra trovare conferma nella
critica - metaforicamente condotta - della duplice natura della persona del
Cristo. Non è escluso che questa opera sia da identificare con il Purgatorio de
l'inferno,titolo fornito dal B. nella Cena. Le allusioni politiche
contenute nello Spaccio sono compatibili con l'orientamento brumano favorevole
ai politiques e che risale al suo soggiorno parigino: c'è chi pur oggi continua
a ritenere che la "bestia trionfante" spodestata nello Spaccio sia da
identificare con l'intransigente Sisto V. Ma, a parte la cronologia,
sembrerebbe contrastare all'interpretazione il quadro tracciato nella Cabala
del cavallo pegaseo, con l'aggiunta dell'Asino cillenico, in cui
l'"asino", identificabile con la "bestia" dello Spaccio,
riassume il suo posto nel cielo: né sembra possibile supporre che la Cabala sia
posteriore, data della bolla con cui Sisto scomunicò il re di Navarra. Al
di là del possibile significato politico-religioso, la Cabala interessa sia per
l'accentuata satira morale rispetto allo Spaccio,sia per gli spunti speculativi
(quali il problema del rapporto tra le anime individuali e l'anima universale,
risolventesi nella negazione dell'assoluta individualità delle anime) che
valgono a meglio illuminare questa fase del pensiero bruniano. L'operetta
è scherzosamente dedicata a un personaggio nolano, don Sabatino Savolino, della
stessa famiglia materna di B. cui pure appartiene l'interlocutore Saulino
presente già nello Spaccio. Il B.ebbe a dichiarare in seguito, di aver
soppresso questa opera in quanto non piacque al volgo e ai sapienti
"propter sinistrum sensum": essa è infatti la più rara tra le
superstiti opere a stampa di Bruno. Il soggiorno inglese del B. non
poteva concludersi in maniera più degna che con la pubblicazione dei dialoghi
De gli eroici furori, dedicati a Sidney, in cui risultano poeticamente esaltati
i principî fondamentali della filosofia bruniana esposti nei tre dialoghi
cosmologici, mentre vi si sviluppa e precisa la portata della satira morale
contenuta nei due dialoghi etici. I dieci dialoghi De gli eroici furori
hanno come tema il conseguimento della consapevolezza dell'unione con l'Uno
infinito da parte dell'anima umana. La terminologia di estrazione ficiniana
(risalente a Platone, Plotino, Dionigi l'Areopagita, lamblico, Proclo, ecc.)
rischia di far perdere di vista il carattere "naturale e fisico" del
discorso bruniano, quale dall'autore stesso enunciato nella dedicatoria. La
stessa adozione dei moduli platonici ("ente, vero e buono son presi per
medesimo significante circa medesima cosa significata") va in realtà
ricondotta a una sfera etica in cui si risolve ogni apparente residuo di
trascendenza: infatti "le cause e principii motivi" sono
"intrinseci" e la divina luce è sempre presente"; "ogni
contrarietà si riduce a l'amicizia, "le cose alte si fanno basse, e le
basse dovegnono alte. Notevole nei Furori l'esposizione della poetica
bruniana che, movendo dalla critica delle poetiche rinascimentali nella loro
interpretazione normativa della poetica aristotelica, approda a una concezione
della poesia come letteratura applicata: di qui il ripudio della tradizione
lirica petrarchesca, pur nell'adozione prammatica di rime intonate al gusto del
tardo petrarchismo (ivi inclusi prestiti dal Tansillo e dalla Cecaria di M. A.
Epicuro). Gli interlocutori sono tutti nolani, ovvero, come il Tansillo,
amici della famiglia del Bruno. Notevole, come dato biografico dell'infanzia,
la presenza di due figure femminili: Laodamia e Giulia. B. rientrava in
Francia al seguito dell'ambasciatore Castelnau: il quale ai primi di novembre
si trovava già a Parigi; durante il viaggio la comitiva era stata vittima di
una grassazione. Al suo rientro a Parigi B. veniva a trovare un clima politico
mutato (nel luglio Enrico III aveva revocato gli editti di pacificazione e nel
settembre era stata pubblicata la bolla contro il re di Navarra): di qui forse
il suo tentativo infruttuoso "de ritornar nella religione" (Doc.
veneti) tramite il nunzio apostolico Ragazzoni. Dedicò al filonavarrese Bene,
abate di Belleville, la Figuratio Aristotelici physici auditus, esposizione
mnemonico-mitologica del pensiero aristotelico; entrò in contatto con gli
italiani di Parigi, tra i quali Botero, stringendo amicizia con Iacopo
Corbinelli che lo definì "piacevol compagnietto, epicuro per la vita"
(cfr. Yates), e prese a frequentare l'abbazia di St. Victor, dove quel giorno
prese a prestito l'edizione di LUCREZIO (si veda) curata da Giffen e confidò al
bibliotecario Guillaume Cotin (il cui diario ci conserva le notizie fornitegli
da B.) l'intenzione di pubblicare l'Arbor philosophorum, del quale nulla
sappiamo a parte il titolo lulliano. Due episodi clamorosi neutralizzarono
in quel tempo il residuo d'appoggio in cui il B. poteva ancora sperare presso
il partito politique. Dopo aver assistito a una pubblica dimostrazione del
compasso di riduzione inventato dal geometra salernitano Fabrizio Mordente,
uomo senza lettere, il B. acconsentì a divulgare in latino la scoperta -
parendogli atta a dimostrare il limite fisico della divisibilità, conforme alla
propria incipiente monadologia -: pubblicò infatti i Dialogi duo de Fabricii
Mordentis Salernitani prope divina adinventione (seguiti dall'Insomnium),
presso Chevillot: opera ambiguamente laudatoria che irritò il Mordente, alla
cui polemica verbale il B. rispose con i sarcastici dialoghi Idiota triumphans
e De somnii interpretatione,dedicati al Del Bene e fatti stampare insieme con i
due precedenti dialoghi mordentiani. B. veniva così ad attaccare apertamente un
cattolico fautore dei Guisa, reclamando per sé l'ormai vacillante protezione
politique. Atale imprudenza si aggiunse una disputa da B. tenuta al Collège de
Cambrai, in presenza dei lecteurs royaux, sulla base di Centum et viginti
articuli de naturaet mundo adversus peripateticos: programma da lui fatto
stampare sotto il nome del discepolo Hennequin. Secondo il Cotin B. non avrebbe
preso la parola, neppur dopo che allo Hennequin ebbe risposto Callier, giovane
avvocato politique (il B. venne dunque sconfessato dal suo stesso partito), e,
riconosciutosi battuto, avrebbe abbandonato Parigi. Secondo Corbinelli, il B.
"s'andò con Dio per paura di qualche affronto, tanto haveva lavato il capo
al povero Aristotele", mentre il Mordente decideva di ricorrere al
Guisa. Lasciata Parigi, il B. giunse in Germania; toccata Magonza e
Wiesbaden, veniva immatricolato all'università di Marburgo come theologiæ
doctor romanensis (Doc. tedeschi). L'insegnamento bruniano si dovette mostrare
incompatibile con l'aristotelismo ramista di quella università: gli fu infatti
negato il permesso di leggere pubblicamente; a una protesta formale B. fece
seguire le proprie dimissioni. Nella stessa estate passò a Wittenberg, nella
cui università venne introdotto da Gentili e immatricolato come doctor ITALVS
(Doc. tedeschi. Per circa due anni poté insegnare indisturbato (lesse, tra
l'altro, l'Organon di Aristotele) e fece stampare il De lampade combinatoria
lulliana - commentario dell'Arsmagna - cui premise una lettera alle autorità
accademiche mostrandosi riconoscente per la liberale accoglienza. Seguì la
pubblicazione del De progressu et lampade venatoria logicorum, sorta di
compendio della Topica aristotelica, dedicato a Mylins, cancelliere
dell'università. Allo stesso anno risale il suo corso privato sulla Rhetorica
adAlexandrum (pubbl. post. da H. Alstedt: Artificium perorandi, Francofurti,
come il frammento delle Animadversiones circa lampadem lullianam e la Lampas
triginta statuarum, amplificazione dell'Arsmagna lulliana post.: negli Opera,
con cui si conclude la trilogia delle "lampade". L'anno seguente, per
i tipi di Zaccaria Cratone, uscì nella stessa città una seconda edizione dei
Centum et viginti articuli (ridotti a ottanta, con le relative rationes), con
un discorso apologetico di J. Hennequin: Iordani Bruni Nolani Camoeracensis
Acrotismus. Allostesso periodo, sembra, risalgono i commentari aristotelici ai
primi cinque libri della Fisica, al De generatione et corruptione e al quarto
libro Meteorologicon (pubblicati negli Opera postumi: Libri physicorum
Aristotelis explanati. B. si accomiatava dall'università con una Oratio
valedictoria stampata dal Cratone: va notato che il vecchio duca Augusto era
morto prima dell'arrivo del B., e che il successore Cristiano I favorì
progressivamente il calvinismo, giungendo a proibire, ogni polemica a questo
contraria; di qui la rinnovata precarietà della posizione di Bruno.
Partito da Wittenberg, B. giunse a Praga e vi si trattenne fino al principio
dell'autunno, attrattovi forse dal mecenatismo dell'imperatore Rodolfo II, il
cui cattolicesimo moderato poté sembrargli incoraggiante; non sappiamo comunque
se fu registrato all'università. A Praga B. ripubblicò, presso Nigrinus, il De
lampade combinatoria R. Lullii preceduto dal De lulliano specierum scrutinio:
nuovo commentario dell'Arsmagna dedicato all'ambasciatore spagnolo don Guglielmo
de Haro; con dedica all'imperatore, presso Daczicenus, gli Articuli centum et
sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, in cui
riprendeva la propria polemica contro l'interpretazione meccanica della natura
(già anticipata nei dialoghi mordentiani e poi svolta nel De minimo):notevole,
nella dedicatoria, la dichiarazione della religio bruniana, interpretabile come
teoria della tolleranza religiosa e speculativa. Ricevuta in dono
dall'imperatore la somma di "trecento talari" (Doc. veneti), B. si
recò a Helmstedt, attrattovi dalla "Academia Iulia" (fondata dal duca
protestante Giulio di Brunswick), dove fu registrato e dove lesse l'Oratio
consolatoria (stampata da Iacobus Lucius) per la morte del duca. B. fu
remunerato dal nuovo duca, Enrico Giulio, con "ottanta scudi de quelle
parti" (Doc. veneti), ma non gli mancarono seri fastidi: fu infatti
scomunicato dal sovrintendente della locale Chiesa luterana, Voët, per motivi
che B. definì di natura privata in una sua lettera di protesta alle autorità
accademiche, ma che avranno avuto giustificazione formale per sospetto
filocalvinismo (è comunque significativo che alla originaria scomunica
cattolica e a quella calvinista ginevrina si aggiungesse ora la scomunica
luterana). Il B. rimase tuttavia nella città. Durante l'anno e mezzo ivi
trascorso lavorò alle opere poi stampate a Francoforte e compose il gruppo di
opere magiche stampate postume negli Opera, De magia e Theses de magia
(concernenti la magia naturale), De magia mathematica (parzialmente tuttora
inedita nel codice di Mosca), De rerum principiis et elementis et
causis;trattati tutti che tendono a dimostrare la possibilità
dell'utilizzazione pratica delle forze naturali occulte. Intervenne a una
disputa tenuta dal dottor Heidenreich e avendo riscossi a Wolfenbüttel 50
fiorini assegnatigli dal duca - si accomiatò dall'università con l'intenzione
di passare per Magdeburgo (dove risiedeva W. Zeileisen, zio del discepolo
norimberghese Besler, di cui si era servito come copista) allo scopo di farvi
stampare qualcosa di suo in onore del duca. La partenza fu ritardata: ed è
probabile che il B. si recasse direttamente a Francoforte sul Meno (allo scopo
di farvi stampare la trilogia poetica latina, sua opera di maggior rilievo dopo
i dialoghi londinesi), dove giunse al più tardi nel giugno. Il Senato della
città rigettò una sua richiesta di poter alloggiare presso lo stampatore J.
Wechel, il quale tuttavia gli procurò alloggio presso il convento dei
carmelitani. B. attese soprattutto alla pubblicazione dei tre poemi: i
Detriplici minimo et mensura... libri V e il De monade, numero et figura liber
unito ai De innumerabilibus, immenso et infigurabili... libri octo, opere
dedicate al duca di Brunswick, per le quali B. curò la stampa e intagliò i
legni, salvo che per l'ultimo foglio del De minimo a causa di un repentino
allontanamento dalla città (per cui la dedica relativa fu composta dal Wechel.
Stampati il De minimo fu posto in vendita nella primavera; il De monade con il
De immenso,nell'autunno. Nei poemi francofortesi - composti alla maniera
di Lucrezio - il B. sviluppa in senso decisamente atomistico la propria
concezione della materia già esposta nei dialoghi londinesi. Nel De minimo
sicontiene la definizione dell'atomo bruniano: pars ultimadella materia,
minimum fisico assoluto, sostrato di tutti i corpi, impenetrabile. La
discontinuità degli atomi lascia aperto il problema dello spazio tramezzante
con tutto che B. riconosce l'esigenza di una materia che agglutina gl’atomi. Se
l'atomo è l'elemento materiale insecabile, il minimo è l'essere o la figura
minima in un dato genere, mentre la monade è l'unità di un genere determinato:
l'atomo, che è di forma sferica, è anche minimo e monade. Gl’atomi sono
infiniti essendo infinita la materia. In tale concezione non v'è posto per una
forza esteriore che regoli o determini le combinazioni materiali. Nel De monade
B. dà una spiegazione aritmologica delle diverse qualità degli oggetti
sensibili, i cui elementi vengono mossi - come già sostenuto nella Causa
rispetto alla materia infinita - da un principio intrinseco. Così l'atomismo
dei poemi francofortesi si riallaccia all'animismo dei dialoghi londinesi, dei
quali il De immenso riprende esplicitamente l'esposizione cosmologica, con una
aderenza a tratti letterale (tanto che il Fiorentino fu indotto a riportare al
periodo inglese l'inizio della composizione del poema). In quest'ultimo il B.
ripercorre il cammino della propria speculazione, rinnovandone la polemica
contro la fisica aristotelica e ribadendone il superamento intuitivo
dell'eliocentrismo copernicano. Applicato l'ordine di estradizione del
Senato francofortese B. riparò a Zurigo, dove tenne lezioni di filosofia
scolastica raccolte e pubblicate poi da Egli (la Summa terminorum metaphysicorum
a Zurigo; la Summa con la Praxis descensus seu applicatio entis a Marburgo.
Ritornato per breve tempo a Francoforte, B. pubblica presso Wechel i De
imaginum,signorum,et idearum compositione ad omnia inventionum,dispositionum et
memoriae genera libri tres, dedicati a Heinzel, patrizio di Augusta da lui
conosciuto a Zurigo. Durante il secondo soggiorno francofortese B. è raggiunto
da lettere del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, il quale, letto il De
minimo, lo invitava a Venezia affinché gli "insegnasse l'arte della
memoria ed inventiva" (Doc. Veneti. B. giunse a Venezia. I motivi
soggettivi dell'imprudente rientro in Italia sono stati variamente definiti:
imponderabile è la componente nostalgica, mentre è ormai da escludere il
proposito di una azione di riforma religiosa con l'ausilio delle proprie
nozioni magiche (con tutto che l'accessione del Borbone al trono di Francia e
la presenza del mite Gregorio sul soglio pontificio ravvivavano allora le
speranze conciliatrici in Europa); sul piano contingente, più che
dell'occasionale invito del Mocenigo, va tenuto conto delle aspirazioni
magistrali dal B. non mai dimesse nel corso dei suoi soggiorni francesi,
inglese e tedesco. Infatti, soffermatosi qualche giorno a Venezia "a
camera locanda Doc. veneti, B. prosegue per Padova, dove già si trovava al
principio di settembre e dove si trattenne, con brevi interruzioni, per almeno
tre mesi. Qui impartì lezioni "a certi scolari tedeschi", tra i quali
sarà da includere Besler, che era allora procuratore degli studenti tedeschi
(Besler gli trascrisse, e la Lampas triginta statuarum, il De vinculis in
genere, abbozzato l'anno precedente, e il non bruniano De sigillis Hermetis,
inedito e smarrito). All'insegnamento patavino vanno riferite le Praelectiones
geometricae e l'Ars deformationum, lezioni, rinvenute solo piu pardi, in cui B.
illustra geometricamente postulati ed enunciazioni del De minimo. L'attività
del B. a Padova induce a ritenere che, con l'appoggio del Besler, egli mirasse
alla vacante cattedra di matematica, che è assegnata a GALILEI (si veda).
Rivelatosi infruttuoso l'insegnamento padovano, al principio dell'inverno il B.
si trasferì a Venezia, prendendo dimora, almeno dal marzo in contrada S.
Samuele, presso il Mocenigo. Incominciò a frequentare il ridotto Morosini, sul
Canal Grande, dove, in un clima di "civile e libera creanza", si
disputava di cose che avevano "per fine la cognizione della verità"
(F. Micanzio, Vita di Paolo Sarpi, Leida. Nella chiesa dei SS. Giovanni e
Paolo, confide al domenicano fra' Domenico da Nocera il proprio desiderio di
quetarsi e di comporre un libro da offrire al neoeletto Clemente, con lo scopo
ultimo di trasferirsi a Roma, ed ivi "accapare forsi alcuna lettura Doc.
veneti: programma illusorio, suggeritogli forse dalla politica papale e dalla
contemporanea esperienza di Francesco Patrizi. Il 21 maggio, allo scopo di far
stampare a Francoforte alcune sue opere, inedite e smarrite, "delle sette
arte liberali e sette altre inventive, e dedicar queste al Papa Doc. veneti, B.
chiede licenza al Mocenigo. Costui, deluso dall'insegnamento ricevuto, la notte
lo fece arrestare dai suoi e presenta una denuncia per eresia (allegando tre
libri a stampa di B. e l'autografo della smarrita operetta "di Dio, per la
deduzion di certi suoi predicati universali", nonché i nomi di due
contesti: i librai Ciotti e Britano) all'inquisitore veneto fra' Gabriele da
Saluzzo: la sera stessa B. veniva prelevato dagli sbirri e condotto alle
carceri di S. Domenico di Castello. Si apriva così la fase veneta del processo,
che si doveva concludere nove mesi dopo con la sua estradizione a Roma.
Gli episodi principali del processo veneto sono i seguenti: denuncia del
Mocenigo; denuncia (B. era complessivamente accusato di disprezzare le religioni,
di non ammettere la "distinzione in Dio di persone", di avere
opinioni blasfeme sul Cristo, di non credere alla transustanziazione, di
sostenere che il mondo è eterno e che vi sono mondi infiniti, di credere alla
metempsicosi, di attendere all'arte divinatoria e magica, di negare la
verginità di Maria, di disprezzare i dottori della Chiesa, di ritenere che i
peccati non vengano puniti, di essere già stato processato a Roma, di indulgere
al peccato della carne); interrogatorio dei contesti (favorevoli a B.) e primo
costituto di B.; costituto e ulteriore accusa (di aver soggiornato in paesi di
eretici vivendo alla loro maniera); interrogatorio sui capi d'accusa (a
proposito dei propri saggi B. dichiara: "io ho sempre diffinito FILOSOFICAMENTE
e secondo li principii e lume naturale, non avendo riguardo principal a quel
che secondo la fede deve essere tenuto, Doc. veneti; interrogatorio di Morosini
e deposizione di Ciotti, favorevoli a BRUNO; 30 luglio: ultimo costituto veneto
del B. (ammissione di dubbi marginali già dichiarati e sottomissione al
tribunale) e trasmissione del processo al card. di Santa Severina, inquisitore
supremo in Roma (il quale già prima dell'ultimo costituto interferiva nella
causa); richiesta formale di avocazione della causa a Roma: consenso del
tribunale veneto; trasmissione della richiesta romana al Collegio presieduto
dal doge; parere sfavorevole del Collegio trasmesso al Senato; comunicata a
Roma la risposta negativa; rinnovata richiesta al Collegio motivata con
precedenti; comunicazione a Roma dell'approvazione del Senato. BRUNO usce dal
carcere veneziano e, fatto salpare per Ancona, fa ingresso nel carcere del S .
Uffizio di Roma da cui, dopo lungo e intermittente processo, sarebbe uscito
sette anni più tardi per subire l'orrendo supplizio. Gli episodi noti e
salienti del processo romano sono così riassumibili: grave denuncia da parte di
fra' Celestino da Verona, concarcerato a Venezia (imputazione di aver sostenuto
che Cristo peccò mortalmente, che l'inferno non esiste, che Caino fu migliore
di Abele, che Mosè era un mago e inventò la legge, che i profeti furono uomini
astuti e ben meritarono la morte, che i dogmi della Chiesa sono infondati, che
il culto dei santi è riprovevole, che il breviario è opera indegna; di aver
bestemmiato; di aver intenzioni sovversive ove fosse costretto a rientrare
nell'Ordine); interrogagatorio a Venezia dei contesti fra' Giulio da Salò,
Francesco Vaia, Matteo de Silvestris (attenuazione delle responsabilità
bruniane e nuova accusa: l'avere in spregio le sante reliquie); interrogatorio
del conteste Graziano (ribadimento della credenza bruniana nella pluralità dei
mondi e nuova accusa: riprovazione del culto delle immagini). Otto costituti
bruniani (dall'ottavo al quindicesimo dell'intero processo) e conclusione del
processo offensivo. Il B. mantenne la linea difensiva già adottata a
Venezia (attenuò la portata dei dubbi circa la Trinità, disponendosi ad
accettare il dogma; negò le accuse circa l'inferno, Cristo, i propositi
sovversivi, l'ateismo, le manifestazioni blasfeme; precisò il significato di
"magia" con riferimento a Mosè, e la propria opinione, ritenuta
"filosoficamente" e ipoteticamente, circa la metempsicosi; negò
l'opinione attribuitagli circa Caino, e precisò quella relativa alla pluralità
dei mondi; negò le pratiche superstiziose, precisando il proprio interesse per
l'astrologia). Gennaio-marzo 1594: a Venezia, esami ripetitivi dei testi
(Mocenigo, Ciotti, Graziano, De Silvestris): confermate nel complesso le
precedenti deposizioni, solo la sospetta integrità dei testi poté far differire
la conclusione del processo; giugno: supplemento di denuncia da parte del
Mocenigo (accusa di aver irriso il papa nel Cantus circaeus); estate 1594:
sedicesimo costituto (il B. si difese sull'ultima accusa, su quella relativa ai
Magi, e forse anche sull'altra relativa alla verginità di Maria; sporse denunce
contro il Graziano e Francesco Maria Vialardi concarcerato a Roma); BRUNO
presenta una difesa scritta, non pervenutaci. Si stabilì che una lista dei
libri bruniani fosse presentata al papa. BRUNO è raggiunto nel carcere da
Pucci, Campanella e Stigliola. La
Congregazione stabilì una commissione con lo scopo di censurare le proposizioni
eretiche contenute nei libri. BRUNO è ammonito di abbandonare la sua teoria
della pluralità dei mondi. Si stabilì inoltre che egli è interrogato stricte
(forse con applicazione della tortura): ciò che avvenne con il diciassettesimo
costituto, circa la Trinità e l'incarnazione (BRUNO precisa il carattere
speculativo dei dubbi passati), nonché la pluralità dei mondi (che BRUNO
persiste a sostenere). Ha luogo, forse oralmente, la risposta del BRUNO alle
censure, otto delle quali sono rilevabili dal Sommario del processo:
"circa rerum generationem"; circa il principio che a causa infinita
debba corrispondere effetto infinito; circa il rapporto tra anima universale e
anima individuale; circa il principio che nulla si genera e nulla si corrompe;
circa il moto della terra; circa la definizione degl’astri come angeli; circa
l'attribuzione di un'anima sensitiva e razionale alla terra; circa
l'affermazione che l'anima non è forma del corpo umano (due altre censure,
rilevabili da una lettera di Schopp Doc. romani, concernono l'identificazione
dello spirito santo con l'anima mundi, e la credenza nei pre-adamiti. A istanza
di Bellarmino, venneno sottoposte a BRUNO, per la sua dichiarazione di abiura,
otto proposizioni eretiche (ci è nota la prima, de hæresi Novatiana, e la
settima, estratta dal De la causa, ubi tractat an anima sit in corpore sicut
nauta in navi. Il ventesimo costituto BRUNO si dichiara disposto all'abiura
incondizionata; ma torna a manifestare esitazioni sulla prima e la settima. In
mancanza della prova giuridica della colpevolezza, i consultori si dichiararono
in favore dell'applicazione della tortura, che tuttavia non è approvata da
Clemente. BRUNO si dichiara disposto all'abiura (costituto), ma con un
memoriale al papa, rimette in discussione le proposizioni incriminate. Intanto
al S. Uffizio di Vercelli perveniva una delazione dovuta, sembra, a un reduce
dall'Inghilterra con cui BRUNO è di nuovo accusato di irriverenza verso il papa,
lo Spaccio, e di aver lasciato fama di ateo in Inghilterra. Il tribunale ordina
il termine per il riconoscimento degl’errori. Ventiduesimo costituto, BRUNO rifiuta
la ritrattazione. Vano è l'intervento del generale e del procuratore dei
domenicani. Il papa ordina che BRUNE è sentenziato come eretico formale,
impenitente e pertinace, e consegnato al braccio secolare. Un estremo memoriale
di BRUNO al pontefice venne aperto ma non letto dal tribunale. BRUNO viene
condotto dal carcere del S. Uffizio al palazzo del cardinale Madruzzi, in
piazza Navona, dove la sentenza gli è letta pubblicamente. Dell’imputazioni
contenute nella sentenza, risultano accertate quelle concernenti la
transustanziazione, la verginità di Maria, la vita eretica, lo spaccio, la
pluralità dei mondi, la metempsicosi, l'anima umana, l'eternità del mondo,
Mosè, le Sacre Scritture, i preadamiti, Cristo, i profeti e gl’apostoli.
Riconosciuto eretico impenitente pertinace ed ostinato (Doc. romani), BRUNO è
condannato alla degradazione dagl’ordini, all'espulsione dal foro ecclesiastico
e a essere consegnato alla corte secolare per la debita punizione. I suoi saggi
sono bruciati in piazza S. Pietro e le opere tutte incluse nell'indice. BRUNO
ascolta in ginocchio la sentenza. Quindi, levatosi in piedi, esclama rivolto ai
giudici. Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam Doc.
romani. Trasferito al carcere di Tor di Nona, e visitato ancora da teologi e
confortatori, è condotto a Campo di Fiori, dove, spogliato nudo e legato a un
palo, è bruciato vivo Doc. romani. La portata speculativa della vicenda
bruniana è implicita nella storia del moderno pensiero europeo. Per il lato
culturale e biografico, pur dopo ricerche secolari, quella vicenda è tuttora al
vaglio della filologia contemporanea. Fonti e Bibl.: Per la biografia
bruniana le fonti sono costituite dalle opere e da una serie di documenti
coevi. Edizioni complete delle opere: Iordani Bruni Nolani Opera Latine
Conscripta: Facsimile - Neudruck der Ausgabe von Fiorentino,Tocco und
anderen,Neapel und Florenz Drei Bände in acht Teilen, Stuttgart-Bad Cannstatt
da integrare con le seguenti pubblicazioni: Zubov, Rukopisnoe nasledie Džordano
Bruno, Moskovskij Kodeks" Gosudarstvennoj Biblioteki SSSR im. V. I.
Lenina, in Zapiski Otdela rukopisej, Moskva Bruno, Due dialoghi sconosciuti e
due dialoghi noti: Idiota triumphans, De somnii interpretatione, Mordentiu, De
Mordentii circino, cur. Aquilecchia, Roma con Errata-corrige stampate a parte;
Id., Prælectiones geometricæ e Ars deformationum: Testi inediti, cur. di
Aquilecchia, Roma; Le opere italiane di G. B., cur. Lagarde, Gottinga ,
edizione para-diplomatica, per le opere italiane in edizione moderna: Bruno,
Candelaio: commedia, a cura di V. Spampanato, Bari; Id., Dialoghi italiani:
Dialoghi metafisici e Dialoghi morali stampati con note da GENTILE (si veda) cur.
Aquilecchia, Firenze; Id., Lacena de le ceneri, cur. di Aquilecchia, Torino (da
tenere presente Tissoni, Sulla redazione
definitiva della Cena de le ceneri, in Giorn. stor. della letter. ital. Pregevoli
le sillogi antologiche in Opere di BRUNO e di Campanella, cur, Guzzo e Amerio,
Milano - Napoli, e in Scritti scelti di BRUNO e Campanella, cur. Firpo, Torino.
I documenti coevi in Spampanato, Documenti della vita di BRUNO, Firenze
suddivisi in Documenti napoletani Documenti ginevrini Documenti parigini Documenti
tedeschi Documenti veneti Documenti romani da integrare con Elton, Modern
Studies, London, Harvey, Marginalia, cur. Smith, Stratford-upon-Avon; Sigwart,
Kleine Schriften, Freiburg i. B. Mercati, Il sommario del processo di BRUNO, Vaticano,
Firpo, Il processo di BRUNO, Napoli Yates, BRUNO: some documents, in Revue
internationale de philosophie, XVI [1951], 2, pp. 174-199; G. Aquilecchia, Un
autografo sconosciuto di G. B., in Giorn. stor. della letter. ital., Id., Un
nuovo documento del processo di BRUNO, McNulty, B. at Oxford, in Renaissance
News, XIII[1960], pp. 300-305; A. Nowicki, Un autografo inedito di G. B. in
Polonia, in Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche... in Napoli, Una
poesia "Ad Iordanum: Brunum", in La Ragione, Korzan, Praski Kra̢g
humanistów wokóù Bruna, in Euhemer. La biografia più estesa, sebbene in
parte invecchiata, rimane quella di V. Spampanato, Vita di G. B. con documenti
editi e inediti, Messina Biografie sintetiche recenti sono dovute a Garin, B.,
Roma-Milano, e a G. Aquilecchia, G. B., Roma da cui dipende la presente voce.
La bibliografia bruniana è vastissima: va fatto riferimento a Salvestrini,
Bibliografia di BRUNO, a cura di Firpo, Firenze: opera monumentale di
inestimabile utilità, aggiornata poi essenzialmente, Quanto ai titoli, con
l'appendice bibliografica alla citata monografia di Aquilecchia. A questi due
strumenti si fa qui riferimento, rispettivamente, per opere critiche di
tradizionale autorità (Tocco, Troilo, Gentile, Namer, Garin, Corsano, ecc.), e per
saggi più recenti, che propongono un ridimensionamento della problematica
bruniana conforme a diverse metodologie (Badaloni, Michel, Yates, Gorfunkel',
Nowicki, Papi, ecc.). Guido del Giudice. Giudice. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice, del Giudice, e la filosofia greco-romana,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. Keywords: l’implicatura di Giudice, universe finite, infinito,
geometrici, alchimisti, matematici – rinascimento – scintilla d’infinito” -- Refs: Luigi Speranza, “Grice e Giudice:
implicatura e scintilla” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giudice: la ragione conversazionale,
l’esperienza, e l’implicatura conversazionale di Telesio – filosofia foggiese
-- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucera). Filosofo lucerese. Filosofo pugliese. Filosofo
italiano. Lucera, Foggia, Puglia. Grice: “Riccardo del Giudice is a
philosopher; he wrote an essay on Telesio.” Allievo e collaboratore di GENTILE (si veda),
si laurea in filosofia, rivelando i suoi vasti e solidi interessi culturali,
che, insieme ad una rara volontà di studio e ad una seria attività politica
formano il suo principale merito. Apprezzato per le doti oratorie e
l'accuratezza nella scrittura, è parlamentare di chiara fama nella Camera dei Deputati. Di profonda ed esemplare
preparazione filosofica. Insegna a Roma. Intestazioni: Sindacalista,
politico, SIUSA. Iscrittosi al movimento nazionalista mentre frequenta
nell'ateneo romano i corsi di GENTILE (si veda). Si tessera al Partito
fascista, del quale apprezza l'interesse per le questioni sindacali. È appunto
nell'organizzazione fascista dei lavoratori, diretta da Rossoni, che muove i
primi passi nella politica militante. Nominato responsabile dei sindacati in
provincia di FOGGIA, distinguendosi per la dura opposizione nei confronti
dell'apparato del Pnf guidato dal conservatore Caradonna. Espulso dal partito viene
nominato da Rossoni Segretario della Federazione sindacale di Torino. Passato
nella Federazione di Bari si oppone allo sbloccamento dei sindacati. Si occupa
di studi sulla legislazione del lavoro e sul corporativismo, partecipando
attivamente alle riunioni del consiglio nazionale delle corporazioni e viene
nominato presidente della confederazione fascista dei lavoratori del commercio.
Dopo una intensa attività nel settore sindacale - celebri le sue polemiche con SPIRITO
(si veda) sul rapporto tra sindacato e corporazione - è nominato sotto-segretario
al ministero dell'educazione nazionale, allora retto da Bottai. Si occupa
soprattutto di sviluppare i rapporti tra la scuola e il mondo del lavoro,
seguendo le indicazioni contenute nella carta della scuola di Bottai. Lasciato
il ministero in seguito alla sostituzione del ministro Bottai con Biggini, è
nominato presidente dell'ente nazionale per l'oganizzazione scientifica del
lavoro, Enios. Non adere alla Rsi e viene arrestato dagl’alleati e inviato nel
campo di concentramento di Padula dove scrive le memorie. Epurato
dall'insegnamento universitario, vi ritorna come docente prima di diritto della
navigazione, poi di diritto del lavoro, presso l'ateneo romano. Complessi
archivistici prodotti: G. (fondo). Il fondo archivio conserva le carte del
dirigente sindacale e collaboratore di BOTTAI ed e costituito da documentazione
riguardante la politica sindicale FASCISTA, da una vasta raccolta di materiale
e stampa sulla POLITICA CORPORATIVA, da documenti sulla POLITICA SCOLASTICA del
regine negl’anni della guerra e da un ricco epistolario con personalita della
FILOSOFIA, della politica, dell’economia, e della cultura. Bibliografia:
PARLATO, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla caduta del regime, Roma,
Bonacci. G. PARLATO, G.: dal sindacato al governo, Roma, Fondazione Spirito, G.
PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna, Il
Mulino. Sindacalismo fascista Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni La neutralità
di questa voce o sezione sugli argomenti fascismo e politica è stata messa in
dubbio. Con sindacalismo fascista si intende quel settore del sindacalismo
improntato sui principi della dottrina fascista del lavoro. Filippo Corridoni
con Mussolini durante una manifestazione interventista del 1915 a Milano.
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sindacalismo
rivoluzionario. Fontana sulla cui lapide marmorea era scolpito il
discorso che Mussolini pronuncia presso lo stabilimento di Dalmine, in
occasione dell'autogestione operaia. Il sindacalismo fascista ha i suoi
primordi nel magma del movimentismo sindacale dei primi due decenni del XX
secolo: in particolare esso trova i suoi riferimenti culturali prima nella
componente rivoluzionaria del sindacalismo socialista, che portò alla dirigenza
del partito diversi esponenti e Benito Mussolini alla direzione dell'Avanti!,
poi nelle sezioni più agguerrite del sindacalismo interventista, in particolare
l'attivissima sezione milanese retta da Filippo Corridoni, nate in seno
all'Unione Sindacale Italiana[1]ma da cui saranno espulse già nel 1915, per
incompatibilità con i principi antimilitaristi e antistatalisti dell'USI[2].
Numerosi, pur con alcuni bassi, sono gli scioperi, le manifestazioni di piazza,
gli scontri ed i comizi cui parteciparono Mussolini ed i dirigenti del fascismo
a fianco, o anche in qualità stessa, di sindacalisti rivoluzionari. In Italia
non sarà possibile nessuna forma di sindacalismo fino a quando il Partito
Socialistanon sarà abbattuto. Corridoni a Malaparte SICKERT (si veda) a Milano
poco prima di partire per il Carso, giugno 1915[4]) Un altro forte legame è quello
con la Unione Italiana del Lavoro, da essi creata e di ispirazione sindacalista
rivoluzionaria, diretta inizialmente da Rossoni. La nuova formazione sindacale,
nel fermento dell'interventismo nei confronti della Grande Guerra, tentò di
operare una prima sintesi all'interno dell'immenso magma rivoluzionario
italiano, combattuto ormai da anni tra le esigenze sociali e quelle nazionaliste
del popolo. In particolare si verificò una congiunzione con le teorie di
imperialismo operaiodi Enrico Corradini (Associazione Nazionalista Italiana) e
lo sviluppo del produttivismo nazionale, grazie anche al Popolo d'Italia di
Mussolini, pervenendo all'idea non tanto di negare la lotta di classe per
difendere gli interessi di categoria, quanto di ricomporli tutti all'interno
del comune interesse superiore nazionale. Al suo interno la UIL portava però
già i sintomi di quella che fu una battaglia destinata a concludersi più tardi,
durante il sindacalismo fascista vero e proprio: quella tra la visione di un
sindacalismo legato all'azione politica, appoggiata principalmente da Rossoni,
e quella indipendentista di Ambris. Primo sfogo di queste evoluzioni avvenne al
Dalmine, dove si verifica la prima occupazione con autogestione operaia della
storia italiana, organizzata dai sindacalisti rivoluzionari. Il fatto eclatante
che destò scalpore fu però soprattutto la continuazione della produzione,
d'accordo con l'ottica produttivista che aveva acquisito il movimento: gli
operai autorganizzati continuarono infatti il lavoro, issando sulla fabbrica il
tricolore nazionale. Due giorni dopo lo stesso Mussolini è in visita agli
stabilimenti: Voi oscuri lavoratori del Dalmine, avete aperto l'orizzonte.
È il lavoro che parla in voi, non il dogma idiota o la chiesa intollerante,
anche se rossa, è il lavoro che ha consacrato nelle trincee il suo diritto a
non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve diventare gioia,
orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria libera e grande
oltre i confini. Mussolini, Discorso del Dalmine, in "Tutti i discorsi) In
un primo momento la posizione di De Ambris e della sua UIL fu la più apprezzata
da Mussolini, aprendo nel periodo 1919-1920 una forte convergenza tra i due,
con il secondo che sostenne apertamente la UIL dalle colonne de Il Popolo
d'Italia[11] ed il primo che dette un apporto considerevole al programma dei FASCI
ITALIANI DI COMBATTIMENTO, costituiti e dai quali prenderà spunto il fascismo
durante la fase governativa. Il nucleo iniziale Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Sansepolcrismoe Squadrismo. Benito
Mussolini a Dalmine con gli operai dello stabilimento autogestito. Grandi.
È da questo connubio che, infatti, si costituisce in maniera strutturata il
sindacalismo fascista, i cui protagonisti, dapprima immersi nei movimenti
sindacalisti di varia estrazione sopra descritti, andarono a creare l'ossatura
del nuovo movimento insieme agli interventisti futuristi, ad Arditi e reduci di
guerra, nazionalisti e squadristi. Fra i maggiori esponenti di questo
sindacalismo squadrista, che affianca i sindacalisti puri Balbo, Bianchi,
Baroncini ma, soprattutto, Grandi e lo squadrismo bolognese vicino agli
ambienti de "L'Assalto", portatori di uno dei più genuini tratti del
fascismo di sinistra, basato particolarmente a Bologna sulle rivendicazioni
contadine, l'allargamento della piccola proprietà agricola ed al concetto de
"la terra a chi la lavora. L’armonia tra sindacalismo rivoluzionario e
fascismo sansepolcrista si spezzò quando, in conseguenza della grave sconfitta
elettorale, Mussolini operò la strategia della virata a destra per aprirsi
maggiori spazi politici e, staccandoli dalla UIL, creò i Sindacati economici,
che diventeranno poi la Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacalifasciste dirette da Rossoni. La crisi tra i due movimenti si attuò
essenzialmente sul nodo della concezione del rapporto tra economia e politica.
Da una parte il fascismo, che riteneva fondamentale che ogni dinamica
attraverso la nazione sia controllata dallo Stato, dall'altra i sindacalisti
rivoluzionari, che vedevano questa posizione come antitetica ai propri canoni
libertari ed autonomisti, concependo la nazione come identità e sostanza
storica di un popolo, ma lo Stato come sistema di potere di una classe
esclusiva. Il sindacalismo rivoluzionario, portando il suo contributo decisivo
alla determinazione dell'Italia per l'intervento nella guerra, salvò l'onore
dei lavoratori italiani e gettò le premesse in virtù delle quali
l'organizzazione del lavoro è oggi, su piede di uguaglianza con tutte le altre
forze economiche, elemento fondamentale dello Stato Corporativo. In questo
senso soltanto può essere affermata la derivazione del movimento sindacale
fascista dal vecchio sindacalismo rivoluzionario. Masotti) Rossoni e la
Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali fasciste Magnifying glass
icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Confederazione nazionale delle
corporazioni sindacali. Edmondo Rossoni. I quadrumviri e Benito
Mussolini(da sinistra a destra: Bono, Bianchi, Mussolini, Vecchi e Balbo). Il
primo, il terzo ed il quinto furono sindacalisti. Si tenne il I Convegno
sindacale di Bologna, in cui si scontrarono le due visioni principali, già
emerse in passato, riguardanti il grado di dipendenza dei sindacati nei
confronti della politica e, in questo caso, del neocostituito PARTITO NAZIONALE
FASCISTA. Si scontrarono quindi la visione "autonomista" di Rossoni e
di Grandi e quella "politica" di Rocca e Bianchi, tra le quali sarà
vincente la seconda. A Bologna vennero inoltre affermati i principi
basilari della politica corporativa, con la conferma del superamento della
lotta di classe nei confronti della collaborazione e dell'interesse nazionale
su quello individuale o di settore, e la nascita della Confederazione nazionale
delle corporazioni sindacali, una nuova formazione antisocialista ed anticattolica,
costituita nella forma di sindacati autonomi formati da cinque Corporazioni
suddivise per categorie lavorative e non ancora (lo saranno piu tardi)
sindacati misti lavoratori-datori di lavoro. Come nel sindacalismo
rivoluzionario, inoltre, le corporazioni dovevano riunire tutte le attività
professionali che identificavano la loro "elevazione morale e economica
con il dovere imprescindibile del cittadino verso la Nazione". La nazione,
sintesi superiore di tutti i valori materiali e spirituali della razza, è al di
sopra degli individui, dei gruppi e delle classi. Individui, gruppi e classi
sono gli strumenti di cui la nazione si serve per migliorare le proprie
condizioni. Gli interessi individuali e di gruppo acquistano legittimità a
condizione che si realizzino nell'ambito dei superiori interessi
nazionali.» (Articolo 4 della Carta dei principi delle corporazioni)
Sulla Confederazione si svilupparono polemiche anche negli ambienti del
sindacalismo internazionale: la sinistra operaia internazionale, in sede di
Organizzazione Internazionale del Lavoro, contesta il titolo alla
rappresentanza operaia alle corporazioni fasciste e, quindi, la possibilità di
partecipare all'assemblea. La polemica non venne però accettata, e l'ILO
permise alle Corporazioni di partecipare alle sedute senza interruzioni nel
rinnovo del mandato. In sede congressuale Rossoni dichiarò l'esistenza di una
linea di continuità tra il sindacalismo rivoluzionario, il sindacalismo
fascista ed il corporativismo: per il sindacalismo fascista, infatti, l'ultimo
era legato al primo sia per il comune intendimento del concetto di rivoluzione
che, al di là dell'aspetto della rivolta popolare, in ambito lavorativo
ritenevano rivestisse il significato di sopravvento di superiori capacità
produttive; inoltre, ugualmente, avevano l'obbiettivo di innalzare il
proletario (nell'accezione negativa del termine) al rango di lavoratore inserito
a pieno titolo nella vita nazionale. Il sindacalismo deve essere nazionale ma
non può essere nazionale per metà: esso deve comprendere capitale e lavoro e
sostituire al vecchio termine proletariato, quello di lavoratore ed all'altro,
di padrone, la parola dirigente, che più alta, più intellettuale, più grande. Rossoni,
Congresso dei Sindacati intellettuali fascisti) Nei mesi successivi, in
concomitanza con il termine del biennio rosso e l'avanzata dell'offensiva
militare del fascismo imperniata sulle squadre d'azione, ebbe luogo lo
sfondamento politico in campo sindacale, con il passaggio di interi settori
operai dalle strutture del Partito Socialista Italiano e della CGdL al
fascismo. Tanto che la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali
contava 800.000 iscritti. Ciò evidenziava il successo dei progetti di Rossoni,
che aveva pensato di creare da una parte una base contadina potente ed
affidabile che appoggiasse e facesse da riserva strategica allo squadrismo,
dall'altra di fare del sindacalismo una delle pietre angolari dello Stato
fascista. Con la Marcia su Roma, l'affermazione del sindacalismo fascista fu
quasi definitiva e l'inizio della costruzione del nuovo Stato portò quindi una
relativa tranquillità nell'ambiente del sindacalismo stesso che, con il termine
degli scontri e delle tensioni politiche, poté incentrarsi sul proprio sviluppo
culturale e la propria evoluzione politica. Rossoni così ne spiega definizione
e scopo principale: la salvaguardia della salute spirituale del popolo. Sindacato
vuol dire: unione di interessi omogenei. Sindacalismo: azione che deve
disciplinare e tutelare gli interessi omogenei. Noi rivendichiamo la concezione
italiana del Sindacalismo alle corporazioni italianissime che sono nate ancor
prima che la parola 'sindacalismo' fosse pronunciata.» (Edmondo Rossoni,
La Marcia su Roma e il compito dei sindacati, Napoli) Caratteristiche
principali, che evidenziavano la differenza del sindacalismo fascista rispetto
a quello socialista, furono anche la mancanza di dogmatismo, teologismo e
perseguimento di finalità remote, come ad esempio il prefiggersi in anticipo un
determinato tipo di obbiettivo finale, come il tipo di economia da instaurare,
ma tentando sempre di adeguarsi alla realtà del mondo.[27] Questo clima
non portò fine al dibattito interno, che anzi aumentò decisamente, tanto che
gli stessi vecchi sindacalisti rivoluzionari come Rossoni, Lanzillo, Panunzio e
Olivetti, discutevano e si dividevano spesso e volentieri tra loro. In tutti
però un'evoluzione era avvenuta: il sindacalismo non era più considerato
propulsore del libero mercato ma, aderendo al concetto di nazione come unità
organica d'intenti, ritenevano che il sindacato - come gli imprenditori -
dovesse trovare il suo limite nel superiore interesse della patria, rigettando
il concetto di libero mercato stesso e giungendo al tal punto da definire che
"la nazione è il più grande sindacato. Le prime forti tensioni con i
conservatori ed il padronato Farinacci. Renato Ricci con la sua squadra
d'azione carrarese impegnata a S. Terenzio nello sgombero delle macerie del
forte di Falconara. Immediatamente dopo l'apice della Marcia su Roma si accese
però lo scontro tra il fascismo di sinistra ed i settori più conservatori dello
Stato. Avvennero alcuni episodi chiave: la creazione dei gruppi di
competenza, da parte di Rocca, limitanti lo spazio sindacale della
Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali; il tentativo di bloccare
il corporativismo da parte di Confindustria e Confagricoltura, contrapposti
alla minaccia di Rossoni di assalti, scontri ed occupazione delle fabbriche da
parte dei lavoratori fascisti; l'appoggio diretto al sindacalismo fascista da
parte di tutta la sinistra fascista nazionale, compresi Bianchi e Farinacci; il
lancio del sindacalismo integrale da parte di Rossoni, che puntava ad inglobare
nelle corporazioni Confindustria e Confagricoltura (ossia le rappresentanze
sindacali dei datori di lavoro); la creazione della Federazione italiana dei
sindacati agricoltori e della Corporazione dell'Industria e del Commercio da
parte di Rossoni; i primi tentativi di trasformare le organizzazioni sindacali
da associazioni di fatto in organi di diritto pubblico da parte di Casalini; il
patto siglato tra Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e
Confindustria a Palazzo Chigi, in ottica di limitazione dei conflitti di classe.
Sia il Capitale sia il Lavoro, ndr) devono essere disciplinati. L'appetito
all'infinito è malefico e assurdo. Per queste ragioni il sindacalismo fascista
è per la collaborazione ma con gli industriali che si impuntano e dicono
comandiamo noi, occorre lottare decisamente per dare ai lavoratori il posto
degno nella vita della nazione» (Edmondo Rossoni, adunata al Teatro Regio
di Torino) In questo periodo di tensioni tra industriali e sindacati fascisti,
difficile per l'attecchimento della collaborazione di classe vagheggiata dal
fascismo per il mondo del lavoro, assurgono agli onori del sindacalismo
fascista le personalità di Mario Gianpaoli, sindacalista e federale del PNF di
Milano, e di Domenico Bagnasco, segretario dei sindacati fascisti di Torino.
Organizzatore e combattente di piazza, Bagnasco fu deciso a prendere di petto
gli industriali, accusando il padronato di "spietata intransigenza
antioperaia". Spesso i sindacalisti fascisti di questo periodo pagarono
con la fine della propria carriera politica l'attivismo sfrenato, a causa di un
fascismo ancora non abbastanza forte da poter far fronte ad uno scontro con la
grande industria, appoggiata dai molti uomini del precedente regime ancora
posizionati nelle istituzioni dello Stato. Essi ebbero però il merito di infondere
risolutezza in molti sindacalisti di periferia. La seconda fase del
sindacalismo fascista Monumento a Razza. Corradini. Si entra quindi
in quella che viene chiamata "la seconda fase del sindacalismo fascista,
durante la quale il sindacalismo e tutte le componenti della sinistra fascista
tornarono all'attivismo ed alla tensione del periodo rivoluzionario. Panunzio
ricominciò a tuonare a favore della ripresa dell'anima rivoluzionaria del
fascismo e del recupero del programma, esprimendosi per la creazione di una Camera
sindacale e del lavoro e di un Senato politico. Cadde la Confagricoltura,
inglobata dalla fascista Federazione italiana sindacati agricoli, riunendo in
un'unica corporazione i lavoratori con i grandi e piccoli proprietari agricoli.
Il nuovo spostamento a sinistra dello schieramento fascista, questa volta
apertamente appoggiato da Mussolini stesso, portò ad un conseguente
irrigidimento degli industriali sulle tradizionali posizioni reazionarie,
decretando l'inizio di un'escalation. Si verificò quindi anche la ripresa
militante dello squadrismo in appoggio all'azione sindacale fascista, dando
luogo ad un'ondata di scioperi su tutto il territorio nazionale, i più
infuocati dei quali in Valdarno, Lunigiana e ad Orbetello. In Valdarno lo
sciopero venne organizzato dal dirigente Bramante Cucini, seguace di Sergio
Panunzio, e finanziato direttamente dai Comuni amministrati dal Partito
Nazionale Fascistae da uno stanziamento apposito del Direttorio generale del
PNF, con la pubblica approvazione di Mussolini. Al termine dello sciopero si
ebbe perfino la nomina statale di una commissione straordinaria di lavoratori
per gestire le miniere, destando comprensibile spavento tra il padronato. Si
tenne a Roma il II Congresso nazionale delle corporazioni. Qui venne messa
momentaneamente da parte la strada della collaborazione di classe, per
riprendere quella della lotta in difesa dell'unità dei lavoratori e
dell'istituzionalizzazione delle corporazioni, quest'ultimo aspetto chiesto a
gran voce durante tutto il congresso dalla maggioranza degli esponenti,
soprattutto quelli rappresentanti i sindacati agricoli provinciali, come Mario
Racheli. Nei riflessi della politica economica non v'è chi non afferri
l'utilità nazionale di rendere responsabili le organizzazioni sindacali e di
creare discipline contrattuali garantite dalla legge.» (Edmondo Rossoni,
intervento al II Congresso nazionale delle corporazioni) In questo quadro ha
luogo, come in altri casi era avvenuto, un'avversione crescente nei confronti
dell'inerzia e dell'inattivismo di Mussolini verso la situazione generale,
legato alla fase ed alle operazioni di consolidamento del potere del fascismo
all'interno della formazione statale. Ciò generò, in diversi casi, il
concepimento e la presa di decisioni autonome da parte dei capisquadra, dei
leader sindacali e dell'ala movimentista e la messa in evidenza della natura
anticapitalista che permeava il fascismo provinciale nei confronti di quello
cittadino, dove il movimentismo si scontrava coi circoli conservatori. Questa
natura emerse visibilmente e prepotentemente con lo sciopero carrarese
organizzato da Renato Ricci, capo delle squadre d'azione della Lunigiana. In
tale frangente lo sciopero fascista portò ad una radicalizzazione estrema dello
scontro con "i baroni del marmo", imperanti nel carrarese, da portare
all'occupazione ed all'autogestione delle cave e delle industrie di
lavorazione, ma soprattutto (dato che lo sciopero non si risolse con una vera e
propria vittoria) a divenire una delle cause fondamentali della nascita di una
corrente di dissidenti all'interno del fascismo ufficiale. Ha luogo il discorso
alla Camera con cui Mussolini si prende carico della responsabilità politica
della vicenda Matteotti. Il Direttorio delle corporazioni e quello del
Partito Nazionale Fascista si riuniscono congiuntamente studiando una serie di
problemi da risolvere per valorizzare il ruolo delle classi lavoratrici ed il
loro inserimento a pieno titolo nella vita nazionale, producendo poi un ordine
del giorno in cui si autorizzavano i sindacati fascisti a ricorrere alla
"lotta economica" contro industriali e capitalisti, rei di
"colpevole incomprensione" dei fini e della prospettiva sociale e
nazionale del fascismo. Ciò determina, insieme all'entusiasmo per l'intransigenza
insita nel discorso di Mussolini, l'instaurazione di un clima da "seconda
ondata", rimettendo nuovamente in moto la rivoluzione da sinistra e
accendendo nuovamente l'entusiasmo del fascismo movimentista. Avviene quindi
l'ultima grande azione di forza della Confederazione nazionale delle
corporazioni sindacali, che scavalcò le vertenze sindacali in corso tra la O.M.
di Brescia e la FIOMindicendo uno sciopero a sorpresa, scatenato da una serie
di multe e licenziamenti inflitti agli operai fascisti che, per protesta, abbandonarono
i posti di lavoro. Le agitazioni ottennero l'appoggio di Farinacci, in quel
periodo segretario nazionale del Partito, e, di contrasto, gli appelli alla
moderazione di Mussolini, che consigliò cautela a Rossoni per non ripetere le
vittorie di Pirro degli scioperi valdarnesi e carraresi. Le agitazioni dei
metallurgici riuscirono però ad allargarsi fino a Milano, dove gli operai
socialisti e comunisti vennero invitati ad aderire; le attività di
contestazione cominciarono poi ad interessare anche carovita ed altri
argomenti, estendendosi a tutta la Lombardia ed assumendo, soprattutto con il
sindacalfascista Razza caratteri indipendenti dal governo e di aperta minaccia
e violenza nei confronti degli industriali, terrorizzati dalla possibilità di
combinazioni politiche unitarie impreviste. Dopo lunghe trattative le
agitazioni rientrarono, decretando un grosso insuccesso per gli industriali,
che dovettero fare buone concessioni, sebbene non totali, agli operai tramite i
sindacati fascisti, e l'emarginazione completa della FIOM, i cui rappresentati
si spostarono in massa nelle Corporazioni. Per ben tre anni l'esistenza di un
sindacalismo fascista, cioè di un movimento sindacale guidato da fascisti e
orientato verso le idee del fascismo, fu ostinatamente negata. Ci voleva, per
dissuggellare gli occhi dei ciechi volontari e fanatici, il fatto clamoroso: lo
sciopero che mettesse in campo le forze sindacali del fascismo e che desse in
pari tempo allo stesso sindacalismo fascista una più risoluta nozione della sua
forza e delle sue possibilità di azione.» (Benito Mussolini, Fascismo e
sindacalismo, a seguito degli scioperi metallurgici organizzati dai sindacati
fascisti in Nord Italia) Altro commento che rivela il momento infuocato fu
quello di Corradini, sindacalista nazionale: «Il superamento del
socialismo, non la dispersione, non la distruzione dell'opera socialista.
Questo è buono affermare, in occasione dello sciopero dei sindacati fascisti. Vi
è fra socialismo e fascismo un nesso storico, oso dire una continuazione
storica. Il fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti
dell'opera socialista e secondo la sua propria legge, quando occorra, tale
opera continua. Corradini, Il Popolo d'Italia. La trasformazione in organi di
diritto pubblicoModifica Edmondo Rossoni in Piazza del Popolo (Roma)
annuncia la promulgazione della Carta del Lavoro. Spirito. La conseguenza
principale di questi avvenimenti furono però gli accordi di Palazzo Vidoni, in
cui venne riconosciuto dalla Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali e da Confindustria la reciproca esclusività di rappresentanza di
lavoratori e datori di lavoro, con l'impegno al conseguimento prioritario
dell'interesse nazionale. Va però evidenziata soprattutto la legge: con questa
legge vennero infatti, tra l'altro, realizzata l'istituzionalizzazione dei
sindacati fascisti e legalizzato il loro monopolio per la rappresentanza dei
lavoratori con la nascita della contrattazione collettiva del lavoro. Ciò
andava a significare che le Corporazioni divennero organi di diritto pubblico
dell'amministrazione statale, con "funzioni di conciliazione, di
coordinamento ed organizzazione della produzione". All'interno di questa
legge era inoltre presente l'articolo 42, che prevedeva una direzione comune
tra le associazioni di categoria delle due parti, contenendo in nuce il
progetto corporativo a sindacato misto che verrà realizzato piu tardi. Dopo
questa vittoria, per Rossoni si ebbe la redazione della Carta del Lavoro, testo
fondamentale della politica sociale fascista in ottica di eliminazione della
dicotomia tra le classi sociali ma, dall'anno successivo, con Farinacci non più
alla segreteria nazionale del PNF, ebbero sfogo gli attacchi alla Conferenza
nazionale delle corporazioni sindacali, che venne smembrata dai circoli
conservatori, capeggiati da Giuseppe Bottai (sottosegretario al Ministero delle
corporazioni) ed Augusto Turati(nuovo segretario del partito), in sei separate
confederazioni di sindacati, facendo diminuire il potere contrattuale dell'organismo,
disperdendolo in strutture più piccole e limitate. Il secondo Convegno di Studi
sindacali e corporativi Nel periodo che intercorse da questo momento alla
legge, istitutiva delle corporazioni, si ebbe uno blocco totale dell'azione nel
settore, in cui intervenne positivamente soltanto il II Convegno di Studi
sindacali e corporativi, tenutosi a Ferrara, nel quale emerse il concetto di
corporazione proprietaria proposta da Spirito, nei confronti della quale il
sindacalismo fascista si trovò su posizioni contrastanti a causa di un
arroccamento di tipo ideologico: rimasti su posizioni classiste nel passaggio
dal socialismo eterodosso al fascismo, molti degli esponenti pre-rivoluzionari
del sindacalismo fascista (Lanzillo, Giampaoli, Bagnasco, ecc.) videro il
progetto di annullare il sindacalismo nel corporativismo come un progetto
reazionario, rimanendo ancorati alla concezione della lotta di classe come uno
scontro benefico per gli interessi individuali e nazionali. L'incapacità di
accettare la proposta di Spirito da parte dei primi sindacalisti fascisti, ma
anche i "nuovi" come Razza e Capoferri, fu dovuta quindi
essenzialmente al rigetto totale della visione statalista che andava formandosi
nel fascismo ed al cui finalismo erano sempre stati avversi: per loro "la
corporazione è il sindacato, e dire Stato corporativo è come dire Stato
sindacale. L'esaurimento del sindacalismo fascista nelle CorporazioniModifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio:
Corporativismo. Sede dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Viene approvata la
creazione dello Stato corporativo che, con le nomine dall'alto al posto delle
cariche elettive e l'abolizione del fiduciario di fabbrica, aveva dato tra
l'altro alle corporazioni, divenute veri e propri sindacati formati dai
rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro ed istituzionalizzati
nello Stato, la facoltà di stipulare i contratti collettivi di lavoro. In ogni
caso il cambiamento di assetto istituzionale e la rivoluzione nel mondo del
lavoro, non pregiudicarono i risultati effettivi che il sindacalismo fascista
aveva ottenuto negli anni. Tra le più importanti si possono elencare:
ferie pagate; indennità di licenziamento; conservazione del posto in caso di
malattia; divieto di licenziamento in caso di maternità; assegni familiari;
diffusione delle casse mutue aziendali; assistenza sociale dell'Opera Nazionale
Dopolavoro(ad es. centri ricreativi, viaggi collettivi a prezzo simbolico,
manifestazioni teatrali, etc). È Mussolini stesso a rivendicare alle
corporazioni la funzione di esaurire in sé il compito del sindacalismo
fascista, superando ed andando oltre al sindacalismo stesso, inserendosi nel
solco della Rivoluzione continua: «È nella corporazione che il sindacalismo
fascista trova infatti la sua meta. Il sindacalismo, di ogni scuola, ha un
decorso che potrebbe dirsi comune, salvo i metodi: s'incomincia con
l'educazione dei singoli alla vita associativa; si continua con la stipulazione
dei contratti collettivi; si attua la solidarietà assistenziale o mutualistica;
si perfeziona l'abilità professionale. Ma mentre il sindacalismo socialista,
per la strada della lotta di classe, sfocia sul terreno politico, avente a
programma finale la soppressione della proprietà privata e dell'iniziativa individuale,
il sindacalismo fascista, attraverso la collaborazione di classe, sbocca nella
corporazione, che tale collaborazione deve rendere sistematica e armonica,
salvaguardando la proprietà, ma elevandola a funzione sociale, rispettando
l'iniziativa individuale, ma nell'ambito della vita e dell'economia della
Nazione. Il sindacalismo non può essere fine a sé stesso: o si esaurisce nel
socialismo politico o nella corporazione fascista. È solo nella corporazione
che si realizza l'unità economica nei suoi diversi elementi: capitale, lavoro,
tecnica; è solo attraverso la corporazione, cioè attraverso la collaborazione
di tutte le forze convergenti a un solo fine, che la vitalità del sindacalismo
è assicurata. Mussolini, discorso inaugurale del Consiglio Nazionale delle
corporazioni) Maggiori esponenti ed ispiratori Corridoni Corradini Ambris
Panunzio Olivetti Dinale Lanzillo Grandi Fontanelli, G., Bianchi Baroncini Cianetti Rossoni Razza
Racheli Bagnasco Bramante Cucini Capoferri Landi Aimi Riviste La Stirpe Il
Lavoro Fascista (poi organo ufficiale del Partito Fascista Repubblicano) Il
Lavoro d'Italia Cultura Sindacale Rivista del Lavoro L'Idea Sindacalista Il
Lavoro I Problemi del Lavoro NoteModifica Perfetti, Il sindacalismo fascista.
Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo Bonacci, Roma, Breve storia
dell'Usi di Fedeli Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di
Milano, De Donato, Bari, Malaparte e Suckert, Malaparte, vol. 1, Ponte delle
Grazie, operante e senza legami con la UIL attuale. Cordova, Le origini dei
sindacati fascisti, Roma e Bari, ristampa Firenze, La Nuova Italia, Nel cui
sottotitolo cambiava, in questo periodo, la dicitura da quotidiano socialista
in quotidiano dei produttori ^ Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario
al corporativismo, Bonacci, Roma, Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino,
Einaudi, Corridoni (a cura di Andrea Benzi), ...come per andare più avanti
ancora - gli scritti, Milano, Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino,
Roma, Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, Felice, Mussolini
il fascista, I, La conquista del potere. Torino, Einaudi, Sacco, Storia del
sindacalismo, Torino, Olivetti Dal sindacalismo rivoluzionario al
corporativismo, Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo,
Roma, Bonacci, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, Anche per via del
cambiamento di schieramento di Grandi: Renzo De Felice, Mussolini il fascista,
I, La conquista del potere. Torino, Einaudi, Haider, Capital and Labour under
Fascism, Columbia University Press, New York, Allio, La polemica
Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle corporazioni fasciste nell'ILO,
"Storia contemporanea", Bologna, Annali della Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale, Feltrinelli,
Milano"Il Giornale d'Italia", Il Mondo", Felice, Mussolini il
rivoluzionario, Torino, Einaudi, Cordova, Uomini e volti del fascismo, Bulzoni,
Roma, Ancora forti rimanevano i sindacati socialisti (CGdL) e comunisti
soprattutto tra metallurgici e metalmeccanici del nord-ovest e lo rimarranno
fino allo sciopero fascista della OM di Brescia, espansosi poi in tutto il nord
Italia. In Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Settimo Sigillo,
Roma, Le idee della ricostruzione. Discorsi sul sindacalismo fascista,
Bemporad, Firenze, Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.
Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla vigilia dello Stato
corporativo, Bonacci, Roma, Con l'eccezione di Lanzillo, che continuò
pericolosamente a portare avanti idee liberiste anche durante il regime.
Olivetti, Bolscevismo, comunismo e sindacalismo, Editrice Rivista Nazionale,
Milano, Deliberazione congiunta del PNF e del Gruppo parlamentare del partito
Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, Espressosi esplicitamente,
in particolare, nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo occupatasi
dell'analisi dei problemi sindacali. In questo ambito Michele Bianchi definì
"dittatoriale" la "procedura introdotta dal sindacalismo
fascista", mentre il sindacalista nazionale Maraviglia ribadì che "la
doppia organizzazione, cioè quella dei datori di lavoro e quella dei
lavoratori, allontana ogni pericolo che anche il Fascismo, per le pressioni e
l'influenza delle organizzazioni sindacali, possa diventare un partito di
classe". In Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia,
Milano, Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, Rimbotti, Il
Fascismo di sinistra, Settimo Sigillo, Roma, Corriere della Sera, AA. VV.,
Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, contrassegnata da un parziale
ritorno alla teoria e alla pratica del conflitto di classe", in Adrian
Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo Laterza, Bari, Il fascismo è
una dottrina, una fede, una civiltà nuova. Riemerge ora l'anima rivoluzionaria
del Fascismo. Il Fascismo deve immediatamente tornare, non per opportunismo, ma
per necessità storica, al programma L'anima del Fascismo è, ricordiamolo
sempre, il Sindacalismo Nazionale, la cui formula Mussolini lanciò prima, prima
di Vittorio Veneto". In Sergio Panunzio, La méta del Fascismo, in Il
Popolo d'Italia, Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma,
Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, Il Mondo, Rossoni sta,
nel suo intervento, illustrando le future battaglie del sindacalismo fascista
sui contratti collettivi di lavoro. In Ferdinando Cordova, Le origini dei
sindacati fascisti, Laterza, In questo periodo continuarono ad affiorare, in
seno al sindacalismo fascista, tendenze centrifughe verso Mussolini e il
partito, la cui sorte pareva a molti gravemente compromessa" in Alberto
Acquarone, La politica sindacale del fascismo ^ Alberto Aquarone e Maurizio
Vernassa, Il regime fascista, Il Mulino, Bologna, Che rientrò poi in breve
tempo nell'alveo della sinistra fascista ufficiale. ^ Sandro Setta, Renato
Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986. Uva,
La nascita dello stato corporativo e sindacale fascista, Carucci, Assisi-Roma Gerarchia
Acquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, Arata,
Decennale della Carta del Lavoro - Sul piano dell'Impero, su
"L'Italia", Milano, Felice, Mussolini il fascista. L'organizzazione
dello Stato fascista Einaudi, Spirito, Memorie di un incosciente, Rusconi,
Milano Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Spirito,
Firenze, in Belfagor Parlato, Ugo Spirito e il sindacalismo fascista, in AA.
VV., Il pensiero di Spirito, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Roma, Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni
Settimo Sigillo, Roma, Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice,
Firenze. BibliografiaModifica Testi in lingua italianaModifica AA. VV., Uomini
e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, Critica Fascista, antologia a cura di De
Rosa e Malgeri, Landi, San Giovanni Valdarno, Aquarone, La politica sindacale
del fascismo. Alberto Aquarone e Vernassa (a cura di), Il regime fascista, Il
Mulino, Bologna, Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi,
Torino, Allio, La polemica Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle
Corporazioni fasciste nell'ILO, "Storia contemporanea", Bologna,
Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Marginalismo e socialismo
nell'Italia liberale Feltrinelli, Milano, Bocca, Mussolini socialfascista,
Garzanti, Milano, Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Vallecchi,
Firenze. Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Roma e Bari;
ristampa Firenze, La Nuova Italia, Felice, Mussolini il fascista. La conquista
del potere, Torino, Einaudi, Felice, Mussolini il fascista. L'organizzazione
dello Stato fascista, Torino, Einaudi, Felice, Mussolini il rivoluzionario,
Torino, Einaudi, Felice, Autobiografia del fascismo. Antologia di testi
fascisti, Bergamo, Minerva italica, Gentile, Le origini dell'ideologia
fascista, Laterza, Bari. Granata, La nascita del sindacato fascista.
L'esperienza di Milano, De Donato, Bari,
Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Spirito,
Firenze, in Belfagor, Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo Laterza,
Bari, Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino,
Parlato, Spirito e il sindacalismo fascista, in AA. VV., Il pensiero di
Spirito, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla
grande crisi alla caduta del regime, Bonacci, Roma, Perfetti, Il sindacalismo
fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo Bonacci, Roma,
1988. Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo,
Bonacci, Roma, Sacco, Storia del sindacalismo, Torino, Salvemini, Scritti sul
fascismo, Feltrinelli, Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano,
Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino,
Susmel, Opera Omnia di Mussolini, La Fenice, Firenze. Francesca Tacchi, Storia
illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, Tamaro, Venti anni di storia,
Editrice Tiber, Roma, Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino, Roma,
Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia University Press, New York,
Lowell Field, The Syndacal and Corporative Institutions of Italian Fascism,
Columbia University Press, New York, Roberts, The Syndacalist Tradition and
Italian Fascism, University of North Carolina Press, Chapel Hill, Camera dei
fasci e delle corporazioni Carta del Lavoro Corporativismo Corporazione
proprietaria Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali
Collaborazione di classe Fasci Italiani di Combattimento Interventismo Leggi
fascistissime Politica economica fascista Politica sociale (fascismo) Dalmine
Rivoluzione fascista Squadrismo Sindacalismo rivoluzionario Sindacato fascista
dei giornalisti Portale Fascismo Portale Politica
Portale Storia d'Italia Edmondo Rossoni sindacalista, giornalista e
politico italiano Oliviero Olivetti politico, politologo e giornalista
italiano Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali. Riccardo Del
Giudice. Giudice. Keywords: l’implicatura di Telesio, Telesio, polemica con
Spirito su la distinzione tra sindacato e corporazione, le corporazione nell
aroma papale, I diritti dello stato pontificio, il diritto della navegazione,
contratto, gentile, la scuola al lavoro – ‘dottrina e prassi corporativa” -- – la tesi di telesio – consiglio nazionale
delle corporazioni. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giudice: l’implicatura di Telesio” -- The Swimming-Pool
Library.
Grice e Giudice: all’isola – la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- corpi ed espressioni – filosofia
messinese – scuola di Messina -- filosofia siciliana – filosofa italiana -- Luigi
Speranza (Antillo). Filosofo messinese. Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Antillo,
Messina, Sicilia. Grice: “Giudice has written an essay that poses a conceptual
query for Austin’s conceptual query. It’s “Sull pudore” – “But do we have that in ordinary
language?”” – Grice: “Giudice has also written on more standard forms of
philosophy of language, and Nietzsche.” Dopo
aver espletato studi classici si laurea con la tesi “Ideologia e Sociologia” --
Ricercatore all'Istituto di Filosofia di Messina. Direttore della collana
"Filosofia Teoretica". Altre saggi: “La Nuova Filosofia, Messina,
Sortino “Il discorso filosofico” “Gli echi del corpo” Verona,Paniere, “Il
lessico di Nietzsche” Roma, Armando, Nietzscheana. Esercizi di lettura,
Messina, Alfa, “Il tribunale filosofico” I simboli delle cose più alte, Fedeltà
alla terra, Profili della contemporaneità, Cosenza, Pellegrini, “Stare insieme”
Cosenza, Pellegrini, La filosofia del finito, Cosenza, Pellegrini, Gl’echi, Cosenza,
Pellegrini Editore, Il corpo e l'espressione, Cosenza, Pellegrini, Scritti di
filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Emozioni e cognitività: Un approccio
fisiologico, Cosenza, Pellegrini Sul pudore -- Sul pudore e sull'osceno,
Cosenza, Pellegrini Breve documento sulla "nuova filosofia", Cosenza,
Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Su Messina e
altri scritti, Cosenza, Pellegrini, Morelli, Puoi fidarti di te, Milano, Mondadori,
Battaglia, Storia e cultura in Popper, Cosenza, Pellegrino, Battaglia, Guicciardini
tra scienza etica e politica, Cosenza, L. Pellegrino,, varie Giovanni Coglitore, Kant: cristianesimo
come impegno morale, in Il contributo,
L'Espresso, Studi etno-antropologici e sociologici,. Fisiologia
branca della biologia che studia il funzionamento degli organismi viventi
disambigua.svg Disambiguazione – "Fisiologo" rimanda qui. Se stai
cercando l'omonimo trattato antico, vedi Il Fisiologo. La fisiologia (da φύσις,
natura', e λόγος, 'discorso', quindi 'studio dei fenomeni naturali') è la
branca della biologia che studia il funzionamento degli organismi viventi,
analizzando i principi chimico-fisici del funzionamento degli esseri viventi,
siano essi mono o pluricellulari, animali o vegetali. L'Uomo Vitruviano
di Leonardo da Vinci, un'importante prima tappa nello studio della fisiologia.
È detta "condizione fisiologica" lo stato in cui si verificano le
normali funzioni corporee, mentre una condizione patologica è caratterizzata da
anomalie che si traducono in malattie. Data l'estensione del campo di studi, la
fisiologia si divide, fra gli altri, in fisiologia animale, fisiologia
vegetale, fisiologia cellulare, fisiologia microbica, batterica e virale. Il
Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina è assegnato dall'Accademia reale
svedese delle scienzea coloro che raggiungono risultati significativi in questa
disciplina. StoriaModifica Claude Bernard e i suoi aiutanti. Olio
su tela di Leon-Augus Wellcome. I primi studi fisiologici risalgono alle
antiche civiltà dell'India e all'Egitto, dove venivano condotti insieme agli
studi anatomici, senza l'utilizzo della dissezione o della vivisezione. Lo
studio della fisiologia umana come campo medico risale almeno ai tempi di
Ippocrate, noto come il padre della medicina. Ippocrate incorpora questa
scienza alla sua teoria degli umori, che si basa su quattro sostanze
fondamentali: terra, acqua, aria e fuoco; associate ad un corrispondente humor
(bile nera, flegma, sangue e bile gialla, rispettivamente). Ippocrate nota
alcune connessioni emotive ai quattro umori, che Galeno avrebbe poi ripreso nei
suoi studi. Il pensiero criticodi Aristotele e la sua teoria sulla correlazione
tra struttura e funzione ha segnato l'inizio dello studio della fisiologia
nella Grecia antica. Come Ippocrate, Aristotele riprende la teoria umorale, che
per lui consisteva in quattro qualità primarie: caldo, freddo, umido e secco. Galeno
è stato il primo ad utilizzare degli esperimenti per sondare le funzioni del
corpo. A differenza di Ippocrate, però, Galeno sostiene che gli squilibri
umorali siano situati in organi specifici, o nell'intero corpo. Galeno ha poi
introdotto la nozione di temperamento: sanguigno corrisponde al sangue; il
flemmatico è legato al catarro; la bile gialla è collegata alla collera; e la
bile nera corrisponde alla malinconia. Galeno afferma che il corpo umano è
composto da tre sistemi collegati: il cervello e i nervi, responsabili dei
pensieri e sensazioni; il cuore e le arterie, che danno la vita; e il fegato
con le vene, che sono collegati alla nutrizione e la crescita.[9] Galeno è
anche il fondatore della fisiologia sperimentale. Per i successivi 1.400 anni,
la fisiologia galenica influenza l'intera medicina. Fernel, un medico francese,
ha introdotto per primo il termine "fisiologia". Il fisiologo
francese Milne-Edwards introduce il concetto di divisione fisiologica del
lavoro, che ha permesso di "confrontare e studiare le cose viventi come se
fossero macchine create dall'industria dell'uomo". Ispirato dal lavoro di
Adam Smith, Milne-Edwards ha scritto che il "corpo di tutti gli esseri
viventi, animali o piante, assomiglia ad una fabbrica ... in cui gli organi,
paragonabili ai lavoratori, lavorano incessantemente per produrre i fenomeni
che costituiscono la vita dell'individuo." Negli organismi più
differenziati, il lavoro può essere ripartito tra diversi strumenti o sistemi
(chiamati da lui appareils). Lister studia le cause della coagulazione del
sangue e l'infiammazione. Le sue scoperte portano all'implemento di antisettici
in sala operatoria, con conseguente diminuzione del tasso di mortalità degli
interventi chirurgici. La conoscenza fisiologica ha iniziato a crescere ad un
ritmo rapido, in particolare nel 1838, grazie alla teoria cellulare di
Schleiden e Schwann, nella quale si afferma per la prima volta che gli
organismi sono costituiti da unità chiamate celle. Le scoperte di Bernard hanno
portato al concetto di milieu interieur (ambiente interno), che sarà poi
ripreso e definito "omeostasi" dal fisiologo americano Walter B.
Cannonnel. Con omeostasi, Cannon intendeva "il mantenimento di stati
stazionari nel corpo e i processi fisiologici con cui sono regolati. In altre
parole, la capacità dell'organismo di regolare l'ambiente interno. Va notato
che, William Beaumont è stato il primo americano ad utilizzare l'applicazione
pratica della fisiologia. I fisiologi del XIX secolo come Michael Foster,
Max Verworn, e Alfred Binet, sulla base delle idee di Haeckel, elaborano il
concetto di fisiologia generale, una scienza unificata che studia le cellule, ribattezzata
biologia cellulare nel 900. Nel XX secolo, i biologi iniziano ad interessarsi
agli organismi diversi dagli esseri umani, e nascono i campi della fisiologia
comparata ed ecofisiologia. Più di recente, la fisiologia evolutiva è diventata
un sotto-disciplina distinta. La fisiologia opera su diversi livelli,
occupandosi sia dei meccanismi di base a livello molecolare sia di funzioni di
cellule e organi, come pure dell'integrazione delle funzioni d'organo negli
organismi complessi. A seconda dell'ambito specialistico, la
fisiologia si avvale delle conoscenze di numerose discipline, oltre alle già
citate chimica e fisica, alcune branche della biologia quali: biochimica,
biologia molecolare, anatomia, citologia e istologia e costituisce anche la
base fondamentale per numerose discipline mediche quali la patologia, la
farmacologia e la tossicologia. Esistono diversi metodi per classificare
la fisiologia In base al taxon: Fisiologia animale: studia i fenomeni e i
meccanismi associati alle funzioni degli animali. Fisiologia vegetale: studia i
fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni dei vegetali. Fisiologia umana:
studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni degli esseri umani
Fisiologia microbica e virale. In base al livello di organizzazione: Fisiologia
cellulare: studia i meccanismi associati al funzionamento delle cellule e le
loro interazioni con l'ambiente. Fisiologia molecolare: studia i fenomeni e i
meccanismi associati alle funzioni delle molecole Neurofisiologia: studia il
funzionamento del sistema nervoso sia a livello cellulare che sistemico
Fisiologia sistemica Fisiologia ecologica Fisiologia integrativa In base ai
processi che causano variazioni fisiologiche: Fisiologia ambientale: studia le
reazioni e l'adattamento dell'organismo sottoposto a differenti ambienti
(temperatura, altitudine, inquinamento, ecc..). Fisiologia patologica: studia
le modificazioni delle funzioni in seguito ad una patologia. Fisiologia dello
sviluppo: studia i meccanismi e le fasi che conducono un organismo alla
maturità riproduttiva. In base agli obiettivi finali della ricerca: Fisiologia
applicata: studia la capacità umana d'interagire con l'ambiente esterno.
Fisiologia comparata: studia le somiglianze e le differenze delle diverse
specie animali. Fisiologia dell'esercizio: studia i meccanismi che interessano
l'attività motoria e sportiva e come migliorare le prestazioni con l'allenamento.
Prosser, C. Ladd
Comparative Animal Physiology, ambientale Environmental and Metabolic Animal
Physiology Hoboken, NJ: Wiley Introduction to Physiology: History And Scope,
in Medical News Today Hall Guyton e Hall Manuale di fisiologia medica Philadelphia,
Pa .: Saunders / Elsevier. Burma; Maharani Chakravorty. From Physiology and
Chemistry to Biochemistry. Pearson Education. Zimmermann. The Jungle and the
Aroma of Meats: An Ecological Theme in Hindu Medicine. Motilal Banarsidass
publications. Selin, Medicine Across Cultures: History and Practice of Medicine
in Non-Western Cultures, Springer Science & Business Media, Physiology -
humans, body, used, Earth, life, plants, chemical, methods, su
scienceclarified. URL Boeree, Early Medicine and Physiology, su
webspace.ship.edu. URL Galen of Pergamum | Greek physician, in Encyclopedia
Britannica. Stanley C. Fell e F. Griffith Pearson, Historical Perspectives of
Thoracic Anatomy, in Thoracic Surgery Clinics thorsurg.. Wilbur Applebaum. Encyclopedia of
the Scientific Revolution: From Copernicus to Newton. Routledge. Cervello. The Pulse del modernismo:
fisiologici Estetica a Fin-de-siècle Europa . Seattle: University of Washington, Milestones in
Physiology Archiviato il 20 maggio 2017 in Internet Archive. Brown e Elizabeth
Fee, Walter Bradford Cannon, in American Journal of Public Health, Brain, The
Pulse of Modernism: Physiological Aesthetics in Fin-de-Sicle Europe, University
of Washington Feder, ME; Bennett, AF; WW,
Burggren; Huey, RB New directions in ecological physiology. New York: Cambridge
University Press. Jr T Garland, P. A. Carter, Evolutionary Physiology Moyes,
C.D., Schulte, P.M. Principles of Animal Physiology, second edition. Pearson/Benjamin Cummings. Boston, MA, lemma di
dizionario «fisiologia» fisiologia, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Fisiologia, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Opere
riguardanti Fisiologia, su Open Library, Internet Archive. Fisiologia, in
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Portale Biologia: Biologia scienza che
studia la vita Storia della biologia Equilibrio idro-salino. Santi Lo
Giudice. Giudice. Keywords: corpi ed espressioni, corpo, espressione, pudore,
osceno, l’osceno nella Roma antica, l’osceno nella italia antica, fisiologia,
fisiologico, natura -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giudice: corpi ed espressioni” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giulia: la ragione conversazioanle e
l’implicatura conversazionale – filosofia calabra – scuola d’Acri -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Acri).
Filosofo calabro.
Filosofo italiano. Acri, Cosenza, Calabria. Grice: “Julia was more of a poet
than a philosopher; but then for Heidegger, philosophy IS poetry and vice
versa!” -- essential Italian philosopher. Studia a Cosenza sotto FOCARACCI (si veda). Direttore
di Telesio, periodico. Stringe grande amicizia PADULA (si veda). La temperie
culturale in ambito locale vede la difficoltà della Calabria a integrarsi nella
nuova entità politica. Area essenzialmente contadina, la regione ha una classe
dirigente che preferisce assoggettarla al clientelismo e alla sua arretratezza
piuttosto che metterla al passo con zone del paese più avanzate e progredite;
perciò il mondo intellettuale d'avanguardia, deluso dalle speranze e conscio
del sottosviluppo, si volge verso il positivismo e il socialismo. Vive tra il
tardo romanticismo e l'affermarsi delle innovative correnti costituite dal
naturalismo e dal verismo, nella scia di CARDUCCI (si veda) e VERGA (si veda).
Le contraddizioni della sua epoca lo formano come un intellettuale
spiritualista che rifiutail materialismo e in parte il mondo contemporaneo, e
d'altra parte un sostenitore degli ideali socialisti, del riscatto delle masse
disagiate e della glorificazione del passato della Calabria a partire
dall'assedio degl’Aragonesi e dei suoi conterranei coevi illustri, fra i quali
Miraglia, Padula, Quattromani, Tocco, oltre a CAMPANELLA. Accostatosi in un
primo tempo al misticismo di Gioberti, si converte al verismo, alla ricerca del
pragmatismo e di un modello di poesia di alto civismo che lo stesso G. proclama
nei suoi Sonetti e liriche. Parte dai miti popolari e dalle ballate della tradizione
romantica per marcare orgogliosamente la storia della sua terra. Considerato il
padre della letteratura calabrese, si interessa alle origini della cultura
letteraria della regione analizzando anche alcune opere a lui precedenti. Il
suo impegno regionalistico si concretizza in uno studio su Selvaggi, nel quale
si individua un collegamento fra Galeazzo di Tarsia e le produzioni romantiche.
Vi fu poi un saggio su Padula e un esame delle liriche riferibili all'Accademia
Cosentina. Sa però spaziare oltre i confini delle sue terre, fino a richiamare
Milton nel suo scritto dedicato a Padula. Oltre a uno studio su Monti, produce
dei lavori anche su Mazzini, Poerio, Correnti, legati dall'attenzione alle
tematiche relative al Risorgimento e perciò in convergenza con il proprio
pensiero, che dal punto di vista della poetica si richiama ai modelli che il
letterato individua in Leopardi, Berchet e Giusti, oltre che in Prati. Piromalli, La letteratura calabrese, Pellegrini,
Cosenza; Monografia su calabria o, su calabria. Digital Storytelling su G. a
cura degli studenti del Liceo G. di Acri, CS. Ovvero delle famiglie nobili e
titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al libro d'oro
Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che gioccano un ruolo nelle vicende
del Sud Italia. Famiglia G. A cura di Dodaro Socio Corrispondente
dell’Accademia Cosentina, Arma: d’azzurro alla fascia d’oro accompagnata nel
capo da un destrocherio di carnagione tenente un uccello di nero e in punta da
un albero radicato al naturale. Titolo: Nobile d’Acri. Arma Famiglia
La famiglia G., in origine nota come de “Giulia”, figura fra le antiche e
nobili casate d’Acri, Cosenza. I G. godettero sempre nella locale società di un
buon livello di prestigio sociale come testimoniato dalle alleanze matrimoniali
contratte con diverse famiglie patrizie fra le quali ricordiamo le seguenti:
Benincasa, Candia, Capalbo, de Simone, Dodaro, Falcone, Fusari. Simbolo della
condizione privilegiata della famiglia è il grande palazzo sito tra il rione
Casalicchio ed il quartiere Piazza. Tale edificio, al cui interno si conserva
la ricca biblioteca di famiglia, è abbellito da un portale lapideo sul quale
spicca un mascherone sormontato da un’antica riproduzione in pietra dello
stemma del casato. Il suddetto blasone è timbrato dalla classica corona a
cinque punte che identifica i Julia come nobili. Acri, Palazzo Julia,
portale con atto del notaio Gaudinieri, il sacerdote Nicola Maria J.
fonda una cappella privata sotto il titolo dell’Immacolata Concezione
all’interno della chiesa di San Nicola di Bari in Acri situata nel rione
Casalicchio. Fabrizio J. vende a Sanseverino un terreno dove e edificato
l’imponente complesso del palazzo acrese dei principi di Bisignano,
permutandolo con la casa e il fondo Macchia. Dal matrimonio fra il dott.
Raffaele e la N.D. Giuseppina Capalbo nacquero Salvatore ed Antonio dei quali
il primo è rinomato avvocato mentre Antonio viene ricordato come “Medico
illustre” che “in età provetta, in pochi mesi, studiò leggi presso il Focaracci
e ne apprese quanto ne anno i più maturi; onde s’incentrarono in lui il medico
e l’avvocato. Fra i personaggi celebri di questa famiglia ricordiamo il citato
Raffaele, Governatore di S. Giorgio e Vaccarizzo. La figura cui si lega
maggiormente la fama del casato è quella di G., FILOSOFO. Allo stesso è
intitolato il liceo – LIZIO -- d’Acri. Svolge gli studi presso l’istituto
Molinari di Acri ed il seminario di S. Marco Argentano. Frequenta il seminario
di Bisignano dove ebbe come insegnante il Canonico acrese Francesco Saverio
Benvenuto, quest’ultimo colto latinista nonché teologo, filosofo e parroco
maggiore di Santa Maria in Acri. Intraprese
gli studi giuridici e per alcuni anni esercita la professione di avvocato poi
accantonata a favore dell’insegnamento di materie filosofiche. Quanto alla sua
produzione filosofica questa e quella del poligrafo (letteratura, filosofia,
storia, cultura calabrese) inoltre. Nei suoi studi predilesse la valorizzazione
e la riscoperta di figure regionali poiché gli pareva che la Calabria fosse
dimenticata e poco apprezzata dopo la raggiunta Unità. Fra le sue opere
ricordiamo: Saggio sulla vita e le opere di Gravina, Saggio di studi critici su
Selvaggi e la Calabra poesia, ROVERE e i suoi dialoghi di scienza prima,
FIORENTINO filosofo, Lettere al figlio Antonio su Cesare, SANCTIS in Calabria,
Monti. Muore in Acri. Telesio, rivista codiretta da J. Antonio J. figlio
di Vincenzo, avvocato e raffinato poeta sposa, in prime nozze, Mariantonia
Dodaro, figlia dell’avv. Giovanbattista e di Cristina Benvenuto. Il loro è un
matrimonio felice e allietato dalla nascita di Maria Gabriella, Vincenzo e
Antonietta. Antonio G. e sua moglie Mariantonia Dodaro Antonio G. è
legato da sincero amore a sua moglie e quando questa prematuramente scomparve,
riversò il suo dolore in alcuni toccanti componimenti poetici che rappresentano
una struggente testimonianza del suo dramma interiore e assieme della sua
spiccata sensibilità d’animo. AL CROCIFISSO DEL SUO LETTO Non più le sue
lucenti Pupille a te si volgeran la sera; non più per le dolenti mie stanze
echeggerà la sua preghiera. O tu, che pendi ancora, mistico Iddio, sul vedovo
mio letto, volgi le luci ognora sovra i miei figli e sul paterno
tetto! Dimmi che ancor le rose Olezzano per te, vigile Iddio, le parole
amorose che a te rivolse, ne l’estremo addio. Dimmi che ancor tu senti La voce
sua, ne l’ombre de la sera, e che, in soavi accenti, mormora pe’ suoi figli una
preghiera! Gli smalti dello stemma J. sono noti grazie ad una raffigurazione
del blasone in oggetto riportata dallo storico acrese Capalbo in un suo lavoro
inedito sull’araldica delle famiglie nobili d’Acri. Nella riproduzione del
blasone dei G., visibile ancora oggi sul portale del loro palazzo in Acri, il
destrocherio appare vestito. (2) - Per approfondimenti si rimanda a CHIODO,
L’Archivio Privato della famiglia G. di Acri - Inventario sommario, in
“Archivio Storico per le Province Napoletane. Per un elenco completo delle
famiglie patrizie di Acri si vedaCAPALBO, Memorie storiche di Acri, S. Giovanni
in Persiceto (BO), Edizioni Brenner, CAPALBO. Quest’ultima, appartenente a una
famiglia originaria di Rogiano Gravina, sorella di Balsan, letterato e deputato del regno d’Italia
nonché preside del liceo Telesio di Cosenza. Lo stesso figura tra i maestri del
nipote PIROMALLI, La Letteratura Calabrese, Cosenza, Pellegrini. Per
approfondimenti su alcune vicende storiche che interessarono la famiglia Fusari
si rimanda a CAPALBO,- G. vincenzo. atavist. Alcuni anni dopo il decesso della
prima moglie, si unirà in matrimonio con Maria Beatrice Antonietta Romano di
Acri. Poi sposatasi con Carlo Giannice Andata successivamente in sposa a
Giuseppe dell’Armi A. G., Momenti, S. Maria Capua a Vetere, Casa ed. Della
Gioventù, Si veda anche il componimento intitolato “Alla Vergine della Sua
Stanza”. Questo egregio, su cui fondiamo, a buon dritto, non pic cola speranza,
per le diverse prove del suo nobile ingegno fin'ora dateci, coltiva con forte,
inteso amore le filosofiche discipline, tutto solo rannicchiato in piccol
paesuccio delle Calabrie, Acri. Egli, da quello n'è sembrato, predilige la
filosofia di quel sommo torinese filosofo, che col suo primato Civile e Mormale
D'Italia fanatizzò tutti isuoi connazionali per la dupla autonomia del loro paese,
Libertà ed Indipendenza; e con l'Introduzione allo studio della Filosofia, la
Protologica ed altre opere speculative ispira nei cultori di questa no
bilissima scienza l'amore delle nazionali dottrine. J. a dunque è un
giobertiano, un ontologo, e per lui quindi sta che l’ente, il primo essere,
Colui che dà l'essere a tutte cose, non però spezzandosi, non diffondendosi, nè
emanandole dal suo seno, come il ragno il ragnatelo; ma liberamente creandole;
per lui dico sta, che l'Ente, l'ASSOLUTO reale, non astratto, quale il pose, il
proclama Hegel, è il Primo Filosofico, cioè a dire è non solo il primo essere o
primo ontologico; ma anche la Prima Idea o Primo Psicologico. Sicchè non solo
anno le cose tutte da Dio l'essere loro, ma anche la loro intelligibilità.
Verità già insegnata dal fondatore dell'Accademia, il divino Platone, il quale
dice che l'idea del DIIVINO è pel mondo intelligibile quello che il sole è pel
mondo visibi le, e che l'essere assoluto dà alle menti nostre l'esistenza e
spande su loro e sugli obbietti della scienza illume della verità« detí v
8.& Tlothuns oùoxv xai adnocías» come il sole, che non solamente rende
visibili le cose, ma dona loro eziandio il nascimento, l'accrescimento e la
maturita -- τον ήλιον τοϊς ορωμένοις ου μόνον , οίμαι τήν του οράσθαι δυναμιν
παρέχειν φήσεις , αλλά και την γένεσιν αυτών όντα. Quindi per J. sta quel
metodo detto deduttivo, o sillogistico, che dai principii va alle conseguenze,
ma non come pretende il fondatore del Peripato del LIZIO, il qua le fa il
sillogismo posteriore all'induzione, ed il cui scopo non consiste in altro che
in applicare i principii alle cose particolari a meglio rifermarle. J. ha
capito bene che l'induzione non può darci punto tanto i principii proprii a
ciascuna scienza, quanto i principii comuni ed assolutamente universali. I
principii sono ontologici ed originalmente presenti alla intelligenza, secondo
dice il divino Platone, e non già puramente logici ed astratti, secondo dice
Aristotele, che li vuole prodotti la merce dell'intelligenza con gl’elementi
fornitici della sensazione. Nè debbe dirsi che J. neghi l'induzione. Ei
l'ammette, e nel senso di venir essa provocata, sostenuta e guidata in noi dal
lume di certe idee generali sempre presenti all'anima nostra, essendo un
impossibile elevarsi da qualche fatto individuale e variabile all'idea della
legge generale e permanente, senza averci di già nella mente, almeno in una
maniera vaga e confusa, l'idea di ordine, di generalità e di stabilità. Laonde
dice Laforet nella sua storia della filosofia antica, in parlando del LIZIO. Comment s'élever de la
perception de faet contingents et relatif à l'idée de principes nécessaires et
absolus, si le necessaire et l'absolu sont entieremant étrangers à
l'intelligence? Dunque pel J., come per ogni giobertiano,
si deve partire di Dio per costruire la scienza filosofica ossia dalla idea
somma ed improdotta , perché è quel principio supremo che illumina e rende
conoscibili gli altri principiimeno generali e senza di cui non potrebbe aversi
quella sintesi obbiettiva, che argumenta di necessità nel suo moto organico la
gerarchia dei principii scientifici; e deve radicarsi in un principio assoluto,
supremo, universale, immutabile, il quale, reggendo colla sua virtù ogni
singolar passo del procedimento razionale, accorda ed unifica tutti imomenti
del discorso ideale, e tutta insieme 1.umana enciclopedia. Laonde dice
saviamente nel suo dotto di scorso intorno al Panteismo Attanasio, nella La
Carità di Napoli. Sintesi senza gerarchia di principii io non intendo
nell'ordine dell'idee, come non vedo nell'ordine umano sociale e nell'ordine
fisico di natura. E ingradamento di gerarchie che ponga in atto una sintesi
universale torna impossibile a concepire pur col pensiero senza un principio
supremo, essenzialmente uno ed immutabile, che sia il centro immoto che governi
i moti del multiplo e del diverso e tragga a sè ed accordi il multiplo e dil
diverso». Laonde, lasciando chel'induzione non conduca ai principii, a ciò che
è universale , sia che dessa fosse positivista o come la intende il
positivismo, siache fosse anche nel senso di Aristotsle, ci facciamo a lodare
J. per avere ei scelto quel sistema, che parte dall'idea dell’ASSOLUTO reale
per costruire la scienza, non sipotendo, per tante e tante ragioni dette e
ri-dette, porsi per primo conoscibile ciò che non è prima cosa; per chè
sarebbe, seguendo questa via, un turbare l'armonia della scienza filosofica;
giusta che vien fatto dai psicologi, i quali partono dal contingente, ed oșano
spiegare l'assioma degl’assiomi, la verità prima con la verità seconda, e
separare l'ordine di esistenza da quel lodi conoscenza, il primo psicologico
dal primo ontologico, dando questo per primo filosofico. Di qui non potremmo
esserer improverati che atorto, se dicessimo che iseguaci del PSICOLOGISMO di
Aristotele -- non però di quelle d’AQUINO (si veda) ch'è ben altro -- siam
lontani da una vera scienza; perché la scienza è con la sintesi, e la sintesi
co'principii, e la gerarchia dei principii scienziali nel principio sommo, Dio,
radicata. Siechè scienza sull'ANALISI è scienza effimera, è scienza di nome,
essendo disgregazione, e tale è la filosofia di Aristotele, siccome è conto da
quei due principii ammessi da lui. Nihilest in intellectu,quod prius non fuerit
in sensu -- e che l'anima nostra si
rassomiglia ed una tavolarasa -- Δείδ'ούτως ώσπερεν γραμματειωώ μηθένυ πάρχει
εντελεχεία γεγραμένον. È quantunque fosse vero che il LIZIO ammettesse
l'intelletto attivo profondamente distinto dalla sensibilità, essendo quello
che opera 83 $¢%su ciò che ci vien porto dalla sensazione, per tirarne od
indurne avec lemonde intelligible; sun intervention n'apportedo nerien de now
eri veau à ce qui est déposé dans l'àme par suite de la perception des 0C sens,
il ne peut qu'exercer son activité et travaillier sur ce qui est racu dans
l'intellect paseif. L'intellect actif d'Aristote nous semble jouer, redans la formation de la
connaessance,un rôle exactement samblable à 1021"celui que joue la
reflexion de Locke; ni l'un ni l'autre n'ajoutent ta rien à l'objet fourni par
la sensation, toute leur action seborné à éla:) doaborer cet objet Dunque
nonpuò farsi ammeno di ammettere col ret. J. e la scuola giobertiana l'apprensione diretta ed
immediata, din cioè l'intuito dell'assoluto, e ritenere essere questi la prima
idea, la l'oprima conoscenza, che, per la via di un primo guardare, viene al.
into: l'intelletto umano nello stato d'intenebramento, che la riflessione di in
poi, la quale èun secondo intuito od un ripiegamento dello spirito e sopra il
primo intuito, chiarifica e fissa, e non già che la si acqui isti e conosca in
forza del raziocinio, passandosi dalla cognizione a iilistratta, ottenuta per
la via dell'induzione, a quella concreta del V e on& ro Assoluto, avendo
ben dimosorato altrove, che i psicologi si tro fost vino in grande errore,
credendo ed insegnando, che Dio siccome ve fosesrità assiomatica, essendo
universale, necersaria ed immutabile, debba 18 essere astratta,e che vi bisogna
di forza indispensabilmente il ra ley ziocinio per ascendere, mediante essa
verità astratta, al vero primo buik ed assoluto, mentre, siccome facemmo notare
in proposito di Milone. Insomma, senza menarla piùinlungo, della insignescuola
on anda tologica è J., siccome l'ha mostrato co'suoi vari scritti di ar
veratgomento filosofico e conquello, veramente stupendo, Discorsointorno alla
vita ed alle opera di Balsano, in cui, prendendoa consi ost: der ar e questo
disgraziato dotto Calabrese, divenuto vittima del pugnale di un assino, e,
considerandolo non solo quale oratore egregio ed acuto critico,ma anche
qualeillustre cultore delle scienze filosofi cincche, e forte amatore del
sistema ontologico, palesa a chiare note i suoi O. pensamenti in fatto di filosofia,
che sono indubitatamente quelli del Pladiotonismo, cristianizzato d’Agostino,
ammirato d’AQUINO (si veda) e d’ALIGHIERI (si veda), divulgato da Gioberti, ed
abbracciato dalla th, maggior parte de'pensatori nostrani. La FILOSOFIA di J.
che ci avemmo in dono da lui medesi i mo , palesa ad evidenza non solo la
scuola filosofica cui appartie ne; non solo la lucentezza delle idee, ond'è
corredata sua mente; e non solo l'affetto per la patria grandezza quanto a
politica, governo e civile, scienze, lettere ed arti; ma dàanche prova della
perizia che l'universale ed elevarci sino alla concezione dei principii; pure
non to bisogna dimenticarci che nella teoria dello Stagirita è desso affatto
& vuoto, senza alcun rapporto diretto col mondo intelligibile, da potersi
pelo dire che nella conoscenza eserciti l'ufficio nè più nè meno della
riostruflessione di Locke. E dice bene Laforet. Dans la theorie du Stagirite
l'intellect actif est tout a fait vide et n'a nul rapport direct Profilo
Bibliografico pubb. nella Rivista Itoliana di Palerino ela:Anno IV,N. 11, nonci
ha cosa più chiara, che essa verità assio -artormatica primitiva è obbiettiva
in sommo grado,appunto per le sue veritacaratteristiche di universalità,
necessità ed iminutabilità. COSS me adal tile. // ne 84 ha ei nell'idioma
nazionale. Sicchè è a rallegrarci con lui dei buoni studi, dell'amore delle
nazionali dottrine dell'eccellenza del sistema che ha adottato nelle scienze
speculative, anteponendo (fra i due sistemi che veramente possono dirsi i più
perfetti, essendo ambo sin tesisti, cioè a dire razionalo-empirici od
empirico-razionali) l'ontologismo al psicologismo, e, fuggendo, quelloche è
più, gl’eccessi del razionalismo e dell'empirismo, e quei tali sistemi erronei,
idealismo e positivismo, pei quali delirano i filosofi, da cui camminando si di
questo passo, non ci possiamo attendere, se non un ar venire sventurato.
Prosegue J. i suoi studii filosofici, e ci offra lavori speculativi di maggior
lena, per poterlo vie meglio ammirarlo, e rallegrarcene con lui. Delle
dottrine filosofiche e civili di Gravina per Balsano, con saggio sulla vita e
sulle opere del Gravina per J. — Cosenza, Mgliaccio. Gravina è considerato dai
più come poeta e letterato segnatamente pel suo trattato della Ragione poetica,e
come insigne giureconsulto, specie per lasua opera De ortu et progressu juris civilis.
Ma eglime rita,sotto un certo rispetto,d'essere altresi considerato come
filosofo e per le dottrine speculative che professava e per quei sommi
principii a cui s'informano i suoi SAGGI DI FILOSOFIA, dovendo le scienze
particolari e d'applicazione, quali sono appunto le discipline giuri diche e
pratiche.esser precedute ed illuminate da una scienza speculativa più alta ed
universale, cioè dalla Filosofia propriamente detta. A nostri giorni il
calabrese Balsano si pro pose di far meglio conoscere le dottrine filosofiche e
civili di Gravina, studiando accuratamente e con intelletto d'amore le opere
del suo grande concittadino. Ma Balsano, non che pubblicarlo, non potè compiere
il suo lavoro, perchè trafitto dal pugnale dell'assassino! J. ha raccolto la
sacra eredità del suo venerato maestro, dettando un'eru dita ed ampia
monografia sulla vita di Gravina, e pubbli candola insieme al lavoro inedito
del Balsano. In questa vita e troviamo uno specchio breve ma
fedele dei tempi di Gravina, specie riguardo agli studii; la pittura del
carattere morale del pensatore rogianese, un cenno de'suoi numerosi scritti e
de'suoi meriti letterarii. L'opera del Balsano, dettata in una forma quanto
castigata altrettanto elegante ed elevata, contiene una larga esposizione dei
pensamenti di Gravina diretti a coordinare tutte le sue meditazioni di
filosofia speculativa e di morale , di religione e di diritto, di estetica e
d'insegnamento, di politica edi civiltà. È divisa in due libri. Nel primo si
ragiona delle dottrine civili. Quanto alla filosofia, da Balsamo si cerca dimo
strare che Gravina, studioso della TRADIZIONE DELL’ANTICA FILOSOFIA ITALICA,si
attenne specialmente alla dottrine platoniche (come apparisce anche
dall'Orazione sua De instauratione studiorum), armoneggiandole col progresso
della civiltà cristiana, delle scienze particolari e massime del Diritto, egli
che aveva meditato le opere dei sommi giure consulti romani, e che aveva piena
la mente ed il petto della grandezza di ROMA antica. Le dottrine platoniche da
lui professate gli fecero innalzare la mente ai principii sommi del Diritto, a
meditare la riforma delle dottrine civili, ed a comprendere la sintesi
el'armonia delle parti principalidel sapere. Difatti, Gravina vedeva la scienza
umana come un'armonia e ricordava la piramide in cui egli dice espressamente
avere gli antichi savi simboleggiato la scienza umana e la natura delle cose:
il che significa che per lui l'ordine della scienza risponde a quello della
natura, l'idealità alla realità; e come il primo vero è l'idea divina nota da
principio all'intelletto creato, così il primo essere è Dio creatore della
scienza e della natura. Tutto l'ordine dei contingenti reali ha sua causa
efficiente nell'ASSOLUTO che licrea; tutto l'ordine delle cono scenze empiriche
ha sua origine nell'idea eterna, presente sempre all'intelletto umano e norma o
tipo a cui si riscon trano le cose finiteapprese per esperienza sensibile. E
sotto questo aspetto può dirsi che Gravina precorresse a Gioberti, che in cima
del sapere e dell'essere doveva porre Dio creatore. Adunque il contemporaneo di
VICO (si veda) non segui le dottrine del Locke, ma invece quelle più elevate di
Pla- [Disp.] tone e del Cartesio, quantunque non și mostrasse sempre giusto
verso il LIZIO. Ma se a Gravina non può negarsi un certo valore filosofico, i
suoi veri meriti risguardano, più che la FILOSOFIA ela Letteratura, la
Giurisprudenza. Preceduto da Gentile, da Bacone e da Grozio, Gravina non solo
ricercava l'origine del Diritto e ne indagava iprogressi (De ortu et progressu
juris civilis), ma sapeva altresi elevarsi alle idealità o ai principii supremi
del Diritto. Quindi è che a lui debbono molto la Storia del Diritto, specie, di
quello romano che insegna in Roma stessa, e la FILOSOFIA. Gravina, esaminando
l'origine e la natura del Diritto, non lo separava dalla Morale come oggi fanno
taluni, perchè nella legge morale,da cui scaturiscono tutti i doveri umani,
trova pure il suo primo e vero fon damento il diritto. Egli precorse al Savigny
da un lato, al VICO e Montesquieu dall'altro, interpretando con larghezza di
veduta la storia civile e giuridica di ROMA. Balsano si è proposto di ritarrre
ilGravina non solo qual eminente giureconsulto, sì ancora qual filosofo civile,
mostrando com'egli additasse le norme eterne d'ogni società umana (che
ammetteva come un portato della natura) nella vita privata e pubblica,
nell'ordine privato e politico. Ma ripetiamo, Balsano non potè compiere l'opera
sua; la quale del resto, merita di essere conosciuta e studiatadai cultori
della Filosofia, benchè ci sembri scritta con entusiasmo soverchio verso il
proprio concittadino risguardato come filosofo. DISCORSO Recitato nella sala
dell'Accademia Cosentina). Piansi,o Signori, nella mia pensosa solitudine, la
morte immatura del caro Fiorentino, che mi fu amico e fratello!; vengo ora a
glorificarne l'ingegno nel tempio della scienza, innanzi al simulacro del
vecchio TELESIO, al cospetto di dotti Accademici, di fervidi giovani, dieletti
ingegni, di distinti Professori, che meglio di m e , nato e cresciuto nelle
montagne, potrebbero valutarne i forti studi e la vasta intelli genza. Parlerò
con franchezza, senza adulazioni rettoriche, senza intemperanze di lodi;
dinanzi ad uomini gravi ed austeri le apoteosi e la rettorica sono un
fuordopera. La parola mendace è un insulto alle ceneri di Fiorentino, uomo
sovero ed aperto, che disdegnò il lenocinio e le bel lezze oratorie, sa dire
con schiettezza di calabrese la v e rità ad amici e nemici, e fu audace
demolitore del vecchio mondo; inesorabile agl'ipocriti ed ai ciarlatani. Nella
rioca personalità del Fiorentino grandeggia il filosofo ed il pensatore; lascio,per
ora,ad altri di me più competenti, esami nare il letterato, lo scrittore, ed il
cittadino; io vi parlerò soltanto dell'Autore di BRUNO;del Saggio Storico sulla
Filosofia; di POMPONAZZI e di TELESIO; quat tro titoli di gloria , che
basteranno a rendere immortale il nome di Francesco Fiorentino. [Vedi il saggio
su Fiorentino da J. pubblicato nell'Avanguardi, riprodotto dalla Gazzetta
Calabrese e dal Calabro in Catanzaro; dal Corriere del Mattino e dall'Ateneo,
in Napoli. L'Italia, o Signori, fu scossa nei principi del secolo, dopo la
grande Rivoluzione dell'ottantanove, dalla parola del nostro GALLUPPI, che il
Gioberti chiama il Nestore della sapienza italiana. Senza mistiche
intemperanze, senza voli metafisici, ei richiamò, nuovo Socrate, la mente degl’italiani
ad indagare il me e la coscienza; a scrutare profondamente ilsubbietto umano;
e, rigettando lequiddità scolastiche ed il sensismo di Condillac e di Tracy,
contribui à rinnovare presso di noi il metodo naturale , e fu salutare reazione
all'esorbitanze speculative del secolo decimottavo, Conscio dell’esigenza
storioa del secolo decimonono, Galluppi inizia presso di noi lo studio della
storia della filosofia; indovino, pur combattendola fieramente, l'importanza
speculativa della sintesi a priori, che in parte accetto; e, benchè avesse
trascurata la Rinascenza, Telesio, Bruno, Campanella, può dirsi, IL VERO
EDUCATORE DELLO SPIRITO FILOSOFICO IN ITALIA. La Calabria, terra delle grandi
iniziative e delle magnanime audacie, si elevò con Galluppi all'altezza del
pensiero moderno, e fu, sarei per dire, la squilla settimon tana di CAMPANELLA,
che risveglia in Italia il pensiero laicale ed umano, il pensiero puro ed
universale. FIORENTINO studia Galluppi, ne comprese l'indirizzo storico, o gli
piacque la nuova e socratica spe culazione, che un modesto filosofo inizia
nella estrema Calabria, sulle rive di quei mari, che ripetono ancor l'eco delle
armonie pitagoriche. Galluppi, con le sue serene e casalinghe meditazioni, non
bastava ad appagare il libero ed irrequieto ingegno di Fiorentino, aquila delle
montagne, che volea spezzare le pastoie del vecchio mondo e della speculazione
galluppiana. In mezzo a queste ansie intellettive sopravvenne Gioberti a
scuotere le menti dei meridionali con la magica parola; ed Fiorentino, assetato
di ideale e di patria, come tutti i forti ingegni di Calabria, accettò
anch'egli la mistica speculazione giobertiana, o è idealista platonico ed
ortodosso. E chi potea, pria del sessanta, resistere al fascino di Gioberti?
Chi rinnegare la p a tria, ch'egli glorificò nelle pagine immortali del
Primato? Guerrazzi chiama Gioberti scintilla piovuta dal Vesuvio sulla cima
delle Alpi: veramente ci è in lui l'audacia, la fiamma profetica, la
divinazione geniale del Mezzogiorno; ci è VICO e Campanella, AQUINO o Bruno; ci
è la fede dei credenti, lo spirito ribelle dei tempi nuovi, l'ome rica fantasia
di Platone, l'austero sillogismo di Aristotile. Nei dolori dell'esilio, egli
scrive la Teorica del Sopranna turale, ch'è l'apoteosi della vecchia ortodossia
; riassunge nella Introduzione tutto il passato teologico e tradizionale,
rinnovò il realismo del Medio-Evo, sposandolo al pensiero moderno; risuscitò
nel Primato, con l'entusiasmo del pro feta, i titoli della nostra grandezza, e
lanciandosi col volo dell'Aquila alpigiana nel grembo dell'essere, credette di
averne interrogate le profondità, ringiovanito il vecchio Dio della Scolastica
, e sciolti tutti i problemi con la formola ideale e con l'ente creatore.
Gioberti non arrestossi a metà; e, ringagliardito da nuovi studî, ingegno
audace e progressivo, com'era, accettò gran parte della speculazione moder na,
e, spastoiandosi dal vecchio teologismo, dalle utopie del Primato, inaugura la
nuova Italia col Rinnovamento; la nuova Scienza con la Protologia, e la nuova chiesa
con la riforma cattolica, e con la filosofia della rivelazione; sebbene non
interamente emancipato dalla vecchia ortodos sia. Ai tempi che Gioberti pubblica
il Rinnovamento, ed Massari le Opere postume del suo grande amico, le Calabrie
erano chiuse dalla muraglia cinese, ed ilnuovo pen siero laicale di Gioberti
non potè penetrare nei nostri boschi. È ancora innamorato del misticismo e
della formola ideale; gl’eroi della Rinascenza non sono ancora conosciuti tra
noi; o SPAVENTA, esule a Torino, dove pubblica i suoi stupendi Saggi Critici su
Bruno e Campanella, e quasi ignorato in Calabria. Fiorentino, non bisogna
nasconderlo, avea subito an. Scrisse allora a Napoli Bruno, un Saggio, come
schiettamente confessa l'Autore; composto in tutta fretta nelle vacanze, e
disteso in soli ventotto giorni. Quel Saggio, benchè imperfetto, segna il primo
momento della critica evoluzione del nostro in filosofia, il passaggio, cioè,
dal dommatismo giobertiano alla speculazione libera e laicale dei tempi
moderni. Nello studio del passato Fiorentino trova la spiegazione dei
posteriori sistemi; e, poichè non poteva valutare le teoriche di Bruno, senza
risalire alle origini, guarda la dialettica nelle scuole di CROTONE e VELIA, e
ne rilevò con sa gace giudizio l'importanza speculativa nel gran dramma del
greco pensiero. Si occupa, egli il primo, presso di noi, della stupenda
Dialettica del cardinale di Cusa, e ne indaga i le gami col sistema del Nolano,
dove causa e principio sono una medesima cosa, e la esteriorità della causa e
la inte 1 Leggeva i SS. Padri in una cella di monaci: ne trascrisse molto; e ne
pubblica alcuni saggi a Messina, voltandole in italiano. Cusani; Aiello; Re;
Salvetti; Gatti; Spaventa e Spaventa; Imbriani; Meis; Tari; Savarese; Perez;
Mancini; Sanctis; Marselli; Trinchera; Turchiarulo; Zio; Quercia ed altri. pensiero
germanico, diffuso nel mezzogiorno dai più forti ingegni del Napolitano;
indovina la grandezza speculativa della Rinascenza, e si sentì attratto
dall'eroica figura del Nolano ch'egli l'influsso dei Santi Padri, e,
principalmente, come dicemmo, del filosofo torinese, che da lui studiato profon
damente in gioventù, non fu dimenticato nella età matura, in mezzo ai più
splendidi trionfi del suo ingegno. Venne però il sessanta, con le sue titaniche
audacie, e con le sue immortali demolizioni a svegliare Fiorentino dalla sua
fede dommatica e dal suo sonno ortodosso; e, benchè non ancora emancipato da Gioberti,
si volse a studiare il riorità del principio si ricongiungono nell'Uno, ch'è
insie me causa e principio. L’uno nel sistema del Nolano, è totalità assoluta;
vale a dire che come principio della forma zione dello cose è minimo,come
totalità perfetta ó massimo; come identità del principio e della fine piglia il
nome di uno, ove tutto si assorbe, come in vasto ricettacolo; ove il pensiero e
la realtà si confonde in una identità suprema. In ciò consiste il panteismo di
Bruno, che Fiorentino rigetta, soggiogato da Gioberti, confutando l'eccletismo
poco omogeneo, gli ondeggiamenti e le contraddizioni del Nolano, che fonde
insieme la Causa dei Pitagorici, l'Uno di VELIA, ed il Principio
degl’alessandrini. E pure, ad onta delle prevenzioni ortodosse e giobertiane,
Fiorentino non disconosce le novità laicali, di cui è ricco il sistema del
Bruno; la maggioranza del pensiero, la menta lità, che splende come intelletto
divino, mondano, partico lare,ed ilconcetto direlazione, ch'è tanta parte della
Protologia del Gioberti, e costituisce il verace assoluto; l'assoluto, cioè,
della moderna speculazione. Dallo oscillare di Bruno tra la Scolastica e la
Rinascenza deriva che il finito ora è una vana parvenza, ora la massima realtà;
ed il Nolano ondeggia tra Eraclito e Parmenide di VELIA, tra il flusso c o n
tinuo e la rigida immobilità. Fiorentino mette Bruno in relazione con Spinoza e
Schelling, ne nota col solito acume le differenze e le somiglianze, o conclude
che i tre filosofi si rassomigliano nella prospettiva generale del sistema,
hanno il medesimo intendimento di unificare la scienza e d'immedesimarla col
mondo; cercano fuori del pensiero il centro della loro unità, e costituiscono
quella serie di Panteisti, che si dicono obbiettivi; l'Uno, la Sostanza, l'Assoluto
sono tre creazioni parallele. Fiorentino analizza del pari la dialettica di
Hegel e di Gioberti, monumenti immortali della moderna speculazione, e nota che
in Hegel e Gioberti contrastano due tradizioni, due filosofie, e due nazioni;
la filosofia della creazione e la filosofia della identità, il
cattolicismo ed il razionalismo, l’Italia, patria d’AQUINO o d’ALIGHIERI, e la
Germania, patria di Lutero e di Göthe. Fiorentino, senza sconoscere la
importanza della filosofia tedesca, glorifica la vecchia formola giobertiana,
il cattolicismo e la rivelazione; rigetta quasi il pensiero moderno, desidera
il rinnovamento della antica filosofia italiana, e, collocando sugl ialtari il Gioberti
della Teorica e della Introduzione, chiude il Saggio con queste parole. Sogna
che il nome di GIOBERTI suonerebbe terribile sui campi di battaglia, e
venerando tra le arcale della Università. Quel mio sogno giovanile si è
avverato in gran parte e la indipendenza e l'unità della « mia
patria,propugnata da quel grande statista, è presso a compiersi; mi sarebbe ora
assai dolce il vedere una « scuola ed un'accademia iniziarsi, diffondersi ,
giganteggiare in quel nome si caro ad ogni italiano, con quella « formola,che
assomma la scienza e la fede dei nostri padri. Da esse soltanto noi potremo
sperare, compagni di quelli che combatterono a Curtatone, e cacciarono
gli’austriaci da Varese e da Como. Bruno porta Fiorentino ad uno studio più
accurato della greca filosofia, di cui è anche specchio e ri produzione, in buona
parte, la Rinascenza italiana, della quale il Nolano è l'eroe ed il martire.
Professore straordinario di Storia di filosofia a BOLOGNA, Fiorentino si da a
studiare alacremente e con tenacità di calabrese Aristotile e Platone. Si fatti
studii, come racconta egli stesso, gli apreno nuovi orizzonti, gli allargano la
vista intellettiva, o gli fanno scorgere il difetto fondamentale della
filosofia giobertiana. Fiorentino si allontano da Gioberti, non col cuore, si bene
con la mente, ch: i forti amori non possono dimenticarsi. Rude e franco
calabrese, intelletto austero, Fiorentino si emancipa dalla scuola filosofica
ortodossa, quando si convince che il mito e la leggenda prevalevano sulla pura
speculazione, sul pensiero libero o laicale. La critica, che Aristotile fa di
Platone, a cui GIOBERTI si rassomiglia, fece schivo il Nostro dal mescolare
immagini ad idee, e lo inimicò con le metafore filosofiche la severa, m a
ineluttabile critica di Aristotile; non i tedeschi lo convertirono alla nuova
filosofia, degna dei tempi moderni, si bene il rigido, inesorabile Aristotile
Fiorentino scese, CALABRO ATLETA, nella arena della greca filosofia, e ardente è
trasportato lungo le sponde dell' Ilisso, tra gl’alberi fragranti, che ne
ombreggiano il margine; sotto il bel cielo d’Omero, tra le dispute di Socrate,
i simposî platonici, e le austere meditazioni dell'Accademia. Sa egli fondere
ed accordare insieme l'idea greca all'idea calabra, rappresentata nei tempi
antichi da Pitagora, e tutte e due al nuovo pensiero laicale del Rinascimento,
rappresentato presso di noi da Telesio e Campanella. Ringiovani così il
pensiero, irrigidito nelle ferree strette della Scolastica e di Gioberti; e
farfalla, ch'esce a poco a poco dal suo involucro; montanaro calabrese, che si
trasfigura man mano sotto il soffio dei nuovi tempi, si sentì umano ed
universale nei Dialoghi di Platone e nella Metafisica di Aristotile. La Grecia è
infatti la terra dove sboccia il fiore dell'Arte, e germoglia il seme
dell'umana ragione; è la patria del pensioro speculativo, della Dialettica, e
della Categoria, a cui metton capo ipiù vasti sistemi dell'antica e della moderna
filosofia. Fu lapatria di Platone, che per genialità e divinazione speculativa,
per universalità di pensa menti, per movimento drammatico, per colorito
artistico e finezza di dialogo, grandeggia su tutti i filosofi; egli fonde in
sè l'eloquio facile e maraviglioso d’Omero e l'attica bellezza di Sofocle. La
vecchia Grecia s'idealizza e si trasfigura nel gran discepolo di Socrate; la
speculazione diviene arte e dramma, ed il pensiero, chiuso nei c ancelli di
Talete e di Eraclito, abbraccia ilmondo, si fa universale ed umano, an- [Vedi
Filosofia Contemporanea in Italia, Napoli] ticipa il Cristianesimo e preludia
all'età moderna. Egli fonde, come disse bene FERRAI FERRARI (si veda), in una
grande unità isofisti e i politici, gli artefici e i guerrieri; uomini, donne,
vecchi, fanciulli, schiavi e liberi, e in questo mondo in azione ti si fa duca
e maestro, innalzandoti, migliorandoti, affinando le tue facoltà, spesso
spirandoti nell'anima un sacro entusiasmo per il buono, per il vero; quell'entusiasmo,
aggiungo io, che crea i grandi fatti della storia, e quei capolavori del
l'arte, che si chiamano Convito ed il Fedro, ove si specchia tutto il sorriso
dell'Ionio mare, l'apollinea bellezza dei Greci, il fascino di Diotima e di
Aspasia; la morbida poesia dell'Attica e l'arguta ironia di Socrate ; divina
bellezza , m u . sica arcana, che rende unica la Grecia tra le nazioni più
civili e più artistiche del mondo. Non volendo abusare della vostra bontà io m
i restringo per ora a Platone; che ci porterebbe assai lungi il voler
discorrere completamente del Saggio Storico sulla filosofia Greca ; discutere
ed esaminare Aristotele e quanto altro riguarda le Categorie ed i problemi
della filosofia moderna, di cui si occupa il nostro nel suo stupendo lavoro.
Fiorentino scrutò con animo libero e spassionato la vec chia speculazione
ellenica; la Grecia anteriore a Socrate,ove campeggiano le grandiose figure di
Talete, di Senofane, di Eraclito, di Parmenide, d’Anassagora; o dove si elabora
a poco a poco l'idea platonica e la categoria aristotelica. È un quadro ricco
di pensiero, ed anche di poesia,che con vivi colori ci tratteggia Fiorentino
con quella sua ge nialità, con quella lucida esposizione, che tanta grazia a g
giunge ai suoi lavori speculativi; incantevole lucidezza, che ritrae i limpidi
Soli diffusi sui patrî vigneti e sulle marine di Cotrone CROTONE. Il Saggio
Storico sulla filosofia sarà sempre, secondo il nostro debole parere, l'opera
più bella, più geniale del Fiorentino; ci è il profumo e l'entusiasmo, ci è la
vita artistica, anche in mezzo alle severe meditazioni del pensatore; quella
vita, che solo può dare la Giorn.Napoli] gioventù, nella sua più rigogliosa
fioritura ed espansione. Ciò nonostante, spassionati estimatori dell'ingegno
del nostro amico, riconosciamo in quel saggio lacune ed imperfezioni, che
l'autore medesimo, uomo schietto e leale,vi riconobbe, ricco di nuovi studi
sulla lingua, sulla filosofia, sulla letteratura greca; dotto nel tedesco e
conoscitore profondo dei moderni lavori alemanni su Platone ed Aristotile.
Intanto facciamo notare che il cardine fondamentale della critica di Fiorentino
sono le idee platoniche e le categorie aristoteliche, che sono e saranno sempre
le colonne e le pietre granitiche dell'umano pensiero. La critica platonica
(come nota Chiappelli nel dottissimo studio sulla interpetrazione panteistica
della dottrina platonica) si è a giorni nostri ri fatta da capo; e la quistione
si aggira sui fondamenti di tutto il platonismo, valeadire, sul genuino valore
della dottrina delle idee, che forma il centro del sistema dell’ACCADEMIA.
Dalla interpetrazione di codesta dottrina dipende quella di tutto il resto del
sistema; è il presupposto, da cui, come tanti corollarii, scendono tutte le
altre parti di questo monumento immortale del genio greco, che scosso dalla
potente critica dal LIZIO d’Aristotile, travisato dal Neo-platonismo, rivive
anche oggi, dopo le vicende di tanti secoli. Varie e con traddittorie in ogni
tempo sono le interpetrazioni delle idee platoniche. Sono scambiate, ora con
gl’ideali estetici, che vagheggia l'artista, ora ritenuti come generi logici e
concetti intellettivi, ed ora come gl’eterni paradimmi del divino artefice, modelli
esemplari delle cose, e quindi esistenti per sė; la quale interpetrazione, che
si trova diffusa tra i neo-platonici, tra i padri della chiesa, ed in tutto il medio-evo,
anche oggi è sostenuta da valorosi critici. È certo poi che le idee in Platone
sono trascendenti, immobili e separate dalla materia, e che carattere
principale del Platonismo è la irreconciliabilità tra l'idea e la materia, tra
l'intelligibile ed il sensibile: Le più ingegnose interpetrazioni dei critici moderni,
e massime di Teicmuller, che fa dell’ACCADEMIA un Panteista, non han potuto
colmare l'abisso, che nel greco filosofo separa l'idea dal cosmo, l'elemento
intelligibile dall'elemento materiale. Relegate, come sono, le idee in un mondo
inaccessibile, non possono esercitare nessuna influenza, nè sul l'essere, nè
sul divenire delle cose sensibili, nė spiegare il formarsi delle cose medesime.
Anche la relazione delle idee col divino, osserva Fiorentino, rimane indefinita.
Le idee non hanno causalità, perciò la causa efficiente deve trovarsi accanto a
loro, o concorrere con loro alla formazione dei mondo. L’ACCADEMIA non tenta
neppure di conciliare il divino con le idee; perciò accanto alla speculazione
tu trovi ancora il mito, non come semplice ornamento, ma come elemento
integrale del sistema. Solo è certo che l'altissima idea è per Platone quella
del bene; la quale ora s'immedesima con la ragione divina, ora è quella, a cui
guardando il demiurgo dà forma al mondo; se non che non si può risolutamente
affermare che il bene s’immedesimi col divino, ch'è un dato della tradizione
piuttosto che della filosofia, ed in Piatone non essendo chiara quella
immedesimazione, non riesce perfetto il collegamento tra le idee e la mente
divina, ed il sistema delle idee riesce poco coerente, e sempre ondeggiante ed
incerto. Fiorentino nel Saggio storico rigetta la interpetrazione delle idee
dell’ACCADEMIA come riminiscenze di una vita anteriore, come modelli e
paradimmi del mondo, come pensieri divini; e ritenne che Platone non è sempre
lo stesso ne'suoi dialoghi; filosofo da poeta, senti bisogno di spiegare la
scienza, e ricorre alle idee; negli ultimi anni adotta il linguaggio pitagorico
a proposito delle idee, e le considera come numeri. La dottrina delle idee
platoniche, trattata davvero scientificamente, consiste per Fiorentino nei
Dialoghi il Teeteto, il Sofista, ed il Parmenide. Il Sofista prepara il
Parmenide, a cui dà il fondamento ed il principio; ed il Parmenide sostituisce
alla me- [Manuale di Storia della Filosofia, Napoli] tessi ed ai simulacri la
relazione, ch'è la vera natura e la vera condizione di tutte le idee; è la loro
vita e fecondità. Fiorentino, austero intelletto e libero pensatore, prefere
alla lirica del Fedro e del SIMPOSIO, alla epica narrazione del Timeo ildramma
ideale del Parmenide. Fiorentino scruta profondamente i tre dialoghi platonici,
o ne rileva il vero significato. La scienza, egli dice, non è sola sensazione e
sola opinione, come vogliono i Jonici, ed ecco il significato del Teeteto; la
scienza non è la sola cognizione dell'uno, come pretende Parmenide di VELIA, e
ne anco dell'essenze immobili ed irrelative dei megarici; ed ecco il significato
del Sofista. La scienza è l'una e l'altra opinione e cognizione, relazione di
entrambe; ed ecco il risultato ultimo del Parmenide da VELIA; tanto vero che, senza la relatività
delle idee, il Parmenide da VELIA rimarra sempre un enimma, il sistema di
Platone un leggiadro tessuto di favole, di reminiscenze oltre-mondane ed
assurde, e di sperticate idealità. Scrutando meglio il Sofista ed il Parmenide
di VELIA, Fiorentino asserisce che il principio da cni muove Platone nel
Sofista, ossia l'ente, e quello da cui muove nel Parmenide, ossia l'uno,
sonolostesso principio; se non che l'ento è rigido, immobile, indeterminato, e
l'Uno è determinato, e produce i molti. L'uno è il medesimo e dil diverso del
Molti; come viceversa il molti si può dire medesimo ed altro dell'uno; tanto
che, a parere del Fiorentino, abbiamo nel Parmenide esplicito il diverso e
l'altro; sebbene rimanga in Platone nell'ombra la causa della estrinsecazione
della idea, e l'apparire della materia. Platone non colse la vera natura
dell'altro, che non può essere nè un'essenza, nė un'idea; sì bene una
relazione; egli perciò oscilla dall'uno all'altro di questi due termini, per
trovarvi la materia, ed, irresoluto, la fè credere una volta essenza, ed
un'altra idea. Pare che in tutte queste sottili ed ingegnose interpetrazioni di
Fiorentino entrasse un po il sistema e la critica moderna dell’Hegel, sempre
caro al nostro, come quegli che è la sintesi più stupenda del pensiero laicale
tedesco, da Lutero a Kant. TOCCO (si veda), di cui tanto si onorano le
Calabrie, nelle sue dotte Ricerche Platoniche, esplicitamente osserva che
Fiorentino interpetra il Parmenide di Platone alla maniera di Hegel, e che, ad onta
delle argute considerazioni sulle stonature della Dialettica platonica, non
tenne in conto il fare negativo di tutto il dialogo. Il trapasso, dalla teorica
della metessi e degl’influssi a quello della dialettica assoluta, è un salto così
smisurato, che difficilmente puo farsi da un uomo, per vastissimo ingegno
ch'egli ha, sopra tutto nel tempo, in cui la speculazione è ancora sul nascere,
ed i sistemi filosofici sono appena abbozzati. E ingiusto per ciò, conchiude
Tocco, il raccostamento della dialettica platonica all’egheliana, e non bisogna
interpetrare con Hegel Platone, e trasportare il mondo antico nel mondo
moderno! Alla origine e natura delle idee è intimamente legata la DIALETTICA
dell’accademia. Essa non è altro, se non che la legge dell'intreccio ideale, il
modo come si forma il Logo, o la Ragione universale ed assoluta. Il ritmo della
dialettica vera dell’ACCADEMIA, secondo la interpetrazione di Fiorentino, è nel
Parmenide; il contenuto del quale si risolve in una trilogia, di cui la prima
parte presenta la idea solitaria dell'uno, e l'annulla. La medesima idea
appaiata con quella del l'essere, e con essa in contraddizione; la risolve la
con traddizione nel momento, ch'è il diventare; momento e divenire, che sono
mutuati dalla dialettica hegeliana, e rendono infide e soverchiamente moderne
le interpetrazioni di Fiorentino. Egli è convinto, quando scrive il saggio
storico, che la dialettica hegeliana è modellata sulla platonica, e che le
prime tre categorie del filosofo alemanno, l'essere, il non essere, ed il divenire
ricordano l'uno, l'ente, ed il momento del Parmenide da VELIA. La Dialettica
platonica, monumento grandioso dell'umano pensiero, ispira in ogni tempo gl’Artisti
ed i Filosofi; e Fiorentino conchiude che Goethe v'im [Catanzaro. Lo
studio della filosofia greca fa rientrare Fiorentino nel mondo moderno, ch'egli
avea sfiorato col lavoro di Bruno; il greco pensiero, che più degli altri è
pensiero umano ed universale, ricondusse il nostro alla Rinascenza, la quale,
se inizia l'epoca moderna con le ribellioni speculative di Bruno, di Telesio e
di Pomponazzi, usufrutta con TELESIO e con BRUNO la parte viva ed immortale
della greca filosofia, il concetto della natura, autonoma od assoluta, e l'idea
dell'infinito generante. FIORENTINO, ingegno fecondo e progressivo, accetta i
pronunziati, gl’ardimenti, o, le ribellioni della rinascenza. Nelle fresche
correnti della natura ei sente ringiovanirsi, ed il suo pensiero divenne più
ampio ed umano. L'epoca della rinascenza è, o Signori, un'epoca gloriosa,
battagliera, o titanica. La scolastica è assottigliata. La cavalleria ed il
feudalismo se ne vanno. La teocrazia perde il suo prestigio, e la sua
universalità. La poesia si emancipa dai terrori mistici. Alle fosche pitture
succedono i freschi colori del Tiziano e del Correggio. Nasce lo stato laicale,
e Machiavelli crea la storia moderna. I filosofi rappresentarono in questo gran
dramma una parte gloriosa, e specialmente il mantovano POMPONAZZI, che per
audacia speculativa, per energia di carattere è uno degli eroi più spiccati del
rinascimento italiano. FIORENTINO, che come fiero calabrese e libero pensatore,
è naturalmente attratto verso i grandi precursori ed apostoli, si mette a
studiarlo con coscienza di filosofo e pazienza di critico; sgobba sui polverosi
volumi in folio, si chiuse come un anacoreta nella sua cella di BOLOGNA; ed
affronta con leonino coraggio l'intolleranza e lo scherno degl'insipienti, le
beffe dei gaudenti, che senza forti stupara la movenza del Dialogo; Hegel il
severo ragionamento; VICO vi attinse lo schema della Scienza Nuova; SERBATI il
principio del nuovo saggio; ed a quell'opera immortale bisogna ricorrere ogni
volta, che si vorranno scandagliare davvero le origini dell'umano pensiero
senza accurato lavoro vogliono, con la veduta corta di una spanna, giudicare gl’uomini
serî ed austeri, gl’uomini che sacrificano tutto sull'ara del pensiero e della
scienza ; indomiti o tetragoni nei loro propositi ; Capanei, che muoiono e non
si arrendono. POMPONAZZI insorse fieramente contro la scolastica, e contro la
greca filosofia; e nello spiegare la natura dell'anima, ed il processo del
conoscere non ha esitato punto, nè riprodotte, come altri fecero, le incertezze
del LIZIO. Sgombrate tali perplessità, il filosofo mantovano si libera
dall'intelletto separato di Averroè, dell'intelletto agente dello Afrodisio,
senza però emanciparsi del tutto dagl’influssi e dalle intelligenze superiori;
ondeggiante ancora, come tutti gl’uomini della rinascenza, tra la scolastica ed
il mondo moderno; tra AQUINO (si veda) e BRUNO (si veda). Strema, è vero,
POMPONAZZI (si veda) la trascendenza in filosofia; considera l'intelletto umano
come sviluppato dalla potenza della materia. Ma non volle attribuire
all'intelletto dell'uomo la concezione dell'universale; e disconobbe la vera
mediazione, che l'uomo fa tra le cose eterne e caduche. Egli scruta insistente
i più ardui problemi metafisici, religiosi e morali, la provvidenza, il fato,
la libertà, la predestinazione e la grazia; e porta in tutte queste discussioni
la novità e l'audacia, proprie dei filosofi del rinascimento; piega più dalla
parte della determinazione fatale del PORTICO ROMANO che da quella della vuota
determinabilità dell’Afrodisio; che l'arbitrio non può essere primo movente; e l'aver
compreso il difetto della dottrina della libertà, come è in Alessandro ed in
LIZIO; l'aver intravveduto nel fato del PORTICO ROMANO maggior ragione volezza
costituisce uno dei massimi pregi della critica di POMPONAZZI (si veda) Disconosce
inoltre il valore assoluto delle Religioni; ne spiega con ragioni naturali
l'origine, il fiorire, la decadenza; le riconosce portato dello spirito, eterno
ed irrequieto viaggiatore, che tutto rinnova e distrugge. Con questa
divinazione Pomponazzi è anche precursore dei nuovi tempi, e della scuola
moderna; se non che mancogli la perfetta coerenza nelle dottrine, e non si
solleva al concetto profondo dello spirito, come lo intendono i moderni.
L'ingegno di POMPONAZZI (si veda), benchè novatore e ribelle, non si era
completamente spastoiato dal vecchio mondo scolastico ed del LIZIO aristotelico;
ei non puo ai suoi tempi cancellare del tutto il divino di Agostino e d’AOSTA
(si veda); non puo scartare intieramente la provvidenza oltre-mondana, non puo
combattere a viso aperto le tradizioni della fede ortodossa. Ei però intravvede
che al divino estra-mondano, collocato fuori la coscienza, dovea fra poco
succedere il divino intimo e vivente; che la vecchia forma religiosa dovea
ringiovanirsi e al motore immobile di LIZIO dovea succedere l'infinito di BRUNO
(si veda). È questo il merito precipuo di POMPONAZZI (si veda), che a buon
dritto deve chiamarsi il precursore della riforma e del mondo laicale moderno;
e l'averlo saputo rilevare con sagacia di critico coscienza di storico è gloria
di FIORENTINO (si veda). Ciò segna un altro momento importante nella evoluzione
critica e speculativa del nostro; la quale ha il suo compimento ed il suo
massimo splendore in Telesio, e negli studii sulla idea della natura nel
risorgimento italiano. TELESIO (si veda) infatti costituisce l'ultimo e più
splendido momento speculativo e storico di FIORENTINO (si veda), il quale
rappresenta perciò in Calabria il più alto grado, la più alta manifestazione
della critica storica, ed il completo svegliarsi presso di noi della coscienza
laicale ed umana; rappresenta la continuazione della rinascenza, ingrandita,
però, trasformata e divenuta pensiero europeo ed universale coi Saggi critici
di SPAVENTA (si veda). È primo SPAVENTA (si veda) in Italia a dare la debita
importanza a BRUNO (si veda) ed a CAMPANELLA (si veda), ed a tutta la filosofia
del rinascimento, rivendicando gl’eroi della nostra filosofia, ed i martiri
obbliati della ragione. L’Italia, dice Spaventa, apre le porte della civiltà
moderna con una falange d’eroi della filosofia. Pomponazzi, Telesio, Bruno,
VANINI, Campanella, CESALPINO (si veda) paiono figli di più nazioni. Essi
preludiano più o meno a tutti gl'indirizzi posteriori , che costituiscono il
periodo della filosofia da Cartesio a Kant. VICO (si veda) è il vero precursore
di tutta l'Alemagna -- Prolusione alle Lez.di fil. nap. Le austere parole e i
forti ragionamenti del filosofo abruzzese eccitarono il potente ingegno di
FIORENTINO, e come il nostro schiettamente confessa, lo fa orientare in quell'
arruffio, ch'è la speculazione della rinascenza, e lo innamorarono di quel
periodo filosofico, che prima si contenta di ammirare, senza averne perfetta e
matura cono scenza, piuttosto, perseguire i facili lodatori che per vederne
realmente l'importanza coi proprii occhi. Educato dalla critica nuova e
poderosa di Spaventa, Fiorentino percorso da padrone e da maestro il campo
glorioso della rinascenza italiana, e v'impresse orme da gigante. Gli uomini
nuovi od audaci; i martiri dell'idea piacquero tanto a Fiorentino, ed ei s'immedesimò
loro, aspirandone l'immortale profumo, ed il soffio. La Calabria, che, senza
conoscersi, spesso si vilipende e si schernisce, non è per lui barbara c
selvaggia, covo di briganti, e nido di cannibali; è invece terra di filosofi,
di critici, di poeti; culla di martiri e di eroi, terra artistica ed originale,
a cui, ultimo tra gl’ingegni calabresi, consacrai tutto me stesso, e per la
quale non cessa di combattere, finché avrò forze, finchè in Italia vi saranno uomini
senza coscienza storica e senza carità di patria. La Calabria (e perdonate
questo amore indomabile alla mia patria nativa, alle mie care montagne) sa
anch'essa indovinare e comprendere i tempi nuovi, uscire dal fondo de'suoi
burroni, e mettersi a paro coi più grandi eroi della Rinascenza italiana. La
Calabria sa anch'essa combattere con la sua selvaggia vigoria lo impero, la
scuola, ed il potere teocratico. Il calabro pensiero, che ancora si accusa di
angustia e municipalità, è, com’io dimostrai, un pensie ro, non solo nuovo ed
originale, ma eziandio italiano, europeo ed umano. Universale in
filosofia, inizid con Telesio lo studio dellanatura, sconosciuta ai padri
nostri, velata per tanto tempo dalle ombre del Medio-Evo; nel tetro carcere
della Vicaria crea col SERRA la scienza economica; con GALEAZZO usci dal
cerchio della poesia provinciale, e fuse nel calabro Sonetto la vigoria d’ALIGHIERI
e la musica di Petrarca; pre corse con Campanella a Descartes; e con GRAVINA
anticipa Vico e Montesquieu, o crea la nuova critica italiana. Fiorentino, che,
com'egli stesso canto, avea Saldo il voler ne le virili imprese, E indomita la
tempra calabrese, innamorato della vecchia Calabria, fa rivivere con magiche
tinte le belle ed eroiche figure dei padri nostri, PARRASIO, Telesio, il
Martirano, il Quattromani, il Tarsia, Cornelio, Severino, Schettini ecc.;
filologi, poeti e critici precursori, che usciti dal fondo dei nostri boschi
illustrarono le prime università, e danno un potente i m pulso al rinascimento
italiano, col fondare e promuovere quella stupenda accademia dei cosentini,
segno in tutti i tempi di odio inestinguibile e di amore indomato, la quale è
tanta parte del dramma grandioso della rinascenza; da all'Italia grandi
latinisti da emulare Poliziano, Sannazaro, Fracastoro, e sorpassarne altri con
Coriolano Martirano; porta scolpito il fatidico motto: Donec totum impleat
orbem; decrescit numquam, nec fulmine læditur; e servi di modello a tutta
Europa con Telesio per la scoverta del vero metodo naturale. Sotto questo
doppio aspetto la vide l'occhio sagace di Fiorentino, e stupendamente la
illustra, sollevandola a quel posto, che merita, e meriterà sempre, finchè le
tradizioni del pensiero laicale ed umano rimarranno vive in Calabria, e ne
trasformeranno la vita, l'arte, e la speculazione; finchè vi saranno uomini
insigni come il Presidente Scaglione,ed il Segretario Greco, che ne
accresceranno le glorie e l'importanza , continuando l'esempio dei loro
illustri a n tenati, che noi, gaudenti e borghesi , abbiamo dimenticati,
sconosciuti, e fino scherniti. Fiorentino, che il dotto canonico Scaglione
avea precorso con lo studio su Telesio, pubblicato negli atti dell'Accademia,
studiando a fondo, al lume della nuova critica, le opere del filosofo
cosentino, proclama che Telesio inaugura i tempi moderni, ritiene la natura,
come il principio universale delle cose, il ricettacolo di tutte le forme, e,
come schietto naturalista, rigetta il LIZIO d’Aristotile e la Scolastica, la
Teosofia, e la Magia. Telesio, evitando la contraddizione del Lizio aristotelica,
che rompe l'unità della natura, parte da una materia primitiva ed unica, e da
una contrarietà universalissima, il caldo ed il freddo, nature agenti, dalla
cui azione sulla materia nasce la generazione e la corruzione. Telesio , pur
ritenendo la necessità di un'opposizione universale e di un'unica materia, il
che è anche ammesso dal LIZIO d’Aristotile, ne ha profondamente modificato il
valore. La forma del LIZIO aristotelica, ch'èsempre assoluta ed estra-naturale,
non gli parve principio naturale, e la sbandì, e la rigetta dalla sua
filosofia, con la rude franchezza del calabrese. In una parola, la natura non
ha mestieri per essere spiegata di principi, che non siano naturali. E così è
vinto e sor passato il medio-evo, e la filosofia delle scuole. Il soffio fresco
delle nostre montagne spazza lo nebbie scolastiche, e Telesio, meditando gl’arcani
della natura nel suo ameno podere, sito sulle rive pittoresche del fiume
Coraci, è veramente il precursore di Bruno e di Galilei, l'uomo nuovo ed
audace, che scrolla il vecchio mondo medievale, ed inaugura l'epoca moderna.
Telesio, rigettando l'entelechia del LIZIO aristotelica, vi sostitui una
sostanza sottile, mobile, lucida, che per lui costituisce il principio della
vita; semplifica inoltre il sistema del naturalismo, tolge il dissidio immenso,
che è nel medio-evo tra la natura esterna e l'organismo vitale, e fuse insieme
nel suo novello sistema la fisica e la biologia. Fiero ed inesorabilo
calabrsse, rovescio tutto, non diè quartiere al LIZIO d’Aristotile ed alla scolastica,
o combattė senza ipocrisia, ed a fronte scoverta; da una nuova teorica
dell'anima, sorpassando il Fedone dell’Accademia, e l'intelletto universale del
Lizio d’Aristotile; FONDA SUL SENSO LA CONOSCENZA, ed ammise il mondo etico
come un effetto e risultato naturale. Nel vasto dramma telesiano, che
Fiorentino stupendamente tratteggia, brilla di nuova luce il martire di Nola,
il quale, ebbro del nuovo divino, dell'Infinito generante, e della Natura, allarga
e feconda i concetti del filosofo cosentino, ed accetta pienamente il
naturalismo. Il vero assoluto rimane però in lui un punto oscuro, dove i
contrarii si affondano e spariscono; il nolano, più che cogliere con l'atto
intellettivo l'assoluto, vuole trasformarsi in lui, e divenire il divino. E l’eroico
furore, che lo trasporta in grembo dell'infinito, non il sillogismo
speculativo, e la serena meditazione; l'ebbrezza dell'amante, che lo trasfigura
in grembo alla divina Anfitrite. Bruno, uomo del Mezzogiorno, nato presso il
Vesuvio, ha scosso in ogni tempo la mente dei pensatori, ed il cuore dei poeti.
Eroe leggendario del pensiere, cavaliere errante della scienza, mistico o
ribelle, inesorabile flagellatore dei cucullati pedanti, egli che veste la
bianca tunica di Domenico, Bruno percorse, si può dire, da un capo all'altro
l'Europa disputando, combattendo, affrontando il vecchio LIZIO d’Aristotile, la
ciarlataneria delle scuole, e l'infallibilità dei dottori. Vilipeso e adorato,
schernito glorificato, ora debole innanzi a'suoi carnefici, ed ora sublime; il
tutore tradito a Venezia da Mocenigo, suo pupilo discepolo ed ospite, è
consegnato al Sant'Uffizio, dissacrato e condannato a morte. Quando in Roma gli
è letta la sentenza, Bruno, con calma eroica e tremenda ironia, ha il coraggio
di profferire innanzi ai giudici queste memorande parole. Maggior timore
provate voi nel pronunciar la sentenza contro di me, che non io nel riceverla. L’eroe
della verità, e del pensiero laico è legato come un volgare malfattore ad
un'antenna, e, bruciato vivo in Campo di Fiore, imperterrito Bruno non manda nè
un sospiro, nè un lamento. Le fiamme sono la sua apoteosi; e benchè le
sue ceneri fossero state disperse al vento, correno l'Europa come polline
fecondatore, e vi propagarono i semi del libero pensiero, e della filosofia
moderna. Fiorentino, pensatore e poeta, che dopo più maturi studî avea
accettata in tutta la sua pienezza la Rinascenza, ritorna su Bruno, e lo vede
nel Telesio sotto un nuovo punto di vista; e se lo avea rigettato come pan-teista
ed anti-mistico, ora lo guarda, e lo ammira come il vero eroe del pensiero, l'araldo
e il martire della nuova e libera filosofia; degno, come dice Spaventa, di
avere un posto accanto a Prometeo ed a Socrate. Quel che FIORENTINO scrive di
SPAVENTA, permettete, o signori, che io lo riferisca al nostro fiero
concittadino. Il grande ideale del filosofo per Fiorentino è Bruno; pari forse
avrebbero avuto il fato, se fossero vissuti nella stessa età. FIORENTINO guarda
il rogo con lo stesso coraggio; BRUNO avrebbe disprezzato con la stessa
serenità, non il rogo, ma qualcosa di peggio, quella rete sottilissi. ma di
cabale, onde la turba ignara circonda gli animi alteri; che tentano slacciarsi
da maltesi agguati: non il rogo, ma la calunnia divota: dopo il Torquemada
ilTartufo: siamo ben progrediti noi. Il vecchio divino della Scolastica si
assottiglia in Bruno. In lui si fondono il divino e l'Universo; la creazione è
sviluppo del divino stesso, processo necessario, che rende cono scibile e reale
l'attività del divino. In una parola, il divino del Nolano non vive se non per
la natura, e nella natura. Fuori e senza di lei sarebbe un'astrazione ed un
fossile. La necessità della creazione, che BRUNO insegna a viso aperto, lo
mette di accordo col futuro naturalismo spinoziano, e lo fa precursore della
moderna filosofia alemanna. La filosofia del rinascimento, incarnata in TELESIO
ed in Bruno , per avere considerato l'assoluto, come natura, ha preparato il
grande avvenimento dello spirito, la cui speculaziane incomincia con la
coscienza cartesiana. L'infinita natura, iniziata da un sofo di Calabria, è la
gran parola della rinascenza e dei tempi moderni! Telesio e Bruno preparano
inoltre la vasta speculazione di Campanella, indomito frate, che sopporta, con
la fiera costanza del calabrese anni di carcere, ed un giorno intero di
torture. Permettete, o Signori, ch'io m’inchini al martirio di Campanella, ed
al rogo di Bruno; martirio e rogo, che sono LA GLORIA DEL MEZZO GIORNO, e del
libero pensiero; la condanna più eloquente dei feroci persecutori dell'umana
ragione. CAMPANELLA, che sublima alla dignità di principio speculativo la
divinità latente di Bruno, è il vero tipo dell'uomo calabro, ricco d'ingegno e
di cuore, intemperante, battagliero, audace, iniziatore. È uomo originale e
contraddittorio; fa l'apoteosi della teocrazia e della Spagna, della
scolastica, del Medio-Evo, e poi scrive la Città del Sole, e vagheggia la
democrazia ed il socialismo, la sovranità del libero pensiero, e lo stato laico
moderno. Ei fonde in sè due età di verso, la età della fede, e l'età della
ragione; Platone ed Aristotile, Telesio ed il Cusano; l'austero sillogismo del
pensatore, e le vaporosità dell’astrologo; le apocalittiche visioni dell’abate
Gioacchino FIORE (si veda), o la fredda sottigliezza di Machiavelli; l'ossequio
alle somme chiavi, e l'audace ribellione di Lutero. Campanella, stupendamente tratteggiato
da FIORENTINO, ritorna, come metafisico, a Platone, ed al Medio-Evo. Come
sensista e psicologo, anticipa, nella teorica del senso e della cognizione,
Cartesio, ed il mondo moderno. Ei proclama la identità del pensiero e
dell'essere. Se non che sì fatta unità non acquista la forza di vero principio,
e Campanella, ad onta delle sue stupende divinazioni, ondeggia ancora tra lo
schietto naturalismo ed il sistema delle cause finali. Alla filosofia naturale,
che tolse in prestito ed usufruttua dal nostro Telesio, CAMPANELLA aggiunge una
metafisica, che ne rimane staccata; mettendo ogni sforzo per levarsi alle
categorie supreme della natura e dell'essere, non seppe applicarle alla natura,
e con tutta l'energia poderosa d’assurgere all'unità, resta nella opposizione,
ch'è il carattere principale del naturalismo. Il solo naturalismo, chiarendosi
con Campanella impotente a spiegare la genesi della natura, non potė, esso
solo, sciogliere il gran problema del mondo moderno, e conciliare l'universale
col particolar; ricomprendere il senso in una forma di pensiero più larga, dove
l'opposizione riapparisse trasformata ed unificata in una sintesi suprema e
dialettica. Tale è il progresso apportato nel naturalismo, o nella filosofia
moderna da GALILEI (si veda) e Descartes. Tali sono le glorie del nuovo
pensiero, anti-mistico e laicale, iniziato da due filosofi, nati tra i selvaggi
burroni delle nostre Calabrie. Fiorentino, dopo aver richiamato alla memoria
degl’taliani. Cornelio, e Severino, glorie dell'università napoletana, e
filosofi telesiani. Dopo aver valutato la importanza di Galilei e di Bacone, si
arresta con Descartes alla soglia della filosofia moderna, lieto che la
speculazione filosofica si stacchi dalle scienze naturali, preliminare, per
altro, necessario nella evoluzione del pensiero moderno, e si posi nel cogito
cartesiano. La natura si emancipa, il pensiero si scioglie, e diviene più
libero e più snello; lo spirito, che tutto ringiovanisce e trasforma, fondo ed
armonizza Telesio e Bruno, Campanella e Galilei, Bacone e Descartes, e la
silvosa Calabria entra co'suoi filosofi, e coi suoi profeti, co’suoi martiri, e
co'suoi precursori nel dramma glorioso del mondo moderno. Vi rientra sotto
l'impulso di Fiorentino, che, nato presso Stilo, tocca di nuovo la squilla
dimenticata di Campanella, annunzia ai calabresi l'aurora di nuovi giorni, la
completa emancipazione dalla scolastica e dal medio-evo; la risurrezione del
pensiero della magna Grecia, fuso, ingrandito, trasformato nel pensiero
moderno. La Calabria e l'Accademia Cosentina non potranno dimenticarlo. Non
potranno disconoscere l'austero filosofo, che ne illustra stupendamente le
glorie, e con magico pennello ne ritrasse gl’apostoli, e gl’eroi ,
rivendicando i padri nostri al cospetto di un secolo banchiere e borghese. La
morte lo colge sulla soglia del tempio del Rinascimento; gloria al virile
sacerdote della scienza, che muore, adempiendo il suo dovere, mentre si
folleggia, deridendo gl’eroi del pensiero, i modesti operai del mondo moderno, e
sigitta lo scherno sulle ossa dei grandi precursori della nuova filosofia e
della nuova critica. Io ho fede che i calabresi, così ricci d'ingegno e di
cuore, cosi amanti delle patrie glorie, hanno un culto per gl’uomini, che
muoiono sulla breccia, martiri della scienza e della patria; per le anime
generose, che non curano le amarezze della vita, l'esilio, la povertà, la
carcere, ed accettano, fino le torture di Campanella, fino il rogo di Bruno. Ho
fede che la Calabria si rinnovi nel lavacro della rinascenza e negli studii
virili del passato, e la gentile e dotta Cosenza, riccaperme di care e dolorose
memorie, prodiga di tanto sangue alla patria, di tanto contributo d'ingegno
alla storia del pensiero italiano, s'ispiri nell'austera figura del più grande
dei suoi figli, il cui busto parla tra il verde degli alberi la gran parola del
risorgimento ai calabresi. Ho fede che l'austera parola del filosofo di
Sambiase non suoni più nel deserto, e la sua tomba, su cui piansero amici e
nemici, è un'ara dove le novelle generazioni attingano i forti propositi, e,
quel che più ci preme, la serietà della vita, l'abnegazione, il sacrifizio, ed
il libero pensiero. Così,o gio vani, non sarò costretto a ripetere gli amari
versi dell’austero poeta di Recanati. Oggi è nefando stile Di schiatta ignava e
finta Virtù viva sprezzar lodare estinta. Vincenzo Julia. Julia. Keywords:
implicatura, filosofia calabrese, Campanella, Telesio, Sanctis, Leopardi,
Mazzini, Garibaldi, Gioberti, Spaventa, Hegel, Aligheri, Serra, Bruno. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Julia” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giuliano: la ragione conversazionale e la
filosofia di Giove -- Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “When I think
Giuliano, I think Donizetti – and Poliuto’s lions!” -- Flavio Claudio Giuliano
(in latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli), filosofo. L’ultimo
sovrano dichiaratamente pagano, che tenta, senza successo, di riformare e di
restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte
alla diffusione del cristianesimo. Sometimes known as ‘the Apostate,’ Giuliano was a
Roman emperor, who died in battle at the early age of 32 exclaiming the
infamous “Galileans, ye won!” as the arrow penetrated in his breast. A
naturally gifted scholar, Giuliano stuied philosophy under Massimo di Efeso and
had many philosophical friends and acquaintances, including Saturnino Secondo
Salutio, Prisco, and Imerio. Although his philosophical outlook was what he
described as ‘generally eclectic,’ he had a special fondness for the Accademia,
and a particular hostily to the Cinargo. Keen to eliminate the Galileans, as he
called the sect originated after the death of Gesu di Nazareth, in fact he left
them rather ‘to their own devices,’ although removing some of their privileges.
His letters and speeches survive – many on deep philosophical issues (‘What is
universal about worshipping a man born in Galilee who claimed to be the son of
God – and born of a virgin?’). Grice: “There are various Griceian problems when
approaching Giuliano from a Griceian perspective. It all reminds me of my
father, a non-Conformist, in a household comprised of my High-Church mother and
Catholic convert aunt! At Oxford, and in fact, before then, at Clifton, I
learned that religion has nothing to do with i. Nobody believes that Giove
raped Ganymede – it’s a tale! Giuliano has been unjustly treated
counterfactually. Historians, seeing that Giuliano’s fight was useless, dismiss
it. But this is a weak argument. I might just as well dismiss Mussolini’s plans
because we English bombed Milano! Giuliano read too much of what the Hebrews
call ‘the Holy Writ’ – but his propositions should be taken separately, one by
one. In a way reminiscent of Arnold (in his Ebraism and Ellenismo), Giuliano
proposes to us an examination of things like ‘Jesus was the son of God,
therefore he was God.’ Aeneas was divinized by Virgil, so the Romans shouldn’t
count as good critics here. A nice story involves Giuliano and Arete, a
philosopher to whom Giamblico di Calcide dedicated one of his books. It seems
likely that she was one of his pupils. Her neighbours (presumably Christians)
tried to get her thrown out of her home, but the emperor Giuliano himself went
to Phrygia to help her. Giuliano. Keywords:
pagano, ennico, prima Roma, terza Roma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Giuliano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giuliano:
la ragione conversazionale e la gnossi a
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Eclano). Filosofo italiano. A follower of (of all people)
Pelagio. As a result he was prompty
deposed from his position as ‘vescovo’ of Eclanum. He appears to have led an
unsettled life thereafter. His works survive in the use made by them by Agostino
in “Against Giuliano, the defender of the Pelgagian heresy, and the so-called
‘Incomplete work against Giuliano’ – left unfinished by Agostino. Giuliano
strongly opposed Agostino’s convoluted doctrine of the original sins (he said
there were many). By contrast, Giuliano entertained a totally positive
conception of human nature. Giuliano.
Grice e Giulio: la
ragione conversazionale e la filosofia sotto Giulio Cesare – Roma – filosofia italiana – l’anima di
Cesare – il discorso contro la penna di morte a Catilina -- Luigi Speranza. (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo
italiano. Roma, Lazio. Si lo è voluto collocare G. Nel GIARDINO ROMANO perchè, nell’orazione
che, secondo SALLUSTIO (si veda), tenne in senato per opporsi alla condanna a
morte dei complici di Catilina, NEGA l'immortalità dell’anima -- e le pene
dell’oltre-tomba. Però non sappiamo se e fino a qual punto rispecchi la sua
filosofia quell’orazione, che, in ogni modo, mira a impedire l'uccisione dei
catiliniani. La divinazzione di G. La stella raccontata di OVIDIO (si veda). OTTAVIANO
(si veda) interpreta la stella di altro modo. Allorche nella congiura di CATILINA
(si veda) il console pronunzia il primo contro i congiurati l’opinione sua
per la pena di morte, G., il quale desidera ne’ suoi fini di salvare loro la
vita, nell’orazione che recita in senato, riferita estesamente da SALLUSTIO (si
veda), non tratta gia come ingiusta o crudele la pena di morte, ma disse anzi
che per coloro, che condur devono una vita misera ed infelice, la morte NON È
UNA PENA, MA UN BENEFIZIO, che li libera avventurosomente dai mali che
sofirone. Ne CICERONE (si veda), ne CATONE (si veda), ne alcun altro de'
senatori contraddissero punto in questa parte al sentimento di G.. Anzi, Cicerone
ne parla come d'un sentimento vero e giusto. G., dic’egli, considera che la
morte non e stata dagl’iddi immortali stabilita come una pena, ma come il fine
de’ dolori e delle miserie. Le catene, massimamente le catene perpetue, sono, a
parere di lui, la pena che merita l'orrendo attentato, di qui si tratta. Egli
lascia a questi empil uomini la vita, la quale, se venisse loro tolta, liberati
verrebbero ad un tratto da tutte le pene dell'animo e del corpo. Omnis homines, patres
conscripti, qui de rebus dubiis consultant, ab odio, amicitia, ira atque
misericordia vacuos esse decet. Haud facile animus verum providet, ubi
illa officiunt, neque quisquam omnium lubidini simul et usui paruit. Ubi
intenderis ingenium, valet. Si lubido possidet, ea dominatur, animus
nihil valet. Magna mihi copia est memorandi, patres conscripti, quæ reges
atque populi ira aut misericordia inpulsi male consuluerint. Sed ea malo dicere, quæ maiores nostri contra
lubidinem animi sui recte atque ordine fecere. Bello Macedonico, quod cum
rege Perse gessimus, Rhodiorum civitas magna atque magnifica, quæ POPVLI ROMANI
opibus creverat, infida et advorsa nobis fuit. Sed postquam bello confecto
de Rhodiis consultum est, maiores nostri, ne quis divitiarum magis quam
iniuriæ causa bellum inceptum diceret, inpunitos eos dimisere. Item
bellis Punicis omnibus, quom saepe Carthaginienses et in pace et per
indutias multa nefaria facinora fecissent, numquam ipsi per occasionem
talia fecere: magis quid se dignum foret, quam quid in illos iure fieri
posset, quærebant. Hoc item vobis providendum est, patres conscripti, ne plus apud vos
valeat P. Lentuli et ceterorum scelus quam vostra dignitas, neu magis iræ
vostræ quam famæ consulatis. Nam
si digna poena pro factis eorum reperitur, novom consilium adprobo. Sin
magnitudo sceleris omnium ingenia exsuperat, his utendum censeo, quæ
legibus conparata sunt. Plerique eorum, qui ante me sententias dixerunt,
conposite atque magnifice casum rei publicæ miserati sunt. Quæ belli
saevitia esset, quae victis adciderent, enumeravere: rapi virgines,
pueros; divelli liberos a parentum conplexu; matres familiarum pati quæ
victoribus conlubuissent. Fana atque domos spoliari. Cædem, incendia fieri.
Postremo armis, cadaveribus, cruore atque luctu omnia conpleri. Sed, per
deos inmortalis, quo illa oratio pertinuit? An uti vos infestos
coniurationi faceret? Scilicet, quem res tanta et tam atrox non permovit,
eum oratio adcendet. Non ita est, neque quoiquam mortalium iniuriæ suæ
parvæ videntur, multi eas gravius æquo habuere. Sed alia aliis licentia
est, patres conscripti. Qui demissi in obscuro vitam habent, si quid
iracundia deliquere, pauci sciunt, fama atque fortuna eorum pares sunt. Qui
magno imperio præditi in excelso aetatem agunt, eorum facta cuncti
mortales novere. Ita in maxuma fortuna minuma licentia est; neque studere
neque odisse, sed minume irasci decet; quæ apud alios iracundia dicitur,
ea in imperio superbia atque crudelitas appellatur. Equidem ego sic
existumo, patres conscripti, omnis cruciatus minores quam facinora illorum
esse. Sed plerique mortales postrema meminere et in hominibus inpiis
sceleris eorum obliti de pœna disserunt, si ea paulo severior fuit. D.
Silanum, virum fortem atque strenuom, certo scio quæ dixerit studio rei
publicæ dixisse, neque illum in tanta re gratiam aut inimicitias exercere.
Eos mores eamque modestiam viri cognovi. Verum sententia eius mihi non
crudelis – quid enim in talis homines crudele fieri potest? Sed aliena a
re publica nostra videtur. Nam profecto aut metus aut iniuria te subegit,
Silane, consulem designatum genus pœnæ novom decernere. De timore
supervacuaneum est disserere, quom præsertim diligentia clarissumi viri
consulis tanta præsidia sint in armis. De pœna possum equidem dicere,
id quod res habet, in luctu atque miseriis mortem ærumnarum requiem,
non cruciatum esse; eam cuncta mortalium mala dissolvere; ultra neque curæ
neque gaudio locum esse. Sed, per deos inmortalis, quam ob rem in
sententiam non addidisti, uti prius verberibus in eos animadvorteretur? An quia lex Porcia vetat? At
aliæ leges item condemnatis civibus non animam eripi, sed exilium permitti
iubent. An quia gravius est
verberari quam necari? Quid autem acerbum aut nimis grave est in homines
tanti facinoris convictos? Sin
quia levius est, qui convenit in minore negotio legem timere, quom eam in
maiore neglegeris? Maiores nostri, patres conscripti, neque consili neque
audaciæ umquam eguere; neque illis superbia obstabat quo minus aliena
instituta, si modo proba erant, imitarentur. Arma atque tela militaria ab
Samnitibus, insignia magistratuum ab Tuscis pleraque sumpserunt.
Postremo, quod ubique apud socios aut hostis idoneum videbatur, cum summo
studio domi exsequebantur: imitari quam invidere bonis malebant. Sed
eodem illo tempore Græciæ morem imitati verberibus animadvortebant in
civis, de condemnatis summum supplicium sumebant. Postquam res publica
adolevit et multitudine civium factiones valuere, circumveniri
innocentes, alia huiusce modi fieri cœpere, tum lex Porcia aliæque leges
paratæ sunt, quibus legibus exilium damnatis permissum est. Hanc ego
causam, patres conscripti, quo minus novom consilium capiamus, in primis
magnam puto. Profecto virtus atque sapientia maior illis fuit, qui ex
parvis opibus tantum imperium fecere, quam in nobis, qui ea bene parta
vix retinemus. Placet igitur eos dimitti et augeri exercitum Catilinae? Minume.
Sed ita censeo: publicandas eorum pecunias, ipsos in vinculis habendos
per municipia, quæ maxume opibus valent. Neu quis de iis postea ad senatum referat neve cum
populo agat. Qui aliter
fecerit, senatum existumare eum contra rem publicam et salutem omnium
facturum. Tutti gli uomini, o senatori, che
deliberano intorno a fatti dubbi, debbono essere liberi da odio e da
amicizia, da ira e da misericordia. L’intelletto non può discernere
facilmente il vero, se quei sentimenti 1’offuscano, e nessuno mai può
obbedire contemporaneamente alla passione e al proprio interesse. Se
tendi l’arco dell’intelletto, questo ha forza; se sei preda della
passione1 , questa domina e la mente non ha più vigore. Potrei, o
senatori, ricordare molti e molti esempi di re e di popoli che spinti
dall’ira o dalla pietà presero funeste deliberazioni; ma io preferisco
dire ciò che i nostri antenati, trattenendo l’impeto delle loro passioni,
fecero con senso di rettitudine e di giustizia. Nella guerra Macedonica, che
noi combattemmo contro il re Perseo, la città di Rodi, grande e magnifi
ca, che aveva accresciuto la sua potenza con l’aiuto del popolo romano,
ci fu infedele e nemica; ma quando, terminata la guerra, si dovette
deliberare intrno alla sorte dei Rodiesi, i nostri antenati li lasciarono
impuniti3 , affi nché non si dicessse che si era intrapresa la guerra per
impadronirsi delle loro ricchezze piuttosto che per l’offesa ricevuta. Allo
stesso modo in tutte le guerre puniche, benché i Cartaginesi, durante gli
intervalli di pace e le tregue, avessero commesso molte azioni crudeli, i
nostri non approfi ttarono mai dell’occasione per fare delle rappresaglie;
cercavano di agire sempre secondo la loro dignità piuttosto che, infi
erire contro di quelli, anche se a buon diritto. Così pure voi, o
senatori, dovete tener conto di voi stessi, affi nché presso di voi non
possa di più la scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri che la
vostra dignità, e non pensiate maggiormente alla vostra ira che alla vostra
buona reputazione. 8. Infatti se si può trovare una pena adeguata al male
da loro compiuto, io approvo anche un provvedimento eccezionale; ma se la
grandezza del misfatto supera ogni umana credenza, io penso che si debbano
applicare quelle pene che siano stabilite dalle leggi. La maggior parte
di coloro che hanno espresso il loro parere prima di me, con un
linguaggio forbito e brillante, hanno commiserato la sventura dello
Stato. Hanno enumerato le crudeltà della guerra e i mali che toccano ai vinti,
vergini e fanciulli rapiti, fi gli strappati dalle braccia dei genitori,
madri di famiglia costrette a subire le voglie dei vincitori, case e templi
spogliati, stragi, incendi, infi ne in ogni luogo armi, cadaveri sangue e
lutto Della pena posso dir questo, che è pura verità: nel lutto e nelle miserie
la morte è il riposo dagli affanni; non è un tormento, anzi dissolve
tutti i mali umani e non schiude né angosce né gioie. Ma, per gli dèi
immortali, perché non hai aggiunto alla tua proposta che i congiurati
fossero sottoposti prima alla fustigazione? Forse perché lo vieta la legge
Porcia? Ma ugualmente altre leggi dispongono che ai cittadini già condannati a
morte non si tolga la vita, ma si conceda l’esilio. O forse perché è più
duro essere fustigato che ucciso? Quale pena è grave o troppo aspra per
chi risulta colpevole di un tanto delitto? Se poi è una pena troppo
leggera fustigarli, come può darsi che si tema la legge per fatti
poco importanti, quando è stata violata per più gravi? Ma invero,
chi potrà criticare una sentenza di morte contro traditori della patria?
L’occasione, il tempo, la fortuna, che dominano a loro volontà tutte le genti.
Qualunque cosa accada, essi l’avranno ben meritata; però, voi, o
senatori, rifl ettete bene6 che ciò che deliberate non ricada su
altri. Tutti gli esempi di illegalità nascono da casi in cui quell’illegalità
fu giusta; ma quando il potere passa nelle mani di cittadini incapaci o meno
onesti, quel nuovo esempio di illegalità, applicata contro chi l’aveva ben
meritato, viene rivolto contro cittadini incolpevoli e innocenti. Quando la
repubblica s’ingrandì e la moltitudine dei cittadini accrebbe la forza
dei partiti, si cominciarono a opprimere gli innocenti e a commettere
arbìtri di tal fatta; allora fu approvata la legge Porcia e con essa
altre leggi con cui si concedeva l’esilio ai rei di pena capitale. Io, o
senatori, ritengo che questo motivo sia di grandissima importanza perché
non si approvi l’innovazione che ora si propone. Certamente ebbero più virtù e
saggezza coloro che costruirono con forze modeste un così vasto impero
che non noi, che a malapena sappiamo mantenere ciò che così bene essi hanno creato.
Allora si debbono mettere in libertà costoro e mandarli ad accrescere
l’esercito di Catilina? Niente affatto. Ma ecco il mio parere: si confi
schino i loro beni, si tengano i rei in prigione affi dandoli ai municipi che
posseggono i migliori presìdi; per l’avvenire intorno a costoro non si
facciano più proposte in Senato né discorsi al popolo; se qualcuno
trasgredisse, il Senato deve dichiararlo nemico dello Stato e della
salvezza pubblica.Giulio Cesare. Tutti gli uomini, o senatori, che deliberano
intorno a fatti dubbi, debbono essere liberi da odio e da amicizia, da
ira e da misericordia. 2. L’intelletto non può discernere facilmente il
vero, se quei sentimenti 1’offuscano, e nessuno mai può obbedire
contemporaneamente alla passione e al proprio interesse. 3. Se tendi
l’arco dell’intelletto, questo ha forza; se sei preda della passione1 , questa
domina e la mente non ha più vigore. 4. Potrei, o senatori, ricordare
molti e molti esempi di re e di popoli che spinti dall’ira o dalla pietà
presero funeste deliberazioni; ma io preferisco dire ciò che i nostri
antenati, trattenendo l’impeto delle loro passioni, fecero con senso di
rettitudine e di giustizia. Nella guerra Macedonica, che noi combattemmo
contro il re Perseo, la città di Rodi, grande e magnifi ca, che aveva
accresciuto la sua potenza con l’aiuto del popolo romano, ci fu infedele e
nemica; ma quando, terminata la guerra, si dovette deliberare intrno alla
sorte dei Rodiesi, i nostri antenati li lasciarono impuniti, affi nché
non si dicessse che si era intrapresa la guerra per impadronirsi delle loro
ricchezze piuttosto che per l’offesa ricevuta. Allo stesso modo in tutte le
guerre puniche, benché i Cartaginesi, durante gli intervalli di pace e le
tregue, avessero commesso molte azioni crudeli, i nostri non approfi
ttarono mai dell’occasione per fare delle rappresaglie; cercavano di
agire sempre secondo la loro dignità piuttosto che, infi erire contro di
quelli, anche se a buon diritto. Così pure voi, o senatori, dovete tener
conto di voi stessi, affi nché presso di voi non possa di più la
scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri che la vostra dignità, e
non pensiate maggiormente alla vostra ira che alla vostra buona
reputazione. 8. Infatti se si può trovare una pena adeguata al male da loro
compiuto, io approvo anche un provvedimento eccezionale; ma se la grandezza del
misfatto supera ogni umana credenza, io penso che si debbano applicare quelle
pene che siano stabilite dalle leggi. La maggior parte di coloro che hanno
espresso il loro parere prima di me, con un linguaggio forbito e
brillante, hanno commiserato la sventura dello Stato. Hanno enumerato le
crudeltà della guerra e i mali che toccano ai vinti, vergini e fanciulli
rapiti, fi gli strappati dalle braccia dei genitori, madri di famiglia
costrette a subire le voglie dei vincitori, case e templi spogliati,
stragi, incendi, infi ne in ogni luogo armi, cadaveri sangue e lutto. Della
pena posso dir questo, che è pura verità: nel lutto e nelle miserie la
morte è il riposo dagli affanni; non è un tormento, anzi dissolve tutti i mali
umani e non schiude né angosce né gioie. Ma, per gli dèi immortali,
perché non hai aggiunto alla tua proposta che i congiurati fossero
sottoposti prima alla fustigazione? Forse perché lo vieta la legge Porcia? Ma
ugualmente altre leggi dispongono che ai cittadini già condannati a morte non
si tolga la vita, ma si conceda l’esilio. O forse perché è più duro
essere fustigato che ucciso? Quale pena è grave o troppo aspra per chi
risulta colpevole di un tanto delitto? Se poi è una pena troppo leggera
fustigarli, come può darsi che si tema la legge per fatti
poco importanti, quando è stata violata per più gravi? Ma invero,
chi potrà criticare una sentenza di morte contro traditori della patria?
L’occasione, il tempo, la fortuna, che dominano a loro volontà tutte le genti.
Qualunque cosa accada, essi l’avranno ben meritata; però, voi, o
senatori, rifl ettete bene6 che ciò che deliberate non ricada su
altri. Tutti gli esempi di illegalità nascono da casi in cui quell’illegalità
fu giusta; ma quando il potere passa nelle mani di cittadini incapaci o meno
onesti, quel nuovo esempio di illegalità, applicata contro chi l’aveva ben
meritato, viene rivolto contro cittadini incolpevoli e innocenti. Quando la
repubblica s’ingrandì e la moltitudine dei cittadini accrebbe la forza
dei partiti, si cominciarono a opprimere gli innocenti e a commettere
arbìtri di tal fatta; allora fu approvata la legge Porcia e con essa
altre leggi con cui si concedeva l’esilio ai rei di pena capitale. 41. Io, o
senatori, ritengo che questo motivo sia di grandissima importanza perché
non si approvi l’innovazione che ora si propone. Certamente ebbero più virtù e
saggezza coloro che costruirono con forze modeste un così vasto impero
che non noi, che a malapena sappiamo mantenere ciò che così bene essi hanno
creato. Allora si debbono mettere in libertà costoro e mandarli ad
accrescere l’esercito di Catilina? Niente affatto. Ma ecco il mio parere:
si confi schino i loro beni, si tengano i rei in prigione affi dandoli ai
municipi che posseggono i migliori presìdi; per l’avvenire intorno a costoro
non si facciano più proposte in Senato né discorsi al popolo; se qualcuno
trasgredisse, il Senato deve dichiararlo nemico dello Stato e della
salvezza pubblica. Giulio Cesare.
Grice e Giulio: la
ragione conversazionale e l’attaco a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) Filosofo italiano. A philosopher who was killed
during an attack on the city. Giulio
Giuliano.
Grice e Giunco:
la ragione conversazionale dell’andreia -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. The author of a philosophical
dialogue about the three ages of man. The son-in-law of Tito Vario Ciliano. The
models for the three ages of man are his father in law, himself, and his own
son, as models. He argues that the middle age is the best. Grice: “But he was
biased. In fact, in my lectures on reasoning, I give this as an example of
biased reasoning!” – Giunco.
Grice e Giunio: la
ragione conversazionale dell’accademia al portico romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Appartene
all'Accademia -- cioè effettivamente all’eclettismo con tendenze stoiche di
Antioco d’Ascalona -- che, appunto, accetta dottrine derivate dal
portico. In Atene fa studi di filosofia, e in questa ha maestro
Aristone. Nella guerra civile parteggia per Pompeo e combatte a
Farsaglia. Ottenne di riconciliarsi con GIULIO (si veda) Cesare. Forma stretti
rapporti con CICERONE, che gli dedica varie opere: "Brutus",
"Paradoxa", "Orator", "De finibus",
"Tusculanae", "De natura Deorum." A CICERONE, dedica il
"De virtute" (Andreia). Legato pro-pretore nelle Gallie, pretore
urbano, partecipa alla congiura contro GIULIO (si veda) Cesare e e uno dei suoi
uccisori. Sconfitto a Filippi d’OTTAVIANO, si uccide. Uno dei maggiori
rappresentanti dell’atticismo è oratore insigne. Scrive lettere (VIII a
Cicerone ci restano nella corrispondenza di questo), poesie e tre opere
morali. Nel "De virtute” difende la teoria dell’auto-sufficienza
della virtù. In "Sui doveri" da precetti al fratello sulla sua
condotta. (Grice: “He never followed them!”). Nel "De patientia,"
tratta di questa. Marco Giunio Bruto il Minore. Giunio. The Swimming-Pool
Library.
Grice e Giunio: la
ragione conversazionale e il portico romano -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A follower of the Porch, and one of
the senators who opposed NERONE. Giunio
Maurizio
Grice e Giuniore:
la ragione conversazionale e la geografia filosofica -- Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher
who wrote, or edited, a short work on geography, comprising the whole of Rome,
and some of the shoreline outskirts, including Ostia. Giuniore.
Grice e Giussani: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’amicizia – il comune,
fraternità, liberazione – filosofia lombarda -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Desio). Filosofo lombardo.. Filosofo
italiano. Desio, Monza, Lombardia. Grice: “I like Giussiani; of course at
Oxford he would be a no-no, being a Catholic; but he understands the pragmatics
of conversation!” Ricevette la prima introduzione dalla
madre Angelina Gelosa, operaia tessile; il padre Beniamino, disegnatore e
intagliatore, era un socialista. Entra nel seminario diocesano San Pietro
Martire di Seveso dove frequenta i primi quattro anni di ginnasio. Si trasfere
a Venegono Inferiore, nella sede principale del seminario dove frequenta
l'ultimo anno di ginnasio, i tre anni del liceo e dove svolge i successivi
studi di filosofia. Ha come docenti, fra gli altri, Colombo, Corti,
Carlo, e Figini. In quella sede conosce i compagni di studio Manfredini e
Biffi. Si interessa di Leopardi e delle chiese ortodosse. Riceve
l'ordinazione da Schuster. Dopo l'ordinazione, rimase nel seminario di
Venegono come insegnante e si specializzò nello studio della teologia orientale,
specie sugli slavofili, della teologia protestante e della motivazione
razionale dell'adesione alla Chiesa. Lascia l'insegnamento in seminario
per quello nelle scuole superiori. Inizia l'insegnamento della religione nelle
scuole a Milano dove e suo alunno Giorello. Le riunioni di suoi studenti si
tennero con il nome di Gioventù Studentesca, che fonda insieme a Ricci e che fa
parte dell'Azione Cattolica. Inizia anche un'attività pubblicistica volta
a porre attenzione sulla questione educativa. Redasse la voce
"Educazione" per l'Enciclopedia Cattolica. Sotto Colombo continua gli studi di teologia
protestante per i quali soggiornò per cinque mesi negli Stati Uniti. Ottenne la
cattedra di Introduzione alla Teologia a Milano. Lo Spirito Santo ha suscitato
nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la
bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l'opinione
che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere. G.
s'impegnò allora a ridestare nei giovani l'amore verso Cristo "Via, Verità
e Vita", ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei
desideri più profondi del cuore dell'uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto
della nostra umanità, ma attraverso di essa. Il movimento da lui creato prese
il nome di Comunione e Liberazione; ne assunse la guida presiedendone il
consiglio generale. Il Pontificio Consiglio per i Laici riconobbe la
Fraternità di Comunione e Liberazione e G. ne guidò la Diaconia
Centrale. Contribuì alla costituzione della Fondazione Banco Alimentare.
Fra le sue numerose opere vi è la trilogia del Per Corso, redatta a partire
dagli appunti delle lezioni di religione che aveva tenuto negli anni cinquanta
al liceo Berchet e in seguito all'Università Cattolica. L'opera, pubblicata in
successive edizioni prima da Jaca e poi da Rizzoli, è composta da “Il senso
religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa. Propone la
concezione della fede e dell'esperienza cristiana come incontro con Cristo
attraverso la Chiesa cattolica. La fede è un «riconoscere una Presenza» ed
occupa ogni singolo spazio della vita individuale (i rapporti umani,
l'esperienza lavorativa, la vita sociale e politica). Da ciò nasce anche una
critica alla ragione illuminista. L'idea della ragione come principale
strumento offerto all'uomo nel rapporto con la realtà e della fede come metodo
di conoscenza sono le premesse metodologiche per un'analisi dell'esperienza
religiosa. Dopo la morte, sono stati dedicati a G.: Desio: nel
paese natale di G., la piazza retrostante il municipio e un monumento opera di
Cristina Mariani a Milano: parco G., in predenza parco Solari Trivolzio: il
piazzale adibito all'accoglienza delle auto dei pellegrini alla chiesa
parrocchiale che ospita le spoglie di San Riccardo Pampuri. Finale Ligure:
l'ultimo tratto del sentiero che porta all'antica chiesa di San Lorenzo di
Varigotti: lì si tennero alcuni dei primi incontri di Comunione e Liberazione,
che ancora si chiamava Gioventù Studentesca Castronno (VA): un largo presso la
rotatoria all'uscita dell'Autostrada dei laghi. Ascoli Piceno: la scuola
primaria e dell'infanzia "G.". Portofino: la piazzetta del faro Kampala
(Uganda): la scuola secondaria G. Pozzolengo: il parco comunale adiacente al
castello San Leo: un basso-rilievo in bronzo, opera dell'artista riminese Ceccarellia,
sulla facciata del convento di Sant'Igne Rimini: la rotonda davanti al
Palacongressi, nei pressi dell'area della demolita Fiera dove si sono svolte le
prime edizioni del Meeting per l'amicizia fra i popoli Chiavari: un tratto del
lungoporto Verona: i giardini presso ponte Garibaldi a Borgo Trento Cinisello
Balsamo: un largo urbano nei pressi del comune Segrate: il centro sportivo
della frazione di Redecesio Strade comunali sono state intitolate a don G. a
Cagliari, Morrovalle, Rapallo, Treviglio, Mestre, ecc. La maggior parte delle
opere deriva dalla trascrizione di dialoghi, conversazioni e lezioni svolte in
pubblico durante raduni, convegni, esercizi spirituali. I suoi libri sono stati
pubblicati dall'editore milanese Jaca. Rizzoli ha iniziato a rieditare i testi
di G. in nuove edizioni aggiornate dotate spesso di un nuovo apparato di note e
di nuovi contenuti editoriali e a volte con titoli diversi. Rizzoli ha anche
pubblicato le opere inedited e volumi antologici di conversazioni
precedentemente disponibili sotto forma di fascicoli pro manuscripto o di
redazionali per varie riviste. Volumi di inediti o di riedizioni di testi sono poi usciti anche per altri editori,
tra i quali Marietti, San Paolo, SEI, Piemme e Messaggero di Sant'Antonio. Trascrizioni
di conversazioni e lezioni nel corso di incontri con i responsabili di
Comunione e Liberazione, di esercizi spirituali e di incontri con appartenenti
ai Memores Domini sono state di norma pubblicate come inserti redazionali o
allegate come fascicoletti nelle riviste Tracce (precedentemente nota come
CL-Littere Communionis, organo ufficiale del movimento), Il Sabato e 30 giorni
nella Chiesa e nel mondo. Un gran numero di questi testi è stato poi pubblicato
in volumi antologici. -- è iniziata la catalogazione sistematica dei
testi e degli scritti di Giussani. G. Scritti, curato dalla Fraternità di
Comunione e Liberazione, inizia la pubblicazione di schede riassuntive dei
testi. Ha diretto la collana editoriale I libri dello spirito cristiano per la
Biblioteca Universale Rizzoli. La collana e poi sostituita da un'analoga
iniziativa sotto il nome di Biblioteca della spirito cristiano, ha pubblicato titoli
scelti fra quelli che più hanno segnato l'esperienza di G. e di Comunione e
Liberazione. Ha diretto la collana discografica Spirto gentil, CD musicali di
«introduzione alla musica» con allegato un booklet di norma contenente una nota
introduttiva di G., una scheda storica sui compositori o sui musicisti e una
guida all'ascolto. Saggi: “Il senso religioso: all'origine della pretesa
cristiana, Perché la Chiesa e Il rischio educativo. “Il senso religioso, Jaca, Reinhold
Niebuhr, Jaca Teologia protestante, La Scuola Cattolica, Jaca Marietti, “L'impegno
del cristiano nel mondo, Jaca, Tracce di esperienza e appunti di metodo
cristiano, Jaca Dalla liturgia vissuta: una testimonianza, Jaca, San Paolo, Il
rischio educativo, Jaca, SEI, Rizzoli, Tracce d'esperienza cristiana, Jaca Decisione
per l'esistenza, Jaca L'alleanza, Jaca Il senso della nascita, colloquio con Testori,
BUR Rizzoli, Moralità: memoria e desiderio, Jaca, Alla ricerca del volto umano,
Jaca Rizzoli, Pregare, illustrazioni di Marina
Molino, Jaca La fede e le sue immagini, illustrazioni di Marina Molino, Jaca La
coscienza religiosa nell'uomo moderno, Jaca, Il senso religioso, Per Corso, Jaca Rizzoli, All'origine
della pretesa Cristiana, Jaca Rizzoli, Perché la Chiesa, Jaca, Rizzoli, Un
avvenimento di vita, cioè una storia, EDITIl Sabato L'avvenimento cristiano,
BUR Rizzoli, Il senso di Dio e l'uomo moderno, BUR Rizzoli, Si può vivere così?,
BUR Rizzoli, Rizzoli Il PerCorso, Jaca, Opere: Jaca, Il tempo e il tempio, BUR
Rizzoli, Realtà e giovinezza: la sfida, SEI; Rizzoli, Il cammino al vero è
un'esperienza, SEI, Rizzoli, Le mie letture, Rizzoli, Si può (veramente?!) vivere
così?, BUR Rizzoli, Porta la speranza, Marietti Riconoscere una presenza, San
Paolo, Lettere di fede e di amicizia a Majo, San Paolo, Generare tracce nella
storia del mondo, con Alberto e Prades, Rizzoli, L'uomo e il suo destino,
Marietti Scuola di Religione, SEI, L'io, il potere, le opere, Marietti Tutta la
terra desidera il Tuo volto, San Paolo, Che cos'è l'uomo perché te ne curi?,
San Paolo, Avvenimento di libertà, Marietti L'opera del movimento. La
Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo, Il miracolo dell'ospitalità,
Piemme,Il Santo Rosario, San Paolo, Egli solo è. Via Crucis, San Paolo, La
libertà di Dio, Marietti, Come si diventa cristiani, Marietti La familiarità
con Cristo, San Paolo, Vivere intensamente il reale, La Scuola,. Spirto gentil,
BUR Rizzoli,. Cristo compagnia di Dio all'uomo, EMessaggero Padova, Collana
Quasi Tischreden "Tu" (o dell'amicizia), BUR Rizzoli, Vivendo nella
carne, BUR Rizzoli, L'attrattiva Gesù, BUR Rizzoli, L'auto-coscienza del cosmo,
BUR Rizzoli, Affezione e dimora, BUR Rizzoli, Dal temperamento un metodo, BUR
Rizzoli, Una presenza che cambia, BUR Rizzoli, Collana L'Equipe Dall'utopia
alla presenza BUR Rizzoli, Certi di
alcune grandi cose, BUR Rizzoli, Uomini senza patria BUR Rizzoli, Qui e ora BUR
Rizzoli, “L'io rinasce in un incontro” BUR Rizzoli, Ciò che abbiamo di più
caro, BUR Rizzoli, Un evento reale nella vita dell'uomo BUR Rizzoli, In cammino
BUR Rizzoli, Collana Cristianesimo alla prova Una strana compagnia, BUR
Rizzoli, La convenienza umana della fede, BUR Rizzoli, La verità nasce dalla
carne, BUR Rizzoli, Un avvenimento nella vita dell'uomo, BUR Rizzoli, Interviste Comunione e Liberazione.
Interviste Robi Ronza, Milano, Jaca Book, Un caffè in compagnia. Conversazioni
sul presente e sul destino, colloqui con Farina, Milano, Rizzoli. Il fondatore:
Comunione e Liberazione. CamisascaC’altro Sessantotto", da
"L'Osservatore Romano" ORIGINE, in Banco Alimentare, Elemedia
S.p.A.Area Internet, Il mistero di don G.. Rivelato dai suoi scritti, su
chiesa. espresso.repubblica. Oggi l'addio a don Giussani Il Tirreno, in
Archivio Il Tirreno. Società Coop. Edit. Nuovo Mondo Via Porpora, Milano Tracce
, Cristo è veramente tutto, è il compiersi dell’umano», su tracce. Repubblica »
politica » Milano, i funerali di G., su repubblica Milano, profanata la tomba
di don G., Corriere della Sera su corriere. Chiesta l'apertura della causa di
beatificazione e canonizzazione, in Tracce, Società Coop. Edit. Nuovo Mondo, Passo
avanti verso la beatificazione di don Giussani, in Tempi, Società Coop. Edit.
Nuovo Mondo, Savorana, Don Luigi G., fondatore di CL, nominato monsignore, in
Avvenire, Don G.: vince il premio della cultura cattolica, in Adnkronos, Mia
giovinezza, in Tracce, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, Premio Isimbardi Città
metropolitana di Milano.Tettamanzi, La famiglia a scuola, in Tracce, Coop.
Editoriale Nuovo Mondo, La Festa dello StatutoEdizione Sigilli longobardi, su
Consiglio Regionale della Lombardia. Desio, rinasce il monumento per don
Giussani a dieci anni dalla scomparsa, in Il Cottadino, Il parco Solari sarà dedicato a G., in Il
Giornale, Tornielli, Don Giussani nel solco di San Pampuri, in La Provincia
Pavese, Finale: intitolazione strada a Giussani, in Savona News, Castronno, intitolata a Don G. la nuova
rotonda, in Varese News, Emidio Cagnucci, al musicista ascolano intitolata una
scuola, in il Quotidiano,Francesca Nacini, G. faro di Portofino, Il Giornale, Uganda.
La G. High School inaugurata a Kampala tra i canti delle donne del Meeting
Point, su AVSI, Pozzolengo, raid vandalici nei parchi, in qui Brescia, Un
bassorilievo per G. a San Leo, in Rimini
Today, Rotatoria del Palacongressi dedicata a G., in Altarimini, Chiavari,
lungoporto G. per il fondatore di Cl, in Il Secolo XIX, In Borgo Trento
giardini intitolati al fondatore di CL, in Verona Notte, Melati, Jaca Santa
editrice della rivoluzione, in Il Venerdì di Repubblica, L'Espresso SpA, Le
opere di Comunione e Liberazione. Chi
siamo, su G. Scritti, Fraternità di Comunione e Liberazione. Collana I libri dello spirito cristiano, Comunione
e Liberazione. Collana musicale Spirto gentil, di Comunione e Liberazione. Bosco,
G., Torino, Elledici, Bedouelle; Graziano Borgonovo; Clément; Olinto; Ries, Gli
uomini vivi si incontrano: scritti per G., Milanok, Camisasca, Comunione e
Liberazione: Le origini Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, Massimo
Camisasca, Comunione e Liberazione: La ripresa, Cinisello Balsamo, San
Paolo,Elisa Buzzi, Scola, Un pensiero sorgivo, Marietti D Perillo, Caro G..
Dieci anni di lettere a un padre, Piemme, Camisasca, Comunione e Liberazione:
Il riconoscimento, Appendice, Cinisello Balsamo, San Paolo, Farina, G.. Vita di
un amico, Piemme, Farina, Maestri.
Incontri e dialoghi sul senso della vita, Piemme, Ceglie, G.. Una religione per
l'uomo, 1ª ed., Cantagalli, Gamba, Allargare la ragione, Vita e Pensiero, Camisasca,
G.. La sua esperienza dell'uomo e di Dio, Cinisello Balsamo, San Paolo, Savorana,
Vita di G., Milano, Rizzoli Editore, Savorana, Un'attrattiva che muove, 1ª ed.,
Milano, BUR Saggi, Scholz-Zappa, G. e Guardini. Una lettura originale, Milano,
Jaca, Marta Busani, Gioventù studentesca. Storia di un movimento cattolico
dalla ricostruzione alla contestazione, Roma, Studium, Massimo Camisasca,
L'avventura di Gioventù Studentesca, fotografie di Elio Ciol, Milano, Mondadori
Electa, G. Paximadi, E. Prato, R. Roux e Tombolini, Giussani. Il percorso
teologico e l'apertura ecumenica, Siena, Cantagalli Eupress FTL. Scritti
di G., su G. Scritti, Fraternità di
Comunione e Liberazione. Giussani su Comunione e Liberazione, Fraternità di
Comunione e Liberazione. Luigi Giovanni Giussani. Giussiani. Keywords:
dell’amicizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giussani” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Giusso: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale degl’eroi – filosofia fascista -- il mistico dell’azione – filosofia campanese –
filosfia napoletana – scuola di Napoli -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo
italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Giusso: he has explored philosophers
from his country like Leopardi and Bruno, and tdhe whole ‘tradizione ermetica
nella filosofia italiana,’ but also French – Bergson – and especially “Dutch,”
i. e. Deutsche or tedesca – Spengler, and Nietsche – All very Italian!” Nato in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio
Giusso e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in
un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito
allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, G., uno dei fondatori
del quartiere Bagnoli, ne era stato sindaco). Si laurea in filosofia a Napoli
sotto ALIOTTA (si veda). Segue con passione l'attualismo gentiliano e proprio
il suo carattere passionale lo porta anche nel campo filosofico ad un tipo di
critica scenografica, così come fu definita. Le sue frizioni con Croce,
inizialmente orientate su temi politici, presero più tardi una forma
"sotterranea", genericamente orientata contro l'idealism. G. si
richiamava al fatalismo di Leopardi, al demiurgo di Nietzsche, allo storicismo
di Dilthey, al nichilismo dello Spengler: e a causa di quest'ultimo, oltre che
per la sua interpretazione della Scienza nuova vichiana (che si attirò una
severa recensione dello stesso Croce, G. è criticato dall'ambiente crociano. G,
critico e storico delle idee s'identificava con la visione della vita di autori
che sentiva a lui vicini per temperamento ed interessi come Bruno, Vico
(dall'analisi degli scritti del quale nacque l'infastidita reazione di Croce), Giacomo,
Bacchelli, Barilli, Papini, Soffici, Palazzeschi, Borgese, Gozzano, che molto
ispirò la sua composizione poetica Don Giovanni ammalato. I suoi Tafferugli a
Montecavallo meriterebbero forse di essere più conosciuti. Tra le due guerre,
egli partecipò all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce,
da cui molto presto si distaccò (come TILGHER (si veda), che egli difende e
mostra di apprezzare) assumendo posizioni eretiche e ispirandosi piuttosto a un
ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e dalle
molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare in una fase iniziale, Spengler
e Nietzsche. Intelligenza precoce, prima
di intraprendere l'insegnamento universitario che lo avrebbe allontanato da
Napoli portandolo ad insegnare Filosofia a Bologna, Pisa, e Cagliari, Giusso
avviò una copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi
quotidiani icome Il Popolo d'Italia, Il Secolo, Il Mattino, Il Resto del
Carlino, ed ancora il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di
Sicilia, La Stampa ed altri ancora.
Giornali questi dove fu autore di elzeviri, volti alla diffusione dei
più diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali
esponenti, soprattutto scrittori. Nel dopoguerra, superati i miti
dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica, si riavvicinò alla fede cristiana.
Era sua intenzione realizzare una revisione del pensiero italiano dal
Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e
l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico
volto a ravvicinare la filosofia della Roma antica e quello cristiano. In
chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla
figura di BRUNO (si veda). Di ritorno da un viaggio nella sua adorata Spagna muore.
A Napoli gli venne intitolata una strada.
Saggi: “Le dittature democratiche dell'Italia” (Milano, Alpes); “Leopardi”
(Napoli, Guida); “Idealismo e prospettivismo” (Napoli, Guida); “Leopardi e le
sue due ideologie” (Firenze, Sansoni); Spengler, Roma, società anonima La nuova
antologia, Cadenze di Sigismondo nella Torre, Modena, Guanda); “VICO fra
l'Umanesimo e l'Occasionalismo” (Roma, Perrella); “La visione della vita” (Napoli,
R. Ricciardi); “Elegie del torso della saggezza mutilata, Milano, Corbaccio); “Il
viandante e le statue: saggi sulla letteratura contemporanea, Roma, Cremonese);
“Lo storicismo, Milano, Bocca, Gioberti, Milano, A. Garzanti, L'anima e il
cosmo, Milano, Bocca, “La tradizione
ermetica nella filosofia italiana” (Milano, Bocca); Due scritti sul
nazionalsocialismo, Roma, Settimo Sigillo, Quaderno, Napoli, Università degli
Studi Suor Orsola Benincasa,. Tafferugli a Montecavallo, La Finestra, Lavis, Il
fascismo e Croce, "Gerarchia", "La Critica", rist. in Nuove pagine
sparse, Panteismo e magia in Bruno (Sassari, Scienze e filosofia in Bruno,
Napoli Roma, Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Corriere della sera, La Fiera letteraria, Giornale di metafisica, F.
Bruno,Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos, IE. Falqui, Di noi
contemporanei, Firenze, ad indicem; G. Villaroel, Gente di ieri e di oggi,
Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo, ad indicem; G.
Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, R. Maran, L. G. e la ricerca d'un
sistema, in Sophia, A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero; Toffanin,
Nuova Antologia, Boni Fellini, L'Osservatore politico letterario, Diz. della
letteratura mondiale, Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli
italiano. L’Illuminismo oscuro G., autore e studioso
multidisciplinare, ha lasciato ai posteri una sterminata produzione
intellettuale, tenuta tuttavia troppo poco in considerazione dal mondo
accademico contemporaneo. Stefano Chemelli 10 articoli G. è
studioso di filosofia. Recinto riduttivo si dirà, ma per lui invece parco
multiforme. Ispanista, germanista, francesista. Allievo d’Aliotta e BATTAGLIA
(si veda) è critico letterario, si laurea, ottiene la libera docenza in
Filosofia teoretica e morale ma insegna. “Tafferugli a Montecavallo” pubblicato
da Cappelli uno studio sul barocco romano e Bernini, “La tradizione ermetica
nella filosofia italiana”, le straordinarie conversazioni radiofoniche di
“Autoritratto spagnolo” sono appena un accenno a una sterminata produzione
redatta nel breve arco di cinquantasette anni. Sodale di Unamuno e Ortega
con i quali ha condiviso amabili conversari, G. si occupa a fondo di Goethe, LEOPARDI
(si veda), Stendhal, Nietzsche, Dostoevskij, Freud, Dilthey, Simmel, Bergson,
GIOBERTI (si veda), VICO (si veda), BRUNO (si veda). Inoltre fu di Spengler uno
dei primissimi esegeti italiani. Dotato di una conversazione che incantava
anche il grande Edoardo, complice in gustosi siparietti nei quali De Filippo si
trasformava in spettatore, basterebbero le pagine dedicate al Bernini per
intuire la rabdomantica agilità di scrittura sempre corroborata da una cultura
che poteva reggere l’impulso filologico di un Croce. Dona un’analisi storica
poderosa in “Le dittature democratiche dell’Italia”, all’ascesa del fascismo,
seguito dalla prima raccolta di scritti letterari che ne connotano le capacità
di “viandante” nei diversi giardini del sapere; “Il ritorno di Faust” è, “Figure
di Capri”, a ruota seguono le pagine sopra Freud, Ortega, Dostoevskij, e
soprattutto lo studio su Leopardi. Copia de "La tradizione ermetica
nella filosofia italiana"Copia de “La tradizione ermetica nella filosofia
italiana” Stendhal e Nietzsche non escludono l’impegno anche poetico che
troverà sfogo in tre raccolte che molto dicono del Giusso più segreto (“Musica
in piazza”, “Cadenze di Sigismondo nella torre”, “Elegie del torso della
saggezza mutilata”). “Spengler e la dottrina degli universali formali”
restituisce in forma autonoma un approfondimento più volte ripreso da Giusso
nel decennio dei trenta che costituisce la decade dell’approfondimento
filosofico più intenso (Dilthey e Ortega tra gli altri) e preparatorio al
grande volume “Filosofia e immagine cosmica” dedicato a GENTILE. Due traduzioni
spagnole coinvolgeranno gli studi di G. rivolte a Vico ma sarebbe urgente dare
attenzione alla tradizione ermetica, magari per scoprire che GARIN (si veda)
l’ha sicuramente letta e ripresa molto più tardi. Kulturkritiker
universale lo definì Buscaroli, allievo devoto a Bologna quando G. strabilia un
manipolo di arditi fuoricorso in Estetica e Letteratura spagnola, che mai
avrebbero rinunciato alle sue esibizioni in diretta presso l’Alma Mater
bolognese, fugacemente ospitati. Un grande romantico della ispecie dei
Kleist, degli Hoederlin, dei Novalis però, poeta dei talami dissacrati che
trova negli articoli, nelle corrispondenze, nei taccuini di viaggio infinite
suggestioni, il tono di un G. confidenziale e descrittivo vicino al lettore non
specialista ma disposto a calarsi nell’ambiente e nell’aria, nella luce chiara
e tersa di un respiro curioso sino al dettaglio minuto. Filosofia ed
imagine cosmica; Filosofia ed immagine cosmica; Pubblicati recentemente i
quaderni spagnoli dalla Università Benincasa, sono ancora inedite le pagine
tedesche e austriache, ma esistono anche reportage francesi, nei quali uomini e
cose sbalzano con la modestia e la versatilità del carattere e la magnificenza
della scrittura. La vita di ognuno non elide né la circostanza né l’astrazione,
G. è uno dei protagonisti del teatro del mondo che abbiamo ignorato, noi
italiani, lui, molto napoletano, ma già europeo, ben oltre l’amatissima Spagna.
Un europeo immerso nella musica delle lingue (francese, spagnolo, tedesco…), in
VICO e Spengler. Tilgher, Alvaro, Toffanin, furono amici veri, fidati, ammirati
di un uomo al quale era sconosciuta l’invidia e al contrario era profferta a
piene mani una generosa e prodiga liberalità in nome di una poetica propensione
al dialogo di un sapere trasversale, comunicativo e incantato nella magia della
parola libera, circostanziata, esatta. Una studiosa di letteratura
italiana ha affermato che il più bel libro di G. è il quaderno spagnolo, ed ha
pure aggiunto che quaderno spagnolo e autoritratto spagnolo coincidono. Spaini,
ma pure Buscaroli che con Rispoli di G. sono stati tra i conoscitori più
profondi di G., difficilmente concorderebbero. Le pagine spagnole, tedesche,
austriache servono a entrare nel mondo giussiano, consentono di accedere a una
dimensione della cultura che non conosce omologazioni di sorta, schieramenti,
posizionamenti di rendita. Permettono di sorridere a fronte di un esteta armato
solo di una generosità speciale: cogliendo l’anima dell’umanità in una minuzia
necessaria a ritrovare un sentiero precario, attraverso il quale condurre a una
visione più ampia, senza dimenticare la poesia della vita. Gioberti come uomo
del risorgimento – serie: Uomini del risorgimento. “U= IL FASCISMO di Croce”
Gerarchia – “Croce contro Croce” – da CRITICA FASCISTA – “Gentile, mistico
dell’azione, tratto da “Il lavoro d’Italia” – “Gentile, “La Nazione” .
Nacque a Napoli, in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio e da
Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in un terreno
fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito allo
sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo Giusso, ne era
stato sindaco). Gli studi di G. a Napoli (dove è allievo, fra gli altri,
di ALIOTTA (si veda)), coronati dalla laurea in lettere e filosofia, si
svilupparono in molteplici direzioni. Pur destinato a diventare
prevalentemente filosofo e storico della filosofia, i suoi non dilettanteschi
interessi spaziarono dalla letteratura alla musica, dalla pittura alla
filosofia, secondo un percorso eclettico ed estroso, fondato sull'istinto
piuttosto che sul metodo, che lo portò a una conoscenza approfondita ed
estesissima nei settori più diversi. Tra le due guerre, egli partecipò
all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce, da cui
molto presto si distaccò (come TILGHER (si veda), che egli mostra di
apprezzare) assumendo posizioni "eretiche" e ispirandosi piuttosto a
un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e
dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare, in una fase
iniziale, Spengler e Nietzsche. Intelligenza precoce, prima di
intraprendere l'insegnamento universitario, che lo avrebbe allontanato da
Napoli, G. avvia una copiosa pubblicazione di saggi, collaborando con numerosi
quotidiani italiani come autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più
diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali
esponenti, soprattutto scrittori. L'attività giornalistica si sviluppa
particolarmente quando G. inizia a collaborare con L'Idea nazionale, Il Popolo
d'Italia e Il Secolo, quindi con Il Mattino, come critico letterario; fu poi
autore di articoli di viaggio, per il Corriere della sera, e tenne un diario
critico per Il Resto del Carlino, pubblicando sulla terza pagina di molti
quotidiani italiani (Il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di
Sicilia, La Stampa e altri ancora), anche se il lavoro propriamente
giornalistico rallentò quando prevalse quello universitario. Ottenne la
libera docenza in filosofia a Napoli, dove l'anno successivo insegnò filosofia
morale; le principali tappe del suo percorso universitario - molteplice anche
per le numerose discipline di cui si occupa - furono: Cagliari, dove insegna come
professore incaricato, ricoprendo, secondo un percorso abbastanza inconsueto e
irregolare, le cattedre di filosofia teoretica, letteratura italiana e
francese, storia delle religioni; quindi, Bologna, dove, sempre come
incaricato, insegnò lingua e letteratura spagnola, infine Pisa. La carriera
universitaria del G. non si limitò, comunque, all'Italia: insegna letteratura
italiana a Monaco, a Nizza, a Breslavia, a Debreczen in Ungheria, a Madrid,
dove è accademico d'onore, e a Barcellona. Proprio al ritorno da un
viaggio in terra spagnola venne colpito dalla malattia che lo avrebbe condotto
alla morte. G. muore a Roma. Oltre all'attività come giornalista e
saggista, G. pubblica anche alcune raccolte di poesie: Musica in piazza
(Napoli) e Don Giovanni ammalato, una rifusione, accresciuta, del primo volume;
Cadenze di Sigismondo nella torre, Modena; e, infine, Elegie del torso della
saggezza mutilata, Milano: d'intonazione prossima ai crepuscolari le prime,
percorse dal senso di una discrepanza tra la piattezza della vita quale ci è
data e il desiderio di viverla in modo più libero e pieno; maggiormente legate all'estetismo
dannunziano, e insieme non dimentiche del clima d'avanguardia in cui era
avvenuta la prima formazione di G., le ultime due. Saggista acuto, ottimo
conversatore, spirito brillante e fortemente antiaccademico, caratterizzato da
un sapere enciclopedico, G. non si lega ad alcuna scelta politica, non
appartenne a nessuna scuola di pensiero e non ebbe maestri diretti né
discepoli. Dal suo asistematico sforzo di interpretazione della cultura moderna
non si può trarre una dottrina unitaria ma soltanto il profilo di un cammino
variegato e intenso, che trae origine dalla ricerca di una visione totale
dell'esistenza nel fondamentale intento di realizzare un ideale di vita,
problema con cui G. non smise mai di misurarsi, secondo una prospettiva
antirazionalista (e implicitamente antidealista). Allontanatosi molto
presto, come si è detto, dal crocianesimo imperante nell'ambiente napoletano,
il primo interesse di G. è per i protagonisti dell'irrazionalismo e del
vitalismo eroico, e per il pessimismo cosmico di Leopardi (Il ritorno di Faust,
Napoli; Leopardi, Stendhal, Nietzsche; Tre profili: Dostoevskij, Freud, Ortega
y Gasset; Leopardi e le sue due ideologie, Firenze); in tempi diversi riunì in
raccolte i ritratti degli autori e dei personaggi che più lo avevano interessato
(Il viandante e le statue. Saggi sulla letteratura contemporanea,
Milano). Nell'ambito di una ricerca più propriamente FILOSOFICA, i
principali autori di riferimento di G. - che costituirono anche l'oggetto dei
suoi studi – sono Dilthey (Dilthey e la filosofia come visione della vita,
Napoli; Dilthey, Simmel, Spengler, Milano); i già ricordati Nietzsche
(Nietzsche, Napoli), Spengler (Spengler e la dottrina degli universali formali,
Napoli), e Gasset. Il rapporto tra razionalismo e irrazionalismo (e il
superamento della loro opposizione) e quello tra scienza e filosofia e vita
sono il tema di fondo di quella che probabilmente rimane una delle sue opere
più significative, Filosofia ed imagine cosmica (Roma), in cui, in diretto
riferimento a Vico (si veda anche: Vico tra umanesimo e occasionalismo, Roma;
La filosofia di Vico e l'età barocca), egli delinea una genealogia della
filosofia, e in generale dell'attività razionale, a partire dalle istanze
vitali e concrete dell'uomo. In VICO (si veda), secondo G., non c'è una
filosofia intesa come ontologia e come organo di un conoscere razionale perché
i sistemi filosofici riflettono il tentativo di appropriazione verbale del
mondo in rapporto a un'originaria intuizione cosmica, così come le scienze e le
tecniche non procedono da una razionalità astratta ma dai bisogni dell'uomo
sociale, rimandando a un sentimento che è espressione del primitivo legame, non
specificamente conoscitivo, che unisce uomo e mondo. Nel dopoguerra,
approfondendo questa tematica e superati i miti dell'irrazionalismo e
dell'energia vitalistica, il G. si riavvicinò alla fede cristiana; era sua
intenzione realizzare una revisione della storia del pensiero italiano dal
Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e
l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico
volto a ravvicinare il pensiero dell'antichità greco-romana e quello cristiano.
In chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche
alla figura di Bruno (Scienza e filosofia in Bruno, Napoli-Roma). Tra le
opere del G., oltre a quelle già citate, si ricordano: Le dittature
democratiche d'Italia, Milano; Idealismo e prospettivismo, Napoli; Lo
storicismo tedesco: l'anima e il cosmo, Roma; Bergson, Milano; Gioberti; Spagna
e antispagna: saggisti e moralisti spagnoli, Mazara del Vallo; La tradizione
ermetica nella filosofia italiana, Trapani; Tafferugli a Montecavallo, Bologna;
Origene e il Rinascimento, Roma: Autoritratto spagnolo, a cura di A. Spaini,
Torino; Necr. in Corriere della sera, La Fiera letteraria; Giornale di
metafisica, Bruno, L. G., in Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos; Falqui,
Di noi contemporanei, Firenze, ad indicem; Villaroel, Gente di ieri e di oggi,
Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo, ad indicem; G.
Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, 11 maggio 1957; R. Maran, L. G. e
la ricerca d'un sistema, in Sophia; Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero;
Toffanin, G. e Ortega, in Nuova Antologia; Boni Fellini, G. dieci anni dopo, in
L'Osservatore politico letterario; Diz. della letteratura mondiale del '900,
sub voce. Panteismo tipo di teismo Lingua Segui Modifica Il panteismo
(πάν = tutto e θεός = Dio, vuol dire letteralmente "Dio è Tutto" e
"Tutto è Dio") è una visione del reale per cui ogni cosa è permeata
da un divino immanente o per cui l'Universo o la natura sono equivalenti a Dio
(Deus sive Natura). Definizioni più dettagliate tendono ad enfatizzare
l'idea che la legge naturale, l'esistenza e l'universo (la somma di tutto ciò
che è e che sarà) siano rappresentati nel principio teologico di un 'dio'
astratto piuttosto che una o più divinità personificate di qualsiasi tipo.
Questa è la caratteristica chiave che distingue il panteismo dal panenteismo e
dal pandeismo. Ne deriva che molte religioni, pur reclamando elementi
panteistici, sono in realtà per natura più panenteiste e
pandeiste. Levine, nel suo libro Panteismo, lo definisce «una concezione
non-teistica della divinità». In senso lato, con "panteismo" si
intende ogni dottrina filosofica che identifichi Dio con il mondo o con il
principio che lo regge. Per l'esattezza, il concetto di Dio-Uno-Tutto si
presenta in due versioni: quella "cosmistica", la quale afferma
"Dio è nel Tutto", e quella acosmistica (il termine è di Hegel), la
quale afferma "Il Tutto è in Dio". Nel primo caso, come nello
stoicismo, Dio impregna e pervade l'universo in ogni sua parte; nel secondo
caso, come nello spinozismo, l'universo in ogni sua parte rifluisce e si scioglie
in Dio, quale Uno-Tutto. Storia del panteismo Modifica Il termine
"panteista" (dal quale la parola "panteismo" è derivata) è
usato propriamente per la prima volta da Toland nella sua opera Socinianism
Truly Stated, by a pantheist. Comunque, il concetto era stato discusso già al
tempo dei filosofi della Grecia antica, da Talete, Parmenide ed Eraclito. I
presupposti ebraici del panteismo possono essere ricercati nella Torah stessa,
nel racconto della Genesi e nei suoi primi materiali profetici, nei quali
chiaramente gli "atti di natura" (come inondazioni, tempeste,
vulcani, etc.) sono tutti identificati come "la mano di Dio"
attraverso idiomi di personificazione, così spiegando gli aperti riferimenti al
concetto, sia nel Nuovo Testamento, che nella letteratura cabalistica. Sorge
una consistente controversia tra Jacobi e Mendelssohn, che infine coinvolse
molte importanti persone del tempo. Jacobi affermava che il panteismo di
Lessing era materialistico, per il fatto che considerava tutta la natura e Dio
come una sola sostanza estesa. Per Jacobi, esso non era altro che il risultato
della devozione alla ragione, tipicamente illuminista, che avrebbe condotto
all'ateismo. Mendelssohn espresse il suo disaccordo, asserendo che il panteismo
era teistico. Il Panteismo di Eraclito Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Eraclito. Il panteismo è un componente della
dottrina del filosofo greco Eraclito, secondo cui il divino è in tutte le cose
ed è identico al mondo nella sua interezza. Questa concezione porta a
identificare il divino con l'Universo, facendolo divenire quindi l'Unità di
tutti i contrari, il Fuoco generatore. Il Dio-tutto di Eraclito ha in sé
tutte le cose ed è una realtà eterna. Eraclito sembra rifarsi alla teoria della
cosmologia ciclica, poiché la sua concezione della realtà è simile a un insieme
di fasi alterne: un ciclo distruttivo-produttivo, che verrà sviluppato in
seguito dagli Stoici. Il Panteismo del PORTICO ROMANO Magnifying glass
icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: IL PORTICO ROMANO. Il panteismo
stoico è una delle più compiute espressioni di esso, dove il divino è la
ragione e l'intelligenza che lo determina e lo permea. Il divino del PORTICO
ROMANO, quindi, non si identifica con l'universo, ma lo permea come suo
fondamento e ragion d'essere. Il Panteismo di Plotino Si è parlato spesso
impropriamente di panteismo in Plotino. In realtà, secondo Plotino, Dio non è
solo immanente, ma anche trascendente. Come ha evidenziato anche Reale, l'Uno,
il Dio plotiniano, pur permeando di sé ogni realtà, ne è superiore. Plotino
dice infatti chiaramente che l'Uno, «in quanto principio di tutto, non è il
tutto. Con questa affermazione egli sembra prendere in contropiede, quasi le
prevedesse, le interpretazioni immanentistiche e panteiste del suo
pensiero. Il Panteismo di BrunoModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Bruno. La visione di BRUNO (si veda) può essere
considerata un panteismo del divino-Infinità ed ha alcuni caratteri del
panpsichismo. Nella filosofia di Bruno, i cinque dialoghi del De la causa,
principio et uno intendono stabilire i princìpi della realtà naturale.
Forma universale del mondo è l'anima del mondo, la cui prima e principale
facoltà è l'intelletto universale, il quale «empie il tutto, illumina
l'universo e indirizza la natura a produrre le sue specie». La materia è
il secondo principio della natura, dalla quale ogni cosa è formata: «come
nell'arte, variandosi in infinito le forme, è sempre una materia medesima che
persevera sotto quella, come la forma dell'albore è una forma di tronco, poi di
trave, poi di tavolo, poi di sgabello, e così via discorrendo, tuttavolta
l'esser legno sempre persevera; non altrimenti nella natura, variandosi in
infinito e succedendo l'una all'altra le forme, è sempre una medesma la
materia». Discende da questa considerazione l'elemento fondamentale della
filosofia bruniana: tutta la vita è materia, materia infinita. Nella sua
concezione, anche la Terra è dotata di anima. Egli in De l'infinito,
universo e mondi scrive: «Io dico Dio tutto infinito, perché da sé
esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito; e dico Dio totalmente
infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte
infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità dell'universo, la quale
è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi all'infinito,
possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quello. Bruno,
Dialoghi metafisici, Firenze, Sansoni Il Panteismo di Spinoza Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Spinoza e Monismo panteistico. La tesi centrale del
pensiero di Baruch Spinoza è l'identificazione panteistica o, meglio,
immanentistica di Dio con la Natura (Deus sive Natura) ed in essa convergono i
temi ed i motivi appartenenti alle tradizioni culturali più disparate, la
teologia giudaica, la filosofia ellenistica, la filosofia neoplatonica-naturalistica
del Rinascimento, il razionalismocartesiano ed il pensiero arabo, ed infine le
sfumature di Thomas Hobbes. Spinoza concepisce un Dio coniugato con
l'unità e la necessità e perciò: «Dio, ossia la sostanza che consta
di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna ed
infinita, esiste necessariamente. Se lo neghi, concepisci, se è possibile, che
Dio non esista. Dunque (per l'As.7) la sua essenza non implica l'esistenza. Ma
questo (per la Prop.7) è assurdo: dunque Dio esiste necessariamente.»
(Spinoza, Etica, Roma, Editori Riuniti Ne consegue la dimostrazione di ciò che
Dio è: «Tutto ciò che è, è in Dio: Dio però non si può dire cosa
contingente. Infatti esiste necessariamente, e non in modo contingente.
Inoltre, i modi della divina natura sono seguiti da essa anche necessariamente
e non in modo contingente e ciò o in quanto si considera la divina natura
assolutamente oppure in quanto la si considera determinata ad agire in un certo
modo. Inoltre, di questi modi Dio è causa non soltanto perché semplicemente
esistono in quanto li si considera determinati a fare qualcosa. Poiché se non
sono determinati da Dio, è impossibile e non contingente che determinino se
stessi; e al contrario se sono determinati da Dio, è impossibile, e non
contingente, che rendano se stessi indeterminati. Per cui tutte le cose sono
determinate dalla necessità della divina natura non soltanto ad esistere, ma
anche ad esistere e agire in un certo modo, e non si dà nulla di
contingente.» (B. Spinoza, Etica, Questa concezione fa sì che il Dio di
Spinoza (ma non meno quello del PORTICO ROMANO), per qualche filosofo
contemporaneo, risulti essenzialmente un impersonale Dio-Necessità,
contrapponibile al Dio-Volontà come persona divina tipica dei monoteismi.
Descrizione Tipi di panteismoModifica Si possono distinguere tre gruppi di
panteisti: panteismo classico, che si esprime attraverso l'immanente Dio
del Giudaismo, Induismo, Monismo, neopaganesimo e delle dottrine New Age,
generalmente considerando Dio come personificazione o manifestazione cosmica;
panteismo biblico, che è espresso negli scritti della Bibbia; panteismo
naturalistico, basato sulle, relativamente recenti, visioni di Baruch Spinoza
(che potrebbe essere stato influenzato dal panteismo biblico) e John Toland
(che coniò il termine "panteismo"), così come sulle influenze
contemporanee. La maggioranza delle persone che possono identificarsi come
"panteiste" appartengono al tipo classico (come gli Indù, i Sufi, gli
Unitaristi, i neopagani, i seguaci della New Age, etc), mentre molte persone
che identificano se stesse come panteiste (non essendo membri di un'altra
religione) appartengono al tipo naturalista. La divisione tra le tre branche
del panteismo non sono completamente chiare in tutte le situazioni, rimanendo
dei punti di controversia nei circoli panteisti. I panteisti classici
generalmente accettano la dottrina religiosa secondo cui ci sarebbe una base
spirituale per tutta la realtà; mentre i panteisti naturalisti generalmente non
concordano, piuttosto intendendo il mondo in termini più naturalistici. La
confusione tra i concetti di panteismo e ateismo è un problema antico in
linguistica. GL’ANTICHI ROMANI si rifereno ai cristiani come atei e le
spiegazioni di questo fenomeno semantico possono variare. Metodi di
spiegazione Una caratteristica spesso citata del panteismo è che ogni essere
umano, essendo parte dell'universo o della natura, è parte del divino. Uno dei
problemi discussi dai panteisti è come possa esistere il libero arbitrio in un
contesto simile. In risposta, qualche volta è data la seguente analogia
(particolarmente dai panteisti classici): "stai a Dio come una tua singola
cellula sta a te". L'analogia sostiene anche che, sebbene una
cellula possa essere cosciente del suo ambiente e abbia persino qualche scelta
(libero arbitrio) tra giusto e sbagliato (uccidere un batterio, divenire
cancerogena o non fare semplicemente niente), ha presumibilmente una
comprensione limitata dell'essere più grande, di cui fa parte. Un altro modo di
comprendere questo tipo di relazione è tramite la frase indù tat tvam asi -
"quello che sei", in cui l'anima/essenza umana o Ātmanè intesa
medesima di Dio o Brahman. Nel contesto indù, si crede che il singolo debba
essere liberato attraverso l'illuminazione (moksha), in modo da sperimentare e
capire pienamente questa relazione: la parte diventa non dissimile dal
tutto. Non tutti i panteisti accettano l'idea del libero arbitrio, dato
che il determinismo è largamente diffuso, particolarmente presso i panteisti
naturalistici. Sebbene le interpretazioni individuali del panteismo possano
suggerire certe implicazioni per la natura e l'esistenza del libero arbitrio
e/o determinismo, il panteismo non implica il requisito di credere in entrambi.
Comunque, il problema è largamente discusso ed è presente in molte altre
religioni e filosofie. Dibattito Alcuni sostengono che il panteismo è
poco più che una ridefinizione della parola il divino per definire esistenza,
vita o realtà. Molti panteisti direbbero che, se fosse così, un tale
cambiamento nel modo in cui pensiamo a queste idee servirebbe a creare una
nuova e potenzialmente più perspicace concezione sia dell'esistenza, che di
Dio. Forse il più significativo dibattito all'interno della comunità
panteistica è quello riguardante la natura di Dio. Il panteismo classico crede
in un Dio personale, cosciente e onnisciente e vede questo Dio come unificante
di tutte le vere religioni. Il panteismo naturalistico crede invece in un
Universo non cosciente e non senziente che, sebbene sacro e meraviglioso, è
visto come un Dio in senso non tradizionale e non personale. I punti di
vista compresi all'interno della comunità panteista sono necessariamente
diversi, ma l'idea centrale, che vede l'Universo come un'unità onnicomprensiva
e la sacralità sia della natura che delle sue leggi, è comune. Alcuni panteisti
sostengono, inoltre, un fine comune di natura e uomo, sebbene altri rifiutino
l'idea di un fine e vedano l'esistenza come esistente di per sé. Concetti
panteistici nella religione Induismo È
generalmente riconosciuto che i testi religiosi indù sono i più antichi
conosciuti in letteratura contenenti idee panteistiche. Nella teologia indù,
Brahman è la realtà infinita, immutabile, immanente e trascendente che è il
Divino Terreno di tutte le cose nell'Universo e che è anche la somma totale di
tutte le cose che sono, sono state e saranno. Questa idea di panteismo è
rintracciabile in alcuni testi più antichi come i Veda e gli Upanishad e nella
più tarda filosofia Advaita. Tutti i Mahāvākya degli Upanishad, in un modo o
nell'altro, sembrano indicare l'unità del modo con Brahman. Upanishad dice
Tutto in questo Universo in realtà è Brahman; da lui esso procede; all'interno
di lui è dissolto; in lui respira, così lasciate che ognuno lo adori
tranquillamente". Inoltre dice: "Tutto l'Universo è Brahman, da
Brahman a una zolla di terra. Brahman è la causa efficiente e materiale del
mondo. Egli è il vasaio da cui si forma il vaso; egli è la creta con il quale è
fabbricato. Tutto proviene da Lui, senza perdita o diminuzione della fonte,
come la luce irradiata dal sole. Ogni cosa è unita entro Lui ancora, come le
bolle che esplodono si uniscono all'aria, come i fiumi sfociano negli oceani.
Tutto proviene e ritorna al divino, come la tela di un ragno è fabbricata e
ritratta dal ragno stesso, Negli inni del Rig Veda, una traccia di pensiero
panteista può essere riconosciuta nel libro decimo. Questa concezione di Dio lo
vede come l'unità, con gli dei personali e individuali aspetto dell'Unico,
sebbene differenti divinità siano viste da diversi fedeli come particolarmente
adatte alle loro preghiere. Come il sole emana raggi di luce che provengono
dalla stessa fonte, lo stesso avviene dagli sfaccettati aspetti di Dio emanati
da Brahman, come più colori dallo stesso prisma. Il Vedānta, specificatamente
l'Advaita, è una branca della filosofia indù che pone grande accento su questa
materia. Molti aderente vedantici sono monistio "non-dualisti, vedendo le
molteplici manifestazioni di un solo Dio o della fonte dell'essere, una visione
che è spesso considerata dai non induisti come politeista. Il panteismo è
la componente chiave della filosofia Advaita. Altre suddivisione dei Vedanta
non sostengono in maniera peculiare le stesse istanze. Per esempio, la scuola
Dvaita di Madhvacharya ritiene che Brahman sia il Dio esterno personale Vishnu,
laddove invece le scuole Rāmānuja sposano il Panenteismo. Ebraismo Il
senso radicalmente immanente del divino nella mistica ebraica (Kabbalah) si
ritiene abbia ispirato la formulazione del panteismo da parte di Spinoza.
Nonostante ciò, la teoria di Spinoza non è stata recepita dall'Ebraismo
ortodosso. D'altro canto, Schopenhauer sosteneva che il panteismo spinoziano
fosse una conseguenza della lettura di Malebranche da parte del filosofo
olandese: Malebranche insegna che tutto ciò che osserviamo è in Dio stesso. Ciò
equivale a voler spiegare qualcosa di ignoto mediante qualcosa di ancor più
oscuro. Inoltre, secondo Malebranche noi non solo vediamo tutto in Dio, ma Dio
è anche l'unica attività, sicché le cause fisiche sono mere occasionalità
(Ricerca della verità,. E così qui rinveniamo essenzialmente il panteismo di
Spinoza che pare abbia appreso più da Malebranche che da Descartes.
(Schopenhauer, Parerga e paralipomena, "Schizzo di una storia della teoria
dell'ideale e del reale"). Inoltre, Eliezer, fondatore dello chassidismo,
aveva un senso mistico del divino che può essere definito come
Panenteismo. Secondo l'ebraismo biblico l'origine dell'Universo si è
basata sulla Torah (legge) della natura. Pertanto la Torah originale non è
rinvenibile negli scritti di Mosè, bensì nella natura stessa.
"Interpretare" la Torah della natura equivale ad
"interpretare" la Torah della rivelazione e teoricamente alla fin
fine coincideranno l'una con l'altra [come si dimostra ad esempio con la
scoperta del Big Bang. L'ortodossia rabbinica considerando questa posizione
come una discrepanza, allo scopo di porre la Torah scritta al di sopra di
quella data per prima in natura, ha sostenuto che la Torah scritta precedette
la creazione, infatti a partire dalla Torah scritta che Dio ha parlato nella
creazione. Questa posizione non è accolta dai panteisti biblici.
Maimonide, benché Ortodosso, nei suoi scritti sulla riconciliazione fra le
sacre scritture e la scienza, accolse l'opinione dell'equivalenza fra la Torah
della natura e la Torah delle scritture e trovò la sua logica come inevitabile.
Queste tesi, senza dubbio, servirono da sfondo per lo sviluppo delle teorie di
Spinoza. Cristianesimo Vi è un certo numero di tradizioni minori
nell'ambito della storia del Cristianesimo secondo le quali le origini del loro
credo panteistico sono da rintracciare nel Nuovo Testamento ed in altre
correlate tradizioni ecclesiastiche. La diversità di questo punto di vista è
rintracciabile a partire dai primi Quaccheri sino ai successivi Unitaristi e
fino ad arrivare alle stesse principali denominazioni del cattolicesimo
tradizionale e del protestantesimo liberale. Altre fonti includono
la Teologia del processo, la Spiritualità della Creazione, i Fratelli del
libero spirito, altri ancora ne sostengono la presenza fra gli Gnostici. Tale
idea ha avuto, per qualche tempo, aderenti in vari segmenti del
Cristianesimo. Alcuni Cristiani considerano la Trinità in questo
significato: lo Spirito Santo tiene insieme l'Universo e personifica se stesso
come il Padre, che a sua volta personifica se stesso come il Figlio dentro
questo Universo (ciò significa che il Padre è al di fuori dell'Universo, del
Tempo e dello Spazio). Secondo altri, lo Spirito Santo è consapevole e
utilizzabile e per questo è usato da Dio per benedire la gente con i Doni dello
Spirito Santo. Tutti i poteri sovrannaturali si ritiene che siano possibili
anche dal binomio Universo/Spirito Santo. I panteisti di religione
cristiana asseriscono che l'origine del loro credo è rintracciabile nelle Sacre
Scritture, nel Vecchio Testamento come nel Nuovo ed attenuano le difficoltà che
i teologi della Chiesa Apostolica Romana hanno sempre cercato di
"risolvere" nei concili sul tema della Trinità e della Natura di
Cristo come il Verbo (solo il panteismo fornisce una formulazione per il Cristo
come verbo di Dio e per l'unità del Monoteismo. Il parificare nella
Bibbia Dio agli atti della natura e la definizione di Dio data nello stesso
Nuovo Testamento forniscono un persuasivo richiamo verso questo sistema di
credenze. I panteisti cristiani sostengono che la definizione cattolica del
divino è pesantemente influenzata da fonti non bibliche, tra queste in
particolar modo il neo-Platonismo, che considerano il divino come qualcosa che
esiste fuori dall’esistenza, pertanto la definizione del divino si riferiva ad
un qualcosa che non esiste, cioè, ad un Dio non-esistente. È proprio questa
basilare definizione neo-platonica di non-esistenza che i panteisti cristiani
ritengono biasimevole e contraria alle scritture. Agostino rigettò il
panteismo per i seguenti motivi: Ma c'è un motivo che, al di là di ogni
passione polemica, deve indurre uomini intelligenti o comunque siano, perché
all'occorrenza non si richiede un'alta intelligenza, a fare una riflessione. Se
Dio è la mente del mondo e se il mondo è come un corpo a questa mente, sicché è
un solo vivente composto di mente e di corpo ed esso è Dio che contiene in se
stesso tutte le cose come in un grembo della natura; se inoltre dalla sua
anima, da cui ha vita tutto l'universo sensibile, vengono derivate la vita e
l'anima di tutti i viventi secondo le varie specie, non rimane nulla che non
sia parte di Dio. Ma se questa è la loro tesi, tutti possono capire l'empietà e
la irreligiosità che ne conseguono. Qualsiasi cosa si pesti, si pesterebbe una
parte di Dio; nell'uccidere qualsiasi animale, si ucciderebbe una parte di Dio.
Non voglio dir tutte le cose che possono balzare al pensiero. Non è possibile
dirle senza vergogna. come pure: Riguardo allo stesso animale
ragionevole, cioè l'uomo, la cosa più banale è ritenere che una parte divina
prende le botte quando le prende un fanciullo. E soltanto un pazzo può
sopportare che le parti divine divengano dissolute, ingiuste, empie e in
definitiva degne di condanna. Infine perché il dio si arrabbierebbe con coloro
che non lo onorano se sono le sue parti a non onorarlo?[5] Nel Vangelo secondo
Tommaso (considerato apocrifodai Cristiani), Gesù disse: Io sono la Luce:
quella che sta sopra ogni cosa; io sono il Tutto: il Tutto è uscito da me e il
Tutto è ritornato in me. Fendi il legno, e io sono là; solleva la pietra e là
mi troverai. Tuttavia questa è un'affermazione dell'onnipresenza di Dio, non in
senso panteistico, ma in armonia con l'insegnamento che ogni apparenza
fenomenica è riflesso della luce divina. informazioni Questa voce o sezione
sull'argomento religione non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono
insufficienti. La maggioranza dei Musulmani condanna il concetto di panteismo e
lo considera come un insegnamento non-Islamico. Tuttavia, il Sufismo è ritenuto
dai musulmani contenere insegnamenti panteistici. Il Sufismo può essere
suddiviso nelle seguenti categorie: Sufismo originario - Sincretico:
Mescola insieme dottrine e concetti dell'Islam con credenze e pratiche
religiose locali dei paesi Orientali e Occidentali. Lo si pratica in paesi
non-Islamici. Sufismo ḥadīth - Tradizionale: è l'Islam con un'enfasi sulle
forme ortodosse della spiritualità e del misticismo Islamico. Essenzialmente
ortodosso e considerato prevalentemente come una subcultura nei paesi Islamici.
Sunniti o Sciiti. Sufismo Coranico - Coranico: Si attiene strettamente a quanto
scritto nel Corano compreso il profetismo e non accetta i più recenti ḥadīth
come altrettanto ispirati dalla tradizione. È considerato non-ortodosso o come
una forma di neo-ortodossia ed è praticato soprattutto nell'occidente islamico.
Ha subito influenze dal concetto di riforma e restaurazione del
Protestantesimo. Né il Sunnismoné il Sciismo sono da considerare come forme di ḥadīth.
Il concetto di Panteismo si può rinvenire in ciascuno dei suddetti tipi di
Sufismo, a differenza della maggioranza ortodossa dell'Islam, esso è molto
diverso ed accentua l'esperienza e la conoscenza spirituale personale ed
individuale. Le fonti dell'interpretazione panteistica differirebbero a seconda
della tradizione cui fanno capo. Il Sufismo originario risentirebbe ovviamente
dei testi orientali, il Sufismo ḥadīth sarebbe influenzato dagli studiosi
Islamici del regno del Solimano, il Sufismo Coranico vedrebbe lo stesso Corano
come la continua rivelazione e la personificazione linguistica è interpretata
in modo coerente con i profeti biblici. La maggioranza dei Musulmani Ismailiti
è panteista, o per essere più precisi, Panenteista. Gli scritti di Seth e
il PanteismoModifica Il concetto di Panteismo è parte integrante di molte delle
credenze religiose e delle filosofie della New Age; la sua differenza rispetto
al panenteismo è sostenuta in modo specifico negli scritti di Seth come
presentati dalla medium Roberts. Seth, l'"entità" cui da voce la
Roberts, diceva che Dio è formato di energia mentale, e questa energia mentale
è la sostanza che dà vita a tutti gli esseri e a tutte le cose; la coscienza di
Dio è veicolata da questa energia, per cui la coscienza di Dio è onnipresente.
Seth spesso si riferiva a Dio come a "Tutto ciò che è" e diceva che
"Tutte le facce appartengono a Dio". Seth descriveva Dio come una
forma contenente tutti gli individui al suo interno; inoltre aggiungeva che Dio
si conosce come è, ma anche si conosce come ciascun individuo. Tuttavia, questo
insegnamento ha molto in comune con il correlato concetto di panenteismo, dato
che pone in risalto la personificazione di Dio e quindi si trasforma in un
teismo. Altre religioniModifica Molti elementi panteistici sono presenti in
alcune forme di Buddismo, Neopaganesimo, e Teosofiainsieme a molte variabili
denominazioni. Si veda anche la Neopagana Gaia e la Church of All Worlds.
Molti Universalisti si considerano panteisti. Il filosofo Carus si define
un ateista che ama Dio. Egli critica ogni forma di monismo che cerca l'unità
del mondo non nell'unità della verità bensì nella unicità di una logica
supposizione di idee. Carus define tali concetti come henismo. Il Taoismo
propugna una visione panteistica. Il Tao potrebbe essere paragonato al
Deus-sive-Natura di Spinoza. Concetti connessiModifica
PanenteismoModifica Il Panteismo e il panenteismo presentano aspetti comuni ma
non coincidono: il primo vede l'universo pieno di Dio il secondo lo vede come
parte di Dio. Filosoficamente, però, i due concetti sono ben distinti. Mentre
per il panteismo Dio è sinonimo della natura, per il panenteismo, invece, Dio è
superiore alla natura e la include. È la ragione per cui Hegel definiva quello
spinoziano un panteismo acosmistico (senza mondo). Per alcuni tale
distinzione è inutile, mentre altri la considerano un significativo punto di
divisione. Molte delle maggiori fedi descritte come panteistiche potrebbero
essere descritte anche come panenteistiche, al contrario ciò non è possibile per
il panteismo naturalistico (perché non considera Dio come superiore alla sola
natura). Per esempio, elementi appartenenti al panenteismo ed al panteismo si
rinvengono nell'Induismo. Certe interpretazioni dei testi Bhagavad Gita e Shri
Rudram Chamakam sostengono questo punto di vista. CosmismoModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Cosmismo e
World Brain. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento
filosofia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali.
Mentre questo termine è raramente usato, e molto spesso è solo un sinonimo di
Panteismo, l'insolita filosofia da esso indicata è stata utilizzata in modo
piuttosto differente, ma in ogni caso con essa si vuole esprimere il concetto
che Dio è un qualcosa creato dalla mente umana, forse rappresenta uno stadio
finale della evoluzione dell'uomo, raggiunto attraverso la pianificazione
sociale, l'eugenetica e altre forme di ingegneria genetica. Wells diede
vita a una forma di cosmismo, che denominò World Brain (cervello mondiale),
rifacendosi a un saggio da lui in cui viene tra l'altro descritta la creazione
di una biblioteca-enciclopedia. Tale idea venne ripresa nel libro God the
Invisible King, in cui l'autore consiglia all'umanità di istituire un sistema
socialista, strutturandolo sui dati statistici sociali ed eugenetici,
sull'istruzione e l'eugenetica, in modo che un giorno idealmente possa essere
alla pari e possibilmente anche fondersi con la stessa divinità panteista, e
anche in alcuni paragrafi di Outline of History, che richiamavano tali credenze
dell'autore e le sue ricerche sull'insegnamento di Gesù e di Buddha. Queste
idee vengono riprese nel suo libro Shape of Things to Come e nel film da esso
tratto nel Things to Come; in essi viene descritta l'umanità che, sopravvivendo
ad una guerra apocalittica e a un prolungato periodo Feudale, si unisce per dar
vita ad una utopia collettivista. In Israele, il Cosmismo è stato oggetto
di studio da parte di Mordekhay Nesiyahu, uno dei primi ideologi del Movimento
Laburista Israeliano e docente presso l'Università di Beit Berl. Secondo questo
autore Dio è qualcosa che non esisteva prima dell'uomo, ma era una entità
secolare. Infatti fu la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme ad avere un
ruolo nell'"invenzione" di questa entità. Nel XX secolo, lo
statunitense Pierce, un nazionalista bianco iscritto nel Partito Nazista
Americano e, a sua volta, fondatore del movimento Alleanza Nazionale, utilizza
il termine cosmismo. Per Pierce (così come per Wells), Dio sarebbe il risultato
finale dell'eugenetica e dell'igiene razziale. Si veda: Nazismo, Galton e
Teosofia. La noosfera descritta da Vernadsky e Chardin puo essere
considerata come la descrizione di una divinità Cosmistica, come anche la
coscienza collettiva di Émile Durkheim e l'inconscio collettivo di
Jung. Clarke fa un possibile riferimento alla Noosfera Cosmista nel suo
libro Childhood's End o Le guide del tramonto, riferendosi ad essa come la
"Overmind", una mente alveare interstellare. Il Pandeismo è una
specie di Panteismo che include una forma di Deismo, sostenendo che l'Universo
è identico a Dio, ma anche che Dio precedentemente fu una forza cosciente e
senziente ovvero una entità che progettò e creò l'Universo. Diventando
l'Universo, Dio divenne inconscio e non senziente. A parte questa distinzione
(e la possibilità che l'Universo un giorno ritornerà ad essere Dio), le
credenze Pandeistiche sono identiche a quelle del Panteismo. Secondo
Schopenhauer, nel panteismo non vi è etica. Il panteismo, nel suo complesso,
naufragherebbe a fronte delle inevitabili esigenze etiche e quindi non avrebbe
risposte sul male e sulle sofferenze del mondo. Se il mondo è una teofania,
allora ogni cosa fatta dagli uomini, ed anche dagli animali, è da considerarsi
parimenti divina ed eccellente; niente può essere giudicato più censurabile e
più meritevole rispetto ad ogni altra cosa; quindi non vi è etica. (Il mondo
come volontà e rappresentazione, Tuttavia, alcuni panteisti sostengono che il
punto di vista panteista è molto più etico, evidenziando che ogni danno
arrecato all'altro è come fare male a se stessi, perché arrecare danno ad uno è
come arrecare danno a tutti. Ciò che è bene e ciò che è male non dipende da
qualcosa al di fuori di noi, ma è il risultato di come ci rapportiamo gli uni
con gli altri. Il fare bene non si deve basare sulla paura di una punizione da
parte di Dio, bensì deve scaturire da un reciproco di tutti verso tutto.
Le forme tradizionali e le varie definizioni di panteismo, comunque, rinviano
ai loro testi sacri e ai loro maestri per le definizioni di ordine etico. Levine, Pantheism: A
Non-Theistic Concept of Deity, Londra e New York, Routledge, Il Panteismo. Una concezione non-teistica della divinità, Genova,
ECIG, Constance E. Plumptre, General Sketch of the History of Pantheism,
Londra, W. W. Gibbings, Chandogya Upanishad 3-14 traduzione di Monier-Williams
^ La Città di Dio, La Città di Dio, Testo del Vangelo secondo Tommaso God the
Invisible King Voci correlateModifica Dio Monismo Monoteismo Teismo Deismo
Pandeismo Panenteismo Naturalismo (filosofia) Panpsichismo Panteismo
naturalistico Panteismo classico Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote
Wikiquote contiene citazioni di o su panteismo Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su panteismo Collegamenti
esterniModifica panteismo, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Panteismo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Modifica su
Wikidata ( EN ) Panteismo, in Catholic Encyclopedia, Appleton Mander,
Pantheism, Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for
the Study of Language and Information, Stanford. Tanzella-Nitti, Panteismo del Dizionario
Interdisciplinare di Scienza e Fede, su disf.org. Portale Filosofia
Portale Mitologia Portale Religioni Monismo (religione)
Panenteismo scuola filosofica Panteismo naturalistico. Lorenzo Giusso. Giusso.
Keywords: gl’eroi, il vico di giusso, la tradizione ermetica nella filosofia
italiana, nazionalsocialismo, bruno, panteismo, leopardi, occasionalismo. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giusso” – The Swimming-Pool Library. Giusso.
Grice e Giustino:
la ragione conversazionale e la gnossi a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Giustino is cited by Ippolito di
Roma as the originator of what Ippolito describes as a pagan form of gnosticism
in which a wide variety of disparate elements are brought together.
Grice e Giustino:
la ragione conversazionale e la setta di Napoli -- Roma – filosofia campanese –
filosofia napoletana – scuola di Napoli -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo campanese. Filosofo napoletano. Filosofo
italiano. Napoli, Campania. He studies various schools of philosophy with his
friend Trifone, but could not decide. He shows his scepticism in a letter to
Antonino Pio. He irates Crescente, who has a mob kill him. Grice e Giustino. Giustino.
Grice e Givone: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei fanes – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza -- Givone (Buronzo). Filosofo piemontese. Filosofo
italiano. Buronzo, Vercelli, Piemonte. Grice: “I like Givone, especially his
two essays on ‘eros’: ‘eros and ethos’ and the more controversial, ‘eros and
knowledge.’ Si laurea Torino sotto Pareyson. Insegnato
a Perugia, Torino e Firenze. Alcuni suoi lavori riguardano la poetica e
l’estetica all’ombra del nichilismo. Da questa riflessione nasce anche la sua
ricerca sulla “Storia naturale del nulla” -- e sulle implicazioni sullo tragico. In sua
estetica e forte è ancora il richiamo filosofico. Il malinconico, ‘l’ibrido – Saggi:
“La storia della filosofia secondo Kant” (Milano, Mursia); “Hybris e malinconia:
Studi sulle poetiche del Novecento” (Milano, Mursia); “William Blake. Arte e religione,
Milano, Mursia, “Ermeneutica e romanticismo, Milano, Mursia, Dostoevskij e la
filosofia, Roma, Laterza, Storia dell'estetica, Roma, Laterza, Disincanto del
mondo e il tragico, Milano, Il Saggiatore, La questione romantica, Roma, Laterza, Storia
del nulla, Roma, Laterza, Favola delle cose ultime, Torino, Einaudi, Eros/ethos,
Torino, Einaudi, Nel nome di un dio barbaro, Torino, Einaudi, Prima lezione di estetica, Roma, Laterza, Il
bibliotecario di Leibniz. Torino, Einaudi, Non c'è più tempo, Torino, Einaudi, Metafisica
della peste. Colpa e destino, Torino, Einaudi, Luce d'addio. Dialoghi
dell'amore ferito, Firenze, Olschki, Sull'infinito,
il Mulino, Pantragismo. Treccani. Grice:
“I like Givone; he philosophises on ‘eros,’ but fails to notice that for Butler
there’s self-love and other love; instead, Givone prefers to contrast ‘eros’
with ‘ethos’!” “His ramblings on Phanes are fun, though!” – Grice: “Not satisfied
with metaphysics, Givone goes to criticize Marinetti’s hybris, or superbia, i.
e. lack of moderation. His ottimismo notably contrasts with the decadentismo of
the croposcolaristi. Futurismo
movimento artistico, culturale, musicale e letterario italiano Lingua Segui
Modifica Nota disambigua. svg Disambiguazione – Se stai cercando altri
significati, vedi Futurismo (disambigua). Ulteriori informazioni Questa voce o
sezione sull'argomento arte è priva o carente di note e riferimenti
bibliografici puntuali. Il Futurismo è stato un movimento letterario,
culturale, artistico e musicale italiano dell'inizio del XX secolo, nonché una
delle prime avanguardieeuropee. Ebbe influenza su movimenti affini che si
svilupparono in altri paesi d'Europa, in Russia, Francia, negli Stati Uniti
d'America e in Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione: la
pittura, la scultura, la letteratura (poesia) al teatro, la musica,
l'architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La
denominazione del movimento si deve al poeta italiano Marinetti. Boccioni
La città che sale, bozzetto, Museum of Modern Art, New York OriginiIl manifesto
del Futurismo pubblicato su Le Figaro (qui evidenziato in giallo) Il Futurismo
nasce in Italia, in un periodo di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo
dell'arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le
guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e
le nuove scoperte tecnologichee di comunicazione, come il telegrafo senza fili,
la radio, gli aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a
cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo,
"avvicinando" fra loro i continenti, creando nuove connessioni.
Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava una nuova realtà:
la velocità. I futuristi intendevano idealmente "bruciare i musei e le
biblioteche" in modo da non avere più rapporti con il passato per
concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso
ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le
automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luci
artificiali, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel
tempo impiegato per produrre o arrivare a una destinazione, sia nei nuovi spazi
che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione. Severini
racconta che quando venne in contatto con Marinetti per decidere se aderire o
meno al Futurismo parlò anche con MODIGLIANI (si veda), che egli avrebbe voluto
nel gruppo, ma il pittore declinò l'offerta perché come scrisse:
«Queste manifestazioni non gli andavano, il complementarismo congenito lo
fece ridere, e con ragione, perciò invece di aderire mi sconsigliò di mettermi
in quelle storie; ma io avevo troppa affezione fraterna per Boccioni, inoltre
ero, e sono sempre stato pronto ad accettare l'avventura. Severini, Vita di un
pittore Primo Futurismo «Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso
delle scienze ha determinato nell'umanità mutamenti tanto profondi, da scavare
un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della
radiosa magnificenza del futuro…» (dal Manifesto dei pittori futuristi)
Una scazzottata futurista A seguito di una serie di articoli critici di Ardengo
Sofficisu La Voce vi fu una reazione violenta dei futuristi: Marinetti,
Boccioni e Carrà raggiunsero Soffici a Firenze e lo aggredirono mentre sedeva
al caffè delle "Giubbe Rosse" in compagnia dell'amico Medardo Rosso.
Ne nacque una grande pubblicità e un grande tumulto rinnovatosi alla sera, alla
stazione di Santa Maria Novella, quando Soffici, accompagnato dagli amici
Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper e Alberto Spaini, volle rendere la
contropartita. «Fu una vera spedizione punitiva, che mi fu
raccontata da Boccioni e, più tardi, da Soffici. I futuristi appena arrivati a
Firenze vanno al Caffè delle Giubbe Rosse, dove sapevano di trovare Soffici,
Papini, Prezzolini, Slataper, e tutti redattori della Voce. Boccioni domanda ad
un cameriere: «Chi è Soffici?»; sull'indicazione ottenuta si avvicina Soffici e
senza spiegazioni gli appioppa un paio di schiaffoni; Soffici per niente
smontato si alza risponde con una scarica di pugni. Parapiglia generale, tavole
seggiole per terra, bicchieri rotti e questurini che portano tutti al
commissariato. Per fortuna caddero in un commissario intelligente che capisce
con chi aveva a che fare; visto che Soffici e quelli della Voce non volevano
far querela d'aggressione, li rimandò tutti fuori come se niente fosse stato. I
futuristi, vendicate le ingiurie, andarono alla stazione dove un treno,
pressappoco a quell'ora, doveva riportarli a Milano. Ma quelli della Voce,
malgrado si fossero ben difesi, non erano contenti affatto, perciò si recarono
in fretta anch'essi alla stazione. Mentre il treno stava per arrivare ebbe
luogo un altro incontro, e un altro violento pugilato, che, per poco, faceva
restare a piedi futuristi. Ma fecero in tempo a prendere il treno, un po' ammaccati,
ma soddisfatti. Severini, Vita di un pittore Nel Manifesto Futurista,
pubblicato inizialmente in vari giornali italiani (la Tavola Rotonda di Napoli,
la Gazzetta dell'Emilia di Bologna, la Gazzetta di Mantovae L'Arena di Verona)
e, definitivamente, due settimane dopo sul quotidiano francese Le Figaro,
Marinetti espose i principi-base del movimento. Poco tempo dopo a Milano i
pittori Boccioni, Carrà, Balla, Severini e Luigi Russolo firmarono il Manifesto
dei pittori futuristi e nell'aprile dello stesso anno il Manifesto tecnico
della pittura futurista. Nei manifesti si esaltava la tecnica e si dichiarava
una fiducia illimitata nel progresso, si decretava la fine delle vecchie
ideologie (bollate con l'etichetta di passatismo, tra cui figura anche il Parsifal
di Wagner, che cominciò a essere rappresentato nei teatri d'Europa). Si
esaltavano inoltre il dinamismo, la velocità, l'industria, il militarismo, il
nazionalismo e la guerra, che veniva definita come "sola igiene del
mondo. Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi per
l'inaugurazione della prima mostra. La prima importante esposizione futurista
si tenne a Parigi presso la galleria Bernheim-Jeune. All'inaugurazione della
mostra erano presenti Marinetti, Boccioni, Carrà, Severini e Russolo.
L'accoglienza iniziale fu fredda, ma nelle settimane successive il movimento
suscitò un certo interesse divenendo presto oggetto di attenzioni
internazionali tanto da favorire la riproposizione della mostra anche in altre
città europee come Berlino. La riconciliazione con i futuristi avvenne in
seguito, grazie alla mediazione dell'amico Palazzeschi. Infatti, Soffici e
Papini uscendo da La Vocedecisero di fondare la rivista Lacerba appoggiando
così il movimento futurista. Alla morte di Umberto Boccioni, Carrà e
Severini si ritrovarono in una fase di evoluzione verso la pittura cubista, di
conseguenza il gruppo milanese si sciolse spostando la sede del movimento da
Milano a Roma, con la conseguente nascita del secondo Futurismo. In prima
fila Depero, Marinetti e Cangiullo con panciotti "futuristi" Il
secondo Futurismo fu sostanzialmente diviso in due fasi. La prima andava due
anni dopo la morte di Boccioni, e fu caratterizzata da un forte legame con la
cultura post-cubista e costruttivista; la seconda invece, fu molto più legata alle idee del
surrealismo. Di questa corrente - che si concluse attraverso il cosiddetto
"terzo Futurismo", portando anche all'epilogo del futurismo stesso -
fecero parte molti pittori fra cui Colombo, Prampolini, Sbardella, Diulgheroff,
Tulli ma anche Sironi, Soffici, Rosai, Testi e la moglie Stagni. Se la prima
fase del Futurismo fu caratterizzata da un'ideologia guerrafondaia e fanatica
(in pieno contrasto con altre avanguardie) ma spesso anche anarchica, la
seconda stagione ebbe un effettivo legame con IL REGIME FASCISTA, nel senso che
abbraccia gli stilemi della comunicazione governativa dell'epoca e si valse di
speciali favori. I futuristi di sinistra, generalmente meno noti nel
panorama culturale italiano dell'epoca, comunque, costituirono quella parte del
futurismo collocata politicamente su posizioni vicine all'anarchismo e al
bolscevismo anche quando il movimento con i suoi fondatori e personaggi
ritenuti principali è fagocitato dal FASCISMO. Anche se la gerarchia
fascista riserva ai futuristi coevi una sotto-valutazione talvolta sprezzante,
l'osservazione dei principi autoritaristici e la poetica interventista del
Futurismo sono quasi sempre presenti negli artisti del gruppo, fino a che
alcuni di questi non abbracciarono altri movimenti e presero le distanze
dall'ideologia fascista (Carrà, ad esempio, abbraccia la metafisica). Altri
ancora, come il giovane pittore maceratese Tulli, mantennero costantemente un
approccio giocoso e libertario, che poco aveva a che fare con L’ESTETICA
FASCISTA, anche nelle successive esperienze di pittura informale. Goncharova Il
ciclista, Museo russo, San Pietroburgo Manifesto futurista di Marinetti era
stato pubblicato a San Pietroburgo appena un mese dopo l'uscita su Le Figaro, e
Gončarova e Larionov, che in patria verrà definito il padre del Futurismo
russo, furono i concreti iniziatori del movimento in Russia. Il pittore
Malevič, il compositore Matjušin e lo scrittore Kručënych redassero il
manifesto del Primo congresso Futurista russo. Al movimento, conosciuto anche
come Cubofuturismo o Raggismo, aderirono personalità come il poeta e
drammaturgo Majakovskij. Marinetti stesso si recò a Mosca. Dal movimento
d'avanguardia futurista nacquero negli anni immediatamente precedenti la
rivoluzione due importanti avanguardie artistiche, il Costruttivismo e il
Suprematismo. L'attenzione che i giornali e il pubblico dedicarono a Marinetti
fu enorme, ma non ci fu la stessa attenzione da parte dei futuristi russi,
alcuni dei quali tentarono anche di ostacolare la visita di Marinetti. Altri
invece, come Sersenevič, furono più ospitali e cordiali. Il temperamento e le
declamazioni di Marinetti riscossero successo ovunque; ma Marinetti tentò
invano di chiamare i futuristi russi ad unire le forze con i futuristi
italiani, perché i maggiori poeti russi, Chlebnikov, Livsič, Majakovskij e
anche il regista Larionov criticarono Marinetti. L'ultima "mostra
futurista" si tenne a Pietrogrado. In Russia il movimento non fu
caratterizzato dal bellicismo come quello dei futuristi italiani, criticato da
Majakovskij, ma fu accompagnato da un'utopica idea di pace e libertà, sia individuale
dell'artista, sia collettiva del mondo, che si sarebbe concluso con l'adesione
di una parte del gruppo al bolscevismo. Dopo la rivoluzione d'ottobre molti
futuristi confluirono nel cubismo e nell'astrattismo. Futurismo francese
In Francia il Futurismo non si organizzò mai come movimento, ma ebbe almeno due
nomi degni di nota: Apollinaire e Saint-Point. Apollinaire scrive il
manifesto L'antitradition futuriste, pubblicato su Lacerba solo dopo le
aggiunte e le correzioni di Marinetti. I successivi Calligrammes rivelano la
chiara influenza del paroliberismo futurista sul poeta francese.
Valentine de Saint Point, nipote di Lamartine, scrisse il Manifesto della donna
futurista, con il sottotitolo “Risposta a Marinetti”, in un volantino
pubblicato simultaneamente a Parigi e a Milano. è il Manifesto futurista della
lussuria. Orientamenti artistici Nelle opere futuriste è quasi sempre
costante la ricerca del dinamismo; cioè il soggetto non appare mai fermo, ma in
movimento: ad esempio, per loro un cavallo in movimento non ha quattro gambe,
ne ha venti. Così la simultaneità della visione diventa il tratto principale
dei quadri futuristi; lo spettatore non guarda passivamente l'oggetto statico,
ma ne è come avvolto, testimone di un'azione rappresentata durante il suo
svolgimento. Per rendere l'idea del moto nelle arti visive tradizionali,
immobili per costituzione, il Futurismo si serve, nella pittura e nella
scultura, principalmente delle “linee-forza”; poiché la linea agisce
psicologicamente sull'osservatore con significato direzionale, essa,
collocandosi in varie posizioni, supera la sua essenza di semplice segmento e
diventa forza centrifuga e centripeta, mentre oggetti, colori e piani si
sospingono in una catena di contrasti simultanei, determinando la resa del
“dinamismo universale”. PitturaJoseph Stella Battle of Lights, Coney Island, Mardi Gras, Yale. A Milano gl’artisti d'Italia avevano pubblicato i
manifesti sulla pittura futurista. Boccioni si occupò principalmente del
dinamismo plastico e sintetico e del superamento del cubismo, mentre Balla
passò dallo studio delle vibrazioni luminose (divisionismo) alla
rappresentazione sintetica del moto. Boccioni, Carrà e Russolo esposero a
Milano le prime opere futuriste alla "Mostra d'arte libera" nella
fabbrica Ricordi. Il Futurismo diede il meglio di sé nelle espressioni
artistiche legate alla pittura, al mosaico e alla scultura, mentre le opere
letterarie e teatrali, ma anche architettoniche, non ebbero la stessa immediata
capacità espressiva. Le radici del fermento che portò alla declinazione
del Futurismo nell'arte si possono riconoscere, artisticamente parlando, già
nella Scapigliatura - corrente tipicamente milanese e borghese della seconda
metà dell'Ottocento - laddove il Futurismo distoglie con disprezzo l'attenzione
dalla raffinata borghesia per concentrarsi sulla rivoluzione industriale, sulle
fabbriche. Dal punto di vista stilistico il Futurismo - in particolare
quello boccioniano - si basa sui concetti del divisionismo che però riesce ad
adattare per esprimere al meglio gli amati concetti di velocità e di
simultaneità: è grazie ad artisti come Segantini e PELLIZZA da Volpedo che,
pochi anni dopo, il futurista Umberto Boccioni poté realizzare dipinti come La
città che sale. Opera futurista di Emma Marpillero Corradi Dal
punto di vista concettuale, il Futurismo naturalmente non ignora i principi
cubisti di scomposizione della forma secondo piani visivi e rappresentazione di
essi sulla tela. Cubista è senz'altro la tecnica che prevede di suddividere la
superficie pittorica in tanti piani che registrino ognuno una diversa
prospettiva spaziale. Tuttavia, mentre per il cubismo la scomposizione rende
possibile una visione del soggetto fermo lungo una quarta dimensione
esclusivamente spaziale (il pittore ruota intorno al soggetto fermo cogliendone
ogni aspetto), il Futurismo utilizza la scomposizione per rendere la dimensione
temporale, il movimento. Altrettanto interessanti sono i rapporti
stilistici tra il Futurismo boccioniano e il cubismo orfico di Delaunay.
Non mancarono relazioni complesse tra i futuristi italiani e i più importanti
esponenti delle avanguardie russe e tedesche. Equiparare, infine, la ricerca
futurista dell'attimo con quella impressionista, come è stato fatto in passato,
è ormai considerato profondamente errato. Se è vero infatti che gli
impressionisti fecero dell'"attimalità" il nucleo della loro ricerca
- loro scopo era fermare sulla tela un istante luminoso, unico e irripetibile -
la ricerca futurista si muoveva in senso quasi opposto: suo scopo era
rappresentare sulla tela non un istante di movimento ma il movimento stesso,
nel suo svolgersi nello spazio e nel suo impatto emozionale. Come
conseguenza dell'"estetica della velocità", nelle opere futuriste a
prevalere è l'elemento dinamico: il movimento coinvolge infatti l'oggetto e lo
spazio in cui esso si muove. Il dinamismo dei treni, degli aeroplani (Aeropittura),
delle masse multicolori e polifoniche e delle azioni quotidiane (del cane che
scodinzola andando a spasso con la padrona, della bimba che corre sul terrazzo,
delle ballerine) è sottolineato da colori e pennellate che mettano in evidenza
le spinte propulsive delle forme. La costruzione può essere composta da linee
spezzate, spigolose e veloci, ma anche da pennellate lineari, intense e fluide
se il moto è più armonioso. Tra gli epigoni più interessanti del
Futurismo, l'avanguardia russa del raggismo e del costruttivismo. Le tecniche
pittoriche futuriste sono state riassunte nei due manifesti sulla
pittura. Due tra i principali esponenti del movimento pittorico, Boccioni
e Balla, furono presenti anche nella scultura. La pittura di Boccioni è stata
definita "simbolica": il dipinto La città che sale, per esempio, è
una chiara metafora del progresso, dettato dal titolo e dalle scene di cantiere
edile sullo sfondo, esemplificate nella loro vorticosa crescita dalla potenza
del cavallo imbizzarrito, un vortice di materia che si scompone per piani. Se
Boccioni è simbolico, Balla è fotografico e analitico. Ancora legato a principi
cubisti, non è raro che realizzi sequenze fotogrammetriche di una scena, per
rendere il movimento, piuttosto che affidarsi a impetuosi vortici di pittura: è
il caso del posato Bambina che corre al balcone. Scultura Boccioni Forme
uniche della continuità nello spazio, New York, Museum of Modern Art L'artista
futurista più attivo nel campo della scultura è Umberto Boccioni, la cui
ricerca pittorica corre sempre parallela a quella plastica. Lo stesso
Boccioni pubblica il Manifesto tecnico della scultura futurista. Punto di
arrivo di questa ricerca può essere considerato Forme uniche della continuità
nello spazio: l'immagine, applicando le dichiarazioni poetiche di Boccioni
stesso, è tutt'uno con lo spazio circostante, dilatandosi, contraendosi,
frammentandosi e accogliendolo in sé stessa. Anche in L'Antigrazioso o La
madre, immediatamente precedente, sono presenti parametri scultorei simili a
Forme uniche nella continuità dello spazio, ma con ancora non risolti alcuni
problemi di plasticità derivanti da influssi naturalistici. MosaicLa
tecnica del mosaico, basata sull'utilizzo di tessere ceramiche e vitree, si è
prestata molto bene a esprimere i modi e il dinamismo intesi dall'arte
futurista. Enrico Prampolini e Fillia eseguono l'importante mosaico
dedicato al tema delle Comunicazioniall'interno della torre del Palazzo delle
Poste di La Spezia. Alcuni anni più tardi Gino Severini esegue altri
mosaici per le Poste di Alessandria. La tradizione musiva di Ravenna continua
con mosaici futuristi di autori vari (Palazzo del Mutilato,.
ArchitetturaMagnifying glass icon mgx2.svg. Lo stesso argomento in dettaglio:
Architettura futurista. «Il problema dell'architettura moderna non è un
problema di rimaneggiamento lineare. Non si tratta di dover trovare nuove
sagome, nuove marginature di finestre e di porte, di sostituire colonne,
pilastri, mensole con cariatidi, mosconi, rane: ma di creare di sana pianta la
casanuova, costruita tesoreggiando ogni risorsa della scienza e della
tecnica…» (Antonio Sant'Elia, dal Messaggio posto a prefazione della
mostra del gruppo Nuove Tendenze) Antonio Sant'Elia, una veduta
prospettica della Città Nuova. Sant'Elia, Casa a Gradinate la Città Nuova.
Arnaldo Dell'Ira lampada "a grattacielo Pettazzi Stazione di
servizio "Fiat Tagliero", Asmara. Sant'Elia, che divenne l'architetto
più rappresentativo del movimento, era ancora distante dai futuristi ed era
piuttosto legato nel movimento del cosiddetto Stile floreale. In quegli stessi
anni a Milanoera attivo Giuseppe Sommaruga e questi sembra che avesse
esercitato una grande influenza sulla formazione del Sant'Elia, infatti, per
esempio, molti elementi dinamici del futurista furono anticipati nel Grand
Hotel Campo dei Fiori di Varese. Sant'Elia pubblica il Manifesto
dell'Architettura futurista, dove esponeva i principi di questa corrente. Al
centro dell'attenzione c'è la città, vista come simbolo della dinamicità e
della modernità. Tutti i progetti creati da Sant'Elia si riferiscono a città
del futuro: in contrapposizione all'architettura tradizionale, vista come
inadeguata, le città idealizzatedagli architetti futuristi hanno come
caratteristica fondamentale il movimento, i trasporti e le grandi strutture. I
futuristi, infatti, compresero immediatamente il ruolo centrale che i trasporti
avrebbero assunto successivamente nella vita delle città. Nei progetti di
questo periodo si cercavano sviluppi e scopi di questa novità. L'utopia
futurista è una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte,
un continuo cantiere in costruzione, e la casa futurista allo stesso modo è
impregnata di dinamicità. Anche l'utilizzo di linee ellittiche e oblique
simboleggia questo rifiuto della staticità per una maggior dinamicità dei
progetti futuristi, privi di una simmetriaclassicamente intesa. Le teorie
futuriste sull'architettura erano principalmente ideologiche ed erano
espressione di un atteggiamento intellettualistico ma senza riferimenti a
metodi formali e tecnici, tuttavia anticiparono i grandi temi e le visioni
dell'architettura e della città che saranno proprie del Movimento
Moderno. A causa della guerra e dopo la morte di Boccioni e Sant'Elia il
movimento futurista in Italia perse il suo slancio. L’originaria proposta
futurista dei primi tempi è raccolta piuttosto dai costruttivisti russi. Il
movimento razionalista italiano cercherà di proporre gli scenari della Città
Nuova delle utopie futuriste ma il regime fascista smorzerà questi tentativi
privilegiando un monumentalismo legato alla tradizione classicista. Lo stesso
avvenne in Unione Sovietica con il sopravvento del regime totalitario.
Tra i grandi esponenti dell'architettura da ricordare Chiattone, che visse con Sant'Elia
a Milano, condividendone le linee teoriche e sviluppando straordinarie visioni
di città del futuro, prima di trasferirsi in Svizzera e abbandonare la
militanza. E infine Marchi, che operò anche come scenografo. Al Secondo
Futurismo appartengono le architetture di Mazzoni, autore di notevoli edifici
postali e ferroviari, ancora oggi validamente in funzione in diverse città
italiane. CeramicaPer le sue possibilità espressive, anche la ceramica
interessa il movimento futurista. In particolare i ceramisti dell'ISIA
espressero lavori in sintonia con il nuovo movimento. Sulla Gazzetta del Popolo
a firma Marinetti ed Albisola viene pubblicato il Manifesto futurista della
Ceramica e Aereoceramica. Il centro propulsore della ceramica futurista
italiana fu Albissola Marina. Musica Modifica In campo musicale gli unici
rappresentanti di rilievo sono Pratella e Russolo, pittore, musicista e
scrittore, autore del saggio L'arte dei rumori. L'arte dei rumori è considerata
da alcuni autori uno dei testi più importanti e influenti nell'estetica
musicale del XX secolo. A Russolo si deve l'invenzione dell'Intonarumori, uno
strumento che usava per mettere in pratica la sua teoria del rumorismo, ovvero
di una musica nella quale ai suoni dovevano essere sostituiti i rumori. Essi
erano formati da generatori di suoni acustici che permettevano di controllare
la dinamica e il volume. Letteratura Modifica Da sinistra:
Palazzeschi, Carrà, Papini, Boccioni, Marinetti, Magnifying glass icon mgx2.svg
Lo stesso argomento in dettaglio: Letteratura futurista e Filippo Tommaso
Marinetti. Marinetti invia il Manifesto del Futurismo ai principali giornali
italiani, ma è la pubblicazione su Le Figaro a garantirgli risonanza europea. Sulla
rivista fiorentina Lacerba, comparve il "Manifesto tecnico della
letteratura futurista. è il volume Zang Tumb Tumb, miglior esempio delle
futuriste Parole in libertà. Poesia. I poeti futuristi si riuniranno
attorno alla rivista Poesiafondata da Marinetti qualche anno prima. Nei
componimenti si trova generalmente l'esaltazione del futuro e delle sensazioni
forti associate alla velocità e alla guerra. Gli esponenti più noti, oltre al
Marinetti, sono: Palazzeschi, autore della raccolta poetica L'incendiario (che
include "La fontana malata", "E lasciatemi divertire" e
"La passeggiata"); Soffici, autore di Bif& ZF + 18 = Simultaneità
– Chimismi lirici; Paolo Buzzi, autore di Aeroplani. Canti alati. Anche
Quasimodo aderì, in gioventù, al Futurismo (ricordiamo la sua poesia "Sera
d'estate. A un successivo momento del Futurismo marinettiano appartiene
l'Aeropoesia. Teatro Modifica Magnifying glass icon mgx2. svLo stesso
argomento in dettaglio: Teatro futurista. I futuristi perseguirono la
rifondazione del concetto stesso di comunicazione teatrale. Promossero un
teatro «sintetico, atecnico, dinamico, simultaneo, autonomo, alogico e
irreale», dove « è stupido» non ribellarsi al pregiudizio della teatralità,
soddisfare la primitività delle folle, curarsi della verosimiglianza, voler
spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, sottostare alle
imposizioni del crescendo, della preparazione e del massimo effetto alla fine,
lasciare imporre alla propria genialità il peso di una tecnica che tutti
possono acquisire, rinunciare «al dinamico salto nel vuoto della creazione
totale». I futuristi, infatti, possedettero una «invincibile ripugnanza»
per il lavoro studiato a tavolino, a priori, sostenendo l'improvvisazione, il
teatro come «serbatoio inesauribile di ispirazioni». «Tutto è teatrale
quando ha valore» (Il teatro futurista sintetico di Marinetti, Settimelli
e Corra) Il teatro futurista promosse anche la commedia e la farsa, anziché la
tragedia, o il dramma borghese. Tuttavia, nelle serate futuriste, non era
inusuale vedere il pubblico adirato a causa di spettacoli fatti di azioni
deliranti. Le cronache dell'epoca riportano notizie relative agli attori
futuristi che sfuggono all'ira degli spettatori, spesso provocata ad arte
secondo gli intenti espressi nel Manifesto futurista del teatro di
varietà. Cinema Magnifying glass icon mgx2. svg Lo stesso argomento in
dettaglio: Cinema futurista. Venne pubblicato il Manifesto della Cinematografia
futurista, firmato da Marinetti, Corra, Ginna, Balla, Chiti ed Settimelli, che
sosteneva come il cinema fosse "per natura" arte futurista, grazie
alla mancanza di un passato e di tradizioni. Essi non apprezzavano il cinema
narrativo "passatissimo", cercando invece un cinema fatto di
"viaggi, cacce e guerre", all'insegna di uno spettacolo "antigrazioso,
deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero". Nelle loro
parole c'è tutto un entusiasmo verso la ricerca di un linguaggio nuovo slegato
dall'estetica tradizionale, che era percepita come un retaggio vecchio. I
futuristi, per allontanare il cinema dal passato, ripudiavano tutto ciò che era
convenzionalmente accettato come affascinante e bellissimo dalla borghesia,
usando quindi come soggetti figure distorte (che verranno riprese anche
dall'espressionismo tedesco come manifestazione della perdita di speranza della
popolazione dopo la prima guerra mondiale), colori forti ecc. Molte opere
cinematografiche futuriste sono andate perdute durante la guerra, tra cui Vita
futurista, pellicola nella quale alcuni uomini disturbavano e poi scappavano
velocemente alcuni turisti nei bar di Firenze. Tra le opere rinvenute di
questo movimento, ci è pervenuta la tragedia Tahïs di Bargaglia e la romantica
Amor pedestre del 1914 del comico Marcel Fabre, nel quale viene proposta una
relazione non corrisposta tutta raccontata inquadrando i protagonisti dal
ginocchio in giù (cortometraggi rintracciabili su YouTube). Gastronomia
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina
futurista. Grazie alla completezza di questo movimento, ne venne influenzata
anche la gastronomia. Il cuoco francese Maincave adere al Futurismo, proponendo
quindi l'accostamento di nuovi sapori ed elementi fino ad allora separati senza
serio fondamento. Questo comprende accostamenti come filetto di montone e salsa
di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatinadi
fragola. Marinetti pubblica il Manifesto della cucina futurista sulla
rivista Comoedia. Secondo Marinetti bisognava eliminare la pastasciutta, così
come forchetta e coltello e condimenti tradizionali, e incoraggiare
l'accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi. Scrive
Marinetti: vi annuncio il prossimo lanciamento della cucina futurista per
il rinnovamento totale del sistema alimentare italiano, da rendere al più
presto adatto alle necessità dei nuovi sforzi eroici e dinamici imposti dalla
razza. La cucina futurista sarà liberata dalla vecchia ossessione del volume e
del peso e avrà, per uno dei suoi principi, l'abolizione della pastasciutta. La
pastasciutta, per quanto gradita al palato, è una vivanda passatista perché
appesantisce, abbrutisce, illude sulla sua capacità nutritiva, rende scettici,
lenti, pessimisti. È d'altra parte patriottico favorire in sostituzione il
riso.» Nel suo tempo È normale che il Futurismo, nascendo in un'epoca di
transizione, abbia avuto molteplici contraddizioni. All'immobilismo scolastico
e accademico ereditato dalle "tre corone" della poesia decadente
(Carducci, Pascoli ed Annunzio) i futuristi oppongono la dinamicità, la
demolizione all'armonia, e alla raffinatezza contrappongono il disordine delle
parole. Gli elementi suddetti richiamano alle caratteristiche del Futurismo più
importanti: esse rientrano appieno nello spirito culturale della belle époque
che precedette lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Secondo i
futuristi, questi poeti devono essere completamente rinnegati perché incarnano
esattamente i quattro ingredienti intellettuali che il Futurismo vuole abolire:
la poesia morbosa e nostalgica; il sentimento romantico; l'ossessione della
lussuria; la passione per il passato. In contraddizione con il Futurismo è
stata anche la corrente crepuscolare. Infatti il crepuscolarismo, nonostante
condivida con il Futurismo l'idea di interartisticità, ha però una concezione
della vita completamente diversa: i futuristi inneggiano alle
innovazioni, i crepuscolari sono avversi a una modernità che aliena l'individuo
i futuristi sono prepotenti, dinamici, chiassosi, i crepuscolari assumono toni
dimessi, pacifici e malinconici i futuristi esaltano il caos e le attività
delle grandi città, i crepuscolari amano l'intimità, le "piccole cose di
pessimo gusto", gli affetti familiari e una vita tranquilla i futuristi
sono sempre protesi verso un domani esaltante, i crepuscolari guardano al
passato e alle piccole cose quotidiane. Scultura futurista esposta
a Milano in Piazzetta Reale per il centenario del movimento Nelle arti
figurative invece si presenta il confronto con le altre avanguardie, Cubismo,
Astrattismo, Dada, Surrealismo, Metafisica, ognuna delle quali caratterizzata
da propri temi e propri linguaggi espressivi. L'opera futurista è in evidente
contrasto per alcuni temi con molte delle altre avanguardie sebbene condividano
tutte l'intuizione di trasmettere attraverso l'arte un impulso di
trasformazione della società e di rinnovamento. Aspetto specifico del Futurismo
è quello di non limitare la propria azione alle espressioni artistiche (come il
Cubismo o la Metafisica), ma di prospettare la re-invenzione dell'intera vita,
in ogni suo aspetto (e uno dei manifesti maggiormente rilevanti fu infatti
"Ricostruzione futurista dell'universo" di Balla e Depero). Tra
i contemporanei dei futuristi che criticarono il movimento ricordiamo Giandante
X, che a Milano, all'apertura dei festeggiamenti per il ventennale del
Futurismo, contestò apertamente Filippo Tommaso Marinetti, sostenendo che
"l’uomo si deve affrancare dalla macchina ed è un errore lasciare
sussistere lo scombinato movimento artistico"[20]. Nella critica del
dopoguerra Il Futurismo ha influenzato tutta l'arte d'avanguardia del
Novecento. Gli artisti futuristi che sopravvissero alla morte di Marinetti e
alla seconda guerra mondiale caddero in disgrazia come tutto il Futurismo, con
l'accusa di aver fiancheggiato il fascismo. Nel secondo Novecento nuovi
studi di Luciano De Maria, Mario Verdone, Enrico Crispolti, Maurizio Calvesi,
Claudia Salaris, Giordano Bruno Guerri hanno parzialmente corretto l'accusa di
collusione fascista, rilanciando l'interesse artistico-sociale verso il
futurismo. Studi sul futurismo di sinistra (i contatti con gli ambienti
anarchici, e persino comunisti) mostravano contemporaneamente che l'avanguardia
futurista italiana era stata troppo sommariamente giudicata. Nel corso
del tempo diverse sono state le esposizioni riguardanti il Futurismo. Di
indubbia rilevanza è stata quella del 2009 presso il Palazzo Reale di Milano
per il centenario del movimento. La mostra si intitolava Futurismo 1909-2009 Velocità+Arte+Azione.
Il Futurismo italiano, con una grande esposizione retrospettiva fino al 1944 al
Guggenheim Museum di New York a cura di Greene, è tornato alla ribalta
internazionale. Il centenario del Futurismo ha anche contribuito al rilancio
internazionale degli studi sulle artiste del Futurismo e sulla visione della
donna nel Movimento. è stato pubblicato il Manifesto del Fumetto
Futurista redatto da Bonura e uno dei primi, se non il primo, fumetti futuristi
programmatici, cioè seguente esplicitamente uno schema scritto e definito, dal
titolo "Il brutto anatroccolo. Ma che Wow!!" di Gnoffo, a significare
l'importanza che il movimento futurista ha avuto come influenza nel delineare
nuovi stili d'arte di rottura e sperimentali. Principali esponenti del futurismo
Futuristi italiani Marinetti Allimandi Asinari Asinari Antonio Asturi Azari
Baldessari Balla Benedetto Boccioni Bodini Bonetti Bot, pseudonimo di Barbieri
Bragaglia Bruschetti Buzzi Cangiullo Cappa Carli Carmassi Carta Carrà Carramusa
Caselli Castagnedi Cavacchioli Ciacelli
Chiti Conti Corona Corra, pseudonimo di Bruno Ginanni Corradini Tullio Crali
D'Alba, pseudonimo di Umberto Bottone Giulio D'Anna Luigi De Giudici Mino Delle
Site Depero Gerardo Dottori Leonardo Dudreville Carlo Erba EVOLA (si veda),
Farfa, pseudonimo di Tommasini Fillia, pseudonimo Colombo Folgore Gesualdo
Frontini Funi Gambini Giardina Ginna, pseudonimo di Ginanni Corradini Governato
Govoni Jannelli Korompay Krimer Mimì Maria Lazzaro Escodamè, pseudonimo di
Michele Leskovic Licini Lucini Magnelli Mai Mainardi Michetti Marasco Marchesi
Emma Marpillero Masnata Mix Sante Monachesi Marisa Mori Munari MUSSOLINI (si
veda) Mussolini (si veda) Notte Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari
Nello Voltolina Pippo Oriani Nino Oxilia Ivo Pannaggi Papini Pepe Diaz Peruzzi
Piscopo Prampolini Pratella Preziosi Quasimodo Righetti Romani Rosai Rizzo
Rognoni Ronco Rosso Russolo Sanzin Sartoris Sant'Elia Sbardella Severini
Ardengo Soffici Fides Stagni Tato (Guglielmo Sansoni) Mario Sironi Fides Stagni
Stella Sturani Tavolato Tedeschi Thayaht, pseudonimo di Ernesto Michahelles
Tulli Ungaretti Vann'Antò Ruggero Vasari Lucio Venna, pseudonimo di Landsmann
Vucetich; Futuristi russi Makov Černichov Velimir Chlebnikov Natal'ja Sergeevna
Gončarova Michail Larionov Vladimir Majakovskij Kazimir Severinovič Malevič
Aleksandr Rodčenko Aleksej Kručënych Futuristi ucraini Davyd, Mykola, Volodymyr
Burljuk Futuristi francesi Robert Delaunay Marcel Duchamp Paul Fort Léger Jules
Maincave Georges Bernanos Guillaume Apollinaire Futuristi cechi Růžena Zátková
Futuristi ungheresi Béla Kádár Lajos
Kassák Hugó Scheiber Futuristi portoghesi Fernando Pessoa, divulgò aspetti del
movimento attraverso le riviste Orpheu e Portugal Futurista Guilherme de
Santa-Rita, pittore, ideatore della rivista Portugal Futurista Futuristi
spagnoli Joan Salvat-Papasseit Futuristi brasiliani Oswald de Andrade Futuristi
argentini Alberto Hidalgo Emilio Pettoruti Principali manifesti Manifesto del
futurismo, (Pubblicato da "Le Figaro" Marinetti Uccidiamo il Chiaro
di luna, Marinetti Manifesto dei Pittori futuristi, (11 febbraio 1910),
Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini La pittura futurista - Manifesto
tecnico, Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini Contro Venezia passatista,
Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo Manifesto dei drammaturghi futuristi,
Marinetti Manifesto dei Musicisti futuristi, Pratella La musica
futurista-Manifesto tecnico, Pratella Manifesto della Donna futurista,,
Valentine de Saint-Point Manifesto della Scultura futurista, Boccioni Manifesto
tecnico della letteratura futurista, Marinetti L'arte dei Rumori, Russolo
Distruzione della sintassi. L'immaginazione senza fili e le Parole in libertà,,
Marinetti L'Antitradizione futurista, Apollinaire La pittura dei suoni, rumori e
odori, Carrà Il Teatro di Varietà, Marinetti Il controdolore, Palazzeschi
Pittura e scultura futuriste, Boccioni Manifesto dell'Architettura futurista,
Sant'Elia Il teatro futurista sintetico, (1915), Corra, Settimelli, Marinetti
La ricostruzione futurista dell'universo,, Balla, Depero La Scenografia
futurista, (1915), Prampolini Manifesto del cinema futurista, Marinetti, Corra,
Settimelli Manifesto della danza futurista, Marinetti Manifesto
dell'Aeropittura futurista, Manifesto della Fotografia futurista, Tato
(pseudonimo di Sansoni), Marinetti Manifesto della cucina futurista, (1931),
Marinetti. Manifesto futurista della Ceramica e Aereoceramica, Filippo Tommaso
Marinetti e Tullio d'Albisola Opere principali Pittura Umberto Boccioni, Tre
donne; Boccioni, La città che sale; Carrà, Notturno a Piazza Beccaria Boccioni,
La risata Boccioni, Stati d'animo, gli addii Carrà, I funerali dell'anarchico
Galli; Umberto Boccioni, Materia; Balla, Ragazza che corre al balcone Balla,
Dinamismo di un cane al guinzaglio Balla, Lampada ad arco; Umberto Boccioni,
Elasticità Severini, La chahuteause Russolo, Dinamismo di un'automobile Carrà,
Cavaliere rosso; Giacomo Balla, Automobile + velocità + luce Severini,
Ballerina in blu; Fortunato Depero, I Cavalieri. Futurismo, in Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il pensiero futurista si richiama
evidentemente a varie ideologie dell'azione e della violenza: il
"vitalismo" del "superuomo" (oltreuomo) di Friedrich
Nietzsche, l'anarchismo di Max Stirner, la "violenza" di Georges
Sorel (Considerazioni sulla violenza), lo slancio vitale di Henri Bergson(cfr.
"Futurismo" nell'Enciclopedia "Il Sapere", De Agostini
editore). arengario.it, arengario.it/ futurismo specimen-tonini- manifesti.pdf.
Archivi del futurismo regesti raccolti e ordinati da Maria Drudi Gambillo e
Teresa Fiori, Roma Il Futurismo: le Edizioni Elettriche, su InternetCulturale Mauro,
Elapsus - Gino Severini, frammenti di vita parigina, su elapsus.it. di
Forlipedia, TULLO MORGAGNI, su Forlipedia, Futuristi, su windoweb Adams,
Historiographical perspectives on 1940s Futurism, Journal of Modern Italian
Studies, V tandfonline.com/ doi/full Argan electaweb.it, su Futurismo italiano a
confronto con artisti tedeschi e russi. ^ Kenneth Frampton Banham Warner, Cox,
letteratura (Futurismo Italiano) ^ A. Palazzeschi, L'incendiario (Milano,
Edizioni Futuriste di Poesia, pubblicata sulla rivista fiorentina "Italia
Futurista") ^ Marinetti, Settimelli, Corra, Il teatro futurista sintetico,
su futurismo.altervista.org. Napolitano, Le caratteristiche del movimento
futurista al Guggenheim, su marconeapolitanews.altervista L'Iride News, su
www.iridenews.it. Futurismo = Velocità+Arte+Azione, su elapsuswebzine. blogspot.it.
Greene, [1] ^ Massimo Bonura, Il fumetto come Arte e altri saggi, Palermo,
Edizioni Ex Libris, Per il Manifesto del Fumetto Futurista si veda per le
tavole del Fumetto Futurista di Gnoffo Ulteriori informazioni Questa voce o
sezione ha problemi di struttura e di organizzazione delle informazioni. Giulio
Carlo Argan, L'arte moderna Firenze, Sansoni, Lista e Ada Masoero (a cura di),
Futurismo Velocità+Arte+Azione (Milano, Palazzo Reale, 5 febbraio – 7 giugno
2009), Milano, Skira, Severini, Vita di un pittore, Abscondita, Maria, Laura
Donati, Marinetti e i futuristi, Garzanti, 1Greene (a cura di), Italian
Futurism, Reconstructing the Universe, New York, Solomon R. Guggenheim Museum, Frampton,
Storia dell'architettura moderna, traduzione di Mara De Benedetti e Raffaella
Poletti, Bologna, Zanichelli, Banham, Theory and Design in the First Machine
Age, New York, 1960; trad. it. Architettura della prima età della macchina, di
Enrica Labò, Bologna. Approfondimenti AA.VV., Futurismo e futurismi,
Supplemento ad «Alfabeta» nº 84, 1986 [Speciale in collaborazione tra
«Alfabeta» e «La Quinzaine littéraire»]. AA.VV., Divenire 3 Futurismo, a cura
di R. Campa, Bergamo, Sestante Edizioni, Pedullà (a cura di), Il Futurismo nelle
avanguardie. Atti del convegno internazionale in occasione del centenario della
nascita del Futurismo (Milano, Palazzo Reale, Roma, Editrice Ponte Sisto,
Albertazzi (a cura di), I poeti futuristi, con i saggi di George Wallace e
Marzio Pieri, Trento, La Finestra Milano L'opera contiene in appendice alcuni
manifesti futuristi. Giovanni Antonucci, Storia del teatro futurista, Roma,
Edizioni Studium, Bartorelli, Numeri innamorati. Sintesi e dinamiche del
secondo futurismo, Torino, Testo & Immagine, Bentivoglio, Franca Zoccoli,
Le futuriste italiane nelle arti visive, De Luca Editori d'Arte, Bianchi, La
musica futurista. Ricerche e documenti, Lucca, Libreria Musicale Italiana
Editrice, Calvesi, Il Futurismo, Milano, Fabbri, Calvesi, Il Futurismo. La
fusione della vita nell'arte, Nuova ed., Milano, Fabbri, Caruso e Stelio Maria
Martini (a cura di), Scrittura visuale e poesia sonora futurista, Palazzo
Medici Riccardi, Firenze catalogo). Luciano Caruso e Stelio Maria Martini (a
cura di), Tavole parolibere futuriste. Napoli, Liguori, Caruso, Francesco
Cangiullo e il Futurismo a Napoli, Firenze, Spes – Salimbeni, Caruso (a cura
di), Il colpo di glottide. La poesia come fisicità e materia, Firenze,
Vallecchi, catalogo). Luciano Caruso (a cura di), Manifesti, proclami,
interventi e documenti teorici del futurismo, Firenze, Spes – Salimbeni,
Cigliana, Futurismo esoterico, prefazione di Walter Pedullà, Roma, La Fenice,
Napoli, Liguori, Cammarota, Filippo Tommaso Marinetti. Bibliografia, Milano,
Skira («Documento del MART» Cammarota, Futurismo. Bibliografia di 500 scrittori
italiani, Milano, Skira («Documenti del MART» Chioma, Ala d'AreoDonna.
Futuriste nel Golfo Treviso, Edizioni del Tridente Crispolti, Il mito della
macchina ed altri temi del Futurismo, Trapani, Celebes, Crispolti (a cura di),
Il Futurismo e la moda. Balla e gli altri, Venezia, Marsilio Editori, 1986.
Enrico Crispolti, Futurismo Milano, Mazzotta, 2001. Matteo D'Ambrosio,
Futurismo e altre avanguardie, Napoli, Liguori Maria (a cura di), Marinetti e
il Futurismo, Mondadori, Milano Depero, Prose futuriste, Trento, V.D.T.T.,
Orsi, Il Futurismo tra cultura e politica. Reazione o rivoluzione?, Roma,
Editore Salerno, 2009. E. David, Futurismo, Dadaismo e Avanguardia Romena:
contaminazioni fra culture europee Torino, L'Harmattan Italia, Arnaldo Di
Benedetto, Tre poeti e il futurismo: Ezra Pound, Giuseppe Ungaretti, Eugenio
Montale (con un cenno su Saba), in «Italica Gambillo e Teresa Fiori (a cura
di), Archivi del Futurismo, prefazione di Giulio Carlo Argan, Roma, De Luca,
Gambillo e Teresa Fiori (a cura di), Archivi del Futurismo, Milano, Arnoldo
Mondadori Editore, Fontana, Anton Giulio Bragaglia: La scena dello spazio e lo
spazio della scena, in “Territori”, nº 11, Frosinone, Fontana, La voce in
movimento. Vocalità, scritture e strutture intermediali nella sperimentazione
poetico-sonora, con CD, Monza, Ed. Harta Performing & Momo. Giovanni
Fontana, Anton Giulio Bragaglia e la sintesi del movimento. Il diritto
all'identità fotodinamica, in “Avanguardia”, Roma Fontana, Le futurisme a 100
ans. Dans sa révolution
poétique, le germe de la poésie performative contemporaine, in “Inter. Art Actuel”, nº 103, autunno 2009, Québec. Giovanni
Fontana, Testo, gesto, voce. La performance futurista, in “Luci e ombre del
futurismo. Atti del Convegno internazionale”, a cura di Antonio Gasbarrini e
Novella Novelli, Quaderni di Bérénice 13, L'Aquila, Angelus Novus Edizioni,
Fontana, Hermes Intermedia e l'eredità fotodinamica, in “Aparte. Periodico
culturale e organizzativo dell'associazione Pecci Arte”, Prato, Godoli (a cura
di), Il dizionario del Futurismo, 2 tomi, Firenze, Vallecchi-MART, Grisi (a
cura di), I Futuristi, Roma, Newton & Compton, Hulten (a cura di),
Futurismo & Futurismi, Milano, Bompiani, Lapini, Il teatro futurista italiano,
Milano, Mursia, Lista, Le livre futuriste, de la libération du mot au poème
tactile, Modena, Editioni Panini, Lista, Futurismo. Velocità e dinamismo
espressivo, Santarcangelo di Romagna, KeyBook/Rusconi libri srl, Lombardi, Il
suono veloce. Futurismo e Futurismi in musica, Milano – Lucca, Ricordi – LIM,
Totino (a cura di), Futura, Milano, Cramps, 1978 [con 7LP33]. Filippo Tommaso
Marinetti, Teoria e invenzione futurista, Milano, Mondadori, 1968. Alessandro
Masi (a cura di), Zig Zag. Il romanzo futurista, Milano, il Saggiatore, Mancin
e Valentina Durante, Futurismo & Sport Design, Montebelluna-Cornuda, Antiga
Edizioni, Maramai, F.T. Marinetti. Teatro e azione futurista, Udine,
Campanotto, Martini, Breve storia dell’avanguardia, Marano (NA), Nuove
Edizioni, Masnata, Radia: A Gloss of the 1933 Futurist Radio Manifesto,
Emeryville (California), Second Evening Art Pub.. Marchi, Architettura
Futurista, Torino, Einaudi, Properzj, Breve storia del Futurismo, Milano,
Mursia, Riccioni, Futurismo, logica del postmoderno, Imola, La Mandragora,
Riccioni, Arte d'avanguardia e società, Roma, L'Albatros, Riccioni, Depero. La
reinvenzione della realtà, Chieti, Solfanelli, Salaris, Bibliografia del
Futurismo, Roma, Biblioteca del Vascello / Stampa Alternativa, Claudia Salaris,
Filippo Tommaso Marinetti, Scandicci (FI), La Nuova Italia, Salaris, Storia del
futurismo. Libri giornali manifesti, Roma, Editori Riuniti, Salaris, Marinetti.
Arte e vita futurista, Roma, Editori Riuniti, Tondelli, Futurista senza futuro.
Marinetti ultimo mitografo, Firenze, Le Lettere, Spatola, Il Futurismo, Milano,
Elle Emme, Tallarico, Futurismo nel suo centenario, la continuità, Galatina,
Congedo, Tuzet, A regola d'arte, Ferrara, Este Edition, Verdone, Teatro del
tempo futurista, Roma, Lerici, Verdone, Che cos’è il Futurismo, Roma, Casa Ed.
Astrolabio – Ubaldini Editore, 1970. Glauco Viazzi (a cura di), I poeti del
Futurismo, Milano, Longanesi, Pedullà, Per esempio il Novecento. Dal futurismo
ai giorni nostri, Milano, Rizzoli, Wehle, Sconfinamento nel trasumano. Vuoto
mitico e affollamento mediale nell'arte futurista in «Studi Italiani Lista,
Photographie Futuriste Italienne, Catalogo della Mostra al MAMVP, Parigi.
Gnoffo, Tavole del Fumetto Futurista Il brutto anatroccolo ma che Wow!!, in M.
Bonura, Il fumetto come Arte e altri saggi, Palermo, Edizioni Ex Libris,
Bonura, Per un Manifesto del Fumetto Futurista: relazioni con il Manifesto del
Cinema, della Pittura e della Cucina futurista, Bonura, Il fumetto come Arte e
altri saggi, Palermo, Edizioni Ex Libris, Birolli (a cura di), Pittura e
scultura futuriste, Abscondita, Warner e Cox, Audio Culture: Readings in Modern
Music, Londra, Continiuum International Publishing Group Ottinger , Le
Futurisme a Paris , une avant-garde explosive, Pompidou, Parigi , (Catalogo
della Mostra al Centre Pompidou Meazzi, Il fantasma del romanzo. Le futurisme
italien et l'écriture romanesque, Chambéry, Presses universitaires Savoie Mont
Blanc, Voci correlate Avanguardia Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti
Automobilisti III Biennale di Monza La Spezia L'Eroica (periodico) Parole in
libertà (futurismo) Partito Politico Futurista Riviste letterarie italiane
Vorticismo Zaum Altri progetti Wikisource contiene una categoria dedicata a
Futurismo Wikiquote contiene citazioni sul futurismo Wikizionario contiene il
lemma di dizionario «futurismo»
Wikinotizie contiene notizie di attualità su futurismo Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file sul futurismo Collegamenti esterniModifica futurismo,
su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata futurismo, in Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, futurismo, su sapere.it, Agostini. Futurismo, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Il
portale sul Futurismo, futurismo.org LA VERA STORIA DEL FUTURISMO, la parola a
Gesualdo Manzella Frontini Il "Discorso contro i Veneziani" di
Marinetti, su pagina delle idee. Il Cerchio: Rivista di Cultura con particolari
approfondimenti sul Futurismo, su cerchionapoli.it. Russolo: Frammenti di un
discorso rumoroso - La rivoluzione musicale futurista": monografia sul
sito Sentireascoltare Recensioni delle mostre del centenario futurista a Roma e
a Milano avanguardie russe, su chimera.roma1.infn.it. Viva il Futurismo!
Iniziativa culturale e artistica per il centenario del Futurismo, su
kulturserver-nrw.de. Principi e filosofia del Futurismo in arte, poesia e
politica, su manentscripta.wordpress.com. Architettura Futurista Italiana, su
architettura futurista.it. Il futurismo e le arti applicate, sul portale RAI
Arte, su arte.rai.it. Portale Arte Portale Italia PAGINE CORRELATE
Carlo Carrà Pittore e docente italiano Manifesto dei pittori futuristi
Manifesto futurista pagina di disambiguazione di un progetto, Esaminerò i temi
principali del mio saggio, intitolato “Eros ethos”: la contraddizione, la
violenza, la domanda di salvezza, che è poi la domanda di senso, il silenzio di
Dio. Ma, effettivamente, questi temi fanno da sfondo, perché “ Eros ethos”, questo
nesso su cui dobbiamo riflettere, riguarda piuttosto le cose prossime che non
le cose ultime come la domanda di senso, la domanda che appunto ruota
interamente intorno a ciò che era al principio. Che cos’era il principio? Era
il senso, era il logos, o non era piuttosto come Nice, in modo sprezzante, ma
anche polemico e profondo, ebbe a dire: “ in principio era il non senso”? Ecco,
cos’ hanno a che fare queste domande sulle cose ultime con le cose prossime?
Eros ethos: che cosa c’è di più prossimo alle esperienze che noi facciamo, che
questa? Esperienza erotica ed esperienza etica. Questo è il quadro, questo è
l’orizzonte problematico dentro il quale vorrei insieme con voi procedere per
alcuni passi, e allora incomincerei col dire che, davvero, la domanda da cui
partire è la domanda sull’origine: una domanda che ai non filosofi può sembrare
di scarsa rilevanza. Perché la domanda sull’origine? E che cosa vuol dire
domanda sull’origine? Vuol dire, se la vogliamo tradurre, interrogarsi sul da
dove veniamo, da dove il male, la violenza che patiamo. “Unde malum?” questa è
la domanda sull’origine. Ma a questa domanda sull’origine, così perentoria e
così grave di implicazioni, come risponde il pensiero contemporaneo? Il
pensiero contemporaneo risponde rimovendola, come se non esistesse, meglio come
se non la potessimo, né la dovessimo porre. E questo perché? Perché alla
domanda ha già risposto la scienza. Sappiamo da dove veniamo, di chi siamo
figli: siamo figli del caos, e se è vero che leggi che possono essere accertate
scientificamente governano questo caos, del caos noi siamo figli, o, se non del
caos, di quel suo riflesso che è il caso. Siamo figli del caso. La violenza è
un fatto. Certo che c’è violenza nel mondo, ma c’è come c’è quell’ultimo
orizzonte che non possiamo trascendere. Ci appartiene la violenza, è in noi,
sempre di nuovo la evochiamo, basta un niente ed ecco esplode, come se un fondo
sub umano ci abitasse, come se da questa brutalità naturale noi provenissimo,
come se appunto questo fondo sub umano, questa brutalità naturale, sempre
pronta ad esplodere, costituisse un orizzonte intrascendibile. Non è forse vero
che veniamo di lì, non ci dice la scienza che veniamo dalla “selva antiqua?”
Dallo stato di natura? E che cos’è lo stato di natura se non lo stato in cui la
violenza ci fa simili, anzi identici, a quegli esseri che abitano la natura e
l’abitano inconsapevolmente, producendo la violenza appunto come produzione
inconsapevole di quella volontà di vivere che abita tutti gli esseri naturali?
Sembra essere questa la grande parola della filosofia moderna e poi
contemporanea, perchè troviamo in essa quasi un vero e proprio ritornello: il
risalimento all’origine è precluso, la filosofia pensa a partire da una
situazione, da un trovarsi ad essere in un certo modo, a partire da cui
soltanto il pensiero è pensiero. Che cosa significa risalire alle origini,
ipotizzare fondamenti ultimi? Tutto questo appartiene all’ontoteologia cioè
alla pretesa appunto di ragionare ricostruendo il fondamento, la ragione ultima
di tutte le cose, in una parola l’origine, quell’origine che non è, o meglio
non è se non nella forma che ci è data, e di cui noi facciamo esperienza
sapendo di essere quello che siamo, ossia esseri naturali che dallo stato di
natura provengono e che nello stato di natura trovano una sorta di ultimo
orizzonte, di estremo confine intrascendibile, assolutamente intrascendibile.
Da questo punto di vista abbiamo la parola di Hobbes da una parte( lo stato di
natura), e la parola di Rousseau dall’altra( lo stato di natura come 1
stato di pura violenza che si tratta di controllare attraverso un patto,
i cui contraenti autolimitano la propria libertà in nome del controllo di ciò
che è dato: lo stato di natura). Da una parte Hobbes( il Leviatano), e
dall’altra Rousseau dicono la stessa cosa anche se sembrerebbero dire due cose
completamente diverse. Che cosa dice Rousseau? Dice che lo stato di natura non
è il regno del Leviatano, il regno della violenza, è il regno della gioia, è il
regno della libertà, è il regno della giustizia. Eppure dicono la stessa cosa.
Che cosa? Dicono che quello, lo stato di natura, è un orizzonte che non
possiamo trascendere. Lì ci troviamo a vivere. Che questo stato di natura sia
uno stato di violenza, o che questo stato di natura sia uno stato tornando nel
quale noi ci liberiamo dalla violenza stessa, in definitiva è la stessa cosa,
perché è questo stato, questa condizione intrascendibile, e non possiamo
affacciarci, per così dire, sulla soglia, su questo stesso orizzonte, e guardare
al di là e chiederci: “ Ma noi da dove veniamo? Chi ci ha gettati qui?” O nella
lotta o nella gioia edenica: domanda senza senso. Risalire non è possibile.
L’orizzonte è chiuso. La violenza non è nient’altro che questo, quella violenza
di cui ci parlano anche le cronache, ma che noi conosciamo anzitutto in noi
stessi, perciò della violenza non resta che prendere atto come qualche cosa che
è connaturato, stato di natura appunto, e che non ci resta che controllare.
Sempre di nuovo l’uomo ricade nella violenza, sempre di nuovo l’uomo deve, se
non liberarsene totalmente, elaborare delle strategie di controllo. Auschwitz
non deve più accadere e invece è accaduto e probabilmente sempre di nuovo
accadrà. Questo lo sappiamo, lo sappiamo nei nostri giorni violentissimi,
crudelissimi. Su questo non possiamo chiudere gli occhi: sul fatto che
Auschwitz sempre di nuovo accade, che sempre di nuovo l’uomo cade dentro quello
stato di natura dal quale proviene e dal quale non può evadere. E’ la parola
più dura della filosofia contemporanea, nascosta spesso dentro strategie di
pensiero molto sofisticate, molto raffinate, ma che questo dicono:
l’intrascendibilità della nostra provenienza, dell’orizzonte dal quale
proveniamo, tanto è vero che sempre di nuovo cadiamo dentro a questo orizzonte.
Difficile immaginare, appunto, una risposta più cupamente ateistica e
nichilistica di questa, ma anche più vera, con una sua verità che sembrerebbe
difficilmente controvertibile. Non è forse vero che la violenza è in noi, che
veniamo di lì? Non ci dice la scienza che in noi ci sono forze che se non
teniamo sotto controllo fanno di noi, di chiunque di noi, il peggiore dei
delinquenti, e che ciascuno ha in sé questa virtualità negativa e terribile?
Ciascuno di noi. Lo vediamo, non solo per le guerre, ma per i casi che la vita
ci mette sotto gli occhi: gli adolescenti che uccidono i genitori, il mobbing
tra le persone, questo bisogno di farsi reciprocamente male, che cos’è questo
se non una radice? Maligna, ma nello stesso tempo naturale, maligna, ma in
questa prospettiva senza nessuna ascendenza teologica, perché appunto è lo
stato di natura dal quale proveniamo, dentro il quale sempre di nuovo ricadiamo
in quanto l’orizzonte è intrascendibile. Che questo sia detto nei termini di
Hobbes, o sia detto nei termini di Rousseau, che a partire da Hobbes si
elaborino teorie dello stato come strumento, il solo che l’uomo ha per tenere
sotto controllo la violenza, che a partire da Rousseau si elaborino invece
teorie della emancipazione, della liberazione, del ritorno alla natura, però
questo ci dice l’intrascendibilità dello stato di natura. E’ una tesi che ha
mille sfaccettature naturalmente, ma molto forte. A questa tesi della
intrascendibilità radicale dello stato di natura io credo ci sia una sola obiezione,
ma forte, altrettanto forte che la tesi stessa. E questa obiezione è che la
violenza dell’uomo sull’uomo, quella violenza che fa dell’uomo un bruto, che lo
ricaccia sempre di nuovo nella brutalità dello stato di natura, questa violenza
è sempre qualche cosa di più, è sempre qualche cosa di meno che espressione
dello stato di natura. Questa è la vera obiezione. E cioè, che cos’è? E’ cosa
umana. La violenza fatta dall’uomo non è infatti assolutamente assimilabile
alla violenza fatta dall’animale, da una tigre, da un leone feroce. La ferocia
che emerge, che affiora, e che trasforma un essere umano in un animale 2
è altra cosa, non è vero che trasforma l’essere umano in animale ( questo
è un modo di dire assolutamente sviante, falsificante, anche se sembra
corrispondere all’esperienza che ciascuno di noi fa ), questa violenza è altra
cosa, perché la violenza dell’uomo ha, per così dire, un segno, una segnatura,
quella signatura rerum di cui parlavano gli alchimisti che la vedevano nelle
cose stesse, quasi le cose fossero portatrici di simboli entrando in contatto
con l’uomo. Ecco, la stessa cosa vale per la violenza umana: essa ha una
segnatura che ne fa qualcosa di altro rispetto alla violenza dell’animale, di
radicalmente altro, di ontologicamente altro. Perché la violenza dell’uomo non
è assimilabile a quella dell’animale? Perché la violenza dell’uomo ha qualcosa
come un valore aggiunto, e il valore aggiunto è quello che ci mette l’uomo
stesso. Pensate all’uomo, al soldato che uccide, deve farlo, lo fa per
difendersi, pensate alla violenza che esplode in una situazione apparentemente
normale: sempre c’è qualche cosa di più e di diverso che l’espressione di una
aggressività volta a raggiungere uno scopo, raggiunto il quale la stessa
violenza, per così dire, ritorna in una quiete, in una pace, la pace del leone
che ha divorato la gazzella e si ritrova in pace con sé stesso e con la natura.
La violenza dell’uomo, quale che sia, giustificata o non giustificata, ( ma
appunto la parola giustificazione è povera) , sempre ha questo valore aggiunto:
e il soldato sente il bisogno, ahimè, spesso di sottolineare questo valore
aggiunto , irridendo il nemico. Questo è nell’Iliade, come nella cronaca di
oggi, di ieri e dell’altro ieri. Nell’Iliade, quando Achille strazia il
cadavere di Ettore, sente il bisogno di straziarlo sotto le mura di Ilio, sotto
gli occhi delle persone care: ecco quel di più, ecco ciò che fa della violenza
umana qualche cosa di radicalmente umano. Nel soldato che aggredisce e umilia
l’aggredito, il vinto, il nemico vinto, stuprando la sua donna, per esempio,
non c’è mai una pura e semplice espressione pulsionale di qualche cosa, come un
bisogno bestiale o animalesco, c’è invece il desiderio di segnare ( parlavo
prima di segnatura, di valore simbolico) , c’è il bisogno di umiliare, c’è, in
altre parole, l’impossibilità di ricadere nella quiete della violenza che ha
raggiunto il suo scopo. Allora, se la violenza dell’uomo non è assimilabile
alla violenza della natura, se questo valore aggiunto fa sì che la violenza
dell’uomo riveli una sua irriducibilità all’ordine naturale delle cose, allora
non è vero che lo stato di natura non può essere trasceso, non è vero che non è
possibile affacciarsi sull’ultimo orizzonte e chiedersi: “ Ma da dove vengo
io?” Allora non basta dire: “ Io vengo da lì, cioè dalla natura e dalla sua
brutalità, io vengo da un altrove”. E’ una contraddizione, perché, se vogliamo
dirla con una formula filosofica, la intrascendibilità dello stato di natura
chiede di essere trascesa. Il riconoscimento che di lì vengo, che sono
impastato di quella pasta, che sono fatto di quel fango, che in me agiscono
forze brutali, bestiali, non basta. Non basta perché quelle forze dicono non
soltanto la mia provenienza dallo stato di natura, ma da un al di là, che non
so che cosa sia, che la filosofia non può dire naturalmente, ma deve cercare.
Non mi basta riconoscermi parte della natura, perché questo mio riconoscimento
fa cenno, sia pure nella forma della contraddizione, ad un altrove, come se io
fossi caduto, come se io di là venissi, e come se soltanto questo movimento
potesse spiegare il valore aggiunto che è nella violenza. Ho fatto due esempi,
di due grandi filosofi della modernità, Hobbes e Rousseau, i teorici della
intrascendibilità dello stato di natura. Farò altri due esempi di grandi
filosofi della modernità i quali sostengono quello verso cui sto cercando di
condurvi e cioè che l’intrascendibilità dello stato di natura è
contraddittoria. Certo l’uomo, con le sue categorie, con i suoi concetti, con
ciò di cui dispone, non può uscire dall’orizzonte in cui è venuto a trovarsi,
ma patisce, soffre, vive questo suo trovarsi in un orizzonte che è come un
carcere per lui, appunto come un essere cacciato lì dentro. Diceva Pascal: “ Io
mi guardo intorno, e tutto è confusione, un orribile caos, cerco Dio, ma Dio
tace ( il silenzio di Dio), e non solo Dio tace, ma tutto è terribilmente
silenzioso, e il silenzio degli spazi infiniti è eterno. Che cosa mi resta, se
voglio in questo orribile 3 caos muovermi e sopravvivere? Che cosa
mi resta da fare? Prendere atto che le cose stanno così, seguire le leggi del
mio paese. Già, ma le leggi del tuo paese sono esattamente l’opposto delle
leggi del paese accanto. Che fare? Questa è appunto la prova del caos in cui
versiamo. Ma il mio sovrano mi ha ordinato di uccidere quello che sta al di là
del fiume. E perché? Perché sta al di là del fiume. Ma è una ragione questa?
Eppure lo devo fare, perché, se non mi attenessi alle leggi del mio paese,
cadrei in un disordine ancora più grande, non vivrei più”. L’abbiamo visto:
l’unica forma di sopravvivenza è quella garantita dall’accettazione dello
status quo. Dice: “ Ma io mi guardo intorno. Questo è giusto, che cosa è
sbagliato? Nulla è giusto, nulla è sbagliato, tutto lo è. E infatti non c’è
atto, non c’è gesto, non c’è comportamento umano, anche il più abietto, che non
abbia trovato il suo altare. Sull’altare è stato messo l’incesto, sull’altare è
stato messo l’omicidio, sull’altare è stato messo il furto, e così via. Un
orribile caos, è quello nel quale l’uomo naturaliter viene a trovarsi:
intrascendibilità dello stato di natura”. Ecco allora la contraddizione, ecco
il passo in più che fa Pascal: l’intrascendibilità dello stato di natura è
inaccettabile, l’intrascendibilità dello stato di natura non può essere vissuta
se non come una condanna, e quale maggiore condanna che quella di chi vede che
ogni atto, anche il più nefasto, il più delittuoso, ha trovato il suo altare?
Quale condanna peggiore di chi constata che è costretto a compiere atti
profondamente ingiusti e tuttavia giustificati? “ Vai, uccidi”. “ Perché?”
“Perché il tuo sovrano te lo ordina”. Ed è giusto così, o meglio giustificato
così, pena un disordine ancora maggiore. Questa è una realtà che non si può non
accettare, una realtà che ci dice il nostro essere vincolati ad essa,
l’intrascendibilità dello stato di natura, ma una realtà nello stesso tempo
vissuta come iniqua, come inaccettabile: non la posso che accettare, ma è
inaccettabile. Ecco la contraddizione, e se volessimo dirla filosoficamente,
dovremmo dire: “l’intrascendibilità dello stato di natura impone il suo
trascendimento”. Da dove vengo io? Da quale paradiso perduto, se soffro così
tanto all’interno di una situazione per la quale non vedo via d’uscita? L’intrascendibilità
chiede di essere trascesa. Qui la filosofia deve tacere, la filosofia non può
che aprirsi ad una dimensione altra. E’ una risposta, come vedete, ben diversa
da quella di Hobbes, ed anche da quella di Rousseau. Nasce da Pascal una
filosofia religiosa, laddove da Hobbes e da Rousseau nasce una filosofia
irreligiosa. Le fedi private dell’uno e dell’altro non sono più in questione,
ma è profondamente irreligiosa una filosofia che dice: “ La violenza c’è e non
resta che tenerla sotto controllo. Noi non possiamo guardare al di là”. E’ una
filosofia profondamente irreligiosa quella che dice che la violenza c’è perché
c’è la società. Togliamo questo elemento storico sociale, che inquina, con gli
apparati repressivi che la società mette in atto, liberiamoci da tutto ciò, e
ritroviamo quella gioia che è lo stato originario dell’uomo: filosofia, in
entrambi i casi, con tutte le loro propaggini, da Rousseau a Marcuse, oppure da
Hobbes a Smith, filosofia profondamente irreligiosa quella dell’intrascendibilità
dello stato di natura, laddove è filosofia profondamente religiosa quella di un
Pascal che dalla stessa intrascendibilità ricava, attraverso la contraddizione,
l’idea di non poter non trascendere. Anche Vico, che viene spesso interpretato,
e giustamente, come il padre dello storicismo, ma è anzitutto teologo
cristiano, dice la stessa cosa, cent’anni dopo Pascal, e la dice attraverso
l’idea che la menzogna in cui l’uomo si trova a vivere sia l’illusione che “
omnia Iovis plena” , che gli alberi siano dei, che tutto gli parli, che
l’universo sia animato da presenze. Se un fulmine cade nella selva antiqua e
apre la radura e l’ uomo si illude che un dio gli abbia parlato, non è vero, è
un’illusione, è pura idolatria credere che lì si sia avuta una epifania, e
tuttavia questa che è la condizione idolatrica che l’uomo non può trascendere.
Vico dice: “ Cos’è più vero? Lo stato di natura, dove l’uomo è e non è se non
cacciatore e preda? Oppure lo stato di cultura?” Quello stato di cultura che
l’uomo costruisce in base ad una simulazione, cioè in base ad una menzogna,
illudendosi che gli dei gli abbiano parlato e 4 sulla base di
questo messaggio, di questa rivelazione, costruisce appunto le istituzioni, le
famiglie, gli stati, la cultura, insomma. Che cos’è più vero? E’ il puro e
semplice abitare la natura come l’abitano i bruti, brutalità dello stato di
natura, oppure è, attraverso la finzione, diventare uomini? Accedere ad una
verità propriamente umana? Anche lì, attraverso la contraddizione, l’uomo è
costretto a vedere nella natura una sorta di deiezione, di caduta. Da dove? La
filosofia non lo dice, lo dice la rivelazione. Come vedete queste sono ipotesi
molto diverse, opzioni filosofiche che sono alla radice del mondo moderno. Voi
vi chiederete: “ Tutto questo che cosa c’entra con Eros ethos?” C’entra perché
c’entra la contraddizione. E’ la contraddizione che dobbiamo cercare, che
dobbiamo interrogare, per capire appunto se noi siamo consegnati ad un destino
umano e soltanto umano o se invece questa stessa umanità del nostro destino
impone un trascendimento della condizione nella quale ci troviamo: dobbiamo
cercare l’origine, ciò che è in principio ma anche ciò che è, per dirla con
sant’Agostino, “intimior intimo meo”, più intimo a me stesso di quanto non lo sia
io a me. Come sappiamo, Agostino identificava Dio con questo movimento, con
l’intimior intimo meo: è Dio che è più intimo a me di quanto io non lo sia a me
stesso. Potremmo, parafrasando Agostino, vedere precisamente nel nodo di
contraddizione che nello stesso tempo lega e separa eros ethos qualche cosa che
può essere definito negli stessi termini. Che eros ed ethos si contraddicano, o
meglio si oppongano( l’opposizione e la contraddizione sono due cose diverse)
lo so bene, che eros ed ethos si oppongano è cosa abbastanza ovvia. Che cosa
indica eros se non l’immediatezza, diciamo pure la gioia di vivere, quella
gioia di vivere che non ammette ostacoli di nessun tipo, che chiede soltanto di
essere espressa? Eros i Greci, e non soltanto i Greci, lo presentavano come un
fanciullo, la divina innocenza, eros come espansione vitale, o per dirla con
Kierkegaard come vita immediata, vita che non dà ragione di sé, e noi diremmo
oggi ( figli volenti o nolenti, tutti figli di Freud ) “vita pulsionale”, e le
pulsioni sono le pulsioni, il bene e il male appartengono ad un altro ordine,
ad un’altra dimensione. Ethos è il contrario. Ethos è il “Tu devi”. Ethos è la
serietà della vita. Ethos è il dover rispondere di tutto nei confronti di
tutti, o quanto meno di sé nei confronti di coloro coi quali si è stretto un
patto. Quale opposizione maggiore che quella tra eros ed ethos? Tra
l’immediatezza e la mediazione? Tra la libera e gioiosa espansione di sé che
non dà ragione, perché è quello che è, è vita immediata, tra la gioia, se
vogliamo dire così, e la serietà della vita, ossia il “Tu devi”, questo sì e
questo no, perché tu devi rispondere di te nei confronti di tutti gli altri? Ma
appunto siamo ancora sul piano dell’opposizione, non ancora della
contraddizione. Per scorgere la contraddizione dobbiamo renderci conto che c’è
dissidio, cioè c’è intima opposizione sia in eros, sia in ethos. Ed è solo a
partire da un’analisi separata delle due forme di esperienza, esperienza
erotica ed esperienza etica, che capiremo come l’opposizione diventi una vera e
propria contraddizione e capiremo come la contraddizione che abita in ciò che è
“intimior intimo meo”, così prossimo a noi da costituire davvero la nostra
anima, la nostra carne ( e che cosa se non eros ed ethos? ), come la contraddizione
sia proprio in questa prossimità. Ma lo scopriremo appunto esaminando
separatamente le due forme. Perché c’è opposizione in eros? L’abbiamo definito
come gioioso, libero, come espressione di una vitalità che non conosce
ostacoli. Non è forse vero che eros è trasgressione? Ma non carichiamo subito
questa parola di un significato morale: no, siamo prima, siamo al di qua della
morale. Parliamo dunque di trasgressione nel senso letterale del termine, nel
senso di una spinta, di un movimento teso a rompere tutti i vincoli. Quindi
siamo ancora sul piano di una fenomenologia che non chiama in causa la morale.
Eros è questo transgredior, questo superare il limite che eros stesso pone a sé
stesso per essere quello che è. Cosa c’entra la morale con eros, se eros è
questo? Come è pensabile un intimo dissidio di eros con eros? I Greci lo hanno
pensato. Quando ci troviamo di fronte a queste difficoltà, definita
filosoficamente la categoria, 5 sembrerebbe non si dovesse più
procedere oltre, invece sappiamo che l’esperienza erotica è molto più
complessa, che non è questa pura e semplice, come qualcuno vorrebbe,
espressione pulsionale di sé che non dà ragione di sé, bensì un’esperienza
terribilmente complessa. E allora come la mettiamo? La filosofia ci dice che è trasgressione,
movimento libero verso la liberazione da tutti i vincoli. Il mito, e di nuovo
la religione, ci dice che è cosa molto, molto più complessa. E come avevano
rappresentato questa complessità i Greci? Attraverso i miti, come sappiamo. I
miti sono questo: servono a dire delle cose che la filosofia non riesce a dire,
o che il linguaggio comune non riesce a dire. Ci sono tanti miti nella cultura
greca che parlano di eros, infiniti, ma non soltanto nella cultura greca, anche
in quella indiana, anche in tante altre. Ma alcuni in particolare: intanto
quello che identifica eros con Fanes Protogono. Chi è Fanes Protogono? Fanes
Protogono è qualcuno, qualche cosa che viene prima della stessa formazione del
mondo, e quindi del costituirsi di figure archetipiche nel mondo che sono gli
dei; Fanes ( “ fainetai”) è questa accensione originale che fa sì che il mondo,
che era, secondo il mito di Fanes Protogono, tutto raccolto in un nucleo simile
ad un punto ( pensate a quale profondità di intuizione erano arrivati i Greci),
per questa improvvisa accensione si spacchi, si scinda come sotto una spinta,
una forza assolutamente sorgiva, che non è governata da figure archetipiche,
dagli dei, ma che è assolutamente iniziale. Questa realtà tutta compressa,
tutta compresa in un unico punto, per così dire a seguito di questa cosiddetta
accensione, esplode, e questa esplosione dà luogo alla terra e al cielo, perciò
la terra e il cielo, a partire da questa esplosione, non potranno che sempre di
nuovo cercare di ricongiungersi. Urano e Gea, il cielo e la terra,
originariamente uniti, a seguito della esplosione cercano di ricongiungersi,
grazie a eros, Fanes Protogono, cioè il principio primo, il principio
originariamente generatore, che è la luce. Eros è questa accensione, questa forza
ricongiungente dei due. Dentro questo mito che cosa scopriamo? Il carattere
assolutamente non morale di eros. Eros è quello che è, non è neppure un dio, è
luce, è manifestazione, è pura forza esondante, quella pura forza esondante che
ciascuno di noi prova in sé, nelle varie forme in cui eros si manifesta, che,
come sapevano i Greci, sono infinite. Basta leggere il Simposio per capire come
Platone sapesse delle varie forme di eros. Ma che cosa accade? Accade qualche
cosa di tremendo, il tremendo che è in eros: accade che nel momento in cui la
terra e il cielo si scindono in due, in una sorta di mattino del mondo nasce
Afrodite che è la dea dell’amore, che è la dea, a seguito di questa vicenda,
chiamata a incarnare, a personificare, la forza originariamente creatrice. Ma
chi è Afrodite? E’ la dea della doppiezza, e i poeti greci così l’ hanno
descritta: è la dea della felicità, della gioia, della gioia di vivere che non
dà ragioni di sé, è la dea al di là del bene e del male, è la dea al di qua del
bene e del male. Ma Afrodite è anche la dea che nasconde il tremendo da cui
proviene, tanto è vero che lo stesso mito greco ci parla di questo mattino del
mondo: e cosa c’è di più bello che il sorgere di Afrodite dalla spuma del mare,
che cosa c’è di più innocente, di più incantevole? E tuttavia quella spuma del
mare è memoria di un atto di sangue: la spuma del mare è il sangue stilato, e
anzi sangue- liquido seminale, stilato dal sesso di Urano, castrato dal suo
stesso figlio. Capite che cosa dicono i Greci? Che cosa tiene insieme nell’idea
di eros l’uomo greco? Gli opposti: l’innocenza, la perfezione in quanto è
l’emergere della vita da sé stessa, la vita che non dà ragione di sé, la vita
che è quello che è, al di là del bene e del male, tuttavia su uno sfondo cupo
di sangue. Il fanciullo innocente è nello stesso tempo colui che ha memoria del
tremendum, con buona pace dei teorici, quanti sono oggi, delle emancipazioni a
buon mercato: “Liberatevi dai tabù, abbandonatevi!” Tutte cose belle, per
carità, non voglio dire che non ci si debba anche liberare dai tabù, però le
cose sono un po’ più complicate: la liberazione( tesi) è necessaria, e tuttavia
sta a fronte( antitesi) di qualche cosa come gli orrori delle origini. Quando
ci si interroga sul fatto, sul rapporto eros e violenza, per esempio, perché
chiudere gli occhi di fronte a 6 questa che è realtà umana, più che
umana? Bisogna pensare come hanno pensato i Greci, o come hanno pensato gli
Indiani in modo forse meno cupo, in modo meno metafisico, ma altrettanto
espressivo, con la figura della donna che volge lo sguardo, dell’amante che
raggiunge l’amato ( che è un tema iconografico di molta arte indiana, di molta
arte erotica dell’India ), della donna che si butta nel fiume per raggiungere
l’amato, ma volge lo sguardo, e questo sguardo è pieno di malinconia per tutto
ciò che lascia: siamo fatti di una irriducibile doppiezza, ci dice il mito.
Certo che è necessario gettarsi, raggiungere l’amato, ma non ci è dato di farlo
( è la dinamica della trasgressione ), se non volgendo lo sguardo verso tutto
ciò che abbiamo perso, che stiamo perdendo, che potrebbe essere la rottura del
patto. E questo che cosa vuol dire? Vuol dire che eros, l’innocenza stessa, in
modo del tutto contraddittorio, si lega al suo contrario, a qualcosa come la
colpa: ecco come eros è portatore di una contraddizione. Ma lo stesso vale per
ethos. Ethos è in sé stesso contraddittorio, e sono ancora una volta i Greci
che ci dicono questo. Della profondità del mito greco si era accorto
Aristotele, per primo, che io sappia, quando, guardando al mito, ha scoperto
che la parola greca ethos (da cui etica, naturalmente, ) si dice in due modi, o
meglio si dice in un modo solo ma si scrive in due ( è una anomalia del Greco
che forse non ha altri esempi così clamorosi ): ethos in greco si scrive con la
ipsilon, e con la eta, e se scritta con la ipsilon vuol dire una cosa, se
scritta con la eta vuol dire un’altra cosa, o meglio, vuol dire la stessa cosa
, ma un po’ diversa . Se scritta con la eta , ethos fa riferimento alla dimora,
alla casa. E allora che cos’è ethos? Ethos è la convenzione, sono gli usi, i
costumi, le abitudini, da cui abitus, le virtù, come abiti che indossiamo che
ci portano a compiere certe cose, a comportarci in un certo modo. Ma perché ci
comportiamo in un certo modo? Perché siamo stati educati, perché abbiamo
accolto in noi, essendo stati accolti da una comunità e cioè dalla casa
anzitutto, quelle leggi, quei comportamenti, quel modo di vedere, che è proprio
di ethos con la eta. Qui a essere privilegiato è il riferimento al sentire
comune, alla comunità: ethos come appartenenza ad una comunità, che mi impone
di non pensare tanto a me stesso quanto agli altri, di riconoscermi all’interno
di una tradizione e così via. Ma se io lo scrivo con la ipsilon, allora vuol
dire carattere, che appartiene a me, è solo mio : l’ethos è il mio demone, è
qualche cosa che mi dice: “ Tu devi fare questo”. “No”. “ Ma sei contraddetto
da tutti, non è accettabile che tu non faccia questo, la società ti condanna”.
“ Che mi importa, lo devo fare, perché so, ma in base a quale sapere?” “In base
ad un sapere demonico, cioè che non dà ragioni di sé. Sapere di cui io mi
faccio carico, costi quello che costi”. Guai se ethos fosse solo sapere
demonico, se fosse solo carattere, perché allora l’etica sarebbe una cosa
terribile, sarebbe cosa tragica, darebbe luogo a scontri senza fine, senza un
terzo che faccia da medio, se è giusto quello che io sento giusto. L’io, la
coscienza: se ethos fosse solo questo sarebbe terribile. Ma guai se ethos fosse
soltanto quell’altro: abitudine, tradizione, leggi e così via. Facciamo il caso
che la società alla quale appartengo, nella quale mi riconosco, mi condanni
legalmente e in base a dei principi riconosciuti come giusti, mi condanni per esempio
a essere deportato. Immaginate un’ etica che sia soltanto etica pubblica, un’
etica della tradizione condivisa, immaginate di togliere a me o a chi per me il
diritto di dire no, anche se la società alla quale appartengo mi condanna, di
rivolgermi al mio Dio, per invocarlo, o per bestemmiarlo, dicendo:” Non è
giusto”. Non dimentichiamo mai Auschwitz, ma non dimentichiamo mai che tutto
quello che è accaduto in quegli anni è accaduto legalmente: le deportazioni
erano leggi dello stato tedesco, non si tratta di qualcosa avvenuto
nascostamente, bensì di leggi dello stato tedesco. L’etica che fosse soltanto
l’etica, la casa della comunità di appartenenza, della polis, dello stato,
potrebbe non essere un’etica a sua volta monca, terribilmente manchevole? Già,
ma come fanno a stare insieme ethos ed ethos, ethos con la eta e ethos con la
ipsilon? Come far stare insieme le leggi della pietà, per esempio, come sa bene
Antigone, e le leggi della città? Le leggi di coloro che stanno sotto la luce
del sole e le leggi sotterranee, degli dei, che stanno sotto? Contraddizione,
la contraddizione di ethos. Voi direte, ma che cosa c’entra questo discorso con
la violenza? E’ lo stesso discorso. In che senso? Abbiamo visto, e mi avvio
alla conclusione, come la violenza sia un dato di natura, anzi, è la natura che
è in noi, è uno stato, tanto è vero che si parla di stato di natura: è
quell’emergere di forze oscure, che ci riportano al luogo da cui proveniamo,
che è la selva. E’ la linea maestra del pensiero moderno e contemporaneo, e
abbiamo visto che non basta dire questo. Le cose non stanno così, perché qui
c’è una contraddizione . La contraddizione è sollevata dalla affermazione che
la violenza dell’uomo sull’uomo è sì qualche cosa che lo accomuna alla bestia
feroce, ma nello stesso tempo è qualche cosa che lo rende irriducibilmente
diverso dalla bestia feroce. La violenza è sì cosa che implica la non
trascendibilità dello stato di natura, ma questa non può che essere vissuta
come condanna che implica il trascendimento. Lo stato di natura è uno stato che
io posso pensare solo come stato di gettatezza, avrebbe detto Heidegger.
Senonché per Heidegger la gettatezza, la deiezione, il mio trovarmi come
gettato in questo mondo, non ha più né capo né coda, non ha più un da dove sono
gettato e un verso dove vado. E in questo senso Heidegger in fondo resta
all’interno della tradizione tipicamente moderna che ritiene intrascendibile
questo stato. Non così là dove questo stato venga vissuto, venga letto, nel suo
valore simbolico. Lo dice bene Pascal. Tutto è simbolo, quella natura caotica,
così confusa, non fa che ricordarmi che questo non può essere il mio mondo, è
il mio mondo e per viverci lo devo accettare, e tra questo mondo, e l’infinito,
e l’assoluto, un abisso mi separa: non c’è verso, filosoficamente, di costruire
un ponte tra il qui e ora, il qui di leggi contraddittorie, e l’origine.
Tuttavia, in questo mondo io vivo come uno straniero, come uno che è stato
gettato da un altrove, la cui chiave la possiede non la filosofia ma la religione:
la caduta, il peccato originale.” Lo stesso discorso vale per la
contraddizione, il rapporto contraddittorio di eros ed ethos. Noi vorremmo
potere riferirci, così come nel caso della violenza ci siamo riferiti, a
qualche cosa di ultimo, qui riferirci a qualche cosa di primo, eros ethos, di
prossimo, di propriamente nostro a cui ancorarci, vorremmo poterlo fare. E che
cosa se non ancorarci a eros, se non ancorarci a ethos? E’ esperienza che tutti
fanno, se pure in forme molto diverse: l’esperienza che vorremmo gioiosa di
eros e seria di ethos, e lì restare, restare in questa prossimità, in questa
intimità di noi con noi stessi, in definitiva rassicurante. Eros è la gioia:
Abbandonati; ethos è il dovere: “ Rispetta”. Già, ma questa intimità, di noi con
noi stessi, è contraddittoria, ovvero “intimior intimo meo”. Nel punto in cui
noi ci troviamo più intimi con noi stessi, noi siamo per così dire scavalcati,
trascesi da un movimento che fa cenno a qualche cosa che è assolutamente altro
rispetto a questa pretesa di raccoglierci in una certezza, la certezza di eros
e la certezza di ethos. Tanto è vero che non solo eros ed ethos stanno tra loro
in opposizione, ma è una opposizione contraddittoria perché il dissidio è sia
nella forma dell’esperienza erotica, sia nella forma dell’esperienza etica.
“Intimior intimo meo”: qui davvero varrebbe la pena di parafrasare Agostino, e
ricordare che nel momento in cui io sono più prossimo a me stesso in realtà
sono infinitamente lontano, sono per così dire costretto a trascendere,
trascendere me stesso. Sergio Givone. Givone. Keywords: phanes, eros/ethos; phanes
protogono, convito di platone, pareyson. storia naturale dell nulla,
unelongated history of negation; Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Givone” – The Swimming-Pool Library.
No comments:
Post a Comment