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Monday, October 28, 2024

GRICE ITALO A/Z G GI

 

Grice e Giacchè: la ragione conversazionale e l’implicataura conversazionale dell’altra visione dell’altro – Barba, Bene, e Fellini antropologo – filosofia perugina – scuola di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugino. Filosofo umbro. Filosofo Italiano. Perugia, Umbria. Grice: “I like Giacché; for one, he philosophises on theatre, which any Sheldonian should appreciate!” Grice: “Giacché is what I would call a philosophical anthropologist.” Grice:”Giacché has an ability with language: “l’altre vision dell’altro,” for example – difficult to translate, but genial nonetheless, or perhaps genial because uneasily translatable!” – “He has philosophised on spectator and participant, which is conversational in tone – there’s no monologue, but dialogue --.” “He has criticised authoritarian types of performances like traditional teaching which he has compared to religion!” Insegna a Perugia. Si occupa di varie problematiche socio-culturali quali condizione giovanile, devianza, comunicazione di massa, solitudine abitativa, politica culturale. Saggi: Una nuova solitudine. Vivere soli fra integrazione e liberazione, Roma); “Lo spettatore partecipante. Contributi per un'antropologia del teatro, Guerini, Milano, Bene. Antropologia di una macchina attoriale, Bompiani, L'altra visione dell'altro. Una equazione fra antropologia e teatro, Ancora del Mediterraneo, Napoli, Ci fu una volta la sinistra. Ovvero il silenzio dei post-comunisti, Asino, Roma.  CURRICULUM di Piergiorgio Giacchè (Perugia, 16.04.46), Professore a contratto (incarico gratuito), docente di “Etnologia europea: patrimonio culturale immateriale” presso la Scuola di Specializzazione in Beni demo-etno- antropologici, Università di Perugia, Firenze, Siena e Torino (sede di Castiglione del Lago, PG) - anni accademici TITOLI DI STUDIO E INCARICHI ACCADEMICI Laurea in lettere (indirizzo moderno), con tesi in Etnologia conseguita nell’anno acc. 1969-70 presso l’Università degli studi di Perugia, con voti 110/110 e lode. Abilitazione all’insegnamento delle materie letterarie nelle scuole medie inferiori - titolo conseguito il 3.2.1973 con voti 100 su 100. Borsa di studio quadriennale (dal 1.11.77 al 31.08.76) per “ricerche nel campo sociale”, usufruita presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università di Perugia. Titolare di contratto quadriennale presso la Facoltà di lettere e filosofia della stessa università. Addetto alle esercitazioni presso la cattedra di Etnologia della stessa Facoltà, per gli anni accademici Ricercatore confermato dal 1° settembre 1981 al 28 dicembre 2004, presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università di Perugia; in tale ruolo ha condotto seminari, cicli di lezione, moduli didattici e progetti speciali (in prevalenza sui temi della devianza, della condizione giovanile, della società dei consumi e dello spettacolo, dell’antropologia e sociologia del teatro) fino all’anno acc. 1994-95, in cui è divenuto affidatario di un Corso di Antropologia teatrale (unico corso attivato in Italia), riconfermato per tutti i successivi anni accademici. E’ stato altresì docente affidatario del corso di Antropologia culturale presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Perugia, nell’anno accademico 1998-99. Professore associato presso il Dipartimento Uomo & Territorio – Sezione antropologica ; docente di Fondamenti di Antropologia e di Antropologia del teatro e dello spettacolo presso la  Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia, Professore a contratto, docente di Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione della L.U.M.S.A. di Roma – corso per Educatori professionali, sede di Gubbio – anni accademici  Professore invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Libre de Bruxelles - facoltà di Scienze Sociali e di Filosofia e lettere Visiting Professor presso l’Università di Malta, Facoltà di Scienze della Formazione. Professore invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Paris VIII – Département d’Etudes théâtrales Professore invitato dall’Université Paris VIII per un seminario da tenersi presso il laboratorio di Etnoscenologia della Maison de l’Homme – Paris Nord Membro della Commissione per la Procedura di valutazione comparativa per il reclutamento di un ricercatore presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari, M05X – Discipline demoetnoantropologiche. Docente del Dottorato Internazionale in Antropologia ed Etnologia (A.E.D.E.) CONSULENZE, COLLABORAZIONI E ALTRI INCARICHI ISTITUZIONALI Consulente socio-antropologico per alcuni programmi R.A.I. della Sede Regionale dell’Umbria: “Decentramento e sviluppo urbanistico”; “Anticamera” (novembre 1980 - aprile 1981); “Aperitivo” (aprile-luglio 1982). Consulente antropologico del Centro Regionale Umbro per le Ricerche Economiche e Sociali, nel 1978 (Ricerca sulla “popolazione reale”). Consulente del Comitato Regionale Umbro Radiotelevisivo e curatore di numerose indagini sul sistema dell’emitttenza locale e sull’ascolto radiotelevisivo. Consulente e collaboratore del Festival Internazionale del Teatro in Piazza di Santarcangelo di Romagna . Consulente e collaboratore del Teatro Studio 3 di Perugia, Consulente e collaboratore della 1^ Rassegna Internazionale del Teatro di Strada (Montecelio di Guidonia). Consulente artistico e scientifico del festival di teatro, musica e cinema “Segni Barocchi” di Foligno (edizioni). Consulente del Teatro San Geminiano di Modena, poi centro teatrale “Dramma Teatri”.  Consulente e assistente, in qualità di antropologo del teatro della rappresentazione teatrale de “La escuela de la escena y la escena de la escuela jesuita en el siglo XVII” a cura di Filippi, nel quadro del congresso De los Colegios a las Universidades. Las ensenanzas jesuitas y sus relatos cotidianos, organizzato da la Universidad Iberoamaricana de Ciudad de Mexico (Città del Messico). Membro del comitato scientifico dell’International School of Theatre Anthropology diretta da Barba, con sede a Holstebro, Danimarca. Membro del gruppo di lavoro internazionale di Sociologia del teatro, con sede presso l’Université Libre de Bruxelles, Belgio (fino al suo scioglimento). Membro del gruppo di lavoro della Maison de Sciences de l’Homme (E.H.E.S.S.) “Spectacle vivant et sciences humaines” Membro del comitato scientifico della quinta sezione di ricerca “Créations, Pratiques, Publics” della Maison de Sciences de l’Homme – Paris Nord Membro del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto di Psicosomatica Psicoanalitica “Aberastury” di Perugia Membro del Comité de Rédaction de “L’Ethnographie. Noveaux objets, nouvelles méthodes. Revue de la Société d’Ethnographie de Paris” (dal 2002). Collaboratore della rivista “Lo straniero. Arte Cultura Società” diretta da Goffredo Fofi (dalla sua fondazione); già redattore della rivista “Linea d’ombra e co-direttore de “La terra vista dalla luna” Collaboratore della rivista “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, diretta da Luigi Monti, dalla sua fondazione Membro del Comitato scientifico della rivista trimestrale “Catarsi. Teatri della diversità”, dalla sua fondazione – 1996. Membro del Comité scientifique de la revue trimestrelle “Théâtre Public” Presidente della Fondazione “L’Immemoriale di Carmelo Bene Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Membro della Commission di valutazione dei progetti di cofinanziamento per lo spettacolo – Ministero per i Beni e le Attività culturali. Consulente della Regione dell’Umbria – Assessorato alla Cultura, con l’incarico di ricognizione ed esplorazione del settore teatro nel territorio regionale Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali Membro del Comitato Scientifico della Fondazione Centro Studi “Aldo Capitini” di Perugia (dal 2012). Membro del Comitato scientifico PerugiAssisi, candidata a capitale europea per . CORSI E SEMINARI DIDATTICI SPECIALI Partecipazione, in qualità di docente, ai seguenti corsi o seminari: • Corso biennale per la formazione di tecnici della ricerca sulle tradizioni popolari nella regione umbra (Perugia corso regionale di preparazione e aggiornamento per operatori socio-sanitari impegnati nell’attività di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza (Bologna Corso regionale per operatori culturali nel settore del cinema (Orvieto Corso di riqualificazione professionale per operatori audiovisivi: il videotape (Foligno, febbraio-ottobre 1978). • Corso di formazione professionale per i 28 diplomati di scuola media superiore (schedatori) previsti dal progetto di “catalogo unico regionale dei beni bibliografici” (Perugia Corso di formazione professionale per i diplomati di scuola media superiore (ordinatori di biblioteca) previsti dal progetto “sistemi bibliotecari comprensoriali” (Perugia Corso Animatori Q/1 - Seminario sulle comunicazioni di massa (Spoleto Seminario residenziale “L’Atelier: centro internazionale di ricerche artistiche” (Volterra Soglie: esperienze di confine tra attore e spettatore”, seminario-laboratorio per studenti e insegnanti delle scuole medie superiori (Perugia e Todi Corso di Formation Doctorale Esthetique, Sciences et Technologies des arts della Université Paris VIII à Saint Denis (lezioni Corso di Scenografia della Facoltà di Architettura e del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma (lezione “Teatro, gioco, narrazione”, progetto teatrale per insegnanti delle scuole materne (Perugia e Città di Castello L’attore consapevole. Seminario teorico-pratico sull’arte dell’attore” (Fara Sabina, Rieti La società italiana del dopoguerra”. Seminario di aggiornamento per gli italianisti polacchi, organizzato dall’Ambasciata d’Italia, dall’Università Jagellonica di Cracovia e dall’Istituto Italiano di cultura di Cracovia (Cracovia Corso di aggiornamento A/41 dell’I.R.R.S.A.E. dell’Umbria (Perugia, lezioni Seminario di Antropologia del teatro per gli allievi della Scuola Civica d’Arte drammatica “Paolo Grassi” (Milano, Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, “La cultura del confronto”, organizzato dall’Unicef di Roma (lezione Uomini e teatro: culture del mondo a confronto”). • I Corso di aggiornamento sulla didattica del teatro nella scuola - Seminario internazionale su Scuola e Teatro (Marcellina, Roma Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie superiori della regione Lazio (Roma Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, organizzato dall’Unicef di Bari (lezione Università del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla “Storia sotterranea del teatro contemporaneo. Solitudine, tecnica, drammaturgia e rivolta” (Scilla, Reggio Calabria, Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale” - II anno: Dalla Commedia dell’arte alla Riforma goldoniana - organizzato da Emilia Romagna Teatro (Modena, Teatro Storchi, Corso Uni-Tea Figli della storia e maestri del teatro” (Parma, Corso d’aggiornamento per docenti e dirigenti di ogni ordine e grado, organizzato dal C.I.D.I. Versilia e dal Provveditorato agli studi di Lucca e intitolato “Letteratura teatrale e scuola” (Forte dei Marmi, Convegno-seminario “La musa fra i banchi di scuola. Esperienze e modelli di relazione / incontro fra teatro e scuola” (Cervia Università del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla formazione dell’attore e intitolata “Apprendere ad apprendere” (Scilla, Reggio Calabria Corso Uni-Tea 1998, “Oplà noi viviamo! Tecniche originarie e tecniche nuove nel teatro d’attore” - seminario interno al Corso di Sociologia dell’Educazione dell’Università di Parma (Parma Vedere Fare Pensare Teatro, per una formazione dell’educatore teatrale”, organizzato dall’E.T.I., dal Teatro delle Briciole, dal G.S.A Fontemaggiore, dal Teatro Kismet OperA e tenutosi in tre sessioni a Bari a Isola Polvese - Perugia e a Parma Corso d’aggiornamento per insegnanti degli Istituti medi e superiori Gli anni della contestazione” (Parma Sulla verticalità del verso », seminario di e con Carmelo Bene, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano (Roma, Teatro Valle Criticando criticando. Laboratorio d’analisi dello spettacolo”, organizzata in collaborazione con l’Associazione Nazionale Critici di Teatro (sessione dedicata al Teatro Ragazzi – Bagnacavallo sessione dedicata al Teatro di Ricerca - Reggio Emilia I mestieri e le lingue del teatro”, Seminario di autoapprendimento per operatori dell’area penale esterna, organizzato dal Teatro Kismet e dall’Università di Bari, con il patrocinio del Ministero di Grazia e Giustizia (Bari Teatro e Carcere: l’esperienza della Compagnia della Fortezza” - conversazione con P. Giacchè e Armando Punzo, in collaborazione con l’E.T.I. (Volterra Ciclo di incontri organizzati dall’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia (ottobre-dicembre 1998) “Rivelazioni e promesse del ‘68”; relazione su “Il ‘68 e il teatro” (Cagliari La magia del leggere”, Corso di aggiornamento per insegnanti e genitori della Scuola Elementare “Ciro Menotti”, Villanova di Modena Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole elementari del comprensorio Valle Umbria (Foligno Teatro e Carcere: l’esperienza della Compagnia della Fortezza”, nel quadro di “Maggio cercando i teatri” organizzato dall’E.T.I. (Roma, Teatro Valle Il verso dannunziano e il concerto d’autore”, seminario con A. Asor Rosa, C. Bene, P. Giacchè (Roma, Teatro dell’Angelo Ciclo di incontri “La parte dello spettatore” (relatore del 1° incontro – Faenza Corso Uni Tea “Il teatro come disagio antropologico” (Parma Divenire teatro”, incontri su Antonin Artaud organizzati dal Centro Teatro Universitario di Ferrara. Relatore dell’incontro: “Artaud fatto Bene” (Ferrara Politica e società”, ciclo di incontri di formazione politica (Roma, Relatore dell’incontro: “Minoranze e movimenti nell’Italia del dopoguerra”, insieme a G. Fofi (Roma, Incontri in scena. Per un’indagine sull’antropologia dell’infanzia” (Vicenza, Teatro Astra, organizzati dalla compagnia “La Piccionaia – I Carrara” con la collaborazione dell’Università di Cà Foscari di Venezia. Relatore dell’incontro: “Antropologia dell’infanzia” “L’utopia del teatro vivente. Living Theatre” (Siena nel quadro di incontri organizzati dall’Università degli studi di Siena attorno ai “Cinque sensi del teatro. Cinque trasmissioni monografiche sulla filosofia del teatro” (Rai-Pontedera Teatro). • “Strumenti innovativi per favorire l’inclusione sociale”, lezione inaugurale (“Altro è narrare”) del corso organizzato dal Centro Solidarietà di Modena (CEIS) e da Emilia Romagna Teatro (Modena Giornate di studio per l’inaugurazione della sezione di ricerca “Créations, Pratiques, Publics”, presso la Maison de Sciences de l’Homme – Paris Nord (St. Denis Conferenza sul Living Theatre, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Conferenza su Carmelo Bene o delle provocazioni del genio, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Le risorse della diversità”, seminario organizzato da Proteo Fare Sapere e dal Movimento Cooperazione Educativa (Firenze, Educandato SS. Annunziata Corso per attrici “Il corpo del testo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione; docente di Elementi di antropologia e cultura del teatro e spettacolo (30 ore di Antropologia del Teatro Seminario sulle “Quattro lezioni sul teatro” di Carmelo Bene, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene” e dall’Università di Lecce (Lecce Dimostrazione-conferenza “L’attore compositore: Mejerchol’d e la biomeccanica teatrale”, organizzata dal Centro Internazionale Studi Biomeccanica Teatrale (Perugia giornate di lavoro teatrale: incontri, dimostrazioni di lavoro, spettacoli Pontedera, Teatro di via Manzoni), nel quadro di “Generazioni Festival organizzazione e cura della Fondazione Pontedera Teatro. • Seminario dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, “Carmelo Bene. Voir la voix, écouter le visible”, coordinato da B. Filippi e G. Careri (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art comunicazione Le Sud du Sud des Saints, Teatro in forma di libri”, incontri organizzati dal Teatro Due Mondi – Casa del Teatro (Faenza Arte dello spettatore”.Corso di formazione per insegnanti, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore (Perugia, Teatro Sant’Angelo, Seminario orientativo sul settore spettacolo, organizzato dalla Fondazione Emilia- Romagna Teatro nel quadro della Laurea specialistica “Progettazione e gestione di attività culturali” della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Modena (lezione Seminario di studio nel quadro della Mostra “Carmelo Bene. La voce e il fenomeno. Suoni e visioni dall’archivio”, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale e dal Comune di Roma (Casa del Teatri-Villino Corsini comunicazione L’ultimo Bene. La verticalità del verso, 7.5.05. • Incontro seminariale “Parole chiave per il teatro” (Lecce organizzato dai Cantieri teatrali Koreja. • “Un’antropologia della memoria” Conferenza dibattito sul libro di C. Severi Il percorso e la voce (Perugia, Palazzo dei Priori, Corso “Salute mentale, Antropologia e Teatro: confronto su un’esperienza di pratica laboratoriale” (Perugia, Parco di S. Margherita, Padiglione Neri organizzato dal Centro di Formazione della ASL 2 di Perugia. • “Pasolini antropologo” (Gubbio, Biblioteca Comunale Sperelliana nel quadro del ciclo di incontri “Pasolini e la nuova barbarie. Conversazioni su un testimone del nostro tempo” organizzato dal Comune di Gubbio Atelier intensif S.P.O.T. (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre)”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e organizzato dalla Universitad de La Coruña - Spagna docente di un corso di Antropologia teatrale. 8  • “Teatro come impegno civile”, seminario-incontro con Marco Paolini organizzato dai Cantieri Teatrali Koreja (Lecce  Laboratorio di ricerca interdisciplinare – Quello che ci fa la vita che facciamo, nel quadro del “50° Seminario di Louis Chiozza”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica “Aberastury” e dalla Scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica di Perugia (Città di Castello, Palazzo Vitelli Quadri concettuali per l’analisi del sistema cultura – Seminari di studio”, organizzati dalla Fondazione Mario Del Monte di Modena comunicazione su L’antropologia e il “teatro” della cultura (Modena, Teatro delle Passioni L’ultimo Bene”, conferenza-lezione nel quadro delle attività didattiche speciali della Fondazione Accademia di Belle Arti di Perugia (Perugia, 17 maggio 2007). • Seminario di studio “Economia della cultura, sviluppo umano e politiche culturali”, a cura del CAPP (Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche), Modena; comunicazione su La domanda di teatro. Una prospettiva antropologica (Modena, Facoltà di Economia, S.P.O.T. II (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre) “Espectàculos y dialogo entre culturas: La adaptacioòn y la escena”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e organizzato dalla Universitad de Sevilla; docente di un corso di 8 ore di Antropologia del teatro e dello spettacolo. • Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali (III edizione in collaborazione con l’International School of Theatre Anthropology, organizzata dal Teatro Potlach, Fara Sabina (Rieti), 13 – 26 ottobre 2008); comunicazione su L’antropologia dello spettatore Seminario – Convegno “Omaggio a Carmelo Bene” (Centro Teatro Ateneo – Dipartimento Arti e Scienze dello Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma, 12 – 14 novembre 2008); Prologo al seminario e comunicazione dal titolo A scuola da Bene Il potere di tutti. Conversazione su Aldo Capitini” (Perugia, Sala Miliocchi organizzata dall’Associazione “Vivi il borgo”, dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso e dalla Fonoteca Regionale “O. Trotta”. • Giornata di studi “La religione dell’educazione. Don Milani e Aldo Capitini”, organizzata dalla L.U.M.S.A. di Roma, Facoltà di Scienze della Formazione (Roma, Aula “Edda Ducci”, Piazza delle Vaschette Seminario “Migrazioni. Prospettive etnografiche sullo Stato italiano”, organizzato dal Dipartimento Uomo & Territorio – sezione antropologica (Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Palazzo Manzoni Voler Bene al cinema. Omaggio a Carmelo Bene” (Bellaria, Cinema Astra nel quadro di “Bellaria Film Festival 2009. • Seminario interdisciplinare su: “Grotowski e la ricerca invisibile” (Perugia, Istituto Aberastury, 20 giugno 2009. • “Bruciare la casa“, incontro-colloquio con Eugenio Barba (Isola Polvese (PG) nel quadro di “Terre di confine. Lo spazio del teatro”, progetto a cura di Linea Trasversale. • Séminaire doctoral collectif - Centre d'Etudes Féminines et d’Etudes de Genre/ CRESPPA-GTM : « Théâtre du genre : production, performance, spectacle » (Parigi, CNRS , 4 dicembre – comunicazione su “Travestissement à théâtre: masculin, féminile ou neutre? “). • Séminaire “SPACE-Supporting Performing Arts Circulation in Europe “- Session Paris (ONDA, Paris Comunicazione “Europe Toolbox: quelle boîte pour quels outils?” • “Cinema e teatro non si incontrano mai, se non all’infinito” (Bergamo incontro seminariale nel quadro de “Il teatro vivo. Introduzione al teatro contemporaneo: Corso di Alti Studi Teatrali organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo. • “La Festa nelle culture dei popoli: criteri di autenticità” (Gubbio nel quadro del ciclo di incontri “La Festa nella Festa dei Ceri”, per la celebrazione dell’anniversario della morte di S. Ubaldo. • Introduzione e partecipazione al XI Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “La vocazione minoritaria”, condotto da G. Fofi (Perugia Incontro seminariale su “Lo spettatore partecipante” nel quadro del progetto “Paesaggio con spettatore” a cura di R. Vannuccini e organizzato da ArteStudio per il Festival dei Due Mondi – Spoleto (Spoleto, Palazzo Comunale Coordinatore del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury “Dialogo con Sctutatori d’anime di Carlo e Rita Brutti” (Assisi Incontro-conversazione “Radicalism: Piergiorgio Giacchè speakes about Carmelo Bene with Dora Garcia” (Venezia, Padiglione Spagnolo della Biennale Arte nel quadro della performance THE INADEQUATE: ogni giorno un artista in scena (Padiglione spagnolo, 54th International Art Exibition – Venice Biennale Relatore e conduttore del XIII Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “L’anima del mondo viene prima del mondo dell’anima? (Perugia Dialogo teatrale – incontro tra un antropologo e un avvocato su Teatro Trattamento Carcere, nel quadro di “Stanze di teatro in carcere 2011. Rassegna intinerante di Teatro Carcere in Emilia Romagna” (Modena, Teatro delle Passioni La congiura della creatività”, seminario pubblico con P. Giacchè e R. Sacchettini, organizzato dal collettivo Nevrosi (Agliana, PT, Teatro Il Moderno Incontro con Marc Augè in dialogo con Piergiorgio Giacchè, organizzato dal Circolo dei lettori di Perugia (Perugia, Sala dei Notari Incontro con Piergiorgio Giacchè e Giuseppe Di Leva (Piccolo Teatro Grassi di via Rovello, Milano nel quadro di “Visioni di Bene. Voce, teatro, cinema, televisione secondo Carmelo”, Milano Memorie del sottosuolo. Il teatro raccontato da spettatori speciali: Piergiorgio Giacchè su Carmelo Bene” (Giardino del MUSAS, Santarcangelo di Romagna nel quadro di Santarcangelo  Festival Internazionale del Teatro in Piazza Raduno degli artisti della scena: Punctum e tempo, dalla fotografia alla scena”, incontro seminariale a cura di Claudio Morganti, organizzato dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana, nel quadro del festival “Contemporanea 12: le arti della scena” (Prato, spazio Magnolfi Incontro-Lezione – TITOLO - per il seminario residenziale Università Elementare de Gli asini nel quadro di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia aprile 2014) • Seminario su “La parabola dell’animazione teatrale” nel quadro della seconda edizione della Summer School di Arti performative e Community care (Carpignano Salentino Incontro con Piergiorgio Giacchè e Alessandro Leogrande condotto da Giovanna Casadio, intitolato Vizi privati e pubbliche virtù, nel quadro della decima edizione del “Festival Lector in fabula: Privato, Pubblico, Comune” Conversano, Conversano, BA, Auditorium di San Giuseppe Conferenza Orizzonti e vertici del “viaggio del teatro” nel quadro della XVII edizione de “IL TEATRO VIVO. Progetto di promozione e diffusione del teatro contemporaneo”, organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo (Bergamo Conferenza Dal Living Theatre all’Odin Teatret, nel quadro di “Effetti collaterali. Ciclo di incontri per la formazione degli operatori e del pubblico”, organizzato dal Teatro di Sacco di Perugia (Perugia, Sala Cutu Incontro-Lezione “Essere giovani, essere attori” (Pistoia, Piccolo Teatro Mauro Bolognini per il seminario residenziale Università Elementare de Gli asini “La cultura di massa dall’emancipazione all’alienazione”, nel quadro di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia Corso residenziale “Si deve, si può. Ruolo delle minoranze etiche tra globale e locale” - primo modulo Dove va il nondo? Analisi del presente: il globale e il locale (Lamezia Terme Progetto Spring organizzato dalla Comunità Progetto Sud in collaborazione con le riviste Gli asini e Lo straniero. Relazione: “La mutazione antropologica: dal locale al globale e ritorno Corso di formazione per docenti presso l’Istituto Omnicomprensivo “D. Alighieri” di Nocera Umbra (PG): intervento formativo di due ore sul tema “Giovani Oggi Corso d formazione per docenti “Teatro come cultura delle differenze”, organizzato dal 1° Circolo didattico di Marsciano (PG) e dal Teatro Laboratorio Isola di Confine; conferenza “A scuola da Pinocchio” (Marsciano, Sala E. De Filippo Curatore e ideatore dei seguenti progetti o seminari speciali: • “La casa de l’Odin”, Ciclo di conferenze sulla cultura teatrale e sull’antropologia del teatro (Valencia, Barcellona, Castellon e Madrid, Apriamo un salotto: appuntamenti di restaurazione culturale” - tre cicli di conferenze sulle attività e sulla politica culturale (Perugia Storia & Geografia. Corso effimero di educazione permanente” - cinque incontri dedicati a Gabon, Germania, Iran, Argentina e Umbria, per favorire l’integrazione degli studenti stranieri (Perugia La parte dell’altro. Teatro ed esperienze antropologiche” - ciclo di conferenze e seminario conclusivo con E. Barba (Perugia Altro e Teatro” - ciclo di conferenze e relazioni di ricerca sugli ambiti contigui al teatro (Perugia L’età dell’oro. Per un teatro giovane” - incontri e discussioni fra giovani gruppi teatrali (Parma Il primo giorno. Scuola di teatro a scuola” - convegno/laboratorio sul rapporto tra il teatro nella didattica scolastica e la pedagogia del teatro (Parma Coordinatore del seminario “L’infanzia ritrovata. Lo sguardo dell’artista nel presente che muta” (Parma, all’interno del Corso Uni-Tea Coordinatore del seminario laboratorio “Curare gli affetti. Il teatro come legame sociale. Un percorso tra luoghi e non luoghi” (Parma all’interno del Corso Uni-Tea Curatore (assieme a G. Fofi) del ciclo di incontri “L’arte contro lo stato. Lo stato delle arti” (Santarcangelo di Romagna nel quadro del XXX Festival “Santarcangelo del Teatri”. • Curatore (assieme a F.Orlandi) del Corso di aggiornamento per insegnanti della Scuola Media Superiore “Oralità, Narrazione, Teatro: In Principio era il verbo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro – Fondazione (Modena, Teatro delle Passioni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontri video spettacoli con il Teatro delle Albe”. (Spello, Palazzo Comunale e Teatro Subasio organizzato dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia Coordinatore (assieme al prof. L. Mango) del Laboratorio di osservazione dello spettacolo contemporaneo, nel quadro del Festival Internazionale ESTERNI (Terni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontro con Santagata o Morganti” (Terni, Officine Ex-Siri organizzato dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia nel quadro del festival Es-Terni Ideatore e curatore di “Bene Detto. Oratorio e Laboratorio sull’arte di Carmelo Bene” (Oratorio: Mondaino (RN), Laboratorio: Mondaino (RN) organizzato da L’arboreto. Teatro Dimora, con la collaborazione dell’Ass. Liminalia di Perugia e di B. Filippi e S. Pasello. • “I tagli e le ferite. La poetica della politica e viceversa”, Incontro con gli artisti italiani nel quadro di “Vie. Scena contemporanea festival”, organizzato dall’E.R.T. (Modena, Biblioteca Delfini Curatore e conduttore del meeting “Per Ora Labora” sulla condizione lavorativa dell’attore teatrale, nel quadro del Cantiere delle Arti (Modena, Biblioteca “Delfini” Ideatore e curatore di “InizioAzione.Vacanze scolastiche per allievi attori delle scuole di teatro” (per una ricerca sulla motivazione teatrale), nel quadro del Festival VIE dell’E.R.T. (Rubiera, Corte Ospitale – Modena, Biblioteca “Delfini” Curatore e coordinatore dei sei incontri del seminario-laboratorio “Il grande attore e il piccolo spettatore” a cura del Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia e del Dipartimento Uomo e Territorio – sezione antropologica – dell’Università degli studi di Perugia (Perugia, Teatro Brecht Curatore di “Autocritica”, quattro incontri fra critici e attori per il Cantiere delle Arti, nel contesto di Vie Scena Contemporanea Festival (Modena, Biblioteca “Delfini Curatore e coordinatore del laboratorio per spettatori “Piccolo pubblico”, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia nell’occasione delle repliche degli spettacoli del Progetto Interregionale di promozione dello spettacolo dal vivo “Teatri del presente” (Teatro Brecht di Perugia e Teatro Clitunno di Trevi, Curatore e direttore scientifico de “Il Centro della Visione. Per un’accademia dello spettatore”, progetto organizzato da Kilowat Festival a Sansepolcro (AR), Ideatore e curatore del progetto “Verso Capitini, per un Colloquio corale”, prodotto dal Teatro Stabile d’Innovazione “Fontemaggiore” di Perugia (da aprile 2014 ancora in corso: prima sessione presso il Teatro Drama di Modena sessione presso il Teatro Brecht di Perugia Ideatore e curatore del convegno “Il teatro della critica” (Pistoia organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese. CONVEGNI • Convegno su “L’Italia e l’Umbria dal Fascismo alla Resistenza: problemi e contributi di ricerca” (Perugia Convegno internazionale su “Droga. Dalle esperienze ad una proposta concreta. Aspetti terapeutici, sociali e legislativi” (Firenze Incontro seminariale “Musica, Possessione, Spettacolo” (Greve in Chianti, Firenze Seconda sessione dell’I.S.T.A. - International School of Theatre Anthropology (Volterra Convegno di studi su “Improvvisazione e spettacolo” (Firenze Convegno di studi su “Vedere ed essere visti” (Volterra Convegno di studi su “Come si potrebbe vivere. Corpo e linguaggio” (Vicenza Giornate della cultura e della partecipazione (Barcellona, Convegno di studi su “Elogio dei fiori: tecniche personali e creatività” (Volterra, Mostra-Convegno “Spoleto come titolo” (Spoleto Simposio “Le maître du regard”, nel quadro della terza sessione dell’I.S.T.A. (Paris, Malakoff Incontri di lavoro con Richard Schechner” (Pontedera Convegno-seminario su “Cosa narrare e come narrare” (Bellaria-Igea Marina Convegno Nazionale di Psichiatria “Crisi e costruzione delle conoscenze” (Massa Convegno “Le forze in campo. Per una nuova cartografia del teatro” (Modena, sessione dell’I.S.T.A. - “Il ruolo della donna nel teatro delle diverse culture” (Hostelbro Convegno Nazionale di Antropologia delle società complesse (Roma sessione dell’I.S.T.A. - “Tradizione dell’attore e identità dello spettatore. Dialoghi teatrali” (Otranto Convegno su “Teatro e Emergenza. Quattro incontri” (Bologna Natura e buongoverno del teatro. Convegno Nazionale per il rinnovamento della scena italiana” (Milano Encuentro de Artes Escenicas sobre perspectivas, necesidades, metodos, limitaciones y alternativas para la investigacion y esperimentacion (Mexico D. F. Convegno su “La presenza misconosciuta. Nuovi progetti di teatro” (Frascati Giornate di studio su “Grotowski, la presenza assente” (Modena Congresso Mondiale di Sociologia del Teatro (Bevagna Seminario Internazionale “A la recerca d’un espai teatral contemporani” (Olot – Catalunya sessione dell’I.S.T.A. - “Università del teatro euroasiano. Tecniche della rappresentazione e storiografia” (Bologna World Congress of Sociology (Madrid, 9 - 13 luglio 1990). • Convegno di fondazione di “Mantis. Centro per la ricerca sui linguaggi del comportamento funzionale” (Palermo • Convegno su “Culture immigrate e teatro in Europa. Analisi dei fenomeni interattivi fra culture immigrate e culture europee” (Bologna, 16 novembre 1991). • Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano (Padova Convegno internazionale su “Teatro Europeo: quali percorsi formativi” (Torino Congresso Internacional de Sociologia do Teatro (Fondazione Gubelkian, Lisbona Convegno su “La piazza nella storia. Eventi, liturgie, rappresentazioni” (Università di Salerno-Fisciano, Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano - “Drammaturgie parallele” (Fara Sabina Giornate di incontri e di studi “Per Carmelo Bene” (Perugia Congresso Nazionale “L’antropologia e la società italiana” (RomaConvegno “L’identità collettiva e la memoria storica: un confronto tra Italia e Polonia”, organizzato dall’Ambasciata d’Italia e dall’Università di Varsavia (Varsavia Convegno di studi su “L’altra via dell’intelligenza. Teatro e valore” (Terza Università di Roma Convegno Europeo Teatro e Carcere - “Immaginazione contro emerginazione” (Milano Convegno su “I sommersi e i salvati. Come, perché, dove e per chi fare teatro?” (Terza Università di Roma Convegno internazionale per la fondazione del Centre International d’Ethnoscènologie (Paris Convegno su “Pacifismo, disobbedienza civile, obiezione di coscienza: il ruolo della Comunità di Capodarco” (Lido di Fermo Congresso Europeo della Biennale Théâtre Jeunes Publics - “Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui?” (Lyon Convegno su “Teatro antropologico e Antropologia teatrale” (Scilla Convegno su “Tradizione e modernità al sud Convegno Internazionale su “Teatro e Scuola: Università ed Educazione al Teatro” (Roma. • Convegno “Teatro e Scuola fra espressività e percezione” (Modena). Congres International de Sociologie du Théâtre (Mons) Convegno Nazionale su “Arte del narrare, arte del convivere. Incontro tra immigrati, educatori e artisti narratori” (Palermo, Convegno di studio “Creativi si nasce? Teatro e creatività nei possibili percorsi della riforma scolastica” (Palazzolo sull’Oglio - BS). • Convegno su “Le letterature popolari. Prospettive di ricerca e nuovi orizzonti teorico- metodologici” (Fisciano e Ravello - Università di Salerno, Convegno su “Il gioco del teatro. L’animazione trent’anni dopo” (Torino). • Convegno “Processo federalistico delle istituzioni meridionali e mediterranee” (Messina). • Convegno-Seminario “Carmelo Bene e Gabriele D’Annunzio. Sulla verticalità del verso” (Roma, Teatro Valle, Acting, Life, and Style”, convegno per un progetto internazionale di ricerca organizzato dall’Italienska Kulturinstitutet “C.M. Lerici” e dal Teatervetenskapliga Institutionen della Universitet Stockholms (Stoccolma,Convegno Europeo di Teatro e Carcere: “Verso il Duemila, il cammino di un’utopia concreta” (Milano, tavola rotonda su “Il costringimento e il suo doppio” (Convegno “Io sono la prima attrice. Crocevia di esperienze tra teatro e handicap” (Milano). • Convegno “Un teatro per domani”, all’interno della X edizione di Galassia Gutemberg Mostra mercato del libro e della multimedialità (Napoli, Mostra d’Oltremare, Galleria Mediterranea, 21 febbraio 1999). • Convegno di studio per dirigenti e docenti della scuola “Il Corpo - la Macchina tra avventura, traduzione, mistero” (Calcinate, Bergamo, Congresso “Le Corps du Théâtre. À partir de la Méditerranée: organicité, contemporanéité, interculturalité” (Bologna organizzato dalla Maison de Sciences de l’Homme, Ente Teatrale Italiano e D.A.M.S. dell’Università di Bologna. Encontro Internacional de Novo Teatro para Crianças e Adolescentes – “Percursos” (Lisboa – Portugal, Centro cultural de Bélem). • “Per un teatro popolare di ricerca”, convegno organizzato da La Corte Ospitale (Rubiera, Convegno Internazionale di Studi “I teatri delle diversità e l’integrazione” organizzato da Ass. Cult. Nuove Catarsi (Cartoceto –Ps, Convegno Internazionale “Intrecci tra Educazione Arte Natura nella prospettiva della conversione ecologica” (Amelia, organizzato dalla Casa Laboratorio di Cenci. • Giornate di studio e di ricerca “I Sud e le loro Arti” (Arnesano, organizzato dal Comune di Arnesano (Le) e dall’Università di Lecce. • Convegno “Il cinema al limite, al limite il cinema” (Perugia, 9 novembre 2001), organizzato da Batik-Perugia Film Festival Ho sognato che vivevo. Teatri della trasformazione e dell’esclusione. Esperienze di teatro con protagonisti non comuni (pazienti psichiatrici, carcerati, portatori di deficit, immigrati) a confronto con studiosi e amministratori”, (Arena del Sole, Bologna) convegno organizzato dall’Azienda USL Bologna Nord e dalla Regione Emilia-Romagna Convegno di Studi “Antropologia e poesia” (Fisciano-Ravello, organizzato dall’Università degli studi di Salerno e dall’A.I.S.E.A.- Sezione di Antropologia e letteratura. • Convegno “Per un nuovo Teatro in Italia e in Europa” (Roma, Teatro Valle, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano nel quadro di “Cercando i teatri Convegno “Residui illimitati” (Bergamo, Chiesa di S.Agostino, 21 giugno 2002), organizzato da Il Teatro Prova nel quadro del festival “Non voglio perdere la meraviglia. Teatri e arti tra diversità e alterità”. • Convegno Internazionale “Le arti del ‘900 e Carmelo Bene” (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, organizzato dalla Regione Piemonte e dall’Organizzazione per la Ricerca in Scienze e Arti di Torino. • Convegno Internazionale “Performing Through – Tradition as Research at the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards” (Vienna, Theater des Augenblicks, Non solo per piacere. Pratiche teatrali. Adolescenti. Giustizia. Convegno nazionale sulle esperienze di teatro con minori in area penale interna ed esterna (Bologna, Maison Française, organizzato dal Dipartimento Musica e Spettacolo dell’università di Bologna, dalla Regione Emilia-Romagna e dal Centro Giustizia Minorile per L’Emilia Romagna e Marche. • Colloque International d’Ethnoscénologie (Parigi, Université Paris Convegno “L’Attore”, organizzato da Primafila e InScena con il patrocinio delle Segreterie di stato per il Turismo e gli Istituti Culturali – Repubblica di san Marino (Sala SUMS, Giornate di lavoro e di studio nel quadro dell’Assemblea Generale di IRIS - Associazione Sud Europea per la Creazione Contemporanea (Modena, Palazzo Comunale). Controscuola. Riflessioni ed esperienze pedagogiche”, convegno organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Museo di Roma in Trastevere, symposium on tracing roads across “Living Traces – Performing as a Shared Reality” (in the occasion of the 20th Anniversary of the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards), Teatro Manzoni, Pontedera – PI, Convegno “Réécritures de Médée”, organizzato dal Centre de Recherche en Etudes Féminines – Etudes de genre del’Université Paris 8 (Saint-Denis, Musée d’Art et d’Histoire, Il disagio e chi se ne occupa. Crisi dei sistemi educativi e di cura e prospettive dell’agire sociale”, convegno organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Sala Civita, Piazza Venezia, 1° Incontro su “Travestitismo e identità di genere nelle scienze della recitazione” (Napoli, Galleria Toledo), organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze, Unità di Psicologia Cilinica e Applicata e dalle Università degli Studi di Napoli Federico II , L’Orientale, Suor Orsola Benicasa; comunicazione su Il teatro e l’alterità di genere. Il caso o l’esempio di Carmelo Bene. Convegno Regionale A.I.Fi Umbria su “Le alterazioni posturali: dalla conoscenza alla coscienza riabilitativa” (Trevi, Hotel della Torre, organizzato con la collaborazione dell’Università di Perugia; comunicazione su Postura e cultura. Il corpo della tradizione e il corpo della rappresentazione. • Convegno “Venti anni di teatro della Compagnia della Fortezza – Per un teatro stabile in carcere” (Volterra, Cortile principale del carcere, coordinatore e relatore. • Convegno internazionale “Il teatro che ho in testa. Per un festival di teatro da sogno” (Ulassai e Jerzu, organizzato da Cada Die Teatro, nel quadro di “Ogliastra Teatro, festival dei tacchi Convegno “La frontiera del teatro. Grotowski 30 anni dopo” (Milano, Teatro dell’Arte, organizzato dal CRT Centro di Ricerca per il Teatro di Milano. • Convegno “Teatro e Infanzia”, a cura di G. Fofi e M. Martinelli, organizzato dal Teatro Stabile di Napoli e da Punta corsara (Scampia-Napoli, Teatro Auditorium, Journée d’étude “Modes et formes d’émergence dans le théâtre” (Liegi, Belgio, organizzato, nel quadro del progetto Prospero, dall’Université de Liège e dal Théâtre de la Place. • “Ricordando Lévi-Strauss. Convegno di studi” (Macerata, organizzato dal Centro Internazionale di Studi sul Mito e dall’Università di Macerata. • Convegno seminariale “Chi è il prossimo?”, organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del 40° Festival Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, Futuramente. 1° Convegno intorno alla Creatività per le future generazioni” (Pontedera, Museo Piaggio, organizzato dall’ass. Libera Espressione e dal Comune di Pontedera (PI). • Journée d’étude “Vous ne trouvez pas ça tragique? – conversation publique sur l’art, l’esthétique et la politique” (Tolosa, Francia, organizzata dal Théâtre Garonne, nel quadro di “In Extremis Una giornata con il Living Theatre – conversazione pubblica (San Sisto – Perugia, Teatro Bertolt Brecht, organizzata dall’UILT nel quadro della Giornata Mandiale del Teatro. Convegno Internazionale “Civiltà, culture, educazione. Le sfide della società tardo- moderna alla pedagogia” (Aula Magna della Lumsa, Roma, organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione della LUMSA di Roma. • Convegno seminariale “Un’idea di rivoluzione” , organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del Festival Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, “Il n’y a pas de révolution politique possible, s’il n’y a pas d’une révolution poétique” – incontro internazionale e tavola rotonda sul rapporto tra pratiche artistiche e mutazioni politiche nelle aree interessate dalla “primavera araba” (Terni, Festival Internazionale della Creazione Contemporanea, Caos Area Lab,). Journée d’études “Potlach notionnel sur la performance. National potlach on performance”, organizzata dall’E.H.E.S.S., dall’Université Paris Ouest-Nanterre, dal Centre Edgar Morin e dal H.A.R. (Amphithéâtre François Furet, bld. Raspail, Paris Convegno della Facultatea de Teatru si Televiziune – Universitatea Babes-Boyai di Cluj-Napoca (Romania) “The Bad Spectator. Performing Arts between Construction and Destruction / Le mauvais spectateur. Les arts du spectacle entre construction et destruction”, organizzato dal gruppo di ricerca Istoria Teatrului, Iconografie si Antropologie Teatrali a Cluj-Napoca Seminario “L’esperienza del principio. Jerzy Grotowski, l’infanzia e la rinuncia all’assenza” (Cenci-Amelia, nel quadro della manifestazione “Sorgenti e torrenti. Omaggio a Jerzy Grotowski e al Teatro delle sorgenti” organizzata dal Laboratorio di Cenci Convegno “Le théâtre et ses publics: la création partagée” - 2° Colloque International du Projet Européen PROSPERO (Salle académique dell’Università di Liegi – Belgio), organizzato dal Théâtre de la Place di Liegi e dell’Université de Liège. • “Confusion de genres. Journées d’étude en l’honneur de Jean-Paul Manganaro”, organizzato dall’Université de Lille 3, dall’Université Paris Ouest-Nanterre-La Defense e dall’Università Italo Francese (Lille, 29 novembre – 1° dicembre; Paris, 12 dicembre 2012). • Colloque International “D’après Carmelo Bene” (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art - Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique - Cinéma du Panthéon), organizzato da HAR, Université Paris Ouest-Nanterre, Labex Arts-H2H, Université Paris 8 Vincennes-Saint Denis, CNSAD, Dipartimento Uomo e Territorio dell’Università di Perugia (in partenariato con Union des Théâtres de l’Europe e con Emilia Romagna Teatro Fondazione). • Incontro sul tema “Memoria e Identità” (Gubbio, Biblioteca Sperelliana), organizzato dal Comune di Gubbio e dal Lyons Club Gubbio Host. “Teatro e nuovo umanesimo”, convegno nel quadro della “Giornata per Claudio Meldolesi” (Bologna, Laboratorio delle Arti), organizzata dal Dipartimento delle Arti visive, performative, mediali dell’Università di Bologna, con il patrocinio dell’Accademia dei Lincei.Convegno Nazionale di Teatro educativo intitolato “Scrittura e riscrittura. Da testo alla messa in scena – Esperienze a confronto” (Avigliano Umbro, TR, Colloque international d’ethnoscénologie, organizzato da Maison des Cultures du monde, Université Paris 8, Maison des Sciences de l’Homme Paris Nord) •Incontro sul tema “Ai confini della democrazia” (Roma, La Pelanda) organizzato dalle Edizioni dell’Asino nel quadro della rassegna Short Theatre n. 8 intitolato “Democrazia della felicità” (Roma). • Convegno Seminario “Intellettuali e riviste tra passato, presente e futuro” (Perugia, Sala della Partecipazione del Consiglio regionale dell’Umbria). • Convegno sulla Rete Regionale dei Teatri (Modena, Teatro delle Passioni), organizzato dalla Fondazione Mario del Monte e da Emilia Romagna Teatro. Convegno “La possibilità del teatro. Un incontro di riflessione e confronto”, organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro (Pontedera, PI, Teatro Era). Convegno “Il teatro della critica” (Pistoia), organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese. RICERCHE ricerche teoriche: Il contesto sociale della criminalità e della devianza Le basi strutturali dei processi di criminalizzazione” La solitudine abitativa come fenomeno emergente Riferimenti teorici ed esperienze empiriche nella fondazione di una antropologia del teatro Cultura dell’attore nelle tradizioni teatrali euroasiatiche  L’identità dello spettatore e i modelli di fruizione del teatro Sociabilità, Relazionalità, Spettacolarità Tecniche del corpo e azioni performative Studio per la realizzazione di uno spettacolo teatrale sul tema del cooperativismo Elements anthropologiques dans le théâtre contemporain - nel quadro della partecipazione al Groupe international de recherche interdisciplinaire “Spectacle vivant et sciences de l’homme” - Maison de l’Homme, Paris Il teatro e la scuola: le funzioni pedagogiche del teatro e i corsi di formazione degli operatori teatrali e degli insegnanti - nel quadro dell’attività dell’Uni-Tea, progetto coordinato dall’Ente Teatrale Italiano. ricerche empiriche: • Gli atteggiamenti nei confronti della devianza criminale e dell’istituzione carceraria (ricerca condotta nel quartiere di P.ta Eburnea di Perugia Le opinioni e gli atteggiamenti degli studenti dell’Istituto Tecnico per Geometri di Perugia nei confronti della scuola e della condizione umana Indagine su tipologia e censimento degli organismi di democrazia di base (ricerca per il Consiglio Regionale dell’Umbria, Ricerca sulla definizione e le caratteristiche della popolazione “reale” (ricerca del C.R.U.R.E.S. Indagine sull’ascolto radiotelevisivo in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, Ricerca sul comportamento elettorale in Umbria attraverso l’analisi dei risultati delle elezioni politiche ed europee  Indagine sull’esercizio e il mercato cinematografico in Umbria (ricerca dell’Associazione Umbra per il Decentramento delle Attività Culturali, Inchiesta sul teatro dialettale in Umbria (ricerca del Centro Documentazione Spettacolo, sAnalisi dei risultati delle elezioni amministrative  nel comune di Perugia (ricerca del Comune di Perugia, Ricerca sulla memoria e sulla identità dello spettatore (ricerca condotta in Salento per l’International School of Theatre Anthropology).  L’informazione televisiva in Umbria: i notiziari regionali (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, Indagine sulle emittenti radiotelevisive operanti in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, Aspetti devozionali e spettacolari nelle feste religiose patronali In compagnia: ricerca e analisi sulle opportunità di lavoro e di impiego nel settore teatrale” (nel quadro dell’azione pilota “terzo settore e occupazione” promossa dalla Commissione Europea D.G.V); ricerca coordinata da Emilia Romagna Teatro con la collaborazione di “Amitié”, Taller de Investigaciòn de la Imagen Teatrale di Madrid, Teatro delle Briciole, Teatro Festival, Thomas Consulting Group Ricerca empirica sulla definizione e sulla’informazione e formazione dello spettatore, all’interno del progetto “100 spettatori da adottare” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro e dall’ETI Ente Teatrale Italiano Il nuovo attore nuovo” Osservatorio scientifico sulla pedagogia dell’attore di innovazione, applicato al Progetto interregionale “Teatro – Percorsi di Alta Formazione” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, dai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce e dal Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, in convenzione con le rispettive Regioni (gennaio – giugno 2008). • Analisi documentale del “Cantiere delle Arti” – un cantiere transnazionale per la creazione di percorsi integrati connessi alla realtà produttiva del settore spettacolo dal vivo – costituito da Emilia Romagna Teatro Fondazione, dalla Regia Accademia Filarmonica e Musica e Servizio Cooperativa Sociale Sull’opera e il pensiero degli antropologi Giulio Angioni. Tra antropologia e letteratura (recensione), “Lo straniero Arte Cultura Società”, Bourdieu: l’autoanalisi di un maestro, “Lo straniero Arte Cultura Scienza Società, Postfazione alla parte quinta “Dimensioni della festa” in: T. Seppilli, Scritti di antropologia culturale, (M. Minelli – C. Papa, curatori), 2 voll., Olschki Ed. , Firenze, La festa, la protezione magica, il potere, Lo sguardo lontano di Lévi-Strauss, “Lo straniero Arte Cultura Scienza Società, Lezione e monito dell’ultimo Baudrillard, “Lo straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Sulla condizione e la subcultura giovanile: Dopo Licola, (in coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, Il corpo e il territorio, “Segno critico, Una nuova solitudine. Vivere soli tra liberazione e integrazione, (in coll. con P. Bartoli e S. La Sorsa), Savelli ed., Roma, Protagonismo, narcisismo e consumismo, “Ombre Rosse, Forza ragazzi, “Linea d’ombra, Disagi giovanili, disagi senili, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il diavolo, sicuramente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Lo studente quotidiano, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, La Giovane Italia, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, Un saggio Laffi sui giovani e i vecchi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sulla devianza e la criminalità: La ricerca dei ricercati. Sociologia dell’ordine pubblico, (in coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, La organizzazione del consenso nel regime fascista: la manipolazione ideologica della devianza criminale, (in coll. con G. Baronti), “Studi e materiali di antropologia culturale”, Perugia, Sulla cultura meridionale: Mezzogiorno è già passato, in: G. Fofi – A. Leogrande (curatori), Nel sud, senza bussola. Venti voci per ritrovare l’orientamento, L’ancora del mediterraneo, Napoli, Sulla cultura politica e la politica culturale: Partiti e comportamento elettorale. Analisi dei risultati delle elezioni del giugno 1789 in Umbria (in coll. con A. Sorbini), Com.Reg.Umbro PSI, Perugia, Caro nome..., in: AA.VV., A proposito dei comunisti, Linea d’ombra ed., Milano, La festa dell’albero. Come ri-nasce un partito, “Linea d’ombra, Invenzione, diffusione e agonia dell’operatore culturale, “Linea d’ombra, Ebrei e naziskin. I fatti e le notizie, in: A. Cavaglion (a cura di), Gli aratori del vulcano. Razzismo e antisemitismo, Linea d’ombra ed., Milano, Il punto e la linea. Maggioranze, minoranze e critica della politica, “Linea d’ombra, La cultura del maggioritario, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Una merce come le altre? La fiera del libro a Torino, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Laici ed eretici, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, A Perugia c’è cultura da vendere , “L’indice, Sull’industria della coscienza: una questione di dettaglio , introduzione a: H.M. Enzensberger, Questioni di dettaglio. Poesia, politica e industria della coscienza , trad. di G. Piana, ediz. e/o, Roma, La parabola del buon rettore, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, L’età dello stagno , “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Cosa ci tocca vedere, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il laico e il sacro, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Qualcosa è accaduto, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il porto dell’università, fra la nebbia e il miraggio, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Toni, Bepi e san Francesco (per tacere di sant’Agostino), “Lo Straniero. Arte Cultura Società, La sera del dì di festa, “Lo straniero. Arte Cultura Società, Questo Papa e quella guerra, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, La controriforma e il doposcuola, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Grande Papa, tanta gente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La questione comica, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il silenzio dei post-comunisti, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il viaggio di Francesco Piccolo nei divertimenti di massa (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La mamma ha un cuore verde. Un racconto di Rosa Matteucci (recensione),“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La montagna elettorale, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il male minore, in: M. Bon Valsassina (curatore), In fondo al male. Contributi e Iconografie sul Male, Futura ed., Perugia, Universitas docet, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Un pomeriggio tra le minoranze, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società Silvio, Umberto e i giovani d’oggi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La parte dell’arte, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, G. – V. Giacopini – E. Morreale – N. Lagioia, Necessità e servitù della critica. Cosa cerca l’arte? A che serve la critica?, Edizioni dell’Asino, Roma, Prefazione a: Carlo e Rita Brutti, Scrutatori d’anime. La psicoanalisi che viene, Edizioni dell’Asino, Roma, Lo sciopero e la grève, ovvero dalla Francia con stupore, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il teatro del prossimo, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Teatro e politica all’italiana: l’Attore e l’Assessore, “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, Via col vento, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Specchiarsi nelle vite degli altri. Un romanzo di Emmanuel Carrère, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il maggio è francese, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Ci fu una volta la sinistra, ovvero il silenzio dei post-comunisti, Edizioni dell’asino, Roma, La cultura e la politica, un atto unico in due tempi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Indovinala Grillo!, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Fazio ovvero l’ultima volta della tivvù, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, L’università dei vavassini, “Gli asini. Rivista di educazione e intervento sociale” (numero monografico su Valutazione e meritocrazia nella scuola e nella società  Il niente che avanza, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Renzi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, I volontari dell’ottimismo. Marino Sinibaldi riflette sulla cultura, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sul pensiero e l’azione di Aldo Capitini Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Opposizione e liberazione. Scritti autobiografici, Linea d’ombra ed., Milano (riedizione con il titolo Opposizione e liberazione. Una vita nella nonviolenza, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli). Al servizio (civile) della coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Capitini e l’obiezione di coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Liberalsocialismo, ediz. e/o, Roma, L’obiezione è coscienza. L’insegnamento di Aldo Capitini, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Introduzione e cura del volume: La religione dell’educazione. Scritti pedagogici di Aldo Capitini, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Bari), Capitini e i Perugini, “Studi Umbri”, n. 0, anno I, 2009, (www.studiumbri.it) Cura –assieme a G. Fofi- del volume: A. Capitini, Agli amici. Lettere 1947-1968, Edizioni dell’Asino, Roma, L’importanza di chiamarsi prete, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, Sulla cultura teatrale e la società dello spettacolo: Il teatro delle esperienze, (in coll. con S. De Matteis), “Quaderni di Teatro, Diario scolastico del sussidiario teatrale, “Scenascuola”, Un pugno di terra. Conversazione con Eugenio Barba, “Linea d’ombra, Living memories. Ricordi del Living e memorie viventi, “Teatro Festival, Antropologia culturale e cultura tetrale. Note per un aggiornamento dell’approccio socio- antropologico al teatro, “Teatro e Storia, Una bùsqueda de “antropologia teatral” sobre la identidad del espectator, “Repertorio. Revista de teatro, Memoire sociologique. Extraits de carnets d’une recherche anthropologique sur “L’identité du spectateur”, “Buffonneries”, Teatro necesario y teatro suficiente, “Màscara. Cuadernos Latinoamericanos de Reflexion sobre la Escenologia”, anno Come lavorare in discesa. Ragionamenti e aggiornamenti sul teatro “minore”, “Linea d’ombra, Lo spettatore partecipante. Contributi per una antropologia del teatro, Guerini e ass., Milano, Uno spettacolo prigioniero e un teatro libero, in: M.T. Giannoni (a cura di), La scena rinchiusa. Quattro anni di attività teatrale dentro il Carcere di Volterra, Tracce ed., Piombino, Introduzione all’identità dello spettatore. Una ricerca di antropologia del teatro, “R.I.S.T. Revue Internationale de Sociologie du Théâtre, Teatro e antropologia. Note su una “canoa di carta”, “Linea d’ombra, Una equazione fra antropologia e teatro, “Teatro e Storia”, L’esplorazione antropologica e i “fines” del teatro, “Etnoantropologia”, Argo ed. Lecce, Nostalgia del teatro e simulazione della piazza, in: D. Scafoglio - M. Vitale (a cura di), La piazza nella storia: eventi, liturgie, rappresentazioni , Ed. scientifiche italiane, Napoli, Introduzione e cura, Per Bene (Atti del convegno, Perugia), Linea d’ombra ed., Milano, De l’anthropologie du théâtre à l’ethnoscènologie, “Internationale de l’immaginaire, Ed. Maison de Cultures du monde, Paris, Il teatro “privato “del pubblico. Cenni di storia e appunti sulla fenomenologia dello spettatore, in: Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale, Ert (Emilia Romagna Teatro) ed., Modena, Bene. Antropologia di una macchina attoriale, Bompiani ed., Milano, Premio del Presidente del Premio “G. Pitrè – S. Salomone Marino). De la consommation du théâtre au théâtre dans la société de consommation, in: AA.VV., Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui? (Actes du quatrième colloque européen - Biennale Théâtre Jeunes Publics, Lyon), Les Cahiers du soleil debout, Lyon, Giulio Cesare”, teatro dei corpi, (recensione),“Lo straniero. Arte Cultura Società, Teatro antropologico: atto secondo, “Catarsi. Teatri delle diversità, Pozzi – V. Minoia (a cura di), Di alcuni teatri della diversità, ANC, Consumare teatro , “Teatro e Storia, Shakespeare e Garibaldi, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Au théâtre comme à la guerre!, in: Centre Dramatique Hainuyer - Centre de Sociologie du Théâtre, La mediation théâtrale (Actes du 5è Congrès International de Sociologie du théâtre organisé a Mons (Belgique)) , Lansman, Carnières-Morlanwelz (Belgique), Théâtre éducation”, Spettatori non si nasce, in: Provincia di Modena - Emilia Romagna Teatro,Teatro e scuola fra espressività e percezione. Atti del convegno (Modena), Centro Stampa Provincia di Modena, O la guerra o il teatro. Sul film di Mario Martone, Lo Straniero. Arte Cultura Società, Politica culturale e cultura teatrale , “Primafila. Mensile di teatro e di spettacolo dal vivo”, Aux confins du théâtre. Sur la relation entre théâtre et anthropologie , “Diogène, At the Margins of Theatre. On the Connection Between Theatre and Anthropology, “Diogenes, Il Teatro come ‘attore’ del terzo sistema, in: “In Compagnia. Materiali per la costruzione di un quadro di riferimento per lo sviluppo dell’occupazione degli operatori artistici teatrali: il teatro quale strumento di crescita sociale”, (relazione di ricerca), Emilia Romagna Teatro, Stampa Tem, Modena, Dell’ascolto distratto e dell’attenta lettura. I versi di Campana ripartoriti dalla voce di Carmelo Bene, (recensione), “L’indice”, Domande sul presente di Manfredini, “La porta aperta”, Le bugie della scuola e quelle del teatro, “Art’o”, Abbecedario della non-scuola del Teatro delle Albe, allegato a “Lo straniero Arte Cultura Società, Il giullare fatto santo. Fo Dario fu Francesco, “L’indice”, La settima volta di Riccardo terzo. Incontro con Claudio Morganti (intervista), “La porta aperta”, Tragedie nella terra, verso il mare, sotto il cielo. Incontro con Alfonso Santagata (intervista), in: S. Maggiorelli (a cura di), Tragicamente. Il teatro di Alfonso Santagata, Titivillus ed., Corazzano (PI), Teatro a cielo aperto. Incontro con Alfonso Santagata in “La porta aperta”, La fine dello spettatore, in: P. Giacchè (a cura di), Lo spettatore e le visioni del teatro futuro, “Prove di Drammaturgia”, Entelechia del Bene. Incontro con Carmelo Bene, “La porta aperta”, Il teatro fuori dai teatri. Memorie di uno spettatore di provincia, in: F. Gentili (a cura di), Teatri dell’Umbria. La storia, il gioco, la memoria, Octavo, Firenze, L’arte dello spettatore, vedere i suoni e ascoltare le visioni, in: Città di Palermo – Assessorato alle Politiche Educative, Arte del narrare, arte del convivere (Atti del Convegno nazionale – Palermo Eliocopisteria “Milone”, Palermo, L’identità dello spettatore. Un saggio di Antropologia Teatrale, “Etnostoria” L’art du spectateur: voir les sons et écouter les visions, “Diogène”, The Art of Spectator: Seeing Sounds and Haering Visions, “Diogenes”, Bene, attore della cultura, “Lo Straniero Arte Cultura Società Lo spettatore del teatro e il pubblico del rito, in: Cappelli, Lorenzoni (a cura di), La nave di Penelope. Educazione, teatro, natura ed ecologia sociale. Testimonianze e proposte a partire dai 20 anni di esperienze della Casa-Laboratorio di Cenci, Giunti ed., Firenze, Teatro prigioniero, in: M. Buscarino, Il teatro segreto, Leonardo Arte, Milano, Il Sessantotto e il Teatro: un anno senza “stagione”, in: AA.VV., Rivelazioni e promesse del ’68, CUEC, Cagliari, Un anno senza “stagione”: il ’68 e il teatro, “Lo straniero Arte Cultura Società”, L’avventura finale di Benigni (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società Questa non è una tragedia (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, L’altra visione dell’altro. Una equazione tra antropologia e teatro, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli, Perdere un amico, “Rivista di psicologia analitica”; Lo straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Perdere un amico. Ricordo di Bene) (ripubblicato in: B. Massimilla (a cura di), La perdita. Lutti e trasformazioni, Vivarium ed.. Milano. Apparire alla Madonna, postfazione a: C. Bene, Sono apparso alla madonna. Vie d’(h)eros(es). Autobiografia, Bompiani, Milano, L’identitè du spectateur. Essai d’anthropologie théâtrale, “L’Ethnographie. Création, Pratiques, Publics Arrevuoto”: il teatro in festa (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, Un Amleto di più (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Dar corpo alla poesia: l’esempio e il metodo di Carmelo Bene, in: D. Scafoglio (a cura di), La coscienza altra. Antropologia e poesia, Marlin ed., Cava de’ Tirreni (SA), Atti del Convegno di Studio “Antropologia e poesia”, organizzato dall’Università di Salerno, Salerno-Ravello, Bene. Antropologia di una macchina attoriale – nuova edizione aggiornata e ampliata, Bompiani ed., Milano, Arrevuoto, n’ata vota (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Arrevuoto”: quando il teatro sospende la dittatura del mondo, in: Teatro delle Albe, M. Martinelli – E. Montanari (curatori), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta. Ubulibri, Milano, La verticalità e la sacralità dell’atto, in: A. Attisani – M. Biagini (curatori), Opere e sentieri. Testimonianze e riflessioni sull’arte come veicolo, Bulzoni ed., Roma, La dernière Médée. Le mithe dans le théâtre contemporain: un parcours à l’envers, Réécritures de Mèdée , (sous la direction de N. Setti – Centre de Recherche en Etudes Féminines et Etudes de genre, Université Paris 8), “Travaux et Documents”, Saldi di fine stagione, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàTeatro: Romeo all’Inferno, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Un soffio di teatro, in AA.VV., In cammino con lo spettatore (Laggiù soffia – Era – In carne ed ossa), (a cura di S. Geraci), La casa Usher, Firenze, De la consommation du théâtre au théâtre dans la société de la consommation (nouvelle édition), “Degrés. Revue de synthèse à orientation sémiologique”,  L’effetLiving. Lavisiond’Artaudparles “Balinais” deNewYork,“Theatre/Public” (L’avant- garde américaine et l’Europe / II. Impact), Le personnage public et l’acteur privé (entretien avec Piergiorgio Giacchè pas Ciryl Béghin), “Théâtre et Cinéma 2009. Marco Bellocchio, Carmelo Bene”, tome 20, publié à l’occasion du 20e Festival à Bobigny, sous la direction de Dominique Bax, Voler Bene al cinema, in “Bellaria 27” (catalogo di Bellaria Film Festival, Lo straniero”, Fellini antropologo. Fra nostalgia e profezia, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàLa nostalgia, merce per tutti, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Bene Detto. Dispensa per Oratorio e Laboratorio, (a cura di P. Giacchè, con interventi di C. Bene, B. Filippi, G. Fofi, P. Giacchè, J.P. Manganaro, S. Pasello), L’arboreto – Teatro Dimora, Mondaino, Il corpo dimenticato: Carmelo Bene, in: U. Birmaumer-M. Hüttler- Palma, Corps du Théâtre – Il Corpo del Teatro, Hollitzer Wissenshaftsverlag/Verlag Lehner, Wien (Austria), Los verbos transitivos del teatro. Mirar teatro, in: C. Lisòn Tolosana (a cura di), Antropologìa: horizontes estéticos, Antrhropos Émergence et submersion en Italie: le système théâtral et son double, “UBU Scènes d’Europe- European stages” (numero: Emergence(s) dans le théâtre européen – in European Theatre), Uomini e dei in un film francese (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, L’antropologia del teatro e il teatro della cultura, in Borghi – A. Borsari – G. Leoni (curatori), Il campo della cultura a Modena. Storia, luoghi e sfera pubblica, Mimesis Edizioni, Milano- Udine, Homo Videns. Quella TV che si guarda da sola, “L’altrapagina”, Lo spettatore ospite, “Culture teatrali. Studi, interviste e scritture sullo spettacolo”, n.20, Annuario (Teatri di Voce, a cura di L. Amara e P. Di Matteo), La parabola dell’animazione teatrale, in: D. Pietrobono – R. Sacchettini (curatori), Il teatro salvato dai ragazzini. Esperienze di crescita attraverso l’arte, Edizioni dell’Asino, Roma, Non fare l’amore, in: T. Cots (a cura di), Loving effects, Quodlibet ed., Macerata, (trad.inglese). Buttare il bambino nell’acqua sporca, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XV, Les Menoventi et le Perithéâtre, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), Liquidité et/ou verticalité, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), Le public est mort. Vive le Public! Sur la poétique et la politique du mauvais spectateur, in: S. e J. Pop-Curseu – Maniutiu – L. Pavel-Teutisan – D. Enyedi (curatori), Regards sur le mauvais spectateur – Looking at the Bad Spectator, Presa Universitara Clujeana, Cluj-Napoca, Romania, Barba e Carmelo Bene. Vite parallele e viaggi perpendicolari, “Teatro e Storia”, a. XXVI, vol. IV nuova serie, Bulzoni ed., (riedito in francese, traduzione di Cristina De Simone in: Les Voyages ou l’ailleurs du théâtre. Hommage à Georges Banu (Essais et témoignages réunis par Catherine Naugrette), Éditions Alternatives théâtrales – Sorbonne Nouvelle-Paris, Il pubblico troppo emancipato, “Quaderni del Teatro di Roma”, Espectador-Hòspede, “Revista Brasileira de Estudos da Presença”, Porto Alegre, seer. ufrgs.br/presenca. Le public est mort. Vive le Public!, “Alternatives théâtrales” (Le mauvais spectateur), Bruxelles, Le “Public” trop émancipé: vers une poétique pauvre de la politique théâtrale, in: Le théâtre et ses publics. La création partagée (Actes du 2° Colloque International du Projet Européen PROSPERO - Liège, Les Solitaires Intempestifs Editions, Besançon, Teatro e comunità, “Scena”, Sur Sieni, et surtout sur Virgilio. Trois exemples, in Sieni, Trois Agoras Marseille. Art du geste dans la Méditerranée, Maschietto editore, Firenze, Risposte o riposte. Cinque lettere aperte su CB, “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”, Un Pinocchio letto per Bene, introduzione a: C. Bene, Pinocchio, Bompiani ed., Milano,Vers la verticalité du vers, Revue d’Histoire du Théâtre, (D’Après Carmelo Bene. Actualité), Il combattimento tra la teoria e la poesia (dedicato a Claudio Meldolesi), “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”, Il teatro piccolo, povero, nuovo, in: “L’Italia e le sue regioni. L’età repubblicana, vol. IV Società (a cura di M. Salvati – Sciolla)”, Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Abramo Printing, Catanzaro, Carmelo selon Jean-Paul in: Croisement d’écritures France-Italie. Hommage à Jean-Paul (sous a direction de Camille Dumoulié, Anne Robin et Luca Salza), éd. Mimésis, Vêtements liturgiques et corps dévôts, in: Jean-Marie Pradier (sous la direction de), La croyance et le corps. Esthétiques, corporeité des croyances et identités (Actes du colloque d’ethnoscénologie, Paris), Presses Universitaires de Bordeaux. Piergiorgio Giacchè. Giacchè. Keywords: l’altra visione dell’altro, Clifton, religion and education, ego et tu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacchè: A Cliftonian implicature” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giacomo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’icona -- sensibile, imagine, presentazione, rappresentazione, formante e formato, contentente e contenuto -- l’inspiegabile – filosofia italiana – scuola d’Avola – filosofia siracusese -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Avola). Filosofo avolese. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Avola, Siracusa, Sicilia. Studia estetica. Il rapporto tra estetica e figura, immagine, rappresentazione. Si laurea sotto Garroni. Insegna a Parma e Roma. Fonda la Società Italiana d'Estetica. Nell'affrontare il concetto di ‘immagine’ è necessario rifiutare sia l'interpretazione che vede una'immagine come lo specchio di una cosa (“Fido”-Fido). E necessario rifiutare anche quella interpretazione del concetto di ‘imagine’ che la considera esclusivamente come un segno significante di se stesso. Il concetto di ‘rap-presentazione’ implica qualcosa che si mostra e nel manifestarsi resta ‘altro' dalla ‘percivibilita’ della rappresentazione stessa. Così, nel ‘presentare’ se stessa, una immagine manifesta l'altro del perceptible, del rappresentabil. Quell'altro che si rivela nel perceptibile, nascondendosi a esso. Ed è proprio così che una immagine si fa un ‘icono’ di quello che e altro il perceptibile. Afferma la tendenziale perdita di ‘figurativita’ di una immagine e del continuare a sussistere dell'immagine stessa. Una immagine, infatti, è una segno e insieme una non-segno. E il paradosso di una “irrealta reale”. Si riferisce al tentativo di scindere la natura ancipite dell'immagine negli elementi che la compongono. Da una parte in un “readymade” (come l’urinale di Duchamp), nel quale la dimensione rap-presentativa si dissolve in una dimensione puramente PRE-sentativa, e dall'altra in una pura immagine soggetiva, dotata di un debole supporto materiale. Una immagine e una meta-immgine: l’immagine di una immagine (homuncular regressus ad infinitum of Griceian theories of representation, according to Cummings, but not Grice!). Di questo modo, una immagine non e neppure propriamente immagini quanto piuttosto una ‘simul-azioni’, simile allo imperceptibile, un “simul-acro”.  Non a caso una immagine, in quanto ri-produzione (doppia) ha uno scarso valore di immagine, giacché quello a cui tende è l’assumere dell’ ‘aspetto’ di una cosa.  L’immagine perde così quella connessione di ‘trasparenza’ o ‘opacità’ che caratterizza una immagine autentica. Di qui, appunto, la questione di realizzare una immagine vera e propria. Troviamo il superamento della dimensione epifanica che è propria dell'icona, dove appunto il perceptibile è il luogo di mani-festazione di la cosa impercetibile – l’Assoluto di Bradley. Emerge una concezione dell'immagine che, nella consapevolezza dell'impossibilità di ogni pretesa di esaurire ‘il reale’ e insieme di ‘manifestare’ l'Assoluto, può essere interrogata come testimonianza di quanto non si lascia ‘tradurre’ (translation) in immagine: testimoniare, infatti, è raccontare ciò che è impossibile raccontare del tutto. In questo modo, la testimonianza fa tutt'uno *non* con la memoria in quanto conformità con l'accaduto, ma con l’immemoriale -- qualcosa che non possiamo né ricordare né dimenticare, che non è dicibile né indicibile. Insomma, il testimone parla (spiega, dispiega) soltanto a partire da l’impossibilità concettuale di spiegare o dispiegare. Che l'immagine valga allora come testimonianza significa che il tentativo di dire l'indicibile (spiegare l’inspiegabile) è un compito infinito. La questione dell'immagine è una questione di fidanza, di etica. In una immagine, non essendoci alcuna compiutezza, non si dà alcuna redenzione né alcuna pacificazione nel confronto col reale. Analissare l’immagine come testimonianza equivale a vedere l’immagine come il luogo di una tensione sempre irrisolta tra memoria e oblio, e quindi come l'espressione del dover essere (il possibile) del senso in un orizzonte, come l’attuale. quale sempre di più sia il mondo che l'arte sembrano essere abbando il NON-senso.  Altre opera: “Dalla logica all'estetica” (Parma, Pratiche); Icona “L’immagine tra presentazione e rappresentazione” (Palermo, Centro studi di estetica); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Roma-Bari, Laterza. Introduzione a Paul Klee, Roma-Bari, Laterza, "Ripensare le immagini", Mimesis, Milano,  "Volti della memoria", Mimesis, Milano,  Narrazione e testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Milano, Mimesis,  "Malevic. Pittura e filosofia dall'Astrattismo al Minimalismo", Carocci, Roma,  Fuori dagli schemi. Estetica e figura dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari,  "Arte e modernità. Una guida filosofica", Carocci, Roma,  "Una pittura filosofica: l'informale", Mimesis, Milano, Nietzsche. L'eterno ritorno", Alboversorio, Milano,  Media e divulgazione  Art and Perspicuous Perception in Wittgenstein’s Philosophical Reflection, L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin e Adorno. Il saggio più importante per il rapporto tra estetica e letteratura è Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Cf. "Dalla logica all'estetica”, "Alle origini dell'opera d'arte contemporanea" “Astrazione e astrazioni”,  "La questione dell'aura tra Benjamin e Adorno", Rivista di Estetica, “Volti della memoria”. Professore ordinario di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma e professore a contratto di Estetica presso stessa la Facol- tà. Sempre presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, è stato membro del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in “Filosofia e Storia della filosofia” e Presidente del corso di laurea Magistrale in “Filosofia e Storia della filosofia”. È socio fondatore e membro del Consiglio di Garanzia della Società Italiana d’Estetica (SIE). È direttore della collana Figure dell’estetica presso l’editore Albover- sorio (Milano) e della collana Forme del possibile, presso l’editore Mimesis (Milano); fa parte del Comitato scientifico della rivista Paradigmi, della rivista Studi di estetica, della Rivista di estetica, della rivista Estetica. Studi e ricerche, della rivista Compren- dre. Revista catalana de filosofia, della rivista on line Memoria di Shakespeare. A Jour- nal of Shakespearean Studies e di Aesthetica Preprint, collana editoriale del Centro In- ternazionale Studi di Estetica. Fa parte inoltre del Comitato scientifico delle seguenti collane editoriali: Filosofie (Mimesis, Milano), Caffè dei filosofi (Mimesis, Milano), Eterotopie (Mimesis, Milano). È stato Coordinatore nazionale dell’Osservatorio di Storia dell’Arte della Società Ita- liana di Estetica e coordinatore, di numerose Ricerche di Ateneo dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” relative a diverse tematiche filosofi- che, estetiche e artistiche. E’ stato inoltre responsabile di diversi progetti PRIN. Direttore del Museo Laboratorio di Arte Contem- poranea (MLAC) della Sapienza Università di Roma. Come Direttore del Museo Labo- ratorio di Arte Contemporanea della Sapienza Università di Roma, ha ideato e coordina- to, in collaborazione con la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e con il Teatro Argentina di Roma, numerose iniziative di carattere seminariale aventi per oggetto la filosofia, la letteratura, la musica, le arti figurative, il teatro. Collabora con il Teatro Eliseo all'interno del quale tiene una serie di conferenze e organizza seminari sul teatro, la musica, la letteratura e le arti visive. Collabora inoltre con la Fondazione Pri- moli di Roma e con il Museo Andersen (Polo Museale del Lazio). Tra le sue pubblicazioni: Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein (Parma); Icona e arte astratta. La questione dell’immagine tra presentazione e rappresentazione (Palermo); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Otto- cento e Novecento (Roma-Bari, 1999; trad. in lingua spagnola a cura di D. Malquori, Estética y literatura, Universidad de Valencia, Servicio de Publicaciones); Introduzione a Paul Klee (Roma-Bari); Alle origini dell’opera d’arte contemporanea (Roma-Bari); Beckett ultimo atto (Milano), Ripensare le immagini (Milano); Astrazione e astrazioni (Milano); L’oggetto nella pratica artistica, (Paradigmi), Il Museo oggi (Studi di Estetica), Aura (Rivista di Estetica), Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo (Roma), Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi (Roma-Bari, 2015; trad. in lingua spagnola a cura di Juan Antonio Méndez, Al margen de los esquemas. Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid), Filosofia e teatro (Paradigmi), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica (Studi di Estetica), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni (Milano), Arte e modernità. Una guida filosofica (Roma), Una pittura filosofica. Tàpies e l'informale (Milano), Nietzsche e l’eterno ritorno (Milano). Partecipa a progetti di ricerca internazionali e a progetti di ricerca europei. Ha svolto attività didattica e di ricerca (tenendo conferenze, lezioni e seminari, partecipando a convegni di studio e svolgendo attività didattica anche in qualità di correlatore o tutor di tesi di laurea e di Dottorato) presso importanti istituzioni straniere sia accademi- che che extra-accademiche, in Spagna, Russia e Messico: Facultat de Filosofia, Universitat de Barcelona; Facultat de Pedagogia, Universitat de Barcelona; Facultat de Filosofia, Universitat “Ramon Llull”, Barcelona; Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans; Ateneu de Vic; Ateneu de Barcelona; Associació Filosòfica de les Illes Balears, Mallorca; Facultat de Filosofia i Lletres, Universitat de les Illes Balears, Mallorca; Facultat de Filosofia i Ciències de l’educació, Universitat de València; Facultad de Filosofía, Universidad Complutense de Madrid; Istituto di studi post-universitari “SS. Cirillo e Metodio”, Mosca; Russian Christian Academy for the Humanities, S. Pietroburgo; “Peter the Great” St. Petersburg Polytechnic University, S. Pietroburgo; Producciòn Artìstica Contemporànea Coloquio (PAC), Centro Cultural San Pablo, Ciudad de Oaxaca, Messico. Nietzsche e l’eterno ritorno, Commentario a F. Nietzsche, L’eterno ritorno, Al- boversorio, Milano, Arte e modernità. Una guida filosofica, Carocci, Roma, Una pittura filosofica. Antoni Tàpies e l'informale, Mimesis, Milano, Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari, Méndez, Al margen de los esquemas. Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid, Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo, Carocci, Roma, Narrazione e testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Mimesis, Milano, Introduzione a Paul Klee, Laterza, Roma-Bari, Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari (quinta ed.; trad. in lingua spagnola a cura di D. Mal- quori, Estética y literatura, Universidad de Va-lencia, Servicio de Publicaciones, Icona e arte astratta. La questione dell'immagine tra presentazione e rappresen- tazione, «Aesthetica Preprint», Palermo, Dalla logica all'estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche, Parma, G., L. Talarico (a cura di), Letture shakespeariane. Otello e Re Lear, «Studi di Estetica, Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, «Rivista di Estetica», G. (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Giacomo, L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi, Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, «Studi di Estetica, Marchetti (a cura di), Aura, «Rivista di Estetica. G., A. Valentini (a cura di), Il museo oggi, «Studi di Estetica», Volti della memoria, Mimesis, Milano, G. (a cura di), Astrazione e astrazioni. In occasione di una mostra di Gualtiero Savelli, Alboversorio, Milano, Marchetti, L'oggetto nella pratica artistica, «Pa- radigmi», Angeli, Milano, G. Ripensare le immagini, Mimesis, Milano, G. e Colombo, Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Milano, G. Zambianchi (a cura di), Alle origini dell'opera d'arte con- temporanea, Laterza, Roma-Bari, Introduzione a D. Malquori, L’incomprensibile ambiguità dell’orizzonte. Un so- gno fatto a Ginostra, Mimesis, Milano, collana Narrativa Mele d’Oro, Il problema della forma nella Teoria estetica di Adorno, in M. Manicone (a cura di), Sostanza di cose sperate. Scritti in onore di Franco Purini, Iiriti Editore, Campo Calabro (RC) Re Lear. “Essere maturi” in un mondo abbandonato alla cecità e alla follia, in G. e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, Studi di Estetica», Otello: la tragedia della parola e il ruolo della narrazione, in G. e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», Dostoevsky, a writer and philosopher: “The Grand Inquisitor”, in “ACTA ERU- DITORUM”,  Publishing house of the Russian Christian Academy for the Humanities, Tradició i innovació en l’art, in “La Tradició”, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans, Understanding of the image in Plato, PLATO AND ANCIENT SCIENCE, Collection of materials of CONFERENCE THE UNIVERSE OF PLATONIC THOUGHT», RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMANITIES, Saint Petersburg, Appendice alla rivista di Fascia A (in Russia “VAK”) “Vestnik” della RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMANI- TIES. Redattori: Svetlov R. V., Robinson T. M. (Canada), Protopopova I. A., Mochalo- va I. N., Kurdybajlo D. S., Shmonin D. V., Alymova Form, appearance, testimony: reflections on Adorno’s Aesthetics, in Matteucci, Marino (a cura di), Theodor W. Adorno: Truth and Dialectical Experience / Verità ed esperienza dialettica, “Discipline filosofiche”, Quodlibet, Macerata, Tàpies e Bill Viola: un'arte che sopravvive alla mercificazione, in G., L. Marchetti, Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, “Rivista di Estetica, Composizione, costruzione, icona nella concezione artistica di Pavel Florenskij, in D. Guastini, A. Ardovino, I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore di Pietro Montani, Pellegrini Editore, Cosenza, Prefazione a A. Lanzetta, Opaco mediterraneo. Modernità informale, Libria, Foggia, Reflexions filosòfiques sobre la festa. Entre temporalitat i eternitat, in “La festa”, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, The Myth. Aesthetic surgery clearly demonstrates what Greek myth has already taught us: beauty stems from horror, in Gandola, P. Persichetti (a cura di), Art of Blade. A book about surgery and humanity, T.A.M. La guerra i l'art, in La guerra, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Arte e vita nella Recherche di Marcel Proust, in G., Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Lettura dell’Amleto, in G. Di Giacomo, L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi», Lettura del Macbeth, in G., L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi», Arte, linguaggio e rappresentazione nella riflessione filosofica di Wittgenstein in Comprendre. Revista Catalana de Filosofia, Icona e immagine, in G. Bordi, J. Carlettini, M.L. Fobelli, M.R. Menna, P. Poglia- ni, L'officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, Gangemi, Roma, El poder i les seves representacions, in L'estat, Colloquis de Vic., Dalla modernità alla contemporaneità: l’opera al di là dell’oggetto, in G., L. Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, Studi di Estetica Entre la paraula i el silenci: la filosofia com a recerca de la veritat, prefaci a Bosch-Veciana, "Imatge-Mirada-Paraula", Barcelona,Facultat de Filosofia, L’immagine artistica tra realtà e possibilità, tra “visibile” e “visivo”, in P. D’Angelo, E. Franzini, G. Lombardo, S. Tedesco, Costellazioni estetiche. Dalla storia alla neoestetica. Studi in onore di Luigi Russo, Guerini e Associati, Milano, La questione dell'aura tra Benjamin e Adorno, in «Rivista di Estetica»,  Pizzuto: tra letteratura e filosofia, in D. Perrone (a cura di), La vera novità ha nome Pizzuto, Bonanno, Catania, Bellezza e chirurgia estetica, in Studi di Estetica Il paradosso dell'apparenza nel teatro di Genet, in «Comprendre. Revista Catalana de Filosofia La qüestió de la imatge a partir del debat sobre la icona, in «Colloquis de Vic», Societat Catalana de Filosofia, Art and Perspicuous Vision in Wittgenstein's Philosophical Reflection, in “Aisthe-  sis. Pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico”, fu press.net/ index. php/aisthesis/ article  L'opera di Kafka come narrazione infinita, inValentini, Il silenzio delle Sire- ne. Mito e letteratura in Kafka, Mimesis, Milano, Lo statuto paradossale del museo tra globalizzazione e apertura all'alterità, in «Studi di Estetica», Il Museo oggi, G. e Valentini, Memoria e testimonianza tra estetica ed etica, in Volti della memoria, a cura di G. Mimesis, Milano, La idea d'Europa entre la cosciència de l'ocàs i l'obertura a l'altre, in Europa, in J. Monserrat, I. Roviró, B. Torres, Societat Catalana de Filosofia, Barcelona, Atti del convegno, Colloquis de Vic, Arte e mondo. A proposito di alcune riflessioni di Huberman su Brecht, in Guastini, A. Campo, D. Cecchi Alla fine delle cose. Contributi a una storia critica delle immagini, La Casa Usher, Firenze, Intervista sulla bellezza, in Scuderi N. (a cura di), A me la mela. Dialoghi su bellezza, chirurgia plastica e medicina estetica, Franco Angeli, Milano, La produzione artistica contemporanea attraverso la riflessione di Benjamin e Adorno, in «Studi di Estetica», La relaciò entre imatge i temporalitat en la reflexiò de Warburg, Benjamin i Adorno, in I. Rovirò Alemany, Estètica catalana, estètica euro- pea. Estudis d’estètica: entre la tradiciò i l’actualitat, Barcelona, L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin e Adorno, in “Aisthesis. Prati- che, linguaggi e saperi dell’estetico”, fu press.net index.php/aisthesis/ article/view Arte e realtà nella produzione artistica del Novecento, in G., L. Marchetti, L’oggetto nella pratica artistica, Paradigmi Angelini, Milano,Il percorso di Gualtiero Savelli: dall'astrattismo di Malevič e Mondrian all'astrazione geometrica, in G. Di Giacomo (a cura di), Astrazione e astra- zioni. In occasione di una mostra di Savelli, AlboVersorio, Milano, La bellezza. Promessa di Immortalità?, in “Medic. Metodologia Didattica e Innovazione Clinica”, Ripensare l'aura nella modernità, in L. Russo (a cura di), Dopo l'Estetica, «Aesthetica Preprint», Supplementa, Palermo, Il male oggi. Produzioni artistiche e riflessioni estetiche, in P. D'Oriano, D. Rocchi (a cura di), Il male e l'essere, Mimesis, Milano, Arte e moda nella riflessione estetica di Adorno, in P. Romani, Percorsi teo- retici. Scritti in onore e in memoria di P.M. Toesca, Diabasis, Reggio Emilia, Forma e riflessione nel romanzo moderno, Fusillo, Philosophie du roman, Revue Internationale de Philosophie, Meyer, Bruxelles, Il silenzio, il vuoto e la fine della rappresentazione, in G. e Colombo, Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Milano, Immagine, icona, opera d'arte, in Desideri, G. Matteucci, J.M. Schaeffer (a cura di), Il fatto estetico. Tra emozione e cognizione, ETS, Pisa, La questione del rapporto arte-forma nella riflessione di Prinzhorn sulle "Produzioni plastiche" dei malati mentali, Prefazione a F. 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Parisi (cur.), Sociologia possibile, Angeli, Milano, Natura e cultura: il rapporto tra strutture genetiche e processi di apprendimento nel comportamento animale e umano, in AA. VV. (a cura di), L'osservazione del comportamento sociale, Regione Piemonte, Torino,PROGETTI DI RICERCA - Progetto PRIN Tema: La forma dell’immagine Ente promotore: MIUR Progetto PRIN Responsabile Tema: Estetica analitica ed estetica continentale: problemi, prospettive e tradizioni a confronto Ente promotore: MIUR Progetto PRIN / Responsabile nazionale e Coordinatore dell’unità locale Tema: Memoria e rappresentazione nella riflessione filosofica e artistica Ente promotore: MIUR Coordinatore dei Progetti di Ateneo: Progetto di Ateneo: Immagine e rappresentazione. Problemi estetici, artistici e storici Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica e artisti- ca del Novecento - Ente promotore: Roma Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica, storica e artistica - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Rappresentazione, memoria e testimonianza nella riflessione filosofica e artistica - Ente promotore: Roma  Progetto di Ateneo: La questione arte-vita nella società multiculturale. Identità, immagine e implicazioni etico-politiche - Ente promotore: Università di Roma “La Sapienza; - Progetto di Ateneo: Il tema dell'"Annunciazione" come chiave di lettura degli at- tuali processi di globalizzazione Ente promotore: Roma Progetto di Ateneo: Memoria e rappresentazione nella riflessione estetica e arti- stica Ente promotore: AST - Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Evento e testimonianza nell'estetica del Novecento Ente promotore: AST - Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Il problema dell'aura nell'arte contemporanea Ente promoto- re: AST - Università di Roma "La Sapienza" Coordinatore dei Seminari dell’Osservatorio di Storia dell’Arte della Società Italiana di Estetica, presso la Facoltà di Filosofia dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” - Seminario sul tema Estetica e storia dell’arte: necessità di un dialogo; Seminario sul tema Fine (della storia) dell'arte?; - Seminario sul tema Arte, Estetica, Visual Studies;Seminario sul tema Oggetto artistico e oggetto comune; Seminario sul tema Leggere l'opera d'arte; Seminario sul tema Ancora l’aura oggi? Seminario sul tema Che cos’è il museo oggi? Cfr. inoltre: - Sito ufficiale: giuseppe di giacomo. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_Giacomo; fr. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe_ Di_Giacomo wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_Giacomo //de. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo //ca. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo ROMANTIC PAINTERS and playwrights of the nineteenth century found rich material in the lives of the old masters. Fueled by irresistible half-truths and rumors, they created swashbuckling narratives about the personal intimacies and rivalries, as well as the career failures and triumphs, of the Italian Renaissance artists. At the Paris Salon of 1843, for instance, Léon Cogniet unveiled his grand entry, a large canvas depicting Tintoretto painting a portrait of his beloved daughter Marietta, who lies on her death bed. Three years later, the painter and playwright Luigi Marta published a melodrama about an amorous intrigue that supposedly led to the death of Marietta, who assisted her father as an artist in his workshop. The six-episode play reads like a soap opera in which the aristocratic Alfredo is pitted against Marietta’s true love, Valerio Zuccato, a Venetian mosaicist (and thus, in Tintoretto’s world, a fellow craftsman). The play circles around the inevitable showdown between the arrogant count and the sincere artist, which precipitates Marietta’s death at the hands of the entitled, privileged, and violent Alfredo.  Parallel to this love story, the reader is regaled with the homosocial rivalry between Tintoretto and Titian, with Paolo Veronese appearing as an intercessor who mediates a grandiloquent reconciliation scene in which all three masters unite to defend the honor of the Venetian state. The narrative unfolds against Tintoretto’s commission for the Last Judgment (1562–64) in Santa Maria dell’Orto. Marta’s artist was thus, in no uncertain terms, a struggling genius waiting for recognition from his fellow artists even at the height of his success. Indeed, the episode concludes with Titian’s transformative endorsement—Ora non siete più il povero Tintoretto, ma bensì il famoso Giacomo Robusti (“now you are no longer the poor ‘son of a dyer,’ but the famous Jacopo Robusti”).1  Loosely based on actual historical personages, the tale is almost entirely fantasy. Such theatrical characterizations are nevertheless of great importance, for they help give legends the veneer of history. Giorgio Vasari’s sixteenth-century notices about Tintoretto, as well as, in the seventeenth century, Carlo Ridolfi’s biography and Marco Boschini’s various writings on the artist, were the primary sources for many of these tasty morsels, and while scholars have tried to sift fiction from reality, some myths are just too delectable to give up. We still hear repeated, for instance, the unfounded story that the young Tintoretto was kicked out of Titian’s studio. It’s not entirely impossible, but there isn’t a shred of solid evidence to confirm the tale (any more than Ridolfi’s allegation that Tintoretto dressed Marietta up as a boy so that father and daughter could wander the city streets unimpeded by society’s strict gender expectations).   The image of Tintoretto-as-rebel would culminate in Jean-Paul Sartre’s essay “The Prisoner of Venice”(1964), where the artist is reinvented as an existentialist hero, a lone wolf fighting against the stultifying rules of the system:  Fate has decreed that Jacopo unwittingly expose an age which refuses to recognize itself. Now we understand the meaning of his destiny and the secret of Venetian malice. Tintoretto displeases everyone: patricians because he reveals to them the puritanism and fanciful agitation of the bourgeoisie; artisans because he destroys the corporate order and reveals, under their apparent professional solidarity, the rumblings of hate and rivalry; patriots because the frenzied state of painting and the absence of God discloses to them, under his brush, an absurd and unpredictable world in which anything can occur, even the death of Venice.2  At the other end of the spectrum, this leitmotif is perhaps best played out for comic effect in Woody Allen’s Everyone Says I Love You, in which a skirt-chaser (Allen) is overheard in the so-called Tintoretto Museum (really the Scuola Grande di San Rocco) in Venice trying to impress a Tintoretto enthusiast (Julia Roberts) by lauding the artist’s immense genius for painting “outside the academic convention of sixteenth-century Venice.”   Sometimes myths are just too powerful, and the Tintoretto myth is an extremely appealing one for modern tastes, especially in the celebratory year marking the fifth centenary of the artist’s birth. Tintoretto’s anniversary has been staged as a magnificent international banquet. The festivities began last autumn in Venice with exhibitions at the Palazzo Ducale(“Tintoretto: Artist of Renaissance Venice”) and the Gallerie dell’Accademia (“The Young Tintoretto”), as well as an excellent little show at the Scuola Grande di San Marco (“Art, Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice”). New York, in the fall, offered “Drawing in Tintoretto’s Venice” at the Morgan Library & Museum and “Celebrating Tintoretto: Portrait Paintings and Studio Drawings” at the Metropolitan Museum of Art.  The fete continues at the National Gallery of Art in Washington, D.C., where slightly adapted versions of the Palazzo Ducale and Morgan Library exhibitions go on view this month, fortified by a third independent show called “Venetian Prints in the Time of Tintoretto.” This is a once-in-a-lifetime opportunity for audiences in America to see some one hundred and seventy artworks by Tintoretto and other Venetian Renaissance artists, painstakingly gathered by art historians Echols and FIlchman (who organized the show at the Palazzo Ducale),along with curators Marciari (of the Morgan) and Bober (of the National Gallery). Fans of the artist and of painting in general should take note. IT’S HARD NOT TO get swept up in all the unbridled Tintoretto worship, but this celebration also provides us an opportunity to revisit the man, the myth, the legacy, and above all, the work. To start with the biographical elements: Tintoretto was hardly seen as a pitiful “poor dyer’s son” in the eyes of his fellow Renaissance artists, nor as a maverick who “displeases everyone.” When speaking about Titian vs. Tintoretto, one must take into account a few historical particulars. For instance, the year after Titian installed the magnificent Assumption of the Virgin in Santa Maria Gloriosa dei Frari, Tintoretto’s only achievement was to be born. Two years before Tintoretto’s first self-portrait (with which all Tintoretto exhibitions seem compelled to begin), Titian was called to Rome by Pope Paul III; he was practically a court painter to the Habsburgs, while Tintoretto was painting acres of canvas to fill the walls at the Chiesa della Madonna dell’Orto, the Scuola Grande di San Rocco, and the Scuola Grande di San Marco in Venice; Titian died during the plague, and a conflagration devastated the Palazzo Ducale, destroying many of his paintings there, some of which would be replaced with works by Tintoretto and his assistants. While there was probably no love between the two men of the kind that nineteenth-century dramatists might dream up, their careers ran parallel to each other rather than in constant antagonistic competition.   Many romantic myths are dispelled in the scholarship that went into the exhibitions and the catalogue essays, but the melodrama of this rivalry still sneaks into sections such as “The Mantle of Titian,” which, at the Palazzo Ducale, was called “Dopo Tiziano” thereby underlining both chronological priority as well as influence. The paintings Tintoretto did afterTitian’s death — large, powerful mythological pictures such as the Forge of Vulcan and the Origin of the Milky Way — are spectacular, but why filter these achievements once more through Titian? And why not have, instead, a section labeled “Dopo Tintoretto,” which would include El Greco, the Carracci, Caravaggio, and a host of other artists from the past five centuries who found inspiration in his stark chiaroscuro, raking perspective, extreme foreshortening, airborne saints, psychologically charged portraits, barefoot worshippers, elaborate banquet scenes, wraithlike angels and spirits, and busted-out straw chairs?  The oft-repeated trope that Tintoretto was an outsider also willfully overlooks his obvious status as a complete insider, born in Venice and fully embedded in its institutions from birth. Titian and Veronese, in contrast, were both provincials (practically foreigners by Renaissance standards), who came from the hills and plains beyond the lagoon. While a questionable seventeenth-century account suggested an aristocratic lineage for the Robusti family, more recent studies have emphasized instead the artist’s “working class” origins. The truth is somewhere in between. Stefania Mason’s essay “Tintoretto the Venetian,” from the catalogue that accompanies “Tintoretto: Artist of Renaissance Venice,” goes a long way to contextualize the precise socioeconomic conditions of the son of a Renaissance dyer or—to be more accurate—the son of a manager of a dye works married to a “well-born woman.” The Robusti were not wealthy by any means, but they were comfortable enough to give Tintoretto a basic education that enabled him later in life to befriend the circle of writers and intellectuals known as the poligrafi, including the notorious satirist Pietro Aretino (a friend of Titian and an early supporter of Tintoretto). Like his father, Tintoretto married up. His father-in-law, Episcopi, not only belonged to an influential family of Venetian cittadini, he was also the guardian of the Scuola Grande di San Marco, where Tintoretto—two years before his marriage—painted his finest early work, Miracle of the Slave. The scene features St. Mark swooping in headfirst from the sky to protect a slave from being martyred for his faith. Current viewers need not be intimidated by the religious matter of the vast majority of Tintoretto’s pictures—they are gripping visual tales of life and death. According to seventeenth-century artist and critic Marco Boschini, one beholder of Tintoretto’s St. Mark cycle reported: “The terror makes me faint, and the piety liquefies my heart in such a manner that I lose heart and melt like wax and feel completely mad!”3 As much “Game of Thrones” as Catholic doctrine in pictures, these works were meant to move, delight, and instruct their audience. Indeed, one cannot help but feel that if Tintoretto were alive today, he would be an unapologetic fan of action films and special effects. Looking at Miracle, with its explosive light and tense shadows, its superhuman heroes and racially profiled villains, and its meticulous staging of powerful, muscular, controlled bodies, one might think he invented the genre. No wonder Boschini described him as a thunderbolt and the cannons of a ship.  Unfortunately, Miracle of the Slave has not been allowed to cross the Atlantic. Audiences in D.C. can, however, marvel at the luminous Saint Augustine Healing the Lame and the always pleasing Creation of the Animals, which Deleuze describes as an image of God as a referee at the start of a handicapped race, in which the birds and the fish leave first, while the dog, the rabbits, the cow, and the unicorn await their turn. While Miracle has been in the possession of the Gallerie dell’Accademia for many decades now, seeing it anew, rehung next to the diminutive bronze relief of the same subject by the Florentine sculptor Jacopo Sansovino, was one of the highlights of the “Young Tintoretto”exhibition. With the works placed next to each other in a darkened room, the similarities and differences were enlightening. Designed and executed between 1541 and 1546 for the north tribune of the choir at the Basilica di San Marco, Sansovino’s glowing bronze panel reduces the scene to a compact, tactile, monochromatic field of chiaroscuro with a vibrant mass of bodies emerging from the picture plane in dynamic, agitated poses. Tintoretto, just on the cusp of his thirtieth year when he painted Miracle, clearly looked closely at the dramatic effects that could be sculpted out of gesture, form, and composition alone. To this art he would add the detail of expression, the intensity of extreme lighting, the terribilità that often comes with scale, and the incomparable power of color. WHILE THE TWENTY-FIRST CENTURY audiences might think it odd for an ambitious artist to unveil a painting so closely modeled on a recent work by another artist, the reuse of motifs was a common Italian Renaissance practice, as was made clear in an insightful section of the Palazzo Ducale exhibition simply called “The Recycler.” Tintoretto and his assistants, after all, produced more square footage of painting than any other workshop in the Venetian Renaissance. In one instance, the painter salvaged an old composition from his painting Mystic Crucifixion by cutting, splitting, and reintegrating the canvas into a new picture, The Nativity(ca. 1550s and 1570s); on another occasion, he copied, pivoted, and re-costumed a previously used figure of St. Lawrence intended for the Bonomi family altar in San Francesco della Vigna, transforming the martyr into Helen of Troy. Such shortcuts were standard in most Renaissance workshops, especially prolific ones that had to turn out hundreds of altarpieces, portraits, mythological paintings, battle scenes, and other pictures.  The juxtaposition between the Florentine sculptor and the Venetian painter also underlines Tintoretto’s connectedness with other artists. He painted Sansovino’s portrait more than once, even signing one of the works as “Jacobus Tintorettus eius amicissimus” (which, if you believe the inscription, means they were Renaissance BFFs). Tintoretto is an artist’s artist. His profound sense of community comes across in a rather touching contract found in the Venetian archives and included in the small but brilliant “Art, Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice” at the Scuola Grande di San Marco. In this document, drafted and signed shortly after Christmas in 1585, the artist agrees to provide works and forgo any payment on the condition that the confraternity admit four people: his son Giovanni Battista Robusti; his son-in-law Marco Augusta (the real-life husband of Marietta); the tailor Bartolomeo di Lorenzo; and another man named Angelo Girardi. His dedication to his family, friends, and students is also borne out in numerous workshop drawings, which are well represented in D.C.  Offering important opportunities for artistic communion, drawing had its pragmatic as well as pleasurable purposes. In several sketches made after a copy of the ancient bust known as the Grimani Vitellius, we see multiple hands working seemingly side by side, line by line, smudge by smudge, highlight by highlight, with the goal of mastering the visible world around them. The willful way that these graphic studies dematerialize carved stone and reincarnate the male portrait head into what looks at first glance like the image of a flesh-and-blood subject is remarkable. In this sequence, note especially the Morgan Library drawing rendered by what the curator identifies as a “left-handed draftsman.” The work seems almost too bold in its deliberate, sweeping gestures to be “workshop,” but then Tintoretto was clearly a very good master with some very capable assistants. In Tintoretto’s drawings and paintings, one often feels that he is “sculpting” with chalk, charcoal, watercolor, oil, and pigment, ignoring the flat surface of the paper or canvas. This comes across not only in the speckled black-and-white patterns of his drawings from sculptures (which he avidly collected) but in his life studies, too. His rendering of flesh frequently seems to be rippling and quivering with animal energy, as if the artist were trying to catch the living body in motion. His is possibly the most atomistic rendering of the human form in the Renaissance. The frenetic, vibrating lines in Seated Man with Raised Right Arm, for instance, exemplify this stylistic peculiarity: the contours of the mythological body can never sit still but seem to be in a constant state of flex and flux. Indeed, Tintoretto’s figural drawings make Marcel Duchamp’s Nude Descending a Staircase and every episode of “The Incredible Hulk” seem old hat when they appear centuries later.)   One of the art-historical myths destroyed—hopefully once and for all—by the exhibitions in honor of Tintoretto is that Venetians did not really draw. Some did more than others, and Tintoretto and his assistants surely drew up a storm. On various sheets we find words such as fa (make), sì (yes), fatto (made), no (no), and bono (good) scrawled across the surface; sometimes figures are singled out by an asterisk. These marks were workshop instructions on designs that had been cleared for production by the master. Sheets such as Study of a Man Climbing into a Boat were frequently greased and held up to the light so that forms could be retraced on the verso, offering compositional options. Many have squaring grids drawn across them. In some instances, this facilitated the transfer of the design onto a larger surface; in other cases, it assisted in the correction of foreshortening and the adjustment of figural proportions.   Of the thirty-some drawings by Tintoretto and his workshop on display at the National Gallery of Art, the majority are on the blue paper favored by Venetian artists. The dark surface of this carta azzurra provided an ideal ground upon which to map out gestural movements, tonal subtleties, and, above all, the effects of light and shadow. It might also be compared with the darkened grounds of many Tintoretto paintings. The canvas support for The Origin of the Milky Way, for example, is prepared with a brownish layer upon which the artist sketched out his composition with white lead paint (rather than using black paint on a white gessoed surface). Once a scene had been plotted out on the canvas, however, Tintoretto was prone to further editing, altering, and redrawing of figures and forms in a variety of white, black, and even red paint until the work was completed. PAINTERS AND people interested in the way things are made will find much to consider in these exhibitions. Tintoretto’s process is revealed in medias res through the various X-rays that accompany the didactic material in the galleries and comes across most clearly in the oil sketch Doge Alvise Mocenigo Presented to the Redeemer, a work included in the 2016 exhibition “Unfinished: Thoughts Left Visible” at the Met Breuer in New York). Looking at the mannequinlike figures waiting to be dressed with flesh and clothes, one comes to appreciate the procedural logic that binds these drawings and paintings together, a topic expertly discussed in Krischel’s essay Tintoretto at Work in the National Gallery of Art exhibition catalogue. The show reveals Tintoretto’s exploratory procedure: visceral, intuitive, yet ultimately studied and thought-through—but never entirely scripted. Tintoretto is all gestalt. If the Marxist machismo of Sartre’s characterization of the artist as a rebel “born among the underlings who endured the weight of a superimposed hierarchy” is misplaced, one must admit that his phenomenological acumen regarding the works is often startlingly spot on. Sartre writes with great perspicacity about the narrow, vertical composition of Saint George and the Dragon:  Everything is simultaneous in his canvas, he contains everything within the unity of a single instant. But to mask the over-harsh rift, he presents the spectator with the spectre of a succession of events. Not only is the route traced in advance, but each stage devalues the previous one and shows it up as an inert memory of things past. The corpse’s immobility is memory: it is prolonged and repeated from one moment to the next, identical and useless. The time-trap works, we are caught: a false present welcomes us at every step and unmasks its predecessor which returns, behind our backs, to its original status of petrified memory.6  Time and space collapse in on the spectator’s embodied experience, simulating the effects of a hallucinatory drug. And indeed, as early as Boschini we find the revelatory quality of Tintoretto’s art described in pharmacological terms. Of the whirlwind of paintings on the ceilings and walls of the Scuola Grande di San Rocco, he effuses: “I feel as if I am in a drugstore. Under my nose these odors have aromas that overwhelm my heart. These fragrances remain in my mind, my mind feels so utterly purged that my heart jumps for joy in my chest, and my soul feels totally jubilant.”7  One must be in the presence of the work in order to experience the psychosomatic force of Tintoretto’s art. A black-and-white photograph of a room filled with Tintoretto’s portraits can look like a field of dull heads, but in person these works become alarmingly ghostly presences, with hands and faces that seem capable of movement. The sketches that move from light fluffy strokes to devastating valleys of black charcoal seemingly carved with a chisel, the thick ridges of impasto that rise suddenly like waves from the surface of a canvas, the glazes and scumble that modulate color and reflect light differently depending on the angle of view, the enormity of compositions that threaten to engulf the spectator’s body — these elements simply do not translate in any form of mechanical or digital reproduction. This is true not only for Tintoretto but for Venetian art in general, with its penchant for chromatic and luminous variability and richness.  In Drawing in Tintoretto’s Venicethe difference between Veronese’s gorgeous drawings covered in elegant, spindly figures created in a torrent of quick brown ink strokes and Bassano’s schematic black chalk sketches marked by dusty smudges of red, white, green, pink, and brown becomes immediately clear. Domenico Tintoretto, one of the master’s sons, produced oil sketches of battle scenes that look comic in reproduction, but when one stands before the flurry of red, white, and black patches on dark brown paper, these detailed compositions dissolve unexpectedly into near abstraction.  Renaissance drawings are so fragile and sensitive to light that they can be exhibited only rarely, and many  Tintoretto paintings are so large that they have remained in situ in Venice for most of their existence. Thus the current triple exhibition is the first substantial retrospective of the old master’s work in America. It is a fitting tribute on the occasion of his five hundredth birthday — and a viewing experience not to be missed.  Endnotes 1. Luigi Marta, Il Tintoretto e sua figlia: drama in sei quadri del pittore Marta, Milan, Borroni e Scotti. Sartre quoted in Laura Lepschy, Tintoretto Observed: A Documentary Survey of Critical Reactions from the 16th to the 20th Century, Ravenna, Longo. Boschini, La carta navegar pitoresco, edited by Anna Pallucchini, Venice/Rome, Istituto per la collaborazione culturale, Deleuze, Francis Bacon: The Logic of Sensation, trans. Daniel W. Smith, London, Continuum. Sartre quoted in Lepschy, Boschini. Tintoretto was too good an artist for his time’s uses; he still clamors for a proper role, seeking affirmation, four centuries later. This thought came to me as whimsy, and stayed as conviction, at the Prado, in Madrid, which has just opened the second-ever retrospective (the first was in Venice) of Jacopo Comin, who was also known as Robusti, and called Tintoretto, or “Little Dyer,” after his father’s profession. Tintoretto is the most mercurial of the five undisputed immortals of Venetian painting—the others being Bellini, Giorgione, Titian, and Veronese—and I was eager to see the Prado show, because I have never managed to get a satisfying fix on him. How could someone so great, able to summon the world with a brushstroke, be so inconsistent in style, and, on occasion, so awful? Stupefyingly prolific, Tintoretto garnished the walls, ceilings, altars, exteriors, and even the furniture of Venice, performing commissions for free when that was what it took to edge out a rival. (He was not popular with his fellow-artists.) He brought off one of the world’s largest paintings— Paradise, in the Ducal Palace, which, at seventy-two feet long and twenty-three feet high, is so vast as to be essentially unseeable—and perhaps history’s most sustained demonstration of sheer painterly talent, brimming the Scuola Grande di San Rocco, with pictures whose profusion and intensity burn the most concerted effort of looking to ashes. But he and his populous workshop also perpetrated some of the grimmest daubs—murky and slack—that you ever rushed past with a shudder. I realised, too late, that my puzzlement was a warning. Now I feel that I have acquired a brilliant, neurotic, exhausting friend who enjoins me to undertake on his behalf campaigns that he bungled when their conduct was up to him.  Nothing inferior taxes the eye at the Prado, which augments the cream of Tintorettos in European and American collections with a few loans from Venice, where hundreds of his paintings—including his greatest works, such as The Miracle of the Slave reside immovably in churches, palaces, and galleries. The show more than overcomes doubts about presuming to assess the artist outside his home town, which he is known to have left just twice, briefly, in his life. The well-restored canvases, shown in good light, sparkle and blaze. Some make plungingly deep space with muscular figures of different sizes; your mind provides perspective that the artist didn’t deign to chart. Others array action on intersecting diagonals, along which someone is apt to be arriving from somewhere at terrific speed. (There is an old line that Tintoretto invented the movies; his ways of enkindling routine scenarios, with thrilling visual rhythms that seem to unfurl in time, endorse it.) He drew with his brush, light over dark—so that shadings came first, imparting a sumptuous density to forms that are hit with highlights like spatters of sun. He is supposed to have said that his favorite colors were black and white, but he could be every bit the startling and seductive Venetian colorist when a commission required it. With abject competitive fury, he was not above imitating the grand dragon of the Venice art world, Titian, and his designated successor, Veronese.  As a matter of fact, he almost never takes the liberty of being himself unless someone builds up his confidence and leaves him alone in an empty room,” Jean-Paul Sartre wrote in an essay, The Venetian Pariah. For Sartre, Tintoretto is an avatar of existential anguish, who was both behind his time—as the last native-born master on a scene ruled by a cosmopolitan élite—and ahead of it, as the ideal artist for a rising bourgeoisie that was too intimidated by the pomp of the ducal republic to recognize itself in his demotic trashings of aristocratic decorum. Intellectuals of the era, while in awe of Tintoretto’s gifts, scolded him for being too fast, careless, and insolent; when Vasari credited him with “the most extraordinary brain that the art of painting has ever produced,” it wasn’t meant as unalloyed praise. (Vasari also called him the medium’s worst madcap.)  As a boy, Tintoretto is said to have entered Titian’s workshop as an apprentice but was thrown out after a few days, having either frightened the master with his aptitude or irked him with his personality; at any rate, Titian’s attitude toward him was plated with permafrost. Little is known of Tintoretto’s subsequent training. His earliest surviving work, from the early fifteen-forties, is anti-Titianesque—radically sculptural and draftsmanly, embracing Central Italian influences. Then something happened which the art historian Nagel compares to the bluesman Robert Johnson’s “going down to the crossroads and coming back with scary new powers. The Miracle of the Slave,” made for the Scuola Grande di San Marco, electrified Venice. Its unprecedented range of spatial, chromatic, and kinetic effect suggested a synthesis of the disegno of Michelangelo and the coloring of Titian —a contemporaneous formula, often cited, for ultimate greatness in painting. He was roundly hailed, though Pietro Aretino, Titian’s literary ally, added a caveat about his lack of “patience in the making.” Commissions came in bunches to the new hero, but solid status skittered out of reach.  He compensated by striving to engulf the town. Meanwhile, Titian refused to slacken his grip on preëminence, let alone die. When he finally expired, at the age of eighty-eight or so it brought Tintoretto no peace. Though he was now, by general consent, Italy’s leading painter, he responded with pictures as flailingly ambitious and various as ever. Three from the late fifteen-seventies triumph in as many styles. In The Rape of Helen, the hauntingly lovely captive languishes in the corner of a churning land-sea battle scene, with scores of figures, ranging in size from huge to tiny, which you can all but hear and smell. In TARQUINO (si veda) and Lucretia, the naked, lividly fleshy protagonists struggle at the edge of a bed, toppling a sculpture and breaking a necklace that rains pearls. The woman’s right hand seems to extend from the canvas, as if to be grasped by a rescuing viewer. (The Baroque, which took hold two decades later, with Caravaggio, can seem an edited ratification of tendencies already developed by Tintoretto. The Martyrdom of St. Lawrence is a sketchy and fierce nightmare of death by roasting, with an anticipatory whiff of Goya. Tintoretto strongly influenced El Greco, blazed trails for Rubens, and fascinated Velázquez, who acquired his paintings for Philip IV.  What is a Tintoretto? the art historian Echols asks in the show’s catalogue. The answer might be almost anything touched with genius and a strange, thorny, dashing humor. Tintoretto was reported to be a witty man who never smiled. What is his Susannah and the Elders if not a grand lark? A luxuriant, glowing nude sits outdoors, surrounded by a glittering still-life of jewelry and implements of beauty, and is ogled by dirty old men (one pokes his bald pate, at ground level, practically out of the canvas) from behind a hedge that forms part of a corridor-like recession into the far background. There are distant little ducks, and the rear end of a stag. But the picture’s form is too disorienting to sustain any particular response, including amusement. The backstage space outside the hedge ignores the unity of the central perspective, bespeaking a world that rolls away in all directions, indifferent to pocket realms of mythic anecdote. The effect is stirring and confusing. Who is Tintoretto’s viewer? strikes me as the really compelling question. No other great artist before modern times, in which shifting contingency affects every enterprise, seems less certain of whom he is addressing, and why. It might as well be you or me as some cinquecento ingrate, and, if we happen to think of people we know who may be interested, the artist encourages us to contact them without delay. La tesi di fondo di questo saggio è che l’orizzonte problematico entro il quale si muove da sempre la pittura faccia tutt’uno con le questioni dell’immagine e che la tradizione occidentale, soprattutto nella riflessione sulla storia dell’arte, abbia incentrato la sua atten- zione sul problema dell’immagine senza tenere conto in genere dei suoi aspetti iconici. Già Tommaso d’Aquino aveva posto in questi termini tale problema: l’immagine può essere considerata come og- getto particolare, o come immagine di un altro; nel primo caso l’oggetto è la cosa stessa che al contempo ne rappresenta un’altra, nel secondo l’aspetto dominante è ciò che l’immagine rappresenta. Sembra dunque che rispetto a un’immagine l’attenzione si rivolga o all’immagine in se stessa – all’immagine come fine – o a ciò che l’im- magine rappresenta – all’immagine come mezzo 1. A diversi secoli di distanza un pensatore della statura di Witt- genstein riproporrà con forza il problema dell’immagine che, a par- tire da una prospettiva iniziale fortemente improntata a concezioni logico-raffigurative, si andrà via via sempre più delineando all’inter- no della sua riflessione come un problema di natura estetica. Così egli scrive nelle Ricerche filosofiche. E chi dipinge non deve dipingere qualcosa – e chi dipinge qualcosa non deve dipingere qualcosa di reale? Ebbene, qual è l’oggetto del dipingere: l’immagine di un uomo (per esempio), o l’uomo che l’immagine rappresenta? Tuttavia Wittgenstein porta il problema alle estreme conseguenze. Se paragoniamo la proposizione con un’immagine, dobbiamo tener conto se la paragoniamo con un ritratto, un’esposizione storica, o con un quadro di genere. E tutti e due i paragoni hanno senso. Se guardo un quadro di genere, esso mi dice qualcosa, anche se io non credo (mi figuro) neppure per un momento che gli uomini che vedo rappresentati in esso esistano realmente, o che uomini in carne e ossa si siano davvero trovati in questa situazione. Ma, e se chiedessi: Allora, che cosa mi dice? La risposta di Wittgenstein suona. L’immagine mi dice se stessa’ vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua propria struttura, nelle sue forme e colori» 4. Ponendo la questione in tali termini tuttavia Wittgenstein non intende affatto contrapporre un’immagine intesa come ‘ritratto’, il cui scopo sarebbe quello di indirizzare l’attenzione dell’osservatore esclu- sivamente su ciò che essa rappresenta, e un’immagine intesa come ‘quadro di genere’, il cui fine sarebbe quello di presentare la «sua propria struttura» e le sue forme e colori. Del resto, continua Wittgenstein nello stesso paragrafo, Che significato avrebbe il dire: Il tema musicale mi dice se stesso? Il fatto è che per Wittgenstein queste due modalità dell’immagine: immagine intesa come mezzo e immagine intesa come fine, sono tra loro connesse, tanto da formare un unico concetto di immagine. Che il problema vada inteso e ap- profondito in questi termini, lo chiarisce lo stesso Wittgenstein, af- frontando in alcuni paragrafi successivi la questione relativa al comprendere una proposizione. Noi parliamo del comprendere una proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da un’altra che dice la stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere sostituita da nessun’altra. (Non più di quanto un tema musicale possa venir sostituito da un altro. Nel primo caso il pensiero della proposizione è qualcosa che è comune a differenti proposizioni; nel secondo, qualcosa che soltanto queste parole, in queste posizioni, possono esprimere (Comprendere una poesia). E subito dopo aggiunge. Dunque qui comprendere ha due significati differenti? Preferisco dire che questi modi d’uso di comprendere formano il suo significato, il mio concetto del comprendere. Wittgenstein sottolinea in questo modo che i due tipi di comprensione – quella che potremmo chiamare logica, nel senso che il pensiero espresso dalla proposizione può essere riformulato in modi diversi, rimanendo lo stesso, e quella che potremmo definire estetica, caratterizzata invece dal fatto che il suo tema non può essere riformulato in altro modo, come esemplifica il caso del tema musicale o della poesia – sono imprescindibilmente connessi tra loro in un concetto unitario. È la stessa interconnessione che Wittgenstein rileva in relazione all’immagine. Il fatto è che quel particolare tipo di immagine che l’opera d’arte costituisce può rimandare all’altro da sé, soltanto in quanto in primo luogo rimanda a se stessa, ‘dice se stessa’; può essere rappresentazione dell’altro, solo in quanto è presentazione di se stessa. Di conseguenza, ciò che nell’opera viene rappresentato riceve la sua unicità, la sua specificità, è insomma proprio questo, grazie al fatto che l’immagine lo rappresenta, lo dice, secondo le sue linee e colori. Così questo qualcosa d’unico può e anzi deve essere visto come qualcosa che, seppure da sempre presen- te sotto i nostri occhi, appare come se lo vedessimo per la prima vol- ta e, proprio per questo, non può che procurarci stupore e meraviglia. Scrive a questo proposito Wittgenstein: Non pensare che sia cosa ovvia il fatto che i quadri e le narrazioni fantastiche ci procurano piacere, tengono occupata la nostra mente; anzi, si tratta di un fatto fuori dell’ordinario. Non pensare che sia cosa ovvia – questo vuol dire: Meravigliatene, come fai per le altre cose che ti procurano turbamento. Già nel Tractatus Wittgenstein aveva affermato che la tautologia segue da tutte le proposizioni: essa dice nulla, volendo con ciò sot- tolineare il fatto che ogni proposizione dice, rappresenta qualcosa solo in quanto in primo luogo è una tautologia, ossia ‘dice nulla’, e tale tautologicità della proposizione è ciò che la proposizione mostra in ciò che dice. Secondo Wittgenstein il carattere logico della proposizio- ne in quanto immagine è dato dal suo essere ‘rappresentazione’ di qualcosa, ossia dal suo rinviare a qualcosa d’altro da sé. In questo con- siste, sempre secondo Wittgenstein, la fondamentalità della logica, giacché se segno e designato non fossero identici rispetto al loro pie- no contenuto logico, allora vi dovrebbe essere qualcosa d’ancora più fondamentale che la logica. E tuttavia Wittgenstein si rende conto che nella proposizione qualcosa dev’essere identico al suo significato, ma la proposizione non può essere identica al suo significato, dunque in essa qualcosa dev’essere non identico al suo significato. Questo qualcosa di ‘non-identico’, vale a dire di differente, tra la proposizione, o l’immagine, e il qualcosa che viene rappresentato o detto, è ciò che esse mostrano o presentano. Tale presentazione, nel suo costituire la condizione interna al rappresentato, è anche ciò che dà a quest’ultimo il suo carattere di unicità, ossia di individualità, che sfugge a ogni previsione logica, vale a dire a ogni identificazione nel già-saputo; ciò che fa, in definitiva, del rappresentato qualcosa di non-previsto e di non-saputo, qualcosa che nell’opera d’arte trova il suo luogo esemplare. E, se la logica «è prima del come, non del che cosa, allora «Il miracolo per l’arte è che il mondo v’è, che v’è ciò che v’è. C’è dunque per Wittgenstein qualcosa di più fondamentale della logica. La rappresentazione logica infatti implica qualcosa che si mostra, che si manifesta e nel manifestarsi resta ‘altro’ dalla visibilità della rappresentazione stessa. Così, nel presentare se stessa, l’immagine manifesta l’altro del visibile, del rappresentabile: quell’altro che si rivela nel visibile, nascondendosi a esso. Se questo è il tratto carat- terizzante l’icona, allora possiamo affermare che le riflessioni di Wittgenstein sull’immagine si riferiscono non all’immagine come copia della realtà, bensì all’immagine intesa appunto come icona. Non a caso, se per Wittgenstein il silenzio, sul cui tema si chiude il Tractatus, non può dirsi, giacché esso mostra sé, è proprio l’icona che ha a che fare con l’irrappresentabile, con ciò che resta sempre altro rispetto a ogni determinazione logica e rappresentativa. Ciò che nell’opera d’arte si presenta sfugge alla nostra conoscenza e alla rappresentazione. Non è stata l’arte astratta a mettere per prima in opera la ‘presentabilità’ del pittorico di contro alla sua rappresentabilità, dal momento che il rapporto tra presentazione e rappresentazione appartiene all’essenza stessa dell’immagine. È proprio della natura dell’immagine infatti il suo presentarsi sempre chiusa e insieme aperta, opaca e insieme trasparente, vicina e insieme lontana: nell’offrirsi all’occhio, essa cattura il nostro sguardo. È necessa- rio tornare, al di qua del visibile rappresentato, alle condizioni stesse dello sguardo, della presentazione. È questo il non-sapere che l’immagine manifesta, e tuttavia tale non-sapere non è una condizione privativa, una mancanza, ma piuttosto una condizione positiva, come positivo è il ‘Niente’ dei quadri suprematisti di Malevicˇ. Si tratta dell’esigenza di qualcosa che costituisce l’altro del visibile, il suo al-di-là e che non va pensato come l’Idea platonica, dal momento che questo altro del visibile è nel visibile stesso. Così l’iconoclastia del quadrato bianco di Malevicˇ annuncia non la fine dell’arte, ma ciò che l’arte deve essere, per essere tale, arte appunto. Nell’opera d’arte qualcosa è rappresentato e si offre alla vista, ma qualche altra cosa nello stesso tempo ci guarda, ci ri-guarda. Ciò significa che la visione si divide, si lacera, nel suo stesso interno, tra vedere e guardare, tra rappresentazione e presentazione. Nella visibi- lità del quadro è in opera qualcosa che non si lascia cogliere e che, come l’oblio, resta sempre altro rispetto a ciò che possiamo ricorda- re. È come se l’immagine fosse nello stesso tempo rappresentazione di ciò che ricordiamo e presentazione di ciò che abbiamo dimentica- to; per questo nell’immagine la rappresentazione deve essere pensata sempre con la sua opacità. In particolare nell’icona cogliamo l’assenza di ogni immagine, in- tesa come rappresentazione logica: è questa l’ ‘astrazione’ dell’icona, astrazione come sarà intesa, teorizzata e messa in opera da tanta parte della pittura del Novecento. Quello che l’icona mostra non è discorsivamente esprimibile e, se essa può far valere la propria impre- scindibile implicazione di senso di contro alla critica iconoclastica, è perché mostra l’inesprimibile in quanto inesprimibile. È proprio que- sta paradossalità dell’icona a permettere di superare l’iconoclastia, per la quale non può che porsi l’alternativa schiacciante tra un asso- luto realismo e un assoluto silenzio. L’icona è la porta regale, come vuole Florenskij, attraverso la quale si manifesta l’invisibile e si trasfigura il visibile: in essa non c’è né imitazione, né rappresentazione, ma comunicazione tra questo e l’altro mondo. Così nell’icona la dimensione epifanica finisce per coincidere con la sua dimensione apo- fatica. Da questo punto di vista si può dire che i problemi posti dal- l’icona siano gli stessi problemi che si ritroveranno nella contemporanea problematica dell’astrazione. L’arte astratta fa appello all’occhio spirituale, ossia allo sguardo, e ciò comporta il rifiuto della tradizionale distinzione soggetto-oggetto, dal momento che l’oggetto è in tale prospettiva un soggetto che ci cattura proprio mentre lo guardiamo. Già Kandinskij con la nozio- ne di composizione intende superare sia gli stati d’animo del soggetto che l’oggetto come fenomeno naturale, per dare luogo a una pittura iuxta propria principia, nella quale lo stesso limite estremo, la tela bianca o il silenzio, non significhi la morte dell’arte, ma la radicale presentazione di quella possibilità dalla quale ogni arte pren- de le mosse: l’essenza o, per dirla con Heidegger, l’origine dell’arte stessa. In Kandinskij l’astrattismo non è vuoto decorativismo. Al con- trario, l’astrattezza del segno, la sua non-rappresentatività, è la manifestazione della sua «risonanza interiore», ossia della sua spiritua- lità. La concezione dell’arte di Kandinskij è intessuta della connes- sione di interiorità e astrazione, e una componente essenziale di tale astrazione è il misticismo. Già la mistica tedesca medievale afferma, con Meister Eckart, che, come Dio agisce al di là del mondo dell’essere, così l’anima, che è in grado di rappresentarsi le cose che non sono presenti, opera nel non-essere; un’analoga operazione compie il pittore astratto, che nientifica il mondo naturale delle cose, dando vita a un mondo di entità non-oggettive, inesistenti e tuttavia reali. Così nel principio di Kandinskij della necessità interiore si riflette la natura mistica del procedimento astratto di costruzione di un’opera che viene sottratta alla dipendenza delle cose esistenti. Questo rimando a un agire interiore dà luogo a un non-oggetto che, ana- logamente a quanto avviene nella mistica, mostra un diverso modo d’essere delle cose rispetto a quello della loro forma reale. L’emancipazione da qualsiasi dipendenza diretta dalla natura, della quale parla Kandinskij, è la riduzione delle cose naturali al non-essere. Di conseguenza, la necessità interiore di Kandinskij, che costituisce il tratto essenziale della sua pittura astratta, si pone come ‘altro’ rispetto al mondo delle cose, e quest’ultimo trova in essa la sua unità e il suo senso. Del resto per Kandinskij, come per Wittgenstein, il misticismo riguarda non come il mondo è, ma che esso è; esso consiste nel sentire il mondo quale tutto limitato. Ciò significa dunque che la totalità del visibile ha un limite: lo sguardo delle cose, ossia la loro spiritualità. Astrazione, d’altro canto, è proprio questo visibile limitato dal manifestarsi in esso di ciò che visibile non è: è sen- tire il non-visibile nel visibile, è cogliere la differenza nell’identità. Nell’astrattismo il segno mostra se stesso, nel senso che non rimanda all’altro fuori di sé, all’oggetto, ma all’altro che è nel segno senza essere tuttavia esso stesso segno. Così l’astrattismo rifiuta il significato del segno e nello stesso tempo ne esalta il senso, che si mostra nel segno ritraendosi da esso. Non c’è dunque alcun contenuto, alcun significato manifesto dell’immagine, ma questa è l’espressione di un contenuto interiore: è questo a rendere il segno ‘astratto’, proprio nel suo presentarsi come evento. In definitiva, se il cubismo ha in- franto la totalità, lasciando solo frammenti, la composizione di Kandinskij mira non a ricomporre tale totalità, bensì a presentare il senso, facendo risuonare il contenuto interiore del frammento stesso. Se lo spirituale nell’arte di Kandinskij, come il suo concetto di composizione, è interno al problema dell’icona, altrettanto lo è il mondo senza oggetto del suprematismo di Malevicˇ. L’opera suprematista infatti ha un’intenzione iconica: non esprime una perdita, ma una presenza, la presenza dell’altrimenti che essere. Di qui quella dimensione apofatica, propria dell’icona in genere e del suprematismo di Malevicˇ in particolare, che, in opposizione ai presupposti dell’iconoclastia – tesi a identificare la verità con la rappresentazione logico-discorsiva – mostra la verità che contiene in sé la propria negazione: la docta ignorantia è la testimonianza di tale inesprimibile coincidenza. Per questo nel colore suprematista, come nell’icona, non c’è alcuna ‘finzione. L’essere di Malevicˇ non è l’essere secondo la necessità, ovvero secondo il concetto, ma è l’essere come evento: è qualcosa che si la- scia riconoscere solo al momento del suo apparire e, in quanto evento, l’essere è l’altro, poiché non è soggetto ad alcuna identificazione: è l’essere così, che potrebbe anche non essere; in questo senso, affer- ma Malevicˇ, l’essere è il nulla, ovvero il che, lo spazio paradossale proprio dell’opera d’arte, del tutto indipendente dal pensiero logico. Questo che è negazione del significato, inteso come signi- ficato logico, è negazione della rappresentazione, come rappresenta- zione logica e nello stesso tempo è affermazione del senso, in quanto condizione dei significati possibili Il che non può essere riconosciuto in relazione ad altro, ma solo per se stesso, e tuttavia por- ta in sé l’alterità, la differenza. Nel non significare nulla al di là di se stesso, l’evento – il che – è assolutamente singolare: accade semplicemente, si dà, si mostra, non come un mero oggetto per un sog- getto. Esso è il manifestarsi di qualcosa che, presentando se stessa, presenta l’altro, vale a dire si presenta come l’altro dell’essere oggetto di rappresentazione possibile. Per raggiungere infatti questo essere, che è il nulla, Malevicˇ è uscito dal mondo degli oggetti e delle rap- presentazioni, aprendo uno spazio ‘assoluto’, in quanto spazio dell’altro. Così l’astrazione di Malevicˇ è il liberarsi dalla rappresentazio- ne per la presentazione: è questa l’autentica iconoclastia che rivela il profondo legame del suprematismo di Malevicˇ con l’icona. E, se nel suo mondo senza oggetto il segno non è rappresentazione di qualcosa, ma rivela l’altro, ovvero il nulla – in quanto nulla di rappresentabile e di dicibile – questo Nulla non è da intendersi come nichilismo: non indica il silenzio, la fine della pittura, ma esprime la consapevolezza che si deve continuare a dipingere perché il nulla si riveli. È questa la radicalità della pittura di Malevicˇ. A differenza di quella di Malevicˇ, l’opera di Mondrian presenta uno spazio la cui assolutezza assume un preciso significato: tutto ciò che è, è perché si dà solo spazialmente. Per questo in Mondrian il segno non nasconde e in esso non ha luogo alcun ritrarsi; al contrario, nel segno si mostra l’essenza, l’Idea, e non a caso egli definisce l’astrattismo come la sola arte concreta. In definitiva: nella pittura di Mondrian non si manifesta alcun altro, né alcun contenuto interiore; essa si risolve totalmente nella superficie del quadro, ossia in un piano assolutamente bidimensionale, nel quale non c’è alcuna finzione di profondità, ma ci sono soltanto linee in rapporto ortogonale che, tautologicamente, dicono se stesse. Così, se la composizione di Mondrian è volta a ricostituire la totalità, tale ricomposizione si dà proprio e solo all’interno della rappresentazione pittorica, rappresentazione assoluta, in quanto indipendente da qualsiasi riferimento ad altro da sé. L’arte di Klee, pur interrogandosi su problemi non del tutto dis- simili, muove in direzione opposta rispetto a quella di Mondrian. Se infatti quest’ultimo vuole abolire l’elemento soggettivo – definito tragico – in nome dell’oggettività, Klee invece indaga proprio la presenza del mondo nel soggetto. L’oggettività di Mondrian è il rifiuto del mondo, in quanto particolarità e contingenza; Klee, al con- trario, non cerca una realtà più vera di quella sensibile, non cerca cioè una realtà fissa e immutabile, retta da leggi eterne, fuori dalla storia. Ciò a cui tende l’opera di Klee è ‘frugare’ nel profondo, nel- la vita sotterranea, immergendosi nel divenire delle cose stesse, nella genesi dei mondi possibili. Il compito dell’artista è infatti, a suo giudizio, quello di ritornare sulla creazione, portando avanti e tentando le vie di realtà possibili. Klee, in definitiva, non vede nel mondo qualcosa di già-concluso, ma ne ripercorre la genesi, e tale genesi si riferisce al sorgere della realtà nella percezione e quindi al costituirsi dell’essere in significato. I presupposti di tutto ciò vanno rintracciati nel fatto che è pro- prio sul piano della percezione che il mondo non si configura come l’insieme delle cose già date, ma come un continuo generarsi. Così l’immagine di Klee richiama alla memoria possibilità diverse, somiglianze e dissomiglianze, e queste trovano la loro ragione sul piano dell’agire del pittore, che non prende le mosse da una logica pre- fissata, ma genera continuamente forme via via che procede, muoven- dosi appunto tra somiglianze e differenze. I processi di formazione di Klee sono questa sorta di somiglianze di famiglia – ancora una vol- ta nell’accezione wittgensteiniana  – e, in quanto tali, escludono la de- finitività di ogni forma. Non a caso nell’opera di Klee la genesi dei mondi possibili riguarda l’essenza stessa della pittura: si tratta di mo- strare l’apparire di qualcosa che nessuna logica ha pre-visto, qualcosa che viene all’esistenza, apportando un «aumento di essere» 19 rispetto a tutte quelle altre possibilità che comunque sono presenti nel qua- dro come possibilità simultanee. Klee ha disvelato così l’essenza dell’opera d’arte: quest’ultima non è la rappresentazione di un fatto del mondo, ma è un evento nel qua- le si manifesta la possibilità di molteplici determinazioni del mondo, senza che tale possibilità sia riconducibile ad alcun principio logico di identità e di non-contraddizione. A ben vedere dunque tale evento, che l’opera costituisce, altro non è che il darsi del contingente, del ciò che è così ma poteva essere diversamente, in quanto condizione della stessa necessità logica che regola ciò che nel mondo è già-dato; si tratta di quel che – che si dia questo mondo e non un altro – il quale, come afferma Wittgenstein, precede quella logica che presiede al come del mondo. Si tratta insomma di quel senso che è la condizione dei tanti significati possibili: l’opera è la presentazione del darsi di questo senso, e non la rappresentazione del suo configurarsi come significato dato, di un senso che si può dunque soltanto sentire, stando al suo interno e non contemplare dall’esterno. Per questo la pit- tura di Klee ha il suo luogo d’elezione nel cuore stesso della creazione, lì dove hanno origine tutte le cose. 1 Sul problema dell’immagine e del segno in genere nella riflessione filosofica medievale, si veda Maierù, Signum dans la culture médiévale, Miscellanea Mediaevalia, Veröf- fentlichungen des Thomas-instituts der Universität zu Koln, Walter de Gruyter, Berlin – New York, Signum negli scritti filosofici. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino (ed. or. Philosophische Untersuchungen, Blackwell, Oxford. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni, Einaudi, Torino (ed. or. Tractatus logico-philosophicus, London). Nel Tractatus infatti i due termini si equivalgono, dal momento che «La proposizione è un’immagine della realtà» Vedi su questo G., Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche Editrice, Parma Wittgenstein, Tractatus..., cSi veda in proposito Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano. L’espressione è usata nel senso del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano (ed. or. Wahr- heit und Methode, Mohr, Siebeck, Tübingen. Giuseppe Di Giacomo. Giacomo. Keywords: l’inspiegabile, aura; ‘impiegatura como spiegatura dell’inspiegabile” sensibile, imagine, icona, segno segnante segnato presentazione rappresentazione contenente contenuto formante formato, Tintoretto, Sartre, Venezia. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacomo: impiegatura come spiegatura dell’inspiegabile” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giametta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- il volo d’Icaro e l’implicatura di Sanctis – filosofia napoletana – scuola di Frattamaggiore -- scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Frattamaggiore). Filosofo italiano. Frattamaggiore, Napoli, Campania. Grice: “Giammetta is a good’un, but you gotta be an Italian to appreciate him fully, or at least have gone to Clifton, as I did!” --  Grice: Giametta’s philosophy is full of Italianateness: ‘il volo d’Icaro,’ and then there’s his ‘Croceian heterodoxies,’ and most Italianate of all, the Dantean reference to Nisso, Chiron, and Folo in the “Inferno”! Sublime!” Cura Nietzsche a Firenze. Ha scritto saggi di critica "eterodossa" su Croce. Cura Cesare. È anche romanziere, estraneo a scuole o correnti, con storie dalla forte valenza filosofica e morale;  attitudine stilistica: la prosa di Giametta pare quella di un centauro: sorprendente incontro di letteratura e filosofia.  Nella "Trilogia dell'essenzialismo" (composta da “Il Bue squartato” --  L'oro prezioso dell'essere e Cortocircuiti), elabora un proprio sistema di filosofia erede del naturalismo rinascimentale. L’Essenzialismo è una nuova filosofia, fondata esclusivamente sulla natura, intesa nei suoi due aspetti, sia come “naturans” (cf. Grice, implicans, implicaturus)  sia come “naturata” (cf. Grice implicatum, implicatura, implicaturus, implicata). Grice: “The problem: ‘is ‘naturare’ a good verb?’ --. L’essenzialismo descrive la condizione umana come determinata dalla combinazione di due elementi eterogenei: dall’essenza di tutto ciò che esiste, che è divina, e dalle condizioni di esistenza, che sono spesso fin troppo diaboliche, a cui sono sottoposte tutte le creature. Il con-temperamento di questi due elementi (essenza ed esistenza), diverso in ogni individuo, spiega le ragioni per cui si afferma o si nega la vita, si è ottimisti o pessimisti...".  Alter opera: “Oltre il nichilismo” (Tempi moderni, Napoli); “Poeta e filosofo” (Garzanti, Milano); Palomar, Han, Candaule e altri. Scritti di critica letteraria, Palomar, Bari Nietzsche e i suoi interpreti. – cfr. ‘Grice interprete di se stesso” – “Erminio; o, della fede. Dialogo con Nietzsche di un suo interprete. Spirali, Milano); “Saggi nietzschiani” (La Città del Sole, Napoli); “Croce” (Bibliopolis, Napoli); “Il mondo” (Palomar, Bari); “Madonna con bambina e altri racconti morali, BUR, Milano); “Commento allo Zarathustra” Mondadori Bruno, Milano); “Filosofia come dinamita” BUR, Milano), “Croce, il pazzo” (La Città del Sole, Napoli); “Eterodossie crociane” (Bibliopolis, Napoli); “La caduta di Icaro” (Il Prato, Padova); Introduzione a Nietzsche. Opera per opera, BUR, Milano, Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, Mursia, Milano. L'oro dell'essere. Saggi filosofici, Mursia, Milano. Cortocircuito e implicatura -- Mursia, Milano. Adelphoe, Unicopli, Milano. Il dio lontano, Castelvecchi, Roma); “Tre centauri, Saletta dell'Uva, Napoli. Filosofi, Saletta dell'Uva, Napoli. Una vacanza attiva, Olio Officina, Milano. Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell'essenzialismo; Bompiani, Milano. Colli, Montinari e Nietzsche, BookTime, Milano. Capricci napoletani. Pagine di diario (Marco Lanterna), Olio Officina, Milano; “Il colpo di timpano, Saletta dell'Uva, Napoli); “Dio impassibile” (Babbomorto, Imola. Contromano, BookTime, Milano. Il bue squartato e altri macelli, Mursia, Milano.  La passione della conoscenza. Pensa Multimedia, Lecce,. Marco Lanterna, Le grandi oscurità della filosofia risolte in lampeggianti parole. Lanterna, Contributo alla critica di Sossio (in Giametta, Capricci napoletani, OlioOfficina, Milano ). Nietzsche Schopenhauer Colli Mazzino Montinari.  SANCTIS nacque a Morra Irpina (oggi Morra De Sanctis, in prov. di Avellino), al centro di. una zona che fino a dieci anni prima era stata tutta feudale e di cui gli antichi feudatari ancora sfruttavano la scarsa ricchezza boschiva, mentre il potere era gestito direttamente dal clero e dai piccoli o medi proprietari terrieri, anch'essi strettamente legati alla Chiesa sul piano economico -, sociale e Politico. In questo ambiente D. trascorse solo i primi nove anni, ma esso costituì sempre per lui un punto di riferimento, perché sempre egli lo ebbe presente come "polo reale" e, insieme, come "polo negativo" della storia: la realtà da cui partire e rispetto alla quale operare per tutte le conquiste del progresso (morale, culturale, civile).  La famiglia De Sanctis apparteneva a quel ceto di piccoli proprietari del Sud che produceva i preti, gli avvocati e i pochi medici. Avvocato era il padre di D., Alessandro, che però viveva del reddito della sua piccola proprietà, prima ampliata attraverso un "buon matrimonio" locale con Maria Agnese Manzi, poi progressivamente sempre più dissestata; preti i due zii Carlo e Giuseppe; medico lo zio Pietro (ed anche per costui la qualifica professionale servì soltanto a sostenere l'orgoglio del ceto dei "galantuomini"). Come molti esponenti del "galantomismo" meridionale, don Giuseppe e Pietro Sanctis avevano aderito alla carboneria (in funzione patriottica e antifeudale): dopo aver partecipato ai moti carbonari, vissero in esilio per dieci anni, serbando intatto lo spirito antiborbonico, ma non il patrimonio. L'altro prete, invece, don Carlo, fece fortuna in Napoli come titolare di una stimata "scuola di lettere" (un ginnasio privato).  D. è trasferito come ospite ed allievo presso lo zio Carlo.  Dai "ricordi" di D. (La vita) si può ricavare l'elenco delle discipline da lui studiate, con fortissimo impegno, per tutta la durata del corso quinquennale tenuto dallo zio ("Grammatica, Rettorica, Poetica, Storia, Cronologia, Mitologia, Antichità greche e romane" e inoltre "l'Aritmetica, la Storia Sacra, il Disegno"), nonché una serie di notazioni sul metodo d'insegnamento tutt'altro che critico e innovativo ("Un grande esercizio di mernoria era in quella scuola, dovendo ficcarsi in mente i versetti del Portoreale, la grammatica di Soave, le Storie di Goldsmith, la Gerusalemme del Tasso, le ariette del Metastasio; tutti i sabati si recitavano centinaia di versi latini a memoria").  Poiché i cinque anni di studi "letterari" avevano un completamento canonico in due anni di studi "filosofici" è iscritto alla scuola di Fazzini, matematico e fisico illustre, di dichiarate convinzioni sensistiche. Per due anni, perciò, egli visse immerso nello studio di Locke, Condillac, Tracy, Elvezio, Bonnet, Lamettrie", o del Genovesi, ma (e questo è un tratto molto importante, destinato a rimanere come atteggiamento mentale) nell'ottica "moderata" che era propria sia dell'ambiente familiare sia del maestro (Il professore diceva che il sensismo en una cosa buona sino a Condillac, ma non bisognava andare sino a Lamettrie e ad Elvezio Voltaire, Diderot, Rousseau mi parevano bestemmiatori, avevo quasi paura di leggerli"). Lo stesso amalgama di aperture progressiste e di scarsa chiarezza ideologica fu nell'esperienza successiva (quella degli studi giuridici), in un'altra scuola privata, dove (con l'abate Garzia) D. impara ad apprezzare soprattutto i codici napoleonici, aprendosi così alla dialettica giuridica liberale. Questi studi avrebbero dovuto rappresentare il punto d'arrivo di tutto il lavoro precedente (poiché, scartata una primitiva ipotesi di carriera ecclesiastica, si pensava di far di lui un avvocato), ma a determinare una diversa scelta di vita intervenne una grave malattia dello zio Carlo, in seguito alla quale il peso della scuola cadde sulle fragili spalle del D. diciottenne, ed egli divenne fonte di sostegno economico per la sua numerosa famiglia (dopo la morte della primogenita Genoviefa, restavano ben cinque tra fratelli e sorelle, che sempre in qualche modo gravarono su di lui, con molte preoccupazioni e ben poche gratificazioni affettive o sociali).  Un altro avvenimento, questo di qualche anno prima, aveva preparato in D. tale mutamento di interessi e di scelte: il suo ingresso nella "scuola di lingua italiana" del marchese Basilio Puoti: di un "maestro", cioè, che rappresentava in quel momento uno dei punti di riferimento più vivi della cultura napoletana e che presto prese a stimarlo, ad amarlo e a guidarlo. Ed è in ambito puotiano che nascono i primi scritti a stampa di D.: la sua volgarizzazione di un brano dell'Eudemia di Giano Nicio Eritreo (Discorso contro gl'ippocriti), apparsa sul Tesoretto, e la Dedicatoria (sua e del cugino Giovannino) al Puoti dell'edizione (da entrambi curata) del Volgarizzamento delle Vite de' santi Padri di D. Cavalca e del Prato spirituale di Feo Belcari.  Non è da qui però che si può ricavare l'immagine complessiva di ciò che egli era alla fine del suo corso ufficiale di studi e all'inizio del suo primo magistero.  Certo, la competenza grammaticale e testuale e la sensibilità alle cose della lingua (alla lingua come sistema formale in cui penetrare con il rigore dell'intelligenza, della scienza e del gusto) erano allora e restarono per sempre una componente molto importante del D. studioso e maestro (questo va ribadito, anche per opporsi a una troppo lunga sottovalutazione critica dell'eredità puristica attiva all'interno della metodologia critica desanctisiana); ma dalla sua precedente esperienza culturale egli aveva ricavato anche un complessivo eclettismo nozionistico e ideologico, un evidente taglio "settecentesco" nell'impostazione del sapere e in più una vastissima pratica di letture, che egli sottolinea con forza nella Vita e che si riverbera in tutta la sua opera. Ricostruendo dai suoi ricordi, risulta che D. Legge con profondo coinvolgimento (oltre a tanti latini, greci, filosofi, storici e giureconsulti) un'incredibile quantità di classici italiani maggiori e minori, dai trecentisti a Metastasio, e poi Parini, Alfieri, Verri, Monti, Foscolo, Manzoni, Berchet, Leopardi, e Fénelon e Voltaire, Young e Scott (ma la zona moderna ed europea andava rapidamente allargandosi: a poco più di venti anni, il suo patrimonio di lettura spaziava con sicurezza da Shakespeare a Richardson, da Milton e Klopstock a Chateaubriand, Lamartine e Hugo.  La professione dell'insegnamento diventò per D. definitiva (grazie all'intervento del marchese Puoti), più o meno contemporaneamente nel settore della scuola pubblica (prima alla scuola dei sottufficiali; poi, al Collegio militare della Nunziatella, prestigiosa accademia militare borbonica) e in quello privato (con la scuola di Vico Bisi, che Puoti apre per lui, affidandogli all'inizio i suoi allievi, poi di fatto - a grado a grado - la sua stessa funzione docente). A quest'ultima esperienza (di cui restano importanti documenti nei Quaderni discuola e una vasta rievocazione nella Giovinezza) si attribuisce, per tradizione ormai consolidata, la definizione di "prima scuola" del De Sanctis. Ma sarebbe forse più giusto comprendere nella definizione l'esperienza didattica complessiva del decennio 1838-48: il decennio che consacrò il successo indiscusso del D. maestro, il quale intanto (nelle diverse fasi della sua frenetica attività) metteva a punto il suo metodo e il suo atteggiamento critico, mentre andava costruendo intorno a sé rapporti affettivi e intellettuali che sarebbero rimasti centrali in tutta la sua vita, e mentre andava maturando fondamentali scelte ideologiche, filosofiche, politiche. I numerosi Quaderni di scuola, che documentano il primo insegnamento desanctisiano, furono in massima parte scritti dagli alunni sotto dettatura del maestro e finalizzati a raccogliere il "succo" dei diversi corsi di lezioni, rispetto ai quali si configuravano come veri e propri libri di testo costruiti in parallelo con l'esperienza scolastica. Si tratta, perciò, di una testimonianza ampia e diretta del suo progressivo evolversi (a stretto contatto con la cultura del proprio tempo) dal purismo e dall'illuminismo moderato fino all'hegelismo, attraverso l'eclettismo, il neocattolicesimo, la partecipazione alla temperie vichiana e a quella dello storicismo romantico. In vista della loro funzione manualistica, i quaderni sono divisi secondo le "materie d'insegnamento" della scuola (alcune presenti fin dall'inizio, altre introdotte successivamente, come lo stesso D. testimonia nella Vita). La grammatica è l'insegnamento originario della scuola, ma i quaderni "grammaticali" più importanti che ci restano appartengono agli ultimi anni e si configurano perciò come approdo della ricerca desanctisiana in materia (con l'acquisizione dello storicismo romantico, del giobertismo, di Hegel). I più antichi tra i quaderni in nostro possesso sono quelli di Lingua e stile, dove, dopo una serie di precetti di radice puristico-illuministica (con forte incidenza della grande Enciclopedia e in particolare d’Alembert), troviamo documentato il primo impatto con il pensiero romantico tedesco (in particolare con F. Schlegel) e tracciata la prima sintesi di storia della letteratura italiana ("Sviluppo della letteratura italiana"). Questa ha già alcune caratteristiche che resteranno immutate in D. maggiore (si muove in ambito postilluministico, con grande attenzione all'Europa e al presente letterario, ma presenta come modello privilegiato di scrittore "contemporaneo" il Manzoni, con un'accentuazione del punto di vista neocattolico, che andrà attenuandosi in seguito). Una lunga storia della poesia è nei quaderni dedicati alla Lirica, in cui l'approdo è rappresentato dal Leopardi; i quaderni sul Genere narrativo hanno le loro fonti in Villemain, Sismondi, Voltaire, F. e A. W. Schlegel. Un salto di qualità notevolissimo si avverte nei corsi d’Estetica e Estetica applicata, in cui l'esigenza di definire teoricamente i problemi dell'arte trova un sicuro sostegno nelle teorie estetiche di Gioberti, mentre Hegel fa la sua apparizione nel corso di Storia della critica, che introduce una più stimolante rivisitazione della lirica. Nei due anni successivi egli presenta ai suoi allievi l'Estetica di Hegel nella traduzione francese di Ch. Bénard. Alla luce dei nuovi principî affronta inoltre l'esame della Letteratura drammatica, soffermandosi a lungo sulle opere di Shakespeare. Dell'ultimo anno di scuola ci resta anche un quadernetto di Storia e filosofia della storia, che ha come punti di riferimento costanti Vico, Sismondi, Hegel e che aiuta a chiarire il senso dei "compendi" (autografi) della Storia d'Inghilterra di Hume e della Storia civile del Regno di Napoli di Giannone. Questo blocco di materiali storiografici conferma il livello criticamente e ideologicamente molto avanzato della ricerca desanctisiana alla fine della "prima scuola", attestando una visione laica della storia, un rigoroso rifiuto di ogni astrattismo e una forte rivendicazione della concretezza in ogni ambito d'analisi, nonché una chiara assunzione di metodo hegeliano in direzione progressista. Negli entourages di Puoti, della Nunziatella, della sua stessa scuola (e delle altre che fiorirono a Napoli, inaugurando il clima "filosofico" vichiano-hegeliano), D. aveva finito per trovarsi al centro dell'intellettualità progressista napoletana, non si sa fino a che punto compromettendosi con le frange estremistiche di essa. Fatto sta che molti giovani della sua scuola si schierarono a combattere sulle barricate (dove fu ucciso quello che era certamente il più colto e il più ideologizzato fra tutti: Vista) e che dopo quella data D. fu in qualche modo implicato in una setta segreta rivoluzionaria di ascendenza musoliniana, l'Unità italiana, e in un attentato per il quale, tra gli altri, furono condannati a morte L. Settembrini e C. Poerio ("Si facevano i più matti deliri: porre una mina sotto Palazzo Reale pareva un gioco ... Fu la prima volta e sola che fui in convegni segreti). Espulso, perciò, dalla Nunziatella e da "ogni altra scuola anche privata" (come recitano i rapporti della polizia borbonica, che cominciava ad interessarsi di lui), D. si rifugia in Calabria presso un noto e attivo "patriota", il barone Guzolini, in casa del quale è arrestato con l'accusa di essere uno dei principali agenti della setta diretta da Mazzini e da Ledru-Rollin. Trasferito a Napoli e rinchiuso in Castel dell'Ovo, subì due anni e mezzo di "carcere duro", e fu infine giudicato politicamente molto pericoloso ("attendibilissimo") e perciò bandito dal Regno e imbarcato per gli Stati Uniti. 1 suoi allievi-amici napoletani (in particolare Meis e Marvasi, a quel tempo già in esilio) lo aiutarono a sbarcare a Malta, per raggiungere il Piemonte, inserendosi nell'allora foltissima schiera degli illustri esuli politici ivi rifugiatisi (tra i meridionali, sono da ricordare: Spaventa, Bonghi, Mancini, Tommasi, Ayala, Nicotera, Cosenz).  Gli scritti del periodo calabrese e della prigionia rappresentano la punta massima della "spinta a sinistra" che segna il pensiero desanctisiano. In Calabria sono elaborati due saggi (Introduzione all'Epistolario di Leopardi e Sulle opere drammatiche di F. Schiller), in cui l'interpretazione dei testi esita in senso fortemente politico (sia Leopardi sia Schiller segnano la fine di un'epoca, quella dell'individualismo, dalla quale va nascendo un'epoca nuova - dell'Umanità - impegnata in senso sociale). In Calabria fu probabilmente impostato anche un dramma in prosa, il Torquato Tasso, terminato negli anni di prigionia (il modello più vicino è quello goethiano; il linguaggio è leopardiano; evidente è l'identificazione personale-politica dell'autore con l'intellettuale perseguitato. D. studia la lingua tedesca e se ne servì sia per tradurre il Manuale di una storia generale della poesia di K. Rosenkranz, sia per leggere in lingua originale la Logica di Hegel, che ridisegnò in una serie di Quadri sinottici (praticamente una sintesi completa dell'intera opera). Ma il testo più interessante elaborato in Castel dell'Ovo è certamente La prigione: un carme di 256 endecasillabi sciolti (l'unica prova poetica, se si esclude qualche poesia d'occasione), che rappresenta il punto massimo di "giacobinismo" realizzato da D., con il rifiuto e la denuncia di ogni metafisica (un'inversione fortissima rispetto al neocattolicesimo degli anni della prima scuola), e con una proposta politico-ideologica chiaramente ispirata all'interpretazione di sinistra della filosofia di Hegel. Fortissima è anche la svolta di atteggiamento nei confronti di Leopardi: all'immagine sentimentalistica e scettica divulgata nel clima del primo romanticismo napoletano si sostituisce un'immagine combattiva e materialistica del poeta di Recanati (che offre, del resto, il modello stilistico e strutturale all'intero carme. costruito come storia metaforica del pensiero umano, in rivolta per la libertà, contro la tirannia, l'oscurantismo, l'ingiustizia sociale).  A Torino D. rimase  in un vitale rapporto d'amicizia con Meis e Marvasi e con Spaventa, ma molto isolato rispetto al potere politico e culturale. Il suo unico lavoro fisso fu, allora, l'insegnamento dell'italiano nell'istituto femminile della signora Eliott (dove si verificò un episodio d'innamoramento - per la giovanissima Teresa De Amicis - che riempirà d'illusioni e di malinconie gli anni successivi); ma ebbe anche alunni privati dal nome prestigioso (come Virgina Basco - futura destinataria del Viaggio elettorale -, Ainardo di Cavour, Larissé). L'esperienza centrale del periodo torinese si realizzò, tuttavia, attraverso due corsi di "lezioni pubbliche" su Dante: conferenze organizzate dai suoi amici per soccorrerlo "nella dignitosa povertà dell'esilio" e che di fatto lo rivelarono alla cultura italiana.  Egli prese a collaborare alle appendici letterarie: sul Cimento di Torino pubblicò alcuni saggi fondamentali, vero e proprio punto d'arrivo della sua critica militante. E allo stesso anno risale anche il primo episodio di giornalismo politico della sua vita: la pubblicazione, sul Diritto di Torino, di una serie di interventi contro il "murattismo" (cioè contro l'ipotesi di una sostituzione "diplomatica" della dinastia borbonica di Napoli con la discendenza di Murat), che rappresenta la prima fase di avvicinamento di D. alla monarchia sabauda (questa viene proposta come unico possibile strumento di unificazione della nazione, in un'ottica di "patriottismo costituzionale" cui, in seguito, egli resterà sempre sostanzialmente fedele). Sempre per interessamento dei suoi compagni d'esilio, fu finalmente gratificato di un importante incarico professionale: l'insegnamento della letteratura italiana presso l'Istituto universitario politecnico federale di Zurigo. Gli anni di Zurigo sono anni di nostalgia e di isolamento (anni di réve, com'egli stesso diceva), ma produssero almeno due conseguenze molto importanti: l'elaborazione di lezioni che sarebbero rimaste come una pietra miliare della sua ricerca critica (soprattutto su Dante, Petrarca e la poesia cavalleresca) e il contatto con ambienti culturali e politici di vera e propria avanguardia in Europa (Wagner e Matilde Wesendonck, Moleschott, gli Herwegh, Burckhardt, Vischer, ecc.) che egli ebbe modo di conoscere e di valutare criticamente (per esempio, prendendo le distanze dall'irrazionalismo di Wagner e di Schopenhauer molto prima che le mode irrazionalistiche toccassero l'Italia, o cercando di capire i limiti concreti del ribellismo dei mazziniani quando Mazzini è ancora un mito in Italia.  Dei corsi danteschi di Torino non restano manoscritti, ma ciascuna lezione fu ricostruita su appunti di allievi (Marvasi, D'Ancona), in vista di una non mai realizzata pubblicazione in volume. Le conferenze torinesi (undici di argomento teorico, diciannove dedicate all'Inferno, cinque al Purgatorio) sviluppano presupposti romantico-hegeliani, con particolare riguardo ai problemi dell'unità e della forma del poema di Dante. Nell'esaltazione "passionale" dell'Inferno, emergono le grandi figure alla cui analisi è legata la fama popolare del D. dantista (Farinata, Francesca, Ugolino) e si afferma il taglio monografico che sarà proprio dei maggiori saggi desanctisiani. Semplificando la materia dei corsi, e prolungandola fino a percorrere tutta la Divina Commedia, D. insegna Dante a Zurigo (anche di queste lezioni ci resta la ricostruzione da appunti). Da tale lavoro deriva tutto ciò che egli pubblicò successivamente su Dante e sul suo tempo (ivi compresi i capitoli della Storia, che ne tesaurizzano le idee-forza), ma i risultati metodologici più avanzati da lui raggiunti negli anni d'esilio sono testimoniati dai contemporanei scritti giornalistici (che furono poi pubblicati tra i Saggi critici). Il Pier delle Vigne è addirittura una lezione torinese trascritta, per LaNazione di Firenze, da A. D'Ancona: la celebre lettura del canto esalta i grandi caratteri e le grandi passioni dei personaggi e ne analizza le sfumature, le situazioni, i contrasti; il saggio La Divina Commedia (versione di Lamennais) dichiara la fine dell'antico metodo retorico e il rifiuto del metodo "storico" di oscuola francese"; quello intitolato Carattere di Dante e sua utopia individua il centro della grandezza poetica di Dante nella sua "anima di fuoco" in cui "si riverbera l'esistenza in tutta la sua ampiezza". Il punto d'arrivo della ricerca zurighese (molto più problematica di quanto appare nelle lezioni) è suggerito nel saggio Dell'argomento della Divina Commedia, che afferma da una parte il rifiuto del sistema e dall'altra la validità degli strumenti d'analisi hegeliani, a stretto contatto col testo letterario (un approdo, in sostanza, per D. definitivo).  Negli scritti letterari d'argomento contemporaneo o d'occasione (destinati a giornali torinesi e anch'essi in massima parte raccolti poi nei Saggi), D. esplica, negli anni d'esilio, il suo impegno militante, ma sempre a stretto contatto con i problemi di metodo critico che sono al centro dell'insegnamento dantesco. Il più esplicitamente politico di questi saggi è L'ebreo di Verona, che consacra, a livello nazionale, la sua fama di polemista laico e liberale (l'autore del romanzo, il gesuita Bresciani, ignorando le conquiste del cattolicesimo manzoniano, ripropone la religione in funzione antiliberale e antiprogressista: il suo ruolo storico, dopo la sconfitta, è "aggiungere i suoi colpi codardi alle mannaie del carnefice. La militanza critica passa sempre attraverso una precisa idea (romantico-hegeliana o posthegeliana) della letteratura. In Satana e le Grazie essa è espressa con molta chiarezza: di fronte al poemetto di Prati la fantasia rimane inerte: il cuore riman freddo, perché "in questo lavoro non vi è creazione e quindi non vi è fantasia Prati ha una viva immaginazione, e per questa facoltà è forse il primo poeta di second'ordine che sia oggi in Italia"; del resto, i suoi testi poetici hanno tutti i limiti e i difetti della "declamazione rettorica". E questa non è un difetto esclusivo degli scrittori moderati: essa è condannabile anche quando sia posta al servizio delle più ardite analisi politiche, come nella Cenci di Guerrazzi, avvolta nel vecchio repertorio delle metafore e dei luoghi comuni. C'è un solo poeta italiano che abbia attinto i livelli della "grande poesia" nel mondo moderno, dice in un importantissimo saggio, e questo è Leopardi. Il saggio s'intitola Alla sua donna. Poesia di Leopardi ed è, probabilmente, lo scritto leopardiano più importante del D., che, con parametri schilleriani e byroniani, traccia qui una straordinaria immagine di poeta laico, interprete della civiltà contemporanea perché capace di farsi critico e filosofo e di far scintillare la poesia dalla "meditazione". Ma, a parte l'eccezione leopardiana, il clima del presente letterario fa temere un ritorno alla identificazione tra poesia e retorica (Sulla mitologia - Sermone di Monti. A questa pericolosa tendenza D. oppone la difesa d’Alfieri contro i critici francesi contemporanei (Veuillot e la Mirra, Janin, Janin e Alfieri, Vanin e la Mirra), ed evidentemente questa polemica ha un profondo retroterra politico: la rivalutazione della fase "eroica" del classicismo settecentesco, nella cultura "rivoluzionaria" dell'intera Europa. Perciò questa rivalutazione riguarda anche Foscolo (Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e Foscolo e Storia di Gervinus, e la polemica colpisce anche un critico come A. de Lamartine ("Cours familier de littérature par Lamartine). Nello stesso ambito il modello di Hugo viene proposto come sostanzialmente positivo (Triboulet e "Le contemplazioni" di Hugo) ed è possibile perfino il recupero di un classico manierato come Racine, perché capace di creare dei grandi personaggi drammatici (La Fedra di Racine). In questo ambito, infine, si configura una delle prime, ma già precise professioni di realismo di D. critico (Saint-Marc Girardin).Il sentimento astratto non è poesia, non è cosa vivente ... La poesia dee riprodurre la realtà vivente. Il poeta dee rappresentarci un uomo vivo, perché questo, in quanto tale, è già un perfettissimo personaggio poetico.  La progressiva conquista di un punto di vista "realistico" con cui guardare al testo letterario è registrata dai ricchi appunti che ci restano (a cura di V. Imbriani) delle lezioni zurighesi sul Poema epico. Proprio in questa sede D. usa per la prima volta il termine "realismo" (ancora nuovo nella critica francese più avanzata da cui lo deriva), mentre ribadisce il rifiuto del "sistema" hegeliano come strumento di critica letteraria e conferma la validità degli strumenti d'approccio al testo ricavabili dall'estetica hegeliana. Il messaggio filosofico più complessivo, nell'ultima fase del suo esilio e del suo vitale contatto con le avanguardie europee, fu affidato da D. al dialogo Schopenhauer e Leopardi. Anche questo testo ha una struttura leopardiana (ispirata alla provocatoria ironia delle Operette morali), ma s'interessa a Leopardi solo nell'ultima parte, dedicando molto spazio all'illustrazione del pensiero di Schopenhauer, indicato come il liquidatore di un'epoca (quella dell'Ottantanove, del Trenta, del Quarantotto) che egli considera "un'illusione, o piuttosto ... una imbecillità generale". La filosofia di Schopenhauer è, perciò, "nemica della libertà, nemica dell'idee, nemica del progresso"; in politica, egli ripropone "lo Stato monarchico, la nobiltà, il clero, i privilegi", nega la libertà di stampa e odia Hegel come "corrompiteste" (la moda di Schopenhauer in Europa è, in sostanza, un grave sintomo di regresso storico: la sua tardiva riscoperta equivale a un'abiura di tutto il progressismo europeo. A prima vista, il rifiuto dell'ottimismo ideologico accosta Leopardi a Schopenhauer; ma, in realtà, c'è tra i due una vera e propria opposizione, e Leopardi è tanto interno alla fase eroica (progressista e rivoluzionaria) dell'umanità, quanto ad essa è estraneo e ostile Schopenhauer. La differenza non è solo nel materialismo di Leopardi (opposto allo spiritualismo di Schopenhauer) o nelle sue scelte di stile inamabile (mentre Schopenhauer si affida al fascino della retorica), ma anche e soprattutto nell'effetto di lettura che Leopardi produce come uomo e poeta veramente grande (egli non crede al progresso, e te lo fa desiderare non crede alla libertà, e te la fa amare , è scettico, e ti fa credente).  Dopo le speranze e le delusioni della seconda guerra d'indipendenza, sulla scia dell'impresa dei Mille, D. lascia improvvisamente Zurigo e il politecnico e ritornò a Napoli, dove svolse un ruolo, probabilmente importante, nella mediazione che portò il partito garibaldino (e lo stesso Garibaldi) ad accettare il plebiscito piemontese. Per nomina di Garibaldi, appunto in fase di preparazione del plebiscito annessionistico, è governatore della provincia di Avellino e si mostrò attivissimo organizzatore del consenso politico, della guardia nazionale locale, della lotta al banditismo (che è già esploso violento in Alta Irpinia, recuperando antiche radici sanfediste). Subito dopo, è direttore dell'Istruzione a Napoli e, in quindici giorni, tesaurizzando tutte le precedenti esperienze di riforme liberali degli studi, impostò una vera e propria rifondazione della scuola napoletana. All'università chiamò ad insegnare illustri rappresentanti della cultura liberale (da Spaventa a Ranieri, a Bonghi, a Imbriani, a Villari, a Mancini); in sostituzione del liceo gesuitico istituì un ginnasio-liceo statale; per la formazione dei maestri elementari (sua grande preoccupazione di progressista ottocentesco) deliberò l'istituzione di scuole "normali" in tutte le province della luogotenenza (non senza ragione, il 1860 resta per sempre nei suoi ricordi come il periodo eroico della sua vita).  Eletto deputato al primo Parlamento nazionale unitario, fu ministro della Istruzione pubblica con Cavour e con Ricasoli, continuando sulla linea già tracciata a Napoli, ma senza ripetere l'exploit, nell'ambito della troppo vasta e ibrida realtà nazionale (in pratica, rinunciando .all'ambizione di produrre una legge di riforma della scuola italiana, si limitò ad estendere con decreti all'Italia unita la legge Casati). Ciò che resta di più indicativo del primo periodo di attività come ministro è proprio la linea di tendenza teorizzata nel programma iniziale e vanificata dall'opposizione dei gruppi reazionari (Noi abbiamo decretato la libertà in carta. Sapete, o signori, quando questa libertà cesserà di essere una menzogna? Quando noi avremo effettivamente uomini liberi; quando della plebe avremo fatto un popolo libero. Provvedere all'istruzione popolare sarà la mia prima cura). In questo ambito si pone anche la battaglia per istituire una rete capillare di "scuole tecniche" e "istituti professionali", nonché l'impegno per la qualificazione degli studi scientifici (ma molto avversate furono anche in questo campo le più importanti scelte progressiste, come quella che portò il materialista e "rivoluzionario" J. Moleschott ad insegnare fisiologia nell'università di Torino). Dopo questo incarico ministeriale, pur sempre rieletto in Parlamento (con la sola parentesi di un anno), D. rimase estraneo e in forte opposizione rispetto ai nuovi gruppi di potere (le "consorterie", che vedeva via via riavvicinarsi ai "retrivi" e ai "codini"), su una linea mediana di progressismo monarchico e antirivoluzionario. Su questa linea si pose il giornale L'Italia (che egli diresse, in appoggio al gruppo emergente della Sinistra costituzionale, che nel 1865 ottenne proprio nel Sud il suo primo successo elettorale. L'appassionamento garibaldino ai tempi di Mentana, la firma del manifesto di opposizione crispina e un importante discorso di denuncia contro il riemergere del clericalismo (in campo ideologico, politico ed economico) segnarono i punti più alti della sua partecipazione politica. Sposa, a Napoli, Maria Testa dei baroni Arenaprimo, ma il matrimonio agiato, da cui non nacquero figli, non è sufficiente a sconfiggere la precarietà economica in cui tutta la sua vita si svolse, né fornì uno stabile nutrimento al suo complesso bisogno di réve e di comunicazione sentimentale. All'interno di una sempre meno inconfessata delusione politica e personale, egli tornò, quindi, agli studi che gradualmente ridivennero protagonisti della sua vita: pubblica in volume i Saggi critici (dove raccolse gli scritti giornalistici dell'esilio), il Saggio critico sul Petrarca, la Storia dellaletteratura italiana, i Nuovi saggi critici. Il Saggio critico sul Petrarca ripropone un corso di conferenze tenuto a Zurigo, con pochi mutamenti e con una "introduzione. Esso si articola in dodici capitoli (tre dedicati alla personalità del poeta e al suo mondo culturale; gli altri strutturati come lettura tematica e analisi del Canzoniere) ed è finalizzato a fornire un preciso punto di vista per l'interpretazione del testo petrarchesco, sulla base della teoria elaborata da D. a partire dalla "prima scuola" e consolidata appunto negli anni dell'esilio (tesaurizzazione dell'illuminismo, del romanticismo, dell'hegelismo; rifiuto del metodo sistematico e dei suoi esiti panlogistici; rivendicazione della poesia come forma uscita dal più profondo della vita reale e come sostanza vivente, secondo i grandi modelli di Omero, Dante, Ariosto, Shakespeare). In quest'ottica, Petrarca va riscoperto, pur con i limiti che la cultura romantica ne aveva segnalato, e va rivalutato per quel che lo separa dal petrarchismo (cioè dalla sua riduzione a modello rettorico e platonico). La poesia di Petrarca va, quindi, individuata in particolari "situazioni" liriche (soprattutto nella malinconia e nei momenti d’abbandono sentimentale), pur tra gli ostacoli frapposti dall'educazione "rettorica" e da una visione "spiritualistica" della vita. Particolare interesse è rivolto alla figura di Laura (cui sono intitolati quattro capitoli): Laura è "la creatura più reale ... che il Medioevo poteva produrre", e la sua "realtà", tutta interiorizzata nella poesia del Canzoniere, non si spegne, ma si ravviva dopo la morte del personaggio (proprio in questa "situazione" Petrarca tocca le sue rare punte di "poesia sublime").  La Storia della letteratura italiana nacque come testo scolastico ed è, infatti, una sintesi didattico-pedagogica di materiali in gran parte preelaborati secondo una precisa metodologia critica (quella appena illustrata a proposito del saggio petrarchesco) e utilizzati per un progetto complessivo di informazione-formazione (il progetto dell'educazione nazionale) nel quale convergono tutte le attese (ed anche i timori) di D. letterato e politico. Divisa in venti capitoli, la Storia disegna una linea di svolgimento della letteratura italiana secondo il principio direttivo (ufficialmente dichiarato da D. in uno dei suoi saggi) della "successiva riabilitazione della materia (d’un graduale avvicinarsi alla natura e al reale, in parallelo con i progressi della scienza, della cultura, del costume, della vita politica, della stessa morale). Ma la finea risulta tutt'altro che retta e univoca: sia perché l'ipotesi del graduale svolgimento della storia letteraria verso mete progressive è fortemente contraddetta dalle fasi di stasi, d'involuzione, di "ritorno"; sia perché continuamente emergono distanze o divaricazioni tra livello storico e livello letterario (e qui s'innesta la forte rivendicazione della forma come valore specifico del testo letterario); sia, infine, perché (in base alla predilezione per il metodo monografico e per l'analisi testuale) il racconto della Storia alterna lunghe soste con rapidissimi voli, grandi indugi analitici con improvvise e fortissime elisioni. La Storia procede, perciò, per grandi nodi tematici e testuali, muovendosi in un sistema "a spirale" di allusioni e richiami tra fenomeni, autori, epoche, con un disinibito oscillare del linguaggio dal familiare e dal basso all'oratorio e al patetico, non senza momenti di carattere mimetico a ciascun livello di scrittura (sono queste, del resto, le caratteristiche peculiari del suo composito stile). Seguendo il cammino della Storia a partire dai primi capitoli, troviamo anzitutto ISiciliani come scuola poetica feudale e cortigiana, legata alla potenza della corte sveva e destinata a spegnersi prima che "venisse a maturità", radicandosi nelle "classi inferiori". Proprio questo processo di radicamento si analizza nel ben più complesso capitolo intitolato I Toscani, ma centrato soprattutto sulla cultura bolognese (e sulla scienza che si sviluppò in senso antifeudale presso l'università di Bologna). Il punto d'arrivo di questa storia del mondo lirico medievale è ALIGHIERI. Il breve capitolo dedicato a La lirica d’ALIGHIERI la definisce come la voce dell'umanità a quel tempo: ALIGHIERI rappresenta (vichianamente) l'epoca della fantasia, ed è la prima fantasia del mondo moderno". Il discorso ritorna alle origini, per esaminare La Prosa e I Misteri e le Visioni, che esprimono l'idea religiosa penetrata ne' costumi e nelle istituzioni, ma che restano a livello di fase letteraria preparatoria dell'aureo Trecento. A questo secolo è dedicato un capitolo molto puotiano (attento ai Fioretti, a Cavalca e a Passavanti. ai testi di s. Caterina da Siena e alla "maravigliosa cronaca" di D. Compagni), che però anch'esso converge, romanticamente, verso la grande figura protagonistica di Dante. La trecentesca "commedia dell'anima" esprime, infatti, l'ordito culturale da cui nasce La Commedia, con la sua "base ascetica" e la sua radicata abitudine alla "allegoria". Ma tutto ciò rappresenta (secondo l'ottica tipica del D. dantista) la "falsa poetica" attraverso e nonostante la quale Dante crea un'opera somma di poesia (una vasta analisi del poema tende proprio a mostrare come, per virtù di passione e di poesia, esso possa esprimere, "ancora pregno di misteri, quel mondo che, sottoposto all'analisi, umanizzato e realizzato, si chiama oggi letteratura moderna"). Il capitolo defficato al Petrarca (Il Canzoniere) è breve, ma fondamentale: Petrarca non è solo un artista pieno di grazia e di "malinconia", ma è il rappresentante di una nuova generazione culturale che, dopo Dante, "volgeva le spalle al Medio Evo e si afferma popolo romano e latino. In questa scelta, secondo D., c'è una profonda ambivalenza (da una parte c'è il "rinnovamento" inteso come nascita della coscienza laica; dall'altra la letterarietà come "erudizione", imitazione, abito retorico), in cui si muoverà, per lunghi secoli, la storia della letteratura italiana. E in un'ottica così conflittuale il Decamerone appare come "l'apoteosi dell'ingegno e della dottrina" in dimensione laica, ma anche come espressione di un "niondo borghese" che, liberatosi dai vincoli dello spiritualismo, non riesce ad innalzarsi, al di là del comico, fino alle "alte regioni dello spirito". Il Cinquecento è il secolo che vede l'arte assoldata al mecenatismo, pur quando potrebbero porsi le condizioni storiche per un avvicinamento tra cultura e "popolo" (ad esempio, nella Firenze medicea) e pur quando sono già stati raggiunti grandi vertici di raffinatezza letteraria (ad es., nelle Stanze del Poliziano). Infine il Seicento, simboleggiato da Marino, produce in letteratura idilli ed elegie, voluttà e musica, mentre l'intellettuale italiano si fa "estraneo al movimento della cultura europea e a tutte le lotte del pensiero", stagnando "in un classicismo e in un cattolicesimo di seconda mano". Nell'arco, e sempre in chiave antifrastica, sono tanti gli episodi letterari che il D. analizza, e ad alcuni, comunemente ritenuti minori, dedica interi capitoli: a Sacchetti, a La Maccaronea, ad Aretino. L'opera d’Ariosto (L'Orlando furioso) è esaminata secondo i parametri zurighesi: inserita nella serialità storica, essa si propone come "sintesi dell'intero Rinascimento", mentre l'"ironia" e il "riso scettico" di Ariosto si manifestano espressione di un secolo adulto"(cioè divenuto capace di critica e ormai maturo per la libertà borghese, pur nell'accettazione di fatto della realtà cortigiana). Tasso, autore-simbolo dell'ambivalenza ideologica e sentimentale, offre l'occasione per un discorso altrettanto ambivalente sulla Contro-riforma e sul suo significato storico-culturale. Il poema del Tasso è lo specchio della "ipocrita" cultura controriformistica italiana e i suoi valori letterari vanno individuati in senso opposto rispetto a quello programmatico e ufficiale: non nella falsa" religiosità, ma nell'idillio, nell'elegia, nella voluttà (Tasso è, perciò, accostato al Petrarca, nella tradizione di storiografia politica risalente a Sismondi e Ginguené). Ma proprio al centro dell'arco storico c'è una punta alta, un grande ritratto in positivo: quello di Machiavelli, che riesce a costruire una valida ipotesi di rinnovamento, sia opponendo alla teocrazia l'autonomia e l'indipendenza dello stato (un presentimento dei nostri ordinamenti costituzionali"), sia rinnovando il "metodo" della conoscenza, col rifiuto della teologia e del principio d’autorità (per lui "la verità è la cosa effettuale, e perciò il modo di cercarla è l'esperienza accompagnata con l'osservazione, lo studio intelligente dei fatti"). Evidentemente, il ritratto di Machiavelli (liberato da tutte le riserve moralistiche precedentemente espresse su di lui) è un caso-limite d'interpretazione "tendenziosa" di un autore: se è scelto a simboleggiare la politica e la scienza moderna, è perché il D.-maestro che scrive la Storia (l'anno della presa di Roma, a cui esplicitamente egli fa riferimento) vuol proporre ai giovani un preciso progetto di produzione letteraria che leghi indissolubilmente letteratura, "scienza" e politica laica (e che indichi anche lo strumento di una lingua letteraria "precisa e concisa", antiretorica e antimusicale, che pure a Machiavelli viene attribuita con qualche forzatura). Nel nome di Machiavelli, dunque (anche se a distanza di 4 capitoli), si apre la parte moderna e propositiva della Storia, che consiste nei due ultimi lunghissimi capitoli, intitolati La nuova scienza e La nuova letteratura. Il rapporto tra essi è derivativo: la "nuova letteratura" non potrà nascere se non dalla scienza, che ha come obiettivo il progresso e il miglioramento dell'uomo, e che ha come principale strumento la libertà intellettuale e politica. Perciò, "i primi santi del mondo moderno" (i primi intellettuali capaci di "lottare, poetare, vivere, morire per la fede nel progresso) sono Bruno, Telesio, Campanella, Galilei; e poi Sarpi, Vico, Giannone; infine Beccaria e Filangieri, con alle spalle il pensiero laico europeo, da Bacone alla Rivoluzione francese. Come s'innesta in questo clima la nuova letteratura? Dopo l'affascinante ma superficiale opera di Metastasio, l'innesto si realizza con la scelta illuministica di utilizzare cose e non parole. Il primo autore vero della nuova letteratura è Goldoni (ma con dei limiti di superficialità). Il primo "uomo nuovo" è Parini, e poi vengono Alfieri e Foscolo (col Monti personaggio negativo), ma con dei limiti negli eccessi e nelle scelte di stile retorico. L'Ottocento (pur con la sua tensione d'impegno e di sperimentazione) non ha ancora offerto, in Italia, modelli attendibili per il cammino da percorrere. Il nostro futuro letterario è, perciò, incerto ma la direzione da seguire è chiara: "convertire il mondo moderno in mondo nostro, studiandolo, assimilandocelo e trasformandolo, esplorare il proprio petto secondo il motto testamentario di Leopardi, questa è la propedeutica alla letteratura nazionale moderna".  Nella seconda edizione dei Saggi critici e poi nei Nuovi saggi critici D. inserì alcuni saggi (in gran parte composti per la Nuova Antologia) che precedono o accompagnano la stesura della Storia e che nei confronti di essa risultano in diverso modo illuminanti. Il più antico è Una Storia della letteratura italiana di Cantù, che, recensendo l'opera appena pubblicata, la denuncia come fondata su pregiudizi e superficiale dottrina e su valori che nulla hanno a che fare col letterario (perciò l'inevitabile sottovalutazione di autori come Machiavelli, Ariosto, Leopardi, Alfieri, Giusti, Berchet, cui si contrapporrà, appunto, la Storia desanctisiana). Fondamentale, per chi indaghi sulla genesi della Storia, è il saggio Settembrini e i suoi critici, in cui D. condanna il grave limite del contenutismo radicale settembriniano, così come aveva condannato il contenutismo cattolico-moderato di Cantù, ed afferma che una vera storia della letteratura dovrebbe essere un lavoro interdisciplinare (con contributi di filosofia, critica, arte, storia, filologia") al quale la cultura italiana non è ancora attrezzata (risalendo queste considerazioni al periodo iniziale di stesura della Storia, esse dimostrano la problematicità di D. nei confronti della sua opera maggiore, e la profonda consapevolezza della "parzialità" di essa). Più collegati alla componente ideologica "positiva" della Storia risultano L'Armando di Prati e L'ultimo dei puristi. Nel primo si denuncia la fine dei "tempi sentimentali" e si afferma, per il presente, la necessità di un impegno tutto reale e concreto (il materialismo è uscito trionfante dal seno stesso del mondo hegeliano" e impone la "serietà della vita terrestre"); nel secondo, la stroncatura di un purista attardato (Ranalli) dà luogo a una attenta e intelligente rievocazione del Puoti e della sua scuola, che fu bandiera di libertà, scienza, progresso, emancipazione, ma che (a parte il valore sempre vivo del "metodo" puotiano) esaurì il suo ruolo storico alla vigilia della fase rivoluzionaria (al presente, ogni nostalgia puristica risulta storicamente e politicamente ingiustificata). Anche i grandi saggi danteschi (Francesca da Rimini, Il Farinata di Dante, L'Ugolino di Dante) nacquero in margine alla Storia, sia come ripresa del tema-Dante (e, in particolare, delle riflessioni zurighesi), sia come esempio di quel lavoro di monografia che D., all'epoca, considerava storicamente e scientificamente più valido delle "sintesi". I personaggi danteschi prediletti dalla cultura romantica ed hegeliana sono letti rispettivamente in chiave di amore e pietà femminile (Francesca), orgoglio politico (Farinata), complessità e profondità di sentimenti antinomici (Ugolino), nell'ambito di un'attenta, colta, sensibile lettura testuale (era in questo, appunto, che D. voleva proporsi come modello di critica attuale, paziente e costruttiva, ed è appunto questo l'aspetto dei Saggi che va ancor oggi rivendicato). Il saggio L'uomo del Guicciardini ripropone l'antitesi (presente anche nella Storia) fra Machiavelli, precursore del nazionalismo moderno, e Guicciardini, il cui particulare rifiuta ogni vincolo religioso, morale, politico (ma la vera funzione del saggio si esplicita nell'ultima frase, di amara denuncia della situazione politica presente: L'uomo del Guicciardini vivit, immo in Senatum venit, e lo incontri ad ogni passo. Venne affidata a D. la cattedra di letteratura comparata nell'università di Napoli, dove egli tenne quattro corsi (è questa l'esperienza nota come seconda scuola napoletana, che produce quattro gruppi di lezioni, rispettivamente su Manzoni, Scuola cattolico-liberale, Scuola democratica, Leopardi). Contemporaneamente pubblicò una seconda raccolta di saggi (Nuovi saggi critici, Napoli) e inaugurò quella serie di conferenze e articoli sugli orientamenti della letteratura contemporanea in chiave realistica che sarebbe continuata, per dieci anni, fino alla vigilia della morte. Realizza un nuovo momento d'impegno politico attivo, in occasione delle elezioni che prepararono l'avvento al potere della Sinistra costituzionale (in particolare, appoggia, con un'avventurosa campagna elettorale, la propria candidatura - difficile e piuttosto equivoca - nella provincia d'origine, e ne rivisse il ricordo in una serie di cronache giornalistiche pubblicate prima sulla Gazzetta di Torino e subito dopo in volume, col titolo Un viaggio elettorale. Data il terzo e ultimo episodio importante di giornalismo politico desanctisiano: ancora un impegno battagliero, ma interno alla Sinistra (contro la gestione trasformistica e antidemocratica del potere da parte di Depretis e Nicotera), condotto soprattutto sulle colonne del Diritto di Roma. Cairoli riaffida a D. il ministero della Pubblica Istruzione che egli tenne fino al 1880, riproponendo i problemi della scuola di tutti (la scuola per l'infanzia, la scuola primaria, la formazione dei maestri) e quelli dell'istruzione tecnica, in un'ipotesi di cultura "scientifica" da sostituire alla "cultura retorica"; ma ancora una volta fu sconfitto nei punti più qualificanti del suo programma (la traccia più concreta che ne rimase fu l'inserimento dell'educazione fisica tra le materie d'insegnamento: un omaggio alla rivalutazione positivistica dell'uomo fisico). Colpito da una grave malattia agli occhi, lasciò l'incarico ministeriale e dedicò i suoi ultimi anni di vita a un lavoro di riflessione autobiografica (le Memorie che andò dettando alla nipote Agnese) e critica (soprattutto ripresa e riorganizzazione della riflessione petrarchesca e leopardiana). Muore a Napoli, lasciando incompiuti i suoi ultimi lavori, cui, pur tra le sofferenze della malattia, si dedicò sino alla fine.  Come tutti i principali episodi dell'insegnamento desanctisiano, anche le lezioni della "seconda scuola napoletana" sono documentate da riassunti (redatti in genere da Torraca), rivisti e ufficialmente accettati dall'autore. Il corso è dedicato a Manzoni e rappresenta il punto d'arrivo di una riflessione iniziata all'epoca della "prima scuola", sviluppata a Zurigo e rimasta sempre centrale nella ricerca di D., pur senza trovare una sistemazione editoriale. In queste lezioni le posizioni ideologiche e gli strumenti di ricerca sono molto cambiati rispetto agli anni della "prima scuola", ma non cambia il giudizio di valore. La grandezza del Manzoni è identificata ora nella sua capacità di "calare l'ideale nel reale": da lui escono tre "grandi idee critiche che hanno importanza universale": la "misura dell'ideale", il "vero" positivo e storico, la "forma" diretta e "popolare". Manzoni rappresenta la massima realizzazione della letteratura "moderna" in Italia e le "scuole letterarie" non segnano alcun progresso né sul piano dell'arte né su quello dell'ideologia. Negli anni successivi. D. analizzò, appunto, lo svolgimento della letteratura in Italia a partire dal Manzoni, dividendola (secondo una traccia già seguita da Giudici, da Settembrini e da altri) nei due filoni cattolico e laico, definiti rispettivamente "scuola liberale" e scuola democratica. Alla Scuola liberale è dedicato l’anno di lezioni universitarie, con risultati di giudizio fortemente militanti: l'impegno dei cattolici per l'"educazione popolare" non offre risultati validi in arte e svolge un ruolo (più o meno esplicito) d'insegnamento reazionario (nuovi Arcadi sono Grossi, Carcano, Tommaseo, Cantú; Gioberti e Rosmini ripropongono una dimensione metafisica della storia e della politica; D'Azeglio resta attardato su una vecchia e superata immagine di letteratura retorica). Un interessante excursus riguarda, però, la letteratura meridionale dell'Ottocento: poeti poco noti (come Mauro, Padula, Parzanese, Sole) vengono esaminati con interesse e simpatia. Il corso è dedicato alla scuola democratica, e anche in quest'ambito il giudizio globale è negativo: Mazzini, Rossetti, Berchet, Niccolini non possono fornire il modello della "nuova letteratura". Si conferma così l'esito perplesso e sostanzialmente pessimistico che caratterizza le ultime pagine della Storia e l'affermazione del principio del realismo. I saggi più importanti elaborati da D. nell'ultimo decennio di vita riguardano, appunto, le tematiche del realismo (alcuni di essi furono raccolti nei Nuovi saggi critici). Dopo la prolusione universitaria La scienza e la vita, sono da ricordare: Ilprincipio del realismo, Studio sopra Emilio Zola, Zola e l'Assommoir, Il darwinismo nell'arte. L'assunto complessivo è che il "realismo" auspicato da D. non si può confondere né col materialismo, né col positivismo, né col naturalismo di Zola (il quale, però, è molto valido come scrittore: lo studio a lui dedicato è particolarmente vasto e attento). La letteratura del "reale" dev'essere (cfr. Manzoni) "l'ideale calato nel reale", e cioè una costruzione "eticac forza morale impegnata per rinnovare la società, contro l'individualismo, la reazione, l'autoritarismo sempre in agguato.  Nell'ultima fase della sua vita D. non si limitò a teorizzare l'importanza e la "modernità" del realismo in letteratura, né ad inserirsi con diversi strumenti critici all'interno del problema per farne emergere i pericoli (o quelli che a lui sembravano tali sul piano morale e politico), ma volle fornire delle prove concrete di narrativa realistica, utilizzando un registro di linguaggio "familiare", che già aveva usato nelle sue lettere alla moglie (con estrema semplificazione sintattica e con frequenti coloriture dialettali) e che, del resto, non era ignoto ai momenti più colloquiali della sua critica. L'operetta narrativa che elaborò in funzione di esempio e modello fu Un viaggio elettorale (1876): una serie di cronache del tragicomico attraversamento della provincia natia da lui compiuto a sostegno di una candidatura politica poco chiara e poco fortunata. Nella cronaca, il bozzettismo locale si alterna col patetico dei ricordi d'infanzia o delle esortazioni politiche; ma il senso del testo va ricercato più nella sua funzione che nei suoi esiti, né si può dimenticare che nella storia del realismo italiano esso si colloca quasi in contemporanea con Nedda, quattro anni prima di Giacinta, sei anni prima dei Malavoglia.  Alla vigilia della morte (sempre su materiali autobiografici e sempre in ambito di racconto dal vero in linguaggio familiare), il D. perseguì un progetto molto più ambizioso: la stesura di un'autobiografia, della quale, però, non riuscì a portare a termine che la prima parte (egli l'aveva intitolata Memorie; Villari ne pubblicò il frammento realizzato col titolo La giovinezza). Così come ci resta, il frammento narra l'esperienza di D. dalla nascita e consta di due nuclei narrativi essenziali. Il primo è legato ai personaggi bozzettistici della famiglia paesana e degli ambienti napoletani alti e bassi (preti, professori, avvocati, ragazze da marito, giovani avventurieri, vecchie serventi) e, al centro di essi, l'autore pone il personaggio "comico" di se stesso, pieno di tic, di timidezze, di chiusure, di sogni. Il secondo nucleo è legato, invece, alla formazione culturale e all'esperienza della prima scuola. Qui il tessuto è molto serio e impegnativo: D. (utilizzando ricordi, ma soprattutto vecchi "quaderni di scuola") vuole offrire un importante contributo alla critica di se stesso, mostrando come siano andate formandosi le linee di forza del suo metodo. In ciò la vita non è del tutto veritiera (molti sono gli imprestiti ideologici e teorici che D. fa al se stesso maestro di Vico Bisi), ma resta, comunque, il fascino di un clima in cui rivivono Puoti e Leopardi, la scoperta del romanticismo, di Vico e di Hegel, l'autoritarismo borbonico e le utopie libertarie del primo '800 napoletano.  Nell'ultimo anno d'insegnamento all'università di Napoli, argomento delle lezioni era stato Leopardi: dagli appunti delle lezioni D. ricavò, negli ultimi mesi di vita, uno Studio su Leopardi, che segue il poeta nelle diverse tappe della vita, dell'opera, del pensiero, secondo lo schema della biografia critica di taglio positivistico. La biografia rimane, però, incompiuta, chiudendosi al livello dei "nuovi idilli" (come D. definisce i grandi canti), e proprio in questo tentativo di riduzione di Leopardi alla misura dell'idillio lo Studio è stato foriero di gravi equivoci e fraintendimenti nella successiva critica leopardiana, mentre in D. si giustifica come tentativo di leggere Leopardi in quella stessa chiave di realismo che si era rivelata funzionale per il Manzoni e il suo romanzo. Celebri, proprio in quest'ambito, le riflessioni sulle figure femminili dell'"idillio" leopardiano ("Silvia non è questa o quella donna; è il primo apparire della giovinezza in un cuore femminile", ecc.); ma, a parte questo, lo Studio non aggiunge molto né alla conoscenza del Leopardi né alla critica di Sanctis. In sostanza, il meglio su Leopardi era stato detto nel saggio (ma non vanno dimenticate certe importanti considerazioni della "prima scuola", né il ruolo interessantissimo, problematico e antidogmatico, che Leopardi ha nelle ultime pagine della Storia). Altri saggi leopardiani appartengono alla fase e al clima di ricerca della Storia (La prima canzone di Leopardi; Le nuove canzoni; La Nerina). In quest'ultimo, ancora un esame (forse uno dei più importanti) della donna nella poesia leopardiana: "La vita è tutta e solo in terra... La morte è l'altro motivo tragico di questa concezione. Il motivo della Silvia è lo sparire. Il motivo della Nerina è il riapparire".  Lasciando da parte la fortuna del D.-maestro (un vero e proprio appassionamento suscitato nei giovani allievi di Napoli, Torino e Zurigo), per ricostruire la storia del dibattito su D. bisogna muovere da un dato obiettivo di iniziale sfortuna critica: lo scarto fra i tempi della genesi dei testi maggiori e quelli della loro pubblicazione. A causa di questo scarto, egli apparve subito come un idealista attardato (e perciò più meritevole di giudizi sommari che di attenzione testuale), nel clima di positivismo dominante in cui i suoi scritti si offrivano ad un'interpretazione globale (per es. F. D'Ovidio era convinto che D. ignorasse la pazienza della ricerca e dello studio, e Carducci gli attribuiva difetto di cognizione dei fatti e dei documenti"). A sintomatico che, in un dibattito così fortemente pregiudiziale, venisse del tutto ignorato non solo il tipo di formazione di D., ma anche l'ultimo decennio della sua produzione, con la dichiarata opzione "realistica" e con la forte propensione per lo scientismo. Ma proprio a causa della pregiudizialità del dibattito di fine secolo (rilevata, fin d'allora, da qualche attento osservatore straniero, come Gaspary), D. poté divenire, attraverso l'elaborazione crociana, lo strumento chiave per il rilancio di un metodo critico antipositivistico e per la progressiva riaffermazione culturale e ideologica dell'idealismo. A Croce spetta, certo, il merito di aver costretto la cultura italiana a riconoscere in D. un protagonista (la sua appassionata cura di editore e di studioso di D. durò per oltre mezzo secolo); ma, contemporaneamente, Croce prese a "rielaborare" il pensiero di D., fino a propome la riduzione a teoria del "puro" gusto estetico (Borgese, che presentò D. come punto di arrivo di "tutte le esperienze della critica romantica in Italia", fu, in realtà, uno dei primi e più autorevoli interpreti di questa tendenza riduttiva; scarsa fortuna ebbe, d'altra parte, una proposta di Gentile per un "ritorno al De Sanctis di SEGNO FASCISTA.  Proprio dall'interno della scuola crociana dai cosiddetti crociani di sinistra") è prospettata, tuttavia, l'esigenza di un dibattito diversamente impostato, volto al recupero della complessità della figura di D.: mentre Russo rivendicava "il significato pedagogico ed etico" dell'opera e la sua intelligenza dell'arte come notalità, Muscetta sottolineava l'importanza della sua poetica realistica, la sua "serietà" culturale, la sua visione della letteratura come vita morale. Importanti, in questa fase, furono anche gli studi di W. Binni sull'"amore del concreto" che nutrì tutta la ricerca desanetisiana e che problematizzò i suoi rapporti con l'hegelismo e di Getto sulla Storia, "in cui la letteratura era studiata nel suo autonomo valore e insieme nel suo necessario legame con tutta la vita e la cultura. Infine, presentando una importante antologia di scritti desanctisiani, Contini dichiara, a nome di un'intera generazione di studiosi, l'uscita dall'"equivoco formalistico" della riduzione crociana di D. e la necessità di tentare finalmente una comprensione filologica dei testi desanctisiani, con tutta la loro problematicità anche irrisolta. Ma lo spostamento ideologico dell'intero dibattito critico mosse dalla pubblicazione dei Quaderni di Gramsci (Letteratura e vita nazionale, Torino) e dalla sua celebre affermazione che il tipo di critica letteraria proprio della filosofia della prassi è offerto da Sanctis. Da qui appunto si partì per un'ampia verifica dell'"impegno" di D., del carattere militante della sua critica, dei "saldi convincimenti morali e politici" che, secondo Granisci, la sostanziavano: era una verifica, evidentemente, molto correlata al bisogno della cultura d'incidere sul presente storico, dopo e contro il "disimpegno" teorizzato, nel ventennio fascista, da crociani e non crociani. Questo momento di dibattito produsse, fra l'altro, le iniziative editoriali, cui si deve, oggi, la possibilità di leggere D. su testi di alto livello scientifico: le due collane avviate da Einaudi e Laterza (e dirette rispettivamente da Muscetta e L. Russo) per la pubblicazione delle "opere complete". E non a caso, negli stessi anni, apparivano fuori d'Italia (dove la letteratura desanctisiana è scarsissima) due importanti interventi critici: quello di R. Wellek (che nella sua grande Storia della critica moderna presenta D. come autore della "più bella storia che sia stata mai scritta di una letteratura") e quello di Antonetti (che ne pubblicò in Francia una documentata e intelligente biografia culturale). Né a caso sono condotte indagini nuove e approfondite sui legami tra D. e la cultura (Mirri, Landucci, Oldrini). In un clima culturale ancora una volta mutato, e ormai insofferente dell'insistenza sull'"impegno politico del letterato", si affermò l'esigenza di uscire dall'ottica di un D. modello per il presente, e di sottolineare (accanto ai "valori" ormai definitivamente affermati) la distanza storica e le diversità culturali che ci separano da lui. Tra gli interpreti di questa esigenza ricordiamo A. Asor Rosa e parecchi dei partecipanti al convegno napoletano su "De Sanctis e il realismo". Con maggiore cautela, le più recenti occasioni offerte dal centenario desanctisiano (F. D. nella storia della cultura, a cura di Muscetta, Bari e F. D.: un secolo dopo, a cura di A. Marinari) si sono mosse su una linea di attenzione ai testi, di chiarificazione e approfondimento della vasta ancora aperta e interessanteproblematica desanctisiana, di tricollocazione storico-culturale nel mutevole orizzonte di cultura europea in cui tutta la sua ricerca si mosse.  Il materiale manoscritto, ormai quasi tutto edito, si trova (tranne una parte di quello epistolare, sparso un po' in tutta Italia) a Napoli (Bibl. nazionale, bibl. di casa Croce e bibl. del dott. F. De Sanctis Jr.) e ad Avellino (Bibl. prov. S. e G. Capone). Restano inediti quasi solo i voll. dell'Epistolario.  Le raccolte degli scritti, dopo le incomplete ediz. Cortese e Barion (sono oggi quella laterziana (Bari, negli "Scrittori d'Italia", a cura di L. Russo, incompleta) e quella einaudiana (Torino, Opere di F. De Sanctis, a cura di C. Muscetta, priva soltanto degli ultimi due voll. dell'Epistolario). La raccolta laterziana comprende i seguenti voll.: La letteratura italiana, I (A. Manzoni, a cura di Blasucci); (La scuola liberale e la scuola democratica, cur. Catalano); (Leopardi, a cura di Binni); Storia della letteratura italiana, a cura di Croce; Memorie, lezioni e scritti giovanili, I, a cura di F. Brunetti; Saggio critico sul Petrarca, a cura di E. Bonora; Saggi critici, cur. Russo; La poesia cavalleresca, a cura di Petrini. La raccolta einaudiana, invece, comprende: Lagiovinezza (memorie postume seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli), cur. G. Savarese; Purismo illuminismo storicismo (scritti giovanili, frammenti di scuola e lezioni), cur. Marinari; La crisi del romanticismo (scritti del carcere e primi saggi critici), a cura di Nicastro e Lanza; Lezioni e saggi su Dante, a cura di S. Romagnoli, Saggio sul Petrarca, a cura di Sapegno e Gallo; Verso il realismo (prolusioni e lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, frammenti di estetica, saggi di metodo critico), a cura di N. Borsellino; Storia della letteratura italiana, a cura di Sapegno e Gallo; La letteratura italiana, Manzoni (a cura di C. Muscetta e D. Puccini, La scuola cattolico-liberale e il romanticismo a Napoli (cur. Muscetta e G. Candeloro, Mazzini e la scuola democratica (a cura di Muscetta e Candeloro), Leopardi (cur. Muscetta e Perna); L'arte la scienza e la vita (nuovi saggi critici, conferenze e scritti vari), a cura di M. T. Lanza; Il Mezzogiorno e lo Stato unitario (scritti e discorsi politici a cura di F. Ferri,; I partiti e l'educazione della nuova Italia (scritti e discorsi), a cura di N. Cortese; Un viaggio elettorale(seguito da discorsi biografici, dal taccuino parlamentare e da scritti politici vari), a cura di Cortese; Epistolario (cur. Ferretti e M. Mazzocchi Alemanni); (a cura degli stessi, (a cura di Talamo, (a cura dello stesso, (a cura di Marinari, Paoloni e Talamo). Ottime antologie degli scritti del D. sono quelle curate da G. Contini (Torino) e da Sapegno e Gallo (Milano-Napoli). Per la bibl. delle opere e della critica, cfr. Croce, Gli scritti di F. D. e la loro varia fortuna, Bari (con integrazioni di C. Muscetta, in F. De Sanetis, Pagine sparse, Bari ed E. Pesce, Supplemento alla bibliografia desanctisiana Napoli. Sono da tener presenti inoltre le rassegne: M. Tondo, La lezione di D. Rassegna degli studi dell'ultimo venticinquennio, Bari; P. Tuscano, F. D. a cento anni dalla morte, in Cultura e scuola; Oldrini, La storiografia desanctisiana dell'ultimo decennio, nel miscellaneo F. D. Un secolo dopo, a cura di A. Marinari, Bari.  Per la biografia, vanno ricordati anzitutto i seguenti saggi d'insieme: Cione, F. D., Messina-Milano e Milano Montanari, F. D., Brescia; Antonetti, F. D. Son évolution intellectuelle, son esthétique et sa critique, Aix-en-Provence; E. Croce-A. Croce, D., Torino. Per gli anni della formazione, sono da tener presenti i seguenti scritti: Croce, Introd. a F. De Sanctis, Teoria e storia della letteratura, Bari; A. Marinari, Introd. a Purismo illuminismo storicismo cit., nonché Le correzioni del Puoti ai primi due discorsi di scuola del D., in Belfagor, Id., Alcuni problemi di cronologia desanctisiana, Firenze e Il giovane D. lettore di P. Giannone, in Letteratura e critica, Studi in onoredi Sapegno, II, Roma; Savarese, Primo tempo del D. e altri saggi, Bologna; Luciani, L'estetica applicata di F. D., Firenze Muscetta, D. e i generi letterari in F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari. Per gli anni della prigionia e dell'esilio, sono indispensabili: E. Cione, F. D. dallaNunziatella a Castel dell'Ovo, Napoli; Croce, Il soggiorno in Calabria, l'arresto e la prigionia di F. D., Napoli ora in Aneddoti di varia letteratura, Bari); F. D. a Torino, a cura di C. Vernizzi, Torino; Guglielminetti-G. Zaccaria, F. D. e la cultura torinese e R. Martinoni, Gli anni zurighesi, entrambi in F. D. nella storia della cultura cit. (dello stesso Martinoni, cfr. anche La puzza della birra e del tabacco. Gli anni zurighesi di F. D. [1856-60], in L'Almanacco Bellinzona Besomi, D. "in partibus transalpinis", ma non "infidelium": letture zurighesi, in Per F. D., Bellinzona. Per gli anni sono da tener presenti i voll. dell'Epistolario con le rispettive introduzioni. Lo stesso vale per gli anni successivi. Per il soggiorno del D. a Firenze, cfr. G. Spadolini, D. e Firenze capitale, in F. D. Un secolodopo. Per il D. ministro, cfr.: G. Talamo, F. D. politico e altri saggi, Roma Soldani, Scuola e lavoro: D. e l'istruzione tecnico-professionale, inF. D. nella storia della cultura Ciampi, Il governo della scuola nello Stato postunitario, Milano ad Indicem; A. Santoni Rugiu, Aspetti dell'ideologia formativa di F. D., nonché S. Valitutti, Il pensiero e l'azione scolastica di D. ed Bottasso, D. ministro e la formazione delle prime tre biblioteche nazionali (tutti in F. D. - Un secolo dopo cit.). Per la morte e le onoranze funebri, cfr. In memoria di F. D., a cura di M. Mandalari, Napoli a cura della Comunità montana Alta Irpinia). Tra gli studi critici di carattere generale, cfr.: B. Croce, F. D., in Letteratura della nuova Italia, I, Bari (per gli altri scritti desanctisiani del Croce, cfr. G. Savarese, Croce e D., in Rassegna della letteratura italiana, Russo, F. D. e la cultura napoletana, Venezia(poi Firenze, ora Roma Muscetta, F. D., inLetteratura italiana. I minori, IV, Milano  e in Letteratura italiana. Storia e testi, VIII, 1, Bari 1975, ibid 19854; M. Fubini, F. D. e la critica letteraria, in Romanticismo italiano, Bari Mirri, F. D. politico e storico della civiltà moderna, Messina-Firenze; Landucci, Cultura e ideologia di F. D., Milano (sul quale cfr. M. Mirri in Critica storica, e la risposta di S. Landucci, in Belfagor); A. Asor Rosa, L'idea e la cosa: D. e l'hegelismo, in Storia d'Italia (Einaudi), Torino e Il diagramma Sanctis e il nostro, in Letteratura italiana (Einaudi), Torino Utilissime sono anche tutte le introduzioni ai singoli volumi delle edizioni cinaudiana e laterziana. Sono da tenere inoltre in grande considerazione le osservazioni di I. Svevo (in Racconti. Saggi. Pagine sparse, Milano e Debenedetti (Commemorazione del D.),  (ora in Saggi critici, Milano), nonché quelle di Binni (L'amore del concreto e la "situazione" nella prima critica desanctisiana , ora in Critici e poeti dal Cinquecento al Novecento, Firenze), G. Contini (Introd. a Sanctis, Scelta di scritti critici, cit.); G. Getto (Storia delle storie letterarie, Milano ad Indicem), C. Dionisotti (Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, ad Indicem) e Wellek (Storia della critica moderna, IV, Bologna. Molto ricche sono le miscellanee: F. D. e il realismo, con Introd. di G. Cuomo, Napoli 1978; F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari; F. D. tra etica e cultura ("Riscontri"), a cura di Giordano, Avellino; D. - Un secolo dopo, a cura di A. Marinari, Bari; Per F. D., Bellinzona; F. D.: recenti ricerche, a cura dell'Ist. per gli studi filosofici, Napoli 1989.  Per i rapporti fra il D. e la cultura napoletana dell'800, cfr. gli scritti di G. Oldrini (in particolare, La cultura filosofica napoletana dell'800, Bari e gli interventi apparsi nelle varie miscellanee già citate). Per quelli con l'hegelismo, oltre allo scritto già cit. del Binni, cfr.: N. Giordano Orsini, D., Hegel e la situazione poetica, in Civiltà moderna, Rossi, Sviluppi dello hegelismo in Italia (F. D., S. Tommasi, A. Labriola), Torino; Il primo hegelismo italiano, a cura di Oldrini, Firenze; M. T. Lanza, D. e Hegel, in F. D. nella storia della cultura, Landucci, cit.  Tra i tanti altri saggi, cfr. pure: M. Aurigemma, Lingua e stile nella critica di F. D., Ravenna Battaglia, Parva desanctisiana, Bologna Moretti, La lingua di F. D., Firenze Prete, Il realismo di D., Bologna Malcangi, F. D. deputato di Trani, con Introd. di A. Lapenna e A. Marinari, Bari 1972; A. Marinari, Il "viaggio elettorale" di F. D. Il dossier Capozzi e altri inediti, Firenze Ghilardi, Il superamento del kantismo e l'esperienza politica di F. D., Napoli Guglielmi, Da D. a Gramsci: il linguaggio della critica, Bologna Celli Bellucci-N. Longo, F. D. e G. Leopardi tra coinvolgimento e ideologia, Roma; M. Dell'Aquila, Giannone, D., Scotellaro. Ideologia e passione in tre scrittori del Sud, Napoli 1981; G. Nencioni, F.D. e la questione della lingua, Napoli.  Per i rapporti con le altre letterature europee: per la Francia cfr. F. Neri, Il D. e la critica francese (ora in Saggi, Milano); P. Antonetti, F. D. et la culturefrançaise, Firenze-Parigi Piscopo, D. e la culturafrancese, in F. D. - Un secolo dopo cit.; per la Germania, cfr.: G. Bach, La cultura tedesca in F. D., in Studi e ricordi desanctisiani, Avellino 1935; F. Matarrese, Goethe e D., Bari Westhoff, Schiller e D., Roma Mazzocchi Alemanni, La "fortuna" di D. in Germania, in F. D. nella storia della cultura; per il mondo angloamericano, cfr.: A. Lombardo, Shakespeare e la letteratura inglese, in F. D. - Un secolo dopo cit., Della Terza, D. e la cultura anglosassone, in F. D. nella storia della cultura cit., e D. negli Stati Uniti d'America, in F. D. - Un secolo dopo.  Per la fortuna critica dell'opera del D., cfr. Biscardi, F. D., Palermo Romagnoli, F. D., in Iclassici italiani nella storia della critica, a cura di W. Binni, II, Firenze; Castro, F. D. nella critica italiana del secondo dopoguerra, in Problemi, Longo, Il "ritorno" di D. Storia, ideologia, mistificazione, Roma Cfr. pure, al riguardo, le rassegne di G. Oldrini, M. Tondo e P. Tuscano citate a proposito degli scritti bibliografici. Sossio Giametta. Giametta. Keywords: il volo d’Icaro, l’implicatura di Croce – eterodossie crociane – Cosi parlo Zoroaster; cosi implico!”—cortocircuito e implicature, la pazzia di Croce, il pazzo di Croce – la caduta di Icaro? No, il vuolo di Icaro! – Colli e Montanari! --   Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giametta: cortocircuito ed implicatura” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giandomenico: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- l’apertura semantica e l’implicatura di Galilei – scuola di Carunchio -- filosofia chietese – filosofia abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Carunchio). Filosofo. Carunchio, Chieti, Abruzzo. Grice: “I like Giandomenico; he makes excellent commentary on Bernard’s controversial, deterministic idea of life – from amoeba to man, in Russell’s words --.” Grice: “Surely this has connections with my method in philosophical psychology, from the banal to the bizarre, which actually starts with philosophical BIO-logy!” Grice: “Giandomenico shows that while Bernard never thought he had to provide a ‘conceptual analysis’ of ‘vivente,’ he does propose this or that criterio: for one he tries to prove that self-nourishment cannot be the criterion – but I’m not sure what the positive he poes, if any!” Si laurea con Corsano all’istituto di filosofia di Bari.Insegna a Brindis, Lecce, Foggia, e Bari. Studia l'insegnamento di Filosofia  nei Licei. Studia filosofia della comunicazione. Fonda il Laboratorio di Epistemologia Informatica e il Centro per la Metodologia della Sperimentazione. Studia pragmatica computazionale e Informatica umanistica. Membro della Società Filosofica Italiana. Si occupato della storia della fisiologia, la storia sdell’informatica, l’informatica pragmatica, teoria della comunicazione, teoria dell’implicatura conversazionale, e teoria del segno. Pubblicato uno studio su Tommasi, che aderì alla sperimentazione. Ha trattato il contributo scientifico di Pende.  Analizza i fondamenti dell'informatica nei suoi rapporti con le teorie filosofiche, mettendo in evidenza le strutture epistemiche reciprocamente significative. “Filosofia ed informatica”, Inoltre, ha sperimentato applicazioni delle tecnologie informatiche nella ricerca umanistica.  Le ricerche condotte nell'ambito dell'informatica linguistica si sono proposte l'analisi linguistico-computazionale. L'obiettivo è stato quello di andare al di là del livello “lessicografico” – il filosofese – o terminologia filosofica, como ‘implicatura’ -- e di implementare una rete sintattica automatica con l'ausilio di software dedicati.  Il primo progetto ha riguardato l'analisi della conversazione nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di GALILEI. Usando un software, creato dal Laboratorio di Epistemologia Informatica di Bari, ricava un “vocabolario” (filosofese, terminologia filosofica, vocabolario filosofico) galileiano, procedere ad una prima valutazione dello stile ed avviare l'analisi “semantica” di un “concetto” utilizzato da Galileo. Ha raccolto, infine, questi spunti in una riflessione sui linguaggi dell'artificiale, intersecati con quelli della vita, sulle nuove tecnologie della comunicazione e sull'etica.  Altre opera: “Tommasi, filosofo, Bari, Adriatica; “Filosofia e sperimento” Bari, Adriatica; “Scienza, filosofia, letteratura, Verona, Bertani; “ Introduzione a Charcot, Fasano, Schena); “Epistemologia informatica, Bologna, Transeuropa); “ Filosofia e informatica. Bari: Laterza); “L'uomo e la macchina trent'anni dopo: Filosofia e informatica, Società Filosofica Italiana, Bari, Laterza); “Dall'offerta formativa alla creazione di un nuovo lavoro: la laurea umanistica” in Convegno per il corso "Informatica umanistica” BARI: G. Laterza); “Laboratori di psicologia tra passato e futuro, Lecce, Pensa Multimedia); “La prosa di Galileo: la lingua la retorica la storia, Lecce, Argo); “La filosofia come strumento di dialogo tra le culture, Bari, Mario Adda Editore); La Società Filosofica Italiana, Roma, Armando. Triggiani, Cultura, un fronte unico. Università e Comune per una rete dei contenitori, in Gazzetta del Mezzogiorno, A.L., Dopo la laurea faccio il master in orecchiette, in Specchio. Supplemento di La Stampa, F. Di Trocchio, Dall'archivio al futuro, in L'Espresso,de Ceglia, l. Dibattista, Semi di storia della scienza.  Milano, Angeli.  L’esperire immediato e l’esperienza mediata Affronteremo in questa lezione il difficile rapporto che s’instaura tra il mondo-della-vita e quello della scienza, tra esperienza diretta ed immediata ed organizzazione razionale. Husserl ritiene che le scienze moderne (matematiche e naturali) hanno bisogno di un nuovo fondamento, diverso e ben più solido di quello che vien loro solitamente attribuito dalla comunità degli scienziati, dei logici e dei metodologi. Per trovare questo nuovo fondamento, egli si rivolge direttamente al mondo-della -vita, cioè al mondo dell’esperienza concreta, nel quale le intuizioni si presentano al loro stato originario, non ancora elaborate in concetti: in una parola, si rivolge al mondo del precategoriale. A questo proposito egli mette in guardia gli scienziati, i quali ritengono di considerare la natura come è realmente e non si accorgono dell’astrazione attraverso la quale essa è diventata per loro un tema scientifico, non si accorgono cioè che le cose cui fanno riferimento - perfino quando parlano di oggetti empirici, di risultati dell’osservazione e della sperimentazione - sono in realtà il frutto di un precedente, assai complesso e artificioso, lavoro categoriale. Possiamo ricordare, a questo proposito, le procedure operative che oggi (in maniera più evidente di quanto si poteva percepire ai tempi di Husserl) le scienze sperimentali adottano. Ecco un esempio. Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuol dire, quasi esclusivamente, interpretare segni generati da strumenti: tra la vista di un astronomo del nostro tempo che fa uso del telescopio spaziale Kepler e una di quelle lontane galassie che appassionano gli astrofisici ed accendono la fantasia di tutti gli esseri umani sono interposti oltre una dozzina di complicati apparati mediatori del tipo: un satellite, un sistema di specchi, una lente telescopica, un sistema fotografico, un apparecchio a scansione che digitalizza le immagini, vari computer che governano riprese fotografiche e processi di scansione e memorizzazione delle immagini digitalizzate, un apparecchio che trasmette a terra queste immagini in forma di impulsi radio, un apparecchio a terra che ritrasforma gli impulsi radio in linguaggio per un computer, il software che ricostruisce l’immagine e le conferisce i necessari colori, il video, una stampante a colori e così via. Questo esempio evidenzia che la scienza ha due attività fondamentali: la teoria e gli esperimenti. Le teorie cercano di immaginare come il mondo è; gli esperimenti servono a controllare la validità delle teorie e la tecnologia che ne consegue cambia il mondo. L’intero iter della ricerca scientifica si può sintetizzare con una affermazione netta: rappresentiamo e interveniamo. Rappresentiamo al fine di intervenire e interveniamo alla luce delle rappresentazioni. Dall’epoca della rivoluzione scientifica ha preso vita una sorta di “artefatto collettivo” che dà campo libero a tre fondamentali interessi umani: la speculazione, il calcolo, l’esperimento. La collaborazione fra ciascuno di questi tre ambiti porta a ciascuno di essi un arricchimento che sarebbe altrimenti impossibile. Per questo, come aveva insegnato già il filosofo inglese Francesco Bacone (ritenuto con Galilei il padre della scienza moderna), la scienza non è osservazione della natura allo stato grezzo. I sensi dell’uomo vanno ampliati mediante strumenti. I raggi dell’ottica di Newton, così come le particelle della fisica contemporanea, non sono dati in natura, sono i dati di una natura sollecitata da strumenti. Di fronte alla natura - come aveva affermato con una delle sue barocche metafore il Lord Cancelliere inglese - dobbiamo imparare a “torcere la coda al leone”. Da questo punto di vista la storia degli strumenti non è esterna alla scienza, ma ne è parte costitutiva e integrante. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore. La rivincita della conoscenza comune In altre parole: la definizione operativa accolta usualmente dagli scienziati tende sì a ricondurre i concetti ad un contenuto empirico, ma questo contenuto in realtà è quello filtrato da teorie e strumenti, come dall’esempio che abbiamo sopra riportato.La tesi di Husserl è, invece, che il fondamento di tutte le scienze - anche di quelle cosiddette empiriche - possa venire fornito soltanto dal «fiume eracliteo» delle intuizioni che precedono qualsiasi tipo di concettualizzazione e che ci coinvolgono nell’immediatezza della vita, personale e professionale, vissuta, la quale presuppone “il mondo circostante quotidiano della vita, in cui tutti noi, e anch’io in quanto filosofo, esistiamo coscienzialmente: non meno le scienze, in quanto fatti culturali inclusi in questo mondo, e gli scienziati e le loro teorie. Nei termini del mondo-della-vita: noi siamo oggetti tra gli oggetti; siamo qui o là, nella certezza diretta dell’esperienza, prima di qualsiasi constatazione scientifica, fisiologica, psicologica, sociologica, ecc. D’altra parte siamo soggetti per questo mondo, soggetti egologici che lo esperiscono, che lo considerano, che lo valutano, che vi si riferiscono attraverso un’attività conforme a scopi, soggetti per i quali il mondo circostante ha il senso d'essere che gli è stato attribuito dalle nostre esperienze, dai nostri pensieri, dalle nostre valutazioni, ecc., e nei modi di validità (della certezza, della possibilità, eventualmente dell’apparenza, ecc.) che noi realizziamo attualmente, in quanto soggetti di validità o che già possediamo da prima e che portiamo in noi in quanto abitualmente acquisiti, in quanto validità di questo o di quel contenuto che possono essere attualizzate a piacimento. Naturalmente tutto ciò soggiace a una molteplice evoluzione, mentre ”il” mondo continua a essere un mondo unitario, e si corregge soltanto nella sua struttura di contenuto. Ora, se consideriamo noi stessi in quanto scienziati, nella funzione di scienziati in cui ora di fatto ci troviamo, al nostro particolare modo d’essere, di essere scienziati, corrisponde il nostro fungere attuale nel modo del pensiero scientifico, del nostro porre problemi e del nostro ricavare soluzioni teoretiche in relazione alla natura e al mondo dello spirito; ciò a cui ci riferiamo non è dapprima altro che uno degli aspetti del mondo-della-vita già precedentemente sperimentato o, comunque, già presente alla coscienza e già valido scientificamente o pre-scientificamente. Fungono con noi gli altri scienziati, che vivono con noi in una comunità teoretica, che attingono o già possiedono le stesse verità, oppure che, grazie all’accomunamento di questi atti, stanno con noi nell’unità di operazioni critiche e nel proposito di un accordo critico. D’altra parte noi possiamo essere per gli altri, e gli altri per noi, meri oggetti; invece che nella comunità dell’unità di un interesse teoretico attuale, possiamo conoscerci reciprocamente attraverso l’osservazione; possiamo conoscere gli atti del pensiero, gli atti dell’esperienza e, eventualmente, altri atti, come fatti obiettivi, ma “senza interesse”, senza partecipazione, senza un’adesione o un rifiuto critico” (Husserl, La crisi delle scienze europee). Ogni pensiero scientifico e qualsiasi problematica filosofica, secondo Husserl, implicano sempre certe ovvietà, per esempio la certezza che il mondo esiste, che è già sempre preliminarmente, e che qualsiasi rettifica di un’opinione di qualsiasi tipo, presuppone sempre il mondo in quanto orizzonte di ciò che senza dubbio è e vale. Anche la scienza oggettiva pone i suoi problemi sul terreno di questo mondo, il quale, però, è sempre già da prima, che è già a partire dalla vita prescientifica. Essa, come qualsiasi prassi, presuppone il suo essere; ma, insieme, si pone come fine la trasformazione del sapere prescientifico (che è imperfetto sia nella sua portata che nella sua consistenza), in un sapere compiuto, conformemente all’idea della correlazione tra mondo, che in sé è ben determinato, e verità scientifiche che lo spiegano, presentandosi come delle verità in sé. In altri termini, il suo compito è quello di attuare questa esplicazione attraverso un processo sistematico, attraverso gradi di compiutezza, utilizzando un metodo che permetta un costante progresso. In realtà Husserl tende a realizzare una descrizione dello strato precategoriale (o antepredicativo) posto a fondamento dell’edificio logico-categoriale. Questo strato può presentarsi sia come un piano autonomo d’esperienza che ignora la destinazione predicativa, sia come un’anteriorità funzionale, cioè come un precategoriale non autonomo in quanto indirizzato verso il piano predicativo (o categoriale). In questo secondo caso, il predicativo assume il valore di interpretazione ed esposizione linguistica dell’antepredicativo cioè dell’originario d’esperienza. Il criterio che egli assume, peraltro, richiede che ogni fondazione e chiarificazione conoscitiva acquisisca, dal punto di vista fenomenologico, la forma del rinvio all’intuizione fondante. In tal modo il rapporto tra sensibilità ed intelletto (è evidente qui il richiamo critico alle due “fonti della conoscenza”, di kantiana memoria) si traduce nel rapporto tra sensibile e “categoriale”: il non-categoriale, il precategoriale è collocato nella sfera del sensibile con tutta la sua valenza fondativa per gli atti logici superiori. La rivincita della conoscenza comune Agrimensura empirica e geometria scientifica Tra le pagine più note, nelle quali Husserl analizza il rapporto fondativo del precategoriale incarnato nel mondo-della-vita ed il categoriale consacrato nei paradigmi scientifici, quelle dedicate alla genesi della geomertia e della geometrizzazione della natura sono particolarmente idonee per le tematiche che stiamo analizzando. Husserl precisa subito che la sua indagine genealogica non mira ad una ricostruzione “storiograficamente corretta” delle origini della geometria (emblematicamente assurta a simbolo della scienza “esatta”, ma non rigorosa) bensì vuole rintracciare il senso profondo, originario della sua collocazione categoriale. Il problema dell'origine della geometria (e sotto il titolo di geometria raccogliamo qui, a fine di concisione, tutte quelle discipline che si occupano delle forme esistenti matematicamente nella spazio-temporalità) non è qui un problema storico-filologico; non si tratta quindi di reperire i primi geometri che·abbiano formulato proposizioni, dimostrazioni, teorie geometriche, né quelle determinate proposizioni che essi possono aver scoperto, ecc. Il nostro interesse mira invece a risalire al senso più originario in cui la geometria si è costituita, in cui si è sviluppata attraverso millenni, in cui è ancora viva per noi e in cui continua a evolvere; noi indaghiamo cioè il senso in cui si è presentata per la prima volta nella storia - il senso in cui dev’essersi presentata, anche se nulla sappiamo, né cerchiamo di sapere, sui suoi creatori. Partendo da ciò che sappiamo della nostra geometria, oppure dalle sue forme più antiche tramandateci (per es. dalla geometria euclidea), cerchiamo di risalire agli inizi originari e ormai sommersi della geometria, a quegli inizi “originariamente fondanti” così come devono necessariamente essersi prodotti. Questo tentativo di risalire al senso originario si mantiene necessariamente nell’ambito delle generalità, ma, come La rivincita della conoscenza comune risulterà tra breve, si tratta di generalità ricchissime, la cui esplicitazione offre la possibilità di attingere problemi particolari e constatazioni evidenti che a loro volta si configurano come problemi. La geometria, per così dire, compiuta, a cui occorre rifarsi per risalire al suo senso, è una tradizione. La nostra esistenza umana si muove nell’ambito di un numero enorme di tradizioni. Tutto il mondo culturale, in tutte le sue forme, è per noi in base alla tradizione. Perciò le forme culturali non sono soltanto divenute causalmente: noi sappiamo anche che la tradizione è appunto una tradizione che si è costituita nel nostro spazio umano e in base all’attività umana, sappiamo che è spiritualmente divenuta - anche se in generale noi non sappiamo nulla della sua precisa provenienza e della spiritualità che l’ha di fatto determinata. E tuttavia, anche questo non-sapere include sempre, per essenza e implicitamente, un sapere che può essere esplicitato, un sapere di un’evidenza incontestabile. (Husserl). Questo sapere, continua Husserl, affonda le radici, nell’esempio specifico che egli illustra, nell’impiego empirico dei concetti geometrici. A questo livello possiamo certo accontentarci di determinazioni piuttosto vaghe, di una vaga tipicità; e dunque di confronti sommari, a occhio e croce. Ci possiamo contentare, ma beninteso secondo i casi. Vi sono situazioni in cui non ci contentiamo affatto. Se, ad esempio, dobbiamo vendere il nostro campicello o scambiare il nostro con quello di un altro, presumibilmente non saremo affatto soddisfatti da determinazioni tra il più e il meno. Cercheremo di escogitare metodi più precisi di confronto, dunque metodi di misurazione. Si vede subito allora in che senso la pratica della misurazione abbia a che fare con la geometria, e in particolare con la sua origine. Pur essendo motivati da interessi pratici, cominciamo tuttavia ora a porci problemi teorici, continua Husserl, sia pure in una forma relativamente disorganica. Per escogitare metodi di misurazione abbiamo bisogno di operare una certa classificazione delle forme, scoprire certe relazioni tra esse o inventare dei ben determinati congegni per stabilire tra esse una relazione. In tutto ciò sono implicite numerose riflessioni teoriche che preparano la riflessione propriamente geometrica. Lo stesso problema di una classificazione tenderà, ad esempio, ad un certo ordinamento che prefigura la distinzione tra forme elementari e forme derivate e che non solo richiede un preciso intervento teorico, ma configura altrsì un possibile campo di indagine con fini propriamente ed esclusivamente conoscitivi. Questa origine della problematica geometrica non ha evidentemente un carattere “storiografico” nel senso consueto del termine. In altri termini, non ci sono documenti che mostrino che le cose siano andate proprio così, e questo è un altro elemento di notevole interesse che emerge dalle riflessioni di Husserl e che riguarda il concetto della storicità. È innegabile infatti che siamo comunque di fronte ad una descrizione storica, ma essa è condotta sul filo di una logica interna ai concetti, non è un racconto più o meno leggendario. E persino l’origine della riflessione geometrica dall’agrimensura ha forse queste caratteristiche di una connessione genetica non storiograficamente documentata in senso stretto, ma che rientra tuttavia, in un certo senso, nel pensiero di una storia della geometria alle sue origini. Scrive Husserl: La metodica geometrica della determinazione operativa di alcune e poi di tutte le forme ideali a partire da forme fondamentali, in quanto mezzi elementari di determinazione, rimanda alla metodica esercitata già nel mondo circostante pre-scentifico-intuitivo, dapprima in modo rudimentale poi secondo regole d’arte, alla metodica della misurazione e in generale della determinazione misurativa. Le sue finalità hanno un’origine, che è rivelatrice, nella forma essenziale di questo mondo-della-vita. Le sue forme sensibilmente esperibili e sensibilmente- intuitivamente pensabili in esso e tutti i tipi pensabili, a qualsiasi grado di generalità, si connettono continuamente le une con gli altri. In questa continuità essi riempiono la spazio- temporalità (sensibilmente intuitiva) che è la loro forma (Form). Ogni forma che rientra in questa aperta infinità, anche quando è data come un fatto nella realtà, è priva di “obiettività”, perciò non è determinabile intersoggettivamente da chiunque - per es. da un altro che non la veda di fatto -, né comunicabile nella sua determinatezza. Evidentemente a costui serve la misurazione. La misurazione è qualcosa di molto differenziato, il misurare vero e proprio non è che il suo momento conclusivo: da un lato si tratta di produrre concetti adatti per le forme corporee dei fiumi, dei monti, degli edifici, ecc. che di regola devono rinunciare a concetti e a nomi rigorosamente determinanti; innanzitutto per le loro “forme” (nell’ambito della somiglianza visiva), e poi per le loro grandezze e per i loro rapporti di grandezza e; ancora, per l’ubicazione, mediante la determinazione delle distanze e degli angoli che vengono riportati a luoghi e a direzioni presupposti noti e immobili. La misurazione scopre praticamente la possibilità di scegliere come misura certe forme fondamentali empiriche, che sono concretamente definite su corpi che di fatto sono generalmente disponibili ed empirico-rigidi, e, mediante i rapporti che esistono (e che devono essere scoperti) tra queste misure e le altre forme corporee, cerca di determinare intersoggettivamente e in modo praticamente univoco queste forme - dapprima in sfere ridotte (ad es. nell’ agrimensura) poi per nuove sfere di forme. Si capisce così come, in seguito all’esigenza, ormai desta, di una conoscenza filosofica, di una conoscenza che determinasse il vero essere, l’essere obiettivo del mondo, la misurazione empirica e la sua funzione empiricamente- praticamente obiettivante, attraverso la trasformazione dell’interesse pratico in un interesse puramente teoretico, potesse venir idealizzata e trapassare così in un pensiero puramente geometrico. La misurazione prepara così la geometria universale e il suo mondo di pure forme- limite. (Husserl). Naturalmente la fenomenologia rappresenta in certo senso la guida di questo pensiero. Benché l’istante della transizione non possa essere documentato, è tuttavia chiaro che molte conoscenze geometriche siano state anticipate e presupposte nella tecnica degli agrimensori. Anzi in generale i problemi che sorgono nell’ambito della soluzione di difficoltà pratiche stimolano la ricerca sul piano teoretico–conoscitivo: la prassi tecnica genera motivi di riflessione teorica. E inversamente la riflessione teorica diventa un mezzo della tecnica; una volta che una scienza come la geometria si è costituita, quando cioè esiste un lavoro scientifico diretto in modo autonomo ad un universo di oggetti concettualmente definito, questo lavoro si ripercuote a sua volta sul terreno dei problemi tecnici suggerendo nuove idee e nuovi progetti. Logica trascendentale e mondo-della-vita Questa interconnessione tra precategoriale e categoriale non riguarda soltanto le scienze naturali e sociali, ma investono ovviamente anche le scienze formali e, tra queste, la logica, verso la quale Husserl, fin dall’inizio della sua attività filosofica, ha sempre mostrato particolare interesse. Dalle Ricerche logiche a Logica formale e trascendentale a Esperienza e giudizio, egli traccia la via di una genealogia della logica, in polemica con il logicismo e lo psicologismo, Nello sviluppo del suo pensiero si impone a Husserl anche l’esigenza di chiarire che genere di rapporto sussiste tra la logica antepredicativa e la logica predicativa. La percezione sensibile, per quanto consista nel tendere da parte dell’io verso l’oggetto intenzionato, è sempre una conoscenza instabile, insicura, che non consente mai di possedere l’oggetto conosciuto in maniera definitiva. Questo è possibile soltanto mediante una conoscenza predicativa, cioè attraverso la logica, la quale ha la capacità di fissare l’oggetto e di conservarlo anche quando non è presente nella percezione. La conoscenza antepredicativa e quella predicativa, perciò, si differenziano nettamente e ciascuna si caratterizza per una propria specificità. Se però si analizza la genesi della logica, ci si rende conto che bisogna rifarsi alla percezione sensibile per spiegare la logica predicativa. Questo significa che la conoscenza predicativa, di cui appunto la logica è l’espressione più compiuta, riposa fenomenologicamente, cioè dal punto di vista della sua fondazione, sulla conoscenza antepredicativa, cioè si esplicita in logica trascendentale. Scrive Husserl: Chiarito il contrasto tra scienza obiettiva e mondo-della- vita, occorre tuttavia localizzare la loro essenziale connessione: la teoria obiettiva nel suo senso logico (in termini universali, la scienza come totalità delle teorie predicative, dei sistemi logici in quanto sistemi di proposizioni in sé, di verità in sé e, in questo senso, di enunciati logicamente connessi) è radicata e fondata nel mondo-della-vita, nelle sue evidenze originarie. Proprio per questo la scienza obiettiva ha una costante relazione di senso col mondo in cui sempre viviamo, e in cui, quindi, viviamo anche nella nostra qualità di scienziati accomunati a tutti gli altri scienziati - si tratta cioè di una relazione col comune mondo-della-vita. Ma così la scienza obiettiva è un’operazione di persone pre-scientifiche, di persone singole e di persone accomunate nell’attività scientifica, di persone quindi che appartengono al mondo-della-vita. Le loro teorie, le formazioni logiche, non sono naturalmente cose del mondo-della-vita nel senso in cui lo sono i sassi, le cose, gli alberi. Sono totalità logiche e parti logiche costituite da elementi logici ultimi. Per parlare con Bolzano: sono rappresentazioni in sé, proposizioni in sé, conclusioni e dimostrazioni in sé, unità ideali di significato, la cui idealità logica è determinata dal loro telos “verità in sé”. Ma anche questa idealità, come qualsiasi altra, non muta nulla al fatto che sono formazioni umane connesse per essenza alle attualità e alle potenzialità umane, e che quindi rientrano nella concreta unità del mondo-della-vita, la cui concrezione dunque ha una portata maggiore di quella delle cose. Ciò vale, correlativamente, anche per le attività scientifiche, sperimentali, per le attività che in base all’esperienza plasmano le formazioni logiche, in cui esse compaiono in forma originaria e in modi originari di evoluzione, nei singoli scienziati e nella comunità degli scienziati: quale originarietà delle proposizioni, delle dimostrazioni, ecc. che sono state elaborate in comune (Husserl). Come potete notare, si tratta di un’ampia riflessione sul come le strutture logiche siano o meno adeguate alla dimensione della realtà oggettiva. In questo senso la logica trascendentale si presenta come logica dei fondamenti, ed è in seno ad essa che si costituisce la logica come scienza formale. La logica formale tradizionale, invece, ha ignorato la propria genesi, presupponendo come ovvia la validità delle proprie leggi. Al contrario, un giudizio logico deve essere valutato come un atto soggettivo di conoscenza che si impadronisce del suo contenuto. Per questo motivo le leggi logiche formali, che siano normative del giudizio, ma che non tengono conto del fatto che sono normative anche del suo contenuto, fanno sorgere interrogativi sulla validità dei loro giudizi sul mondo naturale e sulla verità ed evidenza dei loro contenuti. Seguendo questo punto di vista, Husserl sviluppa pienamente il tema della logica trascendentale in rapporto alle categorie di verità e di significato. Conseguentemente, la logica si configura qui come teoria delle teorie: essa non è solo un discorso logico sulla logica, condotto con i mezzi della logica, ma un metadiscorso sulla logica, che tuttavia non si presenta né come una sovrastruttura né come una forma speculativa. E’, a tutti gli effetti, una regressione, un ritorno ai fondamenti che l’hanno costituita nelle sue operazioni originarie, anche storiche, nonché nelle sue operazioni attuali. Le ricerche fenomenologiche, ribadisce Husserl, risultano necessarie alla logica pura, trascendentale. Ne rappresentano la sua fondazione intuitiva e precategoriale: in quanto la logica è da ricercare nelle operazioni costitutive, diventa logica filosofica, filosofia prima, teoria della teoria. Ma, badate bene, ciò non è in contraddizione con la fondazione precategoriale: è solo l’altra faccia della questione, poiché la fondazione deve sempre essere ristabilita nella presenza e nelle modalità temporali e quindi genetiche e storiche. Le scienze, invece, che non prendono in considerazione ciò che costituisce il loro fondamento trascendentale, cioè le condizioni per cui si danno, si risolvono in pure tecniche di manipolazione di simboli linguistici. Mauro Di Giandomenico. Giandomenico. Keywords: l’apertura semantica, “How Pirots Karulise Elatically” – pirots karulise elatically – pirots karulise – ‘implicazione’ – aperture semantica, Galileo, la retorica di Galilei, Galilei, lo stile di Galilei, Vinci, I corpi, la filosofia positivistica italiana  -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giandomenico: l’implicatura conversazionale: ‘Pirots karulise elatically; therefore, pirots karulise!” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicatura mistica – l’implicatura di Catone – filosofia muggiana – filosofia triestina – filosofia friulese – filosofia veneta. filosofia italiana – Luigi Speranza (Muggia). Filosofo muggiano. Filosofo trestino . Filosofo italiano. Muggia, Trieste, Friuli-Venezia Giulia. Grice: “It’s hard for me to judge Giani’s philosophy because I fought against the Italians during the so-called ‘second world war,’ so-called!” Grice: “But I would be willing to expand: if Giani developed what he aptly called a ‘mystique’ – so did we at Oxford – Churchill surely held his ‘mystique.’ Of course the Italian, being more scholastic, had to call it ‘scuola di mistica,’ – and the idea was that of an all-male chivalry order – aptly set at Milan!” Fonda la corrente filosofica nota come "Mistica". Partì come volontario di guerra e morì sul fronte. Frequentato il Liceo ginnasio di Trieste. Si trasfere a Milano, dove si iscrive a Milano e quindi ai Gruppi Universitari, laureandosi. Anticipa l'imminente apertura della scuola sul foglio dei Gruppi Universitari, "Libro e moschetto" della scuola di mistica. Ne divenne direttore, carica che lasciò alla fine dell'anno seguente dopo aver scritto il suo ampio discorso da tenersi a Roma in occasione dellaI iunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze che coincide anche con il decennale della Marcia su Roma in cui enuncia i principi della nuova scuola.  Su impulso di G. si comincia inoltre a pubblicare i Quaderni della scuola di mistica. Poche settimane dopo la riunionesi dimise da direttore con una lettera inviata a MUSSOLINI, per contrasti interni con il segretario politico dei Gruppi Universitari. Imputa le dimissioni al mancato trasferimento della scuola nella vecchia sede de Il Popolo d'Italia chiamato anche "Il covo" La richiesta di entrare in possesso de "Il covo" punta ad ottenere il possesso di uno degl’ambienti più importanti dell'immaginario fascista. Continua quindi a collaborare con diversi quotidiani come "Il Popolo d'Italia" e "Gerarchia". "Lineamenti sull'ordinamento sociale dello stato" gli fa ottenere la libera docenza e e quindi la cattedra a Pavia ma parte volontario per la guerra arruolandosi col grado di capomanipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel Battaglione"Vercelli".  Rientrato in Italia, riassunse la guida della scuola, qui in occasione della chiusura dell'anno scolastico nell'aula della casa del Fascio di Milano. Rientrato in Italia riassunse la carica di direttore della "Scuola di Mistica" lanciando due importanti iniziative, rilancia la pubblicazione della serie di "Quaderni" che affrontavano differenti problematiche e sempre per sua iniziativa fu creata nell'ambito della scuola la rivista mensile, Dottrina che divenne l'organo ufficiale della Scuola, in cui pubblica  il "Decalogo dell'italiano nuovo”. Si dedica inoltre al giornalismo diventando direttore a Varese di "Cronaca prealpina" e collaborando a diverse testate, tra cui Tempo (Direttore: Acito). Dalle pagine di "Cronaca prealpina" prese parte alla campagna fondata sui propri convincimenti del ‘spirito’ contrapposto al "biologico"  La Cronaca prealpina dopo la nomina di G. a direttore arriva a quadruplicare la tiratura.   L'incontro a Roma con Mussolini in cui si decise la cessione del covo ai "mistici" della Scuola. Su impulso di G., con una cerimonia presieduta di Starace, la sede ufficiale della scuola di mistica si sposta nel medesimo edificio che ospitò ai suoi primordi il giornale Il Popolo d'Italia, chiamato il covo. Il covo negli anni e stato trasformato in una galleria. La palazzina e proclamata monumento nazionale con tanto di guardia d'onore  svolta da squadristi e combattenti. Per esplicita decisione di Mussolini, e ufficialmente consegnata ai mistici della scuola. L'evento e vissuto come una autentica consacrazione dei insegnanti riuniti intorno a G.. In realtà la consegna e già stata disposta come risulta da un foglio d'ordini del PNF e in quell'occasione il consiglio direttivo e ricevuto a Roma da MUSSOLINI. Mussolini li aveva spronati continuare nella loro attività.  A Milano, in occasione del decennale dalla fondazione della scuola, organizza il convegno di mistica che nelle sue intenzioni dove essere il primo della serie. Obiettivo che sfuma a causa dell'entrata in guerra. L'incontro vide oltre 500 partecipanti ed ha l'adesione della maggior parte dei filosofi dell'epoca. Come gran parte dei mistici, partecipa nuovamente come volontario alla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale vede il presagio di una rivoluzione in vista di una nuova era.  Inquadrato nel  reggimento alpini prende parte alla battaglia delle Alpi Occidentali contro la Francia venendo decorato con la medaglia d’argento al valor militare.Terminata la campagna di Francia in seguito all'armistizio torna alla vita civile ma incominciata nel frattempo la guerra in nord Africa richiese più volte di partire volontario senza ottenere soddisfazione. Alla fine ottenne di partire  come corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia, della Cronaca prealpina e de L'Illustrazione Italiana presso i reparti della regia aeronautica. Per quest'ultima realizza anche diversi servizi fotografici. All'attività di giornalista affiance anche quella di militare prendendo parte ad alcune azioni e ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare. E richiamato in Italia dove riassunge la guida de "La cronaca prealpina".Nuovamente incorporato nel reggimento alpini riparte infine come volontario per la campagna di Grecia, dove cadde sul fronte greco-albanese nella battaglia per la conquista della Punta Nord del Mali Scindeli. Si offre volontario per una pericolosa missione che prevede la conquista di una munita postazione greca. L'attacco ebbe inizialmente successo con la conquista della posizione ma riorganizzatisi i greci condussero un contrattacco. Nello scontro cadde. Il periodico L'Illustrazione Italiana scrive, senza riportare dove o come avrebbe potuto registrare tali parole, che l'ufficiale greco che lo aveva colpito a morte avrebbe raccontato che nello scontro G. gli si era parato davanti "come un dio o un demone".  Il corpo di G. anda disperso e gl’altri assaltatori che  prendono parte all'attacco dovettero ritirarsi rapidamente incalzati dai soldati greci. E pochi giorni dopo incaricato delle ricerche Carati che e anche vice-direttore della scuola di mistica. Le ricerche a causa della perdurante situazione di guerra sono nulle, e riuscì solo ad individuare il luogo in cui e caduto.  In quell'occasione, richiesta un'udienza al duce, chiede che puo partire per l'Albania il cognato Guido G. e il fratello Sampietro. Questi ultimi rinvennero la salma sepolta in maniera anonima in territorio greco. Di qui la salma e translata nel piccolo cimitero militare di Klisura.  MUSSOLINI e preso come principale punto di riferimento dalla scuola di mistica. Elabora un discorso programmatico in cui enuncia i principi fondanti della Scuola e della Mistica fascista. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di mistica ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori  che sono nell'opera del Duce.  (G. in La marcia sul mondo). Inizialmente i principi esposti da G. fanno parte di un discorso più ampio da tenersi a Roma in occasione di una riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. L'ampio discorsoe poi pubblicato nella serie dei "Quaderni" voluti da G. con il titolo "La marcia sul mondo della civiltà". Si impone un ritorno alle origini, ovvero al movimentismo rivoluzionario, riallacciandosi idealmente all'esperienza delle prime squadre d'azione e degli arditi della Grande Guerra quindi, secondo Veneziani "una più radicale rivoluzione coniugata al recupero di una più integralistica tradizione. Ma più che legati agli enunciati politici del manifesto di sansepolcro i mistici di quella esperienza esaltavano soprattutto la lotta contro la borghesia affaristica del primo dopoguerra. La mistica si considera rappresentante proprio di questo mondo ispirato dall'amore di patria e posta a guardia della rivoluzione permanente e in contrasto con gli opportunisti e i trasformisti. Individuava nell'epoca contemporanea *quattro* principali mistiche, destinate ad apportare in un primo tempo dei benefici ma poi a fallire: liberale, democratica, socialista e comunista. Liberalismo, democrazia, socialismo e comunismo sono le quattro mistiche dominanti nella societa. Il bilanciolo abbiamo già visto è per tutte negativo. Il liberalismo porta all'anarchia. La democrazia porta all'instabilità politica e sociale. Il socialism porta alla otta civile. Il comunismo porta alla vita primitiva. Queste quattro mistiche sono pertanto anti-storiche. A fronte di esse l'unica mistica in grado di superare tali crisi era quella come sviluppato nel capitolo intitolato "La marcia ideale" la cui conoscenza e diffusione presso le masse era compito della élite. Medaglia d'argento al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'argento al valor militare «Volontario nella guerra d'Africa ove prese parte volontario a diverse pattuglie esploratori, chiese ed ottenne di essere anche in quest guerra assegnato ad un reparto combattente. Destinato all'11º alpini volontario a due azioni del battaglione Bolzano chiese di partecipare alla ardita discesa di due compagnie del battaglione Trento effettuata in una valle occupata dal nemico e avanzò con la prima pattuglia sotto intenso bombardamento, sprezzante del grave pericolo di sorprese e di accerchiamento nemico, esempio trascinante a ufficiali e soldati, e prova di dedizione alla patria, di alta fede e di valore. Medaglia di bronzo al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia di bronzo al valor militare «Corrispondente di guerra presso una squadra aerea disimpegnava il suo particolare e delicato servizio con alto senso di responsabilità. Spesso presente sugli aeroporti più avanzati e maggiormente battuti dall'offesa nemica allo scopo di rendersi conto di ogni particolare, partecipava volontariamente a difficili e rischiose missioni di guerra, dando sicura prova anche nelle più critiche circostanze di sereno sprezzo del pericolo e completa dedizione al dovere.» Medaglia d'oro al valor militarenastrino per uniforme ordinaria medaglia d'oro al valor militare. Volontariamente, come aveva fatto altre volte, assumeva il comando di una forte pattuglia ardita, alla quale era stato affidato il compimento di una rischiosa impresa. Affrontato da forze superiori, con grande ardimento le assaltava a bombe a mano, facendo prigioniero un ufficiale. Accerchiato, disponeva con calma e superba decisione gli uomini alla resistenza. Rimasto privo di munizioni, si lanciava alla testa dei pochi superstiti, alla baionetta, per svincolarsi. Mentre in piedi lanciava l'ultima bomba a mano ed incitava gli arditi col suo eroico esempio, al grido di: «Avanti Bolzano! Viva l'Italia», veniva mortalmente ferito. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di altissimo valore e di amor di Patria. Punta NordMali Scindeli (Fronte greco) Saggi: “La via della gloria, anni 20 La marcia sul mondo della Civiltà Fascista, Lineamenti su l'ordinamento sociale dello Stato, Giuffré ed. La mistica come dottrina. Perché siamo, A. Nicola. Perché siamo mistici. Mistica della rivoluzione. Antologia di scritti, Il Cinabro,  Longo, “I vincitori della guerra perduta” (sezione su  G.), Settimo sigillo, Roma.Carini, G. e la scuola di mistica fascista,  Mursia, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Antonellis, Come dove essere il perfetto, su storia illustrate, Carini nella prefazione su  G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini,  G. e la scuola di mistica, Mursia,Carini, G. e la scuola di mistica, Mursia, Carini, G. e la scuola di mistica fascista, Mursia, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Grandi, Gli eroi, G. e la Scuola di mistica, Cfr. a tale proposito le ricerche di Laforgia, una cui sommaria sintesi è nel sito varesenews Archiviato. Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Il saggio, edito da Dottrina Fascista, riporta in forma integra la conferenza inaugurale tenuta da G. per l'inaugurazione del corso per maestri della scuola di mistica. Cfr. a tale proposito le ricerche di Laforgia in Grandi, Gl’eroi di Mussolini, BUR, Milano, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Veneziani, La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, Longo, Gl’eroi della guerra perduta, Settimo sigillo, Roma,  L'Illustrazione italiana, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica fascista, Grandi, Gl’eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica fascista, G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Marcello Veneziani, La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini, G. e la Scuola di mistica, prefazione di Veneziani, Mursia, Milano, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica, BUR Biblioteca Rizzoli, Raido Speciale Scuola di Mistica, Raido, Roma, Arnaldo M., Coscienza e dovere. G. MISTICA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA Antologia di scritti.  In breve: Siamo mistici perchè siamo degli arrabbiati, cioè dei faziosi, se così si può dire, del Fascismo, uomini partigiani per eccellenza e quindi anche assurdi Del resto nell’impossibile e nell’assurdo non credono gli spiriti mediocri. Ma quando c’è la fede e la volontà, niente è assurdo». (Niccolò Giani) Un’antologia che raccoglie i più significati testi di G., tra i massimi esponenti della corrente più radicale, oltranzista e universale del Fascismo, la Scuola di Mistica Fascista. Questa antologia rappresenta la prima raccolta organica dei più significativi scritti di G.  È, a nostro giudizio, il modo migliore per illustrare senza filtri la sua persona, la sua filosofia, e la sua azione. È un omaggio doveroso al testimone di quello che e il Fascismo universale e intransigente che mai scese a compromessi con la vita comoda, al rinnovatore spirituale e politico di una intera generazione. Esempio di eroismo che, al di là della contingenza storica, seppe essere coerente con i propri principî vivendo l’ideale sino all’estremo sacrificio; quasi innalzando il Fascismo ad una categoria universale dell’essere, come fonte inesauribile di spiritualità cui innestarsi per fare la rivoluzione dell’uomo e del mondo. G., nato a Muggia, cadde sul fronte greco nello slancio del combattimento, trasfigurato ormai nell’eroismo muto. Dimostra con la vita affermata oltre la morte, l’armonia tra pensiero e fede, la continuità tra filosofia ed azione, e della autentica rivoluzione rimane il puro rappresentante del nuovo italiano: per questo il suo esempio e il seme fecondo dell’aspro cammino di domani. Seppe con l’azione indicare la strada, con l’intransigenza insegnare l’esempio. I tesserati sono i suoi avversari. Contro di essi combatté, contro cioè i falsi, i presuntuosi, gli esibizionisti, i retorici, gli arrivisti; contro coloro, insomma, che considerarono la rivoluzione come atto di ordinaria amministrazione, sfruttabile per fini personali. Il Cinabro Ufficio stampa Rimbotti: Mistica Fascista. L’ordine della Milizia sacra; Rossi: La Mistica Fascista dell’Uomo Nuovo. Tra milizia politica e meta-politica la scuola rivoluzionaria del Fascismo; Mezzasoma: G., discepolo di Arnaldo. Decalogo dell’Uomo Nuovo La marcia ideale sul mondo della Civiltà fascista Generazioni di Mussolini sul piano dell’Impero Civiltà fascista civiltà dello spirito Aver Coraggio A difesa dell’Europa Fuori La mistica come dottrina del fascismo Le due Europe Mistica del fascismo, Corporativismo e Autarchia Il Centro di preparazione politica per i giovani. Fucina di Campioni della Rivoluzione Valore primordiale del covo I soliti imbecilli L’equivoco Perché siamo dei mistici Il volto della guerra Testamento spirituale al figlio G.: Presente!Mistica Della Rivoluzione Fascista E questo diritto alla prima linea, ad essere i disperati del Fascismo, è l’unica pretesa che, oggi, domani, sempre, i mistici del Fascismo accamperanno di fronte alla Rivoluzione, come, con vena veramente squadrista, ha detto PALLOTTA (si veda) nella sua relazione che ha avuto lo spirito e la mordenza del «menefreghismo» più autenticamente fascista. Prima linea, sul fronte esterno ed interno, contro il nemico di fuori e di dentro. Contro gli attentatori della nostra integrità territoriale, ma anche, e con uguale decisione e durezza, contro gli attentatori della nostra integrità spirituale (G.)  Le conseguenze derivate dalla fine del primo conflitto mondiale e l’immediatarossi 5 crisi strutturale delle istituzioni e dei valori che investì, con una forza che non aveva avuto precedenti nella storia, le società europee, vennero allora giudicate come l’annuncio di un radicale mutamento di tutte le forme della vita politica e civile fino ad allora conosciute e complessivamente accettate. Una deflagrazione interna dei costumi, di certezze consolidate e di mentalità che modificò in maniera irreversibile l’immaginario collettivo di popoli e nazioni. Niente sarebbe più stato come prima. Uno Spirito nuovo si affacciava con ruvida decisione e realismo eroico reclamando il proprio posto nella Storia. L’alba delle grandi rivoluzioni si affacciava sul continente europeo e i popoli si sarebbero messi in marcia affascinati da nuove e esaltanti Weltanschauung.  Per Bruck, uno dei primi e tra i più significativi esponenti della Rivoluzione Conservatrice tedesca, si tratta di una presa di posizione a carattere diffuso più che evidente. Assistiamo all’evento per cui tutto quel che non è liberale si unisce contro quel che è liberale. Noi viviamo i tempi di questa agitazione mondiale, che si produce per una estrema consequenzialità, e che si esplica in una rivoluzione radicale che prospetta la perdita da parte del nemico della sua posizione di potere: tale nuova situazione mondiale esordisce con un allontanamento dall’Illuminismo.”  Il periodo che immediatamente fece seguito al termine di un conflitto di così immensa portata, venne visto dai più attenti e acuti osservatori incredibilmente saturo di una genuina e stupefacente valenza rivoluzionaria e innovatrice, ciò significò l’inizio di una nuova stagione di entusiastiche mobilitazioni che avrebbero alla fine tonificato la fibra morale e politica del continente fino ad allora logorata ed estenuata da sovrastrutture ipocrite e corrose nel loro intimo che erano riuscite, attraverso innumerevoli sotterfugi, a sopravvivere a se stesse, sempre più annichilite da un pervasivo decadentismo culturale e morale e dal predominio di una mentalità borghese e oligarchica connotata dalle sue più perniciose vedute utilitaristiche e mercantilistiche.  Le conseguenze della fine della grande guerra significarono soprattutto una presa di coscienza collettiva e un’accelerazione formidabile dei fenomeni sociali, accompagnate entrambe da una esigenza totalmente nuova di considerare l’esistenza e i rapporti umani, esigenza che venne principalmente percepita prima dai combattenti e poi dai reduci come il frutto maturo della traumatica e allo stesso tempo travolgente esperienza della guerra di trincea, insomma un insieme di condizioni imprescindibili che prepararono il terreno e l’atmosfera per l’avvento delle ondate rivoluzionarie nazionalpopolari che misero in crisi valori e regole consolidate da tempo, assestando colpi mortali alle strutture politiche, sociali e culturali delle società borghesi liberal-democratiche.  Dalle forme statiche si passava alle forme dinamiche, nel senso jungeriano del termine.  Il Fascismo è la matrice principale che inaugurò la feconda ed entusiasmante stagione delle insurrezioni nazional-rivoluzionarie e il primo laboratorio culturale delle ancor più affascinanti sintesi nazionali e sociali.  Furono infatti i reduci del fronte, gli ex-combattenti che avevano creduto fino in fondo ad una particolare visione eroica della vita propria di una ideologia della guerra sviluppatasi nell’interiorizzazione del sacrificio bellico e del sangue versato – subendo poi la frustrazione di una vittoria conseguita sul campo di battaglia a duro prezzo che videro mutilata negli accordi di pace internazionali – a rappresentare la spina dorsale di una innovativa e volontaristica visione politica che pretendeva di coniugare un nazionalismo intransigente e guerriero partorito nelle trincee con le più avanzate e spregiudicate chiavi di lettura sociali.  La grande guerra di popolo aveva travasato nei combattenti il senso della tensione nazionale e sociale verso scopi e missioni comuni, una nuova coscienza collettiva che sarebbe stata cementata da un formidabile sentimento di fraterno e virile cameratismo, il culto della differenza e del radicamento nella specificità etnica della Stirpe italica. Gli squadristi fascisti non fecero altro che travasare tutti questi motivi nelle battaglie di piazza.  Sorti dalla guerra di popolo, divennero avanguardia di popolo. E il 28 Ottobre 1922 sarà il coronamento dei loro sacrifici, la loro apoteosi.  D’altronde era stato lo stesso Mussolini a dire che l’esperienza della guerra avrebbe generato le migliori condizioni per la rivoluzione sociale e politica. Anzi, ne sarebbe stata la prefazione. Era il novembre 1916 e Mussolini combatteva sul fronte del Carso, nei ranghi del 11° Reggimento Bersaglieri: “Noi vinceremo la guerra: ma poi dovremo vincere la pace. Sarà duro; ma ci arriveremo. La società italiana deve assolutamente mutare. Sugl’italiani bisogna contare. Questa guerra che noi combattiamo e che con tragica definizione viene detta di logoramento, porterà alla ribalta delle lotte civili una generazione che riuscirà a fare quello che la nostra non è riuscita a fare: il riscatto sociale e politico del mondo del lavoro, al di sopra e al di fuori dei dottrinarismi che oggi lo incatenano. A ciò non saremmo mai arrivati se non avessimo voluto la guerra, rovesciato i vecchi feticci sostituendo alle vuote ideologie i fatti e le loro naturali conseguenze. Questo non sarà solo di noi, ma anche di altri popoli.”  Una lucida e profetica anticipazione di quanto sarebbe poi accaduto in tutta l’Europa. Tutto questo si pose, in maniera del tutto naturale, in totale opposizione al principio democratico in politica e a quello liberale nel campo economico, all’insegna di una rivoluzionaria concezione elitaria, fortemente gerarchica e anti-egualitaria che reclamava la valorizzazione delle minoranze attivistiche e carismatiche con la conseguente affermazione del principio guida del Capo, con il mito dello Stato totalitario come asse formante e legittimante della Comunità nazionale e non ultimo la funzione pedagogica del Partito unico, soprattutto mediante una costante mobilitazione politica delle masse, una sacralizzazione della politica attraverso il ricorso a liturgie collettive, miti e simbologie, e una crescente militarizzazione della vita sociale e civile, l’intervento statale attraverso gli istituti del Corporativismo per una razionale direzione disciplinata dell’economia che ponesse termine all’epoca del predominio delle oligarchie mercantilistiche e parassitarie e riportasse la vita economica al servizio dell’interesse collettivo subordinandola alle necessità politiche nazionali. Infine, l’affermazione sovrana di una particolare e severa tipologia umana di nuova impronta che avrebbe rappresentato lo spirito del nuovo tempo: l’Uomo Nuovo, l’Uomo integrale come manifestazione vivente di una Tradizione atemporale che ebbe la volontà e la capacità di tradursi in Rivoluzione. Proprio nel senso di quell’interpretazione che G. sa dare, facendosi portavoce di quegli ambienti del Fascismo intransigente e rivoluzionario che vollero interpretare al meglio gli insegnamenti mussoliniani: “Il Fascismo è un richiamo violento alla Tradizione, non un ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione come lo dice il significato etimologico del termine e come Evola ha documentato, è e non può essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di conservatorismo o di reazione. Invece, la Tradizione è continua coniugazione, attraverso il presente, del passato e dell’avvenire; è processo inesausto di superamento, è una fiaccola accesa con la quale ogni popolo illumina la propria strada e corre nel tempo verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e Tradizione non si escludono, ma anzi si identificano e questo spiega il culto che noi abbiamo pel passato e dice ai soliti uomini dai paraocchi che l’italiano non può che essere fascista. Questa nuova visione della politica rappresentata dal Fascismo rappresentò inequivocabilmente la radicale negazione dei principi emersi dalla rivoluzione francese, una evidente antitesi storica e culturale di quanto fu incarnato dall’illuminismo, che costituì l’essenza di tutte le manifestazioni materialistiche ed economicistiche della decadenza moderna: da quelle individualistiche, liberali e democratiche a quelle cosmopolite, genericamente progressiste e marxiste.  Il Fascismo, anche nella sua più vasta comprensione europea, intese proporre in maniera concreta ed efficace un discorso radicalmente alternativo alla politica borghese e alla società borghese richiamandosi al concetto di avanguardia delle idee, un’avanguardia rivoluzionaria che fosse in grado, senza contraddizioni, di saldare assieme passato e presente vincendo così la sfida della modernità, sostituendo il vigore giovanile della passione idealistica e volontaristica alla decadente dissolutezza del conservatorismo borghese e il cameratismo militante radicato nella coscienza popolare alla società atomizzata e polverizzata delle democrazie liberali.  Un discorso ambizioso per un’avanguardia che ambiva ad essere al contempo simbolo della genuinità politica e della resurrezione spirituale, una speranza che venne riposta nel mito capacitante dell’Uomo Nuovo creatore di nuovi valori, l’esemplare di una specifica specie umana lanciata alla conquista del futuro senza per questo dover recidere le radici culturali e spirituali che lo mantenevano legato alla propria dimensione storica, etnica e popolare; nei confronti della quale si espresse il Duce parlando all’Assemblea delle Corporazioni: “L’uomo economico non esiste, esiste l’uomo integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è guerriero. Quindi questa figura particolare dell’Uomo Nuovo, capace di raccogliere in sé tutte le sue forze creative, che la cultura rivoluzionaria del Fascismo propone e che non mancava costantemente di ricollegare alla stagione dello squadrismo, così intrisa di eroicità e di sacrificio, riconduceva alla stessa definizione dell’Uomo integrale di mussoliniana memoria, ovvero un uomo che non esistesse unicamente perché cartesianamente pensante, ma perché arricchito di tutte quelle virtù “romanamente” intese, eroiche, civiche e politiche, sia nella ragione come nei sentimenti.  Spesso e volentieri nell’immaginario intellettuale il discorso sull’Uomo Nuovo si andava a concretizzare poi nell’ideale della gioventù, una gioventù non solamente intesa in senso spirituale ma anche come dato anagrafico, poiché il concetto di gioventù rimandava all’ansia del cambiamento e all’impeto rivoluzionario, racchiudendo in se stessa gli ideali della forza e della bellezza, di una esuberante virilità aggressiva, l’anelito vitale di un futuro tutto da conquistare, proprio l’opposto di quanto ancora proponevano i rappresentanti delle democrazie borghesi con tutte le loro desuete convenzioni e i loro logori formalismi, con tutta la loro boriosa rispettabilità e lasciva ipocrisia. Il Fascismo fu quindi profondamente giovane e irruento, meravigliosamente violento e lo fu sia spiritualmente che anagraficamente.  Il comune denominatore della più intransigente e autentica cultura fascista, quella derivata appunto dalla passionale ed eroica stagione dello squadrismo, si trovava nell’aspirazione alla realizzazione di un originale disegno politico ed esistenziale da esplicarsi mediante cambiamenti radicali frutto di una ferma volontà rivoluzionaria che armonizzava i riferimenti alla rivolta romantica dell’interventismo e alla mistica eroica evocata dalla guerra di trincea con i nuovi miti palingenetici di trasformazione della società e dello Stato. Questa cultura dell’azione che si nutriva dello spirito barricadiero di rivolta contro l’ordinamento borghese in nome di un rivoluzionario e fascista Ordine Nuovo era la caratteristica di quell’ambiente fascista che si riconosceva, anche per esperienza diretta, nel mito capacitante delle aristocrazie del combattentismo – quella trincerocrazia più volte evocata da Mussolini – e nella scuola di vita e di coraggio rappresentata dalla militanza squadristica che venne vissuta, letta ed interpretata non solamente come una reazione organizzata e armata volta all’annientamento dei focolai dell’insurrezionalismo marxista, ma soprattutto come militanza rivoluzionaria e idealistica volta alla rigenerazione della Nazione e alla creazione di uno Stato nuovo. Una specifica rilettura che si svolgeva anche in aperta polemica con coloro che ritenevano che la nascita del governo presieduto da Mussolini, all’indomani della marcia su Roma, rappresentasse la fase risolutiva del Fascismo. In questo modo, il Fascismo, doveva e poteva assumere una superiore valenza metafisica affermando il suo essere come un completamento naturale e organico della storia della Nazione italiana, andando ben oltre la semplice insorgenza anti-sovversiva e anti-modernista – non a caso lo stesso G. volle mettere l’accento sul fatto che la Rivoluzione Fascista infatti non è stata reazione come qualcuno ha creduto in origine e come tuttora si crede da molti all’estero; è stata invece l’ostetrica della nuova storia. E sorta una nuova civiltà capace di risolvere tutti i problemi della società contemporanea. Per costoro, che in fondo rappresentavano la vasta base della militanza fascista e anche quella intellettualmente più viva, l’agire politico del Fascismo non doveva assolutamente compromettersi con i residui della vecchia classe dirigente, che in virtù del processo di normalizzazione e di pacificazione avviato dal Duce si adoperavano nell’inserimento all’interno dei gangli del regime, doveva invece mantenere e tonificare una assoluta intransigenza dottrinaria senza incorrere in alcun cedimento politico e morale, perché se il Fascismo era una rivoluzione, doveva necessariamente procedere nei suoi obiettivi con mentalità e metodi rivoluzionari, come perentoriamente affermò un autorevole esponente dell’epopea squadristica della statura di FARINACCI (si veda). Bisogna insomma che la bestia proteiforme del vecchio conservatorismo sornione sia liquidata bruscamente; che le vecchie clientele d’interessi e d’ambizioni fiorite ai margini della vita politica italiana siano messe in mora, vigilate, controllate, sopra tutto tenute lontane, bisogna che sia impedito a chiunque di rifarsi, attraverso il fascismo, una qualsivoglia verginità e continuare, sotto mentite spoglie, le abitudini peccaminose del passato. La vittoria deve essere integrale. Tra gli oppositori più accaniti della deriva moderata si evidenziarono gli ideatori della Scuola di Mistica Fascista, costituitasi a Milano, tutti provenienti da quella generazione dei GUF che era cresciuta respirando l’atmosfera del Fascismo, maturando così una profonda convinzione nei miti fondatori del regime e una fedeltà assoluta nella persona del Duce.  Al loro fianco si schierarono altre personalità di spicco del Fascismo rivoluzionario: RICCI (si veda) con il suo universalismo fascista, PAVOLINI (si veda) e l’esaltazione della primavera squadristica, ROSSONI (si veda) con tutte le aspettative del sindacalismo rivoluzionario.  La Scuola di Mistica Fascista verrà intitolata a Mussolini, il figlio prematuramente scomparso di Mussolini. G., PALLOTTA (si veda), MEZZASOMA (si veda) e molti altri entusiasti, avvalendosi della guida orientatrice di Arnaldo Mussolini, seppero rappresentare, attraverso l’opera che fu sviluppata dalla Scuola, una autentica e intransigente avanguardia intellettuale e morale posta a difesa dei valori espressi dalla Rivoluzione Fascista, che sempre più doveva farsi rivoluzione culturale e antropologica per meglio adempiere alla consegna rivoluzionaria che il Duce del Fascismo aveva dato alle nuove generazioni. È G. a spiegare gli scopi dell’istituzione: “Poiché una mistica è un postulato di tanti credo, e un valore assoluto non lo si può derivare che da una fonte indiscutibile, questa fonte non può essere che il Duce. Ecco perché la fonte deve essere quella, esclusivamente quella. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di Mistica fascista ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori del Fascismo che sono nell’opera del Duce. Quindi una rivoluzione culturale, del carattere e dello Spirito che, attraverso interessanti rievocazioni del mito della romanità e della sacralità della Stirpe – rappresentazioni metastoriche e metafisiche della migliore tradizione aryo-romana – sarebbe approdata ad una coesione organica della Stirpe italica costituitasi in Comunità nazionale e avrebbe dato all’Italia fascista il diritto-dovere di adempiere ad una missione universale facendo del Fascismo il crocevia della storia europea del ventesimo secolo e il riformatore dei tratti essenziali della Civiltà contemporanea in ogni suo aspetto, la ripresa e il rinnovamento dell’Europa all’indomani del fallimento della democrazia liberale e delle utopiche promesse marxiste. Aprire la strada al secolo fascista. Certamente nella visione della Mistica fascista elaborata dalla Scuola vi era la ferma consapevolezza che il Fascismo fosse una autentica rivoluzione totale della società italiana: spirituale ed etica, sociale e politica, ma al contempo anche una ripresa di tutte le tradizioni essenziali, però la memoria storica proposta non si sarebbe dovuta risolvere in un ripiegamento nel passato, l’immagine del passato non finì mai per schiacciare la dimensione del presente e tanto meno si configurò come un richiamo intensamente nostalgico, bensì le potenzialità ideologizzanti della rimemorazione storica vennero fatte espandere fino a provocare una vera e propria occupazione del cosiddetto campo dei ricordi – una lotta spirituale e rivoluzionaria per il dominio del ricordo e della memoria che conduce ad una riscrittura della cronologia nazionale che rispecchiasse le concezioni del pensiero irrazionalista, anti-intellettualista e pragmatista dei decenni trascorsi, un pensiero profondamente permeato di sfumature di matrice nietzschiana e soreliana.  Anche i richiami alla Mistica insita nel Fascismo erano animati dallo spirito di rivolta, contro le mentalità borghesi ancora sussistenti, delle nuove generazioni cresciute ed allevate nelle organizzazioni totalitarie giovanili e universitarie, una rivolta che si manifesta con i forti caratteri di un idealismo morale ed etico qualitativamente aristocratico esprimente l’esaltazione di una giovinezza istintiva, disinteressata e piena di spirito vitale, aggressiva, pura e decisa a dare battaglia a qualsiasi forma di conservatorismo e di borghese buon senso pur di affermare il carattere intransigente e le finalità rivoluzionarie sociali e spirituali del Fascismo. Non vi era nessun punto di convergenza con eventuali nostalgie reazionarie, mentre invece era presente una totale e coerente aderenza alle istanze di trasformazione rivoluzionaria che il Fascismo esigeva e che ancor di più il Duce imponeva.  Per questi giovani attivisti non vi era altra strada per uscire definitivamente dalla crisi della modernità, esplosa alla fine del primo conflitto mondiale, che con un mutamento radicale del popolo italiano e una tale mutazione antropologica poteva provenire solamente da una fede ben salda che aveva iniziato a germinare in un primo tempo con l’esperienza della guerra nel mito della Nazione in armi, della guerra di popolo, proseguendo poi con l’esaltante epopea della lotta squadristica, per approdare infine nella costruzione dello Stato fascista di popolo, corporativo e totalitario, il compimento finale del rinnovamento sociale e spirituale della Stirpe e della grandezza politica della nazione. Nel corso degli anni che trascorsero fino all’entrata in guerra dell’Italia la scuola di mistica fascista assolse in maniera esemplare ai compiti che si era prefissata, ovvero l’ambizione di voler rappresentare l’infrangibile scudo morale, etico e dottrinario contro il quale si sarebbero dovute infrangere le velleità dei nemici del duce e del fascismo, soprattutto i nemici interni, i più pericolosi, quelli che si annidavano tra le pieghe del regime per minarlo alla base. Affinché lo scudo della rivoluzione fosse solido i mistici della scuola, i soldati politici dell’Idea, vollero essere loro stessi esempio di virtù civiche, morali e politiche, di fedeltà indiscussa nei confronti della guida della rivoluzione, il duce, spesso descritto come il genio della stirpe, l’Eroe che con la sua instancabile opera dava quotidianamente prova di rappresentare pienamente la coscienza e la voce dell’anima del popolo, soprattutto di un popolo a cui il Fascismo aveva restituito la dignità politica e sociale e un’unità spirituale che attingeva dalla viva coscienza di appartenere integralmente all’organismo della nazione. Da questa chiave di lettura emergeva, quindi, una superiore comunione mistica che legava il Duce al suo popolo, cementata dalla comune fede fascista, una fede intensa che a sua volta veniva elevata al rango di una sorta di religione mistico-popolare sacralizzata dal sangue offerto in sacrificio dai martiri dello squadrismo sull’altare della rivoluzione, una rivoluzione continua che, come affermava un giovane esponente della Scuola, procedeva impetuosamente la sua marcia: Gl’italiani della mistica si sono irradiati tra le file delle generazioni vecchie e nuove e hanno dato il goccio d’acqua, il pezzo di pane del conforto, hanno sorretto i deboli, hanno convinto i pusillanimi. La Rivoluzione ha attraversato le ubertose valli della sua fase politica, ora sale. Guai a chi volesse tentare di derogare alle direttive di marcia per evitare le asprezze della salita e impedire che dalla politicità si torni alla rivoluzione piena e travolgente delle ore di audacia e di lotta. Per queste nobili motivazioni gli esponenti della Mistica fascista chiesero e ottennero che la scuola divenisse la custode del famoso covo milanese di via Paolo da Cannobio, il sacrario della rivoluzione delle camicie nere, appunto il covo del fascio primogenito dove la fede fascista aveva mosso i primi passi e dove il Duce chiama all’adunata.rossi  Un luogo simbolico carico di suggestivi richiami emozionali, ben presente nell’immaginario collettivo della militanza squadristica, che avrebbe dovuto essere la fonte di irradiamento della Mistica fascista verso tutta la Nazione.  Il cosiddetto covo del fascio primogenito rivestì sempre per i mistici fascisti un ruolo centrale nel loro immaginario dottrinario, rappresentava la fonte mitica della fede mussoliniana, il principio fondante del Fascismo, era come trascendere il tempo profano per riapprodare al tempo mitico della purezza dell’idea, un riaccostamento di ordine metafisico a cui si poteva accedere soltanto attraverso i miti e i simboli, e la mistica fascista era satura di richiami, di miti e di simboli: “Qui è tutta l’attualità e la contemporaneità del covo. Attualità e contemporaneità che non dovranno mai tramontare. Non solo per noi, infatti, ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli il covo deve e dovrà essere l’Arca dei valori della Rivoluzione, la bussola cui guardare nei momenti di indecisione, la guida cui ispirarsi, la stella polare che il navigante dello Spirito deve vedere sempre alta e lucente davanti a se. E ad esso oggi, domani, sempre gli italiani dovranno salire in pellegrinaggio, per meditare, per ispirarsi. Ad esso le generazioni si accosteranno sempre con stupore religioso per imparare che nulla allo Spirito è impossibile.  Il Fascismo, come spesso ripeteva il Duce, era una fede coltivata nella lotta che aveva avuto i suoi caduti, i suoi martiri che immortalatisi vestendo la gloriosa camicia nera la avevano rafforzata e sacralizzata. Se ogni secolo ha una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il fascismo. Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il Fascismo ha oramai nel mondo l’universalità di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito umano.  Adesso, questa fede, attraverso i mistici fascisti della Scuola aveva trovato i suoi intransigenti custodi e i suoi più appassionati apostoli.  Anche loro si stano preparando al combattimento – nella sua duplice veste fisica e spirituale – aspirando di potere affrontare degnamente il supremo sacrificio per il fascismo e onorare così la loro scelta di vita versando il proprio sangue per la causa rivoluzionaria. Morire all’ombra dei gagliardetti neri: Mistica dell’azione. Mistica del realismo eroico. Mistica della fede. Fedeltà che era più forte del fuoco, come narravano antiche saghe.  Che l’intensa e interessante attività svolta dalla Scuola nell’approfondimento e nell’arricchimento della Dottrina fascista fosse il risultato di un grande impegno contrassegnato da un’altrettanto grande serietà venne comprovato dai numerosi riconoscimenti che ricevette, non ultimo l’apprezzamento e la manifesta simpatia avuta da parte di Julius Evola, ma il riconoscimento più importante, i mistici, lo ricevettero dal Duce che li encomiò pubblicamente, incontrando i quadri della Scuola a Palazzo Venezia, incitandoli a proseguire nel cammino intrapreso quali custodi della purezza dell’Idea e del mito rivoluzionario: Io vi ho seguito in tutti questi anni da vicino e con vivissima simpatia perché considero la mistica in primo piano. Ogni rivoluzione ha infatti tre momenti: si comincia con la mistica, si continua con la politica, si finisce nell’amministrazione. Quando una rivoluzione diventa amministrazione si può dire che è terminata, liquidata. Potrei dimostrarvi che tutte le rivoluzioni sono passate attraverso questo ciclo: noi che conosciamo la storia dobbiamo impedire che la politica scivoli nell’amministrazione. Alle origini di ogni rivoluzione c’è la mistica: se la politica è il contingente, la mistica è l’immanente, essa rappresenta i valori eterni, essenziali, primordiali. Voi dovete lavorare per l’avvenire. Per far questo occorre la fede. È facile ad un certo momento deviare nella politica: voi dovete essere al di fuori e al di sopra delle necessità della politica. Di queste cose ho parlato in modo molto sommario; ma tutte erano presenti in voi. Avete tempo di riflettere.”  Il secondo conflitto mondiale era però già iniziato e l’Italia sarebbe entrata in guerra l’anno successivo.  I mistici fascisti volendo essere, fino alle estreme conseguenze, la prima linea del Fascismo accolsero con felicità ed entusiasmo la notizia, chiedendo ufficialmente che gli venisse concesso l’Onore dell’arruolamento volontario “nei più rischiosi reparti di terra, di mare o di cielo”. Subito, ben 169 quadri dirigenti della Scuola partiranno per il fronte, convinti che il processo rivoluzionario fascista avrebbe avuto una formidabile accelerazione proprio per effetto della guerra. Molti altri mistici seguiranno a ruota l’esempio dei loro capi.  La loro esemplare condotta evidenzierà una magnifica esplicazione degli insegnamenti della Tradizione: se hai di fronte due strade, scegli sempre la più difficile. Poiché c’è sempre una strada per chi vuole percorrerla.  Sia G., sia un’altra figura di eccezionale valore come Ricci, testimonieranno la loro intransigente coerenza esistenziale e politica con la scelta del combattimento. Il primo volontario sul fronte greco-albanese dove troverà eroicamente la morte, il secondo, sempre volontario, sul fronte africano dove coronerà la propria esistenza di credente nella fede fascista incontrando, altrettanto eroicamente, la morte a Bir Gandula sul Gebel cirenaico. Nell’arco di un solo mese il Fascismo perse due tra i suoi migliori campioni.  Le vicende belliche decimarono di fatto il gruppo dirigente della Scuola che sarà costretta a cessare le sue attività. I pochi sopravvissuti di quell’esperienza raccolsero di nuovo la chiamata del Duce aderendo alla Repubblica Sociale Italiana, tra questi Fernando Mezzasoma che era stato il vicepresidente della Scuola e che ricoprì il dicastero della propaganda nella RSI, trasportando con il proprio esempio le intime motivazioni della Mistica fascista nell’esperienza repubblicana: “È questa nostra intransigenza nei confronti della Dottrina che abbiamo sposato, delle battaglie che combattemmo, delle realizzazioni che abbiamo attuate, che, se ci consente di accettare la collaborazione di qualsiasi Italiano in buona fede e di buona volontà che voglia aiutare la titanica fatica del Duce, ci obbliga tuttavia a respingere sdegnosamente qualunque patteggiamento con coloro che agiscono al servizio del nemico, uccidendo a tradimento i nostri migliori compagni di marcia e di battaglia, con coloro che nell’Italia invasa perseguitano i fascisti che a migliaia risorgono e insorgono per rendere dura la vita agli invasori e aprire la strada al nostro ritorno. Questa deve essere oggi la nostra missione di fascisti. Questo è il comandamento di G.. Questo è il suo insegnamento. Nel suo nome, e nel nome degli altri caduti, i superstiti della Scuola di Mistica fascista chiamano a raccolta l’autentici italiani. Anche lui muore poi assassinato dai partigiani. Andarono tutti volontariamente incontro alla morte per onorare un patto di fedeltà e di fede che li lega al Duce e al Fascismo, così facendo coronarono una vita degna e ben vissuta, il loro abbraccio mistico con il Fascismo si consuma eroicamente in combattimento e di fronte ai plotoni di esecuzione. Se ancora oggi, dopo i tanti decenni trascorsi, la loro memoria, la memoria delle tante battaglie ideali e materiali affrontate, viene nonostante tutto ancora sentita come viva, se il ricordo di questi uomini caduti con onore non in nome di una passione generica, ma per il Fascismo, per il compimento di una Rivoluzione che è rimasta scolpita nella Storia, torna ancora ad emergere non deve assolutamente avvenire perché i vivi di oggi debbano morire nel loro cuore, struggendosi nella nostalgia del ricordo, ma deve invece impetuosamente emergere affinché i morti di ieri possano tornare a vivere tra di noi. Quella marcia, iniziata il 28 Ottobre 1922, non è ancora terminata. Non ci consta che esistessero specifiche istituzioni pubbliclie, ma in proposito possiamo ricordare numerosi provvedimenti e diverse associazioni private. Fra quelli, le leggi agrarie, le disposizioni a favore dei debitori, le distri­ buzioni semigratuite o gratuite dì grano, fatte dagli edili; i congiari imperiali (che erano copiose elargizioni di farina, olio e carne disposte dagli imperatori). Provvidenze che mi­ ravano tutte a combattere, direttamente e indirettamente, le cause dell’indigenza o almeno a paralizzarne gli effetti, ben­ ché nella loro essenza e origine avessero carattere politico, cioè fossero prese sopratutto per cattivarsi il favore e la simpatia della plebe o evitare tumulti e sommosse. Fra le associazioni, sopratutto bisogna ricordare quelle costituite a scopo mutualistico ; e tale è il carattere dei collegia funeraticia, dei collegia termiorum, delle casse di soccorso isti­tuite da GIULIO (si veda) Cesare fra i suoi legionari. Anche nel campo dell’istruzione si devono ricordare istituti privati i quali istruivano la classe dirigente romana. E’ invece nelle opere pubbliche ohe specialmente i romani ai distinsero legando ai posteri terme e acquedotti, palestre e strade, circhi e palazzi olle ancora oggi, in parte, almeno, durano e sono efficienti. L’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO SECONDO LA CONCEZIONE FASCISTA. LA TEORICA FASCISTA SULLA NATURA E SULLE FUNZIONI DELLO STATO. LA FUNZIONE SOCIALE DELLO  STATO.  PRECEDENTI STORICI DELLA FUNZIONE SOCIALE  DELLO STATO NELLA POLITICA E NELLA LEGISLAZIONE SOCIALE. In Roma sino all’editto di Costantino. Durante il medioevo.Dopo la riforma protestante. Ordinamento sociale dello Stato fascista. In Italia. L’evoluzione e la trasformazione della legislazione sociale. La legislazione sulla beneficenza e sulla assistenza pubblica e privata. La legislazione sulla mutualità e sulla previdenza. La legislazione del lavoro. La legislazione sull’istruzione pubblica. La legislazione sull’igiene e sulla sanità pubblica. La legislazione sui servizi e sulle opere pubbliche. GLI ELEMENTI DELL’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. I soggetti. Gli obiettivi . Gli obiettivi relativi ai cittadini in genere. Gli obiettivi inerenti alle condizioni generali di vita. Gli obiettivi inerenti in particolare alla fase di formazione e di preparazione del cittadino, a quella di  produttività e a quella di riposo. Gli obiettivi relativi ai cittadini benemeriti. Gli obiettivi relativi ai cittadini non risanabili e non   rieducabili. Gli strumenti . Il criterio, profondamente corporativo, adottato dal legislatore fascista per la scelta degli strumenti attuanti la  politica sociale. La famiglia. L’associazione professionale. Le istituzioni promananti, singolarmente o pariteticamente, dalle associazioni professionali. Gli enti locali. Le opere nazionali parastatali. I limiti. LE ISTITUZIONI DEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. Di alcune considerazioni preliminari. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. La- legislazione inerente alla sicurezza, all’igiene e   alla sanità pubblica . Per garantire la sicurezza. Per assicurare l’igiene e la sanità. La legislazione inerente alla previdenza . Per incrementare il risparmio. Per potenziare la mutualità. Per favorire la cooperazione. Per diffondere le assicurazioni Ubere. La legislazione inerente alla assistenza di soccorso. Per l soccorsi in natura e in contanti. Per i soccorsi medico-sanitario-ospitalieri. La legislazione inerente alla propaganda, all'integrazione culturale e al perfezionamento scientìfico . Per favorire il perfezionamento scientifico. Per la propaganda e l’integrazione culturale. La legislazione inerente all’integrazione della formazione e dell’educazione fisica e sportiva. La legislazione inerente alla costituzione e all’incremento del nucleo familiare . Per favorire la costituzione della famiglia. Per facilitare l’esistenza e lo sviluppo delia famiglia . La legislazione inerente a particolari servizi pubblici.Per garantire il soddisfacimento di bisogni primari. Per assicurare i rapporti e i contatti economico-sociali. Per valorizzare il patrimonio nazionale. Ordinamento sociale dello Stato fascista. La legislazione inerente al controlla, <UVadeguamento e al collegamento ielle istituzioni dell’ordinamento  sociale e alla selezione dei suoi soggetti. Per assicurare il controllo e l’adeguamento delle istituzioni sociali. Per ottenere il collegamento nell'ambito dell’ordinamento sociale. Per assicurare la formazione della classe dirigente mediante la selezione totalitaria del cittadini. IL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E LE ORGANIZZAZIONI DIPENDENTI. Origine, natura e funzione sociale del P. N. F .  I Fasci di Combattimento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L’Associazione nazionale famiglie Caduti fascisti e Mutilati e Invalidi per la Causa Nazionale. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia I compiti  I soggetti . L’ordinamento. L’Unione nazionale fascista del senato. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Gruppi Universitari Fascisti. I compiti. I soggetti.  L’ordinamento. I Fasci di Combattimento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. I compiti. I soggetti.  L’ordinamento. L’Opera Nazionale Dopolavoro.  I compiti. I soggetti.  L’ordmamento. Le Associazioni fasciste. I compiti  I soggetti  L’ordinamento.  Il Comitato intersindacale .  I compiti. I soggetti. L'ordinamento. Gl’Uffici di Collocamento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Ente Opere Assistenziali. I compiti. I soggetti. L’ordinamento.  L'Opera Universitaria. I compiti.   I soggetti. L’ordinamento. Il Comitato olimpionico nazionale italiano. I compiti.  I soggetti.   L’ordinamento. Di alcune considerazioni sul P. N. E. La legislazione richiamata. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI  DI VITA DEL CITTADINO. Ordinamento sodale dello Stato fascista. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE  PROFESSONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. La legislazione inerente al nucleo familiare per la formazione fisico-militare del cittadino. Per sopperire alla insufficienza relativa dei mezzi economici della famìglia e sostituirla nella vacanza di alcune  sue funzioni. Per integrare l’inadeguatezza assoluta di alcuni mezzi  della famiglia.  L’OPERA NAZIONALE PER LA PROTEZIONE DELL’INFANZIA. L’origine, la natura e la funzione sociale deU’.O.N.M.I. I compiti. Per l’integrazione e il coordinamento dell’azione svolta   da altri enti o istituti o da privati. Per la vigilanza e il controllo delle singole istituzioni   di assistenza. Per la propaganda e la vigilanza suU’applieazione  delle leggi e dei regolamenti riguardanti l'assistenza  materna e infantile.  I soggetti. L’ordinamento . Dì alcune considerazioni suli’O. N. M. 1 La legislazione richiamata. La legislazione inerente all’istruzione e alla formazione professionale del cittadino. Per garantire l’istruzione professionale del cittadino sino al 14° anno di età. Per favorire e incrementare l’istruzione professionale La legislazione inerente all’educazione e alla formazione fisica, premilitare, morale e nazionale del cittadino.  L’OPERA NAZIONALE BALILLA PER L’ASSISTENZA E  L’EDUCAZIONE FISICA E MORALE DEGL’ITALIANI. L’origine, la natura e la funzione somale dell’O.N.B. I compiti . I soggetti. L’ordinamento. Di alcune considerazioni sull’O.N.B. La legislazione richiamata. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE PROFESSIONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI   PRODUTTIVITÀ’ DEL CITTADINO. La legislazione inerente all’azione sociale attuata   dalle associazioni professionali . Per garantire l’azione sociale da attuarsi direttamente   dai sindacati. Per assicurare l’azione sociale da attuarsi dai sindacati   a mezzo di speciali istituzioni.  IL PATRONATO NAZIONALE PER L’ASSISTENZA SOCIALE. L'origine, la natura e la funzione sociale del P.N.A.S. I compiti . I soggetti. L’ordinamento. Di alcune considerazioni sul P.N.A.S. La legislazione richiamata. La legislazione inerente all’azione sociale attuata dalle corporazioni. Per garantire il produttore obiettivamente e subiettivamente di fronte alle condizioni del lavoro. Per tutelare i reciproci rapporti fra i produttori nella loro dualità di datori di lavoro e di prestatori d’opera . Per favorire ii perfezionamento e l'elevazione professionale del produttore. Ordinamento sociale dello Stato fascista. La legislazione inerente alla conservazione dello spirito nazionale e della preparazione fisico-militare del  produttore.  DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI PRODUTTIVITÀ DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI  RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. La legislazione inerente all’obbligo delle garanzie previdenziali per la fase di riposo-vecchiaia. La legislazione inerente a speciali interventi statuali a favore del vecchio bisognoso. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI 'SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI RELATIVE AI CITTADINI CHE HANNO BENEMERITATO DALLO STATO. La legislazione inerente alle benemerenze collettive. La legislazione inerente alle benemerenze individuali. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI BENEMERITI. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI  MINORATI NON RISANABILI E NON RIEDUCABILI. La legislazione inerente ai minorati assolutamente   non produttori. La legislazione inerente ni minorati relativamente non produttori. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON INEDUCABILI.LA POSIZIONE E I RAPPORTI DI RELAZIONE DEL  CITTADINO NEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE. Di alcune considerazioni preliminari. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO DALLA NASCITA ALLA MAGGIORE ETÀ. L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato sino al quinto anno. Per la costituzione della famiglia.Per la esistenza e l’incremento della famiglia. Per li cittadino neonato. Per Viilegittimo e l’esposto. Per l’orfano. Per iì cittadino infante. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assistenziale dello Stato sino al quinto anno. L’azione previdenziale e assistenziale dello stato dal sesto al quattordicesimo anno. Per la formazione e lo sviluppo fisico, militare, morale e nazionale. Per la formazione intellettuale e professionale. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assistenziale dello Stato dal sesto al quattordicesimo anno. L’azione previdenziale e assistenziale dello stato dal quindicesimo al ventunesimo anno. Ordinamento sociale dello stato fascista. Per il cittadino che studia. Per il cittadino che lavora. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assistenziale dello Stato dal quindicesimo al ventunesimo anno. DA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO PRODUTTORE. L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato per   il cittadino ohe è produttore. L’azione previdenziale e assistenziale dello Stato   per la famiglia e i suoi membri .  LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO A RIPOSO . LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO BENEMERITO. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO MINORATO NON RISANABILE E NON RIEDUCABILE. LA POLITICA SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. DELL’AZIONE SVOLTA DIRETTAMENTE DALLO STATO ATTRAVERSO AI SUOI ORGANI. Per la riorganizzazione, il potenziamento e l’estensione della rete consolare . DELL’AZIONE SVOLTA MEDIANTE LA STIPULAZIONE  DI CONVENZIONI BILATERALI E PLURILATERALI E MEDIANTE L'OPERA DELL’O.I.L. Le convenzioni bilaterali e plurilaterali ..Le convenzioni intemazionali, le raccomandazioni e   le risoluzioni dell'O.I.L . La legislazione richiamata.  Appartene alla categoria dei mistici per i quali è bello vivere se la vita è nobilmente spesa ma è più bello morire se la vita è donata all'Idea. Arnaldo Mussolini fu il suo Maestro: da Arnaldo im­ parò che prima di agire e costruire è necessario ele­ varsi, purificare il proprio spirito, temprare il proprio carattere; allora soltanto si potrà essere certi che l'azione sarà feconda e l'edificio sicuro. Da Arnaldo imparò che per conoscere, giudicare e guidare gli al­ tri è prima indispensabile conoscere bene se stessi, punire inesorabilmente i propri difetti, affinare inces­ santemente le proprie virtù: allora soltanto si potrà aspirare all'onore del comando. Da Arnaldo impara che solo il sacrificio può suscitare le opere grandi e buone e distruggere le cose piccole e vili. Ciò che non costa non vale; ciò che non procura fatica e sof­ ferenza non dura; quanto è al di fuori di noi non conta; gli onori, le cariche, le ricchezze sono effimere e ca­ duche cose. Quello che importa è quanto è dentro di noi, perchè è nostro e nessuno potrà mai portarcelo via, neanche a strapparci la carne viva di dosso. Es­ sere se stessi in ogni momento, rimanere se stessi sempre: ecco la più grande conquista degli uomini. Uomo di fede Un uomo di fede fu G.. E la sua fede era di quelle che non vacillano mai, di quelle che restano intatte nella buona e nella cattiva sorte e che traggono anzi dalle difficoltà e dalle sfortune un più profondo contenuto e sempre nuovi motivi. La sua fede era di quelle alte cui fonti cristalline attingono le intelligenze chiare e gli animi trasparenti degli uomini puri i quali sanno che se si vuole raggiungere l'ultima cima, mol­ te vette bisogna scalare e talvolta anche scendere da alcune per risalire su aifre vette più alte ancora. In 8 i   G. la fede nasceva da un inesausto tormento spi­ rituale, da un'ansia incontenibile di elevazione e di conquista per divenire, come dice il poeta, «cara gioia sopra ia quale ogni virtù sì fonda. Egli credeva in Dio, nel Dio di noi Italiani fascisti e cattoiici a cui dobbiamo non soltanto il dono misterioso della vita ma anche il privilegio di averci chiamati a continuare la missione di civiltà e di giustizia che la gente nostra svolge nel mondo da più di due millenni. Egli credeva nella dottrina politica enunciata da Mussolini, scaturita dall'azione, alimentata dalla fede, consacrata dal sa­ crificio e nella sua possibilità di instaurare un nuovo sistema di vita, di educare gli uomini a una visione vasta ed umana delle cose, di creare un nuovo tipo di civiltà italiana, ed europea. Crede in Mussolini perchè lo considera l'uomo della provvidenza, l'e­ sponente di una razza eletta, il fondatore di una ci­ viltà universale, il protagonista e l'artefice di una nuòva storia, il condottiero di giovani generazioni, il DUCE, a cui non occorre chiedere prima di iniziare la marcia dove ci porta e quando si arriverà perchè dal giorno in cui un destino fortunato (o pose alla testa —9 ‘1   del suo popolo, la meta era già nei suoi occhi e la vittoria nel suo pugno. Crede negl’italiani nati e cresciuti col sorgere del Fascismo, educati alla severa scuola del Partito e li voleva rivoluzionari nello spirito e nel sangue, gene­ rosi ed audaci, pronti alla lotta e alla rinunzia. Sogna­ va una classe dirigente che sapesse dimostrare con l'esempio, nelle opere e nel sacrificio, di essere de­ gna del nostro grande popolo e del nostro grande Capo; una classe dirigente fatta di uomini integrali, forti della loro indipendenza morale — la sola ric­ chezza umana che non abbia un valore misurabile in denaro — e dotati di tutte le virtù spirituali, intellet­ tuali e fisiche che sono indispensabili per poter eser­ citare con dignità e con efficacia la missione dei co­ mando. Concepiva la famiglia nel senso più tradizio­ nalmente nostro; amava cioè la sana numerosa fami­ glia italiana, ricca di onestà e prodiga di figli, sboc­ ciata dall'amore tra l'uomo che vive lavorando o com­ battendo-per la Patria e la donna che nel piccolo gran­ de regno della casa vive nella serena ed operosa attesa del ritorno di lui; e se l'uomo non tornerà la donna lo piangerà senza lacrime perchè egli sopravvi­ va nella fierezza dei figli, I quali continueranno, nella luce del suo esempio, l'opera sua. Crede nella Patria come ne « la più pura, la più grande, la più umana delle realtà », amava la Patria più della propria anima. Tutto per la Patria: fu la sua consegna. Niente per lui valeva qualche cosa se non serviva alla Patria. Perchè la Patria è tutto e tutti; sè e gli altri; le generazioni che furono, che sono e saran­ no; la storia di ieri, di oggi e di domani. La Patria è la sintesi di tutte le più nobili aspirazioni. Essa è fatta di uomini da rendere sempre più degni e di territori da fare sempre più vasti. Per essa si lavora, si soffre, si spera; per essa si combatte, si vince o si muore. Giornalista della Rivoluzione e Maestro dei giovani Niccolò Giani fu un giornalista della Rivoluzione. Egli intendeva il giornalismo come una scuola di vita, come uno strumento di educazione e di formazione. Dalle agili colonne del suo giornale, la Cronaca Prealpina, e da quelle della sua rivista DOTTRINA FASCISTA si battè accanitamente per la creazione di un giornalismo rivoluzionario, dinamico, coraggioso, un giornalismo che fosse in grado di svolgere una fun­ zione costruttiva di divulgazione, di propulsione e di controllo, un giornalismo che fosse degno di essere considerato un'arma affilata della Rivoluzione. Ma soprattutto maestro dei giovani egli fu. All'Inse­gnamento si consacra con il religioso fervore con il quale sole dedicarsi a tutte le attività rivolte agl’italiani. All'ateneo di Pavia, al centro di prepara­zione politica, alla scuola di MISTICA FASCISTA egli porta il contributo della sua beila cultura fatta di conoscen­za e di azione, illuminata dalla fede, riscaldata dal sentimento, Alla Scuola di Mistica da la parte mi­gliore di se stesso. Tutto quello che di buono e di meritevole è stato fatto dalla scuola — ha detto Mussolini, nostro Presidente — proviene unicamente da lui. Bisogna ricordarlo sempre e presentarlo co­me un mirabile esempio agl’italiani che in lui potranno vedere l'espressione più sublime di obbedienza ai comandamenti del Duce. È il migliore tra noi: il più limpido, ii più generoso, ii più puro. Delia nostra mistica fede è l'aifiere più ardilo e i'apostolo più acceso. Egli voieva che dalia nostra Scuoia uscissero ì missionari, i portatori del no­ stro credo politico ed è egli stesso il più tenace e il più convinto assertore dei principi che sono a fonda­mento della nostra dottrina. La scuola sorge con lui per la volontà di un manipoio di credenti che egli chiama i disperati del FASCISMO, così come gli squadristi un tempo amano chiamarsi FASCISTI arrabbiati. All'inizio la scuola è un'attività de! Guf milanese. Divenne quindi un'attività di tutti i gruppi fascisti uni­versitari. Oggi si è imposta al rispetto e ail'attenzione di tutti i fascisti. La sua opera è rivolta agl’italiani, ma la sua azione è seguita ed amata anche dai camerati della vecchia guardia che vedono con in­tima gioia esaltate e rinnovate ogni giorno, dagl’al­lievi della scuola, le due più preziose virtù dello squa­ drismo: la fedeltà e la intransigenza. I camerati della vecchia guardia milanese sanno che il, nome di Niccolò Giani è legato alla riapertura del Covo di Via Paolo da Cannobio, prima sede del « Popolo d'Italia », prima trincea del Fascismo, che il Duce ha voluto affidare in gelosa custodia ai giovani della Scuola di Mistica perchè le giovani generazioni, accostandosi alle sorgenti genuine delia nostra Ri­ voluzione, cogliessero, dall'umile grandezza delle ori­ gini, la poesia e il fermento delia vigilia. G. è soprattutto un fedele ed un in­ transigente. Taluni potrebbero chiamarlo un fanatico, ma solo I fanatici sanno dare movimento col sangue «alla ruota sonante della storia». Il suo spirito si ribellava a qualunque forma di com­ promesso; sul terreno della fede non ammetteva pat­ teggiamenti; il bello, il buono, il vero sono da un lato della barricata; dall'altra parte c'è il brutto, il male, la meschinità. Mi piace di ricordarlo ai Convegno di Mistica: eravamo alla vigilia delia nostra guer­ ra di liberazione e c'era in tutti noi una febbrile im­ pazienza di decisione. Il tema del Convegno era bru­ ciante: «Perchè siamo dei mistici?». I problemi dell'inteiligenza e deila cultura furono esaminati al lume della fede; i poveri dì fede furono sbaragliati e G. dichiarò guerra a viso aperto a tutti gli spiriti troppo raziocinanti, agli innamorati della ricerca fredda e del ragionamento calcolatore. La dottrina che conquista è quella che sorge dalla fede e non quella che discende dalla indagine arida ed oziosa; la cultura che costruisce è quella che pene­ tra e trasforma e non quella che resta gelida ed inerte. li Convegno si svolse in un'atmosfera di fuoco e la risposta al tema che fu oggetto dei nostri appassionati dibattiti fu data dallo stesso G.: Fascismo uguale a spirito, uguale a mistica, uguale a combattimento, uguale a vittoria. Perchè credere non si può se non si è mistici, combattere non si può se non si crede, e vincere non si può se non si combatte. Fu in quel Convegno, ò giovani camerati della Scuola di Mistica, che i giovani della generazione del Litto­rio affermarono solennemente il loro diritto al combat­ timento, Soldato dì Mussolini G. è tra i primi a partire. C'èin lui la preoccupazione morbosa di stabilire coi fatti una coe­ renza perfetta tra il pensiero e l'azione. Aveva già partecipalo come volontario alla guerra per la con­ quista dell'Impero, aveva chiesto ripetutamente di partire per la Spagna e non gli era stato concesso; finalmente sopraggiungeva la nuova prova lungamente attesa. Chi lo vide tenente degli alpini al fronte occidentale lo ricorda come un esempio di disciplina e di ardi­ mento. Ma la parentesi fu troppo breve: tornò insod­ disfatto, Andò in Africa settentrionale come corrispon­ dente di guerra del popolo d'Italia. Ma quando sa che il suo reggimento è già sul fronte greco chiede di raggiungerlo. Non puo vivere lontano dai suoi alpini, gli sembra un tradimento. Parte per non tornare. Tre volte si offre per azioni rischiose, tre volte è appagato, la terza volta è l'ultima. I suoi uomini lo adorano. Con lui sarebbero andati dovunque: potenza insuperabile dell'esempio! Anda con un manipolo d’alpini a raggiungere una vetta lontana per compiere una ricognizione sulle po­sizioni del nemico. Assolge il suo compito felicemente e rapidamente, ma prosegue oltre. Il suo programma è un altro. Incontra poco prima, lungo il cammino, un camerata di Milano e gli affida l'incarico di salutare per lui tutti gli amici di mistica e di comunicare loro che egli è partito per un'impresa della quale si sarebbe dovuto parlare. Mantenne la promessa. Alla testa dei suoi alpini raggiunge un'altra vetta, sulla quale alta sfolgora la luce della gloria, e a bombe a mano assalì un presidio greco. Circon­dato, lotta eroicamente, fino a quando una pallottola gli recise la gola, gli spezza la vita, soffoca il suo canto.. Così cadde G. Egli è morto come è vissuto, non per sè ma per gl’altri. È triste non potergli più vivere accanto, non poter più rinfrescare il nostro spirito alia polla purissima della sua fede. Ma egli chiuse la sua vita terrena in modo degno di luì, Arnaldo gli insegna che il segreto della vita è tutto qui; saper vivere, saper morire, nel modo più degno. G. vuole insegnare agl’italiani come deve vìvere e come sa morire un italiano di Mussolini. La nostra scuola, o camerati di mistica, non lo onora col pianto che egli non approva. Il nostro ciglio è asciutto anche se il cuore in questo momento acce­ lera il ritmo dei suoi palpiti. Ma noi sentiamo che non un vuoto egli ha lasciato nelle nostre file, li suo spirito inquieto è con noi, dinanzi a noi, oggi come non mai, ad additarci la strada che conduce alla vittoria, ad ammonirci che il suo tormento deve essere anche il nostro tormento, la sua ansia anche la nostra ansia, il suo amore anche il nostro amore, oggi, domani, sempre. E noi sentiamo che Arnaldo, il suo ed il nostro mae­stro, lo ha accolto nell'altra esistenza, accanto al suo figlio prediletto e agli altri martiri delia nostra scuola, come il migliore dei suoi discepoli. Il mito di Roma contro Si guardi Ro- il mito di Jehova in ma repubblicana. Catone, Cicerone, Quale è il suo Tacito, Giovenale ideale? Ce lo di- e negli Imperatori ce Marco Porcio Cato rie CATONE nel suo De Agri cultura laddove scrive che i romani quando lodavano un uomo dabbene, lo chiamavano buon agricoltore, buon colono. E con ciò si ritene di dare la maggiore lode a colui che così veniva chiamato. E ciò per­ chè dalla classe degli agricoltori nascono gli uo­mini più forti e i soldati più valorosi e coloro che si dedicano a tale occupazione non concepi­scono cattivi propositi. Queste parole, questo saggio romano le scrive­ esattamen­te, nello stesso periodo in cui Roma combatte l’ultima e definitiva partita con la semita Carta­gine. Ma, a questo proposito, ci si è mai chiesto perchè poi Cartagine è delendam, perchè Ro­ma s’è fissata ili questo mito della distruzione totale della città di Annibaie? La risposta è una sola. La lotta tra le due rivali infatti non è solo politica ed economica. È ben di più. È lotta di civiltà, di sistema di vita. Roma rurale, Ro­ma gerarchica, Roma guerriera ed eroica com­batte anche la Cartagine dei mercanti e della demagogia. Ecco perchè non è strano, ma, anzi, logico, necessario addirittura, che l’uomo che in senato termina i suoi discorsi col noto ceterum censeo Carthaginem delendam esse è lo stesso che nel suo De Agri cultura pone l’ideale ro­mano nella gente nata dai campi, cresciuta in mezzo alle bellezze e alle forze della terra, tem­prata nelle lotte aperte e solari della natura. Più di un secolo dopo, un altro grande roma­no, che gli ebrei aveva conosciuto perchè uno di 16   essi, Apollonio Molone, come ci dice il giudeo Lazare, aveva avuto per maestro: CICERONE, tuo­ nerà anche lui contro la loro mentalità. Il tenere testa alla turba giudaica che spesso schiamazza nelle riunioni popolari e farlo nel­ l’interesse della Repubblica è prova di saldi prin­cipi, dice infatti CICERONE rivolto a LELIO nella sua orazio­ne Pro Fiacco. E nel suo De Officiis si legge questo aneddoto che dice anche ai sordi in quale dispregio avessero i romani i traf­ficanti di denaro. Ecco infatti come Cicerone rac­conta che Catone risponde a chi lo interroga­ va sul miglior modo di amministrare i propri beni. Bene pascere. E in quale altro modo? è richiesto a Catone. Salis bene pascere, è la risposta. E poi? Arare, egli dice ancora. £ che ne pensi del prestare ad usura?cioè del prestare denaro a interesse. Risponde Catone. E tu che ne pensi dell’uccidere un uomo? Come, quindi, i romani, con mentalità siffat­ta, avrebbero potuto, non dico apprezzare, ma solo riconoscere la mentalità ebraica? E se è vero che con l’Ambasciata di Giuda Maccabeo si iniziano i primi rapporti di­plomatici tra Roma e Gerusalemme, se è vero che seguono altre ambasciate, se è vero che GIULIO (si veda) Cesare e OTTAVIANO (si veda) li tolle­rano, è altrettanto vero che gl’ebrei anziché essere grati e devoti allo stato romano ricambiario con disordini e con tradimenti la generosità dei Cesari, al punto che Claudio, da un decreto di tolleranza passa alla loro espulsione e ciò per­ chè, come testimoniano numerosi scrittori lati­ni — da Persio a Ovidio, da Svetonio a Plinio, da Tacito a Giovenale — gli Ebrei conside­ rano come profano tutto ciò che da noi è consi­ derato sacro (cfr. Tacito, Hist.); per­ chè essi hanno un culto particolare, leggi par­ ticolari, disprezzano le leggi romane (cfr. Gio­venale, Im. Lat.). Colle generazioni questo contrasto di civiltà e questa antitesi di istituzioni si acuiscono. È così che si arriva alla spedizione di Tito: all’assedio e alla distruzione di Gerusalemme. E in tal mo­ do, due secoli dopo Cartagine, anche sull’or­ goglioso regno di Giudea passa l’aratro romano e viene cosparso il sale. Così quei giudei che pretendevano di essere il popolo eletto e che per invidia di capi e per in­ comprensione ingenerosa di popolo avevano tra­ dito e condannato nostro Signore Gesù Cristo; quegli eredi del Profeta che smentirono la profe­ zia compiuta, furono dispersi per il mondo. La profezia del Golgota ebbe in tal modo realizza­ zione per mano di Tito, di quel Tito, il cui arco, forse per imperscrutabile volontà di quel Dio che egli inconsciamente servì, s’aderge ancora intatto contro il cielo eterno di Roma, quasi a testimonia­ re e ammonire le genti e il mondo intero della giustizia e della verità che promanano dai sette colli sacrati all’Impero del Littorio e alla Chiesa di Cristo. Niccolò Giani. Giani. Keywords: implicature mistica, mistico, il mistico – la mistica del liberalismo – la mistica del comunismo – la mistica della democrazia – la mistica del socialismo – filosofia politica – dottrina liberale – dottrina comunista – dottrina democratica – dottrina socialista --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della radice italica del melodramma – filosofia torinese – scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo Italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I love Giani; for one, he was less fanatic than Nietzsche, even if it is Nietzsche’s fanaticism that attracts Strawson! For one Giani is more careful: if ‘music’ comes from the muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to emphasise in a piece of bad rhetoric, that tragedy has its birth in the ‘spirit’ of “music” – surely Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no ‘music’ in Dionysus, only noise! Trust an Italian to correct Nietzsche on that point!” --   Appartene ad una famiglia dell'alta borghesia torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo zio  Giuseppe (Cerano d'Intelvi) e pittore piuttosto noto, docente all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi  fino alla laurea. Si interessa inoltre al fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di Così parla Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo difende. Risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante gli scritti di G., soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo e note sui testi poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a Giani anche l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una rivista che si propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo positivistico diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di altre correnti filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte aristocratica”, dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita: in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la cosiddetta "arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la naturale evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa manifestazione dello spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito, che egli da allora considera incondizionatamente un maestro: al tempo Boito aveva reso pubblico il solo testo del Nerone, che venne accolto molto vivacemente e con alterna fortuna dall'ambiente letterario italiano. La posizione intorno al Nerone è singolare e indicativa di quali fossero i requisiti che la cerchia di G. e Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa tragedia farebbe parte del novero delle tragedie vere, quelle in cui ritmo, suono della parola, gesto, musica concorrono alla creazione di un che di superiore. Tuttavia, quando la musica del Nerone fu resa nota postuma, dichiara una certa delusione. Uomo dalla cultura enciclopedica, versato con competenza anche negli studi di letteratura, G. cura L'estetica di Leopardi. Vede in Leopardi il luogo in cui le immagini della sua poesia si comporrebbero in un universo etico ed estetico coerente. All'interno della storia della critica leopardiana, pare avvicinabile ora alla posizione di Croce, di distinzione tra il momento della poesia e il momento della riflessione, ora a quelle positivistiche. Singolarmente,parla di musica e dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il ruolo del coro nelle Operette morali solo nella conclusione, benché in termini acuti. Avrebbe contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari, quello della musica nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella tragedia” -- Fin dal saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La nascita della tragedia dallo spirito della musica”. G. non condivide l'opinione di Nietzsche secondo cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento la portata dionisiaca della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un livello musicale altissimo. Per affermare questo ricostruisce il ruolo della musica nei testi tragici sulla base delle fonti antiche, dedicandosi alle singole parti e forme musicali dei drammi, sempre attento a sottolineare la valenza estetica complessiva della tragedia o melodramma, ma nel contempo senza trascurare le posizioni metodologiche della scuola filologica. Fino ad allora non aveva stretto profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito), si avvicina sempre più alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti, approvandone principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa spiritualità nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della Voce, ma prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in particolare dai drammi musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte totalmente compiute.  Un legame creativo e biografico molto più stretto strinse con Ghedini, anche per via delle comuni frequentazioni torinesi: per Ghedini, che sta ancora cercando una personale posizione estetica e anda raggiungendo progressivamente le conquiste di stile e di linguaggio che lo avrebbero reso famoso, Giani valse come una sorta di pigmalione, suggerendo testi da musicare per le liriche e esaminando con occhio critico le composizioni di Ghedini.  G. stesso è librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck, musicata da Ghedini ma mai rappresentata, e scrive Esther per Pannain. Divenne molto noto in tutta Italia per i suoi saggi di radicale confutazione di Croce. Non è particolarmente ostile all'idealismo di Croce, anzi considera la teoria dell'arte come intuizione una delle chiavi per la valutazione della creatività anche musicale e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce viene sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri seguaci mal tollerati dal nostro, attacca tale concezione con il bellicoso pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in essa non vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato italiano. Il posto di G. nella storia della musicografia è tutto particolare. Pestalozza vi ha addirittura visto un predecessore della “fenomenologia musicale.”In realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi scritti, pare essersi dedicato assai poco a questa o quella musica in particolare, mentre il suo contributo fu assolutamente preponderante nei temi di estetica musicale.Fu una voce originale, fuori dal coro, che inizialmente difese il dramma di Wagner, quindi auspice fermamente all'interno dei testi musicati dai compositori qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò, pur da lontano, i compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca continua di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della musica, che doveva essere cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila figuratrice dell'invisibile, cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non immediatamente in essi esplicate. Una posizione la sua che può essere paragonata a quella del "critico-artista" teorizzata da Wilde, che G. ben conosce: un "critico-artista" nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta che il critico li rivela a lui e al mondo. Dispose per testamento che i suoi libri venissero donati "ad una biblioteca di piccola Città preferibilmente Pinerolo" e proprio presso la Biblioteca Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo ora si trovano, presso il Fondo che prese il suo nome.  Altre saggi: “Per l'arte aristocratica (in proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista Musicale Italiana”, -- aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto di potere --  Il “Nerone” di Arrigo Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Anticlo:  Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in “Rivista Musicale Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi Pagano:  La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce), Torino, Bocca. Dizionario Biografico degli Italiani Cesare Botto Micca, in morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In memoria,, in “Rivista Musicale Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale Italiana”, Luigi Pestalozza, Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia, Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del passato, in «Nuova Rivista Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e la musica, Torino, in proprio, ad vocem. Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo Giani e Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”, Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di Casagrande, Baldi,  Betta, Cavallo, Balbo, Fenoglio.  GIANI, Romualdo. Nasce a Torino da Francesco e da Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi.  Laureatosi in giurisprudenza non ancora ventenne, esercita l'avvocatura patrocinando esclusivamente cause civili nel settore commerciale. Allo stesso tempo si occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile, ebbe profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti, ampliate dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte europee. È tra i fondatori, con l'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana, alla quale collaborò ininterrottamente per trentasette anni, spesso valendosi di pseudonimi.  Esordì sul primo numero della rivista con la critica "I Medici". Parole e musica di Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus. italiana); sullo stesso numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per musica(ibid.), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da autori sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma d'arte.  In Per l'arte aristocratica, sostenne una vivace polemica con Torchi sull'autonomia dell'arte, alla quale parteciparono Pilo, Garoglio, Foulliée e altri; G. volle dimostrare che la formula "l'arte per l'arte" o "l'arte aristocratica" non era cosa assurda e immorale, come sostenuto dal Torchi, ma l'ultimo effetto di un'evoluzione. Pubblica il saggio critico Il "Nerone"di Boito (Torino; cfr. Riv. mus. ital.), che gli procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in cui si dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei Pensieri di Leopardi (Torino; cfr. Riv. musicale italiana) G. oltre a ricostruire il pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte musicale.  Per la Biblioteca di scienze moderne del Bocca, è stato pubblicato Così parlò Zaratustra di Nietzsche, tradotto da Weisel; G., ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne appronta una nuova versione d'accordo con Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca. Con lo pseudonimo di Anticlo, da alle stampe lo studio Gli spiriti della musica nella tragedia greca (Milano; Riv. musicale italiana). Durante il primo conflitto mondiale usce L'amore nel Canzoniere di Petrarca (Torino; in appendice Nota sul suono e sul ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita.  G. inoltre traduce per diletto dal latino, soprattutto TIBULLO (si veda) ed ORAZIO (si veda), e dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti d'opera: Esther (Riv. musicale italiana), tragedia lirica in tre atti ispirata dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a Pizzetti, e L'Intrusa, un atto per musica, tratto dal dramma in prosa di Maeterlinck, musicato dapprima da Ghedini (non rappresentato), e poi da G. Pannain, che la rappresenta a Genova.  La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (Riv. musicale italiana), apparso sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò un attacco all'estetica crociana che diede origine a una polemica col Croce stesso. G., con logica inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del filosofo, come l'eccessivo idealismo che considerava la musica estranea ai fenomeni fisici che la originano e alla tecnica, espressi in Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902) e nel Breviario di estetica, opere che G. ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con Socrate e la pulce (ibid.) rispondeva allo scritto La musica e l'estetica dell'idealismo, in cui Pannain assume la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del Pannain, furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino 1928) insieme con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di Pizzetti, giudicata un'opera mancata. Contemporaneamente G. pubblica il Sillabario di estetica (Riv. musicale italiana), e a conclusione della polemica aggiungeva una Nota crociana, nel capitolo terzo de La fionda di Davide, in cui evidenziava ancora altre contraddizioni nella teoria di Croce. La polemica si riaprì  con lo scritto La favola dell'aridità con il quale G. insorgeva, in difesa del Seicento musicale italiano, contro un'affermazione del Croce che definiva "età di aridità creativa" il secolo; la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non soddisfece G., che replica con Il parto settimello.  G. scrive inoltre numerose recensioni e articoli sulla Rivista musicale italiana e sulla Rassegna musicale, a cui collabora, spesso sotto gli altri pseudonimi di H. Giraud e A. Cannella. G. muore a Torino. Oltre agli saggi citati si ricordano: Savitri"Idillio drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di N. Canti. La poesia, in Rivista musicale italiana; Note marginali agl’Intermezzi critici di Pizzetti; Note Leopardiane, in Campo Torino; Estetica nuova; Per una biografia di Berlioz; Melodramma e dramma musicale, Adler, G., Gli spiriti della musica nella tragedia greca, Riv. mus. ital., Ronga, In morte di G., ibid., Botto Micca, G. (Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo, Pastore, In memoria di G., Riv. musicale italiana, Vajro, G., Angelis, Diz. dei musicisti, Roma; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie. Romualdo Giani. Giani. Keywords: implicatura.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giannantoni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della dialettica – filosofia perugiana – scuola di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugiano. Filosofo umbro. Filosofo Italiano. Perugia, Umbria. Grice: “I love Giannantoni; for one, he believes, with me, that there is Athenian dialectic, Roman dialectic, Florentine dialectic and Oxonian dialectic; like me, he has explored mostly ‘Athenian dialectic,’ and he has noted that its birth (‘nascita’) is in the ‘dialogo socratico,’ so it should surprise nobody that I have based my philosophy on the facts of conversation!” Si laurea a Roma sotto Calogero. In “Il dialogo di Socrate e la dialettica di Platone” attribuisce a Socrate una concezione molto laica della del divino e della religione (Religiosità, che Socrate, il quale era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo del tutto diverso da come comunemente era sentita a quell'epoca»). La sua dottrina storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria riflessione filosofica si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca filologica delle fonti.Questo spiega l'enorme dispiego di tempo dedicato all'elaborare la sua opera monumentale, Reliche di Socrate” (Socratis et Socraticorum reliquiæ). G. ha sempre seguito il criterio di Croce e Gramsci, secondo cui l'esposizione di un filosofo debba avvenire tramite l'esame storico cronologico (unita longitudinale) delle sue opere, allo scopo di prendere consapevolezza dell'evoluzione della dottrina e di separare da questa ogni sovrapposizione interpretativa personale non adeguatamente basata sulle fonti.  Convinto dell'onestà intellettuale come valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della storia della filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla ricostruzione filologica dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni personali. Traccia un profilo ideale dello storico autentico della filosofia, che ha il dovere di farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo del filosofo da lui studiato», ben sapendo che ciò non basta ancora se non è accompagnato da una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e storica insieme. Di qui conclude il fascino di una ricerca che, rendendoci consapevoli di una grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina in un autentico arricchimento spirituale. Il suo insegnamento è stato caratterizzato dalla volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del pensiero considerando questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti degli altri studiosi. Anche allo scopo di realizzare una scrittura filosofica quanto più scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi sulla logica di Aristotele e sulla storia della semantica filosofica (teoria del segno). Nella sua vita e nella dottrina si è sempre impegnato nel mettere in pratica l'insegnamento socratico, così come fece il suo maestro Calogero: insegnando la conversazione basatio sulla regola d’oro: il rispetto verso il co-conversazionalista. Cura I Presocratici di Diels e Kranz. Altre saggi: La metafisica dei lizii (Roma, Rai); “Che cosa ha veramente detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici (Firenze: Sansoni); “Filosofia romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia italica in eta antica” (Milano: Vallardi); Le filosofie e le scienze contemporanee, Torino: Loescher, I fondamenti della logica de’ lizii” (Firenze: La nuova Italia); Le forme classiche Torino: Loescher, Volpe Roma: Riuniti, Socrate. Tutte le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari: Laterza, Aristotele. Opere; introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari: Laterza, Epicuro. Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita; Bignone; Bari: Laterza, I presocratici: testimonianze e frammenti Bari: Laterza, Profilo di storia della filosofia, Torino: Loescher. La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis et Socraticorum Reliquiæ. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G.,  Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni; Introduzione di Adorno: per G.: un dialogo, Bibliopolis (collana Elenchos). Deputati della legislatura.  Op.cit. Centrone, ed. Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Centrone, Bibliopolis, Edizioni di filosofia, ILIESI CNR  La traduzione dei Presocratici da parte di G. è stata criticata da Reale nell'introduzione alla sua nuova traduzione dei Presocratici, critiche riportate in due articoli-intervista comparsi sul Corriere della Sera nei quali  G., di formazione gramsciana veniva accusato come curatore della "vecchia" edizione laterziana di avervi perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero di Socrate#Socrate: l'interpretazione di G. Calogero La teoria sul pensiero greco arcaico.  Per chi abbia svolto la propria attività di ricerca o abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della storiografia filosofica, il nome di G. (Perugia – Roma) è legato anche al Centro di Studio del Pensiero Antico, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma,1 su richiesta, appunto, di G.– in sostituzione del precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica –, il Centro di Studio del Pensiero Antico si inserì nel panorama nazionale e internazionale della ricerca storica come una realtà innovativa e contribuì allo sviluppo di una disciplina, la storia della filosofia antica, appartenente al duplice contesto della storiografia filosofica e delle scienze dell’antichità. Il Centro fu attivo in modo autonomo fino al 2001, quando, a seguito di una riforma che ridisegnò la rete scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso fu accorpato con il Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo per dar vita all’ Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, sotto la direzione di Gregory. L’attività del Centro di Studio del Pensiero Antico fu inevitabilmente legata al percorso intellettuale e di ricerca del suo fondatore, benché in modo non esclusivo. In questo breve profilo si cercherà di rievocare, in primo luogo, i motivi culturali che furono alla base della costituzione di questa realtà, nonché alcuni modelli scientifici di riferimento che ne hanno determinato in certa misura la configurazione e l’attività; in secondo luogo, i contributi originali che il Centro è stato in grado di fornire all’area disciplinare di propria competenza, in termini di pubblicazioni, progetti e formazione, sotto la guida di Giannantoni e di coloro che ne coadiuvarono la direzione. 1 Decreto del Presidente del CNR. n. 6303, ratificato successivamente da una convenzione tra il CNR e “La Sapienza”, stipulata e confermata dal Presidente del CNR. Per il testo della convenzione si veda “Elenchos”, Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti normativi, si veda Liburdi Istituito presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di  MOTIVI CULTURALI E MODELLI ISPIRATORI Come accennato, l’attività scientifica del Centro di Studio del Pensiero Antico fu comprensibilmente orientata da precise scelte critiche e metodologiche di colui che ne aveva voluto l’istituzione. Per dare ordine a questo sintetico profilo, credo sia opportuno riassumere i motivi che ispirarono la promozione di un organo di ricerca mirato agli studi storici sul pensiero antico, in tre principali indirizzi: in primo luogo, la possibilità di considerare la storia della filosofia antica come una disciplina dotata di un proprio specifico (e in certa misura autonomo) profilo quanto a materia di indagine, arco storico e metodologia; in secondo luogo, la nascita, o rinascita, dell’interesse verso scuole filosofiche dell’antichità greca e romana tradizionalmente classificate come minori, in particolare, le cosiddette scuole socratiche e le scuole ellenistiche, che dalle socratiche discendono direttamente sotto l’aspetto storico e dottrinale; infine, la rivisitazione del patrimonio dossografico – cioè del complesso della tradizione indiretta che ha conservato, per estratti, parafrasi o compendi, il pensiero di quei filosofi antichi di cui non è giunto a noi né il corpus né una singola opera completa –. Quest’ultimo indirizzo si inseriva in una tendenza di studi continentale che fece della dossografia antica una vera e propria categoria storiografica con risultati particolarmente innovativi. L’interesse portato alla dossografia, oltre a sostenere gli studi nell’ambito delle filosofie di derivazione socratica e quelle ellenistiche (delle quali, per l’appunto, non si è conservato alcun testo d’autore), apriva un percorso di studi a cui G. è particolarmente legato e che lo vide impegnato sia come direttore del Centro che individualmente, e cioè la riconsiderazione di tutta la dossografia relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa a fuoco di questi tre indirizzi permetterà di chiarire quali interessi scientifici di G. abbiano maggiormente pesato sulle strategie generali e sulle iniziative specifiche del Centro, nonché sulla formazione professionale che esso ha reso possibile. Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo specifico della storia della filosofia antica presuppose, da parte di G., una approfondita analisi della visione storica che la cultura filosofica italiana era venuta maturando intorno alla filosofia antica. In questa analisi, i cui esiti si leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della rivista Elenchos intitolato La storiografia idealistica e gli studi sul pensiero antico (“Elenchos”), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che del pensiero antico seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua valutazione critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due caratteri, l’uno teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non favorirono lo sviluppo di una moderna storiografia del pensiero antico. Per un verso, tanto Croce che Gentile vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i limiti di un pensiero oggettivo, astratto e naturalistico, che mai sarebbe arrivato a concepire la positività dell’idea di infinito, né quella della soggettività. I punti più alti raggiunti dalla filosofia teoretica greca, Socrate, Platone, Aristotele, coincidevano rispettivamente con la delineazione del concetto, o universale astratto, con la sua separazione dalla realtà sensibile (la teoria delle idee trascendenti e la scienza come dialettica delle sole idee) e con una logica puramente strumentale (la sillogistica), alla quale sarebbe mancata la teorizzazione del giudizio individuale, o giudizio storico, nonché la capacità di superare l’astrattezza e attingere l’atto stesso del pensiero.4 Nella filosofia pratica parimenti i Greci antichi, pur non mancando di intuizioni profonde, non avrebbero superato il precettismo e l’empirismo, e la loro etica ingenua non sarebbe mai giunta a distinguere etica ed economica, morale e diritto, come categorie dello spirito. G., n. 13, rimanda a Croce, di cui diamo qui i riferimenti da Croce. Ciò G. ricavava, pur senza riferimenti testuali precisi, sia dagli excursus storici che possiamo leggere in Gentile e in Gentile, sia da Gentile. G., rimanda a Croce; si veda Croce e a Croce, si veda Croce ILIESI digitale Temi e strumenti copertina di “Elenchos. Per l’altro verso, però, l’idealismo formulò una critica, entro certi limiti giusta e salutare, alla filologia classica – cioè alla filologia classica moderna sviluppata in Germania, distintasi, tra le altre cose, per una predilezione della cultura greca rispetto alla latina –, colpevole sostanzialmente di non essere una disciplina veramente storica. La filologia classica, malgrado i grandi risultati raggiunti nella costituzione dei testi della letteratura antica, nella revisione della tradizione bizantina e nelle nuove acquisizioni, si affermò come una procedura tecnica complessa e molto raffinata ma priva della visione della storicità del documento, del suo autore, dell’ambiente della sua composizione, nonché del suo testimone. La questione, che emerse inizialmente nel campo delle edizioni letterarie,6 non è meno complessa per quelle filosofiche: i testi della filosofia antica richiedono anche una comprensione dei contenuti teorici e pretendono di essere inquadrati in sistemi di pensiero il cui senso trascende il ripristino del testo, o quanto meno se ne distingue in data misura. Questo fu il nodo che si dovette sciogliere perché si potesse cominciare a delineare una storia della filosofia antica che includesse tanto la capacità di fornire edizioni affidabili sotto il profilo testuale, quanto quella di storicizzare i documenti, cioè di comprenderne i contenuti alla luce di coordinate culturali congrue con le epoche di appartenenza. La storiografia idealistica è dunque imputata da G. di evidenti limiti interpretativi della filosofia antica, come fu ben presto mostrato, ad esempio, dalle due celebri monografie di Mondolfo sull’infinito nella filosofia antica e sul soggetto umano nell’antichità,7 che smentivano l’idea di un connaturato e irreparabile oggettivismo della filosofia antica. Tuttavia l’idealismo ha fornito un’importante lezione e soprattutto ha indicato con chiarezza un ostacolo da superare: 6 In particolare, la critica crociana a cui Giannantoni fa riferimento  prese le mosse da edizioni di testi poetici e si volse contro la “mera filologia” e la Kulturgeschichte che, nella pretesa di restituire il senso del testo letterario, non apportavano comprensione né storica né concettuale. Cfr. ad esempio la recensione alla monografia di Romagnoli su Aristofane e che si può leggere in Croce. Dice G. al riguardo: il problema del rapporto tra filologia e poesia, tra filologia e storiografia, tra filologia e filosofia sta al centro dell’elaborazione dell’idealismo italiano”. G. probabilmente pensava anche alle considerazioni gentiliane intorno al filologismo che affligge la storia e ostacola la costituzione di una storia della filosofia, in Gentile Mondolfo. Tracciando nel primo dei due volumi in onore di Croce per il suo compleanno, quello che è tuttora l’unico panorama complessivo degli studi di filosofia antica nel cinquantennio, Guido Calogero non ritenne di dover prendere in considerazione né Croce stesso né Gentile (e neppure Ruggiero) quali interpreti del pensiero antico; né altri ne hanno trattato in modo approfondito (mentre studi importanti esistono sulle loro interpretazioni di altri periodi della storia del pensiero) la ragione è da ricercare in una persistente separazione, non solo concettuale, ma anche di organizzazione degli studi, che lo stesso idealismo ha contribuito non poco a consolidare, tra considerazione filosofica, ricostruzione storica e indagine filologica. Gli studi di filosofia antica hanno infatti sofferto in modo particolare di una vera e propria scissione tra quelli che erano considerati i compiti esclusivi del filologo e quelle che erano considerate le competenze dello storico e del filosofo: con la conseguenza che questi studi sono potuti apparire troppo filologici ad alcuni e ad altri, all’opposto, troppo filosofici per entrare di pieno diritto nell’ambito di ciò che si era soliti chiamare la scienza dell’antichità. Quando G. scrive queste parole, era persuaso che la scissione non fosse superata e fosse causa, oltre che di una durevole influenza idealistica, anche di un pregiudizio nei rispetti della filologia, malgrado i grandi progressi e le messe a punto di tanta prestigiosa filologia classica italiana.9 Stante, quindi, una situazione di progresso “zoppicante”, per così dire, degli studi storiografici italiani sulla filosofia antica, G. nutrì l’aspirazione di delimitare un preciso terreno metodologico cogliendo la preziosa occasione che il Consiglio Nazionale delle Ricerche gli offriva. Il secondo indirizzo è quello che, almeno a prima vista, rivela maggiormente la stretta relazione tra il percorso scientifico individuale di G. e lo spettro di interessi messi in campo da quanti hanno operato nel o col Centro, a cominciare dai suoi allievi. Tanto più che l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle tradizioni socratiche ed ellenistiche non è del tutto indipendente dalla questione dell’impatto dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia filosofica dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di Socrate, Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio deprezzamento delle tradizioni minori. Ed è appena necessario [G.  Il riferimento a Calogero è da intendersi a Calogero. Si veda al riguardo il chiarimento di G. relativo all’opera di Pasquali, che pervenne ad un’unità di filologia e storia come unità di metodo, non di contenuti, e che si caratterizzò tramite uno storicismo della filologia classica, profondamente diverso dallo storicismo idealistico: questo, inteso come riconoscimento nella storia e nella cultura di figure e “categorie” del pensiero e dello spirito, quello, inteso come intima connessione tra le rigorose tecniche filologiche e la conoscenza storica (Cfr. Croce: “... col considerare principalmente il contrasto delle passioni verso la volontà razionale sorsero le scuole opposte dei cinici e cirenaici, ricordare che la figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di ricerca costituito dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente alle tradizioni ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche e storiografiche di Calogero,11 che di G. fu il maestro. Abbiamo poi vari segni di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole anche fuori dell’Italia. L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali cioè in quanto paragonate alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più, conservate solo tramite tradizione indiretta, si manifesta con studi sui Sofisti, su alcuni discepoli di Socrate, in particolare Antistene di Atene e Aristippo di Cirene, sulla tradizione scettica.Proprio ad Aristippo di Cirene e alla sua scuola Giannantoni dedica la sua prima importante opera scientifica (G.). In essa si profilano le problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che concettuali, relative alla intricata questione della eredità socratica: l’edizione critica di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la possibilità di dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica aneddotica; la contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu composito in cui si intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica classica e il magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le dottrine di tutte coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come precetti di vita più o meno convenienti a individui, classi e tempi determinati, non ne presentano alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto concetti filosofici; e cinici e cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che filosofi sembrano monaci, seguaci di questa o quella regola”. Sulle “scuole socratiche minori” cfr. anche il giudizio, meno sommario, di Gentile. Com’è molto noto, Socrate occupò un ruolo centrale nella personale riflessione teorica diCalogero, che elaborò la sua “filosofia del dialogo” esattamente sul modello del Socrate dei dialoghi platonici, nel quale il filosofo italiano vide la prima formulazione di un’istanza intellettuale e morale – il dialogo, appunto, contrapposto al “logo” conclusivo e assertivo – destinata a far giustizia della pretesa di fondare l’etica sulla epistemologia e sulla metafisica, e che sarebbe stata anche alla base della moderna concezione dello stato liberale e di diritto. Ma Socrate fu anche al centro di importanti lavori storiografici di Calogero, alcuni dei quali aprirono la strada alla ricerca della posterità del magistero socratico nel pensiero tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale critica diversa da quella di G., ma in linea con la percezione del ruolo capitale svolto da Socrate nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto ciò a rimandare a G. e a Brancacci. Per limitarsi alle opere principali: Untersteiner, con moltissime riedizioni; Pra; Humbert; Mannebach; Caizzi; Patzer. Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella filologia europea, sempre più determinanti per la comprensione delle dottrine di personalità come Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di Megara, Eschine di Sfetto. In più, il superamento della Quellenforschung tradizionale e l’approfondimento dei contenuti filosofici aprirono nuove possibilità di delineare il percorso che dalle scuole socratiche della seconda metà del IV secolo a.C. porta alle principali tendenze ellenistiche, il Giardino, il Portico, il Lizio post- aristotelico, la scepsi pirroniana ed accademica. A questo complesso terreno di ricerca è dedicata una iniziativa che precede l’istituzione del Centro di Studio del Pensiero Antico benché sempre sostenuta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: il convegno “Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica”, organizzato dal Centro di Studio per la Storia della Storiografia (la cui direzione era stata affidata allo stesso G.), e i cui atti furono pubblicati nel 1977 dalla casa editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al Convegno del 1976, mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle filosofie riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti concettuali tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età imperiale,13 furono aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul tema Per un’edizione delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella quale lo studioso esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma ancora lontano, nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono messe a fuoco le 13 Cambiano 1977; Celluprica; Sillitti; Caizzi; Ioppolo; Brancacci; Donini; Parente; Repici ILIESI digitale Temi e strumenti 11 copertina di G. Giannantoni, I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche, traduzione e studio introduttivo, Firenze, Francesca Alesse G.  e il Centro di Studio del Pensiero Antico peculiarità e la notevole problematicità, soprattutto sotto il profilo filologico, di una edizione di testi filosofici e di molti autori. Emerge da questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma un criterio programmatico che non considera sufficienti, benché certamente necessarie, le sole competenze della filologia classica, ma pretende una sensibilità storica e una capacità di comprensione teorica che gli sforzi della Altertumswissenschaft tradizionale non avevano sempre garantito. L’edizione di testi filosofici di trasmissione indiretta non può limitarsi alla costituzione del testo e alla redazione di apparati critici da cui si desuma il meticoloso lavoro di collazione dell’editore, ma deve tener conto dei contesti storici e problematici nei quali sono vissuti tanto il filosofo quanto il suo testimone. Inoltre, un’edizione che sia, in più, una silloge di testi relativi a (e non provenienti da) molti filosofi, comporta di andare oltre la natura estrinsecadella singola testimonianza (epoca e ambiente del testimone, distanza cronologica dall’autore, genere letterario della fonte, parametri stilistici, etc.) e di individuare alcune strutture di pensiero che, in un lasso di tempo abbastanza lungo, si facciano riconoscere per caratteri salienti e durevoli e, al contempo, riflettano le condizioni storiche che ne determinano la specificità (secondo i dettami dello storicismo), diventando pagine e capitoli di una lunghissima storia culturale; si configurino, cioè, come tradizioni: Il fatto è che a proposito di una raccolta di testi che riguardano uno o più filosofi, emerge molto più nettamente che in altri casi l’impossibilità di considerare la testimonianza antica come un dato puramente oggettivo, e quindi la necessità di storicizzarla fino in fondo: in realtà essa deve essere considerata come un capitolo di una vera e propria storia della cultura durata all’incirca un millennio, e perciò da ricondurre di volta in volta al suo tempo e alle tendenze storicamente determinate che la produssero: parleremmo di un Diogene irreale e mai esistito se pensassimo di poter adoperare come ingredienti mescolabili a piacere Epitteto e Dione Crisostomo, Luciano e Giuliano l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole apocrife che vanno sotto il nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo alla dossografia, è quello che presenta, almeno in apparenza, un maggiore tecnicismo, perché volto alle problematiche ecdotiche ed interpretative attinenti allo studio di [Sulla cosiddetta filologia esterna, sul ruolo da essa svolto nelle edizioni filosofiche e sui suoi limiti, si veda G., a proposito dell’opera di Vitelli, la cui importanza per la storia della filosofia antica è legata specialmente alle edizioni critiche dei commenti aristotelici di Filopono. G.  dottrine riportate da testimoni spesso assai lontani, per cronologia ed orientamento intellettuale, dagli autori di cui si vuole conoscere il pensiero. D’altra parte, la dossografia si è rivelata un capitolo importantissimo di quella millenaria storia culturale che costituisce il terreno di indagine della storia della filosofia antica. Non si potrebbe ancora oggi redigere una storia della storiografia filosofica dell’antichità senza iniziare non solo dalle grandi raccolte di testi e frammenti allestite dalla filologia ottocentesca e comparse nei primi anni del XX secolo (le raccolte di Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare degli esempi), ma anche dalla prima grande opera di analisi e comparazione dei testimoni, i Doxographi Graeci di Hermann Diels; come è altrettanto vero che non si può oggi fare a meno dei più recenti e sistematici contributi all’analisi della dossografia filosofica, cioè gli Aëtiana di Mansfeld e Runia. I più importanti progetti editoriali varati negli ultimi decenni, inoltre, si sono strettamente legati alla problematica della DOSSOGRAFIA e all’analisi dei testimoni, a lato di quelle condotte sui filosofi romani e sulle tradizioni dottrinali. Allo studio di filosofi di grande notorietà e impatto della tradizione culturale antica, ai quali si deve gran parte della conoscenza dei filosofi precedenti -- come CICERONE e Plutarco -- si è venuta affiancando una sempre maggiore familiarità con testimoni meno noti ma che hanno rivelato un’importanza fondamentale, come Filodemo, Diogene Laerzio, Sesto Empirico, Galeno, Stobeo. L’indirizzo dossografico e quindi un segno della tempestività e della sensibilità di G. nei rispetti di un terreno di ricerca che si venne imponendo e che di fatto contribuì alla dimensione dello stesso Centro, la cui attività progettuale e congressuale e in buona misura dedicata alla dossografia di epoca tardo ellenistica ed IMPERIALE. Si può far rientrare in questo ultimo indirizzo anche una linea di attività di studi la cui ragione storiografica e oggetto di un vivacissimo [Usener 1887. 17 Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20 Mansfeld-Runia 1997; Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena necessario ricordare che le parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono coniate da Diels. Sulla dossografia e sul suo sviluppo come categoria filologico-storiografica, cfr. Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia, Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia – cf. GRICE, “LIFE AND OPINIONS” – “Vita e opinioni” – Speranza, “OXONIAN DOXOGRAPHY: H. P. GRICE” -- dibattito e che è nota come la questione delle dottrine non scritte di Platone. Sorta nell’accademia tedesca, in particolare a Tübingen, da un’ipotesi schleiermacheriana, la questione degl’ “agrapha dogmata” consiste, molto in breve, nella convinzione che Platone teorizza una dottrina dei principi (Uno e Molteplice), della quale non resta traccia nei suoi scritti – perché oggetto di pura trasmissione orale all’interno dell’Accademia antica – ma solo sparsi indizi in pagine aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del Centro, G. invita Gaiser, ordinario di filologia  a Tübingen e uno dei maggiori sostenitori di questa ipotesi, a tenere una lezione presso la Sapienza sul tema La teoria dei principi in Platone, il cui testo venne pubblicato nel primo numero della rivista Elenchos. Tuttavia, il punto che merita attenzione in questa sede è che la questione delle dottrine non scritte di Platone e, oltre che un tema rilevante per se stesso, anche un pretesto per riconsiderare Aristotele come testimone egli stesso del passato filosofico, più precisamente per le cosiddette filosofie italiche pre-socratiche. Com’è noto, Aristotele può essere considerato se non il primo testimone in assoluto delle precedenti tradizioni della filosofia, certamente il primo testimone che ne offre una informazione organizzata secondo criteri espositivi dettati dalle proprie esigenze filosofiche e che hanno inevitabilmente condizionato la visione storiografica. Per quanto apparisse improprio, naturalmente, definire Aristotele un “dossografo”, il ri-esame della sua testimonianza della filosofia italicca precedente, anch’essa una tradizione indiretta, appare a G. una linea d’azione congrua con quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie ellenistiche, ancorché meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro. A conclusione di questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del Centro di Studio della Filosofia Antica non e del tutto priva di modelli in Italia e fuori e che con alcuni di essi si instaurò una costante collaborazione. L’esempio più immediato, sia sotto il profilo tematico e scientifico, che sotto quello del funzionamento istituzionale, e il – Robin, una unità di ricerca del  Gaiser ILIESI digitale Temi e strumenti  Centre de Recherches sur la Philosophie Antique, Centre de la Recherche  Scientifique, ma operante all’interno e sotto l’egida    Francesca Alesse G.  e il Centro di Studio del Pensiero Antico  della Sorbonne (perciò definito anche Unité Mixte de  Recherche), in modo non troppo dissimile dai Centri di Studio  del CNR istituiti in regime di convenzione con i vari atenei italiani. La  collaborazione con questo Centro si focalizza sulle tematiche  socratiche e da  luogo al ripetuto scambio di filosofi tra le due sedi nell’ambito del programma di ricerca “Socrate e la storia della filosofia antica: rottura o continuità?”; i contributi  pubblicati sotto il titolo di Lezioni socratiche, a cura di furono   G. e Narcy, per Bibliopolis di  Napoli. Un’altra importante istituzione scientifica a cui G.  guarda con particolare attenzione e con cui intrecciò stretti rapporti  scientifici nonché di cordiale amicizia è stata senz’altro il CENTRO PER LO STUDIO DEI PAPIRI ERCOLANESI, fondato da , Gigante. I motivi di tale  collaborazione sono dettati ovviamente dall’interesse intrinseco per  la grande opera editoriale a cui il Centro fondato da Gigante e  votato. La pubblicazione delle edizioni critiche dei papiri reperiti  nel sito ercolanese offre alla comunità filosofica un patrimonio  inestimabile per la conoscenza dell’ORTO, della tradizione  socratica, del PORTICO. Ma sono anche ragioni metodologiche a  sancire un sodalizio importante, che si concretizza in varie iniziative e  pubblicazioni cui parteciparono entrambi i Centri: i testi ercolanesi,  com’è molto noto, costituiscono un materiale che permette di  arricchire enormemente la conoscenza di molte importanti tradizioni  filosofiche, a condizione di possedere un complesso di  conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente possono  trovarsi nella medesima personalità e che però vanno applicate  contestualmente. In altre parole, l’esperienza collaborativa tra questi  due Centri, forti, l’uno, di una formazione propriamente filosofica, l’altro, di alte competenze filologiche, contribuì in modo  significativo a costituire quella storiografia della filosofia antica che  aveva, almeno per la cultura accademica italiana faticato ad assumere uno statuto proprio. Quanto detto nel precedente paragrafo trova un riflesso, diretto o indiretto, nelle attività di ricerca del Centro, nonché nelle sue pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della storia della filosofia antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo impianto metodologico, oltre che di un preciso confine cronologico, viene perseguito tramite l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si dà qui una descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di tutto, una iniziativa promossa da G. dopo l’istituzione del Centro, in conformità di un indirizzo dell’organo direttivo di Elenchos, e dedicata alla problematica storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo della rivista Elenchos è emersa più volte l’opportunità di aprire una discussione sul metodo o, meglio, sui metodi della storiografia filosofica relativa alla filosofia antica. Si pensa perciò di cominciare con una tavola rotonda, chiamando a parteciparvi esponenti di orientamenti diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di intervenire liberamente su tre questioni principali -- se ha senso parlare ancora di una storia della filosofia (e quindi anche di una storia della filosofia antica) come disciplina a se stante e in sé autonoma; quali innovazioni si possono riconoscere all’ampliarsi e al differenziarsi delle impostazioni teoriche che sono sottese ai vari approcci metodici alla storia della filosofia antica; quale è il contributo che viene, una volta tramontato il vecchio mito classicistico, dall’applicazione di categorie elaborate dalle scienze umane. Alla tavola rotonda parteciparono Berti, Vegetti, Viano, e lo stesso G., ciascuno portando un contributo molto peculiare e strettamente conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di G. rispecchia le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate nel già citato articolo di apertura della Rivista (La storiografica idealistica), di cui ripropone le premesse problematiche e a cui aggiunge precise prese di posizioni sulla specificità della storia della filosofia antica e sul modo di salvaguardarla senza perdere di vista il fatto che lo scopo principale (scil. dello storico della filosofia antica) resta la comprensione dei testi che ci trasmettono la filosofia antica, ritengo necessario rivendicare l’imprescindibilità di una rigorosa e metodica impostazione filologica, anche se tale impostazione non può non venire assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella della storia degli studi ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale isolamento e a promuovere una organizzazione del lavoro diversa e meno diffidente verso i sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso, la storia degli studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia avere un minimo di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma anche per le divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è o l’arbitrio nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla lettura diretta dei testi. In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo la finalità della costituzione del Centro e la visione di G. del modo di operare storiografico: più che il cenno alle nuove tecnologie e più che l’esortazione ad abbandonare l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e l’altra, conta sottolineare, a mio parere, il richiamo alla storia degli studi come parte integrante della storia della filosofia, in particolare della filosofia antica, affidata in larghissima misura alla tradizione indiretta. La serietà, cioè la plausibilità dei risultati della ricerca storico-filosofica sono messi a rischio dall’illusione di poter leggere (e capire) le parole del filosofo, specie se antico, senza gli strumenti della conoscenza filologica, linguistica e culturale nel senso più lato, conoscenza cui si perviene ricostruendo, ove sia possibile, anche una storia intelligente delle letture altrui. Uscire dall’isolamento è, allora, non solo la cooperazione tra colleghi ad un progetto scientifico unitario, ma anche la conoscenza e la valutazione delle migliori offerte interpretative che di un testo e del suo contesto siano state date entro un certo arco di tempo. Sia nelle azioni istituzionali, che investirono e coinvolsero il complesso delle risorse del Centro, incluse le relazioni stabilite con il mondo universitario, sia nelle attività di ricerca individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle tradizioni ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Il Centro organizza un convegno sulla SCESSI, (Quintiliano, SCEPTICI --) e coopera strettamente con Pavia e in particolare con Vegetti e collaboratori, sostenendo l’organizzazione di due importanti convegni: “La filosofia ellenistica” (Pavia) e Ancora alla filosofia ellenistica è dedicata l’importante pubblicazione dei Proceedings del quarto simposio internazionale sulla filosofia ellenistica, che vide tra i suoi partecipanti esperti di caratura internazionale, alcuni di stretta collaborazione con il Centro stesso. copertina del volume di La scessi antica, Atti del convegno, a cura di G., Napoli. Le opere psicologiche di Galeno” (Pavia)  ILIESI digitale Temi e strumenti  G. G.-Vegetti Manuli-Vegetti. Barnes-Mignucci Carattere sistematico ebbe anche la linea d’azione dedicata allo studio della dossografia. Il Centro organizza il congresso sull’opera del biografo di ETA IMPERIALE Laerzio (Laerzio storico della filosofia antica”, Napoli-Amalfi, e il congresso sull’opera del filosofo scettico di ETA IMPERIALE  Sesto Empirico (“Sesto Empirico e la filosofia antica”, Sestri Levante. Si delinea in entrambi gl’eventi un’unica prospettiva, grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica è, per così dire, duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo la cui FILOSOFIA è oggetto di trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la sua epoca, il suo orientamento, nonché la struttura formale della sua testimonianza, struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle informazioni attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così, mentre l’opera di Diogene Laerzio, che già da lungo tempo attira l’attenzione della filologia, conserva una concezione ampia del genere biografico, restituendo non solo informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi nonché cataloghi d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a prestito dalla letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello delle “successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi di  Gigante, permise di allestire negli anni subito successivi un grande congresso  sul tema “L’orto romano” (Napoli-Anacapri,  ILIESI digitale Temi e strumenti 19   Figura copertina di Laerzio storico del pensiero antico, Atti del congresso, “Elenchos”, Atti pubblicati in “Elenchos”. 29 Atti pubblicati nel volume 13 dell’annata 1992 della rivista “Elenchos), un evento di ampio spettro tematico e cronologico all’interno del quale poterono cimentarsi papirologi e papirologi ercolanesi, filologi classici, paleografi ed epigrafisti, storici, e ovviamente storici della filosofia romana. Proprio di questo incontro e il suo carattere transdisciplinare e, per quel che attiene alle attività in corso presso il Centro, la messa alla prova di molte ipotesi di lavoro anche individuali sulla relazione tra L’ORTO e le rilevanti tradizioni (le scuole socratiche, il PORTICO, la SCESSI dell’ACCADEMIA e pirroniana) che impegnano sia G. in prima persona che il suo gruppo di lavoro operante presso la Sapienza e il Centro. Tra gli impegni di G. in qualità di direttore del Centro ci e l’organizzazione di due altri convegni: “ “Empedocle di GIRGENTI e la cultura della Sicilia antica. Illustrazione di un frammento inedito della sua opera”, Agrigento.  Il primo raccolse un gruppo consistente di esperti della filosofia romana ed e un raro esperimento di indagine lessicale da parte del Centro, volto a delineare l’area semantica – “linguistic botanising” -- dell’affezione (emozione, sentimento, malattia) nelle diverse manifestazioni della filosofia romana. Il secondo convegno e un altro esempio del modo in cui G. intende inserire la vita del Centro all’interno di una rete di relazioni istituzionali, oltre che accademiche, perché il convegno, motivato dalla 30 G.-Gigante Atti Elenchos”. Atti “Elenchos”. Figura 5: copertina del primo volume di Epicureismo greco e romano, Atti del congresso, cur. G. e Gigante, Napoli, Il concetto di  pathos nella cultura antica” (Taormina coperta del Papiro di Strasburgo contenente una porzione del poema empedocleo, e organizzato in collaborazione con la sovrintendenza dei beni archeologici di Agrigento. Esso inoltre dove essere una prima tappa di un più ampio progetto dedicato alle tradizioni culturali e filosofiche della Sicilia e della Magna Grecia. Sarebbe un errore pensare che le strategie e i progetti del Centro avessero come unici interlocutori le istituzioni accademiche italiane. Certamente, uno degli obiettivi di G. e quello di costituire un piccolo ma vivace e solido bacino collettore degli interessi intorno alla filosofia romana, e tali interessi sono, di fatto, collocati nelle Università e organizzati secondo i modi della didattica e della formazione universitarie. Ma il Centro partecipa anche alla realizzazione di una delle maggiori iniziative che il Consiglio delle Ricerche abbia dedicato al settore delle scienze umane, e cioè il progetto “Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali”. Questo grande progetto  e articolato in cinque linee di indagine, la  prima delle quali dedicata al mondo romano. E in questo contesto che G., oltre a scrivere il  saggio La tradizione filosofica in Magna Grecia e Sicilia,  apparso nel volume che raccoglieva i risultati delle attività  promosse dal progetto, contenne l’idea di una linea di attività, cui si è  fatto cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche della Magna Grecia [never “MAKRA ELLENA, but megale hellas – H. P. GRICE] e  della Sicilia, linea che avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le  metodologie sperimentate nella più generale attività del Centro Il Progetto Strategico, svoltosi e coordinato da Antonello Folco Biagini fu varato nel 1994 dal Biagini ILIESI digitale Temi e strumenti 21  Comitato Nazionale di Consulenza del CNR per  la filosofia, allo scopo di convogliare tutte le competenze rappresentate ed espresse dalla rete scientifica costituita dai Centri di Studio e dagli Istituti afferenti al Comitato stesso, in una grande area di interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al fondo della decisione del Comitato e la convinzione che il Mediterraneo costituisse non un’entità identitaria ma un complesso sistema di realtà molteplici, tradizionalmente oggetto di indagine da parte di settori disciplinari indipendenti. Si tratta perciò di conferire unità strategica e di metodo ad una  naturale e fisiologica molteplicità di fenomeni culturali.  Origine e incontri di culture nell’antichità”.   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico  (studio della dossografia e delle tradizioni indirette). Rivisse in questo  progetto l’antico interesse di G. per la  trasmissione delle cosiddette tradizioni pre-socratiche, molte delle  quali per l’appunto fiorite nelle aree magnogreche (VELIA, CROTONE, GIRGENTI, LEONZIO), e per il ruolo svolto in  tale trasmissione da Platone (si veda CUOCO) e Aristotele. A questo più antico arco  cronologico, si sarebbe poi unito il costante interesse per L’ORTO, nella forma storica dell’ORTO CAMPANO.  Vale la pena ricordare, infine, l’attività formativa che il Centro  riuscì a svolgere, facilitata, come è facile comprendere, dalla  posizione accademica di G.. Il Centro di Studio della filosofia antica  si formò infatti raccogliendo i suoi allievi, che si unirono ai  ricercatori già in forza presso il precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica. L’attività progettuale, inoltre, non si limita alla sola attività di pianificazione scientifica e ancor meno alla sola organizzazione dei convegni, ma prevede lavori continuativi di studio collettivo e di confronto sulle tematiche di principale interesse e di rilevanza strategica.  I maggiori convegni venneno quindi preceduti  da seminari propedeutici sulle dossografie antiche, sull’opera di  Diogene Laerzio e su quella di Sesto Empirico, e su quest’ultimo  autore, anzi, si svolge un seminario aperto anche ai dottorandi di  ricerca della Sapienza. Nell’ambito del progetto “Mediterraneo” e quindi della linea di ricerca sul Mediterraneo antico,  il Centro ottenne dal Comitato di Consulenza per la Filosofia borse di studio. Un discorso a parte merita l’attività editoriale a cui il Centro riuscì a  dar vita. Due furono le iniziative editoriali, strettamente coerenti con  l’idea programmatica che ispirò la costituzione del Centro: la serie  “Elenchos. Collana di testi e studi sulla filosofia antica, ed Elenchos. Rivista di studi sulla filosofia antica. La scelta del  medesimo nome per le due iniziative si spiega facilmente in  riferimento all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale dello  stesso G., che riteneva la discussione, il confronto  -- elenchos, appunto -- in primo luogo, uno dei lasciti più significativi  della cultura filosofica antica, quello che maggiormente ha contribuito  alla formazione della coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e  secondo un’angolatura più tecnica, G. vedeva nell’”elenchus”, inteso come analisi critica, il metodo per eccellenza dello  studio del testo filosofico antico e della dottrina in esso contenuta,  come mostrano i primi autori di una nascente “storia della  filosofia” ancora in forma di dossografia, Platone e soprattutto, com’è  assai noto, Aristotele. In omaggio dunque, all’ideale “dia-logico” (DIA-GOGE – H. P. GRICE) trasmesso dal magistero di Calogero, l’ELENCO e, nei limiti  del possibile, il contrassegno delle ricerche realizzate o promosse dal  Centro e divenne il nome delle due pubblicazioni, entrambe affidate  alla casa editrice napoletana Bibliopolis, Edizioni di Filosofia, di Franco.  La collana e destinata in larga misura, benché non  esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali dovevano  concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti per la  ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a mettere in  primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae, collegit,  disposuit apparatibus notisque instruxit G. Frutto di una ricerca individuale, preparato da  molte precedenti pubblicazioni, questa edizione delle testimonianze  relative a Socrate e alle scuole socratiche, corredata dell’APPARATO CRITICO e note di commento (e SENZA traduzione), rappresenta la più importante  espressione degli interessi tematici e dei principi metodologici che  caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti considerare i volumi  usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle tradizioni  socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle edizioni di  testi e frammenti di FILOSOFI ITALIANI ancora  poco studiati, per apprezzare   l’impatto delle ricerche di G. su tutto il gruppo di ulteriori interessi e accolse studi accademica.   ricerca del Centro. Naturalmente  la collana non e preclusa ad   critici su tematiche di grande  rilevanza nell’ambito del platonismo  e dell’aristotelismo e delle filosofie  della tarda antichità, promuovendo  in tal modo uno scambio costante  con la più ampia comunità   Quanto alla rivista, è forse  opportuno rimandare direttamente  alla Presentazione che G.  Figura 6: copertina del primo volume di G. G., Socratis et Socraticorum Reliquiae, Napoli] antepose al primo fascicolo. Essa fa  molto ben intendere tanto la  relazione essenziale tra il programma del Centro e il periodico  che di quel programma doveva essere lo strumento di diffusione; quanto  l’apertura al dibattito che la rivista (e quindi il centro stesso) si  prefigge; quanto, infine, la tempestività di un’operazione culturale che  il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha la sagacia di sostenere: ELENCO intende dare attuazione ad uno dei punti programmatici contenuti nella convenzione stipulata tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e Roma, e che sta alla base del Centro di Studio della Filosofia antica. Essa non è, tuttavia, in senso stretto espressione soltanto di questo Centro: al contrario, chi ha la responsabilità di dirigerla intende farne uno strumento di studio e di ricerca aperto alle collaborazioni più ampie, un punto di incontro e di confronto e un’occasione a disposizione di studiosi. Questa rivista è l’unica dedicata interamente alla filosofia romana che si pubblichi in Italia e perciò essa non può non proporsi anche un compito di promozione di questi  [ I titoli della collana ELENCO, corredati da schede riassuntive, sono consultabili all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle idee. Mi limito a citare il grande progetto di traduzione e commento della Repubblica di Platone, promosso e diretto da Vegetti. Vegetti  Questa situazione è rimasta invariata, e cioè fino alla comparsa della rivista “ANTIQVORVM PHILOSOPHIA”, edita da Serra, Pisa, e diretta da Cambiano. studi ... Ma essa si propone anche uno scopo più ambizioso; se è vero, come è vero,  che la storia della FILOSOFIA ROMANA è un campo in cui debbono potersi incontrare gli apporti e le problematiche della storiografia filosofica e del metodo filologico. Se è vero, come è vero, che tanto la storiografia filosofica quanto il metodo filologico attraversano una fase di ri-pensamento critico molto profondo dei propri presupposti e delle proprie certezze, allora ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il compito di proporsi come sede di verifica di discipline diverse e di modi diversi di affrontare lo studio della filosofia romana e di aprire le sue pagine ... anche a contributi che per la conoscenza della FILOSOFIA ROMANA possono venirci da storici dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e delle letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi di fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità dell’orientamento interpretative. In accordo con gli obiettivi enunciati nella Presentazione della rivista ELENCO e nel protocollo che lo istituiva, il Centro di Studio del Pensiero Antico si dota di un consiglio scientifico che affianca G. nella direzione del Centro e delle pubblicazioni che esso produsse, il quale contò tra i propri membri eminenti storici della filosofia, quali Adorno, Berti, Reale, Viano, Ioppolo, Brancacci e Celluprica, nonché eminenti filologi classici e storici della filosofia quali Gigante e Rossi. Il Centro poté disporre di sufficienti risorse e di una struttura organizzativa 40 che gli Elenchos. Fecero parte del Centro in qualità di ricercatori inquadrati nei ruoli del Consiglio Nazionale delle Ricerche: Faes (direttrice del Centro), Caporali, Garroni, Celluprica (direttrice del Centro per un biennio  e poi responsabile della linea relativa al pensiero antico nell’ILIESI, Ferraria, Brancacci (Roma Tor Vergata), Centrone (Pisa), Alesse, Dalfino, Simeoni, Chiaradonna (poi docente presso l’Università degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in modo istituzionale e continuativo con il Centro Ioppolo (Roma), Repici (Torino); Santese (Roma); Sillitti (Roma); Baffioni (Università degli Studi di Napoli l’Orientale); Spinelli (Roma) ed Aronadio (Roma Tor Vergata). Molti sono stati i allievi che, nel corso della loro formazione post lauream sono venuti in contatto con G. e con il Centro, lavorando fattivamente alla redazione di ELENCO o adoperandosi in attività editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito ricordare Piccione (Torino), Alessandrelli (ILIESI-CNR), Quarantotto (Sapienza Università di Roma), Fronterotta (Roma), ILIESI digitale Temi e strumenti] consentirono di diventare un organismo collettore di attività di ricerca nel campo dell’edizione critica e dell’interpretazione dei testi della filosofia antica. Chi scrive non crede che l’esperienza acquisita nel Centro sia andata perduta né dimenticata. Quando nacque l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, al suo interno fu garantita la prosecuzione e l’autonomia delle indagini relative alla storia della filosofia antica, per esplicito volere di Gregory che del nuovo Istituto fu il primo direttore. Queste indagini confluirono in una linea progettuale denominata prima “Storia del pensiero filosofico- scientifico e della terminologia della cultura mediterranea greco-latina, ebraica e araba” e successivamente Il pensiero filosofico nel mondo  antico: testi e studi. L’impegno principale della linea fu  rappresentato da una serie di progetti che in parte proseguivano le  tematiche di studio e le strategie cooperative del Centro di Studio del  Pensiero Antico, e in parte introducevano nuove tipologie di analisi,  connesse alle tecnologie digitali. La continuità culturale fu inoltre  garantita dal mantenimento delle due pubblicazioni, la collana  Elenchos e la rivista Elenchos. Da questa permanenza delle  ricerche sul pensiero antico nella nuova realtà istituzionale si deve  ricavare non solo e non tanto l’attualità di una disciplina (che si è  comunque stabilizzata nel mondo accademico con la benefica  diffusione di cattedre e centri di insegnamento, in Italia e fuori),  quanto piuttosto l’attualità di un metodo di lavoro. Questo metodo di  lavoro, che potrebbe descriversi, un po’ aulicamente, come un nuovo  diatribein socratico, cioè come la capacità di discutere in modo  competente con i “morti” prima che con i vivi, rispecchia abbastanza  bene la disposizione intellettuale e comportamentale di G.i, uomo tanto pacato nelle discussioni con i contemporanei,  quanto fermo nelle sue strategie di ricerca sul mondo antico.] Gioè, Nucci, Santoro,  Gambetti e Cunsolo (a quest’ultima si deve l’allestimento della bibliografia ragionata digitale Le tradizioni filosofiche e culturali greche della Magna Grecia e della Sicilia antica, ora in fase di aggiornamento ad opera di Gambetti). 41 A questa linea, diretta da Celluprica, fanno riferimento i ricercatori già operanti nel Centro, a cui si aggiunge Chiodi, specialista in storia delle religioni del mondo antico e del Vicino Oriente. Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Lipsiae, Teubner. Barnes, MIGNUCCI (a cura di), Matter and Metaphysics. 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Ma, per  quanto sia stato scritto attorno ad essa e per quanto no sia stata ago-  volata la compronsione por merito di Seliloiormacher e dei suoi successori, non si può dire clic si sia linoni riusciti a trovare una spiegazione soddisfacente di questo fenomeno, che fu una dèlio cause dèlia  tragica fine del grande pensatore. Le fonti, alle quali dobbiamo attingere nella nostra ricerca, sono,  come si sa', gli scritti di Platone o di Senofonte. Ma.qui ci troviamo  subito di fronte ad una questione molto discussa c cioè; quale dei due  autori sia rispetto alla dottrina socratica il più attendibile. Poiché i  rapporti di Platono o di Senofonte si contraddicono riguardo allo manifestazioni del Satpdviov di Socrato in un modo assai pronunciato, è  chiaro che dalla decisione alla quale arriviamo rispetto a questo divario,  deliba infine dipendere la soluzione del problema. 1 > m ,to che nel diciottesimo secolo si fece strada il parere del leib-  niziuno Brucfecr, secondo il quale gli scritti di Senofonte sarebbero  per lo studio del socratismo i più veritieri, parere che ha avuto fino  ad oggi i suoi fautori. Di quest’opinione è in linea generalo anche  Hegel (IJ. 1|S. principio del secolo passato però, Schleiermacher ed  altri insistettero che por la valutazione della dottrina socratica do  vesso tenersi maggior conto delle opere di Platone. Di fronte a queste  due correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio possiamo chiamare  intermediario. Senza entraro in particolari, si può dire che, sebbene  gli atti attorno a questo divario non siano ancora chiusi, diventa sempre più salda la convinzione, che senza uno studio profondo di Platone  una comprensione del socratismo non è possibile. Ma con ciò il nostro quesito non è ancora risolto.   Secondo Platone il Sxigóvwv agisce in modo esclusivamente inibitorio,  esso non è mai incitativo. Secondo Senofonte, però, funziona nei due  modi. Si è, è vero, creduto che la contraddizione tra lo due versioni  fosse soltanto apparente, perchè, se il «aigóviov non inibiva Socrate  nel 6uo fare, ciò equivaleva, si è detto, ad un'atrcrmaziono nel senso Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d. l'Ii tfp s. Il Schleiermacher, Abkdl. kad. su Berlin, Zm.i.ER, Die Philosophie hen li, 1, t* '.al.,  (4) Cfr. Zuocantb, Socrate, pòrte prima,di un ordine positivo. In verità, però, mi sembra, che la diversità  venga con una talo interpretazione soltanto celata, ma non eliminata,  perchè in realtà le differenze tra i rapporti doi due autori sono dovute a processi psichici in sè diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad  es. : non andare via ! quosto equivale praticamente al comando positivo:  rosta ! Ma con ciò la cosa non è fluita. So io non distolgo qualcheduno,  che devo guidaro, da una azione, che egli è in procinto di compiere,  do, è vero, con ciò il mio consentimento al suo proposito, ma la sua  azione scaturì da motivi sorti nella sua coscienza e prosegue secondo  leggi psichiche. E so, in un altro caso, lo freno con un semplice: no!  senza però dargli altri ordini positivi, io non permetto che egli eseguisca quello che stava per fare, ma con ciò non gli indico ancora  quanto devo in sua vece intraprendere. Il suo agiro dipende di nuovo  unicamente da lui o si sviluppa ancora da motivi che sorgono in lui  stesso. Ma so gli dico: fa cosi ! allora lo sottopongo in senso positivo  ad una volontà non sua o lo faccio compiere un’azione, i cui motivi  sorsero nella mia coscienza e non nella sua. Egli diventa lo strumento  del volere di un’altra persona, e, se consideriamo il fatto dal lato etico,  la responsabilità per lo conseguenze di una tale azione cado in questo  caso interamente su di rao o per nulla su di lui. Non occorrono altri  esempi: in fondo la diversità doi due rapporti si riduco presso a poco  al caso citato. Secondo Senofonte, Socrate riceve anche ordini positivi  dalla divinità, egli compie quindi azioni, che non furono da lui deciso, secondo Platone mai. Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in seguito a motivi, che appartengono alla sua propria coscienza, ed è sempre la sua volontà che lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato,  per l'intorvonto del Baijióvwv, una decisione presa. Como si vede, la differenza non si lascia eliminare. Per quanto si  corchi di celarla, essa riappare sempre. Mi sembra quindi più savio  di riconoscerla. Ma ciò facondo ammettiamo anche che una dello due  versioni non può essere esatta e cho si deve decidere, quale delle due  si abbia da riconoscere come vera. Delle opero cho portano il nome di Senofonte, l’Apologia viene oggi  quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo conto. Degli altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed il Convito. Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva letteratura o specialmente in base agli studi di Schonkl, sono arrivato alla conclusione cho per il nostro problema soltanto i passi Meni. o Conv. sono con tutta sicurezza  da considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da parte in  questa breve nota i passi: Mem. Dalle opero cho vanno sotto il nome di Platone e che trattano del  Saipóviov escludiamo il Teagete, perchè oggi generalmente ritenuto apo¬ [lli Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K. Akad. d. Wiss . i  zu Wien] orilo. L’autenticità dell'A Icibinde 1 è fortemente messa in dubbio, lo  accettiamo con riserva. Non posso decidermi di respingere 1 Fall frane,  malgrado lo obiezioni di Ueborwog. Dogli altri scritti platonici limino  per noi valore VApologià, YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la Repubblica. Senza entrare rpii noi particolari della questiono, (pialo sia I ordino  cronologico delle opere di Platone, dobbiamo intenderci sull'epoca in  cui fu scritta Y Apologia, perchè questo lavoro ci dà la più esatta in-  i rmazione intorno al Saipiviov di Socrate. La maggior parto dogli stu-  .dcigi  c ciò è per noi importante  fa salirò l’origine di quest opcra ad un’epoca non molto distante dalla condanna o dalla morte del  illusolo, l’orsino autori elio sono del parere clic Platone 1 abbia scritta  a Megara, ammettono con ciò (dio questo importante documento appartiene al suo primo periodo di attivila, scientifica. Allo stesso risultato giunse Lutoslawski per mezzo del suo metodo stilometrico. Quantunque si debba riconoscere l’unilateralità di questo metodo e per quanto sarebbe arrischiato di fondarci unicamente su di esso, ci costringono nondimeno ragioni psicologiche di non negargli ogni valore. Alla questione esposta si connetto quost’altra, cioè, so nell’Apologià  .di Platone si tratti di una fedele riproduzione di quanto Socrate realmente disse davanti al tribunale di Atene, o se si tratti soltanto di  una riproduzione piu o meno fedele del contenuto dei suoi discorsi.  La prima opinione è quella di Schleiermacher, della seconda è  Stcinhart (3), elio vede nell’Apologià un'opera d'arte, in cui lo spirito socratico o quello di Platone si trovano armonicamente fusi insieme.  Ambedue le opinioni hanno avuto i loro fautori. Considerazioni psicologiche mi hanno condotto nelle duo questioni accennato a con' inzioni  che risultano da quanto seguo. Come si vuol spiegare l'influenza che quest'opera ha sempre esercitata sui più grandi spiriti della razza umana, o come si potrebbo  comprendere la elevazione morale clic ognuno devo provare in sè,  quando vi si abbandona senza pregiudizio, so non si ammette che essa  suscita nel lettore la convinzione di sentire la parola viva di Socrate  stesso? Quale valore potrebbo avere questo scritto, se si volesse considerarlo unicamente come una creazione d'arto, come una descrizione  dell’ideale platonico? In questo caso dovremmo bensì inchinarci davanti all’autore quale artista, ma in fondo avremmo cosi un Socrate  come Platono avrebbo desiderato che egli fosso, ma non come real¬  mente era. Non stava in Socrato piuttosto la verità incorporata davanti ad Atene decadente, davanti alla stessa Atene che egli aveva  conosciuta nello splendore del periodo di Pericle? Non era quest uomo  un idealo morale di una tale grandezza elio ogni tentativo di idealizzarlo maggiormente doveva necessariamente rimpicciolì rio ?   P. Ueberweg, Unters. fi. d. Echtheit u. Zeitfolge piatoli. Schriflen , F. Schle i rum ache R, Plalons Werke, I H. MQli.er e K. Stf.inhart, Plalons sàmmtl. Werke,  Per quali ragioni poi l 'Apologia non fu scritta in forma di dialogo?  Nessuna introduzione, nessuna descrizione dello scenario, nessun nesso  tra i singoli discorsi, nessun accenno a circostanze secondarie interrompono l'azione in questo meraviglioso documento. Non dovremo convenire che soltanto forti motivi psicologici indussero l’autore ad esporre  cosi lo sviluppo del processo? Non si dimentichi neppure quanto diversamente Socrate parla della morte ne\\'Apologia e nel Fedone, la  qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta molto più tardi. Nell’yfpo/ofna  è in verità Socrate stesso che parla, mentre nel Fedone è Platone che  motto, entro la cornice della realtà storica, la propria convinzione in  bocca al suo amato maestro. Vi sono poi altri fatti psicologici da rilevare. Ricordiamo che Platone  ascoltava un maestro, che aveva seguito con tutto l'ardore del suo en¬  tusiasmo giovanile per lunghi anni, e dal quale emanava un lascino  che faceva dimenticare a lui come ad altri giovani greci la figura di  Sileno clic nascondeva il vero essere del grande innovatore. Ricordiamo  clic Platone era penetrato nello spirito della dottrina socratica come  nessun altro e clic egli solo è stato capace di salvarla interamente  per la filosofia occidentale. Gli orano quindi lamiliari tutti i particolari esteriori che sono caratteristici por ogni personalità umana o senza  i quali non possiamo neppure rappresentarcela. Conosceva esattamente  il timbro e la cadenza della sua voce, il suo vocabolario, il suo periodare, i suoi movimenti mimici e pantomimici, in breve tutti i numerosi  fattori clic, secondo la leggo della fusione psichica, cooperano a lar  sorgere in noi l’immagine di una persona a noi nota c che, tutti quanti,  esercitano la loro influenza dormito la riproduzione di un suo discorso.   È inoltro cosa saputa che ogni riproduzione di un discorso riesce  tanto più fedele, quanto piu l'attenzione rimaneva tosa, quanto mag¬  giore era l’interesse che l'oratore suscitava in chi l'ascoltava. Si può  immaginano un’attènzione piu concentrata elio nel caso presente?   Figuriamoci lo stato d’animo del giovano Platone, che pende dalle  labbra del suo maestro e che appercepisce attivamente ogni parola  da lui pronunciata; ridestiamo nella nostra immaginazione l’uragano  di emozioni che lo travolge, le fluttuazioni della sua anima tra la speranza ed il timore, tra l'ammirazione della grandezza sovrumana  che si palesa e lo schianto per la certezza della perdita irrimediabile,  e si dovrà convenire elio l’organismo umano forse non sopporterebbe  tali stati d’animo una seconda volta. Sappiamo che emozioni come  queste non passano facilmente, ma (die tornano sempre in nuovo ondato. Sappiamo inoltro che nessun moto d'animo rimane senza espres¬  sione o elio lo singolo persone a questo riguardo si comportano diver¬  samente. Anche l’anima dell’artista lui le sue reazioni ed ogni artista  le ha a seconda dell’arto, alla quale dedicò la sua vita. Ora, anche Platone era artista o come tale non potevano rimaner mute lesile emo¬  zioni. Ma egli era anello scienziato, uno scolaro, anzi Io scolaro per  eccellenza, ili quoH'uomo che durante una lunga vita non aveva ccrrato altro ohe la verità. Oli era impossibile di rinchiudere in se ciò  clic aveva vissuto quel giorno. Cosi, appena può, prende lo stile por  dare uno slogo all'emozione olia lo soffoca. li se il suo stato non diede  luogo a fenomeni precisamente nllucinnttfri, nondimeno tutto ciò che  aveva visto e sentito, torna a vivere in lui, conio per il poeta vivono  ed agiscalo lo persone croato dalla sua fantasia. Cosi, io penso, nacque VApologia platonica. Essa non è un rapporto  stonogralico, perché è certo olle anche questa riproduzione doveva su¬  bire quei cambiamenti che, secondo i risultati della trattazione sperimentale. hanno luogo in tutti i processi riproduttivi. Perciò non ogni  parola ebbe il suo posto originario, un pensiero avrà avuto un'espres¬  sione un po' più breve, un altro una l'orma un po' più lunga, eco., ma  quanto al resto il documento è. come per il contenuto, cosi puro pol¬  la forma tanto fedele, quanto, data la mente Idi un Platone, era umanamente possibile. Con ciò ho esposto II mio punto di vista rispetto  allo due questioni sovracconnatc. No risulta che dobbiamo fondarci nella  nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in quest'opera intorno al &tipóviov di Socrate. Aggiungo die gli accenni contenuti negli altri scritti  di Platone non contraddicono in alcun modo i dati precisi dell’Apologià.   Per quanto concerno lo opero di Senofonte che ci interessano, bisogna ricordare che esse furono scritte parecchi anni dopo la morte di Socrate, o die in esse i.on veniamo mai informati intorno al fenomeno da Socrate stesso. Desideroso di dimostrare l'innocenza del grande  filosofo, come puro la ingiustizia dell’accusa c della condanna, Senofouto  metto, convinto, beninteso, di scrivere la verità, il Saipòvcov di Socrate  in relazione colla fedo popolare nello divinazioni. Ciò non può sorprendere, quando si pensa all'abuso che il popolo di qucH'epoea, già invaso  dallo scetticismo, fece dei divinatori, c quando si tiene presente elio  Souofontc non ora filosofo, ma uomo politico. Per questa ragione non  dove recar meraviglia, se Senofonte non aveva compreso ciò che era  nuovo ed essenziale nella concezione socratica del fenomeno. In Meni. è detto clic il divino (vi Saipòviov) dava segni a  Socrate ed in I, 4 viono aggiunto elio egli comunicava tali messaggi  a quelli clic lo ci re urlavano o elio aveva loro predetto ciò che dovevano faro e ciò elio non dovevano l'aro, come puro elio quelli elio seguivano questi consigli ne ebbero vantaggi, mentre gli altri elio non  li seguivano, dovevano poi pentirsene.   Meni. contiene il noto colloquio con Aristodemo. Socrate  domanda ad Aristodemo, clic cosa gli dei dovessero l'aro per convincerlo elio si curavano anche di lui. A ciò Aristodemo, alludendo al  S-x.aó e.'j'i. risponde, un po' ironicamente, che dovevano mandargli dei  consiglieri per fargli sapere quello elio doveva faro e non fare, corno  Socrate pretendeva che fosse il caso spo. In Cono. Socrate non aveva affatto parlato del suo Sxtgtìvwv o  non no parla neppure in seguito. Antistuno, però, gli fa il rimprovero,  come se egli se no servisse per trarsi d'impiccio.  È evidente che, se non avessimo lo rispettivo, opere platoniche, il  ixigiviov di Socrate sarebbe rimasto per sompro un fenomeno inesplicabile. D'altra parte però le comunicazioni di Senofonte sono di grande  valore, in (pianto che fanno vedere il modo in cui in Atene si giudi¬  cava questo fonomono, ivi assai conosciuto. Dall' Apologia ili Piatone apprendiamo che Socrate disse nel suo primo  discorso (Apoi.), che egli non si era occupato di altari politici,  perchè succedeva qualche cosa di divino o di demonico (Dstov r. -/.od  Sxqidvtov) in lui, che dai tompi della sua fanciullezza (è-/. r.x'.Sif) vi era  stata in lui una corta voce (qxov^ vi?) la quale, ogni volta che gli sopravveniva, l’aveva trattenuto da qualche cosa, ma che non l’aveva  mai spinto a qualsiasi azione. Nel discorso Socrate spiega, come la solita divinazione (r, siioSHtà poi prmxi)) l’avesse nel passato  sovento fermato, trattandosi anche di coso molto piccole (jiàvu érti opi-  xpotg), ma che il segno di Dio (vi r.ù 9-soO a^pstov) non gli era soprav¬  venuto durante tutto il giorno c neppure durante tutto il suo parlare,  mentre durante altri discorsi l'aveva spesso frenato. Dice ancoraché  la morte non poteva essere un male per lui, perché nel caso contrario  il solito segno (vò e!i»9-ò; a^pAv/J l'avrebbe cortamente trattenuto nel  parlare. Alla fine di questo discoi-so ripeto che il morire doveva  ora essere per lui la miglior cosa, perché altrimenti il segno (vo oij-  pstov) l'avrebbe avvertito. Gli altri scritti di, Platone, dei quali dobbiamo tener conto, non possono naturalmente iù avere il valore storico, elio abbiamo attribuito  all’Apologià, ma siccome i rispettivi passi, corno fu già detto, non sono  menomamente in contraddizione con quolli dell'Apologia, essi hanno  certamente un fondamento storico. In ogni modo illustrano, come Platone vuole che il Sxwdvwv di Socrate venga inteso. Nell'Atò/drtde I l’autore si servo del fenomeno per iniziare  il dialogo. Socrate dice ad Alcibiade di non meravigliarsi, se da tanti  anni non gli avesse più parlato, perchè un ostacolo di natura non  umana, ma demonica (oùx ivD-piójiswv, àX/.i vi Sxipdviov ivawttopx) gliene  aveva impedito. ììo\ l’Eutifrone questo domanda a Socrate, su che cosa Meleto  abbisi l'ondato la sua accusa. Socrate dico che Meleto gli rimprovera  di introdurre nuovi dei c di non credere negli antichi. E Eutifrono  gli risponde di aver capito ora, che è perchè Socrate parla sempre  del suo Sxtpóviov.   Noi Teetelo Socrate parla della sua maieutica e dico che  molti discepoli l'avevano abbandonato, perchè, non comprendendo la  sua arto, lo tenevano in poco conto. Egli aggiunge che, se tali giovinetti tornavano da lui, il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov) gli impede di accoglierne alcuni, mentre ad altri non era contrario e che  questi facevano di nuovo progressi.   Nell 'Entidemo, un dialogo, in cui Platone fa vedere tutto  il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica, Critono prega Socrate di parlargli di duo solisti. Socrato consento o dico clic il giorno innanzi  ora stato seduto noi liceo od in procinto di andarsene, quando gli ora  sopravvenuto il solito sogno demonico (tò siwà-ò: ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}.  Poreiù ora rimasto seduto o tosto quei duo, cioè Kutidemo e Dionisodoro orano entrati. Noi Fedro Platone ha già oltrepassato di molto il socialismo  puro e semplice, come risulta dalla spiegazione elio dà dell’anima o  dello ideo. Dopo una meravigliosa descrizione del paesaggio vediamo  corno Socrato o Fodro si coricano sulla sponda dell’Ilisso nell'omhra  di un albero. Socrato ticno il discorso sul bel ragazzo che aveva avuto  molti amanti. Fedro vorrebbe clic continuasse su questo tema, ma So¬  crate gli risponde che, in procinto di attravorsare il fiume, gli era sopravvenuto il solito segno demonico (tò ìxqiòvtòv t= usci tò siiottòs aijgEìovl,  gli era parso di sentire una corta voce (za{ tivx cpiovijv iìi-a aòTò!M=v  àzoùoai), elio lo impediva di andare via prima di essersi purificato da  un peccato commesso contro la divinità. Dice ancora che egli deve essere  veramente un divinatore, ma soltanto per ciò elio riguarda lui stesso,  e continuando rileva dm la sua divinazione rassomiglia all'arte di  quelli che leggono c scrivono male, perché anche questi possono servirsene soltanto per i propri bisogni. Con ciò egli passa man mano  agli splendidi discorsi elio tutti conoscono. Platone si serve in quest'opera con arte line del ìaqiòviov in modo similo a quello in cui so n'è  servito ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce il fenomeno per  rendere possibili i discorsi che seguono. Nella Repubblica – cf. Grice -- Socrate dice elio IL SEGNO DEMONICO (tò  ìaqiòviov ovjiietovJ non era stato concesso a nessuno prima di lui o quasi  a nessuno.   So analizziamo più da vicino il problema, vediamo che esso racchiudo in sé tre problemi clic dobbiamo risolvere l’uno dopo l'altro.  S’impone prima di tutto il quesito, corno mai Socrate abbia potuto chiamare il fenomeno in questione tò ìaqiòviov. A questo si connette  l’altro, cioè di sapere che cosa Socrate stesso abbia realmente inteso per  questo termine. In terzo luogo dobbiamo corcare, come la psicologia  empirica moderna possa spiogare questo fatto. II primo quesito e, fino  ad un certo punto, anemie il secondo fanno parte della psicologia dei  popoli, mentre il terzo appartiene esclusivamente alla psicologia individuale. Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal punto di vista della psicologia dei popoli. Il concetto del demone è sorto da primitive vedute attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo sviluppo, duranto  il quale, sotto l’influenza di rappresentazioni magiche, subisce molte  trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca in cui appare l’eroe,  questi 'lue concetti si fondano man mano in una rappresentazione to-  talo, nella quale il concetto del demone perde il suo carattere impersonale, mentre l’eroe acquista dolio qualità sovrumane. Cosi nasce il  panteismo. Importante è però in tutto questo sviluppo, che la rappresontazione ilei demono non si perdo dopo la formazione degli dei pagani o elio corto qualità ili questi ultimi vengono attribuite anche ai  demoni. Per ciò accado olio lu coscienza popolare non distinguo sempre  nettamente tra dei e demoni. Nella Grecia il concetto del demone – cf. Grice e Ackrill --, sotto  l'influenza della poesia e della filosofia, subisce poi un’altra modificazione, in quanto i demoni vengono considerati come esseri elio stanno  tra gli dei o gli uomini. Si confronti a questo proposito la descrizione  deH'origino dell'Eros nel Convito di Platone (come pure il primo  discorso di Socrate nell’Apologià platonica. Dal punto di vista della psicologia dei popoli si può diro elio col  «aipóviov di Socrate il concetto del demono torni nell'anima umana,  nella quale, per motivi psicologici e per processi di oggettivazione, è  nato, vi ritorna filosoficamente trasformato ed eticamente purificato. E caratteristico per tutto questo sviluppo elio Socrate nel Convito di  Senofonte chiama l'anima umana un santuario dell’Eros. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ? Prendo le mosse da un  punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone e precisamente dal  punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente, se egli nella  sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei dello stato, o so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando Meleto annuisco a quest’ultima interpretazione, l’accusato corea di far vedere  l'assurdità dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede in qualche cosa di demonico, devo necessariamente riconoscere l'esistenza ili demoni. E quando Meleto devo nuovamente ammettere che i demoni  sono figli di doi, la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi può eredorè all’esistenza di tigli dogli dei, egli conclude, senza credere con ciò  anche a quella degli dei stessi ? Difatti, i giudici elio lo ritenevano  colpevole, erano in piccola maggioranza. Se prendiamo questo passo insieme con quanto Socrate dice ancora  ilei suo 2xi|ióvtov o del suo concetto della divinità, abbiamo in mano la  chiave per la sua concezione del fenomeno. Faccio qui ancora notare  che intendo il termini vó ìzciivtov nelle opere di Platone, secondo l'osservaziono di Schlcierinacher, nel senso di un aggettivo. Dico  questo per respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno speciale spirito custode. Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in conformità alla fedo popolare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o uomini e vengono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il demonico  in lui è generato dal divino. Per questo lo chiama anche tó 3-iCov, il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo qualcosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli crede  puro impostogli dalla divinità (Teeteto). Come a baso di tutte  Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li,  ni; Clemente der  VSt/cerpsi/chol.,(21 Op. cd. Cfr. puro B. E. Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo] lo azioni di Socrate sta il bisogno etico della cortezza(1), cosi egli è  assolutamente certo che in casi, in cui la propria ragione lo lascia in  asso, una volontà divina lo trattiene in ogni circostanza, piccola o  grande, dolla vita, quando è in pericolo di non agire giustamente, cioè  di non compiere la sua missione. In questa cortezza, che forma una  parte della sua fedo religiosa, sta la giustificazione otica dolla ironia,  colla quale egli lancia l'accusa indietro sull’avversario. Ma oltre ad  essere qualche cosa di divino, il demonico in Socrate è poi anche qualche  cosa di umano, perché si produce nell’anima umana o diventa sua proprietà, cioè un oracolo interiore. Per ciò il demonico stava veramente,  come il demone della mitologia, in mezzo tra il divino e l'umano. Si  aggiunga elio Socrate ora in fondo persuaso che prima di lui questo  dono non era stato posseduto da nessun altro mortale. Ecco ciò che  vi ha di nuovo nella concezione socratica della divinazione, di fronte  a quella della fede popolare. Como dalla Repubblica di Piatone, questo  fatto risulta anche dalle superbe parole, colle quali Socrate si esprime  sul suo valore davanti ai suoi giudici (Apoi.). Tali parole  può pronunciare un ammalato di mente, che si deve compatire, ma  quando escono dalla bocca di un Socrate, sono l'espressione di una profonda convinzione religiosa, che deve scuotere chiunque miri a tini  etici. Importante è per la fede di Socrate che egli non cerca di scolparsi in quanto al non credere negli dei dello Stato, ma solo in quanto  al sospetto di avere delle convinzioni ateistiche (Apoi.). Por quanto concorno la teologia socratica, elio al pari della sua  etica doveva rimanere ili carattere pratico, anziché sistematico,  è importante ricordare che Socrate trovò nella sua naz.iono il politeismo ellenico, corno Cristo trovò nella sua il monoteismo giudaico.  Socrate era, come ogni essere umauo, un tiglio del suo tempo. Educato  in (inolia religione ogli si riteneva, come Cristo, esteriormente legato  allo prescrizioni religioso in vigore. Come prendeva sul serio la massima di Delfo: conosci le stesso, cosi rispettava l'altra di ubbidire alle  leggi. L’ultima parola del filosofo morente era la raccomandazione di  non dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio (Fedone), e poco  prima aveva domandata all'uomo, elio gli portava il calice fatale, se  ora permesso di farne una libazione. In questo modo Socrate non raggiunse l'altezza dolla dottrina del Nazareno, ma si avvicina ad essa,  perchè sulla*larga base della religione popolare si eleva, quale sintesi  della sua conoscenza, la fedo in un Dio unico, al quale si deve ubbidire più che non agli uomini (Apoi.) c di cui egli si credeva un  apostolo (Apoi.). Socrate è tolcrautc verso la fede della moltitudine, ma il suo Dio è l’intelletto che governa l’universo e per il quale  non trova neppure un nome, un divino onnisciente ed onnipresente, che  [LABRIOLA (si veda) Socrate, cur. CROCE (si veda)] si cura ilei Leno di tutti gli nomini (Sonof., Meni.). Tutte le sue  pratiche religioso sono in fondo rivolto n quest'unico Dio senza nomo,  clic si rivela agli uomini in molti modi. Con una espressione di ledo  in questo Dio onnisciente, si chiudo ì'Apntoi/ia platonica(l). Tenendosi  presente questo concetto della divinità, si comprendo la sua incrollabile fede nel S»tpóvtov come in una rivelazione della medesima. Il l'atto che il plurale oi '.Hol si trova in Platono come in Senofonte  accanto al sì neolaro 6 tei? potrebbe destare il sospotto elio Sorrato  accanto all'intelletto universale abbia ammesso ancora dolio altro forme  divino. Ma ciò è escluso. Egli sceglie il plurale in modo simile come,  per es., nella Genesi il plurale Eloliim sta por il singolare del divino. Non è qui il luogo ili entrare in altri particolari. Ricordo soltanto elio troviamo precedenti in Senofane e che audio Anassagora  aveva già riconosciuto un unico principio immateriale che tutto ordina secondo lini. Che Socrate conoscr l'opera di Anassagora, apprendiamo direttamente da Platone (Fedone). Non ho bisogno di rilevare che, con quanto fu esposto, sono senz’altro respinte le opinioni di Lèi ut o di altri, cho considerano Socrate  come un ammalato di mente, come pure il parere di Dii l’rel, che  mette il Sxqidvtov di Socrate in relazione collo proprio teorie mistiche. // 8r.pó/tov di Sacrale dal punto di vista detta psicologia empirica  moderna. So teniamo conto di tutti i fatti che Platone ci presenta,  è evidente che nel «atpivtov di Socrate si tratti ili un processo che appartiene al campo delle inibizioni psichiche. Naturalmente non può  trattarsi qui di una inibizione nel senso della dottrina intcllcttuulitstica di Horbart. Ciò che nel nostro caso è inibitorio, non appartiene  all'atto al contenuto oggettivabile della coscienza umana, ma si trova  piuttosto dalla parte puramente soggettiva di essa, cioè da quella dei  sentimenti. Da questo punto di vista dobbiamo cercare di risolvere il  problema. L’inibizione procede da un sentimento totale, che si forma  in base ad un numero più o meno grande di intensivi sentimenti parziali, legati ad clementi rappresentativi che rimangono al limito della  coscienza e che non giungono all’appercezione. Con questo è inteso,  che non può trattarsi nel caso di Socrate, come è stalo ripetutamento  affermato, di processi allucinatoci. Nel fatto che l’inibizione parte  da un sentimento, al quale non corrisponde un contenuto oggettivo,  sta la ragione, perchè Socrato non può fare alcuna indicazione precisa [Cfr. pure (I. /Cuccanti) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion de Si,croie ni. 1 C. Du Prel, Ine Mastiti d. alt. (ìrieclien. E caratteristico che Du Prel l'accia uso  ilei Teapele , benché riconosca che questo non sia un'opera di Platone. Cile Platone colla frase nel Fedro “ xxt -iva ipiovijv £So;a xùxcàsv ày.ofkJx: „  non vuol alludere ad una allucinazione, dimostra con molta chiarezza anche lo  Cuccante. Si aggiunga che. se il Szqicvtcv di Socrate avesse  tale origine, questo si rileverebbe in tutti i rispettivi racconti platonici, ciò che  non è assolutamente il caso. ] intorno al fenomeno, ma (leve in casi, in cui non lo chiama semplice¬  mente il demonico o il divino, contentarsi di termini metaforici. Parla,  ad es., di una voce, come oggi si usa il termine voce della coscienza. Questo sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene poi attivamente appercopito e, riferito alla divinità, acquista il carattere di  un motivo imperativo che, coll'intensità di una forza morale, lo costringe ad abbandonare un'intenzione presa. Dal fatto cho l’inibizione  viene da Socrate creduta un segno divino, si comprendo elio in lui  non possono mai nascere dei dubbi, come accadrebbe con altro persone.  Non vi è mai in un tal caso una lotta tra motivi in lui, mai alcun  conflitto tra doveri. Appena egli s'accorge dell’inibizione, è assolutamente sicuro di aver avuto trasmesso un divino No,.. Cosi la riflessione o la fedo nel suo Sztjióv»/diventano i principi fondamentali, che  lo guidano nella sua intera attività filosòfica ed etica. In ultima analisi si tratta qui di un fatto psichico clic si verifica in  ogni coscienza normale più o meno frequentemente, benché molte persone non lo osservino o non si lascino da esso frenare. Di Mill ci viene riferito elio egli osservò il fenomeno in se stesso molto  intensamente. A me molte persone hanno dotto di aver notato in  sè tali inibizioni sentimentali. Siccome Socrate ci informa che egli  aveva osservato il fenomeno spesso in sè dai tempi della sua fanciullezza, non è escluso che vi sia stata in lui por lo sviluppo di esso una  certa disposizione. Ma d'altra parto si devo ricordare (dio egli per tempo  si abituò a fare molto sul serio l'esame di se stesso o cho il fenomeno  era una parte integrale della sua fede religiosa. Dal momento cho egli  era corto cho il sentimento inibitorio era una rivelazione divina, questa  convinzione doveva dominare tutta l’anima sua. Dato questo continuo  autoesame in connessione collo sviluppo (lolla sua convinzione teologica, si comprendo, come dovesse entrare in giuoco un principio che  governa ogni vita psichica, cioè quello dell’esercizio. L’ininterrotto  esercizio doveva renderlo capaco di riconoscere l'inibizione di ogni  grado appena sorta e di afferrarla coll'attenzione. Si aggiunga (die la  coscienziosità colla quale cercò continuamente di compiere la sua missione, e colla quale mirava sempre ai medesimi lini, doveva renderlo  straordinariamente sensibile o facilitare la formazione di tali sentimenti. Cosi si spiega il frequente ripetersi del fenomeno in tutto lo  sue azioni. Io credo clic, con quanto fu esposto, siano trovati i punti  principali «he debbono guidarci nella spiegazione psicologica del Sacgóviov  di Socrate. Tornerò sull’argomento in un lavoro più esteso, ed in questo  sarà tenuto conto delle opinioni di altri autori più di quanto mi è  stato possibile di fare in questa breve comunicazione. Zuccante,  Kiesow. SOCRATE   ET  l’Amour Grec. SOCRATE ET  l’amour grec (Socrates sanctus nai Sepaatrjs) D1SSERTATlON. GESNER. BONNEAU, PARIS, LISEUX, Rue Bonaparte, jegg^arean Gesner, 1’auteurde  JgE cette curieuse dissertation, est  I S&fe l un erudit Allemand du xvm e sie-  cle, dont les travaux ne sont pas tres-  connus en France. On lui doit d’excel-  lentes etudes sur les Scriptores rei rusticce , une Chrestomathie de CICERONE,  une Chrestomathie Grecque, des Lexiques, une traduction Latine des ceuvres de Lucien, des editions de PLINIO (si veda), de Claudien, de Quintilien,  de Rutilius Lupus et autres anciens a rheteurs, toutcs enrichies de notes savantes et de longs prolegomenes; plus,  un nombre formidable de dissertations sur toutes sortes de sujets, Opuscula diversi argumenti (Breslau), parmi lesquelles son Socrates  sanctus pce der asta tire forcement l’oeil  par la bizarrerie de son titre. Cette bizarrerie a valu au livre sa notoriete, et en meme temps lui a fait grand  tort. Beaucoup de gens, entre autres  Voltaire, malheureusement pour 1’erudit  Tudesque, n’ont pas ete au dela, et iis  ont construit sur cette minee donnee un  ouvrage tout entier de leur fantaisie, a  1’extreme desavantage du pauvre Gesner.  D’autres ont cru Voltaire sur parole et  sont arrives au meme resultat.  C’est Larcher, THelleniste, qui le pre-  mier chez nous mit en lumiere cet opus-  cule, dans son Supplemenl & THistoire  universelle de labbe Bapn,  en le citant parmi les ouvragcs a consulter sur le proces de Socrate ; il se  contenta d’en faire mention, sans meme  traduire ni expliquer le titre, ne s’imaginant pas qu’on put s’y meprendre, et  qu’un homme tel que Gesner fut suppose capable d’une indecente apologie. Voltaire, dont le vif et alerte esprit se plaisait a effleurer les surfaces, sans presque  jamais approfondir, ne connaissait sans  doute pas Gesner et certainement n’avait  pas lu son Socrates. Le Supplement a l’Histoire universelle n’etait d 7 ailleurs  qu une refutation tres-savante, quoique  un peu lourde, de son Introduction a  1'Essai sur les maeurs , publiee d^abord a  part et sous le pseudonyme de 1’abbe  Bazin; quelques critiques justes qu’on y  rencontre le mirent de mauvaise humeur,  et, battu sur divers points d’erudition, il  chercha une occasion de dauber Larcher,  a cote du sujet, selon son habitude. Il  crut la trouver dans le livre etrange qu’il  supposa, d’aprcs le titre cite qu’il interpretait mal, s’indigna de ce qu’on osait  donner comme faisant autorite de si mons-trueuses elucubrations (le monstrueux  n’etait que dans ce qu’il imaginait), et  tantot sous le pseudonyme d’Orbilius,  tantot sous celui de M Ilc Bazin ( Defense  de mon oncle, un de ses pamphlets), il ne  cessa de poursuivre la-dessus de ses bro-  cards son inoflensif adversaire. Tres- content d’avoir leve ce lievre, il a meme  reproduit son assertion plus que hasardee  dans le plus populaire de ses ouvrages;  on la trouve en note de 1’article Amour  socratique , du Dictionnaire philosophique. Un ecrivain moderne, nomme  Larcher, repetiteur de college, dans un  libelle rempli d’erreurs en tout genre et  de la critique la plus grossiere, ose citer  je ne sais quel bouquin dans lequel on  appelle Socrate Sanctus pcderastes ; So-  crate saint b ! Il n’a pas ete suivi dans ces horrcurs par 1’abbe Foucher. Larcher avait trop beau jeu pour ne pas repliquer. II le fit dans sa Reponse .  la Defense de mon oncle,  opuscule rare, reimprime a la suite du  Supplement a 1’Histoire universelle. Vous m’attribuez , dit-il a Voltaire,  votre infame et infidele traduction du  titre d’une dissertation de feu M. Gesnera  Je n’ai point traduit le titre de cette dissertation; il ne pouvait se prendre que  dans un sens tres-honnete, mais il etait  reserve a M lle Bazin et a Orbilius de lui  en donner un infame. Cela ne vous suffisait-il pas? Fallait-il encore me 1’imputer? Pour qui avait suivi toutes les phases  de la discussion, Larcher et Gesner etaient  innocentes; Voltaire restait convaincu  d’avoir note dfinfamie un livre sans le  connaitre. Mais ces temps sont loin; personne aujourd’hui ne lit Larcher pour  son plaisir, et le Dictionnaire philoso-  phique est dans toutes les mains. Voila  pourquoi on croit generalement que Gesner a developpe le plus scabreux des paradoxes et fait une apologie en regie d’un  vice honteux. Nous pourrions citer au  moins un de ceux qui, se fiant a Voltaire,  ont propage 1’erreur mise par lui en circulation, et affirme que cette dissertation  n’est qu’un tissu d’invectives ; mais nous  ne voulons faire de la peine a personne. Gesner, ecrivain des plus doctes et plus  estime encore pour son caractere que  pour son savoir, professeur de Belles-Lettres a Goettingue, puis  bibliothecaire, ne pouvait ecrire qu’une defense de Socrate,  une refutation des calomnies dont on a  obscurci sa memoire, et que la langue a  attachees a son nora d’une maniere en  quelque sorte indelebile par les mots de  socratisme et d 'amour socratique. Inquiet  et tourmente, comme il 1’assure, de voir  peser sur IL PADRE DELLA FILOSOFIA de si  indignes soup9ons, il a voulu remonter  aux sources, compulser tout le dossier  et reviser le proces sur les pieces memes.  II l'a fait d’une facon non moins inge-  nieuse que savante dans cette dissertation lue a 1’Academie de Goettingue, recueillie dans les Memoires  de cette academie, dans les  Opuscula diversi argumenti de 1’auteur  et tiree a part  (Utrecht).  C’est cette derniere edition que nous  avons suivie pour la reimprimer et la traduire, ce qui n’avait jamais ete fait en  Francais, ni probablement dans aucune  autre langue. Gesner a-t-il reussi a disculper entierement Socrate? Nous l’esperons; mais nous etions de son avis  avant d 7 avoir lu son livre, et, ccmme per-  sonne ne 1’ignore, c’est surtout chez ceux  qui pensent comme lui qu’un auteur, si  bon dialecticien qu’il soit, porte la conviction. Les esprits mal faits qui incli-  nent a 1’opinion contraire, et ceux-la  seront toujours difficiles a persuader,  persisteront peut-etre a trouver singulier que Platon, interprete de Socrate, ait si  souvent parle de 1’amour; qu’il ait consacre trois de ses plus beaux dialogues,  le Lysis , le Phedre et le Banquet , a cette  brulante passion; qu’il l’ait tant de fois  soumise aux analyses les plus delicates,  expliquee par les conceptions les plus  sublimes, les mythes les plus poetiques, et que jamais, sauf un moment, dans  l’admirable episode de Diotime du Banquet , il ne soit question de la femme. Alcide Bonneau. UTRECHT es hommes illustres, ceux qui sont  regardes comme tels non-seulement  par la posterite, mais par leurs  contemporains, ceux surtout dont le  plus grand eclat consiste precisement dans  leur vertu, sont souvent accuses, sur les plus  legers indices, de quelques travers, sinon  de defauts plus graves; et c’est la un travers iros illustres, et non a posteris solis sed  coaevis tales habitos, eos maxime quorum  praecipua laus virtutis est, vitii alicujus  nedum criminis gravioris suspicari levibus argumentis, vitium id quidem non leve : reos agere  et condemnare crimen et piaculum; in Christiano homine, in homine, in barbaro. Quanta istorum ignominia, tanta est gloria  piorum virornm qui versantur in probrosis his  l’editeur   qui Iui-meme ne manque pas de gravite. Se  faire a la fois 1’accusateur et le juge, c’est  une chose criminelle, un sacrilege, qu’il  s’agisse d’un Chretien, ou seulement d’un  homme, meme d’un paien. L’ignominie de ceux-la rehausse d’autant  la gloire des hommes pieux qui s’appli-  quent a repousser ces odieuses attaques.  On peut le dire de Gesner, ce savant illustre, du petit nombre de ceux qui depas-  sant par la science tous leurs contemporains, font encore plus estimer en eux les  qualites du coeur que celles de 1’esprit;  c’est un honneur pour lui d’avoir pris en  main la cause de Socrate, et un plus grand  peut-etre pour Socrate d’avoir dte le Client  de Gesner. II nous a paru bon de recueillir dans  une edition nouvelle cet ouvrage de faible conatibus coercendis. Gesnero, illustri nomini , e  numero paucorum illorum qui cum eruditione  coaevos possint excellere, animi dotibus quam  ingenii celebrari malunt, incertum an honori sit  caussam Socratis egisse, magis quam Socrati  Gesnerum habuisse patronum. Visum fuit , memoriam brevis operae sed auro  contra noti carae nova editione colere. Docuit  vir præclarus, scripto quidem, quam inani co-  natu virtus summi hominis sollicitata fuerit ab obscuris obtrectatoribus , qui non solent deesse  virtuti. Docuit autem exemplo, pertinere ad dimension, mais qui ne serait pas trop  cher paye au poids de For. Son excellent  auteur nous y montre, la plume a la main, 1’inanite des efforts diriges contre un sage  par ces obscurs detracteurs qui ne man-  quent jamais a lavertu; il nous fait voir  aussi, par son exemple, qu’il appartient a  tout honnete homme de defendre la cause  des gens de bien. II nous enseigne surtout  avec quel soin et avec quelle erudition il  est besoin d’ecrire dans de telles matieres,  ou l’on ne doit rien avancer qu’apres un  examen scrupuleux. Profite donc, lecteur, de ce travail, plus  utile qu’il ne le semblerait au premier  abord; et si, par ignorance ou par trop  forte credulite, tu as rejetd loin de toi les  ecrits Socratiques, reprends-les maintenant  et garde-les avec amour. Il nous sera per-bonos omnes bonorum virorum caussam: tum et  illud, in primis, ubi ejus modi res agitur, accu-  rate et docte scribendum esse, nec arripi quid piam absque subtili examine, et benevolo illo,  debere.  Fruere, Lector, labore utiliori quam decet: et  si imprudentius forte abjeceris Socraticas chartas nimium credulus, abi continuo et in sinu  eas reconde. Integrum erit culpare qui Socratem  citant, tibi convenisset laudari Davidem et Salomonem: sed patiamur, bonum et pauperem  Socratem, placide subridentem, sereno vultu,  xvi l’editeur au lecteur   mis a notre tour de mettre en accusation  ceux qui font un crime a Socrate de ce  qu'ils trouveraient admirable s’il s’agissait  de David et de Salomon; mais laissons le  bon et pauvre Philosophe s’interposer doucement avec son placide sourire, son tranquille visage, et s’ecrier: Moi aussi, Vertu,  je t’ai honoree, Deesse!  Quant a ceux qui blameront cette apologie, non comme excessive, grands dieux,  car que pourrait-on dire de trop sur Socrate? mais comme inconvenante et deplacee, qirils prennent garde de tomber dans  Todieux de cette populace Portugaise tou-  jours prete, sinon a lapider ou a bruler,  du moins a exorciser a force de signes de  croix traces d’un doigt tremblant, le teme-  raire qui oserait croire que la Bienheu-  reuse Vierge Marie etait une Juive. leniter interponere, Et ego te, Virtus! colui  Deam,   Quibus fastidium movent elogia, justa Di boni!  quid enim de Socrate dici nimium potest? sed  quce magis opportune forsatn collocari potuis-  sent, videant ne in odium id evadat, quale est  plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut la-  pides, saltim tremente digito averruncas cruces  describentis, si quis auserit credere, B. Virginem  Judaeam fuisse. SOCRATE ET L’Amour Grec  MATTHI. GESNERI V. C.  Socrates   SANCTUS T/E D E T{A STA  t nihil tam alte vel natura , vel  virtus , vel fortuna constituit, in  quo non vel deprehendatur aliquid labis et vitii, vel vires suas experiatur maledica invidia, cujus vocibus boni  etiam viri abripi se ad suspicandum certe  non nunquam patiuntur: ita mirum non  est , neque excelsam Socratis gloriam 1 n’est rien de place si haut par la nature, la vertu ou la fortune, qui n’ait ses taches ou ses inv perfections, ou que 1’envie ne s’efforce  d’atteindre, cette medisante envie dont  les clameurs poussent 1’homme de bien  lui-meme a soupconner le mal: c’est  pourquoi nous nc devons point nous obtrectatoribus suis carnis se. Ac de  Anyti Melitique criminibus, quibus oppressus est vir innocens, et, si forte vani-  tatis aut nugarum et cavillationum postulatus, et Scurrae nomine traductus est,  in prcesenti non erimus soliciti. Unum  crimen est, quod, varie jactatum, et plus  semel non sine specie in scenam reductum scepe me solicitum habuit, Fuerit ne  impuro ac detestabili puerorum amori  deditus? Hoc enim si verum sit, actum  est profecto de virtute viri, indignus est  cujus cum honore nomen usurpetur. Postulatum esse hujus turpitudinis,  negari non potest. Mittimus, quæ de  adolescentia viri ad libidinem proclivi Factum id esse a Zenone Epicureo, prodidit  CICERONE de Nat. Deor., ubi vid. Davis.   etonner que lagloire si haute de Socrate  ait eu, elle aussi, ses detracteurs. Tou-  tefois nous ne voulons ni parier ici des  accusations d’Anytus et de Melitus sous  lesquelles succomba son innocence, ni  nous inquieter de savoir si ce grand  homine a ete incrimine de vanite, de  mensonge et de sophisme, affuble du surnom de Bouffon[i). Une seule accusation m’a souvent tourmente; c’est  celle qui, sans cesse discutee, a toujours  ete remise en avant, non sans apparence  de justesse: Socrate etait-il adonne d  l’impur et detestable amour des jeanes  gargons? Si cela est vrai, c’en est fait desormais de la vertu de cet homme ; c’est  un indigne, lui dont on ne prononce le  nom qu’avec respect. Qu’il ait ete accuse de cette turpitude, le fait est certain. Negligeons ce  que Porphyre, d’apres Theodoret [De la Comme le fait PEpicurien Zenon, au dire de CICERONE {De Natura Deorum; consuit, la-dessus Davies. Porphyrius apud Theodoretum [Græcar, affect. cur. ser. 4 pr.) memorat: nam  ibidem additur , illum c-ojo^ xat oioayrj  xouxou? a^aviaat xou; xurcous, impressas veluti notas libidinum studio ac doctrina  abolevisse. Neque valde huc faciunt ,  quce ex eodem Porphyrio, qui Aristoxeno auctore usus sit, idem Theodoretus (Serm.) memorat, par-  tim quod ad adolescendam primam viri,  de qua nobis sermo non est, pertinent ,  partim quod Archelaus Anaxagorae discipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius  fuit. Ejusdem generis est, quod Cyrillus  (contra Julia.) ex eodem  Porphyrio (in Historia Philosopha , libro  olim deperdito) refert , Socratem -po; xr ( v  twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv sivac,  aoizov os p.rj -poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat?  •/.oivat; y prjaQat fj-ovat?. Fuisse ad res venereas  aliquantum vehementem, sed injuriam  abfuisse, qui vel uxoribus solis, vel    (1) Conf. quae in fra de mali equi Socratici notis  dicentur. § 18.    et l’amour grec 7   cure des prejuges des Grecs , Disc. iv),  raconte de sa jeunesse, laquelle aurait  ete encline au libertinage ; 1’auteur  ajoute, en effet, au meme endroit qu’il  parvint a effacer en lui, par Venergie de  sa volonte \ jusqu’aux traces meme des  passions (i). Ne nous occupons pas non  plus de ce que le meme Theodoret  (Discours xn) emprunte encore a Por-  phyre, qui lui-meme suivait Aristoxene,  c’est-a-dire de ce qui se rapporte a la  premiere jeunesse de Socrate (elle n’est  pas en cause), et a ce disciple d’Anaxa-  goras, Archelaus, qui aurait ete, en tout  bien tout honneur, un ami fervent  (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme cate-  gorie appartient ce que S. Cyrille (Contre Jidien) a extrait de YHistoire  philosophi que de Porphyre, livre aujour-  d’hui perdu : a savoir que Socrate et ait  violemment pousse aux choscs de iamour, mais qiiil s’abstint de faire tort a Voyez ce que l’on dit plus bas des marques  du mauvais cheval Socratique. quam diu caelebs esset communibus  uteretur. Nondum quidquam ex Porphyrio vel Aristoxeno, quem ille auctorem sequitur, allatum est de horribili  scelere, Pcederastia : quod praetermissu-  rus non erat, qui satis hic in Philosophice  parentem iniquus est, Cyrillus. Decla-  mat igitur praeter rem Socrates alter  (Hist. Eccles.), cum ita de  Porphyrio narrat, IIopcpupio; xou xopu^aio-  xaxoa xoiv <piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov [3''ov oietu-  psv £v ifi YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta, xai  xoiauxa Tuept auxou ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs  MeTaxo;, p.r[x£ v Avuxo; oi jpa^aixsvoi Swxpaxrjv  ItTictv e-zyjiprjGxv, ita traductum, ait, a  Porphyrio Socratem, talia de viro scripta,  quae neque accusatores ipsius Anytus et  Melitus dicere in ipsum ausi sint. Accipimus, quod negat objectam in judicio  turpitudinem talem Socrati, quo nempe  argumento constet, famam viri hac tum  macula caruisse. Sed nec a Porphyrio  plura aut turpiora his memorata, quae  jam vidimus, satis illud argumento est,  quod iniqui Socratis glorice homines, personne, en riusant jamais que de ses  propres femmes ou , durant son celibat,  des femmes qui apparticnnent a tout le  monde. Nulle part, soit chez Porphyre,  soit chez Aristoxene que Porphyre co-piait, il n'est rien allegue de cet horrible  crime : Pederastie ! II ne Paurait point  passe sous silence, ce Cyrille si injuste  envers lepore de la Philosophie. IPautre  Socrate ( Histoire ecclesiastique, m, avance donc une insigne faussete lors-qu’il dit : « Porphyre a compose la vie  de Socrate, le coryphee des philosophes, d’apres les histoires ecrites sur lui; et il  nous a transmis, d Vaide de ces documents, des choses si monstrueuses que les  accusateurs de Socrate, Anytus et Melitus, n’ont pas meme ose' les lui reprocher. Retenons seulement de ceci Taveu qu’on  n’en fit pas un grief a Socrate, lors du  jugement public, ce qui ressort de la  phrase elle-meme, et que cette tache fut  alors epargneeT a sa renommee. Mais  Porphyre n’a pas rapporte autre chose  ou des choses plus monstrueuses que ce Cyrillus ac Theodoretus, non plura protulere, quibus fuerant haud dubie causam suam, si res facultatem dedisset, ornaturi. Nempe nec Aristophanes, qui corruptce ad impietatem et calumniandi artem juventutis accusat in Nubibus Socratem. hujus criminis ullam mentionem  facit , non omissurus profecto, si illud  adhaerescere posse putasset. Nec forte  quisquam est ex omni antiquitate remotiore illa, et temporibus Philosophi propinqua, serius et severus accusator hujus  criminis. Lusit inter posteriores, pro  petulanti illo ingenio suo, Lucianus (de  CEco, ita enim potius dicendus erat ille  libellus quam de Domo) cum accusat Socratem, qui non erubuerit advocare Musas, virgines,  cuvsaojjiva; ia -aiBepaama, ut audirent  illos de puerorum amore sermones. Atqui illi sermones, uti mox videbimus.   que nous venons de dire ; nous en trou-  vons la preuve en ce que S. Cyrille et  Theodoret, deux detracteurs de Socrate,  n’en ont souffle mot, et qu’ils n’auraient  pas manque d’en orner leurs diatribes si  la chose eut ete possible. En second lieu, Aristophane qui, dans  ses Nuees , represente Socrate comme  un corrupteur de la jeunesse, comme  faisant de 1’imposture un enseignement,  n’a pas davantage mentionne cette accusation; l’aurait-il omise, si elle eut pu  s’appliquer a Thomme qu’il bafouait? II  n’y a enfin personne, si l’on prend des  temoins dans cette antiquite reculee ou  dans les temps voisins du Philosophe,  qui se presente comme un accusateur  serieux et digne de foi. Plus tard seulement Lucien, entraine par sa verve  moqueuse (dans 1’opuscule que l’on traduit ordinairement De Domo et qu’il  vaudrait mieux traduire De CEco.), reprocha a Socrate de n’avoir  pas rougi d ; invoquer les Muses, des reprehendant vehementer amorem: respicit enim ad Phædrum Platonis de quo dedita opera dicendum erit.  Qua ? in Amoribus in Socraticum amorem Platonicum-  que vel a Luciano, vel quicunque auctor  est, jocose et per calumniam dicuntur,  ea ad ipsum illum locum diluisse me  arbitror.  Sed veterum criminationes Maximus Tyrius (Dissertat.) refutavit, ut non videatur  opus esse aliquid addi : cum praesertim  tanto magis et agnoscant innocentiam  Socratis, et illud crimen ab illo depel-  lant ut hujus, ita paullo superioris aitatis  homines, quo magis virum ex aequalium  ac paullo juniorum de illo scriptis ut  cognoscere possent, cuique contigit. Quin  ne consultum quidem judicarem veterem  litem resuscitare , nisi viderem, nuper vierges, pour leur faire dcouter ces fa-  mcnx discours sur Vamour des jeunes  gargons. Mais ces discours, comme nous  allons le voir, blament fortement cette  sorte d’amour; Lucien fait, en effet,  allusion au Phedre de Platon dont nous  aurons a nous occuper. Ce que Fon dit  debamourSocratiqueet Platonique dans  les Amonrs, que ces dialogues soient de  Lucien ou de tout autre, n’est qu’une  plaisanterie ou une mechancete, comme  je\ l’ai demontre en temps et lieu. Maxime de Tyr ( Dissertations) a d’ailleurs refute toutes les ac-  cusations portees a ce sujet par les an-  ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter.  Le meilleur argument, c’est que ceux qui  ont le mieux reconnu Tinnocence de  Socrate et repousse loin de lui avec le  plus de force 1’accusation infame, sont  les hommes de la generation qui a imme- [Dans ses notes sur Lucien, dont il a fait une  edition et une traduction Latine tres-estimees.  fuisse, et esse hodie homines eruditos, et  bonos viros, qui pravam de patre illo  Philosophia? opinionem conceperint, quorum non pono nomina, quia mihi non  cum ullo homine certamen esse volo,  sed cum opinione ea, quam praeterquam  quod falsam puto, etiam virtuti noxiam,  præter consilium quidem bonorum virorum, humanitati certe adversam esse,  arbitror. Qui autem fieri potuit, ut homines  neque indocti neque maligni in sinistram  falsamque de Socrate opinionem inciderint? ut apologia vir sanctus opus habeat?  Praeter naturalem illam -/.axor{0£tav nos-  tram, quae imis velut medullis fixa, et  superbiæ illius nostrae nixa radicibus.  diatement suivi la sienne. Or, ce sont  les contemporains et leurs successeurs  immediats qui peuvent le mieux juger un  homme, en pleine connaissance de tout  ce qu’on aecrit sur lui. Je n’aurais donc  pas songe a ressusciter cette vieille querelle si je n’avais vu naguere, et tout  recemment encore, des hommes instruits,  vertueux, concevoir la plus mauvaise  opinion de ce pere de la Philosophie; je  ne dirai pas leurs noms, ne voulant me  prendre corps a corps avec personne,  mais seulement avec une opinion que  je considere comme sans fondement,  nuisible a la vertu, et, contrairemcnt a  1’avis de ces gens de bien, defavorable a  1’humanite tout entiere. Comment donc a-t-il pu se faire  que des personnages qui ne p£chent ni  par ignorance ni par mechancete, aient  concu de Socrate une opinion si facheuse  et si fausse? Pourquoi cet homme veritablement saint a-t-il besoin d’etre defendu? En dehors de cette maligni te inter ultima vitia eradicatur, ceterasque  ex genere morum rationes, conveniunt  hic alia qucedam, quce facilem errandi  occasionem praebent. Magna pars doctorum etiam hominum legendi laborem  fugit, legendi uno tenore, continuata  attentione , totos veterum scriptorum  libros; sed satis habet decerpere qucedam, in quce primum incurrere oculi, aut, quod deterius frequentius que idem,  repetere ab aliis excerpta, et e media  nonnunquam sermonum velut compage  evulsa, de quorum sic sententia non facile  sit judicare. Platonis libri, unde pleraque  Socratica peti hodie necesse est, multos  arcent ob Atticum illud sermonis genus,  breve et acutum, floridum praeterea, ac semipoeticum, ipsamque disserendi ratio-  nem subtiliorem scepe, quam ut mediocri  attentione, non acutissimi homines illam  statim adsequantur. Nec licet , ut adhuc  res est, ad interpretes confugere ; qui  quoties vel nihil dicant, vel alia omnia  dicant, vix sine invidia licet commemo-  rare. Et tamen nisi attente legas, et to- naturelle qui reste fixee jusqu’au fond de  nos moelles, qui se fortifie de notre orgueil et qui ne s’arrache qidavec les derniers defauts, outre encore diverses raisons tirees de nos mceurs, il a fallu pour  cela un concours de circonstances propres a faciliter 1’erreur. La plupart des  gens instruits eux-memes evitent la fa-  tigue de lire dans leur entier, avec une  attention soutenue, tous les livres ecrits  par les Anciens ; on a plus tot fait de  choisir quelques passages, les premiers  qui tombent sous les yeux, ou, ce qui est  bien pire, de s'en tenir aux passages  choisis par d’autres, a des fragments detaches de 1’ensemble et dont il est par  consequent difficile d’apprecier le sens  veritable. C’est ce qui arrive des livres  de Platon, d’ou il nous faut aujourd’hui  tirer toutc la doctrine Socratique; iis embarrassent bon nornbre de lecteurs  par leur style trop Attique, raffine et  aiguise, fleuri pourtant et semi-poetique,  par ces controverses si subtiles souvent  que, si 1’attention se relache, 1’esprit le tos legas dialogos, et qua scripti sunt  lingua legas, non est ut de sententia  illorum, h. e. quam tribuat Plato sen-  tentiam Socrati, recte judices. Quare  mirum non est, si multi refugiant lectionem ita laboriosam; et illis veluti spinis  a familiari tractatione eorum librorum  deterreantur. Denique si quid etiam tribuatur a  Platone Socrati, tamen, si illud Xenophontis narrationi repugnet, non dubitaverim equidem, fidem potius adhibere  Grylli filio, memor illius, quod narrat  Laertius, Socratem , cum Lysin  Platonis legisset, dixisse , to; tzoXKx uoj plus eclaire n’cn suit pas aisemcnt le fil.  Et il serait inutile, dans le cas present,  de recourir aux annotateurs ; ou iis  ne disent rien, ou iis disent tout  autre chose que ce qu’il faudrait ; on ne  peut s’empecher de leur en faire un re-  proche. Cependant, amoins de lire avec  un soin scrupuleux tous les dialogues de  Platon et de les iire dans la langue meme  ou iis ont ete ecrits, il n’est pas possible  de juger saineinent de leur doctrine,  c’est-a-dire de la doctrine que Platon  attribue a Socrate. Il n’est donc pas sur-  prenant que nombre de gens reculent  devant une si laborieuse lecture et  soient rebutes, comme par des epines,  du commerce familier de ces livres. Enfin il faut dire que si Platon at-  tribue a Socrate une maniere de voir  contredite par la narration de Xenophon,  il n’y a pas a hesiter: c’est a Xenophon  qu’il faut se fier, si l’on se souvient du  mot rapporte par Diogene de Laerte. Socrate, apres avoir lu le Lysis xaxe^uBeO’ 6 veavfoxo; Quam multa de me  mentitur adolescens! Tanto magis hoc  memorabile est , quod ille Dialogus ita  scriptus est, ut non modo tanquam persona colloquens inducatur Socrates, sed  tanquam, qui ipsum illum dialogum  scripserit. Ceterum quia hic sumus, hoc  breviter indicamus, amatorium quidem  esse hunc libellum , sed nihil habere pudendum ne Platoni quidem. Argumen-  tum hoc est : Queritur Lysidis amator  Hippothales, ab illo se non amari ; Socrates ostendit, si velit amari, non adu-  landum esse puero, sic enim futurum  superbiorem; sed illi potius ostendendum, quibus rebus indigeat, et quam  parum in ipso sit boni. Deinde dela-  bitur in disputationem, Quis proprie  amicus sit vocandus? et, In quo insit  natura amicitia’ ? plenam illam quidem  cavillationum , sed praeclararum etiam  de amicitia sententiarum. Ceterum tri- Sic nempe ipse solebat Socrates in potestatem  quasi suam redigere adolescentulos, de quo que-  rentem audiemus Alcibiadem. de Platon, se serait ecrie: Comme ce  jenne homme invente souvent ce qu’il me  fait dire! » Le mot est d’autant plus  remarquable que, dans ce dialogue, So-  crate estpresente non comme un simple  interlocuteur, mais comme s’il avait  ecrit lui-meme tout le morceau. Pendant quenous y sommes, disons brievement que cetouvrage roule sur 1’amour,  mais qu’il n’y a rien dont put rougir  Platon lui-meme. Voici le sujet: Hip-  pothales, qui aime Lysis, se plaint de ne  pas en etre aime; Socrate lui demontre  que s’il veut 1’etre, il ne faut pas qu’il  fiatte ce jeune homme, ce qui le rendrait  plus orgueilleux encore; il vaut mieux  qu’il lui represente tout ce qui lui manque et le peu de bonnes qualites quhl  possede. On discute ensuite ces questions: Qui est digne d’etre appele un veritable ami? et, Quelle est la nature de Tamitie? Controverse pleine, il est vrai, C’est ainsi que Socrate avait en effet coutumc  d’assujettir les jeunes gens et son autorite, et nous  voyons Alcibiade s’en plaindre.  bui a Platone colloquentibus, de quibus  ipsi non cogitarint, vetus observatio est,  de qua vid. Athenaeus Deipnos.. Qiio dialogorum more se  excusat, etiam VARRONE in ACCADEMI dedicatione Tullius CICERONE. Neque ausim  Platonis ipsius, junioris praesertim, patrocinium suscipere de mollioribus versiculis, quos Apulejus servavit (Apol.) et Laertius Diogenes:  de quibus modo in neutram partem disputo, causamque Platonis a Socratis  causa hac in re sejungo. Quæcunque vero cum aliqua specie  testimonia Platonis contra Socratem proferuntur, ea cum ex Phædro, nescio  quam bona semper fide, corrupte quidem  et perverse non nunquam, depromi videam, propter ea pretium opera putavi,  de futilites, mais aussi de remarquables  definitions dekamitie. C ; est uneobservation qui a ete faite depuis longtemps,  que Platon attribue a ses interlocuteurs  des idees qu’ils n’ont jamais eues: on  peut consulter la-dessus Athenee (Deipnosophistes). CICERONE, qui avait le  meme defaut, s’en excuse sur le genre  meme du dialogue, dans son envoi des  ACCADEMIA a VARRONE. Je n’ose pas non  plus defendre Platon du reproche d’avoir  commis, surtout dans sa jeunesse, des  vers badins tels que ceux que nous ont  conserves Apulee (dans son Apologie) et  Diogene de Laerte; vieux ou  jeune, jen’ai pas affaire a lui et je separe  completement sa cause de celle de Socrate. Entre les divers temoignages fournis  par lui, ceux que Ton peut alleguer contre Socrate avec quelque apparence de  justesse sont tires du Phedre; pas toujours bien scrupuleusement et quelque-fois a 1’aide d’alterations ou de contre-] non semel totum illum dialogum attento  animo perlegere , et uno quidem tenore ,  et lingua sua, ne quid eorum me falleret,  qua saepe fraudi esse viris doctis, modo  dicebam. Ac spero non ingratum fore  aliis, quorum rationes non ferunt tam  longam solicitamque operam, si hic possint brevi studio cognoscere velut œconomiam illius libri et argumentum, inde-  que de toto consilio vel Platonis vel  Socratis arbitrari. Concedamus enim, ne  abuti videamur illa, quam modo propo-  suimus observatione, Socratis hic veram  sententiam bona fide a Platone proponi.  Ac primo illud meminerimus, Socratem hic introduci senem,  tantum non decrepitum, quem facile juvenis Phædrus viribus superet. Jam  fingitur Phædrus audisse Lysiam disputantem, magis obsequendum gratifican-  dumque esse non amanti, quam amanti:  camque orationem Socrati prcelegere sens. Cest ce qui m’a engage a lire  attentivement ce dialogue, et plutot deux  fois qu’une, dans son entier, et dans le  Grec, afin d’echapper a ces chances d’erreur dont j’ai parle plus haut et qui font  trebucher les plus doctes. II sera peut-etre  interessant, je 1’espere, pour ceux dont  1’esprit repugnerai-t a une besogne si  longue et si difficile, de connaitre sans  grande etude le sujet et pour ainsi dire  1’economie de ce livre, et de pouvoir  apprecier toute la theorie de Platon ou  de Socrate. Nous admettrons, pour ne  pas abuser de la reserve faite par nous  plus haut, que la doctrine de Socrate a  ete ici exposee de bonne foi par Platon. Rappelons d’abord que Socrate y  est presente comme un vieillard, non  pas tout a fait tombe en decrepitude,  mais qu’un jeune homme, comme Phe-  dre, peut maitriser aisement. Phedre raconte qu’il a entendu Lysias discourir  sur cette question : Un jeune homme  doit-il avoir plus de facilite et de com-[Reprehendit  hanc Lysiae orationem , cante quidem et  multa cum ironia Socrates , et meliora se  audisse ait , quae dicere illum amabilis-  sime cogit Phcedrus. Incipit hic a Musa-  rum invocatione quam calumniatur, ut modo dicebamus, Lucianus : cum sit nihil in ea oratione non  virginum auribus dignissimum. Orditur  a definitione Amoris quem  vocat cupiditatem , quae incitate feratur  ad voluptatem  pulchritudinis, et inde,  quam mala res, quam noxia sit, ostendit et claudit hexametro:   A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv  1 r’ 1 !   |Sf/aTra’.  Ut cordi agna lupo est, puerum sic ardet amator. Bene ista , et Musis faventibus. Sed  subito, At Amor tamen Deus est, inquit ,  et palinodiam parat , quae incipit (p. 3 43 .   plaisance pour celui qui ne 1’aime pasque  pour celui qui Faime ardemment ? II lit  ensuite ce discours a Socrate. Celui-ci,  avec beaucoup de finesse et ddronie,  trouve a blamer dans la composition  oratoire de Lysias et pretend qu'il a entendu dire la-dessus autrefois de bien  plus belles choses; Phedre le conjure de  les lui rapporter. Socrate debute alors  par cette invocation aux Muses que Lucien a calomniee, comme nous le disions  plus haut, car il n’y a rien dans tout le  discours qui ne soit parfaitement digne  des oreilles chastes. II commence par la  definition de 1’amour, qu’il appelle un  desir violemment entraine vers le plaisir  que promet la beaute; il enumere en-  suite les ecarts auxquels il peut pousser  et conclut parcet hexametre: Comme le loup aivic Vagneau , ainsi Vamoureux   [cherit le jeune garcon. Voila qui est bien, grace aux Muses. Mais aussitot : L’ Amonr est cependant  un Dieu, s’ecrie-t-il ; et il entrcprend une ab eo, uti dicat, non ideo amorem  damnandum fuisse, quod sit furor ; esse  enim furorem etiam bonum aliquem:  ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam facultatem  esse a verbo [i-aiveaOai dictam , velut quan-  dam [j.avi/7]v s. furiosam. Talis furoris plura genera enarrat, in his etiam ponit  amorem, cumque magnæ felicitatis causa tum amantis cum amati datum his esse divinitus, conatur ostendere. Ad eam demonstrationem sumit  primo hanc propositionem. Omnem animam esse immortalem, quam inde probat (quam bene vel male , nunc non dis-  putamus) quod principium motus sui in  se habeat. Deinde similem ait animam nostram, etiam antequam ea in corpus ve-  niat, bigae alatae cum suo auriga. Alterum hujus biga 3 equum bonum ponit et  tractabilem, malum alterum ac  refractarium. Sic coelestia spatia ingrediuntur ista cum suo auriga bigce, et palinodic en declarant tout d’abord que  1’amour n'est pas condamnable en soi,  qu’il estun delire, et que dans tout delire  il y a quelque chose de bon; que fxavnxr],  la divination, derive du mot (jiodveaGai,  comme qui dirait [xavtxr), c’est-a-dire  folle. II compte diverses especes de  delires parmi lesquelles il place 1’amour,  et il s’efforce de montrer que c’est un  present divin fait a bhomme pour le plus  grand bonheur de celu*i qui aime et de  celui qui est aime. Sa demonstration  s’appuie sur cette proposition premiere:  Tonte dme est immortelle, dont il tire la  preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre  affaire) de ce qu’elle a en soi le principe  de son mouvement. Il compare ensuite notre ame,  avant qu’elle ne vienne habiter un corps,  a un attelage aile, compose de deux  chevaux et d’un cocher. L’un des  chevaux est excellent et docile ; 1’autre,  d’un mauvais naturel et retif. L’attelage  parcourt ainsi les espaces celestes, avec Deorum aliquem secutce (Socratis anima  Jovem) ea spatia permeant. In hoc volatu et illa equorum dissimilium  dissensione, alia; quidem anima; retinent  alas, et ad sublimia feruntur, contemplantur que ea etiam, qua; extra supremum coeli orbem sunt. Alia;,  qua; partim in altum elata; viderunt plura, partim ab equo illo refractario impe-  dita; ac retractae, pauciora; ruptisque  per illam equorum in diversa tendentium  luctam pennis atque amissis, cadunt, et  in corpora humana veniunt. Harum, pro gradu cognitionis  illius et inspectionis rerum coelestium  diverso, novem classes constituit. Qua plurimum veritatis et rerum cœlestium vidit anima, ea inseritur semini, e  quo nascatur aliquis sapientias, pulchri,  doctrinas, et amoris studiosus, st? yovfjV] son cochcr, et s’elance a la suite de l’un  des douze dieux (1 ’ame de Socrate suivait Jupiter). Dans cette course a travers  les espaces et malgre la lutte des deux  chevaux, si dissemblables, quelques ames  parviennent a garder leurs ailes, voya-  gent dans les regions etherees et contemplent meme ce qui est au dela de la  voute du ciel. Les autres, parfois emportees jusqu'aux plus hautes regions,  parfois retenues et embarrassees par le  cheval retif, n’arrivent qu’a connaitre  une partie des mysteres ; dans cette lutte  des chevaux qui tirent en sens inverse,  elles brisent et perdent leurs ailes; ces  ames tombent alors sur terre et sont  emprisonneesdans les corps des hommes. Suivant le degre de connaissance  qu'elles ont atteint dans la contempla-  tion des essences, Socrate divise en neuf  classes ces ames dechues. Celle qui a  per9u le plus de verite et de choses  sublimes, vient animer le germe d’ou  naitra un homme tont entier consacre au avopo? ycV7]ao[j.c'vO’j ? oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou, tj  fi.ouaixou Ttvos, x at spamxoy. Secundi fastigii anima animabit regem, legibus, bello,  imperio, potentem : tertiae classis anima  civitatis familiaeque regendae et rei fa-  ciendae peritum : quartae, laboris amantem eundemque in exercendis sanan-  disve versantem corporibus : quinti  ordinis animae vitam habebunt in vaticinando, aut in castimoniis initiisque  mysteriorum occupatam : sexti, poetas :  septimi, geometras aut fabros: octavi  sophistas aut cum factione populares:  noni denique animabunt tyrannidis cu-  pidos. Multa hic nec injucunda de hoc  ordine , de his vitee generibus, disputandi  occasio: sed maneamus in argumento  nostro. Ha’ omnes anima?, cum morte discesserunt a corporibus, in locum vel pce- [culte de la sagesse, de la beaute , de la  Science et de Vamour ; Vdme du second  degre vivra dans le corps d’un roi juste ,  belliqueux et capable de commandere  celle du troisieme fonnera un homme  habile a administrer sa famille, sa cite  ou la chose publique; celle du quatrieme  un athldte laborieux ou un medecin, tous  deux occupes soit d exercer le corps  humain , soit d le guerir; les ames de la  cinquibme classe passeront leur vie , soit  d predire 1’avenir, soit d initier aux  abstinences et aux mysteres ; celles de la  sixieme former ont des poetes ; celles de  la septieme , des laboureurs ou des ouvriers,- celles de la huitieme, des sophistes  ou des chefs de factions populaires ;  celles de la neuvidme, enfin, des tyrans.  Ce serait peut-etre 1 ’occasion de dispu-  ter, et non sans agrement, des rangs  assignes a ces ames et de leur genre de  vie: mais restons dans notre sujet. Toutes ces ames,quandle trepas les a  separees du corps, parviennent au sejour narum vel pr cerni orum perveniunt, et  mille exactis annis, accipiunt potestatem eligendi sibi nova corpora, vitas  novas, sive hominum sive bestiarum.  Quce anima ter sibi, exactis millenis illis  annis, primam istam sedulo philosophantis, sive pueros cum philosophia  amantis, vitam delegerit tou  <ptXocrocprjaavto; aooXc. 05, r] "atospaaxrJcjavTO;  [j.£xa <ptXoao<p''a;, ea, absoluta ista ter mille  annorum periodo , pennas denuo accipit,  quibus ut ante tolli, deum aliquem sequi,  contemplari cœlestia, queat: cum reliquarum octo classium animae, non nisi  decies mille annorum periodo absoluta, in primam illam conditionem restituantur. Hoc ipsum quod primam et felicissimam classem Pæderastarum philosophantium constituit, quod tantum prae-  mium illis, compendium septies mille  annorum, tribuit Mythi hujus s. Allegoria ? auctor, sive Socrates fuit, sive Plato ; hoc ipsum igitur jam satis monere  nos poterat, non posse hic sermonem esse  de re ita turpi , quam fuisse illud, cujus des peines et des recompenses, et au bout  de mille annees, recoivent la permission  de choisir de nouveaux corps, soitd’hom-  mes soit de betes, et de vivre de nou-  velles vies. L’ame qui, durant trois revo-  lutions de mille annees, trois fois de  suite a choisi Texistence d’un homme  quicultive sincerement la philosophie, ou  qui aime les jeunes gens d'un amour  philosophique, a 1’expiration de cette  triple periode, recouvre les ailes qidelle  possedait autrefois et peut, comme au-paravant, suivre l’un des dieux et contempler les essences celestes. Les huit  autres classes ne retournent a cette condition premiere qu’apres une revolution  de dix mille annees. Ainsi la premiere  classe et la plus heureuse est celle des  philosophes amis des jeunes gens, et l’inventeur de ce mythe ou allegorie, que  ce soit Socrate ou Platon, la favorise  d’une exemption de sept mille annees:  cela seul nous avertit assez qu’il ne peut  etre question ici de ce vice infame dont  on accuse Socrate et que d’ailleurs les 3postulatur Socrates, ipsis etiam legibus Atticis, paullo post ostendemus: sed magis hoc apparebit, si quis ea, qu ce sequuntur, apud Platonem paullo attentius  considerare mecum voluerit. Intelligentia hominum , ex pluribus  rebus sensu perceptis collecta, nihil est  aliud, quam recordatio illorum, quae  anima in illo volatu suo coelesti viderat,  quae sola verum illud ens sunt (t 6 ov-co;  ov, p. 346, A). Haec intelligentia maxima  est in illa prima philo sophantium pæderastarum classe : haec ipsa est, ob quam  alas soli recipiunt, quibus volatum illum  coelestem, deorumque comitatum tentant:  præ qua terrena hæc, et sensus externos  ferientia, ita negligunt, ut male sani  aliis et furiosi videantur, icocpa -/.ivouvts?,  quos commotos s. commotce mentis  vocat ORAZIO (si veda) (Serm.),  cum re vera divino quodam spiritu agitentur, svOouaux^oviss, qui illos semper ad  coelestem illam pulchritudinem revocet,  quam in priore volatu viderant. lois Athenicnnes reprimaient, comme je  le demontrerai tout a 1’heure; cela deviendra plus evident encore pour qui  voudra bien examiner attentivement  avec moi ce qui suit dans Platon.   i3. L’intelligence humaine est formce  de la reunion des idees percues a l’aide  des sensations, et les idees ne sont rien  autre chose que les reminiscences de  ce que 1’ame a vu anterieurement dans  son vol celeste, c’est-a-dire des essences  veritables. Or 1’intelligence la plus complete appartient a la premiere classe, a  celle des philosophes amis zeles des  jeunes gens, et c’est pourquoi seuls iis  recouvrent les ailes a 1’aide desquelles  iis pourront essayer de nouveau de par-courir le ciel et suivre le cortege des  dieux. Detaches des soins terrestres et  de tout ce qui frappe les organes, iis pas-  sent pour des insenses et des hommes en  delire, -apa/ivoSvis?, de ceux que ORAZIO (si veda)  appelle des fren^tiqucs, des esprits troubles, tandis que vraiment ce sont des en- [Hæc pulchritudo, qucc inest in  sensu, <ppov 7 ]<m, in mentis  qua vult et intelligit prostantia, si ita in  oculos, ut alia quce videri his possunt,  incideret, ad mirabiles sui amores exci-  tatura esset. Jam pulchritudo sola corporum, hanc (Aotpav habet, hoc velut fatum,  et conditionem , uti subeat oculos, ut amo-  rem moveat. Hinc ponamus ipsa verba,  ut existimare melius ac certius de tota  re possint etiam, quibus ad manus non est  Plato ipse, vel magnum volumen de pluteo  promere non lubet. c O piv oOv pu] vsoxeXt];, Jj otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas ©s'psxat  7ip6; auxo xo xaXXo;, Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE  smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv, aXX’  7]3ov^ 7:apaoou;, zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct-  y stpsT xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst x:poao|j.tXaiv,  ou os'ootxsv ou 8’ ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN. Notabile est, Platoni etiam de Ijcgib. r.  thousiastes, agites comme d’un transport  divin, qui les attire sans cesse vers cette  beaute celeste precedemment entrevue  par eux dans leur vol. [Cette beaute, dont Pessence reside  dans un sens particulier, la sagesse,  source de la volonte et de 1’intelligence,  s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir,  comme toutes les autres choses visi - bles, elle nous exciterait a d’admirables  amours. Mais c’est seulement la beaute  corporelle, telle est sa necessite fatale et sa  nature, qui frappe les yeux et nous porte  a 1’amour. Ici nous placerons le texte  meme afin que ceux qui n’ont point Platon sous la main ou qui ne se soucient  pas de tirer du rayon un gros volume,  puissent se faire une opinion en toute  E. hanc turpitudinem appsvwv np 6?  appevag, Ij OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to ITAPA  •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non igitur Plato-  nem , vel Socratem adeo, feriunt divina illa fulmina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea, qua ? in  idolatriam vibrantur. f,5ov7]v 0 -W.ojv. '0 8e apttteXrj?, 6 twv xdxe  TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov' t07), -/.aX-  Xo; eu [j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av  oj? Geov a£'6sxai. Hcec ita verto, Hic ergo,  qui non est nuper illis mysteriis coeles-  tibus in illo volatu animarum initiatus,  aut, initiatus cum esset, corruptus est,  non celeriter, ut oportebat, hinc, ab hac  corporea, non vera, pulchritudine, illuc  fertur ad ipsam veram, coelestem pulchritudinem, cujus hic videt nomen,  umbram , similitudinem : itaque neque  inter adspiciendum eam, divinum quiddam colit: sed libidini se tradens, quadrupedis ritu inscendere formosum conatur, et genitale semen profundere, et  cum contumelia congressus formoso corpori, non veretur, nec  erubescit PRXETER NATURAM libidinem persequi. At ille nuper initiatus, qui multa eorum quae tum videbat, contemplatus est, ubi vultum divino similem conspexit, qui pulchritudinem illam veram bene imitetur, aut incorpoream quandam illius speciem, verbo, certitudc. L’homme qui n’a pas un  « souvenir recent de son initiation aux mysteres, ou qui, recemment initie, s’est laisse depraver, ne s’eleve pas facilement, comme il faudrait, de cette beaute corporelle, qui n’est pas la vraie, a cette beaute celeste, absolue,  « dont il ne rencontre ici-bas que le nom, 1’ombre, la ressemblance; en 1’apercevant il n’y respecte rien de divin. Entraine par la volupte, il se precipite, comme une brute, sur 1’objet de ses desirs, ne cherche qu’a genitale semen profundere et, outrageant ce beau corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il ne rougit pas de poursuivre un plaisir contre nature. Au contraire, l’homme, encore plein des saints mysteres qu’il a longtemps contemples autrefois, 11 est remarquable que Platon, meme dans ses  Lois, appelle crime contre nature le commerce honteux marium cum maribus, et feminarum cum feminis. Les foudres de Saint Paul (Ep . aux Rom.) n’atteignent donc ni Platon ni Socrate, pas plus  que celles qu’il lance contre 1’idolatrie. virtutem speciosam:  Dei instar  colit. Deinde enarrat pheenomena quædam hujus sancti et philosophici amoris,  similia, ex parte Venerei, et quomodo  illa alce, quas amiserat anima, hinc de  novo crescant, sub Allegoria perpetua  describit, qua nihil aliud tandem indicat,  quam enthusiasmum quendam, et injectam divinitus philosopho cupiditatem  versandi cum pulchris, h. e. ingenio vel  forma potentibus, adolescentulis: quos  nempe captabat Socrates, qui sciret, cum  facilius sit formare ad sapientiam et  virtutem hanc aetatem, tum hos esse, a  quibus futura civitatis fortuna pendeat.  Hinc est quod se venari pulchros non dis-  simulabat (vid. Protagora > principium,  frustra reprehensum Cyrillo contra  Julia), quod Xenophontem baculo etiam transverso objecto  et l’amour grec q'3 en presence d’un visage presque divin ou d’un corps dont les formes lui rapit pellent 1’essence de la beaute, c’est-a-dire 1’essence de la vertu, adore comme  « en presence de la divinite. Platon retrace ensuite quelques-uns des phenornenes de ce saint et phi-  losophique amour, parfois peu different  de l’autre; il montre aussi comment re-  poussent les ailes autrefois perdues par  rame. C’est une allegorie perpetuelle  dont la conclusion est que le philosophe  con^oit, par une sorte de grace divine,  le plus fervent desir de vivre au milicu  des beaux adolescents distingues par la  perfection de leurs formes ou par leurs  dispositions naturelles. C’est ceux-la, en  effet, que Socrate ambitionnait de gagner,  sachant qu’il est facile, a cet age, de les  tourner au bien et a la vertu, et que  c’est d’eux que dependent les futurs destins de la Republique. II appelait cela  prendre les beaux garcons dans ses filets  (voyez la-dcssus le commencement du. velut exceptum, sibi adjunxit (Diog.  Laert.). Ipsum illud hinc est, quod GINNASIA, conviviaque et deambulationes, quoscunque denique juvenum coetus,  sequebatur, quod ludos et jocos non refugiebat, quod se plane communem illis  faciebat, nec irrideri aut peti maledictis refugiens. Ipsa illa ironia perpetua,  quod doceri se velle simularet , certe discendi causa disputare, ut accessum ad  Sophistas illi dabat , ita adolescentulo-  rum super bulæ de se opinioni et præcipitantiæ blandiri videbatur. Sed pergamus Platonis Mython enarrare. FILOSOFI illi amatores pulchrorum non indiscretim omnes amant, sed  (p. Sdy, C) quem quisque in illo coelesti  volatu Deum secutus est , ejus Dei si-  milem sibi quaerit amasium; qui Jovem,  ut Socrates, Jovialem (Auvov x wa), Martia-  lem vero qui Martem, et sic Junonios.  ET Protagoras, blame a tort par Saint Cyrille), et il se fit de la sorte un disciple  de Xenophon qu’il arreta en lui barrant  le passage avec son baton. Voila pour-  quoi aussi il frequentait les gymnases,  les banquets, les promenades, tous les  lieux de reunion des jeunes gens, ne  fuyait ni les jeux ni les badinages, s’entretenait avec tous et s’inquietait peu de  preter a rire aux medisants. Cette ironie  perpetuelle grace a laquelle il feignait  toujours de vouloir apprendre, pour  mieux enseigner, lui donnait acces au-pres des Sophistes et flattait aussi la suffisance et la presomption de la jeunesse.  Mais achevons d’exposer le Mythe de  Platon. Ces FILOSOFI amoureux des  beaux garcons ne s’attachent pas indistinctement a tous; selon le dieu quhls  accompagnaient dans les espaces etheres, chacun d’eux choisit parmi les anciens  suivants du meme dieu celui qu’il doit  aimcr. L’ame qui etait, comme celle de Bacchicos, Apollineos : et talem ubi inventum amare coeperint, faciunt omnia,  uti Deo illi, quem ipsi secuti sunt, et cu-  jus jam similitudinem quandam in ipso  deprehenderunt, sibique adeo, reddant  quam similimum. Ita Socrates, Jovis in  illo volatu satelles, quaerit Joviales, amatores natura sapientiae, et natos ad imperandum. Hactenus ergo bene res habet, sancti tales Paederaslce, J elices qui  sic amantur. Sed nec dissimulanda sunt quae  sequuntur apud Platonem. Redit Socrates ad superiorem illum de Anima Mythum, quam triplicis naturæ ponit scilicet. Sunt vellit equi duo,  est auriga. Equorum alter bonus, sanus,  verecundus, gloria amator, qui sine plagis, sola ratione auriga regitur : pravus  alter, qui multum ac temere una aufera- [Socrate, dans le cortegc de Jupiter, recherche un suivant de Jupiter, et ainsi  des autres qui avaient choisi Mars, ou  Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des  qu’ils Pont trouve, iis s’efforcent de  rendre celui qu’ils aiment semblable a ce  dieu dont iis retrouvent en eux-memes  le caractere. Ainsi Socrate, satellite de  Jupiter, recherchait pour les cherir ceux  qui avaient aussi suivi ce dieu, c’est-a-  dire ceux qui, par nature, etaient portes  a la sagesse et a la domination. Jusqu’ici  tout va bien ; de tels Pederastes sont de  vrais saints, et bien heureux ceux qui  sont aimes de la sorte!  Mais il ne faut pas dissimuler ce  qui vient apres dans Platon. Socrate re-  tourne au precedent Mythe de hame  qu’il a coniparee aux triples forces reu-  nies de deux chevaux et d’un cocher.  L’un des chevaux est bon, sam, plein de  retenue et d’emulation; le cocher le dirige, sans avoir besoin du fouet et par  la seule persuasion: 1’autre est mechant] tur , (impetu alieno potius feratur,  smo judicio) dura ac brevi cervice, simus,  nigri coloris, glaucis oculis, suffusus sanguine, petulantia contumeliaque gau-  dens, hirsutus circa aures, surdus, flagello ac stimulis vix tandem concedens.  Operet ? pretium videtur mali equi notas  etiam Gra } ce ponere : cxoXt 65, ~oXu; eixrj  a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, ( 3 payuipayrjXo?,  aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?, oepat-  [xo;, u6p ew; xal aXa^oveiac staTpo?, zept coxa  Xaaco; , xwipog , gaartyt p.S7a xdvxpwv [xdy.;   UTEclXOJV.   r<S\ Apposui Graeca , ut facilius judi-  cari possit , probabilisne sit conjectura, in  quam incidi , dum in hac equi mali de-  scriptione versor. Nempe, aut vehementer fallor, aut memorat hic Socrates non  tam equi mali proprie dicti signa, quam  sui corporis formam, quatenus vitiosum  inde ingenium colligebat physiognomon  ille Zopyrus. Hic enim , ut est apud CICERONE (DE FATO), Stupidum esse  Socratem dixit et bardum, addidit    et s’emporte facilement, sans raison aucune (c 7 est-a-dire qu’il semble dirige plutot par une force exterieure que par son  propre jugement); il a 1’encolure courte  et dure, les naseaux apiatis a la maniere  du singe, le poil noir, les yeux glauques  le sang le tourmente et il est toujours en  rut et en querelles ; il a, de plus, les  oreilles velues, il est insensible a tout et  n 7 obeit qu’a peine au fouet et a 1’aiguil-  lon. Il est necessaire de transcrire, dans  le texte Grec, ces marques particulieres  du mauvais cheval. J’ai cite le texte afin qu’on puisse  decider si la conjecture que me suggere  cette description du cheval retif a quel-  que vraisemblance. Ou je me trompe  fort, ou Socrate ici retrace moins les ca-  racteres d 7 un cheval defectueux que son  propre portrait, dans lequel le physionomiste Zopyre trouvait les indices d’un  naturel vicieux. Zopyre, au dire de  CICERONE (Du Destin) pretendait  en effet que Socrate etait lourd et stuetiam mulierosum. Illud de stupore con-  venire cum Homzne xpaTepau/7)v et (3payuxpa-  mox declarabitur: quod muliero-  sum dicebat, illud cum G6psa Ixatpop con-  gruit : novimus enim quos uSp-.sxa; tum  dixerit Græcia. Porro illud aipio-pd-  aw-ov plane pertinet ad notationem Socra-  tis, in quo cum deridetur a Critobulo,  tum ipse suaviter sibi illudit, et in eo  patulisque non modo deorsum sed in hori-  qontem naribus, non minus quam in ocu-  lis ultra frontem eminentibus, et labio-  [Unum ponamus exemplum e libello, quipree  manu est, Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18 1,  E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs; papuxovov, OSpiaxa^. Ava-  tpspexat £~1 xoj; ovoj;. Physiognomones e similitudine vocis asinina: argumentum ducunt ad libi-  dinem asininam. Conf. § 14, it. 32 .   (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p, Socrates ad  Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w?  yap /a! Ip.o 0 ' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid  istuc? quasi me quoque pulchrior esses, ita gloriaris.  Ad qua: Critobulus , Nrj Ata, rj Ttavxcov SsiX7jvwv  xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te formosior essem, ait, essem Sileuorum, qui in Satyri-  cis fabulis in scenam veniunt, turpissimus. pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai-  sirs veneriens. Pource qui est dela lour-  deur, cela concorde avec 1’encolure  courte et dure ; adonne anx plaisirs ve-  neriens, repond a &'6peto; ItaTpo;. Nous  savons, en effet, quels etaient ceux que  les Grecs appelaient uSpiatat'. Quant a  la face simiesque, cette designation s’ap-  plique parfaitement au portrait de So-  crate ; il y a fait lui-meme agreablement  allusion en repondant aux moqueries de  Critobule. Il avoue que toute sa  beaute consiste en un nez epate et me-  nafant le ciel, en des yeux saillants et [Contentons-nous d’un seul exemple tird du livre  que nous avons sous la main , le De Physiognomia ,  d’Aristote : Ceux qui ont la voix forte et grave  sont &6picrcai, par similitude avec Vane. De ce que  la voix £tait bruyante comme celle de l’ane, les phy-  sionomistes conci uaient qu’on devait avoir le temperament lascif de cet animal. Xenophon (Banquet). Socrate dit il  Critobule, qui vante sa propre beautd: Quoi donc?  Tu crois etre plus beau que moi? Critobule lui  repond: Si je n’etais plus beau que toi,je serais  le plus affreux de ces Silenes que Von voit paraitre  dans les drames salyriques.] rum tumore molli , pulchritudinem suam  prcedicat (Xenoph. Sympos? c. sicut  in Platonis Convivio Sileni  s. Satyri formam Alcibiades illi tribuit :  et in Tlieceteti Platonici principio Theodorus negat pulchrum esse Thecetetum,  cum sit Socrati similis, tQ te cijxo-rjta xat  to s£w twv o[j.[j.aTtov, naso simo et eminen-  tibus oculis, licet minus quam Socrates  utraque re sit notabilis. Nempe hcec si-  gna cum haberentur, et naturales quae-  dam notce, hominis libidinosi, iracundi  et stupidi, non negabat illud Socrates,  verum eo majoris faciendam esse FILOSOFIA ostendebat, quee tantum contra  vitiosam naturam valeret. Quoniam hic sumus, non injucun-  dum forte fuerit lectoribus nostris in  rem quasi preesentem ire, et ex artis,  qualis tum erat, praeceptis, Zopyri judicium defendere. Vix autem opus est  admoneri lectores, non hoc agi, Num  veri aliquid sit in ea arte? Num ipso   des levres gonflees comme un abces ; de  meme dans le Banquet de Platon, Alci-  biade compare son masque a celui de  Silene ou d’un satyre, et au commencement du Theatdte , l’un des interlocuteurs, Theodore, refuse toute grace a  Theatete en disant qu’il ressemble a Socrate, qu’il est camard et que les yeux  lui sortent de la tete; que pour etre chez  lui moins apparents que chez le maitre,  ces defauts n’ensontpas moins sensibles.  Socrate ne niait pas d’ailleurs que ces  particularites physiques n’indiquassent  un homme lascif, violent et d’un esprit  paresseux ; il en concluait seulement en  faveur de la Philosophie qui parvient a  dompter un si vicieux naturel. Pendant que nous y sommes, il ne  deplaira peut-etre pas au lecteur d’aller  plus au fond sur ce chapitre et de defendre les idees de Zopyre, idees basees  sur des regles alors acceptees. Il nes’agit  pas de savoir si cette Science est sure;  est-ce que 1 ’excmplc meme de Socrate   etiam Socratis exemplo ea refellatur, et  vanitatis convincatur? sed hoc modo,  quod dixi, Utrum Zopyrus ex arte, et  ut oportebat, judicium de illo tulerit? Exstat in operibus Aristotelis libellus, <J>uaioyvoj[juxa inscriptus, quo superiorum  hujus artis consultorum collegisse prae-  cepta videtur . Hinc ea, quee ad formam  Socratis, qua ? ad equi hujus mythici naturam pertinent, huc transferamus. Igitur inter ’Avai-  c07j- ou hoc est stupidi , et sensu communi  pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv a  aap'/.oj07) 7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va,  Ea quas adjacent collo carnosa, complexa et colligata, itemque cervix crassa,  XGxytjkoq -ayjj;. Et Oi?  Ta "£p\ ta; xXeTBoc; aug~£pi~£cppaY(x£va £<ruv,  avodaQiyroL. Nonne totidem fere verbis CICERONEZopyrus? Stupidum esse  Socratem, et bardum quod jugula con-  cava non haberet, obstructas eas partes  et obturatas. Alia adhuc mala signifeat  ista conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc xai ne temoigne pas du contraire ? Mais  Zopyre en a-t-il tire, en ce qui concerne  notre Philosophe, un pronostic judi-  cieux ? II y a dans les oeuvres d’Aristote  un opuscule intitule Physionomiques ou  ce philosophe parait avoir recueilli les  regles admises avant lui par les habiles.  Nous transcrirons celles qui se rapportent au portrait de Socrate et au caractere de son cheval mythique.  D ? apres Aristote (chap. m), les in-  dices d’un esprit lourd et presque prive  du sens commun sont le gonflement des  chairs qui avoisinent le cou, leur engor-  gement et leur replelion- ce qu’il con-  firme en disant au chapitre vi : « C’cst  un signe de betise que d’ avoir 1’cncolure  epaisse. Zopyre, dans CICERONE, n’ex-  prime-t-il pas la meme idee? Socrate,  dit-il, etait lourd et stupide, parce quii  navait pas le cou bien degage, que ces  parties etaient cheq lui comme engorgees  et obstruees. Cette conformation indi-  que cncore bien d’autrcs dcfauts : la  TzlioK, 0 o 1 uo£i 8 e!'s, Crassa et plena cervix iracundos signat, exemplo taurorum: Ol?  8s [Bpayjj; ayav, irdfi ouXoi, Brevis nimium quibus est, ii sunt homines insidiosi, lu-  porum instar. Talem modo vidimus  illum malum equum, xpaxepauyeva et [Bpa-  yuxpayjiXov. Talem nisi fallor se indicat  Socrates, aut potius talem significat  Plato Socratem, a natura fuisse.  Videamus reliqua. Equus malus  Socratis est  sp\ xa wxa ).asto;, hirsutus  circa aures. Libidinosi, Xayvou, apud  Aristotelem o t  xpdxoupot oaa$T?, densa pilis i. e. hirsuta  tempora. Deinde oi  xa yecXrj “aysa eyovxe; puopoi avacpdpexai  £7ii xou; ovou;. Physiognomones crassa labia  stultitiae characterem faciunt, ob simili-  tudinem asinorum. Quid de se Socrates  (Xenoph.) in ludicra cum pulchro  Critobulo contentione? Ata 76 r.ayla. syeiv  xa ylCkt], oux otst xa\ [xaXaxaSxspdv oou 'iyv.v xo  csfX7]p.a; Propter labia crassa suum putat  osculum mollius. Et, v Eotxa syw xaxa xov nuque epaisse et charnue denote un  homme violent, par similitudo avec le  taure au ; ceux qui l’ont trop courte sont  ruses, par similitude avec le loup. Or,  cette indication, 1’encolure epaisse et  courte, figure parmi les marques du  mauvais cheval. Si je ne me trompe  Socrate avoue qu’il etait bati de la sorte,  ou plutot c’est ainsi que le depeint Platon. Voyons le reste. Le mauvais cheval Socratique a les oreilles velues: Aristote designe comme libertins ceux qui  ont du poil jusques sur les tempes. De  plus, les physionomistes notent les  grosses levres comme un indice de betise,  par similitude avec 1’ane. Or que lisonsnons dans la plaisante discussion (Xenophon) de Socrate avec Critobule? A cause de ses l&vres charnues il pense  que son baiser est plus sensuel, et plus  loin: Je te par ais avoir, 6 Critobule,  une bouche plus difforme que celle de  Vane, avec ces bourrelets qui me tienncnt  lieu de levres.  aov Xoyov x at Ttov Ovojv aiayiov to GTOu.a lysiv,  turpius os quam habent asini illum  mollem labiorum tumorem habere tibi,  o Critobule , videor. Simus fuit, ut vidimus, Socrates :  at|jio-po'ato7:o; est malus equus. Quid Phy-  siognomones, atque adeo Zopyrus ? Si  fides Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.) 01  G'|j.7jV Eyovts; piva, Xayvor avacpspezai i~\ tou;  iXa^ou;, Simi sunt libidinosi, exemplo  cervorum. Patulas quoque versus nares  suas, qu£e possint odores undecunque  oblatos excipere, laudat sipojv Socrates  Xenophonteus , pra ? Critobuli naribus  humo obversis. Ot ;xev yao ao\ (xuxT7jpE; ei;  yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat, wgte tx;  T:av~o0£v oGua; izpoa ov/yOou. At Physiognomones (I . C.), 0:; o! p.uxT7jp£$ ava"E^"a-  pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi sunt, quorum  patula? nares, quod in ira diffundi so-  lent. Iracundum valde a natura fuisse  Socratem, non soli credamus Cy r rillo,  quamvis Porphyrium auctorem laudat ,  qui ab Aristoxeno se illud dicat acce -  [Socrate, nous le savons, etait camard; son mauvais cheval a les naseaux  ecrases du singe. Quel indice en tirent  les physionomistes et Zopyre ? Aristote  dit. Les camards sont lascifs, par similitude avec le cerf. Socrate declare  quii a les narines lar gement ouvertes ,  comme pour subodorer de toutes parts  les parfums. Jaime mieux cela, dit-il,  que d’avoir, comme Critobule, un ne^  penche vers le sol. Mais d’apres les phy-  sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera-  ment porte a la colere. Que Socrate ait  etedun naturel violent, nous ne nous en  rapporterons pas la-dessus seulement a  Saint Cyrille, quoique son temoignage  soit corrobore de ceux de Porphyre etd’Aristoxene et qu’il dise en propres termes: Socrate etait devenu si irritable qu’il  ne pouvait moderer ni ses paroles ni ses   pisse, ’'Ote <pXe-/0e't7] utzo zou TrdOou; toutou [de  ira sermo est) ostvrjv etvat xr ( v aayr][jLO(Hjvr)v ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat oSxe  -payjj.ato;, Eo importunitatis progressum ,  ut nullo neque verbo neque opere abstineret : sed ipsi de se credamus Socrati,  qui tam gravi ac molesto sibi, quam fuit  Xanthippe, patientia ? et mansuetudinis  gymnasio opus fuisse, fassus sit apud  Xenophontem [Sympos.) BouXo'|ievo;,  dv0pco7tot; y prjoOat jcat opuXe Tv, Tauxrjv x&ttj-  ptat, sii eloco;, oxt, et lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS  TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN, avOptfaoic  auveaouat, Quam ferre si posset, facilis  esset cum aliis omnibus conversatio. Unum superest : e^^OaXpto; erat  Socrates. Itaque ita jocabundus disputat  cum pulchro Critobulo, ut cum primo  convenisset, Pulchras esse res , quatenus  respondeant consilio, propter quod ha-  bentur; roget eum , Cujus rei gratia ha-  beamus oculos? eoque, ut necesse erat ,  respondente, Ad videndum, inferat,  Suos ergo pulchriores esse, qui Sta zo   actions ». Croyons-en Socrate lui-meme;  dans le Banquet de Xenophon , il avoue  que le caractere acariatre de Xanthippe  fut pour lui la meilleure ecole de pa-  tience et de douceur; que par la suite il  lui fut plus facile de supporter la contradici ion.  Il ne reste plus qu’une chose : So-  crate avait les yeux saillants. Il dispute  la-dessus agreablement avee le beau Cri-  tobule, et le fait convenir d’abord que  toute chose est belle pourvu qu’elle re-  ponde au but en vue duquel elle existe.  Il lui demande alors : Pourquoi faire  avons-nous des yeux ? Pour voir, repond naturellement Critobule. E/i bien  alors, dit Socrate, mes yeux sont les plus  beaux de tous, car iis me sortent de la  £7it-oXatot sivat, quod emineant, non ea  modo, quas exadversum sint videant, sed  etiam quae a latere. Et cum diceretur ,  secundum hmc pulcherrime oculatum  (euo^OaXjj-GTa-ov) animal esse cancrum,  id ipsum affirmat. Jam Physiognomon  Aristoteles"Oaoi i£6z>-  OaXjjiot, inquit, aS&vepoi, Fatui sunt, quibus  oculi eminent : rationem petit ab judicio  quodam decoris et convenientia naturali,  et ab similitudine asinorum. Male de  horum gente meritus est Stagirita :  quce videtur ex hoc prcesertim libello  contraxisse infamiam illam , qua ab eo  inde tempore, et Platonis quibusdam  dictis, onerata est : honestum superiori  cetate animal, cujus majestatem, ut Var-  roniano verbo utamur, (de R. R.) adhuc agnoscebat Homerus. De hac  re adjicietur potius huic disputationi  quoddam corollarium, quam ut longius  digrediamur a Socrate.   tete, si bien que je puis voir non-seulement devant moi, mais & droite et d  gaiiche. Son interlocuteur lui repond  qu’a ce compte les crabes ont de tres-beaux yeux, et Socrate affirme que c’est  parfaitement vrai. Or, d’apres Aristote,  les yeux saillants sont 1’indice de la sot-  tise; il tire ce pronostic de certains rap-  ports naturels de convenance, de syme-  trie, et de la ressemblance que ces yeux  offrent avec ceux des anes. Le philosophe  de Stagyre a par la bien mal merite de  cette race inoffensive, et ce doit etre a  partir de ce petit traite qu’il acquit le  mauvais renoni confirme depuis par  Platon lui-meme. L’ane, cet honnete  animal, etait mieux apprecie des genera-  tions precedentes, et Homere se plaisait,  suivant le mot de Varron, a lui reconnaitre de la majeste. Nous ferons de cela  un corollaire a cette dissertation pour ne  pas trop nous eloigner presentement de  Socrate. Gesner a «Jcrit un appendice intitulc De antiqua  Nempe tempus est, ut videamus,  quorsum evadat ille de bono et malo equo Myihus. Ad conspectum pulchri bonus ille quidem aurigee  obsequitur, contineri se patitur, malo  alteri, quantum potest reluctatur. Simile  certamen est in pulchro, qui amatur:  repugnat malo isti equo bonus illius  jugalis, hic enim est 6 [xo'£u£,  et ipse auriga adeo repugnat [aet’ dtSous  xat Xdyou, cum pudore et recta ratione. Si  ergo ita vincant meliora, et ad vitam  ordinatam, quae eadem FILOSOFIA est,  ducant illum currum, beatam et concor-  dem hic vitam agunt continentes se, et  decus suum tuentes, syxpatcTs auroiv xat  xdajjuot ovtss, in servitutem redacto illo  equo, cui vitiositas animae inerat; in libertatem asserto eo, cui virtus. Tandem  vero alati ac leves denuo facti, sic de tribus illis certaminibus asinorum honestate, imprime i la suite du Socrates  sanctus pcederasta ; il ne nous a pas sembl£ otfrir  assez d’interet pour Ctre traduit. II est temps de voir ou il veut en  venir avec son Mythe du bon et du mauvais cheval. A Taspect de la beaute, ie  coursier docile obeit au cocher et se laisse  contenir; il resiste de toutes ses forces a  son mauvais compagnon. L/objet aime est lui-meme en proie aunesemblablelutte;  son bon cheval se defend contre les tentatives de son mauvais compagnon d’attelage, que de plus le cocher s’efforce de  contenir par la pudeur et la raison. Si les  meilleurs instincts remportent la victoire  et conduisent le char dans les chemins de  la vie rangee, cest-d-dire de la FILOSOFIA, les deux amant s vivent dans le bon-  heur et bunion, maitres d’ eux-memes  et regles dans leurs mceurs : iis ont  dompte le mauvais cheval, qui repre-  sente le vice, et affranchi 1’autre qui represente la vertu. Recouvrant enfin leurs  t ailes et leur legbrete primitives , iis sor-  tent vainqueurs de ces trois luttes vraiment Olympiques dont nous avons parle  plus haut. Socrate peut donc dire*sans  hesitation que ccux qui se prescrvcnt.  vere Olympicis, unum vicerunt. Absque  hcesitatione igitur beatissimos esse dicit,  qui se puros et castos ab amore Venereo  servaverint. At nunc sequitur apud Platonem,  in quo defendere illum , Platonem, in-  quam, nam Socratis causam hic segre-  gandum putamus (vid. 6) paullo diffi-  cilius est; tacuisset enim forte sapientius :  sed non iniquum (i) excusare. Nempe  his, quee modo prolata sunt, subjungit,  quee non scripta equidem malim : sed  pono, ne quid dissimulasse videar, ne  parum bona fide egisse. Quam vero caute,  quam suspensa velut manu illud ulcus  tractet, videre opera? pretium est. Eav’  os 8tatT7) <popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO—  cptXoTtjxu) 8s yprfacjvzx'., -i/' av ~oj ev uiOat;  sitivi a)xA7) dasXsta Tci> axoXaTCto ajTOtv Gno-  JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j; aovaya-  yovTE et; toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot-    fi) Multum certe facilior causa Platonis, quam  alicujus Beneventani Episcopi: aut aliorum, quos  vrxterco sciens. purs et chastes, de 1’amour Venerien,  jouissent de la plus grande beatitude. Ce qui suit, chez Platon, est un  peu plus difficile a expliquer; chez Platon, disons-nous, car ici nous croyons  devoir separer sa cause de celle de Socrate; evidemment il aurait mieux fait  de se taire , mais il n’cst pas impossible  de l’excuser. A ces choses sublimes  que nous venons de transcrire, il en  ajoute d’autres que j’aimerais mieux lui  voir passer sous silence; je les exposerai  cependant, de peur de paraitre rien dissi-  muler et manquer un peu de bonne foi.  Il faut ici donner le texte pour qu’on [Son cas est en effet moins grave que celui de  certain eveque de Bdnevent et de quelques autres que  je ne veux pas nommer. L’auteur fait ici allusion  a 1’archeveque Giovanni .delia Casa et a son fameux  Capitolo dei forno ; mais il ne 1’avait probablement  pas lu, et il se meprend, comme bien d’autres, surle  sens de ce celebre petit poeme. cTr;v atpeotv £tXcTr ( v ~t /ai Ste^pa^avxo x x X.  Si vero vitam vivant LICENTIOREM  et A PHILOSOPHIA ALIENAM, ean-  demque ambitiosam, forte aliqua in  ebrietate aut qua alia negligentia depre-  hensas INCAUTAS animas equi illi  uiriusque amatoris indomiti, eodem con-  ducant, et sic illam quce beata vulgo videtur electionem faciant, et (turpe illud  facimts) peragant : eoque peracto per re-  liquum tempus utantur quidem (illa  voluptate ) sed raro, quippe qui non  omnino deliberata mente (sed deprehensi  velut incauti ) hoc agant etiam hi  præmium non parvum amatorii illius  furoris (non Venerei, de quo modo dic-  tum, sed philosophi) auferunt : in tenebras enim illas et illud sub  terram iter non veniunt, etc.  voie avec quelle prudence et sans ap-  puyer la main, il decouvre cet ulcere de  la civilisation Grecque. S’ils embr assent , dit-il, nn genre de vie moins austdre,  etrangbre a la Philosophie et livree aux  passions desordonnees, il arrivera quau  milieu de Vivresse ou de quelque autre  etourderie les coursiers indomptes sur-  prendront leurs ames et les meneront l’un  et l’ autre au meme but,' iis prendront alors  le parti de faire ce en quoi, selon le vul-  gaire , consiste le supreme bonheur et  (c’est la le crime infame) satisferont leurs  desirs. Dans la suite , iis renouvelleront  leurs jouissances , mais rarement, parce  qxCelles ne sont pas approuvdes de l’dme  entiSre et qu’ils agissent comme par surprise et sans defense. C’est pourquoi ce  qu’il y a encore d’excellent dans leur  amour (le pur amour pliilosophique et  non le desir Venerien) recevra plus tard  sa recompcnse ; iis niront pas, aprds leur  mort, dans ces tenebres et par ces routcs  souterraines, etc.   yo   Apertum est his, qui et sermonem  Platonis intelligunt, et non ultro qucerunt  crimina, non illum prcemium constituere  pceder astice turpi, non Philosophice genus  facere flagitiosum puerorum amorem :  sed summam c.ulpce esse hanc , quod dicat, si qui coelestis illius pulchritudinis,  quam in volatu illo suo viderint, desiderio icti, etiam pulchros amant, et dum  arctius eos complectantur, liberius cum  iis versentur, etiam ad turpe facinus ab  ebrietate, certe ex improviso, incauti,  proster deliberatam voluntatem, abri-  piantur, id quod ipsis contingat ob genus  vivendi licentius atque a Philosophia alienum, iis tamen prodesse primum illud7'iobiliusque philosophandi propositum, ut  non cum reliquis ad inferos mittantur,  et ad poenarum locum non  cogantur post ternas millenorum anno-  rum periodos , septem alias subire ete  sed facilius alas ut recipiant, quibus evo-  lare ad coelestia, deum aliquem sequi du-  cem possint. Hactenus reprehendat Pla-  tonem, si quis volet, non ut laudatorem. II est bien clair, pour qui veut  comprendre Platon et ne cherche pas de  griefs de son plein gre, qu J il n’assigne  pas cette recompense aux fauteurs du  vice honteux, qu’il ne fait pas de 1’ignominieux amour masculin un attribut  special des Philosophes. On voit, au con-  traire, combicn il blame ceux qui, les  yeux encore eblouis de cette beaute ce-  leste entrevue par eux dans leur vol anterieur, con^oivent des desirs pour la  beaute terrestre, recherchent les jeunes  garcons, et a force de les embrasser etroi-  tement, devivre familierement avec eux,  se trouvent entraines a 1 ’improviste, au  milieu de livresse, par surprise et sans  que leur volonte y ait part, a conimettre  l’acte immonde; cela leur arrive, parce  qu’ils ont adopte un genre de vie trop  libre et qu’ils negligent la Philosophie.  Iis tirent cependant ce profit, de s’etre  d’abord propose pour but cette noble  Science, qu’ils ne sont pas relegues aux  enfers avec tous les autres hommes ; apres  une revolution de trois mille annees, iis  Pcederastice, sed ut clementem nimis,  lentumque adeo castigatorem : qui præsertim in aliis peccatis severum satis ac  durum se praebuerit. Sed , si cequi esse volumus, si de  nostris religionum doctoribus ecquos ex-  periri judices, videamus etiam , quid dici  pro ratione illa Platonis possit , quid pro  Socrate, quatenus et ipse non horribili  flagello sectari vitia id genus solebat.  Distinguamus legislatoris personam et  Philosophi. Legibus Atheniensium primo  antiquissimis illis a Cecrope, sanctitas Bona pars libri De re publica decimi in eo  consumitur, ut a"apat~r]Tou?, a^apa[xu0rjTOU?,  implacabiles sacrificiis Deos, ostendant. Vid. pras.  extr. et conf. qua: collegit Davis. ad Gic.  de Legib. j  n’ont pas a en su.bir sept mille autres;  iis recouvrent plus vite leurs ailes et peu-  vent s’elancer vers les spheres celestes, a  la suite d’un des douze dieux. Que l’on  reproche donc a Platon, si l’on veut, non  pas de s’etre fait 1’apologiste de la Pede-  rastie, mais d’avoir ete trop clement,  de ne pas chatier assez ferme, lui surtout  qui pour de moindres fautes se montre si  dur et si severe. Mais soyons equitables; prenons  d’honnetes gens pour juges de nos Phi-  losophes, voyons ce que l’on peut dire  en faveur de Platon ou de Socrate, et  jusqu’a quel point ce dernier a vraiment  neglige de flageller le vice en question. II faut distinguer le legislateur du Phi-  losophe. Les plus anciennes lois Athe-  niennes, celles de Cecrops, proclamaient  la saintete du mariage. La loi de Dracon [II emploie la majeure partie du X® livre de sa  Republique a montrer que les dieux sont insatiables  de sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies  sur le Tr ciite des lois , de Cicerrr.i.   matrimoniorum constituta : Draconis  lex capite plectebat adulteros : Solon li-  beram faciebat marito potestatem sta-  tuendi in adulterum in facto deprehen-  sum , quidquid liberet. Itaque mirum  fuerit si masculam libidinem non punis-  sent. Sed bene habet : supersunt monu-  menta Solonis hac etiam de re legum, diligenter collecta a Sam. Petito (de Legibus Att. et in Commentario) prcesertim ex vEschinis in  Timarchum (edit. Aurei. Allobr.) et Demosthenis contra  Androtionem orationibus :  unde hoc constat, qui vi vel persuasione  ingenuum corrupisset, produxissetve, gravissima poena (quce ad ultimum supplicium corruptoris et productoris, in-  terdum etiam corrupti, poterat progredi) affectum esse. Qui illam patiendi pro  mercede turpitudinem admisisset, si  effugisset poenam aliam, illi neque lice-  bat inter novem Archontas esse, neque punissait de mort les adulteres; Solon  laissait la faculte au mari, dans le cas de  flagrant delit, de se faire justice comme  il 1’entendrait. II serait bien surprenant  que ces deux legislateurs fussent muets  a l’egard de Tamour masculin. Mais nous avons mieux ; il reste  des lois portees par Solon sur la matiere  divers fragments precieusement recueillis  par Samuel Petit (voy. ses Lois attiques  et le Commentaire dont il a accompagne  cet ouvrage); ii les a surtout tires du  Discours contre Timarque, d’Eschine, et  du Discours contre Androtion, de Demos-  thene. Il y est dit : Quiconque, memesans  violence, aura debauche ou prostitue un  homme de condition libre sera passible  de la peine la plus rigoureuse. Le chatiment pouvait etre la mort, dans l’un  comme dans Tautre cas, et pour le liber-  tin, comme pour savictime. C elui qui  se sera prostitue pour de l’argent, s’il  echappe a toute autre peine, ne pourra ni fungi sacerdotio, neque syndicum creari,  neque ullum magistratum vel intra vel  extra urbem, neque sortito neque suf-  fragiis, capere, neque pro Praecone s.  oratore mitti usquam, neque sententiam  dicere unquam, neque in templa publica  intrare, neque in pompa coronata et ipsum coronari, neque intra sacros fori  cancellos (evto; twv t rj; ayopa? TteptppavTT]-  P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im-  pudicitiae quidquam horum fecisset, capital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt verba  legis ab As schine recitata. Plura huc  transferri opus non est, cum rarum esse  Petiti opus desierit. Summa capita habet  etiam in Themide Attica Meursius. Utrum seynpcr valuerint istce leges? annon eas perruperit interdum au etre l’un des neu f archontes , ni remplir  aucune fonction sacerdotale, ni etre nomme  delegue d’une ville; il lui est interdii  d’exercer aucune magistrature, soit en  dedans , soit en dehors de la cite, quii  ait et e designe par le sort ou par les  suffrages de ses concitoyens ; d’etre en-  voyd nulle part comme Herault, ou comme  orateur; de prononcer aucune sentence ;  de penetrer dans les temples publics; de  faire partie des processions et d’y porter  une couronne sur la tetc; de franchir  ienceinte sacree de l’Agora. Qiiiconque,  deja condamne pour fait de prostitutiori ,  fera ou acceptera de faire une de ces  choses sera puni de mort. Puni de mort,  tel est le texte meme de la loi lue par  Eschine. II est inutile d’en transcrire ici  davantage, car Touvrage de Samuel Petit  est loin d’etre rare ; Meursius en a meme  donne, dans sa Themis Attique, les cha-  pitres importants. Ces prescriptions eurent-elles tou-  jours force de loi? Ne purent-elles etre dacia , astus subterfugerit , eluserint  rhetores? annon ipsa poenarum gravitas  impunitati occasionem non nunquam de-  derit? an non professce impudicitiae ho-  minis utriusque sexus, libidinum publica-  rum victimce, toleratce sint? An denique  poetce non multa saepe impudenter scrip-  serint, fecerint? jam non quceritur. Uti-  nam non avxtxatrjyopia quadam repellere  possent veteres Attici cujuscunque vel sec-  tae vel cetatis homines, si qui acerbius ex-  probrare iis velint, quce de Comicorum pe-  tulantia sublegerunt illi apud Athenaeum  (i3, 8 p. 601) Deipnosophistce, et quae  colligere ex illa parentum cura apud  Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda-  gogos constituentium suis filiis, qui ne  quidem colloqui suis cum amatoribus  (turpibus nimirum et flagitiosis) eos patiantur : e. i. g. a. Ceterum severitate legum eo ma-  gis opus erat, quod obtentum fiagitiis enfreintes par les audacicux, adroitemcnt  tournees par les gens ruses, eludees par  les avocats? La rigueur du chatiment ne  favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite? Est-ce qu’on ne tolera pas des prostitues  de profession, victimes de 1’incontinence  publique et remplissant le role de l’un et  1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas ef-  frontement deerit ces turpitudes, ne les  ont-ils pas mises en action sur la scene?  Cela ne fait aucun doute. Plut au ciel  que les Atheniens de nfimporte quelle  secte et de quelle epoque ne pussent re-  tourner Taccusation a ceux qui leur re-  procheraient trop vertement ces horreurs  etalees par les poetes comiques et recueil-  lies par les Deipnosophistes d’Athenee, ou  ce qu’on peut induire de 1’inquietude des  peres de famille confiant leurs fils, d’apres  Platon, a des precepteurs severes, pour  les empecher de s’entretenir avec leurs  amis, des amis infames et detestables.   3o. Les lois devaient etre d’autant plus  severes, que les coutumes de la Grece] non nunquam praeberet (ut nempe res  sancta? prope omnes, ut ipsce populorum  sceculorumque pene omnium religiones,  atque ceremonice) ille puerorum amor,  castus, legitimus, sanctus, quo tanquam  potentissimo virtutis cum bellicce tum  civilis incitamento utebantur qucedam  Grcecorum respublicce : quarum legisla-  tores, cum viderent, ignava fere esse  virtutis prcecepta, firmis licet nixa demonstrationibus, nisi ea affectu quodam  et tanquam spiritu animentur, nisi ev0ou-  aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti  homines et commoda sua , et jacturas, et  salutem, et pericula et tormenta contem-  nerent. Hinc excogitata et in usum  civitatis recepta sunt splendida ista et  efficacissima remedia, Religio, Pudor,  Amor patrice, Gloria, res quondam po-  tentissimce, quod ex illarum effectibus  judicare pronum est: nunc prceclara quo-  rundam, qui sibi Philosophi videntur,  opera fere ad inanium vocabulorum strepitus relata, et, dum relata sunt, etiam  redacta. comme toutes les choses saintes, comme  les cultes et les ceremonies religieuses de  presque tous les peuples et de tous les  temps) donnaient plus de facilite a la  depravation. La fervente amitie entre  jeunes gens, Tamitie chaste, legitime, sacree, etait favorisee, dans les republiques  de la Grece, comme le plus energique  stimulant du courage militaire et des vertus civiles. Leurs legislateurs savaient  bien que ni la vertu ni le courage ne s'inculquent a 1’aide de demonstrations, si  bonnes qu’elles soient; que 1’homme est  naturellement faible a moins qu’il ne soit  pousse par la passion et par 1’orgueil ou  entraine par cette espece d’enthousiasme  qui lui fait mepriser les aises de la vie, la  fortune, la vie elle-meme, et affronter les  perils et les supplices. C’est pourquoi l’on  mettait en jeu, dans Torganisme de la cite,  ces heroiques et sublimes mobiles, la Religion, 1’Honneur, 1’Amour de la patrie,  la Gloire, mobiles autrefois bien puis-  sants, comme nous pouvonsen juger par  ce qu’ils firent accomplir; aujourd’hui,In illis igitur rei publicce bene gerenda? incitamentis, an instrumentis?  erat Amor ille adolescentulorum tum in-  ter se, tum inter ipsos et natu majores:  inde illa sacra Amantium cohors The-  bis, et Cretensium. Quanta illius vis  esset, et quam metuendus esset miles  amator, svOouatwv, et ab Amore simul  atque a Marte bacchans, occurenti in  prcelio hosti, ita enarrat 2E liantis (H.  V. ) ut IvOo-jatav et furere ipse prope  videatur. Idem Laconica  qucedam circa eam disciplina? publica?  partem instituta commemorat: V. G.  ab illis multatum esse virum alioquin  bonum, ea de causa, quod nullum habere juniorem, quem amando sui similem, et per hunc forte etiam alios,  redderet: itemque peccantis adolescentuli virum amatorem punitum, cui grace a de certains Philosophes, ou soi-disant tels, ces grandes choses ne sont plus  que de vains mots, creux et vides, dont le  sens s’affaiblit a mesure qu’on en abuse. Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit  entre eux-raemes, soit entre eux et leurs  ames, etait favorise partout en Grece ,  pour le bien de la chose publique; voila  ce qui donna naissance a la cohorte sacree des Amants, chez les Thebains et  chez les Cretois. Quel etait le courage de  ces sortes de soldats, quelle etait la ter-  reur qu’ils inspiraient, lorsqu’ils rencontraient Tennemi, ivres a la fois d’amour  et de sang: c’est ce que Elien nous a fait  connaitre, en partageant, pour nous les  mieux depeindre, leur impetuosite et  leur fureur. II nous indique aussi qu’il  y avait quelque chose de semblable dans  les institutions de Sparte; un Lacedemonien fut mis a 1’amende , quoique  excellent citoyen, pour avoir neglige d’aimer quelque compagnon plus jeune que  lui, a qui il aurait inculque ses vertus et nempe illius imputari vitia posse cen  serent. Etiam illud Laconicum narrat , so-  litos ibi adolescentulos petere ab ama-  toribus , viris nempe bonis ac fortibus,  stareveTv auTot ?, ut se adflarent. Interpreta-  tur illud verbum , Laconibus proprium,  sElianus per epav, amare : idem factum  ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et epa, eia7cver. Multa similia ad utrumque Hesychii  locum viri docti , post Meursium (Mis-  cell. Lac.) sed nihil, unde ratio ap-  pellationis queat intelligi. Nec satisfacit,  quod refert, non probat Eustathius (ad  Odyss.) EtarevElxai yap tpaat, t 7j? pLOp^?  ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid fornice et  pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se-  veritati parum conveniunt, si fides anti-  quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo,  de quo agimus , loco. Srap-ctaTT)? epio; ataqui eut ete capable, a son tour, de les  transmettre a d’autres. Lorsqu’un jeune  homme commettait une faute, les Spar-  tiates punissaientson intime ami, comme responsable des vices qu’il lui tolerait. Elien rapporte encore cette autre  coutume de Sparte, que les jeunes gens  exigeaient de ceux dont iis etaient aimes,  toujours choisis parmi les meilleurs et les  plus braves, ut se adflarent. II explique  le verbe ekjttvs Tv (adflare), propre aux Laconiens, par cet autre : spav (aimer), et Hesychius de meme aux mots EpjcvEtgou, ipS  et eiu7iveT. Divers savants ont accueilli cette  interpretation, a 1’exemple de Meursius;  mais je n’ai rien compris aux raisons  qu’ils en donnent. Je ne suis pas davan-  tage satisfait de Tassertion emise, sans  preuve, par Eustathe, dans son commen-  taire des chants IV e et V e de YOdyssee :  a Les inspires (i) sont guides dans leur [On appelait indifTeremment ItaKVETxat, ii a-  7UvrjXa' (inspires) ou spacjiat (amants) ces couples ypov oux otosv x. t. X. Spartanus amor  turpe nihil quidquam novit. Sive enim  ausus fuerit adolescentulus pati turpia  (upo-v uzoaeivat) sive amator facere (£»|Bp6  oat) neutri quidem Spartee manere pro-  fuerit : aut enim patria privarentur, aut  vita ipsa. Quare illud ela-vetv s. s[j.7ivsTv,  illos £ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa? vocat  Eustathius (Hesych. afcav, s-aTpov) ab in-  spirando s. adspirando divino quodam  spiritu, dictos arbitror, unde afflati, ut  7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc, divi-  no quodam furore perciti, ruerent. Hic  est ille furor, quem supra) tetigi-  mus, et de quo plura sunt in Platonis  Phædro.  Nempe spiritum 7iveSp.a quum dicebant antiqui, non rem illi tantum cogitantem indicabant, sed rem subtilem, magna ean-  dem movendi et agendi vi praeditam, etc. de friires d’armes , si terribles dans les batailles.  'Etcnvelv (ad/lare) peut se traduire positivement  par meter les souffles ou metaphoriquement par  avoir des aspirations communes.] choix par la beaute et 1’elegance corporelle. Cela me parait peu convenir a  cette severite Laconienne dont temoignent tous les anciens et Elien lui-meme, a Tendroit en question. On ignorait a  Sparte ce que detait que les impures  amours. Si quelque jeune homme eut ose  se prostituer , ou prendre 1’autre role, il  lui eut mal reussi de rester d Sparte; il  y allait pour lui de Vexilou de la mort. C’est ce qui me fait croire que ces inspires,  designes aussi sous les noms de compagnons, freres d’armes, par Eustathe et  par Hesychius, etaient ainsi appeles du  souffle ou de Tesprit en quelque sorte  divin qui les animait, lorsqu’ilsse ruaient  sur l’ennemi comme transportes d’une  fureur plus qu’humaine. Nous avons deja  parle de cette espece de delire, dont il est  si souvent question dans le Phedre de  Platon. Il convient en effet de remarquer  que les anciens n’entendaient pas comme nous par esprit une faculte intellectuelle,  mais une essence subtile, douee d’une  grande forcc de mouvement et d’action. Non vagatur hcec extra oleas ora-  tio. Cum enim fuerit , quod, adhuc probatum est, in Græcia r.aiozptxizv.a. quaedam  honestissima, et sancta adeo , qua ad virtutem, bellicam praesertim , et quidquid pul-  chrum est, incitari homines crederentur,  cum nomina spojvuo?, Ipaaxou, raioapaaxou,  itemque spwuivoy, -atot/.wv, et similia tur-  pitudinem nondum haberent : cum illud  raiSspaaxsTv res esset adeo honesta, ut quem  ad modum capital Romae erat servo, si  militarat, ita Solonis lege multaretur  quinquaginta plagis publice, qui servus  eXsuOspou 7ra'oo; spav, amare liberum puerum, auderet : haec ita se cum haberent  omnia, nemo jam debet mirari, adolescentulorum esse amorem professum Socratem, fecisse illum, quae ante dicta sunt, eaque scripsisse tanquam So-  cratis dicta Platonem, quae ex Phaedro  commemoravimus . Quod mitior est vel  Plato, vel ipse adeo Socrates, (si quis ei  tribuat, non satis ille quidem aequa ratione, quidquid apud Platonem ex ipsius  persona dictum ponitur) in hos etiam quos  Cette digression ne nous a pas  eloigne de notre sujet. Puisqu’il existait  en Grece , comme nous venons de le  prouver, une jcatBspao-rfta tres-honnete,  sainte, on peut dire, et reputee propre a  pousser les hommes au bien et a la vertu,  surtout a la vertu guerriere; puisque les  mots d’amants, d’amis, de 7tad>epa<jTcu et  de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux;  puisqu’il etait meme si honorable de se  livrer a cette zcaSspaardtix, que la loi de  Solon punissait de cinquante coups de  fouet, subis en pleine place publique,  tout esclave qui aurait ose aimer un jeune  homme de condition libre; puisque tout  cela est irrefutable, personne ne doit s’etonner que Socrate ait professe 1’amour  des j eunes gens, qu’il ait lui-meme eprouve  cet amour et agi en consequence; que  Platon nous ait transmis, comme l’ex-  pression des doctrines de Socrate, ce que  nous avons cite du Phedre. Sans doute  Platon ou, si l’on veut, Socrate, quoiqu’il  ne soit pas equitable de lui attribuer tout  ce que son disciple lui fait dire, se montre  mala libido ad turpitudinem transversos  abripuit) illud primo hanc  rationem , ut innuimus , habuit , quod nec  legislatorem hic, neque publicum accusa-  torem ageret ; sed Philosophum , sed  amatorem, amicum certe quidem, qui  non metu pcence deterrere a turpitudine  homines, sed virtutis amore revocare a  peccato vellet. Deinde erant forte, quibus  parcendum erat, juvenes a vitiis ejusmodi non plane puri, Alcibiades, Critias ,  alii, 9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem «popti-  /Mxipcc et dcfikoaofM otattr) yprjaajxsvoi quos abscisse nimis ab omni fructu  Philosophice, ab omni ad virtutem reditu  excludere velle, et sic plane a se et a  virtute segregare, non erat consilii. Non  instituam hic comparationes, quce invi-  diam habere possunt : sed illud addam  unum, si forte aliquid veri sit ineo, quod  de liberiori Socratis adolescentia dictum  est /'§.  : si non mendax historia , e qua  refert Origenes contra Celsum, qui superiorem vitee conditionem primis Christi discipulis objecerat [beaucoup trop clement envers ceux qu’un  infame desir pousse a Tacte honteux. Son  excuse, nous Tavons deja dit, c’est que ce  n’est pas ici un accusateur public ou un  legislateur qui parle, c’est un Philosophe,  un ami, un amant, et il essaye non de  detourner les hommes du vice en les ef-  frayant par la menaee des chatiments,  rnais de les dissuader d’une faute en leur  inculquant Tamour de la vertu. II y avait  d’ailleurs peut-etre autour de lui des  jeunes gens qui n’etaient pas irreprochables et envers lesquels il ne fallait pas se  montrertrop dur, un Alcibiade, un Critias, d’autres encore, pleins de fougue,  adonnes a une vielicencieuse et etrangere  a la sagesse; les priver de quelques-uns  des benefices de la philosophie, c’eut ete  leur fermer toute voie de retour au bien,  les eloigner de la personne du maitre et  par consequent de la vertu. Je ne cherche  pas a faire des comparaisons qui pourraient sembler malseantes; je veux ce-  pendant rapporter un fait, vrai ou faux,  qui a traita la jeunesse un tant soit peu  Phcedonem e lupanari traductum ad  Philosophiam a Socrate : quid facere  illum oportebat in hac disputatione? Nihil igitur est in Phædro , quod  urgeat Socratem : si quid incautius dic-  tum sit , illa Platonis culpa fuerit: quamquam si universam circumstantiam, ut  a nobis ostensa est , quis consideret , etiam  hunc accusare, vel non excusare, iniquum videtur. De Convivio Platonis jam  non opus est multis disputare. Distin-  guat mihi aliquis personas loquentes: ad  universam libelli descriptionem, quam  vocamus Œconomian, ad Allegorian  denique ab amore Venereo ductam , ac  translatam ad animos, quorum lenonem  se et obstetricem ferebat Socrates: ad  hcec, inquam, mihi attendat aliquis, et    et l’amour grec q3   dereglee de Socrate. C'est Origene qui le  raconte dans son traite contre Celse.  Celse reprochait aux premiers disciples  du Christ d’avoir ete tires de conditions  abjectes; Origene repondit que Socrate  avait bien tire Phedon d’un mauvais lieu  pour le convertir a la Philosophie. Je vous  demande un peu ce que ce Phedon venait  faire dans la discussion.  On ne rencontre donc rien dans le  Phedre qui puisse incriminer Socrate; s’il  y a ca et la quelques paroles imprudentes,  c’est la faute de Platon. Encore, si l’on  examine bien toutes les circonstances,  comme nous 1’avons fait, il serait injuste,  tout en blamant Platon, de ne pas lui  trouver d’excuse. Nous ne nous etendrons  pas longuernent sur son Banquet. Que  l’on distingue bien les uns des autres les  interlocuteurs, que Fon fasse attention  a 1’ensemble du dialogue, a ce que nous  appelons 1’economie de 1’ouvrage, que  Fon analyse enfin cette allegorie tirce  de 1’amour physique, puis appliquee aux  mirabor, si quid ibi sit, unde Jiagitio  ipsi praesidium, vel crimini in Socratem  jactato firmamentum peti possit. Sed est  in illo libro, quod maxime ad defenden-  dum a Socrate fagitium pertinet, quod  ut magis pateat, tota ultimee partis, et  velut actus postremi fabulae illius convivalis, CEconomia proponenda est, e qua  ipsa appareat, velle pro veris haberi Platonem, qua ’ in Alcibiadis personam conjecta de Socrate dicuntur. Ebrius nempe Alcibiades ad eum  finem, ut neque pedes officium faciant,  comissator supervenit potantibus apud  Agathonem Socrati ceterisque. Hic, ex  lege compotationis, dextrum sibi accum-  bentem Socratem laudare jussus, obse-  quitur cum professione ebrietatis, ut  tamen vera se dicturum confirmet et redargui petat, si quid mentiatur. Ac primo sub imagine quadam lau [idees, dont Socrate se donnait comme  l’entremetteur et Taccoucheur, et je serai  bien surpris si 1’on y decouvre quoi que  ce soit en faveur du vice infame ou a 1’appui de 1’accusation portee contre Socrate. On pourra y puiser, au contraire,  les meilleurs arguments pour l’en defendre; mais il est necessaire d’exposer ici  toute 1’ordonnance de la derniere partie,  ou plutot du dernier acte de ce dialogue,  ou il est clair que Platon veut nous faire  tenir comme vrai ce qu’il a place, touchant Socrate, dans la bouche d’Alcibiade. Alcibiade arrive a la fin du festin  dans un tel etat d’ivresse que ses pieds  refusent de le porter; il veut prendre sa  part de plaisir avec Socrate et les autres,  en train de boire chez Agathon. La, par  suite d’une convention adoptee entre les  convives, il est force de faire 1’eloge de  Socrate, assis a sa droite, et demande  de 1’indulgence, en se fondant sur ce  qu’il est ivre ; il affirme pourtant qu’il ne daturus Socratem, cum Sileno aliquo  (Conf. J nominatim cum Satyro  Marsya , tibicine, illum comparat, cujus  figura, ex ligno, edolata ruditer atque  deformi, utebantur artifices pro theca,  quce intus haberet pulcherrimum aliquem  Mercuriolum: scilicet in  corpore deformi habitare animam pulcherrimam demonstrat: et esse tibicini  Marsyce similem Socratem, ob illam  vim demulcendi animos, cui resisti non posset. Deinde narrat, cum eundem pulchrorum sectatorem quendam ct capta-  torem videret, se, qui fiduciam fornice  haberet, sperasse, si pellicere virum ad  amorem sui (venereum nempe) posset,  eique se prceberet obsequiosum, impetra-  turum se ab illo admirabilem illam artem, et ablaturum, quce Socrates sciret,  omnia. Hinc narrat verbis quidem honestis modestisque, et tamen venia ante dira que la verite et exige, s’il se trompe,  qu’on lui donne un dementi. II com-  mence, pour louer Socrate, par le com-  parer a ces grossieres figures de bois  representant Silene ou le satyre Marsyas, le joueur de flute, sculptees sans  travail et sans art, dont les statuaires se  servaient comme de gaines, et qui recelaient a 1’interieur quelque joli petit Mercure; ainsi, dit-il, dans un corps difforme  peut habiter une belle ame; de plus, Socrate ressemble au joueur de flute Mar-  syas en ce qu’il a, pour charmer, une force  a laquelle nui n’est en etat de resister. II raconte ensuite que le voyant  s’attacher a la poursuite des beaux adolescents et s’efforcer de les prendre dans  ses filets, plein de confiance en sa beaute  parfaite, il avait essaye de lui inspirer de 1’amour, comptant bien qu’avec un peu de complaisance pour ses desirs il obtiendrait de lui qu’il lui communiquat son  admirable science, et qu'il gagnerait a  cela tous les talents de Socrate. Alcibiade exorata ebrietati , et pro? Fatus uti servi aliique profani aures obturent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s)  quam varie, et quibus veluti gradibus, frustra continentiam Socratis, temperan-  tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adjicit) tentarit. Summam facit hanc, ut Deos Deasque testes faciat,  se cum totam noctem sub eadem veste  cum Socrate jacuisset, non aliter ab  illo, quam ut filium a patre, aut a fratre  majori frater deberet, surrexisse. Itaque  se frustratum spei esse in homine, quem  hac sola forte parte capi posse putasset.  Enumeratis deinde aliis Socratis  virtutibus, bellica prcesertim , qua sibi  etiam vitam servarit, addit, non se tan-  tum contumelia tali ab eo affectum , sed  Charmiden etiam , Euthydemum et gg   place ici, mais en termes honnetes et  mesures, quoiqu’il se soit excuse sur son  ivresse et qu'il ait recommande aux esclaves et aux profanes de se boucher les  oreilles, le recit des gradations savantes  et de tous les stratagemes vainement mis  en oeuvre par lui pour induire en tenta-  tion la continence, la temperance ou plutot, comme il le dit fort justement, l’heroique fermete de Socrate. II conclut en  disant: Je prends les dieux et les deesses  d temoin quapres avoir repose toute une  nuit d cote de Socrate, et sous le meme  m ante au , je me levai d'aupres de lui tel  que je serais sorti du lit de mon pere ou  de mon frere aine. Ainsi, le seul point  par lequel il croyait que cet homme fut  accessible avait tout a fait trompe ses  esperances. Apres avoir ensuite enumere les  autres vertus de Socrate et appuye sur sa  valeur guerriere, a laquelle il etait lui-meme redevable de la vie, il ajoute qu’il  n’est pas le seul, du reste, a qui Socrate alios multos, quos ille amoris simulatione  deceptos in potestatem suam redegerit,  ou? oiito; s^aTCatojv w; IpaartT)?, Tuatoty.a piaXXov  autos -/.aOiaTa-ai avi’ epaotou. Nempe adulabantur vulgo amatores , certe qui turpe  quid spectarent, pueris aetatula sua et  illa ipsa adulatione superbientibus. Alia  ratio Socratica , quae etiam supra in Lysidis argumento declarata est. Suavissima sunt reliqua in Symposio Platonis: eo autem referuntur omnia, ut intelligamus Socratis hanc fuisse consuetudinem, pulchrorum amorem uti prae se  ferret, cum illis suaviter et amice ut  versaretur, ut virtutis illos amore impleret, reliqua omnia non tanti esse ostenderet , in quibus valde sibi elaborandum vir sapiens existimaret. Sanctus ergo Paederasta Socrates,  et foedissimi, si quod usquam est, crimiait fait un tel affront; que pareille chose  est arrivee a Charmis, a Euthydeme et a  bien d’autres qu’il avait feint d’aimer  tendrement, pour mieux les asservir et  les diriger. Les amis vulgaires, ceux surtout qui esperaient de honteuses complaisances, se faisaient les flatteurs des jeunes garcons, et ceux-ci n’en etaient que plus fiers de leur beaute. Autre etait  la methode Socratique, comme nous l’avons montre plus haut en exposant le  sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Banquet de Platon, est charmant; tout aboutit  a nous montrer que telle etait la coutume  de Socrate de rechercher les bonnes graces des jeunes gens que distinguait un  exteneur gracieux, et de vivre avec eux dans une douce et agreable intimite, afin  de leur faire aimer la vertu; ce point  obtenu, il jugeait facile de leur donner  les autres qualites qu’un sage doit s'appliquer a acquerir. Ainsi, Socrate n’avait pour la jeunesse qu’un amour chaste; il etait pur du  nis expers: a quo etiam alios avocare  studuit, quod Critice exemplo docet  Xenophon, ejus, qui post in triginta  tyrannis fuit, quem Euthydemi pudori  insidiari cum sentiret, utxov ti Tiaay eiv  dixit, suillo more prurire, eaque re inimicitias hominis factiosi et potentis sibi  contraxit; quibus carere poterat , nisi  potius fuisset officium. Sed admonet me Xenophon de  crimine alterius illo quidem generis, et  multo, ut in malis, tolerabiliore : quod  tamen ipsum etiam in illo adhaerescere,  quantum in me est, non patiar. Accusatur, ut naturalis quidem , sed malce tamen libidinis suasor et leno quidam,  propter ea quce referuntur in Xenophontis Convivio. Sed nec ibi quidquam est, cujus bonum Socratem, aut  illius amicos pudere debeat. Spectacula exhibentur convivis mirabilia, partim vice infame entre tous. Bien mieux, il  s’efiforcad’en detourner lesautres, comme  Xenophon nous 1’apprend par 1’exemple  de Critias. Ce disciple de Socrate, devenu  par la suite l'un des Trente tyrans, avait  voulu attenter a la pudeur d’Euthydeme;  lorsque son ancien maitre Bapprit: II a  le prurit du porc{ i), s’ecria-t-il ; paroles  qui lui attir£rent 1’animosite d’un homme  puissant et redoutable, ce qu’il lui eut  ete facile d’eviter, s’il n’avait mieux aime  faire son devoir.  3g. Mais Xenophon me fait songer a  une autre accusation qui a ete egalement  portee contre Socrate; quoique moins  grave, elle n’en est pas moins facheuse,  et je l’en disculperai de toutes mes forces. On lui reproche, a 1’occasion d’un incident rapporte par Xenophon, dans son  Banquet , d’avoir excite ses disciples a la  debauche, ce qui serait pernicieux encore, [Concupiscit ad Euthydemum se affricare  quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xenophon, Memorabilia). etiam periculosa, et horrorem quendam  spectantibus moventia, inter districtos gladios corpora saltu jactantium, aut in  figuli rota circumacta scribentium le-  gentiumque. Non placent ea Socrati, qui  aptius convivio spectaculum putat ipyjln- Gat r.poc, tov auXov T/rJijiaTa, Iv oi; Xapixe; ts  •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad tibiam  edi motus et saltationes, eo habitu, quo  Gratiae, Horae, Nymphae a pictoribus  exhibentur. Forte suspectum alicui fuit hoc quod  Gratice nuda; pingi solent. Sed huic sus-  picioni repugnat , quod dicitur Ariadne  illa saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,, sponsce  autem profecto apud Grcecos nudce esse bien qu’i.1 s’agisse ici de plaisirs conformes au vceu de la nature, et de s’etre fait,  en quelque sorte, entremetteur. II n’y a  rien, dans ce passage, dont doivent rougir 1’honnete Socrate et ses amis. Des mimes  viennent d’executer devant les convives  toutes sortes d’exercices extraordinaires,  quelques-uns tres-dangereux et propres  a donner le frisson aux spectateurs; on  a vu les uns presenter leurs poitrines, en  sautant, a des pointes d’epees rangees en file; d’autres lire ou ecrire enfermes dans une roue de potier mise en mouvement.  Ces exercices deplaisent a Socrate ; il  pense qu’il serait plus convenable, au  milieu d’un festin, de voir des danseuses  executer des poses, au son de la Jlute,  sous le costume que les pcintres pretent  d’ ordinaire aux Graces, aux Heures et  aux Nymphes. Cela a pu paraitre suspect parce qu’on  a coutume de representer les Graces  toutes nues. Mais ce soupcon ne repose  sur rien, car la danseuse qui parut  alors, habillee en nymphe, representait I Ob  non solebant : nymphae in insectis ab  eo ipso dicta?, quod involuta? sunt. Gratias decenter vestitas contemplari licet  in Grcecis monimentis apud Montfauc. Ant. Expl. To. i Tab. iog ad p. ij6.  Movit forte eum, qui primus crimen  hinc excerpsit Socrati, a/r^a-coiv appel-  latio, qua? inter alia ad turpes figuras refertur, quales olim Philcenidis et Elephantidis commendatas libellis fuisse  constat, ut hic ejusmodi impudens  spectaculum suspicaretur . Sed tum interjecta de amore disputatio tum  ipsa perfectio exsecutioque consilii (c.  g) suspicionem illam eximunt. Aguntur  Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut in  scenam nihil veniat, pra?ter oscula et [De quibus Spanhem. de usu et Praest.  numism. Diss. Hic ay 7 jfi a est  omnis gestus saltantium blandus, minax, derisor. Vid. Lucia. de Saltat. extr.  Apertior, simpliciorque , et incautior adeo  Xenophontis de his rebus oratio , quam Plato-  nica : sed cujus summa eodem pertineat, uti ab  impura libidine ad sanctam animorum conjunc-  tionem homines revocentur. Ariadne, et les Grecs ne permettaient  pas le nu dans les roles de femmes  mariees. D’ailleurs, certains insectes  imparfaits sont appeles nymphes precisement parce qu’ils sont enveloppes. On peut voir aussi, dans YAntiquite' ex-  pliquee de Montfaucon, que les Grecs,  meme sur leurs monuments, figuraient  les Graces decemment vetues. Celui qui le premier a lance contre Socrate cette  accusation s’est peut-etre effarouche du  mot pose, qui, entre autres, est applique a des images obscenes, du genre de celles  qu’on rencontrait dans les livres de Philænis et d’Elephantis; il a soupfonne  Socrate d’avoir reclame un spectacle lubrique. Or, ladiscussion surTarnour qui  intervient alors, 1’execution et l’ache- [Spanheim (De prostantia et usu numismatum antiquorum) parle de tout cela. On appelait  poses toute esp6ce de geste lascif, provocant ou  railleur, des mimes. Comparez Lucien, De la Danse Le dialogue de Xenophon est bien plus franc,  bien plus simple et bien moins circonspCct que celui  de Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au meme amplexus, cetera reservantur postsceniis. but, qui est de detourner les hommes des plaisirs les  plus impurs et de les rapprocher dans une sainte  communion des ames. Tales saltationes s. repraesentationes etiam  pars sacrorum erant. Apud Lucia. in Pseudom.  xsXsx7]'v xtva cuvtaxaxat  Alexander, xai SaStyta?, xat tepocpavxta; In his mysteriis et sacris etiam est KoptoviSo?  yapto; cum Apolline item riooaXstpiOU xai  pLTjTpo; AXs^avSpou yauo; denique SsXrJvr^  xai AXs^avBpou spto? Alexander ut Endymion  alter xaOsuSwv exsixo sv xw piato  cptXrjtxaxa  xs eytyvovxo xat ~£pt~Xoxa\, st 8s ar t r. oXXat  iqaav at 8a8ss, xay’ av xt xat xwv utco xoXtcou  sjxpaxxsxo. Apposui locum, quia hic etiam  7t$pt7tXoxa'i, et tamen nihil obscenum.  vernent immediat du divertissement qu’il  avait demande, enlevent toute force a cette conjecture. Les mimes representent  les noces d’Ariadne et de Bacchus: mais  on ne voit rien de plus sur la scene que  des baisers et des etreintes amoureuses; le reste se passe derriere le rideau. Ces sortes de danses et de reprdsentations  faisaient partie des Myst6res. Dans lM lexander seu  Pseudomantis, de Lucien, on voit Alexandre, introduit comme nouvel initii, passer par les 6preuves  du dadouque et de l’hi<5rophante. Parmi les scenes  religieuses auxquelles cette initiation donne lieu  figurent : les noces d’Apollon et de Coronis, celles  de Podalirius et de la mere dAlexandre, enfin les  amours d’Alexandre et de la Lune. « Alexandre,  comme un autre Endymion, etait couchd au milieu  du theatre; on dchangeait des caresses et des baisers. S’il n’y avait pas eu D des torches en quantite, peut-etre bien qu’il se fut laiss6 entrainer a  faire qucedam earum quce sub veste Jieri solent. Cest un peu ldger; cependant il n’y a rien la de bien  obscene. Gesner aurait du citer Lucien plus completement; ce passage du Pseudomantis offre un tableau  de genre exquis: Alexandre, comme un autre  Endymion, etait couche au milieu du thdatre, faisant  semblant de dormir. II tombait de la voute, comme du  ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait le  role de la Lune et qui dtait la femme d’un intendant  de 1'einpereur. Elie aimait vraiment Alexandre et Finem et effectum negotii ita indi-  cat Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci’.oovte;  T:ept6e6Xr]xdT:a; ts aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv    aTr-.ovTa:, 01 (j.r,v ayauoi yaixetv £zw[xvuaav, 01  oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci xou; ? 3 C 7 COUS, a-rj-  Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim; xojxojv  xuy otsv . Tandem post blanditias quasdam,  verecundas, maritales, complexi se invicem sponsus et sponsa, i. e. manibus  implexis, vel brachiis mutuo cervici im-  positis, vel tergo circumjectis, velut  cubitum discedunt: ab hoc spectaculo  incalescentes , et ut paullo ante dicebat,  av£7iTEpo)|jiivoi convivae cælibes dejerant, se ducturos esse uxores ; mariti autem equis conscensis domos  festinant, ut simili voluptate et ipsi  fruantur. Utinam vero e spectaculis et  theatris hodie ita discederetur! utinam  Socratis hac parte disciplinam sequeren-  tur publicarum Voluptatum Tribuni. Talia spectacula edere debebant Romani eu 6tait aimee. Sous les yeux de son propre mari,   iis echangeaient des caresses et des baisers. Xenophon indique de la maniere  suivante la fin et les resultats de l’histoire. Apres toutes sortes de caresses  honnetes et maritales, les deux epoux se  tenant embrasses, c’est-a-dire, je pense,  les mains entrelacees ou les bras passes mutuellement soit autour du cou,  soit autour de la taille, s’eloignerent  comme pour aller se coucher. Echauffes  par ce spectacle et se sentant de furieuses demangeaisons, comme s’il leur poussait des ailes, les convives encore celiba-  taires /irent le serment de ne pas tarder  a prendre femme ; les maris monthrent a  cheval et se haterent de regagner le logis, pour gouter d leur tour de semblables voluptes. Plut au ciel qu’aujour-d’hui on quittat les spectacles et les  theatres dans de si bonnes intentions!  plut au ciel que cette partie de la discipline Socratique fut pratiquee par les  ediles preposes aux plaisirs publics! Ce  sont de tels divertissements qu’auraient  du decreter les empereurs Romains, soucieux d’exciter toutes les classes au ma principes, cum de maritandis ordinibus,  et sobole Romana augenda soliciti erant:  talia conveniebant nuper Lutetia? et Gallice adeo universae, quum Ducis Burgtindice natalem nuptiis mille puellarum  celebrarent: talia magnam Britanniam,  si quid veri habent quorundam qucerelce,  Swiftiance praesertim, quas eo loco protulit, ubi de abrogando clero disputat: aut  eorum, qui hodie peregrinos invitandos,  supplendi populi causa. et civitate donandos, censent. Nempe incidit aetas Socratis in ea  tempora, ubi civium paucitate laborabat  exhausta bellis Persicis et Peloponnesiacis Attica, cui etiam lege matrimoniali  obviam ire, et afferre remedium , conati  esse dicuntur. Debemus notitiam hujus  legis ipsi Socrati, quatenus nulla forte  illius mentio extaret hodie, nisi de duabus Philosophi uxoribus jam olim disputatum esset. Res cum queestioni. de qua riage ct d’accroitre la posterite de Remus: iis auraient convenu naguere a  la ville de Paris et a la France entiere  lorsqu’on feta la naissance du duc de  Bourgogne en mariant un millier de  jeunes falles; iis auraient bien fait Faffaire de la Grande-Bretagne, s'il y a  quelque chose de vrai dans ces plaintes  dont Swift surtout s’est fait l’e'cho et qui reclamaient 1’abolition du celibat despretres; iis conviendraient encore a ces  pays ou l’on attire les etrangers en leur  conferant les droits civiques pour suppleer au petit nombre d'habitants. Socrate vivait a une epoque ou 1’Attique, epuisee par les guerres des  Perses et du Peloponese, souffrait de ne  plus avoir qu'une population clair-se-mee; on dit menae que les Atheniens s’efforcerent de remedier a cet etat de choses  par une nouvelle loi touchant lesmariages. Nousdevons l’unique renseignement  que l’on ait sur cette loi a Socrate , car  il n’en subsisterait aujourd’hui aucune agimus conjuncta sit, illam, quam breviter jieri potest , expediemus. Duas So-  crati uxores vulgo tribui videmus, Xanthippen e qua Lamproclem susceperit, et  Myrto , Sophronisci atque Menexeni  matrem. In hoc conveniunt Cyrillus  (contra Julia) et Theodoretus (Grcecar. Affect. curat) ac Diogenes Laertius.  Porro de Xanthippe Cyrillus ex Por-  phyrio, 7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in  ipsius amplexus venisse ; quod plane  repugnat Platoni et Xenophonti, qui  nullius conjugis prceter Xanthippen, justam uxorem, mentionem faciunt : tum  Theodoreto, qui tamen ipse quoque sua debere ait Porphyrio, sed non tantum  pro TCspiTt^axetaav XaOsTv habet 7:po<j-XaxeTcjav  Xa6sTv, induxisse priori uxori, ut pereat  illa secreti, et furti amatorii notio : sed  etiam addit, solitas esse eas mulieres inter se depugnare, deinde pace facta conjunctim impetum facere in Socratem  ideo, quod is bella illarum non dirimeret: hunc vero utrumque genus pugna:   mention sans la controverse autrefois  agitee au sujet de ses deux femmes. Comme cette question tient a notre sujet, nous la discuterons bridvement. On  donne communcment a Socrate deux  femmes : Xantippe, dont il eut un de ses  fils, Lamprocles, et Myrto, la mere de  Sophronisque et de Menexene. S. Cyrille, Theodoret et Diogene de Laerte  sont tous les trois d’accord la-dessus.  Mais S. Cyrille, empruntant ce detail a  Porphyre, dit de Xantippe que son mariage avec Socrate fut clandestin, qu’elle  se cachait pour 1’embrasser, ce qui contredit absolument Xenophon et Platon,  puisqu’ils ne parient d’aucune autre  femme que de Xantippe, epouse legitime  de Socrate. Theodoret, qui lui aussi dit  tenir de Porphyre ses renseignements,  change 7iepi7tXoaEiaav XaOsTv en npovnXxxsT-  aav XafleTv et declare ainsi que Socrate  introduisit Xantippe chez sa premi^re  femme, ce qui ruine toute cette histoire  de mariage secret, et de furtifs baisers;  bien mieux, il ajoutc que ces deux mecum risu speci are consuevisse. Utri fi  dem habebimus? Sed nondum est finis discordiarum. Theodoretum si audimus, induxit  Xanthippen suce jam Myrto Socrates: sed Laertius negat convenire inter auctores, utram prius duxerit. Idem ait,  simul ambas habuisse Socratem, a quibusdam esse traditum. In hac sententia  etiam fuit auctor Dialogi Halcyon , qui  inter primos Lucianeos editur, in cujus  fine Socrates dicat, se Halcyonis amorem in maritum suis conjugibus Xanthippee et Myrto prcedicaturum esse.  Antiqua porro esse illa relatio memoratur Callisthenis , Demetri Phalerei, Satyri Peripatetici, Aristoxeni Musici, geres se battaient continuellement, puis la paix faite, tombaient a poings fermes  sur le pauvre Philosophe, en lui reprochant de ne les avoir pas separees: pour  lui, il restait simple spectateur du combat et voyait donner ou recevait lui-  meme les coups en souriant. A qui faut-il s’en rapporter, de S. Cyrille ou de  Theodoret? Et nous ne sommes pas au bout  de la querelle. Dapres Theodoret, So-  crate epousa Xantippe, dtant deja marie  a Myrto; mais Diogene de Laerte af-  firme que les auteurs ne sont pas d’accord et qu’on ne sait qui des deux il  epousa la premiere. Il dit aussi qu’il les  eut toutes les deux ensemble, et sur  quelles autorites repose cette assertion.  Elie a ete accueillie par 1’auteur du dialogue intitule Alcyon, imprime en tete  de ceux de Lucien; on y voit Socrate  proposer en exemple a ses deux femmes,  Xantippe et Myrto, 1’amour d’Alcyon  pour son mari. Plutarque (Vie d’Aris-  i Hieronymi Rhodii, apud Plutarchum  (vita Aristid. extr.) qui ceteris narrandi  auctorem fuisse ait Aristotelem in libro  de nobilitate, (rapi s-jyevsia;) qui tamen  liber an sit Aristotelis, Plutarchus dubitat : narrant autem ita, Aristidis neptim  Myrto, vidua cum esset et paupercula,  domum ductam a Socrate, eique cohabi-  tasse, licet aliam uxorem habenti. At non licebat a Cecrope inde  Athenis plure s una habere uxores. Qui  sit igitur, ut neque Comici exprobrarint, neque Accusatores objecerint digamian  Socrati? Hic nobis narrant Athenaeus et  Laertius legem, latam supplenda 1 multitudinis civium causa. Exstabat Athenceo  prodente ipsum decretum a Rhodio Hie-  ronymo conservatum, wax' si-eivat xai ouo ET L’AMOUR GREC I i q tide) rapporte que cettc opinion etait  ancienne, et qu ; elle fut partagee par  Callisthene, Demetrius de Phalere, Sa-  tyrus le peripateticien, Aristoxene le  musicien et Hieronyme de Rhodes;  Athenee dit de son cote qu’ils Tavaient  tous puisee dans le Traite de la No-  blesse d Aristote, livre dont cependant  Plutarque doute qu’Aristote soit l’auteur. Tous racontent que Myrto, pe-  tite-fille d Aristide, etant veuve et se  trouvant dans une extreme pauvrete, fut  recueillie par Socrate dans sa maison et  qu’il cohabita avec elle, quoiquhl fut deja marie.  J Les vieilles lois de Cecrops inter-disaient cependant a Athenes les doubles  unions. Pourquoi donc ni les poetes co-  miques, ni les accusateurs de Socrate ne  lui ont-ils reproche ou oppose ce cas de  bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee et  Diogene de Laerte nous parient de cette  loi nouvelle, edictee, disent-ils, dans le  but d’accroitre le nombre des citoyens. SOCRATE 'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov. Secundum haec  male accusaretur Socrates, qui et legi  paruerit de augenda sobole Attica, et  Aristidis progeniem viduitate et pauper-  tate extrema liberaverit. Verum enim vero totum hoc de duabus Socratis uxoribus, quin de lege  maritali etiam falsum esse, prcesertim  ex dissensu commemorato, itemque ex  Platonis et Xenophontis silentio arguit  Bentleius. Et habet , quantum est de  monogamia Socratis, magnum auctorem Pancetium, quem laudat Plutarchus, qui  cum retulisset eam quce modo proposita  est de Myrto narrationem, satis illam  refutatam ait a Panaetio: cujus si opus  hodie extaret, facilior forte hodie esset  causa Socratis, quem tamen a turpi pue- [In Dissertat, de Phalaridis et exteror. Epistolis, ET l’aMOUR GREC Athenee s’avance jusqida dire qu’il y  avait un decret, conserve par Hieronyme  de Rhodes, et ainsi concu: « 11 est permis d’avoir jusqua deux femmes. Si  cela est vrai, on accuserait mal a propos  Socrate, qui n’aurait fait qu’obeir a la  loi portee en vue de repeupler 1’Attique,  et qui de plus aurait sauve du veuvage  et de la mis&re la petite-fille d’Aristide. Mais vraiment Phistoire des deux  femmes, tout aussi bien que celle  de la loi matrimoniale, paraissent en-tachees de faussete a Bentley; il se  fonde surtout sur le desaccord que nous  avons signale et tire une grande preuve  du silence de Platon et de Xenophon.  Nous avons, pour ce qui est de la monogamie de Socrate, une excellente autorite, Pantetius, dont Plutarque fait le  plus bel eloge; apres avoir rapporte ce  que nous avons dit de Myrto, il ajoute  que cettefable a ete suffisamment refutee Dissertation sur les Epitres de Phalaris, Themistocle, Sacrale et Euripide (iu-8"). SOCRATE  rorum amore, et a lenocinio turpi, et a  libidinosa digamia, vel sic satis liberatum esse confido.  ET L AMOUR GREC par Panaetius. Si nous possedions son  livre, la cause de Socrate serait aujourd’hui plus facile a defendre; je pense  cependant avoir prouve qu’il ne fut ni  un corrupteur de la jeunesse, ni un  provocateur a la debauche, ni un bigame libertin. Alcibiade; ses avances  repouss^es par Socrate.  Ame, comparde par Platon a un attelage ai!6  classification des ames  suivant le degrd de  connaissances acquises  avant la vie, p. Amour philosophique,  raisons  qui dirigent les choix  dans cette sorte d’amour les  impuretes ou il peut  s’egarer Analyse du Lysis, dialogue de Platon du Phedre du Banquet Beaute morale et Beaute  physique -- Bigamie; Socrate eut-il  deux femmes? la bigamie  etait-elle autorisde en  Grece ? Cohorte sacree des  amants, a Thebes et  en Crete -- Inspires; couples d’amis Minies; leurs exercices et  poses plastiques -- riaiospaatsta, le mot  et la chose pouvaient  etre pris en bonne part, chez les Grecs Peines portees par les  Grecs contre les infames Pronostics tirds par les  physionomistes de la  voix forte et grave de lencolure  courte des  oreilles velues -des grosses levres -- du nez camard des  yeux saillants, Representations mythologiques et divertissements dans les festius dans les  mysteres effets singuliers produits parfois sur les  convives par ces representations, p. m. Socrate; motifs ordinaires des accusations  portees contre lui pourquoi il  recherchait les beaux  garcons son  portrait physique Socrate l’ Ecclesiastique; comment il a accuse, sans preuves, Socrate le Philosophe Sparte ; coutume rappor-  t6e par Elien -- les amours impures y  etaient ignorees Paris. Imp. Motteroz, 3 i, rue du Dragon. Gabriele Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica, dialettica, Epicuro a Roma, Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giannetti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del corposcolarismo – filosofia carrarese – scuola d’Aulla – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Albiano di Magra). Filosofo carrarese. Filosofo toscana. Filosofo Italiano. Aulla, Massa-Carrara, Toscana. Grice: “I like Giannetti; for one, he is the only philosopher I know whose first name is ‘Pascasio.’ He taught at Pisa, but not in the tower – Oddly, while he is from Tuscany, there is a street (‘via’) in La Spezia named after him!” – Grice: “His logic was considered heretic, at least by the duke, who diligently expelled him from any obligation of teaching!” – Insegna a Pisa. Quando lascio la cattedra,  gli successe Grandi. Di formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato da Grandi, che lo aveva anche introdotto a Newton, cura GALILEI (Firenze). Rimosso da Pisa da Cosimo III de' Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo.  N C. Preti, Dizionario Biografico degli Italiani, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, Dizionario Biografico degl’Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. G. Essendo G. tra'maestri più singolari di filosofia a Pisa, quanto onore a quello Studio recasse non si può dire. Costui ebbea quelle scienze pro clive natura, e tanta forza e vivacità d'ingegno che a sermonare e discorrere di materie filosofiche pare nato a posta. È e'di Albiano di Lunigiana, e divenne lettore in detta Università; e così bene in cattedra sue dottri ne tratto, che per lo più savio discepolo di Marchetti e Bellini, cattedranti nobilissimi, tutti lo conoscevano. Nulla ignoto eragli di quanto GALILEI e Gassendo aveansi ritrovato, e sostenitore acerrimo fu della filosofia corpusculare. Per ques stoguerra eterna pareva intimata avesse a tutti li Peripatetici e Scolastici ostinati; che ligii si di chiaravano agli antichi sistemi, quali adesso ricor dansi appenanelle scu ole de'monasteri. Per lo che G. è tenuto per uno de'più arditi e co raggiosi sostenitori degl’insegnamenti novelli e assai molesto riuscì a'superstiziosi filosofanti, ma in particolar modo ai Gesuiti i quali, potendo al loramoltissimopressoCosmo III de'Medici, fecero in grave sospetto cadere di errori di religione G. non solo, ma quasi tutta la Pisana Università. Per tale cagione , sendo state forti let tere scritte e minaccevoli ai professori con ordi nare, che non volevasi filosofia democratica, G., cui sapea benissimo delle persecuzioni altrui schermirsi e rintuzzare le dicerie degli imperiti con la dotta e mordace sua lingua, difese con trion fo la causa per iscrittura,nè mai digua proposta sentenza cesso. Finalmente costretto di mutar cattedra e di leggere medicina, non ostan te filosofava su i nuovi sistemi anche interpretan do gliaforismi d'Ippocrate e di Galeno,e men tre con eloquio squisito e con pompa di erudizio ne le materie mediche spiegavà, senza punto de nigrare alla gravità della scienza e del loco ; l' al trui cabale e leggerezze con vaghi scherzi e arguti motti derideva. Moltissimo ancora si adoperò in fisiciani sperimenti e nelle savie cure di Tilli per ogni maniera di lode famoso: nè mezzanamente sidistinse insieme con lo Zambescari di Pontremoli suo collega a sperienze fare nti lissime su le terme del territorio Pisano e Luriena se,che servirono ad ambeduni di grande merito. Intra le altre fece minute prove su l'acqua salsa di Monzone di Lunigiana, e trovolla più efficace di quella del Tettuccio di Valdi Nievole, e poteró  Viri Paschasii G. Albianeusis Philosoph. et Medicin, in Pisau. Acudem. Professoris logeniiacumine eloquen.et ingenua philosoph. libert. Quam difficillimis temporib, fere solus inter Acadlem. retinuit Concesserat Aun. S Thomas Perellius praecept. et Amico Vasoli Io non posso tacere di aver molte cose rica vato diquesto librodalle fạtiche e dagli scritti di questo Vasoli di Fivizzano, il quale sembra avesse in mente d'illustrare sua patria , e però non deggio scordarmi di retribuirlo di grata inemoria, tanto più che molto distinto riuscì nel la medicina e buon coltivatore della poesia. Que stouomoerudito, comeraccontaincertosuoEr bariolo Lunense m . s., avendo studiato prima a Bolognae poi a Pisa allascuola del celebre Malpighi, dove si dottorò verso la fine del  si estrarre il sale catartico a guisa di quel d' In ghilterra , se non venisse incautamente adulterata. Benespesso Pascasio dilettavasi d'investigare le azioni è i consigři degli uomini più che i segreti dellanatura,equasi Epicuro con aspreparoleab batteva i vizi ele inezie altrui. Mente profonda mostrò in tutto, ma poca industria: e vivendosi fino alla vecchiezza, dopo anni di lettura in quella università, muore in una villetta che avea a Capannoli su quel di Pisa, e sepolto nella chiesa diquella terra, fugliper Tommaso Pe relli suo scolare messo questo marmo sopra il se polcro, riferito ancora da inonsignor Fabroni in sua stor. dell'Univ. Pis., dove parla di G.: = Pijs Manibus et Memoriae aeternae Cum paucisaetatis suae comparandi Obiit Octuagenario major in proxima Villula In quam post impetratam a docendo vacationem G. Nasce, da Polidoro, ad Albiano Magra di Aulla in Lunigiana. Avviato agli studi filosofici, li coltivò, insieme con quelli medici, presso l'Università di Pisa, dove era ben viva la tradizione galileiana e, in fisica e in medicina, era ben rappresentata la corrente meccanico-corpuscolarista. Fu il gruppo di docenti formatisi alla scuola di G.A. Borelli a istradarlo verso questa tradizione concettuale; soprattutto Marchetti, Bellini e Zerilli lo introdussero allo studio delle opere, oltre che di Galilei, di Gassendi e del Borelli. Parallelamente, G. attinse da G. Del Papa gli stimoli di un diverso indirizzo, anch'esso presente nell'ateneo pisano, teso a far convivere, soprattutto in campo medico, il galileismo con esigenze di ordine pratico.  Laureatosi in filosofia (promotore e il Del Papa), G. ottenne nello stesso anno la lettura di logica e filosofia naturale. Il suo magistero, argutamente antiaristotelico e apertamente atomistico, dovette risultare piuttosto efficace. Quando si delineò una reazione generale della Chiesa contro quelle interpretazioni dello sperimentalismo considerate arbitrarie e potenzialmente eversive dell'ortodossia religiosa, a causa dei possibili esiti materialistico-libertini, il G. fu direttamente coinvolto. Insieme con altri sei lettori pisani, si vide intimare dall'auditore F.M. Sergrifi di non insegnare la filosofia atomistica. Per nulla intimidito, a detta di Fabroni, G. alimentò le polemiche che seguirono con un libello, oggi perduto, in difesa dei lettori ammoniti. Poca sorpresa dovette quindi destare tra i contemporanei il provvedimento, preso dal governo di Cosimo III, di trasferire G. alla lettura di medicina teorica, mitigato dal permesso di tenere lezioni domiciliari di filosofia.  Come lettore di questa disciplina medica, il G. mostrò di voler tenere aperti spiragli per un discorso "moderno". Lesse gli Aforismi d'Ippocrate, proclamandosi così seguace dell'indirizzo che privilegiava la pratica clinica sulle questioni di teoria medica, ma nel commentarli continuò a seguire i novatori.  In particolare, a quanto sembra, già in questa fase i motivi galileiano-gassendiani si erano venuti in lui incrociando con motivi della dottrina newtoniana. Da questa aveva recepito la tesi della struttura porosa della materia, che, attraverso l'ipotesi dei diversi ordini di combinazione dei corpuscoli, è assunta come matrice delle qualità macroscopiche dei corpi. È probabile che una delle fonti attraverso le quali il G. venne a conoscenza della teoria newtoniana sia stata il padre camaldolese G. Grandi, suo buon amico (Ortes ci riferisce che Grandi solea frequentemente conversare nella casa del G.), ma, a differenza di Grandi, il G. non dovette essere pienamente in grado di coglierne l'impalcatura matematica, tanto da ritenerla conciliabile con la distinzione gassendiana tra punto matematico e punto fisico. G., insieme con Bresciani, G. Averani e altri, fu coinvolto dal Grandi nella preparazione della seconda edizione delle Opere di Galilei (Firenze). Più tardi, alla metà degli anni Venti, il suo nome venne fatto in alternativa a quello del Grandi quale autore di un libretto pseudonimo (Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiæ novo-antiquæ r.p. Cevae cum notis Ianii Valerii Pansii, Augustoduni), che segnò una nuova occasione di scontro tra i novatori pisani e i gesuiti del collegio di Firenze.  Il libretto, nato come replica alla prefazione del gesuita M. Dalla Briga al poemetto Philosophia nova-antiqua (Florentiae), del confratello T. Ceva, fornisce una descrizione caricaturale delle forme di opposizione allo sperimentalismo che, a detta dell'autore, circolavano nel collegio fiorentino.  Non è chiaro se sia da collegarsi a questa polemica il basso profilo assunto dal G. nel quarto decennio del secolo. La relazione sullo stato dello Studio che G. Cerati presentò ai nuovi governanti, ci informa che "già da alcuni anni" G., pur retribuito, aveva interrotto le lezioni pubbliche e si limita a dare privatamente lezioni di filosofia. Cerati attribuiva ciò a non meglio precisate indisposizioni del corpo, ma l'Ortes attesta che G. godette per tutta la vita di ottima salute. Priva di riscontri è la notizia di una sua adesione alla loggia massonica fondata a Firenze, loggia che però sicuramente accolse un buon numero di suoi allievi.  G. muore a Capannoli, presso Pisa, Quelle che sembrano essere le sue uniche opere a noi giunte si trovano a Firenze, Bibl. Riccardiana, ms.  Tractatus phisici iuxta recentiorum opinionem conscripti a G.) e a Pisa, Bibl. universitaria, ms. (PHILOSOPHIÆ TRACTATVS). Per la collaborazione do G. all'edizione fiorentina delle Opere del Galilei vedi le lettere di Buonaventuri a Grandi, Pisa, Bibl. universitaria, Carteggio Grandi; sei lettere del G. a Grandi e alcune note di argomento fisico; Acta graduum Academiae Pisanae, Volpi, Pisa; Ortes, Vita di Grandi, Venezia G. Soria, Raccolta di opere inedite, Livorno, Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, Pisis, Sbigoli, Crudeli e i primi framassoni in Firenze, Milano; Carranza, Cerati provveditore dell'Università di Pisa nelle riforme, Pisa, Storia dell'Università di Pisa, Pisa, Morelli, Per una storia di Bonducci, Roma, Livorno, Livorno. Pascasio Giannetti. Gianetti. Keywords: corpuscolarismo, implicature corpuscolare, Isaaco Newton, Galilei, Grandi, Giannetti -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannetti: implicatura corpuscolare – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giannetta -- search – another time?

 

Grice e Giannone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della terza Roma – e l’implicatura ligure – scuola d’Ischitella – filosofia foggese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ischitella). Filosofo foggese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Grice: “Giannone is an interesting philosopher. He philosophised on the ‘citta terrena,’ which is a back-fromation from ‘celestial city,’ and by which he meant Rome! – Then he compared men – in their collectivity, to apes, even if ingenious ones!”  “Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche le anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e strinse fra ceppi e catene.” Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano, discendente da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), lasciò il paese natale per intraprendere gli studi a Napoli. Si laurea entrando ben presto in contatto con filosofi vicini a Vico. Fu praticante presso Argento, che disponeva di una vasta biblioteca, la frequentazione della quale fu essenziale per la sua formazione.  I suoi interessi non si limitarono soltanto al diritto ed alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici e dedicandosi alla stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria civile del regno di Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la Chiesa per il suo contenuto.  Costretto a riparare a Vienna, ottenne protezione e sovvenzioni da Carlo VI, il che gli permise di proseguire indisturbato i suoi studi filosofici.  Il suo tentativo di rientrare in patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città, rifiutò sia la cattedra a Padova, sia un posto di consulente giuridico presso la Serenissima. Il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico.  Dopo aver vagato per l'Italia (Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, dove compose un altro lavoro dal forte sapore anticlericale “Il Triregno: il regno terreno, il regno celeste, e il regno papale, che gli costò nuovamente la persecuzione delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura in un villaggio della Savoia, ove fu attirato con un tranello.  Rimasto nelle prigioni sabaude, fu costretto a firmare un atto di abiura che non gli valse tuttavia la libertà. Fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei suoi componimenti più famosi. Trasferito alla prigione del mastio della Cittadella di Torino. +“Dell'istoria civile del regno di Napoli” ebbe enorme fortuna mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava Giannone a riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante della Curia romana. Auspica in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi».  Nel Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, presenta la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Indi teorizza uno Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa porta avanti una forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come fondamento giuridico e sociale. Al filosofo sono intestati vari istituti scolastici, tra cui lo storico Liceo classico G. di Caserta, quello di Benevento, quello di Foggia, e quello di San Marco in Lamis.  Nella Storia della colonna infame, Manzoni dedica a G. ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che anche Voltaire gli rimprove. Inizia paragonandolo a Muratori e indicandolo come filosofo più rinomato di lui, poi aggiunge un lungo ELENCO e raffronto delle opere plagiate e degli autori, tra cui Nani, Sarpi, Parrino, Bufferio, Costanzo e Summonte: e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire chi ne fa ricerca". E conclude che se non si sa se fosse pigrizia o sterilità di mente, e certo raro il coraggio.  Altre saggi: Autobiografia: i suoi tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti,  Pierantoni, Roma, Perino, I discorsi storici sopra gli Annali di LIVIO, Apologia dei teologi scolastici Istoria del pontificato di Gregorio Magno, “L'Ape ingegnosa” “Istoria civile del Regno di Napoli. Napoli, Gravier); G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli.Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli; Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier. G., Istoria civile del regno di Napoli, Capolago, Elvetica; Nicolini, La fortuna di G.: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, Marini, Il GIANNONISMO (Bari, Laterza). Vigezzi, G. riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, Giannoniana: autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Bertelli, Milano, Ricciardi,  Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di G.., Milano-Napoli, Ricciardi, Mannarino, Le mille favole degl’antichi. Cultura europea nella filosofia di G., Firenze, Le Lettere, Ricuperati, La città terrena di G.: un itinerario tra crisi della coscienza europea e illuminismo radicale, Firenze, Olschki, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vita scritta da lui medesimo, Feltrinelli, Biblioteca Italiana, filosofico.net/ giannone. htm.  De’ liguri duri e forti. Loro estensione in Italia; e come sopra tutti gl’altri popoli tenesseró esercitati I ROMANI nella disciplina militare, sicchè fossero gl’ultimi ad esser soggiogati. LIVIO in più occasioni, parlando de’ liguri, confessa che niuna provincia esercita cotanto I ROMANI nella virtù e disciplina militare, quanto LA LIGVRIA, poichè dura nelle armi, bellicosa amica di fatiche e di travagli, e di riposo impazienle, nelle sue guerre non tosto era da’ romani vinta che sorgeva più animosa e forte di prima. IS HOSTIS VELVT NATVS AD CONTINENDAM INTER MAGNORUM INTERVALLA BELLORVM ROMANIS MILIAREM DISCIPLINAM ERAT NEC ALIA PROVINCIA MILITEM MAGIS AD VIRTVTEM ACVEBAT. Non abitavano i liguri (eciòanche contribuiva alla loro bellicosa indole) in luoghi piani ed ameni e sotto temperato e molle clima, il quale avesse potuto rendere simili a sè gl’abitatori. Ma all'incontro occupando essi quella occidental parte d'Italia che ha per confine la Gallia Narbonense, vivendo in regioni montuose aspre ed inaccessibili, e per le angustie delle vie acconce a tendere aguali ed insidie; non temeno di numerosi eserciti nè d'istromenti bellici nè di macchine o d'altri apparati militari, difendendoli il suolo e l'arduità de'loro siti. E perciò essi militavo senza molto apparecchio mi cidiale. NIHIL, dice LIVIO, PRÆTER ARMA ET VIROS OMNEM SPEM IN ARMIS HABENTES ERAT. Gli antichi liguri erano divisi di qua e di là delle alpi e dell'appennini o in molti popoli o sieno comunità, non altrimenti di ciòche si è delto degl’antichi etruschi, ed occupavano vastissime regioni. Le alpi marittime e gran parte delle mediterranee erano da essi popolate. Di là delle alpi i più celebri sono i liguri SALII, i DECEALI e gl’OXIBI. Di qua sonoo i VEDIANZI, i VAGIENNI, gli STATIELLI, i MAGELLI, gl’EBVRIATI, i VELIATI, i TIGVLII, gl’INGAVNI, i SALASSI, i LIBICI, i LAVRINI ed altri. LIVIO, oltre questi popoli da Plinio rapportati fa menzione di altri liguri posti di qua dell'appennino chiamati APVANI, i quali VINCENO I ROMANI e debellarono un esercito consolare sotto Q. Marzio console, e nota che il luogo della sconfitta fino a’ suoi tempi chiamavasi perciò il campo Marziano. Fa memoria ancora di altri liguri di là dell'appennini ch'egli chiama liguri FRISINATI. Questi popoli hanno più città o VICHI, dove dimorano ciascuno nel proprio distretto. E  fra le città son da considerarsi alcune antiche ed illustri le quali, secondo la divisione dell'Italia fatta poi d’OTTAVIANO in XI regioni, forma parte della XI. Nella Liguria rivolta al mare inferiore di quà del FIUME VARO, CHE DIVIDE L’ITALIA DALLA GALLIA Narbonense, la prima città marittima che s'incontra e de’ liguri vedianzi chiamata Cimelion. Prossima a questa I MASSILIESI edificano NIZZA alle radici dell’alpi marittime, non lontana dalle foci del fiume Varo, che poi cresce dalle ruine di CIMELIO, città antichissima, la quale ha vescovi prima che da Costantino Magno e stata la religione cristiana fa ricevere nel l'impero. Rimangono ancora le vestigia de'suoi ruderi ed il nome di CIMELIO. L’'antica sua cattedra e unita a quella di NIZZA, la quale non si APPARTIENE già alla Gallia Narbonense, siccome alcuni credeltero, ma secondo PLINIO, Tolomeo ed altri geografi antichi, ALLA NOSTRA ITALIA, come quella che è costrutta di qua del fiume Varo. Antipoli fondata pure da'massiliesi si appartiene alla Gallia Narbonense, perchè eretta di là del fiume. Essa lungo tempo e sotto i massilies i loro fondatori, ed ora sotto i re di Francia è chiamata ANTIBO. Appresso NINZZA nel mar ligustico siegue MONACO GRIMALDI, detta dagl’antichi Porto di Ercole, indi AlbioInlemelio, Albingauno, Savona, Genua, Porto Delfino Tigulia, e più in dentro Segesta città de’ liguri tigulii. Chiude questo confine IL FIUME MACRA CHE DA QUESTA PARTE DIVIDE LA LIGVRIA DALL’ETRVRIA. Dall'altra parte mediterranea ove si erge l'appennino, ampio monte il quale con gioghi perpetui e continuali fino allo stretto siciliano divide l'Italia per mezzo , avevano i liguri di qua e di là d e l monte medesimo nobilissime città; especialmente da un lato del Po Libarna, Dertona, Iria, Barderate, Industria, Polentia, Potentia, Valentia,ed Augusta de’ liguri vagienni. Quest'ultima città posta alle radici delle Alpi Cozie, non molto lontana dal monte Vesulo d'onde il Po ha sua origine, e dappoi resa COLONIA DE’ ROMANI. NON CI RIMANE ORA DI ESSA ALCUN VESTIGIO, ma in sua vece surse al luogo stesso ne'secoli da noi men lontani la città di Saluzzo sede un tempo di principi e capo del famoso marchesato di Saluzzo, la quale in fine da Giulio Imeritò esser decorate della dignità episcopale. Ma sopra queste s'innalzarono nella Liguria tre città non meno antiche che illustri, Alba Pompeia, Asta, ed Aqui città de’ ligur istatielli. Alba posta nella Liguria montuosa presso l'Appennino [H. P. GRICE – SINGULARE, NON PLURALE] nella riva del fiume Tanaro fu dagl’antichi geografi chiamata Pompeia, e per distinguerla da Alba degl’Elvii posta nella Gallia Narbonense, e per aver quella G. POMPEO rifatta e la sciati ivi vestigi di sua memoria e beneficenza. Ha vescovi antichissimi, poichè rapportasi il primo tra questi essere stato nell'anno 350. Dionigi discepolo d’Eusebio, poi innalzato alla cattedra di Milano. E ne'secoli men remoti vi se dettero due uomini insigni che la illustrarono, uno per la prudenza civile, ed e  Lazarino Fieschi de’ Conti di LAVAGNA, al quale la regina di Napoli Giovanna contessa di Provenza commise il governo del Piemonte, da lui quindi amministrato con somma lode commendazione; l'altro per sapienza é somma dottrina ed erudizione, qual fu il famoso Girolamo Vida, quel chiarissimo poeta latino che ci lasciò l'incomparabile sua Criste idee di suoi dotti dialoghi De Republica. Acqui posta alla riva della Bormida in quella parte del Piemonte di là del Tanaro ,la quale Monferrato oggi si ap pella, fa edificatada’liguri statielli popoli potentissimi dell’Asla posta nella Liguria mediterranea non lontana dal Tanaro furesa colonia de’ ROMANI, ed un tempo fu sede d’uno degli’antichi duchi longobardi. Ha anch'essa antichissimi vescovi, i quali quando l'imperio di Occidente passa a’ germani, furono dagl’imperatori molto favoriti ed a sommi onori innalzati; e non poco splendore reca a quella città aver seduto nella sua cattedra vescovi le il famoso Panigarola, chiaro al mondo eloquenza e per tanti monumenti che lascia di sua dottrina. > per lasua   montuosa Liguria. E detta Acqui dall’acque calde che qui vi scaturiscono assai salutifere, siccome oltre la testimonianza di PLINIO, l'istessa esperienza dimostra: e e chiamata Acqui de’ LIGVRI STATIELLI, per distinguerla dall’Acqui sestia de' Salii posta nella provincia Narbonense. E anche sede di uno de’ duchi longobardi. Ma la sua cattedra non è cotanto antica quanto le due precedenti come quella che prende sua origine da’ longobardi che sono i primi ad erigerla. I LIGVRI I si stendevano anche di là del Po, é molte città le quali secondo la divisione d'Italia fatta d’OTTAVIANO sono col locate nella XI regione alle radici dell’Alpi , anche da’ liguri traggon l'origine. Le prime che s'incontrano sono Vibiforo e Secusia, oggi detta Susa, le quali sono poi mutate in due colonie romane. Anche Torino PLINIO fa derivare dall'antica stirpe de’ LIGVRI -- ANTIQVA LGVRVM STIRPE, egli scrive e dice il vero, poichè coloro che la fan derivare da’ massiliesi, sica come Nicea ed Antipoli, vengono a togliere a questa città molto della sua antichità. Non è dubbio che I LIGVRI sieno popoli d'Italia tanto antichi, che di essi non si sa l'origine, onde si credono INDIGENI del paese, nè mischiati con altre forestiere nazioni , non altrimenti che TACITO crede de’ germani. All'incontro de’ massiliesi si sa l'origine ed il tempo nel quale profughi dalla Focide navigando nel mare inferiore e cercando nuove sedi, si fermarorro ne'lidi della Gallia Narbonense innanzi detta Bracata. Ciò avvenne, secondo la te stimonianza di Livio, mentre in Roma regna TARQUINIO PRISCO,quando la prima volta i galli passarono le Alpi, i quali dopo aver soccorso i massiliesi contro i salii che impedivano loro lo sbarco, se ne calaron pe' monti Taurini dall’Alpi Giulie nell'Insubria, discacciandone gl’etruschi. LIVIO stesso rifere che a'medesimi tempi i salluvii, avendo passate l’Alpi, si posarono intorno al fiume Ticino vicino a’ liguri levi, antica gente ed indigena di que'luoghi. Salluvii, e' dice, qui, PRÆTER ANTQIVAM GENTEM LEVOS LIGVRES INCOLENTES CITRA TICINVM AMNEM EXPVLERE. Se dunque i liguri, chiamati da Livio gente antica, quando i massiliesi poser piede nella Gallia Narbonense tenevano questi luoghi. Più antica e l'origine di Torino derivandola da’ liguriche da’ massiliesi, i quali siccome molti e molti anni dappoi che sono stabiliti in Massiglia fondarono Antipoli e NiZZA, molto maggior tempo appresso avrebber dovuto fondare Torino più lungi che quelle. Si aggiunge che quando Annibale cala per l’Alpi in Italia, secondo rapporta LIVIO, Torino e già metropoli degl’antichi popoli Taurini, i quali reggendosi per se stessi hanno allora mossa guerra agl’insubri, e ricusarono l'amicizia di Annibale contrastandogli coraggiosamente il passo, che egli sforza a gran fatica. Inoltre LIVIO stesso rende testimonianza che la prima volta in cui i romani ? mosser guerra a’ liguri e per occasione che questi depredano i campi di NIZZA e di Antipoli, città de'massiliesi soci de’ romani ,e non già i campi di Torino, la qual città perciò non e de’ massiliesi, ma abitata da’ liguri taurini. Sono questi popoli chiamati Tauriniche dieder nome alla città, siccome i monti a piè de'quali essa è posta sono anche detti Taurini, a cagione che dagl’antichi i gioghi de monti erano chiamati Tauri per la figura che sogliono avere simili a'dorsi o alle schiene di tori, ond'è che quel celebre monte che divide la Siria dal rimanente dell'Asia fu chiamato Tauro sic come alcuni altri popoli presso Plinio ed altri antichi geografi son chiamati anch'essi Taurini specialmente nella Scizia, per chè abitano presso i monti anticamente appellati Tauri. Ri dotti poi questi popoli liguri sotto la soggezione de’ romani, OTTAVIO ingrandi la città, che perciò venne poi detta AVGVSTA TAVRINORVM, non altrimenti che Lutetia Parisiorum da’ parisii popoli della Gallia Lugdunense che l'abitano. Hanno i liguri salassi anche in questa XI regione un'altra città, chiamata da Strabone, Plinio, Tolomeo ed Antonino Augusta Prætoria -- ora detta AOSTA -- per distinguerla dall'altra Augusla de’ liguri vagienni già menzionata. E posta frà le due facce dell’Alpi Graie e Pennine. Sono le prime dette da' greci Graie per lo passaggio di Ercole – NISI DE HERCVLE FABVLIS CREDERE LIBET, come saviamente dice Plinio --, e le seconde, siccome volgarmente si crede, dal passaggio di Annibale co’ suoi  cartaginesi sono chiamate “PŒNINE”, secondo avvisa anche Plinio, benchè Livio ne dubiti. Checchè sia diciò, è da osservarsi che da questa Augusta Prætoria, essendo per la sua situazione la prima città d'Italia, gl’antichi geometri prendevan la misura della lunghezza di questo nostro paese, tirando una linea per Capua fino a Reggio, ultima città sullo stretto siciliano. E dessa ancora città famosa ed illustre a’ tempi de’ re longobardi, quando questi tennero il regno d'Italia. Ad Eporedia, città posta nella stessa regione all'imbocco della Valle Augustana e dalle radici dell’Alpi, oggi dell’Ivrea, Plinio da, se non così antica origine, nulla dimeno una assai più illustre, scrivendo che e da’ Romani fondata per impulso degli dei, secondo che da'libri sibillini era stato lor mostrato. OPPIDVM EPOREDIAM, e dice, SYBILLINIS LIBRIS A POPVLO ROMANO CONDI IVSSVM. E antica colonia romana, e perciò cotanto memorata da CICERONE, STRABONE, TACITO, e d’altri romani scrittori. Vercelli anche secondo PLINIO dee riconoscere la sua origine da’ liguri sallii poichè egli scrive: VERCELLE LIBICORVM EX SALIIS ORTÆ. E se dobbiamo prestar fede al vecchio CATONE, Novara anche da’ liguri ha origine, quantunque in ciò PLINIO discordi, facendola derivare da’ vocontii popoli della Gallia Narbonense. Questa era l'antica LIGVRIA che occupa tutta quella gran parte d'Italia occidentale, la quale poscia dal tempo che cangia e muta i nomi,i linguaggi, i costumi, i confini e tutto, sorti altre divisioni e nuovi domini. Furon poi queste regioni chiamate Langa, Monferrato, l'Astegiana, Piemonte superiore, Marchesato di Saluzzo, Piemonte inferiore ovvero tratto Torinese, Canavese,Valle Augustana,Vercellese e Biellese. MOLTI TRAVAGLI I ROMANI SOPPORTARONO PER SOTTOPORRE TANTI POPOLI LIGVRI, poichè questi duri nelle armi e difesi da'luoghi inaccessibili si mantenner liberi, nè prima degl’ultimi tempi della romana repubblica sono ad essa sottomessi. I romani cominciarono a sperimentarli nell’armi dopo che si sono già resi formidabili in Italiae daltrove, dopo che ebber vinto Pirro re di Epiro e lui costretto a ritirarsi nel suo regno, e dopo che nella guerra punica il console C. Lutazio diede [Plin., Hist. nat.] a’ cartaginesi quella terribile rotta nelle isole agale, per la quale costoro furono forzati a chieder pace a’ romani. Allora, finita questa guerra, i vincitori cominciarono a muovere le armi contro i liguri. LIVIO, nella seconda sua deca, seguendo il suo costume, ne avrebbe certamente fatto conoscere le minute circostanze, ma questa deca interamente ci manca. L. Floro nell’Epitome ne rammenta il principio dicendo, ADVERSVS LIGVRES TVNC PRIMVM EXERCITVS PROMOTVS EST. Ma d’altri scrittori romani e da ciò che LIVIO stesso scrive nella III e IV deca, lequali per buona sorte ci rimangono, è facile il conoscere che fin qui i romani non profittarono niente sopra i liguri, poichè è anche fuor di dubbio che nel principio della guerra punica quando Annibale passa le Alpi, i liguri gli prestano aiuto contro i romani; e LIVIO nel primo libro della III deca parra, che col loro favore prese Annibale per insidie due questori romani con II tribuni de'soldati e V figliuoli de'sanniti dell'ordine equestre. Nè dopo scacciato Annibale d'Italia si perderono di animo, sicchè non tenessero continuamente esercitati i romani nell’armi. Ambi duei consoli C. Flaminio contro i liguri frisinati ed apuani -- i quali scorre fino ne’ campi Pisani e Bolognesi --, e M. Emilio contro gl’altri liguri di qua dell'Appennino, sono destinati con II eserciti consolari a soggiogarli: e sebbene ciò avessero i consoli menato ad esecuzione, non mancaron quelli di risorger poi più animosi e forti che prima, sicchè e d'uopo nel seguente anno a'successori consoli Q. Marzio e Postumio, dopo che questi sispacciarono dalle inquisizioni de’ baccanali, riprender la guerra, la quale a Q. Marzio riusci pur troppo infelice, poichè colto il suo esercito da’ liguri apuani fra luoghi strelti e dificili, e dissipato in guisa che, siccome scrive LIVIO, QVATVOR MILLIA MILITVM AMISSA ET LEGIONIS SECVNDÆ SIGNATRIA UNDECIM VEXILLA SOCIORVM AC LATINI NOMINIS IN POTESTATEM HOSTIVM VENERVNT ET ARMA MVLTA QVÆ QVIA IMPEDIMENTO FVGIENTIBVS PER SILVESTRES SEMITAS ERANT PASSIM IACTABANTVR PRIVS SEQVENDI LIGVRES FINEM QVAM FVGÆ ROMANI FECERUNT. Marzio fuggi dunque col residuo  del suo esercito: NON TAMEN, soggiunge LIVIO, OBLITERARE FAMAM REI MALE GESTE POTVIT NAM SALTVS VNDE EVM LIGVRES FUGAVERANT. MARTIVS EST APPELATVS. Nè minori sono gli sforzi ne’ seguenti anni de’ consoli successori, SEMPRONIO Sempronio che pugna contro i liguri apuani ed AP. CLAUDIO contro i liguri ingauni. In breve, dice Livio, e già ridotto in costume non decretarsi a’ consoli altra provincia se non quella de’ liguri onde erano quelli spesso intenti a formare nuove legioni per poter abbattere sì valorosi inimici; la qual cosa non ha effetto se non sotto L. Emilio Paolo il quale, essendogli stata prorogata la consolare potestà, con potente esercito spedito contro i liguri ingauni ottenne su questi piena vittoria, siccome più tardi M. Bebio l'ottenne su’liguri apuani. E finalmente soltanto verso la fine del secolo, insieme con gl'istri, co’ galli cisalpini e con le genti alpine, sono i liguri sottomessi a’ romani. De’ liguri in fatti primieramente trionfo C. CLAUDIO console, e ne’ posteriori anni sono quelli poscia del tutto debellati. Di questa costanza e dabito de’ liguri alle fatiche della milizia ed a soffrire patimenti e disagi, ben si accorse Annibale, il quale passate l’Alpi, nelle sue prime pugne contro i romani, più che in altro popolo e più che ne’ cartaginesi stessi, pose ogni fiducia ne’ liguri de’ quali si vale. E quando profugo da Cartagine ricovrossi sotto Antioco re della Siria, il quale allora ha guerra co’ romani, il più sano consiglio che a quel principe pole dare, siccome Livio scrive e che dove attaccare in due parti i romani dividendo in due classi la numerosa sua armata, ed una, della quale e stato Antioco stesso il comandante e l'ammiraglio, diriger nella Grecia per discacciarne i romani, l'altra, dellả quale egli stesso Annibale e stato il capitano supremo, dopo avere stretta lega co’ cartaginesi, con LE NAVI DI QUESTI INVIARE NEL MAR LIGVSTICO; poichè pensa che sbarcata la sua gente nella Liguria, egli fidando mollo nel coraggio e valore de’ liguri OSTINATI DIFENSORI DELLA LORO LIBERTA CONTRO I ROMANI, bene avrebbe  potuto unendo l’armi liguri alle sue portar nuova formidabil guerra in Italia e porre nuovo assedio fino alle mura di Roma istessa; ma quello stolto e vano re non appigliandosi a QUESTO SANO CONSIGLIO e volendo piuttosto seguire le adulazioni de’ suoi propri capitani, die’ cagione alle tante sue perdite e sconfitte ed alla sua totale rovina. Ma riguardandosi a’ secoli più a noi vicini, non dovrà tacersi un pregio che rese la ligure provincia assai più gloriosa di quante mai possano vantarsi di essere state avventurose madri d’eroi e di semi-dei. Si celebrano cotanto presso i greci e le nazioni tutte del mondo Alcide, Bacco ed Ulisse per le lunghe loro peregrinazioni, per aver debellato i mostri, verte ignote terre e scorsi incogniti mari. Ma Ercole stesso chi fu colui che rese i segni di Ercole favola vile a'naviganti industri? Chi fu colui che rese navigabili quelli che prima erano inaccessibili ed ignoti mari, e fece palesi ai noi regni non meno sconosciuti che vasti ? Chi fu colui che spiegando le fortunate sue antenne ad un nuovo polo, oscurò la fama di Alcide e di Bacco , se non il ligure COLOMBO? Quanto ben gli si adattano, e con quanta maggiore proprietà e ragione con vengono à lui quelle lodi che Lucrezio da al suo Epicuro, e che dal nostro incomparabile TORQUATO assai più acconcia mente furono attribuite al coraggio ed alla grandezza d'animo del COLOMBO, quando di lui canto. Un uom della Liguria avrà ardimento All'incognito corso esporsi in PRIMA: Nè il minaccevol fremito del vento, Nè l'inospitomar, nè il dubbio clima, Nè s'altro di periglio o di spavento Più grave e formidabile or si STIMA, Faran che il generoso entro a'divieti D'Abila angusti l'alta mente accheti [Ger.] – Nasce a Ischitella (Foggia), piccolo centro del Gargano, da Scipione, speziale. Dopo aver compiuto i studi sotto la guida dell'arciprete del paese, Serra, legge filosofia. E inizialmente destinato allo stato ecclesiastico, ma la famiglia muta parere e G. si trasfere a Napoli, dove, grazie all'aiuto del pro-zio, legge diritto presso il procuratore Comparelli. Divenne allievo d’Aulisio, sotto la cui guida studia diritto civile; legge storia nella Biblioteca Brancacciana e in quella di Seripando. Negli stessi anni Angelis lo introduce alla filosofia di Gassendi e ai classici latini e italiani.  Laureatosi a Napoli, G. inizia a frequentare, anche se marginalmente, l'Accademia di MEDINACŒLI, in cui conosce alcune delle maggiori figure della cultura napoletana, fra cui Capasso, Porzio, Caloprese (si veda) e Cirillo sotto il cui influsso abbandona la filosofia gassendiana per abbracciare quella di Cartesio. G. inizia l'attività d'avvocato, conducendo il suo apprendistato presso Musto, ma, INSODDISFATTO della sistemazione, si trasfere, su consiglio di Spinelli, che già lo presentato all'Aulisio, presso Argento. Per la formazione culturale del G. l'incontro con Argento si rivela fondamentale, poiché a casa di questo, inizia a riunirsi l'Accademia de' SAGGI, che, proseguendo l'esperienza della MEDINACŒLI riune un gruppo di filosofi destinati a divenire il nerbo del governo napoletano durante il vice-regno austriaco. E in quell'Accademia che matura il progetto d'una nuova storia del Regno, cui il G. da il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile del Regno di Napoli.  Grazie alla sua attività di avvocato, G. si garantì un agiato tenore di vita. Fase decisiva per la sua carriera forense e quando divenne avvocato dei cittadini di San Pietro in Lama in una causa intentata contro il vescovo di Lecce Pignatelli intorno alla questione delle decime. In risposta a due allegazioni di Nicola D'Afflitto, avvocato del vescovo, G. pubblica la scrittura Per li possessori degli oliveti nel feudo di San Pietro in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo intorno all'esazione delle decime dell'olive, cui seguì, l'anno successivo, il Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti. Tali testi, per la marcata e aperta adesione alle più avanzate tematiche giurisdizionaliste e per gli ampi riferimenti che G. fa alla storia del Regno, provocano una forte e vivace discussione. Molto scalpore suscita la causa in difesa del nipote dell'Aulisio,  Ferrara, arrestato due anni prima con L’ACCUSA D’AVERE AVVELENATO LO ZIO. Vinta la causa, come compenso G. ottenne dal suo assistito i manoscritti dell'Aulisio, di alcuni dei quali avrebbe poi curato l'edizione. A Napoli G. pubblica intanto, sotto lo pseudonimo anagrammatico di Giano Perontino, la Lettera sad un suo amico che lo richiede onde avvenisse che nelle due cime del VESUVIO in quella che butta fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e nell'altra ch'è alquanto più alta e intera non duri che pochi giorni. La lettera e frutto degli interessi che G. coltiva sin dal suo arrivo a Napoli (riscontrabili in tutte le opere sino a quelle del carcere) e dai quali, come avrebbe affermato nell'autobiografia, s'era dovuto allontanare perché assorbito dagli studi giuridici e storici.  Infatti G., pur impiegando gran parte del suo tempo nell'attività forense, lavora alacremente all'Istoria civile. E proprio per potervi attendere con più tranquillità che compra una villa presso Posillipo, detta Due Porte perché si riteneva e appartenuta ai fratelli Battista e Niccolò Della Porta. Nei anni successivi la stesura dell'Istoria lo assorbe sempre di più, tanto che i suoi continui ritiri a Dueporte gli valsero l'ironico soprannome di solitario Piero. L’Istoria civile e ormai pressoché completata. G. fa allora trasferire la tipografia di Nicolò Naso nella villa che il suo amico Vitagliano ha a Posillipo, vicino a Dueporte, e comincia la stampa. Poiché, nonostante l'istruzione ricevuta, e più avvezzo al linguaggio giuridico e al dialetto napoletano che non all'italiano letterario, G. chiede allora a Mela di rileggere l'opera, volgendola, ove necessario, in buon italiano. L'Istoria civile del Regno di Napoli vede finalmente la luce, in un'edizione di 1100 esemplari (1000 in carta ordinaria e 100 in carta reale).  Scritta con lo scopo principale di difendere i diritti e le prerogative dello Stato CONTRO LA CURIA romana, l'Istoria civile non intende tanto apportare nuovi contributi documentari alla storia del Regno, quanto offrirne una nuova interpretazione, esaminandone l'evoluzione dalla DISGREGAZIONE  dell'Impero romano sino al Vice-regno austriaco. G. non raccolge (se non per i primi libri) la documentazione direttamente dalle fonti, ma organizza quella reperibile in altri saggi , in particolare nell'Istoria del Regno di Napoli di Costanzo (L'Aquila, Cacchi), nell'Historia della città e Regno di Napoli di Summonte (Napoli), nella Historia della Repubblica veneta di Nani (Venezia) e nel Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli di Parrino (Napoli). Il procedimento gli causa, in seguito, l'accusa di plagio da parte di Manzoni nel capitolo della Storia della colonna infame, e poi da tutta la storiografia neo-guelfa, rappresentata, tra gl’altri, da Bonacci e Caristia. Il giudizio non coglie l'importanza dell'Istoria civile, che non sta nella ricostruzione erudita degl’eventi del Regno, ma nell'affermazione del principio dell'autonomia dello Stato. In effetti, se dagli storici napoletani G. traeva le notizie necessarie, i modelli storiografici sono però altri, italiani ed europei. Fra i primi Guicciardini, Sarpi e, soprattutto, Machiavelli delle Istorie fiorentine. Come MACHIAVELLI attribuie alla Chiesa la responsabilità di avere impedito ai Longobardi la realizzazione in Italia di un forte regno nazionale, così G. accusa Roma di avere troncato lo sviluppo dello Stato napoletano, distruggendo l'esperienza normanno-sveva con la chiamata di Carlo d'Angiò. L'avversione nei confronti degl’Angioini è uno dei temi ricorrenti dell'Istoria civile. Alla dinastia francese G. imputa di avere diminuito il potere regio, accresciuto quello baronale, ma soprattutto di aver riconosciuto giuridicamente il Regno come FEUDO della Chiesa. A causa di tale acquiescenza verso il Papato, IL MERIDIONE consuma il proprio distacco dal resto d'Italia, dove invece le dinastie regnanti contrastano apertamente le pretese di Roma. Fra i modelli che ispirano G. sono Thou e Grozio, da cui G. riprende la rivalutazione dei barbari, e in particolare dei Longobardi, visti come signori nazionali, nemici di Roma e di Bisanzio. Tanto G. e avverso agl’Angioini quanto mostra simpatia per gl’Aragonesi, i quali, pur fra incertezze e contraddizioni, tentano di restituire al regno l'autonomia dell'epoca normanno-sveva. Con il dominio spagnolo si conclude tale tentativo e per questo G. e fortemente critico verso Madrid, sottolineandone la politica di sfruttamento nei confronti del regno. L'Istoria civile si conclude con le pagine dedicate al dominio austriaco, nel quale il ceto civile ripone le proprie speranze.  L'Istoria e dunque un'opera collettiva, non perché scritta a più mani - come malignamente sostenevano i nemici di G. -, ma in quanto "opera che raccoglieva e organizza le esigenze del ceto civile (Ricuperati). Con l'Istoria civile G. si e proposto di analizzare le ragioni del potere della Chiesa nell'Italia meridionale e in vista di ciò dedica ampio spazio all'epoca longobarda -- l'unica per cui G. ricorre direttamente alle fonti. Per dimostrare soprusi e sopraffazioni della chiesa sul regno, G. ricostrue l'evoluzione politica del Papato, respingendone implicitamente l'origine divina. Questo atteggiamento verso la religione, interpretata in chiave esclusivamente politica, rende l'Istoriaun'opera del tutto nuova nel panorama storiografico europeo ma motiva anche l'ostilità di Roma verso G..  Il consiglio municipale di Napoli – gl’Eletti -- concede a G. una regalia di 195 ducati e lo nomina avvocato generale della città. Mentre copie dell'Istoria sono inviate a Vienna, a Napoli divampano le polemiche. Le autorità ecclesiastiche protestarono perché il saggio non ha ottenuto la licenza del tribunale vescovile -- G., in effetti, non l'aveva chiesta, ritenendola superflua poiché ritenne che il saggio non tratta argomenti di giurisdizione ecclesiastica -- e alcuni religiosi iniziarono a tenere prediche contro G.. In seguito a ciò, il potere civile muta atteggiamento. l vice-ré austriaco, Althann, che aveva concesso a G. la licenza necessaria per la pubblicazione dell'opera, in una riunione del Consiglio del Collaterale, biasima apertamente gl’Eletti, i quali, peraltro, congelano i provvedimenti a favore di G., nominando una commissione per valutare il saggio. Nello stesso tempo, il Collaterale ordina la sospensione delle prediche contro G. e la vendita dell'Istoria.  La situazione volge al peggio al momento del rito di s. Gennaro: poiché il sangue tarda a sciogliersi, il clero napoletano comincia a sostenere che il santo e adirato con i napoletani per la pubblicazione dell'Istoria civile. Contro G. si diffuse allora in tutta la città poesie e libelli -- diversi dei quali sono oggi conservati in un codice della Biblioteca di Napoli --, mentre la curia arcivescovile si preparava a scomunicare l'opera. Ormai era a rischio la stessa vita di G., il quale, spinto anche dagl’amici, decide di recarsi a Vienna per chiedere la protezione dell'imperatore Carlo VI. Dopo alcune esitazioni, G. lascia Napoli per quella che sperava una breve assenza e che, invece, sarebbe stata UNA PARTENZA SENZA RITORNO.  Raggiunta in incognito Manfredonia, da lì si trasferì a Barletta, riparando per alcuni giorni in una villa del fratello di Fraggianni. Nel frattempo a Napoli, il sangue di s. Gennaro si scioglie. Trovata una nave su cui imbarcarsi, e a Trieste, a Lubiana e giunge a Vienna.  In questa città G. presnde subito contatto con alcuni esponenti della numerosa comunità italiana, fra cui Riccardi, Forlosia e il bibliotecario di corte Garelli, che porta una copia dell'Istoria all'imperatore Carlo VI. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica lanciatagli dalla curia arcivescovile di Napoli e della messa all'Indice dell'Istoria civile, G. ricominciò a scrivere. Dapprima ritorna sul trattato “Del concubinato de’ Romani” ritenuto nell'Impero -- dopo la sopposta conversione alla fede di Cristo -- già iniziato a Napoli. Poi scrive due nuovi saggi: De' rimedi contro le proposizioni de' libri che si decretano in Roma e della potestà de' principi in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi contro le scommuniche invalide e delle potestà de' principi intorno a' modi di farle cassare ed abolire -- che confluì nell'Apologia dell'Istoria civile. La posizione di G. sembra migliorare. In seguito alle pressioni viennesi, la scomunica e revocata e G. ottenne udienza da Carlo VI, che l'anno seguente gli concesse una pensione annuale sopra i diritti della Secreteria di Sicilia. Egli non riuscì, però, a ottenere un incarico ufficiale che, come aveva sperato, gli permettesse di tornare a Napoli in una posizione sicura. Decide quindi di fermarsi a Vienna e si stabilì in palazzo Linzwal. Nel frattempo, in Italia appareno diverse confutazioni dell'Istoria civile. E pubblicata a Roma l'Apologia di quanto l'arcivescovo di Sorrento ha praticato cogli economi de' beni ecclesiastici della sua diocesi dell'arcivescovo Filippo Anastasio. In risposta Vitagliano pubblica a Napoli una Difesa della real giurisdizione intorno a' regi diritti su la chiesa collegiata appellata di S. Maria della Cattolica della città di REGGIO, in cui, pur volendo difendere G., finiva invece con il criticarlo. G. e allora costretto a reagire con un proprio testo, diffuso a Napoli in forma manoscritta. Appareno a Roma le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del Regno di Napoli di Sanfelice. Rispetto all'opera d’Anastasio si tratta di un lavoro ben più articolato e problematico, tanto che G. in un primo tempo decide di non replicare. Ma durante la villeggiatura a Perchtoldsdorf, nei dintorni di Vienna, scrive la Professione di fede. L'opera conosce una vasta fortuna, testimoniata da un'imponente circolazione manoscritta, e segna la definitiva rottura con la Chiesa cattolica. Un'altra Risposta di G. fa seguito alla pubblicazione delle Annotazioni critiche sopra l’Istoria civile di Napoli (Napoli) di Paoli, scritte con l'aiuto d’Egizio, esponente della parte più moderata del giurisdizionalismo napoletano, non disposta a seguire la lezione di G.  Fallite le speranze di ottenere un incarico a Vienna, G. riprende l'attività forense. Oltre a diverse allegazioni per clienti viennesi e napoletani, scrive il Ragionamento a Pilati in cui difende i diritti di quest'ultimo alla nomina, poi non avvenuta, a vescovo di Trento dopo la morte di Gentilotti e il saggio De' veri e legittimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano nel tribunale detto della Monarchia, sulla complessa questione del Tribunale della Monarchia di Sicilia. Risalgono dopo due saggi: la Breve relazione de’ Consigli e dicasteri della città di Vienna, commissionatagli dal reggente Castelli, e le Ragioni per le quali si dimostra che l'arcivescovado beneventano e sottoposto al regio exequatur, come tutti gl’altri arcivescovadi del Regno, saggio scritto su incarico della Città di Napoli.  Nel frattempo, continua la fortuna europea di G. e dell'Istoria. G. comincia a corrispondere regolarmente con Liebe e i Mencke, iniziando la collaborazione agli Acta eruditorum Lipsensium. Scrive la Dissertazione intorno il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis nomen" posta in una moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni creduta coniata in Napoli, che, tradotta in latino, usce in un'edizione degl’ “Historiarum sui temporis” di Thou. G. e ormai un filosofo inserito nel contesto d’Europa per la sua conoscenza, in quel periodo delle opere che meglio rappresentavano quella filosofia. In tal senso, un ruolo fondamentale ha la frequentazione con il principe Eugenio di SAVOIA, nella cui ricchissima biblioteca G. aveva legge i più importanti saggi della filosofia libertina e radicale europea. Da queste sue fertili frequentazioni nei primi anni dell'esilio viennese deriva il progetto dello suo saggio, il Triregno, iniziata durante una villeggiatura a Medeling, e le cui prime due parti erano quasi terminate due anni più tardi. Il Tri-regno si articola in tre parti. Nella prima, “IL REGNO TERRENO,” G. studia la religione e sottolinea come in essa NON si conosce un al di là, in quanto al popolo si promette esclusivamente il dominio sugli altri popoli senza alcun riferimento a mondi ultra-terreni. Quello che Dio promete all'uomo – o GIOVE a ENEA -- e , dunque, esclusivamente un regno terreno: ROMA! Nel successivo Regno celeste l'attenzione di G. si sposta al cristianesimo delle origini – e l’idea della potesta temporale – e del Cesare -- studiando i testi neo-testamentari, mette in evidenza come e il cristianesimo – ‘dei galilei,’ come G. chiama in parodia di Giuliano -- a introdurre l'idea di un mondo ultra-terreno cui i fedeli sono destinati dopo essere stati giudicati sulla base delle loro azioni mondane. Il Regno papale, l'ultima parte – “infamous part” – H. P. Grice --, riprende il discorso iniziato nell'Istoria civile sulle origini del potere del Papato. Dopo i primi secoli vissuti in conformità con l'insegnamento evangelico, il PONTEFICE, approfittando della decadenza del POTERE TEMPORALE IMPERIALE dopo Costantino, costitueno il loro Regno sul principio della superiorità rispetto allo stato mondano, temporale.  Nella composizione del Tri-regno concorrevano diverse tradizioni: la fondamentale esperienza del libertinismo erudito, con cui G. eentrato in contatto negli anni della sua prima formazione napoletana, per influenza d’Aulisio, dal quale G. comprende l'importanza della storia ebraica e la poca rilevanza alla mente romana! Molti temi delle Scuole sacre - l'opera d’Aulisio uscita postuma pochi mesi dopo l'Istoria civile - ricomparivano, infatti, nel Triregno, filtrati dalle conoscenze acquisite a Vienna: la storiografia protestante (i. e. non cattolica, non romana) tedesca (particolarmente evidente nel Regno celeste, dove forte è l'influenza delle Origines, sive Antiquitates ecclesiasticae diBingham e delle Observationes sacrae di Deyling) e, soprattutto, il deismo europeo post-spinoziano. In questo senso importante e stato il rapporto con gli saggi di Toland (in particolare le Lettere a Serena, Origines Iudaicae e Nazarenus), dai quali G. trasse la tesi secondo cui gl’ebrei credeno nella MORTALITA dell'anima e non hanno alcuna idea di un mondo ultraterreno, e con la storiografia che con questi si e misurata criticamente (come le Vindiciae antiquae Christianorum disciplinae di Mosheim).  Il Tri-regno non e, peraltro, del tutto slegato dall'Istoria civile. La matrice giurisdizionalista e evidente soprattutto nel Regno papale, dove G. riprende il problema delle origini del potere ecclesiastico, affrontandolo, però, con gli strumenti della storiografia protestante. Non più "istoria civile" del Regno di Napoli, ma di tutta la civilizazione d’Occidente, fondata da Roma a tradita dai papi. Di qui la persecuzione che la Curia romana muove contro di lui, riuscendo, infine, non solo a FARLO ARRESTARE, ma a entrare anche in possesso dell'autografo del Tri-regno.  Si impede così la pubblicazione del saggio. Ma non ne e, tuttavia, impedita completamente la diffusione, che avvenne grazie a un apografo (probabilmente uscito dagli archivi romani in cui l'originale e custodito). Diversi codici del Triregno circolano in Europa, e sembra addirittura imminente una sua pubblicazione ad Amsterdam.  La conquista del Regno di Napoli a opera di Carlo di Borbone determina la dispersione della comunità napoletana di Vienna. Ritenendo, con ragione, che e in pericolo la sua pensione, basata su rendite siciliane, anche G. decide, allora, di partire. Lascia Vienna e giunse a Venezia. Dove essere solo un punto di passaggio sulla via per Napoli, ma le autorità borboniche gli rifiutano il passaporto, temendo che un suo ritorno avrebbe compromesso le trattative per il riconoscimento papale del nuovo sovrano. L'ambiente culturale veneziano si rivela, comunque, ricco di stimoli per G., che stringe amicizia con Pisani, con il principe Trivulzio, con Conti, con Terzi e con il libraio Pitteri. Con quest'ultimo, in particolare, si accorda per una nuova edizione dell'Istoria civile, per la quale appronta quell'Apologia dell'Istoria civile cui lavora da tempo e in cui confluirono i tre trattati composti a Vienna. In realtà, anche a Venezia G. non manca certo di nemici. Poco dopo il suo arrivo, Pasqualigo gli offre cattedra a Padova, ma la Curia romana e riuscita a fare sospendere l'offerta. Nello stesso tempo, il nunzio a Venezia,  Oddi, fa pressioni sul governo della Serenissima perché G. e cacciato e consegnato alle autorità pontificie. Per screditare G. venne diffusa la voce che egli avesse criticato la Repubblica veneziana in alcune pagine dell'Istoria civile, obbligandolo così a difendersi. La risposta a tale accusa confluì anch'essa nell'Apologiadell'Istoria civile. G. si stabile nell'abitazione di Pisani. Riprende, allora, la stesura del Triregno, discutendone con i suoi amici veneziani. E nella villa di Pisani a Rovere di Crè, presso Rovigo, che G. scrive la Prefazione al Triregno. Anche questa volta, tuttavia, la tranquillità doverivelarsi effimera.  Dopo oltre un anno di complesse manovre sotterranee, il nunzio ottenne il risultato sperato. Una fatidica notte, poco dopo aver lasciato, insieme con Conti, la casa di Terzi, G. e catturato d’agenti del S. Uffizio, caricato a forza su un'imbarcazione e abbandonato nel Ferrarese, in territorio pontificio. Riusce quindi fortunosamente a raggiungere Modena e vi resta nascosto per circa un mese, sotto il falso nome di Antonio Rinaldi, protetto, fra gli altri, anche da L.A. Muratori. Inizia, allora, la stesura del Ragguaglio dell'improvviso e violento ratto praticato in Venezia ad istigazione de' gesuiti e della corte di Roma. Si reca a Milano, allora occupata dalle truppe sabaude, dove spera nell'aiuto della famiglia del principe Trivulzio. E ricevuto dal marchese Olivazzi, gran cancelliere, il quale gli consiglia di scrivere al marchese d'Ormea, ministro di Carlo Emanuele III di SAVOIA, per offrirsi come storico di corte. Quel che Olivazzi non poteva sapere e che l'Ormea s'era già accordato con Albani, offrendogli l'arresto di G. come contro-partita per la concessione di un concordato favorevole allo STATO SABAUDO al fine di chiudere lo scontro - aperto un ventennio prima da Vittorio Amedeo II - fra Torino e Roma. Da Torino parte quindi l'ORDINE D’ARRESTO di G., che però nel frattempo lasciato Milano per la capitale sabauda. Non considerando più gli Stati italiani un rifugio sicuro dopo l'esperienza veneziana, G. aveva decide di andare a Ginevra, dove e in contatto con l'editore Bousquet, che  annunciato la sua intenzione di pubblicare l'Istoria civile. Mentre da l'ordine di arrestarlo a Milano, Ormea non puo immaginare che G. e proprio a Torino, dove si ferma. Giunge a Ginevra dove, pur rifiutando di convertirsi al calvinismo, stringe amicizia con Turretini e Vernet. A causa delle sue precarie condizioni economiche, decide di pubblicare la traduzione francese dell'Istoria civile, per la quale s'era accordato già da tempo con Bousquet. Questi, però, aveva sciolto proprio allora la sua società con lo stampatore Pellissari, e si e trasferito in Olanda. E solo grazie all'aiuto di Vernet che G. puo trovare un nuovo finanziatore nel libraio Barillot, ma, quando tutto e pronto per l’edizione dell'Istoria, G. e attirato fraudolentemente in territorio sabaudo e arrestato.  Ormea da disposizioni per l'arresto al governatore della Savoia, conte Giuseppe Piccon della Perosa. La trama del rapimento è stata raccontata da G. stesso, nella sua autobiografia, in pagine esemplari per chiarezza e drammaticità. A Ginevra egli prende alloggio presso il sarto Chénevé, da tempo amico di un doganiere sabaudo, tale Gastaldi, il cui fratello era aiutante di campo del conte Piccon. Dapprima Gastaldi si guadagna la simpatia dal figlio di G., invitandolo spesso a Vésenaz -- il piccolo centro savoiardo di fronte a Ginevra, dov'era la dogana -- insieme con Chénevé. In questo modo egli venne a conoscenza dei movimenti di G. a Ginevra, informandone Piccon. Dopo aver rifiutato gl’inviti di Gastaldi per tutto l'inverno, G. accetta di assistere alla messa della domenica delle Palme nella chiesa di Vésenaz. Si trasfere  a casa di Gastaldi. Questi, presi con sé alcuni soldati, irruppe di notte nella stanza di G. e arrestò lui e il figlio. Il giorno dopo, Gastaldi si mise in marcia verso Chambéry. G. racconta la gioia del doganiere il quale, tenendo in mano un suo ritratto (probabilmente una copia dell'incisione fatta a Vienna da  Sedelmayer) andava di paese in paese urlando di aver catturato "un grand'uomo".  Giunto a Chambéry Gastaldi consegna i prigionieri al conte Piccon, il quale ne dispose il trasferimento nella fortezza di Miolans, tradizionalmente deputata ad accogliere i prigionieri di Stato -- quarant'anni dopo vi sarebbe stato rinchiuso anche il marchese de Sade. Ricevuta notizia dell'arresto, Ormea ne informa Albani, al quale riferì anche l'intenzione di Carlo Emanuele III di non inviare G. a Roma, ma di impegnarsi a tenerlo in carcere perpetuamente. Per quanto la corte di Roma prefere giudicare direttamente G., Clemente XII ringrazia il sovrano sabaudo per l'arresto del sedizioso. Ormea e Albani si accordano, intanto, perché G. e processato dal S. Uffizio piemontese e costretto ad abiurare.  Durante la sua prigionia a Miolans G. scrive la “Vita e Morte di G. scritta da lui medesimo” e inizia, aiutato dal figlio, una prima versione dei “Discorsi sopra gl’Annali di Livio,” che intende offrire a Carlo Emanuele III per l'educazione del principe di Piemonte, il futuro Vittorio Amedeo III. Nello stesso periodo Ormea riusce, grazie al conte Piccon e ad altri agenti sabaudi, a entrare in possesso dei manoscritti delle opere di G. -- compreso quello del Triregno -- che, dopo esser stati esaminati da Palazzi, abate di Selve, bibliotecario e storico di corte, sono inviati a Roma. G., separato dal figlio, e trasferito a Torino nelle carceri di Porta Po, prima, e nella cittadella, poi. Qui fu affidato alla cura spirituale di Prever. Presta formale abiura dei suoi errori di fronte al vicario inquisitoriale, Alfieri di Magliano.  Il testo dell'abiura non e quello che la Curia romana si attende, tanto che - contrariamente alla prima intenzione - si decide di non renderlo pubblico. A convincere G. ad abiurare e stata la speranza di poter tornare presto in libertà. Ma e trasferito al forte di Ceva, dove rimane. Le istruzioni impartite al conte Magistris, governatore del forte, sono per la migliore sistemazione possibile nel castello. G. e rinchiuso nella prigione detta "la speranza": due stanze e un anticamera interamente rivestite in legno e chiuse da una porta di pietra. Gli era permessa qualche ora d'aria al giorno, purché non parlasse con nessuno, tranne il governatore e il confessore del forte, e puo leggere e scrivere, purché le sue opere non uscissero da Ceva se non per Torino. Nel tempo di prigionia cebana G. termina i Discorsi sopra gli Annali di LIVIO (si veda) e scrive altre tre saggi: l'Apologia de' teologi scolastici, l'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda), e L'ape ingegnosa. In esse riaffiorano molti temi del Triregno, soprattutto nell'Apologia de' teologi scolastici - dove L’AUTORITA DEI PADRI della Chiesa e sottoposta a UNA VERA DEMOLIZIONE -- e nell'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda). Quest'ultima, inizialmente concepita come conclusione dell'Apologia, e una vera e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno papale una vasta parte dove essere dedicata a tale PONTEFICE. Temi tipici degl’autori libertini, in particolare di Toland, grazie a un sapiente uso della Naturalis historia di Plinio il Vecchio, tornano anche nelle pagine dell'Ape ingegnosa, vasto e complesso zibaldone, come recita il titolo, di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, denso di spunti autobiografici.  Nonostante la prigionia, la fortuna europea di G. continua. Ad Amsterdam sono aparsi i suoi libri sulla "politia ecclesiastica" (Anecdotes ecclésiastiques contenant la police et la discipline de l'Église chrétienne depuis son établissement jusqu'au XIe siècle), e l'intera Istoria civile, curata da Bochat e Bentivoglio, pubblicata a Ginevra -- ma con la falsa indicazione d’Aja. Mentre a Torino la diffusione delle opere giannoniane preoccupava le autorità ecclesiastiche, a Ceva  G. entra in contatto con esponenti della nobiltà locale, che lo incaricarono della stesura di alcune allegazioni forensi. A causa dell'avanzata delle truppe franco-spagnole, allora impegnate contro il Piemonte nella Guerra di successione austriaca, G. e trasferito a Torino. In un primo tempo le condizioni della prigionia nella cittadella si rivelarono assai più dure: il governatore Cortanze non ha, come invece il De Magistris, ordini particolari per il prigioniero, il cui trattamento non e inizialmente dissimile a quello riservato ai molti prigionieri che affluivano nella capitale da tutto il Piemonte. La situazione e aggravata dalla morte d’Ormea, tanto che G. invia al sovrano un lungo e disperato memoriale sul proprio stato e sulle angherie cui lo sottopone il maggiore della cittadella, Caramelli. Da allora le condizioni della sua detenzione migliorano sensibilmente. Il suo ritorno a Torino non e passato inosservato; in pochi mesi G. entrò in relazione con personaggi della corte e della cultura, come i bibliotecari dell'Università Ricolvi e Rivautella, e, soprattutto, Villettes, il quale gli fa avere diversi libri della propria biblioteca, grazie ai quali, oltre a quelli avuti dalla Biblioteca reale tramite Cortanze, G. puo aggiungere nuovi capitoli all'Apologia de' teologi scolastici e iniziare una nuova versione dei Discorsi. L’interesse destato da G. suscita la reazione delle autorità ecclesiastiche. Il nunzio a Torino, Merlini, protesa  presso il sovrano, il quale gli assicurò che le condizioni del prigioniero sono divenute più severe.   In realtà G. continua a scrivere e a ricevere libri da Villettes e da Roero di Cortanze. Il desiderio di G., formulato in una lettera ad Ormea che sulla sua tomba e posta un'iscrizione da lui appositamente composta non e esaudito. Il suo corpo e sepolto nella fossa comune dei prigionieri della chiesa di S. Barbara, all'interno della cittadella. La chiesa e distrutta. Altri saggi: “Saggi” a cura di Bertelli e Ricuperati, Milano, con bibliografia, in cui sono comprese la Vita scritta da se medesimo, pagine scelte dell'Istoria civile, del Triregno, del Ragguaglio del ratto, delle altre opere del carcere e alcune lettere; Istoria civile, a cura di Marongiu, Milano; Triregno, a cura di Parente, Bari; Dopo la "Giannoniana": problemi di edizione, nuovi reperimenti di fonti e l'introduzione perduta del Triregno, cur. Ricuperati, in L'Europa fra Illuminismo e Restaurazione. Studi in onore di Diaz, a cura di Alatri, Roma; un manoscritto del Ragguaglio del ratto è stato pubblicato in Un testo inedito di G., cur. Denis, Archivio storico italiano, Delle altre opere del carcere l'unica sinora pubblicata in edizione critica è L'ape ingegnosa, overo Raccolta di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, a cura di Merlotti, Roma, con bibliografia. Per le lettere. G., Epistolario, a cura di Minervino, Fasano; Lettere autografe, cur. di Minervino  (in entrambi i casi l'edizione non è del tutto affidabile, cfr. la rec. di Rienzo, in Bollettino storico-bibliogr. subalpino, Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti di G., inventario a cura di Ricuperati, Le carte torinesi di G., in Memorie dell'Acc. delle scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche. Il fondo è stato arricchito da documenti autografi del G., in gran parte relativi ai periodi austriaco e veneziano. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di G.. Ricerche bibliografiche, Bari; Marini, G. e il giannonismo, Bari; Vigezzi, G. riformatore e storico, Milano; Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Napoli; Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di G., Milano;  G. e il suo tempo, a cura di Ajello, Napoli; Merlotti, Risorgimento ghibellino: Ferrari lettore di G., in Annali della Fondazione Einaudi; Negli archivi del Re. La lettura negata delle opere di G. nel Piemonte sabaudo, Riv. stor. Italiana; Ricuperati, G.: an itinerary in European free-thinking, in Transactions of The Congress on the ENLIGHTENMENT, Oxford; Trevor-Roper, G. and Great Britain, in The Historical Journal, A. Hook, La "Storia civile del Regno di Napoli" di G., il giacobitismo e l'Illuminismo scozzese, in Ricerche storiche, Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel pensiero religioso di G., Firenz. Grice: “One good thing about the Roman Church (you know, there’s a Jewish Church, too) is Giannone – he was rendered an ‘impious’ by the Church and imprisoned to death. This allowed him to philosophise on the Liguri – and he did!” Pietro Giannone. Giannone. Keywords: la terza Roma, autobiografia, ego-grafia – Vico, Giannone, Genovesi – Liguria – commento su Livio – regno terreno, regno celeste, regno papale --. Storia di roma antica -- giannonismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannone” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giavelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- semantica del segnare -- segnante e segnato – filosofia fortinese – scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (S. Giorgio di Canavese). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Grice: “I love Javelli – he is, like me, an Aristotelian; being a northern Italian, he is a Thomstic Aristotelian, which I’m not sure I am!” Grice: “One good thing about Javelli is that he commented on MOST works by Aristotle!” -- Essential Italian philosopher. Studia a Bologna. Fu esegeta. Argomenta contro Lutero. Opera omnia” (Lione, Giunta). Partecipa al dibattito sul Tractatus de immortalitate animae di Pomponazzi, di cui scrisse, su richiesta di Pomponazzi stesso una confutazione. Partecipa al dibattito sul divorzio di Enrico VIII, esponendosi a favore della scelta del sovrano. M. Tavuzzi, in "Angelicum", DBI.Casale Monferrato.  Crisostomo Javelli was born in 1470 c., presumably in Piedmont, joins the Dominicans. On G. see GILSON, Autour de Pomponazzi: problématique de l'immortalité de l'âme en Italie, Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age; TAVUZZI, G. OP A Biobibliographical Essay:  Biography, Angelicum, G. A Biobibliographical Essay: Bibliography », Angelicum. G. is the author of a Compendium Logicæ. The structure of G.’s work mirrors Ockham's Summa logicae in many respects, but also NICOLETTI (si veda)’s Logica Parva (unlike NICOLETTI (si veda), however, G. does not deal with obligations and insolubles.  The Compendium deals with the following topics:  Introductory remarks, which include a short history of logic;  terms (this part corresponds to the doctrine dealt with by Aristotle in De  Interpretatione);  propositions; the five praedicabilia (this section corresponds to Porphyry's Isagoge);  the antepraedicamenta, the doctrine of the categories (praedicamenta), and the postpraedicamenta (this treatise, as is clear, corresponds to Aristotle's Categories);  syllogism;  supposition theory;  ampliatio and appellatio, i.e. changes in the supposition of a term and changes  in the tenses of verbs; theory of consequentiae;  de probatione terminorum (this treatise deals with the ways in which it is possible to show the truth, or the probability of a proposition);  demonstrative syllogism (this part aims at expounding what Aristotle says in  his Posterior Analytics). The treatise is published in in Venice. The Compendium is rather successful, and goes through many editions. G. has many teaching positions within the dominican order and, most probably, he writes his Compendium logicæ for didactic purposes. The tendency to systematize the new logic of the late medieval authors and to present it as consistent with Aristotle's logic is even more evident than in SAVONAROLA (si veda)’s Compendium. G. is also influenced by the humanists, inasmuch as his treatises draw attention to the linguistic, and historical context in which ancient logic arose. If VALLA (si veda) criticizes NICOLETTI (si veda) for the latter's unfamiliarity with the Greek language, G.  dwells on the etymology of many key terms of logic, and shows a certain familiarity with both Greek and Latin. In his historical section,  G. maintains that Socrates and Plato are not strong in answering and solving  because they did not have logic, even though they were strong in asking questions or in raising doubts » (licet potentes essent ad interrogandum sive dubitandum, non tamen ad respondendum et solvendum propter logice carentiam). Logic is founded on its proper grounds by Aristotle, for whom  Javelli has words of deep admiration:  Hence, the Author of nature gave us Aristotle, who first discovered true logic with his almost divine mind and organized and brought it to completion in all its parts, so that we could discover the true rule of knowing that guides the human mind in arts and sciences."  TAVUZZI, G. OP Logicæ Compendium LIZIO, ordinatum per G. Canapicium ordinis praedicatorum, ex officina Ioannis Blaui de Colonia, Olvssipponae henceforth, G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ Ut igitur vera sciendi regula directiva humani intellectus in artibus et scientiis inveniretur, datus est nobis ab authore naturae Aristoteles, qui suo pene divino ingenio primus logicam veram invenit, et secundum omnes partes ordinavit ac perfecit. These words implicitly show the ideological background of the Compendium logicae, that is designed to expound Peripatetic logic. Javelli was aware that many topics of his treatise had not been discussed by LIZIO, but he nevertheless thinks that these doctrines are at least Aristotelian in spirit. When G. introduces the theory of suppositio, in the seventh treatise of his textbook, he states that doctrines like the suppositio  are consistent with Aristotelian philosophy, even though Aristotle did not propose them , and this will be clear to you once you progress in logic, philosophy of nature and in metaphysics under the guidance of the LIZIO. G.’s attitude in finding an agreement between the doctrines of Aristotle (and of Aquinas) and those of later thinkers has been already underlined by Tavuzzi, and may be said to be a trademark of his Compendium. After his sketchy history of logic, G. defines logic as a rational science® and states that its generic subject is mental being. The subject of logic, as a distinct discipline, is the  " ens rationis ratiocinativum, quod est idem quod  argumentatio.This remark echoes BARBÒ (si veda)’s claim that the object of logic is the ens rationis, but G. seems to harmonize the AQUINO (si veda)’s solution with the position of Albert the Great, because the ens rationis is qualified as ratiocinativum and this is said to be identical to argumentatio. According to BARBÒ (si veda), Albert the Great taught that the object of logic is 'arguments. BARBÒ notices the similarity with what he took to be Aquinas's position, but stressed nevertheless the difference between the two medieval Dominicans. G. implicitly unifies their positions.  According to G., logic is a science and not empirical knowledge, because it has proper subject and proper principles: the presence of these two elements is enough to hold that it falls under the rational sciences, and is divided into sub-disciplines according to the scheme that Aquinas introduces in the Proemium to his -- etsi non habeantur ab Aristotele, tamen doctrinae peripateticae consonant, ut tibi constabit postquam in Aristotelis disciplina tam in logicalibus quam in physicis atque metaphysicis eruditus fueris » (my translation). Cf. TAVUZZI, Herveus Natalis and the Philosophical Logic of AQUINO (si veda) in the Renaissance, Doctor Communis, G. Compendium logicae -- llogica est scientia rationalis discretiva veri a falso ». Javelli adds that logica est ars artium et scientia scientiarum, qua aperta omnes aperiuntur, et qua clausa omnes alie clauduntur; this statement echoes Peter of Spain's claim that dialectica est ars artium, scientia scientiarum, ad omnium methodorum principia viam habens (Petri Hispani Summulae Logicales cum Versorii Parisiensis clarissima expositione, apud Sansovinum, Venezia -- subiectum in illa universalissime sumptum est ens rationis, id est ens fabricatum ab intellectu et non habet esse extra intellectum -- commentary on the Posterior Analytics.8 In his treatise on terms, G. stresses that terms signify ad placitum, and that verbs are always tensed. G. has something interesting to say about propositions. According to him, a proposition  1s omething s (oratto verum vel falsum signtcans Indicando s) the Clause  'indicando' is meant to exclude prayers, utterances of wish, etc. from the set of propositions. G. adds that only present tensed propositions are propositions in the fullest sense, because past-tensed and future-tensed utterances do not signify anything that is the case or that is not the case, and thus cannot be true or false:  The phrases (orationes) in the past and future indicative tenses do not signify primarily and per se 'true' and 'false', unless they are transformed into a phrase in the indicative present tense.'  This is not sufficient evidence to suggest that G.'s understanding of propositions is analogous to SAVONAROLA (si veda)’s and, regrettably, G. does not add many details to his definition. In the same third treatise, G. deals with modal propositions as well, and in this case the didactic aim of his exposition could not be more evident. He deliberately avoids all technicalities and limits himself to stating some basic principles of modal logic: modal propositions are defined as categorical propositions to which a modal operator has been attached as a prefix.  There are four modal operators for G.: necessary, contingent, possible, and impossible." G. maintains that also 'true' and 'false' are modes, and by doing so he refers to a traditional doctrine, which has been endorsed also by Aquinas in his De propositionibus modalibus. G. adds that also 'per se' and 'per accidens' are modes, and they correspond to 'necessary' and 'contingent' respectively:  Nam licet prima [i.e. 'per se'] aequipolleat modali de necesse, et secunda [i.e. 'per accidens'] modali de contingenti, tamen ‹non> sunt formaliter modales."2  Ibid., fol. 12r-13r. Cf. ARISTOTELES. De Interpretatione. This claim, although consistent with Aristotle's littera (cf. De Interpretatione), is at odds with Savonarola's exposition. This suggests that 'Thomist logic' was not a monolith and there were several debated issues. G. Compendium logicæ Orationes etiam modi indicativi temporis praeteriti et futuri non significant primo et per se verum et falsum, nisi reducantur ad unam temporis praesentis indicativi. I suggest to add a 'non' to the sentence to make it intelligible. This observation seems to suggest that modal syllogistic is grounded on Aristotle's theory of predication. G., however, does not expand this interesting intuition. Furthermore, even though he is aware of the distinction de sensu composito/de sensu diviso, he does not consider the problems that such a distinction may create within modal syllogistic.' His exposition of modal logic is intentionally simplified for didactic reasons; after having expanded modal conversions, Javelli adds: that would be enough for now, lest you get confused, young man (hæc pro nunc sufficiant ne tu iuvenis confundaris. The tendency to simplify the core notions of medieval logic brings sometimes  G. to modify significantly these doctrines, as is the case in his supposition theory. Medieval authors did not understand the theory of suppositio as a mere theory of reference, but as a theory of meaning, namely as a theory for interpreting sentences. G., on the contrary, seems to consistently maintain that the supposition theory is what we would nowadays call a theory of reference."  According to him,  the supposition is said to be the positing of a term instead of another, i.e. instead of one of its meanings. In this sense, we say that in this utterance 'God is good', the   It is perhaps worth mentioning that such an interpretation has gained an increasing consensus among contemporary scholars: cf. Thom, The Logic of Essentialism: An Interpretation of Aristotle's Modal Syllogistic, Kluwer, Dordrecht The New Synthese Historical Library: Texts and Studies in the History of Philosophy); MALINK, Aristotle's Modal Syllogistic, Harvard, Cambridge, MA The laws of conversions for necessity propositions are valid de sensu composito; mixed necessity syllogisms (like Barbara LXL) are valid only if the modal operator is read de sensu diviso. This seems to suggest that Aristotle's modal logic is inconsistent. G., however, seems not to be aware of this philosophical problem. His exposition of the distinction between de sensu composito and de sensu diviso is as follows: « in modali de sensu composito modus aut praeponitur aut postponitur toti dicto [...], in modali autem de sensu diviso modus nec praeponitur nec postponitur dicto, sed  95  mediat inter partes dicti. G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ According to NOVAES, suppositio provides mechanic rules, by means of which we can list all possible interpretations of an ambiguous sentence. The theory of the suppositio may also serve the purpose of finding the references of the elements of a sentence in certain context; writing about Ockham, Novaes observes that supposition theory is better seen as a theory of propositional meaning in the sense that one of its main purposes is to provide an analytical procedure for determining what can be asserted by means of a given proposition - a procedure including, but by no means limited to, the determination of the entities that the proposition may be about, i.e., its possible supposita, as it would be the case if it were a theory of reference (An Intensional Interpretation of Ockham's Theory of Supposition, Journal of the History of Philosophy, Geach presented supposition theory as a theory of reference in his classical monograph  Reference and Generality. An Examination of Some Medieval and Modern Theories, Cornell, Ithaca, NY Contemporary Philosophy] term 'God' stands for its meaning, so that the sense is: what is signified by 'God' is good.'8  Javelli relies on the definitions of suppositio provided by Peter of Spain and by MANTOVA (si veda), but in his view the supposition theory is a theory of reference:  A substantive term in or outside a proposition, taken in itself, has a meaning, but it has a reference (non supponit) only in a proposition. To make this clear, note that 'to signify' precedes to have a reference For to signify is to introduce a term or a sound to represent a given something. As a consequence, it is up to the first authors who give names to things to make it possible to signify. To have a reference is to take an already given meaningful term so that it can refer to any of its meanings or references in a proposition. 10°  According to Javelli, 'supponit' may be translated with 'refers to a suppositum. G. is faced with two alternative interpretations of the suppositio. But surprisingly, he endorses the one that is more at odds with his understanding of suppositio as a theory of reference. G.  writes that Thomists are debating among them as to whether a term can suppose (supponere) only in a proposition or also in itself. G. maintains that a term supponit only in a proposition - a conclusion that is certainly more consistent with an understanding of supposition theory as a theory of meaning, 'G. points out that this debate originated from the interpretation of AQUINO (si veda), Summa Theologiæ. G. summarises AQUINO (si veda)’s position as it follows. In his answer to the third never refers to a person, unless the word is determined by its corresponding predicate, such as in 'God  TAVELLUS. Compendium logicæ, dicitur suppositio positio termini pro alio, id est, pro aliquo SVO SIGNIFICATO.In quo sensu dicimus quod in hac oratione Deus est bonus, ly Deus ponitur PRO SUO SIGNFIICATO, ut sit sensus, id quod significatur per 'Deus' est bonum -- terminus substantivus in propositione et extra propositionem per se sumptus SIGNIFICAT, sed non supponit nisi in propositione. Pro cuius notitia adverte quod SIGNIFICARE precedit supponere. Nam SIGNIFICARE est imponere terminum sive vocem ad aliquid certi REPRESENTANDVM. Unde facere significare spectat ad primos authores qui rebus nomina imponunt. Supponere autem est accipere terminum iam impositum ad significandum ut stet in propositione pro aliquo suo significato vel supposito generates, God is Father, God is Son. Hence  means (significet) a substance with a quality, a name properly means (significat) a quality, i.e. the form on the basis of which the name is attributed;  however refers to (supponit) a substance, i.e. to the thing to which such name is attributed. This leads Capreolus to maintain that this  is false: God does not generate God (ista est falsa Deus non generat Deum). 104  If we were to follow G.’s view, it is possible, I think, to maintain that a proposition like Deus non generat Deum may also be TRUE, inasmuch as the term Deus in this context may be taken to refer not to a person. Consequently, it would be true to say that god, qua trinity, does not generate god, qua trinity. This example shows that G. has original ideas, even though he never wants to explicitly detach himself to the core tenets of that Thomistic school to which he belonged. -- in responsione ad tertium dicit quod homo per se supponit pro persona, Deus autem per se supponit pro natura. Plostquam beatus AQUINO (si veda) dixerat quod Deus supponit per se pro natura, statim declarans huiusmodi suppositionem format hanc suppositionem, ut cum dicitur Deus creat. Numquam autem supponit pro persona, nisi determinetur per predicatum relativum, ut Deus generat, Deus est pater, Deus est filius, ergo Deus non ex se, sed respectu talis praedicati supponit pro persona Capreoli Tholosani OP Thomistarum Principis Defensiones Theologiae Divi AQUINO (si veda), ed. CESLAS PABAN, THOMAS PÈGUES, Cattier, Touronibus -- nomen, licet significet substantiam cum qualitate, proprie tamen significat qualitatem, hoc est formam a qua nomen imponitur; supponit vero pro substantia, hoc est pro re cui imponitur tale nomen According to the Catholic dogma, it is God the Father who generates God the Son. In other words, if we assume that the term Deus supponit pro persona independently (and, hence, in every context), it follows that a proposition like God does not generate God should be FALSE. The sections on syllogistic are the less original parts of G.’s treatise. Geli — Rossi modum definiendi, dividendo et demonstrandi, Tu tamen adverce licet fiteadem realiter, ratione tamen distingui turinquantu docens, et inquantu utens. Namin quantu docens consideratur in e, in quantu utens relpicit alias scientia. Logica docens sufficienter  diuiditur  in tres partes. Prima est in qua tradatur de terminis  in complexis, et hoc ditiiditur in duas. In prima consideratur de terminis secundo intentionis, et iste  est liber  praedicabilium. In secunda consideratur de terminis primx intentionis, et iste est liber praedicamentorum, et post  praedicamentorum. Secunda est in  qua tradatur de terminis  complexis, id est  de oratione et propositione et hic est  liber “Peri Hermenias”. III est in qua tradatur de argumentatione et hoc dividitur in quatuor. In  prima agitur de argumentatione syllogistica absoluta et simplici, idesi noh applicata alicui  materiae  et hic est  liber  pnorunviln secunda  agitur  de  syllogismo demonstratiuo, et hic est liber posteriorum. In tertia agitur de syllogifmo topico, id est probabili,  flthic  eft liber topicorum. In quarta agitur de syllogismo fallaci, quem dicimus sophisticum, co  q* per ipsum solum  gc iteratur deceptio, et hic est liber elenchorum. Hoc est summa librorum,  quos tradidit nobis LIZIO inventor logicæ. Reliquos autem minores tradarus quos appellamus parva logicalia, non habemus formaliter ab LIZIO. Sed posteriores traxerunt virtualiter ex praedictis libris LIZIO, ita  us  tradare  de  gtib9oronis, deinde  de oratide  et cmltiatione, sicut etiam tradat grammaticus modo grammatico et socundo loco tradabimus de syllogismo formali et tertio loco de  prædicabilibus, et quarto loco de praedicamentis. Nam abfqj notitia propositionis et syllogismi, n “Quida homo non currit.” Praepositiones (“to”) aurem determinant nomen ad constructionem  pro cerro  casu,  puta  ablativo  ucl  accusative. Adverbia  determinant  verbum  f>ro  determinato Io  co, ut adverbia  localia, vel pro determinaro tempore,  ut  adverbia temporis, vel  pro  determinato  modo  quantitatis ucl qualitatis tut adverbia quantitatis et qualitatis. Coniunctiones (‘and,’ ‘or’) autem  determinant  terminos et orationes, secundum,  modum copularivum (‘and’), vel disjuinctivum  (‘or’) vel  illatiuum.  exeplum  primi,  “et” , arcp  exemplum secundi,  “vel,”  “aut” , exemplu  tertii, “ergo,” igitur, iracp.  Inter syncategorematicos  terminos non comprehenduntur intejectiones (“ouch!”) : quoniam  ut  docuimus signficant  NATURALITER, nec pronomina primitiva, quoniam sumuntur loco proprii nominis et certam significant personam. De derivativis autem videtur quod sic,  quem sunt  ut  determinationes  nominum  substantivum - ut  “meus liber”, “tuus pater”, “nostra patria,” etc. Similirer  participium  ji5 eft terminus syncategorematicus, compleditur  enim  nomen substantiuum et verbum -- ut “legens”  loquiTUni» ‘homo qui  legit’ loquitur. Ex  his  omnibus  sequitur, quod  cum sine odo  partes orationis, tantum  nomen  et verbum sumendo cum nomine pronomen  primitivum, et cum verbo  participium, sunt  termini  categorematici,  alix  autem partes sine termini syncaregorematici apud logicum, et caulam huius dicemus postquod definierimus nomen et uerbum. Terminorum categorematicorum quidam eft  primat intentionis, quidam secundae. Prima  intentio apud veros peripateticos (LIZIO) est primus conceptus fundatus immediate in re, quod est ens reale, ut  primo  apprathenditur  prxhenditur  ab  intellectu, -- ut  ‘animal  rationale’ est  prima  intentio quam format intellectus, et immediate  fundatur, iit natura  hominis. Secunda  aurem intentio  est  secundus  conccprus formamus ab intellectu, fundatus in re non immedia ce sed mediante primo conceptu, ut esse praedicabile  de pluribus differentibus numero in quid, est secundus conceptus quem format inrellectus de homine. Nam  postquam  appraehendit cp  ‘homo’  est  “animal rationale”, advertit ut est ‘animal rationale’, convenit omni contento sub homine, et sic est praedicabilis  de quolibet suo individuo  in quid, et tunc  format secundum conceptum, dicens quod natura hominis  e eo  quod est ‘animal  rationale’ est prædicabilis de pluribus differentibus numero in quid et quod dico de homine incellige de qualibet natura specifica contenta sub animali. Terminus igitur primis intentionis est terminus significans  primum conceptum, fundatum  immediate  in  essentia  rei -- ut  “homo”, “capra”, “leo”. Terminus autem secunda intentionis  est  terminus significans secundu conceptum  fundatu  in  natura  rei  median  re pmo conceptu -- ut  “genus”,  “species”, “differentia”, “singular”, etc; Et ne confundatur intellectus novitii hic sisto. In tradaru  aute de universalibus sive praedicabilibus diffusius et altius de terminis pmx, et feciidx INTENTIONIS loquemur. Et aduerte quod  divisio termini in terminos  pmz  impositionis, et  secundo  positionis  apud  nos, qui  sequimur  VIAM REALIUM non  differt  a praecedenti. Nam  “homo” in  mente vel anima excogitatus, et voce  probatus, et in scripto  politus,  significat (>mum conceptum ideo est terminus pmz  intentionis in mente vel anima, in voce, in scripto. Et  iste terminus species ex cogitatus in mente vel anima et in voce et in  scripto et secundæ  intentionis, quia significat secundum  conceptum  modo  quo diximus. Non ergo est necesse ultra divisionem faftam inter terminos f>mx, 8( secundae  intentionis, assignare eam quæ dicitur pmz, et secundx imtentionis ut penitus distinctam aprxcedenti, qux fuit inter m x, et secundx  intentionis. Hoc enim continetur  in illa. Terminorum quidam cfimunis, quidam  singularis. Cdmunis  est  q de pluribus  pradicatur -- ut  “homo”, “animal”, “lapis”, et apud  grammaticum  dicitur  nomen  appellativum, quem pluribus  convenit. Terminus singularis  est  qui  de  uno  solo prædicatur -- ut  piato, et fortes, et apud  grammaticum dicitur nomen proprium (“Fido”), qmuui  foli  conuenk,  & ad  «erte alternas, ut  qndiuiditeorpus  p alata  et inaiatu, et aiatu  per  fenfitiuu  St  no  (cnfitiuu, fecundo  gnis  in  spes  spalissimas, uc  qii  dividitur color per albedinem et nigrcdinem. Et hac divisionem cognosces in trac. de praedicabilibus. Diuivio totius in gtes  fkqncp  modis, pmo qntotu dividif in ptes fubicdiuas individuales, ut qn dividit ho  in forte Pia Ioanne. Pecru, etc. Scdo qn totu dividitur in partes eflcntia  lcs, uc ens naturale compositu dividif in materia et forma, sicut  dividit  homo in  animam et corpus, III qn dividitur totu co tinuuin partes suas intcgralcs, ut  domus  in  fundametum, tc»  dii, et  pariete, et corpus animalis in partes, qufe sunt membra sua, ex qbus  integrat  corpus, IV qn dividitur totu dito tinuu in partes fiias, inter quas  & fi  no fit  continuitas est rame  ordo  et proportio. Hoc rao dividif  EXERCITVS in  mtlitcs, cqtcs  peditcs, 8(c. quinto qn diuidif totu poretialc fiue poteftariufi  in partes  fuas  poreftatiuas  qn  diuiditur  anima  per  potentias  suas  et virtutes  suas, ut tibi manifeftabitur  i libro  de anima,  et ifra  manifestabimus tibi in libro  de syllogismo Topico Divisio  uo cis  in sua significata sit  tribus modis  primo  vocis univoce in significata univoce, ut  qn dividif ho in fortem et platone  etc, secundo vocis aequivoce  in  significata  aequi-vocata, -ut  qn  diuiditur “cancer” in  ftclla  fiue  signum  cæleste,  et aquaticum  aial, et  morbum, III vocis  analogicæ  in significata  analogata, ut  qti  diuiditur “sanu”, iu  alal  (anu, urina  lana, medicinam sanam, cibum sanum, aercm sanum, excretum sanum, et cetera Et  hanc divisione cognofccs in trac. de pntis.; Divisio secudu  accidens sic tribus modis, primo subiecti  in  accidentia, ut  holum  alius  parvus, alitis  magnus 1  alius  albus, alius  niger,  alius  medio  colore coloratus, (c3o  accidentis!in  subiecta, ut  accidentifi, quæ sunt  m hoie, aliud  in  aia, ut  seia, aliud  in  corpore,  ut  agilitas  etc. tertio accidentis  in  accidentia, ut accidcntiu, quarda  dura, quaedam  liquida, qnada  lucida, quaedam  tenebrosa, et hxc divisio  manifestabit tibi in philosophia naturali et præcipue in libro de generatione. Ifti  igitur sunt  iqodi  univerfales  famofiores  apud  Aristotelem, quibus  fieri  confutuit  divisio. Quantum  ad  pmam  divifionem, quac  est  per affirmatiua et negatiuam aduerre, quod  affirmatiua  dupfr  definitur, pmo  fic, categorica affirmatiua  est. ppofirio in qua praedicatum affirmatur de subiefto: -- ut: Homo est albus. Sed  adverte cj» tuc  praedicatu  affirmatur  de subiectc  quando negatio  no  p  cedit  copula, q?  fi  praecedit negatio, negatur pdicatum de subiecto, et efficitur  negariva – ut hic  “Socrates non  est  albus.” Si  au tem  fiib fequitur  no  efficitur  negatiua, sed permanet affirmativa,-- ut: Homo  est  no  albus.  Ire  adverte  «p  alio  modo  affirma! pdicatum  de  fubiecto  in  affirmatiua  uera  & in  falsa,  na  in  vera  affirmatur  re  et voce  quia sic est in  re, sicut  dr, ut homo re et uoce est risibilis. In falsa atite affirmatur voce  tm  et non  re. Nam licet dicam q» Homo est asinus tarhe non sic est in re, secundo definitur sic. Affirmatiua est in qua verbum principale affirmatur de subiecto, ut Homo est animal. Dr in qua nerbum principale affirmatur ad differentiam verbi secundarii qtiod si negattir vel affirmatur, propter ipsum non sit  propositio  affirmativa  nec  negativa. Vnde ista non est negativa. SOCRATE CICERONE CATONE qui  non  currit, mouetur, nec  ista  eft  affirmatiua, Socrates, qui  currit, non  movetur. Nam  In  prima  licet  uerbum secundarium, quod est, currit, negetur, tamen principale quod est movetur, affirmatur, ideo  permanet  affirmatiua. In IccQda  autem  fit  oppofito  modo,  ideo  permanet  negatiava. Et ratio huius est, quia ticrbii secundarium fe tenet  a parte subiecti, q3 paret  refoluedo  in  fuu  participiu  fiuc aftiuum siue pasfiuu, ut  hic. SOCRATE CICERONE CATONE qui non currit, ideft. Socrates a9 non carrcns mouccur, SOCRATE CICERONE CATONE qui currit, id est Socrates curreni  non mouerur: Subiectum autem coniunctum participio affirmatiuo negatiuo no  facit propositionem dic affirmatius  ucl  ncgariuam, tcd  negatio cadens fuper uerbum principale fiue immediate, ut quando lubfequitur  fubiedum, ut  “homo  non  est  afinus”, sive  mediate, ut Non  homo est  animal, dum  modo  fumatur  negatio  negans, et no  infinitam  terminum,  cui opponitur, nam si  infinitarer, non  faceret  negativam. Vnde  lixc  non  clt  negative. “Non homo currit”, qm ly non homo clt nomen infinitum, etc. Vnde non homo curru,  xquippollet  ifti, afinus qui ft no homo currit. Coftat aut hanc elfe affirmatiua Patet igitur quid fit categorica aftirmatiua. Categorica negatiua dupliciter definitur. Primo sic, categorica negativa est propositio in qua prædicatum negatur de suo subiecto, auc homo non est lapis. Secundo sic, est propoaitio in qua verbum principale negatur . Dicitur verbum principale ad differentiam verbi secundarii, quod ut docuimus sive affirmetur sive negetur, non facit propositionem  affir. aut  nega. Et aduertc, quod  propofitio  poreft  fieri  afflr.  vel  nega. dupliciter scilicet explicite et IMPLICITE. Si  explicite, sit  per  nomen et verbum indicativi  modi, ut homo est risibilis. SIIMPLICITE potest fieri per unicum terminu, ut quando dicimus, homo est risibilis, et e converso, ly  e converso  aequippollet  uni  propositioni, qux  elf  hxc, et  risibile  est  homo. Item aduerte quod divisio per afflrmativam et negativam non foium convenit categoricæ sed etiam hyporheticæ et moduli, quomodo autem fiat hypothetica affirmativa et ne gar. similirer  modal s, dicemus agentes de eis. Nunc autem fuftine, ne confundaris ut nouus AVDITOR (Grice, RECIPIENT). Hxc de prima divisione di&afint Quantum ad secundam divisionem categorica:  fciliccc per veram et falsam, aduerte quod cartgorica vera, tam affirmatiua quam negatiua dupliciter definitur. Primo sic, vera est, qua: significat  verum  id est significar rem sicut  est,  si est affirmatiua, vel significat rem sicut non est, si est negatiua. Sed de hac latis  diximus  in  ca. præcedenti  in  dedaranlo  definitionem  propositionis secundo autem  fir defiintur. Vera est illa, cuius SIGNIFICATVM PRIMARIVM EST VERVM. SIGNIFICATVM autem PRIMARIVM est illud quod exprimitur p oro nem infinitiuam. Verbi gratia hxc eft ucra Deus eft bonus qm deum clfc bonum, est verum. Sic.n. eft in re. Dico cuius primarium significatum est uerum ad differentiam secunda  rii. secundarium autem eft quod continetur in primario 8c fcquitur ad illud. Verbi gracia primarium huius, homo est rationalis, eft eftc rationalem ad hoc autem fcquitur  cfte  ani  mal, esse  animatum, ede  corpus  efie  subie&am.  luxta  igitur SIGNIFICATVM PRIMARIVM et fccundarium  indicanda  eft  propofirio  uera,qm  cft  ucra  primo  et per  fe  ex  eo, ex fccundario autem est tantum confequenrcr. Nam bene sequitur qcf “Si fortes est homo, fortes est animal.” sed  non  ceonuerfb, ut  declarabimus in  trac. dc  confequentiis. Similiter falsa dupliciter definitur. Primo sic, falfi est qux  aliter significat quam fit in  re, ut  hxc  cft  falsa, Homo est  ansinus, quia SIGNIFICAT hominem esse asinum, et tamen aliter est  rn  re, quia  in  re  no  est  asinus, sed homo sive  rationalis, et de  hac  definitione  iam  diximus  in  cap. præcedentiin  definitione propositionis. Sccundo sic, falsa  est illa cuius primarum significatum est falsum. Verbi  gratia  hæc  est  falsa  “Homo  est  asinus”, quia  holem  esse asinum  est falsum, cu sic ronalis, et  asinus  irratroalis. Quod si fiereciudicium secundu SECVNDARIVM SIGNIFICATVM (IMPLICATVRA), quod est dfe animal, effet  vera. Nam  hxc  est, vera homo est animal  v non  tamen  sequitur, ergo est afinns, ut  declarabitur tibi  in  trac. De consequentiis Hxc de fecunda diuifioncdiftafint, Quantum ad tertiam divisionem scilicet quod aliqua est  alicuius qiiamicari$, aIiquanulliu$. Alicuius quantitatis eft illa, cuius subiectum ftat pro aliquo ucl pro aliquibus vel pro omnibus vel pro nullo, ut declarabitur in diuifione sequenti. Nullius quantitatis eft illa cuius subiectum suspenditur a propria denoiationc, ronc, pbationis termini prxcedetis ipIum quails est exclusiva exceciua reduplicativa, de quaif , p- Satiqne aprietates: ut est RISIBILITAS in homine, PAR et impar in NUMERO, curvum et RECTVM in linea, sumum calorem in igne lite nancg faciunt propositionem in materia naturali. Quid ne. ro sit fluere apneipiis specjci declarabitur tibi in trac. de prædicabilibus in cap. de proprio et accidente. Illæ vero fiunt in materia remota, in quibus prædicatum non potest verificari de subiecto, Imo  id  inuicero repugnant. Istæ autem sunt in quibus subiectum et prædicatum sunt opposita contraria vel contradidoria vel  privative ucl relative  opposita. Exempla: Album  est nigrum. Homo est non homo.  Caecus est videns. Pater  est  filius. Et  aducrte, q?  dicuntur  fieri  i|i  materia  remota,  scilicet  repugnanti, qm natur subiedi&i prædicatiin oibus p didis repugnant adinuioem, nec se compatiuntur. Inde est q1 omnis affirmatiua in materia remota ferng et de neccsfiUtate est falsa, negatiua autem femg  et immutabiliter ucra. In materia vero naturali est opposito modo. Nam affirmariva femg  est  vera, negatiua fepig falfcM  Jn nuter cotingeti? 4 est medio m6, qm  tam affirma,  q nega,  aliqn e vera aliqn falsa, nam qn prædicatum inest liibiedio, affirmatiua est vera, negativa falsa, qn prædicatum  removetur, affirmativa est falsa, negariva est vera. Hoc de VII diuifione difta fint. Quantum ad oAauam  divisionem, quae fuit haec, Propositionum categoricarum participatium utroqj termino eodem ordine triplici materia.Cnaturali contingenti et remota adverte, quod inter eas sit quatruplexoppositio: contraria sub-contraria, CONTRADICTORIA, ubalterna. Oppositio contraria sit inter eas quarum una est universalis affirmatiua et altera universalis negatiua, de eifdcm subietlis et prædicatis univoce et æque ample et aeque strictca cceptis. Primo df quarum una est universalis et cetera. Nam ut distinguantur a contradictoriis, debent esse eiufdem quantitatis et diverfae qualitatis. Si eiufdem quatitatis, ergo utraqj est universalis vel particularis, non secundum quia non essent contrariae sed subcontrariae. Ut dicetur infra ergo primum. Si, DIVERSÆ QVALITATIS, ergo i&fca est affirmativa et altera negativa. Secundo dr de ei (dem subiectis et prædicatis: uc ois homol albus, nullus homo est albus, et dcfeftu huius iftaeduae non funt contrariae ois homo est albus, nullum rifibilc est albus. Tu tn  aduerte  quod subiectum et prædicatum  pnt  esse  idem  tripliciter, pmo  fm vocem  tm  et non  fm  SIGNATVM, secundo  t m. SIGNATVM tm et non  fm vocem, tertio fm vocem et SECVNDVM SIGNIFICATVM. Exempla: Omnis canis  latrat: nullus canis latrat. Omnis homo currit, nullum  ronale  currit. Omnis  homo est alal  nullus homo est  alaU Prima identitas non sufficit  ad contrarietatem,  ideo  dicitur  in  definitione, acceptis UNIVOCE, constat aut quod canis est TERMINVS ÆQUIVOCVS; aut sufficit ad contrarietatem virtuale seu  ÆQVIVALENTE sed  no  ad  formalem; vero sufficit ad contratietate  proprie dicta et formale [CF. H. P. GRICE, DICTIVE MEANING AND FORMAILITY – as candidates for EXPLICITVM – why not both, as in J.?] , unde licet iftx duæ, “Omnis homo currit, nullu rationale currit, sint  cotrariæ virtualiter eo q SECVNDVM SIGNIFICATVM homo et rationale fune idem non tamen forma\itct, qm formaliter non participat E ii utroqj termino secundum vocem et SECVNDVM SIGNIFICATM. III  dicitur aeque ample &aeque ftrufie acceptis. Dcfe du huius apud multos istae dux non sunt contrarie. Omnis homo est animal, nullus homo est animal, quoniam in prima potest teneri tam pro masculis quam pro femminis; in secunda SOLVM PRO MASCVLIS. Tu tn adverte,  quod secundum usum i utracp accipi confucuit pro MASCVLIS  ideo  acceptantur: ut ue rz contrariZj Item defedu huius istæ dux non sunt contrariæ. Omnis homo EST albus, Nullus homo FVIT albus, quia in prima reftringitur  ad præsentes, in secunda autem ampliatur ad przfentcs vel  præreritos. Sed pronunc fuftinc, donec pertrademus de AMPLIAZIONI et APPELLAZIONI. Tu tn adverte, quod prxdldx non sunt contrariæ non solum ronc di da, sed quia copula non tenetur eodem modo in prima set secunda. Nam in prima est ly est, in  secunda  est  ly FVIT. Unde in  definitione  intelligendum est q' contrarix  debent  c(Te  de  ctfdem subicdis  et prædicatis  et copulis. Hoc  de  contrariis  dida  fint. Oppositio contradictoria est inter eas, quarum  una cft  viis affirmatiua, altera  particularis negativa, ut  Omnis  homo est animal, Quidam homo non est  animal, uei altera est vfis negatiua, et altera particularis affirmatiua, ut Nullus homo currit, Quidam homo currit, dccifdcm subicdis  et pdicatis et copulis, uniuocc  et zque  ample, et xque  ftride acceptis. Omnia debent intclligi sicut expofitum  est  de  contrariis. Ut  autem  habeas  maiorem  noticiamdc contradidione  adverte  ex  doctrina LIZIO, quatuor condidioncs requirit, et defedu cuiullibct carum enitatur contradictoria oppositio. Prima est quod sit affirmatio eiufdem de eodem et negatio, dummodo sumatur idem secundum rem et vocem, ut “Socrates currit”, “Socrates non currit”. Defedu cuius ista apud logicu non sunt contradictoria formaliter sed virtualiter sive equipollenter tantum ex parte rei. “CICERONE currit”, “MARCO non currit”, posito enim quod sint sinonima ex parte significati quia ide homo didus est MARCO et CICERONE, tame distinguuntur voce icas isb ffffi futc: ctu  OOP   uiJ'   ipl   lo  Taa   jnci  u$  yra (Tei. t& il* ra^ jsi» iC30  is. io»  srt-   t& itio, Sa ? t V V^lArii*  Jj; ii .I' d appdlationibus J IX de consequentiis. X de probationibus terminorum. Vndeamus de syllogismo demonstrativo, in quo quo continetur LIZIO docrina in lib. poster. Qjia E Gmma recenti hac nostra editione uiligentissime, exposita fiint, atque elaborate, Grice: “For all their subtleties I lizii, or peripatetic logicians never cared about formulation. Consider G.: the dog barks, anger is represented, ‘canis latrat raepresentatur ira, gemitus infirums raepresentatur dolor. No care is taken to represent the proper signification. It is still the ‘anima’ if the vegetative one, it is still the dog’s spirit. If the dog barks, he means that he is angry. If the infirm moans he means he is in pain, and so on.” Grice: “Javelli is one of the most careful Italian philosophers. He had a fascination for two little tracts by Aristotle towards which I also felt an attraction: De Interpretatione and Categories. His comments on De Interpretatione are brilliant in that he reduces all to ‘re-presentare’. The infirmus who groans or moans represents ‘dolor’. The dog that barks represents ‘anger’. These are ‘signs’ of the natural kind – and rather than dark clouds meaning rain he is into ‘phone’ – vox – here it is vox signifying that p or q naturaliter. (my example of groaning of pain). From there he jumps to the institutional meaning, ad placitum, ex decreto et authoritate – e consuetudine, -- a system which superseds the previous one. Giovanni Crisostomo Javelli. Iavelli. Giavelli. Javelli. Keywords: implicatura, grammatica razionale, psicologia razionale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giavelli” – The Swimming-Pool Library. Giavelli.

 

Grice e Gigli Filosofo.  Grice: “I like Gigli”. Gigli. Una nuova approfondita trattazione intorno alle teorie del linguaggio appare nel 1817, quando Mariano Gigli pubblicò a Milano La Metafisica del linguaggio. Scienza nuova anche ai dotti e pei soli di buon senso, nata come premessa all'elaborazione di una lingua universale.    Mariano Gigli, nato a Recanati nel 1782, fu professore di geometria, algebra e scienze naturali presso numerose  università italiane.  .Così si legge infatti nelle prime pagine: «Mi occupavo d'un Progetto di Lingua Universale pei Dotti |...]. Mi avviddi però, che le mie teorie si appoggiavano a dei Principj di Lingua poco o nulla generalmente conosciuti, perché nessuno ebbe mai la sofferenza di meditarli. Quindi lasciato il primo, mi occupai di questo secondo Lavoro:  E così ebbe origine la presente Metafisica del Linguaggio»MARIANO GIGLI, La Metafisica del Linguaggio. Scienza nuova anche ai dotti e pei soli di buon senso, Milano, presso  Francesco Fusi, 1817, pp. 5-6.. Immaginato come prodromo di un'opera sulla lingua universale, Gigli discerne e determina tutte le parti del discorso, e ne giustifica la natura in ottica filosofica. Sul finire di questa prima opera accenna alla Lingua pei  Dotti e cosi la definisce:Lingua Universale pei Dotti chiamo una Lingua, che può colla massima facilità essere scritta parlata ed intesa da tutte le Persone Colte di qualunque Clima e Nazione; una Lingua, che può sola bastare al disimpegno di tutte le Relazioni scientifiche politiche commerciali ec. con qualunque civilizata  Contrada del Globo; una Lingua infine, in cui dovrebbe scriversi e tradursi quanto può essenzialmente interessare l'intera Umanità o più Popoli  almeno.68Gigli sceglie di utilizzare per la sua lingua universale «i Caratteri, la Pronunzia e le Radici delle Parole» francesi, cioè della lingua più conosciuta tra gli eruditi dell'epoca, riservandosi comunque la possibilità di modificarne alcune parti. Nel discorso preliminare alla seconda sua opera, Lingua filosofico-universale pei dotti preceduta dalla analisi del linguaggio, pubblicata a Milano nel 1818, Gigli precisa che nel suo pensiero "parole" sono quei segni che rappresentano le idee e cheil suo scritto e le sue riflessioni sono da applicarsi alle idee e che solo per comodità e facilità di spiegazione/apprendimento alle volte è stato associato un carattere, un segno alle idee stesse.  Sono piuttosto evidenti i richiami a Beauzée e alla Grammaire di Port-Royal, da cui soprattutto riprende le riflessioni che sono alla base della sua ideologia:  le Lingue usate |...) ànno tutte un fondo comune; vale a dire ànno comune ciò che forma l'assoluta essenza del linguaggio, considerato come semplice effetto naturale. Diverse Convenzioni possono sulla superficie del Globo esprimere le stesse Idee con suoni diversi e con diverso ordine dispositivo (...) Ma le mere stesse Idee su qualunque punto del Tempo e del Globo avranno sempre la stessa naturale espressione. BICE GARAVELLI MORTARA, «L'Analisi del linguaggio di M. Gigli», in Teoria e storia degli studi linguistici. Atti del settimo convegno internazionale di studi, a cura di Ugo Vignuzzi, Giulianella Ruggiero, Raffaele Simone, Roma, Bulzoni, 1975, p.  251. Nicolas Beauzée redasse, assieme a César Chesneau du Marais, le voci linguistiche dell'Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (1751-1772), opera che si configura come «tentativo di sintesi tra l'orientamento logicizzante della classica grammatica generale francese e quello empiristico derivato da Locke attraverso Condillac» [RAFFELE SIMONE, op. cit., p. 381]. La Grammaire générale et raisonnée contenant les fondemens de l'art de parler, expliqués d'une manière claire et naturelle di Antoine Arnauld e Claude Lancelot, assieme alla Logique - opera di approfondimento e supporto argomentativo - pubblicata qualche anno più tardi, costituisce forse l'opera più importante nel panorama seicentesco sulle trattazioni linguistiche e sul ragionamento filosofico intorno al problema della lingua. Punto cardine del pensiero di Port-Royal è l'esistenza di una grammatica generale che tenta «di identificare i caratteri propri di tutte le lingue, trascurando quelli specifici di ciascuna» |Ivi, p. 333] e che deve essere anche ragionata «non solo perché dedotta razionalmente da taluni principi filosofici fondamentali, ma anche perché mirante a riconoscere il modo in cui la ragione si riflette nel linguaggio e quelli per cui, viceversa, il linguaggio  se ne distacca» [Ibidem].70La lingua universale si configura come una lingua filosofica a cui viene donata una forma concreta solo per facilitarne l'esposizione e che, a differenza di altre lingue universali, non accetta le consuete partizioni delle grammatiche, ma preferisce sostituirvi una «terminologia logicizzante che solo occasionalmente utilizza il protocollo della grammatica empirica»." Eccone i punti fondamentali.Le seguenti informazioni e immagini sono tratte da MARIANO GIGLI, Lingua filosofico-universale pei dotti preceduta dalla analisi del linguaggio, Milano, Società Tipografica de' Classici Italiani, 1818, pp. 209-272.suoni e la pronuncia  I segni vocalici, così come i suoni, si distinguono in orali e gutturali («a, e, i, o, u»); a questi segni gutturali semplici può essere aggiunto un accento che indichi che la voce deve concentrarsi su di quel suono; ai quattro segni gutturali «a, e, o, u» si possono sovrapporre e sottoporre un puntino, che equivale al suono «i» e indica il dittongo; se il punto è sovrapposto, allora il dittongo è discendente («ai, ei, oi, ui»); se il punto è sottoposto il dittongo è ascendente («ia, ie, io, iu»); il suono dittongale «i» si converte nel suono «y» nel caso in cui ai dittonghi sia preceduto o successo un altro suono gutturale (trittongo); il mutamento deve avvenire esclusivamente nella pronuncia.Per quanto riguarda i suoni vocalici, la lingua immaginata da Gigli è perciò composta di diciotto segni, di cui dieci semplici (cinque brevi - senza accento - e cinque lunghi - con accento -) e otto composti, tutti lunghi.  I segni consonantici si dividono in sei istantanei («b, p, d, t, x, g») e undici prolungabili («m, n, f, 1, I, s, V, z, j, c, y»); «b, p, d, t» e «m, n, f, 1, I, s, V, z» si pronunciano come in francese, i restanti al modo seguente: «x» [k], «g» [gl, «j» [3], «с» |Л, «y» [i]; i segni consonantici fin qui esposti possono divenire forzati qualora la loro pronuncia venga raddoppiata e il loro segno duplicato (es. «ll, bb, ri, ri» ecc.);9. vi sono poi dei segni composti, ovvero: lo],  门];  10. è presente anche il carattere «h» che però non corrisponde a nessun suono.  I suoni consonantici sono allora venti, di cui diciassette semplici e tre composti. Per Nominarli è sufficiente aggiungere a ciascuno la vocale (o segno gutturale) [e] di modo da avere «b» [be], «p»  [pe], «d» [de], ecc.caratteri  I caratteri sono del tutto simili a quelli del francese corsivo, salvo le modificazioni sopra riportate.  Le lettere maiuscole  Le lettere maiuscole sono identiche alle minuscole nella forma, ma maggiori nella dimensione  (come in «Loma»). Si usano solo all'inizio di frase o quando si esprimono Oggetti determinati -  come i nomi propri - o qualche loro Derivazione (es. Toma - Lomano).Le sillabe e gli accenti  Le sillabe sono tutte aperte, cioè terminano necessariamente con suoni gutturali (vocali), ad eccezione delle ultime che possono terminare con suoni consonantici. Le parole sono tronche nel caso in cui terminino con un suono vocalico lungo, altrimenti sono piane; quindi non vi può essere accento principale su sillaba che non termini in vocale.  I numeri  I numeri da O a 9 si indicano con «ze, na, vu, tre, fe, fi, xe, la, to, no». Per numeri superiori al nove è sufficiente giustapporre in modo sequenziale i singoli numeri (es. 19 = 1+9 = «na» + «no» = «nano»). Per i numeri che come in italiano richiedono l'uso del 'cento' e 'mille' si usino le parole «navuze» (lett. 'uno-due-zero' > 1-00 > 100) e «natreze» ('uno-tre-zero' > 1-000 > 1000) unite  agli altri numeri (es. 1234 > «natreze vu navuze trefe»).Il numero  Si usano i simboli « Z » - che per comodità trascriveremo con «I» - per esprimere singole quantità e « U» - qui trascritto «U» - per esprimere pluralità (es. 'il padre' « & pero», i padri « U pero»). In questo modo i nomi e i pronomi possono godere della caratteristica dell'invariabilità, che concorre sicuramente alla semplificazione del linguaggio. Il simbolo che esprime il numero è da omettere se ciò che si vuole esprimere è per sua natura singolo o molteplice.Il genere  Per gli oggetti neutri non v'è bisogno di alcun segno e per neutri si intendono tutti quegli oggetti o concetti che naturalmente mancano del genere. Per i referenti che hanno un genere è necessario che vengano preceduti dal loro Nome generico, cioè il nome che qualifica tutti gli appartenenti a  una stessa specie.  Negli elementi della lingua che esprimono sesso maschile è sufficiente indicare il Nome Generico, che quindi esprime ugualmente l'Oggetto in genere o l'Oggetto maschile in particolare («omno» significherà 'uomo' tanto nel genere - essere umano generale - quanto nel suo essere maschile in particolare).Per esprimere gli oggetti femminili viene anteposto al nome maschile la vocale «e» con puntino  sovrapposto (es. «pero» 'padre', «épero» 'madre').  L'opposizione  Per esprimere negazione e rapporti di antinomia si prepone al nome generale la vocale «a» con puntino sovrapposto (es. «ba» 'sono', «¿ba» 'non sono').  I pronomi  I pronomi personali sono:  «ml» 'io'; «tI» 'tu'; - «l»'egli o esso' maschile, «ell» 'ella o esa' femminile, «oll»' egli o esso' neutro;  «mU» 'noi'; «tU» 'voi'; «IU» 'essi' maschile, «élU» 'esse' femminile, «olU» 'essi' neutro. Il pronome riflessivo è «so» con puntino sovrapposto, unico, e valido per l'italiano mi, ti, ci ,vi, si,  me, te, noi, voi, se'. I  nomi  Gigli distingue le Parole Radicali (cioè le parole che esprimono oggetti, qualità o azioni o rapporti) in variabili (che variano nella desinenza) e stabili (che non ammettono derivazione). Le Parole radicali stabili (o semplicemente Radici stabili) non sono trattate da Gigli in questa sede, ma auspica che una società di scienziati si occupi del Dizionario della sua lingua, e quindi anche di queste parole, che qui tralascia di spiegare o giustificare.  Le Radici variabili sono attinte dal francese con queste regole:  si scrivono come si pronunciano e si pronunciano come sono scritte; non v è «h» iniziale; non v'è accento separato dalle lettere; «ç, c, t» + suono «prossimo al s»7 - forse fricative sibilanti e retroflesse - sono sostituiti da «s» [s]; dittongo oi (es. fr. roi, it. 're'") deve essere scritto «o» con punto sovrapposto e il suono deve essere eseguito di conseguenza; nesso oy (es. fr. moyen, it. 'mezzo, medio') si scrive come in francese ma si pronuncia [oj]; nessi eu, oeu, u sono sostituiti dal segno e suono «u» (u]. Le radici delle parole indeterminate finiscono con la vocale «o» (es. «ommo», fr. homme).  Se la parola francese nella pronuncia termina con «Suono Gutturale lungo» - da intendersi probabilmente come 'vocale nasale' - si pone «o» dopo questo suono (es. fr. maison, it. 'casa',  diviene «mesoo»).  Se la parola francese termina con lo r, e che si pronunci o meno è indifferente, è da aggiungere una «o» alla fine della parola (es. fr. cheval, it. 'cavallo', diviene «cevalo») e così vale anche per tutte le altre consonanti finali che sempre si pronunciano (es. fr. lac, it. lago', diviene «laxo»).  I nomi propri di paesi, uomini, ecc. non abbisognano della «o» finale, ma si pronunciano alla francese o con la pronuncia originale dei paesi da cui provengono (così che l'it. Roma possa essere pronunciato all'italiana o alla francese) e sono necessariamente scritti con l'iniziale in carattere  minuscolo ma di misura più grande.  I segni per designare tutte le situazioni possibili in cui sono coinvolti i nomi determinati - cioè nomi che non hanno bisogno di indicazioni di numero - sono otto, invariabili, e devono, se presenti, essere premessi al nome: «de» (es. 'il padre di Paolo' > «I pero de Pol»), «se» (es. 'chiamo te' > «chiamo se tI», con marcamento sistematico dell'oggetto diretto), «ye» (es. 'o Paolo' > «ye  Pol»), «ce» (es. 'in voi' > «ce tu»), «je» (es. 'parlano di voi' > «parlano je tu»), «re» (es. 'diedi a lui'  > «diedi re II»), «pe» (es. 'mandai a Paolo' > «mandai pe Pol»), «ge» (es. 'partirono da Roma' >  «partitono ge Roma»).  Gli aggettivi  Per quanto riguarda gli aggettivi, questi nella lingua di Gigli devono necessariamente terminare in «l». Se la parola francese corrispondente termina con suono vocalico, si aggiunge semplicemente «l» (es. fr. juste, it. 'giusto', diviene «justel»); se termina per consonante (che sia pronunciata o meno è indifferente) questa viene mutata in laterale (es. fr. doux, it. 'dolce', diviene «dul»); se termina in nesso di cons + le, per metatesi si inserisce il suono vocalico «e» tra i due consonantici (es. fr. noble, it. 'nobile', diviene «nobel»); se termina in (I)I + vocale si sopprime la vocale (fr. habile > abil; fr. tranquille > tranxil); se termina già con l non vi sono variazioni.  Da questi assunti consegue che la classe aggettivale della lingua di Gigli sia costituita di sole parole piane, anche laddove il corrispondente francese preveda l'accento sulla sillaba finale (es.  fr. joli [30 ' li] > jolil ['iolil]).  I verbi  308. Voci di Giudizio al Modo Indicativo: mi, ti, li, èle, ole —mu, te, lu, els, olu (a)  presente  -bal  io sono, tu sei, egli é noi siamo, voi siete, ec.  presente-relativo - be... io era, tu eri, ec.  passato  -be.  .... io fui, ec., o sono-stato, ec.  passato-anteriore — bo.... io era-stato, ec.  futuro  - bu.... io sarò, tu sarai, ec.  futuro-anteriore - bur...io saro-stato, ec.  30g. Voci di Giudizio al Modo Condizionato :  mi, te, li, él, ol — mu, tu, lu, élu, olu  presente  - bal... io sarei, tu saresti ec.  passato  - bil... io sarei-stata, ec.  310. Voci di Giudizio al Modo Indefinito : xe) mi, i, le els, ole — mu, tu, lu, elu, olze  presente  — bar.. che io sia, che tu sii, ec.  presente-relativo — ber ... che io fossi, tu fussi, ec.  passato  — bur... che io sia-stato, ec.  passato-anteriore - bor.. che io fossi-stato, ec.  I modi verbali che presentano delle differenze tra le persone sono l'Indicativo, il Condizionato (it.  condizionale)  e  l'Indefinito (it.  congiuntivo). Il modo indicativo è composto dai tempi presente, presente-  relativo (it. imperfetto), passato (it.  passato remoto), passato-anteriore (it.  trapassato prossimo), futuro, futuro-  anteriore; il modo Condizionato dai tempi presente e passato; il modo  Indefinito (it. congiuntivo) da presente, presente-relativo (it. cong. imperfetto), passato (it. cong. passato), passato-  anteriore (it. cong. trapassato).75  Qualora non venga indicato il corrispondente tempo italiano significa che il nome e la funzione dei tempi pensati  da Gigli sono identici a quelli italiani.  L'unico modo composto di una sola parola - indeclinabile - è il modo Generico; tutti gli altri sono composti da due Voci, una di Giudizio (che indica cioè il tempo e il modo del verbo) e l'altra di  Azione (che veicola il significato del verbo), secondo la tabella poco sopra.?6  Le diverse persone non sono marcate morfologicamente sul verbo (es. «mI ba» 'io sono' e «tI ba»  'tu sei'), motivo per cui deve essere sempre presente il pronome associato (lingua non pro-drop).  Le parole esprimenti azioni devono necessariamente terminare con la vocale «a» e derivano dal participio presente francese (es. fr. écrivant, it. 'scrivente', diviene «exriva»). Se il francese manca del participio presente, la radice è attinta dalla sua forma passata dalla quale vengono eliminate le lettere che seguono la consonante radicale e quelle che seguono (es. fr. abstrait, it. 'astratto', >  «abstra»). I verbi così formati esprimono sempre l'infinito presente."  Vi è il caso particolare in cui l'«a» sia preceduta da «b» e, per evitare fraintendimenti - «ba» infatti è la Voce di Giudizio del presente indicativo dei verbi -, Gigli sceglie, in questi casi, di sonorizzare la consonante in «p». Così ad  esempio il fr. tombant > «tompa».  Per quanto riguarda la diatesi passiva, è sufficiente sostituire la «a» finale con una «e» alla Voce di Azione (per cui «mi ba ema» 'io amo' > «mi ba eme» 'io sono amato').  Avverbi  Sono indicati dalla lettera «r» finale e sono per la maggior parte invariabili.  Da quel che fin qui si è trattato si evince che nella lingua di Gigli le parti del discorso si riconoscono in base alla loro caratteristica o natura, giacché se terminano in «o» indicano un oggetto, in «l» una qualità, in «a» un'azione, in «r» un rapporto, e il fatto stesso che contengano queste desinenze li qualifica come Radicali. Gigli passa quindi il testimone a un'ipotetica Società Accademica di 12 scienziati che dovrà, in futuro, scremare il lessico francese di quei termini che potrebbero donare delle parole troppo complicate e creare il dizionario e la grammatica della nuova lingua per poi comunicarlo a tutte le nazioni europee. Si capisce quindi che la lingua è indirizzata solamente al Vecchio Continente.  Ma la portata del lavoro di Gigli supera il mero piano della linguistica, poiché, ipotizzata la commissione di studiosi, egli ne auspica un'altra, composta dai membri di tutte le nazioni, che  atta sarebbe a formulare le leggi dei vari paesi in comune accordo. Una lingua per unificare non solo i parlanti ma anche i regimi, gli stati e i popoli. Il progetto così concepito fu portato avanti dal fratello Luigi Gigli che il 15 ottobre 1861 presentò alla camera dei Deputati di Torino la lingua universale pensata da Mariano e il metodo perché questa fosse insegnata ed appresa, in primis in  Italia, da tutte le genti. 78  Si è fin qui dato non altro che un assaggio della reale grammatica della lingua universale teorizzata dal Gigli, ma il trattato continua per molte altre pagine e scende quanto più nello specifico. Ella è in sostanza una lingua a posteriori su base francese - ma con evidente richiamo alle sonorità dell'italiano -, con caratteristiche tipologiche agglutinanti. Ma soprattutto ella rappresenta il secondo esempio di interlingua italiano pervenuto assieme a dei reali esempi pratici.LA METAFISICA  DEL LINGUAGGIO  SCIENZA  NUOVA ANCHE AI DOTTI  E PEI SOLI DI BUON SENSO  OPERA  MARIANO GIGLI  CIA PUBLICO PROPISSORE DI VARIE FACOLTÁ.  *0*0*  MILANO  Presso FRANCESCO FUSI    AL NOBILE GIOVINETTO  FRANCESCO PIAZZI  d'anni nove e giorni tre  ALLIEVO DELL'AUTORE  САло СвОСИНЯ  Eccovi ultimato il Metafisico mio Lavoro sulla Natura del Linguaggio e sul Linguaggio della Natura -  Esso contiene lo sviluppo di quei Principi, dai quali dovete singolarmente ripetere i rapidi vostri progressi nelle Lingue (1) -  Io quindi Ve l'offro in pegno del mio affetto e della mia sodisfazione —  (Milano 13 Giugno 1817)  (1) Il Giovinetto Prazzs si propone per la Primavera del prossimo-venturo 1818 di fare in Milano un publico  Esperimento di Sette Lingue, cioè laliana, Francese, Spagnuola, Inglese, Tedesca, Latina o Greca.    IL FRONTISPIZIO ED IL COME  IL FRONTISPIZIO  I pensiero piè umiliante per una scritore è quello,  che la sua Opera sia nemmeno letta dagli altri — Sapendo che questa è la sorte della massima parte delle Produzioni specialmente astratte, e volendo pure allontanare da me tale malinconica idea, mi sono appiglialo all' espediente di stuzzicare l'Amor-proprio dei Letterati.  — Quindi intitolai questa mia Metafisica — ScIENzA  NUOVA ANCHE AL DOTTI•-.  Eliminata con tale giustificazione una taccia poco ono-revole, mi avvedo che vado procurandomi un Titolo anche peggiore; benchè per mio conforto l'avrei comune con quasi tutti i miei simili - Sono quindi costrello « dichiarare, che questa Scienza o Produzione può effec-sivamente ritenersi qual' è annunziata dal Frontispizio. lo non ò veramente letto le Opere di tutti i Dotti; ma ò molto meditato sui Libri di quelli che particolarmente si occuparono di tale materia; come Vaillis,  Polio, Durs et omaites, Amile Lockie  in Porto-reale, ed altri — Eppure mi permetto avran-zare, che il mio Lavoro sul Linguaggio sarebbe nuovo  anche ad essi.  Aggiunsi poi nel Frontispizio — PEr soLt DI BUON sENSO - unicamente per dire ai Signori Pedanti, che li rispetto, mu non iscrissi per loro.  IL COME  Mi occupavo d' un Progetto di Lingua Universale pei  Dotti; e questo non per elezione o capriccio ma per effetto irresistibile d'una specie di convulsione alla testa,    simile a quelle che un Poeta chiamerebbe — divini Furori,;  però, che le mie teorie si appoggiavano a dei Principj di Lingua poco o nulla generalmente conosciuti, perche nessuno ebbe mai la sofferenza di meditarli. Quindi la-  I as oi orisine lo preaue Meatice del inguag  Chiunque si darà la pena di leggerla, vedrà facilmente che nello scriverla io non dimenticai il Progetto di Lingua Universale; e quindi che vi ò esposto delle cose, le quali altrimenti potevano tralasciarsi.    METAFISICA  DEL LINGUAGGIO  INTRODUZIONE  IL Linguaggio è il mezo più comune, di cui ei servono gli Uomini per comunicarsi reciprocamente i bisogni i desideri i pensieri. — L'uso, inseparabile dalla  cono verza sociale, ongaia cinci Guindi io teorie  Il Filosofo però, che deve su tutto portare il suo  ciò che apprese per  prattica? E nel secolo dell' analisi dovremo con indifferenza veder sepolto nelle tenebre d' una rugginosa igno-  distintivo  siasitivo per cui l'uomo si pone, primo fia gli Esseri A me sembra, che troppo debba interessarci il conoscere una cosa, che ci riguarda si davvicino e clie inseparabile dalla nostra sociale esistenza. Quindi mi permetto esporre il risultato delle mie meditazioni, considerando separatamente i materiali del Linguaggio ossia le Voci  J. Come Elementi del Discorso -  Il. Come Parti del Discorso —    DELLE VOCI ELEMENTI DEL DISCORSO  2.  Le Voci, prese com' Elementi del Discorso cioè isolatamente, da noi si distinguono in Radicali, Derivate e Sostituite.  da ara voce conosinta ed isata nilla mdesima Lingua:  come Sole, dolce, fuggire ec.  4: Derivate son quelle, che provengono da voci conosciute ed usate nella medesima Lingua: come Solare, dolcezza, fuggitivo ec.  5 Sodi e ne il e del me vene chiacerta  ed usate nella medesima Lingua: come mio, pensante , egli ec. per di me, che pensa ec.  SEZIONE PRIMA  DELLE VOCI RADICALI  6. Le voci Radicali furono fissate dai Primi, che parlarono una data Lingua qualunque; e i Posteri debbono adattirsi ad apprenderle.  se indi è rendi in convenione sociale chi ruerai  suoni radicali  meramente per capriccio e per vana poipa di spirito; ma è ciascuno autorizato a produrre delle voci nuove quando s'abbia ad esprimere un'idea qualunque in quella  Lingua non espressa fin ora.  7 le voci Radicali da noi si distinguono in voci di Cosa, di Giudizio e di Rapporto.    Voci di Cosa  Bhi laro pualid; 6 ore guesto ura le mon ih  terrotta di moltiplici varianti Azioni.  9. Le voci destinate ad esprimere queste Azioni Oggetti e Qualità, son quelle che noi chiamiamo Voci di Cosa, perchè esprimenti qualche Cosa di assoluto e reale, o che almeno come tale si concepisce da noi. PARACRFAO 1.° Oggetti  20% coepiae capace d tare o mietre tur Acone he  11. La voce esprimente un Oggetto qualunque sarà da noi detta Nome sostantivo o semplicemente Sostanti-vo; essendo molto facile rilevare dalla definizione data  sere Sostativo osia Suite Darto deve di necesia  Benchè in natura gli Oggetti sieno tutti determinati perchè individui, pure i Nomi che li esprimono sono nella massima parte indeterminati. Ed infatti perchè e come assegnare un nome distinto a ciascuno di quegli Oggetti innumerabili, che presentano in complesso le atesse particolarità; che per la loro somiglianza sembrano quasi diramazioni d'un solo; che si mostrano quasi subito scomparire dalla faccia del creato? - Nel Linguaggio è dunque necessario distinguere i Sostantivi in determinali e indeterminati. E determinato ogni Sostantivo, che presenta allo spirito un Oggetto individuo e che non può assolatamente esser confuso cou alcun altro; come Roma, Dinubio, Europa ec: Ed è indeterminato ogni Sostantivo, che presenta allo spirito un Oggetto generico o almeno   plicabile praticamente a varj individui della natura; come  Uomo, Piantu, Fiume ec.  PARAGRAFO 2.°  Qualità  Qualità da noi chiamasi - ciò, che un Oggetto à in se di rimarcabile, e che potrebbe anche non avere senza però cessare d' esistere — La Voce esprimente una Qualità qualunque sarà da noi detta Nome qualitativo o semplicemente Quali-tativo. Proprietà chiamasi - tutto ciò, senza cui l'Oggetto non potrebbe esistere —. Quindi le proprietà d'ogni Oggetto sono tutte comprese nel nome dell'Oggetto medesimo. E.  sico po ciò che inalia costa di Proietà, ipo all  sapere in ogni Oggetto ben distinguere l'una cosa dall' altra.  17. Dopo ciò è facile intendere, che non può dirsi - fuoco caldo, neve bianca, Sole lucente ec. —; perchò caldo bianca lucente, in questi Oggetti non sono Qua lità ma Proprietà, e quindi espresse rispettivamente nei  Sostantivi fuoco neve Sole —.  ao le orienti non pue die lo Proprio dali Dege runea  neve Sole ec, escludono rispettivamente le qualità freddo  bruna oscuro.  PARAGRAFO 3.°  Azioni  Azione da noi chiamasi - tutto ciò, che un Oggetto qualunque può fare —. È poi facile conoscere, che delle Azioni alcune niscono in chi: le fa, come dormire correre ec.; ed   altre finiscono in un Oggetto diverso da quello che le ta, come premiare ferire ec. — Noi chiameremo le prime Azioni determinate, e indeterminate le seconde.  CAPO II  Voci di Giudizio  20. L'Uomo nello stato di natura per poco osservatore che sia, facilmente si avvede, che le Qualità e le Azioni dipendono assolutamente dagli Oggetti; e che le prime ne sono come altrettante emanazioni trettante conseguenze. Eli quindi come seco de siderale  è sua prima cura osservare attentamente e quali diflonda o includa Qualità, e di quali Azioni sia desso capace —  Conseguenza naturalissima di tale osservazione sarà il conoscere lo stato e le particolarità dell'Oggetto; e quindi se ad esso convenga o non convenga tale o tal altra  Azione e Qualità.  22. Se dunque l'uomo abbia a comunicare la sua sco-  tani quello d'una data Azione o Qualità. La prima è da noi detta Voce di Giudizio affermativo, la seconda Voce di Giudizio negativo.  25. In Italiano essere è l'espressione generica di Giudizio affermativo, non essere quella di Giudizio negativo.  PARAGRAFO UNICO  Verbi  24. Dall' esposto superiormente (20 e seg.) è facile  rica erche e che guasti debono a no avera con  alla natura delle cose, ma all' ingegnosa variante bizzarria    degli uomini. Infatti correre, scriver-, premiare cc. in natura signicano essere corrente, scrivente, premiante ec.; e il solo capriccio o tutt' al più l'amore di brevità con gravissima lesione della chiarezza e facilità di Lingua restrinse queste due distintissime Voci in una sola.  Richiedendo quindi l'analisi del Linguaggio che sia il tutto possibilmente riportato ai suoi primi elementi, si vedrà di leggieri quanto importi l' esercitarsi nella decomposizione dei Verbi onde averne una giusta analitica idea. Questa decomposizione è per altro della massima facilità, fissando che da noi con definizione esattissima chiamasi Verbo - ogni parola composta di due Voci, l'una di Giudizio l'altra di Azione -. E siccome ogni Azione è di sua natura determinata o indeterminata (19), così chiameremo rispettivamente determinato o indeterminato anche il Verbo che la esprime. CAPO III Voci di Rapporto Fissate le Voci di Giudizio e di Cosa, può l'uomo convenientemente spiegare agli altri la sua situazione, i suoi bisogni, la sua volontà. Ma le Cose, ossia gli Oggetti le Qualità e le Azioni (9), ànno o possono avere molti e diversi Rapporti fra loro, come di tempo d'or- dinque con precise sue per esprio ste ure dele Voci  per ciascuno di tali Rapporti.  28. Cosa nel nostro senso debba intendersi per Rap-porto, è più facile rilevarlo dal contesto di questo Capitolo che definirlo. Pure per chi ne bramasse la defini-zione, dico per Rapporto nel nostro senso intendersi -  tutto ciò, che ci offre una Cosa  Bon in ar sesa ia unicanee fispalo ad ace coseata  29. Premesso, che non tutte le Cose possono o debbono avere gli stessi Rapporti, ch' è quasi impossibile  asco il prino pass & molte facile progredire da se cola  sola guida dell'analogia e del buon senso; mi limiterò    fare di tali Rapporti quell' analitica esposizione che à trovato più conveniente al mio scopo.  PARAGRAFO 1.°  Luogo  30. Luogo significa — Punto o Aggregato di Punti; occupato da un Corpo qualunque nello Spazio ossia nella  Natura -.  31. Fissata questa definizione, l'idea che da tutti naturalmente si acquista d'un Corpo cioè - d' un Oggetto fisico materiale — fa chiaram ente conoscere, 1.° che uno stesso Corpo non può trovarsi in due luoghi diversi al tempo stesso; 2.° che due o più corpi al medesimo tempo non ponno occupare lo stesso identico luogo.  52. Ora è cosa molt' ovvia, che l'uomo debba const-  dena due mini i ti fidi e teso la che  nanza o lontananza, le parti superiore interna ec. -  Egli dunque dovrà necessariamente far uso di espressioni, che facciano conoscere tali Rapporti, e che noi chiameremo Voci di Luogo; come sopra, saso, fuori, pres-  so, lontano ec.  PARAGRAFO 2.°  Tempo  Dal Moto nasce naturalmente l'idea del Tempo. Infatti il Moto non è, che — l'efletto del passaggio d'un Corpo dall'uno ad altro Punto dello Spazio -. aue Poi non tendo al melei in tan omogaisi  il Moto essendo necessariamente diverso da quello in cui  movendosi  dello Spazio che percorre. Quindi per fare il suo passaggio impiegherà tant' Istanti quanti sono i Punti sulla linea percorsa; vale a dire nel primo Istante si troverà sul primo Punto, nel secondo Istante sul secondo Punto, e    così di seguito finchè nell'ultimo Istante sarà sull' ultimo  Punto del suo cammino — Ma i Punti dello Spazio percorsi dal Corpo si succedono immediatamente e formano  come una continuata Catena o meglio una Linea conti-puata - Dunque anche gl' Istanti, nei quali avviene l'occupazione de varj Punti, debbono succedersi immediatamente e formare una Linea continuata o meglio una continuata Catena.  35. Dunque in qualsivoglia Moto immaginando con  nione a percorrere i for Punti ello Spazio ha Pa  tali Istanti forma ciò, che da noi chiamasi  Tempo impiegato da un Corpo per eseguire il suo mo-vimento.  Dunque dal Moto nasce naturalmente l'idea del Tempo.  36. Dunque, riflettendo che un'Azione specialmente  • Aggregato d'Istanti, in cui à luogo un'Azione qualunque —  PARAGRAFO 5.°  Tempo  Gode o Mout ceamile di ertite a Natia medesimp d  poggino dall'una parte al principio dall'altra al fine della fisica esistenza.  38. Fissata con chiarezza questa Linea generica di  Te vari di fe Padee d'immaginaziona el stipic  assolute e possibili Azioni.  (a) Due lince sono paralel'e, quando su tutti i punti sieno  sempre ugualmente distanti fra loro.    Ma di questo parleremo in seguito (155 e seg.). Quindi mente le Azioni possono avere per esprimerli — Queste Voci sono oggi, adesso, jeri, un anno fa, da qui a un mese, subito ec.; che noi perciò chiameremo Voci di Tempo.  PARAGRAFO 4.°  Tempo  30. Ponendoci coll' immaginazione in qualunque Punto della generica Linea di Tempo (57), ci sarà facile ve-dere, che molte Azioni furono già consumate; che molte debbono ancora effettuarsi; e che molte si eseguiscono al momento in cui osserviamo. Avremo dunque su questa  cine debo era fa veti se decorsi tante erico indanti  sibile che separa sempre queste due Serie.  • Aggegato ant preo sula pra sale, di Leae  futuro qualunque Istante o Aggregato d'Istanti preso nella seconda serie, e di Tempo presente l'Istante unico indivisibile che separa il Passato dal Futuro.  4r. I Tempi passato e futuro, essendo formati d' una  Tunga se e d'onti pone da nei onidri dion,  o come Passato e Futuro riferibile ad un precisato Punto della serie - Quindi il Tempo Passato egualmente che ‹il Futuro sarà determinato o indeterminato.  I. E determinato, se esprimiamo l'Istante o Aggregato d'Istanti in cui avvenne o avverrà l'Azione; cone l'aio  tale  Il mese tale ec.  Il. È indeterminato, se riporteremo l'Azione al Passato o Futuro genericamente e senza fissare limite aletino sulla linea del Tempo; cone viddi, partirò ec.  42. Il Tempo Presente, come formato d' un solo Istante indivisibile, è sempre determinato di sua natura.    Numero  Gli Oggetti d'una stessa specie si presentano all'uomo ora isolati cioè in numero di uno, come albero, stella ec.; ed ora uniti cioè in numero di più, come alberi, stelle ec. — La chiarezza del discorso esigge na-turalmente, che si specifichi se uno o più furono gli Oggetti in una data Azione o Giudizio, ossia che si spe-citichi il Rapporto di Numero. Le espressioni destinate a far conoscere tale Rap- Voci di Numero.  45. Il Numero di uno ossia un Oggetto isolato è, riguardo al numero, sempre determinato di sua natura.  Ma il numero di più può essere determinato, o indeter-minato.  1. E determinato, se si esprima da quanti uno desso è formato; come cinque, nove, cento ec. che sono ri-  in gekere, cioè senza fissare da quanti uno o unità sia desso formato; come alcuni, parecchi, molti ec.  PARAGRATO 6.°  Ordine  lungo una stessa linea continuata.  piamo delle linee tanto nello Spazio che nel Tempo (35 e 37), così nelle Cose potremo aver Ordine e di  Spazio e di Tempo.  47. Posto dunque che più Cose della stessa specie sieno schierate lungo una medesima linea, determinare I' Ordine d'una qualunque di esse significa — fissare il Punto  che lazione dee apa ore leitea fila lo un camente  sulla linea medesi-  ma -    dovrà essere necessariamente espresso con  Voci apposite,  che noi chiameremo Voci d' Ordine; come primo, se-  condo, ultimo, in seguito, dipoi, infine ec.  PARAGRAFO 7.°  Sesso  49. In quasi tutte le Specie d' Esseri Organici, ossia  ae Maschi codele Promie Le funon ai tal Pears  essendo diverse come diversa n'è la struttura, l'Osserva-  da lui nominato. Noi chiameremo tali espressioni Voci o Segni di Sesso (a);  A mia cognizione la Lingua Inglese è la sola delle Eu-ropee, che abbia benchè non sempre  Santaguete il Seso masclile dal epmine, Le lre pe-  gue usarono invece generalmente una varietà di desinenza.  PARAGRAFO 8.°  Aumento e Diminuzione  50. Fissato coll' esperienza il valore e l'idea assoluta  aumentarsi fino ad un massimo, e diminuirsi fino ad un minimo anzi fino a zero.  dete) Sere se be ler ade sapere fra tazione po sedere  e la distinzione tra il Maschio e la Femmina. -- Con tale osservazione pretendo unicamente giustificarmi, se à sostituita desso alla parola genere non esatta e di doppio siguificato.      Infatti, data una Linea retta obliqua (138), se si stabilisca il di lei Punto medio come esprimente lo stato assoluto della Qualità, possiamo agevolmente concepire questa Qualità capace gradatamente tanto di salire fino  interiore di le etrlinea canto di scendehe in aulla  lità aumenti d'intensità e di forza a misura che sale, e ne diminuisca a misura che scende per questa immagi nata linea obliqua, sarà facile formarsi un'idea dei vari Aumenti e Diminuzioni che può dessa successivamente subire.  5r. Dato quindi che una Qualità sia fuori del sto stato assoluto, se vorremo  il punt, de la tea precisare Va, eon ecione socia  pression indicenti Voci dimento a Diminusione; come mala almi, inniamente, poco, ne generalmente  col dare al nome di Qualità la desiaenza issimo: beliis-  sino, dolcissimo ec.  PARAGRAFO 9.°  Modificazione  52. Come le Qualità sono suscettibili d'Aumento e Diminuzione ( 5o), così le Azioni sono suscettibili di Modificazione cioè — di prendere un aspetto differente, ritenendo però il carattere originario —  55. Per ben intendere nel nostro senso la forza della parola Modificazione conviene avvertire, che ogni Azione , in natura il suo valore assoluto; che questo valore assoluto è nelle Azioni invariabile; e che una stessa Azione dev'essere e sarà sempre eseguita nel modo me-desimo. Quindi una stessa Azione ripetuta anche un numero infinito di volte presenterà sempre allo spirito la stessa idea, e però sarà sempre espressa dalla medesima  Voce.  Ma  le stesse Azioni benche sempre conservino inalterabile il loro assoluto valore, pouno in diverse circostanze essere accompagnate da qualche inseparabile    o di Eguaglianza e Differenza, come dai due Paragrafi seguenti.  59. Il Confronto può farsi anche sulle Azioni o Qualità d' un solo Oggetto. In tal caso però dobbiamo contemplar tale Oggetto in epoche diverse, ossia coll' ajuto della memoria dobbiamo considerarlo come pluralizato.  Quindi potremo giustamente applicarvi la teoria sovraesposta (57 e seg.) per Oggetti frà loro diversi.  PARAGRAFO 11.°  Eguaglianza  60. Due cose sono eguali, quando non è possibile assegnare frà loro alcuna diversità - Dunque non può darsi eguaglianza negli Oggetti, perchè tutti presentano delle varietà rimarchevoli. E però cosa molt' ovvia rinve-  nire angue esstendo in natura delle Coe gorati tra  loro di poni per predicare ueta esagio a de Far  Voci d' Eguagliunza; come al pari, egualmente, tanto quanto ec.  PARAGRAFO 12.°  Differenza  62. Confrontate due Cose della stessa natura e trove-tele non eguali, - la quantità di cui una supera l'altra  - è ciò che propriamente costituisce la Differenza tra queste due cose  63 I soli Matematici anno un esatta nozione del va-  unicamente frà Cose non della stessa natura; e la Differenza invece esiste unicamente frà Cose di medesima natura. Quindi si dirà che — il Bianco è diverso dal  Rosso — è - il Bianco-neve à differente dal Bianco-  latte —    o di Eguaglianza e Differenza, come dai due Paragrafi seguenti.  59. Il Confronto può farsi anche sulle Azioni o Qualità d' un solo Oggetto. In tal caso però dobbiamo contemplar tale Oggetto in epoche diverse, ossia coll' ajuto della memoria dobbiamo considerarlo come pluralizato.  Quindi potremo giustamente applicarvi la teoria sovraesposta (57 e seg.) per Oggetti frà loro diversi.  PARAGRAFO 11.°  Eguaglianza  60. Due cose sono eguali, quando non è possibile assegnare frà loro alcuna diversità - Dunque non può darsi eguaglianza negli Oggetti, perchè tutti presentano delle varietà rimarchevoli. E però cosa molt' ovvia rinve-  nire angue esstendo in natura delle Coe gorati tra  loro di poni per predicare ueta esagio a de Far  Voci d' Eguagliunza; come al pari, egualmente, tanto quanto ec.  PARAGRAFO 12.°  Differenza  62. Confrontate due Cose della stessa natura e trove-tele non eguali, - la quantità di cui una supera l'altra  - è ciò che propriamente costituisce la Differenza tra queste due cose  63 I soli Matematici anno un esatta nozione del va-  unicamente frà Cose non della stessa natura; e la Differenza invece esiste unicamente frà Cose di medesima natura. Quindi si dirà che — il Bianco è diverso dal  Rosso — è - il Bianco-neve à differente dal Bianco-  latte —    64. Esistendo in natura delle differenze, l'Uomo necessariamente si troverà molte volte in situazione d'indi-  più, meno, maggiore ec.  PARAGRAFO 13.°  Somiglianza  65. Due Cose sono simili, quando anno eguali Proprietà (16), senza riguardo  phie ponto, senza re terenti e anche diverse (03).  66. Infinite essendo le Cose simili che ci offre la Na-  porta, biana dosiamo biano di indi a tale ape  chiameremo Voci di Somiglianza.  In Italiano le Voci di Soniglianza in fondo si riducono tutte alla parola Simile.  PARAGRAFO 14.°  Identid  Identico deriva dalla voce Latina idem, che significa istesso - Non esistendo in natura Oggetti eguali perfettamente trà loro (60), deriva la necessaria conseguenza che ogni Oggetto aver deve i distintivi suoi par-ticolari; e questi particolari Distintivi formano appunto ciò che serve a identificare ogni Oggetto. Quindi per determinare l'Identità d' un Oggetto bisogna far  della sua specie  rimane dopoci, e raiolare unicamente ciù che in csso  69. Trovandoci sovente in bisogno di esprimere l'Identità negli Oggetti, faremo dunque uso di voci apposite che chiameremo Voci d'Identità; come stesso, medesimo ec.    Approssimazione  cli la Sesa Sualta o Cciore tor E in lutt eguate pree  fettamente; ma si conosce al tempo stesso, che la ditle  serse o de colionto mon cugua asoluta preitone ai  assoluta precisione di  calcolo, basterà che l'Uomo indichi la conosciuta approssimativa eguaglianza.  mere i du di ora far di espresioni, he chia.  a un dipresso ec.  PARAGRAFO 16.°  Connessione  72. Benché in Natura le Cose sieno tutte isolate, allo spirito dell' osservatore pur si presentano spesso unite fra Joro. Questo Rapporto d'Unione è troppo frequente ed  essersi etere, e nee aria di Connesione poie insieme, e, anche ec.  PARAGRAFO 17.®  Esclusione  73. Da una o più Cose è molte volte necessario allon-tanarne altre, che o vi sono o vi sogliono o vi possono essere unite. Quindi per indicare quali cose si allontanano ossia si escludono, dobbiamo far uso di apposite espressioni, che chiameremo Voci di Esclusione; come senza, nè, neppure, soltanto, unicamente ec.  Alcune di queste voci come soltanto, unicamente ec.  lontanamento o esclusione di tutte le altre, parmi che per maggiore semplicità  ner ma Cinon inazioi di su somprendersiDichiarazione  74. Uno stesso Oggetto può in diverse circostanze trovarsi in situazioni diverse. L'intelligenza e la chiarezza del discorso esigge quindi, che in ciascuna circostanza si dichiari qual n' è la vera situazione. 75. Di questo tratteremo in seguito (259 e seg.) dif-fusamente. Intanto per ora basta fissare, che chiamiamo Voci di Dichiarazione quelle voei che stabiliscono e fanno conoscere nel discorso la vera situazione dell'Og- getto; come di, a, da ec. AVVERTENZA SULLE VOCI DI RAPPORTO 76. Oltre i molti analizati finora esistono tra le Cose moltissimi altri Rapporti, come di Cagione, Mezzo,  distintamente - lo però mi  Carne T analit , t perche riecirebbe linga troppe e  nojosa; sì perchè come premisi (29), dopo l'esposto  Anora può ciascuno facilmente continuarla da se.  EPILOGO DELLE VOCI RADICALI  77. Le Voci radicali esprimono o Cose o Giudizj o .  Rapporti. •  I. Le Cose sono o Oggetti o Azioni o Qualità.  II. I Giudizj sono o affermativi o negaivi; e il  Verbo non è che un composto di due voci, una di Giudizio l'altra di Azione.  III. I Rapporti frà le Cose sono moltissimi; e per averne cognizione completa bisogna meditarli attentamen-te, facendo la debita analisi su buoni squarci di Lingua.DELLE VOCI DERIVATE  -8. Deriate chiamiamo (4) le voci provenienti dalle  Radicali, e che sono propriamente destinate ad esprimere come una modalità ossia una diversa forma, un nuovo impasto della voce radicale: Così celeste, montuoso, virtù, fedelmente, prolungare ec. sono voci derivate dalle radicali cielo, monte, virtuoso, fedele, lungo ec.  79. Siccome esigge l'analisi, ehe nelle voci derivate sappiamo scoprire e determinare la Radice primitiva esistente in una medesima lingua, così è necessario esaminare in dettaglio le varie generiche Derivazioni che abbiamo dalle diverse generiche Radici - Quindi anali-zeremo successivamente ciò che deriva in genere dalle voci radicali di Cosa di Giudizio e di Rapporto, avver: tendo che le Lingue praticamente sono nelle Derivazioni irregolarissime e capricciose.  Prima d' inoltrarci in quest' analisi trovo però necessario dar ragione di alcune nuove Parole da me introdotte  per semplificazione.  NOMENCLATURA  nostro spirito invece ama vedersi richiamate  miale ile col der umero pisibile di segue pli  indispensabile, come si rileverà nel decorso dell' Opera :  Quindi potrà essere rigettata da chiunque non amasse adottarla.      Che non è qui necessario fissare il valore delle nuove Parole introdotte, giacchè si andrà fissando nel decorso dell' Opera senza quasi avvedersene: Quindi per ora basta prenderne una nozione generica; e alla fine del libro se ne troveranno di seguito le opportune defi-nizioni. Che non o prima parlato di questa Nomenclatura, perchè finora non s'è data occasione di doverne far uso. ELEMENTI DELLA NOMENCLATURA 8r. Dodici sono, almeno per ora, gli Elementi di que-  sa silabe E gurs empre trata dala paroa le douc  sempre tirata dalla parola che dev'e-  sprimere: Non o però in questo tenuto regola fissa, avendo specialmente avuto riguardo atia minore asprezza  delle Combinazioni  Ecco i dodici Elementi con di fronte il loro rispettivo  valore :  ra  ge  qua  SO  sta  radice oggetto qualità azione sostantivo astratto 1 bui = guaitativo  verbo  то  - modificazione  po  rapporto  ter  determinante  se  segno  COMBINAZIONE DEGLI ELEMENTI  82. Per esprimere, che una Voce proviene da una  Radice o di Oggetto o di Qualita o di Azione o di Hap-  Azione o Rapporto.  83. Siccome da ciascuna o almeno da alcune di tali  Radici può derivare un Sostantivo astratto o un Qua-  iprime i con Medicazione e le con ner  zioni superiori l' elemento o elementi adattati alla circo-  stanza: Potremo dunque avere  84. Sostarage, sostaraqua, sostarazi, sostarapo, cioe  Sostantivo astratto proveniente da rage, raqua ec. (82)=  Quirage, quiraqua, quirazi, quirapo, cioè Qualitativo proveniente da rage da raque ec. Morage, moraqua, morazi, morapo, cioè 10- dificazione proveniente da rage da raqua ec. Borage, boraqua, borazi, borapo, cioè Verbo proveniente da rage da raqua ec. Anche dai Nomi Quattativi di qualunque provenienza deriva quasi sempre un sostantivo astratto una Modificazione ed un Verbo. Per esprimere tali Derivazioni basterà preporre i loro Elementi alle Combinazioni sovraespresse (85): Avremo quindi secondo i varj casi Sostaquirage, moquirage, boquirage ec. cioè Sostantivo astratto oppure Modificazione ovvero Verbo proveniente da Nome qualitativo il quale deriva da rage o razi o ec. (82). go. Fissato negli Elementi (8) che ter esprime de-terminante, terge significherà determinante-Oggetto o di Oggetto, terzi determinante-Azione o di Azione.  Quindi, se a queste Combinazioni preporremo T'Ele-mento della parola che fà l' ufficio di determinante, potremo avere Soterge, quiterge, boterge cioè Sostantivo oppure Qualitativo ovvero Verbo determinante un Oggetto: 95. Soterzi, boterzi, quiterzi, cioè sostantivo, o  Verbo ec. determinante un' Azione.  AVVERTENZA  94. Le sovraespresse Combinazioni di Nomenclatura non anno tutte luogo praticamente •nel discorso : Cost per esempio non abbiamo in natura nè quiraqua nè qui-terzi ec. lo però le indicai unicamente per mostrare la ciascuno secondo le circostanze for-  le opportune e qui non espresse Combina-  zioni.  Ritorniamo adesso all'analisi delle Derivazioni.    Derivazioni dalle Radici di Cosa  intendiamo  en aven de sated 9l chion bolto e Dudlia, cole  l'ordine e la necessaria chiarezza che n' esaminiamo pai-titamente le varie generiche Derivazioni.  ARTICOLO 1.°  Dalle Radici di Oggetto  yole de obiane atrburgh in ge di Qualia cid che  fo ta l'esso oil si ta la proprietà d'ue del Oogetto. qualificante la forma di nome Qualitativo: Così da mon-se, radice, leone ec. abbiamo montuoso, radicale,  leonino ec.  97. Dalle Radici di Oggetto può dunque derivare un Nome qualitativo, che da noi sarà chiamato Quirage (85) cioè — Qualitativo proveniente da Nome radicale di Oggetto -.  AVVERTENZA  re, onare, vesire O, coe Contengone in bode 11  nome dell'Oggetto che si usa nell'Azione, sembra derivino da una Radice di Oggetto. Si avverta però, che Queste e simili sono Voci non derivate, ma radicali di  Qualitativi radicale, montuoso ec.    Dalle Radici di Qualità  100. Dalle Radici di Qualità abbiamo tre Derivazioni  - una Voce di Modificazione, ti Sostantivo astratto, ed un Verbo - delle quali tratteremo separatamente.  PARAGRAFO 1.°  Modificazione derivata  10r. Per fissare chiaramente un' Azione bisogna non di rado attribuirle l'essenza di qualche Qualità; ossia col-  rio dare al nome di Qualità l' aspetto di Modificazione (55): Così da onesto facile veloce ec. abbiamo one-stamenie facilmente velocemente ec.  102. Ogni voce di Modificazione, derivata così da una  Modificazione: Così per esempio abbiamo radicalmente  pal quai rtivo e dicale Delevainhe sasa stesso dallia roce  mate Moquirage (89).  104. Quindi onestamente facilmente velocemente ec. dalle radiali, cilità veloci di Modificazione derivanti  Qualità veloce facile onesto ec. —  E radicalmente leoninamente montuosamente ec.  sono  Moquirage, cioè - Voci di Modificazione derivanti dai Quatitativi radicale leonino montuoso ec. già derivati dalle Voci radicali di Oggetto radice leone monte ec. —  PARAGRATO 2.°  Sostantivo astratto derivato  105. Dalle Radici di Qualità deriva un sostantivo astrat-to, come onestà modestia velocità ec. provenienti dai  Qualitativi onesto modesto veloce ec.    natura è unita inseparabilmente a delle altre - La fa-  so le qui facime te trare e siene mediachi, e non  Ora dati più Oggetti, se si astragga da tutti una stessa Qualita, allo spirito del Filosofo questa Qualità  ai resenta comia i getto generia il astrale afica  quindi ne forma così un Ente, il quale propriamente non esiste che nella sua maniera di concepire.  — Sostantivo astratto proveniente da nome radicale di  Qualita   108. Anche dai Quirage (97) derivano dei Sostantivi astratti; come da radicale montuoso ec. radicalità montuosità ec. — Essendo quindi essenzialissimo nelle Voci  der yal distintive serano la nator della So parie-  Eatro, i uale deiva da None radcale dr oigeg  PARAGRAFO 3.°  Verbo derivato  109. Spesso gli Uomini si trovano in situazione di dare  ad un  Oggetto una Qualità che non aveva. Tale operazione si esprime dando alla radice di Qualità l'aspetto e la natura di Verbo; come dolcificare, facilitare, appianare ec. che significa render dolce, piano, facile ec.  Dunque dalle radici di Qualità deriva ancora un Verbo:  110. Ogni Verbo così derivato esprimente l'Azione di attribuire ad un Oggetto una Qualità che prima non  everso prove la no da hime ta Bora di (u,, cioè        Dalle Radici di Azione  111. Distinte le Azioni in determinate e indetermina-  ciascuna  PARAGRAFO 1.°  Voci attive e passive  112. Ogni Giudizio di Azione oltre la Voce giudicante cioè essere (23) richiede una voce di Azione, ed un Oggetto che forma come il cardine del giudizio stesso (a); come Pietro e Tizio in - Pietro è amante, Tizio è  amato -  Ora quest' Oggetto del giudizio o eseguisce desso l'Azione su cui cade il Giudizio, o semplicemente la ri-ceve: Se la eseguisce , è in istato d'attività; come - Pietro è amante -; ed è invece in istato di passività (b), se la riceve; come - Tizio è amato. Ma il nome dell'Oggetto è inalterabile, cioe esprimere se net giudizio è desso ativo o passivo - Dun-que, il Giudizio non essendo formato che da trè cose cioè — Oggetto, Voce giudicante ed Azione (112) - l'attività o passività dell' Oggetto dovrà essere espressa dalla voce di Azione.  115. Dunque chiameremo attiva - quella Voce di Azione la quale indica che l'Oggetto del Gtudizio è attivo —; come amante in Pietro ama ossia è amante :  Lo stesso dicasi dei Giudizi di Qualità: ma qui il discorso cade soltanto su queili di Azione. Passività nel nostro senso non significa patimento ma ricevimento; ossia un Oggetto è nel nostro senso passivo, ogni volta che riceve un' Azione. E chiameremo passiva - quella voce di Azione, la quale  ania iner io anetto del giudizio —; cone  116. E qui necessario avvertire, che nella Lingua Italiana come in molte altre si presentano sotto apparenza passiva delle Voci di Azione che assolutamente non sono  decomporre ed analizare simili espressioni; giacchè è di somma importanza il saper bene e facilmente distinguere le Voci attive dalle passive, e quelle che sono realmente tali da quelle che ne anno la sola apparenza.  PARAGRAFO 2.°  Di Azione Determinata  Presa per Radice di Azione l' espressione del Giudizio generico-determinante al presente ( 147) ossia l' e-pressio, sedere e dalle Radici verbali di Azione determinata deriva una Voce attiva, un Nome di Azione ed un Nome di Attore — Si avverta, che non tutte le Radici di Azione determinata anno praticamente queste tre Derivazioni : Così dormire per esempio non à nè la Voce attiva, nè il Nome di Attore; e gioire non presenta alcuna derivazione. YOGE ATTIVA Azione determinata essendo quella che termina in chi la eseguisce (19), è chiaro che in tali Azioni l'Oggetto del giudizio non può non essere attivo. Ma lo stato dell'Oggetto è espresso dalla • Voce di Azione ( 114). Dunque dalle radici di Azione determinata deve primie-ramente derivare e deriva una Voce aira, come cor-  rente, sedente ec.NOME DI AZIONE  119. Deriva inoltre una Voce, la quale esprime l'Azione in genere come Oggetto; vale a dire una Voce - esprimente l'Azione qual'Oggetto, e al tempo stesso esprimente una certa continuazione di durata o di tempo  nellazie i drivazioni saranno da noi rsi, une semi  d'Azione.  NONE DX ATTORE  120. Molte volte dobbiamo o ci piace esprimere un Oggetto, non qual esiste in natura ma solo come Agente  in ta caso a oni due i assia se plice alla adice vibale  un aspetto di sostantivo; e la voce che ne risulta è da noi chiamata Nome di Attore; come espositore, coltiva-  tore, vincitore ec.  PaRAGrAFo 3.°  Di Azione Indeterminata  121. Presa egualmente (117) per Radice di Azione l'e-  Edicio ve vallai del nei deto minio presa primelle  mente una Voce altiva, un Nome di Azione ed un Nome di Attore, come dalle Radici di Azione determinata (117):  Così da esporre abbiamo esponente, esposizione ed espo-sitore; coltivante, coltivazione ec. da coltivare ec. -  Infatti, applicando pel Nome di Azione e di Attore il già esposto (119 e 120), il Verbo deve avere una Voce  inoltre una Voce passiva ed un Nome Qualitativo.,  VOCE PASSIVA  125. Azione indeterminata, essendo quella che non termina in chi la eseguisce (19), è chiaro che l'Oggetto. del giudizio sarà molte volte o almeno potrà essere nello stato di passività (113). Ma lo stato dell' Oggetto nel      giudizio è espresso dalla Voce di Azione (114). Dunque dalle Radici di Azione indeterminata derivar  deve e de-  se (116).  NOME QUALITATIVO  rogativa di  caso per esprimere questa prerogativa  o qualita si fa uso d' una voce derivante dalla radice di  CoNonte Quaitatvo detivante da ratice verale di  Azione -; come esponibile, coltivabile, vincibile ec.  125. Siccome ogni Nome  Qualitativo d' Azione deve  riguardarsi come vero Nome di Qualità, cosi dai Qui-razi avremo le varie Derivazioni assegnate (100) alle Radici di Qualità - Quindi dal Quirazi amabile p. es. avremo amabilmente, cioè un Maquirazi (89); avremo amabilità cioè un Sostaquirazi (89); e dovremmo anche avere un Boquirazi (89) come amabilizare cioè rendere  aruad, Voendo quind coprinere di cegute e varie De-  rivazioni da una stessa Radice verbale di Azione indeterminata p. es. presentare, avremo o almeno dovremmo avere - presentante, presentatore, presentazione, pre-sentato, presentabile, presentabilmente, presentabilità,  presentabilizare -  Si avverta però come già fù detto (117), che nelle  Lingue le radici di Azione indeterminata non anno tutte praticamente le diverse annunziate Derivazioni : Così amare non à nè amazione nè amabilizare ec.  AVVERTENZA  127. L' irregolarità nelle Derivazioni gia marcata più volte, è un difetto notabilissimo in tutte le Lingue, ed è una delle prove più convincenti che le Lingue furonoa poco a poco e capricciosamente formate dall' uso, non dal calcolo filosofico nè con regole di sistema — T'ale osservazione dovrebbe più che ogni altra persuaderne, che i Sistemi i Metodi ed i Libri impiegati finora per lo studio delle Lingue, sono direttamente opposti alla natura del prattico Linguaggio, e servono solo ad istupidire lo Spirito ad inceppar la memoria e ad impedire la cogni-  zione di ro dimostare e pretende intenere a come i  CAPO II  Derivazioni dalle Voci di Giudizio  128. Fissata per Voce radicale di Giudizio affermativo l'espressione generica essere, vedemmo (23) che pel Giudizio negativo basta unire ad essa la negazione ; ed abbiamo così non essere — Quindi la Voce radicale di Giudizio in fondo si riduce alla sola essere, e con essa potrebbero facilmente esprimersi tutti i Giudizj.  120. Infatti ogni Giudizio, oltre la Qualità o Azione  il Tempo a cui questo giudizio si riporta, Ora  asodi a cosa dere ci di chi a chi a che  da chi ascolta - Indicando quindi con nome apposito quest Oggetto, e fissando che il nome di chi parla è io se une proi sece le il rocco di chi a tolta il lore nome particolare, si vede chiaro che riguardo all' Oggetto la voce essere può sola bastare ad esprimere qualunque  Giudizio. - Io essere Italiano, Tu essere Studioso, Pietro essere Scrivente, Noi essere vicini, Voi essere pa-renti, i Soldati essere valorosi ec. -  13r. Il, Il Giudizio che si proferisce, è riferibile a  Tempo o passato o futuro o presente (40). Quindi, fis-  da sola foce asere Coll apate d un ai a Pratante ancae  riguardo al Tempo ad esprimere qualunque giudizio -        Per esserne meglio convinti agli Esempj addotti di sopra  - lo essere Italiano ec. — si uniscano successivamente le varie Voci di Tempo jeri, oggi, domani, un anno  fà ec. (38).  132. Ma gli Uomini per natura amanti di varietà come molte volte unirono la voce di Giudizio a quella  itinel Cln evita ripe continue e duindi,  nojose  ogn' istante  una stessa  invariata Voce di Giudizio, come sarebbe in  Italiano essere, trovarono nel decorso dei secoli conve niente supplire e a varj Nomi di Oggetto e a molte Voci di Tre di Gidialcune stabili derivazioni dalla Voce ra-  ralicale ai Cuatio d estre perastremo i quetalarne  essere, passeremo a dettagliarne  tutte le moltiplici Derivazioni dopo le seguenti necessarie  Avvertenze:  AVVERTENZA I  135. Potendo essere Oggetto del Giudizio o Chi parla  dai primi due; oppure per semplificazione maggiore li chiameremo rispettivamente Parloge, Scoltoge, Ter-  come ale o per, ce o a rive devoi e siderase  chi legge.  134. La desinenza nelle derivazioni tanto dalla Voce radicale di Giudizio come da qualunque altra Radice ver-bale, esprime in Italiano la qualità dell' Oggetto, cioè se parlante ascoltante o terzo; e n' esprime parimenti il Numero genericamente cioè se uno o più sono gli Og-  ti me degli e see parlate e colge, mpreo  sempre lo  stesso in ciaseun Numero (130), volendo potremo tralasciarlo ognivolta che non ne nasca oscurità o confu;  sione.   Si richiami la definizione del tempo (36), e la Linea generica indicata (37) per facilitarne l' intelligenza. Si fissi, che il Tempo passato e futuro è sempre hea da noi ai deterina cone presne (3) , ar 6  in nostro arbitrio considerar come presente qualunque punto tanto sulla serie degl'Istanti decorsi come su quella degl' Istanti avvenire.  157. Da varj Oggetti potendo al tempo stesso farsi varie Azioni, o anche dovendo noi al tempo stesso considerare varie Azioni fatte in tempi diversi, si fissino secondo il bisogno due o più linee di Tempo paralel-le (35 V. Nota) frà loro. La prima esprimerà le Azioni dell' Oggetto parlante; la seconda quelle dell'Oggetto ascoltante; e la terza, pluralizata ove occorra, quelle dei  terzi Oggetti.  138. Ugni perpendicolare (a) a queste paralelle tirata  su medingo punto peprimera e arigetti diveren te ogni obliqua alle medesime paralelle esprimerà invece varie Azioni avvenute in diversi istanti, egualmente per opera di Oggetti diversi (b).  139. Un solo Oggetto può fare anch' esso varie Azioni  sare stessetem tal come biscare e ulare, ore ore e cam  se la natura del discorso esigge che si faccia eguale attenzione su ciascuna di tali contemporanee azioni; oppure se, considerandone una come principale, le altre debbano riguardarsi puramente come accessorie: Giacchè nel primo supposto dobbiamo esprimerle tutte distinta-    mente, come giuoca e ride, scrivono e cantano ec.; e nel secondo supposto, espressa la principale con distin-zione, si darà alle altre un aspetto di semplice accesso-rietà, ossia un aspetto modificante, come giuoca ridendo ec. (150).  140. Ciò premesso, inoltriamoci a fare una dettagliata esposizione dei vari Modi e Tempi sia assoluti sia relati-  gna alla generica ladice di Giudizio essere.  ARTICOLO UNICO  Natura del Giudizio  14t. Secondo la  Giudizi Vecondo eh diver dide e e cra tra soio isotri ti, ora dipendenti, ora puramente indicativi, ora accompagnati da qualche particolare sentimento dell'anima, ora generici, ora congiunti a qualche  determinazione  particolare, ora ec.; come potrà meglio rilevarsi dai  Paragrafi seguenti.  Queste diverse forme, sotto le quali suole o può presentarsi un Giudizio, saranno da noi chiamate Maniere o Modi del Giudizio. Questi Modi sono da noi portati al numero di otto, cioè Modo generico, indica-tivo, condizionato, suppositivo, volitivo, ottativo, inde-finito, interrogativo; e tratteremo separatamente di cia-scuno. PARAGRAFO 1.° Giudizio Generico Spesso esprimiamo di seguito due o più Giudizi riferibili ad un Oggetto medesimo; come — voglio par-tire, scrive cantando ec.—; uno dei quali cioè voglio, scrive ec. forma sempre come il cardine del sentimen- Ceso ( 3g), n tal case i facle cnecre, che aveado  espresso con chiarezza e precisione il Giudizio cardinale,    basterà indicare gli accessorj anche genericamente. Ed  infai perchè pect cade aidiri, ecessivi che  separabilmente congiunti?, — Ora questi Giudizj acces-sorj, espressi così genericamente e considerati a motivo  d'a chia spar dimente ai eardicali cidi ili che  generico.  144. Dunque sebbene in un prattico discorso non possa esistere alcun Giudizio assolutamente generico, giacchè tutto vi dev' essere convenientemente determinato, pure allo sguardo analitico varj Giudizi separatamente presi si presenteranno come tali. Dunque è quì necessario ana-lizare le relative espressioni o derivazioni, distinguendo i Giudiz) generici in determinanti e modificanti. GENERICO DETERMINANTE  ‹45. Chiamiamo determinante ogni Giudizio generico, il quale serve a determinare ossia stabilire fissare il vero e preciso valore del Giudizio cardinale ( 143): Così in  — voglio partire - partire è determinante di voglio; giacchè voglio senza partire non esprimerebbe nel nostro caso concreto un'idea determinata e precisa, come diremo in seguito più diffusamente ( 25g e seg.)  Il Giudizio generico determinante può essere pre-sente, passato o futuro — Si avverta però, che in simili Giudizi questi tempi sono tali unicamente riguardo al Giudizio cardinale; e quindi propriamente sono tempi relativi a guello, in cui à luogo il Giudizio cardinale. 1. E presente ogni Giudizio generico determinan-te, che à luogo al tempo stesso del Giudizio cardinale ; e la voce radicale essere è quella che serve ad espri-merlo. Quindi abbiamo - debbo; doveva, dovetti. dovrò, dovrei ec. essere  148. Il. E passato ogni Giudizio generico determinan-te, che à luogo prima del Giudizio cardinale; e essere stato è la derivazione che serve ad esprimerlo. Quindi abbiamo — debbo, dovevo, dovetti, dovrò, dovrei cc.  essere stato -.    149. IlI. E futuro ogni Giudizio generico determinan-te, che à luogo dopo il Giudizio cardinale. Dover essere, aver da essere, esser per essere sono le derivazioni che lo esprimono; tutte però di pochissimo uso in buon gusto Italiano (243). Quindi abbiamo - credo, credeva, credetti, crederò, crederei ec. dover essere o aver da essere o esser per essere —.  GENERICO MODIFICANTE  15o. Chiamiamo modificante ogni Giudizio generico s il quale accompagna il Giudizio cardinale onde presentarlo sotto forma diversa ossia onde presentarlo con una Modificazione (52): Così in — giuoco cantando - can-. cando non fa che accennare l'azione, da cui è accompagnata ossia modificata quella di giuocare.  151. 1 Giudizio generico modificante dovendo agire e  medesimo. Quindi il Giudizio modificante rapporto al cardinale non può essere che presente — Essendo è lu derivazione per questo giudizio. Avremo dunque - Essendo cantante ossia cantando giuoco, giuocava, giocai,  Bocz, Ii Talano si grand uso dal epresione essendo  tempo passato, e ciò specialmente per l'analogia coll' espressione del Generico determinante passato (148). — Si faccia però avvertenza, che essendo stato è un' espressione sostituita ; e si richiami (‹51), che il Giudizio generico  modificate vene esempele presene, Ciod, dev di  PARAGRAGO 2.°  Giudizio Indicativo  153. Indicativo è ogni Giudizio, in cui ad un Oggetto    attribuiamo puramente un'Azione o Qualità, senza che vi sia annessa alcuna particolare circostanza o emozione dell'animo; come — Pietro è virtuoso, i Soldati erano  prodi ec.  -: E lo chiamiamo Indicativo appunto perchè  tale Giudizio non fà che accennare ossia indicare se stesso li. madrio indicaivo può essere isolato o dipen  dente.  INDICATIVO ISOLATO  155. Isolato da noi chiamasi ogni Giudizio indicativo  esprimente un senso completo senza il concorso d' altro  Giudizio — L' Indicativo isolato è sempre riferibile ad uno dei tre Tempi passato, presente o futuro; giacche in qualche istante di tempo  156. T'EMPo PASSATO - E passato quel tempo, che si considera esistente sulla linea ( 5g e 40) prima del punto che fissiamo come presente — Eccone le Derivazioni :  io fui  noi fummo  tu fosti  voi foste  egli fù  essi furono  157. TEMPO FUTURO - E futuro quel tempo, che sulla linea trovasi dopo quel punto che fissiamo come presente - Eccone le Derivazioni :  io sarò  noi saremo  tu sarai  voi sarete  egli sarà  essi saranno  158. TEMPO PRESENTE - Il tempo presente non occupa sulla linea che un punto solo, e propriamente quel punto che divide il Futuro dal Passato - Eccone le Derivazioni :  io sono  noi siamo  -tu sei  voi siete  egli è  essi sono  159. La Lingua Italiana per il passato due espres-sioni, ossia considera il passato e come vicino al presente e come da esso lontano. Quindi per l'Indicativo isolato abbiamo in Italiano due Tempi passati, cioè passato-vicino e passato-lontano - Le derivazioni sovraespresse (156)    io fui ec. servono al passato-lontano; e pel passato vicino abbiamo le seguenti:  io sono stato  noi siamo stati  tu sei stato  voi siete stati  egli è stato  essi sono stati  160. L'uso di questi due Tempi passati riuscendo a  rol passto vicine spase unicanente per cprnet  Giudizi riferibili al giorno in cui si parla  riteribi le una esterorno di ceio della quale rena  parte integrante il giorno in cui si parla; come — que-  Il passato-lontano si usa invece per esprimere qualunque giudizio riferibile per lo meno al giorno precedente quello, in cui si pronuncia; e però deve sempre far buon senso colla voce di l'empo jeri.  INDICATIVO DIPENDENTE  161. Dipendente chiamiamo ogni Giudizio indicativo; la cui chiara totale e precisa intelligenza dipende da un altro Giudizio; ossia è dipendente ogni Giudizio, che senza l'ajuto d'un altro non ci presenterebbe una completa co-  Tinieier la pend del eve a cui si dice seri  unito ad un altro giudizio à espresso o facilmente sottinteso.  Ogni Giudizio indicativo dipendente è riferibile ad uno dei trè Tempi presente-relativo, pussato-anteriore, futuro-anteriore. PRESENTE-RETATIVO - Chiamiamo presente-relativo quel tempo, il quale sebbene di sua natura assolutameute passato, pure è presente riguardo a quello in cui avvenne una data Azione o. Giudizio. possono e quile poprendere ehe da due più Omoni  al tempo stesso: Così in — lo scriveva, quando voi mi    chiamaste — l'azione di scrivere è avvenuta contemporaneamente a quella di chiamare - Ora tali Azioni: riguardo al tempo in cui avvennero confrontate l'una col-T altra, sono ossia furono reciprocamente presenti trà loro, cioè ebbero luogo in un medesimo istante — Dunque possiamo giustamente nominarle di presente-relativo.  165. Se dunque corsideriamo lungo varie linee para-Jelle (137) Azioni diverse già consumate, saranno di presente-relativo cioè presenti frà loro tutte quelle che trovansi in una stessa perpendicolare a queste paralel-: le (138). Espressa dunque una di tali Azioni contern-  poranee  in modo da far conoscere il tempo asoluto in cui avvenne, basterà indicare che le altre furono con-. temporance alla medesima; ed abbiamo voci apposite per questo. — Eccone le Derivazioni :  io era  noi eravamo  tu eri  voi eravate  egli era  essi erano  166. PASSATO-ANTERIORE - Chiamiamo passato-anteriore ogni Tempo passato prima d' un altro, che nel discorso noi consideriamo parimenti come passato - Ed infatti• quante volte non ci occorre di esprimere due Giudiz) o Azioni passate, obligati ad indicare nel medesimo tempo che l'una avvenne prima dell'altra? Così p. es. in -  O moTiorpar ong tora dela corerd ai  mio ritorno è avvenuto prima della partenza di Tizio: Quindi l'azione di tornare, anteriore a quella di  contrel sard tante chiamata d leape pasato  concreto sarà  anterjore. — Eccone le Derivazioni :  io era stato  noi eravamo stati  tu eri stato  voi eravate stati  egli era stato  essi erano stati  167: FUTURO-ANTERIORE  - Molte volte esprimiamo un  Giudizio di Tempo futuro, ma che deve effettuarsi prima  He de due dere etituara pel primey e quele cie  noi diciamo di tempo futuro-anieriore. Così, p. es. in -  Quando avrò finito la Lezione, passeggeremo — il passeggio non può aver luogo che dopo finita la lezione:  Quindi l'azione di finire, in se stessa futura ma che deve    aver luogo prima di quella di passeggiare, sarà nel caso nostro giustamente chiamata di Tempo futuro-anteriore.  Eccone le Derivazioni :  io sarò stato  noi saremo stati  tu sarai stato  voi sarete stati  egli sarà stato  essi saranno stati  PARAGRAFO 3.°  Giudizio Condizionato  Condizionato è ogni Giudizio, la cui verificazione trovasi essenzialmente attaccata all' eseguimento di qualche Condizione espressa o facilmente sottintesa. Quindi il Giudizio condizionato relativamente alla che ziand è severi di e satura verre aule a Condi, che quando si verificasse o si fosse zione, il Giudizio condizionato avrebbe luogo o lo avrebbe avuto sempre dopo tale verificazione.  170. Il Giudizio Condizionato può essere praticamente.  eseguibile o ineseguibile.  CONDIZIONATO INESEGUIBILE  171. Un Giudizio condizionato è ineseguibile, quando la condizione non può più aver luogo - Quindi il Condizionato ineseguibile non può per natura riferirsi a.  Tempo futuro: Esso quindi sarà di Tempo o presente o passato.  172. CONDIZIONATO PRESENTE - È presente, quando posto il verificamento della condizione, il Giudizio avrebbe luogo al momento in cui si proferisce: Come — Favori-  trovi la sete ha se ate, ce la de di danti verit  candosi la condizione di avere, seguirebbe al momento istesso in cui si pronuncia il corrispondente giudizio, -  Eccone le Derivazioni :  io sarei  noi saremmo  tu saresti  voi sareste  egli sarebbe  essi sarebbero    173. CONDIZIONiTO PASSATO - E passato, quando posto il verificamento della condizione, il Giudizio avrebbe avuto luogo in un tempo anteriore a quello in cui si pronuncia: Come — Se foste venuto, ve lo avrei detto - ; dove si vede, che verificatasi la condizione della venuta, l'azione di dire sarebbesi effettuata in un tempo anteriore a quello, in cui proferiamo il corrispondente Giudi-  zio. — Eccone le Derivazioni :  io sarei stato  noi saremmo stati  tu saresti stato  voi sareste stati  egli sarebbe stato  essi sarebbero stati  appare e ole, diposent no seguibili de Cardia , cho  qualens non sespriere quet pici mente areiene;  Come - Amerei sapere  verta quindi , che simili Sparereste forse ..? — Siav  espressioni difettose in natura,  sono improprie ossia sostituite; ma che furono riconosciute buone dall'uso, il quale in punto Lingua auto-  rizò moltissimi errori.  CONDIZIONATO ESEGUIBILE  Condei tre Gia rico a diricato è eseguibile Condeila  nato eseguibile non può per natura essere che di Tempo futuro - Ma la forza condizionativa è sempre espressa dalla natura del discorso. Dunque basterà semplicemente indicare, che il Giudizio condizionato è eseguibile, ossia cli è futuro. Quindi pel Condizionato-futuro faremo uso delle Derivazioni già stabilite per l'Indicativo-futuro (157):  Condizionato eseguibile benchè  sua natura futuro, si oftre sotto aspetto di presente riguardo al Tempo in cui si verificherà la condi-zione. In tal caso le Derivazioni sono eguali a quelle gia  di Tempo futuro, riguardo al tempo in cui si pionuncia il giudizio. Ma siccome nel discorso noi consideriamo    questa ione ela va enco all' con di e a so di segui  presente, stante la nostra maniera di considerarla.  PARAGRAFO 4.°  Giudizio Suppositivo  La natura del discorso esigge sovente, che in via d' abbondanza d'ipotesi ossia supposizione si ammetta come avvenuta o avvenibile una cosa, che potrebbe anche non essere, Il Giudizio che noi esprimiamo in tal caso è in modo di supposizione, e perciò lo chiamiamo Suppo- sitivo — E siccome la supposizione può cadere su cosa presente, passata o futura; così il Giudizio suppositivo dovrà riferirsi ad uno di questi trè Tempi. Si avverta, che nei Giudizi suppositivi il nome di Oggetto si pone dopo la Voce di Giudizio; e che trà la Voce di Giudizio e il Nome di Oggetto comunemente suol porsi una particella, che diciamo di supposizione; come pure, anche ec. SUPPOSITIVO-PRESENTE - E presente il Suppositi-vo, quando il Giudizio si riporta al momento in cui si proferisce: Come - Siate pur voi l' offeso: Che bramate di più?.— Eccone le Derivazioni : sia io siamo noi  sii tu  sia egli  siate voi  siano essi  180. SUPPOSITIVO-PASSATO  — Il Giudizio Suppositivo è riporta ad un tempo anteriore a  prello in un se proteree: come " son pur ogli rato  nostro nemico: Noi dobbiamo graziosamente riceverlo -  Eccone le Derivazioni :  sia io stato  siamo noi stati  sii tu stato  siate voi stati  sia egli stato  siano essi stati  182. SUPPOSITIVO-PUTURO È futuro il Giudizio sup-  poi a grando di ricrisce a tempo posteriore do mul,  cieè sia arrivante ec. — Le Derivazioni del futuro sono eguali a quelle del Suppositivo prescate ( 179); e quindi    se non in lingua, son difettose in natura — A questo difettó dobbiamo pertanto supplire col fare attenzione maggiore al sentimento.  PARAGRATO 5.°  Giudizio Volitivo  osia ci amiamo solta da i soliti delie pra ede  lontà — Ma un atto di assoluta deliberata volontà non può esternarsi che o comandando o esortando o pre-gando. Dunque il Giudizio volitivo esprimerà sempre o  Comando o Esortazione o Preghiera.  Inoltre un atto di assoluta volontà non può riferirsi al tempo che più non è — Dunque il Giudizio volitivo si aggirerà soltanto sul Tempo o presente o futuro. Finalmente l' Oggetto parlante (150) non à bisogno di esprimere con parole un atto di volontà riguar- lante, se uno; giacchè essendo più gli Oggetti parlanti, possono benissimo anzi debbono comunicarsi reciprocamente la lore volontà.  185. VOLITIro PREsENTE - Un Giudizio volitivo è presente, quando deve eseguirsene la forza al momento stesso in cui si proferisce: Come - fuggi, tacete, cantiamo ec. — Eccone le Derivazioni : siamo noi sii tu  siate voi  sia egli  siano essi  186. VOLITIVO-FUTURO -  Un Giudizio volitivo è fusu-  20 un anno " eseginento della sua espresione si riports  sarai ti  saremo noi  sarete voi  sarà egli  saranno essi  187. Si faccia attenzione, che nei Giudizi volitivi il nome di Oggetto si pospone alla voce di giudizio, anzi      generalmente con più eleganza si tralascia, specialmente nel futuro.  ai ne spesisio il toluvo prente htrid esendo  ,che invece del futuro in prattica  in tal caso espressa dalla natura del discorso.  PARAGRAFO 6.°  Giudizio Ottativo  183. Siamo non di rado nella situazione di desiderare energicamente qualche cosa. In tal caso esprimiamo un forte sentimento dell'animo con un Giudizio accompagnato da desiderio ossia ottativo, dalla voce latina optare che significa desiderare.  189. Il Giudizio Ottativo può come il Condizionato (170) essere eseguibile o ineseguibile.  Si avverta, che ugni Giudizio ottativo suole nel discorso essere ordinariamente accompagnato da una particella  di eder, come it esi vele, di di questi dimace  il nome di Oggetto, il quale può esser anche taciuto, si pone dopo la voce di giudizio.  OTTATIVO INESEGUIBILE  190. Un Giudizio Ottativo è ineseguibile, quando il desiderio che lo accompagna non può più aver luogo  ossia non  Poit io inesegui sarai mario prese e o assai  to, escludendo esso il futuro di sua natura perdie altrimenti cesserebbe d'essere inescguibile appunt  in cui si_ proferisce: Come — Oh foss' io vostro Gene-!  rale! - Eccone le Derivazioni:  foss' io!  fossimo noi!  fossi tu!  foste voi!  foss' egli!  fossero essi!  192. OrTATIVO-PAssATO — L'Ottativo è di Tempo  valore dei cadia, avre e attraiome e de deria, il  mento in cui si proferisce: Come - Oh foss' io stato più accorto! — Eccone le Derivazioni:  foss'io stato!  fossi tu stato!  fossimo noi stati!  foss'  foste voi stati!  egli stato!  fossero essi stati!  OTTATIVO ESEGUIBILE  195. Il Giudizio Ottativo è eseguibile, quando il desi-  Quindi Ottativo enguibile nou pan pea eeta essere  che di Tempo futuro:  194. Le Derivazioni per l' Ottativo futuro sono perfettamente eguali a quelle dell'Ottativo presente (19°); e  3 nerisce il Cudicio Cuesta Contione e perd della  massima facilità. Infatti chi non vede, che i Giudizj ottativi — Oh mi scrivesse col primo ordinario! Oh arrivassero almeno domani! ec. — sono Giudizj riferibili a  Tempo futuro?  AVVERTENZA  105. Autorizati dall' uso sostituiamo molte volle al  No e Oativo delle espe voi di pare a col diziona-  La natura del discorso però ci farà facilmente conosce-re, che tali espressioni sono sostituite; e l'analisi vuole, che sappiamo riportarle all'originaria loro forma e na-tura.  verta, che l' uno difatti chiama necessariamente l' altro, benchè in prattica non sempre sieno espressi formalmente    clianiand Ogi Cidize die accompagnato da una tai  spressione arrivino è indefinita, ossia non presenta che un Giudizio indefinito; giacchè questo Giudizio non ci dà di se stesso alcuna certezza: - Mi pare che arrivino, credo che arrivino, si dice che arrivino, voglio che arrivino ec. -  198. Questa materia s' intenderà meglio dopo avere attentamente ponderato ciò ch' esporremo in seguito (358) - Quì intanto fisseremo l'espressioni o Derivazioni per que-  stelle derivazioni pri lu citairi es pisse lnse, heacha  in se e propriamente nel discorso abbiano tutt' altra forza e valore, che tali Derivazioni debbono essere precedute dal che, il quale però qualche volta si può anche tra-lasciare; finalmente che questo che è sempre preceduto esso stesso da un altro Giudizio o Verbo, che per ora chiamiamo precedente.  si cred va io siper Tindefroke net sia  che noi siamo  che tu sii  che voi siate  ch'egli sia  ch' essi sieno  si credee vario sia sato in one sot si  che noi siamo stati  che tu sii stato  che voi siate stati  ch' egli sia stato ch' essi siano stati  201. Indefinito-futuro — Un Giudizio di Tempo futuro è indefinito ossia incerto di sua natura. Quindi in Italiano non à alcuna particolare espressione, ossia è espresso  che un ci drio divederto, la ta in rea a che sere  porta a Tempo futuro. — Eccone le Derivazioni col che:  Si crede — ch'io sarò  che noi saremo  che tu sarai  che voi sarete  ch' egli sarà  ch' essi saranno    202. Derivazioni per l'Indefinito presente-relativo -  Si creder lo theredette ec.  che noi fossimo  che tu fossi  che voi foste  cli egli fosse  ch' essi fossero  203. Derivazioni per l' Indefinito passato-anteriore -  Si credeva  levo si sietelte ec.  che noi fossimo stati  che tu fossi stato  chie voi foste stati  ch egli fosse stato  ch'essi fossero stati  204. Indefinito Futuro-relativo - Il futuro-relativo si usa al Modo indefinito per esprimere un Giudizio, futuro  con in se sei idi samente river o preced in  te (198) - L'espressione per questo futuro-relativo si prende dal Giudizio condizionato o presente o passa-  rapporto alla condizione ( 16g). — Eccone le Derivazioni col che:  Si credera o si credette ec.  che tu saresti ch' egli sarebbe  che noi saremmo che voi sareste cli essi sarebbero  ovvero  Si credeva ec.  ch'io sarei stato che tu saresti stato ch'egli sarebbe stato  che noi saremmo stati che voi sareste stati cli essi sarebbero stati  PARAGRAFO 8.°  Giudizio Interrogativo  I Giudizi sono molte volte accompagnati da Inter-rogazione; ed allora noi li chiamiamo Giudizi interrogativi. Nei Giudizj interrogativi si fà uso delle Derivazioni già esposte per gl' Indicativi, Condizionati ec. - Si avverta però; che negli Interrogativi il Nome di Oggetto si pospone alla voce di Giudizio; che molte volte questo Nome si può anche tralasciare; e che nella scrit;    tura i Giudizi interrogativi voglieno essere marcati col così detto punto interrogativo - Avremo dunque:  — Son io? fui io? sarò io? sarei io? ec. —  207. Il Giudizio interrogativo può essere semplice o  enfatico,  damente o die, guano di isma in Comat e Cle  fate? Dove andarono? Quando tornò? ec. -.  II. E enfatico, quando la domanda è accompagnata da un forte sentimento dell' animo p. es. di sdegno, d'orrore, di dubbio, di timore, d'insulto, di scherno ec. :  Come — Che si pretende da me? Dunque è finita per noi? E vederlo potrei? Voi l' uccideste  208. Gl' Interrogativi tanto semplici ch' voi? ec. —  enfatici si espri-  mono colle stesse Derivazioni, ed in iscritto colla stessa punteggiatura. Essendo però in natura diversi trà loro, tale diversità dovrà essere espressa da una diversa infles-  pratican se a to dati quante diversi trà  CAPO III  Derivazioni dalle Voci di Rapporto  209. Avendo trovato inopportuno e quasi impossibile il determinare tutti i diversi Rapporti che le Cose anno tra loro (76): portiamo lo stesso giudizio e con più forte ragione sulle Derivazioni dalle voci Radicali di questi  le possibili metafisiche teorie — Ritenendo quindi, che dopo l'esposto finora siasi già acquistato dello Spirito analitico anche relativamente al Linguaggio, alido l'esame di queste Derivazioni alla perspicacia del meditabondo Lettore.    210. Debbo però avvertire; che non da tutte le Radici di Rapporto abbiamo Derivazioni; che da alcune  alpicazione irainite anche di Sastivi aai e.;  infine che la natura del discorso farà facilmente rilevare le Radici di tali Derivazioni. Infatti in un prattico discorso chi non vedrà all'istante, che le voci — infe-  tro ec. - ?  211. Riguardo alla denominazione di tali Derivazioni si richiami quanto fû già stabilito nella nostra Nomen-  rapo (89) ec..  SEZIONE TERZA  DELLE VOCI SOSTITUITE  212. Sostituite chiamiamo (5) quelle Voci o Espres-sioni, che per vezzo eleganza chiarezza o brevità sogliono dall'uso porsi in luogo d'altre voci conosciute e di altre  regolari espressioni  ed e stiani salin pratica molisime:  merà non inâtile doversi qualch istante occupare di tale materia.  214. Avverto poi, che non è possibile scriver bene in una Lingua non propria, quando non si sappiano fare nella propria Lingua tutte le possibili sostituzioni; a meno che non s' imparasse la Lingua straniera per prattica  come la propria.    DELLE VOCI PARTI DEL DISCORSO  NALIZATE finora le Voci isolatamente prese  paile com ar osia memar del Dicorso , ale a dare  dobbiamo considerare l'ufficio la posizione il valore delle une relativamente alle altre, in quantoche prese insieme formano un sentimento completo.  le varie  varie possiber inuzzioni degli Osteti etemrate le  due Sezioni di questa seconda Parte della nostra Metali-  sica di Linguaggio.  SEZIONE PRIMA  DETERMINAZIONE DELLE VOCI  217. Abbiam visto (12 e 19), che le Voci sia d'Oggetto sia d'Azione possono essere, anzi sono nella massima parte indeterminate. Ora una Voce nel nostro senso indeterminata, non esprime e non presenta allo spirito  che una  natura de acors og acamenke Che sla idata fal  idea generica; ma è pur vero, che le Voci indetermina-  per gli Oggetti che per le Azioni.    Determinazione degli Oggetti  218. In Italiano i Nomi indeterminati, cioè di Oggetto indeterminato, si distinguono dai determinati col mezzo d'una piccola voce il, lo, la ec. chamata comunemente Articolo. Quindi ogni Nome cui si prepone e può preporsi l'Articolo, è di sua natura indeterminato.  ai laro natura doteminti, Y tal case pero ai avola,  che frà l'Articolo ed il Nome è sottinteso un Sostantivo  Pò, l'astro chiamato Sole, la parte del  globo detta Europa, la parte d'Italia detta Lombardia ec. -  220. Ogni Oggetto o Nome indeterminato, quando al discorso non basta la sua generica idea, deve di necessità convenientemente determinarsi - Ma in natura non  Oggetto dipenderà necessariamente da uno o più di questi trè Capi d' esistenza.  Ma i Giudizj in fondo non sono che Azioni: 1 Rapporti di loro natura determinano nel discorso tutto ciò che prende determinazione da loro, avendosi per ogni Rapporto voci apposite e invariabili, quindi sempre di eguale significato e valore. Dunque possiamo limitarci a parlare delle sole determinazioni dipendenti da Cose, ossia da Oggetti, Azioni e Qualità (9). Dunque riguardo agli Oggetti o Nomi indeterminati analizeremo successivamente i Qualitativi, i Sostantivi e i Verbi determinanti cioè — che fissano l'idea precisa, la quale deve da noi attaccarsi al Nome di sua natura indeterminato -    Del Qualitativo doterminante Oggetto, o Quiterge  223. Ogni nome Qualitativo è di sua natura determinante Oggetto, com'esprime la voce stessa qualitativo ossia qualificante. Quindi se un Oggetto indeterminato  debba prendere la necessaria determinazione da una Qualità, basterà unire semplicemente il nome di Qualità a quello d'Oggetto; come confomo otto dele Principe da sti chiala Quie alla notra Nomenclatura sarauno  224. Dagli esempi qui addotti ed altri simili, se si  • analizino, è facile comprendere in che consista la deter-  da Qualità - L' Uomo p. es.  minie un prove ente, d coprendente 4 gi non ch;  e quindi applicabile a qualunque individuo della specie:  Unendo però al Sostantivo uomo il Qualitativo dotto, 1o ne limito l'idea generica escludendo i moltissimi non  225. Dunque ogni Qualitativo unito ad un Nome di Oggetto non serve che a determinare l'idea dell'Oggetto medesimo: E ci convinceremo sempre più di questa verità osservando, che gli Oggetti di loro natura determinati (15) non ponno mai essere uniti ad alcun Nome Qualitativo.  ARTICOLO lI  Del Sostantivo determinante Oggetlo, o Soterge  225. Il determinare un Oggetto col mezzo d' un altra  Oggetto è cosa comunissima in ogni Lingua - Ma un Oggetto che in una data circostanza serve a determinarne  sia, deve avere il suo particolar Distintivo.  227. In Italiano il Distintivo del Soterge è la particella di, la quale trovasi spesso unita all'Articolo in una sola    Pa, la ua ce os allesto di ara da noi chianato Seo  terge, cioè — Segno di sostantivo determinante Oggetto -  Nelle espressioni - La Casa di Pietro, il Calore del Sole ec. — Pietro e Sole sono Soterge, cioè sostantivi determinanti rispettivamente gli oggetti Casa e Calore;  e però sono preceduti dal Sesoterge di.  228. Si noti, che la particella di per ditetto di Lin-  terge, e non lo è sempre nell'espressione - Stoffe di Vienna -; giacche secondo la diversa natura del discorso può significare - Stolle fatte in Vienna, 'Stofle  venute da Vienna ec. -.  Questa materia è di somma importanza specialmente per passare dall'Italiana ad altre Lingne; ma è dificile,  e ndo lo spher conosceii de alicadio molto e posse-  ARTICOLO III  Del Verbo determinante Oggetto, o Boterge  229. Spessissimo per determinare un Oggetto ci serviamo  d' un'  Azione ossia d'un Verbo ch'è la voce destinata ad esprimere l'Azione (25) - Ma un Verbo non sempre si trova nella situazione di determinante Oggetto, ossia non è sempre Boterge (92). Dunque quando sia tale,  Italiano è l'esser desso preceduto dalla voce quale col-l'Articolo. Noi chiameremo questa voce Seboterge (81)  cioè — Segno di Verbo determinante Oggetto — ; avver-tendo, che quasi sempre sogliamo sostituirvi la voce  231. Dunque sareino certi che un Verbo è determinante Oggetto, ognivolta che sia preceduto dal Seboterge  il lo o le cato di pena di 5, c  in — l'Uomo, il quale o che pensa, che parla ec. — sono Boterzi.    Determinazione delle Azioni  252. È indeterminato ogni Verbo esprimente un'Azio-ne, che termina in un Oggetto diverso da quello che la eseguisce (26); ossia ogni Verbo che presenta allo spirito un'Azione generica, pratticamente applicabile a più  sovente ne-  chở Qu na per sso e determina da Quante pes-  sono avere relazione alcuna colle Azioni — Dunque, xi-  chiamae i gi abili ipote in satura coin  punto determinazione possiamo dispensarci dei Rapporti e dei Giudizi (an oeni Azione indetere  minata dovrà determinarsi o con un Oggetto o con un' altra Azione.  235. Dunque ogni Verbo indeterminato, quando al discorso non basti l'idea generica espressa dal medesimo, dovrà essere accompagnato o da un Sostantivo o da un Verbo determinante cioè — che fissi il vero punto di vista,  • sotto cui deve nel discorso esser presa una data Azione.  ARTICOLO I  Del Sastantivo determinante Azione, o Soterzi  236: È determinante Azione in Soterzi (93) ogni Nome di Oggetto, il  nete attecast a ln die eo indeterminato : Ccol  un dato Verbo indeterminato: Così  in — Cesare premiava i Soldati - il Nome Soldati serve  " da in Sostantiro non sempre ne ascorso & detere  nante Azione. Dunque quando lo è, dovrebbe avere il suo particolar Distintivo.  237. In Italiano il Nome determinante Azione o So-terzi è sempre eguale al Nome Reggente (260), tranue il Nome singolare degli Oggetti parlante e ascoltante,     qualch altra voce sostituita come lui, lei ec. Si avverta però, che il Nome reggente corrisponde al così detto  Domini è necesario avvertire, che il Solario  è necessario avvertire, che il Soterzi ossia il  Sostantivo determinante Azione in Italiano al singolare è  to: Come - datemi del danaro, della carta ec. —. E però facile vedere, che le voci del della in simili casi o sono superflue o sono sostituite all'espressione un poco:  Quindi non è possibile ingannarsi a segno da prenderle per Sesoterge combinati coll'Articolo (227).  Parimenti al plurale si usa dei o delle col Soterzi; e ciò quando si vuol esprimere indefinitamente un piccolo  dei delle propriamente significano alcuni alcune.  ARTICOLO II  Del Verbo determinante Azione, o Boterzi  sas idearniare Aird falire che miami®  dare praticamente ad un Verbo indeterminato qualun-que: Così in — Voglio che partiate, Vedo che arrivano ec. — partiate e arrivano servono, rispettivamente a determinare le Azioni espresse da voglio e vedo - Ogni Verbo che serve così a determinare un' Azione, sarà da noi chiamato Boterzi (93); e chiameremo determinando il Verbo esprimente l'Azione che deve determinarsi.  Ma un Verbo determinante Azione nel discorso non à sempre quest' ufficio medesimo, cioè non è sempre Bo-  ever Dunge e cio abba e esa ia dire disie quando  240, In Italiano il Distintivo da cui si fa precedere il Verbo determinante Azione, è la voce che, la quale sarà da noi chiamata Seboterzi, cioè — Segno di Verbo determinante Azione —. Di questo Seboterzi o voce che, dobbiamo estesamente parlare dopo la seguente essenzia-  lissima     24r. In Italiano il Boterzi o Verbo determinante Azio-  del chene b jure suo distintiv volet essere preceduta  Modo generico (145); come — Voglio scrivere, pensano arrivare ec. —. E quindi della massima importanza il conoscere, quando debba esso esser usato in modo generico e quando col che. Parimenti è molto essenziale co-  bisogna attentamente esaminare e la Natura dell' Oggetto che fà l'Azione determinante, e le Circostanze dell'Azione medesima.  I. NATURA DELL'OGGETTO riguardo al Modo  242. L'Azione determinante si eseguisce, o dall'Oggetto  del Terlo deteriori dallo a un 08 00, allora il  Verbo determinante se di Tempo presente o passato, si esprime in modo generico - credo essere, pensano aver vinto ec. —; se di Tempo futuro, per eleganza si fà generalmente precedere dal che, quantunque possa farsi uso del modo generico coll'espressione di futuro ( 149) - Credo che partirò, ovvero — credo dover partire, aver da partire, esser per partire - secondo le varie circo-stanze.  244. II. Eseguendosi da un Oggetto diverso, allora il Boterzi si fa preceder sempre dal che, come - .vedo  Ge , cie h sone datermtimnte in gi aprso ne ar  scorso, il Boterzi si pone allora al Modo generico;  75. Replogando il qui espote sula Natura dat Og:  getto si vede, che il Boterzi si esprime in Modo generi-e si quande col te indicato i monazione determinante :  esprime col che, quando o non fû indicato o è ancora necessario indicare chi fà l'Azione determinante - Ed infatti il Giudizio e Modo generico per natura esprime    TAzione ed il Tempo, ma mon esprime l'Oggetto chi e-  seguisce l'Azione.  II. CIRCOSTANZE DELL'AZIONE riguardo al Tempo  Il Verbo determinante o esprime puramente l'4-zione, o esprime anche il Tempo in cui l'Azione si ese-guisce. I. Esprimendo puramente l'Azione, il Boterzi si pone sempre al Tempo presente; come — Sento che  cantano, sentii cantare se sentirò che cantino ec. - Ed infatti in questi casi l'Azione del determinante deve ese-  faing e ter permimente aesprime il terminando.  esprime il vero Tempo  dell'Azione. Dunque basta puramente indicare che l'Azione determinante avviene anchi essa al tempo medesi-mo, ossia ch è presente all'Azione del Determinando.  248. II. Esprimendo anche il Lempo, in cui l'Azione si eseguisce, il Determinante dovrà porsi al suo Tempo conveniente, che sarà facile conoscere dalla natura del prattico discorso: Quindi si avrà - So che partono,  ch' erano Determinando non esprime il Tempo in cui  avviene l'Azione determinante, questo Tempo dovrà essere espresso dal Boterzi medesimo.  249. Si avverta, che il Boterzi benchè di sua natura  futita delle si erie col presente agrilla che a fu  dal significato del Verbo determinando: Come - Spero arrivare, che arriviate ec. Temo partire, che partano ec. — Ed infatti la futurità del Boterzi essendo rispettivamente espressa da spero, temo ec., il Verbo determinante non dev' esprimer  Tempo ma puramente  Azione; e però è ad esso applicabile perfettamente il sovraesposto (247).    250. Questa Voce è d'un uso frequentissimo nel di-  scorso. Quindi  I. Bisogna saperla ben distinguere dalla voce eguale che sogliamo sostituire sia al Seboterge quale (250), sia all' interrogativo cosa, sia ad altre voci non poche: E questo si otterra, facendo la debita attenzione alla natura del discorso, e  per chiares, maggioreortune sostituzioni ove occorran  pre trova i sedio vertir e che di quote due verti  due Verbi  quindi molto riflettere su questi due Verbi relativamente al che, ne tratteremo, separatamente, chiamando l' uno precedente l'altro seguente il che.  VERBO PRECEDENTE IL CHE  25,. Riguardo al Verbo precedente è necessario osservare in primo luogo, s'è desso affermativo o negativo.  252. Quando sia affermativo, conviene spingere l'analisi ed osservare, s'è desso assoluio o inassoluto.  ridole e aso dellade che tenendola in e er  certezza dell'azione determinante; come - vedo che  dell'Azione determinante; giacche non possono nou cantare e non fuggire, se io li vedo fuggenti e li sento cantanti.  certera dellarone deteniato e cio avvine in dita  maniere: 0  sua naera l'acche il Vindo pone dente arone de ella-  cate e prece pere, espone dito ce natura, cre  l'azione determinante è relativamente ad esso futura,come — voglio, ordino ec. —; giacchè del futuro non si può avere assoluta certezza.  VERBO SEGUENTE IL CHE  255. Se il Verbo precedente è negativo (251), il seguente si pone sempre al Modo indefinito ( 197); come  — Non vedo che partano; ignoro ossia non so che sia giunto ec. — Ed infatti in simili casi il Verbo seguente il che esprime un'Azione, la cui esistenza è per noi incerta, come ci fü di sua natura conoscere il Verbo precedente negativo. Dunque dovendo mostrare tale in-  certezza, il Verbo seguente deve esprimersi in Modo in-definito.  Il Verbo precedente essendo affermativó, si osserverà s'è desso assoluto o inassoluto (252). I. Se assoluto, il seguente và al Modo indicati- zione determinante a noi si presenta nel massimo grado di certezza, come ne assicura il Verbo precedente (253).  Dunque basta unicamente accennarla; e però la ospri-miamo in Modo indicativo.  258. Il. Se inassoluto, il seguente và al Modo indefi-nito; come — Mi pare che partano, voglio che parta:  sistenza, come già osservammo (254). Dunque, tale incertezza dovendo essere esternata nel discorso, esprimeremo il Boterzi in Modo indefinito.        VARIE SITUAZIONI DEGLI OGGETTI  25g. Come fù già avvertito (74), uno stesso Oggetto può in diversi incontri trovarsi in situazioni diverse. Esigendo quindi la chiarezza del discorso che si precisi in ogni circostanza la vera situazione dell' Oggetto , parleremo di queste situazioni distesamente, fissando per ciu-scuna il suo particolar Distintivo.  CAPO I  Sostantivo Reggente  reggo ves, da a chia qui do sestanti i Guando in —io partirò, tu scrivesti, il Sole riscalda, Pietro fü  chiamato ec. -  261. Il Sostantivo reggente può essere attivo, passivo  ° 262. P. È altivo, se agisce, cioè se fa desso l'azione  espressa dal Verbo; come - Io scrivo, iu dormivi, il Sovra passivo, se invece di agire ossia invece di ess  laureato ec..—  264. III. E neutro cioè nè attivo nè passivo (dal latino neuter significante ne l'uno nè l'alero), quando  come — I frutti sono maturi, l'Inverno fù rigido, Voi siete studiosi  265. Tutti i Verbi potendosi decomporre in Voci di Giudizio e di Azione (25), il Nome reggente sarà atti-    vo, quando in tale decomposizione la Voce d'Azione risulti attiva ( 115); come — io leggo, cioè sono leggente ec. —; e sarà passivo, se questa voce d'azione risulti passiva (115); come - io sono chiamato, in latino  vOcor -  L'Articolo è in Italiano il Distintivo del Nome Reggente se indeterminato (218); e se determinato, il suo distintivo consiste nel non averne alcuno. CAPO II Soterge Un Sostantivo è determinante Oggetto, quando s' introduce nel discorso unicamente onde precisare il punto di vista sotto cui dobbiamo riguardare un qualche Oggetto indeterminato ( 226 ). Il Distintivo del Soterge o Sostantivo determinante Oggetto, in Italiano è la particella o Sesoterge di, che unita molte volte all'Articolo, da le voci composte del della ec. (227). CAPO III Soterzi  26g. Un Sostantivo è determinante Azione, quando  § introduce nel discorso unicamente per fissare il punto di vista sotto cui deve riguardarsi  'un' Azione o Verbo  dayo. Th Tralano et Soter 2 pre  è precisamente eguale al  Nome Reggente, e non vi sono che pochissime eccezioni (257). Quindi il solo sentimento e un'accurata analisi potrà farci ben distinguere l' una dall'altra situazione nel Sostantivo.  CAPO IV  Sostantivo Cominciante      re ec. in — Ebbi lettere da Vienna, Il Castello fu preso dai Soldati, E narrato dalle Storie, Ciò deriva dall'Amore ec.  -  272. Il Distintivo del Nome Cominciante in Italiano è la voce da, la  posi over ta, quie  quindi che il Nome seguente non è sem-  pre cominciante. Il buon senso però e l'analisi ne faranno facilmente conoscere in prattica la diversità.  273. Il Nome Reggente-attivo (262) è in fondo Cominciante di sua Natura. Ma uno stesso Oggetto nou può al tempo stesso presentarsi in due diverse situazioni.  allo stesso e or perto come e ti can  Si avvertà  verso giro alla frase e un diflerente aspetto all'azione:  Così invece di dire - I Soldati desiderano la guerra - si può dire — La guerra è desiderata dai Soldati - ; la shi iene due esa e voli non abbiano precisamente  AVVERTENZA  274. Qui cade in acconcio l'osservare, che in ogni Azione indeterminata dobbiamo considerare come un estensione di spazio ossia una linea di Moto; e però che avremo in tali Azioni un principio ed un fine insepari-bili da Dua dinde tensione l'Azione indeterminata può presentarsi sotto due  diretto o inverso.  diversi aspetti, cioè con ordine o  1: Si presenta con ordine diretto, quando la consi-  domamo do se piante leel su oricini, che partie:  то ес. -  cominciamo a considerare il ineer da eso pagiand        principio: Come — Una lettera fu scritta da me; che partissero fù ordinato da me ec. -  due cardini dell'Azione debbono essere e sono sempre chiaramente distinti nel discorso:  Rapporto alle Azioni determinate, siccome terminano in ein le eseguisce, non possiamo in esse considerare altra estensione che quella di durata; come — à pas seggiato due ore, cioè per due ore ossia duranti due ore ec. —  CAPO V  Sostantivo Terminante  Quindi Roma, Pietro, Fratello ec. sono Sostantivi terminanti in — andarono a Roma, dite a Pietro, scrivo al Fratello ec. -.  Il Distintivo del Nome Terminante in Italiano è la voce a, che unita spesso all'Articolo dà le voci composte al, alue ce. AVVERTENZA SUL NOME TERMINANTE Non per l'Italiana ma per la radicale intelligenza d'altre Lingue è necessario assuefarsi anche in Italiano a distinguere il Sostantivo terminante in terminante sem- plic - na oggetto, come deulente quella  che fa una data Azione, o n'è lontano : .  I. Se vicino, per ultimare l'Azione non si esigge movimento fra gli Oggetti agente e terminante; e però chiamiamo quest' ultimo terminante semplice ossia senza moto: Comé — Dissi all'amico, consegnerò al corriere ee.  Il. Se lontano, l'azione non può essere ultimata senza movimento frà gli Oggetti agente e terminante; e però chiamiamo quest'ultimo terminante con moto, vale a dire - Oggetto divenuto termine d'un Azione mediante il moto —: Come — Andai a Milano, a caccia monti ec.; Spedite questo libro al Fratello, agli  Amici ec. —.  280. Si faccia attenzione, che l'Oggetto terminante  diade vi nion Ou setto agente a loro le che per  nel totale degli Oggetti, benchè qualche loro parte possa in effetto muoversi isolatamente. Quindi dicendo  - Tizio consegnò a Pietro una lettera - Pietro e Tog  getto terminante, perchè in esso è finita l'azione di  avrebbe questi potuto consegnargli la questi due Oggetti nell effettuarsi l'indicata azione non fecero nel totale alcun movimento fra loro; benche sia chiaro, che dovettero muovere e mani e braccia ec. par-zialmente.  CAPO VI  Sostantivo con Preposizione  28r. Ogni voce che si pone avanti ad un Sostantivo per esprimere qualche particolare rapporto che possia desso avere con altre Cose, chiamasi Preposizione; come in, sopra, dentro ec.  è fine o mezzo di Moto, oppure se tale Oggetto è in  Quiete -  285. I. S'è fine di Moto, deve di sua natura considerarsi come Nome terminante con Moto (279), sostituendo al segno a la conveniente. Preposizione ; come —  benche odora i sulla riapra e sciamente la piantal  sulla -  284. Il. S'è mezzo di Moto, deve precisamente considerarsi come Fine di Moto  (285). Infatti ogni Og-  golfo me i di e sano a tra do del quale di  deve necessariamente avere dell'estensione. Avremo dun-que in tale estensione un Moto continuato per qualche tempo. Ma la massima parte di volte anche tutto, deve consumarsi questa Moto ed alle  ossia deve finire in  questa estensione  dell' Oggetto: Come - Andando a  Napoli passai per Roma, l'Usignolo e volato auraverso del bosco ec. — Dunque dobbiamo ritenere come Nomi terminanti con Moto o fine di Moto anche i Nomi degli Uggetti, che sono puramente Mezzo di Moto.  come Noe comente in sete de consideradi  P opportuna Preposizione. Quindi nelle espressioni - Il Passero stà, mangia, dorme ec. in terra, sul tetto ec. - i nomi terri, tetto ec., debbono considerarsi come Nomi Comincianti - Ed infatti, se sottilmente si analizi, è propriamente da questi Oggetti che à principio l'azione di stare ec:  AVVERTENZA  Nelle Azioni determinate bisogna non di rado esprimere la durata (276): Come — Studierete due ore, ò corso un giorno intiero, pioverà tutto l'estate ec. - ; ed è troppo facile vedere, che tali espressioni di durata non fanno che dare una determinazione maggiore all'A-zione, ossia presentano l'Azione sotto un nuovo aspetto di determinazione - Quindi le espressioni di durata possono considerarsi come Soterzi (269 )• Potrebbesi in egual maniera dietro le Teorie esposte finora dar ragione di altre cose molte, che nelle Grammatiche sono inintelligibili a tutti: Ma non credo dovermi . per ora diflondere su ciò. ra  8e  qua  zi  SO  stch  radice  oggetto  qualità  srione  sostantivo  astratto  qualitativo  verbo  modificazione  po  ter  se  rapporto  determinante  segno  Quirage - Nome Qualitativo, derivante da Radice di MoraqUa evoce di Modificazione, derivante da Radice  di Qualità.  Moquirage - Voce di Modificazione, derivante da Nome  Qualitativo, il quale deriva da Radice di Oggetto.  Sostaraqua - Sostantivo Astratto, proveniente da Radice  di Qualità.  iSostaquirage - Sostantivo Astratto, proveniente da Nome  Qualitativo, il quale deriva da Radice di Oggetto.  Boraqua — Verbo, proveniente da Radice di Qualità.  Quirazi - Nome Qualitativo, derivante da Radice di  Azione.  Moquirazi - Voce di Modificazione, proveniente da Nome  Qualitativo, il quale deriva da Radice di Azione.  Sostaquirazi - Sostantivo Astratto, proveniente da Nome  Qualitativo, il quale deriva da Radice di Azione.  Boquir quale derito da veniende deone Qualitativo, il  Quirapo - Nome Qualitativo proveniente da Radice di  Rapporto.  Sostarapo - Sostantivo Astratto proveniente da Radice  di Rapporto.  Moquirapo - Voce di Modificazione, proveniente da Nome Qualitativo, il quale dexiva da Radice di  Rapporto.  Parloge - Oggetto parlante.  Scoltoge - Oggetto ascoltante.Terzoge - Oggetto terzo.  Quiterge - Nome Qualitativo, che determina un Oggetto.  serere - omno di antini he deterinante un Osto.  Boterge - Verbo, che determina un Oggetto.  Seboterge — Segno di Verbo determinante un Oggetto.  Soterzi — Sostantivo, che determina un' Acione.  Boterzi — Verbo, che determina un' Azione.  Seboterzi — Segno di Verbo determinante un' Azione.  LINGUA UNIVERSALE  OSSERVAZIONI  sono occupato della Lingua  DURANTE l'Impressione di queiverSolei mi  Dotti (V. pag. 5); ed il Piano è riuscito mio credere non del tutto spregevole. Quindi nell'ipotesi che non sarà discara a chi legge, ne dó qui in succinto un'idea.  Lingua Universale pei Dotti chiamo una Lingua, che può colla massima facilità essere scritta parlata ed intesa da tutte le Persone Colte di qualunque Clima e Nazione; una  Lingua, che puo sola bastare al disimpegno le Relazioni scientifiche politiche commerciali ec. con qualunque civilizata Contrada del Globo; una Lingua infine, in cui dovrebbe  meno.  Supponiamo, che questa Lingua  ad apprenderla, come già per sistema per bisstudio di altre Lingue straniere. Data dunque  gua; cosa facile assai, specialmente facendo uso di ragionati Dizionarj Grammatiche e Me-  todi, non usati finora.  Tutto il difficile consiste dunque nel dare a questa Lingua la sua Esistenza: Ed io mi sono occupato precisamente di questo.  Inventare nuovi Caratteri e Parole nuove, è cosa facile troppo; giacché tale Invenzione in fondo si riduce ad una pura materialita - Ma come determinare gli Studiosi viventi ad apprendere una congerie enorme di barbare  K lore cle produzions ai Spirio la sole  Novità é  para e e cremente opposizion alare are  dunque, se vi si unisca una quasi insuperabile difficoltà?  Dietro tali riflessi il mio studio principale fu quello di profittare delle Cognizioni da me  di questo nuovo Mezzo di comunicazione uni-  vere la Era indi da giusti e a siane  generalmente conosciuta dalle Persone di Tavolino e di Studio, mi à servito di base onde prendere dalla lingua Francese i Caratteri, la Pronunzia e le Radici delle Parole; il tutto però con opportune determinate e possibilmente filosofiche modificazioni.   Dunque per dar Esistenza ad una Lingua Universale i Dotti, quando vogliano servirsi del mio • Piano, debbono solo far uso delle Cognizioni che gia posseggono, coll' aggiunta ed applicazione di alcune Regole o Leggi determinate e sempre costanti; Legai pochissime in numero e della massima semplicua; Legg', tirate non dalle regole ed usi di altre Lingue ma dall' intrinseca natura del Linguaggio e delle Cose; Leggi, che rendono questa Lingua, breve rapporto alla maniera di esprimersi, ricchissima riguardo alla forza e moltiplicità delle espressioni, e facile relativamente alla sistematica regolarità di formarle; Leggi, per le quali senza bisogno nè di Grammatiche nè di Vo-  della nuova Lingua ed i Posteri possono senz'al-  chiunque conosca le medesime leggi.  Il mio Piano sarà forse publicato frà non molto — Intanto, considerando questa Lingua e nel Dotti fondatori e nel Dotti seguaci, mi limito ad asserire :  I. Rapporto ai Fondatori » Che ogni Per-  • sona di buon senso, di qualunque Clima e  Nazione, quando conosca discretamente la Lingua Francese intendere questa Lingua con quella stessa facilità, con cui suol intendere parlare e scrivere la propria Lingua natia. » II. Rapporto ai Seguaci » Che, formati per ogni Nazione i Dizionarj e l' opportuna Grammatica, per apprendere questa Lingua Universale non occorre conoscere la Fran- cese, e si richiede appena la terza parte del Tempo e dell'Applicazione, che digl' Indivi- dui di qualunque Paese suole comunemente impiegarsi per imparare la Lingua Francese Tali asserzioni parranno forse troppo guvan-zate. Ma quando ciò fosse, potrebbero i Dotti non occuparsi della Fondazione d'una Lingua Universale?  Avvertendo per ora semplicemente, che nella nostra Litigua in fondo mon si usa nè Ortografia né Pronunzia Francese, aggiungo la Fa-  il mio Piano - Dalla sola oculare ispezione di queste poche righe si può facilmente rile-vare, che molte delle Radici sono Francesi; ma che e Ciascuna di esse e l'Insieme è combinato in modo, che si perde quasi ogni traccia dell' originaria Lingua e Radicalità.  u tu renar  tu renar bi denu atra par surprenú opt na pulalyer, e bi vi etragla zi ko zu eko e zi puled. apre ‹ sa karnaje lu bi apesá zu lue feme, i na, a ku be fune e arda, be vula devore z tou; ‹ otre, ? ku be vu e avare, be vula ye garde z kel partie par avenir. ¿ vui be disà: — ei me afu, ‹experimatú be mi radà saje: mi be vayá  jur, nu be i fortunes fesá: nu be truvá 24 na tresor: sa ba fallá ole menajé . - ‹ june be repoda: — mi ba vula majé zi tou, padake mi ba vi etá, e mi rasast par to jur , kar vi revené otrefa! caso! deme sa bu vi bone fesa . ‹ metre pur vajé ze murú du le pule, bal nu asomi..  - apre ‹ sa koversu; ‹ yelna ba prena zi le part, ‹ june ba majá take l ba krevá, e ba apene puvá allé a muré or le termier. ‹ vl, & ku ba su kraya boku plu saje, bre modera zu le apelu e vwá ekonomem, ba  deme returna po le prae, e ba asomé gi metre.  est ‹ yel aje ba eyá zu ole defo: u june ba fugu e arasast ou lue plesir; u viu ba akorryi or lue avares.    Delle Voci Elementi del Discorso  SEZIONE I  Delle Voci Radicali  Voci di Cosa  Oggotci  Qualità  Azioni  Voci di Giudizio  Verbi  Voci di Rapporto  Luogo  Tempo  Tempo  Tempo  Numero.  Ordine  Sesso  Aumento e Diminuzione  Modificazione  Avvertenza  Confronto  Eguaglianza  Differenza  Somiglianza  Identità  Approssimazione  Connessione  Esclusione.  Dichiarazione  Avvertenza sulle Voci di Rapporto  Epilogo delle Voci Radicali    Delle Voci Derivate  Nomenclatura  Elementi della Nomenclatura  Combinazioni degli Elementi  Avvertenza  Derivazioni dalle Radici di Cosa  Dalle Radici di Oggetto  Avvertenza -  Dalle Radici di Qualità  Modificazione derivata  Sostantivo Astratto derivato  Verbo derivato  Dalle Radici di Azione  Voci Attive e Passive  Di Azione determinata  Di Azione Indeterminata  Avvertenza  Derivazioni dalle Voci di Giudizio  Avvertenza 1-  Awertenza 11  Natura del Giudizio  Giudizio Generico  Generico Determinante  Generico Modificante  Giudizio Indicativo  Indicativo Isolato  Indicativo Dipendente  Giudizio Condizionato  Condizionato Ineseguibile  Condizionato Eseguibile  Giudizio Suppositivo  Giudizio Volitivo-  Giudizio Ottativo  Ouativo Ineseguibile  Ottativo Eseguibile-  Avvertenza -  Giudizio Indefinito  Giudizio Interrogativo  Derivazioni dalle Voci di Rapporto    Delle Voci Söstituite  • PARTE SECONDA  Delle Voci, Parti del Discorso —  SEZIONE 1  Determinazione delle Voci  Determinazione degli Oggetti  Del Quiterge  Del Soterge -  Del Boterge  Determinazione delle Azioni  Del Soterzi  Del Boterzi •  Avertenza  Del Seboterzi  Verbo precedente il Che  Verbo seguente il Che  SEZIONE 'II  pag. 52  53  85455…565…585gj66j  62  Virie situazioni degli Oggetti  63  Sostantivo Reggente  ivi  Soterge  64  Soterzi  ivi  Sostantivo Cominciante  ivi  Avvertenza  65  Sostantivo Terminante  66  Avvertenza sul Nome Terminante  ivi  Sostantivo con Preposizione  6  Avvertenza  68  Definizioni delle Voci Nuove qui usate —  69  Osservazioni sulla Lingua Universale — 71  ELEMENTI FILOSOFICI  PER LO STUDIO RAGIONATO della lingua italiana    Le Natura in tutta la sua estensione non offre che Oggetti. Questi Oggetti non presentano che delle Qualitá e delle Azioni L'Uomo situato immezzo a tali Oggetti, sensibile alla loro presenza, alle loro Azioni e Qualità, fissa necessariamente in essi la sua attenzione; e quindi a norma delle varie circostanze o sensazioni, forma in se stesso i convenienti Giudizj. La facoltà di giudicare é dunque inerente all'intrinseca natura dell'Uomo, come lo è quella di sentire; anzi l'una è assolutamente inseparabile dall'altra - Dunque l'Uomo considerato nell'essenza sua primitiva, ossia l'Uomo naturale, può giustamente definirsi Essere sensibile giudicante.  2. Ma l'Uomo praticamente vive in Società, vale a dire, trovasi in immediato capporto con altri della medesima specie. Egli dunque abbisogna di un anello ossia d'un mezzo di comunica-sione, onde porsi moralmente a contatto co' suoisimili; e questo Mezzo è comunemente la Pa-  rola.  Dunque la Parola forma il Distintivo essenziale dell'Uomo nello stato di società.  3. Ma la situazione sociale non può nell'Uomo alterare la primitiva intrinseca sua natura.  Dunque l'Uomo Sociale non è che l'Uomo naturale parlante.  Fissate queste semplicissime nozioni, è facile precisare in che debba propriamente consistere lo Studio ragionato di Lingua - Infatti l'Uomo naturale non conoscendo che Sensazioni e Giudi-zj (1), l'Uomo sociale parlando non può esternare che Giudizj e Sensazioni. Ma sentire e giudicare. sono facoltà inerenti all'essenza stessa dell'Uomo (1). Dunque date uguali circostanze, tutti gli Uomini nello stato di natura debbono sentire e giudicare alla stessa maniera. Unico dunque esser deve il Linguaggio, per ciò che riguarda l' Uomo naturale. Ma una medesima sensazione, uno stesso Giudizio può da diversi Uomini esternarsi con parole diverse, non esigendosi per questo che una diversità di convenzione. Dunque per ciò che ri. guarda l'Uomo Sociale, il Linguaggio può essere ed è infaiti moltiplice. Esaminare, distinguere, conoscere nel Linguaggio e l'Uomo naturale e l'Uomo sociale, vale a dire, conoscere primieramente « Cosa l'Uomo deve esprimere parlando: » in secondo luogo« Come l'Uomo deve esprimersi parlando» è ciò che forma il vero scopo dello Studio ragionato di Lingua.  7. Dunque lo Studio ragionato di Lingua comprende 1.° FILOSOFIA DI LINGUA, 2° GRAMMATICA DI LINGUA. Ed ecco ciò che passiamo ad esporre in questi Elementi filosofici applicati alla Lingua italiana.  DOMANDE  Quali sono le Facolià primitive dell' Uomo? (1) - (a)  Come si definisce l'Uomo nello stato di Natura?  Che si richiede perchè l'Uomo naturale passi allo stato di Società ? (2)  Qual è il Mezzo di comunicazione più usato ?, Come si definisce l'Uomo nello stato di Società? (3)  Cosa esprime l'Uomo parlando ? (4)  Gli Uomini sentono e giudicano tutti allo stesso modo?  Gli Uomini si esprimono tutti alla stessa maniera ? (5) Cosa intendete per Studio ragionato di Lingua? (6)  Lo Studio ragionato di Lingua quante e quali Parti cose-prende ? (7)  (a) Il Numero che trovasi dopo ciascuna Domanda, richiama il Paragrafo ad essa corrispondente, e che potrà consultarsi quando abbisogni - La mancanza di questo Numero indica che s' intende 'ripetuto il Numero ultime precedente.8. CETAMAsI Oggetto = tutto ciò che si con-  sidera capace di far qualche cosa = come Pie-  tro, Sorella, libro, monti; case, io, voi ec.  . Dunque la voce che esprime ossia che nomina un Oggetto, giustamente da noi si chiamerà Nome oggettivo o semplicemente Oggettivo (a).  (a) Colla rapidità de suoi progressi la Chimica nel tramonto del secolo decimo ottavo à praticamente dimostrato, quanto una scienza debba aspettarsi dalla sola precisione di Nomenclatura - Questo riflesso parmi bastante a giustificare le nuove denominazioni che io mi sono qui permesso in-trodurre.  , Sventuratamente sembra che possano tornare di moda le insignificanti questioni di parole; ed io sarei dolentissimo se dovessi dar motivo a qualcuno di perdere un sol minuto di tempo in simili questioni. Quindi prego il sensato Lettore a  Un Nome oggettivo può essere determinato o indeterminato - È determinato, quando esprime un Oggetto individuo, ossia quando appartiene ad un solo e sempre al medesimo Oggetto, precisato colla massima distinzione e chiarezza, come Lom-bardia, Milano, Olona, Vienna ec.: è indeter minato, quando esprime un Oggetto generico, praticamente applicabile a molti Oggetti parziali, come Città, Provincia, Fiume, Stelle, Padre, Libri, Uomini ec. Un Oggettivo indeterminato può esprimere un Oggetto solo, o più Oggetti — Se esprime un solo Oggetto, lo diciamo di Numero unale, come Figlio, Scuola, Prato ec.: e lo diciamo di Nes-mero plurale, se esprime più Oggetti, come Fi-gli, Scuole, Prati ec. In natura gli Oggetti o sono maschi, come Padre, Fratello, Servitore ec.; o sono femmine, come Madre, Sorella, Camerione oc.; o non sono né maschj né femmine, cioé nè I uno nè l'altro, ossia neutri, come Libro, Strada, Coppello, voler esaminare, son se un Individuo possa arrogarsi il diritto d' introdurre nuove Denominazioni, giacchè tal questione sarebbe estranea al progresso della scienza; ma ad esaminare se le voci Oggettivo, Qualitativo, Sesso, Numero unale ec. esprimono con precisione l'Idea corrispondente, e se la presenza dell'Idea richiama con facilità la corrispondente Denominazione.  Chiesa ec. - Ora tale diversità esistente fra gli  Oggetti, chiamasi diversità di Sesso.  Dunque i Nomi oggettivi saranno di Sesso o maschile o femminile o neutro, secondo la natura dell'Oggetto che esprimono.  DOMANDE  Cosa intendesi per Oggetto? (8)  Che vuol dire Nome oggettivo?  Un Nome Oggettivo quando si dice determinato? (9) ............ quando si dice indeterminato ?  Gli Oggettivi quando appartengono al Numero unale, e quando al plurale ? (10)  Rapporto al Sesso qual distinzione facciamo negli Oggetti ? (11)  Un Oggettivo quando è maschile, femminile o neutro?  AVVERTENZE SUGLI ARTICOLI  12. La Lingua italiana pone avanti gli Oggettivi indeterminati una piccola Voce, detta comunemente Articolo - Gli Articoli pei Nomi di sesso maschile sono al Numero unale il ovvero lo, ed al plurale i ovvero gli; come « il Padre, In Straniero, i Padri, gli Stranieri ec. - Gli Ar-ticnli pei Nomi di sesso femminile sono all'unale la, al Numero plurale le; come « la Madre, le  Madri ec. »  Gli Oggettivi determinati non ricevono alcuna Voce, e rimangono isolati: come Roma, Pavio ec.  13. Dunque possiamo a ragione conchiudere, che l'Articolo nel Linguaggio è puramente segno, di Oggettivo indeterminato.  Si avverta che alle volte praticamente s'incontrano coll'Articolo anche degli Oggettivi determi-nati; come « il Ticino, la Lombardia ec. ». In tal caso però l'Articolo propriamente appartiene ad un sottinteso Nome indeterminato; cioè « il Fiume detto Ticino, la parte d'Italia detta Lom - bardia ec. »  14. Gli Articoli maschili lo e gli si usano rispettivamente avanti le Parole comincianti con s seguita da altra Consonante (a); come lo Spirito, lo Straniero, gli Spiriti, gli Stranieri ec. - Questi Articoli lo e gli si usano pure avanti le Parole comincianti per Vocale. In tal caso peró si av-vertà, che lo cangia sempre la sua vocale in Apo-strofo; e che gli cangia la sua vocale in Apostrofo sol quando la Parola seguente comincia per i.  Quindi abbiamo — l' Infermo, l' Esercito ec. - gl' Innocenti, gl' Infermi ec. - gli Eserciti, gli  Ufficiali ec.  L'Articolo femminile la avanti Parola cominciante per vocale prende sempre l'Apostrofo, come l'Aquila, I Inferma ec: e l'Articolo femminile le.  (a) Per non diffondermi in una lunga spiegazione, che sarebbe fuori di luogo, io qui ritengo le solite denominazioni di consonante e vocale. Avverto però, che ragionevolmente a vocale deve sostituirsi gutturale, e a consonante deve sostituirsi orale; come à già esposto nella mia Lingua Filosofi-  co-Universale, pag. 119.  prende l'Apostrofo tutt'al più avanti le Parole comincianti per e; come l' eccelse Donne ec., ed invece le Aquile, le Inferme, ed anche le eccelse  Donne.  AVVERTENZA SUL SESSO  ‹5. La Lingua italiana non riconosce nei Nomi oggettivi che i soli due Sessi maschile e fermi-nile - Quindi gli Oggettivi che in natura sono neutri, in italiano saranno maschili o femminili; e ciò secondoche anno l'uno o l'altro degli Articoli sopra (12) fissati per gli Oggettivi femminili o maschili - Quindi in italiano il fuoco, lo spro-ne, i libri, gli acciari ec. sono Oggettivi ma-schili; e la porta, l'aurora, le selve, le rupi ec. sono Oggettivi femminili: benché in natura tali Oggettivi sieno ad evidenza neutri, cioé esprimenti  Oggetti né maschj né femmine.  Nel decorso di questo Libro il Sesso sarà da noi sempre nominato in senso italiano; e perciò il neutro resta escluso, a norma di quanto prescrive la nostra Lingua.  DOMANDE  Nel linguaggio cosa intendiamo per Arsicolo? (12)  L'Articolo come può definirsi? (13)  Un Oggettivo determinato trovasi mai preceduto dall'Articolo ?  La Lingua italiana quanti Sessi riconosce nei Nomi Oggettivi ? (15)  Quali sono gli Articoli pel Sesso mdschile? (12)  Quando si usa lo e gli, e quando il ed i? (14) Quali sono gli Articoli pel Sesso femminile? (12)  Gli Articoli in quali circostanze prendono l'Apostrofo? (14)  Gli Oggettivi che in natura sono neutri, in Lingua italiana a qual Sesso appartengono? (15)  DELLE PROPRIETÀ E QUALITA NEGLI OGGETTI  ‹6. Ogni Oggetto à in se naturalmente delle  Proprietà e delle Qualità; giacché le prime ne costituiscono l'essenza, e le seconde sono semplice natural conseguenza delle prime.  Chiamasi Proprietà = tutto ciò ch' é necessario all'esistenza dell'Oggetto = ossia tutto ciò, senza cui l'Oggetto cesserebbe di esistere. Cosi nel Fuoco e nel Sole la luce ed il calorico sono Proprietà; giacchè è impossibile che esista Sole o Fuoco senza calorico e senza luce.  Chiamasi Qualità = tutto ciò che un Oggetto potrebbe anche non avere senza cessare d' esistere = Cosi nella Carta, nel Panno, ne' Muriec., il bianco è una Qualità; giacché i Muri, il Panno e la Carta possono esistere anche non essendo bianchi.  17. Le Proprietà di ciascun Oggetto s'intendono e sono essenzialmente espresse dal Nome dell'Oggetto medesimo - Le Qualità invece essendo variabili e accidentali, debbono nel discorso esprimersi ossia nominarsi separatamente. Quindi giustamente chiameremo Nome qualitativo, o semplicemente Qualitativo, ogni Voce che nel discorso  esprime una Qualità. Così bianco, rosso, facile, ardito ec. sono per noi Nomi qualitativi.  DOMANDI  Cosa v' à di rimarchevole negli Oggetti? (16)  Che vuol dire Proprietà d' un Oggetto ?  Che vuol dire Qualità d' un Oggetto? (16) Che significa Nome qualitativo? (17)  DELLE AZIONI.  Chiamasi Azione = tutto ciò che un Oggetto qualunque può fare = La Voce che la esprime; da noi dicesi Nome o Voce di Azione; comè leggente e scrivente in « Pietro legge e scrive, ossia é leggente e scrivente »; e come ferito premiato vinto in «Pietro fu ferito, fu premiato, fu vinto ». Ogni Azione esige naturalmente l'Oggetto che la eseguisca, ossia l'Oggetto eseguente - Ora se l'Azione per sua intrinseca natura deve interamente terminare nell'Oggetto eseguente, noi la diciamo determinata; come « Pietro passeggia, ride, corre ec. »: e se l'Azione per sua intrinseca natura può terminare in Oggetti diversi dall' eseguente, noi la diciamo Azione indeterminata; come « Pietro ama e regala gli Amici ». DOMANDE Che vuol dire Azione? (18)  Come chiamasi la Voce esprimente Azione? (18) Cosa intendiamo per Oggetto eseguente? (19)  Un'Azione quando si dice determinata? ... . . . quando si dice indeterminata?  20. Giudicare significa = asserire che ad un Oggetto conviene o non conviene una data Azione o  Qualità = Cosi « i Soldati furono valorosi; l'Inverno non è rigido; il Malvagio sarà punito ec. "  sono tanti Giudizj..  Se diciamo che l'Azione o Qualità conviene all'Oggetto, il Giudizio é affermativo; come « Voi siete studiosi: i Buoni saranno premiati ec.»: e se diciamo che l'Azione o Qualità non conviene al-l'Oggetto, il Giudizio chiamasi negativo; come « il Cielo non era sereno: la Scuola non è finita ec. » Essere (a), colle varie sue diramazioni, cioé sono, fui ec., è in italiano la Voce di Giz-dizio affermativo; non essere è l'espressione di Giudizio negativo — Quindi la parola non, o qua-Junque suo equivalente, è Voce di negazione ossia Voce negativa; vale a dire, Voce che, unita a quella di Giudizio, serve ad esprimere precisa-. mente il contrario.  (a). La Voce di Giudizio in natura non è assolutamente necessaria; ed infatti al tempo presente molte Lingue la sopprimono. Siccome però il Linguaggio esprime con essa i varj modi, e qualunque tempo tanto assoluto che relativa;  così questa Voce divenne della massima importanza in tutte le Lingue da me conosciute.  Che significa giudicare? (20)  I Giudizj di quante specie sono ? (2r)  Un giudizio quando è affermativo? ....... quando è negativo? , In italiano la Voce giudicante qual è? (22)  Cosa intendesi per Voce negativa?  DEL VERBO  23 Chiamasi Verbo:  = ogni Parola o Espres-  sione essenzialmente composta da due altre, cioẻ da una Voce di giudizio (22) e da una Voce  di Izione (18) = come correre, scrivere, stu  diare ec., che propriamente significano « essere corrente, essere scrivente, essere studiante ec. ».  24. È di molta importanza per lo studio ragionato di Lingua il saper riportare alle sue Voci originarie qualunque Espressione verbale, e il far sempre attenzione che in ogni Verbo entra essenzialmente la Voce giudicante essere. Quindi a principio sarà bene esercitarsi a decomporre tatte le Espressioni verbali che s'incontrano leggendo; vale a dire, esercitarsi a sostituire in luogo del Verbo la Voce di giudizio e la Voce di azione, formanti il Verbo medesimo: Cosi scrivo, scrissi, à scritto, scriveva, aveva scritto, scriverò, avrò scritto ec. ci daranno rispettivamente « sono scri-vente, fui scrivente, sono stato scrivente, era seri-vente, era stato scrivente, sarò seriyente, sarò stato  scrivente ec. ».  25. Ogni Verbo è o determinato o indetermi nato, secondo la natura dell'Azione che esprime.  Quindi dormire, piangere, passeggiare ec. sono Verbi determinati, perché esprimono Azioni de-terminate; e trovare, dire, conoscere ec. sono Verbi indeterminati, perché esprimono Azioni di loro natura indeterminate (19).  DOMANDE  Che significa Verbo ?. (23)  Qual esercizio far dobbiamo sui Verbi?? (24) Un Verbo quando si dice determinaro? (25)  •• guando si dice indeterminato?  DEL TEMPO  36. È primieramente necessario distinguere il Tempo in tocale e parziale - Il Tempo totale è formato dall'unione di tutti gl' Istanti, ossia dall'unione di tutti i Minuti, Ore, Giorni, Anni, Secoli ec. che già furono e che d'ora innanzi sa-ranno. Possiamo quindi fondatamente considerare il Tempo totale come rappresentato da una Lines retto, la quale comincia col principio de' secoli e termina col loro fine - Chiamasi poi Tempo parziale quello ch' esprime una parte qualunque del  Tempo totale.  27. La Linea del Tempo totale esprimendo tutti  gl'Istanti, deve di necessità contenere anche l'Istante presente, ossia l'Istante che attualmente decorre -  Fissiamo sulla Linea tale Istante con un Segno ad  arbitrio. La Linea sarà da questo segno divisa ria-turalmente in due Parti; e di queste due parti, una esprime la Serie degl' Istanti già scorsi, l'altra esprime la Serie degl' Istanti avvenire.  • Ora ogni azione deve necessariamente avvenire in qualche istante di Tempo. Dunque un' Azione sarà da noi detta di Tempo passato, se tale Istante trovasi nella prima serie; di Tempo futz-ro, se tale Istante trovasi nella seconda serie, e di Tempo presente, se tale Istante coincide con quello che separa il Passato dal Futuro.  Dunque chiameremo Voce di tempo, ogni espressione che indica una parte o punto qualunque della Linea, ossia della serie totale degl'Istan- ti; come jeri, udesso, questa mattina, domani, da qui a poco, ui anno fa, sempre ec. Queste espres sicni poi saranno di Tempo passato, presente, o futuro, secondo la natura degl'Istanti ai quali si riferiscoro - Stabiliamo intanto che per noi adesso è la genérica voce di Presente, jeri la ge-merica voce di Passato, domani la generiva Voce di Futuró. AVVERTENZA SUL TEMPO PASSATO La Lingua italiana considera il Tempo pas sato sotto due aspetti, e come congiunto al Pre-sente, e come da esso disgiunto - Il Passato-congiunto deve sotto qualche rapporto riguardare il Giorno in cui si parla: il Passato-disgiunto è sempre anteriore al Giorno in cui si narla.30. Diciamo di Tempopassato-congiunto, 1, Ogni Azione avrenuta nel Giorno in cui si parla; come questa mattina, un ora ja ec.: 2.° Ogni Azione avvenuta in una porzione di Tempo che abbraccia ossia comprende anche il Giorno in cui si parla ; come questo mese, quest'anno ec.: 3.° Ogni Azione passata, nel precisare il tempo della quale usiamo un' espressione comprendente anche il Giorno in cui si parla; come « sono tre anni che l'Amico è partico per Napoli »; dove é chiaro che l'espressione sono tre anni comprende anche l'anno cor-rente, e perció anche il Giorno in cui parlo: 4.° Finalmente ogni Azione passata di cui non si precisa il Tempo; il quale, essendo così preso ge-nericamente, può da noi considerarsi come continuante fino al Giorno in cui si parla; come i o avuto più volte l'onore di viaggiare in sua con-pagnia. L'Amico à ricevuto Lettere da Vienna ec. »  Leggendo buoni Libri si avverta di fare. molta attenzione alle espressioni verbali di Tempo pas-sato-congiunto, onde formarsi una giusta idea del loro valore, e del quando possono e debbono usarsi.  35. Diciamo di Tempo passato-disgiunto ogni  Azione di cui esplicitamente o implicitamente precisiamo il tempo, il quale deve sempre essere anteriore al Giorno in cui si parla; come « L'A mico parti jeri per Roma: Nell'ultima vacanza scrissi più di cento versi ec. » — Per brevità il Passato-disgiunto sarà da noi detto semplicemente Tempo passato.L'espressione generica di Tempo passato-con-giunto sarà questa mattina, ritenendo pel pas-sato-disgiunto la già fissata (28) generica voce jeri.  DOMANDE  Cosa intendete per Tempo totale? (26)  Come possiamo rappresentarci il Tempo totale?  Cosa intendete per Tempo parziale?  Sapreste indicar sulla Linea i varj tempi parziali? (27)  Un Azione quando si dice di Tempo passato? ...... quando si dice di Tempo futaro? ...... quando si dice di Tempo presente ?  Quali, si chiamono Voci di Tempo? (28)  L'Italiano cosa deve osservare súl Tempo passato P (29) Il Passato quando si chiama congiunto, e quando disgiunto?  Un'Azione quando si considera di Tempo passato-con-  giunto? (30)  Un' Azione quando si considera di Tempo passaco-disgiun  со? (3г.)  Come denominiamo il Tempo passato-disgiunto ?  Qual è la Voce generica di Tempo presente, passaro a passato congiunto, e futuro? (28, 31)  DI ALCUNE VOCI PIÙ RIMARGHEYOLI  Ogni Espressione che indica un Lungo qua-lunque, da noi chiamasi Voce di luogo; come sopra, sotto, fuori, vicino, lontano ec, Ogni Espressione che serve a •far conoscere o con precisione o in genere, quanti Oggetti anno parte in una data Azione o Giudizio, chiamasi Voce di numero; come uno, tre, cento, alcu ni, molti, pochi ec.34. Ogni Espressione indicante il posto preciso Soldati, degli Alberi, dei Libri ec. allineati, ossia disposti con qualche ordine fra loro. Le Voci d'ordine nel nostro senso sono primo, decimo, ulti-mo, dipoi, in seguito, finalmente ec.  Ogni Espressione indicante qualche particolarità immedesimata con una Qualità o Azione qualunque, chiamasi Voce modificante o di mo-dificazione; come soavemente, velocemente, bru scamente, amabilmente, con franchezza, con timore ec. in « L'usignolo canta soavemente; il Cervo corre velocemente; un Uomo bruscamente benefico; un Capitano amabilmente severo; il Servo rispose con franchezza, con timore ec. " - Da questi esempi si scorge, che talie spressioni servono puramente a variare in qualche maniera ossia a modificare l'Azione o Qualità; ed é perciò. che noi le chiamiamo Voci modificanti. Ogni Espressione indicante che una Cosa é unita ad un'altra, chiamasi Voce d'unione; come e, anche, insieme ec. in « Mandatemi carta e calamajo; mandatemi anche due penne; mandatemi insieme qualche buon libro eu. » Ogni Espressione indicante che una Cosa é allontanata ossia esclusa da un'altra, chiamasi Voce di esclusione; come senza, nè, solamente ec. in « O preso un caffè senza zuccaro: Non voglio nè l'uno nè l'altro: o letto solamente dieci righe ec. »38. Ogni Espressione indicante la cagione per cui à luogo un' Azione o Giudizio, chiamasi Voce di causa; come a motivo; a cagione; per, di, ec. in « L'amico fugge a motivo del vento, a cagione del vento, per timore del vento: Egli pianse di gioia, di dolore, di sdegno ec. » 3g. Ogni Espressione indicante il mezzo usato o da usarsi per eseguire qualche Azione, chiamasi  Voce di mezzo; come con, per ec. in « Colla pazienza tutto si vince: L'amico viaggiò per terra e per mare, e sempre con buoni legni ed ottimi cavalli. »  Ogni Espressione indicante lo scapo finale, per cui à luogo un'Azione o Giudizio qualunque, chiamasi Voce di fine; come affine di, per, onde ec. in « Vado all' Università affine di ottenere la Laurea, per ottenere la Laurea, onde 08-tenere la Laurea ec. » Ogni Espressione indicante il modo con cui si eseguisce qualche Azione, chiamasi Voce di moda; come con, a, in, così, ec. in « Bisogna studiare colle finestre chiuse: Rifletteteci ad animo più tranquillo: Egli scrive in maniera poetica : Casi mi piacerebbe ec. »  42. Ogni Espressione che serve ad aumentare l'idea ossia il valore d'una Cosa qualunque, chia-masi. Voce d'aumento; come assai, molto ex. in « Pietro studia assai: Questa cartà è molto  bruna ec. "  45. Ogni Espressione che serve a dirninuire l'idead'una Cosa qualunque, chiamasi Voce di decre-mento; come pocn, non tanto, così cost ec. in «Questa penna è poco buona; è buona, má non tanto; è buona cost cost ec. »  44. Il Linguaggio fa uso di altre molte Espres-sioni, come Voci di affermazione; di dubbio, di compagnia; di condizione, supposizione, conclu-sione-ec.; le quali potremo leggendo conoscere colla massima facilità, purché si analizi e si faccia la debita attenzione al sentimento.  AVVERTENZA SUGLI AUMENTI E DECREMENTI  Le Qualità alle volte si considerano giunte al loro Aumento massimo, cioè giunte ad un grado, oltre il quale più non esiste Aumento, - In italiano l'Aumentò massimo si esprime cól dare al Nome qualitativo la desinenza issimo: Cosi da dolce, bello, felice ec. abbiamo dolcissimo, bel- lissimo, felicissimo ec. Qualche volta nel discorso consideriamo come aumentati o diminuiti anche gli Oggetti; e la Lingua italiana moltissime volte esprime tali Aumenti e Decrementi, dando un'apposita desinenza al Nome oggettivo. Così da libro, stanza, cappello ec. abbiamo gli aumentativi librone, stanzone, cap-pellone ec.; ed abbiamo i diminutivi libretto, stanzetia, cappelletto ec. Finalmente vi sono delle Espressioni dette peg-giorative, perché presentano degradata, deteriorata ossia peggiorato la Cosa che esprimono; come libraccio, stanzaccia, cappellaccio, cagruzzo, dolciastro; nerastro ec.; e vi sono delle Espressioni détte vezzeggiative, perché presentano con grazia ossia con una specie di vezzo, ciò che esprimono; come cagnolino, graziosetto; bellino ec.  - Si arverta che alle Espressioni vezzeggiative attacchiamo sempre un'idea di diminuzióne. Infatti le Cose grandi possono essere sublimi, ammirabili ed anche belle; vezzeggiabili però giammai.  Quindi sono vezzeggiabili le sole Cose piccole; e noi nel vezzeggiare una cosa già piccola di sua natura, col nostro spirito o immaginazione la diminuiamo, la impiccoliamo ancora di più, onde cosi renderla vezzeggiabile davantaggio.  DOMANDE  Quali si dicono Voci di luogo? (32)  Voci di numero? (33)  •  Voci d'ordine? (34)  Voci modificanti? (35) Voci d'unione? (36) Voci d'esclusione ? (57) Voci di causa? (38) Voci di mezzo? (39) Voci di fine? (40) Voci di modo? (41) Voci di aumento? (42) Voci di decremento? (43) • Come si esprime l'Aumento massimo nei Qualitativi? (45)  Come si esprimono gli Aumenti e Decrementi negli Qg-  gettivi? (46)Quali Espressioni diconsi peggiorative? (47)  Quali Espressioni diciamo vezzeggiative?  DEL GIUDIZIO  Chiamasi Giudizio l'effetto risultante dal giudicare (20); e propriamente il Giudizio è quell'operazione mentalè con cui affermiamo o ne-ghiamo, che ad un Oggetto convenga una data Azione o Qualità - Quindi i nostri Giudizj sono tutti o di Azione o di Qualità; ed ogni Giudizio - esige essenzialmente tre Cose, cioè Cardine di giu-dizio, Voce di giudizio, Attributo di giudizio. Chiamiamo Cardine di giudizio o cardinale l'Oggetto cui si attribuisce o si niega un'Azione • Qualità; come Pietro in « Pietro è diligente :  Pietro non è giunto, cioè non è stato giugnente:  Pietro scrive, ossia è scrivente ec. "  Chiamiamo Voce di giudizio (22) la Parola che esprime il nostro parere tanto affermativo che negativo; come saranno, non era ec. in « i Soldati saranno vittoriosi; i Nemici saranno vinti: la Carta non era buona; il Castello non era preso ec. » Chiamiamo Attributo di giudizio la Voce esprimente l'Azione o Qualità che affermativamente o negativamente, si attribuisce all'Oggetto cardinale, cioé al Cardine di giudizio (49). Cost negli esempi suespressi diligente, giugnente, scri-vente, vittoriosi, vinti, buona, preso sono tutti Attributi di giudizio.52. In italiano il Nome dell'Oggetto cardinale si può nel discorso tacere, ognivolta che trovasi abbastanza chiaramente espresso o da una o da ambedue le altre Parti di giudizio: come sono contento; surete premiati ec. invece di « io sono contento, voi sarete premiati ec. »  Qualche rara volta suol tralasciarsi anche la Voce di giudizio, ma solo parlando con enfsi, e purché, il tempo cui si riferisce il Giudizio, sia chiaramente espresso dal contesto del discorso; come « I codardo? Tu sconoscente? Noi vinti? ec. »  L'Attributo di giudizio non può mai tralasciarsi ossia déve sempre essere espresso; e ciò per l'in-trinseca sua natura - Si richiami però che nei Giudizj di azione l' Attributo spessissimo trovasi unito alla Voce di giudizio in una sula espressio-ne, detta Verbo (23): come «io scrissi, cioè fusi scrivente: Voi avete giocato, civé siete stati giuocanti ec. »  DOMANDE  Cosa intendiamo per Giudizio? (48)  Un Giudizio quando dicesi di. Azione? ....... quando dicesi di Qualità"  Quante cose abbisognano per formare un Giudizio?  Cosa intendete per Cardine di Giudizio? (49)  • per Voce di giudizio? (50) ........ per Attributo di Giudizio? (5%.)  Queste tre Cose debbono sempre esprimersi nel discorso? (52)53. Un Giudizio é da noi detto attivo, passivo, o neutro, secundoché in esso è attivo, passivo, o neutro l'Oggetto cardinale (49). Ora l'Oggetto cardinale è attivo, se agisce, cioè se fa desso l'Azione espressa nel Giudizio; come « i Giovani scri-vono; il Popolo correva ec. " - L'Oggetto cardinale è passivo, se non eseguisce ma riceve desso l'Azione espressa nel Giadizio; come « Pietro fu punito, le Piante saranno tagliate, il Principe fu coronato ec.'»'- Finalmente l'Oggetto cardinale, quando non è né attivo né passivo, da noi si chiama neutro cioé nè l'uno nè l'ultro; e questo propriamente avviene in tutti i giudizj di Quali-là (48), vale a dire in tutti que' Giudizi, ne' quali si attribuisce all'Oggetto cardinale una Qualità:  Come « Questo Libro è facile; i Frutti sono maturi ec. »  54 Nei Giudizj attivi l'Attributo di giudizio in italiano o è unito alla Voce di giudizio in una sola parola, come « Pietro scrive, partirá ec. »;  o è unito all'ausiliario avere in due distinte pa-role, come «Pietro à detto, arà veduto ec. ».  Quindi nei giudizi attivi l'Attributo di giudizio, essendo assolutamente immedesimato con altra espressione, non ammette serve ugualmente a tuti gli Osatoi calina, di qualungue Numero e Sesso - Quindi abbiamo:MASCHILE  (io avrei scrillo  ‹ tu avresti scrillo  ( egli avrebbe scritto  FEMMINILE (66)  I io avrei scritto tu avresti scritto  ella avrebbe scritto  (noi avremmo scritto  PLURALE ('voi avreste scritto  ( essi avrebbero scritto  noi avremmo scritto  voi avreste scritto  esse avrebbero scritto  55. Nei Giudizi passivi e neutri l'Attriburo in italiano è sempre separato dalla Voce di giudizia, e per legge di Lingua deve sempre seguire il Nu mero ed il Sesso dell'Oggetto cardinale - Questa Regola vale anche per la Voce di giudizio stato. Quindi abbiamo :  MASCHILE  FEMMINIL  (io sona premiaro  1, io sono premiaca  UNALI  (tu sei premiata  I. tu sei premiara  (egli è premiara  I ella è premiata.  ( noi siamo premiari.  |' noi siamo premiaio  PLURALI (voi siete premiati  I voi siete premiare  (essi sono premiati l esse sono premiare so sono stalo contento | io sono stara contenta noi siamo stati consenti  I noi siamo state contere  ec.  eC.  ec.  ес.  56. Nei Giudizj attivi invece dell' ausiliario avere (14) la Lingua italiana alcune volte usa la voce essere; voce che in tal caso deve considerarsi puramente come ausiliaria, e non come Vocedi giudizio. Quindi si faccia praticamente grande at-tenzione, onde non confondere essere voce giudicante con essere voce ausiliaria, ossia onde non prendere per passivo un Giudizio di sua natura attivo:  Così io sorio chiamato è Giudizio passivo; ed è Giudizio attivo io sono arrivato, equivalente ad in sono stato arrivante.  Quando nei Giudizj attivi debba usarsi l'ausiliario essere e quando l'ausiliario avere, non può impararsi che colla lettura e coll'uso, È quindi necessario leggere colla debita riflessione: Usandosi l'ausiliario essere (56), la Voce verbale anche ne' Giudizi attivi deve sempre per legge di convenzione seguire il Numera ed il Sesso dell'Oggetto cardinale; e precisamente come ne'Giu-dizj passivi (55) - Quindi abbiamo; MASCHILE (io sono giunto UNALE  (tu sei giunto  ( egli è giunto  (noi siamo giunt  PLURALI (voi siete giunti  ( essi sono giunti  FEMMINILE  1 io sonó giunta tu sei giunta  ella è giunta  noi siamo giunte  voi siete giunte  esse sono giunte  DOMANDE  Un Giudizio quando si dice attivo ? (53)  quando si dice passivo? quando si dice neutro ? Rapporto all'Attributo cosa è da osservarsi ne' Giudizj at-  tivi?, (54)Rapporto all'Attributo cosa è da osservarsi de' Giudizi passivi e neutri? (55)  L'Ausiliario de Giudizi attivi è sempre la voce avere? (54, 56) Quando si usa l'Ausiliario essere, e quando l'avere? (57) Usandosi l'Ausiliario essere, come dobbiamo esprimere la  Voce verbale? (58)  DEL FEMMINILE E DEL PLURALE NEI NOMI  5g. Nella propria Lingua coll' uso imparasi naturalmente tutto ciò, che nelle parole è relativo alle Variazioni finali pel Sesso; pel Numero • per qualunque altro significato. Pure, siccome i Dizionarj generalmente presentano i Nomi soltanto al Sesso maschile e al Numero unale, crediamo bene di qui esporre le regole semplicissime assegnate dalla Lingua italiana per la Formazione del Femminile nei Nomi qualitativi e di azione, e per la Formazione del Plurale in qualunque Nome, senza peró occuparci delle poche Eccezioui, che si conosceranno coll' uso.  60. FORMAZIONE DEL FEMMINILE — I Nomi qualitativi e di Azione formano il Femminile dalla Voce maschile; ed al maschile tali Nomi terminano tutti o in e, come felice sensibile ec., oppure in o, come onesto virtioso ec:  6r. Ora i terminanti in e servono egualmente ad ambedue i Sessi. Quindi abbiamo « l"Uomo felice, la Donna felice ec. ». Nei terminanti in o poi formasi il Femminile, cangiando l'o finale in  a. Quindi avremo « l'Uomo virtuoso, la Donna virtuosa ec. "  FORMAZIONE DEL PLURALE - Il Plurale in qualunque Nome formasi dall'Espressione di Numero unale, avvertendo che nei Nomi qualitativi e di Azione devesi aver riguardo al Sesso, vale a dire, che il Plurale maschile formasi dall'Unale maschile, ed il femminile rispettivamente dall' U- nale femminile — I Nomi al Numero unale terminano o in a, o in e, o in o. I terminanti in e ed o formano il Plurale, cangiando in i la vocale finale: Quindi « libro facile, Giovine premiato ec. » al Plurale danno « libri facili, Giovani premiati ec. » Nei terminanti in a é necessario osservare, se sono maschili o femminili - Se femminili,. formano il Plurale cangiando in e la vocale fina-le: Quindi abbiamo «Donne virtuose, Sorelle premiate ec. » - Se maschili, formano il Plurale: cangiando l' a finale in i - Quindi abbiamo « Poe--ti, Duchi, Profeti ec. » - Si avverta, che i: Nomi maschili terminati in a, sono pochissimi e soltanto. Oggettivi:  65. I Nomi oggettivi alle volte terminano con vocale lungo ossia accentata; ed allora servono al Numero tanto unale che plurale: Quindi abbiamo  caso, come rilevasi da questi esempi, per conoscere il Numero si osserva l'Articolo: Che se l'Articolo mancasse, si dovrà fare attenzione o a qualche altra voce, o al contesto del discorso.I Nomi qualitativi e di Azione qual desinenza anno al  Sesso maschile? (60)  In tali Nomi come formasi il Femininile? (6r)  I Nomi in genere qual desinenza ànno al Numero una-  le? (62)  Come formasi il Plurale nei terminanti in e o in ó? (65)  Come formasi il Plurale nei terminanti in a? (64)  Cosa è da avvertirsi negli Oggettivi terminanti con ac-  cento? (65)-  + .  DEL CARDINE DI GIUDIZIO  •66. Parlando, noi altro non facciamo she esternare i Giudizj formati dal nostro Essere sens ziente (4); ed è impossibile, che un discorso sia sensato, se non esprime un Giudizio ~ Dunque in ogni discorso avremo necessariamente. I' Oggetto cardine di giudizio (49); giacché ogni Giudizio esige il suo Oggetto cardinale, o espresso o facili mente sottinteso (52).  Ora è facile comprendere, che in un qualsiasi • discorso può e deve essere Cardine di giudizio, o Chi parla, o Chi ascolta, o una Cosa terza cioè un Oggetto diverso da Chi ascolta e da Chi parla - Dunque dobbiamo in ogni discorso precisare ossia esprimere chiaramente, qual Oggetto é Cardine di giudizio, cioé se l'Oggetto parlante; o l'Oggetto ascoltante, oppure un terzo Oggetto. Ma gli Oggetti parlante é ascoliante sono o almeno si suppongono presenti al discorso - Dunque non occorre indicarli coi Nomi loro par-ticolari; e basta usare per essi un Nome generi-co, applicabilé a qualunque Oggetto che praticamente sia ascoltante o parlante.  In italiaro il Nome generico dell'Oggetto par-lante, al Numero unale è io, al plurale noi: E il Nome generico dell'Oggetto ascoltante, all'unale è tu, al plurale voi — Si avverta, che questi Nomi generici servono al Sesso tanto maschile che fem-minile; giacché la presenza degli Oggetti parlante e ascoltante, ci fa naturalmente conoscere il loro  Sesso.  6g. I terzi Oggetti debbono sempre essere indicati coi loro particolari Nomi convenienti, onde poter in essi distinguere l'uno dall'altro → Se però il Nome d'un terzo Oggetto fu nel discorso espresso immediatamente prima, allora invece di ripéterlo, sogliamo richiamara l' Oggetto con una Voce apposita detta Pronome, cioè Voce usata invece d'un Nome; avvertendo che questo Pronome deve usarsi, sol quando non può nascere nel discorso alcuna oscurità o confusione.*  I Pronomi che servono a così richiamare i terzi  Oggetti, sono al Numero unale egli o esso pel Sesso maschile, ella o essa pel femminile; ed al plurale eglino o essi pel maschile, elleno o esse  pel femminile.7o. Gli Oggetti, e quindi i loro Nomi e Pro-nomi, non sempre sono Cardini di Giudizio; giacché possorio trovarsi in altre molte situazioni , come vedremo (196). Si avverta quindi, che non essendo Cardine di giudizio, al Numero unale il Nome dell'Oggetto parlante cangiasi in me, e quello dell'Oggetto ascoltante in te; e che nei Pronomi, egli cangiasi in lui, ella in lei, ed al plurale eglino ed elleno si cangiano ambedue in  loto.  71. Si avverta inoltre che a questi generici Nomi e Pronomi tanto cardinali che non cardinali, per eleganza o maggior forza di espressione sogliamo spesso aggiugnere la Voce stesso o medesimo, ponendola al conveniente Numero e Sesso del Nome. o Pronome; come « io medesimo, ella stessa, da lei medesima, voi stessi ec. " — La Voce stesso o medesimo che comunemente è Voce d'iden tità (79, 80), in questo caso da noi sarà chiamata Voce di energia.  'AVVERTENZA' SULL' OGGETTO ASCOLTANTE  72. Il Nome generico d'un solo Oggetto ascoltante è tu ovvero te, come abbiamo sopra fissato (68, 70). L'Educazione italiana però per-  mette, che si usi tal espressione solamente ocon Persona esercente professione molto bassa ed abbietta, o con Persona di massima confidenza, o parlando enfaticamente.  Fuori di questi tre casi il Nome d'un solo Oggetto ascoltante sarà sempre o voi, oppure ella e lei (70), secondo la qualità, della Persona a cui si parla — Si usa voi parlando con Persona o eguale o inferiore; e si usa ella e lei; parlando o con Persona a noi superiore, o con Persona per cui dobbiamo o vogliamo aver dei riguardi. E poi facile conoscere la ragione di tali sosti-tuzioni, che sono puramente basate sui principi di civiltà - Dicendo voi ad una sola Persona, io le dico, che la considero come Plurale, cioè come più Persone; il che è assai obbligante, e serve ad affezionarci la Persona colla quale parliamo - Parimenti le voci ella e lei sono dal Linguaggio esclusivamente consecrate al bel Sesso (69, 7u ). Quindi asando tali voci con una sola Persona ascoltante, se questa è Femmina, col fatto le dimostro che so di parlare con una Signora, vale a dire le dimostro, che mi occupo dei riguardi a lei dovuti; dimostrazione, che deve necessariamente piacere: •E se la Persona con cui parlo è Uomo, usando tali voci dico ad esso, che o per lui quella deferenza, quel rispetto e tutti quei possibili ri-guardi, che avrei per una Signora; esternazione molto sodisfacente e compita, giacché l' educazione fissa allo scabello del Bel Sesso la somma e l'apice di tutti i più delicati riguardi sociali.Cosa deve essenzialmente esprimere ogni sensato discor-  so? (66)  Quante specie si danno di Oggetti cardinali? (67)  Gli Oggetti cardinali si esprimono sempre col loro Nome particolare? (68)  Qual è il Nome generico dell' Oggetto parlante?  Qual è il Nome generico dell'Oggetto ascoltante?  Quali sono i Pronomi pei terzi Oggetti ? (6g)  Non essendo Cardini di giudizio, come si esprimono tali  Nomi e Pronomi? (70)  Cosa intendiamo per Voce di energia? (71) La buona Educazione quando usa tu e te ? (73) Con una sola Persona ascoltante quando si usa voi? (73)  .. . ......  ... quando si usa ella e lei !  Sapreste dar ragione di tali Sostituzioni ? (74)  DELLE COSE DIFFERENTI, DIVERSE; SIMILI,  UGUALI E IDENTICHE  Due cose diconsi differenti, quando una ci si presenta maggiore o minore dell'altra: Cosi cinque e olto, quindici e dieci ec. sono quantità differenti tra loro. Due Cose diconsi diverse, quando non sono della stessa natura; vale a dire, quando non anno le stesse Proprietà (‹6): Cosi acqua e vino, zuc- caro e caffè ec. sono cose diverse tra loro. Due Cose si dicono simili, quando anno le stesse Proprietà, senza punto calcolarne le Quali-tà: Cost due Uomini, due Cavalli, due Monete dello stesso conio e valore ec. sono cose rispettivamente simili tra loro. 78. Due cose diconsi uguali, quando e sono di medesima natura, e non presentano alcuna differenza trà loro; vale a dire, quando avendo le stesse Proprietà, anno anche le medesime Qualità;  Cosi cinque è uguale trè più due, uguale quattro più uno ec.  Si avverta, che gli Oggetti simili presentano tutti delle più o meno rimarchevoli differenze; e pe-ró, che negli Oggetti non esiste per noi uguas  glianza perfetta.  L'Identità non può aversi che negli Ogget-ti; e propriamente consiste « nel ravvisare, che un tale Oggetto è quell' istesso, il quale giá esisteva in qualche precisata circostanza » — Li cognizione dell'Identità risulra singolarmente dall' osservare le marche o contrasegni particolari, per cui ogni Oggetto si distingue da tutti gli altri suoi simili (78). Le Espressioni che nel discorso indicano tali Differenze, Diversità ec., saranno da noi dette rispettivamente Voci di Differenza, Diversità, So-miglianza, Eguaglianza, Identità. DOMANDE  Due cose quando sono differenti? (75)  •. quando sono diverse? (76) :. quando sono simili? (77) quando sono uguali? . (78)  Si dà Eguaglianza negli Oggetti ?  In che consiste l'Identità d' un Oggetto? (79)  Come si ravy isa l'Identità d'un Oggetto?81. Confrontare significa «Porre due o pit Oggetti dirimpetto ossia di fronte fra loro »; e ciò avviene, ognivolta che vogliamo in più Oggetti considerare o esaminare una médesima Azione o  Qualità.  La conseguenza del Confronto esser deve il conoscere, che tale Azione o Qualità é negli Oggetti confrontati o uguale o differente. Quindi i Confronti che esprimiamo nel discorso, saranno tutti o d' Eguaglianza o di Differenza; e le Espres sioni indicanti tale Differenza o Eguaglianza, saranno da noi dette Voci di confronto: Come al pari di, tanto quanto, più di, meno di ec. Molte volte, fatto il Confronto, se scopriamo o crediamo vedere una piccolissima differenza, ci contentiamo nel discorso d'indicare l'Eguaglianza approssimativa; e le Espressioni che usiamo per ciò, saranno da noi dette Voci di approssimazio-ne: Come quasi, in circa, a un dipresso ec.: Il risultato del Confronto alle volte suol essere un Giudizio d' ignoranza o di dubbio, che sogliamo esprimere con non so, mi pare, credo, non potrei decidere ec. Ciò propriamente avviene, quando non si può stabilire né uguaglianza né differenza assoluta nel Confronto. In ogni Confronto é necessario distinguere l'Oggetto primo dal secondo, potendo tanto l'uno che l'altro essere indifferentemente di Numero o unale o plurale - Chiamiamo primo, quello che é Cardine di giudizio; e chiamiamo l'altro secondo:  Cosi in « Pietro è più giovine di Paolo » Pietra è primo Oggetto, Paolo è secondo Oggetto di confronto.  DEL CONFRONTO SEPARANTE  Alle volte consideriamo tutti gli Oggetti d'una determinata specie sfera o estensione, come possedenti la medesima Qualità o Azione; ed avviene sovente, che in uno a in alcuni di questi Oggetti tale Azione o Qualità presentasi in maniera o superiore a inferiore a tutti gli altri - Ora volendo nel discorso indicare tale Inferiorità o Supe-riorità, dobbiamo primieramente separare dalla massa totale l'Oggetto o Oggetti distinti, e poscia dobbiamo presentarli posti a Confronto con tatti gli Oggetti restanti; come dicendo « Pomponio & il più abile do Ministri: Quelli erano i meno prodi de suoi soldati eç. » = Questa operazione può dunque giustamente chiamarsi Confronto se- parante; avvertendo, che gli Oggetti separati formano sempre il primo Oggetto di Confronto (85), e che tutti gli altri rimangono a formarne il se-condo. Il Confronto separante può essere di eccesso o di difetto - E di eccesso, se il primo Oggetto possiede la confrontata Azione o Qualità in grado superiore al secondo: Come « Cicerone fu il piieloquente dei Romani: Elena è la più saggia delle Figlie ec. » - È di difetto, se il primio Oggetto possiede la Qualità o Azione in grado inferiore al secondo Oggetto di confronto: Come « Giulio é il meno dissipato degli Scolari: L'Amico fu il meno maltrattato dei Prigionieri ec. » 88. In italiano le Espressioni il più... di, il meno... di ec. sono particolarmente destinate ad accennare tali Confronti; e noi perciò le chiameremo Voci di Confronto separante.  DOMANDI  Che significa confrontare? (18)  Qual è il risultato del Confronto ? (82)  Il Confronto produce sempre un Giudizio d'Eraglianza o di Differenza? (84),  Quali da noi si chiamamo. Voci di confronto? (82) Quali chiamansi Voci di approssimazione? (83)  Nel Confronto quale Oggetto chiamasi primo, e quale secondo ! (85)  Quando abbiamo Confronto separante ? (86)  Il Confronto separante di quante specie può essere? (87)  Quando chiamasi di eccesso, e qúando di difelio?  Quali da noi si dicono Voci di confronto separante? (88)      89. I nostri Giudizj debbono naturalmente essere diversi, come diverse esser possono le circostanze alle quali si riferiscono. Dunque il Linguaggio deve esprimerli in diverse Maniere - È dunque necessario esporre dettagliatamente queste diverse: Maniere ossia i varj Modi, con cui si può nel discorsa  esprimere un Giudizio.  Mi sia qui permessa un'osservazione - La diversità dei Modi nella Voce giudicante e nei Verbi dipende dalla diversità dei Giudizj che si esprimo-no; vale a dire, dipende dall' intrinseca natura delle cose. Dunque il numero dei Modi deve necessariamente esser lo stesso in tutte. le Lingue; e questo deve intendersi anche del numero dei Tempi in ciascun Modo - Dunque le Grammatiche, quando asseriscono che una Lingua à più o meno  Modi, più o meno Tempi di un'altra, dan chiaramente a conoscere il poco o nessuno Bron-senso; che presiedeva alla loro formazione.9o. Qualunque Giudizio deve sempre riportarsi a qualche Istante del Tempo totale; e nel discorso può inoltre essere confrontato col Tempo di qualche altro Giudizio - Dunque esamineremo accuratamente tutto ciò che nei Giudizi è riferibile al Tempo, ossia ai varj Tempi tanto assoluti che relativi.  9i. Chiamiamo assoluto quel Tempo, che da noi puramente si considera presente, passato o futuro, come è assolutamente in natura: E chiamiamo relativo quel Tempo, che da noi si considera presente, passato o faturo soltanto relati-ramente ad altro Tempo espresso nel discorso.  9a. Ogni Giudizio esige indispensabilmente un Oggetto, cardinale (46); e questo Oggetto può es sere o il parlante o l'ascoltante o un terzo Oggetto (67). Inoltre, l'Oggetto cardinale può essere di Numero e unale e plurale (ro) - Dunque in ciascun tempo di qualunque Modo faremo particolare attenzione ai tre Oggetti cardinali, e ciò per ambedue i Numeri unale e plurale;  93. La Lingua italiana generalmente con una sola Espressione suole indicare Giudizio, Tempo, Modo, e inoltre la Natura dell'Oggetto cardinale, ed. il suo Numero. Quindi é della massima importanza l'attaccare a ciascuna di tali tanto significanti Espressioni la giusta Idea, e colla massima possibile precisione - Noi dunque le esporremo dettagliatamente di seguito per la Voce di giudizio essere, in ciascun Tempo, in ciascun Modo,        e indicando la Natura ed il Numero degli Oggetti cardinali coi generici Nomi e Pronomi rispettivamente già fissati per essi (84, 69); vale a dire, io, tu, egli per l'unale, e noi, voi, essi pel  Numero plurale, limitándoci al solo Sesso maschile - Prima però daremo la necessaria spiegazione de' varj Tempi e assoluti e relativi.  Esporre di seguito per ciasçun Tempo, in ciascuno Modo, e per ogni Oggetto cardinale le varie Espressioni che la Lingua assegna sia per lo Voce di giudizio, sia per un Verbo qualunque, é propriamente ciò che chiamasi conjugare. Abbiamo già fissato le generiche Voci esprimenti i varj Tempi assoluti, cioè adesso, jeri, domani (28) e questa mattina (31). Queste Voci nella conjugazione di qualunque Modo possono essere unite alla Voce di giudizio, onde meglio formarsi una giusta idea di questa Voce medesima. Si arverta però, che praticamente non sempre debbono esservi unite: Quindi noi nel conjugare le ometteremo, lasciando a ciascuno la libertà di aggiugnervele a suo piacere.  DOMANDE  Che' s' intende per Modi nella Voce di giudizio e nei  Verbi? (80)  Qual Tempo dicesi assoluto? (93)  Qual Tempo chiamasi relatino ?  Cosa intendete per conjugare? (94)96. Chiamasi assoluto, quel Tempo che nel di-  assoluto sarà o presente o passato) o futuro; giacché in natura gl' Istanti del Tempo totale debbono trovarsi in una di queste tre situazioni (27).  97. Il Tempo assoluto dicesi presente, quando coincide coll' Istante in cui parliamo; dicesi pas-saro, quando è decorso prima dell'Istante in cui parliamo; e si dice futuro, quando deve decorrere dopo l'Istante in cui parliamo (27) - Si richia-mi, che il Passato in italiano è di due specie, cioé congiunto e disgiunto (29).  DOMANDE  Come denominiamo i varj Tempi assoluti? (96) Il Tempo assoluto quando si chiama presente? (97)  quando si chiama passato ! quando si chiama futuro?  DEI TEMPI RELATIVI  98. Chiamasi relativo quel Tempo, che si considera presente, passato o futuro, soltanto relativamente ad un altro Tempo espresso nel discorso (91) - Dunque il Tempo relativo sarà o identico o anteriore o posteriore all'altro Tempo; giacchè qualunque Tempo, posto a confronto ossia considerato rispettivamente ad un altro Tempo, deve di necessità trovarsi in una di queste tre circostanze.  Il Tempo relativo dicesi identico all'altro Tempo, quando questi due Tempi effettivamente non sono che un solo. Cosi in « Sento cantate » cantare è un'espressione di Tempo relativo iden-tico: è di Tempo relativo, perché il Tempo dell'azione cantare si riporta a quello dell'azione sento; è di Tempo identico, perché in questo caso diciamo, che l'azione cantare e l'azione senta anno luogo al medesimo istante. Il Tempo relativo dicesi anteriore, quando effettivamente si considera decorso prima dell'altro Tempo. Così « L'Amico dice di aver visto molte Lepri » aver visto è un'espressione di Tempo relativo anteriore: è di tempo relativo, perché si riferisce al tempo dell'azione dice; ed è di Tenipo anteriore, perché esprimiamo che l'azione aver visto è avvenuta prima dell'azione dice. Il Tempo relativa dicesi posteriore, quando si considera decorso dopo l'altro Tempo. Cost in • L'Amico sperava d'essere premiato.» essere premiato è un' espressione di Tempo relativo poste-riore: è di Tempo relativo, perchè si riferisce al Tempo dell'Azione o Giudizio sperava, ed è di tempo posteriore, perché diciamo che l' Azione essere premiato deve ossia doveva avvenire dopo dell'azione sperava. , DOMANDE  Come denominiamo i varj Tempi relativi? (98) Il Tempo relativo quando si dice identico? (99)  •  •  quando si dice anteriore? (100) quando si dice posteriore? (101)  È facile comprendere, che ogni Azione o Giudizio di Tempo relativo; in natura deve appartenere a qualche Tempo assoluto; giacché le Azioni avvengono tutte in qualche Istante del Tempo totale (96), è la natura delle cose non può essere alterata dalla nostra maniera di considerar-le: Cosi per esempio dicendo « Quando voi sor-siste, l'Amico dormiva » chiaro si scorge, che la qui espressa azione di dormire é di Tempo asso-lutamente-passato e relativamente-identico a quello dell'Azione sortiste - Dunque nei Giudizj di Tempo relativo possiamo e dobbiamo considerare e il Tempo assoluto e il Tempo relativo del Giu-dizio; ossia con parola composta possiamo e dobbiamo considerare, i varj Tempi assoluto-relativi. Moltiplicando i tre Tempi assoluti, pre-sente, passato e futuro (96) per i tre Tempi re-lativi, identico, anteriore: e posteriore (98), avremo tutti i varj Tempi assoluto-relativi: Avremo cioe  presente-identico,  passato-identico,  futuro-identico  presente-anteriore, passaso anteriore, fuluro-anteriore presente-posteriore, passato posteriore, futuro-posteriore  Si avverta, che delle due Parole con cui esprimiamo ciascuno di questi Tempi assoluto-relativi, la primo indica sempre il Tempa assoluto del Giudizio o Azione, e la seconda ne indica sempre il Tempo relativo.  104. TEMPO PRESENTE-IDENTICO — Chiamiamo presente-identico quel Tempo, che di sua natura esiendo presente, nel discorso da noi si considera soltanto come identico ad un altro Tempo, il quale è considerato ed è assolutamente presente :  Così in « Sento cantare » cantare è un'espressione di Tempo presente-identico; perché l'Azione di cantare avviene al tempo stesso di quella espressa da sento, la quale di sua natura é di Tempo presente:  TEMPO PASSATO-IDENTICO - Chiamiamo passato-identico quel Tempo, che di sua natura essendo passato, nel discorso da noi si considera. soltanto come identico al Tempo d'un altro Giu-dizio, il quale é assolutamente passato: Cosi in « Quando voi sortiste l' Amico dormiva » dormiva è un'espressione di Tempo passato-identico; perché l'azione espressa da dormiva, la quale é assolutamente passata, si considera soltanto come contemporanea a quella espressa da sortiste, azione assolutamente passata ancor essa - Lo stesso dicasi di canture in « Sentii, & sentito cantare ec. » TEMPO FUTURO-IDENTICO - Chiamiamo futuro-identico quel Tempo, il quale di sua natura essendo futuro, da noi si considera sol-. tanto come identico ad altro Tempo assolutamente futuro: Cosi in « Quando li vedrà sortire ec. »• sortire è un'espressione di Tempo futuro-identico; •perché l'azione qui espressa da sortire é assolutamente futura, ma da noi si considera solamente  come contenporaneo a quella espressa da vedrò, la quale è pure assolutamente futura.  107. TEMPO PRESENTE-INTERIORE — Chiamiamo presente-anteriore quel Tempo, che di sua natura essendo presente, deve essere soltanto considerato come anteriore ad un altro Tempo. Ora egli é chiaro, che il Tempo presente non può essere anteriore che al solo Tempo futuro. Dunque il Tempo presente-anteriore é un Tempo relativo, che deve di necessità riportarsi ad altro Tempo assolutamente futuro.  Ma il Tempo presente non può sotto alcun rapporto dipendere dal Tempo futuro, ossia riferirsi al Tempo futuro; giacché quando calcoliamo l' Istante presente, tutto il Tempo futuro può considerarsi ed è per noi effettivamente come zero. Dunque il Tempo presente-anteriore è nel nostro senso (103) un Tempo praticamente impossibile, un Tempo che include contradizione; ossia è un Tempo re-lativo, che per l'intrinseca natura delle cose si risolve necessariamente in un Tempo assoluta, cioè nel Tempo assolutamente presente. Ed infatti ogni Tempo assolutamente presente, di sua natura  ¿ anteriore a tutto il Tempo futuro.  Dunque considerato come Tempo relativo (98), il Tempo presente-anteriore non esiste.  108. TEMPO PASSATO-ANTERIORE - Chiamiamo passato-anteriore quel Tempo, il quale di sua natura essendo passato, da noi solamente si considera come anteriore ad un altro Tempo che  è passato ancor esso necessariamente — Il Tempo passato-anteriore può essere congiunto, o disgiunto.  I.° Chiamasi congiunto, quando si considera de corso immediatamente prima dell'altro Tempo pas-sato; ossia, quando si calcola come unito in serie al Tempo, che consideriamo passato per secondo:  Così in « Appena ebbero visto il lupo, i cani fuggirono » ebbero visto è un'espressione di Tempo passato-anteriore-congiunto; giacché indica un'Azione assolutamente passata, la indica come anteriore all'azione fuggirono, ma la indica come avrenuta solo un istante prima, ossia come avvenuta immediatamente prima dell'azione fuggirono.  II.® Chiamasi disgiunto, quando non si considera decorso immediatamente prima dell'altro Témpo, che riteniamo passato per secondo: Cosi in « L'Amico xenne, perché era stato avvertito da me » era stato avvertito è un'espressione di Tempo passato ante-riore-disgiunto; giacchè indica un'Azione assolutamente passato, la indica come anteriore all'Azione venne, ma non la indica come avvenuta immedia-camente prima dell'azione venne - Per brevità il passato anteriore-disgiunto sarà da noi denominato semplicemente passato-anteriore.  109. TEMPO FUTURO-ANTERIORE - Chiamiamo futuro-anteriore quel Tempo, il quale di sua natura essendo futuro, da noi si considera soltanto come anteriore ad un altro dato Tempo fu-turo: Cosi in « Quando avremo finito la Scuola, passeggeremo o avremo finito è un'espressione di  Tempo futuro anteriore; perché esprime un'Azione assolutamente futura, la quale peró è da noi calcolata soltanto come anteriore all'altra futura  Azione espressa da passeggeremo.  110. TEMPO PRESENTE-POSTERIORE - Chianiamo presente-posteriore quel Tempo, il quale di sua natura essendo presente, è da noi considerato soltanto come posteriore ad un altro Tempo che necessariamente deve essere passato: Cust in « L'Amico mi scrisse, che sareste arrivato precisamente a quest' ora » sareste arrivato è un'espressione di Tempo presente-posteriore; giacchè esprime un'azione assolutamente presente, cioè un'azione che avviene al momento in cui parlo; ma nel discorso tale azione è assolutamente calcolata come posteriore all'altra espressa da scrisse.  III. TEMFO PASSATO-POSTBAIORE - Chiamiamo passato-posteriore quel Tempo il quale di sua natura essendo passato, da noi si considera soltanto come posteriore ad un altro Tempo che di necessità deve anch'esso essere passato: Cosi in « L'Amico disse, che sarebbe arrivato prima di notte; e mantenne là sua parola » sarebbe arrivato è un'espressione di Tempo passato-posteriore; giacché esprime un'azione assolutamente passato, che praticamente da noi si considera soltanto come posteriore all'azione espressa da disse.  1I2. TEMPO FUTURO-POSTERIORE - Chiamiamo futuro-posterioré quel Tempo, il quale di sua natura essendo futuro, dá noi si considera solamente  come posteriore ad altro Tempo: Cusi in « L'Amico mi scrisse, che sarebbe arrivato prima di sera; e adesso appena sono le tre pomeridiane » sarebbe arrivato é un'espressione di Tempo futuro-posteriore; giacché esprime un'Azione assolutamente futura, ma nel discorso calcolata soltanto come posteriore all'Azione espressa da scrisse.  113. I Tempi assoluto relativi sono dunque otto; cioè sono i da noi già fissati (103), provenienti dalla moltiplica dei tre Tempi assoluti pei tre re-lativi; restando di sua natura escluso il Tempo presente-anteriore, come abbiamo già dimostrato (107).  Si avverta di formarsi una giusta e chiara idea di ciascuno degli otto analizati Tempi assoluto-relativi, onde afferrar bene il preciso valore delle voci destinate ad esprimerli - Si richiami, che delle due Parole da noi usate per indicarli, la prima esprime sempre il Tempo assoluto, e l'at-tra il Tempo relativo (103) - Si fissi finalmente, che il Linguaggio praticamente considera questi Tempi soltanto come relativi; ma che é anche necessario cortoscerne la forza assoluta, onde poterli analiticamente e ragionatamente distinguere fra loro.  DOMANDE  Cosa intendiamo per Tempi assoluto-relativi? (102) • Quanti e quali sono i Tempi assoluto-relativi? (103, 113)  In queste Voci composte cosa indica la prima, e cosa la seconda Parolae® (105)  Qual tempo chiamasi presente identico? (104)  .. passato identico? (105)  • futuro identico? (106)  Cosa dobbiamo osservare sul Tempo presente-anteriore? (107)  Qual Tempo chiamasi passato-anteriore? (108)  Il Passato-anteriore quando si dice congiunio? (I)  ... quando si dice disgiunto? (II)  Qual Tempo chiamasi futuro-anteriore? (109)  presente-posteriore? (110)  passato-posteriore? (111)  • futuro-posteriore? (112)  Il Linguaggio precisamente come considera i Tempi asso-  luto-relativi P (113)  DEL MODO CERTO  114. Diciamo espresso in Modo Certo, ogni Giudizio il quale esclude qualunque ombra d'in-certezza; ossia ogni Giudizio, in cui l'Oggetto parlante esprime con assoluto certezza e persia-sione ciò che dice: Come « Voi siete studiosi :  L'Amico scrisse due lettere: Quando io giunsi, i soldati partivano ec. "  Ogni Giudizio di Modo Certo è praticamente o isolato o dipendente o condizionato. MODO CERTO-ISOLATO Chiamiamo isolato ogni Giudizio di Modo Certo, il quale esprime da se solo un senso perfettamente completo; ossia ogni Giudizio, il quale espresso con parole, lascia nulla a desiderare peressere inteso perfettamente; come « Quei Giovani sono Italiani: Pietro fu premiato: Voi sarete felici ec. » Ogni Giudizio di Modo Certo-isolato appartiene sempre ad uno dei tre Tempi assoluti, presente, passato, futuro; richiamando, che in italiano il Tempo passato si distingue in passato-congiunto, e passato-disgiunto o semplicemente passato (52). Si avverta che, tanto in questo come in altri Modi molti, alle Espressioni di futuro sogliamo sostituire quelle di Tempo presente, ogni volta che la futurità trovasi naturalmente espressa o dal contesto del discorso o dalla natura stessa dell'A-zione: Come « Parto domani, invece di partirò; Andate questa sera al Teatro? invece di andrete ec. »  Le Espressioni di 'Modo Certo-isolato sono alla TAVOLA 1.° Nella Voce giudicante il' Linguaggio per esprimere semplicemente il Tempo assoluto del Giudizio, non à altre Espressioni che quelle as-segnaté pel Modo 'erto-isolato. Ed infatti ana-lizando le Espressioni che successivamente fisse, remo pei Tempi assoluti di tutti gli altri Modi, si troverà che desse nell'intrinseca loro natura contengono sempre o Dipendenza, o Condizione, Volizione, Desiderio, Supposizione ec. - Dunque ogni Giudizio, che stante la natura del. di- scorso, deve puramente indicare il suo Tempo as-soluto, si esprimerà colle Voci di Modo certo-isolato. Questa osservazione é della massima importanza; giacché spessissimo s'incontrano delle Espressioni di Modo certo-isolato, le quali nel discorso praticamente non possono rimanere isolate; come « Finché sono contenti ec.: Quando fui premiato ec. : Se voi sarete accorti ec. » — In questi e simili casi é quindi necessario avvertire che le. Voci sono, fui, sarete ec. esprimono soltanto il Giudizio ed il suo Tempo assoluto; e che la praticamente indispensabile concatenazione di tali Giudizj con al-tri, si deve unicamente ripetere dal valore delle altre Voci finchè, quando, se ec. — Lo stesso dicasi dei Verbi. MODO CERTO-DIPENDENTE 128. Chiamiamo dipendente ogni Giudizio di Modo Certo, il quale da se solo non ci presenta una cognizione completa del Tempo cui si riferisce; ossia ogni Giudizio, il quale per la perfetta intelligenza e spiegazione del Tempo dipende da un altro Giudizio; come « Io era contento; l' Amico era stato avvertito; quando avrete finito la traduzione ec.»: Dove è chiaro, che senza il concorso di altro Giudizio non possiamo intendere a qual preciso Tempo si riferiscano tali Giudizj ; presentandoci tutt' al più, i primi due un'idea generica di passato, ed il terzo una generica idea di Tempo futuro.  122. Ogni Giudizio di Modo Certo-dipendente  appartiene ad uno dei tre Tempi assoluto-relativi, passato-identico (105), passato-anteriore (108), e futuro-anteriore (10g); richiamando, che il Pas-sato-anteriore distinguesi in congiunto e disgiunto.  123. Le Espressioni di Modo Certo-dipendente sono alla TAvOLA II.'- Si faccia peró attenzione, ché il buon gusto italiano nella Voce giudicante essere alle Espressioni di Passato-anteriore-con-giunio, cioè fui stato, fosti stato ec., sostituisce generalmente le Espressioni passate di Modo Certo-  isolato, cioè fui, fosti ec. (119).  MODO. CERTO-CONDIZIONATO  124. Diciamo condizionato ogni Giudizio di Modo  Certo, la cui verificazione è inseparabile dall' ese-guimento di qualche condizione; come « Se avessi un libro, leggerei: Se aveste studiato, sapreste ineglio la lezione ec. »  • 125. Ogni Giudizio di Modo Certo-condizionato appartiene sempre ad uno dei tre Tempi assoluti, presente, passato o futuro.  126. E necessario fissare, che ogni Giudizio condizionato deve di sua natura avvenire dopo l'ese-guimento della condizione. Da ciò risulta, che un Giudizio condizionato di Tempo passato o pre-sente, in pratica è sempre ineseguibile; giacché in questi due casi non può assolutamente più verificarsi la richiesta condizione, e però nemmeno il  Giudizio che da essa dipende:127. Le Espressioni di Modo certo-condizionato sono alla TAvoLA IIl"; avvertendo, che la natura del discorso farà praticamente distinguere quelle di futuro da quelle di Tempo presente.  DUMANDE  Un Giudizio quando si dice espresso in Modo certo? (1 14)  Un Giudizio di Modo certo di quante specie può essere? (115)  Quando si chiama isolato ? (116)  Un Giudizio di Modo certo-isolato a quali Tempi appar-tiene? (117)  Un Giudizio di Tempo futuro quando si può esprimere colle Voci di presente? (118)  In Modo certo-isolato come si conjuga la Voce di giu-dizio? (119)  Sulle Voci di Modo certo-isolato cosa dobbiamo specialmente avvertire? (120)  Un Giudizio di Modo certo quando chiamasi dipenden-  te? (131)  Un Giudizio di Modo certo-dipendente a quali Tempi ap-partiene? (122)  In Modo certo-dipendente come si conjuga la Voce di giudizio? (123)  Un Giudizio di Modo certo quando chiamasi condizio• nalo ? (124)  Un Giudizio di Modo certo-condizionato a quali Tempi appartiene? (125)  In Modo certo-condizionato come si conjuga la Voce di giudizio ? (117)  DEL MODO DESIDERATIVO.  128. Diciamo espresso in Modo desiderativo ogni Giudizio, col quale si desidera energicamente  qualche cosa: come « Oh foste voi più diligenti!  Oh foss' egli stato vincitore! ec. »  Ogni Giudizio di Modo desiderativo appartiene ad uno dei tre Tempi assoluti, presente, passato o fituro — Si faccia perô attenzione, che ogni Giudizio desiderativo di Tempo presente o passato è ineseguibile di sua natura; giacchè il Desiderio che lo accompagna, in questi due Tempi praticamente non può verificarsi più. Le Espressioni di Modo desiderativo sono alla TAvOLA IV.' - Si arverta, che nel Modo desiderativo quelle di futuro sono eguali alle Espres sioni di Tempo presente, e che il pratico discorso ci fa sempre chiaramente distinguere l'un Tempo dall'altro - Si avverta inoltre, che le Espressioni desiderative sono quasi sempre accompagnate de Voce indicante desiderio, come oh ec.; e che in iscritto tali Espressioni sono sempre seguite dal cos detto Punto ammirativo. DOMANDE Un Giudizio quando si dice espresso in Modo desidera-tivo! (128)  Uu Giudizio di Modo desiderativo a quali Tempi appar-  tiene? (129)  Un Giudizio di Modo desiderativo è sempre eseguibile ?.  La Voce di giudizio come si conjuga in Modo desidera.  tivo? (130)13x. Diciamo espresso in Modo volitivo, ogni Giudizio, nel quale l'Oggetto parlante fa conoscere energicamente un atto di sua volontà; come « Parta egli subito: Andiamo a casa: Fatemi questo piacere ec. ».  ' *32. È chiaro di sua natura, che l'Oggetto parlante di Numero unale non à bisogno di esprimere con parole un atto di-Volontà, riguardante unicamente lui stesso - Quindi il Modo volitivo deve necessariamente mancare di espressione per l'Oggetto parlante al Numero unale.  133. Chi vuole qualche cosa, per natura non può volere che un Bene. Ora se questo Bene dipende da Chi parla, l'Oggetto parlante esternando la sua volontà, comanda; e se questo Bene non dipende da Chi parla, l'Oggetto parlante esternando la sua volontà, non può che o esortare o pregare - Dunque ogni Giudizio di Modo volitivo esprime o Comando o Esortazione o Preghiera.  - 134. Ma le Preghiere, le Esortazioni, i Comandi per intrinseca loro natura non possono risguardare il Tempo passato — Dunque ogni Giudizio di Modo volitivo deve necessariamente appartenere ad uno dei due Tempi assoluti, presente o futuro.  Si richiami (118), che in pratica usiamo spessissimo le Espressioni di presente in luogo di quelle di futuro; giacché la futurità del Giudizio trovasi molte volte espressa naturalmente dal discorso.135. Le Espressioni di Modo volitivo sono alla  TAVOLA V.  DOMANDE  Un Giudizio quando si dice di Modo volitivo? (132)  Un Giudizio di Modo volitivo cosa deve esprimere? (133)  Perchè deve esprimere o Comando o Esortazione o Pre-ghiera?  Un Giudizio di Modo volitivo a quali Tempi appartie-ne? (13+)  Perchè non può appartenere al Témpo passato ?  In Modo volitivo come si conjuga la Voce di giudizio? (135)  Al Numero unale perchè manca l'Espressione per l'Oggetto parlante? (132)  DEL MUDO SUPPOSITIVO  *36. Diciamo espresso in Modo suppositivo, ogni  Giudizio il quale si fonda sopra un'ipotesi o supposizione qualunque; ossia ogni Giudizio, il quale contiene in se stesso una supposizione; come « Siamo pur noi dimenticati: sia pur egli stato vincitore :  partano pur essi domani ec. "  Ogni Giudizio di Modo suppositivo appartiene ad uno dei tre Tempi assoluti, presente, passato o futuro; e nel discorso tali Giudizj sono quasi sempre accompagnati da qualche Voce di suppo-sizione, come pure, anche ec. Le Espressioni di Modo suppositivo sono alla TAvoLA IV."; ove si avverta, che per convenzione quelle di futuro sono uguali a quelle di Tempo presente; ma in pratica non è possibile confondere col presente il Suppositivo futuro. Un Giudizio quando si dice di Modo suppositivo? (136) -  Un Giudizio di Modo suppositivo a quali Tempi appartiene ? (137)  In Modo suppositivo come si conjuga la Voce giudican-te? (138)  DEL MODO CONDIZIONANTE  Diciamo espresso in Modo condizionante, ogni Giudizio esprimente la condizione, alla quale si appoggia un Giudizio condizionato qualunque (124); come «Se fossirobusto, vorrei divertirmi alla caccia ». - Fissiamo quindi, che. un Giudizo condizionante richiama sempre un Giudizio condizionato, e viceversa; giacché in un sensato discorso l'uno non può stare senza l'al-tro, e ciò per l'intrinseca loro essenza e natura. Ogni Giudizio di Modo condizionante appartiene ad uno de' tre Tempi assoluti, presente, passato o fisturo; ed è quasi sempre accompagnato da una Voce di condizione o condizionativa; come se, qualora ec. Le Espressioni di Modo condizionante sono alla TAvOLA VIL'; ove si arverta, che quelle di futuro sono uguali a quelle di presente; e pero che per distinguerle bisogna praticamente far attenzione al sentimento del discorso. Le Espressioni di Modo condizionante contengono sempre nell' intrinseca loro natura un  principio o di dubbio o di desiderio o di supposizione ec. Quindi per esprimere un Giudizio condizionante libero da qualunque principio di sup-posizione, di desiderio, di dubbio ec., ossia un Giudizio che indichi puramente la condizione, si fa uso delle Espressioni assegnate alla Voce di giudizio nel Modo certo-isolato; giacché in tal caso espressa la condizione con apposita Voce condizio-nativa (140), la Voce giudicante deve semplicemente indicare Giudizio e Tempo (120) - Questa osservazione. è della massima importanza, onde darsi ragione di molte espressioni condizionanti; come « Se l'Amico arriva ec. Se avete scritto ec. »  DOMANDE  Un Giudizio quando si dice di Modo condizionante! (13)  Un Giudizio condizionanté può stare nel discorso da solo?  Un Giudizio condizionante a quali tempi appartiene? (440)  Come si conjuga la Voce di giudizio in Modo condizio-  • nante? (141)  Sulle espressioni condizionanti cosa dobbiamo specialmente avyertire? (142)  DEL MODO INCERTO  143. Diciamo espresso in Modo incerto, ogni Giudizio accompagnato da incertezza riguardo all' esistenza di ciò che esprime il Giudizio medesi-mo; come sia, sia stato ec. in « Mi pare, che Pietro sia diligente: Si dice, che Píetro sia stato diligente éc. »    Ogni Giudizio di Modo incerto deve essere preceduto dalla voce che, e da un'altro Giudizio il quale per ora sarà da noi chiamato Giudizio precedente; come sarebbe negli esempi suespres- si (143) mi pare che - si dice che - I Giudizj di Modo incerto sono o isolati o dipendenti o condizionati, come quelli di Modo certo e nelle medesime circostanze, avuto però riguardo all'esposto superiormente (144). Quindi appartengono anche ai Tempi medesimi, tanta assoluti che relativi - Si avverta però che il Tempo passato-anteriore-congiunto è proprio del solo Modo certo-dipendente; e quindi che questa Tempo manca necessariamente al Modo incerto. Al Modo incerto-isolato e solamente in esso abbiamo i già analizati Tempi assoluto-relativi, presente-posteriore (110), passato-posteriore (r11) e futuro-posteriore (112). Il Linguaggio però considerando questi Tempi soltanto come relativi (113) ossia puramente come posteriori, li esprime tutti tre colle Voci medesime, rimettendo all' analisi del sentimento la cognizione del loro Tempo as-spluto. Noi quindi per amore di brevitá chiameremo di Tempo assoluto-posteriore le Espressioni assegnate dal Linguaggio per indicare qualunque di questi tre Tempi assoluto-relativi. Si avverta per-tanto, che in Tempo assoluto-posteriore la Voce assoluto sta in luogo di qualunque delle tre voci presente, passato; futuro, le quali nei diversi incontri potranno anche sostituirsi volendo  Le, Espressioni, della Voce giudicante pel nostro Tempo assoluto-posteriore, in italiano sono eguali a quelle di Tempo passato del Moda condizionato (127). Si avverta però bene di non confondere i Giudizj incerti di Tempo assoluto-poste-riore con i Giudizj condizionati; giacché sono essenzialmente diversi. Le Espressioni di Modo incerto-isolato sono alla TAVoLA VIII' Quelle di Modo incerto-dipen-dente sono alla TAvOLA IX." E quelle di Modo incerto-condizionato sono alla TAvOLA X.* DOMANDE Un Giudizio quando si dice di Modo incerto? (‹43)  Da che dev'essere preceduto ogni Giudizio di Modo incerto ? (144)  I Giudizi di Modo incerto di quante specie sono? (‹45) Cosa intendiamo per Tempo assoluto-posteriore? (‹46)  Come si conjuga la Voce di Giudizio in Modo incerto-isolato ! (148)  La Voce di Giudizio come si conjuga in, Modo incerto-  dipendente ?  La Voce di Giudizio come si conjuga in Modo incerto-  condizionato ?  DEL MODO INTERROGATIVO  ‹49. Diciamo espresso in Modo interrogalivo, ogni Giudizio accompagnato da intérrogazione ossia domanda; come « Che bramate? Dove andarono?' ec.   150: Un Giudizio interrogativo può essere sem-plice, enfatico, o dubitativo. - È semplice, quando semplicemente chiediamo cio ch'è espresso dal Giudizio; come « Che faté? Siate bene? ec." - È enfatico, quando la domanda è accompagnata da enfasi, cioè da un vivo sentimento dell'animo; come « L'indegno dov'è? E vederlo non pos-so? ec. » - Finalmente è dubitativo, quando l'in-terrogazione è accompagnata da un sentimento di agitazione o di dubbio; come « Sarei felice a tal segno?, Sarebbe egli stato ferito? er. »'  15r. I Giudizj interrogativi sono tutti incerti di loro natura, come indica chiaramente l'atto di domandare. Siccome però l'incertezza del Giudizio é abbastanza espressa della Interrogazione, cosi tali Giudizj vengono giustamenté indicati colle  Espressioni di Modo certo; come si vede alla TAVOLA XI' pel Modo interrogativo-isolato, alla TAVOLA XII.ª pel Modo interrogativo-dipendente; alla TAvoLA XIII." pel Modo interrogativo-condi-zionato e alla TAvoLA XIV." pel Modo interro-gativo-dubitativo; avvertendo che il pratico discorsa fa sempre distingiere il futuro dal presente. 152' Si avverta, che gl'Interrogativi semplici ed enfatici si esternano con eguali Espressioni; e per-  ciò, che bisogna distinguerli, in iscritto pel sen-timento, e parlando pel tuono di voce —, Si avverta inoltre, che la Lingua italiana ne' Giudizj interrogativi o sopprime il Nome dell'Oggetto car-dinale, o lo pospone alla Voce di giudizio:  »  Un Giudizio quando si dice di Modo interrogativo? (149) Un Giudizio interrogativo di quante specie può essere? (150) Quando è semplicé, quando enfatico, e quando dubitativo?  La Voce di giudizio come, si conjuga in Modo interroga-tivo-isolato? (151)  La Voce di giudizio come si conjuga in Modo interroga-  tivo-dipendente? •  : La Voce di giudizio come si conjuga in Modo interroga-  tivo-condizionato ?.  La Vore di giudizio come si conjuga in Modo interroga-  tivo-dubitativo ?  Gl' Interrogativi semplici ed enfatici come si distinguono tra loro ? (152)  DEL MODO GENERÍCO  153. Diciamo espresso in Modo generico, ogni Giudizio, il quale è in genere applicabile a qualunque Oggetto cardinale, e puo in genere appartenere a qualunque Tempo assoluto; come « leg-gere, leggendo ec. »; espressioni, che praticamente possono combinare. con io, il, egli, noi, voi, essi, come pure colle voci di Tempo jeri, oggi, domoni ec. Quindi tali Espressioni giustamente sono da noi chiamate generiche, ossia di Modo generico.  x54. Un, Giudizo di Modo generico, stante l'in-trinseca sua natura (‹53), nel pratico discorso non pud trovarsi isolato: Quindi sarà sempre unito ad un altro Giudizio, che gli serva come di base, e che noi perciò chiameremo Giudizio principale ;come periso, volevano ec. in «Penso partire: Volevano leggere ec. ».  #55. Ogni Giudizio di Modo generico deve essere o determinante o sostituito o accompagnante.  DOMANDE  Un Giudizio quando si dice espresso in Modo generico? (153).  Un Giudizio di Modo generico può stare nel discorso da solo? (154)  Cosa intendiamo per Giudizio principale?.  Un Giudizio generico dí quante specie può essere? (155)  MODO GENERICO-DETERMINANTE  ‹56. Un Giudizio di Modo generico dicesi de-terminante, quando effettivamente nel discorso non serve che a deterininare l'Azione espressa dal Giudizio principale (*54): cosi in « Bramo partire » partire è un'espressióne di Modo genérico-deter-minante; giacché determina l'azione di sua natura indeterminata (*9), espressa dal Giudizio  principale bramo:  257. Ogni Giudizio di Modo generico-determi-nante appartiene ad uno dei tre Tempi relativi (98), identico, anteriore, o posteriore; avvertendo che questi Tempi propriamente si riferiscono all'Azione espressa dal Giudizio principalé.,  'I58. Le Espressioni di Modo genorico-determi-nante sono alla TAvOLA XIV. - Si fáccia però attenzione, che quelle di Tempo posteriore, cioe esser per essere ec., sono di quasi nessun uso inbuon gusto italiano; e che quasi sempre si sostituisce loro, un' Espressione futura, precêduta dal che: cosi invece di «Credo esser per essere felice » diciamo « Credo, che sarò felice ec. »  DOMANDE  Un Giudizio generico quando si dice determinante? (156)  Un Giudizio generico-determinante a quali Tempi appartiene ? (157)  Al Modo generico-determinante come si conjuga la Voce di giudizio? (158)  'MODO GENERICO-SOSTITUITO  15g. Chiamiamo sostituite quelle Espressioni, che per eleganza e brevità il Linguaggio usa in luogo di altre - Quindi un Giudizio di Modo generiço si dirà sostituito, ognivolta che regolarmente e direttamente potrebbe essere esternato con altre espressioni; come amando, scrivendo ec. in « Amando lo studia, diverrete stimabili; cioè se amerete lo studio: Scrivendo all'Amico, gli feci menzione di voi; cioè quando scrissi all'Amico ec. »  Al Modo generico la Lingua italiana abbonda di tali Espressioni sostituite. Quindi molto importa il conoscerle analiticamente.  160. Le Espressioni di Modo generico-sostituito possóno nel discorso presentarsi sotto tre aspetti diversi, che saranno da noi chiamati sosticuito-primo, sostituito-secondo, sostituito-terzo - Tale. diversità poi dipende unicamente dall' Oggettocardine del Giudizio sostituito, come passiamo ad esporre.  ‹6i. Un Giudizio di Modo generico-sostituito e da noi detto sostituito-primo, quando il Giudizio principale (154) ed il Giudizio sostituito anno il medesimo Oggetto cardinale; come « Continuando voi a studiare, diverrete sapienti „: ove é chiaro, che il Giudizio sostituito continuando ed il Giudizio principale diverrete, anno ló stesso Oggetto  cardinale voi.  Un Giudizio di Modo generico-sostituito si chiama sostituito-secondo, quando il suo Oggetto cardinale è diverso da quello del Giudizio princi-pale, ma sotto qualche altra situazione trovasi richiamato nell'insieme del Giudizio principale medesimo; come « Perorando Cicerone, tutti lo ammiravano »: ove è chiaro, che Cicerone Oggetto cardinale di perorando, è necessariamente richiamato nell'insieme del Giudizio principale colla voce lo, ossia lui, vale a dire. Cicerone. Un Giudizio di Modo generico-sostituito si chiama sostituito-terzo, quando il suo. Oggetto cardinale, ed é diverso da quello del 'Giudizio principale, e non trovasi richiamato nell'insieme del Giudizio principale medesimo; come « Amando voi lo studio, giubilano i Genitori e la Patria »: ove è chiaro, che voi Oggetto cardinale di aman-do, è diverso da quello del Giudizio principale giubilano, e non é punto richiamato nell'insieme dello stesso Giudizio principale. •164. Ogni Giudizio di Modo generico-sostituito appartiene ad uno dei, tre Tempi relativi, identi-co, anteriore, o posteriore; e ció secondo la natura dell'azione espressa dal Giudizio principale.  165. Le Espressioni per ciascuno dei tre sostituiti sono alle TayoLs XVI.' XVII. XVIII.® -  Onde abilitarsi a distinguere facilmente l'un Sostituito dall'altro, è necessario esercitarsi molto nel fare le debite sostituzioni per tutti i Tempi, Numeri ed Oggetti cardinali, come qui vedesi indi; cato pel Tempo identico del sostituito-primo :  Essendo giovine, studio - cioè - Studio, perché son giovine -  Essendo giovine, io studiava - cioé -- Quando era giovine, io studiava -  Essendo giovine, studiero - cioè — Quando sarò giovine, studieró -  Essendo giovine, studierei - cioé Se fossi giovine, studierei -  ec.  ec..  ec.  ес.  ec,  DOMANDE  Cosa intendiamo: per Espressioni sostituite? (159)  Un Giudizio di Modo generico quando si dice sostituito?  Un Giudizio di Modo generiea-sostituito sotto quanti aspetti può presentarsi nel discorso? (160)  Quando lo chiamiamo Sostituito-primo ? (161)  Quando lo diciamo Sostituito secondo? (162)  Quando Sostituito-terzo? (163)  Un Giudizio di Modo generico-sostituito @ quali Tempi appartiene ? (164)Al Modo generico-sostituito come si conjuga la Voce di giudizio ? (165)  MODO GENERICO-ACCOMPAGNANTE  Un Giudizio di Modo generico dicesi ac-compagnante, quando non fa che puramente accompagnare l' Azione espressa dal Giudizio prin-cipale; come ridendo e cantando in « Pietro parlò ridendo, e l'Amico gli rispose cantando»: ove è chiaro, che l'azione di ridere è soltanto espressa come accompagnante quella di parlare, e l'azione di cantare soltanto come accompagnante quella di rispondere. Ogni Giudizio di Modo generico-accompa-gnante deve per l'intrinseca sua natura aver luogo al tempo stesso dell'Azione espressa dal Giudizio principale. Quindi un Giudizio generico-accompa-gnahte non può appartenere, che al solo Tempo relativo da noi chiamato identico (98). I Gindizj di Qualità (48), i Giudizi passivi (53), e molti Giudizj attivi non possono per intrinseca loto natura essere Giudizj accompa-gnanti. Quindi in questo Modo moltissimi Verbi debbono necessariamente mancare di Espressione, come praticamente ne manca la Voce di Giudizio. s0g. Si fissi intanto per norma generale, che le Voci di Modo generico-accompagnante in italiano anno sempre la desinenza o in ando o in endo, come sospirando, ridendo ec.: E siccome anche i Giudizi di Modo generico-sostitaito anho queste medesime desinenze (x65); cosi avvertasi bene di sempre analizare l'intrinseco nataral valore dell'espressione e del sentimento, onde non confondere un Giudizio generico-sostituito con un Giudizio generico-accompagnante.  DOMANDE  Un Giudizio di Modo generico quando chiamasi accom-  pagnarte? (166)  Un Giudizio' generice-accompagnante a quali Tempi ap-partiene? (167)  Quali giudizi possono essere accompagnanti ? (168).  Le Espressioni di Modo generico-accompagnante qual desinenza anno in italiano ? (169)  EPILOGO DEI MODI  170. Da quanto abbiamo finora esposto in questa seconda Parte risulta, che i nostri Giudizi e quindi le Voci giudicanti e verbali possono nel' discorso presentarsi in otto diversi Modi; cioé in Modo certo, desiderativo, volitivo, suppositivo, condi-  zionante, incerto, interrogativo e generico..  17s. I Modi certo, incerto ed interrogativo possono essere isolati, dipendenti e condizionati; e l'Interrogativa può essere anche dubitativo.  172. Il Modo generico può essere determinante, sostituito o accompagnante; e il. Generico-sosti-quito può essere di primo, di secondo e di terzo ordine, ossia sostituito-primo, sostituito-secondo  e sostituito-terzo.In quanti diversi Modi può presentarsi un Giudizio? (170)  •I Modi certo, incerto ed interrogativo cos' anno di par- ticolare?(175  Che r'ha di particolare nel Modo generico? (172)  AVVERTENZA SULLE TAVOLE  173. Le nostre Tavole contengono soltanto Giu-dizj affermativi; ed è necessario esercitarsi anche nel ben fissare l'idea precisa dei Giudizj negativi.  Tal esercizio é peró facilissimo, bastando agli espressi Giudizi affermativi aggiugnere debitamente la Voce negativa non, la quale in italiano sempre deve precedere la Voce giudicante o verbale.  Nel fare la Conjugazione negativa si faccia attenzione al Tempo presente del Modo volitivo; giacché in ésso la Voce di giudizio per l'Oggetto ascoltante di Numero unale, in italiano deve esprimersi col così detto infinito presente, vale a dire. coll' Espressione dal Linguaggio assegnata pel Tempo identico di Modo generico-determinante; come « Anzi-co, non uvilirti; non piangere; non essere cost mesta ec. » Le nostre Tavole contengono Oggetti cardinali soltanto maschili. Si avverta pertanto di sostituirvi anche Oggetti cardinali femminili; richiamando che io, tu, noi, voi servono ád ambedue i Sessi; che ella ed esse sono i Pronomi pei terzi Oggetti femminili; e che. la Voce giudicante stato, e le Voci verbali ne' Giudizj passivisieguono sempre il Numero ed il •Sesso, dell'Oggetto cardinale (55). Si avverta che il terzo Oggetto nelle Tavole richiamato dal pronome unale egli, s'intende esser sempre diverso dall'Oggetto Amico, che spesso trovasi nel medesimo sentimento o periodo.  176. Il fissare con precisione la forza e l'idea corrispondente a ciascuna Espressione tanto giudicante che verbale, è della massima importanza per lo studio ragionato di Lingua. Quindi si raccomanda un particolare esercizio, primieramente sulle Tavole presentate, e in seguito soprà altri  Verbi molti, tenendo le Tavole medesime per modello relativamente ai Modi, Tempi ec.  Nel conjugare un Verbo qualunque si avverta poi di esprimer sempre un sentimerito completo; essendo altrimenti impossibile afferrare l'idea conveniente a ciascuna Espressione verbale, e questo specialmente ne' Tenipi relativi - Quindi anche nelle Tavole presentate si avverta di ripetere in ciascun Numero e per ogni Oggetto cardinale quella parte di sentimento, che in molti tempi trovasi o sopra  • sotto, indicata una volta sola per amore di bre-vità; come « Quando & Amico parti ec.» TAVOLA II.' DOMANDE  La Voce di Giudizio come si conjuga negativamente? (123) Conjugando negativamente, cosa avviene al Modo volitis  на? (174)  Come si conjuga coll' Oggetto cardinale femminile ? (175)  Nel conjugare i Verbi cosa dobbiamo specialmente avver-tiré? (176)177: ABBrAMo giá fissato (9, 19), che esistono delle Azioni e degli Oggetti indeterminasi, ossia non determinati; e quindi che sono egualmente indeterminate le Voci, che servono ad 'esprimere tali Oggetti ed Azioni. Ora una Voce indeterminata non esprime e non presenta allo spirito, che un'idea puramente generica; come piante, scrive, direte e. in « Le Piante sono verdi: Pietro scrive:  Voi direte ec. »  178. È vero che alle volte stante la natura del discorso, dobbiamo, semplicemente esprimere l'idea generica dell'Oggetto o Azione indeterminata, come uomo e studiare in « L'uomo deve amare l'occupazione: gli scolari debbono studiare »; ma più spesso ci è necessario specificare limitare ossia determinare questa Idea generica, espressa dalle  .Voci indeterminate.  Analiziamo dunque ciò che riguarda tale deter-minazione, prima per gli Oggetti, e poscia per le      Azioni; avvertendo che chiamiamo determinandi gli Oggettivi ed i Verbi esprimenti Azioni ed Oggetti che nel discorso debbono praticamente deter-minarsi.  È qui bene avvertire che gli Oggettivi indeter-minati, quando non sono praticamente determi-nandi, in italiano lasciano, mólte volte l'Articolo.  DOMANDE  Cosa esprime una Voce determinata, qualunque ? (177)  " Questa Idea generica basta ella sempre 'all' intelligenza e precisione del discorso? (198)  Cosa intendiamo per Oggettivi e Verbi determinandi ?  Un Oggettivo indeterminato quandò può lasciare l'Articolo?  DETERMINAZIONE DEGLI OGGETTI  Un Oggetto di sua natura indeterminato, può nel discorso determinarsi col mezzo o d' un altro Oggetto, o d'una Qualità, o d'un Giudizio, Nel discorso avremo dunque e degli Oggettivi e dei Qualitativi e dei Giudizj determinanti-ogget io (a), ognivolta che tali Oggettivi, Qualitativi e Giudizi non servono ad altro che a determinare convenientemente l'idea generica d'un Oggetto indeterminato qualunque. Un Nome oggettivo det-oggetto in italiano (a) Fissiamo, che d'ora innanzi det premesso ad una pas rola qualunque, significa sempre determinante o determi-  nati; come del-oggetio, des-azione ec.è sempre preceduto dalla, voce di. Questa Voce si unisce spesso all'Articolo (r2); ed allora abbiamo del, dello, della, dei, degli, delle, equivalenti rispettivamente a di lo, di la, di li, di le -  Quindi soldati, amico, chiesa, studi, stelle, Pietro ec. sono Oggettivi det-oggetto in « Il valore dei soldati; il libro dell'Amico; la Porta della Chiesa; il corso degli studj; la distanza delle stel-le; il cavallo di Pietro ec. »  181. Un Nome qualitativo det-oggetto nel discorso è sempre immediatamente unito all'Ogget-tivo determinando, di cui siegue pur sempre e Numéro e Sesso - Quindi saggio, afflitto, stu-diosi, nuove ec. sono Qualitativi :det-oggetto in «L'nomo saggio; la Madre afflitta; i, Giovani studiosi; le nuove Fabbriche ec. »  , 182. Un Giudizio det-oggetto in italiano è sempre preceduto dalla voce quale coll'Articolo, cioe da il quale, la quale ec. Quindi quale coll' arci colo non è che puro segno di Giudizio det-og-getto, ossia segno det-oggetto; avvertendo che alla Vóce quale praticamente sogliamo molte volte so: stituire che, cui ec. - Quindi fugge, arrivarono, studierà, parlale; sarticimo ec. sono Giudizi ossia Verbi det-oggetto in « Il cane, il quale o che fug-ge; i soldati, i quali o che arrivaronó; il giovine che studierà; il libro, del quale o di cui parlate; la stanza, dalla quale sortiamo eci »  183. Si ayverta che il quale, la quale ec. ossia il Segno di Giudizio det-oggetto siegue sempre ilNumero ed il Sesso dell'Oggetto determinando; e che inoltre deve essèr posto nella sua conve-  niénte. Sicuazione (196).  DOMANDE  L'idea génerica d'un Oggetto da quante cose può essere dèterminata? (179)  Qual è in italiano il Segno d'un Oggettivo det-oggetto? (180), Qual è il Distintivo d' un Qualitativo det-oggetto? (181)  Cosa dobbiamo osservare sul Qualitativo det-oggetto ?  Qual è il Segno d' un Giudizio o Verbo del-oggetto? (182)  Cos' è propriamente la Voce quale coll' articolo'?  Cosa dobbiamo osservare sul Segno di Giudizio det-og-getto? (183)  AVVERTENZA SUGLI OGGETTIVI INDETERMINATI  I Nomi oggettivi indeterminati, come uà mo, stelle; fiore ec sono in natura applicabili a moltissimi Oggetti particolari, cioè a ciascun Uo-mo, a ciascuna Stella, a ciascun Fiore ec. ; ed ogni Oggettivo indeterminato, preso isolatamente; s'intende esprimere tutti gli Oggetti particolari ai quali è applicabile. Cost dire « Il cane è fedele; l'Uomo è ragionevole ec. » é lo stesso che dire « Tutti i cani sono fedeli; tutti gli Uomini sono ragionevoli ec. » Ora alle volte accade, che nel discorso dobbiamo indicare o un solo o soltanto una porziona degli Oggetti espressi dal Nome oggettivo; essendo però obbligati per tale indicazione a far uso del medesimo Oggettivo indeterminato, In tal caso per indicare, che non intendiamo esprimere l'Oggetto in genere ossia tutti gli Oggetti parziali, al Nome oggettivo, togliamo l'Articolo cioè il Segno di Nomo indeterminato (13); e per indicare la quantità.de-gli Oggetti speciali che esprimiamo, all'Articolo sostituiamo una Voce di numero, cioé uno, qual che, alcuni, molti ec. secondo le circostanze; come « è incontrato alcuni Giovani: un Soldato bat-  teva un cane ec. »  Dopo ciò è facile intendere qual differenza passi tra l'Uomo, gli Uomini ec. ed ur Uomo, qualche Uomo, alcuni Uomini ec. - Le espressioni coll'Articolo, cioè l'Uomo gli Uomini ec. presentano allo spirito tutci gli Uomini; e le espressioni senza Articolo, cioè un omo alcuni Ua-mini ec. presentano soltanto una porzione degli Oggetti contenuti nel Nome generico Uomo. DETERMINAZIONI DELLB AZIONI Un'Azione indeterminata può determinarsi col mezzo, o d'un Oggetto o d'un Giudizio. Quindi nel discorso avremo e degli Oggettivi e dei Giudizi determinanti-azione, ognivolta che tali Oggettivi e Giudizj non servono ad altro che a limitare ossia a determinare convenientemente l'Idea generica d'un' Azione indeterminata qualunque. L'Oggettivo det-azione in italiano si esprime perfettamente come il Nome Oggettivo cardinale (197); vale a dire, se indeterminato, é preceduto dall'Articolo; e se determinato, non epreceduto da alcun segno: Così soldati, libro, fiori, Pietro ec. sono Oggettivi det-azione in « Il Capitano ammoni i soldati; datemi il libro; ho ricevuto i fiori; mandate Pietro alla caccia ec. »; e sono Oggettivi cardinali in « I soldati combattono; il. libro non si trovò; i fiori appassiranno; Pietro é già partito ec. ». Quindi per conoscere se l'Ogget-tivo praticamente è det-azione oppure cardinale, bisogna far attenzione al sentimento. ¡Si avverta che le poche voci me, te, se, lui, lei, loro sono esclusivamente det-azione, e sas:  possono mai essere Cardini di giudizio.  18g. In italiano generalmente l'Oggettivo cardinale precede il Verbo, e l'Oggettivo det-azione lo siegue; come può vedersi negli esempj surrife-riti (188) - L'Oggettivo det-azione però molte volte si esprime con un Pronome, e ciò propriamente quando l'Oggettivo fu espresso immediatamente prima; e molte volte si esprime con un Nome generico sostituito, come mi, ti, vi ec., e ció propriamente negli Oggetti parlante ed ascoltante.  Ora in questi due casi onde collocare convenientemente il Nome generico o il: Pronome, bisogna fare attenzione al Verbo da essi determinato.  • 1.° Se il; Verbo è di Modo generico (153) oppure di Modo volicivo (131) ma non al terzo Og-getto, il Nome generico o Pronome si pospone. al Verbo medesimo, formandone una sula Parola, comé « vedermi, chiamarla, speditela ec. »  IL Se il Verbo non e né di Modo generico nédi Modo volitivo come sopra (I), allora il Nome generico o Pronome si antepone al Verbo mede-simo; e la Voce verbale quando sia accompagnata dall'ausiliario avere, siegue sempre il Numero ed il Sesso del Nome generico o Pronome det-azione; come « Egli mi vidde; il Padre lo chiamerà; li avrò incontrati; le avrò incontrate ec. »  . 1go. Un Giudizio det-azione o é espresso in Modo generico-determinante (156), o è preceduto dalla Voce che; Voce la quale perciò da noi giustamente sarà chiamata Segno di Giudizio det-azio-ne, o più brevemente Segno det-azione. Quindi partire, arrivano, scriviate ec, suno Giudizi ossia Verbi det-azione in « Voglio partire; vedo che arrivano; bramano che scriviate ec. »  Siccome è di multa importanza il conoscere, quando un Giudizio o Verbo det-azione debbasi esprimere al Modo generico, e quando debba farsi precedere dal Segno che; come pure essendo preceduto dal che, quando si debba esprimere in Modo certo, e quando in Modo incerto, cosi passiamo a parlarne separatamente.  191. Si avverta, che il Giudizio det azione fulura può indicarsi con espressione di Tempo presente, ognivolta che la sua futurità è bastantemente espressa o dal Verbo determinando o dalla natura stessa dell'Azione determinante; come « Spero che ar-rivino, cioè che arriveranno: Temo di partire fra poco, cioè temo di dover partire, ossia che partirò fra poco eç. »L'Idea generica d'un'Azione da quante cose può venire determinata? (187)  Qual è il distintivo dell'Oggettivo det-azione? (188)  L'Oggettivo det-azione come si distingue dall' Oggettivo cardinale? (18g)  L'Oggettivo det-azione in quali easi può precedere il Verbo?  Cosa dobbiamo avvertire rapporto alla Voce verbale ?  Qual è il distintivo d'un Giudizio detrazione? (190)  Come denominiamo la Voce che ?  Un Giudizio det-azione futuro quando può esprimersi col presente? (191)  GIUDIZIO DET-AZIONE AL MODO GENERICO.  190. Le espressioni di Modo generico (153) non si riferiscono ad alcun Oggetto cardinale in ispe-cie, óssia per loro intrinseca natura sono applicabili a qualunque Oggetto cardinale - Dunque un, Giudizio der-azione si esprimerà in Modo ge-nerico, ognivolta che senza alterare o rendere oscuro il sentimento può non essere accompagnato dal suo Oggetto cardinale; il che à luogo nei tre  casi seguenti.  L.° Quando il Giudizio det-azione accenna l'Ae zione in generale, senza punto occuparsi dell'Oggetto che la eseguisce; come cantare, piangere éc: in « Sento cantare; sentii piangere ec: »  II.° Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio det-azione è quello stesso del Verdo determinando; come in « Voglio partire; voi credete essere dili-genti; essi pensavano tornare ec. »    III. Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio det-azione fu prima espresso chiaramente, e in modo che nel discorso non può nascere alcuna oscurità o confusione; comé «Vi o veduto giuo-care; li sento ridere ec. »  DOMANDI  Un Giudizio det-azione quando si esprime in Modo gene-rico? (192)  Un Giudizio det-azione in quali casi può starsene senza il suo Oggetto cardinale?  GIUDIZIO DET-AZIONE PRECEDUTO DAL CHE  Un Giudizio det-azione deve essere preceduto dal che, ognivolta che non può essere espresso in modo generico; vale- a dire, ognivolta che non trovasi in alcuno dei tre casi sovraesposti (192) — Quindi avremo « Sento, che i Soldati cantano ; credo, che l'Amico sia felice; viddi, che scrivevate ec. » Si richiami (‹58), che il buon gusto italiano al Modo generico non usa quasi mai le espressioni del Tempo relativo, da noi chiamato posteriore; e quindi che in tal caso il Giudizio det-azione deve esprimersi col che; come « Credo che partirò; dicono che torneranno ec. » invece • di Credo di essere per partire; dicono di essere per tornare ec. »Un Giudizio det-azione quando deve essere preceduto dal che? (*93)  Un Giudizio di Modo generico quando può esprimersi. col che ? (194)  GIUDIZIO DET-AZIONE AL MODO  O CERTO O INCERTO  195. Il Giudizio det-azione prèceduto dal che, sempre deve esprimersi in Modo o certo o in certo - Per conoscere poi quando esprimersi debba in Modo certo e quando in Modo incerto, bisogna osservare l'intrinseca natura del Verbo determinando (178).  I.° Il Giudizio det-azione preceduta dal che, si esprime in Modo certo (ix4), quando il Verba determinando contiene in se la certezza di ciò che esprime il Giudizio det-azione medesimo; come « Vidi, che i Giovani fuggivano; so, che siete diligenti; son certo, che avete studiato ec. »  II.° Il Giudizio det-azione preceduto dal che si esprime in Modo incerto (143), quando il Verbo determinando contiene in se l'incertezza di cia che esprime il medèsimo Giudizio det-azione ; come « Mi pare, che fuggano; teme, che arrivino ec. n  Si avverta, che tale incertezza esiste, naturalmente r. ognivolta che il Verbo determinando è negativo; come. « Non vidi, che scrivessero;ignoro ossia non so, che siete diligenti ec.» a.° ogni-volta che il Giudizio det-azione esprime una cosa futura riguardo all'espressione del Verbo deter-minando; come « Voglio, che scriviate; il Prim-cipe ordinò, che partissero ec. »  DOMANDE  Un Giudizio det-azione preceduto dal che, in qual Modo si esprime? (195)  Quando si esprime in Modo certo?  Quando si esprime in Modo incerto?196. Uso stesso. Oggetto può in diversi incontri presentarsi in Situazioni diverse, ossia sotto diversi aspetti rapporto alla nostra maniera di considerarlo.  Dunque indicando nel discorso un Oggetto, dobbiamo precisarne sempre la vera Situazione. È dunque necessario conoscere le varie Situazioni, nelle quali può trovarsi un Oggetto; come pure è necessario conoscere il Segno caratteristico, che la Lingua italiana à fissato per ciascuna di esse — Passiamo dunque a farne dettagliata esposizione; e fissiamo al tempo stesso una Voce, che unita alla parola Oggettivo, esprima possibilmente la  Situazione medesima.  OGGETTIVO CARDINALE  197. Chiamiamo cardinale, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto cardine di Giudizio (9); come io, voi, Pietro, Scuola ec. in i Io partiró; voi non avete scritto; Pietro dorme; la scuola è l  nita ec. »  Il Segno caratteristico dell'Oggettivo cardinale consiste, pei Nomi indeterminati nell'Articolo (12), e pei Nomi determinati nel non avere alcun segno. OGGETTIVO NOMINANTE Chiamiamo nominante, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto che nel discorso deve puramente essere nominato; come Pietro, danaro, città ec. in « Tizio è più saggio di Pietro; senza danaro non potrai far nulla; i soldati passarono per la citta ec. » L'Oggettivo nominante à generalmente il Segno caratteristico dell'Oggettivo cardinale (198). OGGETTIVO CHIAMANTE Diciamo chiamante, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto, il quale è da noi effettivamente chiamato perché ci presti attenzione; come Pic-tro, Amico, Signore ec. in «Pierro, datemi quel libro: Amico, dove; andate ? Signore, assistele mi! ес. »  202. Il Segno caratteristico dell' Oggettivo chiamante é il non averne alcuno; benché comunemente si creda essere la voce o. Questa Voce a mio credere si potrebbe usare tutto al più col nome generico dell'Oggetto ascoltante, cioè o tu, o voi - Si avverta però di non confondere la voce, o con oh particella enfatica, la quale suole spesso accompagnare ossia precedere gli Oggettivi chiaman-  Un Oggeito che viene da noi, chiamata, deve di sua natura essere Oggetto ascoltante - Si fissi quindi, che non può chiamarsi né l'Oggetto parlante, nè un terzo Oggetto qualunque. OGGETTIVO DET-AZIONE Chiamiamo det-azione ossia determinante-azione, ogni Oggettivo esprimente un "Oggetto il quale serve a determinare un' Azione (187) ; come Soldato, Amici, montagne ec. in « Vidi' un Soldato; salutate gli Amici; osserviamo prima le montagne ec. » L'Oggettivo det azione à sempte il Segno caratteristico dell'Oggettivo cardinale (198) - Quin-di, richiamando che gli Oggettivi nominante e chiamante sono anch'essi molte volte uguali al-l'Oggettivo cardinale, si vedrà quanto sia pieces-sario allo studio ragionato di Lingua, far sempre grande attenzione al sentimento ed all' intrinseca matura del pratico discorso. DOMANDE Cosa intendete per Situaziöne d' un Oggetto (rg6)?  Un Nome oggettivo quando chiamasi cardinale (197)?.  Qual è il Segno dell'Oggettivo cardinale? (198) Un Nome oggettivo quando si dice nominante? (199) Qual è il Segno dell'Oggettivo nominante? (200) Un Nome oggettivo quando si dice chiamante? (201)  Qual è il Segno dell' Oggettivo chiamante? (202)  Quali Oggetti possono chiamarsi? (303)  Un Nome oggettivo quando si dice del-azione ? (204)  Qual è il Segno dell'Oggettivo det-azione?  206. Chiamiamo cominciante, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto nel quale comincia an'A-zione o un Moto qualunque; come Roma, sto rie, campagna ec. in « Mi allontanai da Roma ; è narrato dalle storie; tornarono dalla campagna ec. »  207. Il Segno caratteristico dell'Oggettivo cominciante è la Voce da - Questa Voce trovandosi avanti l'Articolo, si unisce ad esso in una sola parola; ed allora abbiamo le voci composte dal dallo dalla, dai dagli dalle, equivalepti rispettivamente a do lo, do la, da li, da le.  OGGETTIVO TERMINANTE  • 208. Chiamiamo terminante, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto nel quale va a terminare un Moto o un'Azione qualunque col mezzo di moto; come Campagna, Amico, Casa ec. in « Andiamo alla Campagna; mandate questo libro all'Amico; verrò a Casa vostra ec. "  /  209. Il Segno caratteristico dell'Oggettivo ter-minante, è la Voce a - Questa Voce trovandosi avanti l'Articolo, si unisue ad esso; ed allora abbiamo le Voci composte al allo alla, ai agli alle, equivalenti rispettivamente ad a lo, a la, ali, a le.  Se la parola seguente il Segno a, comincia per vocale e non debba essere preceduta dall'Articolo,  /  in luogo di a usiamo ad; come « Scrissi ad An-tonio; ad entrambi ec. »Si avverta, che l'Oggettivo ferminante suol es sere anche preceduto da altre Voci, come in, da eç., le quali però debbono considerarsi come sostiluito al Segno caratteristico a. Cosi invece di « Andiamo alla Campagna; verrò a Casa vostra ec. » sogliamo dire « Andiamo in campagna; verró da voi ec. » = Quindi bisogna far bene attenzione alla natura del discorso.  OGGETTIVO RICEVENTE  aro. Chiamiamo ricevente, ogni Oggettiro espri mente un Oggetto il quale o effettivamente ricere, o per lo meno da roi si considera puramente nella situazione di ricevere qualche cosa; come Corrie-re, Amico, Figli ec. in « Consegnerete queste lettere al corriere; ha dato il vostro libro all'Ami-co; il Padre disse ai Figli ec. »  L'Oggettivo ricevente à sempre il Segno che abbiamo fissato per l'Oggettivo terminante (209), cioè la Voce a - Quindi si avverta di non con-fondere, stante l' uguaglianza di Segno, l'Oggettivo ricevente col terminante; e perciò praticamente si ponderi sempre bene la natura dell'Azione e l'in- trinseco valore del sentimento. OGGETTIVO CONTENENTE Chiamiamo contenente, ogni Oggettivo espri mente un Oggetto che nel discorso si consideracontenente in effetto o per lo meno capace di contenere qualche cosa; come Roma, Principe, libro ec. in « Pietro è in Roma; sperate, ossia ponete la vostra fiducia nel Principe; trovai nel vostro libro una frase ec, » 253. Il Segno caratteristico dell'Oggettivo contenente è la Voce in - Questa Voce trovandosi avanti l'Articolo, si unisce ad essa; ed allora abbiamo le Voci composte nel nello nella, nei negli nello, equivalenti ad in lo, in la, in li, in le.  Si avverta, che in luogo del segno in alle volte sostituiamo la voce a; come « l'Amico trovasi alla campagna, a Milano ec. » Quindi bisogna fare la debita attenzione al pratico discorso.  DOMANDE  Un nome oggettivo quando chiamasi cominciante? (206)  Qual è il Segno dell' Oggettivo cominciante? (207) Un Nome oggettivo quando si dice terminante? (208) Qual è il Segno dell'Oggettivo terminante? (209) Un Nome oggettivo quando si dice ricevente? (210)  Qual è il Segrio dell' Oggettivo ricevente? (211) Un Nome oggettivo quando chiamasi contenente? (212)  Qual è il Segno dell'Oggettivo contenente? (213)  OGGETTITO CONTENUTO  214. Chiamiamo contenuto, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto il quale realmente si considera contenuto ossia esistente in un altro Oggetto qua-lunque; come ingegno, ricchezze, onori, liquore ec. in « l'Amico è dotato d' ingegno; il Principecolma di ricchezze e di onori; questa bottiglia è piena del liquore mandatomi ec. "  Il Segno caratteristico dell'Oggettivo contenuto è la Voce di - Questa Voce trovandosi avanti l'Articolo, si unisce ad esso; ed abbiamo le Voci composte del dello della, dei degli delle, equivalenti a di lo, di la, di li, di le. OGGETTIVO DET-OGGETTO Chiamiamo det-oggetto ossia determinante-oggetto; ogni Oggettivo esprimente un Oggetto che serve a determinarne un altro (‹79); come Pietro, piante, Sempione ec. in « Il cavallo di Pietro; l'ordine delle piante; la strada del Sempione ec. » 317. Il. Segno caratteristico dell'Oggettivó de-oggetto è la Voce di, come per l'Oggettivo contenuto (215). OGGETTIVO RELATIVATO  228. Chiamiamo relativato, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto relativamente a cui, ossia riguardo a cui si pronuncia un dato Giudizio; come Pietro, noi, negligenza, me, guerra, metodo ec. in « Che si dice di Pietro? Che sarà di noi! Vi accusano di negligenza: disponete di me: parlano di guerra: discorriamo del metodo ec. »  erg. Il Segno caratteristico dell'Oggettivo rela-  tivato è la Voce di, come per l'Oggettivo conten  Diciamo indefinita, ogni Oggettivo il qua-le, se di Numero unate esprime una parte inde finita dell'Oggetto, e se di Numero plurale esprime un numero indefinito degli Oggetti che rappre-senta; comé carta, pane, randini, canárini ec. in « Datemi della Carta e del Pane; ho visto delle Rondini e de' Canarini ec. » Il Segno caratteristico dell'Oggettivo indefinito é la Voce di, come per l'Oggettivo contenuto (215). Quindi la Voce di servendo praticamente ad esprimére quattro diverse Situazioni (215, 17, 19, 31), si faccia sempre moltissima attenzione al sentimento del discorso; e si sappia in ogni circostanza ben distinguere fra loro gli Oggettivi contenuto, det-  oggetto, relativaio, e indefinito.  DOMANDE  Un Nome oggettivo quando chiamasi contenuto? (214)  Qual è il Segno dell'Oggettivo contenuto? (215) Un Nome oggettivo quando si dice dei-oggero? (216)  Qual è il Segno dell'Oggettivo det-oggetto ! (217)  Un Nome oggettivo quando chiamasi relativato? (218)  Qual è il Segno dell'Oggettivo relativato? (219)  Un nome oggettivo quando si chiama indefinito? (220)  Qual è il Segno dell'Oggettivo indefinito? (221)  222. Abbiamo più volte rimarcato, che uno stesso  Segno serve praticamente ad accennare più Situa-zioni. Quindi si fissi, che in Lingua italiana la Situazione precisa dell'Oggetto non sempre può rilevarsi dal Segno, e che bisogna perció ricorrere all analisi del sentimento.  Il sapere bene e con facilità rilevare la vera Situazione degli Oggetti che ci si offrono nel discor-so, è cosa della massima importanza, specialmente per passare dalla propria allo studio di altre Lin-gue. Quindi se ne inculca il conveniente esercizio.  Nel fissare le varie Situazioni degli Oggetti abbiamo sempre supposto, che i Giudizj fossero praticamente affermativi. Si avverta però, che relativamente al discorso la Situazione dell'Oggetto non cangia, quand' anche il Giudizio fosse negativo; giacché la forza negativa del Giudizio non pus punto influire, nè sulla natura dell'Oggetto, né sulla nostra maniera di considerarlo. Quindi aven-dosi affermativamente « l'Amico è dotato d'Inge-gno; vado a Roma; tornarono da Vienna; è in Casa ec. » gli Oggetti Ingegno, Roma, Vienna, Casa ec. conservano la medesima Situazione anche nei Giudizi negativi « l'Amico non é dotato, oppure l'Amico é mancante d' Ingegno; non vado a Roma; non tornarono da Vienna; non è in Casa ec. — Lo stesso dicasi rispettivamente di tutte le altre Situazioni.  228. ABBIAMo gia detto (69), che Pronome significa Voce usata invece di un Nore; ed abbiamo pure fissato i Pronomi di terzo Oggetto, tanto cardinale che posto in altre Situazioni (68, 69, 70).  Passiamo ora ad esporre ciò che riguarda altri Pronomi molto essenziali e frequenti nel discorso.  PRONOMI DET-OGGETTO  224. Chiamiamo det-oggetto cioè determinanti-oggetto quei Pronomi, che usiamo in luogo d'un  Oggettivo det-oggetto (216).  225. I Pronomi det-oggetto sono qui esposti di seguito per ciascun Numero e Sesso, e cón in fine il loro preciso valore.  UNALE  PLURALE  MASCHILE  FEMMINILE  MASCHILE FEMMINILE  Y ALORE  mio.  mia  miei .  ¿. mie  di mie  tuo .  • tui .  tuoi  tue  di te  SUO  • sua  di lui  suoi  sue  -    di lei  nostro  • nostra'    vostro :  • vostra  -  nostri  nostre  vostri.  • vostre  =  di noi  di voi  loro  • loro  di essi  loro:  lora    di esse  226. In questi Pronomi dobbiamo sempre distinguere l'Oggetto ch' essi richiamano, e l'Oggetto che determinano.  I.° Rapporto all'Oggetto richiamato, ciascuno dei primi tre Pronomi ne richiama sempre un solo, e ciascuno dei tré ultimi richiama sempre più  Oggetti. .  Si avverta, che suo e loro anno doppio signi-ficato, e che praticamente il vero significato, di questi due Pronomi è sempre stabilito dal Sesso dell'Oggetto richiamato.  •T° Rapporto all' Oggetto che determinano, questi Pronomi debbono sempre seguirlo e nel Numero e nel Sesso. Quindi avremo « il mio li-bro; la vostra casa; i miei libri; le vostre case ec. »  DOMANDE  Che vuol dire Prononte ? (225)  Quali si chiamano Pronomi del-oggetto? (224)  Sapreste indicarli per ogni Numero e Sesso?Qual è il preciso valore di ciascuno di essi ?  Cosa dobbiamo in essi avvertire, riguardo all'Oggetto che richiamano? (I.°)  Cosa, riguardo all'Oggetto che determinano?; (II.°)  PRONOMI IND-OGGETTO  Chiamiamo indicanti oggetto o più brevemente ind-oggetto, quei Pronomi che usiamo puramente per indicare un Oggetto complessivo; vale a dire, un Oggetto che altrimenti converrebbe esprimere, con più parole. Ecco di seguito i Pronomi ind-oggetto per ciascun Numero e Sesso. UNALE PLURALE  220. Questo indica Oggetto vicino a chi parla :  Codesto indica Oggetto vicino a chi ascolta: Quello indica Oggetto, che si considera lontano e da chi ascolta e da chi parla - Questi tre Pronomi sie-guono sempre il Numero ed il Sesso dell'Oggetto da essi indicato.  Ciò serve ad ambedue i Numeri e Sessi, e indica un Oggetto complessivo qualunque in ge-nere: come « Cio va bene; Ciò che viddi ec.Da ciò comprendete ec. » — Invece del Pronome ciò molte volte per altro usiamo questo o quello : come « Questo va bene; Quel che viddi ec. Da questo comprendete ec. »  230. Si avverta che invece di quest' Uomo, codest Tomo; e quell omo, quando tali espressioni sono Oggettivi cardinali (197), là Lingua italiana usa rispettivamente questi, codesti, e quegli: come « Questi è mio Fratello; Quegli é un gran Filosofo ec. »  23r. Si avverta inoltre che, sebbene di pochis-simo uso, abbiamo anche le espressioni ossia i Pronomi ind-oggetto costui, codestui, colui - costei, codesta, colei - costoro, codestoro, coloro; e che ciascuna di tali espressioni equivale ad uno dei primi tre da noi già fissati Pronomi (228), rispettivamente congiunti con una delle seguenti Voci Uomo, Donna, Uomini, Donne - Quindi, Costui vuol dire quest' Uomo; Colei vuol dire quella Donno ec.  DOMANDE  Che significa la Parola composta ind-oggello? (227)  Quali diconsi Pronomi ind-oggetto?  Cosa intendete per Oggetto complessivo?  Esponete i varj Pronomi ind-oggetto per ciascun Numero  e Sesso. (228)  Qual differenza passa tra questi vari Pronomi? (229) Al Numero unale quando si usa questi, codesti, e quegli? (230)  Non vi sono altri Pronomi ind-oggetto? (23г)232. Chiamiario penericicardinali quei Pronoti,  i quali si usano soltanto come Cardini di giudizio, ed esprimono in genere un terz Oggetto che precisamente non sappiamo e non possiamo nominare.  In italiano questi Pronomi sono due, egli e si; e per intrinseca loro natura sono sempre di Numero unale. Il primo, cioè egli, esprime che il Cardine di giudizio è un terzo Oggetto da noi non cono-sciuto; come « egli piove; egli tuonava; egli balend ec. ». Questo Pronome in italiano non si usa, ossia è sempre sottinteso; giacché diciamo semplicemente « piove, tuonata, balend ec. " Si avverta di non confondere egli Pronome ge nerico-cardinale con egli Pronome maschile di terzo Oggetto (69); giacché sono essenzialmente diversi  235. Il secondo, civè si, esprime un Numero indefinito di terzi Oggetti animati ed attivi; come « si crede, si pretendeva, si vorrebbe ec. » cioe  " taluno crede, pretendeva, vorrebbe » oppure « alcuni credono; pretendevano, vorrebbero ec. »  AVVERTENZA SUL SI SEGNO-PASSIVO  236. La Lingua italiana molte volte esprime i  Giudizj passivi di terzo Oggetto colle voci destinate pei Giudizj attivi, unendo semplicemente allaVoce di Giudizio o al Verbo la particella si; come « I soldati si vedono in distanza; si ode il fragore delle armi; si desiderano le ricchezze; si ama l'ozio ec. » — Dunque la voce o particella si in questo caso giustamente sarà da noi chiamata segno-passivo, vale a dire segno di Giudizio passivo (53).  , Fissiamo dunque, che la Lingua italiana per rendere passivo un Giudizio attivo di terzo 0g-getto; molte volte gli aggiunge semplicemente la Voce o segno si, Voce affatto diversa da si Pronome generico cardinale (235).  DOMANDE  Quali diciamo Pronomi generici-cardinali? (237)  In italiano quali sono i Pronomi generici cardinali? (235) Qual è il valore del Pronome generico cardinale egli? (23.4) Qual è il valore del Pronome generico-cardihale si? (235)  La voce si è sempre Pronome ! (256)  Questa voce quando è puramente Segno-passivo?  PRONOMI GENERICI-NON-CARDINALI  Chiamiamo generici-non-cardinali quei Pro-nomi, che mai sono Cardini di giudizio, e che servono in genere a richiamare qualunque Oggetto, il quale si trovi in una data Situazione. In italiano questi Pronomi sono due, ne, e vi oppure ci; e servono a qualunque Numero e Sesso. Il primo, cioè ne, richiama sempre o un Oggettivo relativato (218) o un Oggettivo cominciante (206) - Richiama un Oggettivo relativatoin « Vedeste l'Amico? Che ne dite? Parlatene bene ec. » cioè « Che dite' di lui? Parlate bené di lui ec. " - Richiamá un Oggettivo cominciante in « l'Amico va al fiume, ed io ne vengo' vale a dire « ed io vengo da esso ec. » 240. Il secondo, cioè vi oppure ci, richiama sempre o un Oggettivo terminante (208) 0 un 0g-gettivo contenente (212) - Richiama un Oggettivo terminante in « Andate in campagna? Forse vi andrò ec., cioè andrò ad. essa »- Richiama un Oggettivo contenente in « é in casa l'Amico? Non ci deve essere; non vi sarà certamente ec. » vale a dire « non deve essere in essa; non sarà in essa certamente ec. »'  DOMANDE  Quali diciamo Pronomi generici-non-cardinali? (237)  In italiano quali sono i Pronomi generici-non-cardinali? (258)  Qual è il valore del Pronome ne?. (23g)  Qual è il valore del Pronome generico-non cardinale vi o ci? (240)  PRONOME RIFLESSO  241. In un medesimo sentimento ossia in un Periodo di significante discorso, l'Oggetto che é Cardine di giudizio, alle volte può e suole presentarsi in qualche altra Situazione. In tal caso esprimendosi il Nome dell'Oggetto come Cardine di giudizio, la Lingua per indicare qualunque altra di lui Situazione invece di ripetere il Nome oggettivo usa una piccola Voce, porendola nellaSituazione conveniente. Ora questa Voce é ciò, che noi chiamiamo Pronome rilesso; giacché dessa riflette ossia rimanda la nostra attenzione verso l'Oggetto, che in quel Periodo é Cardine di giu-dizio.  242. I Pronomi riflessi in italiano sono mo, te, se, noi, voi, oppure le voci loro sostituite mi, ti, si, ci, vi; come si vede negli esempj seguenti:  io parlo di me  tu parli di te  egli parla di se ella parla di se  noi parliamo di noi  • voi parlate di voi essi parlano di se esse parlano di se  io comincio da me tu cominci da te  egli comincia da se ella comincia da se  noi cominciamo da noi voi cominciate da voi essi cominciano da se esse cominciano da se  343. Si fissi dunque, che il Pronome riflesso,  s.° per tutti i terzi Oggetti di qualunque Numero e Sesso è sempre la voce se; 2.° per l'Oggetto parlante sono le voci me all'unale, noi al plurale;3. per l'Oggetto ascoltante sono le voci te al-  l'unale, ed al plurale voi.  Per energia di espressione sogliamo spesso ai  Pronomi riflessi aggiugnere la voce stesso o medesimo (7), ponendola al conveniente Numero e Sesso; come i lo incolpo me stesso; ella incolpava se stessa; incolpate voi stessi ec. »  • 244. Le voci me, te, noi, voi, o le sostituite loro equivalenti mi, ti, ci, vi, sono anche Nomi generici degli Oggetti parlante e ascoltante (68, 70).  Inoltre le voci vi e ci sono anche Pronomi gene-rici-non-cardinali (238) - Parimenti la voce si , sostituita al Pronome riflesso se, è alle volte Pronome generico-cardinale (233), ed alle volte segno  passivo (236).  In diverse circostanze una stessa Voce potendo esprimere Idee affatto diverse, è dunque della massima entità l' esercitarsi a leggere analiticamente; vale a dire, l'esaminare in ogni incontro il valore e la natura d' una data Voce qualunque.  DOMANDE  Cosa intendete per Pronome riflesso? (241)  Qual è il Pronome riflesso per l'Oggetto parlante? (243)  Quale per l'Oggetto ascoltante?  Quale per un terza Oggetto qualunque?  Conjugate. qualche Verbo col Pronome riflesso. (242)  AVVERTENZA SUI PRONOMI  245. Oltre gli analizati finora esistono nel Linguaggio altri Pronomi, come ognuno, caluno,ciascuno, chiunque ec., che giustamente potrebbero chiamarsi Pronomi generici - Tralascio però di qui esporli; giacché é troppo facile conoscerli col semplice esercizio di riflessiva analitica Lettura.  AVVERTENZA SULLE VOCI SOSTITUITE  246. Le Voci ed Espressioni sostituite, cioè poste in luogo di altre, nel discorso sono moltissime, ed è necessario saperle riportare alla primitiva loro indole è natura. Ciò è per altro assai facile, quando si faccia la debita attenzione al sentimento  Quindi per amore di brevità credo potermi dispensare dal qui farne qualunque enumerazione.      247. Le Cose da noi esposte finora riguardano singolarmente la Parte filosofica del Linguaggio.  Quindi sono applicabili a tutte le Lingue, come-da noi furono applicate alla Lingua italiana - Conoscendo la propria Lingua filosoficamente, in fondo possiamo dunque dire di conoscere tutte le altre Lingue esistenti e possibili; e non dobbiamo per ciò che applicarci allo studio della Gramma-cica di ciascuna. Importa dunque molto il sapere, in che deve consistere tale Grammatica.  248. Lo scopo della Grammatica e d'insegnare, come in un dato Linguaggio dubbiamo esprimerci scrivendo o parlando (6, 7). Ora per parlare o scrivere convenientemente una data Lingua qua-lunque, bisogna conoscere i suoni e segni dalla convenzione attaccati a ciascuna Idea, e inoltre l'ordine con cui debbono presentarsi ossia succedersi le idee e quindi i segni e suoni ad essecorrispondenti. Ma tali cose 'dipendono esclusivamente dall'Abitudine, e per esse non può as segnarsi Regola alcuna. Infatti gli uomini abbisognano forse di Regole per ben apprendere la propria Lingua nazionale? Ma le scritte Regole grammaticali non son esse posteriori all' esistenza delle Lingue? - Dunque la vera Grammatica d'una Lingua qualunque propriamente non è altro che l'Uso, ossia l'Esercizio nella Lingua me-desima.  Vi sono però in ogni Lingua alcune par-ticolarità, che ridotte a Regole generali sono uti-lissime, e servono mirabilmente a facilitare l'intelligenza perfetta della Lingua che si studia. La Grammatico seritta di qualunque Lingua non deve dunque contenere che queste Regole gene-Tali. Esse sono essenzialmente pochissime, perché debbono essere le sule utili essenzialmente; e si faccia bene attenzione, che tali Regole non debbono studiarsi, se non quando gia s'intende la Lingua medesima per cui sono scritte. Io mi era proposto di stendere col mio Pia-no, ad uso degl' Italiani, le Regole per le Lingue italiaria; latina, francese, inglese e tedesca. 'Alcune spiacevoli combinazioni però me lo anno impedito, almeno per ora. Quindi mi limito a qui brevemente indicare, cosa secondo il mio sistema dovrebbe essenzialmente contenere una Grammatica scritta qualunque.I.° Fissare, quanti Sessi la Lingua N. considera, nei Nomi oggettivi.  II.® Esporre, ciò che in ambedue i Numeri serve a distinguere i varj Sessi fra lora  III.® Esporre le varie Desinenze, che un Nome può avere al Numero tanto unale che plurale:  IV.® Stabilire, se nel discorso possa praticamente tacersi qualcuna delle tre Parti di giudizio.  V.° Esporre le Voci di Numero e d'Ordine, come pure le Voci multiple, aliquote. ec.  VI.° Stabilire, qual desinenza prenda l'Attributo ne' Giudizj neutri e passivi.  VII. Stabilire, qual desinenza prenda la Voce verbale ne' Giudizj attivi.  VIII.® Fissare, come si formi l' Espressione femminile nei Nomi qualitativi e di Azione.  IX.° Fissare, come si formi l'Espressione plurale in qualunque Nome.  X.° Stabilire il Nome generico degli Oggetti parlante e ascoltante, tanto quando sono Cardini di giudizio, come se trovansi in altre Situazioni.  XI.° Stabilire il Pronome generico pei terzi Og-getti, tanto cardinali come posti in altre Situazioni.  XII.® Esporre la legge di convenienza rapporto al Nome d' un solo Oggetto ascoltante.  •XIII.® Esporre il modo di esprimere il massimo  Aumento nelle cose.  XIV.® Esporre il Modo di esprimere qualunque  Confronto.XV.° Esporre per ciascun Tempo di ciascun  Modo la Conjugazione della Voce giudicante, dei Verbi ausiliarj, e dei Verbi considerati Modelli di Conjugazione.  XVI.® Fissare, come debba esprimersi un Og gettivo, un Qualitativo ed un Giudizio che sia det-oggetto.  XVII® Fissare, come debba esprimersi un Og gettivo ed un Giudizio che sia det-azione.  XVIII.® Esporre, come nei Nomi Oggettivi debba esprimersi ciascuna delle varie Situazioni.  XIX.® Fissare i Pronomi det-oggetto.  XX.° Fissare i Pronomi ind-oggetto.  XXI.° Fissare i Pronomi generici-cardinali.  XXII.® Fissare i Pronomi generici-non cardinali.  XXIII® Fissare i Pronomi riflessi, e la Voce  d' energia.  XXIV. Con degli esempj esporre le più frequenti Voci sostituite, riguardanti singolarmente i Pronomi e qualche altra essenziale Parte di di-scorso.TEMPo  TEMPO  TENPO  TEMPO  (TAVOLA I*)  PR  io sono felice  este felice  noi siamo felici  voi siete felici  essi sono felici  PASSATO-CONGIUNTO  io sono stato felice tu sei stato lelice egli è stato felice  noi siamo stati felici voi siete stail felici essi sono stuti felici  (TAVOLA 11.")  • PASSATONTO  Quando l'a ,  io era infermo su eri infermo  egli era inferme  noi eravamo inf voi eravate infe  essi erano infern  FITURO-ANTERIORE  L'A mico partira, quando io sarò stato promosso tu sarai stato promosso egli sarà stato promosso noi saremo stati promossi voi sarete stati promossi essi saranno stati promossi (T'AVOLA III.")  FUTURO  Se l'Amico  io sarei felice  lu saresti felice arei felice  l'Amico giugnesse,  egli sarebbe felicarerei be felice voi sareste felici saremmo felici  essi sarebbero  sarebbero felici  (TAVOLA IV.")  FUTURo  oh fossi io piu 8 io pronosso domani! oh fosse e pis cu promosso domani!  egli promosso domani!  oh fosi noi pi mo noi promossi domani !  voi promossi domani!  oh fossero essi Piro essi promossi domani![EMPO  PRESENTE  io sono felice  tu sei felice  egli è felice  noi siamo felici  voi siete felici  essi sono felici  TEMPO"  PASSATO-IDENTICO  Quando l'Amico parti  io era infermo  tu eri infermo  egli era infermo  noi eravamo infermi  voi eravate infermi  essi erano infermi  Quando l'Amico parti  io era stato ferito  parti, appena  10 Jai stato ferito  L'A mico partira. quando io sarò stato promosso  tu eri stato ferito  egli era stato ferito  tu fosti stato ferito  egli fu stato ferito  tu sarai stato promosso egli sarà stato promosso  noi eravamo stati feriti  voi eravate stati feriti  essi erano stati feriti  noi fummo stati feriti  voi foste stati feriti  essi furono stati feriti  noi saremo stati promossi voi sarete stati promossi essi saranno stati promossi  (TAVOLA III.")  TEMPO  PRESENTE  Se l'Amico fosse giunto, io sarei felice  tu saresti felice  egli sarebbe felice  noi saremmo felici  voi sareste felici  essi sarebbero felici  PRESENTE  oh fossimo noi più giovani!  oh foste voi più giovani!  oh fossero essi più giovani!  MODO CERTO ISOLATO  PASSATO  io fui felice  tu fosti felice  egli fu felice  noi fummo felici  voi foste felici  essi furono felici  FUTURO  io sarò felice  tu sarai felice  egli sarà felice  noi saremo felici  voi sarete felici  essi saranno felici  MODO CERTO-DIPENDENTE  PASSATO-ANTERIORE  NTERIORE CONGIUNTO  MODO CERTO-CONDIZIONATO  PASSATO  Se l'Amico fosse gianto, io sarei stato felice tu saresti stato felice egli sarebbe stato felice noi saremmo stati felici voi sareste stati felici essi sarebbero stati felici  MODO DESIDERATIVO  PASSATO  fossi io stato pit attento!  foss' egli stato più attento!  1 fossimo noi stati  Josti von si st pi pit attenti! fossero essi stati più attenti!  (TAVOLA I.")  PASSATO-CONGIUNTO  io sono stato felice tu sei stato felice egli è stato felice  noi siamo stati felici  voi siete stari felici essi sono stati felici  ( TAVOLA 11.ª)  FUTURO-ANTERIORE  FUTURO  Se l'Amico giugnesse,  io sarei felice  tu saresti felice  egli sarebbe felice  noi saremmo felici  voi sareste felici  essi sarebbero felici  (TAVOLA IV.")  FUTURO  fossi io promosso domani!  fossi tu promosso domani!  foss' egli promosso domani !  fossimo noi promossi domani!  foste voi promossi domani!  fossero essi promossi domani    TEMPO  PRESENTE  sii tu il primo  sia egli il primo siam voi i prin sieno essi i primi  MODO VOLITIVO  FUTURO  sarai tu il primo sarà egli il primo saremo noi i primi sarete voi i primi saranno essi i primi  TEMPO  PRESENTE  sia pur io il più giovine :  sii pur tu il  si pur esil p, giovince:  siamo pur nor piu giovani:  siate pur voi i più giovani:  sien e esigue giovani:  MODO SUPPOSITIVO  PASSATO  sia pur io stato l'ultimo:  su pur tu stato l'ultimo:  sia pur egli stato l'ultimo :  siamo pur noi stati gli ultimi:  siate pur voi stati gli ultimi: sieno pur essi stati gli ultimi :  Che s' inferisce da ciò?  L'ebro  PRESENTE  se io fossi felice, se tu fossi felice, se egli fosse felice, se noi fossimo felici, se voi foste felici se essi fossero felici,  L'Ámico gioirebbe.  MODO CONDIZIONANTE  PASSATO  se io fossi stato felice, se tu fossi stato felice, se egli fosse stato felice, se noi fossimo stati felici, se voi foste stati felici se essi fossero stati felici,  L'Amico gioirebbe.  (TAVOLA V.")  ( TAVOLA VI.")  FUTURO  sia pur io promosso tra poco:  sii pur tu promosso tra poco:  sia pur egli promosso tra poco:  siamo pur noi promossi tra poco:  siete pir esi promossi tra poco :  Qual utile per l'Amico?  (TAVOLA VII.")  FUTURO  se io fossi promosso domani, se tu fossi promosso domani se egli fosse promosso domani, se noi fossimo promossi domani, se voi foste promossi domani, se essi fossero promossi domani,  L'Amico gioirebbe.TEMPO  PRESENTE  Si crede, che io sia felice che tu sii felice ch'egli sia felice che noi siamo felici che voi siate felici che essi sieno felici  TEMPO  PASSATO-IDENTICO  io fossi infermo  tu fossi infermo  egli fosse infermo  . noi fossimo infermi  voi foste infermi  essi fossero infermi  TENPO  PRESENTE  che, se lÁmico fosse giunto,  io sarei felice  . tu saresti felice  egli sarebbe felice  . noi saremmo felici  voi sareste felici  essi sarebbero felici  MODO INCERTO ISOLATO  PASSATO  Si crede, che io sia stato felice che tu sii stato felice ch' egli sia stato felice che noi siamo stati felici che voi siate stati felici che essi sieno stati felici  FUTURO  Si crede, che io sarò felice che tu sarai felice ch' egli sarà felice che noi saremo felici che voi sarete felici che essi saranno felici  MODO INCERTO-DIPENDENTE  PASSATO-ANTERIORE  chei quee si grede i emico,  io fossi stato ferito tu fossi stato ferito  egli fosse stato ferito  noi fossimo stati feriti  voi foste stati feriti  essi fossero stati feriti  MODO INCERTO-CONDIZIONATO  PASSATO  Si crede,  che, se l'Amico fosse giunto,  io sarei stato felice tu saresti stato felice  egli sarebbe stato felice  noi saremmo stati felici  voi sareste stati felici  essi sarebbero stati felici  ( TAVOLA VIII.")  ASSCLUTO-POSTERIORE  Si credeva, si credette ec. che io sarei stato felice che tu saresti stato felice ch'egli sarebbe stato felice che noi saremmo stati felici che voi sareste stati felici che essi sarebbero stati felici  ( TAVOLA IX.")  FUTURO-ANTERIORE  Si crede, che, quando giugnerà l'Amico,  io sarò stato promosso tu sarai stato promosso egli sarà stato promosso noi saremo stati promossi voi sarete stati promossi essi saranno stati promossi  (TAVOLA X.")  FUTURO  chs, stel Amico giugnesse ,  io sarei felice  tu saresti felice  egli sarebbe felice  noi saremmo felici  voi sareste felici  essi sarebbero feliciTEMPO  PRESENTE  son io felice?  sei tu felice?  è egli felice?  siamo noi felici?  siete voi felici?  sono essi felici ?  LEMPO  PASSATO-IDENTICO  Quando parti l'Amico,  era io infermo :  eri tu infermo?  era egli infermo ?  eravamo noi infermi?  eravate voi infermi ?  erano essi infermi?  TENPO  PRESENTE  Se l'Amico fosse giunto,  sarei io felice?  saresti tu felice ?  sarebbe egli felice?  saremmo noi felici?  sareste voi felici?  sarebbero essi felici?  TEMPO  PRESENTE  sarei sconoscente a tal segno?  saresti sconoscente a tal segno?  sarebbe sconoscente a tal segno?  saremmo sconoscenti a tal segno ?  sareste sconoscenti a tal segno?  sarebbero sconoscenti a tal segno?  MODO INTERROGATIVO-ISOLATO  PASSATO  fui io felice?  fosti tu felice?  fu egli felice?  fummo noi felici ?  foste voi felici?  furono essi felici?  FUTURO  sarò io felice?  sarai tu felice ?  sarà egli felice?  saremo noi felici ?  sarete voi felici ?  saranno essi felici?  (TAVOLA XI.")  PASSATO-CONGIUNTO  son io stato felice ?  sei tu stato felice ? è egli stato felice?  siamo noi stati felici?  siete voi stati felici ?  sono essi stati felici?  ( TAVOLA XII.")  MODO INTERROGATIVO-DIPENDENTE  PASSATO-ANTERIORE  Quando l'Amico parti, era io stato promosso?  eri tu stato promosso ?  era egli stato promosso?  eravamo noi stati promossi ?  cravate voi stati promossi?  erano essi stati promossi ?  FUTURO-ANTERIORE  san ando pamico partira,  sarai tu stato promosso?  sarà egli stato promosso?  saremo noi stati promossi ?  sarete voi stati promossi ?  saranno essi stati promossi ?  ( TAVOLA XIII.")  MODO INTERROGATIVO-CONDIZIONATO  PASSATO  Se l'Amico fosse giunto,  sarei io stato felice ?  saresti tu stato felice?  sarebbe egli stato felice?  saremmo noi stati felici ?  sareste voi stati felici ?  sarebbero essi stati felici?  FUTURO  Se l'Amico giugnesse,  sarei io felice ?  saresti tu felice?  sarebbe egli felice?  saremmo noi felici?  sareste voi felici?  sarebbero essi felici?  ( TAVOLA XIV.*)  MODO INTERROGATIVO-DUBITATIVO  PASSATO  sarei stato sconoscente a tal segno ?  saresti stato sconoscente a tal segno ?  sarebbe stato sconoscente a tal segno ?  saremmo stati sconoscenti a tal segno?  sareste stati sconoscenti a tal segno?  sarebbero stati sconoscenti a tal segno?  FUTURO  sarei sconoscente a tal segno?  saresti sconoscente a tal segno?  sarebbe sconoscente a tal segno ?  saremmo sconoscenti a tal segno?  sareste sconoscenti a tal segno?  sarebbero sconoscenti a tal segno?MODO GENERICO-DETERMINANTE  (TAVOLA XV.")  TENPO  IDENTICO  ANTERIORE  io credo, credetti, crederò ec.  tu credi, credesti, crederai ee.  essere felice  egli crede, credette, credera ec.  noi crediamo, credemmo, crederemo ec.  voi credete, credeste, crederete ee.  essere felici  essi credono, credettero, crederanno  ee  essere stato felice  essere stati felici  POSTERIORE  esser per essere felice  -  dover essere felice poter essere felice esser per essere felici dover essere felici poter essere felici  MODO GENERICO SOSTITUITO  ( TAVOLA XVI.")  SOSTITUITO PRIMO  TEMPO  IDENTICO  ANTERIONE  POSTERIORE  essendo giovine  essendo stato promosso....  essendo giovani  essendo stati promossi ) ... dovendo essere promos  dovendo essere promosso  -  io studio, studiai, studierò ec.  tu stud), studiasti, studierai ec.  egli studia, studio, studiera ec.  noi studiamo, studiammo, studieremo cc.  voi studiate, studiaste, studierete ec.  essi studiano, studiarono, studieranno ec.  ( TAVOLA XVII.")  SOSTITUITO SECONDO  TEMPO  IDENTICO  essendo io debole, essendo tu debole, essendo egli debole,  essendo noi deboli,  essendo voi deboli  essendo essi deboli  ANTERIORE  essendo io stato infermo, essendo tu stato infermo, essendo egli stato infermo, essendo noi stati infermi, essendo voi stati infermi essendo essi stati infermi,  POSTERIORE  dovendo tu essere promosso  dovendo noi essere promossi, l'Amico ci accompagna, accompagnò, accompagnerà ec.  dovendo voi essere promossi,  'Amico vi accompagna, accompagnò, accompagnerà ec.  dovendo essi essere promossi./ l'Amico li accompagna, accompagnò, accompagnerà ec.  (TAVOLA XVIII.")  SOSTITUITO TERZO  TEMPO  IDENTICO  essendo io giudice,  essendo noi giudici, .  essendo voi giudici, essendo essi giudici, •  ANTERIORE  essendo io stato giudice, essendo tu stato giudice, essendo egli stato giudice, essendo noi stati giudici essendo voi stati giudici essendo essi stati giudici,  POSTERIORE  dovendo io esser giudice, dovendo tu esser giudice, l'Amico spera, sperò, spererà co  dovendo egli esser giudice,  lovendo voi esser giudici, :: Amico spera, sperò, spererà eco  dovendo voi esser giudici dovendo essi esser giudici, LINGUA  FILOSOFICO-UNIVERSALE    LINGUA  FILOSOFICO-UNIVERSALE  PEI DOTTI  PRECEDUTA  DALLA  ANALISI DEL LINGUAGGIO  OPERA  DI  MARIANO GIGLI  Già pubblico Professore di varie Facoltà  MILANO 1818  Società Tipografica de' CLAsSICI ITALIaNI  Contrada del Cappuccio N.° 5433.    PAsTA alla Repabica Letteraria un Piano Filo. sofico di Lingua Universale facilissimo ad eseguirsi, è il primario Scopo di quest' Opera - Immezzo alla tranquillità di cui gode attualmente l'Europa, pei PADRI de' Popoli, per le Nazioni, pei Filosofi qual occupazione migliore e più vantaggiosa di questa ?  II. Coerentemente all'indicato primario Scopo dell'Opera pareva, che dovessi scriverla non pei soli Italiani; quindi in una Lingua più generalmente conosciuta; quindi in Lingua Francese. Me ne astenni però; giacchè in un Italiano che scrive nel seno dell'Italia, poteva ciò sembrare un affettazione.  III. L'Esecuzione del Piano abbisogna del valido sostegno d'un GRAN-MECENATE: lo però non ne implorai alla mia Opera alcuno. E qual accoglienza potea nell' oscurità d' un Manoscritto sperare una progettata metafisica Novità, ed un complesso di forse non sempre facilmente intelligibili Raziocinj?  IV. Onde garantirmi dai rimbrotti e dalla critica di ehi o è incapace o abborre di oltrepassare i limiti della superficialità, prevengo; che per intendere la Materia qui trattata, non basta • leggere; come per possederla non basta averla intesa, Quindi questo Libro deve considerarsi precisamente come un libro di Matematica; il cui contenuto non può intendersi senza matu-ramente, dettagliatamente e ordinatamente meditarlo; nè può a fondo possedersi senza molto esercizio, accurati transunti, e frequenti ripetizioni.  V. Mi sarebbe stato facile mostrare l'applicazione di ciascuna  Teoria col prattico dettagliato sviluppo di analogli Esempi:  Ma non sempre l'o fatto, perchè gli Esempj in iscritto o aumentano la difficoltà, o quando pure la diminuiscano, snervano la Materia cul prolungarla soverchiamente - Altronde Teorie ragionate e metafisiche non sono dirette che a Pochi; e questi  Pochi trovano in loro stessi come supplire alla Concisione del-l'Autore.  VI. Rapporto alla Lingua Universale si avverta, che quando ai avesse apposita Grammatica e Dizionario, per apprenderla non è necessario conoscere le metafisiche Teorie del Linguag gio; ma basta sapere le Regole particolari di questa Lingua, facendone il debito confronto colla propria Lingua natia.  VII. La difficoltà di ben comprendere quanto premisi al  Piano di Lingue Universale, potrebbe in taluno produrre una grantaggiosa prevenzione per la lingua medesima. Quindi mi trovo obbligato a dichiarare che « Quando sia convenientemente spiegata, è più facile arrivare a conoscere perfettamente questa Lingua Universale, che non il solo primo Libro della Geometria di Euclide » - Le Teorie premesse poi servono specialmente a dar ragione del Piano che presento; mostrando esse ad evidenza, che la base dí questo Piano non è arbitra-ria, ma fondata sull' intrinseca natura del Linguaggio e delle  Cose.  VIII. Il mio Piano di Lingua Universale fû concepito e steso, senza che avessi mai nè sentito nè letto cosa alcuna in proposito. Tale stato d'ignoranza mi fû certamente vantaggioso; giacchè la smania di profittare dei lumi altrui avrebbe forse inceppato maggiormente il mio spirito - Terminato il mio Travaglio, à poi cercato istruirmi; ed ô letto l'Enciclopedia all'articolo Langue nouelle, la Pasigrafia di J.... de M....., lá Lingua Universale del P. Magnan, ed un Estratto di quella di M. Kalmar nel Nuovo Giornale dei Letterati d' Italia  ‹ Tomo V. Settembre e Ottobre i773). In queste letture però rinvenni sufficiente motivo, e di ammirare il Genio più o meno felice che aveva presieduto a tali Opere, e di non essere malcontento di me stesso.  IX. Nello scrivere io mi supposi anteriore all'esistenza di qualunque formale Grammatica; e non consultai che la Natu-ra, il Raziocinio e le poche mic cognizioni — f'accia lo stesso,  Chi legge.Preso nel suo vero senso primitivo, il Linguaggio è un necessario semplicissimo Effetto di Natura; e precisamente come lo è nell'Ago Ma-gretico la Tendenza al Polo; come in un Pomo dall'alto abbandonato a se stesso, lo è il Cadere; come lo è nei Liquidi il Porsi a Livello coll' Ori zonte; come il Sollevarsi lo è nei. Vapori; in somma come in un Corpo qualunque è mero effetto di Natura il Peso, la Pressione, la 'Resistenza ec.  Infatti il Linguaggio non serve che ad esprimere la situazione dell'Uomo. Ora l' Uomo in determinate circostanze trovasi in una piuttosto che in altra situazione, unicamente in forza della sua essenza, delle sue facoltà, delle sue relazioni; vale a dire perchè è un Essere formante parte di Nasura. In lui tutto dunque è soggetto alle generiche Leggi dell' Esistenza. Dunque esprimendo la propria situazione, egli non può sortire dai limiti di queste Leggi.Ora tutto è fisso immutabilmente in Natura; e la diversità di Luogo e di Tempo non impedirà mai, che uguali Cause producano Effetti eguali.  Dunque una stessa Azione si effettua sempre e da-pertutto alla maniera medesima; uno stesso Oggetto sempre e dapertutto produce la medesima impres-sione; una stessa Qualità opera sempre e dapertutto la sensazione medesima. Dunque gli uomini di qualunque Clima, Secolo e Nazione, in eguali circostanze debbono tutti esprimersi alla maniera istessa; perchè in eguali circostanze il loro spirito si trova in eguale situazione.  Ed infatti analizando le Lingue usate vediamo, che anno tutte un fondo comune; vale a dire anno comune, ciò che forma l'assoluta essenza del Lin-guaggio, considerato come semplice effetto naturale -— Diverse Convenzioni possono sulla superficie del Globo esprimere le stesse Idee con suoni diversi e con diverso ordine dispositivo; perchè l'ordine ed i suoni in ciò sono relativi all'Abitudine ed al Clima: Ma le medesime Idee su qualunque punto del Tempo e del Globo avranno sempre la stessa naturale espressione; perchè la Natura è una sola, e dapertutto e sempre la stessa.  Debba un Uomo narrare, che nella foresta.  fû egli assalito da un feroce Animale. Che il no-str' Uomo sia europeo asiatico affricano o di Ame-rica, che il successo abbia avuto luogo in uno piuttosto che in altro secolo; sono cose del tutto indifferenti all' intrinseca natura del fatto, che sinarra. L'avvenimento è un solo: Dunque unico necessariamente esser deve in Natura il modo di esprimerlo.  Quindi in ogni Lingua prattica bisogna distinguere il Fondo di Natura dalle Proprietà di Con-venzione, ossia i Principj naturali dai Principi convenzionali. I Primi sono basati sull' essenza stessa delle cose; quindi necessariamente unici ed immutabili. I secondi non riconoscono altra base , che il Bisogno e Capriccio sociale; quindi necessariamente sono varj, come sulla Terra sono diverse le umane Società. Questi, altesa la bizzarra loro origine ed irregolarità, possono impararsi soltanto coll' uso: Quelli non possono conoscersi, che coll' attività di Raziocinio e di Meditazione — Quindi lo studio radicale di Lingua è filosofico, più che non fù creduto finora.  Sventuratamente per l'Umanità in ogni secolo i Maestri anche più rispettabili di Lingua, si limitarono a ridurre possibilmente a sistema le in ciascuna Lingua irregolarissime Proprietà di Conven-zione. La comparsa delle Grammatiche fe nel Linguaggio dimenticar la Natura. Si credette, che la Scienza di Lingua fosse esclusivamente riposta in quei sudati Volumi. La difficoltà anzi impossibilità di ritenere l' immenso numero di Regole e il numero anche maggiore d' Irregolarità raccolte nelle Grammatiche, fe' riguardare lo studio sistematico di Lingua come indispensabile alle Scienze ed ai progressi dello Spirito umano. Quindi la Gramma-tica presso tutti i Pappli divenne come il primo Nume dei pensanti Esseri sociali: Nume; cui si eressero Templi, quante le scuole di Lingua; cui si destinarono Sacerdoti, quanti i Maestri di Lin-gua; cui furono sacrificate Vittime, quanti i Discepoli di Lingua - Povera Infanzia! Una mano di ferro ti spinge, ti preme, ti schiaccia appiè dell'Ara di questa inconcepibile Divinità!  Ma non è egli vero, che molti senza neppur conoscere il Frontispizio di alcuna Grammatica imparano perfettamente la propria Lingua? Non è egli vero, che lo studio delle Grammutiche ci presenta una farragine di Vocaboli inintelligibili e eroti affatto di senso? Un Indice grammaticale non forma desso la più convincente la più palpabile prova dell' ignoranza, in cui siamo rapporto allo spirito all' essenza alla metafisica del Linguaggio ? :  O Voi, che forse già mi onoraste del titolo di Novatore; Voi, cui veggo addensato sul ciglio il Dispetto la Disapprovazione lo Sdegno, ditemi :  Potreste voi darmi una ragionevole, da Voi intesa è per me intelligibile Definizione del Genitivo per esempio, dell' Infinito, del Congiuntivo, del Geron-dio, del Supino, e di tant' altri Termini grazana-sicali? E quando vi troviate insufficienti anche solo a ragionevolmente definire tali usitatissime Denomi-nazioni, perchè assoggettarci ad apprenderle? Dove la Necessità? Dove l'Utile? Dove l'uso di quel celeste Raggio sublime, che infuse in noi l'onnipa-tente Soffio creatore? Rinunzieremo noi alla parte migliore della nostra Esistenza?Delle Produzioni umane sono perfette, delle umane Occupazioni sono essenzialmente vantaggiose, solo quelle che si basano sull' intrinseca natura delle Cose. Dunque lo studio ragionato di Lingua si fondi anch' esso sulla Natura. Si analizi : Si rimonti al-l'origine: Si provi col fatto, che siamo Esseri pensanti. Pel decoro della nostra specie, per l'utile della società, pel ben-essere di noi stessi dissipiamo nel Linguaggio quella Nube, che vi aggruppò dinanzi una troppo lungamente venerata Autorità -  Ragione! Uno slancio; ed il Bujo non più.  Distinti i Principi di Lingua in naturali e convenzionali, si averta; che quest' Opera si occupa dei secondi, soltanto nell' ultima Parte intitolata Lingua Universale; e che in tutto il rimanente cioè in tutte le generiche Teorie di Lingua essa non riguarda che i Primi. Quindi benchè sembri occuparsi delle Parole, pure dessa non risguarda assolutamente che le Idee rappresentate dalle Pa-role. Io o singolarmente cercato di farmi intelligi-bile, ulmeno quanto mi era permesso: E siccome la Materia trattata è astratta moltissimo di sua na-tura, fù mio primo studio presentarla sotto un aspetto meno difficile e non troppo metafisico. Chi brama però conoscerla in tutta l' estensione asso-luta, deve meditarla nel suo vero senso; vale e dire deve sempre considerare non le Parole in loro stesse, ma le Idee rappresentate dalle Parole. Così per esempio dicendo che te Voci si distinguono in Radicali Derivate e Sostituite, il Lettore filosofodeve intendere che sono radicali derivate o sostituite le nostre Idee, cioè quelle Idee che nel dis-  • corso si esprimono colle Voci rispettivamente loro convenienti. In egual maniera dicendo che da Monte deriva montuoso, da onesto deriva Onestà ec., devesi intendere, non che le Parole montuoso ed Onestà derivino dalle Parole Monte ed onesto, ma che le Idee rappresentate da montuoso ed Onestà derivano dalle Idee rappresentate da Monte, onesto ec.  Questa Osservazione è di somma importanza, e deve applicarsi a tutta l' Opera. Quindi si fissi ; che le Parole sono puri Segni rappresentanti le Idee; che le qui esposte filosofiche Teorie di Lingua risguardano soltanto le Idee; e che solo per facilitarne l'intelligenza molte volle à attribuito ò applicato ai Segni, ciò che devesi assolutamente ed esclusivamente intendere delle Idee da essi rappre-  sentate. •  Le Teorie generiche di Lingua non risguar.. dando che i Principi naturali, sono applicabili a tutte le Lingue: perchè tutte riducibili ad una sola, come unico è il Linguaggio della. Natura. Quindi queste Teorie non dovrebbero ragionevolmente applicarsi ad alcuna Lingua in particolare. È però troppo difficile tener dietro ad una lunga serie di Ragionamenti, che si presentano nel massimo grado di astrazione. Quindi per eliminare possibilmente tale difficoltà ò applicato le Teorie generali alla patria mia Lingua Italiana, in cui scrivo. Quindi chi legge, deve col suo spirito meditabonilo e ana-litico riportare tutti i Raziocinj al semplice loro stato primitivo, facendo astrazione anche dalla Lingua Italiana in cui sono scritti, e cui per chiarezza maggiore sono sempre applicati. È questo forse ur esigger troppo dalla penetrazione e sofferenza di molti; ma debbo farmi lecito asserire, che non è altrimenti possibile penetrare nello spirito fondamentale dell'Opera,•ANALISI DEL LINGUAGGIO  INTRODUZIONE  1. Il Lingaggio è il mezzo più comune impiegato dagli Uomini per comunicarsi reciprocamente i bisogni, i desiderj, i pensieri - L'uso inseparabile dalla convivenza sociale, insegna a ciascuno quanto è necessario per esprimersi conve-nientemente. Quindi le Teorie di Lingua sono inutili per la massima parte degli uomini; come sono pregiudicievoli alle Scienze alla Ragione ed a tutti le affastellate inconcepibili Regole gramma-ticali.  Il Filosofo peró che deve su tutro portare il suo ragionante spirito analitico, in punto Linguaggio potrebbe anch'egli esser pago di ciò che apprese per pratica? E nel secolo dell'Analisi dovremo con indifferenza veder sepolto nelle tenebre d'una rugginosa ignoranza il solo Linguaggio, l'interprete fedele de nostri pensieri, lo specchio dello spirito umano, il carattere distintivo per cui l'uomo si pone prino fra'gli esseri sensibili?A me sembra, che troppo debba interessarci il conoscere una cosa che ci riguarda si davvicino, e ch'è inseparabile dalla nostra sociale esistenza — Quindi mi permetto esporre il risultato delle mie meditazioni in proposito, considerando separatamente i Materiali del Linguaggio ossia le Voci  I. Come Elementi del Discorso :  II. Come Parti del Discorso.  Analizeremo nella Prima Parte ciù, che riguarda le Voci radicali e le moltiplici generiche Joro Derivazioni: Esporermo nella Seconda quanto richiedesi, onde nel discorso determinare con precisione e il Valore di ciascuna parola e le varie Situazioni in cui praticamente può presentarsi un  Oggetto.DELLE VOCI ELEMENTI DEL DISCORSO  LLa Voci prese come Elementi del discorso cioè isolatamente (ossia per quello che ciascuna significa assolutamente in se stessa, senza riguardo ad altre voci che possono accompagnarla) da noi si distinguono in Radicali, Derivate, e Sostituite. Radicali o Primitive son quelle, ch' esprimono Cose effettivamente esistenti o in Natura o in Immaginazione (a) ; come Sole, dolce, fuggire, Marte, Lete, ec. Derivate son quelle, che provengono da Voci conosciute ed usate nella medesima Lingua (b); Le Idee non derivate da altre, ossia le Idee Primitive sono tutte o naturali o immaginarie; e sì le une che le altre anno nel nostro spirito una reale esistenza. La diversità che trovasi frà loro, si è; che le naturali ànno il loro Tipo fuori del nostro spirito, e le immaginarie nò. Le Idee Derivate sono come diramazioni delle Idee Primitive; ossia anno la loro base sulle Primitive tanto naturali che immaginarie - Ogni Idea Derivata è propriamente un Idea puramente intuitiva; vale a dire è un Idea, che ci formiamo col dare a qualche Idea primitiva un nuovo aspetto o carattere puramente intellettuale.come solare, dolcezza, fuggitivo, marziale, le  ceo ec.  5. Sostituite son quelle, che per maggiore energia chiarezza o brevità si pongono in luogo d'altre Voci conosciute ed usate nella medesima  Lingua; come mio - pensante - laterra è fecondato dal Sole ec. per di me -che pensa - Il Sole feconda la Terra ec.  La Prima Parte è quindi naturalmente divisa in trè Sezioni; come gli Elemenci del Discorso lo sono in Voci radicali, dentare, e sostituite.  SEZIONE PRIMA  VOCI RADICALI  • •=  Le Voci Radicali furono fissate dai Primi che parlarono una data Lingua qualunque, e i Posteri debbono adattarsi ad apprenderle - Quindi è reo di lesa Convenzione sociale, chiunque vo lesse in una Lingua introdurre de' nuovi suoni radicali meramente per capriccio o per vana pompa di spirito; ma e ciascuno autorizato a produrre delle Voci nuove, quando s'abbia ad esprimere qualche Idea, in un dato Linguaggio o non-espressas o mal-espressa finora. Le Voci Radicali da noi si distinguono in Voci di Cosa, di Giudizio e di Rapporto; giacché le Cose, i Giudizj ed i Rapporti comprendono  l'intiera Esistenza.Voci di Cosa  L'Uomo presentasi appena sul teatro della natura, che trovasi circondato dall'Esistenza e dal Moto: Gli schiera quella dinanzi gli Oggetti suvi moltiformi, e le sensibili loro Qualità; gli offre questo una serie non interrotta di moltiplici varianti Azioni. Le Voci destinate ad esprimere questi Ogget ti, Azioni e Qualità, son quelle che noi chiamiamo Voci di Cosa. PARAGRATO 1.° Oggetti Chiamiamo Oggetto «Tutto cio, cui si attribuisce o può attribuirsi una qualunque Azione • Qualità ».  La Voce esprimente un Oggetto qualunque, è detta Nome sostantivo o semplicemente Sostan-tivo; essendo molto facile rilevare dalla sola definizione (10), che nella nostra mente ogni Oggetto deve di necessità essere sostantivo, vale a dire che ogni Oggetto è da noi concepito come sussistente. Gli Oggetti di cui si occupa il nostro Spi-rito, sono ora individui (a) ed ora generici: Quindi (a) Si avverta di non confondere individuo con indivisibile - Un Oggetto è indivisibile, quando non è formato dall' unionetali saranno anche i loro Nomi. Quindi nel Linguaggio è necessario distinguere i Sostantivi determinati dagl' indeterminati.  13. È determinato ogni Sostantivo, che presenta allo Spirito un Oggetto unico e assolutamente in-  dividuo; come Roma, Danubio, Europa ec. È indeterminato ogni Sostantivo, che presenta allo Spirito un Oggetto generico, applicabile praticamente a varj Individui della natura; come Uomo, Pian la, Fiume, ec.  applicabili ad un numero maggiore o minore d'In-dividui; e propriamente secondoché sono applicabili ad Individui, i quali possono più o meno suddividersi in altri Generi e quindi in altri Nomi generici: Cosi il Nome Sostanza è più generico di Animale; e questo è più generico di Uomo, che pure è Nome generico di sua natura.  PARAGRATO 2°  Qualità  ‹5. Chiamasi Qualità « Ciá che un Oggetto à in se di rimarcabile, e che potrebbe anche non avere senza cessare d'esistere »; o più semplice-  di varie parti; ed è individuo, quando lo consideriamo come solo, vale a dire come segregato e distinto da tutti gli altri Oggetti — Omero è Oggetto individuo: Il Punto Matematico ¿  •Oggetto indivisibile:mente, chiamasi Qualità « Ciò che in un Oggetto trovasi non assolutamente necessario alla di lui  esistenza ».  • •  x6. La Voce esprimente una. Qualità qualunque sarà da noi detta Nome qualitutivo, o semplicemente Qualitativo.  17. Fissato cosa deve intendersi per Qualità, determiniamo il valore di Proprietà d'un Oggetto — Proprietà chiamasi « Tutto ciò, senza cui l'Oggetto non potrebb'esistere ». Quindi le Proprietà d' ogni oggetto sono tutte comprese nel Nome dell'Oggetto medesimo. E siccome ciò che in un Oggetto è Proprietà, in un altro esser potrebbe Qua-lità; cosi è di somma importanza il sapere in ogni Oggetto ben distinguere l'una cosa dall'altra: Il calore per esempio è Proprietà nel Sole, nel Fio-oo ec., ed è Qualità nel Ferro, nel Marmo ec.  È facile ora intendere perché non può dirsi  Fuoco caldo, Neve bianca, Sole lucente ec.: cal-, do, bianco, lucente in tali Oggetti non sono Qualità ma Proprietà; e quindi espresse rispettivamente dai Sostantivi Fioco, Neve, Sole - Parimenti non può dirsi Fuoco freddo, Neve bruna, Sole oscu-ro; perche le Proprietà degli Oggetti Fuoco, Neve, Sole escludono rispettivamente le Qualità freddo, bruna, oscuro.  PARAGRADO 3.°  Azioni  88. Chiamasi Azione « Tutto cio, che.o si fa.o.può farsi o si suppone potersi fare da un Oggetto qualunque, e in qualsivoglia istante di Tempo ».  1g. Ogni Azione esigge dunque un Oggetto, che  Ja eseguisca — Ora alcune Azioni si riferiscono esclusivamente all'Oggetto eseguente, anno in esso il perfetto loro compimento, né possono per natura riguardare altr' Oggetto, né abbisognano del soccorso di aliri Oggerti per essere espresse colla massima precisione; come dormire, correre, passeggiare ec.: E queste da noi con ragione si chiamano Azioni deberminate; giacché nella nuda loro espressione contengono quanto è necessario alla in tutta l'estensione perfetta loro intelligenza - Altre Azioni pui per natura sono riferibili a molti Og-getti, i quali possono essere diversi e dall'eseguente e trà loro; come premiare, esporte, ferire ec.: E queste da noi con eguale ragione si chiamano Azioni indeterminate; giacché colla semplice loro espressione ci presentano soltanto un Idea generica di loro stesse, Idea in un pratico discorso quasi sempre insignificante, Idea la cai estensione limi tazione o determinazione dipende dall'Oggerto in cui finiscono tali Azioni  50. Dunque le Azioni possono turte filosoficamente distinguersi in steterminase e indetermai nate - È determinata ogni Azione, la quale proce in tutta la sua estensione possibile non può per natura riguardare Oggetti diversi dall'Oggetto che la eseguisce ossia eseguente: È indeterminata ogni  'Azione, la quale può per intrinseca natura riguardare anche Oggetti diversi dall' Oggetto eseguente  l' Azione medesima.Voci di Giudizio  21. L'Uomo nello stato di natura per poca 0s-servatore ohe sia, facilmente si avvedo, che lo Qualità e le Azioni dipendono assolutamente dagli Oggetti (a); e che le prime ne sono come tante emanazioni, e le seconde come tante conseguenze.  Egli quindi comincia a considerare gli Oggetti come cause primarie delle sue sensazioni; e ad essi riporta e Azioni e Qualica.  Quindi appressandosi ad un Oggetto qualun-que, è sua prima cura l'osservare altentamente e quali ditionda o includa Qualità, e di quali Azioni sia desso capaco. Conseguenza naturalissima di tale osservazione sarà il conoscere la stato e la partico larità dell'Oggetto; e quindi se ad esso convenga . o non convenga tale o tal altra Azione e Qualità. Se dunque l'Uomo abbia a comunicare la sua Scoperta ad altrui, deve nocessariamente fissare una Voce che affermi ed una che neghi; assia una Voce che congiunga al Nome di Oggetto quello d' una daia Azione o Qualità, ed una Voce che dal Nome di Oggatia allamani il Nome d'una ←  (a) Noi supponiamo l'Uomo nei filosofici primordi della Creazione e della sua mentale Esistenza; quindi non avvezzo alla contemplazione d'Everi astratti, d'Esseri intellettuali epirituali e morali; quindi escluiramante oceupato degli Oggetti Asici:,  che lo circondano.data Azione o Qualità - La prima chiamasi Voce di Giudizio affermativo, la seconda Vuce di Giu  dizio nogativo.  34. In Italiano essere è l'espressione generica di Giudizio affermativo, non-essere quella di Giudizio negativo.  VERBI  a5. Dall'esposto superiormente (21, e seg) è facile rilevare, che il Linguaggio in origine non aveva i cosi detti Verbi; e che questi debbono la loro esistenza non alla natura delle Cose, ma al-l'ingegnosa variante bizzarria degli Uomini. Infatti correre, scrivere, premiare ec. in natura significano essere corrente, scrivente, premiante ec; e il solo capriccio, o tutt' al più l'amore di brevità. con gravissima lesione della chiarezza e facilità di Lingua, riuni queste due distintissime Voci: in una sola.  26. Richiedendo quindi l'Analisi del Linguaggio che sia il tutto possibilmente riportato ai suoi primi elementi, si vedrà di leggieri quanto importi l'e-sercitarsi nella decomposizione de' Verbi, onde acquistarne una giusta analitica idea. Questa decomposizione è per altro della massima facilità, fissando con definizione esattissima, che Verbo significa « Parola formata da due Voci, una di Giu dizio l' altra di Azione ».  • 27. E siccome ogni Azione è di sua natura determinata o indeterminata (20), cosi chiameremo rispettivamente determinato o indeterminato anche il Verbo che la esprime.Voci di Rapporto  • 28. Fissate le Voci di Giudizio e di Cosa, può l'Uomo convenientemente spiegare agli altri la sua situazione, i suoi bisogni, la sua volontà. Ma le Cose, ossia gli Oggetti le Qualità e le Azioni (9), anno o almeno possono avere molti e diversi Rapporti frà loro; come di Tempo, di Numero, d'Au-mento, di Luogo ec. Dunque per esprimersi con precisione è necessario nel Linguaggio stabilire delle.  Voci per ciascuno di tali Rapporti.  Cosa nel nostro senso debba intendersi per Rapporto, è più facile rilevarlo dal contesto di questo Capitolo, che definirlo. Pure per chi ne bramasse la definizione, dico per Rapporto nel nostro senso intendersi « Tutto ciò che ci offre una Cosa qualunque, considerata non in se stessa ma relativamente ad altre Cose ». Premesso, che stante l'intrinseca loro natura non tutte le Cose possono o debbono avere gli stessi Rapporti, ch'è quasi impossibile assegnarli tutti sistematicamente, e che in tale materia fatto il primo passo è molto facile progredire da se colla sola guida dell'Analogia e del Buon-senso; mi limito a far dei Rapporti la seguente analitica Espo-sizione. PARAGRAFO 1.° Luogo - 31. Luogo significa « Punto o Aggregato di Puntioccupato da un Corpo qualunque nello spazio; cioe  nella Natura ».  Fissata questa definizione, l'idea che naturalmente si acquista d'un Corpo, cioè d'un Oggetto fisico-materiale, fa chiaramente conoscere, che uno stesso Corpo non può al tempo stesso trovarsi in due o più Luoghi diversi; e che due o più Corpi non possono al medesimo tempo occupare lo stesso identico Luogo. Essendo cosa molt'orvia, che l'Uomo debba considerare due o più Oggetti fisici al tempo steseo e che debba determinarne i Rapporti di Luogo, —cioé la Vicinanza o Lontananza; le Parti supe riore, interna ec. — egli dovrà necessariamente far aso di apposite Espressioni, che noi chiamerema  Voci di Luogo; come sopra, solo, fuori, avar ti, presso ec. PARAGRAFO 2.°  Тетро  34. Dal Moto nasco naturalmente l'idea del  Тетро.  Infatti il Moto non e che e L'effetto del pae saggio d' un Corpo dall'uno ad altro punto dello spazio ». Ora un Corpo non potendo al medesimo istante trovarsi in due Punti diversi (32), e il Punto in cui comincia il Moto essendo necessariamente diverso da quello in cui possiamo supporlo termi-nare, siegue che questo Corpo movendosi si tro-rerà successivamente in ciascun Punto dello Spa-zio che percorre. Quindi per fare il suo passaggio impiegherà tant' Istanti, quanti sono i Punti sulla linea percorsa; vale a dire nel primo Istante si tro-terà sul primo Punto, nel secondo Istante sul se condo Punto, e cosi di seguito; finché nell'ultimo Istante sarà sull'ultimo Punto del suo cammino.  Ma i punti dello Spazio percorsi dal Corpo si succedono immediatamente, e formano una Linea continuata. Dunque anche gl'Istanti ne' quali avviene l'occupazione de varj Punti, debbono succedersi immediatamente e formare una Serie continuata — Dunque in qualsivoglia Moto immaginando con molta facilità espressi da una Linea i Punti dello Spazio che il Corpo successivamente percorre, sarà pur facile da un altra Linea sempre paralella (a) a quella del Moto, immaginar espressi gl' Istanti successivi impiegati dal Corpo a percorrere i varj Punti dello Spazio.  Ma l'unione di tali Istanti forma ció che chia-masi, Tempo impiegato da un Corpo per eseguire il suo movimento - Dunque dal Moco nasce naturalmente l'idea del Tempo.  35. Dunque, riflettendo che un Azione in ispecie mentale può aver luogo anche in un Istante solo, il Tempo sarà esattamente definito « Istante  • Aggregato d'Istanti, in cui à luogo un Azione qualunque ».  (a) Due Linee sono paralelle, quando sa totti i Panti cico.  sempre ugualmente distanti fià loro,Tempo  Il Moto cominciò ad esistere colla Natura; né può finire, se non cessando di esistere la Natura medesima. Ma il Tempo è inseparabile dal Moto (34). Dunque ci formeremo un idea generica del Tempo totale, immaginando una Linea retta, le cui estremità poggino da una parte al princi-pio, dall'altra al fine della fisica Esistenza. Fissata con chiarezza questa Linea generica di Tempo, e ponendoci coll' immaginazione su d'essa, è dai varj di lei punti che dubbiamo os servare le moltiplici assolute e possibili Azioni. Ma: di questo parleremo in seguito (97, e seg). Quindi ci limitiamo per ora a stabilire, che le Cose e propriamente le Azioni possono avere dei Rapporti di Tempo; e che l'Uomo fù quindi obbligato a fissare delle Voci per esprimerli - Queste Voci sono oggi, adesso, jeri, subito, un anno jà, da qui a un mese ec.; che noi perciò chiameremo Voci di Tempo.  PARAGRATO 4°  Tempo  38. Ponendoci coll'immaginazione su qualunque punto della generica Linea di Tempo (36), ci sarà facile vedere; che molte Azioni furono già consu-mate; che molte debbono ancora effettuarsi; e che molte si eseguiscono al momento in cui 0s-serviamo. Avremo dunque su questa Linea una Serie d'Istanti già decorsi, una Serie d' Istanti svenire, ed un Istante unico indivisibile che separa sempre queste due Serie.  3y. Diremo quindi; di Tempo passato qualunque Istante o Aggregato d'Istanti, preso sulla prima Serie; di Tempo futuro qualunque Istante o Aggregato d'Istanti, preso sulla seconda Serie; e di Tempo presente l'Istante unico indivisibile, che separa il Passato dal Futuro.  Il Tempo presente come formato da un Istante solo, é sempre determinato di sua natura: Ma i Tempi passato e futuro come formati da lunga Serie d'Istanti, possono da noi considerarsi o come Passato e Futuro in genere cioè senz' alcuna limi-tazione, o come Passato e Futuro riferibile a qualche precisato Punto della Serie. Quindi il Tempo passato egualmente che il futuro sarà determinato o indeterminato - È de-cerminato, se esprimiamo l' Istante o Aggregato parziale d'Istanti, in cui avvenne o avverrà l'A-zione; come l'anno tale, il mese cale, a due ore ec: E indeterminato, se riportiamo l'Azione al Passato o Futuro genericamente, e senza fissare limite alcuno sulla Linea del Tempo; come viddi, partirò ec. PARAGRAFO 5.° Numero 4a, Gli Oggetti si presentano all'Uomo ora iso-lati cioé in numero di uno, ed ora uniti cioé in numero di più; e la chiarezza del Discorso esigge naturalmente che si specifichi, se uno o più sona gli Oggetti in una data Azione o Giudizio, vale a dire che si specifichi il Rapporto di Numero - Le Voci destinate a far conoscere tale Rapporto sono. uno, trò, cento, alcuni, molti ec. ; le quali perciò saranno da noi chiamate Voci di Numero.  Il Numero di uno ossia un Oggetto isolato, rispetto al Numero è sempre determinato di sua natura. Ma il Numero di più può essere determinato o indeterminato - E determinato, se esprimiamo da quanti uno desso è formato; come cin que, nove, cento ec. che sono rispettivamente formati da cinque, nove, o cento Unità: E indeterminato, se esprimiamo un Numero di più in genere, cioe senza fissare da quanti uno sia desso formato; come alcuni, molti, pochi ec. PARAGRAFO 6.° Ordine Più Cose diconsi ordinato, quando si presentano lungo una stessa Linea continuata: E siccome noi concepiamo delle Linee tanto nello Spazio che nel Tempo (34), cosi nelle Cose potremo avere Ordine e di Spazio e di Tempo. Posto quindi che più Cose sieno schierate lungo una stessa Linea, determinare l' Ordine d'una qualunque di esse significa « Fissare il punto, che tal Cosa occupa sulla Linea; e fissarlo unica-mente in relazione al punto occupato dalle altre Cose, esistenti sulla Linea medesima ».  Dunque essendo molto facile che si presentino all'Uomo delle Cose schierate in Linea o di Spazio o di Tempo, e ch'egli debba indicarvi il posto di qualcuna o di più, tale Rapporto dovrà essere necessariamente espresso con Voci apposite, che noi chiameremo Voci d'Ordine; come primo, secondo, ultimo, dipoi, infine ec. PARAGRATO 7° Sesso In quasi tutte le Specie d'Esseri organici ossia aventi la proprietà di propagarsi, la Natura ei presenta dei Maschj e delle Femmine. Le funzioni di tali esseri essendo diverse come diversa n'è la struttura, l' Osservatore se voglia con una sola Parola esprimere tutti gl'Individui d' una stessa Specie, dovrà fissare una Voce o Segno per indicare quand' oocorra, se maschio o femmina sia l'Oggetto da lui nominato - Quindi il Linguaggio aver deve le Voci o Segni di Sesso. Gredo superfluo l'avvertire, che moltissimi Oggetti sono mancanti di Sesso; e che negli Oggetti aventi Sesso, pratticamente non é sempre necessario indicarlo, come cosa indifferente al dis- corso: Cosi dicendo per esempio — che viddi un Ca-vallo, un Aquila, un Fiore ec. - moltissime volte è inutile ed anche impossibile precisare il Sesso di tali Oggetti; né ció altera punto l'intelligenza ochiarezza del sentimento, perché la cognizione del Sesso è allora del tutto estranea alla natura del pratico discorsa. PARAGRATO 8.°  Modificazione  49. Le Azioni e Qualità sono suscettibili di Ma dificazione, cioè « di prendere un aspetto diverso, ritenendo peró il loro carattere originario». Ciò propriamente succede, quando l'Azione o Qualità è unita a qualche Particolarità caratteristica; ma unita in modo, che tale Particolarità penetra in tutta l'estensione il valore radicale della Qualità  • Azione accompagnata, immedesimandosi con es-so; come cantare dolcemente - amorosamente fedele ec.  50. L'effetto che in una Bottiglia piena d'Acqua producono poche stille di ben colorato Liquore, puù somministrare un Idea di ciò che intendiamo per Qualità o Azione modificata. Il Colore investe l'Acqua in tutta l'estensione; ma l'Acqua conserva la sua natura, e subisce soltanto una Modificazione - Diremo quindi essere modificata  *Ogni Azione o Qualità, il cui assoluto valore ci si presenta come compenetrato da alcune accompagnanti Particolarità, e immedesimato con esse».  Le Voci destinate ad esprimere tali caratteristiche Particolarità, sono da noi chiamate Voci di Modificazione ; come chiaramente, con viva-  cità, confusamente ec.Variazione  5s. Fissato coll'esperienza il valore assoluto di.  ciascuna Qualità, l'Uomo o trova in natura o facilmente concepisce, che le Qualità possono gradatamente e aumentarsi fino ad un massimo e diminuirsi fino ad un minimo.  Infatti data una Linea retta obliqua (99), se stabiliamo il di lei punto medio com' esprimente lo stato assoluto della Qualità, possiano agevolmente concepire questa Qualità capace gradatamente tanto di salire fino alla sommità della Linea;  quanto di scendere fino alla inferiore di lei estre-mità. Ritenendo quindi che la Qualità aumenti.  d'intensità e di forza a misura che sale, e ne diminuisca a misura che scende per questa immaginata Linea obliqua, sarà facile formarsi un Idea delle Variazioni che può dessa successivamente.  subire.  Dato quindi che una Qualità sia fuori del suo stato assoluto, se vorremo precisarne la vera situazione, ossia il Punto in cui si trova sulla nostra Linea, converrà far uso di Espressioni indicanti tale Rapporto, e che noi chiameremo Voci di Variazione; come assai, poco ec. PARAGRATO 10.° Aumento e Decremento Tutte le Cose, cioè gli Oggetti le Azioni e le Qualità, quando non vi si opponga l'intrinseca loro natura, possono subire degli Aumenti e De-crementi; e ciò specialmente nella nostra maniera di concepirle (V. Lingua Fil-Univ. n.° 145). Tali Aumenti e Decrementi sono sempre relativi all'Idea assoluta, ossia alla prima Idea che di ciascuna cosa ci siamo preventivamente formati.  Propriamente si à Aumento, quando la prattica circostanza esigge che l'Idea assoluta d'una cosa qualunque nel nostro spirito divenga maggiore;  • quando si la dessa minore, abbiamo Decremento.  54. Siccome sarebbe impossibile calcolare e ridurre a sistema tutti i varj gradi di Aumento e Decremento nelle Cose, il Linguaggio si limita ad esprimere un Aumento e Decremento generico-in definito: Così da sala, stanza, Libro abbiamo in genere gli Aumenti indefiniti Salone, Stanzone, Librone, e gl'indefiniti Decrementi Saletta, Stan-  zetta, Libretto.  Dunque il Linguaggio avrà per tali Rapporti delle apposite Espressioni, che chiameremo rispettivamente Voci o Segni di Aumento e Decrei mento.  PARAGRATO II.°  Confronto  55. Oggetti diversi ci offrono non di rado eguali  Azioni e Qualità; e questa è verità conosciuta praticamente da ognuno: « Corre il Cavallo ed il Cane; è dolce il Pomo ed il Mele ec. » - Se quindi la circostanza richieda che in due o piùoggetti si consideri la stessa Azione o Qualità, converrà avvicinare tali Oggetti frà loro, ossia porli l'uno all'altro dirimpetto o di fronte; il che chiamasi confrontare.  Effetto di tale avvicinamento o Confronto sarà quasi sempre il conoscere, che l'Azione o Qualità d' un Oggetto eguaglia perfettamente quella dell'altro, o ne differisce - All' osservatore son dunque necessarie delle Espressioni per indicare l' Eguaglianza o Differenza scoperta; e son quelle che noi chiamiamo Voci di Confronto, oppure di Eguaglianza e Differenza, come dai due Paragrafi seguenti. Il Confronto può farsi anche sulle Azioni • Qualità d'un solo Oggetto. In tal caso peró dobbiamo contemplar tale Oggetto in epoche di-  verse, ossia col soccorso della Memoria dobbiamo considerarlo come pluralizato. Quindi potremo giu-  stanrente applicarvi la Teoria sovresposta per O'g-  getti frà loro diversi. PARAGRATO 12.° Eguaglianza  58. Due Cose sono eguali, quando non è possibile assegnare frà loro alcuna nè Differenza né Diversità (6o). Dunque non può darsi Eguaglianza negli Oggetti, perché tutti presentano delle Varietà più o meno rimarchevoli. È però cosa molt' ovvia rinvenire uguali due Azioni, due Qualità, due  Rapporti.Dunque esistendo in natura delle cose uguali trà loro, l'Uomo per indicare tal Eguaglianza dovrà far uso di apposite Espressioni, che noi chiameremo Voci d' Uguaglianza; come ugualmente, canto quanto, al pari di ec.  PARAGRARO 13.°  Differenza  5g. Confrontate due Cose di medesima Natura e trovatele non eguali, la quantità di cui una su pera l'altra, è ciò che propriamente costituisce la Dijferenza tra queste due Cose.  Esistendo in natura moltissime Differenze, l'Uomo si troverà bene spesso nella situazione di dover indicare tale Rapporto: Quindi farà uso di apposite Espressioni, che noi chiameremo Voci di Differenza; come più, ineno, maggiore ec.  6o. I Matematici son forse i soli che abbiano un esatta nozione del valore della parola Diffe-renza, che nelle Lingue suole ordinariamente confondersi con Diversità -E dunque di molta importanza stabilire, che la Diversità esiste unicamente frà cose che non sono di medesima natura; e la Difjerenza invece esiste unicamente frà cose di medesima natura. Quindi si dirà, che « il Bianco è diverso dal Rosso; e il Bianco-neve è differente dal Bianco-latte »Somiglianza  6r. Due cose sono Simili, quando anno eguali  Proprietà (17); senza riguardo alcuno alle loro  Qualità, che possono pur essere differenti ed anche diverse.  Infinite essendo le cose simili che ci offre la Natura, abbiamo spessissimo bisogno d'indicare tale Rapporto: Quindi usar dobbiamo Voci appo-site, che chiameremo Voci di Somiglianza; come simile, similmente ec.  PARAGRATO 15.°  Identità  Identico deriva dalla voce latina idem, che significa istesso -Non esistendo in natura Oggetti eguali perfettamente trà loro (58), siegue che ogni Oggetto aver deve i Distintivi suoi partico-lari; e questi particolari Distintivi formano appunto la base dell' Identità, ossia formano ciò che serve. a riconoscere a identificare ogni Oggetto. Quindi per determinare l'Identità d' un Og-getto, bisogna fare astrazione da qualunque e Proprietà e Qualità, ch' essergli potesse comune cogli altri Oggetti della sua specie; calcolando unica-mente, ciò che in esso rimane dopo tale astrazione. In ogni Giudizio d'Identità si richiede necessariamente un Confronto; dobbiamo cioè confrontare l'Oggetto presente, coll'Idea che di essoabbiamo già nello spirito. Dunque sarebbe un assurdo il determinare l'Identità d' un Oggetto che fusse nuovo per noi, vale a dire che agisse per la prima volta sui nostri organi sulle nostre facoltà. Trovandoci alle volte in bisogno di esprimere l'Identità negli Oggetti, faremo dunque uso di Voci apposite, che chiameremo Voci d' Identità; come stesso, medesimo ec.  PARAGRATO 16°  Approssimazione  65. Nel confrantare più Cose non di rado si scopre, che la stessa Qualità o Azione non è in tutte uguale perfettamente; ma si conosce al tempo stesso, che la Differenza n'è piccolissima. Se quindi la natura del Discorso o del Confronto non esigga assoluta precisione di calcolo, basterà che ne indichiamo la conosciuta approssimativa Eguaglianza.  Per tale Rapporto si dovrà dunque far uso di Espressioni, che chiameremo Voci di Apprassi mazione; come quasi, incirca, a un dipresso ee.  PARAGRAFO 17.°  Dichiarazione  66. Uno stesso Oggetto può in diverse circostanze trovarsi in situazioni diverse; e la chiarezza del Discorso esigge, che in ogni circostanza si dickia-ri, qual n'è la situazione precisa.  Di questo tratteremo in seguito (184) detta-gliatamente. Quindi basta per ora fissare che chiamiamo Voci di Dichiarazione o dichiaranti quelle Voci, le quali stabiliscono e fanno conoscere nel Discorso la vera Situazione dell'Oggetto; come di, a, da ec.  PARAGRAFO 18.°  Connessione  Benché in natura le Cose sieno tutte isolate, allo spirito dell'Osservatore spesso pur si presentano unite frà loro. Questo Rapporto d' Unione è troppo frequente ed essenziale, perchè sia necessario indicarlo con Espressioni apposite, che chiameremo Voci di Connessione; come insieme, e, anche ec. PARAGRATO 19.° Esclusione Da una o più Cose è molte volte necessario allontanarne altre, che o vi sono o vi sogliono o vi possono essere unite. Quindi per tadicare quali Cose si allontanano ossia si escludono, dobbiamo far uso di Espressioni apposite, che chiameremo Voci di Esclusione; come senza, nè, neppure. solcanto, unicamente ec. .Alcune di queste Voci, come soltanto, unzi, camente ec. potrebbero forse con più precisione chiamarsi Voci d'Isolamento. L'Isolamento d'una  Cosa però includendo l'allontanamento o Esclusione di tutte le altre, parmai abe possa desso cose-prendersi sotto la denominazione generica di Esclu-sione; e questo soltanto per semplificazione mag-giore.  AYTERTENZA  Sulle Voci di Rapporto  6g. Oltre i molti analizati finora esistono trà le Cose moltissimi altri Rapporti, come di Cagione, Mezzo, Fine, Quantità, Replica, Condizione, Dubbio, Opposizione, Incertezza, Transizione, Restrizione, Conclusione ec.; ed esistono pure nel Linguaggio Voci apposite per esprimerli tutti distintamente -Mi credo però autorizato a tralasciarne l' Analisi; si perché riescirebbe lunga troppo e nojosa; si perché dopo l'esposto finora può ciascuno continuarla da se, consultando all' uopo qualche Grammatica, per esempio Restaut, specialmente all'Articolo Congiunzioni.  SEZIONE SECONDA  VOCI DERIVATE  70. Chiamiamo derivate (4) le Voci provenienti dalle Radicali, e che sono propriamente destinate ad esprimere come una modalità, ossia una diversa forma un nuovo impasto della Voce radicale da. cui provengono: Così celeste, montuoso, virtù, jodelmente, prolungare ec. sono: Voci derivatedalle Radicali Cielo, Monte, Virtuoso, Fedele,  Lungo ec.  71. Siccome esigge l'Analisi, che nelle Voci derivate sappiamo scoprire e determinare la Radice primitiva esistente in una medesima Lingua; cost è necessario esaminare in dettaglio le varie generiche Derivazioni, che abbiamo dalle diverse generiche Radici.  Quindi analizeremo successivamente, ciò che deriva in genere dalle Voci radicali di Cosa, di Giudizio e di Rapporto; avvertendo, che le Lingue praticamente sono nelle Derivazioni irregolarissime e capricciose.  Derivazioni dalle Radici di Cosa  Avendo fissato (9), che sotto il nome di Cosa intendiamo gli Oggetti le Azioni e le Qua-lità, vuole l'ordine e la necessaria chiarezza, che n'esaminiamo partitamente le varie generiche De-rivazioni. PARAGRATO I.° Dalle Radici di Oggetto Per ben caratterizare un Oggetto avviene molte volte, che dobbiamo attribuirgli in via di Qualità, ciò che forma l'essenza il distintivo la proprierà d'un altro Oggetto-In tal caso per avere l'espressione conveniente non si fà che dare al Nome dell'Oggetto qualificante la forma diNome qualitativo: Così da Monte, Radice, Leone ec. abbiamo i qualitativi montuoso, radicale, leonino ec.  Dalle Radici di Oggetto può dunque derivare  una Voce di Qualità.  AVVERTENZA  71. Molti Verbi, come navigare caralcate ve stire sospirare suonare ec. siccome in fondo con-  ¿engono il Nome dell'Oggetto che si usa nell'a-zione, sembra derivino da una Radice di Oggerio, cioé da Nave Cavallo Veste Sospiro Suono ec. — Si avverta però, che questi e simili Verbi sono Vori di Azione non derivate ma radicali.  75. Anche molti Sostantivi specialmente astratti come radicalità montuosità ec., sembra derivino dai Nomi primitivi di Oggetto Radice Monte ec.  Si faccia quindi attenzione, che tali Sostantivi derivano invece dai Qualitativi radicale montuoso oc.  Serva quest' Arvertenza a porre in guardia  Chi legge, onde non si lasci trasportare ed illa-dere da una speciosa imponente Apparenza; cosa niente difficile in tale Materia.  PARAGRATO 2.°  Dalle Radici di Qualità  76. Dalle Radici di Qualità abbiamo tré Deri-vazioni, cioè una Voce di Modificazione, an  Sostantivo-Astraito, ed un Verbo.VOCE DI MODIFICAZIONE  77. Per fissare chiaramente e con precisione una  Qualità o un Azione, bisogna non di rado attribuirle l'essenza di qualche Qualità, ossia col-l'ajuto d'una Qualità bisogna spiegare il modo l'aspetto, sotto cui devesi riguardare una data  Azione o un altra data Qualità - In tal caso basta dare l'aspetto di Modificazione (49) al Nome di Qualità precisante: Così da onesto facile veloce ec. abbiamo le Voci di Modificazione onestamente facilmente velocemente ec. Dalle Radici di Qualità deriva dunque una  Voce di Modificazione.  SOSTANTIVO-ASTRATTO DI QUALITA'  Astrarre viene dal latino abstrahere, che significa trar-fuori o separare; e propriamente si astrae, «Quando si considera come isolata, una Cosa che di sua natura é inseparabilmente unita a delle altre »— La facoltà di facilmente astrarre si rinviene in pochi, e non si acquista che con solitarie prolungate meditazioni. Ora dati più Oggetti, se astraggasi da tutti una stessa Qualità, allo spirito del Filosofo questa: Qualità si presenta come un Oggetto generico, il quale agisce su tutti i parziali Oggetti da cui desso fu astratto. Egli quindi ne forma cosi un Ente, il quale propriamente non esiste che nella sua maniera di mentalmente concepire; Ente, al quale attribuisce poi come la virtù ed il potere d'infun-dere negli Oggetti parziali quella s'essa Qualità, da cui esso deriva - Quest' Oggetto generico, quest' Essere puramente intellettuale, è da noi chiamato Sostantivo-Astratto proveniente da Radice di Qualità: Così da facile; modesto, veloce ec.  abbiamo Facilità, Modestia, Velocità ec.  Dalle Radici di Qualità deriva dunque un  Sostantivo-astratto (a).  VERBO DERIVATO  So. Gli Uomini si trovano spesso nella situazione di attribuire d' infondere di comunicare ad un  Oggetto una Qualità, che desso prima non aveva -In tal caso per esprimere questa operazione basta dare l'aspetto e la natura di Verbo alla Voce radicale della Qualità da comunicarsi: Cost da dolce, piano, facile ec. abbiamo dolcificare, appianare, facilitare ec.; che propriamente significano rendere dolce, piano, facile ec. un Og-  (a) È di molta importanza il sapere ben distinguere le Idee d'Immaginazione da quelle di Astrazione. Le prime benchè manchino di Tipo fuori del nostro spirito (Vedi.  pag. 17 Nota (a)), pure ànno tutte una reale primitiva Esi-stenza: Le seconde per loro natura non possono essere che derivate (Vedi pag. 17 Nota (b) ).  Inoltre le prime sono figlie di Calore e d' Irritabilità: Le seconde procedono da Freddezza e da Meditazione. Quindi l' immaginoso Genio poetico domina sulle Regioni del Mez-zodì, come sulle Nordiche regna quello dell'intellettuale Pro. fondità. Quindi il Linguaggio Russo per esempio à l'impronta. dell' Astrazione, come quella dell'Immaginazione è visibile nel  Greco.getto qualunque, secondo la natura del prattico  Discorso.  Verbo.  Dalle Radici di Qualità deriva dunque un  PARAGRAFO 3.°  Dalle Radici di Azione  8r. Distinte le Azioni in determinate e indeterminate (20), parleremo separatamente delle Derivazioni che si anno da ciascuna di queste due specie di Azioni, premettendo cosa nei Verbi deve intendersi per Voce attiva e passiva.  VOCI ATTIVE & PASSIVE  Ogni Giudizio di sua natura, come può rilevarsi dal già esposto (21 e seg.), esigge trè Cose; un Oggetto cardine di Giudizio; una Voce di Giu dizio; ed una Voce di Azione o Qualità - Dunque in ogni Giudizio di Azione avremo; 1.° 0g-getto Cardinale; 2.° Voce di Giudizio; 3.° Voce di Azione. Ora l'Oggetto cardinale o eseguisce desso come Pietro ama ossia è amante; ed è invece in istato di passività (a) se la riceve, come Tizio è  (a) Passivita nel nostro Senso non significa altro che rice-pimento; ossia un Oggetto è nel nostro Senso passivo, quando è scopo diretto d'un Azione qualunque.amato — Ma il ricevere un Azione non è lo stesso ch' eseguirla. Dunque in ogni Giudizio di Azione è necessario esprimere, se l'Oggetto cardinale é attivo o passivo - Ma il Giudizio di Azione é formato da sole tré Cose; cioé « Oggetto cardina-le, Voce di Azione e Voce di Giudizio » (83).  Dunque da una di queste trè Cose sarà espressa l'attività o passività dell'Oggetto - Ma il nome dell'Oggetto è inalterabile, cioè sempre Pietro sempre Tizio; la Voce di Giudizio per natura non può esprimere che affermazione o negazione (23). Dunque l'actività o passività dell'Oggetto cardinale sarà necessariamente espressa dalla  Voce di Azione.  84. Dunque chiameremo attiva ogni Voce di Azione, la quale indica che l'Oggetto cardinale é attivo; come amante, in Pietro ama, cioè è aman-te: E chiameremo passiva ogni Voce di Azione, la quale indica che l'Oggetto cardinale è passivo;  come amato, in Tizio è amato.  È qui necessario avvertire, che nella Lingua  paliana ed in a dele lei di presenta che aso lã  tamente non sono passive; come dormito, corso, fuggito ec. - Cosi amato per esempio è passivo in Eu sei amato; e non lo è in tu ài amato, che può ridursi a tu amasti, ossia il fosti amante.  Quindi è indispensabile un conveniente esercizio nel decomporre ed analizare simili espressio-ni; giacché é di somma importanza il sapere bene e facilmente distinguere le Voci attive dalle passi-ve; e quelle che sono tali realmente, da quelle che ne ànno soltanto l' apparenza.  ARTICOLO 1.°  Dalle Radici di Azione DETERMINATA  85. Dalle Radici di Azione determinato deriva una Voce-attiva, un Sostantivo astratto, ed un  Nome di Attore.  VOCE-ATTIVA  +  86. Azione determinata essendo quella che risguarda esclusivamente l'Oggetto che la eseguisce (20), è chiaro che nelle Azioni determinate l'Oggetto cardinale non può non essere Attivo - Ma l'attività dell'Oggetto è espressa dalla Voce di Azione (83). Dunque dalle Radici di Azione determinata deve derivare e deriva una Voce-at-siva: Così da correre, sedere ec. abbiamo corren-  te, sedente ec.  SOSTANTIVO-ASTRATTO DI AZIONE  87. La natura del discorso ci porta non di rado ed esprimere il fine la conseguenza il risultato d'un Azione, senza peró dipartirci dall'Azione medesima e senza precisamente considerarla come Azione — La Voce che usiamo in tal caso, é ciò che da noi chiamasi Sostantivo-astratto di Azio-ne: Cosi da correre, sedere ec. abbiamo Corsa, Seduta ec, cioé una Corsa, una Seduta ec.NOME DI ATTORB  88. Molte volte dobbiamo o ci piace esprimere un Oggetto non qual esiste in natura, ma solo come agente in una data Azione, vale a dire semplicemente come Attore - In tal caso non facciamo che dare alla Radice di Azione aspetto e valore di Sostantivo; e la Voce che ne risulta, é da noi detta Nome di Attore o Oggetto-attore :  Cosi da passeggiare, trionfare ec. abbiamo Passeg giatore, Trionfatore ec.  ARTICOLO 2.°  Dalle Radici di Azione INDETERMINATA  8g. Dalle Radici di Azione indeterminata deriva primieramente una Voce-attiva, un Sostantivo-as-tratto, ed un Nome di Attore, come da quelle di Azione determinata (85).  Infatti rapporto alla Voce-attiva si rifletta, che nelle Azioni indeterminate (49 e 20) 1'0g-getto cardinale del Giudizio può essere attivo, benché nel discorso non sempre praticamente. lo sia; e riguardo al Sostantivo-astratto e al Nome di Attore si richiami il sovresposto (87 e 88).  Quindi da vincere coltivare scoprire ec. avremo « vincente, coltivante, scoprente — Vincita, Colti-vazione, Scoperta - Vincitore, Coltivatore, Sca-  pritore ».  90. Dalle Radici di Azione indeterminata abbiamo inoltre una Voce-passiva, ed un Nome qualitati:o.VOCE-PASSIVA  9í. Azione indeterminata essendo quella, che nel suo scopo può riguardare un Oggetto diverso da quello che la eseguisce (29), è chiaro che l'Oggerto cardine del Giudizio può molte volte essere praticamente nello stato di passività; e ciò propriamente ogni volta che l'Oggetto cardinale non è l'eseguente l'Azione espressa dal Giudizio; come Pietro, Voi, Essi, ed. in «Pietro fü vin-  10 - ['oi sarete premiati - Essi furono assolti ec. »  Ma la passività dell'Oggetto Cardinale è nel  Giudizio espressa dalla Voce di Azione (83). Dunque dalle Radici di Azione indeterminata deve derivare e deriva una Voce-passiva: Cosi da es-porre, vincere, leggere ec. abbiamo esposto, vin-to, letto; che sono Voci passive in «Egli fù es-posto, vinto, letto e simili » richiamando la già premessa osservazione (84).  NOME QUALITATIVO  92. Bisogna non di rado indicare, che ad un Oggetto è applicabile in via di Qualità l'essenza d' un Azione; o meglio bisogna indicare, che un Oggetto à la prerogativa di poter essere passivo riguardo ad una data Azione, vale a dire ch'é capace di ricevere questa data Azione - In tal caso per esprimere tale prerogativa si dà alla Radice di Azione l'aspetto ed il valore di Nome Qualitativo, che noi chiamiamo «Qualitativo proveniente da Radice di Azione»: Così da esporre,vincere, coltivare ec. abbiamo esponibile, vinci-bile, coltivabile; vale a dire che può essere o che à la prerogativa di poter essere esposto, vir-  80, collivato ec.  AVVERTENZA  •Sulle Derivazioni dalle Radici di Cosa  93. Non tutte le Parole radicali anno prattica-mente le diverse finora enanciate Derivazioni; alcune perché ripugnanti all'intrinseca natura delle Cose, altre perché nelle Lingue prattiche non adottate dall'Uso.  L'arbitraria Irregolarità nelle Derivazioni & un difetto più o meno notabile in tutte le Lingue, ed è una delle prove più convincenti che le Lingue furono a poco a poco e capricciosamente formate dalla consuetudine, non dal Calcolo filoso fico né con regole di sistema — Tale osservazione dovrebbe più che ogni altra persuaderne, che i Sistemi i Metodi ed i Libri impiegati finora per lo Studio delle Lingue sono direttamente opposti alla natura del pratico Linguaggio; e servono solo ad inceppar la Meoria, a istupidire lo Spirito, e precisamente ad impedire la cognizione di ciò che si pretende insegnare. Ed infatti a che serve una can-gerie enorme di Regole, quando son queste sag-gette ad una congerie ancora maggiore d' Irrego larità? A che servono i Metodi anche più famosi, se posti in pratica incontrano ad ogni passo Eccezioni infinite? I Latini per esempio per appren-dere la propria Lingua non impiegavano certamente tempo e studio maggiore di quello che s'impieghi da noi per ben imparare la nostra Lingua natia. Ora come giugniamo noi a conosceren la propria Lingua? Non è egli vero, che l'Uso e la Lettura furono in ciò i soli nostri Precetto-ri? E perché abbandoneremo queste sperimentate  Guide benefiche, quando trattasi di Lingue stranie-re? - Ragioniamo; e vedremo svanirci dinanzi ogai difficoltà.  CAPO II  Derivazioni dalla Voce Radicale di Giudizio  94. Fissata per Voce radicale di Giudizio affermativo l'espressione essere, abbiam visto (34) che pel Giudizio negativo basta unire ad essa la Ne-. gasione; ed abbiamo così non-essere. Quindi la,  Voce radicale di Giudizio in fondo si riduce alla sola essere; e con essa, accompagnata dalle op portune Voci di Tempo (37), potrebbero facilmente esprimerei tutti i Giudizj.  Ma gli Uomini per loro natura amanti di va-rietà, come unirono molte rolte la Voce di Giudizio a quella di Azione (25), cost invece di ripetere quasi ad ogn' istante una stessa invariata  Voce di Giudizio, nel decorso dei Secoli trovarono conveniente stabilire alcune Derivazioni dalla Voce radicale di Giudizio; Derivazioni esprimenti con una sola parola Giudizio, Tempo e Modo.  Nel Linguaggio tali Derivazioni sono della massima importanze: Quindi passeremo ad esporledettagliatamente dopo le seguenti essenziali Avver-  tenze.  AYVERTENZA  Sul Cardine di Giudizio  95. Cardine di Giudizio ossia Oggetto cardinai le (82) può essere praticamente o Chi giudica, o Chi ascolta, o una Cosa terza cioè diversa e da chi ascolta e da chi giudica - Quindi noi chiameremo Oggetto giudicante chi giudica, Oggetto ascoltante chi ascolta, e Oggetto terzo qualunque altr' Oggetto diverso dai primi due — E facile comprendere, che deve considerarsi Oggetto giudicante chi scrive, e Oggetto ascoltante chi legge.  • 96. In Italiano il Nome dell'Oggetto giudicante è io se uno, noi se più; il Nome dell'Oggetto ascoltante è tu se uno, voi se più; i Terzi Oggetti poi inno tutti il loro Nome particolare. Questi terzi Oggetti però multe volte s'indicano con dei Pronomi, che sono egli o esso, eglino o essi pel  Sesso maschile ed anche neutro; ed ella o essa; elleno o esse pel Sesso femminile ed anche neutro (a). Intendo per neutro il Nome d' ogni Og getto privo naturalmente di Sesso.  (a) Il buon Gusto italiano vuole, che i Pronomi egli eglino ella elleno si usino soltanto per indicare Oggetti o della Specie umana o più nobili di questi; e che tutti gli altri terzi Oggetti sieno indicati coi restanti Pronomi esso essi, essa esso:dettagliatamente dopo le seguenti essenziali Avver-tenze.  AVVERTENZA  Sul Cardine di Giudizio  95. Cardine di Giudizio ossia Oggetto cardina: le (82) può essere pratticamente o Chi giudica, o Chi ascolta, o una Cosa terza cioè diversa e dai chi ascolta e da chi giudica - Quindi noi chiameremo Oggetto giudicante chi giudica, Oggetto ascoltante chi ascolta, e Oggetto terzo qualunque altr' Oggetto diverso dai primi due - È facile comprendere, che deve considerarsi Oggetto giudicante chi scrive, e Oggetto ascoltante chi legge.  •96. In Italiano il Nome dell' Oggetto giudicante  ¿ io se uno, noi se più; il Nome dell'Oggetto ascoltante è tu se uno, voi se più; i Terzi Oggetti poi inno tutti il loro Nome particolare. Questi terzi Oggetti però multe volte s'indicano con dei Pronomi, che sono egli o esso, eglino o essi pel  Sesso maschile ed anche neutro; ed ella o essa; elleno o esse pel Sesso femminile ed anche neutro (a). Intendo per neutro il Nome d' ogni Og getto privo naturalmente di Sesso.  (a) Il buon Gusto italiano vuole, che i Pronomi egli eglino ella elleno si usino soltanto per indicare Oggetti o della Specie umana o più nobili di questi; e che tutti gli altri terzi Oggetti sieno indicati coi restanti Pronomi esso essi, essa essei97. Si richiami la definizione del Tempo (35), e la Linea generica indicata (39) per facilitarne l'in-telligenza.  Si fissi inoltre, che il Tempo passato e fi-tuTo (39) e sempre tale in relazione a qualche punto che sulla Linea da noi si determina come presente; e ch'è in nostro arbitrio considerare come presente qualunque punto, tanto sulla Serie de gl' Istanti decorsi, come su quella degl' Istanti ar-venire.    98. Da varj Oggetti potendo al tempo stesso farsi varie Azioni, e dovendo noi molte volte simultaneamente considerare varie Azioni fatte in cempi diversi, si fissino coll'immaginazione secondo il bisogno due o più Linee di Tempo paralel-le (34, Noça) frà loro. Considereremo sulla prima Linea le Azioni dell'Oggetto Giudicante, sulla seconda quelle dell'Oggetto Ascoltante, e sulla terza, pluralizata quand' occorra, quelle dei Terzi  Oggetti (95).  : 99. Ogni Perpendicolare (a) a queste Paralelle tirata su qualunque punto, esprimerá o indicherà  (a) Una Linea, è perpendicolare ad un altra o ad un Piano, quando non è inclinata più dall' una che dall'altra parte ;  ed è obliqua, quando è inclinata più da una parte che dal-l'altra.:le varie Azioni avvenute al medesimo Istante per opera di Oggetti diversi; ed ogni Obliqua alle medesime Paralelle esprimerà invece varie Azioni, at-venute in diversi Istanti egualmente per opera di  Oggetti diversi (a).  100. Un solo Oggetto può fare anch'esso varie  'Azioni allo stesso tempo; come giocare e ridere, scrivere contando ec. — Quando si debbano considerare più Azioni fatte contemporaneamente dallo siesso Oggetto, bisogna accuratamente osservare; se. la natura del Discorso esigge, che si porti eguale attenzione su ciascuna di tali contemporanee Azio-ni; oppure se considerandone una come principa le, le altre debbano riguardarsi puramente come accessorie.  Nel primo caso è necessario esprimerte tutte distintamente; come pensa, giuoca e ride - scrivono e cantano ec. Nel secondo caso espressa con distinzione l'Azione principale, basta dare alle altre un aspetto di semplice Accessorietà ossia un 45-petto di Azione accompagnante (106); giacthè servono realmente ad accompagnare l'Azione prin-cipale; come giuoca ridendo, sospirando partì ec.  Cio premesso, veniamo alla dettagliata Esposizione de'varj Modi e Tempi tanto assoluti che relativi, nei quali e coi quali può farsi un Giu-  (a) Sarebbe forse impossibile combinare un Machinismo, che mostrasse ai Principianti con semplicità e quasi material mente la tessitura d' ogni isolato Sentimento o Discorso?dizio; fissando per ciascun Tempo e Modo le varie Derivazioni dalla Voce radicale essere.  PARAGRAFO UNICO  Naturo del Giudizio  10s. Secondo la diversità delle circostanze i nostri Giudizi rigúardo al Modo di esprimerli, vestono anch'essi diversa natura: Ora sono isolati, ora dipendenti, ora definiti, ora incerti, ora accompagnati da qualche particolare e marcato sentimento dell'animo, ora generici, ora congiunti a qualche condizione particolare, ora ec.; come potrà meglia rilevarsi dall'Analisi, che ne facciamo negli Articoli seguenti.  Le diverse forme sotto le quali suole o può presentarsi un Giudizio, saranno da noi chiamate Maniere o Modi del Giudizio. Questi Modi sono, da noi portati al numero di otto, cioè Generico, Dofinito, Suppositivo, Volitivo, Ottacivo, Condi-zionante, Indefinito, Interrogativo; e tratter  remo separatamente di ciascuno negli Otto Articoli seguenti, distinguendo il Modo Definito in  Indicativo e Condizionato.  ARTICOLO I.°  Giudizio Generico  102. Spesso esprimiamo di seguito due o più Giudizi riferibili ad un Oggetto medesimo, come voglio pertire, scrive ridendo 80; uno dei qualicioé voglio, scrive, forma sempre come la base primaria del sentimento, e gli altri cioè partire, ridendo sono come secondarj o accessorj - Ora è facile comprendere, che in simili casi avendo espresso con chiarezza e precisione il Giudizio pri-mario, basta indicare i secondarj anche generica-  mente Ero in i perche pecifina per Seriodari:  essi vanno inseparabilmente congiunti?  Questi Giudizi secondarj espressi cosi genericamente e considerati a motivo d'analisi separatamente dai primari, son quelli che noi chiamiamo Giudizj generici, ovvero Giudizj di Modo generico.  Dunque sebbene in un prattico Discorso non possa esistere alcun Giudizio assolutamente generico, perché tutto vi dev'essere convenientemente determinato; pure allo sguardo analitico varj Giudizj isolatamente presi si presenteranno come tali — Dunque è necessario analizarne le relative espressioni o Derivazioni, distinguendo i Giudizi generici in determinanti e accompagnanti. GENERICO DETERMINANTE Chiamiamo Determinante ogni Giudizio Generico, il quale serve a determinare ossia -a stabilire a fissare il vero e preciso valore del Giudizio primario o principale (102): Cosi in « voglio partire» partire é determinante di voglio ; giacché voglio senza partire non esprimerebbe nel caso nostro concreto un idea determinata e precisa. Infatti dicendo semplicemente ed isolatamente voglio, es- primo è vero un atto di volontà, ma di volontà indeterminata ossia non determinata; e quindi inintelligibile a chi ascolta.  105. Il Giudizio generico-determinante può es sere o presente, o passato, o futuro: Si avverta pe-nò, che in simili Giudizj questi Tempi sono tali unicamente in relazione al Giudizio principale ; e quindi propriamente sono tempi relativi a quel-to, in cui à luogo il Giudizio principale mede-simo.  I.° È presente ogni Giudizio generico-determi-nante, che à luogo al tempo stesso del Giudizio principale; e la Voce radicale essere serve ad es primerlo - Quindi abbiamo « debbo, doveva, do-vetti, dovrò, dovrei ec. essere » : Il.° È passato ogni Giudizio generico-determi-nante, che à luogo prima del Giudizio principale, ossia che si riferisce a Tempo anteriore a quello is cui avviene il Giudizio principale; e essere-stato e la Derivazione, che serve ad esprimerlo - Quindi abbiamo «debbo, doveva, dovetti, dovrò ec. es-  sere-stato ».  III.° E futuro ogni Giudizio generico-determi-nante, che à luogo dopo il Giudizio principale.  • Dover-essere, aver-da-essere, esser-per-essere e poter-essere sono le varie Derivazioni che lo es-primono; tutte peró di pochissimo uso in buon Gusto italiano (177) - Quindi abbiamo « credo, credeva, credetti, crederò, crederei ec. dover-esse-  Te, aver-da-essere, esser-per-essere ec. ».GENERICO ACCOMPAGNANTE  x06. Chiamasi accompagnante ogni Giudizio ge-nerico, il quale accompagna il Giudizio principa-.  le: Cosi in « giuoca ridendo» ridendo non la che accennare l'Azione, da cui è accompagnata quella di giuocare.  107. Il Giudizio generico accompagnante do vendo per natura agire unitamente al Giadizio principale, deve di necessità aver luogo al tempo stesso del Giudizio principale medesimo; ossia l'Azione espressa dal Giudizio accompagnante deve di necessità avvenire contemporaneamente all'Azione espressa dal Giadizio principale - Quindi il Giudizio accompagnante non può per intrinseca natura essere che presento, vale a dire contenpora  neo al Giudizio principale.  Essendo è la Derivazione per questo Giudi-zio: Quindi avremo « cantando ossia essendo can cante scrive, scriveva, scrisse, scriverà ec. ».  108. In Italiano come in altre Lingue facciamo. grand'uso dell'espressione essendo-stato, o sue equi-valenti; come « avendo scritto, detto, chiamaro ec. cioè essendo-staco scrivente, dicente, chiamante ec. »  Tal espressione a prima vista serabra quasi . enunciare un Giudizio generico accompagnante di Tempo passato; e ciò specialmente per l'analo-gia coll'espressione del Generico-determinante pas-sato, cioè essere-stato (105, II°) - Si avverta quindi, che essendo-stato è un espressione impropria ossia sostituita; e richiamando il sovrespo-sto (107) si fissi, che il Giudizio generico-accom-pagnante, stante la sua intrinseca natura valore ed essenza, non può essere che presente, cioè deve di necessità aver luogo contemporaneamente al Giudizio principale: Quindi questo Giudizio non può avere che una sola espressione, cioè essendo (107).  ARTICOLO 2.°  Giudizio Definito  10g. È definito ogni Giudizio, il quale esclude ogni ombra d'incertezza - Si avverta però che l'incertezza esclusa dal Giudizio definito, e solo tanto relativa alla persuasione in cui trovasi l'Oggetto giudicante (95), riguardo a ciò che pronun-cia; senza che questa persuasione punto influisca sull'esistenza o sussistenza di ciò ch' esprime il Giu-dizio.  Quindi il Giudizio definito ci presenta la massima certezza, non di ciò ch'esso esprime, perché potrebbe anche non sussistere; ma della persuasione in cui è l'Oggetto giudicante relativamente all'esistenza di quel che dice nel suo Giudizio - Dicendo per esempio « Pietro è virtuoso» il mio Giudizio è definito, perché di sua natura esclude qualunque incertezza. L'incertezza esclusa però è solo riferibile alla mia persuasione; perché, mentre io credo Pietro virtuoso, egli in realtà potrebbe non esser tale - Parimenti dicendo • Pietro sarebbe amabile, se studiasse» Pietro sarebbe amabile è Giudizio definito. Esso infatti la chiaramente co-noscere la persuasione in cui sono, che l' amabilità in Pietro dipende dallo studiare; benché forse anche studiando, potrebb' egli in realtà continuare ad essere inamabile.  Il Giudizio Definito può essere Indicatiso o Condizionato. DEFINITO INDICATIVO E indicativo ogni Giudizio definito, in cui si attribuisce ad un Oggetto una Qualità o un Azione colla massima possibile semplicità; e in modo che basta soltanto accennarlo o indicarlo, perché sia inteso perfettamente - V' è però qualche piccola eccezione riguardo al Tempo, cui si ri-ferisce. Quindi il Giudizio indicativo deve distinguersi in isolato e dipendente. INDICATIVO ISOLATO ' Isolato da noi chiamasi ogni Giudizio in- dicativo, esprimente in se stesso un senso completo anche riguardo al Tempo: Come « Noi siamo italiani - Egli fü promosso -Voi sarete felici ec. ». L'Indicativo isolato è sempre naturalmente riferibile ad uno dei trè Tempi passato, presente o futuro; giacchè in qualche istante di Tempo deve avvenire ciò ch'è espresso dal Giudizio. • I.° INDICATITO PASSATO-Un Giudizio indicativo è di Tempo passato, quando si riporta ad un Punto della Linea generica 97) di Tempo anteriore al punto che fissiamo come presente - Eccone le Derivazioni pel Numero e unale e plu-rale.URALE  PLURALE  io fui  noi fummo  tu fosti  voi foste  egli fù  essi furono  II.° INDICATITO FUTURo — Un Giudizio indicativo è di Tempo futuro, quando sulla Linea generica riportasi ad un Punto posteriore a quello che fissiamo come presente — Eccone le Deriva-zioni:  io sarò  I noi saremo  tu sarai  voi. sarete  egli sarà  essi saranno  • II.° INDICATITO PRESENTE — Un Giudizio indicativo è di Tempo presente, quando sulla Linea si riferisce al Punto che separa il Futuro dal Pas-sato; ed è in nostro arbitrio secondo le circostanze fissare come presente un Punto qualunque della  Linea totale - Eccone le Derivazioni :  io sono  I noi siamo  tu sei  voi siete  egli è  essi sono  : 114. La Lingua Italiana, come altre molte, à per l'Indicativo passato due Espressioni, ossia consis dera il Tempo passato e come congiunto al presente e come da esso disgiunto. Quindi per l'Indi-cativo isolato abbiamo due Tempi passati, cioé passato-congiunto e passato-disgiunto - Chiamiamo passato-congiunto quel Passato che nella suaestensione abbraccia quasi anche il Presente: E chiamiamo passato-disgiunto quel Passato, che si ritiene terminar sulla Linea in qualche distanza dal Tempo presente.  Le Derivazioni sovrespresse io fui ec. (113, II.°) servono al passato-disgiunto; e pel passato congiunto  abbiamo le seguenti:  io sono-stato  | noi siamo-stati  tu sei-stato  voi siete-stati  egli è-stato  essi sono-stati  L'uso italiano di questi due Tempi passati riuscendo a molti non facile, mi permetto di brevemente qui esporlo.  Il passato-congiunto si usa unicamente per esprimere i Giudizj riferibili al Giorno in cui si par-la, o per lo meno riferibili ad una determinata estensione di Tempo, della quale forma parte integrante il Giorno in cui si parla; come quest' an-no, questo mese ec. Quindi l'espressione di Tempo passato-congiunto deve sempre far buon senso colla  voce di Tempo oggi.  Il passato-disgiunto si usa invece per esprimere qualunque Giudizio riferibile per lo meno al Giorno che precede quello in cui si pronuncia; e però le sue espressioni debbono sempre far buon senso colla voce di Tempo jeri.    Dunque dicendo « Ho ricevuto una Lettera » s'intende, che l'o ricevuta nel Giorno in cui par-lo: E dicendo « Ricevetti una Lettera » s'intende averla io ricevuta prima del Giorno in cui parlo.INDICATIVO DIPENDENTE  1‹5. Chiamasi da noi dipendente ogni Giudizio indicatiro, la cui totale intelligenza rapporto al  Tempo dipende da un altro Giudizio; ossia è dipendente ogni Giudizio indicativo, il quale senza il concorso d'un altro Giudizio non ci presenterebbe una completa idea del Tempo, cui si riferi-sce; come « Io era — Tu sarai stato - Voi eravate stati ec. » — Quindi l'Indicativo dipendente deve sempre essere unito ad un altro Giudizio o espresso o richiamato o facilmente sottintesó.  116. Ogni Giudizio Indicativo dipendente è sempre riferibile ad uno dei tré Tempi presente-rela-civo, passato-anteriore, futuro-anteriore; come passiamo ad esporre.  I.° INDICATIVO PRESENTE-RELATIVO - Chiamiamo presente-relativo quel Tempo, il quale sebbene di sua natura assolutamente passato, pure è presente riguardo a quello in cui arvenne una data Azione o Giudizio.  E facile comprendere, che da due o più Og getti possono e quindi poterono anche farsi due o più Azioni al tempo stesso: Cosi in « lo scriveva, quando voi mi chiamaste» l'azione di scrivere è avvenuta contemporaneamente a quella di chiamare — Ora tali Azioni relativamente al Tempo in cui avvennero, confrontate l'una coll'altra, sono ossia furono reciprocamente presenti trà loro, cioè ebbero luogo in un medesimo istante - Dunque possiamo giustamente chiamarle Azioni di  Tempo presente-relativo.Se dunque consideriamo lungo varie Linee paralelle (98) Azioni diverse già consumate, saranno di presente-relativo cioé presenti frà loro, tutte quelle che trovansi in una stessa Linea perpendicolare (99) a queste paralelle - Espressa dunque una di tali Azioni in modo da far conoscere il Tempo in cui avvenne, basterà per le alire indicare che furon esse contemporanee alla medesi-ma; ed abbiamo Voci apposite per questo - Eccone le Derivazioni :  io era  I noi eravamo  tu eri  voi eravate  egli era  essi erano  II.' INDICATIPO PASSATO-ANTERIORE - Chiamiamo passato-anteriore ogni Tempo, decorso prima d'un altro che nel discorso consideriamo parimenti come. passato - Ed infatti quante volte non ci occorre di esprimere due Giudizj o Azioni passate, obligati ad indicare nel medesimo tem-po, che l'una avvenne prima dell'altra? Cosi in «Quando Tizio parti, io era già tornato dall'Accademia », il mio ritorno è avvenuto prima della partenza di Tizio: Quindi l'azione di tor-nore, anteriore a quella di partire ch' è già passata di sua natura, nel caso nostro concreto sarà giustamente chiamata di Tempo passato-anterio-  re - Eccone le Derivazioni :  io era-stato  . tu eri-stato  egli era-stato  I noi eravamo-stati  voi eravate-stati  essi erano-statiIII°. INDICATITO FUTURO-ANTERIONE - Molte volte esprimiamo un Giudizio di Tempo futuro, che deve effettuarsi primo d'un altro Giudizio parimenti futuro - In tal caso quello dei due Giu-dizj che deve effettuarsi prima dell' altro, é da noi detto Giudizio di Tempo futuro-anteriore. Cosi in «Quando avrò finito la Lezione, passeggeremo » il Passeggio non può aver luogo che dopo finita la Lezione: Quindi l'azione di finire, in se stessa futura ma che deve aver luogo prima di quella di passeggiare, sarà nel caso nostro giustamente chiamata di Tempo futuro-anteriore - Eccone le  Derivazioni :  io sard-stato  tu sarai-stato  egli sarà-stato  noi saremo-stati  voi sarete-stati  essi saranno-stati  DEFINITO CONDIZIONATO  ricari e cosi osero mi i cong la cui rea  seguimento di qualche Condizione espressa o fa-• cilmente sottintesa - Quindi il Giudizio condizio-nato, relativamente alla Condizione è sempre di sua natura futuro; vale a dire che quando si verificasse o si fosse verificata la Condizione, il Giudizio condizionato avrebbe luogo o lo avrebbe avuto sempre dopo tale verificazione.  118. Il Giudizio Condizionato può essere praticamente eseguibile o ineseguibile.CONDIZIONATO INESEGUIBILE  119. Un Giudizio condizionato è inesegribile, quando la Condizione non può più effettuarsi - Quindi il Condizionato ineseguibile non puó per intrinseca natura riferirsi a Tempo futuro: Esso quindi sarà di Tempo o presente o passato.  I.° CONDIZIONATO PRESNETE — Il Condizionato ineseguibile è di Tempo presente, quando posto il verificamento della Condizione, avrebbe luogo al momento stesso in cui si proferisce. Cosi in  * Favoritemi la scattola: se l'avessi, ve la darei vo-lontieri » l'azione di dare, verificandosi la Condizione di avere, seguirebbe al momento stesso in cui si pronuncia il corrispondente Giudizio - Ee-  cone le. Derivazioni :  io sarei  noi saremmo  tu saresti  voi sareste  egli sarebbe  / essi sarebbero  II.° CONDIZIONATO PASSATO - Il Condizionato ineseguibile è di Tempo passato, quando posto il verificamento della Condizione, il Giudizio avrebbe avuto luogo anteriormente al Tempo in cui si pro-nuncia. Cosi in « Se foste venuto, ve lo avrei detto » si vede chiaramente, che verificatasi la condizione della venuta, l'azione di dire sarebbesi effettuata in un tempo anteriore a quello, nel quale proferiamo il corrispondente Giudizio - Eccone le Deri-vazioni:io sarei-stato  noi saremmo-stati  tu saresti-stato  voi sareste-stati  egli sarebbe-stato  essi sarebbero-stati  120. Alle volte in Lingua prattica si presentano sotto apparenza di Condizionati ineseguibili, de' Giu-dizj che realmente non sono tali; questo specialmente avviene, quando si vuol esprimere un desiderio un timore e simili; come « Amerei sapere — Bramereste forse? - Ne vorrebbero un poco ec. » —  Si avverta quindi, che tali e simili espressioni difettose in natura, sono improprie ossia sostituite ; ma che al pari di tante altre furono riconosciute buone dall' Uso, il quale in punto Lingua auto-  rizo moltissimi errori.  CONDIZIONATO ESEGUIBILB  Un Giudizio Condizionato e eseguibile, quando la Condizione può ancora verificarsi: Quindi è eseguibile, quando l'espressione del Giudizio si riporta ad un Tempo posteriore a quello in cui si proferisce - Quindi il Condizionato eseguibile per natura non può essere che di Tempo fisturo. CONDIZIONATO FUTURO - La forza condizionale sempre viene espressa dalla natura del discorso. Dunque basterà semplicemente indicare, che il Giudizio condizionato è eseguibile - Ma per dire ch' è eseguibile, basta accennare ch'è di tempo futuro (121). Dunque pel Condizionato eseguibile ragionevolmente faremo uso delle Derivazioni già stabilite pel futuro dell'Indicativo (113, II.°): Come «se lo incontro, gli parlerò per voi» —Eccone quindi le Derivazioni, precedute dalla Voce condizionale e da un Verbo esprimente una Condizione generica di desiderio :  Se bramasi, io sirò  ... noi saremo  ... tu sarai  ... voi sarete  ... egli sarà  ... essi saranno  ARTICOLO 3.°  . :  Giudizio Suppositivo  123. La natura del Discorso esigge sovente, che in via d'abbondanza o d'ipotesi si ammetta come arvenuta o avvenibile una Cosa, che potrebbe anche non essere : E siccome il Giudizio che si esprime in tal caso, deve far conoscere, che l'Anima si: fonda sopra un mero Supposto; noi con ragione  Io chiamiamo Giudizio suppositivo.  Si avverta, che nei Giudizi suppositivi il Nome dell'Oggetto cardinale (82) si pone dopo la Voce di Giudizio, e che la supposizione ordinariamente suole anche esprimersi con japposita voce o parti-  cella; come pure, anche, quand-anche ec.  124. Le supposizioni potendo cadere su Cosa presente passata o futura, ogni Giudizio supposi-tivo dovrà riferirsi ad uno di questi trè Tempi.  I.° SUPPOSITITO PRESENTE - Il Giudizio suppo-sitivo è di Tempo presente, quando intieramenté riportasi al momento in cui si proferisce: Come « siate pur Voi l'offeso: Che si brama di più? » -  • Eccone le Derivazioni, accompagnate dalla particella suppositiva pure :sia pur io  I siamo pur noi  sii pur tu  siate pur voi  sia pur egli  sieno pur essi  II.° SUPPOSITITO PASSATO -Il Giudizio suppo-sitivo è di Tempo passato, quando riportasi ad un l'empo anteriore a quello in eui si proferisce:  Come «Sia pur egli stato nostro Nemico: Egli è Uomo: Dobbiamo quindi soccorrerlo » — Eccone le Derivazioni:  sia pur io stato  I siamo pur noi stati  sii pur tu stato  I siate pur voi stati  sia pur egli stato / sieno pur essi stati  III.° SUPPOSITITO FUTURO -Il Giudizio sup-positivo è di tempo futuro, quando si riferisce a Tempo posteriore a quello in cui si pronuncia:  Come u Arrivi pur egli domani, cioè sia pure ar-rivante: Che perciò ? ».  125. Le Derivazioni pel suppositivo futuro sono eguali a quelle del suppositivo présente, cioè sia pur in ec. (124, 1.").  Infatti la futurità di supposizione necessariamente si conosce dalla natura del Discorso. Dunque sarebbe inutile esprimerla colla Voce di Giu-dizio. Dunque, quando la supposizione è di Tempo futuro, la Voce di Giudizio deve solo far cono-scere, che il Giudizio è in Modo suppositivo - Ma pel Modo suppositivo abbiamo soltanto due  Espressioni, una di presente, l'altra di Tempo passato (124, 1° Il°). Dunque, rigettando quella.di Tempo passato perché diametralmente opposta al futuro, il Giudizio suppositivo futuro sarà es presso regolarmente colle Derivazioni del supposi-  tivo presente.  126. Si avverta però, che in tal caso l'Espressione del futuro materialmente è uguale a quella del Tempo presente, ma in realtà non à lo stesso significato e valore - Quindi l'Espressione o Derivazione del Tempo presente deve considerarsi sotto un doppio aspetto; e in genere come Espressione di Modo, ed in ispecie come Espressione del solo Tempo presente.  Questa Osservazione 'ci sarà utile anche per altre consimili Dimostrazioni.  ARTICOLO 4°  Giudizio Volitivo  187. Chiamiamo Volitiva ogni Giudizio, nel quale l'Oggetto giudicante (95) esprime energicamente ciò oh' ei vorrebbe; ossia ogni Giudizio nel quale l'Oggetto giudicante fa conoscere con intensità di spirito un atto di sua Valontà.  128 Ora Chi volo qualche cosa, per natura non può volere che un Bero; o questo Bene dere necessariamento dipendere a dalla esclusiva persuasione di Chi vuole, a dalla persuasione di altri Oggetti - Se il Bene dipende dalla persuasione di Chi vuolo, l'Oggetto giudicante esternando la sua Volontà, comando, Se il Bene dipende dalla persuasione di altri Oggetti, l'Oggetto giudicanteesternando la sua Volontà, o esorta o prega:  Prega, se il Bene sotto qualche rapporto riguarda anche lui stesso; e se il Bene non lo riguarda, si limita ad esortare.  Dunque il Giudizio Volitivo deve sempre esprimere o Comando o Esortazione o Preghiera.  L'Oggetto giudicante non à bisogno di esprimere con parole un atto di Volontà riguardante lui stesso; come ognuno facilmente comprende - Danque le Derivazioni di Giudizio Volitivo mancheranno ragionevolmente di Espressione per l'Oggetto giudicante, se uno ; giacché essendo più gli Oggetti giudicanti, possono anzi debbono comunicarsi reciprocamente la loro Volontà. Finalmente un atto qualunque di Volontà non può riferirsi al Tempo, che più non é; nulla potendo variare il Passato - Dunque il Giudizio Volitivo sarà necessariamente di Tempo o presenta o futuro. Si faccia attenzione, che nei Giudizj Volitivi il Nome dell'Oggetto cardinale (82) si pospone alla Voce di Giudizio, anzi praticamente con più eleganza si tralascia, specialmente nel futuro.  I.° VOLITIrO PRESENTE- Un Giudizio Volitivo dicesi di Tempo presente, quando deve ese-guirsi o al momento in cui si pronuncia, o nell'istante immediatamente successivo; giacché se l' eseguimento di ciò ch' esprime il Giudizio, non dipende dall'Oggetto giudicante, é impossibile che sia effettuato nell'istante medesimo in cui si proferisce — Eccone le Derivazioni :....:  siamo noi  sii tu  siate voi  sia egli  siano essi  II.° VOLITITO FUTURO — Un Giudizio volitivo è di Tempo futuro, quando si riporta ad un Tempo posteriore a quello in cui si proferisce; ritenendo però la Definizione sopra fissata pel Volitivo presente - Eccone le Derivazioni senza Nome di Oggetto cardinale:  ....•  saremo  sarai  sarete  sara  saranno  *31. Si avverta, che in prattica invece del Futuro usiamo spessissimo il Volitivo presente, la futurità essendo in tal caso espressa dalla natura del discorso (126).  ARTICOLO  5.°  Giudizio Ottativo  132. Siamo non di rado nella situazione di de siderare energicamente qualche cosa - In tal caso esprimiamo un vivo sentimento dell'animo con un Giudizio accompagnato da desiderio ossia con un Giudizio ottativo, dalla voce latina optare che significa desiderare.  Si avverta, che il Giudizio ottativo suole nel discorso essere accompagnato da qualche particel-la, come oh e simili; e che dev'essere in iscrittomarcato col cost detto Punto ammirativo, che in questo caso sarebbe meglio chiamato segno di de-siderio.  Si avverta inoltre, che nei Giudizj ottativi il Nome dell'Oggetto cardinale (il quale può esser anche taciuto) si pone dopo la Voce di Giudizio.  Il Giudizio Ottativo può come il Condizio nato (118) essere eseguibile o ineseguibile. OTTATIVO INESEGUIBILB Un Giudizio ottatiro è ineseguibile, quando il Desiderio che lo accompagna, praticamente non può ellettuarsi più. Quindi l' Ottativo ineseguibile esclude di sua natura il Tempo futuro, appunto perché altrimenti cesserebbe d' essere ine-seguibile. Quindi ogni Giudizio ottativo ineseguibile sarà di tempo o passato o presente. I.° OTTATITO PRESENTE —Il Giudizio Ottativo è di Tempo presente, quando posta l' effettuazione. del Desiderio, ciò ch' esprime il Giudizio avrebbe luogo anche al momento in cui si proferisce:  Come « Oh foss' io vostro Generale! »-Eccone le  Derivazioni :  Oh foss' io !  | Oh fossimo noi!  fossi tu !  ... foste voi!  foss' egli !  fossero essi!  II.° OTTATITO PASSATO —Il Giudizio Ottativo e di Tempo passato, quando posta l' effettuazione del Desiderio, ciò ch' esprime il Giudizio avrebbe avuto luogo prima del momento in cui si proferi-sce: Come « Oh foss' io stato più forte! » - Ec-.  cone le Derivazioni:  Oh foss' io stato!  I Oh fossimo noi stati!  fossi tu staro! ! ...  foste voi stati!  foss'egli stato! | ... fossero essi stati !  OTTATIVO ESBGUIBILE  135. Un Giudizio ottativo é eseguibile, quando il desiderio che lo accompagna, può ancora effettuarsi - Quindi l'Ottativo eseguibile non può per intrinseca natura essere che di Tempo futuro.  • 136 OITATIVO FUTURO — Le Derivazioni per quest' Ottativo futuro sono eguali perfettamente a quelle dell'Ottativo presente « foss'io! er. (134, I°): e ciò per la ragione che abbiamo addotto (126) relativamente al Giudizio suppositivo; vale a dire che l'Espressione di presente deve considerarsi in genere come Espressione di Modo, ed in ispecie come Espressione del solo Tempo presente. Quindi il sentimento può solo farci conoscere il vero Tem-po, cui si riferisce il Giudizio Ottativo - Questa cognizione però è della massima facilità Infatti chi non vede, che i Giudizj Oitativi « Oh mi scrivesse col primo Ordinario! Oh giugnessero almeno domani! ec.» sono Giudizj unicamente riferibili a  Tempo faturo?  AVVERTENZA  137. Autorizati dall'uso molte volte al Modo ottativo sostituiamo delle. Espressioni di apparenzacondizionale: Come « Vorrei essere! Vorrei essere stato! ec.» invece di « Oh fossi! Oh fossi sta-to! ec. »— La natura del discorso però ci farà ca-noscere facilmente, che tali e simili Espressioni sono sostituite; e l'Analisi vuole, che sappiamo riportarle alla originaria loro forma e natura.  ARTICOLO 6.°  Giudizio Condizionante  ‹38. Chiamiamo condizionante ogni Giudizio esprimente la Condizione, sulla cui verificazione si appoggia un Giudizio Condizionato qualunque («17) - Il Giudizio condizionante può riferirsi a Tempo presente, passata, o futuro; e il suo Distintivo consiste nell' essere accompagnato dalla particella se (francese si) o sua equivalente —La Voce se à anche molti altri significati.  Quindi si fissi, che non sempre nel discorso è particella condizionante, e che il solo sentimento puo farci praticamente conoscere il suo vero valore.  I.° CONDIZIONANTE PASSENTE - Il Giudizio condizionante è di Tempo presante, quando cio ch'esso esprime si riporta all'istante in cui si pro-nuncia: Come « Se ne avessi, ve ne darei » -  Eccone le Derivazioni:  Se io fossi ... tu fossi  d. egli fosse  ‹ Se noi fossimo ... voi foste  ... essi fosseroII.' CONDIZIONANTE PASSATO-Il Giudizio condizionante è di Tempo passato, quando ció che  avuto, ve ne avrei dato certamente » - Eccone le  Derivazioni :  Se io fossi stato  |• Se noi fossimo stati  ... tu fossi stato  | ... voi foste stati  ... egli fosse stato ... essi fossero stati  III.° CONDZIONANTE FUTURO - Il Giudizio condizionante è di Tempo futuro, quando ció ch'esso esprime, si riporta ad un Tempo posteriore a quello in cui si pronuncia. Come « Se lo incontrerò oppure se lo incontro, gli parlerò»; dove è evidente, che l'Incontro deve ancora seguire.  Le Espressioni del Condizionante futuro si prendono dal futuro Indicativo (173, II.°) - Infatti la forza Condizionante essendo espressa dalla Voce se o sua equivalente, la Voce di Giudizio non deve indicare che il Tempo. Quindi giustamente facciamo uso del Futuro Indicativo - Eccone dunque le Derivazioni:  Se io sarò  I Se noi saremo  ... tu sarai  -  ... voi sarete  ... egli sarà  ... essi saranno  Siccome poi quando la futurità è espressa dal-l'intrinseca natura del Giudizio, basta che indichiamo il Modo del Giudizio medesimo, e siccome l'espressione generica di Modo è riposta nelleDerivazioni del Tempo presente (285 e seg.); cosi nel discorso praticamente quasi sempre esprimiamo il Condizionante futuro col presente Indi-  cativo; cioè  Se io sono ... tu sei  ... egli é  | Se noi siamo ... voi siete  ... essi sono  ARTICOLO 7.°  Giudizio Indefinito  139. Indefinito cioè non definito chiamiamo ogni Giudizio accompagnato da qualche incertezza relativamente all'esistenza di ciò ch' esprime il Giudizio medesimo. Cosi negli esempj seguenti l'espressione arrivino è indehnita, ossia non presenta che un Giudizio indefinito; giacché questo  Giudizio non ci dà di se stesso alcuna certezza :  • « Mi pare, che arrivino - Credo che arrivino - Si dice, che arrivino = Voglio, che arrivino ec. »  Tale Materia s'intenderà meglio dopo avere attentamente ponderato ciò ch'esporremo in seguito (181 e seg.) - Qui intanto fisseremo le espressioni o Derivazioni pel Giudizio Indefinito, avvertendo, 1.° che son esse uguali a delle Derivazioni per altri Modi espresse finora; 2.° che tali Derivazioni in Italiano debbono essere precedute dal che, il quale però qualche volta si può anche tralasciare; 3.° finalmente che questo che è preceduto sempre esso stesso da un Giudizio o Verbo determinando (471), il quale per ora sarà da noi chiamato Verbo o Giudizio precedente.840. Il Giudizio Indefinito può riferirsi a qualunque Tempo tanto assoluto che relativo; giacché dapertutto può al nostro spirito presentarsi del-l'incertezza.  I.° INDBFINITO PRESENTE-ASSOLUTO - Un Giudizio indefinito è di Tempo presente-assoluto, quando ciò ch'esso esprime, si riporta al momento in cui si proferisce: Come «Mi pare, che sia giorno » - Eccone le Derivazioni :  Si crede, ch'io sia  1 .. che noi siamo  .. che tu sii  / .. che voi siate  .. ch'egli sia  / .. ch' essi sieno  II.' INDEFINITO PRESENTE-ABLATITO - Un Giudizio indefinito è di Tempo presente-relativo, quando é contemporaneo al Giudizio espresso dal Verbo precedente (139), il quale di sua natura  Si credeva, si credette ec.  ch'io fossi  | che noi fossimo  che tu fossi  I che voi foste  ch'egli fosse  I ch'essi fossero  III.° INDEFINITO PASSATO - Un Giudizio indef-nito è di Tempo passato, quando si riferisce ad epoca anteriore al momento in cui si pronuncia:  Come « Credo, che sieno stati vincitori.» - Eocone le Derivazioni :Si crede,  ch'io sia state  che tu sii stato ch'egli sia stato  ‹ che noi siamo stati | che voi siate stati I ch' essi sieno stati  IV. INDEFINITO FUTURO-ASSOLUTO - Un Giudizio indefinito è di Tempo juturo-assoluto, quando si riferisce a Tempo posteriore a quello in cui si pronuncia: Come « Credo, che sarete lodati ».  Ogni Giudizio riguardante l' Avvenire è indefinito ossia incerto di sua natura; giacché delle Cose future non può mai aversi certezza assoluta — Quindi l' Indefinito futuro sarà giustamente espresso dalle Derivazioni del futuro Indicativo (113, II.°).  Ed infatti per dare a conoscere che un Giudizio è indefinito, basta indicare che si riporta a Tempo futuro. La diversità poi esistente trà il Futuro de-Enito e indefinito, è marcata dalla voce che, la quale deve sempre precedere il Giudizio indefini-to; o meglio è marcata da ciò, che il Futuro indefinito deve inseparabilmente esser congiunto ad un Giudizio precedente (139), e il definito nó - Ecco pertanto le Derivazioni dell' Indefinito futuro assoluto:  • Si crede, ch'io sarò  1 .. che noi saremo  .. che tu sarai | .. che voi sarete .. ch'egli sarà | .. ch' essi saranno  V. INDEFINITO FUTURO-RELATIVO — Chiamiamo di Tempo futuro-relativo ogni Giudizio inde- . finito ch'è futuro non in se stesso, ma relativanenteal Tempo in cui avviene il Giudizio espresso dal  Verbo precedente, il quale di sua natura der'es-sere passato: Come « Io riteneva, che gli Amici arriverebbero oppure sarebbero arrivati a mezzo-giorno: E già notte; é ancora non si vedono » - Eccone le Derivazioni, le quali si prendono dal Condizionato presente o passato (119), come più piace:  Si credevo, si credette ec.  ch'io sarei  che tu saresti ch'egli sarebbe  I che noi saremmo che voi sareste ch'essi sarebbero  ovvero  ch'io sarei stato  I che noi saremmo stati  che tu saresti stato che voi sareste stati ch'egli sarebbe stato i ch'essi sarebbero stati  Si avverta, che molte volte per esprimere questo Futuro-relativo facciam uso d'un qualche Verbo ausiliario; come potere, dovere, ivolere ec. Cost invece di dire «Pensai che partirebbero, o che sarebbero partiti» comunemente diciamo « Pen-sai, che volessero partire, oppure che potessero partire, oppure che dovessero partire, oppure che fossero per partire» secondo la diversa natura del discorso e delle circostanze.  VI.° INDEFINITO PASSATO-ANTERIORE - Un Giudizio indefinito è di Tempo passato-anteriore, quando si riporta ad un Epoca anteriore a quella  • del Giudizio precedente, la quale deve pur essere passata: Come «Quando giunsi, molti per-savano che fossi stato ferito »- Eccone le Derivazioni :  Si credeva, si credette ec.'  ch'io fossi stato  che noi fossimo stati  che tu fossi stato  che voi fuste stati  ch'egli fosse stato  ch'essi fossero stati  VII.® INDEFINITO FUTURO-ANTERIORE - Un Giudizio indefinito è di Tempo futuro-anteriore, quando si riporta ad un Epoca futura in se stessa, ed anteriore ad un altra Epoca la quale dev'essere parimenti futura. Quindi l' anteriorità dell' Indefinito futuro-anteriore non à alcuna relazione col Giudizio precedente, il quale può essere indifferentemente di Tempo presente o futuro secondo le cir-costanze: Come « lo tornerò alle due pomeridiane; e spero, che queste Lettere al mio ritorno saranno state spedite ».  Per la ragione addotta superiormente (IV.®)  le Derivazioni dell' Indefinito futuro-anteriore sono eguali a quelle del Futuro-anteriore indicativo  (116 III.°) - Eccole :  Si crede ec.  che ..... io sarò stato | che... noi saremo stati  tu sarai stato |  voi sarete stati  0apa........  egli sarà stato |  essi saranno stati  AVVERTENZA  Sui Giudizj Condizionati  34s. I Giudizj Condizionati (117) possono essereIndefiniti ancor essi; e questo propriamente sua cede, quando anche dato il verificamento della Condizione, siamo tuttavia incerti se il Giudizio condizionato avverrebbe o sarebbe avvenuto: Come «Ritengo che i nostri soldati sarebbero vittoriosi, se avessero attaccato subito il Nemico - Ritengo che i nostri soldati sarebbero stati vittoriosi, se aressero attaccato subito il Nemico -Ritengo che i nostri soldati saranno vittoriosi, se attaccheranno  subito il Nemico ».  Per ciò che riguarda i Tempi e le Derivazio-ni, i Giudizj Condizionati Indefiniti sieguono precisamente le Teorie già esposte pei Condizionati  Definiti (119 e seg.).  ARTICOLO 8.°  Giudizio Interrogativo  1/2. I Giudizj sono molte volte accompagnati da Interrogazione; ed allora noi li chiamiamo in-terrogativi.  La Domanda indica naturalmente l'Incertezza d' esistenza di ciò ch' esprime il Giudizio: Quindi i Giudizj Interrogativi sono di loro natura Indefiniti.  Siccome però l'Incertezza dell'Espressione del Giudizio è bastantemente indicata dall'Interrogazio-ne; cosi ne'Giudizj Interrogativi si la uso delle Derivazioni già fissate pei varj Tempi del Modo Definito tanto Indicativo che Condizionato (113 e seg.) — Si avverta però, che negli Interrogativi il Nome di Oggetto cardinale (che molte voltepuò tralasciarsi) si pospone alla Voce di Giudi-zio; e che in iscritto i Giudizj Interrogativi deb-bon essere marcati con un segno particolare, detto segno interrogativo - Quindi avtemo :  Son io? Sei ti? Era io? Eravate voi? Saremo noi? Saresti tu? ec.  143: Il Giudizio Interrogativo può essere semplice o enfatico - È semplice, quando unicamente e nudamente chiediamo ciò ch' è espresso dal Giu-dizio: Come « Che fate? Dote andarono? Quando tornò? ec. »— E enfatico, quando la domanda e accompagnata da un forte sentimento dell'animo; per esémpio da un sentimento di sdegno, d'orrore, di dubbio, di timore, d' insulto, di scherno ec.:  Come « Che si pretende da me? Dunque è finita per noi? E vederla potrei? Voi l' uccideste, voi? ec.».  Gl' Interrogativi tanto semplici ch' enfatici si esprimono colle stesse Derivazioni, ed in iscritto colla stessa punteggiatura. Esséndo però in natura diversi trà loro, tale diversità dovrà parlando es ser espressa da una diversa inflessione di voce _ È molto difficile pronunziar berie le Interrogazioni enfatiche, come pure ogni altra enfatica espressione qualunque; né può assegnarsi regola per questo. Si fissi però, che per ben proferirle è necessario vivamente sentirle nel fondo dell'anima; e che la loro pronunzia deve praticamente essere tanto varia, quanto son diversi trà loro l'Odio, l'Irisulto, la Disapprovazione, l'Orrore ec.Sulla Voce di Giudizio  144. Nel fissare le varie Derivazioni dalla italiana generica Voce di Giudizio essere, per i Tempi formati da due Parole o introdotto un tratto d'unione, che la Lingua italiana non usa. Con questo segno o inteso unicamente avvertire ; che le due Parole sarò-stato, era-slalo ec. formano una sola semplicissima idea, com'era in latino fuero, fueram cc.; che desse né possono né debbono considerarsi separatamente; e che la prima di queste due Parole non è che un puro segno, nè à più quel valore che sogliamo attribuirle, quando agisce da sola.  Questa Osservazione conduce naturalmente ad un altra, cioé che in ogni Lingua una stessa Parola può avere varj significati; e ch'é impossibile conoscere a fondo una Lingua, finché non sappiamo in ogni prattica circostanza attaccare a ciascuna Parola l'esclusivo suo valore - Essere per esempio in tutte le varie Lingue da me conosciu-te, ora e Voce di Giudizio, ed ora significa stare:  Cosi werden in Lingua Tedesca ora significa di-ventare, ora è puro segno di Tempo, ed ora è  Voce di Giudizio - Se i Signori Grammatici avessero analizato quanto conveniva e com'era loro dovere, noi non avremmo dalla Lingua Tedesca le barbare Traduzioni grammaticali « io divento amare invere di anierò» tu diventi amato invece di sei amato «egli diventerebbe amato avere invece di avrebbe amato » e simili.Povero Buon-Senso! Egli é sepolto sotto un ammasso enorme di ciecamente venerate Assurdi-tà; essendo vero pur troppo, che «En général l'Homme tient à ses Habitudes, comme il tient d son Culte, à ses Institutions. La Paresse qui lui est naturelle, et l' Ignorance qui en est la suite, sont de nouvelles raisons, qui lui font préfères le chemin battu à la peine d' en frayer un nou-veau - Il aime mieux croire sur parole, que de prendre la Raison pour guide (Maudru).  CAPO III  Derivazioni dalle Radici di Rapporto  145. Le Voci di Rapporto generalmente sono stubili, vale a dire non danno alcuna Derivazione — Abbiamo peró tré Rapporti, cioè di Numero di Tempo e di Tungo, che debbon essere particolarmente analizati; e perché molte delle loro  Radici che chiameremo variabili, danno Deriva-zioni; e perché sono per natura d' un uso frequentissimo nel Discorso.  ‹46. Relativamente alle Voci di qualunque altro  Rapporto si fissi poi per Regola generale, ch' esse o non danno alcuna Derivazione, o danno una Derivazione di Nome qualitativo come le Radici di Luogo, di cui il seguente:Dalle Radici di Luogo  Dalle Radici variabili di Luogo deriva un Nome qualitativo come da quelle di Oggetto (73); e questa Derivazione si usa, quando con una sola parola e in via di Qualità vogliamo esprimere il Luogo dell'Oggetto: Cosi da « sopra, sotto, avanti, dentro ec.» abbiamo i Qualitativi « superiore, interiore, anteriore, interna ec. ». PARAGRATO D° Dalle Radici di Tempo Dalle Radici variabili di Tempo abbiamo una Derivazione di Qualità, come da quelle di Luogo (147): Cosi da oggi, jeri, demani ec. abbiamo odierno, di-jeri, di-domani ec. (in latino hesternus, crastinus ec.) ‹49. Trà le Derivazioni dalle Radici di Tempo esiggono particolare attenzione alcune, che chiameremo Espressioni estese di Tempo. Queste sere vono ad esprimere una Estensione di Tempo; esten-sione, la quale comincia dall' Istante o Aggregato d'Istanti considerato come presente, e la quale si prolunga fin dove richiede il Discorso.  Tali Espressioni poi si riferiscono a Tempo o passato o futuro: Quelle di Tempo passato sono « un ora fa —trè anni fa -cinque secoli fà, e simili »: Quelle di Tempo futuro sono « da qui ad un ora — da qui a trè mesi - da qui a dieci anni, e simili ».Dalle Radici di Numero  150. Le Radici di Numero sono uno, due, trè ec.; e da esse abbiamo in genere cinque Deri-vazioni, che sono: 1.° Un Sostantivo-astratto; come « Unità, Ambo, Terno, Decina ec. »: 2.° Un Nome qualitativo ossia ordinale; come « primo, secondo, terzo, decimo ec.»: 3.° Una T'oce mul-tipla; come « doppio, triplo, decuplo ec. "»:  4.° Una Voce aliquota; come « sudduplo, sut-triplo, suddecuplo ec »: 5.° Un Espressione di ripetizione costante; come « a uno a uno, a due a due, a sei a sei, a dieci a dieci ec. »:  AVVERTENZA  Sulle Derivazioni in genere  85r. Da quasi tutte le Voci Derivate, tranne quelle della Voce di Giudizio, si ànno o almeno si possono avere delle nuove Derivazioni. Quindi le Voci Derivate debbono distinguersi in Voci di primo e di seconda Derivazione - Sono di prima quelle, che direttamente e immediatamente procedono da Voce radicale; e quelle che procedono da Voce derivata, sono da noi dette di seconda De-rivazione.  Dunque dalle Voci derivate potendosi avere altre Derivazioni, è necessario fissare, che ogni Voce Derivata deve considerarsi come Radicale; e quindi, che le teorie finora esposte per le Voci ra-dicali, sono interamente applicabili alle Voci De-rivate, quando però non ripugnino all'intrinseca  loro natura.  Si avverta fnalmente, che non tutte le Voci, sia radicali sia derivate, presentano pratticamente tutte le finora enumerate Derivazioni.  SEZIONE TERZA  VOCI SOSTITUITE  152. Sostituite chiamiamo (5) quelle Voci ed Es pressioni, che per vezzo eleganza chiarezza o brevità sogliono dall'Uso porsi in luogo d'altre Voci conosciute o di altre regolari Espressioni.  Le Sostituzioni sono in ogni Lingua moltissi-me; ed e facile ravvisarle analizando praticamente un Discorso qualunque. Tralascio pertanto di qui farne anche la più semplice Esposizione,  rimet-  tendo questa Materia interamente al Criterio analitico di chi stimerà non inutile occuparsene qualche istante.  Avverto poi, che non è possibile scriver bene in una Lingua straniera, quando non si sappiano conoscere e fare nella propria Lingua tutte le possibili sostituzioni; a meno che non s'imparasse la Lingua straniera unicamente per prattica, come da molti suol farsi della propria Lingua natia.DELLE VOCI PARTI DEL DISCORSO  153. ANALIzaTE finora le Voci isolatamente prese, ossia come Elementi del Discorso, dobbiam ora considerarle come Parti del Discorso; vale a dire dobbiamo considerare l'Ufficio la Posizione il Valore delle une relativamente alle altre, in quanto ché prese insieme formano un sentimento completo.  La Determinazione delle Voci indeterminate e le varie possibili Situazioni degli Oggetti formeranno le due Sezioni di questa Seconda Parte della nostra Analisi di Linguaggio.  SEZIONE PRIMA  DETERMINAZIONE DELLE VOCI  154. Abbiam visto che le Voci tanto di Oggetto (12) che di Azione (80) possono essere e sono nella massima parte indeterminate. Ora una Voce indeterminata non esprime e non presenta allo Spirito che una generica Idea. È vero, che qualche volta la natura del Discorso esigge unicamenteche sia indicata questa Idea generica; ma é pur vero, che le Voci indeterminate, onde avere idee chiare giuste e precise delle Cose, debbono spes  sissirho determinarsi parlando.  È quindi necessario esporre dettagliatamente tali Determinazioni, tanto per gli Oggelli che per le Azioni.  CAPO I.  Determinazione degli Oggetti  155. I Sostantivi indeterminati cioé esprimenti un Oggetto indeterminato (42), in Italiano come in altre Lingue molte si distinguono dai determinati col mezzo d'una piccola Voce il lo la ec. chiamata comunemente Articolo - Quindi l' Articola non è che « Segno di Oggetto indeterminato ». Quindi ogni Sostantivo cui si antepone o può anteporsi l'Articolo, é indeterminato di sua na-  ura.  S'incontrano molte volte coll'Articolo dei Sostantivi di loro natura determinati. In tal caso però si avverta, che frà l'Articolo ed il Nome è sempre sottinteso un Sostantivo indeterminato di facile so-stituzione; e quindi che l'Articolo appartiene propriamente a questo sottinteso Sostantivo: Cosi « il Pò, il Sole, l'Europa, la Lombardia ec. » significano « il fime detto Pò -l'Astro chiamato Sole —la Parte del Globo detta Europa - la  Parte d' Italia detta Lombardia ec. ».  .. 156. Ogai Oggetto o Sostantivo indeterminato,quando al discorso non basta la sua generica idea;  deve di necessità convenientemente determinarsi - Ma in Natura non esistono che Cose, Giudizj e  Rapporti (7). Dunque la Determinazione d'un Oggetto dipenderà necessariamente da uno o più di questi generali trè Capi d'Esistenza.  15. Ma i Giudizj non sono che Azioni men-tali: I Rapporti sono sempre determinanti di loro natura, anzi nel discorso precisamente non fanno altro che determinare; e però basta semplicemente accennarli - Dunque limitarci possiamo a parlare delle sole Determinazioni dipendenti da Cose, ossia (9) da Oggetti Azioni e Qualità, tanto radicali che derivate.  Dunque riguardo agli Oggetti o loro Nomi indeterminati analizeremo successivamente i Qualitativi i Sostantivi ed i Verbi determinanti-og getto, cioè che ficano l'Idea precisa, la quale in ogni prattico Discorso deve da poi attaccarsi a qualunque Sostantivo che di sua natura sia indeter-minato. PARAGRAFO 1.° Qualitativo determinante-oggetto Ogni Nome qualitativo è di sua natura determinante aggetto, com'esprime la voce stessa qualitativo cioè qualificante - Quindi se un Oggetto indeterminato debba prendere la necessaria determinazione da una Qualità, basterà unire semplicemente il nome di Qualità a quello di Ogget-to: E il Distintivo del Qualitativo determinan-te-oggetto, consiste appunto in tale unione; come «l'Uomo dotto, il Principe giusto ec.». ‹6o. Analizando gli Esempi qui addotti ed altri simili, è facile comprendere in che precisamente consista la Determinazione di Oggetto, la quale proviene da Qualità - L'Uomo per es. esprime un Idea generica, comprendente tutti gli Uomini, e quindi applicabile a qualunque Individuo della specie. Unendo però al sostantivo Uomo il qualitativo dotto, io ne limito l'Idea generica, escludendo i moltissimi non dotti; ossia colla voce qualitativa dotto determino l'Idea precisa, che nel prattico discorso devesi attaccare alla parola Uomo.  Dunque ogni Qualitativo unito ad un Nome di Oggetto, non serve che a determinare l'Idea dell'Oggetto medesimo; e ci convinceremo sempre più di questa verità, osservando che gli Oggetti di loro natura determinati non possono mai essere uniti a Nome qualitativo. PARAGRATO 2° Sostantivo determinante-oggetto Il determinare un Oggetto col mezzo d'un altro Oggetto è cosa comunissima in ogni Lingua, • e serve mirabilmente a diminuire il numero delle Parole — Ma un Oggetto che in una data circostanza ne determina un altro, non è sempre ed in ogni discorso egualmente determinante - Dunque ogni Sostantivo, quando sia determinante-og-  getto, avrà il Distintivo suo particolare.      163. In Italiano tal Distintivo consiste nella particella di, la quale trovasi spesso unita all'Articolo (155), avendosi allora del della ec. equivalenti a di lo, di la ec. - Nelle Espressioni « la Casa di Pietro, il Calore del Sole ec. » Pietro e Sole sono Sostantivi rispettivamente determinanti gli Oggetti Casa e Calore; e però sono preceduti dalla particella di.  Credo superfluo far osservare in che precisamente consista la Determinazione, che un Oggetto prende da un altro - Dicendo per es. la lasa, esprimo un Idea generica applicabile a qualunque  Casa. Ma se per la natura del Discorso mi é necessario precisare la Casa di cui parlo, e se questa Casa è del comune Amico Pietro; basta, che al Nome indeterminato Casa unisca quello di Pietro col mezzo della particella di, caratteristico Distintivo dell'Ufficio che fà in questo Discorso il sostantivo Pietro.  Si noti, che la particella di per difetto di Lingua in Italiano à varj significati; e quindi che il Sostantivo seguente tale particella, non é sempre determinante-oggetto - Questa Materia, come altre consimili, è di somma importanza specialmente per passare dalla propria alla fondata cos gnizione di altre Lingue; ma è difficile, e non può ben conoscersi che col molto analizare e possedendo lo spirito metafisico del Linguaggio,Verbo determinante-oggetto  Spessissimo per determinare un Oggetto ci serviamo d'un Azione, ossia d'un Verbo ch' è la Voce destinata ad esprimere l'Azione — Ma un Verbo non sempre si trova nella situazione di de-terminante-oggetto. Quando sia tale, avrà dunque nella Lingua il suo particolar Distincivo. Il Distintivo del Verbo determinante-og-getto in Italiano consiste nell' esser esso preceduto dalla Voce quale coll' Articolo; avvertendo, che alla voce quale sogliamo guasi sempre sostituire  la voce che - Dunque la Voce quale unita al-  l'Articolo, non è che « Segno di Verbo determi-nante-oggetto ». Dunque saremo certi, che un Verbo è determinante-oggetto ognivolta che sia preceduto da il quale, la quale ec. - Quindi pensa parla fugge ec. in «l'Uomo, il quale oppure che pensa che parla che fugge ec. » sono Azioni ossia Verbi praticamente determinanti l'Oggetto Uomo; e però sono preceduti da il quale o dalla equivalente sostituzione che.  CAPO  II  Determinazione delle Azioni  ‹66. Dato un Verbo  indeterminato cioè espri-  mente un Azione indeterminata (20), è sovente necessario determinare l'Azione espressa dal medesimo — Ma un Azione non può essere determi-nata da Qualità; perché le Qualità per loro natura (‹5) non anno né possono avere relazione alcuna colle Azioni. Dunque, richiamando il già stabilito per i generali trè Capi d'Esistenza (156) e per i Rapporti (157), possiamo limitarci a par-  Care de eDe mia Giuderio e eatche le Azioni  e da Azione ossia  espresse verbalmente (26) si riducono tutte a Giu-  dizj (a).  xti. Dunque ogni Verbo indeterminato, quando al Discorso non basti l'Idea generica espressa dal medesimo, dovrà sempre essere accompagnato o da un Sostantivo o da un Giudizio determinante-azio. ne, cioè che fissi il vero punto di vista, sotto cui deve nel discorso riguardarsi una di sua natura indeterminata Azione qualunque.  PARAGRAFO I.°  Sostantivo determinante-azione  .  168. E determinante-azione ogni Nome di Og-getto, il quale precisa l'Idea che deve prattica-  (a) In Natura ogni Giudizio è Azione; ma non ogni  Azione è Giudizio - Essendo però impossibile in un prattico sensato discorso esprimere un Azione senza contemporaneamente giudicare, ne siegne che le Azioni espresse verbalmente possono con ragione considerarsi come Giudizj.  Se la Voce di Giudizio è nelle Lingue unita quasi sempre a quella di Azione in una sola Parola, devesi ripetere singolarmente dalla impossibilità di esprimere sensatamente un  Azione senza proferire al tempo stesso analogo Giudizio.mente attaccarsi ad un Verbo indeterminato: Cosi in « Cesare premiava i Soldati » il Nome Soldati serve a determinare l'azione di premiare - Ma un Sostantivo non sempre nel discorso é determi-nante-azione. Dunque quando lo sia, aver deve il suo particolar Distintivo.  s6g. In Italiano, ad eccezione del Nome singa lare degli Oggetti Giudicante e Ascoltante cioè me e te, e di qualche terzo Pronome come lui lei loro ec., il Sostantivo determinante-azione è sempre uguale perfettamente al Sostantivo cardinale (185). Si avverta però che il Nome cardinale corrisponde al così detto Norninativo, e il Nome determinante-azione corrisponde al cosi detto. Ac-cusativo.  870. Un Sostantivo indeterminato alle volte deve accennare al singolare una Parte indefinita del-l'Oggetto, ed al plurale un Numero indefinito degli Oggetti, ch' esprime il Nome. Tale indefinita  Situazione del Sostantivo dev'essere indicata parti-colarmente; ed in Italiano la esprimiamo al singolare con del o della, ed al plurale con dei o delle.  Ora i Sostantivi in tal modo indefiniti, possono anch'essi determinare le Azioni: Come « Datemi del Danaro, della Carta ec.; o visto dei Soldati, delle Schiere er. ». Quindi in Italiano il Sostantivo determinante-azione sarà alle volte preceduto da una di quelle Voci, che sogliono comunemente essere segni del Sostantivo determinan-te-oggetto (163), cioé del dello dei delle — Si fac-cia pertanto la debita attenzione, onde stante la difettosa eguaglianza di segno, non abbia a prendersi per determinante-oggetto un Sostantivo de-terminante-azione; vale a dire in termini gram-maticali, onde non abbia a prendersi per Genitivo un vero Accusativo.  PARAGRATO 2°  Giudizio determinante-azione  È determinante-azione ogni Verbo o Giu-dizio, che serve a fissare precisamente l'Idea ed il valore che dobbiamo dare praticamente ad un Azione indeterminata qualunque: Cosi in « Sento cantare — Voglio che partiate - Vedo che arrivano ec." cantare, partiate, arrivano servono rispettivamente a determinare le Azioni o Giudizj espressi da sento voglio vedo, che chiameremo Verbi o Giudizj determinandi — Ora un Giudizio determinante-azione nel Discorso non à sempre quest' Ufficio medesimo. Dunque quando è tale, esigge la necessaria chiarezza, che abbia il suo particolar Distintivo. In Italiano il Distintivo del Giudizio deter-minante-azione consiste o nell'esser espresso in Modo Generico determinante (104 e seg.), o nell'essere preceduto dalla Voce che; di cui dobbiamo estesamente parlare dopo la seguente essen- zialissimaSui Giudizj determinanti-azione  173. Abbiamo detto (173), che i Giudizj deter-ininanti-azione o si esprimono in Modo generico, o si fanno precedere dal che. È quindi della massima importanza conoscere, quando debbano usarsi col che e quando in Modo generico - Parimenti è molto essenziale sapere con qual Tempo in ciascun incontro debba esprimersi un Giudizio deter-minante-azione.  Ora per giugnere a tali cognizioni bisogna attentamente esaminare, e la Natura dell'Oggetto Cardine del Giudizio determinante, e le Circostanze del Giudizio medesimo; come passiamo partica-mente ad esporre nei due Articoli seguenti.  ARTICOLO 1.°  Modo pei Giudizj determinanti-azione  Ogni Voce di Modo Generico determinante (104 e seg.) esprime per natura e Giudizio, e Tempo in cui questo si eseguisce; ma non indica l'Oggetto Cardine di Giudizio (82) - Dunque i Giudizj determinanti-azione saranno espressi in Modo Generico, ognivolta che non sia necessario nominare il loro Oggetto cardinale; e quando l'Oggetto cardinale deve nominarsi, saranno espressi col che. Ora l'Oggetto cardinale non deve esprimer-si, e quando fù preventivamente nominato, equando si accenna un Azione genericamente - Dunque :  I.° Il Giudizio determinante-azione si esprime al  Modo generico: 1.° Quando il Giudizio determinante accenna un Azione in genere, senza riguardo alcuno all'Oggetto che la eseguisce; come «Sento cantare, Sentii piangere ec.»: 2.° Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio determinante è quello stesso del Verbo determinando; come » Voglio par-tire, Voi credete essere, Pensavano tornare ec. »:  3.° Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio determinante fü già chiaramente espresso, e in modo che non può nascere alcuna oscurità o confusione; come «Li vedo arrivare, Vi sentiva ridere ec. ».  II® Il Giudizio determinante-azione si la precedere dal che, ognivolta che il suo Oggetto cardinale è diverso da quello del Verbo determinani-do; avuto però il debito riguardo al primo e terzo  Caso, espressi superiormente (L.°): Quindi avremo « Vedo che arrivano, Voglio che parta, Sentii che cantavate ec. ».  Si avverta, che in Italiano il Giudizio deter-minante-azione quando sia futuro, si fa precedere quasi sempre dal che, sebbene il suo Oggetto cardinale sia lo stesso che quello del Verbo deter-minando: Cosi invece di « Credo dover partire - Dicono essere per tornare ec. » diciamo «Credo, ehe partirò - Dicono, che torneranno oc. ».Tempo nei Giudizj determinanti-azione  376. Il Giudizio determinante-azione o è con temporaneo a quello del Verbo determinando, o deve aver luogo in Tempo diverso.  I.° Quando sia contemporaneo, si pone sempre al Tempo presente: Come « Sento, che cantano - Sentii cantare, - Se sentirò, che cantino ec.».  Infatti il Giudizio determinante eseguendosi contemporaneamente al determinando, basta che uno di questi due Giudizj esprima il vero Tempo del-  l'Azione. Dunque questo Tempo essendo necessariamente espresso dal Verbo determinando, pel  Giudizio determinante dovremo indicare soltanto il Modo; il che si la coll'espressione di Tempo presente (126) - Dunque il Giudizio determinan-te-azione quando sia contemporaneo a quello del Verbo determinando, con ragione si esprime al  Tempo presente.  Il. Quando non sia contemporaneo a quello del Verbo determinando, il Giudizio determinante deve indicare il suo vero Tempo da se. Dovremo quindi esprimerlo col Tempo conveniente, che sarà facile conoscere dalla natura del discorso.  Quindi avremo «So, che partono, che partirono, che partiranno ec. Seppi, che partivano, ch' erano partiti, che partirebbero ec. ».  177. Si avverta, che il Giudizio determinante-a-zione benché di sua natura futuro, si esprime o almeno pud esprimersi al Tempo presente, ogni-volta che la sua futurità è naturalmente e chiaramente indicata dal Verbo determinando: Come «Spero arrivare, che arrivino ec. Temo partire,  che derrano ene essendo peturie del predia . da spero, temo ec., il Giudizio determinante non  deve esprimere che Modo; e il Modo s'indica colle  Espressioni di Tempo presente (126).  • PARAGRAFO 3.°  Della Voce CHE  178. Noi qui consideriamo la Voce che puramente come distintivo del Giudizio determinan-te-azione, quando non è espresso in Modo Generico (172); facendo avvertire, che tal Voce per intrinseca natura sempre trovasi fra due Giudiz), e che di questi due Giudizj uno è determinando, l'altro determinante; come abbiamo già ripetuto più volte - Dovendo quindi molto riflettere su questi due Giudizi relativamente al che, ne tratteremo separatamente; chiamando il primo Prece-  dente, l'altro Seguente il Che.  Si avverta, che in Italiano la Voce che à varj  Significati; e ch' è molto essenziale saperli prat-ticamente distinguere, facendo le debite Sostitu-zioni, quand' occorra per chiarezza maggiore.  GIUDIZIO PRECEDENTE IL CHE  179. Riguardo al Giudizio precedente il Che é necessario osservare primieramente, s'& desso affermativo o negativo (24).180. Quando sia Affermativo conviene spinger oltre l'analisi ed osservare, s'è desso assoluto o  inassoluto  I.° Chiamiamo assoluto il Giudizio precedente, quando contenendola in se per l'indole e natura dell'Azione che indica, esprime la Certezza del  Giudizio seguente il Che: Cosi in « Vedo che fug-  •gono, sento che cantano ec.» vedo e sento sono due Giudizi assoluti, contenendo un assoluta Certezza dell'Azione o Giudizio seguente; giacché riguardo alla mia persuasione non possono non cantare e non fuggire, se io li vedo fuggenti e li sento cantanti.  II.° Chiamiamo inassoluto il Giudizio prece-dente, quando non esprime la Certezza del Giudizio seguente il Che; e questo può avvenire in due maniere: O perché il Giudizio precedente contiene nell' intrinseca sua forza e natura l'incertezza l' indecisione del Giudizio seguente; come « mi pare, temo, dubito, volete forse che ec. » giacchè ciò che mi pare o che temo o che dubito o su cui interrogo, potrebbe anche non essere: O perché il Giudizio precedente esprime di sua natura, che il Giudizio seguente relativamente ad esso è futuro; come «Spero, Voglio, Ordino ec. che par-tano»; giacché del Futuro non si può mai avere  assoluta certezza.  GIUDIZIO SEGUENTE IL CHE  18r. Se il Giudizio precedente è negativo, il seguente si esprime sempre in Modo indefinito(139. e seg.); come «Ion vedo che partano, gnoro ossia non so che siano partiti ec. ». Infatti in simili casi il Giudizio seguente il Che esprime una Cosa, la cui esistenza è per noi incerta; come ci fa di sua natura conoscere il Giudizio precedente negativo. Dunque dovendo mostrare tale in-  certezza, il Giudizio seguente deve esprimersi in  Modo Indefinito.  182. Il Giudizio precedente essendo afferma-tivo, si osserverà s'è desso assoluto o inassolu  to (180).  I.° Se il Precedente ¿ assoluto, il Giudizio seguente si esprime in Modo Definito (109 e seg.) ;  come « Vedo che partono - So che partirono ec ».  Infatti in simili casi, come ne assicura il Giudizio precedente vedo, so ec., il Giudizio seguente il Che ci é presentato col massimo grado di Certezza.  Dunque dev'essere espresso in Modo Definito.  II.® Se il Precedente è inassoluto, il Giudizio seguente si esprime in Modo Indefinito; come «Mi pare che partano - Voglio che partano, - Temo che partano ec. ». Infatti in simili casi, come annuncia il Giudizio precedente mi pare, voglio, temo ec. (180), il Giudizio seguente il Che contiene l'Incertezza della sua esistenza. Dunque dobbiamo esprimerlo in Modo Indefinito.  AVVERTENZA  183. Abbiamo superiormente fissato che, il Giudizio precedente il Che essendo negativo o interro-, gativo (180 e sego), il Giudizio Seguente deve es-primersi in Modo Indefinito -Se però il Giudizio precedente sarà e negativo e interrogativo al tempo stesso, il seguente devesi esprimere in Modo De-finito; perché in tal caso l'Incertezza effetto d'In-terrogazione, distrugge l'Incertezza effetto di Ne-gazione. Ed infarti un Incertezza che si presenta in Modo incerto, non esclude necessariamente ogni ombra d'Incertezza? — I Matematici, già persuasi della Verità « Che due Quantità negative danno un Prodotto positivo», m'intenderanno più facilmente degli altri.  Quindi avremo «Non vedete voi, che fuggo-no? Non sento io, che ridono? ec. »— Ed infatti chi può non vedere, che in questi e simili Esempi il Giudizio precedente contiene l'assoluta Certezza del Giudizio seguente il Che? - Dicendo affermativamente « Non sento, che ridano», la Negazione del Giudizio precedente dà al Seguente la necessaria impronta d'Incertezza (181); giacché questo ridere, non sentendolo io, è incerto almeno per me: Quindi relativamente a tale Azione pronuncio un Giudizio analogo alla situazione del mio Spirito. Aggiugnendo però al Giudizio precedente la forza interrogativa « Non sento io?», questa rende l' Espressione del Giudizio seguente certa di ne-cessità; giacché annulla l'effetto della Negazione.  Difatti col dire « Non sento io, che ridono? » io non domando se abbia luogo l'Azione di ridere ; ma domando, se credasi che questo ridere non sia da me sentito, cioè non sia a mia cognizione. Dun--  que la mia Domanda non solo non pone in dub-bio l'esistenza dell'Azione, ma la afferma; giacche. l'Interrogazione non potrebbe aver luogo, se l'Azione di ridere non esistesse almeno nella mia persuasione. Dunque ogni Giudizio precedente il Che, quando sia negativo-interrogativo, diviene affermativo-assoluco (180, 1.°).  Io intendo ciò che dico; ma non so farmi più  intelligibile di cosi.  SEZIONE SECONDA  SITUAZIONI DEGLI OGGETTI  184. Uno stesso Oggetto, come fù già indica-. to (65), può in diversi incontri presentarsi in Situazioni diverse. Esigendo quindi la chiarezza del discorso che in ogni circostanza si precisi la vera Situazione dell'Oggetto, parleremo di tali Sitia-210n, almeno delle primarie distesamente; fissando per ciascuna il suo particolar Distintivo in Lingua Italiano.  -  OGGETTO CARDINALE  185. Cardinale chiamiamo un Oggetto, quando è Cardine di Giudizio (82); come io, i, il Sole, .  Pietro ec. in « Io partirò - Tu scrivesti - Il Sole : è coperto -Pietro fù chiamato ec.».  186. L'Oggetto Cardinale può nel discorso pre-. sentarsi come attivo, passiva, o neutro cioé néittivo né passivo, dal Latino neuter significante  nè l'uno nè l'altro.  I.° È attivo, se agisce, cioè se la desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu scrivi - Egli corre - Voi leggete ec. ».  II.° E passivo, se riceve desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu sarai promosso — Egli fù punito - Noi fummo chiamati ec. ».  IlI.® E neutro, quando né riceve né eseguisce  Azione; e questo propriamente e solamente suc-cede, quando l'Oggetto è Cardine d'un Giudizio di Qualità, cioé d' un Giudizio in cui all'Oggerto cardinale si attribuisce qualche Qualità; come  «Voi siete virtuosi —I Frutti erano maturi-  l' Inverno fù rigido ec. ».  L' Articolo (155) è il Distintivo dell'Og getto Cardinale, se indeterminato; e se determi-nato, il suo Distintivo consiste, nel non averne alcuno. OGGETTO NOMINATO Chiamiamo nominato un Oggetto, quando nel discorso non à altro Ufficio che quello di puramente accennare ossia nominare se stesso; come Pietro, Danaro, Città in « Egli è virtuoso quanto Pietro - Tutto si fa col Danaro - Passarono per la Città ». L'Oggetto Nominato può in fondo considerarsi come Oggetto Cardinale: Quindi à lo stesso Distintivo (187).ittivo né passivo, dal Latino neuter significante  nè l'uno nè l'altro.  I.° È attivo, se agisce, cioè se la desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu scrivi - Egli corre - Voi leggete ec. ».  II.° E passivo, se riceve desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu sarai promosso — Egli fù punito - Noi fummo chiamati ec. ».  IlI.® E neutro, quando né riceve né eseguisce  Azione; e questo propriamente e solamente suc-cede, quando l'Oggetto è Cardine d'un Giudizio di Qualità, cioé d' un Giudizio in cui all'Oggerto cardinale si attribuisce qualche Qualità; come  «Voi siete virtuosi —I Frutti erano maturi-  l' Inverno fù rigido ec. ».  L' Articolo (155) è il Distintivo dell'Og getto Cardinale, se indeterminato; e se determi-nato, il suo Distintivo consiste, nel non averne alcuno. OGGETTO NOMINATO Chiamiamo nominato un Oggetto, quando nel discorso non à altro Ufficio che quello di puramente accennare ossia nominare se stesso; come Pietro, Danaro, Città in « Egli è virtuoso quanto Pietro - Tutto si fa col Danaro - Passarono per la Città ». L'Oggetto Nominato può in fondo considerarsi come Oggetto Cardinale: Quindi à lo stesso Distintivo (187).quando lo esprimiamo nel discorso unicamente perché egli presti a noi attenzione, ossia quando viene da noi effettivamente chiamato ; come « Ami-co, dove andate? - Pietro, prendi quel Libro -  Gran Dio, mi assisti ec.». Si avverta, che possono chiamarsi i soli Oggetti aventi la facoltà di udire, o almeno creduti tali in forza d'Immagi-nazione.  195. Il Distintivo dell'Oggetto Chiamato suol essere o, che per lo più si tralascia. OGGETTO INDEFINITO 196. Chiamiamo indefinito un Oggetto, quando nel discorso ne esprimiamo una indefinita quan-tità, se l'Oggetto è di Numero unale; oppure ne esprimiamo un Numero indefinito, se l'Oggetto è di Numero plurale (170); come Cercano del Pane - Vedrete dei Soldati ec.». Il Distintivo dell'Oggetto Indefinito consiste nell'essere preceduto al Numero unale da del o della, e al plurale da dei o delle; come già fü detto (170). OGGETTO CONTENENTE Chiamiamo contenente un Oggetto, quando esprimendolo consideriamo in esso come deposta o deponibile qualche cosa, ossia quando lo consideriamo come capace di contener qualche cosa: Cosi Roma, Principe, Libri sono Oggetti contenenti in «Pietro è in Roma, — Confidate, cioe ponete . la vostra confidenza nel Principe — Non sempre la vera scienza è riposta nei Libri ».199. Il Distintivo dell'Oggetto Contenente consiste nella Voce in, che unita spesso all'Articolo dà nel nella nei ec.  OGGETTO RELATIVATO (a)  • 200. Chiamo relativato un Oggetto, relativamente a cui si proferisce un dato Giudizio, oppure cui si riferisce esclusivamente un dato Giu-dizio: Cosi Pietro, Indolenza, te, lui, Guerra ec. sono Oggetti relativati negli Esempj seguenti; col-l'attenta analisi dei quali sarà facile formarsi una precisa Idea di questa speciale situazione degli Oggetti: « Che si dice di Pietro, cioé relativamente a Pietro? - Mi accusano d' Indolenza, cioè reluci-vamente a colpa d' Indolenza - Che fia di te, cioe relativamente a te? - Disponete di Lui, cioè re-tativamente alla Persona di Lui - Si parlava di Guerra, cioè relativamente alla Guerra ec. ».  201. Il Distintivo dell'Oggetto relativato consiste generalmente nella particella di. Siccome però questa Voce suole avere altri Significati (191), cosi in ogni circostanza importa molto il ben anali-  zare il sentimento del prattico Discorso.  (a) Questa Parola è troppo barbara, e fors' anche non esprime la situazione dell' Oggetto chiaramente quanto dovrebbe — Non m'è però stato possibile sostituirne altra mi-gliore.OGGETTO RICEVENTE  Chiamiamo ricevente un Oggetto, quando trovasi nella situazione di ricevere effettivamente qualche Cosa; come Soldati, Amico, Corriere ec. in « Diedero ai Soldati - Dissi all' Amico - Consegnate al Corriere ec.». Il Discintivo dell'Oggetto ricevente è la Voce o, la quale unita all'Articolo forma spesso le Voci composte al alla agli ec. . OGGETTO TERMINANTE Chiamiamo terminante un Oggetto, nel quale và a terminare un Moto, o un Azione col mezzo di Moto; come Campagno, Amico, Voiec. in « Andiamo in Campagna — Scrivo all' Amico — Quest' oggi verrò da Voi ec. ». Il Distintivo dell'Oggetto terminante è co munemente la Voce a, come per l'Oggetto Ricevente (203). Quindi per distinguere in un Oggetto l'una dall'altra situazione, bisogna ponderare e la qualità dell'Azione e la forza del sentimento - Inoltre l'Oggetto terminante molte volte trovasi preceduto da in, da ec.; e però convien fare moltissima attenzione alla natura del Discorso. OGGETTO COMINCIANTE Diciamo cominciante ogni Oggetto, dal quale à principio un Azione od un Moto; come Vienna, Storie, Soldati, Campagna ec. in « Ebbi Lettere da Vienna - È narrato dalle Storie -      Il Castello fü preso dai Soldati - Tornerà dalla  Campagna domani ec. ».  207. Il Distintivo dell'Oggetto cominciante é la Voce da, che unita spesso all'Articolo forma le  Voci composte dal dalla dagli ec.  Si avverta, che la Voce da à varj Significati, e quindi che non precede sempre un Oggetto co-minciante. Il Buon-senso però e l'Analisi ne fa-renno facilmente conoscere il vero valore in ogni prattico Discorso.  208. L'Oggetto Cardinale attivo (186, 1.°) è in fondo cominciante di sua natura. Uno stesso  Oggetto però non può contemporaneamente presentarsi in due diverse Situazioni. Dunque un Oggetto considerato come Cardine di Giudizio, non può allo stesso tempo esser preso come Comin-ciante.  Si avverta peró che ogni Oggetto Cardinale attivo, quando regga una Voce verbale indetermi-nata, può colla massima facilità farsi passare ad Oggetto Cominciante col dare un diverso giro alla frase e un differente aspetto all'azione: Cosi invece di dire «I Soldati desiderano la Guerra » si può dire cLa Guerra è desiderata dai Soldati»; benché tali Espressioni non abbiano precisamente la stessa identica forza e valore.  AYYEBTEN2A.  Sull'Ordine diretto e inverso nelle Azioni  209. Qui cade in acconcio l'osservare, che in      ogni Azione indeterminata dobbiamo considerare come un Estensione di spazio, ossia come una linea di Moro. Quindi in tali Azioni avremo sempre un principio ed un fine, inseparabili da qualunque  Estensione.  210. Da ciò derisa, che l'Azione indeterminata può presentarsi sotto due aspetti diversi, cioè com  ordine diretto o inverso.  I.° Si presenta con ordine direito, quando la consideriamo come passante dal suo principio al suo fine; come « lo scrissi una lettera - Egli or-dino, che partissero »  Il.° Si presenta con ordine inverso, quando nell'Azione cominciamo a considerare il fine, e da esso passiamo al principio; come • Una lettera fù scritta da me - Che partissero, fu ordinato da lui » — Tali Espressioni però debbono considerarsi, e sono effettivamente Sostituite (5).  In ogni Azione indeterminata, sotto qualunque aspetto si presenti dessa praticamente, avremo dunque sempre e principio e fine; e questi due  Cardini dell'Azione debbono essere e sono sempre chiaramente espressi nel Discorso.  211. Rapporto alle Azioni determinate, siccome queste risguardano soltanto l'Oggetto Cardinale, non possiamo in esse considerare altra Estensione che quella di durata; come « Ho passeggiato due ore — Dormirà tutta notte ec. ».212. Ben inteso quanto fü analizato finora, colla guida dell' Analogia del Buon-senso e della Riflessione si può in qualunque Lingua essere in caso di darsi ragione di tutto - E quale sodisfa-zione per un Anima colta rinvenire ad ogn'istante motivo di ragionare, dove si riteneva assolutamente precluso l'adito al Raziocinio ?  Io non pretendo di aver completamente esaurito la Materia trattata; giacché ciò che nasce, non puó al tempo stesso giugnere alla sua perfezione.  Parmi peró, che l'esposto sia sufficiente per cominciare a formarsi un Idea filosofica del Lin-guaggio.  Le inveterate Abitudini predominanti, la spesso trionfante Ignoranza, la difficoltà di tanti indispensabili Raziocinj, l' Insufficienza la sfavorevole Prevenzione e il Contro-genio quasi universale per Teorie astratte e metafisiche, sono a questa Nuova Scienza ostacoli quasi insormontabili - Ma per ciò che riguarda il creduto Bene dei Simili, il Filantropo spera anche immezzo alla Dispera-zione. Quindi, a gloria della pensante Umanità dei Spiriti illuminati e della sana Filosofia, mai cesseró di credere, che La vera Scienza del Linguaggio abbia a vedersi un giorno assisa in seggio lumi-noso, al pari di tant' altre più o meno utili Scienze.LINGUA  FILOSOFIÇO-UNIVERSALE  INTRODUZIONE  1. Ocri Nazione ebbe ed à il suo proprio Lin-guaggia parsisolare. Le Persone colte però sogliono in ogni civilisata Nazione occuparsi dello studio di qualche Lingua straniera, Se dunque i Letterati si applicassero tutti allo studio d'una medesima Lingua, potrebbe questa molto facilmente rendersi  Universale.  2. Ma il Linguaggio di tutti i Popoli fü a poco a poco e capricciosamente stabilito dal bisogno e dall'uso; vale a dire, che il Beto più ignarante della facietà fù sempre il primario fondatore di tutte le Lingue. Dunque le Lingue che anno p ebbero pratticamente asistenza, debbono di ses cessità essere complicate difficili irregolari = Dunque nessuna delle Lingue esistite o esistenti, esser potrebbe ragionevolmente la Lingua Universale pei  Dotli.  3. La Lingua Universale pei Dotti dev'essere  Lingua Dotta; vale a dire, Lingua basata sullanatura delle Cose, e ridotta a sistema dal razio cinio dalla meditazione dal calcolo dalla Filosofia - Dunque per formare un Piano di Lingua Universale è necessario, prima analizare le Basi fondamentali del Linguaggio in genere, indi esa-  • minare qual sistema Filosofico di Lingua sorger  potrebbe dai conosciuti Principi generali.  4. Quindi il nostro Lavoro sarà diviso in trè  Parti ; civé  • I. LInGuA GanerIca  II. LINGUA FILOSOFICA III. LINGUA UNIVERSALE  Vedremo nella prima, quali sono e debbono essere le Teorie e le Regole generali di Lingua, calcolate sulla natura stessa delle Cose: Formeremo nella seconda il Piano per una Lingua possibilmente Filosufica: Fisseremo nella terza, quanto a nostro credere è in genere necessario per una ragionata Lingua Universale.  Si avverta, che per l'intelligenza completa dei qui sviluppati principi di Lingua è duopo conoscere almeno in gran parte, ciò che si espose nella premessa ANALISI DEL LINGUAGGIO; e che le Teorie qui esposte servono di schiarimento all'ANALISI medesima.LINGUA GENERICA  5. Sorro al nome di Pensiero comprendendo tutto ciò che occupa lo Spirito e quando agisce e quando sente, lo scopo del Linguaggio é la Co municazione reciproca dei Pensieri; e tale Comunicazione esigge un Mezzo di convenzione trà gli Uomini — Dunque nell'Analisi della Lingua in genere dobbiamo esaminare e il Mezzo di Comu-nicazione, e quanto può essere Soggetto di occupazione allo Spirito.  Dunque in sette separate Sezioni analizeremo  succesivamente :  Le Parole I Giudizj I Fonti Primitivi dei Giudizj I loro Fonti Secondarj Le Voci Indeterminate Le Voci Sostituite Alcune Cose di speciale Osservazione Chiamasi Parola « Ogni vocale Suono o Aggregato di Suoni, emessi senza interruzione » (a). Le Parole possono essere significanti o insignificanti - È significante ogni Parola, cui la Convenzione sociale attacá un Idea o setiplice o composta; come tömô, Batticuore ec. : E inst  gnificante ogni Parola, cui dalla Convenzione nori si attacca alcuha Idea; come sarebbe in Italianó Liudi, Priroda ec. - Nessuña Lingua puó avere  ma.  Le Parole Significanti sono o fuggevoli ô pér-manenti. CAPO I Delle Parole Fuggevolt Chiamiamo fuggevoli «Quelle Parole, delle quali si perde ogni traccia, appena proferite ». Le Parole essendo formate da suoni Voca- 321121003080.6070  (a) Suono Vocale vuol dire « Qualunque Suono formato  colla Voce 9.  l (6), & necessario considerare partitamente totti !  Suoni che serveno alla loro Formazione - Questi Suoni da noi si distinguono in gusturali ed orali.  PARAORATO S°•  DE Storl Gutturali  31, Dal latino guitur chiamiamo griturali «Quei Suoni, che senza il menomo sforzo e tenendo la Bocea più o merto aperta, si formano interamente nell'iriterto della Gola ossia nella Loringe "-In Italiano, come quasi in tutte le Lingue, i Suoni gutturali sono a, o, d, i, 0, 0, u (a).  GỪTTURALI SBMPLICI E COMPOSTI  12. I Suoni Gatturali si distinguono in semplici e composti —Sono semplici, quando sonservano inalterabile la primitiva loro natuta; come a, e,  ¡ ec.: Sono composti, quando il Suono comincia cón un Gutturale e fnisce con un altro; come in  Italiano ai, ei, voi ee.  Si avverta, che due o più Gutturali formano  Suono composto, sol quando nel proferirli tutti s'impiega il tempo, che sogliamo implegure per emetterne un solo. Quindi nelle Parole reica, pie: coso ec. perché ei ed ie formino Suono composto,  (a) e ed o armo duo Suoni differenti, uno doperto o l'altre strello; o l'aerento da mo usato serve untedmento ad tadiente il secondo, cisa il Duoro stretto conde in tado, dato 00.  ¿ necestario proferirli con quel tempo, col quale si pronunzierebbe un i od e semplice, ma lungo, come diremo (15).  GUTTURALI BREVI & LUNGHI  13. Il Meccanismo della Voce e degli Organi vocali esigge indispensabilmente, che in ogni Parola prolunghiamo qualcuno o alcuni dei Suoni gutturali: E da ciò viene, che in varie Lingue alcune Voci mancanti di Suono lungo ossia pro-lungato, debbono pronunciandole unirsi ad altre  Parole.  84. I Gutturali composti (‹2), come formati da Suoni diversi, sono tutti lunghi di loro natura; essendo fisicamente impossibile, che una stessa Voce proferisca più Suoni nel medesimo istante indivisibile.  • 85. I Gutturali Semplici debbono distinguersi in brevi e lunghi, cioé si proferiscono ora lunghi ed.  ora brevi - E breve un Suono gutturale sempli-ce, quando si emette colla massima possibile bre-vità; come i ed e in ordine cardine ec.: È lungo un Suono gutturale semplice, quando la Voce si poggia ossia si ferma un poco sopra esso; come a in Canto l'armi (a).  (a) Se dovessi determinare il rapporto di durata trà un  Suono lungo ed un breve, appoggiato ai lumi che somministra la Poesia specialmente latina greca e tedesca, direi « Che il breve è la metà del Suono lungo »; vale a dire, che nella  Quando in ciascuna Lingua i Gutturali semplici debbano pronunciarsi brevi e quando lun-ghi, può apprendersi unicamente dall'uso.  PARAGRAFO 2.°  De Suoni Orali  Dal latino os oris significante Bocca, chiamiamo orali «Quei Suoni vocali, che propriamente si formano nella Bocca o in qualche di lei parte »- Questi Suoni son quelli, che comu-. nemente sogliono chiamarsi Consonanti. I Suoni Orali si distinguono in prolungabili ed istantanei, come sono realmente in natura - Chiamiamo prolungabili quelli, che volendo possono effettivamente prolungarsi; come f, r, m, 1o, 2, ec.; avvertendo che m ed n sono prolungabili soltanto prima della completa loro formazio-ne. Chiamiamo istantanei quelli, che non potendo essere prolungati, si emettono in un solo istante indivisibile; come 6, d, p, t, ec. pronuncia di due Suoni brevi dobbiamo impiegare tempo eguale a quello, che s' impiega nella pronuncia d' un Suono lungo :  Quindi la Voce non deve mai poggiare sopra un Suono, che  • di natura sia breve. Per chi ama la Poesia e brama penetrare fin entro l' armonico di lei Santuario, questa Osservazione può essere fe conda di utili riflessi.  21. Non sarebbe difficile almeno per un determinato Linguaggio spiegaré meccanicamente, come debba prontinciarsi ciáscal Subito vocalé. Omettiamo pero questa meccanica splégazione, e perché in gran parte ittitile, e perché di sua hatará nojosa, e perché dalla voce d'an Conoscitore cóls  Fesercizio di pochi minuti può apprendersi conve-fientemente lá Pronuncia di qualunque Suono to-cale.  PARAGALtO 3.°  Delle Parti o Sillabe nelle Parole  29. Nelle Patole i Suoni Orali praticamente si uniscono sempre a qualche Gutturalé; e proptia-mente tion servono che a modificare ossia presen= tare sötto difletenti aspetti il Suono Guttatale cul vanno uniti: Quindi non fortato da se té Parola né Parte di Parola össia Sillaba. Il rumero delle Parti o Sillabe nelle Parole è quindi determinato dai Suoni gutturall; e propriamtehte in diastina  Parola son tánte le Sillabe, quatti i Suoni Gut: turali o semplict o composti (12).  23. Quindi in ogni Sillaba dobblato distinguere il Suono bäse e i Suoni accessotj: Lä Base & formata da un Suono Gutturale o semplice o cơm-posto; e gli Aecessorj sono gli Orali che trovansi uniti alla Base - Diffatti, che il Suonó Gútturale sia la Basé fondamentale d' ogni Sillaba e che gli Örali sieno puramente accessöri, é provato da cio;  che non possiamo aver Sillaba senza Suono Gut-turale; ed invece possiamo benissimo averla senza  Suoni Orali.  24. Inoltre la Voce non può troncarsi arrestarsi ossia finire con un Suono Orale; giacché l'inter-  rompimento di qualunque Orale anche prolungabile (47) produce necessariamente un piccolo e appena sensibile Suono gutturale, com'è facile conoscere colla propria esperienza - Dunque ogni  Sillaba deve terminare con Suono gutturale. Dunque i Suoni Orali possono in ciascuna Sillaba pre-, cedere la Base, ma non possono seguirla giammai (36).  Dunque le tante Regole del sillabare si riducono ad una sola e della massima semplicità; cioé « In ciascuna Parola ogni suono Gutturale é fine di sillaba»— Ecco in qual modo al lume dell'Analisi del Raziocinio e della Filosofia svaniscono tormentose inutili difficoltà, cagione alla povera Fanciullezza di tante lagrime e di tanti  eloquentissimi sospiri.  25. Ben fissato quanto si espose finora, se volessi pronunciando separare le Parti costituenti le Parole « intanto, ardire, correndo, batteva, coraggio ec. » dovrò dire «i-nia-nio, a-rdi-re, co-rre-ndo, ba-ite-va, co-ra-ggio ec." - Questa maniera di decomporre le Parole facendo terminare ogni sillaba con Suono gutturale, a primo aspetto parrà strana a chiunque: Essa veramente si oppone all'Abitudine ed alle Regole stabilite e seguite per tanti secoli da tutte le Scuole; ma non cessa per questo d' essere ragionevole e ragionata.  Infatti decomponendo una Parola in sillabe, dobbiamo farlo in modo, che riuniti i suoni di tutte le Parti, ne risulti poi l'Espressione dell'intera Parola. Ora questo non può ottenersi, se non facendo terminare ogni sillaba con suono Guttu-rale; come colla propria esperienza può convin-cersene ognuno da se. Dunque la Decomposizione delle Parole non può, ne deve larsi altrimenti.  Onde ancor meglio persuadersi di questa ve-rità, lasciata per in momento da parte ogni contraria prevenzione, si pronunzino le varie sillabe delle suespresse Parole col Metodo che ci fü insegnato e che s'insegna nelle Scuole. Avremo «in-can-to, ar-di-re, cor-ren-do ec. "—Si confronti ora l'insieme di questi suoni parziali coll' espressione totale di ciascuna Parola; e questo confronto si faccia, non come sragionando sogliamo per abitudine (dicendo per esempio nella sillaba in « i ed enne fa in»), ma si faccia come avviene realmente in natura. Non è egli vero, che debitamente riunendo i suoni parziali, risulterebbe inetaneto, are-dire, corerenedo ec. (a); vale a dire risulterebbero Parole diverse da quelle, che intendiamo pronunciare? - Io scrivo unicamente per Chi, o ragiona o conserva almeno la capacità di ragionare.  Si dirà forse: Come insegnare ai Fanciulli a  (a) Li e che si trovano in queste Parole espressi in ca-fattere piccolo, debbono considerarsi come aventi un suono, che in duraia è metà d'un e breve (15),  proferire i difficili suoni nto, mha, uma, nce ec.?  Primieramente il saper decomporre le Parole con tutta precisione non è di assoluta necessità, che per la sola Paesia; e chi impara a leggere una Lingua, è ben lontano dall'analizarne i Prodotti poetici. Inoltre la Cosa e facile assai, quando abbandonati i soliti sistemi, si volesse ascoltare e seguire ciò cha a tal proposito suggeriscono il Buon-senso e la Matura.  Si cominci dal far proferire un breye fucile e ben inteso Sentimento: Dal Sentimento si passi a eiascuna Parole: Dalla Parola si passi alle Sille-be: E da eiascuna Sillaba si discenda alle Lette re— In somma per ben fare si faccia l'opposto di quel che sempre si fase.  PARAGRATO 4.°  Della Posa nelle Parole  26. È fisicamente impossibile proferire di seguito senz' alsuna interruzione le varie Parti d' una Pa: rola, facendo in essa brevi tutti i suoni Gutturali.  Quindi in tutte le Linguei suoni gutturali di cia-ecuna Parola che può pronunciarei isolatamente, sono o tutti lunghi, o alcuni lunghi ed altri bre-wi — Ma nei suoni lunghi la Voce si ferma si posa più che nei brevi, anzi per un Tempo precisamente doppio (‹5). Dunque in clascuna Parola pronunciabile disgiuntamente dalle alire, avremo la Posa sopra ciascun suono gutturale, che per genio o legge di Lingua sia lungo.  Un assoluta precisione di Pronunzia in punto Buoni lunghi e brevi, non si richiede che nella Poesia; giacché in essa un suone breve prolungato o un suono lungo abbreviato è bastante ad alterare il Metro, cioè quella Misura quella determinata Estensione di suoni, cui la Poesia dey' es-sare costantemente soggetta - La Prose gode maggiore libertà; giacché esente da Metro costante, non è sempre ugualmente scrupolosa rapporto alla durata de' Suoni. CAPO II Delle Parole Permanenti Chismiamo permanenti « le Parole espresse in modo che si conservano, e che cal mezzo della Vista ei richiamano e il giusto loxo suono vocale, e l'Idea ch' esprimono ». 2g. Rendere permanenti le Parole e proprio della Scritura, uno de più belli e piu utili ritrovati dell'umana Capacità - Gli elementi della Scrit tura sono Segni; e questi debbono essere varj e distinti, come i suoni Vocali che accennano.  30. Non sarà qui fuor di proposito avvertire, che la Scrittura è naturalmente posteriore al Lin-  biamo pronunciar le Parole come sono scritte, giacché cio supporrebbe la Scriptura e anteriore alla Pronuncia e capace di esprimere esattamente i Suoni vocali; ma dobbiamo pronunciarle secondo l'uso migliore e più ricanoscinia d'ogni Nazione.  Quindi le Parole scritte non debbono in punto Pronuncia che richiamare i Suoni precisi, coi quali dev'essere proferita qualunque Parola.  Si fissi dunque, che la Scrittura serve a richiamare esattamente e colla massima precisione tanto le Idee che i giusti Suoni vocali; ma si fissi ancora, che questi Suoni vocali sono dalla Scrittura rappresentati quasi sempre imperfettamente.  Quindi la Scrittura può esattamente definirsi «Se-  rie di segni non gia rappresentanti ma solo richiamanti a norma di Convenzione una serie d'Idee ed una serie di Suoni vocali »— Con questa semplice Definizione si comprenderà facilmente come si può benissimo pervenire ad intendere sui Libri ed anche a scrivere una Lingua qualunque, senza saperne ben proferire una sillaba sola; come so vente uno stesso Segno in diverse Parole à suono diverso; e perchè l'esatta Pronunzia d'una prat-tica Lingua qualunque non può apprendersi che a forza di Esercizio e di Conversazione.  PARAGRAFO 1°  Segni de' Suoni Gutturali  31. I Suoni Gutturali semplici in Italiano sono . sette (11); ma si esprimono coi soli cinque segni a, o, i, 0, 4— E quindi necessario far attenzione, che ciascuno dei segni e ed o serve ad indicare due differenti suoni Gutturali, cioé uno più chiuso dell'altro. Il solo Uso può far conoscere, quando questi Segni abbiano l'una e quando l'altra Pro-nuncia.  32. I suoni Gutturali composti si esprimeno coi soprafissati segni dei semplici, unendone secondo il bisogno due o tré in una sillaba sola; come mio, suoi ec.  È qui opportuno avvertire, che in Italiano il segno i preceduto da c da g e da gl, moltissime volte non esprime suono gutturale; ma indica semplicemente, che il c il & ed il gl debbono avere quel suono stesso che dar loro sogliamo avanti al Gutturale i:: Come in caccia, giusto,  abbaglio ec.  GUTTURALI BREVI E LUNGHI  • 33. I cinque segni sopra fissati (31) servono egualmente ad indicare i suoni Gutturali tanto brevi che lunghi. Quindi il solo Esercizio può farci praticamente distinguere gli uni dagli altri.  In Italiano se la -Parola termina con suono gutturale lungo, si sovrappone al segno un ac-cento; come andò, verrà, perché ec.  PARAGRAFO 2°  Segni de Suoni Orali  • 34. I suoni Orali prolungabili (17) sogliono ac-cennarsi coi segni m, r, s, n, ec.: I suoni Orali iscontanei sogliono indicarsi coi segni b, d,p, t, ec.; e tanto gli uni che gli altri ánno un determinato valore a norma della Convenzione di eiascun Popolo e Linguaggio in particolare.  ORALI ORDINARJ & FORZATI  35. I segni de suoni Orali (3) servono di loro natura ad esprimere in iscritto gli Orali ordinarj.  Per indicare gli Orali forzali ci serviamo dei st-gni medesimi duplicandoli, cioè scrivendo mm; it, ss ec. — Quindi il segno Orale doppio ossia la Consonante duppia, non esprime due suoni; ma indica soltanto, che il suono dev'essere forzato (^9), cio quasi doppio non in durata ma in intensità.  ORALI FINALI  36. Abbiam detto (34), che ogni sillaba termina con suono Gutturale: Quindi, siccome in Iscritto molte parole finiscono con segno Orale, e qui necessario aggiugnere qualche cosa riguardo ai Segni orali finali, cioè che formano l'ultima lettera di varie Parole.  Le Parole non sempre debbono pronunciarsi come sono scritte; giacché la scritturá propriamente non rappresenta i suoni Vocali, ma soltanto li richiama (30). Se dunque molte Parole finiscono con segno Orale, non siegue che anche la loro Pronunzia abbia a terminare precisamente col suono Orale marcato nella scrittura.  37. Le Parole, la cui ultima lettera è un segno  Orale, o si trovano immezzo o si trovano alla fino del Sentimento - Chiamiamo fine del sentimento ogni Luogo (endroit), in cui la Voce pronunciando deve o almeno può arrestarsi più o meno:  E chiamiamo Luogo immezzo al sentimento, ogni Luogo in cui la Voce non può arrestarsi; perché altrimenti lederebbe il Sentimento - Ora:  L° Se le Parole terminanti con segno Orale, sono immezzo al sentimento, il suono Orale finale si unisce sempre alla Parola seguente: Cosi dicendo con tutti, l'n finale deve nella Pronuncia unirsi al t seguente iniziale; e precisamente come se fosse scritto in una sola parola contutti, ossia co-ntutti. Quindi in questo caso le Parole o sillabe finali debbono considerarsi come effettivamente terminanti con suono Gutturale.  II.° Se le Parole terminanti con segno Orale sono alla fine del sentimento, si richiami (24)  essere impossibile che la Voce si arresti assolutamente in un suono Orale; giacché stante il Meccanismo degli Organi vocali, la Cessazione d'un suono Orale qualunque deve necessariamente produrre un appena sensibile suono Gutturale, che noi chiameremo Suono-cessante - Dunque il segno Orale terminante una Parola che trovasi alla fine del sentimento, esprime un suono Orale che poggia e che si unisce al Suono-cessante.  Ma il Suono-cessante è di natura tale, che non può essere udito da chi ascolia. Esso dunque non può far sillaba nella Parola. Dunque ogni Orale che sia seguito dal Suono-cessante, siccome non può essere considerato isolatamente (22), potrà per convenzione ritenersi formante sillaba col Gutturale precedente - Quindi tenor furor ardir, quando siano alla fine del sentimento, saranno  considerate come Parole di due sillabe sole: Esse  • però in natura sono di due sillabe e più; più, formato dall'Orale finale unito al Suono-cessante ; più, che praticamente non si calcola, perché non può essere udito da chi ascolta.  Stà dunque il Principio, che ogni sillaba termina con suono Gutturale.  38. La Lingua Russa è in questo, come in altri Punti molti, più ragionata di tante altre, che pure comunemente si credono Lingue più colte. Essa infatti à un segno apposito, esclusivamente destinato ad accennare in iscritto quell' appena sensibile suono finale, da noi chiamato Suo-  no-cessante. Quindi in Lingua Russa le Parole scritte, terminano tutte o con segno Gutturale o col segno di Suono-cessante.  La Lingua Italiana, tranne qualche poetica  Licenza, non à Parole che in un prattico discorso possano finire col Sunno-cessante; ed è questa la primaria cagione della vocale dolcezza pienezza e rotondità, esclusivamente propria alla nostra  Lingua.  AVVERTENZA  39. Dall'esposto in questa prima Sezione si può rilevare, quanto si opponga alla natura delle cose il Metodo comunemente usato per istruire i Fanciulli nel Leggere; e si potrebbe dimostrare molto facilmente, che siffatto Metodo colla nozione delle Lettere delle Sillabe del Compitare, insomma cogli usati principi di Lettura infonde nel loro spirito  insensibilmente i semi funesti d' un perfettissimo sragionare.  Oh quanti traviamenti di Ragione deve l'Umanità ripetere dall'Istruzione Elementare! Se co minciasi a ragionar nell'Infanzia, la Vita dell'Uomo sarà un immanchevole Tessuto di esatti  Ragionamenti; quindi d'Onestà, di Morale, di Virtù, di Scienza, di Felicità. Ma se l' Infanzia sragiona.... Oh quanto pochi, negli anni più maturi, si diriggono al Tempio della Verità!  SEZIONE SECONDA  DEI GIUDIZI  Il Giudizio è « un Operazione mentale, con cui affermiamo o neghiamo, che ad un Oggetto convengo una data Azione o. Qualità » - Quindi tutti i Giudizj saranno o di Qualitá o di Azione. I Giudizi possono secondo le circostanze formarsi e quindi esprimersi in varj Modi o manie-re; e possono riferirsi ad un Istante qualunque di Tempo. Dunque in questa Seconda Sezione dopo alcune preliminari Avvertenze in quattro separati  Capitoli tratteremo  ° Degli Oggetti, Gardine di Giudizio ° De varj Tempi ai quali possono riferirsi i Giudizj  3.° De varj Modi, ne'quali si formano i  Giudizj  4.° Delle Voci indicanti Giudizio Tempo e  Modo.  AVVERTENZA  Sulle PARTI costituenti un Giudizio.  • 42. Ogni Giudizio deve contenere e contiene essenzialmente trè Parti; cioè Cardine di Giudi-  zio, Voce di Giudizio, Attributo di Giudizio.  43. Chiamiamo Cardine di Giudizio « Ogni Og-getto, cui si attribuisce o si niega un Azione o  Qualità (40) ».  Chiamiamo Voce di Giudizio « La Parola esprimente il nostro sentimento o parere, tanto affermativo che negativo ». Chiamiamo Attributo di Giudizio « La Voce esprimente l'Azione o Qualità, che si attribuisce all'Oggetto Cardine di Giudizio ». AVYERTENZA Sull' esprimere l' opposto nelle Cose  46. È molte volte necessario indicare precisamente l' Opposto di ciò, che una Voce esprime a norma di Convenzione. Questo accade specialmente nelle Voci di Giudizio (44); giacché ogni Giudizio negativo è assolutamente l'Opposto dello stesso Giudizio, quando fosse affermativo - Dunque la Lingua aver deve un segno per indicare l'Opposto d'una Cosa qualunque; e questo segno in Italiano comunemente suol essere la Yoce not.  Sul Segno di NUMERO GENERico negli Oggetti  La semplicità e facilità di Linguaggio vuo-le, che il Nome degli Oggetti sia inalterabile, cioè sempre lo stesso. Ed infatti le Lingue più difficili son quelle, che più variaro la desinenza nei Nomi, come in altre Parole - Ora è facile inten-dere, che tanto uno come più Oggetti possono formare il Cardine di Giudizio - Dunque la Lingua avrà un Segno per indicare genericamente il Numero o unale o plurale degli Oggetti. Ma gli Oggetti che alle volte sono Cardine i Siurio dirono il divere circostang ure ari  remo il Segno generico di Numero unale o plura-le, non solo quando gli Oggetti sono Cardine di Giudizio, ma ognivolta che sia necessario determinare il loro Numero in genere.  AVVERTENZA  Sul sesso degli Oggetti  49. Gli Oggetti organici, aventi cioé la facolià di propagarsi, possono essere di Sesso maschile o femminile: Gl' inorganici sono mancanti di Sesso; quindi nè Maschj nè Femmine; quindi Neutri — La Lingua avrà dunque dei Segni per l'opportuna distinzione del Sesso nelle Voci di Oggetto; distinzione che nel discorso praticamente non sein-pre è necessaria, giacché molte volte esprimiamo gli Oggetti senza riguardo alcuno al loro Sésso.  in ale moteta, che ella mini Eliti n comi,  non anno il loro particolar Distintivo: Quindi in forza di convenzione e di uso vengon essi marcati col Segno di Sesso ora maschile ed ora femminile - Parimenti si avverta, che in molte Lingue Oggetti maschili anno alle volte il Segno femmi-nile, e Oggetti femminili il Segno maschile.  Quindi in ogni Lingua prattica per conoscere il Sesso bisogna far attenzione alla natura dell'Oggetto espresso dal Nome, o richiamato dal  Pronome.  CAPO I  Degli Oggetti, Cardine di Giudizio  5r. Cardine di Giudizio può essere o l'Oggetto che giudica; o l'Oggetto che ascolta, cioè l'Oggetto cui è partecipato il Giudizio; o un Terzo Oggetto, cioè un Oggetto diverso e da chi giudica e da chi ascolta.  PARAGRATO 1.°  Dell' Oggetto Giudicante  52. L'Oggetto giudicante quando sia Cardine di Giudizio, non à bisogno di farsi conoscere col proprio Nome, cioè col Nome che gli compete come Individuo nella serie degli Esseri; ma deve solo ac-cennare, che desso è il Cardine di Giudizio - Quindi è, che tutte le Lingue fissarono una Voce generica applicabile a qualunque Oggetto, il quale  trovandosi nella situazione di Giudicante, e anche  Cardine di Giudizio.  Questa Voce in Italiano è io pel Numero una-  le, e noi pel plurale.  PARAGRATO 2.°  Dell' Oggetto  Ascoltante  53. Nemmeno l'Oggetto ascoltante quando sia  Cardine di Giudizio, à bisogno d'essere espresso col proprio Nome, cioé col Nome che gli compete come Individuo; bastando unicamente accen-nare, ch'è desso il Cardine di Giudizio - Quindi abbiamo in tutte le Lingue una Voce generica applicabile a qualunque Oggetto, il quale essendo  •Ascoltante è al tempo stesso Cardine di Giudizio.  Questa Voce in Italiano pel Numero unale é ous, pel plurale voi.  AVVERTENZA  Gli oggetti giudicante e ascoltante possono essere di Sesso tanto maschile che femminile. Siccome peró nel discorso è indispensabile il loro in-tervento, o per lo meno la preventiva indicazione loro personale; cosi ne conosceremo il Sesso na-turalmente, senza bisogno di parzialmente indicarlo -Quindi le Vori io e noi, tu e voi servono ad ambedue i Sessi egualmente. Si faccia attenzione che l'Oggetto giudicante dev'essere necessariamente dotato della facoltà di giudicare, e di comunicare il suo Giudizio; e l'Og-getto ascoltante dev'essere dotato della facoltà di udire e d'intendere. Quindi, se Oggetti in natura mancanti di tali facoltà, alle volte figurano nel discorso come giudicanti o ascoltanti; é solo, perché in forza d'immaginazione si attribuiscono loro tali necessarie Facoltà.  PARAGRAFO 3.°  Del Terzo Oggetto  56. Qualunque Oggetto possibile è in grado di entrare nel discorso in qualità di Terzo Oggelto, Quindi i Terzi Oggetti non possono esprimersi con delle Voci generiche; ma bisogna accennarli col Nome loro particolare, indicandone al medesimo tempo e Sesso e Numero-generico;  : 57. Se però il Terzo Oggetto sia già stato nominalmente espresso, allora nel continuare il discorso possiamo anzi dobbiamo indicarlo con una Voce generica, applicabile a tutti i Terzi Oggetti che sono Cardine di Giudizio dopo essere stati preventivamente nominati: Ed infatti relativamente all'Oggetto l' essenziale d' ogni Giudizio espresso in parole, consiste nel far conoscere l'Oggetto Cardine di Giudizio. Dunque se quest' Oggetto fù già individualmente indicato, è inutile nominarlo di nuovo; e basta solo con una Voce generica ac-cennare, ch' è Cardine di Giudizio il Terzo Oggetto precedentemente nominato — Questo raziocinio si applica anche ai Terzi Oggetti, che prat-ticamente non sono Cardine di Giudizio.58. Qualunque Voce generica indicante cosi un  Terzo Oggetto è detta Pronome di Terzo Ogget-to; cioè« Voce generica, posta in luogo del Nome d'un Terzo Oggetto già espresso»; o più esattamente « Voce generica, richiamante un Terzo Oggetto già espresso ».  Ecco le Voci, che usa la Lingua Italiana per questi Pronomi :  ...  NUMERO  UNALE  PLURALE  maschile .... egli o esso eglino o essi  femminile. . . . ella o essa elleno o esse  5g. Nel far uso dei Pronomi di Terzo Oggetto si richiede grande attenzione, onde non abbia a sorgere nel Discorso confusione ed oscurità - Si fissi quindi come Regola generale, che trà il Pronome ed il Nome cui quello si riferisce, non deve trovarsi alcun altro Terzo Oggetto, almeno dello stesso Numero e Sesso.  PARAGRAFO 4..  Del Pronome Riflesso  6o. Nei Giudizj di Azione gli Oggetti Cardine di Giudizio sogliono molte volte offrirsi allo Spirito in un secondo aspetto in una seconda situa-zione, come lo sono effettivamente in natura; e questo o per determinare l'Azione medesima, o perché l'Azione presenti tutta l' estenzione ad essa necessaria in un dato Giudizio: Come « io credo me — tu biasimi te — egli o ella punisce se - noilodiamo noi— voi tormentate voi — essi o esse allontanano se»; che propriamente debbono per gusto di Lingua esprimersi «io mi credo tu ti biasimi — egli o ella si punisce — noi ci lodiamo — voi vi tormentate —essi o esse si allontanano».  6r: Dunque la Lingua aver deve una Voce esprimente qualunque Oggetto, il quale essendo già  Cardine di Giudizio si trova nella suespressa circo-stanza; vale a dire ci si presenta nello stesso Giudizio in una seconda ossia diversa situazione -  Questa Voce generica, inserviente ad accennare nello stesso Giudizio una seconda Situazione di qualunque Oggetto Cardinale, è da noi detta Pronome riflesso; cioé « Voce o Segno riflettente ossia rimandante la nostra attenzione all'Oggetto Cardinale » — Quindi il Pronome riflesso è dalla sua stessa natura impossibilitato ad essere Cardine di Giudizio.  In Italiano se (francese soi) é il Pronome riflesso per tutti i Terzi Oggetti: Gli Oggetti giudicante e ascoltante però anno un Pronome riflesso particolare e per ciascun Numero; come può rilevarsi dagli Esempj superiormente citati (6o) - La Lingua Russa à un sol Pronome riflesso.  AVVERTENZA  Sugli Oggetti, Cardine di Giudizio  62. Gli Oggetti Giudicante e Ascultante, e i  Terzi Oggetti non sempre sono Cardini di Giudi-zio; giacché nel discorso possono presentarcisi invarie Situazioni, come vedremo (184). Avendo però fissato rispettivamente il Nome (52, 53) e  Pronome generico (58) per essi, quando sono Cardini di Giudizio; anche quando non lo sono, potremo esprimerli rispettivamente collo stesso Nome o Pronome, accompagnato unicamente da un Segno per indicarne in ogni circostanza la Situazione precisa.  In Italiano questi Nomi e Pronomi quando non sono Cardinali, non conservano la soprafissata loro espressione; eccettuandone i soli noi, voi, esso, essa, essi, esse.  CAPO II  De varj Tempi, ai quali possono riferirsi i Giudizj  Il Tempo si definisce esattamente « Istante o Aggregato d'Istanti, in cui à luogo una qualunque Azione o somma di Azioni ». Il Tempo deve distinguersi in totale e parziale — Il Totale comprendé l'intera serie degl'I-stanti, che possiamo concepire trà il principio ed il fine dell' Esistenza: Il Parziale comprende soltanto una parte o porzione della serie totale. I nostri Giudizj potendosi riferire a qualunque Epoca di Tempo, è qui necessario esporre le generiche Teorie del Tempo Parziale, cioè considerato nelle varie sue Parti tanto assolute che re-lative.Tempo Passato, Futuro, e Presente  Colla forza d'Immaginazione considerando il Tempo totale come rappresentato da una Linea retta, tirata dal principio al fine dell' Esistenza, non possiamo non vedere; che molti Istanti già furono; che molti debbono ancora decorrere; e che un Istante indivisibile separa sempre la serie degl'Istanti decorsi dalla serie di quelli che deb bono ancora venire — Dunque dobbiamo dividere il Tempo totale in tré Tempi parziali, cioè passato futuro e presente. Il Passato comprende tutti gl' Istanti de- corsi: Il Fucuro comprende tutti gl'Istanti avve- nire: Il Presente occupa l'Istante unico indivisi-bile, che separa il passato dal Tempo futuro. PARAGRAFO 2.° Tempo Determinato e Indeterminato Il Tempo presente come formato da un solo Istante, è sempre determinato di sua natuta: Ma il Tempo passato e futuro come formato da una Junga serie d'Istanti, può nel Discorso essere determinato o indeterminato. Il Tempo è determinato, se chiaramente s' indica l'Istante o Aggregato d'Istanti, in cui aivenne o avverrà ciò ch'esprime il Giudizio: É indeterminato, se la Cosa espressa dal Giudizio si riferisce al Passato o Futuro in genere, vale a dire senza precisare limite alcuno.6g. Nel Tempo Presente è necessario distinguere il Presente-assoluto ed il Presente-relativo — È assoluto quello, che realmente decorre nel momento in cui esprimiamo il Giudizio: È relativa quello, che sebbene di sua natura già passato, pure da noi si considera sotto aspetto di Presente riguardo ad un altra o più Cose avvenute nel Tempo medesimo; come l'Azione di entrare in « Io entrava,: quando voi sortiste ». (V. Analisi п.° 116, 1.°).  70. Bisogna inoltre distinguere il Presente-asso-lato in naturale e ideale - Assoluto naturale é ogn' Istante, che separa effettivamente tutto il Passato dall'intero Avvenire: Assoluto ideale é un Istante qualunque, preso nella serie del Tempo passato o futuro, e coll' Immaginazione da noi  considerato come Presente.  Il Presente Ideale, ossia ciò che da noi ideal-  mell'eni considera canei di eso luri richiede  Per esso dimenticando la naturale assoluta nostra situazione, voliamo col pensiero dove la circostanza ne chiama. In quei momenti di Entusiasmo il Presente. naturale più non esiste per noi: Il Passato ed il Futuro prendono sembianze diverse ; e l'Ordine reale delle Cose interamente svanisce.Tempo Passato e Futuro  71. I Tempi passato e futuro essendo formati da lunga serie d'Istanti, noi possiamo in ciascuna di tali serie considerare due Azioni eseguite o da eseguirsi in momenti diversi - In tal caso chiaro si scorge, che una delle due Azioni espresse dai corrispondenti Giudizj, avvenne o avverrà prima dell'altra - Dunque se consideriamo rispettivamente come passato o futuro ciò ch' esprime il secondo Giudizio, anche, ciò ch'è espresso dal primo sarà passato o futuro ma colla prerogativa di An teriorità.  Dunque il Primo dei due Giudizj ossia il  Tempo in cui esso à luogo, con ragione sarà da noi rispettivamente chiamato passato-anteriore o futuro-anteriore; com'è difatti in Natura. (V.  Analisi n° 116, IL° IlI.°).  CAPO III  De varj Modi, ne' quali possono formarsi i Giudizj  72. I Giudizj si formano e però anche si esprimono in varj Modi, secondo la diversità delle cir-costanze. Distinguendo il Modo Definito in Indicativo e Condizionato, noi riduciamo questi Modi al numero di nove: Almeno ci sembra, che nei Giudizj nove diversi Modi meritino una particolare attenzione; e però passiamo a dare una succinta nozione di ciascuno — Chi ne bramasse Det-taglio maggiore, consulti l' Analisi premessa (ros e seg.).  PARAGRAFO I.°  Modo Generico  Formiamo spesso di seguito due o più Giudizi riferibili ad un Oggetto medesimo, e inseparabilmente concatenati frà loro - In tal caso, espresso con chiarezza e precisione il Giudizio principale cioè il Giudizio base del discorso, consideriamo l'altro o altri come accessorj: Quindi li esprimiamo in genere ossia in Modo Generico; nulla più richiedendosi per la completa loro in-telligenza. Il Giudizio di Modo Generico può essere determinante o accompagnante - È determinante, quando serve a determinare cioè a stabilire il vero e preciso valore del Giudizio principale: È accompagnante quando unicamente accompagna il Giudizio principale; cioe quando ciò ch' esprime, avviene contemporaneamente all' espressione del Giudizio principale.  Avvertasi, che i Giudizj Generici di Qualità per loro natura non possono essere accompagnanti.  Infatti il Giudizio in se stesso non esprime che  Affermazione o Negazione (40). Quindi nei Giu-dizj da noi detti accompagnanti, devesi intendere ch'è accompagnante non propriamente il Giudizio, ma la Cosa su cui cade il Giudizio, ossia l'Attri-buto di Giudizio (45). Ora una Qualità non à per natura relazione alcuna col Tempo. Dunquenon può aversi Qualità contemporanea al Giudizio principale. Dunque i Giudizj Generici di Qualità non pussono essere accompagnanti. Dunque sono accompagnanti i soli Giudizj di Azione.  PARAGRATO 2°  Modo Indicativo  Un Giudizio si dice espresso in Modo In-dicativo, quando per intenderlo completamente basta semplicemente indicarlo: Ciò avviene, quando ad un Oggetto si attribuisce un Azione o Qualità colla massima possibile semplicità e certezza; vale a dire, senza che vi sia annessa alcuna particolare circostanza o emozione dell'animo. Il Giudizio Indicativo può essere isolato o dipendente - É isolato, quando esprime un senso in tutte le sue parti perfettamente completo senza il concorso d'altro Giudizio: É dipendente cioẻ dipende da altro Giudizio, quando senza il concorso d' un secondo Giudizio presenterebbe un sentimento cone sospeso, e non perfettamente compiuto riguardo al Tempo cui si riferisce. I Giudizj di Modo Indicativo isolato appartengono tutti al Tempo o passato o presente o futuro (06): Quelli di Modo Indicativo dipendente appartengono invece al Tempo o presente-relati-vo ((19) o passato-anteriore o futuro-anteriore (71); come infatti richiede la già analizata intrinseca natura di questi tré Tempi.Modo Condizionato 78. E in Modo condizionato ogni Giudizio, la  cui Verificazione • trovasi essenzialmente attaccata all' eseguimento di qualche Condizione - Quindi il Giudizio condizionato, relativamente alla Condizione è sempre di sua natura futuro.  79. Un Giudizio Condizionato può essere pratti-  quando la condizio inese abior e estabile ,  ineseguibile, quando non può aver più luogo la  Condizione.  8o. Quindi il Condizionato Eseguibile non può riferirsi che a Tempo futuro; e l' Ineseguibile deve necessariamente riportarsi a Tempo o passato  o presente.  AVVERTENZA  Sui Modi Indicativo e Condizionato  8r. I Giudizj di Modo Indicativo e Condizionato sono tutti definiti di loro natura. Chiamasi definito ogni Giudizio, il quale esclude ogni ombra d'incertezza relativamente alla persuasione in cui tro-vasi chi lo proferisce; ossia è definito ogni Giudizio il quale fa conoscere, che chi lo forma e pronuncia, è persuaso di ciò ch' esprime il Giudizio medesimo.Modo Suppositivo  8a. È in 'Modo Suppositivo o di supposizione ogni Giudizio, in cui ammettiamo come avvenuta o avvenibile una Cosa che potrebbe anche non essere.  83. Essendo in nostra facoltà portare su qua-  Junque Istante le nostre supposizioni, un Giudizio suppositivo può riferirsi a Tempo o passato o presente o futuro.  PARAGATO  5.°  Modo Volitivo  84. È in Modo volitivo ogni Giudizio, nel quale l'Oggetto giudicante fa energicamente conoscere un atto di sua Volontà - Ma un atto d'intensa  Volontà non può esternarsi che o comandando o esurtando o pregando. Dunque il Giudizio Volitivo esprime sempre o Comando o Esortazione o  Preghiera.  85. Inoltre un atto di Volontà non può avere alcuna influenza sul Tempo passato - Dunque il Giudizio Volitivo sarà di Tempo o presente o fu  биго.  86. Finalmente l'Oggetto giudicante essendo un solo, non à bisogno di esprimere con parole un atto di Volontà riguardante lui stesso — Dunque nei Giudizj di Modo Volitivo la Lingua mancherà di espressione per l'Oggetto giudicante, se uno.Modo Ottativo  E in Modo Ottativo ogni Giudizio, in cui desideriamo energicamente che avvenga o sia ar-venuto, ciò ch' esprime il Giudizio medesimo. Il Giudizio Ottativo può essere eseguibile o ineseguibile - È Eseguibile, quando il Desiderio che lo accompagna, può ancora sodisfarsi : È Ineseguibile, quando il Desiderio che lo accom-pagna, non può più essere praticamente sodisfatto. Quindi l'Ottativo eseguibile si riferisce unicamente a Tempo futuro; e l'ineseguibile si riferisce a Tempo o presente o passato PARAGRATO 7.° Modo Condizionante É in Modo Condizionante ogni Giudizio esprimente la Condizione, al cui verificamento si appoggia un Giudizio Condizionale qualunque (78). 9r. Il Giudizio condizionante è di Tempo o passato o presente o futuro, secondo l'Istante cui si riferisce ciò ch'esprime il Giudizio medesimo.  PARAGRATO 8.°  Modo Indefinito  92. É in Modo Indefinito ossia incerto ogni Giudizio, accompagnato da una specie d'incertezza rapporto all'esistenza di ciò ch' esprime il Giudizo medesimo:  I Giudizi Indefiniti possono riferirsi a qua lunque Tempo tanto assoluto che relativo; giacché un Azione in qualunque circostanza può presentarsi al nostro spirito coll'impronta dell'Incertezza. PARAGRATO 9.° Modo Interrogativo É in Modo Interrogativo ogni Giudizio accompagnato da Domanda ossia Interrogazione. Quindi i Giudizi Interrogativi sono per loro natura Inde-finiti, rapporto a ciò ch'esprimono. Si avverta però, che la loro Incertezza è abbastanza chiaramente espressa dall' Interrogazione; e quindi che tali Giudizj si esternano colle Voci di Modo Definito (81). Il Giudizio Interrogativo può essere semplice o enfatico - È semplice, quando si chiede unicamente e nudamente ciò ch'è espresso dal Giudizio medesimo: É enfatico, quando la Domanda è accompagnata da Enfasi ossia dá un forte sentimento dell' Animo. 98. Un Giudizio Interrogativo può riferirsi a qualunque Tempo tanto assolulo che relativo; essendo chiaro che le Domande possono estendersi su tutti gl' Istanti possibili.  Delle Voci indicanti Giudizio Tempo e Modo  97. Benché il Giudizio, il Tempo cui si riferi-sce, ed il Modo nel quale si forma ed enuncia, sieno tré Cose assolutamente diverse, pure le Lingue sogliono praticamente esprimerle con una sola Parola; il che produce un utilissima Brevità - É vero, che molte Lingue alle volte usano per ciò più parole distinte frà loro; come in Italiano era-stato, sard-stato ec. Ma se ben si ana-lizi, si troverà che tali distinte Parole essenzialmente ne costituiscono una sola; com'era in Latino fueram, fuero ec.  É dunque di somma importanza il ben conoscere nel Linguaggio le Voci, ch' esprimono al tempo stesso Giudizio Tempo e Modo - Per amore di brevità tralascio di qui esporre quelle che à stabilito la Lingua Italiana, e che formano la cosi detta Conjugazione della Voce di Giudizio essere.  98. Intanto si fissi, che sebbene nei Giudizj i Modi già analizati sieno nove (72), pure le Voci esprimenti Giudizio Tempo e Modo ossia le Voci di Giudizio, in Italiano come in altre Lingue molte non sono trà loro diverse, che pei soli quattro  Modi Generico Indicativo Condizionato e Indefi-nito. Per gli altri Modi poi le Voci si prendono. da qualcuno di questi tré ultimi, colle opportune avvertenze sull'Inflessione vocale, sulla Disposizione delle parole ec. analogamente alla natura di  ciascun Modo in particolare. Quindi una stessa  Voce di Giudizio può praticamente avere diversi  Valori (30).  SEZIONE TERZA  DEI FONTI PRIMITIVI DE GIUDIZI  99. Nel giudicare altro noi non facciamo, che attribuire ad un Oggetto o un Azione o una Qualità (40) - Dunque i Fonti Primitivi dei Giudizi sono trè, vale a dire gli Oggetti le Azioni e le Qualità di primitiva Esistenza, cioè ch'esi-stono o che per lo meno s' immaginano effettivamente esistenti in Natura.  In Natura, almeno secondo la nostra maniera di concepire, esistono ancora dei Rapporti: Essi però nei Giudizj si presentano sempre sotto aspetto o di Oggetti o di Qualità, vale a dire mancanti dell'assoluta primaria loro natura, e però non più primitivi.  CAPO I  Degli Oggetti  100. Chiamiamo Oggetto «Qualunque Cosa, cui può attribuirsi una qualche Azione o Qualità ».  Negli Oggetti oltre il Numero generico ed il  Sesso di cui già si parlò (47, 49), bisogna ossero vare altre Cose, come passiamo ad esporre.  Denominazione degli Oggetti  101. Esistono in Natura moltissimi Oggetti aventi le stesse Proprietà (122); e sarebbe impossibile assegnare un Nome particolare a ciascuno di essi.  Quindi tutte le Lingue fissarono dei Nomi gene-rali, cioè dei Nomi esprimenti tutti gli Oggetti individui che anno le stesse Proprietà. - Ma esistono ancora degli Oggetti unici; vale a dire 0g-getti, ai quali non é possibile trovarne un secondo avente uguali Proprietà: E questi debbono avere ed anno anch'essi nel Linguaggio il Nome loro par-ticolare.  102. Dunque dobbiamo dividere i Nomi degli  Oggetti ossia i Sostantivi in generici ed individui - É generico ogni Sostantivo il quale esprime un Oggetto comprendente molti Esseri della Natura; come Libro, Pianta ec. É individuo ogni Sostantivo esprimente un Oggetto unico, ossia ogni Sa stantivo applicabile ad un solo Oggetto e sempre allo stesso; come Vienna, Roma ec.  :  I Nomi Individui sono di loro natura tutti determinati; e sono pure di loro natura indeterminati tutti i Nomi Generici, presi isolatamente. Nel prattico discorso però bisogna distinguere i Sostantivi Generici in assoluti, limitati, e determinati - É generico-assoluto ogni Sa-stantivo, che nel contesto del discorso ci presenta un idea assolutamente generica, ossia in tutta la sua possibile estensione; come Mare in « Il Mareè incostante »-E generico-limitato ogni Sostan-tivo, che nel contesto del discorso ci presenta uni Idea come ristretta ossia limitata ad un numero speciale d'Individui; come Mare in « Il Mare tranquillo è piacevole » - È generico-determinato ogni Sostantivo, che non in se stesso ma nel contesto del discorso ci presenta un Oggetto assolutamente unico ossia Individuo; come Mare in « Il  Mare di Toscana».  PARAGRATO 2.°  Situazione degli Oggetti  105. Per Situazione noi qui intendiamo l'aspetto il modo, con cui in un Giudizio o discorso ci si presentano praticamente gli Oggetti - Noi ve-diamo, che in Natura uno stesso Oggetto in diverse Epoche o Circostanze é suscettibile di Situazioni diverse. Dunque ognivolta che nominiamo un Oggetto, dobbiamo precisarne la vera Situa-zione; vale a dire, dobbiamo chiaramente indicare sotto qual aspetto o punto di vista noi lo consideriamo - Dunque il Linguaggio aver deve i suoi  Segni per dare a conoscere le varie Situazioni degli Oggetti.  Credo necessario di qui esporre dettagliatamente queste varie Situazioni, fissando per ciascuna un Nome che unito alla parola Sostantivo; ci faccia subito conoscere la vera Situazione dell'Oggetto espresso dal Sostantivo medesimo.SOSTANTIVO CARDINALE  x06. Chiamiamo cardinale ogni Sostantivo espri-mente un Oggerto, ch'é Cardine di Giudizio (43):  Cosi Pietro é Nome cardinale in « Pietro é vir-  tuoso ».  SOSTANTIVO NOMINANTE  107. Chiamiamo nominante ogni Sostantivo espri-mente un Oggetto, che deve meramente essere nominato: Cosi Pietro é Sostantivo nominante in  «Tizio é dotto quanto Pietro».  A VVERTENZA  Il Sostantivo nominante puo in fondo cop-siderarsi come Sostantivo cardinale (106); e nel Linguaggio infatti anno ambedue la medesima espressione — Si avverta peró, che sono essenzial-mente distinti frà loro; giacché il Nome Cardi-nale é sempre acompagnato dalla Voce di Giu-dizio, e il Nominante mai. SOSTANTIVO DETERMINANTE-OGGETTO Chiamiamo determinante-oggetto ogni So-stantivo esprimente un Oggetto, che serve a deter-minarne un altro (103, 104): Cosi Pietro é Nome determinante-oggetto in «Il Cavallo di Pietro - La Casa di Pietro ec. ».  SOSTANTIVO DETERMINANTE-AZIONE  110. Chiariamo determinante-azione ogni So-      stantivo esprimente un Oggetto, il quale serve a determinare un'Azione (201): Così Pietro è Nome determinante-azione in « I soldati ferirono Pietro - Mandate Pietro al Passeggio ec.».  SOSTANTIVO CHIAMANTE  111. Diciamo chiamante ogni Sostantivo esprimente un Oggetto, che viene effettivamente chia mato: Così Pietro è Nome chiamante in « Pietro, scrivete — Pietro, chi è venuto? ec.».  SOSTANTIVO INDEFINITO  122. Chiamiamo indefinito ogni Sostantivo, che essendo di numero unale non definisce ossia non precisa la Quantità dell'Oggetto, ed essendo plurale non precisa il Numero degli Oggetti ch' e-  sprime: Cosi Inchiostro, Carto, - Bombe, Cannoni sono Sostantivi indefiniti in & Vorrei dell'In-chiostro, e della Carta - O'visto delle Bombe, e dei Cannoni ».  I Sostantivi indefiniti non possono esprimere, che Oggetti di loro natura indeterminati; giacché soltanto in questi possiamo concepire e Numero indefinito e indefinita Quantità!  SOSTANTIVO CONTENENTE  113. Chiamiamo contenente ogni Sostantivo esprimente un Oggetto, il quale si considera prattica-mente come capace di contenere una Cosa qualunque espressa nel Discorso: Cosi Parigi, Casa, Libri sono Sostantivi contenenti in « Vi tratterretelungamente a Parigi? — Pietro non é in Casa -  Cercate l'Istruzione nei buoni Libri ».  SOSTANTIVO RELATIVATO  114. Chiamiamo relativato ogni Sostantivo esprimente un Oggetto, relativanzente a cui pronun-  Pace — Lo accusano di Tradimento — Che si dice di Pietro? ».  SOSTANTIVO RICEVENTE  Chiamiamo ricevente ogni Sostantivo esprimente un Oggetto, il quale effettivamente riceve qualche Cosa: Cosi Pietro è Nome ricevente in « Consegnate questo Libro a Pietro - Dite a Pietro ec. ». SOSTANTIVO TERMINANTE Chiamiamo terminante ogni Sostantivo esprimente un Oggetto, ch' è termine o di Moto o d' un Azione col mezzo di Moto: Così Pietro é Nome terminante in « Portate questa Lettera a Pietro - O'scritto a Pietro - Andate da Pietro, e ditegli ec.». SOSTANTIVO COMINCIANTE Chiamiamo cominciante ogni Sostantivo esprimente un Oggetto, nel quale comincia un Azione od un Molo: Così Pietro è Nome cominciante in « Mi fù scritto da Pietro - Ciò dipende da Pietro - Allontanatevi da Pietro ec. ». Speciali Espressioni di NuMEro per gli Oggetti  118. Nunero significa « Voce o Segno esprimen-  nella medesima circostanza e situazione.  11g. Ogni Sostantivo indeterminato deve avere il distintivo di Numero generico, cioè un Segno indicante se l'Oggetto espresso dal Sostantivo è al Numero unale o plurale; come abbiamo già veduto (47). Questo Segno generico però non sempre basta ad esprimere negli Oggetti la numerica  Idea conveniente.  120. Quindi il Linguaggio oltre il Segno generico deve anche avere delle Speciali Voci di Nu mero, le quali saranno determinate o indeterminate - Una Voce di Numero è determinata, se esprime quanti uno la formano; come trè, dieci ec.:  Una Voce di Numero é indeterminata, quando non esprime quanti uno la formano; come pochi, alcuni, molti ec..  PARAGRAFO 4.°  Espressioni di suoco per gli Oggetti .  121. Luogo vuol dire «Punto o Aggregato di Punti, occupato nella Natura da un Corpo qualunque »— Gli Oggetti di reale esistenza, almeno quelli di cui parliamo più spesso, essendo nella massima parte corporei, ci troviamo spessissimo,nella circostanza di dover indicare un qualche  Rapporto di Luogo.  Dunque il Linguaggio aver deve delle Voci apposite per esprimere negli Oggetti i varj Rapporti locali.  CAPO  II  Delle Qualità  122. Per ben intendere il valore della Voce Qualità, bisogna fissare quello di Proprietà d'un  Oggetto qualunque - In ogni Oggetto dicesi Proprietà «Tutto ciò, senza cui l' Oggetto cesserebbe  d'esistere ».  123. Qualità poi chiamasi in ogni Oggetto « Tutto ciò, che in esso non è Proprietà»; ossia « Tutto  pit che anche no avere se di rimarca ile e ele  PARAGRAFO 1.°  Massimo Aumento nelle Qualità  É facile comprendere, che le Qualità possono aumentare di forza ossia d'Intensità nella loro intrinseca essenza e natura. Quindi alle volte possiamo ancora e dobbiamo considerarle giunte allo stato di Aumento Massimo; vale a dire ad uno stato, oltre il quale più non esiste Aumento. Questo Massimo Aumento poi può essere assoluto o relativo - E assoluto, quando consideriamo la Qualità giunta al suo Massimo senz'al-cuna restrizione; come « Cicerone fù eloquentis  simo, cioè eloquente nel maggior grado possibile » :  É relativo, quando nell'Oggetto consideriamo la Qualità giunta al suo Massimo, sultanto relativamente ad una determinata sfera d'altri Oggetti; come « Cicerone fù il più eloquente dei Romani, cioè superò in Eluquenza tutti i Romani ».  126. Dunque il Linguaggio deve avere dei Segni per esprimere nelle Qualità il Massimo Au  mento tanto assoluto che relativo. PARAGRATO 2° Massimo Decremento nelle  Qualita  Le Qualità sono suscettibili di decrescere ossia diminuire, come lo sono di aumentare. Quindi potremo e dovremo alle volte considerarle giunte allo stato di Mussimo Decremento; cioé ad uno stato, oltre il quale non esiste altro che zero. Il Massimo Decremento può essere anch'esso assoluto o relativo, e precisamente nelle stesse circostanze del Massimo Aumento (‹25); giacché il Decremento Massimo non è che il preciso Opposto del Massimo Aumento. Avremo quindi « Tizio è ineloquentissimo - Sempronio è il più ine- loquente degli Avvocati ». Dunque il Linguaggio aver deve dei Segni per esprimere nelle Qualità il Massimo Decremento e assoluto e relativo.Deterioramento nelle Qualità 130. Avviene sovente, che le Proprietà degli Oggetti subiscono dell' Alterazione negli Elementi loro costitutivi. Ora le qualirà negli Oggetti non sono, che il risultato delle loro Proprietà e delle varie combinazioni degli Elementi che ne costituiscono l'Essenza. Dunque alterate in un Oggetto le Proprietà, anche le Qualità debbono alterarsi necessariamente.  Se quindi l'alterazione delle Proprietà ossia degli Elementi loro costitutivi, succeda gradata-mente; le Qualità nel principio di tale Alterazione si troveranno non del tutto svanite, ma soltanto peggiorate ossia in uno stato di Deterio-ramento: Così un Pomo che oltrepassa lo stato di maturanza, non cessa d'esser dolce all'istante ; ma và gradatamente deteriorando, cioè passa dallo stato di dolce a quello di dolciastro ec.  ‹31. Dunque il Linguaggio aver deve un Segno per esprimere il Deterioramento nelle Qualità.  PARAGRAFO 4.°  Variazione nelle Qualità  132. Ognuno coll' esperienza determina in se stesso l'idea assoluta ossia il valore generico di ciascuna Qualità. Una stessa Qualità però pratti-camente non sempre rimane nel grado medesimo di forza, ossia non sempre corrisponde perfetta-  is mente all'Idea generica e assoluta che ci siamo formati di ciascuna. Infatti, le Qualità potendo giugnere ad un Massimo e Aumento e Decremento (124, e seg.), è chiaro che sortendo dal loro stato ordinario, debbono o almeno possono passare per Gradi direi quasi infiniti. — Ora ogni Qualità che trovasi fuori del suo stato e Valore assoluto, ossia che non corrisponde esattamente all'Idea generica che noi già ci formammo di essa, è da noi detta Qualità variata.  Dunque il Linguaggio aver deve Regole e Voci opportune per esprimere le Variazioni, che possono subire le Qualità; come molto, poco, discretamente ec. CAPO III Delle Azioni Chiamiamo Azione «Tutto ciò, che un Oggetto può fare in qualunque Istante di Tempo».  PARAGRAFO 1.°  Verbi  135. La Voce di Azione praticamente suol es sere unita alla Voce di Giudizio in una sola. Pa-rola; come amure, scrivere ec. invece di essere amante, scrivente ec. Questa Parola è ciò che chiamasi Verbo — Quindi il Verbo può definirsi  «Parola composta da due Voci, una di Giudizio l'altra di Azione n.    136. L'Unione di queste due Voci in una sola  *Parola abbrevia é vero, ma rende la Lingua generalmente complicata e difficile - Dunque il Linguaggio aver dovrebbe la Voce di Azione unita ; a quella di Giudizio, solo quando tale unione produce Brevità senz' alcuna difficoltà o complica-zione; e questo analogamente al nostro scopo può soltanto avvenire, quando l'Azione è espressa in Modo Generico (102 e seg.). Difatti basta per ciò stabilire, che la Radice di Azione aumentata d'un segno convenuto, esprime al Modo Generica e l'Azione e la Voce di Giudizio.  137. Dunque il Linguaggio deve decomporre i  Verbi in Voci di Giudizio e di Azione; lasciando queste due Voci unite in una stessa Parola al  •solo Modo Generico.  138. Ma il Modo Generico ora è determinante e con trè Tempi diversi (104 e seg.), ed ora è accompagnante (106 e seg.) - Dunque il Linguaggio fisserà dei Segni per le necessarie distin-zioni.  PARAGRATO 21°  Azioni Determinate e Indeterininate  • 139. Chiamiamo determinata «Ogni Azione, che risguarda esclusivamente l'Oggetto Cardine di Giu-dizio»; come dormire, correre ec. Chiamiamo in determinata «Ogni Azione, che può risguardare  Oggetti diversi dal Cardine di Giudizio»; come scrivere, chiamare ec.  140. Le Azioni Indeterminate, onde formarne  l'idea conveniente, nel discorso debbono quasi sempre determinarsi - Quindi il Linguaggio avra le sue Leggi per tale Determinazione (201 e seg.).  PARAGRAFO 3.°  Determinazione del Tempo nelle Azioni o Giudizj  • 141. É molre volte necessario indicare l'Istante o Aggregato d'Istanti, in cui arvenne o avverrà un Azione o Giudizio; vale a dire, che molte volte bisogna determinare il Tempo (68) d'una data Azione, non sempre potendosi riferire al Passato o Futuro indeterminatamente.  142. Dunque il Linguaggio aver deve apposite  Espressioni per la Determinazione del Tempo.  143. Trà le Espressioni di Tempo maritano particolare avvertenza quelle, che servono a indicare un Epoca qualunque sia passata sia futura; Epoca la quale si fissa, partendo dal presente e scorrendo col pensiero fin dove la natura del discorso comanda di arrestarsi - Tali Espressioni da noi si chiamano estese Espressioni di Tempo; e si formano sempre col mezzo d' un sostantivo di Tempo, come ora, giorno, minuto, mese ec.: Quindi abbiamo pel passato « Un ora fa - Due giorni fa - Trè mesi fa — Sei anni là ec.»; e pel fisturo «Da qui a un ora — Da qui a trè giorni - Da qui a due secoli ec.». Da queste Espressioni è facile ri-levare, che in esse partiamo sempre da un Epoca la quale si considera come presente.  144. Dunque il Linguaggio avrà un Segno particolare per queste Espressioni estese di Tempo.  САРО  Iv  1  Cose comini agli Oggetti, Azioni, e Qualità  145. Gli Oggetti indeterminati, le Azioni e le Qualità sono egualmente suscettibili d' un generico.  Aumento e Decremento; come passiamo ad esporre nel seguente  PARAGRAFO UNICO  Generico Aumento e Decremento nelle Cose  146. Un Sostantivo Generico (102) comprende moltissimi Individui. Dunque è impossibile formarsi un Idea assolutamente generica, ossia un Idea che perfettamente corrisponda al valore d'un Sostantivo Generico. L'Idea che noi attacchiamo ad un Sostantivo Generico qualunque, non è propriamente che l'Idea d' uno degli Oggetti compresi sotto al Nome Generico medesimo. Quindi possiamo, dir con ragione, che nello spirito dell'Uomo ad ogni Sostantivo generico corrisponde l'Idea nou d'un Oggetto generico, ma d' un Oggetto individuo.  Ora non tutti gli Oggetti Individui che ánno, eguali Proprietà, cioé che sono compresi sotto lo stesso Nome. Generico, anno pure uguale perfe zione. Fissata dunque l'Idea propriamente Indivi-  duta corrin sedente pl senti Sisalto spie del    Oggetti individui, aventi Qualità superiori o inferiori all'Idea medesima che noi consideriamo come Generica. In tal caso fatto il confronto dell'Idea considerata generica coll'Idea dell'Oggetto individuo, l'Uomo in forza d'abitudine ritenendo invariabile la prima, vede necessariamente un  Aumento o  Decremento nella seconda, e quindi nell' Oggetto ad essa corrispondente.  Dunque i Sostantivi Generici applicati a qualche Oggetto particolare, sono suscettibili d'Aumento e Decremento, almeno secondo la nostra maniera di vedere.  147. Questo Raziocinio è pienamente applicabile anche alle Azioni e Qualità - Infatti noi col-l' esperienza fissiamo l'Idea assoluta e generica d'ogni Qualità ed Azione. Ora ognuno conosce, che le Qualità ed Azioni d'una stessa specie prattica-mente non sempre si presentano colla medesima intensità. Dunque confrontando un Azione o Qualità particolare coll' Idea corrispondente da noi considerata Generica, spesso troveremo che la prima è inferiore o superiore alla seconda.  Dunque i Nomi Generici di Qualità e di  Azione applicati a qualche Azione 6 Qualità par-ricolare, al pari degli Oggetti o Sostantivi generici sono suscettibili d'Aumento e Decremento.  148. Dunque, siccome non sempre è necessario precisare la Quantita dell'Aumento o Decremento, il Linguaggio dovrà avere del Segni per esprimere il generico Aumento e Decremento negli Ogget-ti, Azioni e Qualità; Aumento e Decremento,  unicamente relativo all'Idea generica che ci siamo preventivamente formati di ciascun Oggetto Azione e Qualità in genere.  149. Sia per l'Abitudine che abbiamo di espri-merli, sia per la maggiore facilità di concepirli, é facile comprendere ciò che intendiamo per Aumento e Decremento generico negli Oggetti ; ma non a tutti sarà egualmente facile il formarsi una giusta Idea degli Aumenti e Decrementi generici nelle Qualità e specialmente nelle Azioni. Questa difficoltà nasce da mancanza di uso, e singolarmente da mancanza di apposite Espressioni - Un  quella facilità stessa, con cui un Italiano intende I Aumentativo Librone e il diminutivo Libretto :  E anche in ciò la Lingua Russa e superiore a tutte le altre da me conosciute.  Per agevolare quindi al nostro Spirito il necessario concepimento di tali Aumenti e Decre menti, supponiamo che l'Aumento si esprima con oltre, e il Decremento con retro. Fissando che nelle Azioni e Qualità deve sempre esistere trá l'Idea radicale e il suo Aumento o Decremento, quello stesso mentale Rapporto che passa trà Li-bro, Librone e Libretio, chi può non concepire l'assoluto valore delle seguenti espressioni?  LUMENTO  DEOREMENTO  Libro  ..  oltre-Libro  retro-Libro  Casa  oltre Casa    retro-Casa  bello .... oltre-bello .... retro-bello  dolce  oltre-dolce  retro-dolce  parlare  oltre-parlare  retro-parlare  punire  oltre-punire  retro-punire  intendere .  oltre-intendere  retro-intendere ec.  Concludiamo dunque, che quando si sapesse esprimerle, non é poi difficile afferrare simili Idee di Aumento e Decremento generico in tutte le Cose.  CAPO V  Cose comuni alle Azioni e Qualità  150. Le Qualità egualmente che le Azioni sono suscettibili di Modificazione e di Confronto; del che passiamo a trattare separatamente.  PARAGRAFO 1.°  Modificazione nelle Azioni è Qualità  • 15r. Le Qualità e le Azioni sono spesso accompagnate e come compenetrate da qualche caratteristica Particolarità: Cost. in « Un essere orrendamente deforme » esprimiamo l'orrore immedesimato colla deformità»; e in « Correre velocemente » esprimiamo la velocità immedesimata coll'Azione di correre. In simili casi l'Azione o Qualità e l'ac-    compagnante Particolarità non ci presentano che una sola Cosa, a Idea propriamente composta; ossia ci presentano, ciò che noi chiamiamo Azione  • o Qualità modificato.  Quindi è Qualità o Azione modificata « Ogni Azione o Qualità, il cui assoluto valor naturale da noi si percepisce come immedesimato col va-Jore di qualche caratteristica accompagnante Particolarità ».  $52. Il Linguaggio dunque aver deve le sue Leggi per esprimere convenientemente qualunque Modificazione nelle Azioni e Qualità.  PARAGRAFO 2.°  Confronto nelle Azioni e Qualità  153. Confrontare significa « Porre due o più Cose dirimpetto o di fronte trà loro »— Il Confronto succede ogni volta che bramiamo conoscere, se due o più Oggetti posseggono una medesima Azione o Qualità in grado eguale o differente. Quindi i  Confronti sono frequentissimi nel discorso.  In ogni Confronto è necessario distinguere l'Oggetto primo dal secondo. Chiamiamo primo, quella ch'è cardine di Giudizio; e l'altro secondo: Così in « Pietro è più giovine di Paolo » Pietro é primo  Oggetto, Panlo é secondo Oggetto di Confronto.  • 154. L'effetto di qualunque Confronto é necessariamente un Giudizio esprimente la scoperta Egra-glianza o Differenza - La Differenza poi può essere in più o in meno; secondoché l'Oggetto    cardine di Giudizio supera o è superato dall'altro nella confrontata Azione o Qualità.  Se fatto il Confronto, l'Anima non iscorge colla necessaria chiarezza né Eguaglianza né Diffe-renza, si astiene naturalmente dal giudicare; ossia pronuncia un Giudizio d'Ignoranza o di Dubbio.  $55. Dunque il Linguaggio aver deve dei Segni per esprimere a norma delle varie circostanze il Giudizio, che deriva dall' eseguito Confronto.  SEZIONE QUARTA  DEI FONTI SECONDARJ DE GIUDIZI  $56. Chiamiamo Fonti secondarj de Giudizj  « Tutto ciò che derivo genericamente dai Fonti pri-mitivi, vale a dire dagli Oggeiti Azioni Qualità e  Rapporti (99) di primitiva Esistenza ».  Le Derivazioni generiche dai Fonti Primitivi sono quattro; cioè Oggetti, Qualità, Azioni e Modificazioni. Le Definizioni già date per le Qualità (123) Azioni (134) ed Oggetti (100) primitivi, sono applicabili anche alle Azioni Qualità ed Oggetti de-rivati: Harvi però frà loro questa differenza; che i Primitivi esistono realmente o in natura o in immaginazione, e i Derivati basano la loro esi.  stenza sui Primitivi.    Dunque nel Linguaggio le Cose Derivate debbono esser espresse diversamente dalle Primitive, ossia in modo che si conosca la Derivazione.  159. Rapporto alle Modificazioni, esse non esistono né in natura né in immaginazione; e perd sono soltanto derivate - Infatti una Qualità o Azione allora è modificata, quando si concepisce da noi come compenetrata nella sua essenza da qualche caratteristica particolarità (151). Dunque le Modificazioni non esistono, che nella nostra maniera di concepire.. Dunque non esistono realmente né in natura né in immaginazione (158).  Dunque sono puramente derivate.  Passiamo ora ad analizare le varie Cose Derivate, distinguendole in Cose di prima e di se- : conda Derivazione; e avvertendo, che le Teorie di qualunque specie esposte nella precedente Sezione per le Cose Primitive, sono in tutta la loro estensione applicabili anche alle Cose Derivate. CAPO I Delle Cose di Prima Derivazione Chiamiamo Cose di Prima Derivazione «Tutto ciò, che deriva direttamente e immediatamente dai Funti Primitivi (‹56) ».  PARAGRAFO I.  Derivazioni dalle Radici di Oggetto  162. Dalle Radici di Oggetto deriva una Qualis  tà, che serve ad attribuire a un altr' Oggetto in via di Qualità, ciò che forma il distintivo e l' essenza del primo, cioé dell'Oggetto radicale: Cosi diciamo  « Paese montuoso - Luoghi paludosi ec. » dagli  Oggetti Monte Palude ec.  Dunque il Linguaggio aver deve un Segno indicante ogni Nome Qualitativo, che deriva da Radice di Oggetto. PARAGRAFO 2.° Derivazioni dalle Radici di Qualità Dalle Radici di Qualità deriva un Ogget-to-astratto, un Verbo, ed una Modificazione. Chiamiamo Oggetto-astratto di Qualità *Ogni Oggetto puramente intellettuale, che for-masi colla forza di Astrazione»; ed a cui si attribuisce come la virtù di agire su tutti gli Og-getti, ne' quali trovasi quella data Qualità: Cost Dolcezza, Orgoglio, Deformità, Virtù ec. sono Oggetti-astratti, provenienti dalle Radici di Qualità dolce, orgoglioso, deforme, virtuoso ec.  Chiamiamo Verbo derivato da Radice di Qualità « Ogni Verbo esprimente l'Azione di comunicare a qualche Oggetto •una Qualità che prima non aveva »; come dolcificare, facilitare, indebolire ec., cioé rendere dulce, facile, debole ec. La Modificazione proveniente da Qualita, non è che la Qualità stessa, configurata e da noi concepita come capace d' investire in tutta la sua essenza un Azione o qualche altra Qualità (15g) . Dunque il Linguaggio avrà dei Segni per indicare e gli Oggetti-astratti e i Verbi ossia Azioni e le Modificuzioni, provenienti da Radice di Qua-sità. PARAGRAFO 3.° Derivazioni dalle Radici di Azione Dalle Radici di Azione indeterminata (13g) abbiamo cinque diverse Derivazioni ; cioè Vo-ce-attiva, Oggetto-attore, Oggetto-astratto, Vo ce-passiva, e Qualità - Dalle Radici di Azione determinata poi si anno le sole prime tré Deriva-zioni; cioè Voce-attiva, Oggetto-astratto e Og getto-attore.  170. Chiamiamo attiva ogni voce di Azione in-  dicante, che l'Oggetto Cardine di Giudizio è at-tivo; vale a dire indicante, ch'eseguisce desso ciò ch' esprime la Voce medesima di Azione: Come «Pietro è corrente, giuocante, parlante ec. cioé corre. aca, ma passiva ogni Voce di Azione indicante, che l'Oggetto Cardine di Giudizio é passivo; vale a dire indicante, che desso riceve l'Azione espressa dalla Voce medesima: Come «Pietro é chiamato, lodato, deriso ec."-Si avverta che in Italiano come in altre varie Lingue, alle volte si presentano sotto apparenza passiva delle Voci, che realmente non sono tali ; come amato in « Essi anno amato», che si risolve in  « Essi amarono, cioé furono amanti».  172. Chiamiamo Oggetto-attore ogni Oggetto  che si considera nel discorso, non qual esiste ef fettivamente in natura, ma unicamente qual At tore in una data Azione: Come Scrittore, Vir citore, Cantore ec.  173. Chiamiamo Ogoetto-astratto di Azione ogni  'Azione da noi considerata come Oggetro, ma sul-tanto dopo il suo eseguimento; vale a dire ogni Azione che noi consideriamo come Oggetto, non prima che si eseguisca o mentre si eseguisce, ma propriamente nel fine nella conseguenza nell'effetto risultante dall'Azione medesima: Cosi Vin cita, Passeggiata, Coltivazione ec. sono Ogget-ti-astratti di Azione; perché sono propriamente l'effetto la conseguenza il risultato del vincere, passeggiare, coltivare ec.  174. Troviamo spesso in natura, che un Oggette à la prerogativa ossia l'attitudine la capacità di poter ricevere una data Azione. In tal caso esprimiamo quest'attitudine o capacità dell'Oggetto, attribuendogli l'essenza dell' Azione. in via di Qua lità: Come « Terreno colcivabile - Sentiero prat-sicabile ec.», vale a dire «che può essere coltiva-.to, praticato ec."— Le Azioni veramente per loro natura non possono convertirsi in Qualità. Si avverta quindi, che le Derivazioni colcivabile prut-ticabile ec. benché si presentino sotto aspetto di Qualità, conservano sempre il fondo di Azione ossia non sono che concise Espressioni d'un Giudizio e d'un Azione; come può meglio vedersi sostituendo loro la vera Espressione per esteso, cioè « che può essere coltivato, pratticato ec.».  Dunque il Linguaggio aver deve dei Segni onde marcare le cinque diverse Derivazioni, che si ànno dalle Radici di Azione. PARAGRAFO 4.° Derivazioni dalle Radici di Numero Dalle Voci radicali di Numero di Luogo e di altri Rapporti che non occorre analizare in dettaglio, si a in genere una Derivazione di Qua-lità; e precisamente come dalle Radici di Oggetto (162). Dalle Voci di Numero però abbiamo anche altre Derivazioni; cioé un Oggetto-astratto, come Unità, Terno, Decina ec.; e le Quantità multiple, aliquote, e di costante ripetizione. - 878. Ogni Quantità che ne contiene un altra un dato numero di volte esattamente, é detta inultipla di questa; e diciamo aliquota ogni Quan-tità, ch'é contenuta in un altra un dato numero di volte esattamente. Quindi le Parti aliquote sono precisamente l'Opposto dei Multipli - In Italiano i Multipli si esprimono con doppio, triplo, decuplo ec.; e le Parti aliquote con sudduplo, sutriplo , suddecuplo oppure la metà, la terza parte ec. :  179. Negli Oggetti molte volte sogliamo considerare il Numero, ma unicamente sotto l'aspetto di « Numero ripetuto senz' alterazione e continuante sempre coll'ordine medesimo ». Le Voci che si usano per esprimere questo Numero, sono da noi dette Voci numeriche di Ripetizione costan-  te — Tali Voci in Italiano sono «a uno a uno, a due a due, a dieci a dieci ec.r.  180. Ora è facile comprendere, che le Voci per esprimere e le Quantiti multiple e le Parti aliquote e i liumeri di Ripelizione costante possono e debbono derivare dalle Voci radicali di Numero.  Dunque il Linguaggio avrà dei Segni per indicare e queste tre speciali Numeriche Derivazio-ni, e le due Derivazioni generiche di Qualità (176)  e di Oggetto-astratto (127).  CAPO II  Delle Cose di Seconda Derivazione  ‹81. Chiamiamo Cose di seconda Derivazione  • Tutto ciò, che deriva da altre Derivazioni; os sia le Derivazioni provenienti da Cose e Voci derivate ».  PARAGRAFO 1.°  Derivazioni dai DERITATI Nomi d' Oggetto  182. Dagli Oggetti Primitivi abbiamo la sola  Derivazione di Qualità (162). Dunque dagli Oggetti derivati avremo o una Derivazione di Qua-lità, o nessuna Derivazione : Altrimenti gli Oggetti Derivati sarebbero più fecondi dei Primitivi ; cioé una Cosa che in se realmente non esiste, sarebbe più feconda che una di reale assoluta esi-  stenza.  • Richiamando che gli Oggetti Derivati provengono o da Radice di Qualità (164) o da Radice  di Azione (109) o da Radice di Numero (177), passiamo ad esaminare da quali Oggetti Derivati possiamo avere la Derivazione di Quulità.  Questa Derivazione non si può avere dagli Oggetti che derivano da Radice di Qualità - Infatti la Qualità derivante dagli Oggetti Primitivi (162) serve per attribuire a qualch' altro Oggetto ciò che forma il Distintivo degli Oggetti primitivi medesimi. Dunque se dagli Oggetti Derivati provenisse una Derivazione di Qualità, dovrebbe questa usarsi egualmente per attribuire a qualche Oggetto il Distintivo dei medesimi Oggetti Derivati - Ma il Distintivo essenziale e caratteristico d'ogui Oggetto Derivato da Qualità, è espresso dalla Voce radicale da cui l'Oggetto deriva: Cosi il fondo essenziale di Dolcezza è dol-ce, quello di Bonta è buono ec. - Dunque dagli Oggetti derivati da Radici Qualitative non devesi avere Derivazione di Qualità; giacché la Voce radicale esprime per natura, ciò che dovrebbe esprimere tale Derivazione. Gli Oggetti-astratti di Azione non sono (173) che Azioni consumate, le quali mentalmente si considerano come Oggetti. Se dunque da tali Og-getti-astratti derivasse una Qualità, questa propriamente altro essere non potrebbe che un Azione da noi concepita come Qualità, ossia un Azione trasformata in Qualità. Ma Qualità ed Azione sono Cose di natura intrinsecamente eterogenea; comeallo stato assoluto di Qualità (174) - Dunque nemmeno dagli Oggetti-astratti di Azione possiamo avere Derivazione di Qualità; giacché (tale Derivazione si oppone direttamente all' intrinseca loro natura. Chiamiamo Oggetti-attori (172) quegli Og-geiti, che da noi si considerano esclusivamente come eseguenti una data Azione. Questa partica lar maniera di considerarli non può loro togliere la primitiva loro essenza. Essi dunque anche considerati come Attori, sono e rimangono sempre veri Oggetti - Dunque dagli Oggetti-attori avremo quella Derivazione di Qualità, che abbiamo da tutti gli Oggetti: Cost da Proditore, Creatore ec. abbiamo proditorio, creatorio ec. Finalmente nulla ostando, che ad un 0g-getto abbia qualche volta ad attribuirsi in via di Qualità, ciò che forma l'essenza d'un Oggero Derivato da Radice Numerica, tali Oggetti avranno la loro Derivazione di Qualità, e precisamente come gli Oggetti Primitivi (162): Cosl da « Ambo, Terno, Cinquina, Decina ec.» abbiamo le Derivazioni qualitative «binario, ternario, quinario, denario ec. n.  187. Dunque degli Oggetti Derivati i Numerici e gli Oggetti-attori anno Derivazione di Qualità; e dagli altri, cioè dagli Oggetti astratti tanto di Qualità che di Azione, non abbiamo alcuna Derivazione (182).Derivazioni dalle Voci di Modificazione  188. Dalle Voci di Modificazione, che necesi sariamente sono tutte derivate (15g), non abbiamo alcuna Derivazione - Infatti una Voce di Modificazione non é, che una Voce di Qualità posta in grado di modificare ossia di penetrare in tutta l'essenza qualche Qualità o Azione, immedesimandosi con esse (151). Dunque la Voce di Modificazione è inseparabile dall'Azione o Qualità che modifica. Dunque isolatamente presa non à in se stessa alcun significato o valore, almeno come Modificazione; ossia isolatamente presa non può avere altro valore, che quello della Qualità da cui deriva — Ma ciò che in se nulla significa, non può dare una significante esistenza ad altre cose.  Dunque dalle Voci di Modificazione non si può avere alcuna Derivazione.  PARAGRATO 3.°  Derivazioni dalle DEAIrATE Voci di Qualità  189. Da ogni Voce Qualitativa, di qualunque provenienza ella sia, deriva sempre un Oggetto-a-stratto, una Modificazione ed un Verbo come dalle primitive Radici di Qualità (164): Così da paterno, amabile, interiore ec. abbiamo o almeno dovremmo avere «Paternità, Amabilità, Interio rità — paternamente, amabilmente, interiormente —paternizare, amabilizare, interiorizare, cioè rendere paterno, amabile, interivre ec.».  1go. Dunque il Linguaggio avrà dei Segni per marcare le Derivazioni provenienti dalle derivato  Voci di Qualità.  PARAGRAFO 4.°  Derivazioni dai DEAIYATI Nomi di Azione  191. Dalle Voci di Azione, di qualunque pro venienza esse sieno, deriva sempre una V'oce-at liva, un Oggetto-astraito, un Oggetto-attore, una Voce-passiva ed un Nome qualitutivo, come dalle Radici di Azione (16g) - Quindi da paternizare, dolcificure, amabilizare ec. abbiamo o almeno dovremmo avere « paternizante, dolcificante, ama-bilizante - Paternizazione, Dolcificazione, Amabi-  lizazione - Paternizatore, Dolcificatore, Amabili-zatore - paternizato, dolcificata, amabilizato -  paternizabile, dolcificabile, amabilizabile ».  193. Dunque il Linguaggio avrà dei Segni, onde chiaramente marcare le Derivazioni provenienti dai  Derivati Nomi di Azione.  AVVERTENZA  Sui Qualitativi Verbali di Seconda Derivazione  93. Secondo il principio già stabilito (189) anche dai Qualitativi Verbali di Seconda Derivazione (171) come paternizabile, dolcificabile, ama-bilizabile ec. si dovrebbero avere le tré Derivazionidi Oggetto-astratto, di Modificazione e di Verbo.  Le prime due Derivazioni si anno difatti, cioe  « Paternizabilità, Dolcificabilità, Amabiliza bilità — paternizabilmente, dolcificabilmente, amabilizabil-  mente » — Rapporto alla terra cioé alla Derivazione di Verbo, questa non si può avere, perché ripugna all'intrinseca natura delle Cose. Infatti ogni Qualitativo Verbale di seconda Derivazione, come paternizabile amabilizabile ec., include essenzialmente in se stesso un Azione che deve ancora . eseguirsi: Così Uomo amabilizabile per esempio vuol dire « Uomo, che può esser fatto capace di essere amato ». Se dunque da amabilizabile si avesse una Derivazione di Verbo, questa dovrebbe propriamente significare (166) rendere-amabilizabile  Cioe « Comunicare la Qualità di poter esser fatto capace di essere amato». Ora è impossibile formarsi un Idea di questa Espressione; e ciò perché è assurda in se stessa. Infatti si può benissimo dire «abilitare, preparare, disporre un Oggetto ad essere amabilizato»: Ma i Comunicare ad un Oggetto la Qualità di essere amabilizato» include assoluta contradizione — Dunque rendere-amabili. sabile è un Espressione che nulla significa, anzi  è un Assurdo.  Dunque, applicando questo Raziocinio a tutti i simili casi, dai Qualitativi Verbali di seconda Derivazione (181) non si può avere Derivazione di Verbo.  194. Le molte barbare Parole usate finora, naturalmente debbono aver un poco indisposto l'A-nimo di chi legge. Quindi lo si prega a riflettere, che andiamo qui preparando il, Piano per la Lingua Universale, e che in essa tali Parole sono della massima dolcezza e brevità: Per esempio « amare, amabile, amabilizare, amabilizabile, ama-bilizabilità, amabilizabilmente » nella nostra Lingua Universale si esprimono con « ema, emt,  emiba, embì, embis, emibio».  SEZIONE QUINTA  DELLE VOCI INDETERMINATE  495. In Natura tutto è determinato; vale a dire, che ogni Cosa in Natura ci presenta di se l'Idea chiara individua e distinta. Tutto danque dev'essere convenientemente determinato anche nel Linguaggio — Ma nel Linguaggio esistono indispensabilmente delle Voci generiche (ior, 13g). Dunque il Linguaggio deve con Leggi facili e costanti supplire al difettoso bisogno d'introdurre Voci generiche; vale a dire, che il Linguaggio deve stabilire Regole fisse e invariabili per determinare convenientemente secondo le circostanze tutte le  Voci di loro natura indeterminate.  Le Voci Indeterminate di Oggetto e di Azione con quelle, che abbisognano di Leggi speciali per la loro Determinazione; e però passiamo a tras-  tarne separatamente.Voci Indeterminate di Oggetto  • 196. É indeterminato ogni Sostantivo, il quale  indeterminati alle volte secondo la natura del Discorso si usano genericamente, ma più spesso debbono determinarsi.  . 197. La Determinazione dei Sostantivi indater-minati dipende da qualche a Qualità o Oggetto o  Azione -Dunque per determinare secondo il bisogno l'Idea d'una Voce indeterminata di Ogger-to, il Linguaggio dovrà far uso o d'una Qualità o d'un Oggetto o d'un Azione determinante.  198. Ma i Nomi di Qualità, Oggetto e Azione non sempre nel discorso servono a determinare gli Oggetti o Sostantivi indeterminati - Dunque quando sieno determinanti-oggetio, avranno il  Distintivo loro particolare.  199. In Italiano questo Distintivo consiste pel  Nomo di Oggetto nell'essere preceduto dalla particella di (‹og), come «Il Principe di Napoli » ;  pel Nome di Qualica nell'essere unito al Nome dell'Oggetto determinando, come « Il Principe giu  •sto»; pel Nome o Giudizio di Azione nell' essere preceduto dalla Voce quale coll'Articolo, come  «Il Principe, il quale ama i Popoli ».Voci indeterminate di Azione  E indeterminata ogni Azione, che può risguardare Oggetti, diversi da quello che la ese-guisce, ossia diversi dal Cardine di Giudizio (139). La Determinazione delle Azioni indeterminate dipende da qualche o Oggetto o Giudizio ; giacché le Qualità possono modificare le Azioni (151), ma per loro natura non possono avere altra nala one e ese uce in eremiata dei  Azione, il Linguaggio dovrà far uso d' un Oggetto o d'un Giudizio determinante.  Ma gli Oggetti ed i Giudizj non sempre nel discorso servono a determinare le Azioni - Dunque quando sieno determinanti-azione, avranno il loro particolar Distintivo. In Italiano questo Distintivo consiste pel Nome di Oggetto nell'essere uguale al cosi detto  Nominativo (110), come « Voi amate lo studio»; e per la Voce di Giudizio o nell'esser espressa in Modo Generico determinante (74) o nell'essere preceduta dalla voce che; come « Voglio partire -  Vedo, che partono»:  CAPO III  Modo nei Giudizj determinanti-azione  204. I Giudizi determinanti-azione si esprimono in Modo ora generico, ora indicativo, ed ora indefinito. Necessita quindi stabilire, quando si debba usare l'uno piuttosto che l'altro di questi tré Modi nell'esprimere un Giudizio o Verbo determinan-te-azione.  PARAGRAFO 1.°  Giudizj Determinanti al Modo Generico  205. I Giudizi e quindi i Verbi determinanti-a-zione si esprimono in Modo Generico (73) ogni-  volta, che non occorre indicarne l'Oggetto Cardine di Giudizio; e ciò, perché tale Oggetto fü già espresso precedentemente. Diciamo quindi « Vorrei scrivere — Pensano tornare — Li vedo corre-  те ес. ».  PARAGRAFO 2.°  Giudizj determinanti al Modo Indicativo  o Indefinito  Nei Giudizj determinanti-azione quando sia necessario esprimere l'Oggetto Cardinale, ogni Giudizio si esterna in Modo o Indicativo (75) ó Indefinito (92); facendolo precedere dal Segno di Determinazione, come sarebbe in Italiano che (203). I Giudizi determinanti-azione si esternano in Modo Indicativo, ognivolta che relativamente all'Oggetto Cardinale presentano un assoluta Certezza di ciò ch'esprimono; come « Trovo, che manco — Viddi, che partivano - Sento; che contate ». I Giudizj determinanti-azione si esternano in Modo Indefinito, ogniyolta che presentano del-l'Incertezza riguardo a ciò ch'esprimono; come «mi pare, che partano - Dubitai, che partissero -Bramo, che vincano ec.». CAPO IV  Tempo nei Giudizj determinanti-azione  20g. Per fissare il Tempo nel quale debbono esprimersi i Giudizj determinanti-azione, bisogna osservare, se il Giudizio determinante deve o no indicare il Tempo in cui desso viene eseguito.  210. Il Giudizio Determinante non deve indicare il Tempo in cui viene eseguito, ognivolta che questo Tempo sia espresso dall'Azione determi-nanda; vale a dire, ognivolta che il Giudizio Determinante è naturalmente contemporaneo al Giudizio o Azione Determinanda — In tal caso il Giudizio determinante si esprime sempre al Tempo presente; giacché si deve solo accennare, che tale Giudizio è presente ossia contemporaneo all'Azione determinanda: Come «sento cantare, o che si canta- Quando sentirò battore, o che si bal-  са ес. ».  211. Il Giudizio determinante deve da se indis care il Tempo in cui viene eseguito, ognivolta che questo Tempo è diverso da quello dell' Azione determinanda - In tal caso esprimiamo il Giudizio determinante, a quel Tempo ch'esigge la na-  titi ec. ».212. Il Giudizio determinante è molte volte futuro relativamente al Determinando. Se peró questa futurità trovasi naturalmente espressa dall'in-trinseca natura dell' Azione Determinanda, il Giudizio determinante non deve esprimere che il Modo.  Quindi in tal caso lo porremo al Tempo presente; perché l' espressione di Presente indica in ispecie il Tempo, ed in genere il Modo (V. Anal, 126).  Quindi avremo « Spero, che arrivino - Comanda-te, che partano ec. »  SEZIONE SESTA  DELLE VOCI SOSTITUITE  218. Chiamiamo Sostituite «Le Voci, che si usano in luogo di altre». Le Voci sostituite servono moltissimo ad abbreviare ed a rendere elegante e sonoro il Linguaggio.  In ogni Linguaggio le Sostituzioni prattica-mente sono molte; ed il fissarle dipende unicamente dalla Convenzione sociale - Noi però ci. limitiamo a qui parlare di alcune più generali, che chiameremo Pronomi, cioé « Voci poste in luogo di Nomi Sostantivi, o almeno tali considerati da noi»; avvertendo, che omettiamo di qui parlare di quei Pronomi, de'quali già si trai  tò (57,61).Pronomi Determinanti-oggetto  214. Un Oggetto Generico è sovente determinato da un altro Oggetto (197). Al Nome dell'Oggetto. determinante però giova molte volte sostituire un Pronome; e ciò propriamente, quando l'Oggetto  Determinante é o Chi giudica, o Chi ascolta, !  Terzo Oggetto già indicato nel discorso - É dunque necessario conoscere questi Pronomi, il  chi main ufo e i ereminare en O into, 8  gio deve chiaramente e particolarmente fissarli.  215. Tali Pronomi in Italiano sono « mio, tuo, suo, nostro, vostro, loro» significanti« di me, di te, di lui o di lei ec. ».  Nei Pronomi determinanti-oggetto bisogna poi distinguere l'Oggetto ch' essi richiamano, dall' Oggetto che determinano - Riguardo all'Oggetto che richiamano; alcuni, cioè mio tuo suo, esprimono un sol Oggetto; ed altri, cioè nostro vostro loro, esprimono più Oggetti. Rapporto all'Oggetto che determinano, in Italiano questi  Pronomi nell'indicazione di Numero je di Sesso sieguono sempre l'Oggetto determinato medesimo.  CAPO II  Pronomi Indicanti-oggetto  216. Nel discorso oltre gli Oggetti primitivi e derivati, molte volte da noi si considera comeOggetto un Giudizio, un intero sentimento, ed anche un complesso di Sentimenti e Giudizj -  Tali Oggetti per distinguerli dai Primitivi e Deri-vati, possono con ragione chiamarsi Oggetti com-plessivi, cioè formati dal Complesso o unione di varie parti.  Ora accade sovente, che nel discorso deb- basi o nominare o richiamare un Oggetto com-plessivo. In tal caso invece di richiamarlo o nominarlo con lunga serie e ripetizione di parole, possiamo e sogliamo far uso di Voci apposite per semplicemente indicarlo; e queste Voci son quel-le, che da noi si chiamano Pronomi indicanti .Oggetto - Dunque il Linguaggio deve avere i suoi Pronomi per indicare gli Oggetti nel caso suespresso, cioé gli Oggetti complessivi. Tali Pronomi in Italiano sono « questo, codesto, quello, e ciò »—Si avverta, che questo e quello servono spessissimo ad indicare un Oggetto qualunque in genere: Se poi questi Pronomi si riferiscono a qualche Oggetio particolare, allora questo indica Oggetto vicino a Chi giudica; codesto indica Oggetto vicino a Chi ascolta; quello indica Oggetto che si considera lontano e da chi giudica e da chi ascolta. Finalinente ciò si usa invece di qualunque dei trè precedenti Pronomi, quando però non sieno congiunti a Nome sostan-tivo; e si usa specialmente invece di questo e quello, quando servono a richiamare genericamente un Oggetto qualunque. Si avverta inoltre, che questo e quello annopraticamente anche altri usi, i quali però in fondo corrispondono alle Definizioni già date - Così dopo aver espresso due o più Cose di seguito, volendo indicare l'ultima si dirà questa, e per indicare l'altra o altre precedenti si dirà quella o quella secondo la circostanza. CAPO III  Pronomi Generici Cardinali  Le Lingue, specialmente quelle i cui Verbi debbono essere accompagnati dal Cardine di Giu-dizio, sogliono far uso di due Pronomi generici ; i quali si usano soltanto come Cardini di Giudi-zio, e che noi perciò chiamiamo Pronomi gene rici cardinali. Uno di questi Pronomi si riferisce unicamente ad Esseri, che noi consíderiamo come animati e ragionanti. Esso serve ad esprimere in maniera generica un Numero indeterminato di tali Esseri, considerati come formanti Cardine di Giu-dizio. Quindi questo Pronome non puù mai rife rirsi agli Oggetti giudicante e ascoltante; perché per loro natura tali Oggetti nel discorso non pos sono mai essere né indeterminati, né espressi ge-nericamente. In Italiano questo primo Generico Pronome cardinale si esprime colla voce si (francese on);  come « si dice, si credeva, si pretese ec. ".  221. Per formarsi una giusta Idea dell'altro Generico Pronome cardinale, bisogna riflettere; chein Natura si anno delle Azioni determinate, le quali non possono eseguirsi che da un Terzo Og-getto; Oggetto peró che non sappiamo nominare, perché realmente da noi non si conosce. Ora per indicare in qualche maniera questo incognito Og-getto, le Lingue sogliono unire al Giudizio di Azione una Voce o Pronome generico cardinale -  Quindi questo secondo Generico Pronome cardinale può esattamente definirsi « Segno esprimente, che il Cardine di Giudizio è un Terzo Oggetto che non sappiamo nominare, perché da noi non  conosciuto ».  Questo Pronome in Italiano è egli (francese il); ma non si usa, perché l'indole della Lingua Italiana non esigge, che i Verbi sieno sempre accompagnati da Nome o Pronome Cardinale: Quando però si usasse come in altre Lingue molte, do vrebbe unirsi ai Verbi detti comunemente imper-sonali; come "piove, lampeggia, tuona ec. ».  Dunque il Linguaggio deve fissare i suai due Pronomi Generici Cardinali. CAPO IV Pronomi Generici non Cardinali . Alcune Lingue usano, mai peróscome Cardini di Giudizio, due Pronomi Generici; i quali perciò da noi si chiamano Pronomi generici non cardinali - Questi Pronomi anno generalmente doppio significato: Quindi sono difettosi. Se peró si assegnasse una doppia Voce per ciascuno, ogni difetto è svanito.22% Uno di tali Pronomi richiama sempre o un Oggetto relativato (114) o un Oggeito cominciante (117) - Esso in Italiano si esprime col ne (francese en); come « Che ne dite? - Parlatene bene — Egli và in Campagna, ed io ne vengo ec. ». L'altro Pronome richiama sempre o un Og getto terminante (116) 0 un Oggetto contenente (113) - Esso in Italiano si esprime col vi o ci (francese y) ¿ come « Andate al Teatro?  Forse vi andrò —É in Casa l'Amico? Non ci dev' essere ec. ».  225. Dunque il Linguaggio avrà i suoi Pronomi Generici non Cordinali.  SEZIONE SETTIMA  OSSERVAZIONI SPECIALI  226. É impossibile ridurre a semplice e ben ordinato sistema tutte le Particolarità, le quali entrano nella composizione d'un prattico Linguaggio.  Quindi crediamo cosa migliore l'aspettarsi dall'Uso e dall'Analisi la cognizione di tali Partico-larità.  Esistono pero delle Cose, che meritano attenzione speciale; e di alcune di queste parleremo nella presente Sezione, richiamando ch'é nostro primo scopo tracciare il Piano per la Lingua Uni-versale.Verbi di Moto  Nelle Espressioni di Moto dobbiamo generalmente fare attenzione e al Luogo fine di Moro, e all'Azione motivo di Moto. Il Luogo si considera come Oggetto terminante (116); e l'Azione à una particolar maniera di esprimersi, che bisogna fissare per ogni determinato Linguaggio. II. OssERvAzIonE Voci di più Significati In ogni Lingua esistono delle Voci aventi più Significati; come in Italiano «essere, avere, fure, ancora, per ec.». Potendo facilmente derivarne Equivoco e Confusione, deve ciò ritenersi •difetto notabile di Lingua - Quindi il Linguaggio deve a ciascuna Voce assegnare un solo Valore, o per lo meno precisare in quali circostanze una Voce à uno piuttosto che un altro Valore. III.* OssevazIonE Espressioni Sentimentali  229. L'Uomo vivamente penetrato e soprafatto  quasi da qualche forte Sensazione Passione o Sentimento qualunque, è molte volte obbligato ad esternare la Situazione dell'animo suo. Tal Esternazione generalmente succede col mezzo di Suoni Gutturali prolungati, e aventi l'impronta di ciò che      l'Anima sente: E questi Suoni son quelli, che formano le da noi chiamate Espressioni Sentimen-cali -Quindi il Linguaggio avrà dei Segni per indicare in iscritto tali Espressioni.  IV. * OsSERvAzIONg  Ortografia  230. Ortografia significa « conveniente Indicazione delle Parole in iscritto » - Fissato un Segno per ciascun Suono vocale, le Parole debbono scri-versi precisamente come si pronunciano, e a ciascun Segno deve corrispondere un solo e sempre il medesimo Suono invariato; cosa, che nelle Lingue praticamente non esiste.  Inoltre una delle Cose più rimarchevoli nel Discorso si è la Distinzione de' varj Giudizj e Sentimenti frà loro. Parlando, noi marchiamo tale necessaria Distinzione con delle Pause e variate  Inflessioni di Voce: Quindi scrivendo è necessario marcarla con dei Segni di convenzione, corrispondenti alle Pause ed Inflessioni Vocali.  V. OssErvazIone  Sintassi  271. Sintassi vuol dire « giusta Disposizione delle  Parole»- Ogni Lingua à la sua Sintassi partico-lare, stabilita dal tempo e dall'uso. La Sintassi naturale però è una sula: Dessa consiste nel seguire esattamente l'ordine naturale delle Ideequando l'uomo é in istato di Tranquillità; e quando trovasi in istato di Passione, consiste nel premettere le Idee che più lo colpiscono, appunto perché tali Idee stante la sua situazione, gli si affacciano all'anima per le prime.  Seguir sempre scrupulosamente la Sintassi Naturale sarebbe un assoggettarsi ad una Specie di nojosa servilità. Quindi parmi, che debbasi preferire una Sintassi ragionata; vale a dire « una Sintassi dipendente e dalla natura delle Cose che si esprimono, e dai Suggerimenti dell' Orecchio che cerca possibilmente evitare ogn'incommodo Aggregato di Suoni». Tale Sintassi avrà il doppio van-taggio, di eliminare ogni urtante asprezza vocale, e di produrre facilità d'intelligenza in chi ascolta. La Sintassi Ragionata può considerarsi libera di sua natura. Quindi le Regole di questa Sintassi possono ridursi ad una sola; cioè « Che ad ogni Voce deve sempre esser unito, ciò che serve a far conoscere in tutta la sua estensione la vera forza l'esatto valore l'Idea precisa della Voce medesima ». Dunque nella Sintassi ragionata le Parole saranno sempre ben collocate, purchè s'intenda con facilità ciò ch'esse esprimono ed in complesso e parzialmente. Dovendo quindi esprimere «Scrissi una Lettera a Pietro», potremo liberamente combinare queste Parole in uno qualunque dei varj Modi seguenti; giacchè trovasi in tutti la necessaria facilità d'intelligenza :• Scrissi una Lettera a Pietro « Scrissi a Pietro una Lettera  « Una Lettera Scrissi a Pietro  « Una Lettera a Pietro scrissi  « A Pietro Scrissi una Lettera  « A Pietro una Lettera scrissi.  Ma se dicessi «Scrissi a Pietro una Lettera, da cui rileverà ec.», allora da cui rileverà ec. deve inseparabilmente restar unito ad una Lettera, qualunque sia il posto assegnato a quest'ultima espressio ne: Altrimenti il Senso sarebbe alterato; e però oscuro, confuso ed anche inintelligibile.  Parimenti se dicessi «Scrissi una Lettera a  Pietro, che ura trovasi in Campagna», che ora cro-vasi in Campagno deve immediatamente unirsi a  Pietro.  É facile moltiplicare simili Esempi, onde perfettamente conoscere in che deve consistere l' essenza. della nostra Sintassi Ragionata.   LINGUA FILOSOFICA  235. FIssATo ciò che forma l'essenza del Linguaggio in genere ossia della Lingua Generica, supponiamo di dover ora dar esistenza ad una Lingua colla guida della Ragione e con tutta la possibile precisione del Calcolo. Questa Lingua potrebbe giustamente chiamarsi filosofica, e la di lei Formazione è semplicissima; come passiamo ad analizare, richiamando succintamente e quanto lo esigge il nostro scopo, ciò che fù esposto in ciascuna Sezione della PRIMA PARTE.  SEZIONE PRIMA  PAROLE  236. Le Parole sono formate da Suoni Vocali (6)  I Suoni Vocali sono Orali o Gutturali (10) - I Gutturali sono Semplici o composti (12); e i Semplici possono essere lunghi o brevi (15) - ,Gli Orali sono prolungabili o istantanei (17); o si gli uni che gli altri esser ponno ordinarj o  forzati (18).  « Durqus fisseremo dei Segni per rappresen-« tare i varj Suoni Vocali; ed a ciascun Segno  « applicheremo un Suono invariato e costante ».  237. Le Parole sono divisibili in Parti o Sillabe (22); e la Voce deve in ogni Parola aver la sua Posa (26).  « DuNQue fisseremo la Teoria per le Sillabe  « e Posa nelle Parole ».  SEZIONE SECONDA  GIUDIZJ  238. Gli Oggetti possono essere di Sessa maschi-le, femminile o neutro (49); e di Numero unale  o plurale (47).  « DUnQuE fisseremo dei Segni per esprimere « negli Oggetti il Sesso, ed il Numero generico ».  239. Nelle Cose molte volte dobbiamo esprimere  precisamente il loro Opposto (46).  « DunquE fisseremo il Segno indicante l'asso-  « luto Opposto d'una Cosa qualunque ».  240. Gli Oggetti giudicante e ascoltante debbono esser espressi da apposita Voce generica (52, 53);  I Terzi Oggetti debbono molte volte esser espressi con dei Pronomi (57).DunQue fisseremo per tali Oggetti le appo-  « site Voci e Pronomi ».  241. Il Linguaggio aver deve un Pronome ri-  Nesso; vale a dire una Voce esprimente qualunque Oggetto, che essendo Cardine di Giudizio, ci si presenta nel Giudizio stesso in una Seconda situazione (6s).  " DuNque fisseremo questo Pronome ri-«flesso».  242. I Giudizj possono riferirsi a varj Tempi (63 e seg.), e formarsi in varj Modi (72 e seg.) -  Dunque bisognerebbe stabilire dei Segni per ciascun Tempo e Modo.  Ma le Lingue sugliono comunemente con una sola Voce esprimere Giudizio, Modo e Tempo (97).  Dunque profittando dell'Uso già felicemente in-trodotto, noi pure esprimeremo Giudizio Tempo e Modo con una Voce sola; e questa Vore sarà della massima Brevità, perché frequentissima nel  Discorso.  « DuNQuE fisseremo le Voci esprimenti al  « tempo stesso Giudizio, Tempo e Modo».FONTI PRIMITIVI DEI GIUDIZI  243. I Fonti Primitivi dei Giudizj sono gli Og-  • getti, le Azioni e le Qualità di primitiva esistenza;  vale a dire che esistono realmente o in Natura o in Immaginazione: Inolire in Natura abbiamo ancora dei Rapporti (99).  « DunQue fisseremo per la nostra Lingua le  « Voci Radicali; e fisseremo pure un Segno « caratteristico indicante e la Natura della Cosa « (cioè se Oggetto, Azione, Qualità, o Rapporto)!  « e la sua primitiva Esistenza ».  OGGETTI  244. Secondo la diversità delle circostanze gli  Oggetti nel discorso possono presentarsi in Situazioni diverse (105 e seg.).  « DuNQuE fisseremo dei Segni esprimenti la  « Situazione precisa di ciascun Oggetto».  245. Oltre il Segno Numerico in genere (47) il Linguaggio deve avere delle Speciali Voci di  Numero (120).  « DunquE fisseremo le Voci Numeriche Spe-  « ciali ».  246. Il Linguaggio aver deve delle Voci apposite per esprimere negli Oggetti il Luogo ossia un  Rapporto qualunque locale (131).Dunque fisseremo le occorrenti Voci di  "Luogo ».  QUALITA'  147. Il Linguaggio aver deve dei Segni per esprimere nelle Qualità e l'Aumento Massimo (126) e il Massimo Decremento (129), tanto assoluti che relativi; come pure per esprimerne il Deterioramento (131):  « DunQus fisseremo i Segni opportuni per « tali Aumenti, Decrementi e Deterioramenti ».  848. Il Linguaggio aver deve Regole e Voci opportune per esprimere le Variazioni nelle Qualità (133).  « Dunque fisseremo la Teoria per tali Varia-  « zioni ».  AZIONI  149. Il Linguaggio aver deve dei Segni per distinguere nei Verbi al Modo Generico il Modo accompagnante dal determinante, ed in questo i varj suoi Tempi (138).  « DunQus fisseremo dei Segni per tale Distin-  « zione ».  250. Il Linguaggio esigge Voci apposite per la Determinazione del Tempo nei Giudizi (142)., e anche un Segno particolare per le da noi dette estese Espressioni di Tempo (144).  « DuNQue fisseremo pel Tempo e il Segno spe-« ciale e le opportune determinanti Espressioni».OGGETTI AZIONI E QUALITA'  25r. Il Linguaggio deve negli Oggetti Azioni e  Qualità saper esprimere un Aumento e Decremento generico (148).  « DuNQuE fisseremo dei Segni per questo ge-« nerico Aumento e Decremento in tutte le Cose ».  AZIONI B QUALITA'  252. Il Linguaggio aver deve le sue Leggi per esprimere convenientemente qualunque Modificazione nelle Azioni e Qualità (152).  « Dunque fisseremo la Teoria per esprimere  « le Azioni e Qualità modificate ».  253. il Linguaggio aver deve dei Segni appositi ond' esternare il risultato dei Confronti fatti sulle Azioni e Qualità; cioè dei Segni per esprimere la scoperta Eguaglianza o Differenza, e questa tanto in più che in meno (155).  « Dunque fisseremo gli opportuni Segni di  « Confronto».  SEZIONE QUARTA  FONTI SECONDARI DEGIUDIZI  254. I Fonti Secondarj de' nostri Giudizj sono le Cose Derivate, che si riducono a quattro, cioé Oggetti Qualità Azioni e Modificazioni (157) ; ele Cose Derivate debbono nel discorso distinguersi dalle Cose Primitive (158).  « DuNQuE fisseremo dei Segni caratteristici per « ciascuna delle quattro generiche Derivazioni ».  255. Le Cose derivate possono essere di prima e di seconda Derivazione (160).  « Dungus fisseremo l'opportuna Teoria per « distinguere le une dalle altre Derivazioni ».  256. Dalle Voci di Azione possiamo avere cinque diverse Derivazioni («6)); tré delle quali, cioé Voce-attiva Voce-passiva e Oggetto-attore esiggono de Segni speciali.  « DuNQuE fisseremo i Segni occorrenti per  « queste trè speciali Derivazioni ».  257. I Verbi si esprimono in una sola Parola soltanto al Modo Generico; e negli altri Modi si decompongono in Voci di Giudizio e di Azione (137).  « DunQuE fisseremo la Teoria per esprimere  « ¡ Verbi in qualunque Modo ».  258. Il Linguaggio deve avere dei Segni appositi per alcune speciali Derivazioni dalle Radici di Numero; cioè per indicare le Quantità mulciple, le Parti aliquote e i Numeri di costante ripetizione (180).  i DuNQue fisseremo i Segni convenienti per  « queste trè numeriche Derivazioni speciali ».VOCI INDETERMINATE  259. Le Voci di Qualità, Oggetto e Azione non sempre ma spesso nel Discorso servono a determinare degli Oggetti o Sostantivi indeterminati (197,  1у8).  DuNQuE fisseremo il necessario Distintivo per le Qualità, Oggetti e Azioni, che sono de-« terminanti-oggelto ». 26o. Gli Oggetti ed i Giudizj servono molte volte a determinare le Azioni, che abbisognano di Determinazione (201, 202).  • DuNQue fisseremo il Distintivo per gli Og-  " getti e Giudizj, che sono determinanti-azione ».  SEZIONE SESTA  VOCI SOSTITUITE  26r. Al Sostantivo determinante-oggetto si sostituisce spessissimo un Pronome (214).  « DunQuE fisseremo i Pronomi determinan-  « ti-oggecto ».  262. Il Linguaggio aver deve i suoi Pronomi per indicare o richiamare gli Oggetti, specialmente complessivi (217).« Dunque fisseremo i Pronomi indicanti-og  «gelto ».  263. Il Linguaggio abbisogna di alcuni Pronomi generici speciali; cioé due Cardinali (222)  ed altri non Cardinuli (225).  « DuNqus fisseremo le Voci per questi gene-  « rici speciali Pronomi ».  SEZIONE SETTIMA  OSSERVAZIONI SPECIALI  É necessario stabilire la maniera di esprimere un Azione, per metterci in istato di eseguir la quale facciamo un Moto qualunque, ossia un Azione ch'è motivo di Moto (227). « DuNQuE fisseremo l' opportuna Teoria ». Il Linguaggio deve a ciascuna Voce assegnare possibilmente un solo Valore (228). « DunQue fisseremo la Teoria per le Voci di « più Significati ».  266. Il Linguaggio aver deve dei Segni per in- . dicare in iscritto le Espressioni sentimentali (299). « Dureus fisseremo i Segni necessarj per tali  « Espressioni ».  267. Il Linguaggio aver deve la sua  Ortogra-  fia (230) e Sintassi (231).  « DunquE fisseremo le opportune Regole di  « Sintassi e di Delle Conseguenze  stabilite per la LINGUA FILOSOFICA  268. Richiamando sotto un sol punto di vista le varie Conseguenze di questa PARTE SECUNDA, chiaro si scorge, quanto semplice e facile sia la Formazione d' una Lingua Filosofica; giacchè per essa bisogna soltanto:  I. FIssARE dei Segni, per Convenzione corrispondenti ai varj Suoni Vocali (236).  II. FISSARe la Teoria per le Sillabe e Posa  nelle Parole (237).  III. FIssARE dei Segni per esprimere negli  Oggetti il Sesso, ed il Numero gent-  rico (238).  IV. FissARE un Segno per esprimere l'Opposto nelle Cose (23y).  V. FIssaRE le Voci per gli Oggetti Giudicante e Ascoltante, ed i Pronomi per i Terzi Oggetti (340).  VI. FIsSARE il Pronome riflesso (241).  VII. FIssARE le Voci esprimenti al Tempo stesso Giudizio Tempo e Modo (242).  VIII. FIssARE per la nostra Lingua le Voci  Radicali (243).  IX. FIssARE il Segno caratteristico per le  Parole Radicali (243).X. FIssARE dei Segni per esprimere la Situazione precisa di ciascun Oggetto (244).  XI. FIssARs le Voci Numeriche speciali (2 (5).  XII. FIssARE. le Voci di Luogo (246).  XIII. FIssARE i Segni per indicare Aumento  Decremento e Deterioramento nelle  Qualità (247).  XIV. FIssARE la Teoria per le Variazioni  nelle Qualità (248).  XV. FIssaRE i Segni per distinguere le varie Voci Verbali del Modo Generico (249).  XVI. FIssaRE le Determinanti Voci di Tempo, ed un Segno per le sue Estese Es  pressioni (250).  XVII. FIssARE i Segni pel generico Aumento  e Decremento in tutte le Cose (251).  XVIII. FIssARE la Teoria per le Azioni e Qualità modificate (252).  XIX. FIssARE gli opportuni Segni di Con-  fronto (253).  XX. FIssARE i Segni caratteristici per ciascun  Genere di Cose Derivate (254).  XXI. FIssARE la Teoria per distinguere le Prime Derivazioni dalle Seconde (255).  XXII. FIssARE i Segni per le tré speciali Derivazioni dalle Voci di Azione (256).  XXIII. FIssARe la Teoria generale per esprimere i Verbi (257).XXIV. FIssARE i Segni per le tré Numeriche  Derivazioni speciali (258).  XXV. FIssARg il Distintivo per le Cose De-  terminanti-oggetto (259).  XXVI. FIsSARE il Distintivo per le Cose De-  terminanti-azione (260).  XXVII. FIssARs i Pronomi Determinanti-ogget-  to (261).  XXVIII. FIssARE i Pronomi Indicanti-oggetto (262).  XXIX. FIssARg i Pronomi Generici speciali (263).  XXX. FIssARE la Teoria per le Azioni, Ma-  tivo di Moto (264).  XXXI. FIssARE la Teoria per le Voci di più  Significati (265).  XXXII. FIssARE i Segni per le Espressioni sen-  timentali (266).  XXXIII. FISsARE le Regole di Sintassi, e d'Or-  ingrafia (267).  269 Ecco i semplicissimi trentatrè Punti di Co-struzione, ai quali si riduce l' Essenza della Formazione d'una Lingua ragionato - Quindi per dar Esistenza ad una Lingua Filosofica altro non si richiede, che la prattica Esecuzione di quanto qui abbiamo sommariamente accennato.LINGUA  UNIVERSALE  270. NeLLi PARTE SeCONDA abbiamo succintamente analizato cosa far si dovrebbe per formare una Lingua Filosofica; e si è potuto facilmente  la -Ora la Lingua Universale non dev'essere, che la Lingua Filosofica praticamente eseguita.  Dunque la Lingua Universale dovrebbe sistemarsi da una Società di Uomini dotti e di Nazione possibilmente diversa; e tale Sistemazione dovrebbe essere preceduta da molte mature e ragionate  Discussioni accademiche.  Da tali Premesse ognuno facilmente compren-de, che se produco il mio Piano di Lingua Uni-versale, non è per alcuna speranza di vederlo adottato; ma solo per somministrare qualche lume in una Materia, che può essere tanto vantaggiosa alla Republica delle Lettere ed alla Società.  Onde progredire col miglior ordine possibile, in questa TeRzA PArTE non farò che richiamare successivamente i trentatrè Punti di Costruzionegià stabiliti (a6g); assegnando le Regole e la prat-  tica Esecuzione per ciascuno.  PUNTO I.°  Fissare i Segni pei Suoni Vocali  I Suoni Vocali si distinguono in Gutturali ed Orali (10). Distingueremo dunque in orali e gutturali anche i Segni loro corrispondenti. SEGNI GUTTURALI, E LORO PRONUNZIA Nella nostra Lingua Universale i Segni Gutturali sono cinque «a, e, 1, o, u» e si pronunciano come siegue (a); avvertendo che il nostro i non à il puntino sopra.  a ed e si pronunciano al solito, cioé come in italie, admirable :  e ed o si pronunciano, sempre larghi, cioè come in serrait, rólait :  e si pronuncia sempre largo, ossia toscano;  cioè come ou francese in doux, tour ec.  273. I fissati cinque Segni «a, e, 8, 0, u» servono ad esprimere i suoni Gutturali semplici e brevi (12, 15). Sovrapponendo a questi Segni un  (a) Nel giustificato Supposto che la Lingua Francese sia la più generalmente conosciuta dai Dotti, io da essa prendo e Caralteri e Radici di Parole per la mia Lingua Universa-le. Quindi à anche stimato più conveniente indicare la Pro-nuncic dei Segni Vocali col mezzo della Lingua Francese  • medesima.Accento, avremo l'espressione dei cinque Suoni Gutturali semplici e lunghi (15); cioé «à, è, i, ò, ù »— Quindi l'Accento indica solamente, che la Voce deve poggiarsi sul suono corrispondente al Segno accentato; e deve poggiarsi precisamente come nell' ultima Sillaba delle Parole francesi  «dira, érait, brebis, marteau, beaucoup ».  274. Dai quattro Segni Gutturali semplici «a, e, o, u» formiamo otto Gutturali composti (12), sovrapponendo e sottoponendo loro 'un puntino.  Questo Puntino equivale al suono &, e indica Dic-tongo cioè Suono doppio, ossia Suono composto da due Gutturali.  2q5. Il Puntino sovrapposto equivale ad un seguente: Quindi «à, è, o, i» si pronunciano «az, es, or, u». Il Puntino sottoposto equivale ad un a precedente: Quindi «a, e, o, u» si pronunciano «io, re, 10, 1u» —In tutti questi Dittonghi la Voce deve sempre poggiare sul Suono principale, cioè sulla Base del Dittongo; e mai sul Valore del Puntino ossia sull'e, che deve considerarsi come Suono Dittongale accessorio.  276. Praticamente qualcuno dei Dittonghi «&, é, ò, i» potrebb'essere immediatamente seguito da Suono Gutturale; e qualcuno degli altri «a, ?, !, !» potrebb'esserne preceduto immediatamente — In tal caso onde raddolcire la Pronuncia si fissi per Regola generale; che il Suono ditton-gale a si converte nel Suono Orale y, di cui parleremo in seguito (279); e che tal variazione di Suono deve farsi nella Pronuncia soltanto, e mai in Iscritto.  Nella nostra Lingua Universale i Suoni Gutturali son dunque dicinito, dieci semplici e otto composti —Del Semplici cinque sono brevi, cioé aa, e, s, o, u» e cinque lunghi, cioè «à, è, i, ò, ù». I Composti sono tutti lunghi (14) di loro natura; e si formano con un Suono Gutturale semplice, unito al Suono ‹ posposto o anteposto —Si pospone il Suono ‹ in «à, è, o, i» e si antepone in « a, e, p, 4». SEGNI ORALI, E LORO PRONUNZIA I Segni pei Suoni Orali istantanei (17) nella nostra Lingua sono sei; cioè «b, p, d, t, x, g»: E i Segni per gli Orali prolungabili (17) sono undici; cioè «m, n, j, l, r; 5, 2, 1,1, с,у ».  279. I primi quattro Orali istantanei, cioé «b, p, d, t, » e i primi otto prolungabili, cioé «m, n, f, 1, r, s, 0, 2» si pronunciano al solito; vale a dire, come sogliono pronunziarsi nella Lingua Francese — Gli altri cinque, cioé «x, 8,1, c, y » si pronunciano come siegue :  x si pronuncia sempre come il k latino, ossia come suole pronunciarsi il e quando trovasi avanti a, o ed zs.  g avanti qualunque suono gutturale si pronuncia sempre, come suol pronunciarsi in Francese quando trovasi avanti «a, o, u" - gazon,  gosier, goût :  y si pronuncia come il j francese in je, ja-  mais; avvertendo che il nostro non à sopra il solito puntino.  c si pronuncia sempre come il ch francese  in cher, chambre ec.  y si pronuncia come la seconda parte dell'y nella parola francese moyer; avvertendo che chiamo seconda Parte dell'y, ciò che di questo Segno rimane a pronunziarsi dopo aver proferito la prima sillaba noi — Per gl' Italiani é più semplice dire, che il y si pronuncia precisamente come il j italiano nella parola jeri.  280. I diciassette Segni Orali suespressi indicano i Suoni Orali ordinarj (‹9): Gli Orali forzati (^9) poi s' indicano in iscritto, duplicando il Segno ordinario; come già si costuma presso tutte le Lingue - Quindi Il, bb, it, rr ec. accennano, non due Suoni Ordinarj, ma il Suono Forzato di 1,  в, t, r ес.  281. La nostra Lingua à inoltre 'dei Suoni e quindi de' Segni Orali composti, cioè formato ciascuno da due diversi Segni Ordinari, combinati in un Segno solo - Questi Segni Orali composti sono trè, cioè so, , l; che si pronunciano come siegue :  os si pronuncia al solito come ks, ossia come ct in action :  y si pronuncia, come pronunciasi gn in crai-  •gnant:  ly si pronuncia, come pronunciasi il doppio  I in abeille.  282. Oltre i Segni fissati facciam uso anche del-  I'/, il quale però non à pratticamente alcun Suono; e il cui valore sarà in seguito determinato (392).  283. Dunque nella nostra Lingua i Suoni Orali sono venti; diciasette Semplici, cioé «b, p,d,  1, к, д-т, н, f, 2, т, 5, а, а, у, с, у,»;  e trè composti, cioè « s, y, y».  284. Per dare a questi Segui un Nome, basta aggiugnere a ciascuno il Suono gutturale e: Avremo quindi « be, pe, de, te, se, ge- me, ne, fe, le, re, se, ve, ze, se, ce, ye — de, ye, ye ».  Si avverta, che questi Monosillabi esprimono non il Suono del Segno, ma il Nome particolare di ciascuno onde poterli indicare come Oggetti; come quando diciamo « un be, un de ec.» oppure « il xe, il ge ec.».  AVVERTENZA  Le Cifre o Caratteri tanto manoscritti che di Stampo, per la nostra Lingua si prendono dal Carattere Francese corsivo, colle Variazioni Aggiunte e Modificazioni sopra accennate pei Segni tanto Gutturali che Orali. Le Lettere majuscole della nostra Lingua debbono di Figura essere uguali alle minuscole, ma più grandi in Dimensione. I Segni majuscoli si usano soltanto al principio di ciascun sentimento come al solito, ed al principio di ciascuna Parola esprimente un 0g-getto determinato (103) o qualche sua Deriva-zione; come « Roma, Vienna, Russia ec. - Ra- mano, Viennese, Russo ec. » - Nei Nomi di Oggetto determinato e quindi nelle loro Derivazioni è poi necessario questo Segno iniziale majuscolo,perché tali Nomi sortono dalla Regola generale che in seguito (315) fisseremo pei Nomi di tutti gli Oggetti indeterminati. PUNTO II.°  Fissare la Teoria per le Sillabe e Posa  nelle Parole  288. Le Parole nella nostra Lingua anno tante  Sillabe, quanti contengono Suoni o Segni Guttu-rali, tanto semplici che composti (273). Le Sillabe poi terminano sempre con Suono Gutturale, ad eccezione delle ultime che possono finire in  Suono Orale; avuto però riguardo a quanto precedentemente si espose (36).  289. La Posa delle Parole è sempre o nell'ultima Sillaba o nella penultima — E nell'ultima, quando in essa trovasi un Segno o Suono Guttu-  Si avverta, che il Suono Gutturale lungo si usa solamente in poche circostanze, le quali saranno in seguito determinate (364, 370).Fissare dei Segni per esprimere negli Oggetti il NUMIRO GENERICO ed il sIsso  NUMERO GENBRICO  290. Il Segno di Numero unale e i; « quello di Numero plurale -Questi Segni si antepongono ai Nomi o Pronomi che ne abbisognano, ma senza unirli ad essi in una sola parola. Quindi Padre dicendosi pero, scriveremo & il Padre - 1 pero; i  Padri — « pero».  Fissati cosi i due Segni di Numero gene-rico, i Nomi e Pronomi diventano invariabili di loro natura; cioè servono egualmente ad ambedue i Numeri unale e plurale.. Il Segno di Numero si omette ognivolta, che riescirebbe inutile nel discorso; vale a dire, ognivolta che il Nome o Pronome da se ci esprime naturalmente, se unale o plurale. SESSO  • 295. La natura dell'Oggetto che si esprime, fa da se necessariamente conoscere se l'Oggetto à  Sesso; oppure se n'è mancante - Quindi è inutile fissare un Segno per gli Oggetti neuiri, ossia  mancanti di Sesso.  294. Rapporto agli Oggetti aventi Sesso, questi debbono primieramente avere il loro Nome gene-rico, cio il Nome che serve ad esprimere tutti gli Esseri d'una stessa Specie: Cosi in Italiano ilNome generico Uomo esprime tutti gl' Individui della Specie umana; il Nome generico Cavallo esprime tutti gl' Individui della Specie equina, ec. — Questo Nome Generico dev'essere particolarmente fissato per ciascuna Specie di Oggetti (315).  Giò posto, nell' esprimere tali Oggetti o devesi per la natura del discorso far attenzione anche al Sesso, o no: Senò, li esprimiamo col loro Nome Generico: Se devesi far attenzione anche al Sesso, allora distingueremo l'Oggetto femminile dal maschile nel modo seguente.  Per esprimere l'Oggetto maschile facciamo uso del Nome Generico, come già si costuma in tutte le Lingue - Quindi negli Oggetti aventi Sesso il Nome Generico esprime o l'Oggetto in genere, o l'Oggetto maschile in ispecie. Nè in ciò può nascere alcuna difficoltà; giacché il contesto e la natura del discorso troppo facilmente ne fa in ogni prattica circostanza conoscere il vero significato di tali Sostantivi - Dunque ommo, frero, eglo ec. significherà o «Uomo, Fratello, Aquila ec. » in genere; o « Uomo, Fratello, Aquila ec. » maschile in ispecie. Per esprimere qualunque Oggetto femminile fissiamo la Regola generalissima che «Si prepone al Nome maschile il Gutturale composto e, formandone una parola sola». Quindi « Madre, Donna, Sorella, Aquila-femmina ec." si dirà (294, 295) « épero, commo, efrero, ¿eglo ec.».Fissare il Segno per esprimere nelle Cose l'opposto  297. Per esprimere in una Voce qualunque il  composto d, formandone una sola Parola - Quindi «ba, be, bi, bo, bue» (308) significando «sono, ero, fui, ero-stato, sarò » per esprimere « non sono, non ero, non fui, non ero-stato, non sarò » diremo a cibo, abe, abi, cibo, abuen.  PUNTO V.°  Fissare le Voci per gli Oggetti Giudicante e Ascoltante, ed i Pronomi per i Terzi Oggetti  OGGETTI GIUDICANTE & ASCOLTANTE  298. La Voce per l'Oggetto Giudicante al Numero unale è ma, significante io; al plurale è mu, significante noi.  La Voce per l'Oggetto Ascoltante al Numero unale è te, significante tu; al plurale è tu, signi-  fcante voi.  299. Queste Voci servono per gli Oggetti Giudicante e Ascoltante di qualunque Sesso; giacché il Sesso di tali Oggetti si conosce necessariamente dalla natura del Discorso (54).  Si faccia attenzione che in queste Voci come in quelle che saranno fissate in seguito (301, 332),il Numero plurale si distingue dal Numero unale, mediante il Segno generico di Numero già stabilito (290).  Per l'Oggetto Ascoltante la nostra Lingua esclude qualunque sostituzione di Complimento - Quindi il Nome per gli Oggetti Ascoltanti, qualunque esser possa il loro Grado Carattere Dignità ec., è sempre al Numero unale ti, ed al plurale ti; precisamente come usavano i Latini tu e vos. TERZI OGGETTI Ecco i Pronomi di Terzo Oggetto per ciascun Numero e Sesso; avvertendo, che il Pronome maschile serve negli Oggetti aventi Sesso a richia-mare, e l'Oggetto in genere, e l'Oggetto maschile in ispecie; come già fù detto pei Nomi (295). Numero unale plurale  maschile  - l. eglio esso | lu... eglino o essi  femminile (296) el.. ella o essa | elz.. elleno o esse  neutro  - oli. egli o esso | olu.. eglino o essi PUNTO VI.°  Fissare il Pronome Rifesso  302. Qualunque sia l'Oggetto Cardine di Giu-dizio; cioé Giudicante o Ascoltante o Terzo, di qualunque Sesso e Numero esso sia; la nostra  Lingua usa i un sol Pronome riflesso — Questo Pronome si esprime colla Voce, so corrispondenteespresse dettagliatamente (60).  PUNTO VII.®  Fissare le Voci esprimenti Giudizio  Tempo e Modo  303. Si fissi, che le Voci di Giudizio nella nostra Lingua debbono senipre essere accompagnate da Nome o Pronome Cardinale; richiamando, che il Cardine di Giudizio per le Voci al Modo Generico trovasi espresso dal Nome o Pronome  Cardinale del Verbo determinando (205, e AnaLisi 175) - Dunque le Voci di Giudizio non debbono esprimere né il Numero Generico, cioè se uno o più, né la Natura dell'Oggetto Cardinale,  cioe  se Giudicante Ascoltante o Terzo; giacché questi Numero e Natura sono chiaramente espressi dal Nome o Pronome dell'Oggetto Cardinale medesimo - Dunque le Voci di Giudizio esprimeranno soltanto Giudizio, Tempo e Modo - Dunque basta in ciascun Modo fissare una sola Voce di Giudizio per ogni Tempo.-  304. I Modi, Generico Indicativo Condizionato e Indefinito, sono i soli che abbiano le Voci di Giudizio trà loro diverse (98). Dunque fisseremo le Voci di Giudizio per questi soli Modi; e queste si applicheranno a tutti gli altri Modi, precisamente come in Italiano (V. Anal. 101. e seg.).305. Voci di Giudizio al Modo Generico de-terminante.  presente - bra. ... essere  passato  -bre.. .  essere-stato  futuro  - bre . . . . esser-per-essere  306. Un Giudizio di Qualità non può mai per intrinseca natura accompagnare (74) un Azione o Giudizio. Gli accompagnanti Giudizj di Azione non abbisognano della Voce di Giudizio; giacché l'Azione e il Giudizio accompagnante, si esprimono in una sola Parola (353). Dunque nella nostra Lingua non occorrono Voci di Giudizio al Modo  Generico accompagnante.  •• •  Profittando di tale mancanza, in luogo del  Modo Generico accompagnante noi poniamo trà le Voci di Giudizio due Voci sostituibili, una di tempo presente, l'altra di tempo passato. Queste Voci corrispondono perfettamente alle Italiane essendo ed essendo-stato; e serviranno ad abbreviare di molto la nostra Lingua. Eccole :  307. Voci di Giudizio sostituibili:  presente  - bro .... essendo  passato  — bru . . . . essendo-stato308. Voci di Giudizio al Modo Indicativo:  me, 4, 44, èli, ole -mu, iu, lus, èlu, olu (a)  presente  presente-relativo - be... io era, tu eri, ec.  passato  — be .... io fui, ec., o sono-stato, ec  passato-anteriore — bo.... io era-stato, ec.  futuro  - bu... io sarò, tu sarai, ec.  futuro-anteriore - bur...io sarò-stato, ec.  30g. Voci di Giudizio al Modo Condizionato:  mi, 66, la, éle, ole — mu, tu, lu, êls, olus  presente  - bal... io sarei, tu saresti ec.  passato  - bil ... io sarei-stato, ec.  310. Voci di Giudizio al Modo Indefinito:  хе)  mi, t6, le eli, ole — mou, ilo, lu, elle, olu  presente  - bar... che io sia, che tu sii, ec.  presente-relativo — ber... che io fossi, tu fossi, ec.  passato  - bir... che io sia-stato, ec.  passato-anteriore - bor.. che io fossi-stato, ec.  PUNTO VIII.®  Fissare le Voci Radicali per la nostra Lingua  311. Nella nostra Lingua le Parole Radicali si distinguono in variabili e stabili — Chiamiamo  (a) Il valore di queste Voci fú già fissato al 298 e 301.variabili quelle, dalle, quali variandone la Desi-nenza, derivano altre Parole. Chiamiamo stabili quelle, che non danno alcuna Derivazione.  RADICI VARIABILI  • 312. Ad eccezione di alcune poche le quali vengono particolarmente fissate, le Radici variabili per la nostra Lingua si prendono (a) dalla Lingua Francese, come Lingua più generalmente conosciuta dai Dotti; e si prendono colle seguenti Regole costanti.  I.° Si scrivono possibilmente come si pronunciano in Francese, e da noi si pronunciano poi precisamente come sono scritte; vale a dire, che avendole scritte, dobbiamo poi pronunciarle  con  (a) Sarebbe molto facile inventare nuovi Caralteri e Parole Radicali affatto nuove; giacchè tale Invenzione in fondo si riduce ad una pura materialità - Ma chi potrebbe determinarsi ad apprendere una Congerie enorme di Voci barbare e cappricciose? Nelle Produzioni di Spirito la sola Novità basta generalmente ad allarmare i Partiti la Critica e l' Oppo-  sizione. Che fia dunque, se vi si uniscano difficoltà quasi in-superabili?.  Altronde le Parole non sono che Segni destinati a richiamar delle Idee; e queste Idee vengono attaccate alle Parole dalla sola Convenzione sociale - Dunque la qualità del Segno e del Suono nelle Parole, è cosa affatto indifferente per l' essenza del Linguaggio. Dunque possiamo anzi dobbiamo in ciò profittare delle già acquistate cognizioni; prendendo le Voci Radicali da una Lingua, che a di nostri sia la più generalmente conosciuta.tutto il rigore delle Regole già stabilite per la nostra Lingua (272 e seg.).  II.° Si sopprime l/ iniziale di qualunque spe-cie; e si sopprime pure qualunque Acuento o altro Segno distaccato dalle Lettere.  Ill° Al § ed ai e e t aventi un Suono prossimo al s, si sostituisce sempre s.  IV. Al Dittongo oi si sostituisce costantemente il Gutturale composto ó; e questo sempre devesi pronunciare come abbiamo già detto (275).  V.° Quando nella Parola Francese trovinsi di seguito i due Segni of come in mogen, questi Segni nella nostra Lingua si scrivono come in Francese; ma l'o prende il Suono di Gutturale semplice, e l'y prende il Suono del nostro Segno  Orale y (279).  VI.° Ai Suoni e Segni eu, oeu ed u francese si sostituisce costantemente il nostro segno e suono 2 (272), che sempre deve pronunciarsi largo ossia toscano.  RADICI STABILI  313. Le Radici Stabili sono poche e d'un uso frequentissimo nel discorso. Quindi, benche si pos. sano anch'esse prendere dalla Lingua Francese colle Regole sopra stabilite per le Variabili (312), pure sarebbe meglio fissarle in particolare e possibilmente monosillabe; come abbiamo già fatto per le Voci di Giudizio, Pronomi ec., e come faremo per altre Voci formanti Parte essenziale di  Grammatica.Questo Travaglio però è riservato alla Formazione del Dizionaria; e quindi ad una scienziato  Società (396, I.° e seg.).  PUNTO IX.°  Fissare il Segno caratteristico per le Parole  Radicali  314. Le Parole Radicali esprimono o Oggetti o  Qualità o Azioni o Rapporti (243). Quindi fisseremo separatamente il Segno caratteristico per ciascuna di tali Specie di Radici.  OGGETTI  315. Le Radici degli Oggetti indeterminati debbono tutte finire col Gutturale semplice o; ed e questo il Segno loro caratteristico - Quindi :  I.° Se la Parola Francese termina in e breve, si cangia quest'e finale in o: Cosi da «Pere, Chambre, Homme ec. » avremo «pero, cambro,  отто ес. ».  II.° Se la Parola Francese nella Pronuncia termina con un qualunque Suono Gutturale lun-go, dopo questo Suono lungo si pone o; richiamando che le Parole radicali si scrivono possibilmente come si pronunciano in Francese (312, I.°):  Cosi da «Argent, Bassin, Brebis, Maison, Palais, Clou ec. » avremo «arjao, basseo, brebo, mesoo,  pales, xluo ec. ».  III.° Se la Parola Francese termina in 20r, quand'anche queste lettere non si pronunciassero,all'r o l fiale azziugnesi o: Cosi da « Cheral,  Eerger, Or, ed o arremo a cereo, bejeto, oto, ec. s.  IV. Finalmenie se la Parola Francese termina con qualanque Suono Orale che in francese suole pronunciarsi, a quest' Orale si aggiugne l'o carai-teristico: Quindi da •Lac, Canif ec o avremo  •laro, xanifo ec o  316 Le Radici degli Oggetti diserminati, cioè i Nomi propri degli Tomini, Paesi, Fiumi ec., non prendono la caratteristica o; ana si pronunciano o come in Francese, o come suole pronunciarli la Nazione, presso cui si trovano o trovarono gli Oggetti determinati che nominiamo. Quindi rolendo esprimere • Roma, Vienna, Londra, Pa rigi, ec.= diremo o «Rome, Venne, Lordre, Pari, ec. • prendendo la Parola dal Francese; op pure diremo «Roma, l'i, Loron, Pari ec» prendendo la Parula dall' Espressione nazionale - Nel Dizionario i Nomi degli Oggetti determinati dovrebbero stabilmente fissarsi.  Da qualunque Lingua poi si prendano le nostre Radici, si richiami che desse si scrivono sempre possibilmente come si pronunciano (312, L.°).  317. I Nomi degli Oggetti determinati e le loro  Derivazioni, non avendo il Segno caratteristico finale fissato pei Nomi indeterminati (315), in iscritto avranno sempre la Lettera iniziale maju-scola (297); e sarà questo, almeno per la Scrittu-ra, il Distintivo loro particolare.318. Le Radici delle Qualità debbono tutte f-nire in l; ed è questo il Segno loro caratteristico — Quindi :  I.° Se la Parola Francese termina in Guttu-rale, le si aggiugne l: Cosi da «juste, rapide, joli ec. » avremo «justel, rapidel, jole ec. ».  II,° Se la Parola Francese termina con Segni  Orali, sia che questi si pronuncino o no, gli Orali finali si cangiano in l: Cosi da « eloquent, dous, amer, ec. » avremo «eloxal, dul, amel, ec.»,  III.° La Parola Francese terminando in le breve, se questo le è preceduto da Orale, l'e breve finale si antepone al segno l; così da «capable, noble, allable ec. » avremo «xapabel, nobel, af-  fabel, ec.»: Se questo le è preceduto da Guttu-rale, si sopprime l'e finale; cosi da « habile, facile ec. » avremo «abil, fasil, ec."— Si avverta, che le s'intende preceduto da Gutturale, anche quando la Parola francese terminasse in lle; giacché lle non è altro che le col suono forzato nel-l'Orale (‹9): Quindi tranquille ci darà tranxil, ec.  IV.° Se la Parola Francese finisce in l, non le si fà né Aggiunta né Variazione: Quindi • ci-  vil, fatal ec. » danno «sivil, fatal, ec."; richiamando che nella nostra Lingua le parole mancanti di accento sull'ultima Sillaba, anno sempre la Posa sulla penultima (289).519. Abbiamo già detto (289), che nella nostra Lingua le Parole anno la Posa sull'ultima Sillaba, solamente quando questa Sillaba contiene un Gutturale lungo, cioé «à, è, 1, o, i»— Fissiamo adesso, che le Parole Radicali non debbono mai avere l'ultima sillaba lunga. Quindi le nostre Radici anno sempre la Posa nella penultima sillaba (289). Quindi le nostre Radici non contengono mai Segno Gutturale lungo - Quindi in molte Parole l'ultima Sillaba, che nella Pronuncia Francese è lunga, diviene breve per noi: Cosi per esempio è breve l'ultima sillaba nelle Radici «Jolil, eloxal, amel, ec.»; benché provengano da « joli, eloquent, amer ec.», che in Francese ànno  1' ultima lunga.  320. Questa Regola è generalissima; e non se n'eccettua che qualche Nome proprio, come « Pa-ris, Bourdeaux, Rochefort, Perou ec.», i quali  propri dipende dal non esser essi suggetti al Segno caratteristico; come abbiamo già premes-  80 (310).  AZIONI  Le Radici verbali di Azione debbono tutte terminare col Gutturale semplice a; ed è questo il Segno loro caratteristico. Le Radici Verbali per la nostra Lingua siprendono dal Participio presente Francese, cangiando l'ant finale in a caratteristico. Quindi da « voulant, aimant, écrivant ec. » avremo « vula, ета, exriva, ес. ».  Quando in Francese manchi il Participio pre-sente, la Radice verbale si prende dal Participio passato, cangiando in a caratteristico il Gutturale finale colle altre lettere seguenti: Cosi da abstrai-Te, extraire ec. ossia dal loro Participio passato « abstrait, extrait, ec. » avremo « abstres, extra, ec.».  323. Le Radici verbali di Azione, prese colla  Regola qui stabilita e aumentate dell'a caratteri-stico, esprimono sempre il presente del Modo Generico determinante (353) : Quindi « vula, ema, exriva, abstra, extra, ec.» significano «vo-  lere, amare, scrivere, astrarre, estrarre ec. ».  324. Nel fissare le Radici di Azione si avverta, che l'a caratteristico non può mai essere immediatamente preceduto dall' Orale b; e ciò per un motivo, che addurremo in seguito (364). Quindi se la Radice di Azione (382) avrà il b finale, questo deve sempre cangiarsi in p: Cosi da « tom-bant, succombant ec. » avremo « tompo, sux-  хотра ес. ».  RAPPORTI  , 325. Il Segno caratteristico per le Voci di Rapporto sia r finale; eccettuando quelle Voci, che vengono particolarmente fissate senza tale Carat-teristica.  Le Voci di Rapporto nella massima partesono stabili. Quindi limitandoci a stabilire in seguito le Voci radicali di Numero ed alcune di Tempo e di Luogo, per l'Espressione delle altre ci riportiamo a quanto superiormente fü detto (313).  AVVBATENZA  Sul Segno caratteristico delle Voci Radicali  326. Richiamando il qui esposto relativamente alle Voci Radicali, si può cominciare a formarsi un Idea della semplicirà e facilità di questa Lingua Universale - Le Parole della nostra Lingua sono tutte ridotte a quattro Classi primitive; e ciascuna Classe à il suo particolar Distintivo, cioe no,L, a, ro fnale. Questi Segni, quando sieno ultima lettera delle Parole, anno costantemente sempre lo stesso valore: cioè indicano sempre,  1.° che la Parola è Radicale; 2° che la Parola esprime o un Oggetto o una Qualità o un Azione o un Rapporto, secondoché la Lettera finale é  о, 1, а, г.  E vero che i Nomi propri (316) non prendono la Caratteristica o, e che alcune Voci Grammaticali anno per finale qualcuna di queste quattio  Lettere; ma nel Discorso è assai facile conoscere dal sentimento i Nomi Propri, ed in Iscritto essi anno il Segno iniziale majuscolo (317). Riguardo poi alle Voci Grammaticali che terminano con qualcuno dei fissati quattro Segni caratteristici o, 1, a, r, si avverta; che queste Voci anno tutte un significato particolare; e che sono po-      chissime, d'un uso frequentissimo, e per lo più monosillabe: Quindi non possono produrre né confusione né difficoltà - Infatti in un prattico  Discorso qual Italiano potrebbe non distinguer subito il Pronome se da se Voce condizionante, gli Articoli la gli lo dai Pronomi lo gli la, il Verbo porto dal Sostantivo Parto, ec.? Eppure qui si tratta di Parole uguali perfettamente in Suono ed ‹in Figura; laddore nella nostra Lingua si tratta soltanto dell' eguaglianza di Lettera finale.  AvVERTENZA  Sul prendere le Voci Radicali  327. E facile prevedere che prendendo dalla  Lingua Francese le Voci radicali colle Regole finora fissate, si avranno alle volte uguali delle Parole che dovrebbero essere diverse, stante la diversità del loro significato. Il rimedio a tale Inconveniente è peró della massima semplicità.  Se un giorno qualche Società Accademica ( 396, Prog.) si determinasse a compilare il Dizionario di Lingua Universale, spetterà ad essa fissare una Legge per eliminare le Voci di più Si-gnificati, come pure per variare alcune Radici ch'esser possono aspre lunghe e complicate di troppo.Fissare i Segni per esprimere le varie Situazioni degli Oggetti  Onde fissare i Segni per le varie Situazioni nelle quali possono presentarsi gli Oggetti, è necessario distinguere i Sostantivi che li espri-mono, in determinati e indeterminati — Chiamiamo Sostantivi determinati tutte le Voci di Oggetro, che di loro natura fan conoscere il Numero unale o plurale; come «Pietro, Rodano, Londra, io, voi, egli, esse ec. ». Chiamiamo Sostantivi indeterminati tutte le Voci di Oggetto, che debbono essere necessariamente accompagnate dal Segno di Numero generico (2go); giacché di loro natura queste Voci servono egualmente al Numero e unale e plurale. SOSTANTIVI DETERMINATI Nei Nomi degli Oggetti Determinali meritano particolare attenzione dieci Situazioni di- verse. Queste Situazioni furono già analizate (105); e qui non dobbiamo che fissare il Distintivo per ciascuna. Il Distintivo del Nome tanto cardinale (106)  che nominante (107) consiste nel non averne al-cuno: Quindi « Paolo, Parigi, tu, noi ec.» si dirà  Pol, Рагі, й, ти, ес.».  Il Distintivo del Nome determinante-ogget-to (109) é la Voce de: Quindi « il Padre di Paolo »  si dirà «« pero de Pol».Il Distintivo del Nome determinante-azio-ne (110) é la Voce se: Quindi « chiamo te, voi, Paolo ec. » si dirà « chiamo seti, se tu, se Pol, ec.».  Il Distintivo del Nome chiamante (111) é la Voce ye: Quindi «o Paolo, o Roma, o tu ec.» si dirà «ye Pol, ge Roma, ye ti, ec.».  •Il Distintivo del Nome contenente (113) è la Voce ce: Quindi « in voi, in Parigi, in lei ec.»  si dirà «ce tu, ce Part, ce elz, ec.».  Il Distintivo del Nome relativato 114 è la  Voce je: Quindi «parlano di voi, di Roma, di me ec.» si dirà «parlano je tu, je Roma, ja  ты, ес. ».  Il Distintivo del Nome ricevente (115) é la Voce re: Quindi «diedi a Lui, a Paolo, a voi ec. » si dirà «diedi re le, re Pol, re tu, ec.».  Il Distintivo del Nome terminante (116) é la Voce pe: Quindi «mandai a Paolo, a te, a lei ec. » si dirà « mandai pe Pol, pe ti, pe él, ec.».  Il Distintivo del Nome cominciante (117) é la Voce ge: Quindi « partirono da Roma, da me, da Parigi ec.» si dirà «partirono ge Roma, ge  33o. I Segni per le varie Situazioni dei Nomi determinati sono dunque oito, cioè de se ye ce je re pe ge; giacché il nome Cardinale e Nominante non à alcun Segno - É poi superfluo avver-tire, che questi Segni formano parola da loro, e che sempre debbono premettersi al Nome.  Ecco espresse di seguito le varie Situazioni dei Nomi « Pol, Roma, i1, Eu»; e questa. Ope-  razione de noi si chiama Situare, cioè e porte ua  Nome in tutte le sue diverse Situazioni ».  Si avverta che det-oggetto e det-azione sono  Abbreviazioni di determinante-oggetto e determi-nante-azione.  SITUAZIONI DEI NOMI DETERMINATI  NoME  cardinale  Pol      Roma  nominante  Pol      Roma  tu  det-oggetto  de Pol      de Roma  de te de tu  det-azione  se Pol      se Roma se ti se lu  chiamante  ye Pol      ge Roma yoth ye tes  contenente  ce Pol      ce Roma ce h. ce lu  relativato je Pol        jo Roma  je ll je te  ricevente  re Pol      re Roma  ro tl te tr  terminante  pe Pol      po Roma po ti pe tu  cominciante ge Pol        go Roma ge il ge lis  SOSTANTITI  INDETERMINATI  33r. I Nomi degli Oggetti indeterminati possono  Nome indefinito (112).  332. I Nomi Indeterminati abbisognano del Segno di Numero Generico (328). Quindi fissando che il Distintivo in genere pel Nome indefinita è il Segno e unito al segno di Numero, e richiamando che ‹ è il segno di Numero unale,quello di plurale (290), i Segni distintivi per le varie Situazioni dei Nomi indeterminati saranno «s, de, se, go, ca, je, ro, po, ga, se» pel Numero unale; e pel Numero plurale «z, du, su,  дь, си, за, ти, ри, ди, очь ». Quindi i Segni per  le varie Situazioni dei Nomi indeterminati di Oggetto si formano in generale dai Segni dei Nomi  Determinati (330), cangiandone in Segno di Numero l'e finale, e ponendo il Segno di Numero dove per i Determinati non avvi alcun Segno.  Ecco espresse di seguito al Numero unale e plurale tutte le varie Situazioni di suxro e ommo ; arvertendo, che ommo al Plurale è espresso da  O., e che all'Unale non avrà la situazione di Nome indefinito, perchè ripugnante all'intrin-seca natura dell'Oggetto; osservazione da applicarsi a tutti i casi consimili.  SITUAZIONI DEI NOMI INDETERMINATI  NoMB  unale  plurale  cardinale i suxro, ¿ ommo | usUaro, " O.  nominante ¿ SUXTO, I ommo | « SUXTO, « O. det.oggetto de suxro, de ommo| du suxro, du O.  det.azione  Se SUxTO;se ommo| su SUXTO, su O.  chiamante yesuxro, y ommo | Jusuxro, yu O.  contenente cI SUxrO:, cE Omm | CUSUXTO, Cu O.  relativato  JeSUXrO, jo ommo | jUsSUXTO, ju O.  ricevente  Te SUXTO, rI smmo | Me SUXTO, TU O.  terminante pisuxro, pe ommo| pusuxro, pu O. cominciante gi suxro, grommo | gu suoro, gu 0.  indefinito NESUXTO 20  "| มน suscro, มน0.Fissare le Voci Nuneriche speciali  Le Voci indeterminate di Numero (120) sono poche e stabili. Quindi dovranno particolarmente fissarsi come le altre stabili Radici (313) - Dunque noi qui esporremo soltanto le Radici e la Teoria pei Numeri determinati (120). I Numeri da noi si scrivono colle dieci oolite Cifre arabiche «0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9»: E come con queste dieci sole Cifre possiamo scrivere qualunque numerica Quantità, cosi in Voce esprimeremo qualunque Numero colle seguenti dieci Monosillabe, corrispondenti alle Cifre Arabiche sottoposte :  г, по, ог, te, j, f, же, ls, го, по  0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,8,9  335. Per esprimere con queste dieci Monosillabe un Numero qualunque, alle Cifre arabiche formanti un dato Numero basta sostituire i Mano-sillabi corrispondenti, seguendo l' ordine stesso delle Cifre — Quindi avremo:        o ze |10 naze |20 vuze | 30 treze | 40 feze.            I no |11 nana | 21 vuna | 31 trena | 50 fize            2 vu |12 navu | 22 vuvr |32 trevu |60 oseze.            3 tre. |13 natre | 23 vutre | 33 tretre | 70 laze            4 fe 114 nafe. |24 vufe | 34 trefe | 80 toze            5 fi |15 nafi |25 vuft. | 35 trefi |go noze            6 же |16 nase | 26 vuse | 36 trese | 9r nona.            7 la 117 nala | 27 vula |37 trela 195 nofi        8 to | 18 nato | 28 vuto      138 treto 198 noto          9 no |19 nano |29 vuno |3y treno | 99 nono      Si avverta, che ze unito ad altra numerica Parola non vuol dire zero (nulla), ma significa ripetuto dieci volte; cio indica, che il valore espresso dal Monosillabo precedente s'intende ripetuto dieci volte: E tale è precisamente il valore della Cifra o, posta dopo altra Cifra arabica qua-lunque. Si potrebbe in egual maniera continuare ad esprimere verbalmente qualunque data Congerie numerica, sostituendo cioè alle Cifre arabiche i corrispondenti nostri Monosillabi: Ma ciò riesci-rebbe incommodo alla Pronunzia ed all'Orecchio. Quindi fissiamo, che le centinajo, migliaja ec. debbono pronunziarsi con Parole separate, e precisamente come in Italiano: Infatti leggendo per esempio il Numero 2300, noi diciamo « due-milas tré-cento ec. » - Dunque facendo uso delle 99 espressioni soprafissate (336), per esprimere in Voce qualunque Numero hno al Millione non si ri-      chiedono che altre due sole Espressioni, equivalenti alle italiane cento e mille.  338. Ora in Arabico cento si scrive 100, mille si scrive 1000. Dunque per la Regola stabilita (335) cento equivale a nazeze, mille equivale a nazezeze.  Tali Espressioni però anno un suono troppo in-commodo. Quindi per evitarlo premettiamo al ze finale il Monosillabo indicante il numero dei 20 —  Quindi  100 si dirà novuzo, cioè 1 seguito do a ze  1000 si dirà natreze, cioè s seguito da 3 ze  339. Le due Espressioni navuze e naireze unite convenientemente e come in Italiano alle 99 sopra fissate (335) ci abilitano ad esprimere in Voce colla massima facilità qualunque Numero fino a  9.99999 - Onde continuare oltre 999999 le verbali Espressioni numeriche, fissiamo che nelle Parole millione billione trillione ec. la forza ed il valore della parte lione si esprime colla Monosillaba go.  Per esprimere millione billione trillione ec. ossia Illione, allione, 3ollione ec. diremo dunque « nago, vujo, creyo, ec. continuando fin dove il bisogno  lo esigge.  340. Onde porre in prattica l'esposta numerica  Teoria vocale, supponiamo di dover leggere le seguenti numeriche Quantità :128 — navuze vuto  506 — tre navuze se  2634 — vu natreze, se navuze trefe  4057 — fe natreze, file  65231 — ssefi natreze, vu navuze trena  20613 — vuze natreze, se navuze natre.  462389 — fe navuze sevu natreze, tre navuze tono  805704 — to navuze fi natreze, la navuze fe  Si noti; che le vocali numeriche Espressioni della nostra Lingua sono molto più brevi che in qualunque altro Linguaggio; che praticamente è raro assai il dover pronunciare un Numero d' una qualche lunghezza; e che, lo scopo primario della Lingua Universale essendo lo scrivere in modo intelligibile a qualunque Nazione e i Numeri nella nostra Lingua scrivendosi colle Cifre arabiche (334), potrà ognuno leggerli anche coll' Espressione nazionale.  PUNTO XII.°  Fissare le Voci esprimenti Luogo  34x. Parmi, che le poche seguenti sieno le Voci variabili più essenziali per esprimere i Rapporti di Luogo. Quindi ne fisso per la nostra Lingua la corrispondente Espressione radicale.  sopra  sur | dentro  dar | dirimpetto  sotto sor | fuori dor | dinanzi (coram)  avanti var | a destra tar | vicino dietro vor | a sinistra tor | lontano  ขนก  fur  for342. Queste Voci nel discorso possono essere isolate o congiunte - Le chiamiamo isolate , quando esprimono in genere un dato Rapporto di Luogo; come avanti, lontano, a sinistra ec. in  •egli andò avanti, stà lontano, volterà a sinistra ec.». Le diciamo congiunte, quando esprimono un dato Rapporto di Luogo in particolare, cioè quando si specifica l'Oggetto riguardante quel dato Rapporto; e le chiamiamo congiunte appunto perché vanno unite al Nome di Oggetto: Cosi avanti, lontano, a sinistra ec. sono Voci congiunte in «Egli abita avanti al Teatro, lontano dal Teatro, a sinistra del Teatro ec. ».  Onde intendere perfettamente il valore e la forza del Discorso, il Nome di Oggetto che và unito alla Voce di Luogo, basta che sia puramente nominato. Esso dunque sarà sempre nella Situazione di nominante, e ne avrà quindi il Distintivo (330, 332). Quindi « sopra la tavola, a destra di Paolo, dirimpetto a voi, lontano da me ec. » si tradurranno «sur & tablo, lar Pol, wir tu, for mu ec: » Abbiamo due altri Rapporti o Voci di Luogo d'un uso assai frequente nel discorso. In Italiano l'uno si esprime con su, e indica in al to; l'altro si esprime con giù, e indica abbasso - Ecco le loro Espressioni per la nostra Lingua: nir su (in alto) / nor giù (abbasso) Dobbiamo non di rado indicare genericamente il Luogo ove si trova, o l'Oggetto giudi-cante, o l'Oggetto ascoltante, o un terzo Og-getto. Quindi è necessario fissare trè apposite Es-pressioni, che saranno — sa qui o quà - sa costi o costà — za li (ivi) o là. 346. Quando occorra esprimere dei Rapporti di Luogo composti, cioè un Rapporto locale in genere ed un Rapporto in ispecie relativo all'Oggetto giudicante ascoltante o terzo (345), uniremo le Voci parziali di tali Rapporti in una sola Parola.  Quindi «qui sopra, lá dentro, quà giù o quaggiù ec. » si tradurranno «sasur, zadar, sanor, ec.».  Tali unioni sono piuttosto frequenti nel discorso; ed abbiamo terminato sa sa za in Gutturale, singolarmente per rendere dolci tali Parole com-poste.  PUNTO XIII.®  Fissare i Segni per indicare Aumento Decremento e Deterioramento nelle Qualità  347. Esprimiamo nelle Qualità l'Aumento massimo (125) assoluto aggiugnendo alla Radice g ; e l'Aumento massimo relativo aggiugnendo alla Radice n - Quindi « eloquente, eloquentissimo, il più eloquente » si tradurranno «eluxal, eloxalg,  eloxalr».  348. Il Massimo Decremento (128) è precisamente l'Opposto dell'Aumento massimo: Quindi lo esprimiamo, preponendo alla Voce di massimo  Aumento tanto assoluto che relativo il segno diOpposto (297) - Quindi « ineloquente, ineloquen-tissimo, il più ineloquente » si tradurranno « delo-deloxulg, deloxaln »; richiamando (2,6)  che in questo caso il valore dittongale del puntino nella Pronuncia si cangia nel nostro Orale y.  349. Quando si à Aumento o Decremento Massimo relativo, l'Oggetto che circoscrive che limita il Massimo Aumento o Decremento, deve soltanto essere indicato: Quindi avrà sempre la Situazione e il Distintivo di nominante (330, 332) - Quindi «il più virtuoso de' Filosofi, il più saggio de' Prin-  cipi, il più incostante degli Uomini ec.» si tradurranno « vertuuln u filosofo — 1 sajeln u pren-  so -1 cixonstal e ommo ec.».  350. Si esprime nelle Qualità il Deterioramen to (130), aggiugnendo alla Radice *: Quindi da «dul, amel ec. » avremo «dulo, amelo ec.» cioè dolciastro, amarastro ec.  35r. Ecco di seguito le Espresioni di Aumento massimo, massimo Decremento, e Deterioramento per le Qualità «prudal, dul, amel» cioè « pru-dente, dolce, amaro "—Si avverta, che il mas simo Decremento d'una Qualità non dev'essere e non è infatti, che l'Aumento massimo della stessa  Qualità presa in senso opposto.  prudente ec.  prudentissimo ec. prudalg  il più prudente ec.  prudentastro ec.  prudal  dul  amel    dulg  amelg  prudaln  duln  ameln  prudalos  dul 3s          amelss  imprudente ec.  aprudal  imprudentissimo ec.  aprudalg  il più imprudente ec. aprudaln  imprudentastro. ec.  aprudalas  adul  adulg  aduln  adul 3s  camel  aumelg  cameln  camelss  PUNTO XIV.®  Fissare la Teoria per le Variazioni nelle Qualità  352. Le Qualità sono suscettibili di moltissime  Variazioni (132) Quindi è impossibile stabilire per tali Variazioni dei Segni generali, dovendo ciascuna essere in ogn'incontro espressa dalla sua Voce particolare - Quindi per le Variazioni fissiamo questa semplicissima Regola generale, cioẻ che « Le Voci esprimenti Variazione debbono sempre immediatamente precedere la Voce della Qualità variato ».  PUNTO XV.°  Fissare i Segni per le varie Voci verbali del Modo Generico  353. La Radice verbale aumentata dell'a caratteristico (321) esprime al Modo Generico determinante il Tempo presente: Cangiando l'a caratteristico in e, avremo il passato Determinante; cangiandolo in z, avremo il Determinante futuro; e cangiandolo in e avremo l'espressione pel Modo  Generico accompagnante.Quindi «ema, exriva, abstra, parla, vula» significando «amare, scrivere, astrarre, parlare,  volere », si avrà :  amare ec. ema, extiva, abstra, parla, vula  aver-amato ec.  eme, exrive, abstre, parle, vle  esser-per-amare ec, emi, exrevi, abstri, parte, vule  amando ec.  emu, exrevi, abstru, parles, viale  PUNTO XVI.°  Fissare le determinanti Voci di Tempo, e un Segno per le sue ESTESE Espressioni  354. Richiamando il già premesso (313); mi li-  mito a fissare le seguenti Espressioni, come piu essenziali per il Tempo; benché non tutte gli appartengano direttamente ed esclusivamente:  oggi  jeri  355. Da queste si formano secondo il bisogno altre molte Espressioni composte, che per altro sarà bene scrivere separatamente: Come  prima d'oggi va jur | poco prima fu va  prima di jeri  va jer | molto prima fi va  prima di domani va jor | appena prima do vàdopo d'oggi  vi jur l poco dopo  fu Ur  dopo di jeri  ขะ jer  molto dopo  fo vi.  dopo di domani  U jar  | appena dopo do vi  mezz' oggi  та зит  mezzo jeri  ma jer  mezzo domani ma jar  ес.  ес.  ес.  356. Se le Espressioni va e vi sono accompagnate da Nome di Oggetto, come « prima di Gior-no, dopo la Scuola ec.», questo Nome è sempre nella Situazione di semplice nominante (332):  Quindi si tradurrà «va a juro, vi 1 exolo ec. ».  L'espressione ma (mezzo) si usa non solo pel Tempo, ma ognivolta che si esprime la metà d'una Cosa qualunque; avertendo, che il Nome di Oggetto è puramente nominante, e che non deve avere Segno di Numero generico, perché inteso di sua natura: Quindi « mezza Casa, mezzo giardino, ec. » si dirà «ma mesoo, ma jardeo, ec. ». Il Segno per le estese Espressioni (143) di Tempo passato sarà l'Orale y aggiunto al Nome di Oggetto esprimente Tempo: Quindi « un ora fà, due giorni Pa, tré settimane la, ec. » si tradurranno «na uroy, vu juroy, tre semenoy, ec.». Le estese Espressioni di Tempo futuro essendo il preciso Opposto di quelle di Tempo pas-sato, si formeranno con quelle di Tempo passato (358) preponendo alla Voce di Oggetto il segno di Opposto (297). Quindi « da qui ad un ora,     da qui a due giorni, da qui a trè settimane, ec. » si tradurranno «no duroy, uu ájuray, tre âse  menoy, ес. ».  PUNTO  XVII.®  Fissare i Segni pel generico Aumento e Decremento in tutte le Cose  360. Per esprimere in un Oggetto Qualità o  'Azione qualunque (‹48) il generico Aumento, aggiugniamo alla Parola l'Orale d; e per esprimerne il generico Decremento, aggiugniamo p:  Quindi abbiamo        Aumento Decremento  Casa, ec.  Libro, ec.  Cavallo, ec.  mesoo  livro  cevalo  mesood  livrod  cevalod  mesoop  livrop  cevalop  dolce, ec.  • amaro, ec.  virtuoso, ec. vertuul  dul  amel  duld  ameld  vertuuld  dulp  amelp  vertuulp  fuggire, ec. fuya dormire, ec. dorma parlare, ec. parla    furad  dormad  parlad  fugap  dormap  parlap   Fissare la Teoria per le Azioni e Qualità  modificate  361. Le Modificazioni che possono subire le Azioni e le Qualità, sono pressoché infinite, e tutte radicalmente diverse trà loro. Quindi tutte debbono essere in ogni circostanza espresse dalla Voce loro particolare. Quindi non possiamo per esse fissare altra Legge, che quella già stabilita per le Voci di Variazione (352); cioé che « Le Voci esprimenti Modificazione debbono sempre immediatamente precedere la Voce di Azione o  Qualità modificata ».  PUNTO XIX.  Fissare i Segni di Confronto  36z. Nella nostra Lingua to, 216, 20 significano  — to tanto — zu più — vo meno -  Ciò posto, per esprimere l' Eguaglianza o  Differenza risulrante da qualunque Confronto, alla Voce di Confronto cioè alla Voce esprimente l'Azione o Qualità per cui si fa il Confronto, aggiugniamo la lettera iniziale d'una delle tré fissate monosillabe to, zu, vo, secondo la natura e diversità del Confronto medesimo.  363. Queste Lettere iniziali aggiunte a qualunque Voce di Confronto significano precisamente  - E al pari di - z più di - a meno di -Quindi il Nome dell'Oggetto seguente ciot. del secondo Oggetto confrontato (153), dovrà semplicemente essere nella situazione di nominante (330, 832). Fissando che correva nella nostra Lingua si dice be xurrà, e che saggio si dice sajel, avremo dunque:  Egli è saggio al pari di loro (essi)  Egli e saggio più di loro  Egli è saggio meno di loro  Le ba sajelt lus  La ba sajelz les  Le ba sajelo lu  Paolo correva al pari di me  Paolo correva più di me  Paolo correva meno di me  Pol be xurrèt mi  Pol be xurraz mi  Pol be xurràs m  PUNTO XX.°  Fissare i Segni caratteristici per ciascun Genere di Cose Derivate  Verbi. Queste Derivazioni si anno, tanto dalle Voci radicali come dalle Parole già derivate; ed ecco il modo di esprimerle, qualunque ne sia la provenienza.  Alla Voce, sia radicale sia derivata, da cui abbiamo Derivazione  I.° Per esprimere Oggetto-astratio derivato, si aggiugne l'Orale s:  Il.° Per esprimere Qualità derivata, si ag-giugne il Guttarale lungo $:IlI.° Per esprimere Modificazione, si aggiu-  gne l'Orale m:  IV.° Per esprimere Verbo derivato, si aggiu-gne l'Orale b, aumentandolo dell'a caratteristico (321) onde formare il presente del Modo Ge-merico determinante (353) — Quindi il b nell' ultima sillaba d' una  Voce qualunque di Azione  indica costantemente, che la Voce è derivata. Ecco perché nelle Radici di Azione abbiamo soppresso il b finale (324) - Avremo dunque  AVVERTENZA  Sulle Voci di Modificazione, e sugli Orali finali  365. Da ogni Voce di Qualità sia radicale sia derivata, possiamo avere una Voce di Modificazione (164, 188); e le Modificazioni si esprimono sempre coll'aggiugnere alla Voce un m (364).Ora le Qualità possono subire un Massimo  Aumento o Decremento assoluto (124, 127), per esprimere il quale aggiugniamo alla Voce ,quali-tativa un g (347, 348); ed é facile intendere, che le Qualità anche giunte al lora Aumento o  Decremento Massimo assoluto, pussono essere modificanti - Dunque.per esprimere la Modificazione proveniente da Voce Qualitativa aumentata o diminuita al suo Massimo assoluto, non dovremo che aggiugnere il generico Segno m alla Voce  Qualitativa di Massimo assoluto Aumento o Decremento - Quindi avremo :  dolcissimo  dulg  amabilissimo emig  amarissimo  amelg  paternissimo perotg  doleissimamente  dulgm  amabilissimamente emigm  amarissimamente  amelgm  paternissimamente peroigm  366. Nelle nostre Parole Derivate di qualunque specie, si trovano spesso varj suoni Orali insieme uniti alla fine della Parola. Io veramente & pro-curato, che le combinazioni generiche di questi Suoni Orali finali riescissero facili a pronunziarsi.  Siccome peró la Pronuncia di questi accumulati  Suoni finali potrebbe a qualcuno riuscire men fa-cile, stabiliamo che «Nella Pronunzia quando si voglia, è permesso introdurre frà l' ultimo e penultimo Suono Orale un piccolissimo Suono Gut-turale, simile al Suono da noi chiamato cessante (37, IL.°).•Per le Derivazioni da Radice di Oggetto  Determinato  Dalle Radici di Oggetto deriva generalmente una Voce di Qualità (‹62), che si esprime coll'aggiugnere alla Voce radicale il Gutturale lungo i (364). Questa Derivazione qualitativa esigge una particolare avvertenza per le Radici di 0g-getto Determinato, stanteché desse non prendono l' o finale caratteristico (316). Abbiamo già fissato (317), che le Derivazioni da Radice di Oggetto Determinato, in iscritto debbono avere la lettera iniziale majusco-la - Inoltre, se la Radice di Oggetto Determinato finisce in Gutturale lungo o in Orale, per la Derivazione di Qualità le aggiugniamo l'i, secondo la Regola generale (364). Ma se la Radice di Oggetto Determinato finisce con Gutturale breve, allora per la Derivazione di Qualità questo Suono breve finale si cangia in i caratteristico di Qualità Derivata. Quindi da Part Parigi avremo Pari parigino  da Vin  Vienna avremo Vint viennese  da Rome o Roma,  avremo  Romt romano  da Itale o Italia  avremo Itali italiano.Fissare la Teoria per distinguere le Prime  Derivazioni dalle Seconde  36g. Nella nostra Lingua le ultime lettere delle Parole anno sempre il loro significato o valore particolare (386); ad eccezione delle poche Voci che formano come la Base grammaticale e che si apprendono molto facilmente coll' uso - Quindi, conoscendo il limite finale di ciascuna Radice, per vedere se la Voce derivata é di prima o se-  gnersi alla Radice. Se la Radice trovasi aumentata d'una Lettera sola, la Voce é di prima Deriva-zione; e se trovasi aumentata di più Lettere, la Voce è di secondo Derivazione. Si richiami (181) che diciamo di Seconda Derivazione, tutte le Voci derivanti da Voce già derivata; sia questa di prima o seconda Derivazione essa stessa.  Si avverta, che le prime Derivazioni da Radice Verbale, ad eccezione dell' Oggetto-astratto, non prendono Aumento ma cambiamento finale; come abbiamo già veduto (353), e come vedremo  nel seguenteFissare i Segni per le trè speciali Derivazioni  dalle Voci di Azione  370. Dalle Voci di Azione oltre una Qualità ed un Oggetto-astratto possiamo avere tré speciali  Derivazioni, cioé Voce-attiva, Voce-passiva, e  comprensione (te Quene ieri ni spec, si  marcano nella nostra Lingua, cangiando l'a caratteristico della Voce Verbale (321)  per la Voce-attiva, nel Gutturale lungo à per la Voce-passiva, nel Gutturale lungo è per la Quulità, nel Gutturale lungo i per l'Oggetto-attore, nel Gutturale lungo o  Rapporto all'Oggetto-astratto, per la Regola generale già stabilita (364) si aggiugne l'Orale s alla Voce Verbale - Quindi « xultiva, ema, bles-sa, dulba» significando «coltivare, amare, ferire,  dolcificare», avremo  coltivare ec.      xultiva ema blessa dulba    coltivante ec.  xultivà emà    blessd  dulbà  coltivato ec.  xultivè emè    blesse  dulbè  coltivabile ec.  xultiv emi    blessi  dulbi  coltivatore ec.    xultivó emò blessò    dulbò  coltivazione ec.      xultivas emas blessas dulbas.  Fissare la Teoria per esprimere i Verbi  378. I Verbi da noi si esprimono in una sola Parola soltanto al Modo Generico (‹36). Negli altri Modi li esprimiamo sempre con due Voci, una di Giudizio l'altra di Azione (137). La Voce di Azione poi sarà attiva o passiva (370), secondoché è attivo o passivo (170, 171) l'Oggerto  Cardinale; avvertendo che nella nostra Lingua l'Oggetto Cardinale deve sempre accompagnare (303)  la Voce di Giudizio - Quindi avremo :  io amo  ma ba emà | sono amato mi ba emè  tu ami  la ba emà | sei amato  tz ba emè  egli ama  le ba emà | è amato la ba emè  noi amiamo mu ba emà | siamo amati mu ba emè  voi amate  tu ba emà | siete amati tu bo emè  essi amano. Lu ba emà | sono amati lu ba emè  Lo stesso dicasi di tutti gli altri Modi e Tem-pi, pei quali furono già fissate le occorrenti Voci di Giudizio (304 e seg.); facendo solo attenzione, che «amo, amava, amai ec.» equivale a « sono amante, era amante, fui amante, ec.».372. Abbiam detto (371), che l'Oggetto Cardinale deve sempre accompagnare la Voce di Giu-dizio. Questo però non toglie, che possano darsi di seguito più Giudizj con un sol Oggetto Cardi-nale, espresso una volta sola: Come «Voi legge-  • te, leggeste, e leggerete »; oppure « Voi amate lo studio, abborrite l'ozio, seguite la virtù, ec.».  Ciò premesso, l'indole e l'intrinseca natura della nostra Lingua ci guida naturalmente alle due seguenti Osservazioni.  I.° Quando si abbiano di seguito più Giudizj di Azioni trà loro diverse espressi allo stesso Modo e al Tempo medesimo, se si riferiscono ad un solo Oggetto Cardinale, basta esprimere la  Voce di Giudizio e quindi anche l'Oggetto Cardinale una volta sola: Cosi «io scrivo, leggo, chiamo, voglio ec.» si tradurranno «mi ba exri-  và, lisà, appellà, vulà, ec. ».  Il.° Avendosi di seguito più Giudizj della stessa Azione espressi allo stesso Modo ma in Tempi diversi, quando si riferiscano ad un solo Oggetto Cardinale, basta esprimere la Voce di Azione una volta sola, facendola precedere da tutte le occorrenti Voci di Giudizio: Quindi « tu ami, amavi, amasti, avevi-amato, amerai ec. » si tradurranno «t ba, be, bi, bo, bu emà, ec.».  Potrebbero farsi molte consimili Osservazionianche relativamente ad altre Parti Grammaticali; ma la prattica Circostanza, il Buon-senso e l'A-  nalogia sapranno suggerirle ad ognuno.  PUNTO XXIV.®  Fissare i Segni per le trè Numeriche  Derivazioni speciali  Dalle Radici Numeriche abbiamo Derivazioni di Oggetto-astratto (177), come « unità, ambo, terno, decina ec. » e Derivazioni di Qua lita, come « primo, secondo, decimo ec.» (176) formanti i così detti Numeri ordinali. Queste due generiche Derivazioni da noi si esprimono colla Regola generale già stabilita (364); avvertendo, che ultimo non potendo derivare da Voce nume-rica, sarà da noi espresso con derni dal francese dernier. Inoltre dalle Radici di Numero abbiamo tré Derivazioni speciali (177), cioè Quantità mul-tiple, Parti aliquote, e Numeri di costante ripe-cizione; e per esse fissiamo il Segno caratteristico, come siegue : I.° Per esprimere le Quantità multiple aggiu-gniamo alle Radici di Numero (334) l' Orale x - Quindi «doppio, triplo, decuplo ec. » si dirà «zux,  втех, пачех, ес. ».  Il.° Le Parti aliquote sono il preciso Opposto dei Multipli (‹78): Quindi le esprimeremo colle Voci dei Multipli, preponendo loro il Segnodi Opposto (297) - Quindi « sudduplo; suttriplo;  suddecuplo ec.» si dirà «avux, atrex', anazex, ec.».  III.° Pei Numeri di costante ripetizione ag-giugniamo alle Radici numeriche un f: Quindi «a uno a uno, a due a due, a dieci a dieci ec. »  si dirà «naf, vuf, nazef, ec. ».  375. Richiamando le Voci radicali numeriche già fissate (334, e seg.), ecco il Quadro comprendente ogni Specie di Numeriche prime Deri-vazioni. Questo Quadro può, come tanti altri, essere proseguito a piacimento; e colla massima facilità può ciascuno utilmente continuarlo da se.  Radici Unità    primo  doppio  sudduplo  a uno a uno    ec.  ес.  ec.  ec.  ес.    nas  nat    ...  naf  บน  vUS  vut  VUX  avux  ขน  tre  tres  tret  trex  ätrex  tref  fe  fes  fer  fex  afex  fef    fis  fit  fix  afix  fif    2 es  os et  Вех  axex  sef  • .  Ice.  las  lai  lax  alax  laf    tos  toi  tOX  atox  tof    nos.  not  ПОХ  anox  nof  AVVERTENZA  Sul distinguere le Voci Radicali dalle Derivate  376. Le Radici per la nostra Lingua prendendosi dalla Lingua Francese, é di molta importanzail sapere ben distinguere nella Lingua Francese medesima le Voci radicali da quelle che sono derivate; e su ciò non di rado sorgeranno pratti-camente dei dubbj e delle difficoltà. Il fissare tutte le Voci che debbono considerarsi Radicali, spetta ad un Accademia che si occupasse della Formazione del Dizionario; steso il quale, ogni diff-  coltà è svanita.  Intanto per facilitare questa necessaria Distinzione richiamero (99), che le Voci Radicali debbono esprimere Cose esistenti sia in Natura sia in Immaginazione; laddove le Voci derivate esprimono Cose, che anno la loro base su qualche Idea radicale - Quindi «Virtù, Bellezza, Deformità ec.» non sono Voci radicali, perché tali  Oggetti non esistono né in Natura né in Immagi-nazione; ossia sono Voci Derivate, perché la loro espressione si londa sulle Idee Radicali «virtuoso, bello, deforme ec.», esistendo in Natura degli Esseri belli, virtuosi, deformi. Parimenti sono Voci radicali « Marte, Venere, Apollo, Fenice, Elicona ec. »; perché esprimono Oggetti, i quali anno reale esistenza nella nostra Immaginazione.  Nella nostra Lingua poi le Voci Radicali si distinguono dalle Derivate pei Segni caratteristici, che abbiamo finora fissato per ciascun Genere di Cose tanto derivate che radicali.377. La Teoria delle Derivazioni e la semplice maniera di esprimerle, formano la Parte più bella più facile più feconda e più matematica della nostra Lingua. Infatti data una Voce Radicale, possiamo secondo il bisogno formarne all'istante moltissime brevi Parole, tutte diverse e distinte frà loro; Parole, a ciascuna delle quali è attaccata la sua distintissima Idea conveniente; Idee e Parole, la massima parte delle quali nelle Lingue usate non esiste. Parimenti data una Voce derivata qualunque, analizando noi possiamo con eguale facilità riportarla alla sua Radice o Voce primitiva.  Stante la regolarità e costanza delle Leggi finora fissate per le varie Derivazioni, il Dizionario della Lingua Universale non dovrebbe contenere, che le poche Voci Stabili (313) e le semplici Radici Variabili (311). Quindi questo Dizionario si ridurrebbe ad un piccolissimo Volume.  Siccome dalle Voci Variabili si à generalmente una Derivazione di Qualità, e dalle Voci di Qualità si può generalmente avere una Derivazione verbale; possiamo dire, che da ciascuna Voce variabile può aversi qualche Voce verbale.  Quindi molto interessa conoscer bene tutte le De-rivazioni, che si possono avere dalle Voci verbali in genere - Eccone il Quadro; avvertendo, che le qui usate barbare Voci italiane si pongono soltanto per richiamare possibilmente la forza ed il valore di ciascuna Derivazione.emibi  abbiamo •  amabilizabilmente emibim  amabilizabilità emilis.  -  La penultima Sillaba diventa breve necessariamente, ognivolta che sia lunga l'ul-tima: Vi & peró lasciato so-  -  pra l'Accento, onde rilevarne più facilmente la Derivazione.  amatorio  emot  amatoriamente emöim |Fissare il Distintivo per le Cose determinanti-oggetto  378. Ogni Sostantivo determinante-oggetto deve essere preceduto dal Segno fissato per questa Si-tuazione, vale a dire dalla Voce de, oppure de o di secondo i varj casi già analizati (330, 330).  Quindi  «Il Principe di Napoli» si tradurrà « z prenso de Naple»: « La Virtù del Principe e dei  Soldati ec.» si tradurrà «a vertuuls di prenso e du soldao ec. ».  Ogni Qualitativo determinante oggetto deve sempre immediatamente precedere il Nome dell'Oggetto medesimo. Quindi « Il Principe virtuoso e giusto " si tradurrà «z vertuul e justel prenso ». Ogni Voce ossia Giudizio di Azione de-terminante-oggetto dev'essere preceduto dalla Voce xe, corrispondente alle italiane quale e quali — Quindi «Il Principe, il quale ama i Popoli » si tradurrà «‹ prenso, xe ba emà su puplo": E «I Principi, i quali amano il Popolo» si tradurrà «« prenso, xe ba emà se puplo». PUNTO XXVI.° Fissare il Distincivo per le Cose determinanti-azione  38r. Il Sostantivo determinante-azione dev'essere preceduto dal Segno fissato per tale Situazione,vale a dire dalla Vuce se oppure si o su secondo la varietà delle circostanze (330, 332). Quindi « tu ami la virtù, essi cercavano me, voi troverete i libri» si tradurranno «te ba emà se vertuuls, lu be cerià se me, iu bu truvà su lero ».  382. Il Distintivo del Giudizio determinante-azinne consiste, o nell'essere questo Giudizio espresso al Modo Generico determinante (353), o nell'essere preceduto dalla Voce xe, corrispondente all'italiana che.  Quando il Giudizio determinante-azione debba esprimersi in Modo Generico, e quando debba essere preceduto dal xe; essendo preceduto dal xe, quando porsi debba in Modo Indicativo, e quando in Modo Indefinito; finalmente in qual Tempo debba essere espresso a norma delle varie circostanze, fù già dettagliatamente analizato ed esposto (204 e seg.).  PUNTO XXVII.®  Fissare i Pronomi Determinanti oggetto  383. I Pronomi determinanti-oggetto (215), re-Jativamente all'Oggetto che determinano, nella nostra Lingua sono invariabili, cioè servono egualmente a tutti i Numeri e Sessi; e relativamente all'Oggello che richiamano, quelli di Oggerto  per ciascun Sesso.  384. Quando l'Oggetto determinante sia quello stesso ch'è già Cardine di Giudizio, non dovremo che indicare questa particolar circostanza; e ciò col mezzo del Segno generico só, già fissato pel  Pronome rifesso (302).  385 Ecco per la nostra Lingua l'Espressione di ciascun Pronome determinante-oggetto; Espressioni provenienti dalle Voci già fissate (298, 30s):  mio, mia, miei, mie me | nostro, nostra ec. mue  tuo ec.  te  I vostro ec.  tue  suo ec. (maschile) le | loro ec. (masc.) lue suo ec. (femminile) éle | loro ec. (femm.) elue suo ec. (neutro) ole | loro ec. (neut.) olue  Pronome riflesso  ... riflesso    PUNTO XXVIII.®  Fissare i Pronomi Indicanti-oggetto  386. Stante l' analogia di Espressione, noi prendiamo questi Pronomi dalle Voci radicali sa, sa, 20 (345), aggiugnendo loro r: Quindi avremo per tutti i Numeri e Sessi  questo, questa es. sar — codesto ec. sar -  quello ec. zar.  ciò si traduce sempre sar: ciò che si traduce  sxe, cioé sar xe.Quindi si dirà:  questo giardino  & sar jardeo  questi giardini  u sar jardeo  codesto Popolo  1 2 ar puplo  codesti Popoli  «s os ar puplo  quella Città  ‹ zar vilo  quelle Città  u zar milo  ciò fù detto  sar bi disé  da ciò vedete  ge sar iu ba vogà  ciò che dite  sxe tri ba disc  ciò che farai  sxe to bu fesa  medita ció che leggi — bar ti medità se sxo il  ес. ес. ес.  ba hisa, ec.  PUNTO XXIX.®  Fissare i Pronomi Generici speciali  387. Dei due Pronomi generici cardinali (219 e seg.) l'uno cioè il si italiano (francese on) si traduce ome; l'altro cioè egli (francese il) si traduce sar, significante ciò (386) - Quindi avremo:  • :  388. Dei due Pronomi generici non cardina-li (223 e seg.) l' uno cioè ne italiano (francese en) si traduce be, se richiama un Oggetto relati-vato; e se richiama un Oggetto cominciante, si traduce ye: L'altro cioè il vi o ci italiano (fran-cese y) si traduce le, se richiama Oggetto termi-nante; e se richiama Oggetto contenente, si traduce r. Quindi avremo quattro Pronomi generici non cardinali, come dagli esempi seguenti:  Essi ne vollero  le be ye vulà  Prendetene  bar tu ye prend  Tu ne troverai  tz bus le truvà  Vi andrò  ma bu be allà  Vi erano entrati lu bo yu antrà  Egli non v'è  le aba y età.  Tu vai a Roma, ed io ne vengo - te ba allà  pe Roma, e mi ba y e venà.  PUNTO XXX.°  Fissare la Teoria per le Azioni, MOTITO di Moto  389. Quando non si esprime il Lungo termine di Moto, l'Azione motivo di Moto si pone al Modo Generico determinante (353) senza farla precedere da alcuna Voce o Segno particolare; e precisamente come in Francese - Quindi avremo:  Andarono a scrivere  Ella verrà a trovarvi.  Vado a chiamare ec.  lu bi allà exriva  èl bi venà se tu truva mi ba allà appella ec.390. Esprimendosi il Luogo termine di Moto, l'Azione motivo di Moto si porrà egualmente al Modo Generico determinante; ma si farà precedere dalla Voce pur, che nella nostra Lingua significa motivo, cagione ec., ciot significa per, onde, affine di, ec. — Quindi avremo :  Vado in Città a prendere ec, ma bos alla pr vilo  pur prena ec.  Venite in Italia a vedere ec. bar tu venà pe  Itale pur voya ec.  Andremo al Teatro a sentire ec. mu bu allà pi  teatro pur exula ec..  PUNTO XXXI.®  Fissare la Teoria per le Voci di più Significati  39r. Nella Lingua Francese come in ogni altra vi sono delle Parole, che anno più Significati.  Quindi nel fissare le Radici per la nostra Lingua è necessario far attenzione, che ogni Parola abbia un solo Valore; o almeno é necessario precisare i varj Valori d'una stessa Parola, assegnando la prattica circostanza in cui debba usarsi ciascuno - Questa Materia però è riservata all'Accademia, che si occupasse della Formazione del Dizionario.  Io quindi mi limito ad avvertire, che avendo noi fissato le occorrenti Voci di Giudizio (304 e seg.), eta dal francese étant significherà unicamente ed esclusivamente stare (latino munere);significato, che la usata Voce di Giudizio suol già avere presso tutte le Lingue - Quindi si dirà:  Egli è in Roma  Essi erano in Città  Tu fosti vicino a lui  Sarò in Teatro  l ba età ce Rome lus be età ci vilo ti bi età fur li mi bi età ci teatro    PUNTO XXXII.®  Fissare i Segni per le Espressioni Sentimentali •  392. E impossibile indicare convenientemente in iscritto le improvise irresistibili Espressioni del  Sentimento. Pure, perchè la nostra Lingua non sia del tutto mancante di tali Espressioni, noi fissiamo per esse i cinque Segni seguenti ah, eh, ih, oh, uh.  Il Segno h non à alcun suono (282), e serve solo ad accennare un sentimentale prolungamento di suono gutturale.  Ecco il Significato dei cinque Segni fissati, i quali debbono sempre essere seguiti dal cosi detto.  Punto ammirativo - Siccome a ciascun Segno corrisponde più d'un valore, sarà bene avvertire che il Senso ne farà praticamente conoscere, quale dobbiamo applicarvi in ogni particolar circostanza.  ah!  eh!  ih!  oh!  uh!  dolore | stupore  I gioja  | desiderio | sdegno  sorpresa | ammirazione | piacere | augurio  / disprezzo  terrore  | disapprovazione  I orroreFissare le Regole di Sintassi e di Ortografia  La Sintassi della nostra Lingua é la Sintassi ragionata (232); avvertendo solo, che dove si arresta la Voce, abbiasi possibilmente Parola con Suono Gutturale finale. Rapporto all'Ortografia per ciò che non fü da noi particolarmente fissato, seguiremo l'Orto-grafia Francese; coll' avvertenza, che la nostra Lingua esclude assolutamente l' Apostrofe. AVVERTENZA Sui Segni Finali  3g5. Nel percorrere la prima volta le Teorie qui fissate per la nostra Lingua Universale, può sembrare che i Segni Finali destinati alla Distinzione delle Cose, sieno pel loro numero imbarazzanti di troppo. Ed infatti le moltiplici Derivazioni e Trasformazioni da noi esposte regolarmente e per esteso, producono in Chi legge un sentimento poco vantaggioso - Quindi per togliere quella contraria prevenzione che può aver prodotto una specie d'illusoria apparenza, richiamo qui di seguito tutti i Segni Finali; avvertendo, che si riducono a soli ventiquattro, e che ciascuno di essi à un solo valore e sempre lo stesso.Segni Finali  Significazione    Radice di Oggetto    Radice di Qualità    Radice di Rapporto    presente )  e  passato ) Modo Generico Deter-•    futuro ) minante    Modo Generico Accompagnante  à  Voce-attiva    Voce-passiva    Oggetto-attore    Derivazione Qualitativa  тт  Modificazione    Oggetto-astratto    Verbo derivato    Massimo Aumento assoluto    Massimo Aumento relativo    Deterioramento  d  Aumento generico    Decremento generico    Confronto di Eguaglianza    Confronto in più    Confronto in meno  x .  Quantità Multiple    Numeri di costante Ripetizione  Si dirà forse, che questi Segni riescono imba razzanti e diffcili, quando trovansi uniti  sui alla fine di in anso Prodnsi uni di se  ta, che il loro valore è costante: Quindi la stessa unione di Segni Finali presenta sempre la medesima espressione: Quindi tali Unioni essendo limitatissime in numero, possono specialmente e dettagliatamente fissarsi. Cosi per esempio, stabilito una volta che gm corrisponde all' issimamente degli Italiani, e sapendo che «dul, emì, peroi» significano « dolce, amabile, paterno», qual Italiano non intenderà subito la furza delle Espressioni dulgm, emigm, peroigm, e di tutte le altre possibili che terminassero in gm? - Questa osservazione si applichi a qualunque altra Unione di  Segni Finali.  Altronde è rarissimo il caso, che abbiansi praticamente delle Parole con più di trè Segni Finali; e le Derivazioni verbali da noi esposte (377), sono più di lusso metodico che di uso reale; ad  eccezione delle  eccezione delle prime undici, le quali per altro sono della massima semplicità.3g6: Sarebbe molto facile assegnare la sua Espressione vocale a ciascuna delle cosi dette Congiunzioni Preposizioni Avverbj ec., insomma alle Voci Stabili che s'incontrano più frequentemente nel Discorso: Ma tale Operazione è riservata ad un Accademica Società - Mi sarebbe parimenti stato assai facile scrivere o tradurre qualche Squarcio nella mia Lingua Universale, applicandovi le Regole più essenziali esposte finora. Ma ogni Lingua dev'essere scritta e specialmente stampata coi suoi Caratteri particolari; e questi Caratteri ancora non si anno pel nuovo Linguaggio - Quindi conchiuderò questo mio Travaglio, indicando quanto facilmente potrebbe in Europa eseguirsi il presentato Piano di Lingua Filosofico-Universale.PROGETTO DI ESECUZIONE  • •  1. CoL Favore d'un MecENATE filosofo generoso e potente dovrebbe in qualche distinta Città d' Europa formarsi una Società di circa dodici Scien-  ziati.  II. Questa Società dovrebbe occuparsi della Formazione del Dizionario e Grammatica; e dovrebbe anche produrre un piccolo Volume scritto nel nuovo Linguaggio.  III. Questi Dizionario Grammatica e Volumetto in Lingua Nuova dovrebbero comunicarsi alle varie Nazioni Europee; perchè ciascuna col mezzo delle sue giù esistenti scieritifiche Accademie potesse farvi le sue ragionate Osservazioni.  IV. In seguito dovrebbe radunarsi un Accademia  Generale, composta di circa quaranta scienziati In-  dividui, scelti dalle diverse Nazioni Europee in ragione di uno per ogni quattro Millioni circa di  Popolazione.  V. Nell' Accademia Generale dovrebbero nuovamente ponderarsi le Produzioni della prima Società (II); e gli Accademici presenterebbero le Osservazioni della propria Nazione (III).  VI. Col Voto dell' Accademia Generale stabilito quindi e prodotto il Dizionario la Grammatica e qualche Volume in Lingua Universale, queste Opereformerebbero il Codice e il Testo permanente della  Nuova Lingua.  VII. Durante l' Accademia Generale, gli Accademici di ciascuna Nazione seguendo la Serie delle Decisioni Generali, potrebbero formare e Grammatica e Dizionario per la propria Nazione.  VIII. Il Mezzo di Comunicazione per l' Accademia Generale sarebbe la Lingua Francese. Quindi anche la prima Società (I) dovrebbe scriver tutto in Francese.  IX. Le Spese occorrenti ripartirsi dovrebbero sui varj Governi Europei in ragion di Popolazione — Ogni Governo poi potrebbe facilmente indenizarsi del sostenuto Dispendio, facendosi per qualche tempo privativa la Stampa delle Opere in Lingua Uni-versale.  X. In meno di quattro o cinque Anni (a) sarebbe così regolarmente sistemata in Europa una Lingua Filosofico-Universale; e ognuno comprende con quanta facilità questa Lingua sarebbe poscia adottata dalle Persone Colte di tutti gli altri civilizati Paesi del  Globo.  (a) Mi riservo a far conoscere in seguito il Modo, con cui debbono studiarsi le Lingue; ed intanto asserisco che avendosi Grammatica e Dizionario per questa Lingua Univer-sale, quando la si studiasse col nuovo mio Metodo, può chiunque in trè Mesi abilitarsi anche a scriverla perfettamente; benchè non abbia alcuna cognizione di Lingua Francese.INDICE  DICHTARAZIONE DELL'AUTORE  DISCORSO PaRLIMINARE  -  ANALISI DEL LINGUAGGIO  Introduzione  -  pag.  5  "7.  -  » 15  PARTE PRIMA    DELLE VOCI, ELEMENTI DEL DISCORSO      " 17  Voci Radicali      -  » 18  Voci di Cosa      -  -  " 19  Oggetti -      -  ivi  Qualità -  -    -  20  Azioni -  -  -    21  Voci di Giudizio    -    .  » 23  Verbi      -  -  24  Voci di Rapporto      -  -  25  Luogo -  -    -  ivi  Tempo  -    -  -  » 26  Tempo        »  28  Tempo  -    -  -  ivi  Numero -  -  -  -  -  -  » 29  Ordine      -  -  30  Sesso  -  -  -  3I  Modificazione    -  -  32  Variazione.      -  33    Aumento e Decremento      ivi  Confronto  ..Eguaglianza -    - pag. 35  Differenza  -  - n 36  Somiglianza -  -  » 37  Identità  -  -  » ivi  Approssimazione  -  -  -  -  » 38  Dichiurazione -  -  » ivi  Connessione-  -  -  » 39  Esclusione  » ivi  Sulle Voci di Rapporto  » 40  Voci Derivate  -  -  » ivi  Derivazioni dalle Radici di Cosa -  » 41  Dalle Radici di Oggetto  -  » ivi  Avvertenza -  -  -  » 42  Dalle Radici di Qualità  -  -  » ivi  Voce di Modificazione  » 43  Sostantivo-astraito di Qualità -  » ivi  Verbo derivato  -  » 44  Dalle Radici di Azione  -  » 45  Voci Attive e Passive  -  » ivi  Dalle Radici di Azione Determinato » 47  Voce Attiva -  - », ivi  Sostantivo-astratto di Azione  » ivi  Nome di Attore -  » 48  Dalle Radici di Azione Indeterminata » ivi  Voce Passsiva  -  » 49.  Nome Qualitativo  » ivi  Avvertenza  -  » 50  Derivazioni dulla Voce Radicale di Giu-  dizio  » 51  Del l'ardine di Giudizio  -  » 52  Del Tempo  -  -  » 53  Natura del Giudizio    -  -  34  Giudizio Generico -  - - pag. 55  Generico Determinante  » 56  Generico Accompagnante  » 58  Giudizio Definito  -  " 59  Definito Indicativo  -  » 60  Indicativo Isolato  -  » ivi  Indicativo Dipendente  -  », 63  Definito Condizionato -  -  » 65  Condizionato Ineseguibile -  » 66  Condizionato Eseguibile  " 67  Giudizio Suppositivo  -  -  » 68  Giudizio Volitivo -  --  » 70  Giudizio Ottativo  -  -  -  " 72  Ottativo Ineseguibile  -  -  ” 7  Ottativo Eseguibile  -  " 74  Avvertenza -  -  » ivi  Giudizio Condizionante  -  »75  Giudizio Indefinito -  » 77  Dei Giudizj Condizionati  •» 8I  Giudizio Interrogativo  » 82  Sulla Voce di Giudizio  » 84  Derivazioni dalle Radici di Rapporto  » 85  Dalle Radici di Luogo    » 86  Dalle Radici di Tempo  » ivi  Dalle Radici di Numero  " 87  Sulle Derivazioni in genere  =  » ivi  Voci Sostituite. -  -  » 88  PARTE SECONDA •  DBLLE VOCI, PARTI DEL DISCORSO  • 89  Determinazione delle Voci  » ivi  Determinazione degli Oggetti  -  Qualitativo determinante-oggetto        pag.    Sostantivo delerminante-oggetto -          92  Verbo determinanto oggetto          94  Determinazione delle Azioni          ivi  Sostantivo determinante-azione -          95  Giudizio determinante-azione          97  Sui Giudizj determinanti-azione          98  Modo pei Giudizj determinansi-            azione          ivi  Tempo nei Giudizj determinanti-            azione          100  Della Voce Che      -    » I01  Giudizin precedente il Che          ivi  Giudizio seguente il Che          » 102  Avvertenza          » 103  Situazione degli Oggetti          » 105  Oggetto Cardinale  -        » ivi  Oggetto Nominato    -      " 106  Oggetto Determinante-oggetto          » 107  Ogretto Determinante-azione -          ivi  Oggetto Chiamato      .    ivi  Oggetto Indefinito    -      108  Oggetto Contenente  -        ivi  Oggetto Relativato  -        109  Oggetto Ricevente  -    -    IIO  Oggetin Terminante  -        ivi  Oggetto Cominciante          ivi  Sull Ordine diretto e inverso nelle Azioni          III  CONcLUSIONE -  -LINGUA FILOSOFICO-UNIVERSALE  Introduzione  - pag.  115    PARTE PRIMA •        LINGUA GENeRICA  -      -  » 117  Delle Parole  -  -  -    » 118  Delle Parole Fuggevoli -        ivi  De Suoni Gutturali -      -  " 119  Gutturali Semplici e Composti        ivi  Gutturali Brevi e Lunghi        » 120  De' Suoni Orali  -      » I21  Orali Ordinarj e Forzati        » 122  Avvertenza    -    » 123  Delle Sillabe nelle Parole -        ivi  Della Posa nelle Parole      -  » 126  Delle Parole Permanenti    -  -  » 127  Segni de' Suoni Gutturali -        » 128  Gutturali Brevi e Lunghi        » 129  Segni de' Suoni Orali    -    » ivi  Orali Ordinarj e Forzati        » 130  Orali Finali •        » ivi  Avvertenza    -    " 132  Dei Giudizj -  -  -  -  -  » 133    Delle Parti costituenti un Giudizio » 134          Dell' Esprimere l' Opposto nelle Cose » ivi          Del Segno di Numero Generico negli        Oggetti  -  .    -  » 135  Del Sesso negli Oggetti   Degli Oggetti, Cardine di Giudizio pag. 136    Dell'Uggetto Giudicante -  " ivi  Dell'Oggetto Ascoltanto -  * 137  Avvertenza  »ivi  Del Terzo Oggetto -  -  * 138  Del Pronome Riflesso  .  * 139  Sugli Oggetti, Cardine di Giudizio  • 140  De varj Tempi, ai quali possono riferirsi    i Giudizj -  -  » 141  Tempo Passato, Futuro e Presente »'1 3    Tempo Determinato e Indeterminato » ivi    Tempo Presente  » 143  Tempo Passato e Futuro -  » 144  De varj Modi, ne' quali possono for-    marsi i Giudizj  - » iviModo Generico  -  " 145  Modo Indicativo  -  -  » 146  Modo Condizionato  -  » 147  Avvertenza.  -  -  » ivi  Modo Suppositivo    » 148  Modo Volitivo -  » ivi  Modo Ottativo -  » 149  Modo Condizionante -    ivi  Modo Indefinito  » ivi  Modo Interrogativo -  » 150  Delle Voci indicanti Giudizio  Tempo  e Modo -  -  -  " 156  Dei Fonti Primitivi de' Giudizj  » 152  Degli Oggetti  -  -  » ivi  Denominazione degli Oggetti  -  » 153  Situazione digli Oggetti  " 154  Sostantivo Cardinale  Sostantivo Nominante  Avvertenza  -  Sostantivo Determinante-oggetto  Sostantivo Determinante-azione  Sostantivo Chiamante  -  Sostantivo Indefinito  -  Sostantivo Contenente -  Sostantivo Relativato  Sostantivo Ricevente  -     Sostantivo Terminante -  Sostantivo Cominciante -  -  рад: 155  ivi  " ivi  ivi 156 ivi " ivi  » 157  »  ivi  ivi  ivi  Speciali Espressioni di Numero per gli  Oggetti  -  » 158  Espressioni di Luogo per gli  Од-  getti -    ivi  Delle Qualità -  » 159  Massimo Aumento nelle Qualità  » ivi  Massimo Decremento nelle Qualità » 160  Deterioramento nelle Qualità -  » 16I  Variazione nelle Qualità  ivi  Delle Azioni  -  -  -  » 162  Verbi    » ivi  Azioni Determinate e Indetermi-  nate -  -  Determinazione del  Azioni    -  " 163  Tempo nelle  -  » 164  Cose comuni agli Oggetti Azioni e  Qualità  Generico  -  Aumento e Decremento  » 165  nelle Cose  » ivi  Cose comuni alle Azioni  Confronto nelle Azionie Qualità pag. 169    Dei Fonti Secondarj de' Giudizj  "170  Dello Cose di Prima Derivazione n 171    Derivazioni dalle Radici di Oggetto " ¿vi    Derivazioni dalle Radici di Qualità » 172    Derivazioni dalle Radici di Azione » 173    Derivazioni dalle Radici di Nunero » 175    Delle ('ose di Seconda Derivazione  » 176  Derivazioni dai derivati Nomi di Og-    getto  ivi  Derivazioni dalle Voci di Modifica-    zione  -  » 179  Derivazioni dalle derivate Voci di    Qualità  ivi  Derivazioni dai derivati Nomi di Azio-    -  -  -  ))  180  Sui Qualitativi Verbali di seconda    Derivazione  .  -  » iv  Delle Voci Indeterminate -  -  » 182  Voci Indeterminate di Oggetto  -  » 183  Voci Indeterminate di Azione  -  » 184  Modo nei Giudizj determinanti-azione » ivi    Giudizj determinanti al Modo Gene-    rico -  -  .  » 185  Giudizj determinanti al Modo Indi-    cativo o Indefinito  ivi  Tempo nei Giudizj determinanti-azione» 186    Avvertenza  -  » 187  Delle Voci Sostituite -  -  » ivi  Pronomi Determinanti-nggetto  -  " 188  Pronomi Indicarti-uggetto  " ivi  Pronomi Generici Cardinali -    Pronomi Generici non Cardinali pag. 191    Osservazioni Speciali    " 192  Verbi di Moto  -  » 193  Voci di più Significati -    -  ivi  Espressioni Sentimentali    -  ivi  Ortografia  -  » 194  Sintassi  -  -  ivi    PARTE SECONDA    LINGUA FILOSOFICA -      » 197  Parole      " ivi  Giudizj  -    -  " 198  Fonti Primitivi de Giudizj    .  -  " 200  Oggetti      -  "ivi  Qualità  -  -  -  * 201  Azioni  -      ivi  Oggetti Azioni e Qualità -      " 202  Azioni e Qualità      » ivi  Fonti Secondorj de Giudizj -      -  " ivi  Voci Indeterminate      -  » 204  Voci Sostituite    -    Osservazioni Speciali -      » 205    Epilogo delle Conseguenze per la Lingua      Filosofica -    -  » 206  PARTE TERZA  LINGUA UNITESALe  Fissaro i Segni pei Sunni Vocali - Segni Gutlurali e lom Pronunzia  Segni Orali e loro Pronunzia -  AvvertenzaFissare la Teoria per le Sillabe e Posa  nelle Parole  - - pag. 215  Fissare de Segni pel Numero Generico,  e pel Sesso  -  -  » 216  Nunero Generico  -  n ivi  Sesso  -  » ivi  Fissare il Segno per esprimere nelle Cose  [ Opposto  " 218  Fissare le Voci per gli Oggetti Giudicante Ascoltante e Terzi -  » ivi  Oggetti Giudicante e Ascoltante  ivi  Terzi Oggetti -  " 219  Fissare il Pronome Riflesso  " ivi  Fissare le Voci esprimenti Giudizio  Tempo e Modo  -  » 220  Fissare le Voci Radicali '    > 222\  Radici Variabili  " 223  Radici Stabili -  n 224  Fissare il Segno caratteristico per le  Parole Radicali  " 225  Oggetti  »ivi  Qualita  8 227  Avvertenza  -  » 228  Azioni  ))  ivi  Rapporti    " 229  Sul Segno caratteristico nelle Voci Ra-  dicali    -  » 230  Sul prendere le Voci Radicali  " 231  Fissare i Segni per le varie Situazioni  degli Oggetti  -  » 232  Sostuntivi Determinati  ivi  Situazioni dei Nomi Determinati    Sostantivi Inditerminati  -  pag. 234      Situazioni dei Nomi Indeterminati    235    Fissare le Voci Numeriche speciali    » 236    Fissare le Voci esprimenti Luogo    » 239    Fissare i Segni per l'Aunento Decremen-  to e Deterioramento nelle Qualità» 24г  Fissare la Teoria per le Variazioni        nelle Qualità  -  Fissare i Segni per le Voci Verbali al  Modo Generico    » 243  ivi    Fissare le Voci di Tempo, e un Segno        per le sue estese Espressioni » 244  Fissare i Segni pel Generico Aumento e Decremento nelle Cose -    » 246    Fissare la Teoria per le Azioni e Qualità modificate -  -    " 247    Fissare i Segni di Confronto    ivi    Fissare i Segni caratteristici per le Voci  Derivate    " 248    Sulle Voci di Modificazione, e sugli  Orali finali  -    " 249    Sulle Derivazioni da Radice di Oggetto  Determinato  -    " 25 г    Fissare la Teoria per distinguere le prime  Derivazioni dalle Seconde -    " 252    Fissare i Segri per le speciali Derivazioni dalle Voci di Azione  -  » 253    Fissare la Teoria per esprimere i Verbi » 254        Sulle Voci di Giudizio  -  -  " 255    Fissare i Segni per le Numeriche    Sul distinguere le Voci Radicali dalle      Derivate  -  рад. 257    Delle Derivazioni specialmente Ver-      bali -  » 259    Fissare il Distintivo per le Cose deter-      minanti-oggetto -  " 26г    Fissare il Distintivo per le Cose deter-      minanli-azione -  -  » ivi    Fissare i Pronomi determinanti-oggetto » 262      Fissare i Pronomi Indicanti-oggetto » 263      Fissare i Pronomi Generici Speciali » 264      Fissare la Teoria per le Azioni, motivo      di Moto •  *265    Fissare la Teoria per le Voci di più      Significati  " 266    Fissare i Segni per le Espressioni Sen-      timentali -  -  * 267    Fissare le Regole di Sintassi e di Or-      tografia  » 268    Sui Segni Finali nelle Parole -  » ivi    Avvertenza Finale -  -  » 271  Progetto di EsecuzioneOmettendone alcuni di minore entità, notiamo i soli seguenti  ERRORI  CORREZIONI  Pag.  Lin.  53 »  7  qualche  qualunque  138 »  10  Oggello,  Oggetto.  156 »9  22  Quantità !  214 »  8  Quantità.  ze, se, ce  ze, je, ce  219 n ultima  Voce, so  244 39  5  Voce so,  exriva  exria  246 %  255 %9  ¼4  livro, livrod, livrop  19  Urro, lurod, Unge  exri-  exri-  Alla pagina 26g trà i Segni Finali deve porsi anche g, segno caratteristico delle estese Espressioni di Tempo (358).   -   L'origine dell' dioma si des riportare  alla prima istituzione della Società. Poichè avendo l'Uomo nelle sue facoltà quella d'istituire un Idioma atto ad esprimer le cose, come lo prova-a. molti illustri Metafisici (*), i primi Uominii formarono un idioma, se la Società non  sorre sonza questo. Ora e molto ovvio il nei-  re, che un Idioma è assolatamente: necessario alla Società. Poichè quei che convivono insieme per poter provvedere e alla propria e alla comune felicità debbono manitestarsi scambievolmente le idee. le cognizioni gl' incommodi i bisogni ec. Ma questa comunicazione non può ortenersi che coll'Idio. ma. Dunque i primi Uomini dotati della. facoltà di formarlo, spinti dal bisogno, ammaestrati dal-Je lunghe osservazioni, imitando: specialmente i clamori naturali, istituirono un Idioma imperfetto ma sufficiente a conservare e fomentare la Società;  Idioma, ch'ebbe poi dai secoli successivi la sua bellezza la sua perfezione..  1C, Balinoci ap 5, Lie 1) de : 9 Anii a  Elus sensusque Homines hac facile possunt artificialia reddere ; si nempe observent affectus. quos indicant, nec: ea tantum. edant "impellente natura, ser consulto, ut que experiuntur ca  teris manifastent... Que signa clamoribus non articulatis, habisu vultus et gestibus continentur; atque.acsionis quam " vocant linguam contciunt.  Usu autem constat facilem expeditam secretam idea- rum communicatione hac lingua non obtineri, distantia & interpesito corpore impediri. Sensim igitur ab ea re-, cedere coguntur homines, ad eamque ferantur, que vo- = cis distinctionibus nititur..  " Hanc ut instituant, clamores naturales in primis  protrahunt. et simul jungunt, rerum etam exterharum sonos referunt et imitantur; unde voces oriuntur, qua elevatione: et depressione multum distantes aliquo: modo, gestuum et clamorum vim exprimant.. Atque ita portm distinion, comulmam, quantum pattur rocis & si duditus arganum rude: adhud et inexercitatum. 99127, L'Idioma è di due specie d'Azione e di Voce: Il primo è figlio di Natura, il secondo di Convenzione; e dalla sola Convenzione si dee ripetere tanta varietà di lingue, causa di notabili incommodi alla Società al Commercio, e sopratutto al progresso delle Scienze e dell'Arti.  128. Che se alcun mi chiedesse, come la lingua originaria essendo stata una sola à potuto tanto moltiplicarsi la varietà delle lingue, rispon-derei: Che moltiplicandosi gl' Uomini, la prima Società per procurarsi la sussistenza dovette necessariamente separarsi in più rami. Queste nuove supponibile ch'abian ureso sentieri di ri, ed a molto probabile, che non tutti gl' Individui di ciascuna Famiglia possedessero perfettamente il primo  Idioma. Inoltre avendo ogni regione Clima, Cul-tura, Prodotti particolari, ogni Famiglia avrà do-  vuto istituire delle espressioni ignote a tutte le Famiglie lontane: Onde calcolato il tutto, e avendo anche riguardo al vario inventore bizarro ingegno degli Uomini, si può dire, che se partirono dal punto d'origine quattro famiglie, dopo non molto l'idioma primitivo si sarà diramato in quattro idiomi appena più intelligibili fra loro. Applicando la stessa analisi alle secondarie diramazioni e suddiramazioni di ciascuna Famiglia, riflettendo che individui d' idioma affatto diverso avran por dovuto convivere insieme per le varianti circostanze e vicende de tempi, çome il dimostrano chiaramente le lingue ch' ora diconsi Morte, qual por-  si posa va ina, ala padigid un coso di Lingue  I20. L'Idioma di Voce è il più grande ri-trovato, l'opra più bella dell'ipgegno umano. Par-lando della Memoria vedremo il mirabile influsso che anno le parole sulle idee. Osserviamo intanto, che l'idioma di voce si distingue in Fuggevole e Permanente: 'Il primo si eseguisce colla sola pro-nunzia, il secondo collo scritto: Col Primo si comunicano le loro cognizioni quei che convivono insieme: Col Secondo sappiamo le cose avve nute ne' secoli passati: O col Primo finalmente o chi Sucondo 00 can datti due insieme sappiamo quel  САРО II.  Del Discorso e dell' Aigumentazione,  I30.  Si acerescono le cognizioni coversan-  do cogl' altri e comunicandosi scambievolmente le idee. Questa reciproca comunicazione d' idee si deve fare con Discorsi Accademici, ma chiari ordinati concisi; giacchè lo stile Asiatico non è la stile della Scienza. E' dunque necessario posseder bene la lingua, che si usa in questi discorsi accademici (*). Siccome però lo studio della lingua  (*) Per acquistar cog izion: è necessario pos edere a  fonde da liesta la orbarie del siniena de isat e Scien-  ze la Lingua Latina? Io non intendo oppormi allo studia di questa lingua, giacchè è rroppo utile alla Republica lo spiegars in lingua bolgi elementi delle Scienze debba  Quante volte succede, che Giovani anche di rari ta-  Loti Fece non prese ando staid dele sina asin?  rà, che e loro colpa se non san questa lingua. Ma non e meglio adattarsi ai bisogni altrui con vantaggio della7:35  •books.googleusercontent.com  uomo impara a sufficien-  za la sua lingua volgare; non mi arresterò punto intorno al Discorso Naturale, e invece passerò a dir qualche cosa dell' Argomentazione.  131. L'Argomentazione è un Discorso Arti-ficiale, di cui si è fatto finora tant'uso e tanta pompa ne' Circoli e nelle Scuole. Son varie le specie dell' Argomentazione; ma la principale è il Sillogismo, che si può definire = Conciso Raziocinio espresso colle parole =.  132. Il "illogismo è formato da tre Proposizioni (**) Maggiore, Minore, e Conseguenza, artificiosamente legate fra loro. Eccone un esempio:  (Minoiore) = Quel pense Spituale =  (Minore)  (Conseg.) = Dunque l'Anima è Spirituale =  133. Loke del Sillogismo così scrive (Cap.  17. 110. 4) " lo nego, che il Sillogismo ajuti  • nè punto nè poco a trovar nuove prove o a far  nuove scoperte, che è la funzione dell'animo più penosa insieme e più utile, e forse la sua più alta perfezione. Tutta l'arte dell' Sillogismo consiste nel disporre le prove, che già si san- Gioventù della Socierà dello Spirito umano, che sostenere un uso inveteraro non lodevole?  Iraliani, è omai tempo di scuotere il giogo del Pe-cantismo. Itiliani, uno sguardo alle estere illuminate Na-zioni, ed arrossiamo della nostra condotta della nostra ce-cita nel seguire troppo scrupolosamente lei traccie segnateci dai Predecessori: Rispettiamone il merito; ma siamo at-saccati meno alle loro massime alle loro opinioni. Insomo ma la regola delle nostre azioni non sia la sola Antichità, ma la Ragione •  (**) Ogni Giudizio espresso in parole dicesi Proposizione.no. Prima si conosce una verità, poi si prova „ sillogisticamente. Il Sillogismo vien sempre da-  » po la cognizione. Dunque esso è d'un uso as-  dee però trascurarsi del tutto; giacchè serve a dimostrare la verità con evidenza, ed a convincerne  alate e la finfano e ci sigi i son ussa  che un tazioni, che no in pao i Sil buon  Ri gionatore sarà sempre naturalmente un bravo Sillogistico; e poi volendo anche apprendere la formazione materiale e scolastica del Sillogismo e di quilunque altra specie di argomentazione, per-suadiamoci, che si fà più con un ora di esercizio che con dieci volumi di regole.  •134. Vi sono molte altre specie di Argo-mentazione, derivanti in fondo dal Sillogismo, come Entimema, Epicherema, Dilemma, Sorite ec;  mi astengo però dal farne parola nella persuasio-ne, che 1 miel Lettori avran glà studiato I Uma-nità. Non mi resta pertanto a parlare che dell'in-duzione e dell' Analogia considerate non come specie di argomentazione, ma come mezzi ottimi per iscoprir la verità e per accrescer le cognizioni.  135. L'Induzione è fondata sulla perfetta somiglianza delle cose, per cui passiamo a stabilire come regola o legge universale quello che abbiamo solamente osservato in molte cose particolari.  Per duzi que quardo sia giuta, pesario sia.  necessario assicu-  rarsi bene se le somiglianze sono reali ovvero ap-  parenti;e questo si otterrà coll' istituire molte osservazioni. E' necessario inoltre esaminare atten.tamente, se queste osservazioni ed esperienze sono in opposizione fra loro: Poichè quand' anche una sola si opponga ad un numero anche infinito, l'Induzione sarà nulla. Quindi perchè un Fisico  inferisca per Induzione, che = Tutti i Corpi son  gravi = molti debbono esser quelli ne' quali os-  .servò la gravità; e non deve averne incontrato alcuno che ne sia privo.  L'uso dell' Induzione è molto pericoloso, ma è frequente assai specialmente nella Fisica. Poichè, date le stesse circostanze, una medesima causa dee sempre produrre gli stessi effetti, come effetti simili ed eguali denno sempre provenire dalla medesima causa; once possiam conchiudere essere universale quel che osserviamo in molte cose, e in tutte lo stesso.  essenda Al dazione sata si iperienza ogia  Osservazione. Nell' Analogia però la somiglianza  cose Mediche Militari e Politiche è più frequente l'uso dell' Analogia che dell'Induzione. Di Analogia fanno uso anche i Filosofi, e per essa inferiscono = Che le Bestie pensano = che le Stelle  anno il loro sistema planetario come il Sole =  Che i Pianeti sono abitati = ec.

 

 

Grice e Gioberti: la ragione conversazoinale e l’implicatura conversazionale del bello – filosofia torinese – scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Grice: “I like Gioberti; he published ‘Del bene, del bello,’ suggesting they are etymologically connected, and they are: BONUS alternates with BENE in Roman, and the dimintuvie, BENETULUS, gives ‘bellus’ – So the Roman implicature is that the ‘bello’ is a ‘little’ ‘bene’ – or gracious, comfortable, and proportionate, rather than having to do with ‘bene’ itself. – “like bene” – and affectionate diminutive, one hopes!” – Laureato, e parzialmente influenzato da MAZZINI, lo scopo principale della sua vita divenne l'unificazione dell'Italia sotto un unico regime: la sua emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti del primato morale e civile degl’italiani. Questo primato era associato alla supremazia del Papa, anche se inteso in un modo più letterario che politico. Carlo Alberto di SAVOIA lo nomina suo cappellano. La sua popolarità e l'influenza in campo privato, tuttavia, sono ragioni sufficienti per il partito della corona per costringerlo all'esilio; non era uno di loro e non poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico ma fu arrestato con l'accusa di complotto e bandito dal Regno sabaudo senza processo. Anda a Parigi e Bruxelles per insegnare FILOSOFIA. Nonostante ciò, trovò il tempo per filosofare con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione.  Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto,  divenne libero di tornare in patria. Al suo ritorno a Torino, e ricevuto con il più grande entusiasmo. Rifiuta la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati, della quale fu presto eletto presidente.  Cadde il governo. Il re nominò G. nuovo presidente del Consiglio. Il suo governo termina. Con la salita al trono di Vittorio Emanuele II la sua vita politica giunse alla fine. Ha un posto nel consiglio dei ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio irriconciliabile non tardò a maturare. E allontanato da Torino con l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi, da cui non fa più ritorno. Rifiuta la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica, vive in povertà e passa il resto dei suoi giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi agli studi filosofici. I primi due licei istituiti a Torino celebrarono uno l'opera diplomatica di Cavour (il Liceo classico Cavour) e l'altro il pensiero, anche politico, di G. (il Liceo classico G.). I saggi sono più importanti della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-SERBATI, contro cui scrive, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale. Anche il sistema di G., conosciuto come “ontologismo” non è connesso con le moderne scuole di pensiero. Mostra un'armonia con la fede che spinge Cousin a sostenere che la filosofia italiana e ancora fra i lacci della teologia e che G. non e un filosofo.  Il metodo per lui è uno strumento sintetico, soggettivo e psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e comincia con la formula ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è l'unico ente Ens. Tutto il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta la conoscenza umana (le idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio stesso. È intuita direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve riflettere, e questo avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza dell'ente e delle esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni reciproche, sono necessarie per l'inizio della filosofia.  G. è, da un certo punto di vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla conclusione che la chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si fonda. In questo afferma che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata dalla restaurazione del papato come dominio morale, è fondata sulla religione e sull'opinione pubblica. Tale opera e la base teorica del neoguelfismo. In Rinnovamento e Protologia si dice che abbia spostato il suo campo sull'influenza degli eventi. La sua prima opera aveva una ragione personale per la sua esistenza. Un amico, avendo molti dubbi e sfortune per la realtà della rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de “La teorica del sovrannaturale”.  Dopo questa, sono passati in rapida successione dei trattati filosofici. La “Teorica” è seguita dalla “Filosofia”, dove afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una nuova terminologia. Qui riporta la dottrina per cui la religione è la diretta espressione dell'idea in questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella storia. La Civiltà è una tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla quale la religione è il completamento finale se portato a termine. È la fine del secondo ciclo espresso dalla seconda formula, l'ente redime gli esistenti.  I saggi Del bello e Del buono hanno seguito l'introduzione. Del primato morale e civile degl'Italiani e Prolegomeni sulla stessa e a breve trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno, pubblicato clandestinamente a Losanna da Bonamici, ha senza dubbio accelerato il trasferimento di ruolo dalle mani religiose a quelle civili. È stata la popolarità di queste opere semi-politiche, aumentata da altri articoli politici occasionali e dal suo Rinnovamento civile d'Italia, che lo ha portato ad essere acclamato con entusiasmo al ritorno nel suo paese natio. Tutti questi saggi sono stati perfettamente ortodossi e hanno contribuito ad attirare l'attenzione del clero liberale nel movimento che è sfociato, sin dai suoi tempi, nell'unificazione italiana. I Gesuiti, tuttavia, si sono raduttorno al Papa più fermamente dopo il suo ritorno a Roma e alla fine i saggi di G.i sono messi all'indice. I resti dei suoi saggi, specialmente “La filosofia della rivelazione” e la Protologia espongono i suoi punti di vista in molte parti. Tutti i saggi giobertiani, tra cui quelli lasciati nei manoscritti, sono stati pubblicati da Massari (Torino). Il Ministero dei beni culturali ha affidato la redazione dell'edizione nazionale all'Istituto di Studi Filosofici Castelli, presso l'Università La Sapienza di Roma. Altre saggi: Prolegomeni del Primato morale e civile degl’italiani, Enrico Castelli; Primato morale e civile degli italiani, Redanò; Introduzione allo studio della filosofia; Cortese; Teorica del sovrannaturale; Cortese; Del rinnovamento civile d'Italia; G., Del rinnovamento civile d'Italia, Del rinnovamento civile d'Italia, Filosofi d'Italia Bari, Laterza. Cfr. lettera di G. a Leopardi  in Scritti vari inediti di Leopardi i dalle carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier. G. vive in Rue des marais S. Germain, hotel du Pont des Arts n° 3.  In lingua latina: "dal nulla", vedi anche la locuzione Ex nihilo nihil fit di LUCREZIO. Antonio, su Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Istituto Castelli-Roma in.  Anteprima disponibile su  Anteprima della II edizione disponibile su books.google. Massari, Vita di G., Firenze, Serbati, G. e il panteismo, Milano, Spaventa, La Filosofia di G., Napoli, Mauri, Della vita e delle opere di G., Genova, Prisco, G. e l'ontologismo, Napoli, Pietro Luciani, G. e la filosofia nuova italiana, Napoli, Berti, Di  G., Firenze, Rumi, G., Bologna, Il mulino, Sancipriano,  G.: progetti etico-politici nel Risorgimento, Roma, Studium, Traniello, Da G. a Moro: percorsi di una cultura politica, Milano, Angeli, Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di G., Milano, Mursia, Mustè, La scienza ideale. Filosofia e politica in G., Soveria Mannelli, Rubbettino, Mustè, Il governo federativo, Roma, Gangemi, Leggiero, G. Frainteso. Sulle tracce della condanna, Roma, Aracne,  Dizionario biografico degl’italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  G. attuale – Il Popolo d’Italia -- Non bisogna cedere alla facile tentazione erudita di dare troppi precursori al FASCISMO – o al GRICEANISMO --, come si è fatto da taluno in questi ultimi tempi. Il FASCISMO – e il GRICEANISMO --  ha molti precursori e e non ne ha nessuno. Non ne ha nessuno se alla parola “precursore” si dà un significato strettissimo o letterale. Ha molti se la stessa parola viene interpretata in un senso più lato. ln quest'ultima categorià può esser posto G., especialmente dopo la posta all’indice dei suoi saggi.. Ecco un filosofo, come Grice, che appare oggi attuale più di quanto non e ante, o anche semplicemente venti anni fa. Ci sono nelle pagine dei suoi libri notazioni, istruzioni, moniti, previsioni che il tempo ha confermato. Si vuole oggi, dal FASCISMO, una vita studiosa, che sia forte nel corpo come nello spirito. Or ecco come G., a proposito della necessità della GINNASIA, si esprimeva nel suo Primato. Gl’ITALIANO indurino il corpo avvezzandolo al sole, allenandolo alla corsa e ai GINNICI esercizì, rompendolo alle operose veglie e alle utili fatiche, costringendolo a nutrirsi di cibi frugali, a posare su dura coltrice e assoggettandolo in ogni cosa allo imperio dell'animo, il quale col domare i sensi; si rende libero e franco e si dispone ai nobili affetti, ai vasti e magnifici pensieri. Il FASCISMO ha battuto sempre in breccia certi persistenti snobismi linguaioli, che sono ormai superstiti soltanto in piccoli gruppi. Vedete come G. flagella gl’esotismi del tempo che fanno preferire le lingua tedesca o la francese all'italiana, l'abietto forestierume, come, con parola di scherno supremo, dice G. Riscuotano dunque se stessi da ogni ombra di forestierume, non solo nelle cose gravi ma anco nelle leggere, perché queste concorrono a informare il costume, che in opera di mutazioni morali è la somma del tutto. E non lieve faccenda, ma gravissima e importantissima è LA LINGUA NAZIONALE così per la stretta ed intima congiuntura dei pensieri con le voci, onde gl’uni tanto valgono quanto l'espressione che li veste (dal che segue che le parole non sono pur parole, ma eziandio cose) come perché ESSENDO LA FAVELLA ITALIANA LO SPECCHIO PIU COMPIUTO E PIU VIVO DELLA SPECIALITA MORALI E INTELLETTIVE DEL POPOLO ITALIANO, chi la trascura e disprezza non può essere veramente libero, né aver cara l'indipendenza e la libertà della patria. Perciò indizio grave di servilità e di declinazione civile e prova non dubbia di poco amore verso il luogo natìo, è il trasandare la propria loquela e il vezzo di parlare o di scrivere senza bisogno di lingua forestiera. Tale indegno costume è altresì basso e vile! Pochi filosofi hanno, più del grande pensatore torinese, posto in rilievo la somma importanza della lingua italiaa nella vita del popolo italiano e i pericoli insiti nel trascurarla o avvilirla. L'ostracismo che il regime ha dato agli eccessivi dialçttismi e ai tentativi di creare su basi regionali delle letterature dialettali, trova la sua più alta giustificazione in questo superbo brano di prosa giobertiana. E da ricordare che G. definisce la italiana come la più bella delle lingue vive. Lo stile, dice Buffon, è l'uomo. Lo stile e la lingua, dico io, sono il cittadino. LA LINGUA E LA NAZIONALITA PROCEDENO DI PARI PASSO, perché quella è uno dei principi fattivi e dei caratteri principali di questa, anzi il più intimo e fondamentale di tutti, come il più spirituale, quando la consanguineità e la coabitanza poco servirebbero ad unire i popoli unigeneri e compaesani, senza IL VINCOLO MORALE DELLA COMUNE FAVELLA. E però Giordani insegna che la vita interiore e la pubblica di un popolo si sentono nella sua lingua, la quale è l'effige vera e viva, il ritratto di tutte le mutazioni successive, la più chiara e indubitata storia dei costumi di qualunque nazione e quasi un amplissimo specchio in cui mira ciascuno l'immagine ·della mente di tutto e tutti di ciascuno. E  Leopardi non dubitò di affermare che la lingua e l'uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa. Parole queste che non sono mai abbastanza meditate. Quanto alla missione di Roma nella storia italiana e in quella europea e universale, ecco alcune citazioni di G. che hanno un sapore attualissimo. Il genio orientale affine a quello dell'Italia, se non altro perché ROMA e una volta e sarà forse di nuovo un giorno, se posso così esprimermi, l'oriente dell'Oriente. ROMA in effetto, nel bene come nel male, nei tempi antichi come nei moderni, è arbitra suprema e norma delle genti italiche. La figura di G., quale filosofo e patriota, ci è giunta un poco deformata dalle polemiche del tempo. Ma bastano le citazioni di cui sopra per far vedere che la portata educatrice del pensiero giobertiano, non è diminuita con le vicende del tempo. G. è attuale, anche e soprattutto oggi, nell’ITALIA DEL LITTORIO. The next day in “Il Popolo d’Italia” by Scrittore Fascista. Ancora G.  (Pubblicato in « Il Popolo d'Italia » di Scrittore fascista  La prosa giobectiana è ricca di parole asprigne, saporose e di neologismi indovinati. Si incontrano parole come queste: schifiltà, infemminire nell'ozio, forestierume, perennare, sfasciume, smanceroso, attillature, disviticchiare, mollizie, delicature, uomini faticanti, laicocrazia, fogliettisti, ecc. Ma più importanti sono sempre i pensieri del filosofo torinese. In tutte le questioni egli ha un punto di vista, che rappresentando le verità fondamentali, vale, oggi, come sempre.. Ecco con quali termini G. stabilisce i compiti e i doveri di un'aristocrazia degna di questo nome. Si tratta dell'educazione da impartire ai figli degli aristocratici. Imprimano in essi la semplicità dei modi, la grandezza dell'animo, l'austerità del costume, la tolleranza nelle fatiche, la fermezza nelle risoluzioni, l’'intrepidità nei pericoli, la generosità nei travagli; li assuefacciano a contentarsi del poco, a fuggire gli agi e le pompe, a tenersi per depositari anziché padroni della loro ampia fortuna, come di un tesoro da dispensarsi in opere di beneficenza e in imprese di utilità pubblica. In G. si trova l'incentivo e la giustificazione delle opere di ripristino archeologico, alle quali IL REGIME FASCISTA si è particolarmente consacrato, non soltanto a ROMA, ma in ogni parte d'Italia. Se G. potesse vedere lo spettacolo meraviglioso della ROMA di oggi, dovrebbe fare constatazioni diverse da quelle del suo tempo. Gli scavi, la esumazione e la restaurazione degl’antichi monumenti pagani (‘non cattolici’!) , non giovano soltanto a documentare al mondo la nostra gloriosa storia tri-millenaria, ma sono anche fonti di ricchezza, per il richiamo che essi esercitano su tutte le ·genti del mondo civile. Le poche decine di milioni spese per creare quei capolavori che sono la via dell'Impero ROMANO, la via dei Trionfi, la via del Mare, sono già stati recuperati almeno cento volte, attraverso l'affluire ìncessante degli stranieri. Ma G. insiste sul lato morale delle ricerche archeologiche così esprimendosi. Egli è doloroso a pensare che così pochi siano al dl d'oggi gl’italiani solleciti di conoscere e studiare le patrie rovine e che tale inchiesta si abbandoni, come inutile, all'ozio erudito di qualche antiquario. L'archeologia non meno della filologia, ben !ungi dall'essere una scienza sterile e morta, è viva e fecondissima, perché oltre a rinnovare il passato, giova a preparare l'avvenire delle nazioni. Imperocché la risurrezione erudita dei monumenti nazionali porta seco il ristauro delle idee patrie, congiunge le età trascorse colle future, serve di tessera esterna e di taglia ricordatrice ai popoli risorgituri, destandone ed alimentandone le speranze colla voglia e con l'esca delle memorie. Tutta la storia d'Italia passa in rapide sintesi potenti nelle meditazioni di G.  I periodi di grandezza e di miseria, gl’alti e bassi del nostro popolo, trovano in G. un indagatore e un illustratore vigoroso e penetrante. Egli sente la storia e come s'inorgoglisce parlando dei periodi di splendore, è amaro e violento quando trae a descrivere le epoche di decadenza. Nella citazione che segue sono condensati tre secoli della nostra storia, i quali dal punto di vista politico sono stati oscuri, perché furono secoli di divisione e di servitù. Le ultime faville di virtù e di carità patria perirono in Italia colla repubblica di FIRENZE; spenta la quale dalla truce e schifosa progenie dei secondi Medici, l'ingegno secolaresco, costretto a menar vita privata ed umbratile, non ebbe più altro campo dove esercitarsi che quello degli studi: in cui rifulsero ancora tre sommi laici, il TASSO, il GALILEI, il VICO, che nel culto della sapienza poetica, naturale, filosofica, andarono innanzi a tutti, e risposero in un certo modo alla triade clericale e monachile di BRUNO, di CAMPANELLA e di SARPI. Ma il rinnovamento del ceto civile nella penisola e la creazione dell'Italia laicale è dovuta a ALFIERI che, nuovo ALIGHIERI, e il vero secolarizzatore del genio italico nell'età più vicina e diede agli spiriti quel forte impulso che ancora dura e porterà quando che sia i suoi frutti, Questa profezia del Primato si è avverata. L'impulso dato da ALFIERI da i suoi frutti col Risorgimento. Dopo una eclissi, tale impulso è lo stesso che scatenò il maggio radioso e la marcia. È l'impulso che fece vincere la guerra e trionfare la rivoluzione. Non ancora un secolo è passato e già queste parole del Primato giobertiano fiammeggiano nei cuori delle generazioni littorie. « Italiani - dice G. - qualunque siano le vostre miserie, ricordatevi che siete nati principi e destinati a regnare moralmente sul mondo!  G. nasce a Torino. Un dissesto finanziario del padre, morto prematuramente, rese molto precarie le condizioni economiche della famiglia. Formatosi nelle scuole dei padri oratoriani, rivela precoci interessi per gli studi filosofici, e annoverò tra i suoi maestri e guide spirituali Sineo, poi ricordato come il solo prete che avesse incontrato. Tuttavia G. è essenzialmente un autodidatta, che, nonostante la malferma salute, si dedica con inaudita intensità alle più disparate letture, toccando anche il settore linguistico, storico, naturalistico, geografico, politico (con una precoce passione per MACHIAVELLIi), e lasciandone traccia in una congerie sterminata di appunti e di pensieri: in uno dei quali rivelava di essere stato "reso anti-monarchico dalla lettura d’ALFIERI, irreligioso, ma per poco, da Rousseau, pirronista dagl’altri filosofi (Meditazioni filosofiche inedite). Tali frammenti provano come G. accumulasse una rilevante cultura filosofica, in parte di tipo manualistico, ma in parte notevole ricavata da letture di prima mano (sebbene non sempre nella lingua originale) concernenti in special modo le opere di Platone, Agostino, Bacon, Bossuet, VICO, Leibniz, Malebranche, Gerdil, Rousseau e Kant. Quest'ultimo, unitamente alla scuola scozzese di Reid, apparie a G. il filosofo che aveva riportato "nel campo dell'osservazione quel principio pensante, che molti aveano a tal segno obliato da confonderlo coi sensi e colla materia. Alla linea di pensiero che iG. definiva allora idealistica si affianca il confronto ravvicinato, ma costellato di dissensi, con il tradizionalismo cattolico di  Maistre, Bonald,Chateaubriand, Ballanche e Mennais. È da osservare che G. conosce bene il francesen e, ovviamente, il latino, mentre inizia studio del tedesco. In linea generale, prevalse in G. un orientamento eclettico, considerato peculiare e apertamente professato in opposizione allo spirito esclusivo dei sistemi, pur in un quadro teorico segnato dalla polemica anti-sensistica e dalla ricerca, non priva di momenti laceranti, di un punto di equilibrio tra una persistente venatura scettica e l'ancoraggio, punteggiato peraltro da corrosivi spunti anticlericali, alla religione, assunta come deposito di verità oggettive, attingibili per via razionale solo in maniera parziale e frammentaria. Oltre che sul piano teoretico, la necessità della rivelazione cristiana s'imponeva per G. sul piano pratico e politico, essendo una religione rivelata e positiva l'organo indispensabile della morale nella società", ovvero anche "un'obbligazione sociale, chiamata a integrare il mantenimento e l'accrescimento dei diritti, indicati come fine della politica. La ragionevolezza dell'adesione alle verità dogmatiche della fede cattolica, tenute distinte da quanto nella società religiosa vi è di accidentale e di transeunte, sostituiva, in G., l'idea di religione naturale d'impronta deistica, facendo salvi, da un lato, il principio di una rivelazione soprannaturale depositata nella Chiesa cattolica e, dall'altro, il concetto di un suo progressivo dispiegamento nella storia umana.  Membro dell'accademia ecclesiastica fondata dal Sineo e di quella dall'abate Solaro, G. risentì dell'impronta - probabiliorista in campo morale e cautamente giurisdizionalista in campo ecclesiastico - della facoltà teologica torinese, da cui trasse alimento il suo vivace antigesuitismo. Addottorato in teologia, è aggregato alla facoltà teologica, con la discussione di tre tesi: De Deo et naturali religione, notevole per la padronanza della relativa letteratura, De antiquo foedere, De christiana religione et theologicis virtutibus, la cui edizione accademica restò per quattordici anni l'unica opera di G. data alle stampe. Poco prima, èordinato sacerdote, dopo che la curia torinese e forse lo stesso arcivescovo Chiaverotti erano intervenuti per vincere la sua ritrosia all'ordinazione. È nominato cappellano di corte con uno stipendio annuo di 480 lire.  Notevoli zone d'ombra caratterizzano la fase successiva della sua biografia. La stessa renitenza del G. a tradurre in pubblicazioni l'immenso materiale accumulato, nonostante la notorietà acquisita negli ambienti colti e l'attività svolta in alcuni circoli filosofici e letterari, appare indicativa sia di una persistente fluidità del suo pensiero, sia della percezione di un sempre più chiuso clima intellettuale e politico, che G. tende ad attribuire, sul fronte ecclesiastico, alle mene dei gesuiti e della "frateria" - da lui personalmente contrastati in occasione della vicenda che aveva coinvolto  Dettori, allontanato dalla cattedra universitaria con l'accusa di giansenismo - e, sul versante politico, all'involuzione autoritaria del governo sabaudo. La riflessione di G. sui rapporti tra religione e filosofia e tra religione e vita sociale seguì un percorso non lineare. Ne sono documento eloquente le lettere indirizzate a Leopardi (personalmente conosciuto a Firenze, durante un viaggio per l'Italia in cui G. ha modo di incontrare anche A. Manzoni), le lettere al giovane amico e discepolo Verga e una lettura accademica sull'accordo della religione cattolica coi progressi della società civile (Ricordi biografici e carteggio, a cura di Massari).  Scrivendo a Leopardi da Torino G. confessa di aver professato nel passato un puro teismo, e di aver mutato idea in seguito a nuove indagini sulla "verità del Cristianesimo (e quindi del Cattolicismo che è la sola forma invariabile di quello) come sistema dottrinale e come fatto storico", e di essere approdato a una "adesione intima, schietta, profonda alla religione cattolica", che gli aveva consentito di vincere i fastidi, le amaritudini, i terrori, la malinconia che fin allora lo avevano tormentato (Epistolario). Due anni dopo, reduce dall'aver "letto a furia" Le mie prigioni di S. Pellico, scriveva al Verga una lettera in cui, opposto il cristianesimo di Silvio a quello dei gesuiti, dei "nemici della filosofia e della civiltà", rivelava di essere divenuto assertore di una religione filosofica: cioè di una religione "immedesimata" e non solo conciliata con la filosofia, fondamento di una morale austera, "ispiratrice di azioni grandi e generose, e dell'oblio di se medesimo per intendere unicamente al bene della patria. Nei primi anni Trenta, anche in seguito alla lettura del Nuovo saggio sull'origine delle idee di A. Rosmini Serbati, il G. enunciò in modo più stringente e sistematico l'idea di una diretta connessione tra risorgimento filosofico e risorgimento nazionale, appellandosi a una tradizione filosofica autoctona, dispiegata genealogicamente da Pitagora al Rosmini, attraverso la scuola eleatica, la patristica latina, l'umanesimo e VICO (lettera a Verga). Dichiarandosi continuatore di questa linea ideale, G. manifestò una speciale consonanza con il pensiero di Giordano Bruno, facendo a più riprese, in parallelo con l'evoluzione delle proprie idee politiche, professione di panteismo.  Tale collegamento è attestato da una lunga lettera ai compilatori della Giovine Italia e ivi pubblicata sotto lo pseudonimo di Demofilo. G. vi esaltava il panteismo come la sola filosofia "destinata a fiorire un giorno col voto unanime dei buoni ingegni", affermando di avvertire nelle dottrine politiche professate dai mazziniani "un'applicazione di questi dettati" (cfr. anche lettera al Verga). La lettera, ripubblicata con intenti antigiobertiani nel 1849 non da Mazzini, come a lungo si credette, ma probabilmente da CATTANEO, col titolo Della repubblica e del cristianesimo, era rivelatrice di una radicalizzazione delle convinzioni del G., coinvolto in una serie di vicende destinate a mutare il corso della sua esistenza: vi si proclamava la necessità di una religione civile finalizzata alla liberazione dei popoli, ma, contemporaneamente, l'impossibilità di dar vita a "una religione veramente nuova […], tanto che i filosofi, e gli uomini universalmente cominciano a persuadersi, che fuori del Cristianesimo non v'ha religione"; e vi si accennava a una lettura escatologica, ma non solo ultraterrena, dell'idea cristiana di salvezza e di redenzione, implicante una sua dilatazione dalla sfera individuale a quella sociale, prefigurata nella promessa di un regno "da aspettarsi eziandio in questo mondo". Nell'accezione giobertiana, ispirata ora a un messianismo politico-sociale in vesti cristiane cui non erano estranei gli echi delle dottrine sansimoniane, il motto mazziniano Dio e il popolo"diventa così il presupposto di una cristianità novella, l'annunzio di un'epoca imminente in cui "Iddio sarà umanato non nel figliuolo dell'uomo, ma nel popolo", e destinato non alla croce, ma a un regno stabile, a una pace perpetua, all'immortalità e alla gloria. L'abito di prudenza e di riservatezza adottato da G. non impedì che le sue idee destassero diffusi sospetti di ateismo anche presso i suoi superiori. Ciò lo induce a lasciare la carica di cappellano e a rinunciare al relativo stipendio. Nel frattempo si era affiliato a una società segreta, detta dei Circoli, e poi ad altra associazione patriottica di dubbia identificazione, forse i Veri Italiani; non sembra che mai entrasse nella Giovine Italia, sebbene coltivasse intimi rapporti con alcuni suoi affiliati, come l'abate Pallia. In seguito a delazione, fu quindi coinvolto nella repressione prodotta in Piemonte dalla scoperta della congiura mazziniana, arrestato con pesantissime accuse e tenuto in carcere, senza processo, fino al settembre. Qui lo raggiunse un provvedimento immediatamente esecutivo che lo esiliava senza permettergli di incontrare alcuno dei suoi amici.  Per poco più di un anno, G. visse a Parigi in una situazione assai precaria, che lo induce ad autorappresentarsi nei panni di uno "sdottorato" e uno "spretato" (era privo di celebret per la messa), di uno che aveva "perduto tutto". Nonostante le relazioni intrecciate con i molti italiani insediati stabilmente o temporaneamente nella capitale francese, come il matematico G. Libri, Peyron, Mamiani, Botta, e con esponenti di primo piano del mondo accademico francese, come Cousin e Champollion, visse in relativo isolamento, in una città che considerava il "microcosmo d'Europa" ma non amava, ascoltando le lezioni accademiche di Fauriel e Jouffroy, impartendo per vivere lezioni private d'italiano e progettando, senza realizzarli, lavori di argomento filosofico o di polemica politica sulla sanguinosa repressione seguita alla congiura e al tentativo mazziniano. Nella febbrile atmosfera intellettuale della monarchia di luglio il G. avvertì come sintomi di una crisi epocale, ma senza condividerne appieno i contenuti, i messaggi di rinnovamento sociale espressi dalla tarda scuola sansimoniana, da Buchez, dalle Paroles d'un croyant di F.-R. de Mennais. Lo scenario parigino, che gli appariva connotato dalla totale estinzione del culto e della pratica cattolica, fornì nuovo alimento alla venatura apocalittica del suo pensiero, che gli faceva presagire come prossima la "fine del mondo; ma del mondo antico, donde sorgerà il nuovo", nel quale gl’ordini morali di Cristo sarebbero diventati "gli ordini civili delle nazioni", compenetrando lo Stato sino a produrre "una società di uomini, retta da sé medesima, sotto la legge universale, una, libera, fiorente, morigerata, santa, ed esprimente la concordia del cielo colla terra" (lettera ad Unia). Per altro verso, si approfondiva sino a divenire inconciliabile il dissenso del G. nei riguardi della linea mazziniana e verso i movimenti insurrezionali, cui attribuiva la responsabilità di aver "impedita o spenta una metà almeno di quel civile progresso che altrimenti or sarebbe in Italia". Ne discendeva un caldo invito, rivolto ai suoi numerosi corrispondenti piemontesi, all'accorta prudenza e a un lavoro di lunga lena finalizzato a un apostolato politico basato sull'aperta propaganda delle idee patriottiche. Dall'insieme delle posizioni giobertiane dell'esilio parigino trasparivano una sostanziale sfiducia nel grado di maturazione raggiunto dalla coscienza nazionale del popolo italiano, "languido, diviso e inerte", un'attenuazione delle antecedenti pregiudiziali repubblicane e l'abbandono delle convinzioni panteistiche. Sul piano politico, G. inquadra ora la questione nazionale nella riapertura, ritenuta certa, del ciclo rivoluzionario in Francia e nella susseguente esplosione di una guerra europea, condizioni determinanti della liberazione dell'Italia dall'Austria e della cacciata definitiva dei "nostri tiranni".  Accetta, anche per ragioni economiche, l'offerta di assumere l'insegnamento di storia e filosofia nel collegio fondato a Bruxelles daGaggia (un ex sacerdote italiano convertitosi al protestantesimo), che ospitava un centinaio di cattolici ed evangelici. Forse anche in relazione alla più pacata atmosfera politica del Belgio, dove i cattolici erano parte attiva del sistema costituzionale sortito dalla rivoluzione,  G. proseguì nella revisione ideologica già profilatasi nel periodo parigino, prospettando più lucidamente che nel passato un'esigenza di conciliazione, che non implicasse identificazione, tra dogmatica religiosa e idee filosofiche e tra ordine soprannaturale e ordine civile. Dichiarava in proposito che, mentre in precedenza aveva immedesimato i dogmi cristiani colle idee, ora li disgiungeva, evitando di ridurre il cristianesimo a una simbolica filosofia, ma considerandolo invece il compimento della filosofia medesima"(a Pinelli). Ne conseguì la decisione di produrre finalmente delle opere a stampa. Vide infatti la luce a Bruxelles una sua "dissertazione religiosa" intitolata Teorica del soprannaturale, o sia Discorso sulle convenienze della religione rivelata colla mente umana e col progresso civile delle nazioni, composta in poco più di un mese e stampata a spese dell'autore; cui seguirono, in rapida successione, l'Introduzione allo studio della filosofia (Bruxelles), che ebbe una circolazione superiore a quella, inizialmente limitatissima, della Teorica, sebbene di entrambe le opere venisse interdetta l'introduzione nel Regno sardo; la Lettre sur les doctrines philosophiques et politiques de m. de Lamennais (dapprima anonima, nel Supplement à la Gazette de France, poi con firma e con titolo leggermente mutato a Parigi-Lovanio); il saggio Del bello, composto come voce dell'Enciclopedia italiana e dizionario della conversazione (Venezia) diretta da Falconetti, e pubblicato anche come volume a sé nell'autunno del 1841, prima opera di G. edita in Italia, che doveva essere seguita da un altro testo destinato alla stessa sede, Del buono, uscito invece in forma autonoma a Bruxelles; e le dieci lettere Degli errori filosofici di Antonio Rosmini (Bruxelles; la seconda edizione porta a 12 il numero delle lettere e comprendeva altri scritti giobertiani).  Nella Teorica G. fa i conti con il proprio antecedente itinerario intellettuale e con le tendenze filosofiche del suo tempo. L'opera, imperniata sull'analisi delle relazioni tra ordine religioso e ordine civile osservate sotto un'angolatura gnoseologica, etica e storica, aveva come principale obiettivo polemico la riduzione monistica della sfera religiosa a quella civile o viceversa, operata, secondo G., dalle teorie razionalistiche e panteistiche, dal "cristianesimo politico" dei sansimoniani alla Buchez, dal tradizionalismo antimoderno di Maistre, Bonald e del primo La Mennais. Dalle dottrine tradizionalistiche, tuttavia, G. prendeva, rielaborandola, l'idea di una rivelazione primitiva cui veniva fatta risalire sia l'attivazione (mediante il dono soprannaturale del linguaggio) della facoltà di conoscere e di volere e quindi l'origine della civiltà, sia l'infusione nella mente umana di verità sovraintellegibili, percepite come misteri, analizzabili razionalmente solo per via analogica, e fondanti l'ordine religioso. Ne discendeva una storia parallela, basata sul principio di distinzione e di interrelazione, della civiltà e della rivelazione religiosa, anch'essa rappresentata come progressiva, fino al suo compimento nella rivelazione cristiana, custodita integralmente e infallibilmente dalla Chiesa cattolica. Il tracciato di questo duplice cammino era per G. contrassegnato dal progressivo incremento del ruolo della religione come "causa e stromento" di civiltà, e dal graduale accostamento degli ordini politici al modello di società organizzata costituito dalla Chiesa (visibile tra l'altro nell'applicazione alla sfera politica del sistema elettivo proprio degli ordini ecclesiastici). Emergevano pertanto dalle pagine della Teorica i lineamenti di una rilettura della genesi della civiltà moderna, in opposizione alla tesi delle sue origini protestanti, e una riaffermazione del primato della religione sulla civiltà e della Chiesa sullo Stato, che si traduceva nella confutazione dei sistemi politici, assoluti o democratici che fossero, i quali implicassero una subordinazione della religione alla volontà del sovrano. Si trattava, in definitiva, di un'apologia del cattolicesimo in senso civile, che nello scorcio conclusivo dell'opera assumeva una marcata impronta nazionale.  Tale impronta era ancora più forte nell'Introduzione allo studio della filosofia. L'opera era infatti imperniata sull'idea che toccasse all'Italia, dopo un lungo periodo di oscuramento della sua tradizione filosofica determinato dalla perdita dell'"indipendenza civile", promuovere la restaurazione della "vera filosofia", scomparsa dall'orizzonte europeo in seguito all'espulsione dell'"idea di Dio dallo scibile umano", e porre rimedio agli effetti devastanti prodotti sul piano politico dalla diffusione di falsi principî filosofici, generatori delle due contrapposte tirannidi prevalenti nel mondo moderno, quella dei despoti e quella del popoli, dipendenti "dallo stesso principio, e aventi uno scopo unico, cioè il predominio della forza sul diritto". L'Introduzione intendeva porre le basi di un organico sistema filosofico (inteso in senso molto estensivo), in grado di contrapporsi alle deviazioni psicologistiche, soggettivistiche o panteistiche della filosofia moderna generate principalmente, sul piano speculativo, dal pensiero e dal metodo analitico di Cartesio e, su quello religioso, dalla Riforma: un sistema imperniato sull'Idea, intesa, a suo dire, in un'accezione totalmente diversa da quella utilizzata dai sensisti, dagli idéologues e dai panteisti moderni (tra cui HEGEL), e analoga invece a quella platonica e malebranchiana. Il riferimento all'Idea, intuita dalla mente umana come oggetto reale e in atto che esiste indipendentemente dal soggetto, cioè come Ente o principio ontologico e non solo gnoseologico, si realizza nel giudizio sintetico a priori o formula ideale "l'Ente crea l'esistente", che pone nell'atto creativo l'origine del mondo, e da cui scaturisce, in ragione dell'identica matrice della realtà generata e del pensiero, l'intera enciclopedia filosofica sul piano speculativo. Il principio contenuto nella formula ideale si esplica infatti in un secondo ciclo creativo che procede, a differenza del primo, dall'esistente all'Ente, e del quale è partecipe, come causa seconda, l'azione dell'uomo in quanto dotato di intelligenza e di libero arbitrio, che lo rende "in un certo modo creatore" e simile a Dio. Mentre il primo ciclo è il principale oggetto dell'ontologia, scienza dei principî, il secondo ciclo, nel quale si esplica la "vita attiva", è l'oggetto dell'etica, scienza dei fini.  Tra le molteplici applicazioni della formula ideale abbozzate nell'Introduzione assumevano un rilievo particolare quella concernente il rapporto tra religione e civiltà secondo lo schema relazionale già profilato nella Teorica, e quella riguardante la sfera della sovranità. In argomento G., ponendo nell'Idea l'origine della sovranità, ne confutava sia il fondamento contrattualistico (visto come prodotto delle deviazioni soggettivistiche e sensistiche della filosofia moderna), sia l'identificazione con il potere assoluto di un principe. Definendo la sovranità come un processo discendente dall'Idea, ma nello stesso tempo partecipativo, G. pervenne alla enunciazione di una formula politica (modellata sulla formula ideale), per la quale "il sovrano fa il popolo" ma "il popolo diventa sovrano", mediante "la trasformazione lenta, graduata e sicura del Demo in patriziato. Ciò si traduceva in un'apologia della monarchia civile o rappresentativa generata dal cristianesimo e già prefigurata negli ordinamenti medievali, vista come sintesi tra un potere tradizionale e un'"aristocrazia elettiva" chiamata a estendersi col progredire dell'incivilimento. Inoltre, distinguendo il diritto sovrano dal diritto del principe, il G. finiva per recuperare come "unico giure assoluto, essenziale, irrepugnabile" l'idea di sovranità nazionale, trasferendo alla nazione (una volta istituita come corpo politico) il carattere di primazia che i fautori dell'assolutismo attribuivano al principe: sino a proclamare non solo il diritto di resistenza nei confronti del principe assoluto, ma financo, in casi estremi, la legittimità della rivoluzione.   Il progetto di cui la Teorica e l'Introduzionecostituivano una prima cornice speculativa era sintetizzato in una lettera a ROVERE (si veda)  (Epistolario), dove G. esprime la convinzione che il solo modo di giovare all'Italia fosse quello di "creare una scuola di libertà temperata, morale, religiosa, italiana, una scuola di civiltà tanto aliena dal sentire dei demagoghi quanto da quello dei despoti"; indicava l'obiettivo di far della religione "una insegna nazionale" immedesimandola "col genio dell'Italia, come nazione", facendone "una di quelle idee madri che seggono in cima al pensiero degli uomini e signoreggiano ogni parte del vivere civile". Con l'aggiunta che, distinguendo "nella religione cattolica la credenza dall'istituzione" e insistendo sulla seconda, non sarebbe stato difficile convincere gli increduli che "il cattolicesimo, anche umanamente considerato, sia il migliore degli istituti religiosi possibili.  Un programma di così ambiziosa portata prefigurava un disegno in qualche misura egemonico sul piano culturale e induceva G. non solo a entrare in diretta polemica con le opere di autorevoli esponenti del coevo pensiero europeo, come Cousin (in uno scritto concepito come appendice dell'Introduzione, ma pubblicato inizialmente a parte, a Bruxelles, le Considerazioni sopra le dottrine religiose di Cousin), e come Lamennais (in un opuscolo duramente critico verso le sue ultime opere filosofiche e politiche), ma soprattutto a competere con l'altro pensatore italiano, Rosmini, che aveva intrapreso a propria volta, con intenti non meno ambiziosi, un programma di edificazione di una filosofia cristiana capace di misurarsi con il pensiero moderno. Il dissenso nei suoi confronti si era già manifestato nell'Introduzione, dove alla dottrina rosminiana dell'Essere ideale era mossa la critica di perdurante e invalicabile psicologismo e perciò di soggettivismo e finanche di sensismo mascherato. Tale iniziale dissenso si tradusse in acre e prolungata polemica, specialmente in ragione dei successivi interventi dei seguaci del Rosmini, come Tarditi, Gastaldi, arcivescovo di Torino, G. di CAVOUR (si veda), secondo i quali le tesi giobertiane menavano dritto al panteismo. G. ribatté colpo su colpo, incominciando dalla già citata alluvionale opera Degli errori filosofici di SERBATI (si veda), importante soprattutto per il fatto che l'autore vi tracciava il processo teorico attraverso cui era pervenuto alla formula ideale. Nella polemica G. è affiancato e sostenuto dai suoi amici e seguaci, come Rossi di Santarosa, mentre risultò vano l'intervento pacificatore di N. Tommaseo.  Sempre a Bruxelles,  G. diede alle stampe l'opera che doveva dargli la celebrità, Del primato morale e civile degli Italiani, tirato nella prima edizione in 1500 esemplari. Concepito inizialmente come "un'operetta di non molte pagine", "un discorsetto non solo sul Papa ma sull'Italia", il Primato divenne strada facendo un ponderoso lavoro in due grossi volumi, la cui scrittura procedette in parallelo con la stampa fino al maggio dell'anno successivo.  L'opera, dalla struttura sovrabbondante e magmatica, colma di formule apodittiche e di scarti lessicali, aveva tuttavia un suo asse portante nel tentativo di definire i caratteri originali e permanenti della nazionalità italiana sintetizzati in quello che G. chiamava genio nazionale. Plasmato da fattori naturali, come il sito geografico e la feconda mescolanza di stirpi pelasgiche ed etrusche, connotato dalla preminenza di elementi sacerdotali e aristocratici, dotato di un suo particolare "genio federativo" espresso dalla "società di popoli" realizzata dalla repubblica romana (poi tralignata in signoria imperiale), riflesso culturalmente da un'ininterrotta tradizione filosofica autoctona, il genio italico aveva trovato, secondo il G., una sua configurazione effettivamente nazionale per opera del Papato, che lungo il Medioevo gli aveva dato stabile forma avviando la traduzione in "ordini civili" dei dettati religiosi e morali del cristianesimo. Il tratto costitutivo della nazione italiana veniva così reperito in un principio ideale, convalidato tuttavia da fattori naturali di tipo etnico e confermato dalla storia: nell'essere l'Italia nazione religiosa per eccellenza, dotata di un primato religioso determinato dal trapianto in Roma dell'Evangelo e dall'elezione provvidenziale della sede romana a sede apostolica, che si riverberava in un primato dell'Italia nell'ordine morale e civile, da cui traeva il carattere di creatrice, conservatrice e redentrice della civiltà europea. Il ruolo o la missione religioso-civile, che faceva degli Italiani il nuovo Israele e dell'Italia una nazione sacerdotale, veniva perciò raffigurato dal G. come indivisibile da quello del Papato: il quale, mediante l'esercizio della potestà civile connaturata alla sua primazia religiosa, non solo aveva costituito la nazionalità italiana, ma le aveva altresì impresso i tratti suoi propri di nazione guelfa. Per converso, il declino della potestà civile dei pontefici, iniziato nel tardo Medioevo e culminato nell'Età moderna, si era tradotto nella decadenza, nell'asservimento politico, nella subordinazione culturale dell'Italia e nella frammentazione politico-religiosa dell'Europa. Il risorgimento italiano, concepito da G. sullo sfondo di una riunificazione religiosa europea, veniva dunque a raccordarsi strettamente con la restaurazione della "scaduta potestà civile del Papa in modo conforme e proporzionato all'indole e ai bisogni del secolo". Tale formula conteneva il nocciolo della tesi centrale del Primato: posto che, secondo G., l'esercizio della potestà civile pontificia, perno della più ampia potestà civile della Chiesa, era per sua natura suscettibile di assumere modalità variabili in relazione al cammino della civiltà in senso secolare, essa era chiamata a evolversi in maniera vieppiù adeguata alla propria originaria legittimazione religiosa e alla progressiva acquisizione di "indipendenza civile" e di capacità nazionale da parte dei popoli, assumendo le forme preminenti della forza morale, della persuasione, dell'influenza pacifica e pacificatrice. L'itinerario della potestà civile pontificia tracciato da G. procedeva dunque dalla "dittatura", consona alle età barbariche, verso un "potere arbitrale", delimitato dal fatto di non "avere alcun effetto civile che non sia consentito alla libera [cioè liberamente] dalle parti gareggianti e deliberanti". Si realizzava così la saldatura tra la restaurazione-riforma del potere civile del Papato e il Risorgimento italiano: nel senso che la ridefinizione del primo avrebbe reso possibile l'esercizio effettivo da parte del pontefice del ruolo, mai assunto nel passato, di capo civile della nazione sotto forma presidenziale (o dogale) - un ruolo, dunque, istituzionale, analogo ma più forte di quello arbitrale -, e la contemporanea trasformazione in unità "nazionale e politica" della preesistente, ma virtuale, unità italiana senza che ne venissero toccati i legittimi poteri dei sovrani.  Quest'ultimo aspetto costituiva un altro snodo del Primato, che consentiva a G. di tracciare una via consensuale, pacifica e aliena da fratture rivoluzionarie per la costruzione dello Stato nazionale. Scartate come estranee alla natura e alla storia del genio italico le forme del dispotismo e della democrazia "demagogica" fondata sull'idea della sovranità popolare, e assumendo come punto di riferimento il riformismo settecentesco, in specie di Leopoldo e di Benedetto XIV, G. raffigura l'erigenda entità politica nazionale come una confederazione dei maggiori Stati italiani, retti a monarchia "consultiva" sotto la presidenza moderatrice del pontefice elettivo. La formula della monarchia consultativa veniva preferita a quella della monarchia rappresentativa per il fatto di non frammentare la sovranità, e di permettere ugualmente ai sovrani di governare secondo il voto della nazione, raccolto e filtrato da un corpo vitalizio di "veri ottimati" tratto da un'aristocrazia selezionata dal merito e dall'ingegno più che dal sangue nobiliare, agente come canale di collegamento con l'opinione pubblica. Un'attenzione particolare era dedicata dal Primato al potere dell'opinione negli Stati moderni, alle condizioni necessarie del suo sviluppo, al ruolo che il clero era chiamato a esercitarvi nel rispetto del "principio sacrosanto della libertà delle coscienze", alla funzione modernizzatrice delle élitesintellettuali. L'utopia della confederazione italiana (tale la definiva lo stesso G.) si traduceva in una forma politica composita, che richiamava in certa misura l'ordinamento ecclesiastico, caratterizzata dalla presidenza conciliatrice del pontefice, da un insieme di "aristocrazie civili e consultative, ciascuna sotto un capo ereditario investito del supremo comando", e finalizzata all'unione, all'indipendenza e alla realizzazione della libertà civile, tenuta distinta da quella politica, cioè costituzionale. Scritto come libro moderatissimo per non irritare gl’animi e consentirgli di circolare per tutta la penisola (il che accadde, nonostante gli interdetti dell'Austria e il divieto di smercio nello Stato pontificio), con l'esplicita intenzione di raccogliere i più ampi consensi, il Primato lasciava deliberatamente da parte argomenti di più immediata rilevanza politica, che pure G. affermava di aver originariamente previsto, quali il predominio dell'Austria o la laicizzazione del governo dello Stato pontificio. Il Primatosegnava inoltre un ripiegamento rispetto ad alcune delle tesi sviluppate nell'Introduzioneallo studio della filosofia e conteneva positivi apprezzamenti nei riguardi della Compagnia di Gesù. Accolto con favore in ambienti laici ed ecclesiastici, compresi quelli gesuitici, ma stroncato da Ferrari nel quadro della polemica antigiobertiana che percorreva il suo saggio La philosophie catholique en Italie (uscito in due puntate sulla Revue des deux mondes, cui G. rispose con una lettera pubblicata in appendice alla seconda edizione di Degli errori filosofici di SERBATI), il libro contribuì in modo rilevante alla formazione dell'opinione nazionale, pur a prezzo o forse in ragione delle sue reticenze e dissimulazioni, trovando una naturale collocazione nel contesto del riformismo moderato degli anni Quaranta, specialmente in Piemonte, grazie anche all'apologia, presente in certe sue pagine, della missione nazionale riservata allo Stato sabaudo sotto il profilo militare, e all'esaltazione del riformismo carloalbertino: temi subito ripresi e sviluppati, in senso più marcatamente sabaudista ma anche meno proclive all'idea del primato italiano, nelle SPERANZA DEGL’ITALIANI di BALBO (che sul finire ha parte principale nella nomina di G. a socio nazionale non residente dell'Accademia delle scienze di Torino). Di segno opposto furono le accoglienze riservate al Primato da Mazzini e dai neoghibellini. La prima edizione del Primato - la cui lettura era resa ancora più ardua dalla mancanza di un indice analitico - andò rapidamente esaurita, e G. provvide ad allestirne una seconda corretta, stampata dallo stesso tipografo belga, e comprendente un lungo testo introduttivo, che venne tirato a parte in 2000 copie col titolo di Prolegomeni del Primato. Qui G. abbandonava alcune delle originarie cautele, con un pronunciamento a favore della monarchia rappresentativa e con un'acre denuncia degli orientamenti settari attivi nella Chiesa e identificati in particolare nell'Ordine gesuitico o, per meglio dire, nel "gesuitismo" inteso come categoria morale contrapposta al "cattolicismo" e incompatibile con la civiltà moderna e i suoi valori nazionali. Ciò innescava un'aspra controversia, destinata ad aggravarsi e a prolungarsi nel tempo, con eminenti scrittori della Compagnia, segnatamente con F. Pellico, fratello di Silvio, e Curci, non senza il sostegno e l'incoraggiamento del padre generale J. Roothaan.  I Prolegomeni segnavano una prima sterzata rispetto alle tonalità ecumeniche del Primato, e il riaffiorare nel G. di una virulenta vena polemica che trovò un successivo sfogo nella pubblicazione del Gesuita moderno, apparso a Losanna. Una parte non trascurabile nella vicenda ebbe il passaggio di G. da Bruxelles a Parigi, reso possibile dall'autonomia finanziaria assicuratagli dalla buona riuscita della sottoscrizione promossa a Torino da Pinelli per una nuova edizione delle sue opere complete. A Parigi, ove rinsaldò l'amicizia con G. Massari (divenuto nel frattempo suo discepolo e ammiratore), G. si trovò nel pieno dello scontro sulle scuole delle congregazioni e nel cuore delle controversie sulla Compagnia di Gesù innescate dai corsi tenuti al Collège de France da Quinet e da Michelet. Soprattutto, suscitò grande eco nell'animo di G., che ne avrebbe tratto a più riprese corrosivi spunti antigesuitici, il coinvolgimento della Compagnia nei coevi conflitti politico-religiosi della Svizzera, sfociati poi nella guerra del Sonderbund.  Impostato come una replica alle critiche dei padri Pellico e Curci, Il gesuita moderno si trasformò strada facendo in un farraginoso lavoro in cinque volumi (l'ultimo dei quali di documenti) scritto dal G. in uno stato di tensione e di inquietudine che lo induceva a sospettare di una sistematica opera di spionaggio messo in atto da emissari della Compagnia nei suoi confronti. L'opera era un concentrato di argomenti antigesuitici ricavati dalla storia e collegati dall'idea dominante già abbozzata nei Prolegomeni: la radicale e irrimediabile ostilità dello spirito gesuitico, in quanto pervaso da misticismo, lassismo morale e autoritarismo, a un cattolicesimo civile, ispiratore del movimento nazionale. Nel rappresentare il gesuitismo come il principale e più subdolo nemico del Risorgimento, G. prendeva anche in considerazione, in un'appendice al quinto volume, le tesi enunciate d’Azeglio nel saggio Della nazionalità, dove si affermava non essere l'indipendenza politica un attributo necessario della nazionalità, e veniva definito inammissibile il perseguimento di uno Stato nazionale se in conflitto con i diritti dei sovrani. G. vi contrappone un'idea di nazionalità come "creatrice di diritti", fattore sostanziale e incoercibile di identità di un popolo, in tal modo proclamando non solo l'incomponibile divaricazione tra due idee di nazionalità, ma anche prendendo definitivo congedo dalle sfumature legittimistiche del Primato.  Gli eccessi polemici del Gesuita moderno, singolarmente contrastanti con la moderazione del Primato, gli valsero un'accoglienza controversa e suscitarono non poche critiche anche da parte di cattolici liberali come Balbo, SERBATI e Tommaseo; ma assicurarono ulteriore udienza e popolarità all'autore e un'ampia circolazione, superiore a quella del Primato, all'opera, che non era stata interdetta dalla censura ecclesiastica ed era venuta a cadere in una fase in cui il vento antigesuitico spirava forte negli Stati europei (la seconda edizione fu tirata in 12.000 copie).  I cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nella situazione italiana con l'elezione di Pio IX e l'accelerazione del movimento riformatore, gli atteggiamenti assai cauti, se non riguardosi, del nuovo papa, già lettore del Primato, nei confronti di G., e, viceversa, il moltiplicarsi delle critiche al Gesuita modernoin Italia e più ancora in Francia, specialmente per mano dell'archeologo Ch. Lenormant, indussero G., a porre mano a un nuovo lavoro, l'Apologia del libro intitolato "Il gesuita moderno", con alcune considerazioni intorno al Risorgimento italiano (Bruxelles e Livorno). Qui la rinnovata battaglia contro il gesuitismo, estesa ora al partito francese dei "laici ipercattolici" capeggiato da Montalembert, veniva a connettersi più direttamente con i progressi compiuti nel frattempo dal movimento nazionale e interpretati dal G. come una totale convalida delle proprie tesi. Sennonché, tra l'inizio della stesura e della stampa, progredita assai lentamente, e la conclusione del lavoro erano intervenuti il sovvertimento della scena politica europea con la rivoluzione parigina del febbraio (direttamente osservata e idealmente difesa dal G.), la concessione degli statuti da parte dei maggiori sovrani italiani, la rivoluzione di Vienna e la crisi dell'Impero austriaco, l'insurrezione milanese, l'avvio della guerra in Italia. Inoltre la Compagnia di Gesù era stata espulsa da molti Stati, tra cui quello sabaudo, tanto da far pensare al G. che i gesuiti, dei quali aveva auspicato in lettere private l'espulsione, fossero "morti politicamente", pur continuando a sopravvivere "i loro spiriti". Tutto questo impose un rifacimento del capitolo finale dell'opera, più legato all'attualità, e la stesura di un lungo proemio, datato Parigi, in cui i fatti italiani, a partire dalla rivoluzione siciliana del gennaio, entravano prepotentemente nella sua analisi, rendendo il libro ancor più eterogeneo nei suoi contenuti e il suo titolo ancor più inadeguato, ma accrescendone pure di molto l'interesse. L'opera vide finalmente la luce, in quattro edizioni quasi contemporanee, quando il G. era ormai ritornato a Torino. Molteplici elementi imprimevano all'Apologiail tono di un manifesto programmatico, in linea con i numerosi interventi avviati da G. su alcuni giornali liberali come la Patria di Firenze, l'Italia di Pisa, il Risorgimento e soprattutto la Concordia di Torino, diretta da L. Valerio: in primo luogo, l'esaltazione, condotta con toni volutamente forzati, dell'azione riformatrice di Pio IX, nel quale G. indica l'incarnazione provvidenziale del pontefice da lui stesso preconizzato, guida del Risorgimento nazionale interpretato come "un evento religioso, europeo, universale", promotore di "una rivoluzione fondamentale negli ordini umani del cattolicesimo" e di una metamorfosi del Papato da "aristocratico e monarcale" a "popolano e democratico come nelle sue origini"; in secondo luogo, la perorazione per la sollecita creazione di un regno costituzionale dell'Alta Italia sotto la dinastia dei Savoia, accompagnata dalla confutazione dei programmi municipalisti e repubblicani. Per altro verso, l'Apologia portò allo scoperto, sotto la sollecitazione degli eventi, venature del pensiero giobertiano in precedenza tenute in ombra, riflettendone gli approdi più recenti. Il libro era tutto attraversato dal tema della democrazia, non tanto intesa come ordinamento politico, ma quale prorompente e benefica "rivoluzione, che per la mole, l'estensione, la natura, l'importanza, la durata, non si può comparare a niuna di quelle che la precedettero, la quale avrà per ultimo esito di conferire al popolo la piena signoria delle cose umane"; rivalutava, rifacendosi alle opere di Lamartine e Michelet, l'opera dei giacobini nella Rivoluzione francese; assegnava a meta conclusiva del movimento nazionale, dopo la necessaria fase federativa, la costituzione di uno Stato unitario, accennando a una sua futura trasformazione in senso repubblicano; individuava il solo modo di perpetuare la monarchia pontificia in una riforma costituzionale dello Stato della Chiesa, che consentisse al papa, in quanto principe temporale, di regnare senza governare e di realizzare la "separazione assoluta del governo spirituale dal temporale".  Quando rientrò a Torino, dopo oltre quattordici anni di esilio e accolto da entusiastiche manifestazioni, G. era reduce da una prima cocente delusione politica, determinata dall'annuncio confidenziale, pervenutogli a Parigi e seguito da immediata smentita, della sua nomina a ministro dell'Istruzione nel gabinetto Balbo, fatta cadere dal veto di Carlo Alberto, che gli era e gli restò ostilissimo. In compenso, in un collegio torinese e in uno genovese era appena stato eletto a sua insaputa alla Camera subalpina, che alla metà di maggio lo proclamò proprio presidente. Fino alla fine di luglio, tuttavia, G. non mise piede in Parlamento, perché ai primi di maggio, accompagnato da don G. Baracco, già era partito per una lunga peregrinazione politica, che lo avrebbe portato a Milano (dove ebbe un incontro col Mazzini), al quartier generale piemontese di Sommacampagna (dove fu ricevuto da Carlo Alberto), poi, attraverso la Lombardia e l'Emilia, a Genova, a Livorno, a Roma (dove soggiornò due settimane e fu ricevuto in tre diverse udienze da Pio IX), e infine, per l'Umbria e le Marche, a Bologna e a Firenze, donde rientrò, via Genova, nella capitale sabauda. Il viaggio per l'Italia, avvenuto in una fase in cui la guerra federale contro l'Austria aveva ricevuto un colpo letale dall'allocuzione di Pio IX  - il cui significato il G. tentò invano di minimizzare - e dalla reazione borbonica di maggio, fu tanto indicativo dei vertici raggiunti dalla popolarità del G., ovunque fatto oggetto di accoglienze trionfali e talora deliranti, e tanto ricco d'incontri con i più vari circoli politici, quanto povero di durevoli risultati. Nel corso di tale viaggio, affrontato con lena missionaria, il G. propagandò fervidamente alcune idee-guida: in nome della concordia nazionale combatté a spada tratta le ipotesi repubblicane di ogni genere, i movimenti da lui tacciati di municipalismo, i progetti per un'assemblea costituente, che finì tuttavia per ritenere inevitabile e non pericolosa a certe condizioni; invocò il pronto accoglimento dei voti di unione al Regno sabaudo del Lombardo-Veneto e la proclamazione di un forte regno dell'Italia settentrionale; tentò con la medesima energia di rilanciare la soluzione federale, contro i riaffioranti particolarismi statali e dinastici, non esclusi quelli del Piemonte; si adoperò per un consolidamento del sistema costituzionale a Roma, utilizzando anche i propri rapporti di amicizia con il ministro T. Mamiani.  Analoghi programmi il G. sostenne durante la breve vita del gabinetto Casati, al quale fu aggregato dal 29 luglio, giusto all'indomani del disastro di Custoza, in qualità di ministro senza portafoglio e poi dell'Istruzione, facendosi personalmente promotore della missione del Rosmini presso Pio IX, finalizzata alla stipulazione di un trattato confederale e di un nuovo concordato. Ma la firma dell'armistizio Salasco e l'interruzione della guerra con l'Austria lo colsero di sorpresa. Di fronte alla svolta che portò alle dimissioni del governo Casati, il G. abbracciò posizioni assai impopolari presso i moderati, dapprima avversando e poi perorando una richiesta di aiuto militare alla Repubblica francese, combattendo a spada tratta la richiesta di una mediazione diplomatica franco-inglese, schierandosi per una ripresa della guerra in una cornice federativa quanto mai inattuale. Le ombrosità e le ambizioni del G., che aspirava alla presidenza del Consiglio, ebbero modo di tradursi in aperto dissenso politico in occasione della formazione del governo presieduto da C. Alfieri di Sostegno (poi da E. Perrone di San Martino), che pure includeva tre amici del G. come il Pinelli, in posizione preminente, Merlo e Santarosa. Al nuovo ministero G. dichiarò guerra aperta con un opuscolo dai toni aggressivi, I due programmi del ministero Sostegno (Torino). Accusato il nuovo governo di spirito municipalista, cioè di disinteresse per le sorti degli altri Stati italiani, G., che aveva lasciato il seggio parlamentare in occasione della sua nomina ministeriale, tentò, facendo appello all'opinione pubblica nazionale, di promuovere una politica alternativa basata sull'idea di una Costituente federativa con mandato limitato, da contrapporre sia all'inerzia del governo piemontese in carica, sia ai programmi di Costituente agitati dai gruppi democratici radicali. Fu quindi coinvolto nella fondazione della Società nazionale per la confederazione italiana, che tenne in ottobre a Torino il suo primo e unico congresso. Preceduto da un suo infiammato indirizzo "ai popoli italici" (dov'erano tra l'altro adombrati gli irreparabili guasti religiosi di un eventuale "funesto scisma d'Italia e di Roma") e aperto da un discorso introduttivo in cui G. denuncia le colpe dei repubblicani pratici e le "disorbitanze dei democratici schietti e dei comunisti", il congresso si concluse con la faticosa elaborazione di un progetto di Costituente federativa e con la proclamazione del carattere irrevocabile della fusione delle regioni settentrionali nel Regno dell'Alta Italia.  Rieletto alla Camera nella tornata suppletiva del 30 settembre e nuovamente asceso alla presidenza dell'Assemblea, dopo le dimissioni del governo da lui accanitamente avversato il G. ebbe a metà dicembre l'incarico di presiedere il nuovo ministero, in cui assunse anche il dicastero degli Esteri. Salito alla presidenza del Consiglio non più come simbolo di unità e di concordia ma come esponente di maggior spicco dell'opposizione, nel discorso programmatico definì il proprio ministero con l'appellativo di democratico, cioè, come disse, volto a innalzare la plebe "a dignità di popolo", a serbare rigidamente l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge comune, a provvedere agli interessi delle province, con implicito riferimento alla difficile situazione genovese, a "corredare il principato d'istituzioni popolane, accordando con gli spiriti di queste i civili provvedimenti"; manifestò inoltre l'intenzione di riprendere la guerra interrotta, di promuovere una Costituente federativa italiana, e proclamò il diritto degli Stati italiani - di fatto, il diritto dello Stato sabaudo, cui attribuiva apertamente una funzione egemonica - di intervenire negli altri Stati della penisola per evitare sommovimenti rivoluzionari o interventi militari stranieri. G. s'inoltrò pertanto in una politica nazionale alquanto avventurosa, seppur coerente con il principio, carico di valore ideale ma povero di forza normativa e da lui ribadito in documenti ufficiali, per il quale egli affermava la sussistenza di un diritto della nazionalità, preminente sulle vigenti istituzioni politiche e imperativo nelle relazioni tra gli Stati italiani. Venne così progettando invii di truppe sarde nei punti critici della penisola e si propose come indesiderato mediatore tra i sovrani italiani e i loro popoli. Del tutto vani si rivelarono i suoi insistiti tentativi di intermediazione tra Pio IX, rifugiatosi a Gaeta, e la commissione provvisoria di governo di Roma, intesi a ricondurre il pontefice nel suo Stato con l'appoggio di truppe piemontesi subordinato al mantenimento degli ordini costituzionali; e volti nel contempo a impedire l'ingresso di Mazzini in Roma e la convocazione della Costituente italiana.  Sul finire dell'anno G. chiede e ottenne dal sovrano lo scioglimento della camera e l'indizione di nuove elezioni, che videro il suo personale successo in dieci collegi del Regno, ma produssero un'Assemblea decisamente sbilanciata sulla Sinistra democratica. Poco attento agli equilibri parlamentari, che considerava con un certo disdegno, abbandonate le velleità di convincere Ferdinando di Borbone e gli indipendentisti siciliani ad affidare alla Costituente federativa la composizione del loro prolungato conflitto, s'addentrò in un'avventura militare che doveva riuscirgli fatale. Dopo aver lungamente tentato, grazie anche ai suoi buoni rapporti con Montanelli, di indurre il governo democratico toscano a più moderati consigli circa i ventilati progetti di Assemblea costituente, posto di fronte alla traduzione di tali progetti in legge operativa e alla successiva fuga di Leopoldo II, G. predispose in gran segretezza un intervento armato piemontese in Toscana, per riportare il granduca sul trono preservando il sistema costituzionale. La conoscenza del disegno, rivolto contro un governo di orientamento marcatamente democratico, e degli atti compiuti per realizzarlo, provocò la sollevazione del Parlamento sardo, una frattura profonda nella compagine ministeriale e le dimissioni del presidente del Consiglio, accolte di buon grado dal sovrano, pronto a sostituirlo con il generale A. Chiodo. Per sostenere le ragioni della propria politica, invisa ormai alla maggioranza dei gruppi parlamentari di ogni orientamento, G. da vita a un giornale politico, il Saggiatore, sul quale intervenne per invocare l'unità degli spiriti in occasione della ripresa della guerra con l'Austria, da lui perorata ma ora altamente disapprovata per i modi in cui era avvenuta. Dopo Novara l'abdicazione di Carlo Alberto e l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II, G., su invito di Pinelli, accetta di entrare come ministro senza portafoglio nel nuovo gabinetto presieduto da Launay, nonostante il solco profondo che lo divideva dal primo ministro e dai suoi orientamenti conservatori, e di assumere l'incarico di inviato straordinario del Regno sardo a Parigi. L'indeterminatezza del compito affidatogli e gli atti poco amichevoli compiuti dal governo piemontese nei suoi confron ti non appena giunto a destinazione, indicavano che il vero significato della missione era quello di togliere di mezzo l'incomodo personaggio, anche per favorire le trattative di pace con l'Austria. Il G., che aveva preso a tessere relazioni con vari personaggi della vita politica francese e inglese, tra cui Tocqueville, reagì con la consueta irruenza, troncò ogni rapporto ufficiale con il Regno sardo dimettendosi da deputato, da ministro e da inviato straordinario, manifestò a chiare lettere il suo pessimismo sulla situazione italiana, espresse il suo distacco dal Piemonte anche con la decisione di restituire le somme pervenutegli per l'edizione delle sue opere, e si ritirò in un secondo, volontario esilio.  Si aprì per G. un altro periodo operosissimo sul piano intellettuale e di riflessione, non certo distaccata, sugli eventi di cui era stato protagonista. Nella corrispondenza privata, tutta intessuta di riferimenti alla situazione italiana, francese ed europea, ebbe modo di reagire, con sarcasmo misto ad amarezza, alla condanna comminata dalla congregazione dell'Indice al suo Gesuita moderno, adottando pubblicamente la linea del silenzio anziché quella della sottomissione. Sul piano politico espresse a più riprese la convinzione che le idee repubblicane, colorate di socialismo, fossero in fase di inarrestabile ascesa, affermando, in una letteram di vedere all'opera una Provvidenza tinta di rosso "perché ordina tutto al trionfo vicino o lontano di questo colore". Si dichiarava altresì fautore di un ordinamento scolastico saldamente nelle mani dello Stato, in quanto promotore e responsabile dell'"educazione nazionale", della gratuità dell'istruzione primaria, dell'assistenza pubblica ai vecchi, agli ammalati e alla povertà che non trova da lavorare.  Mentre usciva a Capolago, per iniziativa e con un'introduzione del Massari, una raccolta di lettere, interventi e discorsi con il titolo di Operette politiche, G. riprese in mano i propri lavori di argomento filosofico e religioso, editi e inediti, ma soprattutto si dedicò alacremente alla stesura di una nuova opera di ampio respiro che volle si stampasse a Parigi sotto la sua sorveglianza, pur affidandone la pubblicazione all'editore torinese Bocca: era Del rinnovamento civile d'Italia, che vide la luce in due volumi, il secondo dei quali contenente anche una nutrita parte documentaria. Il Rinnovamento si presenta come una riflessione politica che, prendendo spunto dalla ricostruzione critica e storica degli eventi, affronta il tema generale delle mutate condizioni interne e internazionali in cui l'unificazione nazionale avrebbe ripreso il suo cammino. Il saggio proclama la fine della fase del Risorgimento e l'inizio della fase del rinnovamento, concepito come parte integrante "di un moto comune a quasi tutta l'Europa: il primo si era mosso nella logica di una trasformazione graduale delle cose, il secondo avrebbe assunto "aspetto e qualità di rivoluzione"; il primo era stato movimento autonomo, governato dalle condizioni dell'Italia, il secondo sarebbe dipeso "in gran parte dai fatti esterni"; il primo aveva dovuto limitarsi all'obiettivo di un sistema federale "perché non ve n'era altro possibile", il secondo non poteva escludere una possibile, e benefica, accelerazione storica verso l'unificazione politica. Su questa falsariga G. affrontava dettagliatamente, traendo lezione dagli errori che a suo giudizio erano stati commessi da tutte le forze nazionali, una serie di argomenti di grande impegno: l'insostenibilità del potere temporale dei papi, la maggiore anticaglia superstite dell'età nostra, dannoso all'Italia, all'Europa e soprattutto al cattolicesimo come causa di subordinazione del Papato alle forze della reazione interne ed esterne; il posto e la natura del partito conservatore e del partito democratico nella politica nazionale; le condizioni alle quali il Piemonte, il paese più scarso di spiriti italici, dominato da una classe politica di patrizi e di avvocati inclinati al municipalismo, guidato da una dinastia stata finora impropizia all'ingegno, aristocratica e municipale, e nondimeno l'unico ad aver preservato gli ordinamenti costituzionali, poteva svolgere quel ruolo egemonico su scala nazionale che solo avrebbe salvato la monarchia sabauda da un fatale declino. Un argomento che l'autore adduceva a convalida delle proprie tesi, e che, diversamente dal Primato, implicava l'attribuzione al REGNO SARDO di un ruolo anche morale (pur rimanendo una futura "Roma laicale e civile il principio ideale della risurrezione italica"), era la politica ecclesiastica inaugurata dalle leggi Siccardi: un passo verso la "separazione assoluta tra le due giurisdizioni", la temporale e la spirituale, costituente "la prima base della libertà religiosa, che tanto è cara ai popoli civili", cornice necessaria alla formazione di un clero "liberale e sapiente", capace di purgare la religione "dagli errori e dagli abusi che la guastano".  Ma il Rinnovamento era pure un discorso di scienza civile, secondo la definizione giobertiana, intessuto di riferimenti a MACHIAVELLI, ma condotto sulla base dei "bisogni principali dell'età nostra, il predominio della filosofia, l'autonomia delle nazioni e il riscatto della plebe": a soddisfare i quali G. pone come condizioni l'esistenza di governi liberi, la costituzione di Stati a misura nazionale, il funzionamento di ordini civili atti a promuovere l'innalzamento della plebe a popolo. Per tale aspetto una funzione determinante veniva attribuita, da un lato, all'"ingegno", cioè alle élites intellettuali, chiamate a imprimere unità e coesione alla "sciolta moltitudine", e a impedire che sotto il simulacro della democrazia trionfasse invece la demagogia dei numeri e delle masse; dall'altro lato, alle riforme economiche, "unico riparo al comunismo politico", se volte a ripartire e a regolare le ricchezze (anche con l'imposta progressiva) e non a inaridire le sue fonti. Il Rinnovamento, percorso tra l'altro da fremiti antiborghesi, rifletteva una visione del movimento nazionale quale luogo d'incontro e d'interazione tra le "aristocrazie dell'ingegno", tratte dal popolo e da questo riconosciute, e le plebi anelanti al proprio riscatto sociale, garantite da una monarchia non solo costituzionale, ma anche schiettamente popolare.  Nel pubblicare il Rinnovamento iG. era convinto che l'opera sarebbe incorsa nell'interdetto della Chiesa. Quando apprese che il S. Uffizio, con decreto condanna tutte le sue opere, in qualunque lingua pubblicate, si consola col rilevare che, involgendo nella proscrizione anche quegli saggi che sono conosciuti da tutti per irreprensibili, si erano meglio manifestati il puntiglio di Pio IX e la vendetta dei gesuiti.  I pesanti giudizi su figure eminenti della classe politica subalpina di cui il Rinnovamento è cosparso, provocarono una tempesta di polemiche, cui G. risponde con due opuscoli, il primo dei quali contene una risposta (che non cambia, ma semmai aggrava la sostanza di quei giudizi) alle risentite reazioni di Rattazzi, di Gualterio e del generale Dabormida. Il secondo intitolato Ultima replica ai municipali, ha soprattutto di mira il Pinelli e C. Bon Compagni, schieratosi a difesa del vecchio amico del G. e ormai divenuto uno dei suoi bersagli preferiti, il quale si è ammalato gravemente nel bel mezzo della diatriba. La morte di Pinelli, sopravvenuta quando già l'opuscolo è stampato, crea grande imbarazzo a G., che stese a tamburo battente un Preambolo in cui rende giustizia sul piano personale alla figura del defunto, decidendo in seguito, dopo vari tentennamenti, di far distruggere le oltre 1200 copie già stampate dell'ultima replica - di cui resta un solo esemplare - e di mettere in circolazione esclusivamente il Preambolo (Parigi e Torino). È l'ultimo saggio edito lui vivente. In assoluta solitudine G. muore infatti improvvisamente, nel suo modesto appartamento di Parigi. Tra le sue carte rimase una mole imponente di frammenti manoscritti e di opere incompiute e inedite, costituenti nel loro insieme una specie di continente sommerso, non meno rilevante, per la conoscenza del suo pensiero, degli scritti da lui dati alle stampe. Questo materiale manoscritto fu in parte pubblicato postumo, con scarso rigore, dal Massari che, nel quadro di un'edizione delle opere inedite giobertiane, di cui uscirono a Torino volumi, da alle stampe i frammenti Della riforma cattolica della Chiesa e la Filosofia della Rivelazione, seguiti dalla Protologia, forse la maggior opera filosofica di G., che ne aveva incominciato la stesura negli anni Quaranta. A cura di Solmi, furono editi, con criteri non meno discutibili, i frammenti della Libertà cattolica e della Teorica della mente umana, insieme con il dialogo Rosmini e i rosminiani. In seguito La riforma cattolica e La libertà cattolica furono ripubblicate, in modo più corretto, da G. Balsamo Crivelli e da Bonafede, insieme con la Filosofia della Rivelazione, e nell'edizione nazionale delle opere, da Vasale. Appartenenti per la maggior parte alla produzione che G. aveva definito acroamatica, le opere postume, pur nel loro stato di incompiutezza, rivelano un G. che si confrontava in maniera più diretta con la critica della religione sviluppata dalla cultura primo-ottocentesca, anche nelle sue espressioni radicali. L'obiettivo di questi lavori era la dimostrazione dell'adeguatezza del cattolicesimo, liberato dalle sue deformazioni temporalistiche, autoritarie e iper-mistiche, nel rispondere ai bisogni intellettuali e morali dell'uomo moderno. A questo fine G. assumeva come fondamento del suo rinnovato discorso religioso-filosofico la nozione cattolica di tradizione, facendone il criterio ermeneutico dell'evoluzione storica delle forme religiose e dello sviluppo del cristianesimo in senso secolare. Ne derivava un'interpretazione molto audace per la sua epoca del rapporto tra libertà e autorità in materia religiosa e, in generale, della dogmatica cattolica. Tali opere dimostrano che il pensiero giobertiano in materia religiosa si era vieppiù spostato dall'asse della riforma ecclesiastica o politica a quella della riforma religiosa. Ciò spiega anche la riscoperta du G. in epoca modernistica; senza trascurare tuttavia che una parte molto consistente della cultura dell'Ottocento e del Novecento si è misurata con l'eredità giobertiana, dall'idealismo al federalismo (specialmente meridionale), dal gentilianesimo al nazionalismo e quindi al fascismo, dal popolarismo di L. Sturzo alla cultura democratico-cristiana.  Fonti e Bibl.: La principale raccolta di manoscritti giobertiani è quella giunta dopo varie vicende in possesso della Bibl. civica di Torino, che li conserva rilegati in maniera alquanto arbitraria e classificati in un indice sommario: si tratta di carte che G. aveva con sé al momento della morte, riguardanti i frammenti miscellanei, appunti ed estratti di lavoro, e gli autografi delle opere più tardive, pubblicate postume. Alla stessa biblioteca sono anche pervenute una parte della biblioteca personale di G. (il cui principale nucleo fu peraltro venduto all'incanto dopo la sua morte), poche decine di sue lettere autografe e circa 2500 lettere di corrispondenti, il cui indice è stato pubblicato col titolo Le carte giobertiane della Bibl. civica di Torino da G. Balsamo Crivelli, al quale risale anche La fortuna postuma delle carte e dei manoscritti di V. G. ora depositati nella Bibl. civica di Torino, in Il Risorgimento italiano; cfr. anche P.A. Menzio, Cenni sulle carte e sui manoscritti giobertiani, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, Manoscritti autografi riguardanti Il Rinnovamento sono conservati nella Bibl. nazionale di Napoli e presso l'Istituto per la storia del Risorgimento italiano di Roma, quasi integralmente pubblicati a cura di Quattrocchi nel volume Inediti del Rinnovamento, ed. nazionale, Roma .  L'Epistolario, a cura di Gentile - Balsamo Crivelli, Firenze, è lungi dall'essere esaustivo; le lettere sono riprese, salvo rari casi, da precedenti edizioni a stampa come: V. G., Ricordi biografici e carteggio, a cura di G. Massari, Torino Il Piemonte. Lettere di V. Gioberti e Pallavicino, a cura di B.E. Maineri, Milano ; D. Berti, Di V. G. riformatore politico e ministro con sue lettere inedite a P. Riberi e G. Baracco, Firenze 1881; Lettere inedite di V. G. e saggio di una bibliografia dell'epistolario, a cura di G. Gentile, Palermo ; Lettere di V. G. a Pinelli, a cura di V. Cian, Torino; G. - Massari. Carteggio a cura di G. Balsamo Crivelli, Torino; Carteggio Lambruschini - Gioberti, a cura di A. Gambaro, in Levana. Un numero cospicuo di lettere a G. è pubblicato col titolo di Carteggio di V. G., Roma in un'edizione che comprende lettere di P.D. Pinelli (a cura di Cian), di I. Petitti di Roreto (a cura di Colombo), di Baracco (a cura di Madaro), di Bertinatti (a cura di Colombo), di "illustri italiani" e di "illustri stranieri", a cura di L. Madaro. L'Edizione nazionale delle opere edite e inedite, avviata con la riedizione dei Prolegomeni del Primato, a cura di E. Castelli e affidata nel tempo a tre editori diversi, è giunta, con il secondo tomo dei Pensieri numerati, a cura di G. Bonafede, Padova: comprende ormai tutte le principali opere del G., pubblicate con criteri non omogenei. Materiale giobertiano continua peraltro a venire alla luce: per es., Appunti inediti di V. G. su Cartesio. La storia della filosofia, a cura di E. Bocca - G. Tognon, Firenze. Le principali bibliografie giobertiane sono quelle di BRUERS (si veda), G., Roma che comprende circa 1400 titoli, e di Talamo, in Bibliografia dell'età del Risorgimentoin onore di Ghisalberti, I, Roma Tra le voci enciclopediche: G., V., di G. Saitta, in Enc. Italiana; di L. Stefanini, in Enc. Cattolica, VI; di Mazzantini, in Enc. Filosofica; di Traniello, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, Per una sintesi delle interpretazioni: Bonafede, G. e la critica, Palermo. Tra le opere più recenti: Passerin d'Entrèves, Ideologie del Risorgimento, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), L'Ottocento, Milano Noce, Gentile e la poligonia giobertiana, in Giornale critico della filosofia italiana, Derossi, La teorica giobertiana del linguaggio come dono divino e il suo significato storico e speculativo, Milano Traniello, Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo-piemontese (1825-1870), Milano Pignoloni, G. e il pensiero moderno, in Rivista rosminiana, Le postume giobertiane nel giudizio della critica, Martina, Pio Roma Vasale, L'ultimo G. fra politica e filosofia. Appunti sulle origini ottocentesche dell'ideologia in Italia, in Storia e politica Romeo, Cavour e il suo tempo, II, Roma-Bari Galimberti, G., Gentile, Rosmini, in Giornale critico della filosofia italiana,Vasale, Riforma e rivoluzione nel G. postumo, in Storia e politica, Rigobello, V. G., in Christliche Philosophie im katholischen Denken des 19. und 20. Jahrhunderts, a cura di E. Coreth, I, Graz-Wien-Köln Salvia, Il moderatismo in Italia, in Istituzioni e ideologie in Italia e in Germania tra le rivoluzioni, a cura di U. Corsini - R. Lill, Bologna Traniello, La polemica G. - Taparelli sull'idea di nazione e sul rapporto tra religione e nazionalità, in Id., Da G. a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano Il cattolicesimo riformato di V. G., in Storia illustrata di Torino, a cura di V. Castronovo, Milano Romagnani, V. G., Chiodo, Launay, Azeglio, Roma Vasale, Il significato del federalismo giobertiano nella storia d'Italia, in Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, a cura di G. Pellegrino, Stresa-Milazzo Pesce, Peyron e i suoi corrispondenti. Da un carteggio inedito, TrevisoG. Rumi, G., Bologna Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di G. Milano. La sovrintelligenza. Concetto, METODO E DIVISIONE DELLA FILOSOFIA. Dommatismo. COSTRUZIONE DEL PRIMO TERMINE DELLA FORMOLA. L'Ente. Definizione del Primo. Distinzione del Primo psicologico e del Primo ontologico. Il Primo filosofico. Caratteristica del Primo filosofico giobertiano. Polemica contro SERBATI. Il Primo è l'Ente reale. Cosa sia la realtà. G. non arriva a dirlo chiaramente. Difetto e pregio del suo concetto della reallà. Del concreto: unità del positivo e del negativo. Deduzione della realtà dell'Ente dal CONCETTO dell'Ente. Dal giudizio, “L’Ente è” non si deduce la realtà del. L'intuito. O ľEnte Si contradice all'ontologismo. LA CONOSCENZA La riflessione psicologica. La riflessione ontologica. LA PAROLA. COSTRUZIONE DELLA FORMOLA IDEALE. Si confonde la realtà col puro essere  Personificazione dell'Ente. Abbozzo della vera via di dedurre la realtà dell'Ente. Realtà o SUSSISTENZA = intelligibilità o idealità. G, non adempie questa esigenza. Relazione tra Ente ed Esistente. Processo a priori e a posteriori. Causa ed Effetto. Prova dell'intuito. Identità dei due ordini, ontologico e psicologico. Verità dell'atto creativo. L'intuito come prova dell'atto creativo. Dommatismo. G., Platone, Schelling ed Hegel. Prove indirette dell'intuito. Lo spirito è produzione di sè stesso. Intuito dell'intuito. Falso concetto della libertà e necessitàd el pen.Conseguenze della dottrina dell'intuito. Ontologismo e Psicologismo. Mancanza didialettica. L'intuito come conoscenza dell'atto creativo. L'intuito immediato è la conoscenza empirica. Confusione del primo pensabile edel primo conoscibile. Falso concetto del pensiero speculativo. Duplice ordine psicologico: intuitivo e riflessivo. COSTRUZIONE DEL SECONDO E TERMINE DELLA FORMOLA. G. e Rosmini. Insussistenza delle ragioni recate da G. per difendere il primo ordine come condizione del secondo. Il concetto dell'infinito condizione del concelto del finito. Concetto dell'Ente condizione del concetto dell'esistente. La relazione ei suoi termini. L'ordine intuitivo come cognizione non è che la scienza. Instanza di G.: concetto del Necessario e del contingente. L'intuito dell'atto creativo è lo stesso processo a posteriori. Il Noo. L'INTUITO SPECULATIVO O IL PENSIERO PURO. Prima prova dello Spinozismo giobertiano. Identità e differenza tra Spinoza e G.. L'INTELLIGIBILITA'. Identità di creazione e illustrazione. La vera imma. LA FORMOLA. Seconda prova. L’intuito. Contenuto dell'atto creativo. Dio-Quantità. Caratteri dello Spinozismo: loro contradizione. Concetto generale della differenza tra Spinoza e Gioberti. Anticipazione del concetto di Dio come relazione assoluta. Confradizione. Doppio concetto dell'esistente e di Dio. Dio Quantità. Lo spirito: contradizione.  La vera dificoltà. Soluzione: Dio come SVILUPPO. Prima di Kant e dopo Kant. nenza. Difetto dello Spinozismo. Doppia intelligibilità delle cose. Difficoltà contro la immanenza nel sensibile. Paragone della cognizione colla visione. Meccanismo nello spirito. Concetto dello spirito del conoscere. Kant; l'empirismo. prova. siero. Confusione dell'lilea. Falso Spinozismo. Dio semplice sostanza, non causa. Vero Spinozismo. Dio sostanza causa e della rappresentazione. Relazione del pensiero puro coll'esperienza. Il Noo passivo è il senso. L'Innatismo. IDELAE. SPINOZISMO. Forma dell'atto creativo: meccanismo. DIFFERENZA TRA G. E SPINOZA. Intelligibile assoluto. Intelligibile relativo. Fondamento della soluzione del problema G. riunisce i due difetti. Risposta alla difficoltà precedente, e vero concetto dell'intelligibile relativo. COGNIZIONE DELLA REALTÀ DE CORPI, E ORIGINE DELLE IDEE, COME PROVE INDIRETTE DELLA FORMOLA. PASSAGGIO AL MISTICISMO. COGNIZIONE DELLA REALTA' DE' CORPI.Gioberti non ammette la prova, ma l'inluito della realtà dei corpi. Ragioni del realismo. Necessità di un principio superiore: cos'è. Galluppi: criticato da G. Certezza e verità. Fede e Scienza. Certezza e vedenza metafisica, efisica. Critica. Origine delle idee. precedenti, especialmente di Rosmini. La generazio La dipendenza logica. Distinzione del Sovrintelligibile e dell'Intelligibile. Significato e conseguenza di questa distinzione. Ragionee So  Idealismo e Realismo (imperfetti): idealismo assoluto; certezza ed evidenza. Ragioni dell'idealismo; e suo difetto. SERBATI. Significato generale della questione. Critica de’ filosofi. Distinzione de’ concetti in assoluti e relativi. Rità del mondo. Dottrina propria di G. sulla cognizione de'corpi; e certezza ed evidenza di questa cognizione. Significato e difficoltà del problema. Soluzione: l'Individuazione (creazione: creare è individuare). G. pone bene il problema, ma non lo risolve. Anzi fa impossibile ogni soluzione. Inconoscibilità dell'atto creativo nella sua essenza. Perplessità di G. Critica. Certezza della cognizione de’ corpi. Distinzione della certezza in fisica e metafisica. L'EVIDENZA come fondamento della CERTEZZA in generale. Evi ne ideale. Analisi e sintesi. La produzione ideale giobertiana: attività sintetica originaria. Critica di questa dottrina   vra ragione. Ente ed Essenza. Dipendenza logica e generazione. Contradizioni. Doppio sovrintelligibile: Unità delle determinazioni razionali, e Trinità divina. L'ldea come pura ragione o unità delle determinazioni razionali. Moltiplicilà astratta e unità astratta. Pura sintesi o dipendenza logica, e pura analisi. Vera unità: unità della sintesi e dell'analisi; la moltiplicità come momento dell'unità;unità- processo assoluto. La relazione del concetto relativo coll'Ente. Creazione. Due ipotesi: generazione, e creazione. Risultato. Assurdità dell'atto creativo come punto di passaggio tra l'Ente e l'esistente. La creazione è l'autogenesi dello spirito. La creazione è in sè generazione. Conseguenze di questa dottrina. Risultato generale deila dottrina di G. sulla produzione ideale. Passaggio al Misticismo. ELENCO di saggi di G. possedute dalla Biblioteca di Torino. De Deo et naturali religione, de antiquo foedere, etc. Taurini, Bianco. Teorica del sovrannaturale. Torino, Ferrerò e Franco. Accresciuta d’un discorso preliminare e inedito intorno alle calunnie di un nuovo critico. Capolago, Elvetica. Degl’errori filosofici di SERBATI. Capolago,  Elvetica. Del primato morale e civile degl’Italiani. Brusselle, Meline. Elenco favorito con gentile premura al Comitato Editore dal Prefetto della Biblioteca. Carta. Capolago, Elvetica, Prolegomeni del primato morale e civile degli Italiani. Brusselle, Meline; Introduzione allo studio della filosofia. Brusselle, Hayez. Considerazioni sopra le dottrine religiose di Cousin. Brusselle, Meline. Il Gesuita moderno. Losanna, Bonamici, Torino, Fontana, Capolago, Elvetica, Apologia del saggio intitolato « Il Gesuita moderno », con alcune considerazioni intorno al risorgimento italiano, Paris, Renouard. Del Buono, Capolago, Elvetica. Del Bello. Firenze, Bucci; Allocuzione di un filosofo a Pio IX. Torino; Discorso pronunziato nell’adunanza generale per l’apertura del Congresso nazionale federativo nel Teatro Nazionale. Torino, G. Pombae; I due programmi del Ministero Sostegno. Torino, Fontana; Anti-Primato papale e l’automatismo romano distrutto dal Vangeloe dai Santi Padri, Torino. Lettre sur les doctrines philosophiques et Politiques de Lamennais. Capolago, Elvetica. Del rinnovamento civile d’Italia, Paris, Crapelet; Operette politiche, Documenti della guerra santa d’Italia, Capolago, Elvetica; Preambolo dell’ultima replica ai Municipali. Parigi, Martinet; Risposta a Rattazzi. Sopra alcune avvertenze di Gualterio. Al Generale Dabormida. Torino, Ferrerò e Franco; Della filosofia e della rivelazione, pubblicata per cura di Massari. Torino, Botta; Pensieri e giudizi sulla filosofia italiana, raccolti ed ordinati da Ugolini. Firenze, Barbèra; Della protologia, Massari. Torino, Botta; Profezie politiche intorno agli odierni avvenimenti d'Italia. Torino; Pensieri, Miscellanee. Torino, Botta; Ricordi biografici e carteggio, raccolti per cura di Massari. Torino, Botta; Studi filologici desunti da manoscritti di lui autografi ed mediti fatti di pubblica ragione per cura di Fissore, Torino,Tip. Torinese; Una lettera a ROVERE, pubblicata da Giovanni, Roma, Tip.delle Terme, di a. Balbi; Lettera sugli errori politico-religiosi di Lamennais. G e Bruno. Due lettere inedite, pubblicate da Molineri.Torino, L.Kourt; G.e Pallavicino. Lettere per cura di Maineri, Piemonte, Milano, Rechiedei; METAFISICA ONTOLOGIA Dell'Ente come concreto e reale. Dell'Ente, come astratto ed ideale,  Dell'atto creativo. TEOLOGIA RAZIONALE velazione e della Civiltà colla Reli . Primo Storico Del tempo e dello spazio. Delle convenienze della ragione colla R i COSMOLOGIA LOGICA fato, della fortuna e del destino, dell'accidente e della necessità. Della sovrintelligenza e del desiderio  Della definizione e della divisione. Del metodo. gressisti. Della volontà umana. Delle facoltà dello spirito umano. Del raziocinio e delle sue forme esteriori. Dell'arte critica. Ciclo generativo e Cosmogonico Della forza cosmica.. DELLA PROPRIETA DELLE PAROLE. Delle proprietà dell'uomo . Dei giudiziie delle proposizioni.  Prima di esporre la filosofia acroamatica si compie il ritratto della vita dell'autore. G. si ritira nella vitaprivata- come ei parla disè stesso cerca di rompere ogni legame non pure col Governo, ma cogl iuomini come sostiene la vita – la povertà di lui dà occasione ad un atto generoso di SERBATI — per tenersi pronto a stampare alcuna opera utile all'Italia non vuole dettare un Discorso su ALFIERI – quali erano i casi improvisi che poteano indurlo a stampare — perchè opina più probabile che la repubblica francese non cadesse — concetto che egli ha di Luigi Napoleone -- in che fu fal laceilsuo giudizio sulla Francia— nella metà del51 pone inlucc il Rinnovamenlo – intento di questo saggio : sua convenienza e differenza col Primato– censura tutti e tutto coll'intendimento che fa e cia pro nell'avvenire - - -rottura col Pinelli e coi municipali - pole micaconesi— morte del Pinelli—si bruciano le copie del'opuscolo Ultima replica ai municipali— l'autore lascia la politica e ri volge il suo animo tutto al le opere nuove da pubblicare — forse la troppatensione di mente gli nocque- morte improvisa e dolore universale— quanto danno fu alla scienza e alla religione– vocazione di Gioberti no nmancata per la morte intempestiva— le opere postume– quando furono scritte prima o dopo il 48?-  il concetto e il titolo di esse furon suggerito dalle circostanze o ne sono indipendenti? Tutto ciò che ora è stampato appartenev a ad esse secondo l'intendimento dell'autore? -quale fu quest intendimento? - gli scritti postumi sono solo l'apparecchio e imateriali delle opere che voleva dare ala luce- il disegno però v'apparisce: qual 'è desso?-  ragioni che rendono difficile a cogliere la connessione e la verita della dottrina contenuta nei detti scritti apparente antinomia di cssa dottrina -come ho proceduto io per afferrarne l'unità e la germana intenzione in qual formamison risoluto di esporla- fu bene che il Massari curasse la pubblicazione di essiscritti– potevano però esser emeglio ordinati da riuscire piùi ntelligibili–LA DOTTRINA DI G. E PIU DIFFICILE DI QUELLA DI HEGEL. La filosofia ACROAMATICA non è contraddittoria all'essoterica, ma solo tanto diversa - nesso tra l'una e l'altra — differenze della cognizione diretta o spontanea di SERBATI e COUSIN dal pensiero immanente di G. Doppio stato del pensiero umano caratteri dello stato riflessivo e dello stato immanente– l'intuito dell'ente differisce da quello dell'esistente — in che consiste la strellezza speciale dell'ente intelligibile col pensiero immanente -come l'attività dello spirito coesiste coll'Ente senza che questo sia subbiettivato condizioni proprie dello stato immanente - si rimuove una obbiezione dell'attività umana suo doppio stato e differenze dell'uno stato dal l'altro- - della personalità — la penetrazione del pensiero nello stato immanente è diversa dalla compenetrazione dello stato successivo triplice proprietà del pensiero immanente analoga a tre momenti dell'ente- lo spirito sebbene una persona nel pensiero immanente non subbicttivizza la cognizione - l'ordine psicologico è proprio della riflessione: suo fondamento ontologico– anche proprio della riflessione è l'ordine cronologico - che fa il tempo -- onde nasce il ripiegamento della intuizione sovra se stessa— falso modo d'intendere la visione ideale che è la vita anteriore descritta da Platone nel Fe d r o - difficoltà di cogliere il pensiero immanente -la distinzione ben nella della intuizione dalla riflessione corregge la dottrina platonica - obiezione di Grote - come vi si risponde - - dei giudizii – doppio giudizio obiettivo- lo spirito esce dallo stato immanente coll'affermare egli l'Ente- come si afferra il pensicro immanente- del modo come possediamo le idee - le quali nascono per via di disgregazione, non di generazione— dei giudizii analitici e sintetici- si chiarisce un dubbio-del raziocinio della filosofia: sua definizione—FILOSOFIA PRIMA -- Qual'è – cf. H. P. GRICE, “FIRST PHILOSOPHY” -- ;sua distinzione dall'ontologia -obiezione contro la Protologia: risposta -della circuminsessione dei veri: sua radice -criterio del vero - onde nasce l'evidenza e la certezza scientifica — che è un siste m a scientifico - in che senso i principii dipendono e sono illustrati dalle conseguenze — le une non sono affatto eguali in valore agli altri-- dell'ipotesi, de i postulati, ed egli assiomi- se i principii sono astratti, onde si trae la concretezza, senza di che la scienza non avrebbe valore?- Il Primo della scienza è la Formola ideale -- come si prova che è il Primo - mutua collegazione e dipendenza delle verità secondarie e primato relativo della formola -- l'unità scientifica deve salire e fondamentarsi nell'unità ideale trasparente all'intuito - il processo non fa la scienza perfetta - questa risulta dalla intima unione della cognizione riflessiva colla intuitiva -- dell'Ultimo della scienza – LA PAROLA è IL PASSAGIO DAL PENSIERO IMMANENTE AL SUCCESSIVO -- onde si cava LA NECESSITA DELLA PAROLA PER L’USO DEL PENSIERO RIFLESSO – ORIGINE DEL LINGUAGGIO. Tre opinioni sentenza dell'aulo re- come può dirsi che il segno del *linguaggio* è unito al'Idea unità della dottrina di G. su questa materia . DOTTRINA DELL'ENTE Come l'unità e semplicità di Dio si accorda colla moltiplicità degl’attributi - dell'unione dei contraddittorii in Dio - - trasformazione dialettica dei divini attributi— Hegel contuttii panteisti confonde il processo psicologico col'ontologico-l'antropomorfismo é opera del l'imaginazionenon della ragione della futurizione divina -Iddio è insieme sovrintelligibile e intelligibile- negatività di Dio- come conosciamo l'Assoluto? Dio è personale: obiezioni, risposte— Dio produttività infinita-la potenzialità e l'attualità sono diverse in Dio e nelle creature- Dio è libero e necessario- è buono- l'esistenza di Dio è verità intuitiva pel pensiero immanente, dimostrativa pel  DOTTRINA DELLA CREAZIONE L'idea di creazione porta seco per due rispetti l'idea di nulla—delcan successivo- la prova dimostrativa migliore traggesi dalla nozione dell'infinito- processo protologico ed esplicativo delle attribuzioni dell'Ente - attribuzioni esterne ed interne- doppia eptate - dell'infinito; onden'abbiamo l'idea- è determinato; ma s'intendenon si comprende della presunzione divina dell'infinito potenziale nel suo atto — antinomie rislessive: i panteisti frantendono l'idea dell'infinito - assurdità dell'infinito nunerico - distinzione dell'infinito possibile o potenziale dall'attuale - due infiniti: il relativo e l'assoluto dell'infinito aritmetico monadico. giamento l'atlo creativo è uno in sè anche nell'estrinseco é perfetto- puossi considerare per tre rispetti come infinito– l'infinità potenziale del finito suppone il possesso attuale, benchè finito, del l'infinità attuale- in che consiste siffatto possesso— l'atto creativo interviene in tutto — è causa che l'unità dell'Idea si sparpaglia in molte idee  i generi sono vari- la varietà specifica delle cose deriva dalla maggiore o minore intensità dell'atto creativo  zione è divisione e moltiplicazione- rispetto all'esistente l'attocreativo è sintetico e analitico - differenza della causalità finita dall'in finita- che è IL CRONOTOPO – (STRAWSON, INDIVIDUALS, chrono-topoical continunity -- sua unità- come dall'unità dell'istante e del punto si biforca il tempo e lo spazio— l'intervallo è uno- genesi del cronotopo – doppio valore delpunto e dell'istante- dell'in ternità e dell'esternità- l'unità del continuo si rappresenta in ordine lo spazio e il tempo hanno un centro al discreto sotto tre aspetti del passato, sintesi del continuo e del discreto nei modi del tempo -- del presente e del futuro- l'eternità non cresce  doppio continuo, attuale e potenziale -infinitazione del cronotopo- in che senso il mondo è eterno - ogni epoca e stato mondiale è una palingenesi a verso il passato , e una creazione verso l’avvenire - il cronotopo e l'universo infiniti sono reali come intelligibili–  l'indivisibilità del cronotopo dal pensiero colto dal Kant- del pensiero divino e umano-- interio la crea   DOTTRINA DELL'ESISTENTE debbon si dire sull'esistente- questo somiglia all'ente pereffetto della creazione- in che consiste l'impronta dell'ente che porta in sè l'esistente diverso senso dato dall'autore alle voci METESSI (PARTICIPAZIONE) e mimesi quale è il senso che in quest'opera si dà alla prima -- distinzione della potenzae dell'atto- metessi O PARTICIPAZIONE potenziale,intermedia,eattuale l a mimesi - essenziale alle forze create è il concreare e il generare: prove- carattere del primo momento dello sviluppo dinamico – due  Difficoltà di esporre la materia- nesso delle cose dette con quelle che ritàe esteriorità del pensiero umano irrazionalità del vero nella sua concretezza  come il pensiero umano conosce il continuo - l'immanenza dell'eterno dato ci dal pensiero— l'estensione e la DURATA esprimono i limiti dell'esistente  Dialettica; il diverso, la dualità, la moltiplicità appartengono all'essenza della creazione in che versa la dialettica e onde trae il nome due dialettiche: reale e ideale che forma il moto o vita dialettica- la dialettica consta di due momenti, sebbene sembra che consti di tre- gli eterogenei, cioè i diversi ed opposti ,non sono contraddittorii--- differenza della eterogeneità dalla contraddizione secondo un certo rispetto l'eterogeneità è in Dio- l'opposizione riguarda il negativo delle cose- il contrapposto è diverso dall'opposizione- gli eterogenei importano gli omogenei e viceversa- che è il terzo armonico o dialettico come mai il conflitto dialettico pruduce l'armonia — nell'unione dell'omogeneo ed eterogeneo quale prevale ciò che è l'opposto in natura è l'antinomia nella scienza– della antinomia reale e dell'apparente– della guerra- la polemica è la guerra nell'ordine delpensiero- dello scetticismo - lo scetticismo obbiettivo non è sofistico -che sono l'errore e la colpa - due periodi distinti della storia della filosofia - - -divisione e riunione è ilprocesso universale e dialettico- diversità di processo della dialettica dell'Ente e di quella dell'esistente della SCHEMATOLOGIA -- della sofistica - il moltiplice e il conflitto son ridotto ad unità ed armonia mediante la mediazione dell'infinito.  cicli della virtù concreativa delle esistenze realtà d'una intelligibilità relativa- il sensibile è la fuga dell'intelligibile relativo da sèstesso, la sua moltiplicazione, diversificazione e rottura- prove causa per cuil'intelligibile creato si manifesta come solo sensibile negli ordini del tempo differenza della nostra dottrina da quella dei sensisti  nozioni che racchiude l'idea del sensibile- la successiva distruzione e rinnovazione delle forme sensibili è il nisus di esso a diventare intelligibili- il sensibile consiste essenzialmente nella relazione tra l'uomo intelligente e la natura intelligibile - del sensibile interno ed esterno - se il sensibile può o no conoscersi- si chiarisce il significato della parola “sensibile” --  il sensibile schietto non si può pensare- prova che la sensazione non è la cognizione- qual'è l'oggetto della cognizione del sensibile - come si risolve l’antinomia apparente di trovare inescogitabile il sensibile e pure poterlo pensare la dottrina nostra è la sintesi delle diverse dottrine precedenti Galluppi, Rosmini, Platone- nella dottrina di G. non bisogna confondere l'intelligibile assoluto, l'intelligibile relativo e il sensibile- la teorica dell'intelligibile relativo non annienta il sovrintelligibile — si vien divisando più particolarmente la mimesi—mimesi prevalente-esteriorità, apparenza, fenomeno, conflitto, passaggio, metamorfosi -la gerarchia mimetica degli enti consiste nella varietà dei gradi conativi-si notano i principali dellaluce- la maggiore intelligibilità nella natura corporea si manifesta mediante la finalità , dell'uomo; il corpo, chi lo forma —del sonno e dei sogni—l'istinto l'anima e il corpo in parte diversi , in parte uni - doppio stato della vita; latente e manifesta— due vite dell'uomo- delle passioni: la gloria, la malinconia, LA NOIA – facoltà dell'animo: il senso, l'imaginazione, la memoria, la ragione—  le scoperte e i trovati appartengono allo sviluppo metessico del Cosmo -- che cosa è la scienza- lo spirito creato è l'anima del mondo, lo spirito umano è l'anima della lerra- gl'intelligibili intelligenti relativi non sono già dello steso genere due specie di mentalità -che è il pensiero- in che si fonda l'identità del mondo- metessi prevalente: sua definizione- doppia unità , la divina dell'atto creativo, e l'unità metessica e concreativa della relazione; essa sovrasta a i termini che la costituiscono - due relazioni--natura speciale della relazione che corre tra l'Ente e l'esi  Del progresso: che n'è il tipo e il principio – il progresso considerato stente— l'azione finita è reciproca, quindi inseparabile dalla passione: l'unità loro è la relazione, la relazione infinita è una m la relazione è il verace assoluto che rappresenta la relazione essa è l'appicco del finito coll'infinito - riscontro del vero col mondo - le relazioni sono nelle cose, e non solo nello spirito nostro, e nella mente divina -- falsità della dottrina di Hegel che pone l'assoluto e il concreto nelle sole relazioni - la specie non è un'astrattezza la specie non è l'idea specifica- metessicamente non si distingue il tutto dalle parti- come raffigurarci la concretezza della potenza – delle contagioni morali e materiali- l'armonia della mimesi erumpe sempre e risiede sostanzialmente nella metessi iniziale diversità della metessi mimetica dalla finale -dell'implicazione e dell'internità delle cose- qual'è il progress ometessico- v'è una permanenza metessica di ciò che passa mimeticamente- Idea, metessie mimesi – il passaggio della mimesi è creazione e annientamente- accordo di due opinioni opposte- tre condizioni mondiali vanità delle cose umane in quanto passano e si annullano- della dottrina di Protagora- scienza mimetica e metessica Come mai il reale può rassomigliarsi all'ideale? Come mai il finito, il relativo e contingente può rassomigliare il necessario, l'assoluto l'infinito? Come mai le cose materiali possono rassomigliare il pensiero? in riguardo alla metessi iniziale, alla mimesi, e alla metessi linale la mimesi è progressiva nei particolari, solo regressiva nel generale- il regresso è legge del progresso– l'andamento cosmico si alterna di progressi e di regressi— la vita è la sintesi e il dialettismo del progresso e del regresso ma conferma di ciò si trova nell'esame dell'uomo, della religione, dell'arte e della scienza  il progresso quando è passato diventa regresso - accordo dei progressisti e dei regressisti- della periodicità–  è circolare e regressiva di sua natura  ha luogo nelle parti dell'universo, non nel tutto - la forza rallentatrice necessaria alla società come alla natura se il progresso sia reale o apparente --- la periodicità perfetta è sola apparente - corso migliorativo di tutto l'universo- il progresso nasce dall'intreccio del tempo collo spazio- Individuo (cf. P. F. STRAAWSON, INDIVIDUAL) e genere—processo estrinseco dell'atto creativo l'evoluzione è nelle idee, nella metessi, non già nell'Idea— che cosa è la generazione-  essenziale alla generazione è l'idea di specie, la quale non è astratta soltanto- la generazione è l'estrinsecazione più viva della metessi specifica delle cose, e appartiene alla mimesi – della SESSUALITA—dov'è il principio generativo se nello SPERMA o nell'uovo- della donna e dell'uomo - la sessualità riscontrata colla dialettica della femminilità e della VIRILITA –del conjugio — dell'individuo compiuto e in che consiste la sua essenza e valore -- l'individuo e l'Idea sono nell'ordine attuale i due estremi della realtà— influenza del pensiero negli effetti della generazione la generazione e la nutrizione sono le principali azioni tanto del corpo quanto dello spirito— altre consonanze tra il corpo e l'anima - del psicologismo e dell'ontologismo - come ci può essere concretamente insegnata l'attinenza del genere coll'individuo -due classi d'individui- - se l'individuo è sparito dinanzi alle masse - che cosa è la plebe- relazione dell'ingegno colla moltitudine -come può affermarsi che nell'ingegno v’abbia qualcosa del divino - Dell'amore, dov'è il suo tipo, e quale n'èl'essenza - l'a more assoluto e infinito è l'identità --ch'è l'amore rispetto all'esistente nello stato mimetico dell'amore attivoe del passivo- del puro e corrollo cagione dello scisma tra l'amor del cuore e quello dei sensi  che è l'ideale dell'amore – del maritaggio- del divorzio– l'amore corro tra i dissimili armonici- universalità dell'amore—parentela dell'amore col Bello e col Buono del Belo—origine del male- due morale, particolare e universale – ottimismo relativo non assoluto - il mal morale è impossibile nell'etica divina e universale  l'antinomia apparente della natura seco stessa si risolve mediante la necessità de gli ordini --contraddizione della natura nello stato presente --dell'infelicità umana scopo della vita terrestre-- della virtùe della libertà umana— l'uomo è potenzialmente onni specie, può salire escendere nella gerarchia cosmica - la giustizia cosmica procede per ragione geometrica - dell'abito- è verso l'anima ciò che l'accrescimento e   la nutrizione verso il corpo  la virtù è sforzo , è la trasformazione della mimesi inmetessi -ed il sagrifizio dell'individuo alla specie-  La Società ha un fondamento metessico e ideale e logico- la polizia è una metessi iniziale - la polizia dell'uomo comincia coi primi principii della sua vita— individualità e polizia principiano e crescono di conserva—unità dinamiche della nostra specie– divisione del genere umano in generiche e specifiche – della nazionalità naturale e artificiale- la misura dell'ampliazione dell'unità è il termometro della civiltà- doppia unificazione dei popoli --autorità morale—  il potere sovrano è fontalmente l'Idea— formazione primordiale della società- unità progressiva dei vari ceti dellas ocietà— della plebe e del l'ingegno - intento della riforma politica moderna - nel mondo tutto è ordinato allo svolgimento del pensiero— ciò che accade ora in Europa è in certa guisa una ripetizione di ciò che accadde in Grecia della demagogia: dominio della Russia — unità sovrannazionale- unità intermedia tra la sovrannazionale e la nazionale l'egemonia moderna dove risiede -del Primato, assoluto e relativo- alcuni titoli del primato italiano il Cielo che rappresenta alla mente umana - della causa e dell'effetto negli ordini finiti- attinenza della terra col cielo - i vari mondi fanno un solo universo - il mondo non è solo un aggregato, ma un aggregante - da che è prodotto l'individualità nei corpi- gerarchia degli esseri della NUIDITA -il principio e il fine si somigliano e differiscono - della materia in astratto e in concreto – la potenza generativa essenziale a ogni forza creata- della preesistenza dei germi della legge centripeta inorganogenia- il centrfugismo non è la stessa cosa dell'ipotesi della preesistenza dei germi la forza primitiva quando erumpe nell'atto comincia colla dualità o colla moltiplicità?- gradi della forza creata universalmente- dei cinque gran regni della natura della mutazione delle specie- sunto della dottrina dell'autore- due leggi dell'esistente: legge di eterogeneità, e legge di omogeneità della polarità infinito numerico solo possibile nello stato di metessi - due soluzioni di esso - infinito aritmetico monadico - l'infinito è il sovrannaturale- due errori sul mondo dell'ottimismo infinità potenziale della creatura -delf u infinito e del sarà infinito.  CICLO CREATIVO Palingenesia Del secondo ciclo creativo; ritorno del'esistente al l'ente – è solo per approssimazione -- la creazione non ebbe prima, perchè fu un Pri il secondo ciclo creativo è umano e divino- come il principio e il fine sono finiti e infiniti -che cosa è specificatamente la palingenesia come siam certi che esiste– la palingenesia èo bietiva e subiettiva, cosmica e individuale— del progresso relativo e del progresso assoluto delle cose come si dee intendere che lo stato palingenesiaco sia mentalità pura della morte–  dell'immortalità l'esistenza e inamissibile-  la morteè un salto e grado secondo che si guarda il discreto o il continuo  futurità particolare del l'anima la palingenesia consiste nell'acquistare la coscienza che non si ha- è il colmo della coscienza due presunzioni dell’infinito potenziale– del libero arbitrio- il processo palingenesiaco è un processo generativo- due metamorfosi: mondane e oltramondane– obiezione contro la realtà della palingenesia: risposta– ignoriamo l'avvenire– ha anche una base nell'esperienza—nella palingenesia l'internità sarà esternata- di varioe rassomiglianza tra la cosmogonia e la palingenesia- in che senso la negazione dell'immortalità umana è vera - unità dello stato palingenesiaco – comunicazione dell'intelligenza e dell'amore coll'infinito della felicità e beatitudine assoluta- l'uomo nella palingenesia opera- idea del progresso palingenesiaco– lar ivelazione palingenesiaca non escluderà ogni elemento misterioso. RELAZIONE DELLA PROTOLOGIA COLLA RIVELAZIONE. G. prima cerca verificare psicologicamente l'idea di mistero poi si propose dimostrarla ontologicamente infine porgerne una  prova universalee protologica- la metessi è il sovrannaturale- unione dialettica del naturale e sovrannaturale nell'atto creatico  il sovrannaturale è universale; è nel principio nel mezzo e nel fiue la natura senza la sovrannatura è in contraddizione seco stessa- la dottrina del nostro autore toglie l'opposizione tra il naturalismo e il sovrannaturalismo esagerati il sovrannaturale dell'ordine attuale è la metessi anticipata nel seno della mimesi -nel sovrannaturale e nel sovrintelligibile v'ha un elemento naturale e intelligibile due specie di sovrannaturale differenza tra ilsovrannaturale e l'oltrenaturale –idea della religione- religione perfetta è la rivelata la rivelazione è l'apice della cognizione- necessaria ad accordare la riflessione coll'intuito due rivelazioni- la rivelazione immanente è virtuale— la potenza primitiva delle due rivelazioni è l'intuito- la rivelazione sovrannaturale spiega le potenze dell'intuito rimase infeconde per manco di parola acconcia- la rivelazione esteriore diviene interiore- tre conseguenze importanti- intento di G. nel suo sistema la ragione e la fede entrano l'una nell'altra  l'idea del l'infinito è il vincolo tra il sovrintelligibile e l'intelligibile- essenza del mistero: misteri teologici, antropologici, e teoantropologici- i misteri rivelati non sono effetto, ma principio di ragione- esempi della fecondità razionale dei misteri rivelati-  il mistero pertiene alla ragione e la supera ad un tempo  tre membri della formola, tre essenze, tre misteri- vera dottrina di G.- nella vita terrena il sovrintelligibile non diventa mai intelligibile- il vero sovrintelligibile non iscema- del miracolo: se si pensa, è possibile- che cosa è il miracolo- ogni prodigio importa un fatto obbiettivo e un fatto subbiettivo—il miracolo e la disposizione e attitudine a crederlo si corrispondono nell'unità metessica- il fatto miracoloso non è nel cosmo, ma nella palingenesia- i miracoli decrescono la natura (mimesi) e mito e simbolo del sovrannaturale (metessi, palingenesia) il cristianesimo importa un nuovo atto creativo, ciò come avviene? - perchè si tralasciano di esporre partitamente i dogmi religiosi attinenze della rivelazione colla scienza, e della religione colla filosofia  Perchè mi son risoluto a tessere questa conclusione il lettore non ricordando più le cose lette negli altri volumi non avrebbe potuto giudicare quest'ultimo - m'è piaciuto altresi di dare uno sguardo su tutto ciò da me pensato e scritto— occasione dell'opera- carattere de la maggior parte degli’ Hegeliani—come è deltato il saggio di SPAVENTAsulla filosofia di G.- le mie Considerazioni— sui aspramente ripreso- soliloquio- nei primi volumi mostra iun po’ di risentimento - l'esposizione della seconda parte si fa con modi dicevoli alla scienza- che cosa mi ha fatto perseverare lungamente in questa opera, perchè l'idea di essa non si era prima incarnata l'Italia alla stregua della filosofia dominante oltre alpi perchè era noma la terra dei morti lotta interiore della filosofia di G. ragione del suo tardi stampare la lotta cessa: creazione d'una dottrina la cui pellegrinità sta nel nesso della religione collafilosofia -per anni secostesso esamina la bontà e v rità del sistema tre stadi del suo processo intellettuale le nazioni coesistono insieme csigiovano scambievolmente la nuova vita d'Italia necessaria al progresso umano- ciò che hanno compiuto nel mondo i francesi e i tedeschi difetto della civiltà da essi prodotta scopo della rinascenza italicacarattere della vitai taliana d’ALFIERI a G. nel quale ciòche era virtuale e astratto diviene concreto e effettivo  chiude une poca e necomincia un'al tra - medesimezza dell'idea individuale che costituisce l'eccellenza di G. coll'idea sostanziale che costituisce il genio nuovo nazionale - rifà in sè tutto il processo anteriore dello spirito umano quando acquistò il suo spirito intera coscienza di se medesimo stima che i concetti nati gli in mente erano stati indirizzali ad un alto line dalla Provvidenza  si apparecchia ad eseguire il disegno divino- moto dall'individuo alla nazione e alla specie- come nel divulgare la sua dottrina e farla fruttare si mostrasse tradizionale e novatore ad un tempo procedette per l'antagonismo degli estremi permeglio far spiccare l'armonia del mezzo dissimula una parte del suo pensiero -- la filosofia la religione e la nazionalità italica sono unite e connesse subbiettivamente e obbiettivamente  mosse dal l'idea al fatto, dai principi al metodo di esposizione -carattere delle opere essoteriche e delle acroamatiche- G. possede una dottrina ben divisata e armonica, di cui avea piena consapevolezza ciò sine gada i critici- si discute la loro sentenza -si giunge ad una conclusione lutta opposto alla loro con solo l'esame dei fatti -- si cerca allrcsi la dottrina intrinsecamente e logicamente e si ha lo stesso risultamento, perché quasi tutti i critici han franteso trina di G.- il medesimo ladot è accaduto a Spaventa qua l'è il concetto nuovo ch'ioneporgo esso è stato ignoto fin'ora; nelle scuole d'Italia s'è insegnato solo la parte essoterica di questa è contrapposto l'Hegelianismo venuto il tempo che si studia e colliva la parte acroamatica che contenendo la sintesi ed armonia di questo e di quella, del presente e del passato apre la via alla speculazione avvenire nella controversia intorno a G. bisogna separare la tesi storica dalla filosofica caratteri che distinguono, la dottrina di G. da quella di Hegel, e il moto civile d'Italia da quello di Germania solo l'Italia ha oggi una vera missione storica, il cuide lineamento trovasi degli scritti del torinese riscontri tra le parti in cui fu divisa la dottrina c i vari periodi del rinnova - mentonazionale– come l'egemonia piemontese ha prodotto i suoi frutti, così li produrrà il primato il primato è tutt'uno colla rinovazione del pensiero italiano- ogni nazione ha da natura un sito intellettivo che dee cavare dal suo l'Italia oggetto della scienza sulura l'idealità infinita–  riforma religiosa c nuovavita del cattolicismo - senza una filosofia e teologia infinitesimale ogni ristorazione religiosa è indarno- prova il recente moto di Germania  Döllinger non ha ragione di biasimare gli italiani- i vecchi cattolici sono oppostosofistico dei Gesuiti quindi continuano la sofisticare li giosa che travaglia la nostra età- diseltano d'una teologia veramente nuova e proporzionata al bisogno- mentre coi loro ciechi colpi con tro il papismo gesuitico ne han mostrato più che mai la necessità senza di quella non si può distinguere l'essenziale dall'accessorio nella religione, nè accordare il divino coll'umano-carattere della nuova teologia- modo come dee procedere la riforma cattolica- l'entratura di essa appartiene al laicato, e in ispezieltà all'italiano così la gerarchia non sarà annientata, nè scossa, ma condotta a riformarsi da sè— il molo italico ristabilirà perfezionata l'unità morale e civile d'Europa esso perciò è indirizzato ad una meta più alta di quella a cui è giunta la Germania  i forestieri malintendonoe mal giudicano l'Italia. In parte ne han colpa i fautori della coltura tedesca -ragione dell'imitazione tedesca tra noi deve cessare e dar luogo alla produzione paesana nell'ordine dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni. La teorica della conoscenza nel G. Esposizione e critica.   In uno degli ultimi scritti,  certo l’ultimo saggio filosofico, pubblicato pochi mesi prima di chiudere la sua lunga e intensa  operosità, SERBATI, discorrendo della necessità speculativa  di tener distinta nell' essere la forma ideale dalla reale, usce in  queste solenni parole.  L'esperienza tuttavia e la storia della filosofìa dimostrano, che e' è una somma diffcoltà a distinguere e  mantenere costantenftnte distinta nella mente la forma ideale ed  obbiettiva dell'essere, dalla forma reale, e me ne somministrò non  ha guati la prova quel facondo e immaginoso scrittore che diede  a me biasimo e mala voce d'aver proposta e stabilita una tale  distinzione, dettando tre volumi col titolo de' miei errori. Laonde  con tutto lo zelo e la fidanza egli si pose di contro a me, quasi  abbarrandomi il passo, e si dichiarò perfetto realista: incolpando  gli stessi scolastici realisti, di non essere stati tali abbastanza, ec-  cetto alcuni pochi. Ma pace a quell'anima ardente: e torniamo  alla storia *) ,. Si sa che gli avvenimenti politici del quarant' otto avevano rav-  vicinato i due grandi avversar], smorzato perfin le ire implacate e  sospettose del torinese, che faceva pubblica ammenda della vivacità  frequente delle sue polemiche, dichiarando che, appena conosciuto  di persona Rosmini, aveva cominciato anche lui " a venerare     ') RoiKiNi, Ariat. esposto ed esaminato, Torino,  pre&z. La  prefazione di quest'opera postuma era Btnta pubblicata dal Bosmìnì Hteeao  nella Riviìta contemporanea di Torino, au, ir, voi. II, fase. 17» e 18', decembre  1854 egenoaio; riprodotta poi nella Poliantea Caffo^ca di Hilauo, Rosmini e CHoberH 247   con tutta Italia tanta sapienza e tanta virtù , ^). — Quanto a Rosmini, benché l' animo suo non si fosse mai inasprito, i fatti lo conciliarono di più con G., e non è questo il luogo  dì ricordare le belle prove da lui date de' suoi sentimenti verso il  filosofo esule per la seconda volta '), e poi quando fa morto, e  quando prima ha a Gaeta a difenderne calorosamente  la fama a l' ing^no contro le insinuazioni e le malignazioni d' un  gran gesuita ^). Ebbene, tutto ciò e il tempo corso in mezzo e il cammino in-  tanto fatto nella scienza, non lo rimossero fino al termine, come  s' è visto dall' ultimo suo scritto dianzi citato, dalla posizione già  tenuta di contro alG.. E questi, dal canto suo, ìn quel di-  scorso che premise alla seconda edizione della sua Teorica del  sovrannaturale, e che si può considerare come Y ultima sua scrit-  tura di genere puramente filosofico, rimaneva anche lui al suo posto,  nonostante l' om^gio quivi reso alle virtù e alla sapienza dell' avversarlo; poiché scrìveva: *U SERBATI ed io siamo d'accordo nel  recare alla riflessione la possibilità dell'errore, e il suo rimedio  all'intuito che la precede. Ma dissentiamo intorno al contenuto di  tale intuito ; il quale al parere dell' illustre Roveretano, non ci poi^e  che un ente astratto, iniziale, destituito di sussistenza ; laddove, al Discorso preliminare tìiU 2' Bàìz.ifiìla Teorica del sovran7iaturide  I, ^ n. Vedi pure ciò ohe, quasi nel tempo atesBo, ne scriveva nobìlmeate nel  Rinnovamento àvUs, ediz. Napoli, Morano   !) Vedi quel che HCTisae Q. Uassuii, nella bua Bitiista pdiHca  nel Cimento di Torino commemoiando SERBATI. Sono due pagine dimenticate, e che hanno tuttavia molta importansa per  le opinioni politiche e per la biografia del Rosmini; T. pure Tommaseo, A. Rosmini, (in Rimala Contemporanea Liberatore. — Chi fu presente al colloquio e ne scriveva poi a Baff.  De Ceaare. attesta che le parole eloquenti dette dal Bosmini in quella occasione  lìaHciiono il più autorevole e più meraviglioso elogio di G. >. Tedi  Db CssAaB, Dopo la wndanna del S. Uffi,ziOt in N. Antologìa, G. Gentile   mio, ci dà un concreto effettivo, che nel primo de' suoi termini  è assoluto e apodittico. Or qual'è il miglior fondamento del vero?   l'astratto o il concreto? T insusaistente o il reale? l'incoato o l'as-   l soluto?, ').   I due filosofi, adunque, compiono la loro carriera filosofica con  opposta sentenza intomo al principio della loro dottrina, nonostante  la polemica vigorosa per dottrina e dialettica che s' era in propo-  sito dibattuta; talché si direbbe che essa non abbia avuta nessuna  efficacia sulle dottrine de' due filosofi. Questo però è appunto quello  che ci rimane ancor da vedere.   f~^ Come Rosmini abbia introdotto V. G. nel campo della   ' moderna filosofia, cioè della filosofia kantiana, l'abhiam veduto e  dimostrato nel terzo capitolo della prima parte del presente studio;  coachiudendo, che già nella Teorica del sovrannaturale egli ci apparisce sì un rosminiano, ma un rosminiano il quale vuole andare  avanti a Rosmini. Neil' opera che seguì immediatamente dopo,  V Introduzione aUo studio della Filosofia, si delinea ben nettamente  la nuova posizione speculativa di G.; e si vede quali essenziali modificazioni, secondo lui, debbono subire le dottrine del filo-  sofo roveretano.   Ma prima di studiare cotali modificazioni, vediamo come si  muove in questa nuova opera il pensiero dell'autore.  / La concezione della storia filosofica qui è l'es^erazloae di quella  donde sì rifa nel Nuovo Saggio Rosmini; ma certamente è mo-  dellata sovra di essa. Pel Rosmini, come s'è notato, v'ha sistemi  che peccano per eccesso e sistemi che peccano per difetto di apriori  nella spiegazione del fatto del conoscere : da una parte falsi idea-  Op. cit, I, 2K. Cfr. Errori filoaqfiei di A. Bosmini, L'ultima parola venunente à nel Rmnovat>ieato civile, dove è detto ancora uoa volta « Cosi, per cagion d'esempio, il  divorzio introdotto da un chiaro nostro psicologo tra il reale e l'ideale, non  si puA comporre stando nei termini della psicologia sola; e se si muove da  questo dato pei salir più alto, si riesce di necessità al panteismo dell'Hegel e  de' suoi seguaci Jtosmitii e G.  iiami, e dall'altra falsi empirismi. Ma nell'idealismo, oltre l'errore  di ammettere più elementi a priori che non ne siano richiesti a  quella spiegazione (Platone, Aristotele, Leibniz) può esservi un  più grave difetto : quello di far soggettivo, come avviene in Kant, Va  priori ricercato in seno alla conoscenza, la quale, se vuol essere vera  e certa, dev'essere invece oggettiva. Onde pel Rosmini Ì sistemi  sbagliati si riducono al postutto al sensismo o all'idealismo sog-  gettivo, cfae è una specie di scetticismo mascherato ; dacché il pla-  tonismo, a parte l'eccesso dell' a priori che va corretto, trova grazia  appo lui per l'assoluta separazione posta fra cotesto a priori e il  soggetto umano che conosce. E contro il sensismo e l' idealismo  soggettivo e si può dire (poiché pel Rosmini il senso era la fa-  coltà soggettiva per eccellenza) in genere, contro il soggettivismo  ei si proponeva di scendere in campo col Numo Saggio.   Contro questo soggettivismo insorge parimenti la filoso&a di  G.; il quale raddoppiando d'ardore per le dottrine platoniche  riconosciute pure in fondo al contenuto filosofico delle dottrine  cristiane, tutti gli opposti sistemi involge in una comune condanna  con quel sensismo, che ormai, quando usciva il suo libro, era già  morto e sepolto cosi IN ITALIA come in Francia; talché dimostrare  sensistica una teorica, era lo stesso che averla giudicata senza  appello. E sensistica, a parere di G., è tutta la filosofia moderna  in Europa; a cominciare da Cartesio; il quale, del resto,  non fece se non applicare alla filosofia il metodo che aveva già  fatto ben trista prova con Lutero, nella Protesta, proclamando la j  intimità autonoma della fede religiosa. . -J   Cartesio sensista? " Parrà strano, scrive il Gioberti, a dire che  il sensismo sia conforme ai principii cartesiani, e che il Locke,  il Condillac, il Diderot, con tutta la loro numerosa ed infelice progenie, siano figliuoli legittimi del Descartes; quando questi pretese nlle sue dottrine un teismo purissimo al sembiante, e volle  stabilire sopra uua salda base la spiritualità degli animi umani.  Ma il teismo del Descartes é puerilmente paralogistico. Il suo dubbio   Q. OmHk   metodico e assoluto, e il riporre eh' egli fa nel fatto del senso intimo la base di tutto lo scibile, conducono necessariamente alla  negazione di ogni realtà materiale e sensibile, ). E che altro è  il sensismo? Spogliato dalle contraddizioni de' suoi partigiani, e  ridotto al suo vero essere dalla logica severa di Hume,  riuscendo a un giuoco aubbiettivo dello spirito, che, rimossa ogni  realtà, è costretto s trastullarsi colle apparenze, è propriamente  scettico e si manifesta come l' ultimo esito di ogni dottrina, che   , metta nel sentimeuto dell'animo proprio i princlpii del sapere . ).   1 Descartes, adunque, è uu sensista, e a lui si deve tutta la   serie di errori di cui è iutessuta la storia della filosofia moderna ;  egli è l'iniziatore, purtroppo, fortunato del moderno sensismo psicologico, poiché pone come principio della filosofia un fatto, che  come tale non può essere se non un sensibile ^).   Insomma Locke e Condillac sono cartesiani. Né rileva che  i successori di Locke facciano caso della sensazione sola, e non  del sentimento interiore, imperocché questo e quello convengono  nell'essere forme sensitive, destituite di obbiettività assoluta , ). G., insomma, intendeva parlare di soggettivismo, e di-  COTa sensismo, che è pure una direzione speculativa molto diversa. La  colpa bensì non è propriamente sua, perchè risale a Galluppi; il  quale nella sua teoria della sensazione (che qui G. ripete)  aveva con essa confusa la percezione o rappresentazione e la coscienza,  introducendo nel seno stesso di quella le distinzioni che sorgono     ') Introdwi., lìb. 1, c&p. l" (ediE. di Firenze, Poligrafia italiana)   I, m.   ») Ibid., p. m-12.   3) «... E certameiite la seoteiiEa ; io penso, dunqm sono, equivale a questa:  io sento di oaeere pensante ... e più concisamente : io sento, dunque sono . . .  n pensiero conosciuto per via della liflesaione, ò un meco fatto della coscienia,  cbe appartiene al senso interiore; onde il Cartesianismo che muove da quella,  colloca in un fenomeno della facoltà sensitiva la base della scienza >. Tntrod.,  lib. I, oap. 3".   *) Op. àt., invece per cotesti fatti ulteriori della psiche '). Del resto, G. risente presto l' iDcooTeuiente che deriva dal fare un sensista  delio stesso Cartesio, pel quale il fatto della coscienza, invece che  un sensibile (donde, secondo G., stesso non può derivarsi  mai l'essere) era una cosa stessa con l'essere, e quindi noD un  semplice principio psicologico '), ma una inscindibile unità del principio psicologico e dell' ontol<^Ìco, che se fosse stata fecondata,  avrebbe già fatto procedere di molto la filosofia moderna. Infatti,  quando ai accinge a classificare tutte le scuole filosofiche figliate dal  sensismo cartesiano, comprendendo nella seconda categoria i se-  guaci del lochiamo, egli è costretto a porre &a i caratteri di questo  il ripudio della ontologia cartesiana, come ripugnante ai principii e  al metodo del Descartes, e troppo simile all'antica, dichiarata dal  francese filosofo insuMciente e buttata fra le ciarpe ; e l'ommissione e lo sfratto implicito e tacito di ogni ontologia, ').   E già da questa medesima classificazione de' sistemi resulta  cbiaro che il nemico preso di mira è precisamente quello stesso  di SERBATI: cioè il soggettivismo, il falso so^ettìvismo, che ripete le sue origini da Cartesio, anzi {ed ecco l'intreccio significan-  tissimo della filosofia eterodossa con la falsa filosofia!) da Lutero. Nelle cinque categorie, in cui dovrebbesi, secondo G., partire tutta la storia della filosofia moderna, così vengono distribuiti  i vai^ indirizzi: nella 1" Cartesio e la sua scuola: nella 2' Locke;  nella 3' Spinoza, i panteisti tedeschi e in parte Berkeley^;     ') Eppure G. stesao aveva combattuta questa teorica galluppiaaa,  nella n. 3* della Teorica (II, 319 e segg.) imputando al filosofo di Tropea  < di Bveie considerato come semplice e indivisibile ciù che è ancora composto,  Bocomunando per tal modo elsmenti svariatisaimi con una sola voce >. Il psicologiamo ed il BcnHÌaino sono identici : l' uno è il Henstsma ap-  plicato al metodo, l'altro è il psicologismo adattato ai principii »- — Introd.,  - Gtt-  Ha < Cartesio è sensista nei principii e nel metodo  voi. Sf  a. Gentile   nella i Kant e i sensisti francesi dal Condillac in poi *) ; ' infine  nell'ultima classe si debbono collocare gli scettici assoluti, che  giunsero al dubbio universale, mediante i principii del sensismo,  aiutati da una logica s^^ce ed inesorabile; ... il cui principe è  Hume ,    CapOTolgimenti, come si vede, ce n'è piti d' uno; e come va che  G. confonde il fenomenismo di Berkeley con l'idealismo  assoluto di Fichte, di Schelling e di Hegel, e l'idealismo trascendentale di Kant col sensismo di Condillac PEcco: secondo lui, l'assoluto dei filosofi tedeschi non è l'idea schietta, ma bensì l'idea  mista di elementi sensitivi, e per dir meglio un concetto, un astratto,  un fantasma, frammescolato di elementi ideali; insomma  è un assoluto fantasticato dalla mente umana ; e cosi il Kant converrebbe coi sensisti ' nel dare alla cognizione la proprietà del senso, facendone una facoltà aubbiettiva, e quindi considerando il  vero, come relativo. È chiaro che la causa della con-  fosione nel primo e nel secondo caso è la medesima; per G.,  r a priori di Kant e de' suoi successori è falso perchè contraddit-  torio: è posto come a priori, perchè necessario ed universale; e  intanto lo si fa subbiettivo, e quindi particolare all'individuo che  conosce, e come esso contingente.   Questa falsa maniera d' intendere il nuovo soggettivismo, che  cominciava con la teoria della sintesi a priori dal negare definiti-  vamente quello scetticismo, cui fin allora il so^ettivismo era sempre  stato come equivalente, è un'eredità che G. raccoglie  da SERBATI, e rivolge subito, come or ora vedremo, contro di lui.   E già si può dire, che l'avesse raccolta nella Teorica del so-  vrannaturale, quando, a proposito dell'eclettismo francese, aveva ') E petcbè esclndecne ì materìaliati, le cui open, come  ricorda opportunamente il Imnge, precedettero i libri e le dottrine di Condillac? ') parlato dì un razionalismo imperfetto, che consente col sensismo  ' nel so^ettivare interamente e parzialmente la conoscenza „ ^),  e meglio altrove, discorrendo dell' egoismo psicologicor cui avreb-  bero appartenuto Cartesio, Reid e Kant, e del quale * l'egoismo  ontologico metafisico di un celebre filosofo tedesco, che im  sima r ente stesso coll'esistenza individuale, sarebbe la nect  conseguenza ,).  G., invero, come SERBATI, non conosce altn  gettìvismo che il falso antropometrismo individualistico  goreo, il soggettivismo, che il Rosmini combatteva in Em.  Pel soggettivismo, a parer di G., tot capita, tot senti  donde, secondo il principio di Lutero, tanti cristianesimi  cristàani, e ' tante filosofìe quanti sono i filosofanti, se et  Descartes, rinnovatore della verità subbiettiva, immaginata di  già e da Protagora , Di guisa che è un errore, dice Ìl I^  paragonare la riforma cartesiana a quella socratica ; avendo 8  presentito la teorica delle idee assolute, che venne poscia es]  da Platone, e dovendosi quindi interpetrare il suo vvia^i • quasi — contempla e studia te stesso nella idea divina.   In breve: la salvezza della scienza è nel platonismo, nella  razione dell'idea dal soggetto, nella oggettività della conos  E si deve anche far forza alla storia e in Socrate trovare PI  se in Socrate si vuol trovare un principio di sana filosofia,  menti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione d  tagora, come sono Cartesio e Kant, il famoso " sofista i  nisberga , ! Questa falsa interpetrazione della storia, in gran parte  fondamentalmente rosminiana, non pone del resto, G.  bene egli sei creda, fuori del criticismo kantiano, come non ne  escluso SERBATI. Ed è davvero curioso a vedere il gran     ') Nota Nota Introd., I, 3»; H, Q. Gentik   glìere invano che tutti i filosofi italiani della prima metà del secolo  fanno tra loro, accusandosi Ticende Tolmente di kantismo e di  so^ettivismo, intanto che ognun d'essi, senza accoi^erseae, vi  rimane impigliato. GALLUPPI (si veda) accusa SERBATI; Testa, Galluppi e  Rosmini; GRAZIA (si veda) Galluppi e Rosmini egualmente; G. e  ROVERE (si veda), Rosmini; e questi, G.. Così, SERBATI è  persuaso che tutta la sua attività filosofica fosse una guerra con-  tinua contro il sensismo e il soggettivismo. Ebbene, vien fuori Ìl  Gioberti a proclamare che ancora il sensismo è la dottrina filo-  sofica predominante in Europa; dacché non tutti i razionalisti si  potesser dire immuni dal comun vizio, avendosi a distinguere uu  razionalismo ontologico e un razionalismo psicologico; ìl secondo  de' quali separa bensì, come non fa il sensismo, l' intelligenza dal  senso, ma a quella non dà altro fondamento che il soggetto, lo  stesso fondamento, in fine, del senso, senza perciò poter conferire  alla cognizione veruna certezza oggettiva. E in questo razionalismo  psicologico o psicologismo, che vogliasi dire, con Kant e Reid e  Stewart, va, secondo G., annoverato anche SERBATI, non  correndo alcun mezzo possibile Ira Io psicologismo e l'ontologi-  smo, che anche lui, il roveretano, rifiuta; sebbene né il filosofo  italiano né i due Scozzesi possano propriamente rientrare nel quadro  della quÌntnplÌG« classificazione del sensismo cartesiano, ossia della  moderna filosofia.  ~ Oi certo il falso criterio onde il Rosmini aveva delineato una  storia della filosofia, passato a G., era agevole rivolgerlo  contro lo stesso Rosmini. Sennonché, quel che importa rilevare è  l'esigenza che l'uno e l'altro afiFermavano, ribellandosi a quel  cotale soggettivismo, in cerca di uno stabile e certo oggettivismo. SERBATI vuole introdurre nella cognizione  un elemento necessario ed universale, che sia veramente tale, e dì  cui ammette un intuito costitutivo dell'intelletto, un intuito che,  secondo una critica n^ionevole, devesì interpetrare come una sem-  plice aflfermazìone della universalità e necessità (trascendenza, e  quindi pare opposizione all'individuo contingente) AeWa^Hori della cognìzioDe. E G. prende la stessa posizione di contro all'empirismo, pur senza ripetere una critica che era stata fatta,  ma accettandone benal il resultato. Oggi si tiene per certo, egli scrive nell' Introduzione, che Toler derivare con Locke i concetti razionali dalla sensazione e  dalla riflessione, ovvero con Condillac e co' suoi seguaci, dalla sen-  sazione sola, è un assunto d'impossibile riuscimento; e che, sì come  il necessario non può nascere dal contingente, né l' oggetto' dal  soggetto (ecco l'unica concezione rosminiana d'oc/petto e soggetto:  oggetto = necessario: soggetto = contìngente), così i sensibili od esteriori non possono partorire l'intelligibile , Per G. la  questione stessa dell'origine dell'intelligibile, di cotesta idea, involge una repugnanza; giacché, essendo essa oggetto immediato  ed eterno, come necessario ed universale della cognizione, non ha  nn principio né una genesi. Potevasi senza dubbio osservare all' autore, che appunto la definizione stessa che egli dà della idea,  inchìnde il teorema, che gli avversarj volevan dimostrato. Comunque ciò sìa, egli ammette bensì un' altra questione, che  è la vera questione della ideologia rosminiana; la quale è volta a  indiare se derivando la cognizione dell'Idea da una facoltà spe-  ciale, che dicesi mente o intelletto o ragione, ella è acquisita od in-  genita; cioè, se l'uomo può su^atere, eziandio pure un piccolissimo  spazio di tempo, come spirito pensante, ed esercitare la facoltà cogi-  tativa, senz'avere l'Idea presente; e quindi ne va in cerca e se la  procaccia; ovvero, se ella gli apparisce simultaneamente col primo  esercizio della mente, tantoché il menomo atto pensatìvo e l'Idea  siano inseparabili , . E tal quistione, che brevemente si può espri-  mere, se l'Idea sia o no innata (nel senso kantiano di forma si-  multanea alla esperienza) ei la risolve affermativamente, come il  Rosmini, dichiarando che a suo avviso (per rispetto nostro)  non si può assegnare altra origine all'Idea, che l'origine medesima  dell' esercizio intellettivo. «)Iiib. I, oap. 3»j n, 6. *) le O. Gentile Questa apparizione dell'Idea simultanea al primo esercizio della  mente corrisponde per l'appunto a quello che SERBATI avrebbe  detto propriamente nozione) dell'idea dell'essere. Anche per G. cotesta nozione è la stessa intelligibilità, la evidenza stessa;  anche per lui non arguisce nulla di subbiettivo, oè risulta dalla  struttura dello spirito umano, secondo i canoni della filosofia critica, ) ; anche per lui è " l' ometto della cognizione razionale in se  stesso, aggiuntovi però una relazione al nostro conoscimento , *). L'intuito di cotesta idea è dal Gioberti stabilito con breve disamina del procedimento del conoscere, e benché egli non se ne  rimetta al Rosmini, è chiaro che psicologicamente la lacuna, che  egli stesso poi riconobbe in questa parte della sua teorica, devesi  alla grande efficacia esercitata sulla sua mente dallo studio di SERBATI ; talché, scrivendo quasi di getto, come fece, l' Introduzione,  non avrà pensato che ci volesse molta discussione a solidare     già muorevasi la mente   iegazione del conoscere. nella esposizione, del   Ione fece il Massari nel un'ipotesi, la quale, per l' indirizzo per cui sua, era assolutamente necessaria alla spie  Si accorse di poi del mancamento ; e lo v  resto tanto piaciutali, che AeW Introdtizio Progresso di I^apoli, quando già l' intrapresa polemica con SERBATI  cominciava a fargli guardare più attentamente ogni parte della  costruzione filosofica, cui aveva posto mano. B aMassari, scriveva: Ho riletto quel poco che ho detto del-  l'intuito iLviW Introduzione e l'ho trovato ancor più scarso che non  credevo; tanto che la critica che vi ho fatta di non esservi steso  davvantaggio e con nu^giore precisione su questo punto manca  affatto di fondamento , *) ; e a' 20 lugho tornava a scrivergli : Non     ') < Nozione io chiamo un'idea considerata sotto questa relazione, in quanto  doè ella mi serve, a rendermi note le cose >; Bosuini, Prindpj di acietua morale, in Optre, ed. Bstelli, TX, 2 n.   ») Inirod. Cart, n, 375. Il MAasÀBi aveva fatto una analisi dell' Introduzione ( la  1* ohe ne faue fatta in Italia) in tie puntate del Frogreeso] è come vi ho detto che uDa iBcuoa, proreniente dal mio testo del-  l' Introduzione; ODde può parere che l'intuito sia una facoltà mi-  steriosa conforme all'inspirazione dei mistici; laddove no  la cognizioae umana e ordinaria, spogliata però del repli  riflessivo. L'ho definito, credo, nel libro degli i/rrori , '). -  questa definizione dell'intuito corrisponde evidentemente i  trina già esposta di SERBATI, che l'intuito dell'idea si rit  un lavorio riflessivo sulla cognizione ordinaria, mediante  cesso d' astrazione. In G. non s' incontra una teoria compiuta del f  noscitivo, come si trova in SERBATI. Ma qualche accennc  qua e là, basta a dimostrarci che, sebbene l'autore sia de  che la psicologia, per dirla con la parola sua, non debb  fondamento né propedeutica alla ontologìa, della quale egli  trattare specialmente, tuttavia l' ideologia rosminiana giace  alla sua dottrina. Egli ammette un' ' attività intima e s<  sima, che rampolla dall'unità sostanziale dell’animo, e con  primo raggia intorno a sé le molteplici potenze, donde na  varie modificazioni di esso animo , *); ripetizione, anzi de  d'un punto del rosminianismo, da noi già messo in rilii  L'intelletto, la facoltà dell'intuito secondo SERBATI,  presso G. una energia contemplativa che  venir meno, ossia non può cessar d' intuire il suo termine, se  durre,in grazia di quell'unità sostanziale dello spirito, la ce  simultanea dell'esercizio deliamente^); come in SERBATI  •) Cart, n, 381 e aegg.   ^Infrod., I, 2° (1, 135). Animo dice il Gioberti; per castigatezz  tuna di lingua, lovece di anima, spirito.   ') < Tutte le potenze dell' aaimo amano esseDdo collegate inBieme  dosi a vicenda, è inverosimile il aupporre che l'energia contemplat  eoir meno, «enza che le altre facoltà a proporzione se ne riaentan . Altrove dice che t l'intelletto è ti mezzo, con cui I  prende la manifestazione naturale del verbo ; Ma egli no  a questo propoailo, una terminologia costante. Gentile dell'intelletto vedemmo esser necessario non solo alla costituzione  dell'intelletto, ma anche, per l'unità del soggetto, a tutta la fun-  zione del conoscere. Né per G. l'intuito ha un valore diverso da quello indi-  cato nella teoria del filosofo roveretano; come sarà agevole accor-gersene esaminando con la brevità necessaria la teoria giobertìana  della riflessione. L'iatuito rosminiano vedemmo essere non vera e propria cognirjone, ma condizione di ogni conoscenza, e però un vero a priori  kantiano, una pura forma dell' intelletto, che come tale distruggeva  l'antica concezione di oggetto opposto e separato dal soggetto, avendo dimostrato che il nuovo oggetto non esisteva per sé, fuor  della sintesi, essenzialmente soggettiva, co' dati offerti dal senso ed  elaborati nel soggetto. E G. scrive: Egli è vero che l'in-  tuito diretto della mente non basta a fare la scienza, ma ci vuol  di pili quella ridessione che ho denominata ontologica dall'obbietto  in cui ella si adopera. La quale arreca nel suo oggetto quella di-  stinzione, chiarezza e delineazione mentale, che senza alterarne  r intima natura, lo fanno scendere, per così dire, dalla sua altezza  inaccessibile, e accomodarsi all'umana apprensiva. Se l'intuito  fosse solo, l'uomo assorbito dall'idea non potrebbe conoscerla,  perchè ogni conoscenza importa la compenetrazione del proprio  intuito, e la coscienza di noi medesimi, ; vale a dire la coscienza  dell'intuito e la coscienza del soggetto, che in fondo sono una medesima coscienza; dacché, anche per G., l'intuito è costitutivo  del soggetto, e non v'ha soggetto senza l'intuizione immanente  dell'Idea. Sicché l' intuito giobertiano neanch'esso fornisce una effettiva conoscenza, ne è bensì anch'esso la pura condizione, la pura  forma a priori, la quale ha bisogno, come qui dice l' autore, della  riflessione. Orbene, che è questa riflessione, e qual'è l'ufficio suo? Essa [La riflesBione pertanto dee accompagnue l'intuito primitivo; è come un intuito secondario, cioè un replicamento cosciente del-  l'atto coatemplativo della Idea; ma, appuoto perchè cosciente, non  è più puro intuito, non è più condizione, ma atto di coscienza: essa è  già coscienza. La riflessione importa quindi una determinazione  soggettiva e però una modificazione pur soggettiva; poiché l'intuito  è vago e indeterminato, mentre ogni atto di conoscenza è essenzialmente determinazione ed unità; elementi che all'intuito non  possono essere aggiunti dall'oggetto suo, che non ha in sé né determinazione, . né principio veruno di determinazione. Nel primo  intuito la cognizione è vaga, indeterminata, confusa, si disperge,  si sparpaglia in varie parti, senza che lo spirito possa fermarla,  appropriarsela veramente, e averne distinta coscienza. L'intuito  secondario, cioè la rimessione, chiarifica l'Idea, determinandola; e  la determina, unificandola, cioè comunicandole quella unità finita,  che è propria, non già di essa Idea, ma dello spirito creato , La riflessione, adunque, si deve considerare come una funzione  determinatrìce dell'intuito, o vogliam dire dell'» priori; funzione  fondata sull' unità del soggetto, di quell'attività intima e semplicissima, che dianzi rilevammo. Ma in che modo avviene la de-  terminazione? Ciò succede, mediante l'uniOne mirabile dell'Idea  colla parola. La parola ferma e circoscrive l'Idea , ^); unione mirabile e 'misteriosa, donde s'inizia la conoscenza, come lo era quella  percezione intellettiva, per la quale Rosmini faceva sviluppare l'atto  del conoscere; ma unione necessaria, unione, come s'è visto, senza  la quale non v'ha umana conoscenza).   E alla percezione intellettiva l'atto prodotto per la riflessione  si riconnette anche per la natura della parola, che si sostituisce  in esso alla sensazione rosminiana. G. infatti, definendo la  ») Introd. La parola, easendo il priocipio determinativo dell'Idea à altreai  una condizione neoeBjacia della esistenza e della certezza rlfleasiva»  0. Gentile  PAROLA, come OGNI SEGNO, per un sensibile, osserva: Se adunque  ella BÌ richiede per ripensare l'Idea, ne segue che il sensibile è necessario per poter riflettere e conoscere distintamente l'intelligibile).  II cbe consuona con la doppia natura dell'uomo composto di corpo  e d'animo, e annulla quel falso spiritualismo, che vorrebbe considerar gli organi e i sensi, come un accessorio e un accidente  della nostra natura. Sulle quali parole è bene cbe meditino quanti  sono che l'intuito giobertiano sogliono appaiare con quello del  Malebranche. Anche G., come SERBATI fa ricorso al sensibile e Io ritiene necessario alla formazione dell'Idea; e il senso  anche lui fa costitutivo dell' oi^anismo unico dello spirito.   Sennonché, sulla natura di questo nuovo sensibile proposto da G. solvono varie difficoltà, sulle quali non è pcasibile sorvolare, volendo fornire una idea non troppo manchevole della sua teorica della cognizione. Vedemmo altrove (part. I, cap. 3") come già fin nelle Miscellanee, che sono sì prezioso documento della formazione della mente  del Gioberti, si accettasse e si lodasse la teoria bonaldiana del lin-  ' S^^SS^°- ^^^ 1"' nsll^ Introduzione è detto: Parecchi scrittori moderni assai noti, fra' quali il Bonald merita un luogo particolare,  hanno avvertita la necessità del linguaggio per l'esercizio del pensiero, *}. Ed è senza dubbio dal Bonald eh' egli ha mutuato la sua  dottrina, che ha, pel modo come sorse, una grave ragione storica.   È noto che l' empirismo inglese e il sensismo francese sì proponevano di spiegare il linguaggio umano, come una invenzione  dell'uomo, Reid per primo, (poiché le profonde intuizioni del Vico passarono inosservate), nelle sue Ricerche stdl' intendimento, dimostrò che il linguaggio nel suo più ampio [Cfr. Teor. Sovr-, II, 35 < Senaa la contezia di qualche aenaibile, le idee  non aorebbeia acceBsibili alla mente nostra*. Teoria che bÌ conferma e ai de-  fiaiace meglio nella Protoloffia, per la qaale cfr. i Inoghi dUti dallo Spàtbhti.,  nella FUoa. di Oiob., p. 53 n.   *j Introd.] SIGNIFICATO È NATURALE PRIMA CHE ARTIFICIALE. – cf. Grice. Definiva egli Il linguaggio, efinizione, ai badi, espressamente citata e accolta dal  nostro G., ') tutti i SEGNI onde gli uomini fanno uso per  comunicarsi reciprocamente i loro pensieri, le loro conoscenze, le  loro intenzioni, i loro disegni e i loro desiderj , *}. Per Reid v' ba  DUE SPECIE DI LINGUAGGIO: UN LINGUAGGIO NATURALE, formato da quei  vocaboli, che NON HANNO UN SIGNIFICATO CONVENZIONALE, ma ne hanno  uno che tutti intendono naturalmente e per istinto; e UN LINGUAGGIO ARTIFICIALE, costituito dei vocaboli non aventi altra significazione se  non quella attribuita loro convenzionalmente dagli uomini. Che vi  sia un lii^uaggio naturale è innegabile: e l'attestala sopravvivenza stessa di esso al linguaggio artificiale: le modulazioni della  voce, ì gesti, i tratti del viso o la fisonomia, mezzi tutti onde  l'uomo esprime naturalmente i pensieri, — sono per l'appunto le tre  classi alle quali riduce Reid tutti gli elementi di cotesto linguaggio. Ora è ovvio dedurre, siccome fa appunto il filosofo scozzese,  che IL LINGUAGGIO ARTIFICIALE PRESUPPONE IL LINGUAGGIO NATURALE, senza di cui  gl’uomini non avrebbero potuto intendersi per convenire nei significati di quei vocaboli onde resulta Il loro LINGUAGGIO ARTIFICIALE. Di modo che se, come vuole l'empirismo, il linguaggio fosse dovuto  solver per un'invenzione umana, come la scrittura o la stampa,  tutte le nazioni, dice  Reid, sarebbero ancora mute, come i bruti. Né meno stringente è la critica da Bonald opposta alla teorica del Condillac ) nelle sue Ricerche filosofiche. Secondo Bonald  il linguaggio ci è dato primitivamente con la prima conoscenza;  a causa della necessaria simultaneità della idea con la sua espras-  [Le parole sono I SEGNI principkli, ma non i soli Bagni, come sa oiaaouuo;  tntti i sentimeati sodo veri SEGNI deUe cose, secondo la bella e profonda dottrina  di Tommaso Eeid >; Introd. Rech. sur V entendemenf humain, trad. Jouffro;, oliap. IV, sect. 2 in  OtMvres (Paris Combatte la teoria com'era stata formulata da) CoDdiUac; ma tiene por  conto delld OBservazioni di Hobbes di Locke e di tutti i sensisti.] aione (espressione, si noti, anche semplicemente * mentale « ) S  contro i sostenitori dell'opposta sentenza, osserva che essi comin-  ciano dal supporre, contro ogni autorità ed ogni ragione, l'uomo  in uno stato primitivo bruto e insociale, e a tal grado di barbarie,  da essere perfino privato della facoltà di conoscere e comunicare  i proprj pensieri, per attribuirgli nello stesso stato i pensieri, i sen-  timenti, le affezioni, le intenzioni, i bisogni, Io spirito d' invenzione  e d'industria dell'uomo sociale e civilizzato , '). Lo critica di Bonald è in fondo identica a quella del Reid.  Si presuppone nell'uomo sfornito tuttavia del linguaggio, cbe gli  tocca inventare, qualità o attitudini necessarie all'invenzione; le  quali non possono non equivalere al possesso del linguaggio che  vien negato, comecché in una forma primordiale e naturalmente  rozza. E questa ingenua teoria del vecchio empirismo che fon-  dava la società io un contratto, la religione su un arbitrio dì  legislatori, e Ìl linguaggio in una INVENZIONE CONVENZIONALE, è stata  anche in quest' ultimo campo, sconfitta dalla moderna scienza della  linguistica comparata; la quale se tra MuUer e Witney  discorda intorno alia necessità delle relazioni che intercedono fra  il pensiero e LA PAROLA, ha però definitivamente e concordemente  stabilito che il linguaggio è un fatto speciale, primitivo e naturale dell'uomo, non essendovi alcuna società, per quanto barbara e  selvaggia, che non ne sia fornita; del pari che la sociologia e la  scienza delle religioni comparate hanno provato l' originarietà, cioè  l'apriorismo, del fatto sociale e del religioso.   Ed è appunto merito della scuola teologica francese, come  osserva giustamente Janet), di aver dimostrato contro i filosofi francesi la vanità delle teorie intorno all'origine fattizia e riflessa di tutti i fatti i più importanti dell'uomo  sociale. A Bonald poi spetta particolarmente la lode per quel che è  del linguaf^io; e a lui specialmente volgeremo l'attenzione, giacché [lUeherches phiioaophiquea, ohap. Il, in Oeuvres Paris La ph&os. de LamtnnaU.]  egli connette questa teorìa con quella della rivelazione neceasaria  per l'umana conoscenza, siccome fece tra noi G.. Bonald, con l' Histoire comparée di Degerando alla mano,  rileva che la filosofia non è riuscita peranco a fissare un punto  fermo, un criterio sicuro di certezza e di verità, anzi per tutti i  sistemi è finita nello scetticismo e nel soggettivismo; e si chiede  quindi se non fosse possibile " trovare nei fatti sociali un fonda-  mento alle dottrine filosofiche piìl solido di quello che s' è cercato  fin qui nelle opinioni personali , ') ; e questo fondamento gli pare  appunto di trovarlo nel linguaggio, che, dimostrato non potersi inventare dagl’uomini, deve (non essendovi, secondo lui, altra via) essere stato comunicato da Dio alla società umana, e in questa  appresa via via dagli individui. Si direbbe che il criterio di Bonald riesce sottosopra a quello  altrove rilevato da Lamennais; che questa PAROLA, che possiamo  accettare come saldo fondamento di certezza, data da Dio all'umano  consorzio, è precisamente la rivelazione. Ma quel che v'ha di originale in Bonald, e prova che G. ne dipende io modo speciale, è la teoria della PAROLA coma atto o strumento necessario  del pensiero; vale a dire che, dato che LINGUAGGIO, tutto il  linguaggio aia rivelazione divina, il pensiero dì cui il Bonald  dice che la parola è il corpo, è esso stesso tutto una rivelazione,  cioè ha tutto per se stesso un fondamento di certezza obbiettiva o  sovrumana, nel senso di universale. La quale è appunto la teoria  di G., che ammette bensì una conservazione, ma anche una  alterazione della forraola ( = contenuto della rivelazione, coni' è  contenuto dell' intuito) ; e fa che il pensiero che rimane, anche al-  teratasi la rivelazione, possa tuttavia cogliere il vero. Di guisa  che la rivelazione (l'elemento sensibile della conoscenza) non è accidentale ed esterno al pensiero, ma necesaario e quindi costitutivo  di esso ; sicché, essendo il pensiero un fatto, cotesto elemento sen-  sibile, ne dipende e gli è strettamente connesso.  BecA. O. Gentile   Questa rivelazione, adunque, ha ud valore tutto speciale, in  quanto è qualcosa d' intrìnseco al pensiero stesso, tale perciò che  il ricorrervi non sia per quello un esautorarsi o uà apprendere  dal di fuori, ma bensì uno sviluppare se stesso; laddove, presso il  Ijameanais del Saggio sull’Indifferenza, il pensiero infermo per se  medesimo e incapace d' attingere il vero, si dee abbandonare, quasi  per chiederle conforto, alla rivelazione esteriore. Per G. la  rivelazione va cercata nella vita stessa del pensiero, equivalendo  alla parola, che è tale a sua volta, che senza di essa, come osserva Bonald, il pensiero non esisterebbe. Chi rigetta la  rivelazione, viene a rigettare secondo G., LA PAROLA, ossia  lo strumento necessario alla cognizione riflessiva dell'idea; epperò  non può attinger questa, senza la quale lo vedemmo già eoi  SERBATI il pensiero cessa di essere '). La necessità dì questo  è pertanto la stessa necessità della rivelazione, considerata unicamente per rispetto a quell' ufììcio che dee compiere nel fatto della  conoscenza. Sennonché, cosi considerata, a che si riduce la rivelazione? Essa  ci deve offrire LA PAROLA, ossia I SEGNI delle cose, Il dato sensibile  che circoscrive l'idea dell'essere e le dà attuale esistenza di conoscere; e, come dice l'autore, una successione di sensibili, per cui  essa Idea rivela se medesima all' intuito riflessivo dello spirito  umano, e compie l'intuito diretto, che li porge da sé.   Non è del nostro tema trattare ampiamente di questo punto  della filosofia di G., che richiederebbe una troppo lunga di-  samina. E bisognerebbe sovrattutto discuterla, come in parte  ha fatto, da quel gran maestro che era, SPAVENTA (si veda) nelle opere  postume, una delle quali è appunto dedicata alla filosofia della [ ') B il QiOBBBTi dice: Il ripudio assoluto della tradizione religiosa e  Bcientifica si trae dietro neceasariacoente quello della parola. Ora, siccome l'aiuto  della parola è neceaaarìo per conoscere riflessivamente l'Idea, chi lo rifiuta  dee eziandio dismetteie e gittar da sé ogni cognizione ideale. Ha tolta l' Idea,  che rimane? Nulla ».-- /«(roA, I. 3»;   ») Op.] rivelazione. Ma esse furono tutte scritte dopo la polemica col Elo-  amÌDÌ, e sarebbe perciò inopportuno il prenderle come un punto di  partenza, volendo discorrer di quella. Gì basta notare, che nella stessa Introduzione la teoria della  parola va messa in relazione con le dottrine di Reid e di Bonald,  dalle quali deriva, e co' principj rosminiani già adottati nella Teo-  rica del soEiannaturale; che deve intendersi {secondo la distinzione  di PAROLA NATURALE E PAROLA ARTIFICIALE, ripetuta dallo stesso G.) '),  come parola naturale, cioè come SEGNO della cosa, o sua rappresenlanions, il che corrisponde appuntino alla teoria rosminiana della  sensazione, per la quale si determina e circoscrive l'ente indeterminato. Infatti, secondo G., LA PAROLA ARTIFICIALE non può  esprimere se non le idee già espresse, e presuppone quindi LA PAROLA NATURALE, LA RAPPRESENTAZIONE. Ora, se anche per G. ogni concetto si forma per una determinazione che si fa per LA PAROLA dell' essere indeterminato dell'intuito, ciò avviene, come s'è visto, per opera della riflessione;  la quale richiamerebbe perciò, secondo s'è pur notato, la percezione  intellettiva di SERBATI. Ma G., come ha mutato LA PAROLA,  ha mutato anche, o crede d'aver mutato, il concetto. Alla sua fìlo- [La potenza dell'intuito per attuarsi ha d'uopo della PAROLA, cioè del  sensibile! LA PAROLA È DI DUE SPECIE: NATURALE ED ARTIFICIALE. Questo è IL LINGUAGGIO elle non può eaprimere che le idee già espresse. IL LINGUAGGIO DELL’ARTE è sempre una traduzione del LINGUAGGIO DELLA NATURA; è verso di esso db  che la scrittura verso In PAROLA ARTIFICIALE. Kioi d. Rivela):., Toriao, Botta. Meglio potremmo solidare questa interpetrazione discutendo le difficoltà  che fa insorgere la teoria della PAROLA cori com' è esposta uell' Introduzùtne, o  prima facie par che quivi debba intendersi, esaminando la critica fattane dal  Tbsta nelle sue Considerazioni aopra l' InlrodtiziorK aUo st. ddla JHo*. di  V. Q., Piacenza, Del Majno, 1845, part. n, p. 32 e segg. Ma non ist htc locus.  Con la critica del Testa consuona in alcuni punti quella di V. Db Gbaziì,  ne' suoi Discorsi au la logica di Hegel e su la Filos. speculativa { Napoli,  Gemelli) 2' rass.; e mutuata dal Testa pare l'obbiezione che il  critico calabrese muove all'ipotesi dell'intuito (iTÌ,p. 100) nel Giobertiaee O. Gentile   sofìa, che per la spi^azìone della conosceoza ha bisogno del fatto  della rivelaz ione egli coutrappone la filosofla eterodossa, la quale,  rifìutaodo lo strumento della rivelazione, non può ammettere una  riflessione che rifaccia l’intuito e conduca perciò al possesso del-  l'Idea; e deve quindi rinunciare alla Idea, appigliandosi alla percezione del sensibile, il quale può essere l'oggetto del senso esterno,  come dell'interno, ossìa materiale ed estrinseco, o spirituale ed  intrinsepo. Donde, doppia eterodossia, sensismo da una parte e psicologismo dall'altra; e in ambo i casi ' la sostituzione del sensi-  bile all'intelligibile, come principio, onde muove la filosofia , ');  ossia un metodo il quale, come vedemmo, conduce direttamente  al soggettivismo, allo scetticismo, al nullismo, dacché è vano lo  sforzo dei sensisti e de' psicologisti, di trarre dal sensibile l'in-  telligibile.   La filosolia eterodossa, dunque, ammette bensì anch' essa la  riflessione; ma la sua rifiessione si differenzia essenzialmente dalla  riflessione della filosofìa ortodossa, in quanto, non servendosi di  quel mezzo che solo mette in grado di tornare, dopo il primo intuito, fìno al termine di questo, si deve necessariamente fermare  al fatto della mente (per parlare dello psicologismo che c'interessa) e rimaner quindi semplice riflessione psicologica, in luogo  di pervenire all'Ente intuito immediatamente e farsi, come dovrebbe,  ontologica.   ' Lo strumento, onde lo spirito umano si vale in psicologia,  è la riflessione psicologica, per cui il pensiero si ripiega sovra se  stessO; e afferma, non già la propria sostanza, ma le proprie ope-  razioni solamente. All'incontro nell'ontologia lo strumento è la  contemplazione, la quale si divide in due parti, cioè in uu intuito  primitivo, diretto, immediato, e in un intuito riflesso, che chiamar  si può riflessione contemplativa e ontologica , >). Cosicché la ri-  flessione psicologica è una operazione semplice ; l' ontologica una  [Introd., I, 3"; II, Bi e segg.  *) Introd.] operaziooe duplice; quella si esercita sopra il prodotto soggettivo  di una precedente operazione (l'intuito)-; questa sopra l'oggetto  stesso della operazione precedente, che rifa maturandola. Si potrebbe dire perciò, che la riflessione ontologica sia la stessa  riflessione psicologica aggiuntavi la ripetizione dell'intuito. Infatti nell'ontologia lo spirito, ripensando, si rifa sull'oggetto immediato dell'intuito stesso. Ma, egli è vero che nella riflessione  contemplativa , la mente rivolgendosi all'oggetto ideale, si ripiega  pure di necessità sull' intuito proprio, che lo apprende direttamente ;  onde il tenor psicologico del rìpensare accompagna sempre l'altro  modo di riflettere; tuttavia queste due operazioni, benché simultanee, sono distinte, perchè hanno il loro termine in uu oggetto diverso , ). Una critica non molto difficile qui può sorgere conti'o questa  dottrina della riflessione ontologica. Se l'intuito lascia uno stato  speciale nella mente, un fatto, tal che sia possibile coglierlo con  la riflessione psicologica, due casi si posson dare: o in esso v'ha  uno specchio fedele dell'oggetto proprio dell'intuito, e allora la  riflessione psicologica è fondamento di una conoscenza oggettiva  per eccellenza, e non soggettiva, come pretende G.; o non  si riflette affatto (ovvero, che è lo stesso, non si riflette fedelmente)  il termine dell' intuito, e in tal caso questo primo intuito è per-  fettamente inutile.   Il dilemma ci pare senza uscita. La riflessione ontologica di  G. sarebbe davvero un secondo intuito, se potesse traspor-  tare la determinazione sopravvenuta con la parola (dato sensìbile)  dall'interno del soggetto, dove interviene, nello stesso oggetto; il  che è impossibile, perchè secondo la sua teoria la parola è un sensibile.   E perchè dovrebbe potervela trasportare, cotesta determina- [Cobi è par detta dal Oìobei-ti la riflesBione ontologica; mentre la psicologica è pur detta osservaHva.  «) latroduz.. l, 3", II, 104. G. Qmiile   zionep Perchè, avvenendo la determinazione nella riflessione, es-  sendo questa ontologica, il sensibile, principio della determinazione,  dovrebbe ripensarsi coli' intelligibile, e come questo (poiché si tratta  di un secondo intuito), fuori del soggetto; il che, ripetiamo, è impossibile. Di certo la riflessione ontologica è l' espressione, benché non  esatta, d'una giusta esigenza del pensiero, come or ora vedremo;  ma contrapposta, com'è da G., a una riflessione psicologica,  fallisce al suo scopo, non potendo sfuggire alle conseguenze dello  accennato dilemma. Sennonché, G. ci dice: ' La rifles-  sione psicologica non ha per termine diretto il pensiero, come pen-  siero, ma il pensiero come sensibile intemo, cioè come atto dello  spirito, e quindi non riguarda direttamente l'Intelligibile, che si  congiunge col pensiero e lo illustra. Egli è vero che la riflessione  del psicologo si connette per indiretto coli' Intelligibile ; ma cì6  non prova nulla in favore dei psicologisti; imperocché non ne  partecipa, se non mediante quell'intuito mentale, che, al parer  mio, è il vero e necessario strumento dell' ontologo ,  L'equivoco qui è evidente: la riflessione psicologica non coglie  il pensiero come pensiero, cioè in quanto intuisce l'Idea^, ma  lo coglie, secondo G., come un sensibile intemo ; dunque la  riflessione ontologica non fa altro che cogliere il pensiero come  pensiero. Ora, se la riflessione psicologica presuppone anch'essa un intuito,  e (poiché, parlando contro il psicologismo, G. si riferisce  specialmente a SERBATI) un intuito, che, come vedemmo nella  esposizione della teorica rosminiana, è costitutivo del pensiero, é   Introi., Nella FUoB. iella Uivdaz., G. scrive : Una meate aeiiEa idee,  e in igtato di tavola rasa perfetta è una contraddizione. La facoltà con cui  la meate creata afferra questa rivelaiione [la riveUsioae imuaQente, virtuale,  che diventerà attuala pei opera della riflessione] che fa, la sua  assensa, è l'intuito»; p. 88 Né pia uè raeao di ci6 che dell'intuito aveva  detto SERBATI. la sua propria essenza, come può fare a ritornare sovra un  pensiero ehe non siasi già appropriato l'Intelligibile, e Io abbia  ancora fiiori di sé, e sia ancora in atto d'intuirlo? Insomma sì  può concepire un intuito immediato dell'Intelligibile come essenza  del pensiero, che pur lasci il pensiero sempre al puro stato di tcAida  rasa, sempre in atto di guardare l'Intelligibile, senza mai vederìo?  Il pensiero per SERBATI intanto è pensiero, in quanto ha un  intelletto costituito dall'intuito dell'intelligibile; non può quindi  riflettersi su se stesso, senza trovare in sé non già Ìl semplice atto  astratto dell'intuito, ma sì l'atto concreto, ossia l'atto terminante  nell'Intelligibile: la forma, in una parola, dell'intelletto. E l'equivoco propriamente consiste in ciò : nel concepire l' intuito immediato come una pura dualità; dove, al pari della visione corporea,  da cui immaginosamente è desunta, non può essere se non un'unità  sintetica, di soggetto ed oggetto. L' intuito ond' è fornito l' intelletto è una nozione, in cui Ìl soggetto e l'oggetto, come nel prodotto della sensazione, sono affatto indistinti. Ora se la nozione  è qualcosa di perfettamente uno, ripiegandosi sovra di essa, lo spirito non può non coglierne il contenuto, che è per l'appunto l'Intel-  ligibile. SI' equivoco si fa manifesto quando l' autore soggiunge  che questo scambiamento di metodi (psicologico ed ontologico) gli  ' riesce un trovato cosi bello, come l'assunto di chi adoperasse le  dita e le orecchie, per apprender la luce e distinguere ì colori in  essa racchiusi Qui sì immaginano la luce e ì colori  come oggetti o segni esterni e indipendenti dell'organismo sensitivo, in che si rappresentano; per modo che a noi, sapendoli lì ad  aspettare di esser da noi sentiti, sia dato scegliere lo strumento  più acconcio alla bisogna. Laddove fìa da quando è pubblicato il celebre Manuale di fisiologia di Mailer, si sa  da tutti che non v'ha nulla di più falso. Quello che not sentiamo  e diciamo luce e colori, non è se non per la nostra sensazione e nella  nostra sensazione. Ma G. ignora questo concetto della soggettività della sensazione, comecché avesse già appreso dagli  scozzesi quella teoria della percezione esteriore, per la quale venivano per sempre seppellite le vecchie idee imniagiiii, che solo  la leggerezza filosofica di Ippolito Taine doveva più tardi esumare  nella sua haldanzosa quanto vana guerriglia contro la filosofia  classica francese in genere, e per questo punto contro Royer-Collard >).   Or, come è uno shaglio credere che il colore che diciamo di  vedere con l'occhio, sia fuori dell'occhio, talché se si avesse modo  di riflettere sulla visione, si rifletterebbe sul semplice atto del vederlo, ma non propriamente sul colore; così soltanto un equivoco  può far pensare che nella nozione rosminiana fornita dall' intuito  dell'Intelligibile, non siavi altroché l'atto dell'intuire; di guisa  che la riflessione sovra di essa pervenga soltanto indirettamente  all'oggetto, sul quale cotesto atto si esercita. L'oggetto qui è  una cosa stessa con l' atto, siccome vedemmo altrove discorrendo  dell'intuito; oggetto ed atto sono una cosa sola nell'intuito intellettivo, che è atto insieme e forma dì esso, secondo la teoria  di SERBATI.  E questa è la vera ragione che Tarditi avrebbe dovuto opporre a G., per dimostrargli infondata, come tentò di fare  nella prima e nella seconda delle sue famose lettere, la distinzione  fra le due riflessioni psicologica ed ontologica). Le quali si po- [Convengo pienamente nella controcritica oppostagli dal Janet nel primo  de' suoi scrìtti en La crke phUoaopMques, Paris. Li teoria  scczzcBe toRlienda l'inutile intermediario dell'immagine tra l'oggetto sensibile  e il soggetto sensitivo, fece di certo un primo passo verso quell'unità del  tatto della sensazione, che non poteva d'altronde concepirai senza i nuovi principj del kantismo, di cui giustamente la psicologia genetica tedesca si con-  sidera come un fedele compimento. Vedi in proposito gli scritti del  TabÌktino in Giom Napdet. di FUob. e Lett.  e 81 e del Cm*p-  PELLi, ivi. QnelH del primo bqu pure raccolti nei Saggi fUoeofici, Napoli,  Morano, Dopo la pubblicazione di quwto votame  il Chiappelli tornò sull'argomento nella Filosofiti delle Scude Italiane, in un art. sulle Attinenze fra il criticiamo kantiano e la pri-  coloffia inglese e tedesca.  Siccome, osserva Tarditi, noi non possiamo riflettere su ne»aa trebberò ira loro distinguere solamente pel dÌTerso oggetto (e a  questo soltanto s'è appellato come a ragion distintiva in un passo  dell’Introduzione già citato G.); talché se l'una noa ha,  né può avere un oggetto diverao dall' altra, è chiaro che la distin-  zione non possa più farsi.   n G., veramente, negava più tardi che la distinzione si  desuma soltanto dall' oggetto; e voleva che si fondi anche sul  metodo {Errori); e dava sulla voce a Tarditi, che  ciò non aveva saputo vedere •). Ma come sosteneva la sua sentenza ?  La diversità dei metodi in ogni ordine di ricerche consiste . . .  in quella del veicolo, che si dee scegliere per conseguire l'oggetto  ricercato; e la natura del veicolo è determinata da quella dell'og-  getto medesimo, considerata non in sé semplicemente, ma nelle  sue attinenze con le facoltà e le condizioni del cercatore , . E  più in là: ' Il punto, a cui si vuol giungere, determina l'indirizzo  che si dee tenere; l'intervallo che s'ha da correre, insegna le operazioni da farsi, per superare gli ostacoli e toccare la mèta , '). Ora^ senza dire dei caratteri differenziali che G. poi  indica nei due processi che vuol distinti, basta notare che la sua  deduzione avrebbe un valore soltanto nel caso eh' ei avesse dimo-  strato essere realmente distinti i due pretesi oggetti di riflessione,  poiché, a confessione dello stesso G., la natura del metodo oggetto se Doa quanto da noi o intuito se ideale, o percepito se reftle; pad  la riflesBÌoDe passare egualmente dall' oggetto atl' intuito, e dn questo a quello;  anzi ta rìfleasioue sull'intuito non puA essero completa, imparziale, quale s'addice al filosofa, se non coasidera l'intuito, e nel soggetto di cui è atto, e nell’oggetto in cui termina, e dal quale Sformalo*; Leti, d'un Sosminiano,  Z\  ; e si riferisce alla teorìa della rytesiione filosofica del Rosmini ; cfr.  p. S e segg. Or se si distìngue e separa, come fa il Tarditi, atta da oggetto,  G. ha cagione. H vero è ohe essi non sono afiatto distinti. ') Leti, eit, Errori. G. Omtile   è determinata dalla natura dell' oggetto. Contro il Tarditi che  ammetteva un atto di intuire distinto attualmente da un oggetto  intuito, egli aveva ragione; perchè se vi sono due termini di diversa natura, noi non possiamo giungere a ciascuno di essi con  un medesimo processo. Ma conviene prima provare quella distinzione di atto e di oggetto nell'intuito; la quale è, pift che altro,  presupposta dal nostro autore.   E peccando il suo ragionamento di una siffatta petizion di  principio, né potendosi altrimenti che per astrazione distinguere  r atto dall' oggetto, G. non può dire nemmeno che la replicazione dell'intuito, cioè la riflessione, si differenzi! per l'oggetto  e pel metodo; poiché il metodo potrebbe esser diverso solo allof  che fosse differente l'ometto. E se il metodo trae i suoi caratteri  specifici dall'oggetto, e se l'oggetto è uno e inscindibile, come  si può distinguere una riflessione psicologica e una riflessione ontologica? Il pensiero non si può riflettere se non sopra di sé, come pensiero;  e siccome è costituito tale dall'intuito dell'essere, che gli dà l'idea  dì questo, la riflessione non può non comprendere direttamente  questa idea dell' essere, che è oggetto dell' intuito. Che se l'intuito si considera nel suo intimo e profondo significato, secondo la critica da noi fattane, cioè io quanto esprime  l'oggettività vera (non la falsa oggettività fantasticata, con la im-  maginaria opposizione, a risolver la quale # ricercato l'intuito),  e però la vera soggettività, vedasi quanta ragione più si abbia di  volere una riflessione che, a differenza della riflessione sull’intuito, faccia riflettere lo spirito sullo stesso oggetto dell'intuito. E a  questo punto noi volevamo arrivare. Perchè G. distingue  una riflessione ontologica dalla riflessione dei psicologisti ? Qnesta,  egli dice, si ferma a un fatto dello spirito ; quella ci conduce fino  allo stesso oggetto ; e quella è però da preferirsi, se si vuole evitare  il soggettivismo. Or si veda che fedele rosminiano è fin nell'affermazione di questa esigenza G. ! La critica sbagliata Fatta da SERBATI delle forme kantiane, ecco che egli la rivolge una seconda SERBATI 6 QwberH 27   Tolta contro SERBATI medesimo. G., infatti, si accorge (l'intuito rosminiano è una pura e semplice forma dell'intellet  ne più né meno delle forme di Kant; se ne accorge e gli pare, dìei  l'insegnamento del Itosmini, di vedersi risorgere innanzi il fosco fs  tasma del soggettivismo. Quindi non gli basta un intuito, coi  bastava al Iio3mÌDÌ, onde salvare l'oggettività, cioèl'universal  e la necessità della scienza, e gliene vogliono due, un doppio ìntu  intuito riflesso o secondario, o veramente una riflessione oni  logica. Bisogna davvero che questa Idea stia fuori del soggel  umano, stia da sé, e bisogna cbe si vada sempre fino a lei, ti  per un semplice intuito (potenza o virtualità di conoscere), vi  per un intuito riflesso, reale ed effettivo conoscere. Ma il guajo è che se l'intuito, l'intuito scempio, sul quale  esercita la " riflessione eunuca , ^) del Rosmini, è un semplice s<  sibilo interno, o meglio, un semplice dato soggettivo (che pel G:  berti quel termine ha questo significato) opperò individuali  contingente, — non c'è modo di provare che non sia un sempl  dato soggettivo anche lo stesso intuito doppio, che gli si vuol (  stituire. À rigor di logica, infatti, la critica stessa che il Qiobe  muove a SERBATI, si può muovere a lui, e si può continuare  l'infinito contro chi intenda l'oggettività, cioè l'universalitì  necessità delle forme di cognizione, come opposizione al sogge  conoscitore. Giacché l' intuito è sempre la stessa operazione, ed i  plica sempre la medesima relazione tra soggetto ed oggetto,  che si eserciti una sola volta, sia che si eserciti due volte,  riflessione ontologica rifa l'intuito circoscrìvendone l'oggetto  dato sensibile, offerto dalla parola. Ora, se il prìmo^intuito i  era bastato a cogliere l'intelligibile, perchè e come deve potè  cogliere il secondo ? L'aveva evolto, dirà G.; ma appui  perciò bisogna ripeterlo, quando si vuol predicare del dato sensil  quella intelligibilità, e formare il concetto. Ma anche a  v' ha risposta; cioè, l'intuito non è, come s' è visto un precedei  Errori, I, Gentile   cronologico della percezione intellettiva, dell'atto (che G. dice riflessione) della determinazione dell'Idea, del differenziamento della primitiva identità. E se non precede cronologicamente,  come non deve, né può, poiché non v'ha l'identico senza la differenza, né l'universale fuori del particolare, né l'uno fuori del vario,  é falso i! concetto d'un replìcamento dell'intuito nella percezione  intellettiva o nella riflessione; perchè il replicaraento presupporrebbe l'intuito come un precedente anche cronologico, oltre che  logico ; con che si tornerebbe al vecchio concetto dell'a priori. La riflessione ontologica, adunque, non può intendersi come in-  tuito riflesso, cioè come doppio intuito, nonostante l' esigenza che  r Intelligibile aia intuito nell' occasione stessa della percezione sensitiva, oltre che solo; per la semplice ragione che da solo non è mai  intuito, se non come presupposto logico, come un quid trascendente  il fatto della conoscenza. D'altronde, il secondo intuito che si comprende in cotesta riflessione ontologica, non è né più né meno che  una ripetizione del primo ; talché, insufficiente il primo, non pub  non essere, e G. non dice perchè né come non debba essere insufficiente il secondo, E perciò, rifiutato il primo, egli non  aveva nessuna ragione di tenersi contento al secondo, come aveva  avuto torto, a fil di logica, SERBATI, rifiutando le forme kan-  tiane, a contentarsi di quel suo primo intuito. Ma come l'errore  di SERBATI risguardava la sua interpetrazione di Kant, ma non,  ci pare, la sua teorica, ed anzi era prova, come s' è più volte notato,  delia buona esigenza da lui avvertita di una perfetta universalità  e necessità nel conoscere; così, con la sua teoria della riflessione  ontologica, G., se crede a torto di correggere SERBATI  e con esso anche il Kant, dimostra anche lui di avere avuto il  giusto concetto dei bisogni essenziali della scienza. E v' ha di più nel G.. Questi sente più forte una esigenza,  che non si può dire sia stata trascurata dal Rosmini, comecché  in lui non sembrasse pienamente soddisfatta; vale a dire l' esigenza  dell' unità non pure come compimento della dualità della sintesi,  ma altresì come sua base, fondamento ed inìzio.    SERBATI (si veda) e G.  Infatti, con la riflessione ontologica 8Ì ritrae la differenza nel  seno stesso delU identità; perchè LA PAROLA, principio determinativo, aiceome è una rivelazione dell'idea, così è strumento di quella  riflessione, che risale fino all'idea stessa, a guisa d'un quadro, in  cui s' incornicia la vaga Idea sconfinata, tanto per lasciarsi vedere  dal finito spìrito umano. Ma quadro e Idea sono una medesima cosa;  tanto che la parola è detta rivelazione dell'Idea, ed è propriamente PAROLA dell' Idea medesima. Sicché la differenza qui scaturisce dal fondo stesso dell'identità, dall'Idea; e la funzione dello  spirito, per cui si apprende insieme l'identico e il diverso, è precisamente la riflessione ontologica, che si rifa dal centro stesso  dell'identico; laddove, secondo G., la riflessione psicologica  non si rifaceva se non dall' atto stesso dell'intuito di cotesto identico, cioè da un fatto sensibile, epperò da un diverso; il quale, d'al-  tronde, se pure era un identico relativamente all' ordine dei cono-  scibili, non conteneva però in sé il principio della differenza. G., adunque, senza riuscire a dimostrare l' insufficienza  della riflessione rosminiana, con la critica di questa e col volervi  sostituire una riflessione più compiuta, mirava a porre su più solido  fondamento la oggettività del conoscere, e a giustificare più sicu-  ramente quella vera sintesi a priori che per questa via accettava,  attraverso SERBATI, da Em. Kant; fondandola su quell'unità indis-  solubile di identico e di diverso, di uno e di moltepUce, di uni-  versale e di particolare, di necessario e di contingente, nella quale  è la vita e la spiegazione del pensiero e del mondo ; unità, del resto,  di cui sentì pure il bisogno SERBATI, come in parte s'è visto e  meglio si vedrà nel capitolo ohe s^ue.   E per conchiudere intanto su questo punto, diremo che la riflessione ontologica non è una operazione differente dalla riflessione  psicologica, che G. attribuisce a SERBATI; non potendone  differire pel metodo, poiché non ne differisce per l'oggetto, e non  potendo per questo differirne, poiché non esiste quella duplicità di  c^getto, che è presupposta da G., e che ne sarebbe condizione necessaria e sufficiente. L'immediatezza dell'intuito, come  0. OmHle   forma del conosoere, esclude essa appunto ogni distinzione tra atto  d'intuire e oggetto intuito, siccome distrugge l'opposizione, che  pur presuppone col suo letterale significato, fra soggetto ed oggetto. Della proprietà delle parole. LA PAROLA, prima che fosse scrtta, è PARLATA: LA PAROLA PARLATA è inventata da Dio, e la scrittura è un trovato dell'uomo, e in specie del sacerdozio, secondo l'opinione di G., LA PAROLA ARTIFICIALE, come espressione dell'idea, non è già il verbo creatore, ma l'immagine del verbo, cioè il vero verbo della mente umana ;e quindi il vero medialoreidealetra lo spirito e l'Idea. Se adunque lo spirito contempla l'idea a traverso della parola, egli è chiaro, che LA PAROLA dee yelare appena e non coprire l'Idea, come terso cristallo corpi sottostanti; quindi ella dee essere trasparente, e in ciò consiste la sua semplicità e perfezione, Dalla semplicità della parola nasce la proprietà delle voci, la purità e l'eleganza dei vocaboli; le quali doli della parola si tra yasano nelle frasi, che esprimono l'unione armonica delle voci mediante i concetti; e per via delle frasi riverberano quindi nello stile, e generano la bellezza del discorso. Imperocchè il discorso è bello allora quando le voci, le frasi, e quindi lo stile che ne deriva, sono semplici, proprie, pure ed eleganti. Infatti la parola è semplice, quando vela appena il concetto, e non lo copre dinanzi all'occhio della mente, nel qual caso la parola è per l'opposto materialé, e oscura. La parola è propria, se è un RITRATTO FEDELE del concetto che esprime; ed è sempre tale, ogni qualvolta  LINGUAGGIO; della precisione dei concetti mediante le diffinizioni, e della loro partizione mediante le divisioni dell'organismo dei concelti mediante i giudizii; delle pruove delle verità seconde mediante i raziocinii; e in fine del processo della mente secondo il lenore obbieltivo dell’idee mediante ilmetodo. Ma poichè in tutte queste operazioni della mente si può cadere in errore, ogni qual volta non si fa buon uso dei canoni logici e della loro applicazione, quindi entra innanzi la critica a giudicar dell'uso che si è fatto dei canoni logicali, mediante il giudicatorio supremo dei principii che sovraslano alle stes. seleggi. Diche noi dividiamo tutta la materia di questo capitolo in tanti distinti articoli. conserva la sua semplicità. QUANDO LA PAROLA È PROPRIA MANTIENE A CAPELLO LA CORRISPONDENZA PERFETTA TRA L’IDEA E IL SUO SEGNO SENSIBILE, se ella SIGNIFICA l'idea increata, cioè l'ente; e se ella esprime l'idea creata, cioè l'esistente è anche propria, ogni qual volta conserva la corrispondenza tra la mimesi e la metessi. Quindi è, che LA LINGUA primitiva, la quale ha due parti, l'una divina, e l'altra umana, e eminentemente propria; imperocchè la parte divina di quella lingua consisiente nella rivelazione dei verbi originali manteóne, perchè divina, la corrispondenza tra l'idea e IL SEGNO, e la parte umana, consistente nel l'INVENZIONE DEI NOMI primitivi, mantenne ancora la corrispondenza tra la mimesi e la metessi, perchè Adamo per nominare i sensibili coi loro proprii nomi, li dedusse dagl'intelligibili, cioè dalla loro radice melessica. Quindi è, ancora, che nella divisione delle lingue avvenuta pel fatto di Babele non re, che non abbia più o meno perdule e guaste molte primitive sue forme; che non costi di nomi e verbi anomali, eteroclili, difettivi, e di molte altre irregolarità di linguaggio, sicchè ogni lingua compare una rovina del primitivo idioma. Quindi è finalmente, che gli scrittori autichi per che sono studiosissimi della proprietà delle voci e dello stile (onde le loro distinzioni dei varii generi di stile, tenue, mezzano, sublime) perciò sono appellati classici, e sono i soli che abbiano buona scuola, cioè ispirano e producono altri scrittori grandi. Abbiamo detto che dalla proprietà nasce la purità l'eleganza e la bellezza della lingua e dello stile; e quindi del DISCORSO. E infatti la voce proprio nella LINGUA ITALIANA importa il concetto d’identità, cioè della medesimezza di una cosa con seco stessa. Importa pure il possesso che una cosa ha di sè medesima, perchè la cosa posseduta è quasi parte è in certo modo faltura eziandio del possidente. Quindi il vocabolo proprietà è spesso sinonimo di medesimezia. Così l' amor proprio è l'amor di sè; è desso ancora sinonimo di possessione. Così gl’attributi specifici di una cosa, i quali ne sono le proprietà, sono la cosa stessa, perchè le qualià e i modi degl’esseri sono la sostanza modificata, valquanto dire la mimesi della metessi. Adunque LA PROPRIETÀ DEL PARLARE altro non è che LA CORRISPONDENZA DELLA MIMESI CLLA METESSI DEL DISCORSO; la quale corrispoc  [Ma se LA PROPRIETÀ DEL LINGUAGGIO è la fonte di tutti i pregi del PARLARE e dello scrivere, LA IMPROPRIETÀ DEL PARLARE POI E UNA DELLA CAUSE PRINCIPALI DEGL’ERRORI ONTOLOGICI E LOGICI, che producono la declinazione della filosofia, como avvertimino nella prima parte di questo corso. L'errore in generale altro non è che lo sviamento dell'intelletto nella cognizione della verità; e come tale si distingue dall'ignoranza, la quale non importa la cognizione alterata del vero, ma bensì la privazione assoluta della cognizione. E poichè al vero si oppone il falso; perciò siccome il vero significa, in quanto è desso l'essere, così il falso non significa, secondo la bella espressione di TASSO (si veda), perchè e desso il non essere  denza costituisce LA DIALETTICA DEL LINGUAGGIO, e quindi la improprietà ne è la sofistica. Ora la purità del PARLARE importa la sua pulitezza, la quale è una specie di proprietà; imperocchè la pulitezza, mostrando la cosa nella sua forma nativa, fa che la cosa sia identica a se stessa, val quanto dire che l'apparenza risponda alla sostanza; il che importa in altri termini che la cosa ha possesso di sè medesima. E poichè la politezza importa la scelta di ciò che costiluisce l'ornamento degl’oggetti materiali, cosi nella lingua l'eleganza è inseparabile dalla purità delle voci. E siccome alla pulitezza si oppone l'immondezza, che illai disce e deforma gl’oggetti, così all'eleganza si oppone la vanità che li altera e deforma come se fosse unamaschera straniera. Altrettanto succede nella lingua e nello stile. Dalla stessa fonte della proprietà e semplicità del linguaggio scaturisce la bellezza dello stile e del discorso. Imperocchè QUANDO IL LINGUAGGIO VELA appena e non appanna l'idea o il concetto, se ne rende allora il ritratto fedele, nel quale caso l'idea increata o creata manifesta naturalmente e senza ostacolo la sua luce diretta o riflessa nella PAROLA. Ora il bello essendo lo splendore dell'intelligibile, sia assoluto, sia relativo, che si rivela a traverso il sensibile, cosi quando LA PAROLA è semplice e PROPRIA, è ancora bella necessariamente; e quindi la bellezza del DISCORSO in sè raccoglie tutte le qualilà della PAROLA e dello stile, cioè la semplicila e la proprieta, la purità e l'eleganza. cio è il nulla che non ha, nè può avere virtù di significare. Ora le cause degl’errori si rieducono a due principali, onde le altre derivano, cioè ally limitazione dell'uomo, e quindi delle sue facoltà, e all'alterazione della parola, come espressione dell'idea; ben'in leso però, che anche questa seconda dipende dalla prima. Dalla limitazione dell'uomo e delle sue facoltà nacque lo sviamento del libero arbitrio in ordine alla legge, e quindi l'esistenza del male morale; il quale è cagione del male intelletsuale, inquanto è cagione del predominio del sensibile suil'intelligibilee dellepassioni sulla ragione, onde deriva l'alterazione dell'idea, e quindi l'esistenza del'l errore. Ma qualunquesia, dice G., la causa della corruzione egli è indubitalo, che in origine l'alterarsi dell'idea è congiunto equasi coetaneo a quello della PAROLA; laddove in appresso, e nel commercio tradizionale, IL DISORDINE TRAPASSA NEI PENSIERI DAI SEGNI; sicchè l'improprietà della PAROLA è la causa, e l'errore è l'effetto. Imperocchè, QUANDO LA PAROLA È IMPROPRIA, siccome ella non mantiene più la perfetta CORRISPONDENZA – e ripprasantanza --  tra l'idea e IL SEGNO che la ESPRIME, cosi i concetti ideali sono travisati dai concetti sensibili inchiusi nella PAROLA, e l'idea viene adulterala dalla METAFORA o dalla etimologia. Nel quale caso i concetti ideali si corrompono proporzionatamente, se giả una nuova rivelazione, o un magisterio esteriore, organato dall'idea istessa, nón impedisce tali corruzioni della PAROLA, serbando incorrolta quella genuina e originale CORRISPONDENZA FRAL’IDEA E IL SUO SEGNO ESTERIORE. Idea gtnerale dell'opera, e tua diritieue in due libri. La tloria delle religioni appartiene a snella della Blotofia. Si ritolrono alcune obbieiioni in contrario. Perpetuità della Blotofia. Del metodo critico aegailo dall’ autore nelle rirerebe aloriebe. Si liepolide ai nemici delle eonpilatìoni. Del metodo dottrinale, oaaerralo dall' autore; perebd egli anteponga la. linloti all’ analisi. Cenni sopra nn’ opera precedente. Prorotsione cattolica dell’ autore. RUpoala a ehi te aoeuta di eiaer troppo ratlolico. La moderazione' nelle dottrine non è oggi di moda. Via {utile e compendiosa, per giungere alla gloria. In che senso l’ antere sìa sago del progresso. Sua protrata, intorno alle persone generalmente; agli scritlori risi ed ai morti, in itpeeio. Di Byron. Dei sentimenti , che mosiero l' auloro a scrirere. Contro la sella degP Italogalli. Funesti influssi della Francia. Della eterodosna moderna in generale, e della filosofia germanica in particolare. Gl’Italiani debbono filosofare da sé. Dello stile filosofico. Importanza della lingua in ordine alle cose.{.odi ifi An- tonio Cesari. Contro i cattisi amatori d’idee. Dei parolai. Contro la barbarie dello scrirere, che domina in Italia. Della cbiaretxa, bresild, semplicità, precisione, c purezza del dettalo. Esempi italiani di elocuzione filosofica perfette. Del modo, con cui si può inoorar nella lingua. Scusa dell' autore, intorno alla lingua e allo alile da lui adoperato. Eaorlazioue ai giorani italiani. L’Iililà della sera filosofia. Elsa non dee sparenlare i buoni goreroi, né i buoni principi. Sua opportunità,  r lG-2 per ristorare la religione. La Gloa^fia dee cucre collìfaU specialmente dai cbicrici. Lodi del chiericato italiano. Del sacerdoiio frnncese ; sua antica dottrina, e suo virtù io ogni tempo. Del modo, eoo <ui li coltivano le lettere da oleum chierìci franoesi. Della parlecipasìonc dei chierici olla vita sociulo» Della liberti cattolica nel culto delle dottrine. » Che il clero catiolico dee essere emìnenle anche nelle scìen* se profun<’, per sortire picnamt nte rt-netlo del suo o>ini^te/io. Di certe sette politi* che, che nocciono alla religione. ~ Dei ti elogi laici, che ioondcAO la Francia: loro tracotanza. Al'eanza della filosofia colla religione. La dottrina cattolica é la sola dottrina religiosa, che abbia un valore acientifico. Come la novità si accordi coli*antichità nello cose filosoticlic. Si concbiude, esortando gl* lioliaui a I. barare le sc cuse ipecuialve dai nuovi barbari. DELLE DOTTBLNE Della dcelinaztone delle scienze spcculalive in generale. Cunirapposlo fra- lo sla o fìorcnle delle matetnatiche e fi*ichr, e lo s(|uallure della fihtsofìa ai ili nostri. » Sue cagioni gencr-chc. Cobsidenuioui a <ju sia propos to sul'o stalo delia filosofia nelle varie parli d'Europa. D.vario, che corre Ira le duii'ine fiancesi o U’de.-che, nato dalle loro diverse attinenze colla religione. Di Descartes.  1 semi'li moderni sono suoi d’srepoli assai piu legiilmi del Malebranche, e di altri antichi cartisiani. Dd panteismo germanico; temperalo dalle tr iduioni religiosa: l’idea «i è oscurata, non eslin a del tutto. Di Kant. Perelié t Tedeschi prot<‘Slanti furono io filosofia più a ioni dall' eaipielà, che i Francesi rallo(ici. ^ Dtver* sita d«‘ir ingegno spcculat vo, presso i Francesi e i tedeschi. Se ne cerca la causa nella storia, e nelle origÌr>i di queste due nazirni. Delia filosofia inglese: sue difie* n’nte dalla francese, e dalli germanica. Dei fìloSvfi ftaìiaiii del secolo quiiidcciao, c del seguente. — DiVico : sue lodi. Epiio{:o d.-I quadro. Della dedinazione degli eludi specidatici, in ordine al soggetto. lufeiiurilà speculaliia e rnoralo dei popoli modcToi, verso gli antichi. La no-a speciale dciruoQio moJeroo è Ir frivoUzza. La cagione di questo vizio è la debolezza della faiol.à volihva. Inlluruza dtl voli re nella cogoiziouv, e oelf ingegno dell’uomo. La modioiriià letteraria dui moderni nasce dalle hggcrizza dei loto animi. Esempi S 2»S *   es»e bi chiude il capitolo. . - Note. Aula prima. Siti diltflanti tpleoJ Jì c Itiili, elle h fanno Ja m.eilri. 71 1 1 ptincipii dal Ufi  Clw il inftoilo El<w>fict> »i J>e di durre dai principi!, e non I metodo. Il ig. Coiaio «.elude la «tiri» delle religioni da quella dtlU Bloiplia. Del cullo reciproco de’ moderni Rfillofi ff.nceii. Di una iKioea Enciclopedia. Sopr. OD* «poitigi. recefllo diDjroa.  l'i. 1 lit   ii, i6. IM ii, Ai nemici delle wItiglieMf. Sullo lingua e luU' eluguenia francese. Sul primato della Fraocia. L'.terodomia modarna non i fono ancora al «uo fine. Della periiia di Paolo Luigi Cuarier nella lingua a negli icrillori italiani, Paw dal Letiinj; mila lobrielA « ammauralega degli antichi tceitlofi. Sull'uli-iU dei buoni giiirnali «ccletiailici. Pmm del Leibnu «olla libertà cattolica dcKii «eritteri, Querela di Cousin eoutro il clero ffauceee. P«Mu del Leibnii contro i dùaipatori delle antiche dotUine. Sull' apoilaiia lU alconi prelati ruwù Delle cagioni della H>rorma. Che la tinceritA di Denartei nel proretiani cattolico è per lo meno dubbia. Il Malebranche non è earleeiano intorno al primo principio dellalua filoaoCa. Clia il «ig. Coutin ha ao concetto mollo ineaatio dello Spinci.Mio. Pawo del Courier tuH'iitiulo aotTilo dei moderni. 1^ ^ ; iò 5,  rcceoli e ìuliani di una Tolontà forte: Napoleooet e Alfieri. Lodi deli’ Al> fieli. La fursa della volontà dipende in gran parte dall* educasioae. Cbe co a sia r educatione. Saa oeceuilA. Delle varie forme, che prese 1’ educazione, tecoodo il ccM’to dei tempi e la varieii di'! popoli. Po pubblica presso gli antichi ; qoasi pub- bloa nei basti tempi. » OelP opera dei chierici nell' iostitusione dei giovani. L’educazione diveone pnvate, piesso i moderni.Cagioni di ciò: false teorirlie in politica e IO pedagogia, inglesi e francesi. Di G angiacomo Rousseau. Errori del suo Emito. Delle doUrìne poi tieba snlla liberti dell' ednratione. Falsili loro. L’e* ducaaioQ^ manca quasi alTatto nello stato presente di Europa. » Difetti dei metodi vi* genti dell* insegnare. L’ias«gnameoto pubblico dee < ssere uno, forte, e dipendente dal* lo stalo. Frivolezza dell' insegoamenlo cattedratico, quale si usa oggidì nei paesi più civili. » Dei giornali. Diretti, e danni dei giornali, come per lo piò si scrìvono in Francia. Nuocono al'e lettere e al e sciente dalia parte di chi scrive, e di chi legge. Necessità dell’ iniìtiiuzione pubblica, e di un supremo poto<e educativo. Quella non lìpugna ai costumi, oè questa alla libertà politica dei moderni. Che M»sa sia r iagfgiiu spccuUtivu.  D<2 tla setta dei sofisti moderni, e deg'ì artefici di parole. ^ Quàlìià loto. Si chiamano a rtssrgoa le prìneipai diti diU’ ingegno sfeeulativo, e con  Pano d«l Leibnii tull’abbierion» morale JcrU onioi moderni. Sulla patria di Napoleone. Pano dfl tig. Cuusin mila balta«lia di Waterloo. Pel gioiliiio, che il tilt. Villeoiain ha recato mll' AlCeii. Sugli errori della pueriiia. ^ Sull* uUbU di tre clasii di gioroali. Soll’aliBio Jei generali. Lodi di alcuni illmiri eruditi fraaceii. Pano del Malebraoche augi’ iugegni friToli. In che modo il genio naiionale poeta imprimere la ma forma nelle icieate «peculatiee. Sull' indola morale, e lugli ulUnii UUmli del Goèlhc. Diuu. Pag-   SCDU bill' iCTOKI. Le lodi d'ililia nim sana oggi pericolose per la sua modcslio. Sano opportune, e perchè. Scopo del preienle dilcorsa. L'aifluiui di CMO non t per ilcaa Ter» iiigiiiriUD agli tlnnieri.  L* doUriiu del primalo itili IBO è necetMtfai per rÙHltun-  ziuie delle sci une flloMBclie neita pcniioli. PASTE nanu.  Dell' Hlonooiia uwlnUi e rdtlin In genere. Di qidia cbe con.  peti (He uDoni in paiticoUrc Lt isdice dell' tiatononùi è  neDi virtù creatrice, L'Italia è anlmMina peraccdiema; rau-  lonomia i la boM della mi* nMggionma. DeOnitionE del primato italiano in noiTerale, La petùxria per It ina poitora è il  centro monte del nondo civile. Convenienu geogniGehe dell'  lUUa coir India e colla HeMpoUmia. La religione b flprtndpal  S)ndimeiito del primato italiano. II principio calttdieo è Ime-  panbile dal genio narionile d'Italia. Opinione dei ghibellini  e del flloioll nominali a questo propoaiUi, e aun falsiln. Del  Hachiavelli , del Sarpi e <li Amalitii ih ìlmcm.  Ln xt» iIiiL-  Irina naiionnle d'Italia i quella dei rufIIì e dei realisti. ì!,s\iii-   cattolicismo e dall' Italia. L'Italia è la nniiuuc creatrice: Suo  ing^DO inventivo, c sul) liuiilà delle sue opere. Essa c pure la  naiione redentrice degli altri popoli, e non puA essere redenta     per open loro. I papi non (nrono ! caoM della divisione iT ita-  lia, and lì mottnrono benemeriti In ogni tempo ddroniU iu-  liana ed enropea. ObUeiionl e liipoile. Dei don nemici  perpetui dellt penisela. Fati perpelui e glorie di Roma in ósni  tempo. L'Italia non dee invidiare alle altre Milani la grandena e la potenia disgiunte dalla gìnitliia. Vino a qual segno  i coiHiuisU e II dominio temporale dell' antieo imperio romano '  sinno stati legitUini. Gmdeiie supcnliti della modema BÓma.  Della PMpapnda c ddle mitiioni. Puagone del SiTerlo e  dd Boonaparte. L^Iialia/itaempTB la più co9inopoK(Ìca delle  nanoni. li auo principato si Tonda Mrratlutto nella religione,  j la quale di sua natura suvrasla a ogui cosa umnoa. L' Italia tal '   in si lultc le cuii<ii£i<iiii ilei ^un nai limale c politica risorgimento,  \ sema ricorrere «Ilo somniossc iiilcsthie, alle imitaiioai e inva-  j sioni Farcsilere. Dell' umane ÌUliaoa. Essa non può uUenersi  colio rivoluiioiii, [l principio dcU' unità il.iliani è il Pajia; il  quale jiiiii unilìenrc h penisola, mediante una confeclemiinne  ilc'suui principi, Vanlnggi di una lega ilaliana. Il governo  folemlivo è connalurale all' llalia, e il pili imturale ili lutti i  goterni. Danni della centralità cccessita. La sicoreiia e la  prosperità d'iLalia non sì possono conseguire altrimenti che con  un' alleaniB italica. 1 lUrcslieri non possono impedire i]uett'  alleanza, e non che opporvisì , debbono deiideratlo. Semi dell'autore se entra a iliscorrcrc ili caie dì stato. L'opinione nasce Ida pìccoli principii, ma dee essere edncato dai senno della ni-  liane,Dna province (oprattutlo debbom cooperare a ^TOfjr  l'opim'aue Hi-iriiiatì"imieiiVTlnnii « ti Piwnnnl>.  ^Bìj^^ )jj \f  Itoma pei popoli, e sua imparzialità fra i pedali ed i prindpi. I L'onilA italica sareblie di grande utilità iWti religione cattolica, .   loro'genio. Deli.i (]d.s;i ili S^ii.iia e luili.  .l[lincnzc c cor-  risponderne delle famiglie regnatrid tugl' incrementi civili dei  popoli.  itrfi^ nnn^^ ^pip rtr il PIEMONTE, n delle sorti  c he le Mno^reDiral|e ^\]f Ptnuy^fjm. Delta concordia fra  T'popoli 0 i principi italiani. D difetto di osa ta la cauta principale del c)iM:atlinicnla d' Italia. Errore ili chi .illribuÌKe  tal decadi nHMi lo nib qualità della stirpe o alla religione. ti'in-   forlunia ilcgl' llaliaiii aiiehe pur quvsta parte iiarque dai forestieri. Principii di risurgiiiienlo nel secalo passala , e rili^nu  cìtIIì (alte dai ptiaeipi ooslrali. Inlerratte dgfla rivolaiioiKi  rranceM, ora è il tempo opporUum di ripigiUrte. Necessitai di  ordinare la pubblici opìaione. Dne modi con cni quesla ai ap-  I>alc9a ; lit parola dei tmi e la alampa. Della monarehia conullatiia, e del Consiglio civile. La Btarapa non dee essere  MTva , iiv liceniiusa. La sala via per evitare amenduc gli  ccccs^ , ilà neir affidarne l'iodlriuo a un caniiglio censorio.  nella iniportwii* della iiuapa per la civUU. UtlliU della  signoria indivlH p« riRmnata gli siali. Si esortai» I prineipi  ilaliani a toDdare l'amona d' Italia. Del dirello delle rìibnne  nriii lane a leniate in Italia , dorante il secolo scorso. Decli-   ii.ii e siitcessiva del genio iiaiiunale della penisola. Iliscre-   iiiiiiii: 111 uiieslo genio da quello dei Francesi. Critica del gallicanìsmo. Di Benigna Bassuel : censura riverente dell' ing^u  e itelle opere di qncslo gran teologo. II sacardoiia primflivo  eUw dna poteri, l'ODO reHgloM e l'alln drile. formola sociale : La («roonui* erta MÌl gli ordini civili, U ncerdoiio  è il Primo politico. Ciisto rinnovA a compimenlo il sacerdoiio  primigenio. — Necessità del potere civile nel sacerdoiio cria-  liiino. Lode dei Gesuiti del Paiaguai. Il polerc civile della  Chiesa non toglie la dislùuione, che corre rra lo «lato civile e il  lacerdoiio. Dea toma, par mi pam il poleniàTile dal Mce^  doxio, cioè la dillaliaa e failiitralo, canispondenli ai due cfcU  civili delle nazioni. Legittimiti della dittatura ejerdiala dai  Poniclici del medio evo. Il ciclo dittatorio Gniscc quando c   |jerioilo della dtilti'i lefulare il'lulia < crKiirops, Dell'arbì-  tr.ilo, iraliiiso ilal sacerdoitn. Il l'.ipa c l'unico [iiiocip io dell'   guerra. La dittatura pontiScale non lurna inulìle in alcun  Icinpo ; MU applicaiiane presenle e foUin. 11 I^pa è U principio dell' anioDe d' lUlia. Il polcn civile del Mnrdouo non  è contrario ali* ipirìlualiU e HnUU dclb rai indole e del suo  nìtuslerìD. -I Del (HtiiHiiùnm. Crilict de'snoi prÌDcipii in-  tono tU* cotUluiiom della Cb'ma e al dogma caUolico. Dei  doveri delle varie ciani dei dUadini, in ordine all'aoioDe d'IU'  lia, -/Danni cbe nascono dalle dottrine esagerate di libertii. Esortaiioneagli esuli ilalìaiii. Del dcbilo che linririu gl'llnliani   gli adalatoridei pririi'ipi. l>i^i wihili, -M ji.il ri/Min i' i!i[licil- menle srilabilc nelle soeiclà civili. Due specie iJi palriilalo;  fendala t civile. U primo è im^nevole, Oioesto e vituperalo. 0 secondo pnì euer lodevole e ntik, quando venga accompagnalo da eerte condiuoni. I cattivi nobili tono la rovina  delle nontrcbie. Dei chierici secolari. In che modo essi  pouano partecipare alle cose politiche. I^i del chicrieala  Italiano. Perch6 l' episcopato dì alcune province cattoliche sia  stalo Ulvolla per l'addielro men ragguardevole degli altri ordini  derieali. Del frati. Apologia del m(MMchÌ«no. Suoi  benefiri rÌq)«llo alla drilU etirqiei. Quando traligna ai miri  rìfonnare, non abolire. Dd moMchlinwwientalee delPocci-  dcntale. Como ijueila si poiH rendere fmtluoio al nodro inri-  vilimento.  Danni che nascono dai diìoiirì degeneri. In cbs  modo irrati possano influire salutarmeate nella politica ecotqM  rare ai progresai civili. Essi debbono mettere ndl' opinione il  precipuo fondamento della loro vHa. D colto ddle iciauie e  dèlie lettere in generale, ma i^edalinenie della aiosoBa, ddia politica e dell'istoria si addice al loro minislerìo. La scienia  ideale i inoiiaslìca [ter ecccllcnia. Esurlaiionc ai venerandi  alunni dei chiu;lru ilaliaiio. Della digniu'i clericale. Gli ec-  ctcsiaslici debbunu guardarsi cautamenle dall' impicciolire o avvilire le co» della rclìgiuiic. Si uLbiclla che Ì popoli moderni  sono men grandi degli antichi. Risposta. Ddla lollerann  cristiana. Perche nei tempi addietro violala In alcuni paeii-  Tali viotaiioDÌ non si possono imputare alla Cbieta cattolica. Delk àoleeiia, |)ru(1enia e risi:rva clericali: nel dtspularr a nei  conversare. Si rancluitc moslrando che il risorgimento d'ilalia  I non pai iver luogo , sa non ri rimetlono in onora gl'ingegni privileglati, e non «i soUrae rindiiiuo delle cose ri TOlgo degli  j nomini oiediocrì. La riflessione ontologica ferma, circoscrive, determina, chiarifica l’Idea, cioè Dio: ma nella PAROLA si rannicchia, s'incarna, si compie l’ Idea: LA PAROLA (PARA-BOLA)  porge l’idea cosi rannicchiata ed incorniciata ed incarnata e compiuta alla riflessione. Qui covano, pare, molte contraddizioni. Se la riflessione, che chiarifica e ferma l'idea; qual bisogno ch’essa idea si rannicchi c si restringa nella PAROLA? qual bisogno che LA PAROLA compia l’Idea, se la riflessione arreca distinzione, chiarezza, delineazione nella medesima? Se QUEL CHE FA LA PAROLA, fa la riflessione altresì, una delle due è superflua: ammetter l’una c l'altra, è metter l’una in contraddizione dell’altra: supporre cioè che l’una non basti, senza l'altra, a ciò a che basta veramente. Mavia: prendiamol’una e l’altra per delerminalrici dell'Idea, cioè di Dio. G. dice che nell'intuito l’uomo è assorbito dall’idea, non la conosce neppure. Siccome dall'altra parte diceva eziandio, che lo spirito trova se stesso in Dio e il mondo in se medesimo; ne viene che anche la riflessione è in Dio assorbita collo spirito: che il mondo lo è pure: e col mondo LA PAROLA, parte di esso. In cotale assorbimento dell'uomo, della riflessione, della PAROLA; assorbimento che toglie ogni cognizione, non è assurdo c contraddittorio il dire che la riflessione e LA PAROLA, o tutte due insieme, servano a svegliare lo spirito assopito , esse assopite; servano a chiarire e determinare, esse confuse e indeter- minate nella universale confusione ed indeterminazione del cielo e della terra, del Creatore c delle creature ? Inlrod.  b) lìti pillilo rhe li'ga. Errori Cosa sarebbe l'intuito giobertiano ? la visione -di I)io crean- te; cioè della natura divina, dell’atto creativo, de’ termini di code- sto atto. Cos'è la parola? un segno creato b). L’intuito dunque do- vrebbe pure vedere la parola: la parola sarebbe parte della formula, intuita per natura da tutti gli uomini; chi* l'Ente creante non può essere veduto senza gli effetti del suo operare. Ma se nell’og- getto dell’intuito è LA PAROLA, è la riflessione altresì, come cosa creata anch’essa; se l’Idea col creare illustra, e quindi determina; illustra LA PAROLA altresì e la riflessione. Ecco nuova contraddizione e circolo nel dire che la riflessione e LA PAROLA servono a delincare all’intuito ciò ch’egli ha ad oggetto delincalo dalla natura: illustrare ciò onde vengono esse illustrate. La quale contraddizione o circolo risulta da molte altre sentenze di G. applicabili al proposito presente. Sentenza sua è. di frequente, che i sensibili sono per sè inconoscibili; e solo per l’intelligibile, cioè per l’Idea, siano conosciuti. L’apprensione sensisitiva non è un elemento intellettivo. Il sensibile non può essere pensalo altrimenti, che nell’intelligibile. L’intelligibile rischiara appunto i sensibili, perché li produce, come l’ente e i sensibili sono illustrali dall' Intelligibile, perché ne derivano, come esistenze. Dice: l’Eute è altresì « l’Intelligibile, c le esistenze sono i sensibili. Le creature sono per sè inintelligibili, nè s’intendono che in virtù dcU’intcl- g Errori  Errori lntrod. ii. p. 14. n) Errori n. p. 45. un vero sensibile >. Errori. Il sensibile è subbiedivo è inconoscigibililà assoluta  n bile di sua natura » A): « è per se stesso inconoscibile e sub- ii bieltivo, non intellettuale, nè obbiettivo,. è rispetto alla nostra cognizione un pretto nulla. L'intelligibile (l’Idea, l’Ente) ii inonda lo spirito di un continuo chiarore, e gli rende conosci- li bili tutte le cose » Ora LA PAROLA come ogni SEGNO, è un , <i sensibile » Dunque per sé inconoscibile-, inintelligibile. Solo l’Idea, l’Intelligibile la rischiara, la illustra, la Ja intelligibile all’uomo. « Tanto è lungi, che LA PAROLA provi l'Idea razionale, che anzi que- ll sta dimostra l'autorità di quella. LA PAROLA e la a) Dico sarebbe, perché G. stesso Io distrugge in mille maniere, come vedemmo, e vediamo rontimitinenle. t) Siccome it sensibile appartiene alla categoria delle esistenze, e queste pro- cedono dall'atto creativo, la parola b di tua natura un effetto della c reazione. L’idea -« crea «I segno che l’esprime . Primato, Errori  lntrod. Qui de» esserci corso errore di stampa, o nella sostituzione deila voce Iati ad esistenti; o nella punteggiatura. Perche l'Eulc non deriva dall'Intelligi- bile come esistenza. Dovrà leggersi, crrdo, il periodo: « I.’ Intelligibile rischiara ap- « punto i sensibili, perché li produce, come l’Ènte; e i sensibili ccc. » « riflessione stessa ripugnano, se non sono antivenute o guidate da « un lume intellettivo, da cui, (e non dalla parola che per se stcs- « sa 6 un mero sensibile) l’evidenza e la certezza provengono » a). Come pertanto può dirsi che la parola « si richiede per ripensare « l’Idea; che il sensibile è necessario per poter riflettere, e conoscere distintamente l'intelligibile ? b). Una cosa inconosci- bile per sé, non conoscibile che per l’Idea; come potrà servire ad illustrare, a chinrirc l’Idea, da cui riceve lutto il chiarore che possiede? L'idea illumina la parola; la parola illumina l’Idea? Non v’ha circolo qui c contraddizione? Che se amiamo trarne Inora qualciin'aitra, il modo non manca. G. scrive talora, che l’idea, incarnandosi in una forma sensata, scade sempre dalla propria altezza. L’idea dunque, se s'incarnasse nella parola, veramente scadrebbe secondo quel testo; perderebbe di sua perfezione. Come può stare pertanto che la parola, determini, illustri l'idea, la compia, cioè la perfezioni? come può stare che l’Idea per compiersi c perfezionarsi s'incarni in un sensibile, che la guasta e la rende imperfetta ? LA PAROLA ch’è detta in un luogo da G. un sensibile in cui s'incarna l’intelligihile; diventa in un altro una copia mondiale, contingente e linita del modello divino, necessario e infi- « nilo, c un individuamenlo dell’idea eterna Siccome questo modello c idea eterna è l'Intelligibile stesso, Dio; quindi la parola è una copia, un individuamenlo di Dio nel quale s’incarna Dio. E notate, che « tante sorti di parole create si trovano, quante sono le specie della esistenza; una PAROLA matematica meccanica ed idraulica, che sono i numeri, le figure, i movimenti; UNA PAROLA FISICA, cioè I FENOMENI DI NATURA; una PAROLA estetica c sono i tipi fantastici; una PAROLA storica, c sono i fatti transitori o permanenti degl’uomini, gl’eventi ed i monumenti; una PAROLA sovrannaturale, e sono gli avvenimenti ffrodigiosi e sensibili; una PAROLA liturgica ordita di emblemi e simboli; c infine una PAROLA grammalicale, parlata c scritta, ma per se stessa ARBITRARIA, c però diversa dalle specie anteriori, che sono tutte naturali la (piale  serve ad esprimere i concetti dell’animo e quindi a tradurre ogni altro genere di FAVELLA. Di tutte pertanto le cose create dee dirsi ciò che della PAROLA grammaticale: sono sensibili in cui s'incarna Iddio; sono altrettanti individuamenti di lui; che lo compiono, lo determinano, lo fermano, lo circoscrivono, lo illustrano: quantunque siffatta incarnazione lo umilii veramente , sconci. Errori Inlvofl. u. ii. li. Ges. Moti, tv: p. li. Prima!-» li. Anche la PAROLA sovrtwnnfurtile ? fi Ivi. lo abbassi, lo r Nasce però curiosità di sapere, perchè mai nella parola s’in» carni l'Intelligibile; ina nou « in quanto rispleude aU’intuilo: ib- bene in quanto riverbera (cioè ridette) sulla riflessione » in quel punto famoso di contatto che lega Dio coll’uomo? La riflessione, si è detto, che mediante la parola circoscriveva , compiva l’idea ; quindi la parola preceder dovrebbe la riflessione. Ma se la parola contiene l’Idea in quanto riflette mila riflessione dell'uomo; la riflessione è preceduta alla PAROLA (PARA-BOLA): così la riflessione va innanzi alla PAROLA (PARA-BOLA); e LA PAROLA (PARA-BOLA) va innauzi alla riflessione nella stesso tempo. Eccoci di nuovo ucU’uno via uno. Se la dottrina della riflessione determinatrice e illustratrice deU'iuluito fosse vera, dovrebbe dirsi che la riflessione guida per mano l'intuito, lo signoreggia. Or bene di ciò fa le risa G. contro i psicologisti:  lo aveva credulo finora che la cecità sia la causa principale per cui non si scorgouo gli oggetti: ora  siccome l'intuito, non che esser cieco, è la fonte della risiane, e v la riflessione non cede, se non in quanto partecipa alla luce intui- tira, dovremmo dire, alla stregua dei psicologisti, che tocca al « cieco il guidar per mano, non mica gli altri ciechi, (il che sarebbe già degno di considerazione), ma chi 6 veggente in mo- ie do perfetto; cosa per vero singolarissima ». h) Bene slà. Ma quel- li l’Ontologo, che pone per una parte l'intuito del Sole stesso Eter- no Divino; e immagina dall’altra una riflessione e un inondo di pa- role che sono necessarie a determinare, fermare, ed illustrare il so- le, da che sono esse creale ed illustrate; quegli è che s'introniBtte di far guidare i veggenti perfettissimamcnle da’ ciechi; che si pensa di accendere il sole di mezzogiorno colle tenebre della mezzanotte. G. consuona a SERBATI (si veda) nel riconoscere la necessità della PAROLA (PARA-BOLA) per la riflessione. Differisce però dal medesimo nel- l’asscgnarne la ragione : per dir meglio: il Rosmini ne dà ragione, ('impossibilità di spiegar altrimenti la formazione delle idee astrai- le: G. non ne porge nessuna, Imperocché non sembra- mi prova quel dire che il punto indivisibile, di cui abbiamo discorso di sopra,  (il punto che lega Dio e l’uomo combaciantisi), « non può esser termine del ripiegamento riflessivo, se non VESTENDO una forma sensibile – GRICE: Language, The Dress of Thought. E siccome non è sensibile per se stes- ti so, siccome versa in una mera relazione intelligibile, l’unico mo- ti ilo, con cui possa rendersi sensato, consiste nell'incorporazione « mentale d) di un segno, cioè della parola Ma perchè quel o) I.a rbiama perciò . un semplice insinimentn necessario per mettere la riflessione in commercio colf intuito; Errori Strumento riflessilo  Semplice segno insidine male  stimolo per mi rumineia «I al- « luorsi (l'iiniiiio umano), e il polline ette lo feconda »; Primato,  « occs- • sione, cagione, inslrnnirntale del lero. Necessità della PAROLA (PARA-BOLA). Bello Introd. il. p. 134. SERBATI (si veda), S. Saggio. e. 4. a. I. Filo». Polii. Voi. Incorporazione spirituale. Errori punto, rhY' puro relaziono intelligibile, ohe anzi è la cagnizinne, rollio vedemmo , perché « non può esser termine del ripiegamento riflessivo, se non vestendo una forma sensibile, se non rendenti dosi sensato, se non incorporandosi in un SEGNO »? G. noi dice. Altri osserverà nondimeno che non solo noi dice ma nemmeno può dirlo nel suo sistema: che perciò é impossibile a G. di provare la necessità della PAROLA (PARA-BOLA). Egli afferma, che l’uo- « ino nou può meglio nel suo stalo attuale riflettere senza PAROLA (PARA-BOLA), che FAVELLARE senza LINGUA, vedere senz’occhi, c pensare senza corvello. Senza IL LINGUAGGIO l'uomo ha ragione; ma non uso di ragione, ha la riflessione in potenza, non in atto. Il che dice essere applicazione speciale ili una legge generale dello spirito. La qual legge si è, che la riflessione universalmente non si può csercitare, se non mediante il concorso del sensibile coll’intelligibile. Ora di quale delle due riflessioni, già distinte da lui, parla il nostro autore? Dell’ontologica: perchè dell’altra confessa che il sensibile è l’oggetto medesimo dell'alto riflesso, onde LA PAROLA (PARA-BOLA) non en- ti Ira necessariamente nel suo esercizio, se non in quanto tal riflessione si connette colla riflessione ontologica; imperocché il sensibile per essere pensato non ha d’uopo di un altro sensibile, che « lo vesta e lo RAPPRESENTI. lo nè ammetto nè ripudio tale ragione: ma l'ammette G. certamente. Dunque a sola la riflessione ontologica è La PAROLA (PARA-BOLA) necessaria. Perché? perchè in os- ti sa il sensibile non è somministrato dall’oggetto dell’operazione « il quale è il stdo intelligibile i Sla codesto e falso: è falso che oggetto dell’ ontologica riflessione sia il solo intelligibile, secondo G.. Non ci ha egli appreso che « la riflessione ontologica, tramezzando fra le due altre operazioni (intuito e ridessione psicologica), abbraccia congiuntamente il soggetto e l 'oggetto c li contempla con un allo unico?; che nella riflessione Oli- ti tologica lo spirito si ripiega sovra di sé in quel punto indivisibile, in cui il soggetto tocca l’oggetto, c abbraccia quindi l’oggetto medesimo, come intuito dal soggetto? Dunque non è l'intelligibile solo, l’oggetto della riflessione ontologica; ma è il soggetto eziandio, cioè il sensibile, oggetto della psicologica. Ma se questo non ha ili bisogno di sensibile, di PAROLA (PARA-BOLA), per essere ripensalo; se non n'ha bisogno l’ intelligibile, Dio, intelligibile per se stesso: come n'ha bisogno il punto in che si congiungono si legano si toccano si combaciano Dio e l’uomo ? l’nione di due termini, l’uno intelligibile per sé, l’altro per l'intelligibile, unione di' è relazione intelligibile, perchè avrà d'uopo di sensibili, di segni, ad esser oggetto di riflessione ? n’ Krrnri i. p. '20 fi. JThi|I. 201). r\ hi p. ini. di Iti. e Krrori) Iti Che se « prima di credere alla parola, bisogna intenderla » a); la parola a nulla servirà se non in quanto sia già in quel punto, unione, unità, eh e la cognizione. £ se altronde la cognizione dovrà esser vestila della parola , per diventar riflessione ; la veste dovrà insieme essere il vestito, perché riflessione si ottenga, cioè cogni- zione vera, come la chiama G.. Questa è una di quelle « soluzioni ed avvertenze di cui non v’ ha il menomo vesti- li gio in altri sistemi prima del Giobertiano li). Il che niuno vorrà negare Della unicertalilà scientifica della farmolu ideale. Aimcoio punto. Prtamiolo. L* formolo roiionale dee contenere l’organismo degli eie- menti ideali. Per conoscere questa organizzazione, bisogna riscontrare essa forinola 1 coll albero enciclopedico.^-L’enciclopedia si compone di tre parti , filosofia, fisica e matematica, cko corrispondono alle tre membra della iormola. Della filosofia in ispe- cicr si stende per tutta la formolo. Dell’ontologia, psicologia, logica, etica e matematica ; come si connettano coi rari termini di quella. Tavola rappresentativa deiralbero enciclopedico, conforme alC organismo ideale. Spiegazione generica del- la tavola. Dello scienza ideale. Della teologia rivelata e della filosofia. Principato universale della prima. Maggioranza della seconda sulle altre scienze. Primato dell'ontologia fra le varie discipline filosofiche ; necessario, acciò queste siano in fiore. Della teologia universale. Delia matematica. La matematica tiene un lnogo mezzano tra la filosofìa e |a fìsica Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddi- sfacente del tempo c dello spazio. Dichiarazione di queste due idee, c dell’oggetto loro, mediante la forinola ideale. Della logica e della morale. Queste due scienze hanno ciò di comu- ne, che appartengono al termine medio della formolo. Della logica in particolare, c delle varie sue parti Dell’etica in ispccicr. Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri. Convenienze, che corrono fra loro. Della legge morale. Dell’imperativo. Del dovere, e del diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal fisico, che ne conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa nel terzo membro della formolo. Dei duo cicli generativi. Varie sintesi, di Cui si compongono. Dell' ordine dell’universo. Del concetto teleologico. L’idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Dell’estetica. Del sublime e del bello, t-Delle varie loro specie, e del modo in cui si connettono colla formolo. Del maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. Quindi i suoi tizi. Gli stateti odierni, non hanno veri principii, perché mancano della cognizione ideale. 1 difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei bassi tempi. Dell’apoftegma del MACHIAVELLI (si veda), che le instituzioni si debbono filirare veto i loro principii. In che senso sia vero. Benefici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. Di GIULIO (si veda) Cesare, institufore della tirannide imperiale. Connessila della licenza colle dottrine di Lutero e del Descartes. Della idealità delle nazioni. L’Idea é fonte del diritto. Attinenze del dovere col diritto, c delle varie specie loro. Della sovranità. La sovranità assoluta è 1’Idea. Della sovranità relativa c ministeriale. Non si trova in separato nel governo o nel popolo. La società non è d’ instituzione umana, ma divina. Cosi anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere , intorno al modo, con cui si tramanda e perpetua di generazione in generazione. Forinola della politica. Assurdità del suffragio universale. La capacità dee,accompa- gnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere indi- pendente dai sudditi. La perfezione della sovranità consisto nell* unioqe del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. Il sovrano non può mai farsi da sé in nessun caso. Ogni potere sovrano è divino. Inviolabilità del potere sovrano. Delle rivoluzioni, e delle contrarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto questi nomi. La verà rivoluzione, essendo 1’attentato contro una sovranità legittima, è sempre, illecita. Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi c anticati. La monarchia é necessaria al di d’oggi alla libortà europea. L'investitura della sovranità in una famiglia é inviolabile, corno il dominio privato. Il potere ereditario, c la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all* inviolabilità del potere sovrano. 1 fautori della licenza invertono la formula politica. L’idea divina ó la suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’ idea divina. L’ontologismo non é un metodo ipotetico, corno quello dei psicologisti. Iddio è 1’Intelligibile: é 1’alfa e 1’omega della scienza. Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filosofìa. Si  Dtll'a conservazione dellaforinola ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa. Suoi diversi periodi. La confusione della filosofia colla religione nocquc in ogni tempo ab- la scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi Del razionali- amo teologico fiorente al di d’oggi. Si divide in due parti. Suoi fondatori. La critica storica dei ra/ionalisti pecca per difetto di canonica. Il razionalismo confondo insieme i rari ordini di fatti e di veri. Sua vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismo è un vero naturalismo Del sovrannaturale: sua definizione. Necessità di esso, per l’ integrità dell’ Idea. Possibilità e convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordino sovrannaturale. L’Idea cristiana è universale, come l'Idea della ragione. Nullità sintetica o filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo é la religione universale. Non si può mettere in ischicra cogli altri culti. Sua singolarità. Le false religioni non distruggono l’ universalità del Cristianesimo. Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello Strausse. Le false religioni sono lo sole, che debbano temere dei progressi civili. Il Cristianesimo sovrasta, e non Sottostà alla coltura più squisita. La civiltà moder- na, che lo combatte, è una barbarie attillata Delle prove interne della .rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione dell' Idea, chfe vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori sincrctici dell' ingegno umano. Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. Della inspirazione dei libri sacri. Sua definizione, natura, estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivelazione. Della predestinazione degl’ individuile dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapctici: loro divario dai Semiti. Delle nazioni madri. Degl’Israeliti; conservatori dell’Idea perfetta, prima di Cristo. Dei fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed essoterica. Fondamento naturale, o universalità di questa distinzione. Della ordinazione civile e religiosa degl' Israeliti. Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica c tra- dizionale. Ragioni, in cui si fondava questa 'distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese essoterica la scienza acroamatica degl' Israeliti. L’alternativa dcl- racroaraatismo c dclf essoterismo èia sola variazione, che si trovi nella storia dell' Idea rivelata. Perchè Mosé non abbia insegnata espressamente i’ immortalità degli animi umani. Gl’Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia e il dogma della risurrezione. Del sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del loro metodo nel cercare 1’origine delle idee e delle credenze. Attinenze reciproche della dottrina esso- terica. Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti c i Gentili. Del fìguralismo ebraico. Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig. Salvador delle iustituzioni mosaichc. La furinola ideale e il telegramma, sono il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’Israeliti. Dell'alterazione dellaformolo ideale. La barbarie non fu lo stato primitivo dogli uomini. La storia delle religioni tion comincia dal sensismo, Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. Vicende civili delle nazioni. Del patriarcato. Dello stato castale : sua origine. Del predominio dei sacerdoti: sua legittimità. Genio religioso delle società costituite sotto 1’imperio ieratico. I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica ; fondò 1’essoterica. In che modo la MITOLOGIA é LA SIMBOLICA potessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi della fi- losofìa gentilesca. Riscontri. dell’antico c del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui passò l'alterazione della forinola ideale', oscurità, confusione, dimezzamento e disorganazione. Cagioni dell’alteramente : predominio del senso e della fantasia; INFLUENZA DEL LINGUAGGIO SULL’IDEA, e dell’ essoterismo sull’ acroamatismo; dispersione dei popoli, perdita dell’unità universale. Del culto dei fetissi. Di un doppio moto contrario, regressivo e progressivo, delle instituzioni religiose. Esempi. Epoche della cognizione ideale: intuitiva, immaginativa, sensitiva e oslrattiva. Se nel vario e succes- sivo alterarsi della forinola, si mantengano i suoi tre membri, e come? Tavola delle trasformazioni ontologiche della fòrmola ideale, corrispondentiaivaristati psicologici dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell’ epoca intuitiva; corno 1' uomo ne sia scaduto. Il mal morale consisto nella negazione del secondo ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare lo stato intuitivo. L'essoterismo fu l’oc- casione della perdita di esso. Dell’ epoca immaginativa. Del naturalismo fanta- stico c dell’ cinanatismo propri di questa epoca. Indole poco scientifica dell’ emanatismo. Sua forinola. Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli cmanatisti. Della loro dualità primordiale, e delle dualità successive. Dell’ androginismo , e delle dee madri ; loro connessione coll’ emanati- smo. I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. Del Kincrctisino emanatistico. Dei due cicli di tal dottrina: 1’ emanazione. Del ciclo remanativo: sua natura. —Corrompe la morale, c introduce il pessimismo. Delle varie età cosmiche, secondo i miti di molti popoli Gentili. come 1’ottimismo c il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli em&ftatisti. Degli aratori, della teofanie o logofanie permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrintelli- gibile si trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato dall’ emanatismo. Sua indole, e sue varie forine. Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza della unità ideale. Dell’idolatria: sua natura. Del panteismo: ò una riforma ieratica dell’ emanatismo. Il panteismo scientifico non potè essere il primo sistema nella via dell’ errore. 1’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una mede- sima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali del panteismo. Universalità del panteismo nel regnu dell’ errore. Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. Qual sorta di progresso possa avero Terrore. Varie forme del panteismo Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. Dei Misteri, da cui uscì la filosofia laicale. Dell’ateismo. Questo sistema non potò essere anteriore al secondo periodo della fi- losofia secolaresca. Si rigetta l! opinione di un ateismo indico antichissimo Del sovrintelligibile. Serbato in parte dai sacerdoti, o perduto affatto da' laici filosofan- ti, salvoclié dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’Italia e della Grecia. Dei tentati- vi antichi c moderni, per riedificare umanamente il sovrintelligibile. Si conchiude, accomando brevemente il tenia del secondo libro NOTE. IQS Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’Io E DEL ME [CF. GRICE, “PERSONAL IDENTITY” – “I fell down the stairs,” “My brain aches – my head was hit by a cricket ball”]. Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. 166 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. Del tempo e dello spazio, secondo il processo ontologico. Passi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della importanza, che la religione dà alla vita temporale. Degli attributi divini ontologicamente considerati. L Influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell'aziono umana. Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. Sull’infinità del mondo. Sugli assiomi di finalità o di causalità. Se l'abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? Sull’origine della sovranità in alcuni casi particolari. Dell'orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L'idea di Dio non è solamente negativa. bit. Sulla voce rivelazione. Di varie spezie del razionalismo teologico. Dei miracoli posteriori allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malebranche sull’idealità del Cristianesimo. Passo del Leibniz sulla rivelazione. . Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella risurrezione dei morti. Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esi- stenza degli angeli. I razionalisti confondono la dottrina acroamatica colla essoterica. Sul fatto di Babele. Del sincretismo dei falsi culli, doma, mito e simbolo zendico, ISci culti barbari l’Idea è esclusa dalla religione, c non dalla scienza umana. 1/antropomorfismo e il psicologismo essoterico. Del panteismo di Ulrico Zuinglio. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del razionalismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Ib. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo.DELLA DECLIAAZIOSE DAGLI SITUI SPECl'LATIV I, I* OHUISE ALL' UGGETTO. Della Idea. È primitiva, indimostrabile, evidente, e certa per sé stessa. Necessità della parola per determinare c ripensare l'Idea. 1 progressi della cognizione ideale rispondono alla perfezione dello strumento, con cui si lavora, cioè della PAROLA (PARABOLA). IL LINGUAGGIO È INVENTATO DALL’IDEA, clic parlò sè stessa. L’evidenza e la certezza riflessiva abbisognano della PAROLA (PARABOLA). Il sensibile è necessario per poter ripensare l’intelligibile. L'Idea è l’unità organica, la forza motrice, e la legge governatriec del genere umano. L'Idea è l’anima delle anime, l'anima della società universale. Ella può oscurarsi, ma non ispegnersi affatto. Del suo primo oscuramento, e degli effetti, clic ne seguirono. Perdita dell’ unità ideale , c morte morale del genere umano. Diversità delle stirpi. Dell’ instaurazione sovrannaturale dell’ unità primitiva. Del genere umano secondo l'elezione, sostituito al genere umano, secondo la natura. La Chiesa è la riordinazionc elettiva c successiva del genere umano. Vicende storiche della Chiesa. Colla perdita dell’ unità ideale venne meno al genere umano la sua infallibilità,chepassò nella Chiesa. Quandoil genereumano riacquisterà questo privilegio. Chi è fuori della Chiesa, è fuori del genere umano. Composizione organica della Chiesa. Chiesa c conservatrice e propagalrice dell’ Idea : unisce il prin- cipio della quiete a quello del molo. Delle forinole definitive della Chiesa. Della scienza ideale, razionale e rivelata. Attinenze reciproche di queste due parti. La scienza razio- nale, o sia la filosofia, si distingue in due grandi epoche, ciascuna delle quali corrisponde a una rivelazione. Il nesso fra la rivelazione e la filosofia è la tradizione. I.’ alteramente della tradizione, e quindi della verità, fu nella sua origine una confusione delle lingue. L’effetto di questa confusione è il gentilesimo. L’organizzazione ecclesiastica è la sola via, con cui si possa conservare intatta la tradizione. Della Chiesa giudaica, c della sua diversità dalla cristiana. La filosofia gentilesca avea colla rivelazione primitiva una relazione diversa da quella, che corre tra la filosofia cristiana c la rivelazione evan- gelica. Due tradizioni, religiosa c scientifica. Due classi di sistemi filosofici; gli uni tradizionali e ortodossi; gli altri anli- tradizionali ed eterodossi. I primi suddividonsi in progressivi, cregressivi.—Qualitàprincipali,percuii sistemieterodossisi distinguono dagli ortodossi. La filosofia ortodossa è perpetua. Vari modi, con cui i sistemi eterodossi possono rompere il filo della tradizione. Tre età della filosofia cristiana. Dell’età moderna. Del psicologismo: definizione di esso, e dell'ontologismo, che gli è contrario. Il psicologismo è l'eterodos- sia moderna delle scienze filosofiche. Descartes è il suo fondatore ; gran matematico , meschinissimo filosofo. Paralogismi puerili del suo metodo. Presunzione intollerabile del suo assunto e delle sue promesse. Cagioni, per cui il Car- tesianismo invalse, ed ebbe una certa voga. Due dottrine c due letterature in cospetto P una dell’altra, tra il secolo decimoquiuto c il sedicesimo. Abusi e disordini, che allora regnavano. Necessità di una riforma’ cattolica. Tre riforme eterodosse ; due religiose, la terza filosofica. Il tedesco Lutero, e l'italiano SOCINO (si veda), autori delle due prime; il francese Descartes, della terza. Vizi della Scolastica, che prepararono gli errori più moderni. Analogia del metodo protestante col metodo cartesiano. Descartes non liberò la filosofìa, come oggi si crede, ma la ridusse  WS in scrvilu. Contraddizioni ridicole della sua dottrina. Descartes non somiglia a Socrate pel metodo, ne a Platone per la teorica delle idee innate. Vizi del pronunziato cartesiano: io penso; dunque, sono. [GRICE SU “DUNQUE” – IMPLICATURA CONVENZIONALE, NON CONVERSAZIONALE] Il sensismo nc è la conseguenza. Assurdità del sensismo. Il predominio del sensismo ha impicciolita la filosofia moderna. Danni recati da esso agli studi storici. La religione è la chiave della storia. La filosofia nata dal ('.ar- tesianismo si divide in cinque scuole. Del razionalismo psicologico diverso dall’ ontologico. Due classi di filosofi francesi. Di alcuni eclettici francesi in particolare. Si annoverano i diversi vizi e inconvenienti dell' eclettismo, e quelli del psicolo- gismo. Obbiezioni dei psicologisti : risposta. Del senso ontologico. L'ontologismo è conforme all’ indole e al processo del Cristianesimo. llicpilogazioue delle cose dette in questo capitolo. DELLA FOIJIOLA IDEALI. Che cosa s’intende per forinola ideale. Metodo, che l’autore si propone di tenere in questa ricerca. Del Primo psicologico ontologico c filosofico. Il Primo filosofico abbraccia i due altri. Varie dottrine sul Primo psicologico e ontologico. Teorica di Antonio Rosmini intorno al concetto dell’ente consideralo, come Primo psicologico: si riduce a quattro capi. Critica del sistema rosminiano : il Primo filosofico è l’Ente reale. L'Ente reale è astratto e concreto, generale e particolare, individuale e universale nello stesso tempo. La filosofia moderna erra spesso, mutando il concreto in astratto. Vari generi di astrazione c di composizione. Il Primo filosofico contiene un giudizio. Doti speciali di questo giudizio: consta di un solo concetto, che si replica su se stesso ;  è obbiettivo, autonomo e divino, vale a dire, che il giudicante è identico al giudicalo. Il giudizio divino essendo il primo anello della filosofia, questa è una scienza divina e non umana nel suo principio. Il giudizio divino, con- tenuto nel Primo filosofico , non basta a costituire la forinola ideale. Ricerca di un altro concetto per compiere la formola. Della nozione di esistenza : analisi del concetto e della parola. Egli è impossibile il salire logicamente dal concetto dell’ esistenza a quello dell' Ente. Bisogna adunque discendere dal concetto dell' Ente a quello di esistenza. Necessità di un concetto intermedio per effettuar questo transito nel processo discensivo. L’idea di creazione è il legame tra le due altre. Obbiezioni controdiessa: risposta. II processo psicologico corrisponde all’ontologico. Lo spirito umano è spettatore continuo, diretto e immediato della creazione. L'idea di creazione contiene un fatto primitivo c divino, che è il primo anello delle scienze fisiche e psicologiche; quindi tutta l’ umana enciclopedia è divina nel suo principio. Compimento della formola ideale. Altro giudizio contenuto in essa formola. Distinzione c inseparabilità psicologica dell’Ente e dell’esistente. Del vero ideale e del fatto ideale. Obbiezione contro il nostro processo ideale: risposta. Dell’ organismo ideale. Problemi metafisici, che non si possono risolvere , se non colla nostra formola, e ne confermano la verità. Del necessario c del contingente. Dell’ intelligibile. Dell’ esistenza dei corpi. Cattivo metodo di molti filosofi nel combattere l’idealismo. Dell’ individuazione. Dell’ evidenza c della certezza. Possibilità del miracolo provata a priori. Nuove obbiezioni contro la formula ideale: risposta. Dell’ origine delle idee. Vari sistemi dei filosofi su questo punto. Critica della dottrina rosiniuiana, che tulle le idee nascano da quella dell’Ente, per via di generazione. Esposizione sommaria della nostra dottrina sull’origine delle idee : si riduce a tre capi. Convenienza della nostra dottrina con un pronunzialo di VICO (si veda). Dei giudizi analitici [cf. GRICE, IN DIFESA DI UN DOMMA] c sintetici. Esposizione della nostra dottrina sulle varie classi di giu- dizi sintetici. Della natura del raziocinio. Cenni su altre quislioni, che si attengono alla nostra formola. L’aver dismessa o trascurata l’idea di creazione è la causa principale degli orrori filosofici. Vane promesse ilei moderni eclettici, c flebolezza della filosofia presente. Per ristorarla, bisogna abolire il psicologismo. Il Cristianesimo rinnovò la forinola ideale. Ili santo Agostino : sue lodi : fondò la scienza ideale. Della scienza ideale cattolica : sue prerogative. Degli Scolastici : loro difetti. Del nominalismo e sua influenza sinistra nel rea- lismo. In che consista il perfetto realismo. Si critica il principio fondamentale di Cartesio colla scorta della formola ideale. Di Spinoza. Tre epoche della filosofia te- desca. L’ontologismo dei panteisti tedeschi è solo apparente. Critica del loro sistema. Vizi del panteismo in generale. Convenienze del panteismo coll' eterodossia religiosa, e in ispecie colle opinioni ilei protestanti, c con quelle degli Ebrei, dopo la divina abrogazione del loro culto.  Le sensazioni sono segni delle cose. Passo del Leibniz sul nesso del pensiero colla parola. Sulla base ontologica della veracità. Indivisibilità morale ilei Papa c della Chiesa. Sulla mutabilità del vero, secondo i panteisti. Sulla universalità logica dell’errore. Passo dello Spinoza sull’ ontologismo. Passo di Cousin sul psicologismo del Descartes. Giudizio del Leibniz su Cartesio c sulla sua dottrina. Del valore del Descartes nelle scienze fisiche. Parere di Cartesio sulla speculativa dei matematici. Passo del Mcujot su Cartesio. Ih. Dei furti letterari del Descartes. Esame dello scetticismo cartesiano. Passo dell' Aucillon sullo stile del Descartes. 29!) Della presunzione e dell’ arroganza del Descartes. Sopra una sentenza di VICO (si veda). A che e (Trito i capi della Riforma scemassero il sovrintelligibile rivelalo. Che gl’italiani hanno l’ingegno scultorio. Divario tra i Sociniani e i moderni razionalisti. Esame dell’opinionedi Cartesio intorno al suo rogito. Sul IVo di Lutero. Sul circolo vizioso del Descartes. Esame dell’opinione cartesiana, che Iddio possa mu- tare le essenze delle cose. Vera idea della filosofia socratica c platonica. Sulle idee innate del Descartes. Sopra una sentenza del Thomas. Passo del Leibniz sul Cogito di Cartesio. Il secolo attuale continua il precedente. Ib. Passo dello Stewart sulle sciocchezze dei filosofi. Passo del sig. Cousin sugli studi forti. Ib. Sulla religione di Napoleone. Critica di due opinioni del sig. Jouffroy. Cousin non conosce il sistema del Malebranche. Quando nacque la filosofia moderna, secondo Cousin. Dell’ ontologismo cristiano. Vari passi del Malebranche sulla visione ideale. Si esamina la dottrina del Rosmini sulla visione ideale. L’ente ideale di SERBATI (si veda) è insussis- tente, benché non sia subbiellivo. L’ente ideale di SERBATI (si veda) è obbiet- tivo c assoluto, benché si distingua da Dio. Tassi di FIDANZA (si veda) c di Gersonc sulla visione ideale. Medesimezza del concreto c dell’astratto, dell'indivi- dualeedel generalenell’ordine dellecose assolute. Passi del Malebranche e ilei Leibniz sull’ eloquio ideale. Sulla confusione dell’ essere coll’ esistere. l’asso di VICO (si veda) sul divario, che corre fra le voci  essere ed esistere, e sull’USO [DISIMPLICATURA, NON SENSO] IMPROPRIO, che ne fa il Descartes. tb. Passi del Descartes, in cui questo filosofo sinonimo l ’ essere coll’ esistere. Sulla voce esistenze adoperata nella formula. Sulle nozioni del necessario, del possibile, del con- tingente, e sui principii, che ne derivano. Ib. Della dualità ideale. Passo del Malebranche sulla impossibilità di di- mostrare l’esistenza dei corpi. Sulle convenienze del sistema cartesiano collo Spi- nozisrno. Passo del Leibniz sullo stesso proposito. Sopra due obbiezioni del Paulus contro il sistema dello Spinoza. Ib. Cenno sulle tradizioni panteistiche dei Rabbini. Di una opinione dell' Hegel tolta dal Leibniz.DELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. Spiegazione generica della tavola. Della scienza ideale. Della teologia rivelata e della filosofia. Principato universale della prima. Maggioranza della seconda sulle altre scienze. Primato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. Della teologia universale. Della malemalica. La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica. Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. Della logica c della morale. Queste due scienze hannociòdicomune, che appartengono al termine medio della forinola. Della logica in particolare, e delle varie sue parti. Dell’ etica in ispccie. Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri. Convenienze, ebe corrono fra loro. Della legge morale. Dell’ imperativo. Del dovere, e del diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. Della pena eterna.  Della cosmologia. Versa nel terzo membro della forinola. Dei due cicli generativi. Varie sintesi, di cui si compongono. Dell’ordine dell’ universo Del concetto teleologico. L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Dell' estetica. Del sublime e del bello. Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. Del maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. Quindi i suoi vizi. Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. Del governo rappresentativo. Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. Due sistemi dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso. Suc- cessione storica del sistema ortodosso. La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. Dell’ apoftegma di MACHIAVELLI (si veda), che le «istituzionisi debbonoritirare versoi loroprin- cipii. In che senso sia vero, Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. Danni fatti alla medesima dall’Imperio. Di GIULIO (si veda) Cesare, institutore della tirannide imperiale. Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Descartes. Della idealità delle nazioni. L’ Idea è fonte del di- ritto. Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. Della sovranità. La sovranità assoluta è l’Idea. Della sovranità relativa e ministeriale. Non si trova in separato nel governo o nel popolo. La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda  c perpetua di generazione in generazione. Forinola della poli- tica. l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio universale. l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. Dei due cicli generativi della politica. 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. Ogni potere sovrano è divino. Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui, nè pareggia lafratullii cittadini. n- violabilità del potere sovrano. Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto questinomi. La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. È inviolabile, come il dominio privato. Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. Delle corti. Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’ idea divina. L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. Iddio è l'Intelligibile: è l’alfa e l’omega della scienza. Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filosofia.  de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa. Suoi diversi periodi. La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo alla scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. Del razionalismo teologico fiorente al di d’oggi. Si divide in due parti. Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica. Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e di veri. Sua vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismo è un veronaturalismo. Delsovrannaturale: sua definizione. Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. Possibilità e convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordine sovrannaturale. L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo è la religione universale. Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. Sua singolarità. Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristianesimo. Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello Strausse. Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi civili. Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. Delle prove interne della rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ ingegno umano. Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. Della inspi- razione dei libri sacri. Sua definizione, natura, estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivela- zione. Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapetici: loro divario dai Semiti. Delle nazioni madri. Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. Dei fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa distinzione. Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. Del sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. Attinenze reciproche della dottrina essoterica. Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. Del figuralismo ebraico. Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti.DELL’ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. La storia delle religioni non comincia dal sensismo. Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. Vicende civili delle nazioni. Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. Anomalie storiche nell’ effetluazione di esse. Del patriarcato. Dello stato castale : sua origine. Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale: oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. Ca- gioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroamatismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. Del culto dei felissi. Di un doppio moto contrario, regressivo e progressivo, delle instituzioni religiose. Esempi. Quattro epoche della cognizione ideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come? Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. Dell’ epoca immaginativa. Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. Indole poco scientifica dell’ emanatismo. Sua formola. Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli emanatisti. Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’ emanatismo. I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. Del sincretismo emanatistico. Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione. Delcicloremanativo: sua natura. Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato dall'emanatismo. Sua indole, e sue varie forme. Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza della unità ideale. Dell' idolatria : sua natura. Pel panteismo: è una riforma ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali del panteismo. Universalità del panteismo nel regno dell’errore. Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. Qual sorta di progresso possa avere Terrore, Varie forme del panteismo. Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. Dell’ ateismo. Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. Pel so- vrintelligibile. Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile. Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio Della importanza, che la religione dà alla vita temporale. .Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di causalilà.  Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L’idea di Dio non è solamente negativa. Sulla voce ritelazionc. Di varie spezie del razionalismo teologico. miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. l’asso del Leibniz sulla rivelazione. Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del razionalismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4DELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclopedico. L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’organismo ideale. Spiegazione generica della tavola. Della scienza ideale. Della teologia rivelata e della filosofia. Principato universale della prima. Maggioranza della seconda sulle altre scienze. Primato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. Della teologia universale.  Della malemalica. La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica. Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. Della logica c della morale. Queste due scienze hannociòdi comune, che appartengonoal terminemediodella  forinola. Della logica in particolare, e delle varie sue parti. Dell’ etica in ispccie. Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri. Convenienze, ebe corrono fra loro. Della legge morale.  Dell’ imperativo. Del dovere, e del diritto. Dei tre mo- menti dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa nel terzo membro della forinola. Dei due cicli generativi. Varie sintesi, di cui si compongono. Dell’ordine dell’ universo Del concetto teleologico. L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Dell' estetica. Del sublime e del bello. Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. Del maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. Quindi i suoi vizi. Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cognizione ideale. I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. Del governo rappresentativo. Originato dal Cristianesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. Due sistemi dilibertàpolitica: l’unoeterodosso, c l’altro ortodosso. Suc- cessione storica del sistema ortodosso. La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. Dell’ apoftegma di MACHIAVELLI (si veda), che le«istituzionisi debbono ritirare verso i loro principii. In che senso sia vero, Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. Danni fatti alla medesima dall’Imperio. Di GIULIO (si veda) CESARE, institutore della tirannide imperiale. Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Des- cartes. Della idealità delle nazioni. L’ Idea è fonte del diritto. Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. Della sovranità. La sovranità assoluta è l’Idea. Della sovranità relativa e ministeriale. Non si trova in separato nel governo o nel popolo. La società non è d’istituzione umana, ma divina. liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda  c perpetua di generazione in generazione. Forinola della politica. l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio uni- versale. l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. Dei due cicli generativi della politica. 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. Ogni potere sovrano è divino. Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui, nèpareggialafratullii cittadini. Inviolabilità del potere sovrano. Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: checosasidebbaintenderesottoquestinomi. La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. La monarchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. È inviolabile, come il dominio privato. Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. Delle corti. Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’ idea divina. L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filosofia. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa. Suoi diversi periodi. La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo alla scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. Del razionalismo teologico fiorente al di d’oggi. Si divide in due parti. Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica. Il razionalismo confonde insieme i vari ordini di fatti e di veri. Sua vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismoèunvero naturalismo. Delsovrannaturale: sua definizione. Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. Pos- sibilità e convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordine sovrannaturale. L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo è la religione universale. Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. Sua singolarità. Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello Strausse. Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi civili. Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. Delle prove interne della rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno umano. Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. Della inspi- razione dei libri sacri. Sua definizione, natura, estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. L’ ermeneutica  di questi si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivela- zione. Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. Delle nazioni madri. Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. Dei fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed esso- terica. Fondamento naturale, e universalità di questa distinzione. Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. Del sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. Attinenze reciproche della dottrina essoterica. Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. Del figuralismo ebraico. Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig. Salvador delle instituzioni mosaiche. I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. OEll’ ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. La storia delle religioni non comincia dal sensismo. Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. Vicende civili delle nazioni. Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. Anomalie storiche nell’ effetluazione di esse. Del patriarcato. Dello stato castale : sua origine. Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale: oscurità, confusione, dimezzamento e disorganazione. Cagioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. Del culto dei felissi. Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. Esempi. Quattro epoche della cognizione ideale: intuitiva, immaginativa, sensitiva e astrattiva. Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come? Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. Dell’ epoca immaginativa. Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. Indole poco scientifica dell’ emanatismo. Sua formola. Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli emanatisti. Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. Del sincretismo emanatistico. Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione. Delcicloremanativo: sua natura. Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato dall'emanatismo. Sua indole, e sue varie forme. Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza della unitàideale. Dell' idolatria : sua natura. Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali del panteismo. Universalità del panteismo nel regno dell’errore. Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. Qual sorta di progresso possa avere Terrore, Varie forme del panteismo. Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. Dell’ ateismo. Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. Pel so- vrintelligibile. Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile. Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della importanza, che la religione dà alla vita temporale. Degli attributi divini ontologicamente considerati. Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. Sull’ infinità del mondo. Sugli assiomi di finalità e di causalilà. Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. Dell’ orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. Di varie spezie del razionalismo teologico. miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. l’asso del Leibniz sulla rivelazione. Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. Sul fatto di Babele. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non  L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. AMDELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclopedico. L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. Spiegazione generica della tavola. Della scienza ideale. Della teologia rivelata e della filosofia. Principato universale della prima. Maggioranza della seconda sulle altre scienze. Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. Della teologia universale. Della malemalica. La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica. Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. Della logica c della morale. Queste due scienze hannociòdicomune, che appartengono al termine medio della  forinola. Della logica in particolare, e delle varie sue parti. Dell’ etica in ispccie. Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri. Convenienze, ebe corrono fra loro. Della legge morale. Dell’ imperativo. Del dovere, e del diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa nel terzo membro della forinola. Dei due cicli generativi. Varie sintesi, di cui si compongono. Dell’ordine dell’ universo Del concetto te- leologico. L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Articolo qlirto. Dell' estetica. Del sublime e del bello. Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola.Del maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. Quindi i suoi vizi. Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. Del governo rappresentativo. Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. Due sistemi di libertà politica: l’uno eterodosso, c l’altro ortodosso. Suc-cessione storica del sistema ortodosso. La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. Dell’ apoftegma del Ma- chiavelli, che le istituzioni si debbonoritirare versoi loro principii. In che senso sia vero, Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. Di Cesare, institutore della tirannide imperiale. Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Descartes. Della idealità delle nazioni. L’ Idea è fonte del di- ritto. Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. Della sovranità. La sovranità assoluta è l’Idea. Della sovranità relativa e ministeriale. Non si trova in separato nel governo o nel popolo. La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda 461 c perpetua di generazione in generazione. Forinola della politica. l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio uni- versale. l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. Dei due cicli generativi della politica. 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. Ogni potere sovrano è divino. Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno o pochissimi individui, nè pareggia la fratullii cittadini. Inviolabilità del potere sovrano. Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto questi nomi. La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. La mo-narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. L'investitura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. È inviolabile, come il dominio privato. Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. Delle corti. Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali.  L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’ idea divina. L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filosofia. . de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa. Suoi diversi periodi. La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo alla scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi.Si divide in due parti. Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica. Il razionalismo confonde insieme i vari ordini di fatti e di veri. Sua vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismo è un vero naturalismo. Del sovrannaturale: sua definizione. Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. Possibilità e convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordine sovrannaturale. L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo è la religione universale. Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. Sua singolarità. Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristianesimo. Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello Strausse. Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi civili. Il Cristianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. Delle prove interne della rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’Idea, che vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ingegno umano. Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. Della inspirazione dei libri sacri. Sua definizione, natura, estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivelazione. Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. Delle nazioni madri. Degl’ Israeliti ; conservatori dell'Idea perfetta, prima di Cristo. Dei fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed esso- terica. Fondamento naturale, e universalità di questa distinzione. Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese essoterica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. L’alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. Del sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. Attinenze reciproche della dottrina essoterica. Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. Del figuralismo ebraico. Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. 1ì>5 lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. La storia delle religioni non comincia dal sensismo. Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. Vicende civili delle nazioni. Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. Anomalie storiche nell’ effet- luazione di esse. Del patriarcato. Dello stato castale: sua origine. Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. Cagioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroamatismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. Del culto dei felissi. Di un doppio moto contrario, regressivo e progressivo, delle instituzioni religiose. Esempi. Quattro epoche dellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come? Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca-duto. Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. Dell’ epoca immaginativa. Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. Indole poco scientifica dell’ emanatismo. Sua formola. Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli emanatisti. Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’ emanatismo. I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. Del sincretismo emanatistico. Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione. Del ciclo remanativo: sua natura. Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato dall'emanatismo. Sua indole, e sue varie forme. Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza della unitàideale. Dell' idolatria : sua natura. Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali del panteismo. Universalità del panteismo nel regno dell’errore. Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. Qual sorta di progresso possa avere Terrore Varie forme del panteismo. Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. Dell’ ateismo. Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. Si rigetta l’opinione di un ateismo indico antichissimo. Pel sovrintelligibile. Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’Italia c della Grecia. Pei tentativi antichi c moderni, per riedificare umanamente il sovrintelligibile. Si conchiude, accennando brevemente il tema. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontologico. Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio.  Della importanza, che la religione dà alla vita temporale. Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di causalilà. Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. Di varie spezie del razionalismo teologico. miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. l’asso del Leibniz sulla rivelazione. Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. Sul fatto di Babele. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non  L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. DELLE CONVENIENZE DELLA FORIOLA IDEALE COLLA RELIGIONE RIVELATA. Scusa dell’ autore. Il sovrintelligibile e il sovrannaturale sono i due perni della religione. Analisi del primo. Si escludono le false origini, che si possono assegnare al concetto, che Io rap- presenta. Della sovrintelligenza. In che consista la natura speciale di questa facolti. Sua analogia coll’istinto. Del sentimento, che l’uomo ha delle sue potenze non esplicate. Definizione delia sovrintelligenza. Come il concetto negativo del sovrintelligibile nasca da questa facoltà. Obbiettività del so- vrintelligibile ; adombrata dalla filosofia orientale. Analogia del sovrintelligibile col numeno di Emanuele Kant: sbaglio del criticismo. Dei sovrintelligibili naturali. Attinenze del so- vrintelligibile cogl’ intelligibili. Come il sovrintelligibile debba essere riconosciuto e rispettato dalla filosofia. Dei sovrintelligibili rivelati. Loro importanza, e armonia coi dogmi razionali. I sovrintelligibili della rivelazione hanno un margine indeterminato. Del sovrannaturale. In che consista, e sue attinenze colla formula. Connessione del suo concetto colla magia dei popoli pagani. Varie spezie di sovrannaturale. Necessità dell’ idea di sovrannaturale per la filosofia della storia : sua importanza per la filosofia in genere. Il sovrannaturale appartiene al secondo ciclo creativo : sue relazioni con esso. Dimostrazione a priori della realtà dell' ordine sovrannaturale. L’ alterazione di quest' ordine costituisce il regresso. Della    forinola sovrannaturale : sua corrispondenza colla razionale. Del ciclo cristiano : sua risoluzione. Della Chiesa; com' ella sia il perno dell’ incivilimento. Del sincretismo delle sette cristiane eterodosse, e della idolatria rinnovala per opera loro. Confutazione di un passo del sig. Guizot sull’ unità religiosa. Della superstizione : in che consista. Del processo a priori della fede cattolica. Due cicli rivelativi corrispondenti ai due cicli creativi. Necessità della fede per ben filosofare. La fede sola colloca l’uomo nel suo stato naturale. Ragionevolezza della disciplina cattolica. L’ educazione ideale è impossibile fuori di essa. Lo scetticismo esclude la vera grandezza, anche umana, dell’ ingegno. La fede è libera, e in ciò consiste il suo merito. Tre doti della fede cattolica, utilissime all'uomo e al filosofo. Efficacia di questa virtù, per avvalorare l' ingegno ontologico. Quanto all’ abito ontologico conferisca la credenza del sovrannaturale. Tutte le virtù teologali influiscono profittevolmente nell’uomo pensante e operatore. Della vera misticità, e sue differenze dalla falsa. Empietà dell’ autonomia razionale. Necessità della fede per la conservazione dei principii ideali. L’incredulità moderna è la cagione precipua della debolezza degli animi c degl’ingegni. Utilità dei misteri in genere per l’abito filosofico. Si considerano, per questo rispetto, alcuni misteri in particolare. Della predestinazione, e della eternità delle pene. Della inviolabilità scientifica della teologia. Di certi novellini teologi, e della temerità loro. L’invenzione nelle cose ideali è impossibile. Della giovinezza perpetua del Cristianesimo cattolico. Di una certa classe di gementi, che credono morta o moriente la religione: si combat- tono i loro timori. Della larghezza dell’ Idea cattolica: sua utilità per le scienze in generale. Necessità della filosofia per far fiorire la teologia, come scienza. La teologia e la filosofia hanno bisogno l’una dell’altra. Delle cagioni, per cui la teologia cattolica c scaduta dal suo antico splendore. Il clero cattolico dee essere un concilio di sapienti. Dee coltivare specialmente le scienze filosofiche. Dell’acroamatismo ieratico, ch'egli si dee proporre. I laici che coltivano la filosofia, debbono incominciare una nuova era razionale, sotto la sovranità intellettiva della Chiesa. La filosofia eterodossa, che regnò finora, è morta per sempre. Si concbiude esortando gl' Italiani a intraprendere l’ instaurazione delle scienze speculative. Sulla voce essenza. Del sovrintelligibile presso i filosofi eterodossi. Attinenze del sovrannaturale col sovrintelligibile. Del sovrannaturale iniziale c finale del Cristianesimo. Del sovrannaturale transitorio o continuo. Su alcuni passi di Guizot. Sopra un cenno teologico del sig. Nisard. Sul fatto morale della giustificazione. Sulle varie epoche filosofiche della storia. Delle idee pure.Sul valore teologico dei razionalisti tedeschi. Il decadimento della filosofia prova la verità del cat- tolicismo.Grice: “Italians find it harder than the Germans to conceal their nationalism. Hegel is studied everywhere, but Gioberti is felt to be TOO Italian, and he is. There are not two sentences in Gioberti that do not mention Italy! Hegel could philosophise on being (the absolute being is the King of Prussia) – but philosophers elsewhere took his remarks in a generalized way, not a German way. Unlike with Gioberti, who cannot hide his ‘italianita’. The fact that Mussolini wrote on him did not help. And that, along with Gentile, and the Italian mainstream intelligentsia, the Italian risorgimento is only a stone’s throw away from Fascism!” Grice: “Lorenzo Giusso, whom I like, wrote a bio of Gioberti which I thought the best, it’s in Vita e Pensiero, and in the series, “UOMINI DEL RISORGIMENTO” Gives him sense!” -- Vincenzo Gioberti. Gioberti. Keywords: del bello, estetico, il bello, metessi, implicatura metessica – mimesi – Plato on mimesis and metexis, protologia, ontologismo, statua all’aperto, Milano – nella serie uomini del risorgimento, bruno, gentile. -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Gioberti," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia

 

Grice e Gioia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia ad uso de’ giovanetti – filosofia piacentina – scuola di Piacenza -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Piacenza). Filosofo piacentino. Filosofo italiano. Piacenza, Emilia-Romagna. Grice: “I joked with the maxim, ‘be polite’ – surely it’s difficult to make that universalisable into the conversational categoric imperative (‘be helpful conversationally) – but apparently Italians are less Kantian than I thought!” -- Grice: “I love Gioia; he is like me, an economist when it comes to pragmatics – see my principle of ECONOMY of rational effort; I studied thoroughly his fascinating account about the origin of language, before I ventured with my pritological progressions!” Dopo gli studi nel Collegio Alberoni veste l'abito talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero tutt'altro che ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo di JBentham, dell'empirismo di  Locke e del sensismo di Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero di Giansenio.  Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni politiche. Vince il concorso bandito dalla Società di Pubblica Istruzione di Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d'ITALIA", alla quale partecipano 52 concorrenti. La sua dissertazione, in cui sostiene la tesi di un'Italia libera, repubblicana, retta da istituzioni democratiche e basata su comuni elementi geografici, linguistici, storici e culturali, prefigura, come la maggioranza di quelle presentate, l'unità italiana, benché questa tesi non sia gradita ai francesi che in quel periodo occupano il nord Italia. La notizia del premio ricevuto gli giunge però in carcere. Nel frattempo è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a scopo di lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee politiche giacobine a renderlo inviso all'autorità. Viene scarcerato grazie, forse, alle pressioni di Bonaparte, e ripara a Milano. Il Trattato di Campoformio, con la cessione di Venezia ad Austria da parte della Francia in cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica Cisalpina, lo spinge però ben presto a diventare oppositore della Francia. Dopo aver rinunciato al sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica fonda "Il Giornale filosofico politico", stroncato dalla rigida censura austriaca per le posizioni sempre più apertamente patriottiche che Gioja vi sostiene. Dalle colonne del "Giornale Filosofico Politico" scrive una lettera aperta al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui denuncia i danni patiti in carcere. Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi Ligure e G. viene ARRESTATO NUOVAMENTE dagl’austriaci, per essere scarcerato in seguito alla vittoria francese a Marengo. Viene nominato storiografo della Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica "Sul commercio de' commestibili e caro prezzo del vitto", ispirato dai tumulti per il rincaro del pane, e "Il Nuovo Galateo". Viene rimosso dalla carica per le polemiche seguite alla pubblicazione e alla difesa del suo trattato "Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità, cause, nuova maniera d'organizzarla"  L'apprezzamento per i suoi solidi e realistici studi di economia e di statistica, ai quali sono prevalentemente rivolti il suo interesse e la sua attività, gli valgono però la nomina alla direzione del nascente Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una febbrile attività fatta di studi corredati da tabelle, quadri sinottici, raffronti demografici, causa di nuove ed accese polemiche e della rimozione dall'incarico. Tale attività gli rese uno dei primi studiosi ad applicare i concetti di Statistica alla gestione economica dei conti pubblici (ad esempio per le tasse, gabelle, e così via). Grazie alle sue conoscenze statistiche ed economiche elabora concetti fortemente innovativi per l’epoca che ne fanno il precursore del moderno dibattito giuridico in materia di risarcimento del danno alla persona con una concezione che supera la questione patrimoniale.  Notissima in medicina legale la sua regola del calzolaio, che anticipa il concetto di riduzione della capacità lavorativa specifica:  un calzolaio, per esempio, eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano che non riesce più che a fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una fattura di una scarpa e un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli restano di vita, meno i giorni festivi. E ancora, seppur meno noti, concetti come: "Ne' casi d'indebolimento o distruzione di forze industri, considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell'offeso, noi restiamo molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può essere riguardata come Mezzo di sussistenza Mezzo di godimento Mezzo di bellezza Mezzo di difesa   Filosofia della Statistica (libro originale) “Rendendo paralitico, per es., l'altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si schernisce da mali eventuali difendendosi".  Si tratta di principi rivoluzionari per l’epoca, forse frutto di quel particolare mix di cultura che deriva dalla sua formazione che inizia da sacerdote e approda a concezioni rivoluzionarie; è il primo che riesce a prefigurare nell’uomo non solo una sorta di macchina che produce reddito, ma anche un soggetto che attraverso il lavoro realizza la propria personalità. In Italia oltre un secolo e mezzo dopo, in sede giuridica inizierà il dibattito sul superamento del risarcimento del mero danno patrimoniale per tener conto degli aspetti relazionali e dinamici della persona riassunti nel concetto di danno biologico. Sul filone di queste tematiche gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione scientifica medico giuridica che raccoglie giuristi, medici legali e assicuratori.  Il "Nuovo Galateo" Testo fondamentale nella storia dei Galatei, il Nuovo Galateo di G. fu scritto per contribuire alla civilizzazione del popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo conosce ben tre edizioni. La prima si sofferma in particolar modo sulla definizione laica di "pulitezza" – cf. Grice, ‘be polite’ -- intesa come ramo della civilizzazione, arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi. È divisa in tre parti: "Pulitezza dell'uomo privato", "Pulitezza dell'uomo cittadino", "Pulitezza dell'uomo di mondo".  Nella seconda edizione, Gioja ridimensiona il concetto di "pulitezza" come l'arte di modellare la persona, le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da procurarsi l'altrui stima ed affezione. La vecchia ripartizione è sostituita da: "Pulitezza Generale", "Pulitezza Particolare", "Pulitezza Speciale". Nella terza edizione risale, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza l'importanza del concetto di "ragione sociale", considerato dall'autore il fondamento etico del galateo che avrebbe portato felicità e pace sociale mediante le buone maniere. Fu membro della Loggia massonica "Reale Amalia Agusta" di Brescia, che prese il nome dalla moglie del principe Eugenio di Beauharnais, primo Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia. A lui è intestata la loggia di Piacenza all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Crollato il dominio napoleonica, Gioja produce le sue opere maggiori: il "Nuovo prospetto delle scienze economiche”; il trattato "Del Merito e delle Ricompense"; "Sulle manifatture nazionali"; "L'ideologia". Gli ultimi tre libri vengono messi all'Indice e il suo fecondo lavoro è interrotto da un nuovo arresto per aver cospirato contro l'Austria partecipando alla setta carbonara dei "Federati".  Dopo quest'ultima peripezia, nonostante i sospetti da parte del governo austriaco, ha finalmente davanti a sé qualche anno di serenità e compone la sua ultima opera, "La filosofia della statistica.” Nel cimitero della Mojazza fra tante ossa ignorate dormono senza fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre Gioia. Prende il suo nome il Liceo Classico di Piacenza. Rosmini, suo avversario in politica come in religione, lo accusò di pretendere di proporre un codice morale, fondato su principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura richiedeva sussidi e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le benemerenze nelle proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiara pubblicamente un "ciarlatano". Altre opera: Del merito e delle ricompense, Filadelfia, s.n., Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici, Nuovo Galateo, Il Nuovo prospetto delle scienze economiche, Distribuzione delle ricchezze, Milano, presso Pirotta in santa Radegonda, G., Produzione delle ricchezze,  Milano, presso Pirotta in santa Radegonda, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, G., Azione governativa sulla produzione, distribuzione, consumo delle ricchezze, Milano, presso Pirotta in santa Radegonda, Sulle manifatture nazionali,  Dell'ingiuria, dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili. L’Ideologia. Filosofia della statistica. Note: Francesca Sofia nel Dizionario Biografico degli Italiani.  Ettore Rota nella Enciclopedia Italiana, Cfr. Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di Napoleone in Rassegna storica del Risorgimento, Fonte: Francesca Sofia, Dizionario Biografico degli Italiani, rTreccani L'Enciclopedia Italiana, riferimenti in Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Ignazio Cantù, Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: Studiato nelle sue vie; passeggiate storiche, Saltini, Salomoni, Stefano Rossi, Via Emilia. Percorsi inusuali fra i comuni dell'antica strada consolare, Il Sole, Barucci, Il pensiero economico di G., Milano, Giuffre, Paganella, Alle origini dell'unità d'Italia: il progetto politico-costituzionale di G., Milano, Ares, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pionetti, Melchiorre G.: il progetto politico per un'Italia unita e repubblicana, Piacenza, Edizioni Lir, Tasca, Galatei. Buone maniere e cultura borghese nell'Italia, Firenze, Le Lettere, G. (metropolitana di Milano). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  fare alcun cangiamento senza indebolirla. Egli previene così i suoi lettori contro ogni idea di riforma, e svolge nel loro avimo un timor macchinale contro ogni innovazione delle leggi. In generale tutte le metafore, i paragoni, le parziali analogie,le somiglianze superficiali non possono far breccia che nell'animo del volgo. Agl’occhi del filosofo i paragoni non sono ragioni. Essi possono schiarire una proposizione, provarla mai. Parlare. Abbiamo veduto che le macchine sono utili e necessarie al chimico, i telescopi all'astronomo, i disegni al meccanico, le figure al geometra. Le parole sono forse egualmente utili, egualmente necessarie all'esercizio del pensiero. Tre oggetti simili mi si presentano facilmente allo spirito, dice Condillac. Se passo al quarto, sono obbligato, per maggior facilità, d'immaginare due oggetti da una parte, due dall'altra. Se voglio fissarne sei, fa duopo che li distribuisca due a due, o tre a tre; crescendo questi oggetti, la mia vista si confonde, io non posso più numerarli. Al contrario, se dopo d'averne considerato uno gl’unisco un altro, e a questa unione appongo il nome “due.” Se a questi aggiungo un terzo, ed allanuova unione appongo il nome “tre,” e cosi di seguito, caratterizzando con parole distinte ogni aumento progressivo d'unità, arrivo ad annoverare moltissimi oggetti facilmente. Alla stessa maniera, se ogoi volta che voglio pensare ad una persona, sono costretto a richiamarmi ad una ad una tutte le sue qualità, onde non confonderla con un'altra. Le note tracciate sulle carte di musica rappresentano i suoni che si eseguiscono dagl’istrumenti. Le parole pronunciate o scritte rappresentano le idee che si piagono nel l'animo. 1   mi troverò nel massimo imbarazzo. Siano,a cagione d'esem pio, come segue, le qualità d'una persona: Fisiche: Sesso maschile, anni: 20, capelli biondi, fronte alta, cigli biondi, occhi neri, naso lungo, bocca grande, meoto prominente, marca nera sulla guancia destra, mano sinistra storpia, piede destro zoppo, linguaggio balbettante, accento francese. Morali = Melanconia, dissolutezza, mancanza alle promesse, viltà, abitudine alla menzogoa, jocostanza. Civili = Patria, Rodez in Francia, condizione, awmo gliato, professione, possidente. Se la mia attenzione deve afferrare tutte queste idee alla volta, si troverà insufficiente al bisogno; molto maggiore si farà la difficoltà, se per pensare nel tempo stesso ad altra persona, sono costretto a schierarmi avanti alla mente con egual melodo tutte le qualità che la caratterizzano. Se al contrario chiamo la prima “Pietro”, la seconda “Paolo”, potrò facilmente richiamarmi l'una e l'altra, distinguerle tra di loro, paragonar!e insieme. Queste parole sono poi ancora più necessarie, allorchè si vogliono esprimere le qualità comuni a molti oggetti, a cagione d'esempio, le qualità che si trovano in tutti gli u o miniod in tutti gli animali, il che costituisce le idee astratte, come si disse di sopra, ovvero allorchè si vogliono esprimere gli oggetti creati dalla nostra mente, come le idee di gloria, d'infamia, di virtù, di vizio. Sebbene quando pronuncio le parole “uomo” , animale. non mi si schiarino alla mente tutte le idee elementari che bo unito a queste parole , cionnonostante ne veggo il  TEORIA DELLA SENSAZIONE porto, ne seolo le differenze, ne scorgo le somiglianze, alla stessa maniera che sebbene pronunciando i numeri 100,000 e 10,000 non vegga le unità che li compongono, so però che l'uoo sta all'altro come 100 a 10, ovvero come to a 1, e conoscendo la maniera con cui questi dumeri sono stati formali, posso, ogni volta che voglio, separarne le maggiori masse , scendere alle minori, per arrivare alle minime e fipalmente agli elementi. Supponete che per isbaglio qualcuno invece di dire che 1000 è decuplo di100, dica che 100 ė decuplo di 1000. Ben tosto l'abitudine chenoi abbiamo acquistata d'attribuire a queste parole certe relazioni tra di esse, agisce sulloro suono, e cifa scorgere all'istante l'as surdità dell'accennata proposizione. Il linguaggio si è per rap  141 noi come quelle traccie che il piede del viaggiatore imprime sull'arena di un vasto deserto, le quali lo guidano, quand'egli voglia,al punto doode parti. Una parola che nella sua origine e un nome proprio, divenne insensibimente un nome appellativo. Può in conse guenza accadere in forza delle associazioni ideali e sentimen tali che uo nome generaleri chiami uno degli individui ai quali s'applica. Ma lungi che ciò sia necessario alla forza del raziocinio, è sempre una circostanza che tende ad illuderci.Si può paragonare uno spirito che ragiona ad un giudice che deve decidere tra contendenti. Se il giudice non conosce se non le loro relazioni al processo, s' egli ignora i loro pomi, s'egli li designa per lettere dell'alfabeto o pe’nomi fittizi di Tizio, Cajo, Sempronio, egli è quasi necessaria mente imparziale. Cosi in una serie di ragionanenti noi corriamo medo rischio diviolare le regole della logica, allorchè la nostra attenzione si fissa sui semplici segni,e quando l'immaginazione, presentandoci oggetti individuali, non esercita sulnostro giudizio la sua influenza e non viene a sedurci con accidentali associazioni. Le parole facilitano vie maggiormente l'esercizio del pen iero quando il loro suono imita il suono della cosa espressa, come sono le parole belato, cigolio, scricchiolare. Anche le parole tracotante, orgoglioso, baldanzoso. Colle vocali piese rinfiancate dalle acconce consonanti, e colla moltiplicità delle sillabe spirano una cerla audacia di suono analoga all'indole dell'oggelto che esprimono. Anche quando accennano l'uso o la proprietà della cosa indicata; cosi Fieberrinde o scorza della febbre nel linguaggio tedesco, che accenna l'uso e laproprielà di questo vegetabile, é preferibile alla parola Quinquina. Per la stessa ragione le parole cui il nuovo stile indica i mesi nell’anno, hanno più pregi che quelle dell'antico: fiorile ossia il mese de ' fiori, vendemmi atoreossia il mese della vendemmia, sono nomi ben più espressivi che maggio e ottobre. ATTENZIONE E RAZIOCINIO.  Al contrario, allorchè si dà il nome di Pino del Nord al'albero prezioso che tutte le nazioni maritti meriguardano come migliore per le alberature , si fa supporre che questi bei pininon possono crescere s e donne'climi glaciali, mentre trovansi nella Lituania, in altre provincie più meridionali, in quelle stesse i cui fiumi corrono verso il Mar Nero. La parola Gallo d'India rammentando che questo ani male è natio d'America, e ignoto ai Romani , venne uel l'Europa del 16.° secolo, è per più titoli preferibile all'insignificante parola “pollo”. Coquetterie in francese (civetteria) rappresenta al vivo il carattere d'una donna galante, che tiene a bada mille amanti, a guisa d’no gallo che vezzeggia cento galline ad un tempo. Al contrario allorchè gl’antichi chimici ci parlavano del fegalo di zolfo, del butirro d’antimonio dei fiori di zinco. Spingevano il pensiero sopra immagini non applicabili agli oggetti che volevano iudicare. Anche quando le parole serbano tra di esse un cerlo rapporto costante, come leparole quaranta, cinquanta, sessan ta, sellanta, Ollanta, novanta, ciascuna delle quali avendo la stessa desinenza , è formata dalla moltiplicazione del fat. comune dieci, ne'numeri naturali quattro, cinque, sei. Dello stesso ordine progressivo de numeri nalurali. Siano i nomi delle nuove misure Myriametro uoilà di Kilometro unità di Ectometro unità di L'influenza del linguaggio sulle operazioni del pensiero si scorge sulla nazione Chinese. La quale, a fronte delle altre incivilite,  TEORIA DELLA SENSAZIONE 0.01 di metro Centimetro unità di 0.001 di metro Si vede che dalla massima alla minima misura v'è una progressione decrescente che segue la stessa legge, di modo che essendo data una di esse, si possoo ritrovare le prece deotie lesus seguenti. Al contrario leantichemisuredipo sla, lega, lesa, pertica, passo geometrico, passo ordinario, braccio, auna, piede, pollice, linea, punto....non es sendo crescenti o decrescenti nella stessa proporzione, D00 aveodo tra di esse rapportocomune, confondono la memoria, e colla notizia d'una di esse non si può giungere alla cognizione d'alcun'altra. Dicasi lo stesso delle altre misure e de'pesi puovi ed antichi, calcolati I primi in ragione decupla e costante, i secondi senza nessuna ra gione graduata e regolare. Cesarolti. tore Decimetro unità di 0.1 di metro Metro upità di 10 metri 10,000 metri 1,000 metri Decametro 100 metri unità di diritla,ne avrò ildoppio in questa. Dimando qual è il u nunero de'gettoni che avevo da principio in ciascuoa 6 mano? Qui si banno due condizioni note, o , per parlare « come i malematici, due dati; l'uno, che se fo passare 6 un gellone dalla diritta alla sinistra , ne avrò egual o u u mero in ambe le mani; l'altro che se lo fo passare dalla « sinistra alla diritta, ne avrò il doppio in questa. Ora roi «vedete,che,s'eglièpossibiletrovareilnumero ch'iovi u dimando , ciò non può farsi, se non osservando le relazioni che haono i dati fra loro; e comprendete che tali « relazioni saranno più o meno sensibili, secondo che i dali « saranno espressi in un modo più o meno semplice. quan u do le si toglie un gellone , è eguale a quello che avete u nella sinistra, quando a lei se ne aggiunge uno , esprime « reste il primo dato con molte parole. Dite dunque più ubrevemente:ilnumero dellavostra destra, scemalod'una unità, è uguale a quello della sinistra più un'unilà; ov « vero:ilnumero della destra meno un'unità è uguale a si può dire quasi barbara, sottomessa ai pregiudizi più assurdi, sta zionaria da più secoli, altesa l'imperfezione della sua lingua. Mentre le nostre liogue d'occidente e le più belle d'oriente riproducono lulle leparole con un solo numero di lettere diversamente combinate , nella lingua chinese, quasi ciascuna parola ha il suo segno partico lare; lo studio della scrittura esige quindi un tempo infinito. L'incertezza e l'indeterminazione del senso delle parole passando a vi cenda dal linguaggio orale alla scrittura,dalla scrittura al linguaggio orale, producono una confusione da cui i più dotii possono appena schermirsi colla più grande fatica. Egli è evidente che siffattalingua non è buona che a perpetuare l'infanzia d'un popolo , desaligando seoza 'frutto le forze degli spiriti più distinti, ed offuscando nella loro sorgente ipriini Jampi della ragione. Gioja. Elein, di filosofia. Se voi diceste : il numero che avete nella destra  4. Acciò il discorso faciliti l'esempio del pensiero,è necessario che sia minimo il numero delle parole,invariabile l'oggetto indicato,precisata, ovunque è possibile, la quantità · trarrò l'esempio da Condillac: is Avendo de' gelloni nelle mie mani, se nefo passar uno dalla mano dirilla alla sinistra, ne avrò tanti nell'una quanti nell'altra; e se nefo passar uno dalla sinistra alla « Non si tratta d’indovinare codesto qumero , facendo « delle supposizioni ; bisogna trovarlo ragionando e passando « dal cognito all'incognito per uoa serie di giudizi. 11   quello della sinistra più un'unità ; o infine ancor più bre «vemevle:ladestraweno unoegualeallasinistrapiùuno. pio in questa. Dunque il numero della mia sinistra sce malo d'una unità è la metà di quello della destra accre « sciuto d'una unità; e per conseguenza esprimerete il se « condo dato dicendo : il numero della vostra mano diritta « accresciuto d'una unità è uguale a due volte quello della 6 vostra sioistra scemato d'una unità. « Tradurrete questa espressione in un'altra più sem “ plice , se direte : la destra accresciuta d'un'unità è uguale a due sinistre scemate ciascuna d'uu’unità ; e giungerele “ a questa espressione la più semplice di tutte : la dirilla « più uno uguale a due sinistre meno due. Ecco dunque le « espressioni, alle quali abbiamo ridotti i dati : u Questa sorta d'espressioni chiamasi equazioni in m a «tematica.Sono compostediduemembriuguali.Ladirilla u meno uno è il primo membro della prima equazione. La sinistra più uno, il secondo. « Le quantità incognite sono inescolate alle cognite in 6 ciascuno di questi membri. Le cogoite sono meno uno più uno , meno due : le incognite sono la diritla e la sini “ sira, coo cui espriaiete idue numeri che andate cercando. « Finchè le cognite e le incognite sono cosi mescolate w in ogni membro delle equazioni,non è possibile risolvere u ilproblema.Ma nou v'è bisogno d'un grande sforzo du « riflessione per osservare, che se vba un mezzo di traspor “ tare lequantità d'un membro all'altro, senza alterare l'eguaglianza che passa tra loro, possiano, bon lasciando in un membro che una sola delle due incogaite; sepa “ l'arla dalle cognite, colle quali è mescolala. Questo mezzo si preseula da sè stesso; perchè se la « diritlameno uno è uguale alla sinistra più uno, duoque TEORIA DELLA SENSAZIONE Per tal guisa di traduzione in traduzione arriviamo alla più semplice espressione del primo dato. Ora quanto « più abbreviarete il vostro discorso, più si ravvicioeranno « le vostre idee,e quanto più saraono vicine, più vi sarà « facile di conoscere tutte le loro relazioni. Ci resla a traltare il secondo dato come il primo , e bisogna tradurlo u nella più semplice espressione. Per la seconda condizione del problema, s’io fo pas “ sare un geltone dalla sioistra alla diritta, ne avrò il dop « La diritta meno uno uguale alla sinistra più uno. « La dirilta più uno uguale a due sioislre meno due.  ATTENZIONE E  RAZIOCINIO. La diritta uguale alla sinistra più due. « La diritta uguale a due sinistre meno tre. « li primo membro di queste due equazioni è laslessa quantità; la dirilta; e vedete che conoscerete questa quan lità, quando conoscerete il valore del secondo membro e dell'altra equazione. Ma ilsecoodo membro « della prima è uguale al secondo della seconda , poiché « sono uguali l'uno é o altro alla stessa quantità espressa “ dalla dritta; duoque potete formare questa terza equa u ziove: « La sinistra più due uguale a due sinistre meno tre. « Due più tre uguale a due sinistre meno una sinistra. « Due più treuguale ad una sinistra. “ Cinque ugualead una sinistra. « Il problema è sciolto. Avete scoperto che il numero de'geltooi che ho nella mano sinistraè cioque.Nelle equa u zioni , la diritta uguale alla sinistra più due , la diritla uguale a due sinistre meno tre, troverete che sette è il nu 6 Inero chc ho vella diritta. Ora questi due numeri cioque 6 e sette,soddisfanno alle coodizioni del problema. quando un problema è così facile,come quello scioltopur 6 ora, essa ne abbisogna maggiormeote, quando iproblemi  66 65 56 dell'una « la diritla jolera sarà uguale alla sinistra più due: e se la “dirittapiùunoèugualea due sinistremeno due,dun « que la diritta sola sarà uguale a due sinistre meno tre: « Sostituirete dunque alle due prime le due seguenti equa zioni. 6.Allora non vi resta che una incognita, la sinistra, e a ne conoscerele il valore , quando l'avrete separata, vale a » dire,falte passare tutte lecogoite dalla stessa parte. Di - rete dunque Voi vedete sensibilmente in queslo esempio come la asemplicitàdelle espressionifacilitailraciocinio,ecom ú prevdele che se l'analisi ha bisogno di tal linguaggio sono complicati. Così il vantaggio dell'analisi nelle male 6 mati che nasce unicamente dal parlare s s e il linguaggio più semplice. Una leggiera idea dell'algebra basterà per farlo 6 ipleadere. In questa lingua non si ha bisogno di parole. Il più si sprime col seguoto, il meno cou--; iuguaglianza con « siindicaou le quantitá con lellere o citre:Ý , per es., sarà ilnu 6 mero de'geltoni che ho nella destra, e Y quello della sinistra. e   Non sarà fuoridi proposito l'osservare che non alla sola semplicità del linguaggio, come pretende Condillac, sono debitrici dellaloro perfezione l ematematiche, ma anche 1.o alla prudenza de'loro seguaci, la quale consiste nel ritenersi nei limiti delle sensazioni e loro rapporti; 2. all'inva riabilità de’rapporti tra gli oggetti da essi chiamati ad esa m e ; 3.o alla possibilità di sottomettere le loro conclusioni alle verificazioni de'sepsi e degli strumenti. Cominciamo dal 1.°:esistono degli oggetti estesi; ecco la sensazione: gli oggetti estesi possono misurarsi gli uni per gli altri; ecco l'osservazione che produce la geometria. L'es.senza dell'estensione, gli elementi che la compongono, sono indagini che i matematici abbandonano agli oziosi metafisici, e quindi non si espongono ai loro errori. Dite lo stesso delle altre quantità esaminate dai matematici. a Cosi X – 1 = Y to 1, significa che il numero de'gettoni che ho nella destra, scemato d'un'unità è uguale a quelloche ho nella asinistra, accresciuto d'un'unità ,e X41 =2Y -2, significa che il numero della mia destra accresciuto d'un'unità è uguale due volte a quello della mia sinistra diminuito di due vuità. Ï due dati del nostro problema sono dunque rinchiusi in queste equazioni: 5Y. Finalmente da X = Y+ 2, caviamoX = 5 to 2= X = 2 Y - capiamo egnalıneote X = 10  TEORIA DELLA SENSAZIONE 2. « X fo 1 = 2 Y - 2 che diventano, separando l'incogoita del primo membro “Y +2= 2Y - 3 a che diventano successivamente 9 6X uX 2.Y -3. De'due ultimi menibri di queste equazioni facciamo 2Y "2*3=2Y-Y “2of3= Y la matematica non visono circoli più o meno ro tondi, linee più o meno perpendicolari, superficie più o meno quadrate, la misura di tutti i triangoli è uguale alla base moltiplicata per la metà dell'altezza. E quando un rapporto come quello del diametro alla circonferenza, cagion d'esempio, non può essere espresso con esattezza i matematici continuano ad essere esatii, additando la quantità relativa all'uso che se ne debbe fare, e che i seosi più 6X – 1 = Y to 1 66 Y+2 0 7; cda 3  ATTENZIONE E RAZIOCINIO. fini non potrebbero additare con precisione maggiore.I m a tematici non dicono,ilcircolo sirassomiglia al triangolo come un oratore dirà, l'uomo si rassomiglia al lione, e sarà costretto a lunga circonlocuzione per fissare la specie di ras somiglianza ch'egli annunzia, Alla sorpresa deve succedere in ciascuno la persuasione divedere un essere interamente simile a lui, essendo simili le forme e i moti esteriori. Infatti meolre it selvaggio A, a cagione d'esempio, stacca un fratto dal vicino albero, il selvaggio B, che si ricorda d'avere fatto più vollelo stesso, spinto dalla fame, conchiude che A èmosso (1) I tre antecedenti riflessi dimostrano falsa l'asserzione di Condillac, cioè che le matematiche non bando sulle altre scienze altro vantaggio che di possedere una migliore lingua, e che si procure rebbe a queste uguale simplicità e certezza , se si sapesse dar loro de’ segni simili». Languedu Calcul, Anche, le idee matematiche possono essere rese esteriori, cioè visibili, palpabili, misurabili, in una parola sono susceltibili d'essere giudicate dai sensie dagl’istrumenti. Coll'ajuto delle cifre e delle figure tracciale sulla tavolta,o rappresentate da corpi solidi, I concetti matematici compariscono rivestiti di forme visibili per chi ha gli occhi, tangibili per chi ne è privo. L'espressione dei rapporti di quantità è sol tomessa ad una verificazione sensibile, facile, immediata; nissuno ha finora osat o r i gettare il giudizio d'una bilancia, o sospettare l'imparzialità d'una tesa, o la veracità del gra fomeiro. Colla scorta de'principii esposti nell'antecedente sezione, ci sarà agevole cosa il seguire i filosofi nelle congetture con cui spiegarono l'origine delle lingue. Si suppongano due selvaggi A e B che s'incontrano la prima volta. Il primo sentimento che si svolgerà oel loro animo, sarà lasorpresa sempre figlia della novilà. Queste conclusioni si rinforzano in ragione de'movimenti e delle azioni che ciascuno eseguisce, perchè a queste azioni sono associate idee e sentimenti uguali. B intende dunque le azioni di A , leggeodo nel proprio animo e consultando la propria memoria. A intende le azioni di B per gli stessi motivi; si può dire che l'uno è specchio all'altro. B accorgendosi che comprende le azioni di A, conchiude che A comprende le sue. B compresii sentimenti di A,vedeodogli eseguire certe azioni; egli cercherà di far comprendere isuoi, ripetendo le azionistesse: ecco il linguaggio de'gesti. I sentimenti da comunicarsi o riguardano oggetti esterni presenti o lontani, ovvero riguardano gli interni sensi del l'animo. Allorchè l'oggetto è presente, gli occhi direlti verso di esso, il dito che lo accenna, la bacchetta che lo locca, il corpo che si slancia verso di esso o se ne allontana, formano tutto il dizionario della lingua. Questi segni possono essere chiamati indicatori. Allorchè si tratta d'oggetti lontani , per esempio, d'un animale che si riuscì ad uccidere, o d'un altro da cui si fu morsi, il selvaggio ne ripete l'accento, l'urlo, il grido, e ne esprime cogli atteggiamenti delle mani, delle braccia, della testa le forme più rimar che voli. Questi segni possono essere chiamati imitatori. Il rumore prodotto da un torrente che precipita, da un monte che scoscende, dal vento che fischia, TEORIA DELLA SENSAZIONE da uguale sentimento. A porta alla bocca il frutto e lo mastica; B rammentando il piacere che provò mangiandolo, con chiude che A lo prova ugualmente. Ad improvviso rumore A sospende l'operazione del mangiare, alza il capo immota col guardo fisso dal lato donde proviene il romore ed in attodi chi tende l'orecchio; B colpilo dallo stesso rumore e dagl’atti di A, sente sorpresa e timore, e conchiude che A è sorpreso e intimorito. Cessato il rumore, A riprende tranquillamente l'operazione del mangiare. La calma che succede nell'animo di B gli dice che A si è calmato. Dopo questa scoperta, il bisogno reciproco di comunicarsi a vicenda i propri sentimenti sembra naturale, perchè è naturale la reciproca debolezza e comuni i pericoli. I due selvaggi intendendosi reciprocamente, possono sperare un ajuto ne'loro bisogni, un sollievo de loro dolori, una difesa contro gl’assalti delle beslie feroci. ATTENZIONE E RAZIOCINIO. I segni indicatori, imitatori, figurati, divengono triplice canale di comunicazione pe'sentimenti e leidee in forza delle leggi d'associazione. Classificando gli elementi di questo linguaggio secondo la natura de materiali che servono a formarlo, se ne distingueranno tre specie, i gesti, le parole, la scrittura simbolica.La storia antica ricorda spesso l'uso de' simboli anche presso nazioni già uscite dalla barbarie e sopratutto pressole nazioni orientali. Dario essendosi inoltrato nel territorio della Scizia colla sua armata, ricevette dal re degliSciti un messo che, senza parlare, gli  dal tuono che scoppia. Il canto degli uccelli, gli accenti delle passioni sono altretanti suoni che il selvaggio ripete per farne iolendere l'oggetto ad ogni momento di bisogno, accompagnandoli per lopiù coi gesti. Se1 Allorché sitratta di esprimere i propri bisogni, i propri timori, in somma le affezioni che von simostrano ai sensi, il selvaggio ripete dapprima quelle attitudini del corpo che le accompagnano. Per esempio, B vede o d o il luogo ove rimase spaventato, ripeterà i gridi e i moti dello spavento, accid A non siespoogaaldaono cui fu esposto egli stesso. Un sordo e muto volendo indicarci, che fu calpestato da un cavallo, esprime dapprima con ambe le mani ,il moto preci pitoso de'piedi del cavallo, quindi accenna ilproprio corpo che cade sul suolo; posc i a ripete il moto del cavallo, escorre colle mani le varie parti del corpo nelle quali fu calpestato. Dopo i segni esterni che accompaguano gli affetti, il selvaggio, aguisade'sordie muti, cogliela somiglianzache scorge tra i sentimeoti dell'animo e le qualità de'corpi esterni, e si serve di queste per indicare quelli; per es., le passioni vive s'assomigliano alla fiamma, il loro contrasto allatempesta,la loro calma a cielo sereno, l'animo dubbioso a due mani che pesano due corpi. Ecco i gesti simbolici e figurati. La prima specie comprende le azioni e le attitudini del corpo impiegate per imitare le forme e i moti degli oggetti esteriori. La seconda, gli accenti della voce con cui si ripe tono i gridi degli animali, e i suoni che accompagnano il moto degli esseri inanimate. La terza, la pittura che si farà soventi sulla sabbia, sulla corteccia degli alberi, od altro, sia degli oggetti che si vuole indicare, sia delle azioni che vi si riferiscono. I suoni della voce altrondee le articolazioni che gli accompagnano, possono, sia per sè stessi, sia per la loro combinazione, presentare colleidee molteanalogie che non col piscono a prima vista, ma che sono facilmente sentite ed avidamente accolte dalle società che si pregiano di dire molte cose nel ininimo tempo, e colla minima fatica possi bile. Il linguaggio articolato dovette dunque arricchirsi di giorno in giorno. L'invenzione delle parole indicatrici de generi e delle specie,impossibile aspiegarsi agiudizio di Rousseau, sem bra facilissima, giacchè se un albero particolare A in dato luogoe tempo fu iodicato colla parola albero, è cosa natu. rale che la stessa parola venisse applicata ad un albero sia mile , quindi ad un terzo, ad un quarto. Cosicch è si per mancanza d'altra parola che io forza della legge d'aoa. logia il nome proprio dovette divenire no me appellativo. Si giunse finalmente a far uso di segoi affatto arbitrari e vi si giunse in due maniere; dapprima per la degenera zione successiva del linguaggio primitivo e imitatore, poscia per convenzioni espresse. dodicipezziilcadavere,e glispedi alle dodici tribù di Israele, intendendo cosi di rendere comune ad esse il suo dolore, e chiamarle alla vendetta. Il suo linguaggio fu inteso e il suo desiderio soddisfatto:la tribù di Beniamino fu sterminata. TEORIA DELLA SENSAZIONE De'gesti non si può fare grande uso nelle tenebre de con persone alquanto distavti;la scritlura simbolica,benchè più perfetta de'gesti e permanente, soggiace agli stessi in convenienti, oltre di essere più difficile: al contrario gli accenti della voce, pronti, facili, variabili in tutte le maniere, pon tolgono dall'occupazione chi ne fa uso, e lasciano il potere di parlare e diagire. Queste ragioni fanno prevalere i suoni articolati. De dotti laboriosi hanno spiegato come la lingua primitiva alterata dal tempo, dalla mischianza del popolo e da diverse altre cause si trasforma nella nostra lingua italiana moderna ; presenta un uccello, un sorcio, una rana e cinque freccie; col quale simbolo il re voleva dire che se i Persiani non fuggivano come gli uccelli, non si nascondevano in terra come i sorci, non si sommergevano nell'acqua come le rane, cadrebbero vittime delle freccie degli Scili Il Levila d'Efraim volendo vendicare la morte della sua sposa, ne fa 151 e come questa alterazione seguendo un corso differente nei differenti paesi, rese le lingue sì dissimili tra di loro. Quanto alle convenzioni che furono fatte, non è necessario molto schiarimento. Si osserva che le parole non erano segni d'idee e di sentimenti, se non perchè gl;uomini ac consentivano a prestar loro lo stesso senso. Allorchè dunque conveone esprimere delle idee nuove, nulla si trova di più semplice che d'intendersi per scerre loro una parola. Questa convenzione, formata dapprima tra di quelli che avevano più pressante bisogno di designare questa idea, divenne in seguito comune agl’altri. Ciascuna arte, ciascuna scienza presenta le sue parole alla società, e lingue particolari. I segni arbitrari dovettero la loro forza solamente alla doppia abitudine di quelli che gl’impiegano e di quelli a cui si dirigono. Queste azioni, questi segni esteriori, che il ragazzo imita, sono uniti nella mente di quelli che gli servono di modello a dei sentimenti. Questi sentimenti lo sono ad alcune idee. I sentimenti e le idee a suoni articolati. Il ragazzo imita dapprima i movimenti, ripete poscia i suoni articolati o le parole, a cagione d'esempio, “padre”, “madre”, “vizio”, “virtù”, “religione”, “demonio”. Il ragazzo non ha bisogno d'inventare i segni artificiali delle idee. Egli gli impara soltanto. Ciò che per gl’antichi e un lungo sforzo di genio, non è per lui che un esercizio meccanico della memoria. Bentosto il ragazzo deve provare un principio di sentimento, ridendo all'altrui riso, piangendo all'altrui pianto, fremendo all'altrui fremilo benchè ne ignori la causa. Ma l'idea, s'ella esiste, essendo sempre la più difficile, la più lontana, la meno interessante a conoscersi, il ragazzo è imitatore come la scimia. Gli altrui moti, i gesti, l'accento, l’aria, il tono, tutti gl’attesteriori lo colpiscono nei primi anni della sua vita e d occupano la sua attenzione. Egli è spinto ad imitare ed arió petere tutto ciò che vede, ed i suoi organi mobili cootraggono l'abitudine di molte azioni, priache il pensiero sia capace di penetrarne lo scopo e d'osservarne il motivo: insginocchiarsi, fare il segno della croce, piegare la fronte, giungere le mani, levarsi il cappello, fuggire nelle tenebre, baciar l'altrui mano, fare inchini. La ripetizione frequente di questi suoni, gesti, sentimenti gli unisce con stretti nodi e tali che quando i suoni vengono a colpire l'orecchio o si presentano alla memoria, spingono gl’organi motori ai gesti relativi, e il sistema sensibile agl’associati sentimenti. Questa è la cagione per cui esempi ripetuti, antiche abitudini forzano la maggior parte degl’uomini ad ammirare, fremere, tremare, sdegnarsi, passionarsi in tutti imodi al suono delle parole le più insignificanti, le più vaghe, le più vuote d'idee, e che appunto per la violenza dei sentimenti associati si sottraggono alla analisi. Conviene anche osservare che più le parole sono confuse ed oscure, più piacciono e soddisfanno il gusto degli ignoranti. Queste ragioni ci spiegano il motivo per cui le stesse cose fanno impressioni diverse, secondo che sono pronunciate in una lingua o in un'altra. Si osserva, dice Rayoal, che i giudei stabiliti in gran numero alla Giamaica si facevano giuoco d'ingannare i tribunali di giustizia. Un magstrato sospetta che tale disordine potesse provenire da ciò che il suo Testamento, su'di cuido vevano giurare,era tradotta in idioma inglese. E quindi decretato che per l'avenire I Giudei giurer ebbero sul testo ebraico. Dopo questa precauzione gli spergiuri divendero infinitamente più rari. Per simile motivo Augusto lascia sussislere eadem magistratuum vocabula, acciò il popolo romano conchiudesse che sussisteva ancora la repubblica, sussistendo i nomi delle sue magistrature, e il rispetto ma c chioale eccitato negl’animi popolari dalle parole si, fissasse sulle nuove cariche che ritenevano le antiche denominazioni. Trovandosi Leibnizio a Nuremberg seppe che riera in quella città una compagnia di chimici, che col più profondo segreto travagliavano alla ricerca della pietra filosofica. Il desiderio d'entrarvi, gli suggerio l’idea che produce l'effetto bramato. Egli estragge dagli antichi alchimisti una serie di frasi oscure, la cui unione forma una lettera più oscura ancora e non intesada lui stesso. Questa lettera divenne un titolo peressere accolto. Leibnizio, tanto più ammirato quanto meno inteso, fu riconosciuto addetto e segretario della società. Bailly, Éloge de Leibnitz. TEORIA DELLA SENSAZIONE. Il ragazzo o non la verifica che tardi, come l'idea di “padre”, o non la verifica che in parte, come quella di “vizio”, o, non la verifica mai nè può verificarla, come l'idea di “demonio”, “magia”, “angelo”, “fortuna” e simili. Per eguale ragione, allorchè le idee più belle e più sublimi vengono tradotte in lingua usuale, bassa, plebea, per dono parte di quel pregio che conservano in una lingua antica o straniera. Quella specie di spregio che si attacca agl’usi volgari e quella specie di rispetto che va unito alle lingue morte od estere, sembra comunicarsi all'idea e degra darla a'nostri occhi o sublimarla. L'indeterminazione del linguaggio più in morale e legi slazione ha luogo, cbe nelle arti e nella storia naturale: gli oggetti di queste sono verificabili e misurabili coi sepsie cogli strumenti, quindi le stesse parole risvegliano in tutti presso a poco lestesse idee:al contrario gli oggetti morali non essendo verificabili con eguale precisione, restano nella nebbia della fantasia; le parole, da cui vengono indicati, partecipano della loro oscurità ed incostanza, e per lopiù risvegliano idee diverse nelle diverse teste in ragione delle circostanze in cui furono apprese. Pretendere che le stesse parole (principalmente se trattasi di cose morali) risveglino in tuttele stesseidee, egli è pretendere che quando è mezzo giorno a Milano sia mezzo giorno dappertutto. Nei giardini d'Epicuro la parola “virtù” risvegliava idee ridenti e piacevoli. Sotto i portici di Zenone, idee fosche e melanconiche. “Legge” significa la volontà di tutti per un greco, la volontà d'un solo per un persiano. le indicava per l'addietro un despota sciolto da ogni legge, attualmente quest'idea è più limitata , ed ha diversi significati a Londra, Amsterdam, Copenhague. “Libertà” nella mente del filosofo indica la somma delle azioni non vincolate dalla legge. Nella mente del volgo, la facoltà d'invadere i beni de'ricchi e di far nulla. Il massimo danno dall'indetermina zione delle parole si fa sentire ne'trattati tra, le nazioni, in cui la loro ambiguità diviene,causa o pretesto di guerre, nei codici criminali in cui l'oscurità d'una frase estende l’arbitrio del giudice a danno dell'innocente ne’ contratti, nei codici civili, nelle tariffe daziarie, in cui l'incertezza d'un'espressiooe è fonte di mille liti tra i cittadini, e vessazioni a. Havvi alla China una legge che condanna a morte quegli che non mostra sufficiente rispetto al sovrano. Comparve un giorno nella gazzetta della corte un aneddoto non raccontato con perfetta esaltezza. Il redattore fu arrestato, e i tribunali décisero che mentire nelle gazzette della corte e non mostrare sufficiente rispetto al sovrano. Quindi il redattore fu messo a morte. ATTENZIONE E RAZIOCINIO.“ commercio. La divisione uniforme del regno in dipartimenti, distretti, cantoni, comuni, l'uniformità de' pesi, in isure, monete, gli stessi libri nelle università, la stessa educazione ne’ licei lendono a dare alle parole la stessa significazione, a diminuire le dispute, e quindi una somma noo de. finibile di coilisioni sociali. Oltre l'indeterminazione del linguaggio proveniente dal modo con cui l'impariamo e dalla natura dell'oggetto che esprime, bisogna dire che in ogni lingua non v'ba quasi una parola che rappresenti sola una idea chiaro-distinta da se stessa. Tutte prendono sensidiversi dal posto che occupano nel discorso,dalle parole che le seguono o le precedono, dall'accento, dal gesto, dagli atti che le accompagnano. La medesima parola unita ad alcune ti mostra un dato espelto d'idee,uo altro, se si college con altre. Più avanti, più indietro le ne farà vedere dei diversi. Detta con un tuono asseverante, ha un senso. Con un tuono di meraviglia, un altro. Con irrisione, un terzo. Con interrogazione, un quarto. Cosicchè si potrebbe assomigliare le parole ai colori delle peone d'un colombo, che variano secondo il moto del sole, del colombo, dell'osservatore. Sono quindi quovi, fonti d'errori i diversi sensi che le stesse parole esprimono passando da un ordine di cose ad un altro. Un oratore, dopo avere esaltato i nomi di molti personaggi illustri dell’antichità, si dirige così a'suoi uditori: ingrati che noi siamo! noi cilngniamo della brevita della vita, mentrei è innostro polere di renderci immortali. Egli è evidente che questa argomentazione confonde due maniere di vivere che sono distiolissime e diverse. Lo stesso difetto si fa vedere nella seguente massima di Rousseau. Se la natura ci ha destinati ad essere sani, l'uomo che medita è un'animale depravato. Perchè questa sentenza fosse vera, converrebbe provare che il primo ed unico destino dell'uomo è di essere sano; che la virtù consiste nella sanità, e che la meditazione è in compatibile coi buoni costumi. Allora un dollo sarà un essere depravato come il soldato che espone la sua sanità e la sua vita in difesa della patria. Si potrà dire che ogni ammalato è uno scellerato, un mostro; che un monco è un Sano è qui'addiettivo del corpo, e significa uno stato fisico; depravalo è addiettivo dell'auimo, e significa uno stato morale. animale depravalo, avendoci la natura destinati ad essere sani come ci ha destinati ad avere due braccia. Aliro esempio. Bernardin de Saint Pierre vuole che assolutamente si bandisca l'emulazione dalle scuole pubbliche; e per provare ch'ella è inutile, argomenta così. Analizziamo questo argomento. L’emulazione per imparare la lezione, per fare dei temi, per studiare le scienze è inutile ugualmente che per giocare, bere, mangiare. L'emulazione è dunque da una parte e dell'altra la ripetizione della stessa inutilità, e per conseguenza si devono ritrovare pelll'un caso e nell'altro le medesime cause di questa doppia inutilità. Le funzioni dell'animo non son esse egualmente naturali, egualmente aggradevoli che quelle del corpo? Egualmente naturali? lo rispondo di no, se per naturali inten desi necessarie ed imperiose. Egualmente aggradevoli? Questo è possibile, ma la causa si rifonde   nel piacere d'essere applaudito, ammirato, ricompensato. Quindi l'autore non s'accorge che coi buoni effetti dell'emulazione lepla di provarne l'inutilità. Finalmente l'interesse, la mala fede, le passioni lulle abusano delle parole, perciò, al dire di Parini, il mercante è pronto inventor di lusinghicre fole 6 E liberal di forastieri nomi 6' A merci che non mnaivarcaro imonti.  уоро campagna, come sono necessarie talvolta per farli stu diare? Questa piccolo popolazione ha forse immaginato delle astuzie, e inventati degl’artifizi per allungare gli studi, e per ottenere un tema più difficile? Ho io avuto bisogno nell'infanzia di sorpassare i miei compagni nel bere, mangiare, passeggiare, e per corvi piacere? E perchè è egli slato necessario che imparassi asor passarli ne’miei studi, per trovarci dilello? Non ho iopo. tulo instruirmi a parlare e ragionare senza emulazioni? Le funzioni dell'animo non son esse egualmente naturali, egual mente aggradevoli che quelle nel corpo? Ora l'emulazione è inutile oel bere e nel mangiare, per che queste operazioni sono comandate dal più pressante, dal più imperioso de’ bisogoi, l'amore della vita; ma quantivi e conciliano la santità e la grassezza coll'inerzia e l'ignoranza? Gli scolari temono forse tanto le ricreazioni quanto temono la dieta? Sono mai state necessarie le minacce ed i castighi per condurli al refettorio o farli partire per la Cromwel, per coprire le sue viste atobiziose col manto della religione, aveva dato alla maggior parte de'suoi reggimenti i nomi dei santi del Testamento Vecchio. Cromwel, dice uno scrittore anonimo di quel tempo, ha ballulo illam buro in tutto il Vecchio Testamento. Si può imparare la genealogia del nostro Salvatore dai nomi de'suoi reggimenti. Il commissario di guerra non aveva altra lista che il primo ca pitolo di S. Matteo. In tutti i tempi, in tutte le religioni, in tutti i partili, il fanatismo, il quale non sipiccò mai di equità, diede a quelli che voleva perdere, non i nowi che merita vano, ma inoai che potevano loro nuocere. Socrate, che depurando le idee superstiziose, le conduceva all'unità di Dio, riceve il titolo d' aleo dai sacerdoti di Cerere: empio chiamavasi presso gli Egiziani chi von adorava un gatto, un bue o un coccodrillo. Si da dai Cartaginesi lo stesso titolo a chi abborriva il sacrifizio delle umane vittime. I romani danno a tutti i cristiani il nome di galilei o giudei, sforzandosi dire uderli odiosi non potendo dimostrarlı irragionevoli. Alla China i nostri missionari che diffondeodo la religione dei galilei diminuiscono il concorso ai tempii de' falsi idoli, e quindi i proventi de' sacerdoti, vengono da questi dipinti come ribelli ed accusati di congiura coutro lo Stato. Le espressioni odiose sono uo'arma troppo favorevole alla calunnia perchè ella non s'affretti a farne uso. Egli è sempre un vantaggio l'avere pronta una parola di sprezzo per caralterizzare i torti che si riaproverano ai propri avversari. Con una di queste parole si prova tutto, si risponde a tutto, si difende la propria opinione, si distrugge l'altrui. A Pascal, che con tanta sagacità svela nelle sue lettere provinciali la corruzione della morale, e risposto ch'egli era quattordici volte eretico. Gl’uomini saggi si guarderaono sempre dalle espressioni dipartito ed esclu sive, e che traggono seco idee accessorie infinitamente variabili e talvolta cootrarie. Essi dirapoo, a cagione d'esempio, questa legge è conforme all'interesse pubblico, e lo prov r'anno svolgendo la somma de’ beni di cui è seconda, ma non diranno, per es., questa legge è conforme al principio della monarchia o della democrazia, giacchè se vi sono delle persone nelle cui teste queste parole risvegliano idee d'approvazione, ve ne sono altre nelle quali succede tulto l'opposto. Quindi se i due partiti si mettono alle prese, la disputa non finirà che colla stanchezza de’ combattenti, e per cominciare TEORIA DELLA SENSAZIONE   ATTENZIONE E RAZIOCINIO. Combinare od inventare. La ninfa della tignuola d'acqua che si trova ne'nostri fiumi, dice Darwin , e la quale s’involge in cerle casucce di paglia, di sabbia, di gusci,s a ben far si che questa sua abi lazione sia alla ad equilibrarsi coll'acqua ; e perciò quando èsoverchiamente pesante, viaggiunge un bocconcello dipa 'gliao dil egno, equando troppoleggiere, un pezzellodi grossa rena.  il vero esame, converrà rinunciare a queste parole appassionate ed esclusive, per calcolare gli effetti della legge in bene e in male. Osservano gli storici che nel corso della guerra del Peloponneso successe taletrambusto nelle idee e ne' principii, che le parole più usuali cambiarono di senso. Si da il nome di dabbenaggine alla buonafede, di destrezza alla duplicità, di debolezza alla prudenza, di pusillanimità alla moderazione, mentre i tratti d'audacia e di violenza passavano per slaoci d'animo forte e di zelo ardente per la causa pubblica. Una tale confusione del linguaggio è forse uno de’ sintomi più caratteristici della depravazione d'un popolo. In altri tempi si può offendere la virtù. Ciò non ostante se ne riconosce ancora la sua autorità, quando le si assegnano de’ limiti. Ma quando si giunge sido a spogliarla del suo nome, ella perde i suoi diritti al trono, e il vizio se ne impadronisce e vi si asside tranquillamente. Per capire ciò che succede allora in una nazione, basta osservare ciò che succede nelle società de’ viziosi e scellerati. I ladri, gl’aggressori , i monetari falsi, i contrabandieri si formano un linguaggio o uo gergo tutto proprio che confonde tutte le idee di vizio e di virtù. Uniti da sentimenti uniformi, volendo vendicarsi dell'opinione pubblica che li rispioge da sè, si compiacciono ad affrontarla. Quindi nel loro dizionario sono escluse tutte le impressioni del rossore, alterati i sentimenti del giusto e dell'ingiusto, associate idee scherzevoli ad atti criminosi e nefandi. Una vespa, continua lo stesso scrittore, ha colla una mosca grossa quasi com'era ella medesima. Posi le ginocchia a terraper meglio osservare, evidiche ellase paròla coda e la tesla da quella parle del corpo a cui sono annesse le ale. Prese ella quindinelle zampe questa porzione di mosca, e s'alza con essa dal terreno circa due piedi, ma un venticello leggiere scuotendo le ale della mosca, fa capovolgere l'animale nell'aria, ed egli scese ancora colla sua preda a terra. Osservai allora distintamenle che colla bocca le taglia primieramente un'ala, e poi l'altra, e quindi fuggi via non più molestata dal vento. Questi due animale lti,che sanno disporre le cose in modo, ossia ritrovare mezzi tali da oltenere il fine bramalo, ci danno le prime idee dell'arte di combinare o invenlare. Duhamel osserva che il felore delle sale degli spedali cresceva, avvicinandosi al soffitto. Egli immaginò quindi uo ventilatore che facendo comunicare questa parte delle sale con l'aria esteriore, caccia laria guasta. La combinazione di Dubamel oon suppone nella disposizione dei mezzi più cognizioni di quelle della tigauola e della vespa. Ma il fine ottenuto essendo molto vantaggioso all'umanità, la combinazione è più pregevole. Il pregio di questa combinazione cresce, se si riflette ch'ella è applicabile ad altri oggetti, a cagione d'esempio, ai vascelli in mare. lo fatti vi sono delle combinazioni saggissime profondissime, e che suppongono infinita destrezza nell'esecuzione. Ma siccome non arrecano alcun vantaggio, non hanno alcun pregio agl’occhi del saggio. Boverick, meccanico d'uva de, strezza e d’upa perseveranza prodigiosa, fabbrica una catena di duecento anelli che col suo catenaccio e la sua chiave pesava circa un terzo di grano. Questa catena e destinata ad iocatenare una pulce. Egli fa una carrozza che s'apriva e si chiudeva a inolla, era tratta da sei cavalli, porta quattro persone e due lacchè, e condolia da un cocchiere, ai piedi del quale sta assiso un cane, e il lutto venne strascioato da una pulce esercitata a questo travaglio. L'invenzione e l'esecuzione di questa macchina puerile fa desiderare che Boverick impiega meglio i suoi talenti. Grice: “”Si suppongano due selvaggi” – exactly my way of proceeding. Gioia has a lot of sense. An engraving’s caption has it: ‘statistico e filosofo’ – And I like the fact that like Socrates he did ‘elementi di filosofia ad uso de’ giovanetti’!” -- Melchiorre Gioia, Melchiorre Gioja. Gioia. Keywords: filosofia ad uso de’ giovanetti, galateo, pulitezza, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gioia” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giorello: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del libertino – filosofia milanese – scuola di Milano – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano.  Milano, Lombardia. Grice: “I like Giorello: he philosophises on evil and good – the devil wrestles with the angel – but also on Mickey Mouse that he calls ‘topolino’ – “la filosofia del topolino” – and perhaps ore exotically for us Oxonians, on ‘la filosofia di Tex,’ a ‘fiumetto’ of 1948!” –Si laurea a Milano sotto Geymonat). Insegna a Milano. Membro de la Società Italiana di Logica” e de la Societa Italiana di Filosofia della Scienza. Giorello divise i suoi interessi tra lo studio di critica e crescita della conoscenza con particolare riferimento alle discipline fisico-matematiche e l'analisi dei vari modelli di convivenza politica. Dalle sue prime ricerche in filosofia e storia della matematica, i suoi interessi si erano poi ampliati verso le tematiche del cambiamento scientifico e delle relazioni tra scienza, etica e politica. La sua visione politica e di stampo liberal democratico e si ispira, tra gli altri, a Mill.  Si occupa anche di storia della scienza in particolare le dispute novecentesche sul "metodo"e di storia delle matematiche (“Lo spettro e il libertino”). Cura “Sulla libertà” di Mill. Ateo, filosofa in “Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo.” Altre opere: Opere  Filosofia della matematica, Milano, L’nfinito, Milano, UNICOPLI, Lo spettro e il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero, Milano, A. Mondadori,  Le ragioni della scienza, Roma, Laterza,Filosofia della scienza, Milano, Jaca Book, Le stanze della ricerca, Milano, Mazzotta, Europa universitas. sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, La filosofia della scienza, Milano, R.C.S. libri & grandi opere, Quale Dio per la sinistra? Note su democrazia e violenza, Milano, UNICOPLI, La filosofia della scienza, Roma Laterza, “Lo specchio del reame: riflessioni sulla comunicazione: Longo, Epistemologia applicata. Percorsi filosofici, e Milano, CUEM,  I volti del tempo, e Milano, Bompiani, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito, Milano, Cortina,  Di nessuna chiesa. La libertà del laico, Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con Forte, Balsamo, San Paolo, La libertà della vita, Milano, Cortina,  Il decalogo. I dieci comandamenti commentati dai filosofi,, Non nominare il nome di Dio invano, Milano, Albo Versorio, Giulio Giorello relatore al convegno internazionale "Science for Peace", Milano, La scienza tra le nuvole. Da Pippo Newton a Mr Fantastic, Milano, Cortina, Kos. Rivista di medicina, cultura e scienze umane,  4: Dio, Patria e Famiglia, Milano, Editrice San Raffaele, Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, Milano, Bompiani,  Il peso politico della Chiesa, Cinisello Balsamo, San Paolo, Viaggio intorno all'Evoluzione, Mascella, Zikkurat Edizioni & Lab, Harsanyi visto da G., Milano, Luiss University press, Lo scimmione intelligente. Dio, natura e libertà, Milano, Rizzoli, Ricerca e carità. Due voci a confronto su scienza e solidarietà, Milano, Editrice San Raffaele,  Introduzione a Apostolos Doxiadis e Christos H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda,  Lussuria. La passione della conoscenza, Bologna, Il Mulino,. Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi,. Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi,. Premio Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, Parma, Guanda,.  Noi che abbiamo l'animo libero. Quando Amleto incontra Cleopatra, Milano, Longanesi, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   CULTURA Addio a G., filosofo della scienza e difensore della libertà By Vincenzo VillarosaPosted on È morto il filosofo G., per le conseguenze dell’influenza da COVID-19, dopo aver trascorso due mesi di degenza in ospedale ed essere stato dimesso alla metà di maggio. Successore di Geymonat alla cattedra di Milano, il filosofo aveva sposato la compagna Roberta Pelachin. Il Premier Conte lo ha ricordato, in un messaggio sui social, come un filosofo che ha saputo riflettere sui rapporti tra etica, politica e religione.  Nato a Milano G. si laurea in Filosofia seguendo la tradizione antifascista e marxista del maestro GEYMONAT (si veda) e il difficile tentativo di contrastare le divisioni tra pensiero scientifico e umanistico. In seguito, e docente di Meccanica razionale a Pavia e poi a Catania, a quella di Scienze naturali all’Università dell’Insubria e, infine, al Politecnico di Milano. Presidente della Società Italiana di Logica e Filosofia della scienza. I suoi studi spaziavano dalla mitologia all’antropologia e alla psicologia evolutiva fino alla bioetica e alle neuroscienze. Uno tra i più bravi epistemologi italiani, insomma, capace di unire il rigore per gli studi sul metodo della scienza alle riflessioni sull’ambiente sociale e politico nel quale si muove la ricerca scientifica.  Accanto all’attenzione per le discipline fisico-matematiche e all’accrescimento della conoscenza scientifica, G. analizza le modalità complesse e contraddittorie della convivenza sociale e politica. Sulla scia del pensiero di Mill – di cui aveva curato l’edizione italiana dell’opera Sulla libertà, scrive, in particolare, pagine illuminanti sulla natura, i limiti e la possibile difesa della libertà umana.  La sua instancabile attività di saggista e basata su un’approfondita conoscenza della produzione saggistica e del dibattito internazionale intorno al discorso scientifico. La testimonianza di questa ricchezza culturale è rintracciabile nella preziosa direzione editoriale della collana Scienza e idee per Cortina e nella capacità di divulgazione espressa, tra l’altro, nella collaborazione alle pagine culturali del giornale Corriere della Sera.  Tra le opere di saggistica, ricordiamo Filosofia della scienza (Jaca Book) e due contributi di divulgazione scientifica come La filosofia della scienza con Gillies, Laterza, e La matematica della natura con Barone, Mulino.  Nelle opere Di nessuna chiesa. La libertà del laico (Cortina) e Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi), G. parla del valore della laicità in maniera antidogmatica e rispettosa della visione del mondo dei credenti.  La curiosità intellettuale e la personalità liberale del filosofo milanese si espresse anche nell’interesse sul rapporto tra la cultura definita alta e quella popolare presente, ad esempio, nel mondo dei fumetti. Il suo saggio pop su La filosofia di Topolino con  Cozzaglio, Guanda,  ne è una divertente ma non banale rappresentazione.  La perdita di G. toglie alla scena italiana uno dei più attenti conoscitori dell’articolato cammino della filosofia e del sapere scientifico e, allo stesso tempo, un difensore delle libertà individuali e collettive, senza le quali non è possibile alcun accrescimento e consolidamento del patrimonio culturale dell’umanità.  RELATED TOPICS: FILOSOFIA, LETTERATURA, PRIMA-PAGINA, SOCIETÀ Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo. Il settenario. Il vizio della lussuria. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo. Vizio del corpo. Vizio dell anima. I coniugati e la lussuria. Se non riescono a contenersi si sposino, meglio sposarsi che ardere (Cor.). La lussuria come potenza nell Inferno. La lussuria come potere nel Inferno. La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell Inferno. La lussuria come filosofia nel Canto V dell Inferno. La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell Inferno. La lussuria nel Canto V dell Inferno. Non v è dubbio che fra gli insegnamenti che Dante può riservare agli uomini del terzo millennio ci sia anche quello di puntare su un solo profondo amore al centro di tutta un esistenza, persistente anche oltre la soglia della morte, capace di rinnovare la vita di una persona, di orientarla al meglio. Come afferma Emilio Pasquini nel suo libro Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, la lettura della Divina Commedia dantesca si mostra rilevante anche nel terzo millennio. Ovviamente, un opera di qualche secolo fa rischia di non essere più adatta alle generazioni contemporanee. Ogni epoca conosce tendenze critiche differenti per quanto riguarda la Commedia, ogni generazione legge il suo Dante 2, e quindi, come lo pone Renzi, siamo prigionieri anche noi del nostro tempo [Pasquini segnala che, di tutti gli episodi della Commedia, soprattutto quello di Paolo e Francesca risulta molto interessante per i lettori di oggi 4. L amore-passione che forma il nucleo della storia continua a intrigare. Rappresenta una delle idee riguardanti l uomo tra cui Dante, in un modo meraviglioso, stabilisce legami nei suoi versi. Quelle connessioni creano la celebre feconda ricchezza di Dante, la quale fa sì che tanto all epoca (quando si trattava della fede, della relazione tra Creatore e creatura) quanto oggi (ormai importa la nostra coscienza etica) si scoprono delle idee sorprendenti e chiarificatrici nell opera 5. Accanto a questo, la storia dei due lussuriosi illustra pure la persuasione [di Dante] della presenza, nella vita di ognuno, di un gesto decisivo che sanziona la sorte eterna dell uomo. Oggi, asserisce Pasquini, una simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futuro), su un piano totalmente terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un esistenza, le svolte cruciali che imprimono alla vita di un individuo una precisa e irreversibile direzione, decidendo del suo destino in terra [Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, Paravia, Bruno Mondadori;  Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia. Si può aggiungere che, in generale, la ricerca della sapientia mundis del giovane Dante s inserisce perfettamente nella visione contemporanea del mondo, la quale è completamente fissata sull acquisizione di nuove conoscenze e su uno sviluppo personale completo. Parallelamente, si rivela adatto alla società di oggi l avvertimento di Dante adulto che tale ricerca deve essere interrotta quando rischia di condurre non alla magnanimità ma alla folia. D’altronde, Inglese segnala che il carattere realistico del poema, dei suoi personaggi e delle sue scene illustra che Dante utilizza il mondo terreno come una metafora dell oltremondo, l altro mondo è reso sensibile e leggibile con le forme del nostro mondo 8. Anche questo aspetto della Commedia fa sì che i lettori di oggi possono capire abbastanza facilmente il mondo sotterraneo evocato dal poeta. La conoscenza del mondo, inoltre, stabilisce il legame tra il commento di Pasquini e quello del filosofo G., la cui teoria riguardante la lussuria non concorda con la visione cristiana del fenomeno, esposta nel primo capitolo della presente tesi. Ne risulta che la lussuria, dal punto di vista cristiano, si presenta come un fenomeno disprezzabile. Si tratta di una caratteristica umana da combattere e da eliminare. Il filosofo, invece, adotta un punto di vista molto differente nella sua recente monografia Lussuria. La passione della conoscenza 9. Propone un analisi molto originale del vizio, mirata a provocare, nel ventunesimo secolo, una sensazione di liberazione nel lettore della letteratura d ispirazione cristiana sul soggetto. G. considera la lussuria non solo come un peccato, ma anche, e in primo luogo, come una libertà: E per ciò [la lussuria] può costituire il nucleo di una società aperta e libertaria, insofferente di qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti 10. Anche se il concetto centrale della tesi vi è inquadrato in un contesto quotidiano, universale e laico, non viene trascurato il significato cristiano del termine. L autore approfondisce il concetto di lussuria descrivendo come il desiderio lussurioso può manifestarsi in varie forme: parla della lussuria come potere, come filosofia, come inganno Andando al fondo della nozione di lussuria, stabilisce delle relazioni significative tra vari testi, autori e concetti. Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci; G., Lussuria. La passione della conoscenza, il Mulino, Bologna, risvolto della sopraccoperta. Introduzione A mio giudizio la lettura del Canto V dell Inferno dantesco nell ottica proposta da Giorello può offrirmi, e con me a tutti i lettori del capolavoro d’Alighieri, una lettura fresca e interessante di questi versi già ampiamente commentati. Vorrei dimostrare che le sue idee nuove permettono di attualizzare questa parte del testo dantesco anzi, tutta la Commedia- e di agganciarlo alla società del ventunesimo secolo (cf. Pasquini, cf. supra). Tutte le manifestazioni della lussuria contemplate dal filosofo verranno applicate al Canto V, poiché i suoi ragionamenti permettono di gettare nuova luce sul testo dantesco e di presentarlo a una società diventata quasi completamente laica, nella quale la religione cristiana è diventata un vago ricordo di altri tempi, un fenomeno soltanto latente (cf. supra). Anche nel libro di G. L’aspetto religioso della lussuria non è quello più importante, ma è sempre presente in modo velato. Ciò significa che predomina la ricchezza rappresentata dalle varie manifestazioni del concetto denominato lussuria, a scapito della visione cristiana del fenomeno, la quale predica la restrizione di questo vizio. Tutto ciò spiega perché i concetti delimitati da Giorello, in combinazione con commenti da parte di Pasquini, mi faranno da filo conduttore per redigere la presente tesi. L accostamento evidenzierà paralleli e complementi interessanti. Dato che il mio scopo è l elaborazione di una nuova analisi della lussuria nel celebre Canto V prendendo come guide alcuni studiosi contemporanei, l aggiunta di pensieri e di ragionamenti provenienti dal libro Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante di Renzi arricchirà ancora l esposizione, tra l altro la parte nella quale si tratta della colpevolezza o dell innocenza di Paolo e Francesca. Renzi, nel suo libro, vuole reagire sia alla retrocessione di Francesca in generale, sia all interesse privilegiato mostrato dai critici per la tirata lirica di Francesca [L autore specifica che l episodio di Francesca forma, infatti, una metonimia della Commedia, cioè la parte per il tutto: [ ] drammatizza e presenta in exemplo la palinodia di Dante, il suo abbandono degli errori giovanili, del mondo dell amore terreno e della sua poesia (lo Stil novo), per cominciare l ascensione. Riferendosi a Paolo Valesio, afferma però anche che il personaggio di Francesca si rivela tanto intrigante che la palinodia rischia di diventare il suo contrario, una palinodia della 11 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante,  Introduzione palinodia: una nuova esaltazione dell amore terreno 12. Accanto al riferimento a Valesi il testo di Renzi offre ancora molte informazioni sorprendenti riguardanti altri autori e commentatori. Inglese, poi, è il quarto critico principale che sarà evocato. Il suo commento all Inferno mi ha procurato vari elementi chiarificatori, distinguendo, nella Commedia, una struttura e una poesia, per esempio, o puntando sull importanza, nel Canto V, di contrasti forti. Anche lui si mostra un difensore di una dantistica del terzo millennio. La maturità della disciplina ( la quantità [dei studi] è ormai misurabile solo con i mezzi dell elettronica ) non implica però stagnazione, e lo dimostra bene, per quanto riguarda la Commedia, proprio la vitalità del genere commento [In ogni capitolo della presente tesi, una nozione filosofica evidenziata nel libro già citato di Giorello si trova alla base delle idee sviluppate nel capitolo relativo. A quei ragionamenti s intrecciano varie riflessioni dalla parte di Pasquini, Renzi, Inglese e alcuni altri commentatori. Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Come capitolo introduttivo presenterò un resoconto generale del paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo, incluso un attenzione particolare per la storia del vizio della lussuria. Baserò questa visione d insieme sul volume I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo di Casagrande e Vecchio, Einaudi. Il settenario Anzitutto si deve segnalare che il sistema dei vizi capitali non è un invenzione di un individuo. Si tratta piuttosto di una raccolta di idee che si è sviluppata attraverso secoli, continenti e persone diversi; di un enorme enciclopedia nella quale si trova di tutto, un efficace schema classificatorio per parlare del mondo [Un topos, per così dire. Una volta che il paradigma aveva ottenuto la sua forma definitiva, ben circoscritta, ha avuto un successo immenso, tanto presso i chierici quanto presso i laici. Si potrebbe dire che, per quanto riguarda l Occidente, la storia medievale di questi sette vizi inizia con gli scritti di tre ecclesiastici: Pontico, Cassiano e Gregorio. Cassiano, avendo delineato nelle sue opere l insieme delle teorie del suo maestro Pontico sui sette vizi capitali, ha scritto una delle opere più significative per la cultura tanto religiosa quanto laica del Medioevo. Il settenario dei vizi capitali, al quale Cassiano ed Pontico attraverso gli scritti del suo allievo- ha contribuito, ha avuto grande successo. Dante, quindi, ha vissuto in un epoca che accordava molto importanza all idea dei sette vizi capitali. Si deve specificare che tanto Pontico quanto Cassiano distinguono otto vizi capitali, al posto di sette: gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia, vanagloria e superbia (elenco tratto dall opera di Casagrande e Vecchio). Magno, nella sua opera Moralia in Job, ne distingue sette; non menziona più l invidia come vizio capitale. Anche Moralia in Job costituisce un opera di notevole importanza per la cultura medievale: è molto più di un [Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, Torino, Einaudi, Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo commento: esegesi, teologia, etica si mescolano a comporre un disegno di larghissimo respiro [Il paradigma dei vizi capitali porta, naturalmente, l impronta dell ambito nel quale è stato lavorato, cioè l impronta della società monastica non solo quella occidentale. Infatti, Cassiano aveva apportato all Occidente conoscenze orientali egiziane, siriane-, adottate dalla cultura monastica orientale, raccolta nell Egitto. Anche il suo maestro, Pontico, aveva imparato molto sui vizi capitali in quel crogiolo culturale che fu Alessandria d Egitto alla fine del IV secolo 16, e nelle sue riflessioni, idee della filosofia occidentale si sono confuse con questa sapienza proveniente dall Oriente. Di più, le idee rappresentate dai sette vizi capitali risalgono, infatti, alle difficoltà proprie alla vita nel monastero: Per i monaci essi rappresentano gli ostacoli da superare lungo il cammino di perfezione al quale si sono votati, in una continua battaglia contro se stessi e contro quel mondo che si sono lasciati alle spalle 17. Detto questo, si può inquadrare la nascita e lo sviluppo del settenario, almeno per quanto riguarda il Medioevo. In quello che segue tratterò più in dettaglio la storia medievale di uno dei vizi capitali, cioè di quello che costituisce il nucleo centrale della mia tesi: la lussuria. Il vizio della lussuria Origine e delineazione del vizio nel Medioevo Non solo il cristianesimo ha trattato il desiderio sessuale con diffidenza. Già nella cultura pagana, gli individui si sfidavano da persone che riconoscevano apertamente di sentire tali voglie. La religione cristiana si è adeguata molto abilmente a queste preoccupazioni, riunendole in un vizio capitale chiamato lussuria. Denominando così sentimenti vari e irrequieti, la fede calma, crea ordine nel mondo, nella società, nella vita particolare di ogni persona che si riallaccia alla tradizione cristiana. Diventa molto attraente in questo modo. Lo sviluppo di paradigmi simili contribuisce alla popolarità di una concezione di vita, tanto di visioni di tipo religioso come di concezioni pagani. Il paradigma dei VII vizi capitali nel Medioevo Cassiano descrive la lussuria, situandola nell ambito della natura propria agli uomini, come un vizio intrinseco, come un aspetto essenziale della specie umana. Magno monaco e papa-, anzi, pone che essa sarebbe un attività tutto naturale del corpo, che, per di più, sarebbe intento da Dio. Da un punto di vista laico (nel senso di ateistico), si vede apparire, in questo discorso, una concezione molto moderna della sessualità umana. Rimanendo nel contesto cristiano, il papa, sviluppando una tale visione, crea infatti un idea che spiana la via per la lussuria: se forma un desiderio proprio all uomo tanto naturale quanto il bisogno di mangiare e di bere, non si può evocare più niente per intimargli l alt. Ma, a dire il vero, la visione della lussuria divisa in modo più ampio durante i secoli medievali è quella ideata da Agostino. Secondo lui, l elemento chiave che trasforma la sessualità dell uomo in un attività peccaminosa, sarebbe stato il peccato originale. Prima della ribellione di Eva e Adamo contro Dio, i due primi esseri umani sarebbero stati i padroni assoluti dei loro organi sessuali, presenti per rassicurare la procreazione della specie umana. Dopo, invece, come punizione reciproca per la loro disubbidienza a Dio, queste parti dei loro corpi diventano insubordinati, non li possono più controllare. Anzi, sono quegli organi del corpo a poter dominare l anima dell essere umano. Lì si ritrova il primo vero aspetto della pena imposta ad Adamo ed Eva. La seconda è rappresentata da una conseguenza irrimediabile del fatto che si sta parlando dell attività responsabile per la generazione: l uomo trasmette quel peccato di padre in figlio, per l eternità. Per forza, i figli nascono peccatori. Nonostante il fatto che la visione agostiniana della lussuria era molto diffusa durante il Medioevo, si comincia già a rivederla piu tardi. Si osserva infatti un processo di desessualizzazione del peccato originale 18. Implica l accettazione della concupiscenza come una delle conseguenze del peccato originale, non come l effetto principale di questo. Tuttavia, la sessualità non viene tolta dall ambito peccaminoso nel quale era stata introdotta: La natura era ormai inevitabilmente corrotta [ Vizio del corpo Cassiano attribuisce alla lussuria (denominata, in un primo momento, la fornicazione), tutto come alla gola, lo statuto di vizio carnale, un vizio cioè che implica [Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo] necessariamente la partecipazione del corpo. Rivendica non solo la cooperazione degli organi sessuali, ma pure quella di tutti gli organi legati alle esperienze sensoriali: gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca e le mani. La lussuria, infatti, si presenta come il solo vizio capitale che coinvolge ognuno dei cinque sensi. Nel Medioevo, la collaborazione tanto versatile del corpo umano alla fornicazione approda all idea che questo corpo non solo partecipa allo svolgimento del vizio, ma ne subisce anche le conseguenze. Quelle, naturalmente si tratta di conseguenze di atti peccatori-, non appaiono sotto forme agrevoli: terribili mali di testa che i medici non sanno come curare, progressiva perdita delle forze, vita breve e, su tutto, l immonda malattia che attraverso piaghe ripugnanti e maleodoranti consuma lentamente ma inesorabilmente il corpo, la lebbra [Per di più, il debole corpo umano è inestricabilmente connesso con il vizio della fornicazione: senza la presenza di un corpo, non si può manifestare la lussuria. Il vizio rivendica la sussistenza della carne umana per poter apparire. Si tratta quindi di un peccato intrinseco al fisico umano. A dire il vero, la lussuria non tocca a qualsiasi corpo. Si ritrova essenzialmente in fisici maschili. Questo aspetto della fisionomia della fornicazione non deve sorprendere: si parla di un peccato il quale carattere ed essenza sono stati messi a punto negli monasteri abitati da ecclesiastici maschili (fra le altre i padri fondatori del settenario dei vizi: Pontico, Cassiano e Magno). A lungo, le donne non entravano nel discorso sulla fornicazione, tranne come oggetti degli impulsi lussuriosi maschili. Non vengono mai considerate capaci di intervenire come iniziatrici per quanto riguarda questo peccato. La femmina, invece, ritenuta un essere più debole che il maschio, era creduta molto suscettibile delle avance peccatori esibite dal suo corrispondente maschile. Inoltre, l insieme di gioielli, profumi, tenute ecc. (l ornatus, come scrivono Casagrande e Vecchio) che mette l accento sull eleganza femminile si considerava un tutto che serviva essenzialmente a rendere i corpi delle donne ancora più attraenti e, di conseguenza, più sensibili ai suggerimenti lussuriosi dalla parte dei maschi. Peraldo descrive le donne che si vestono e si truccano per andare a ballare tramite una metafora memorabile: [sono [Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo come] un esercito di soldatesse del Diavolo che si prepara a dare battaglia per strappare a Dio l anima degli uomini 23. Quindi, nonostante il fatto che le donne non possono esibirsi come istigatrici del vizio della lussuria, sono consapevoli degli effetti che hanno i loro fisici sui loro complementi, si avvalgono di queste loro qualità, e così, inconsapevolmente, incitano negli uomini gli impulsi che li portarono ad atti lussuriosi. Vizio dell anima Fin qui, la lussuria è stata dipinta come un vizio essenzialmente corporale. A dire il vero, la sua origine non è soltanto carnale, ma si trova nell interiorità più profonda dell anima umana. Proprio i monaci abitanti dell ambito nel quale è cresciuta l idea del vizio capitale abbordata- hanno (tra l altro) riconosciuto che il nucleo della fornicazione sarebbe di natura spirituale. Nel vangelo secondo Matteo si può leggere una frase che non lascia adito ad alcun dubbio: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt. 5, 28) 24. Ma questa idea non implica che il corpo non potesse essere lussurioso. Inserisce piuttosto una fase intermedia nell insieme di fasi propri all azione peccaminosa. In primo luogo nascono le idee lussuriose nell anima dell uomo; in seguito si osserva che, da questi pensieri, sorge una specie di corpo virtuale (questa costituisce quindi la tappa alla quale si riferisce nella sentenza evangelica); infine l atto adultero si svolge per quanto riguarda il corpo reale, di carne e ossa. A proposito della nozione di carne, si dovrebbe ancora specificare la differenza, quanto al peccato della lussuria, tra carne e corpo, vale a dire: quando l anima cessa di pensare, immaginare, ricordare, assecondare, ascoltare, in una parola servire il corpo, il corpo cessa di essere carne, oggetto e strumento di quel desiderio eccessivo e disordinato che ha colpito l uomo dopo il peccato originale, per tornare a essere solo corpo, un aggregato di materia che garantisce la vita dell individuo [Il nuovo testamento, a cura di Giuliano Vigini, revisione di Rinaldo Fabris, Milano, Paoline Editoriale Libri, Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Si potrebbe dire, dunque, che, riguardo alla fornicazione, non ci entra il corpo umano vero e proprio, ma un suo equivalente virtuale, come l hanno formulato Casagrande e Vecchio. In effetti, già nell ottica agostiniana della lussuria è inclusa l idea che gli impulsi concupiscenti corporali, da soli, non costituiscono sensazioni peccaminose. È precisamente la condiscendenza dell anima alle pulsioni carnali che trasforma queste ultime in impulsi peccatori. In seguito, si deve segnalare, in questo capitolo, il punto di vista piuttosto sorprendente di Pietro Abelardo (XII secolo) sul vizio capitale della lussuria, soprattutto per quanto riguarda la relazione tra anima e corpo. Abelardo sosteneva che tanto la concupiscenza quanto l atto sessuale e i compiacimenti che lo accompagnano avevano fatto parte della natura dell uomo a partire dal peccato originale. Affermava che l elemento vizioso stava solamente nella transigenza dell anima umana al corpo (carne, infatti) corrispondente. Con questa teoria, Abelardo sviluppa, a dire il vero, una concezione molto moderna della sessualità umana. Non per niente le sue asserzioni hanno provocato moltissime reazioni alla sua epoca. La notevole importanza dell anima in quest ambito viene confermata dalle conseguenze che ha il vizio della lussuria non solo per il fisico dell uomo ma anche, e specialmente, per la sua anima immortale. La fornicazione corrompe il corpo umano, lo rende impuro e infangato; ma è ancora molto più dannosa all anima: una volta imbrattata da questo peccato, lo spirito dell essere umano, debilitato e confuso, incoerente, è sull orlo della rovina. Si tratta di un vizio talmente onnicomprensivo che abbraccia tutti i livelli e strati dello spirito; si espande in tutti gli angoli della mente. Il danneggiamento dell anima dalla lussuria si rivela incontestabilmente il più grave nell indebolimento della ragione, componente più nobile e preziosa dello spirito umano. Mina il potere della capacità più eccezionale dell uomo, cioè la potenza di dominare tutti i suoi sentimenti, emozioni e impulsi facendo appello alla ragione. In effetti, non solo la chiesa si preoccupava dalla decadenza della ragione sotto l influsso di attività sessuali. Prima della tradizione cristiana, un ampia tradizione pagana aveva cercato di offrire uno sfogo a simili preoccupazioni. In questo modo, ha potuto crescere, fra le altre prima in ambito pagano, poi in contesto cristiano-, l idea che l intelligenza concetto concepito come positivo- dovrebbe essere capace di mettere l uomo nella 16  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo possibilità di controllare gli impulsi carnali concepiti come negativi. Dato che gli ultimi avvicinavano l essere umano dall animale, il contrasto tra questi di una parte, e la nobiltà incontestabile della ragione umana d altra parte, si rivelava grandissimo. Se è vero che tale opposizione si presentava palesemente in contesto scientifico, per dirlo così intellettuale, filosofico ecc.-, la sua importanza per la vita quotidiana dell uomo medio è inequivocabile, visto la funzione [della ragione] di garantire la misura, la compostezza, l equilibrio nella vita di ciascun individuo. Trasposto in ambito letterario, il dualismo fra la ragione e gli stimoli carnali, e, più in particolare, la follia nella quale può sfociare la vittoria riportata dalla carne alla ragione, s impadronisce dei protagonisti dei romanzi cortesi. Il fenomeno rappresenta il culmine assoluto dell incostanza confusa che può essere provocata in varie misure dalla lussuria. I coniugati e la lussuria. Se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere (Cor.) Tra tutte le persone che non scelgono la castità come cura della lussuria, i coniugati formano un gruppo speciale. Il matrimonio, in effetti, non elimina la lussuria, ma nella misura in cui vieta tutti i rapporti extraconiugali e limita quelli coniugali [a quelli che servono alla procreazione e quelli che sono necessari per soddisfare le sensazioni concupiscenti dei coniughi ed evitare, in questo modo, che commettono il peccato della fornicazione], la contiene e la riduce 28. La storia del concetto di matrimonio, per quanto riguarda il vizio della lussuria, si rivela alquanto complicata. In primo luogo si deve segnalare che la ragione per la quale certi cristiani propendevano per la castità e non per il matrimonio consisteva nel fatto che il matrimonio limitava solamente la lussuria; non poteva escluderla. Ma, allo stesso tempo, questo fatto veniva anche rivendicato dai credenti che volevano proteggersi dalla lussuria: il matrimonio, dopo tutto, delimitava la portata del vizio. Poi, Agostino aggiunge che considera l unione coniugale un bene, certamente inferiore a quello della castità, ma comunque un bene, e questo non solo per la procreazione dei figli. Il nuovo testamento, Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo. Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo ma anche per la società naturale che l unione tra i due sessi comporta. Di più, pone che Dio avrebbe previsto l unione carnale tra gli uomini e i loro complementi femminili prima del peccato originale, visto che entrambi i sessi erano già dotati di organi sessuali chiaramente visibili e differenti prima che Eva ed Adamo disubbidivano a Dio. Il peccato non sta dunque nel coito [...] ma nell uso che gli uomini ne fanno. Queste idee agostiniane sono state molto diffuse durante tutto il Medioevo. Finalmente, si deve ancora segnalare che il legame stabilito tra il vizio della lussuria e il matrimonio fa sì che il peccato si estende dall essere umano individuale alla comunità intera. Può corrompere tutta una società; non si tratta più di un vizio dannoso alla vita e all anima di una singola persona, a tal punto che minaccia tutta la specie umana. Da questo punto di vista, il peccato occupa una posizione particolare, anzi unica nel settenario dei vizi capitali. La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Nella sua esposizione sulla lussuria come potenza (o impotenza) Giorello asserisce che la lussuria è mescolanza di tutte le cose del mondo, rotture d ordine, spezzatura. Nel caso di Paolo e Francesca, di certo, la lussuria è stata responsabile di una rottura dell ordine quotidiano, anzi, dell ordine del mondo come i due innamorati lo conoscevano. La spezzatura della loro realtà viene causata direttamente dalla potenza (cioè, dalla potenza nel senso filosofico della parola: potenza come volontà) che costituisce una parte essenziale del desiderio lussurioso che sperimentano. Dal momento in cui cedono alla loro volontà lussuriosa, Francesca, consapevolmente, abbandona suo marito, pone fine al suo matrimonio. Caìn attende chi a vita ci spense; il nome di Gianciotto è taciuto per disprezzo, non certo per femminile riserbo Neanche Paolo può più tornare indietro; la relazione tra lui e suo fratello è irrimediabilmente danneggiata. Il bacio dei due lussuriosi segna un passaggio chiave nella loro storia lussuriosa. Dopo una fase di dubbi e di disperazione, è arrivato il momento in cui decidono di rinunciare a tutto quello che è familiare, e di perdersi in un avventura della quale sanno che gli porterà sia la felicità assoluta sia la perdizione. La tragica combinazione di tenerezza e di rovina è illustrata dal v. 106 Amor condusse noi ad una morte: la prima e l ultima parola del verso si rispondono fonicamente AMOR condusse noi ad una MORte. Inglese chiarisce che, in questo modo, il verso s iscrive nella lunga tradizione di una diffusa paretimologia (Federigo dall Ambra, son. Amor che tutte cose: Amor da savi quasi A! mor si spone. Per di più, la parola morte, nel Canto V dell Inferno, conclude la serie di proposizioni principali il cui soggetto è Amore. In questo senso, la lussuria si presenta come una mescolanza di tutte le cose del mondo: ogni diritto ha il suo rovescio. Di rado, la realtà nella quale vivono gli esseri umani offre una gioia senza che, contemporaneamente, appaia anche qualcosa che tempera questo sentimento. È un dato che si manifesta in modo particolarmente chiaro in situazioni G. Lussuria. La passione della conoscenza, Alighieri, Commedia. Inferno, revisione del testo e commento di Inglese, Roma, Carocci Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Alighieri, Roma, Carocci, Alighieri, Commedia. Inferno, Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Alighieri, La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno lussuriose. Paolo e Francesca propendono non solo per la felicità (lussuriosa) ma anche per l aspetto penoso che essa implica. Da quanto appena enunciato risulta che la dimensione della lussuria identificata come la volontà forma una caratteristica fondamentale del fenomeno. Se manca una forte volontà, non si può parlare di lussuria. È appunto dalla volontà umana che procede il desiderio di qualcosa. Dal testo di Giorello emerge che il desiderio an sich deve, infatti, considerarsi come essenzialmente lussurioso. Nel caso di Paolo e Francesca, si tratta del desiderio dell altro. Dante presta molta attenzione all espressione di tale potenza. È probabilmente una delle più belle manifestazioni dello spirito umano: unica, forte, ma anche tragica. Forse la bellezza risiede, appunto, nella tragicità. Quello che un essere umano può realizzare grazie alla volontà commuove solo quando si mescola con altre caratteristiche come, in questo caso, il tragico. Il desiderio umano, giudicato lussurioso per definizione, è presente nel Canto V non solo nella decisione presa da Paolo e Francesca. Ci troviamo nella prima parte dell Inferno, cioè all inizio del viaggio sotterraneo di Dante personaggio. E siccome Dante parla, infatti, di ognuno di noi, ci troviamo all inizio del viaggio che ogni peccatore potrebbe desiderare, un giorno. Anche lui sperimenta un forte desiderio. Si trova sulla via della perdizione, e vuole ritrovare la retta via. Vuole andare verso la luce divina, è in cerca di una direzione nella sua vita. Questa aspirazione predomina su tutto il suo essere, come il desiderio di Francesca domina su Paolo e vice versa. Inoltre, Giorello pone che la laicizzazione è la lussuria dell emancipazione dalla soggezione alla natura e/o alla divinità emancipazione che costituisce la premessa di una società politica matura. Secondo me, l autore suggerisce che l assunto che la laicizzazione sia un processo lussurioso sarebbe ovviamente consono alla visione cristiana della lussuria che la considera un vizio capitale. Classificare la laicizzazione tra le varie forme in cui può manifestarsi la lussuria le conferirebbe lo statuto di un azione peccaminosa. L idea principale che vuol esprimere il filosofo in questa frase, però, è che il desiderio umano di venir liberati dall assoggettamento a un potere superiore si rivela lussurioso, poiché si tratta di un desiderio. Dante personaggio, tuttavia, desidera di esser assorbito completamente dalla luce divina del Dio cristiano. E aspira alla stessa sorte per tutti i suoi contemporanei. L opposizione G., Lussuria. La passione della conoscenza. La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno tra la volontà evocata da Giorello e quella di Dante personaggio illustra il punto di vista del filosofo sulla lussuria. Che il carattere di un fenomeno sia o non sia lussurioso non dipende dalla sua religiosità o laicità. Uno degli aspetti essenziali della lussuria è la forza immensa della potenza umana che fa sì che la lussuria può esistere. Oltre a ciò, l autore menziona che la lussuria istituisce il nesso tra conoscenza e oblio 37. L aspetto della lussuria che è analizzato e commentato in questo capitolo, la potenza, costituisce la forza che spinge un essere umano ad avere curiosità e a cercare risposte alle proprie domande. In questo senso, forma, infatti, l anello che lega l ignoranza e la conoscenza. Dante personaggio vuole conoscere il mondo sotterraneo, e desidera sapere se e come si può salvare. Dalla sua curiosità, quindi dalla sua volontà, sorgerà la comprensione dei fenomeni che vuole capire. Si può pure trasformare la conoscenza in oblio per il tramite della lussuria. Una volta che la conoscenza è ottenuta, è possibile che essa provochi l oblio di altri fatti conosciuti nell essere umano che la ottiene, com è illustrato dall epopea mesopotamica la Saga di Gilgames alla quale si riferisce Giorello. Nel Canto V, tuttavia, si osserva il contrario. Quello che era conosciuto nel passato non è dimenticato, come pone appunto Francesca dopo che Dante le ha chiesto di raccontare come lei e Paolo si sono rivelati i sentimenti amorosi reciproci: E quella a me: Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/nella miseria: e ciò sa l tuo dottore. Chiaramente, i due lussuriosi si ricordano benissimo quello che sapevano prima del momento in cui la loro volontà di conoscere li ha messi sulla via della perdizione, cioè, prima del momento in cui si baciavano e s appropriavano la conoscenza dell altro. Anzi, in questo passo, Dante autore utilizza letteralmente il verbo conoscere: Ma, s a conoscer la prima radice/del nostro amor tu hai cotanto affetto/dirò come colui che piange e dice. Ciò illustra l importanza ardente del significato del termine. Per di più, Giorello pone che la potenza della dea [Venere] è quotidiana [ ], non solo eccezionale. Si potrebbe sostenere, quindi, che la caratteristica della lussuria rappresentata da questa volontà incredibilmente potente non si manifesta unicamente in situazioni o momenti eccezionali. Costituisce una forza sempre presente nell essere Alighieri, Commedia. Inferno. G. Lussuria. La passione della conoscenza. La lussuria come potenza nell’Inferno umano, gli appartiene. Non sarebbe capace di liberarsi da essa, se lo volesse. Questo, però, gli è connaturale: si tratta di una parte dello spirito umano troppo essenziale. Senza di essa non sarebbe più un uomo. Per di più, rappresenta un impulso troppo gradevole. All uomo piace infinitamente provare una tale energia dentro di se. Gli dà l idea che potrebbe, infatti, realizzare il progetto che ha in mente, che potrebbe trovare la risposta alla sua domanda. Gli dà il coraggio necessario per dare ascolto ai sentimenti che lo sopraffanno e per arrischiarsi in una ricerca o una situazione che possibilmente finirà male. È questo il momento in cui la volontà lussuriosa, quotidiana, alleggiando, diventa eccezionale. Questo momento speciale si osserva pure nella storia di Paolo e Francesca. Dopo un lungo tempo di voler esser insieme (da solo), arriva quel punto in cui il desiderio di Paolo di sapere come sarebbe di trovarsi nelle braccia della donna amata, diventa troppo forte. La bacia. Un momento riempito in modo molto eccezionale di volontà lussuriosa. Giorello menziona anche che la dea Venere (e quindi la lussuria) può rivelarsi maestra di inganno 40. Certo, nel Canto V, si osservano delle azioni ingannevoli: Francesca tradisce suo marito, Paolo suo fratello. All aspetto ingannevole della lussuria, però, sarà dedicato un altro capitolo della presente tesi. Ciò che colpisce nelle pagine sulla lussuria come potenza in Lussuria. Passione della conoscenza, e che potrebbe dar luogo a una riflessione interessante, è un idea che deduce da un testo di Agostino, Città di Dio. Secondo G. si può capire da quest opera che, secondo Agostino, la fiacchezza della nostra volontà (contrapposta alla forza di quella divina) sia ben peggio di qualsiasi fisica impotentia coeundi 41 perché nell ordine naturale l anima è anteposta al corpo. Agostino descrive la lotta della passione il corpo e della volontà l’anima parlando della lussuria, affermando che esiste almeno l imperfezione della passione nei confronti della pienezza della volontà. Ciò pone l accento sul valore più grande della forza mentale che è la volontà dell uomo a paragone del suo corpo fisico. Rileva la preziosità e la versatilità della potenza, la quale è valutata non solo dai fedeli cristiani ma anche da laici. Si potrebbe sostenere, quindi, che si tratta di un punto di vista comune e, di conseguenza, unificatore. L unione d idee Agostino, Città di Dio, Introduzione, traduzione, note e apparati di Luigi Alici, Milano, Bompiani, La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno cristiane e laiche (nel senso di provenienti dagli antichi) si ritrova, appunto, nella Commedia dantesca. A mio giudizio questa fusione è una delle caratteristiche più meravigliose dell opera. Si rivela in modo splendido nel passo su Paolo e Francesca. La ricchezza del Canto V proviene, tra l altro, dall enumerazione dei nomi di Semiramide, Cleopatra, Tristano, e di tutti gli altri personaggi lussuriosi della mitologia classica menzionati dalla guida di Dante, Virgilio. Inglese spiega che sono donne antiche e cavalieri: insomma, l intero mondo del romanzo epico-amoroso, che aveva, di fatto, connesso in un ciclo unico Troianorum Romanorumque gesta et Arturi regis ambages [ avventure ] pulcerrime (Dve I x 2)  La loro apparizione conferisce un atmosfera unica all Inferno cristiano. Evocano la grandezza delle storie antiche di alcune coppie famosissime. Risulta dai versi quanto sono care a Dante, tutto come la sua fede. Il ricordo della disperazione, dell amore e della perdizione caratteristico di queste storie si mescola, nel Canto V, ai sentimenti simili di Paolo, Francesca e Dante. Per quanto riguarda quella relazione emotiva triangolare tra Dante, Paolo e Francesca, si può segnalare che la sua forza emozionale è ancora aumentata dal fatto che, per Francesca, la visita del pellegrino forma un opportunità unica per confessarsi (dal punto di vista dei colpevolisti di Renzi) o per comunicare e quindi rendere immortale la sua tragica storia d amore (secondo la visione dei giustificazionisti di Renzi, cf. infra). Inglese afferma che gli incontri fra il P. [Dante personaggio] e i dannati si presentano come un momento affatto eccezionale nello svolgersi (che non ha però vero svolgimento) della pena di questi ultimi [ ]: per un motivo superiore ossia, per l edificazione del P. e poi dei viventi che leggeranno il resoconto del viaggio la Provvidenza suscita in alcuni dannati un estremo atto di personalità (v. 84) [ vegnon per l aere, dal voler portate 44 ]. Sul piano poetico, ciò si traduce in una forte drammatizzazione degli episodi: Francesca, per esempio, non avrà mai un altra occasione di confessarsi, di dare forma verbale al proprio tormento. Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno d’Alighieri, Alighieri, Commedia. Inferno. Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno d’Alighieri, La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Da quello che precede, risulta che un estremo atto di personalità implica una volontà potente, dato che la volontà costituisce una parte essenziale dell essere umano. Si potrebbe dire che, con l ultima frase, Inglese si presenta come un colpevolista, poiché dare forma verbale al proprio tormento può significare dare forma verbale al suo peccato e al modo in cui lo strazio della punizione infernale la tortura. La seconda parte della frase di Inglese, però, potrebbe anche essere interpretata come dare forma verbale al modo in cui entrambi il ricordo del tempo d i dolci sospiri 46 e quello della fine tragica della sua storia d amore la tormentano. Allora, per quanto riguarda Francesca, Inglese si presenterebbe non solo come un colpevolista, ma anche come un giustificazionista. Ritornando alle donne antiche e cavalieri, Renzi asserisce quanto segue: Se ci sarà ancora una critica letteraria dedita a leggere con attenzione i testi, qualcuno noterà, per esempio, che la pietà di Dante per Francesca, primo segno della sua partecipazione emotiva alla storia di Francesca, seguita poi dallo svenimento, era già cominciata al v. 72 e si riferiva alle donne antiche e cavalieri, dunque a tutti quei fantasmi letterari che prima sono definiti peccator carnali. Dunque Dante non solidarizza solo con Francesca. 47 Mentre Virgilio annovera nome dopo nome, Dante personaggio sente come, nel suo cuore, cresce la compassione. Ascoltando la sua guida, diventa sempre più commosso, triste e silenzioso per tutto quell amore disperato, perso. Anche lui ha amato e perso la persona amata. Pasquini pone che non si ha soltanto il dramma cruento dei due giovani amanti riminesi; c è anche il dramma interiore di Dante che si sente personalmente coinvolto in quella tragedia 48. Questo dramma interiore che sperimenta il pellegrino di fronte alla tragedia romagnola si spiega, secondo Pasquini, dall atto d accusa di Beatrice nel Purgatorio. Qualcosa di Francesca ritorna in Dante e nel suo personale traviamento, sotto la spinta del rigoroso atto d accusa cui lo sottopone Beatrice; il che spiega con chiarezza, quasi completandolo, il suo turbamento che non è solo pietà di fronte alla tragedia romagnola. Alighieri, Commedia. Inferno. Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante. Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cIbidem. La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Secondo Ginguené, autore di Histoire littéraire d Italie, non è stato il Dante filosofo e teologo che si rivela in altri passi della Commedia che ha scritto l episodio di Paolo e Francesca, ma è stato il Dante innamorato di Beatrice. In questo senso, il Canto V parla da ENEA – VIRGILIO (si veda) e Didone, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, e pure d’ALIGHIERI (si veda) stesso. Di conseguenza, tratta anche di ognuno di noi, poiché il passaggio di Dante personaggio attraverso l inferno, il purgatorio e il paradiso celeste rappresenta il viaggio simbolico di ogni peccatore che desidera ritrovare la retta via. Ginguené, per di più, non evidenzia la pietà di Dante, ma nota che la pena in fondo, se non è mite, è la più piccola fra tutte quelle previste dal poeta 51. Renzi spiega come questo non sembra una grande osservazione, ma la riprenderanno, in genere senza conoscersi l uno con l altro, molti critici, da FOSCOLO (si veda) [Discorso sul testo della Commedia] a Barolini [Dante and CAVALCANTI (si veda) (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context. E ci aggiunge: Nardi [Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri 54 ], che era l unico che di queste cose se ne intendeva davvero, ha notato che, tra i peccatori nella carne, ALIGHIERI ha punito i golosi più gravemente dei lussuriosi, invertendo l ordine d’AQUINO (si veda) Forma un argomento che sostiene la tesi di Ginguené secondo la quale l unico vero autore dell episodio di Francesca sarebbe stato il Dante amante di Beatrice, e certamente non il Dante teologo. Anche per Francesco De Sanctis (in Francesca da Rimini 56 ) e per Croce (La poesia d’ALIGHIERI), segnala Renzi, Dante, come teologo e come cristiano, disapprova i peccati dei lussuriosi. Inglese definisce la pietà di Dante ( pietà mi giunse e fu quasi 50 Pierre-Louis Ginguené, Histoire littéraire d Italie, citato da Lorenzo Renzi in Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, Ibidem, Foscolo, Discorso sul testo della Commedia, in Id., Studi su Dante, a cura di Giovanni Da Pozzo, Firenze, Le Monnier,Barolini, Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context, in Dante studies.  Nardi, Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri, in Id., Dante e la cultura medievale, Bari, Laterza, il passo che interessa con i riferimenti ad AQUINO (si veda). Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., Sanctis, Francesca da Rimini, in Id., Lezioni e saggi su ALIGHIERI (si veda), a cura di Romagnoli, Torino, Einaudi, Croce, La poesia di Dante, Bari, Laterza. La lussuria come potenza nell’Inferno smarrito 58 ) un profondo turbamento in cui sono fusi l orrore per il peccato e il dolore per l umanità peccatrice giustamente punita 59. Per Sanctis e per Croce, da un punto di vista emozionale, invece, Dante non condanna i lussuriosi. Croce sottolinea pure il potere estasiante che ha avuto il libro narrando la storia di Lancillotto e Ginevra sui due peccatori. Asserisce però che Dante, al contrario di altri poeti, riesce a rompere e a superare l incantesimo dolce dell amore. Così, afferma Renzi, il critico italiano è riuscito a ottenere un momento di sovrano equilibrio nella storia della critica della Commedia, e in particolare dello scontro tra colpevolisti [quelli che considerano Francesca una peccatrice integralmente responsabile delle vicende] e giustificazionisti [quelli che si fanno paladino della donna D altronde, per quanto riguarda la colpevolezza o l innocenza di Francesca, Inglese segnala che la donna, affermando che Amor, ch al cor gentil ratto s apprende, da un punto di vista psicologico si rivela sincera, ma che, nella prospettiva etica del poema, è]obiettivamente falsa poiché Amore è sempre soggetto delle azioni determinanti [ prese costui della bella persona/che mi fu tolta: e l modo ancor m offende./amor, ch a nullo amato amar perdona/mi prese del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor non m abandona./amor condusse noi ad una morte. Da quest’angolatura, infatti, tutte le due ipotesi (tanto quello della colpevolezza quanto quello dell innocenza di Francesca) rientrano nelle possibilità. Si può considerare Amore come il vero colpevole, o giudicare che la donna si è arresa a lui, caso in cui lei si rivela responsabile per le vicende. Secondo Inglese, l aggettivo leggieri che si trova nel v. 75 e paion sì al vento esser leggieri 63 farebbe parte di un idea esclusivamente poetica (e quindi non strutturale) che vuole dimostrare, al lettore, il peso carnale del peccato d amore. Tutto come questo formerebbe un suggerimento puramente poetico, Francesca, nella poesia, vive come anima tormentata dalla passione d amore, mentre dalla struttura è dannata per adulterio incestuoso. Quindi, quello che De Sanctis e Croce attribuiscono a Dante teologo e 58 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di ALIGHIERI, Alighieri, Commedia. Inferno, Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno diAlighieri, Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87. 64 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri. La storia di G.  In Articoli di Ciardi Dopo la scomparsa di G., ho letto molti ricordi a lui dedicati. Uno dei migliori è senz’altro quello di Vincenzo Barone, che compare nelle pagine di questo numero di Query . Ringrazio sentitamente Enzo per avere accettato di scriverlo.   image Io vorrei contribuire alla memoria del nostro grande studioso (e amico) sottolineando soltanto uno tra i molti suoi meriti. Giulio era anche un ottimo storico della scienza e delle idee.   Tale merito gli è stato riconosciuto da uno dei maestri del Novecento in questo settore, Paolo Rossi Monti (il cui nome ricorre spesso in questa rubrica e al quale è stato dedicato il primo numero di “Parastoria”, su Query. Recensendo uno dei tanti bellissimi saggi di G., Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del Mito Rossi scrive. G. è allievo di Geymonat. Insegna e si è prevalentemente occupato di filosofia della scienza. Attualmente è anche Presidente della Società Italiana di logica e filosofia delle scienze. Come il suo libro dimostra, non solo utilizza una grandissima quantità e varietà di testi, ma anche conosce come pochi (e minutamente la storia e i luoghi dell’Inghilterra e, più ancora, dell’Irlanda. Giorello è del tutto consapevole del fatto che il suo libro è una sorta di labirinto. Dentro quel labirinto (che ha una struttura geometrica) egli conduce a volte trascina il lettore. Le avventure di idee hanno la strana (per alcuni insopportabile) caratteristica di essere un po’ avventurose: di portare molto lontano dall’idea che la filosofia abbia il compito di mettere ordine nel mondo, di trasformarlo (come diceva il mio maestro BANFI (si veda)) in una linda casetta. Una parte consistente della filosofia italiana sembra impegnata a confrontare accuratamente fra loro i testi di cinque o sei rispettabili filosofi di lingua inglese, a commentarli, a commentare i risultati del confronto, a polemizzare con gli altri commentatori tentando, nel più dei casi, arzigogolate mediazioni fra tesi contrapposte. Di una cosa non mi pare lecito dubitare: G. non fa parte della vasta, soporifera e innocua schiera degli oscuri e instancabili “roditori accademici.  L’espressione “roditori accademici” era un rimando a quanto scritto sul tema da Paul K. Feyerabend, un pensatore con cui Rossi ha spesso polemizzato, ma per il quale nutriva profonda stima.[3] E che anche G., non a caso, come ha ricordato Barone, ben conosceva. Sua la prefazione all’edizione italiana di Against method. Outline of an anarchistic theory of knowledge, pubblicato da Feltrinelli. Rossi citava spesso, con orgoglio, che il suo libro che compendiava decenni di ricerche sui rapporti tra scienza e magia, Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità, fosse uscito nella collana “Scienza e idee” diretta da G, per Cortina. Perché sapeva quanto G. avesse chiaro cosa significasse fare storia della scienza, come ricorda nell’analisi del saggio di Bellone, Molte nature. Saggio sull’evoluzione culturale. La parola chiave del processo storico – come nota G. nella brillante prefazione che ha scritto per questo libro – è imprevedibilità. Accade infatti spesso nel presente (ed è accaduto spesso nel passato) che gli scienziati siano stati costretti a “vedere” cose diverse da quelle che avrebbero invece dovuto scorgere sulla base delle proprie credenze personali. Come ci ha ricordato Barone, G. si laurea sia in filosofia che in matematica. Per questo motivo, come aveva presente Rossi, G, non ha mai pensato che il semplice fatto di essere scienziati equivalga, per coloro che svolgono tale professione, ad una autorizzazione «a parlare di testi che non hanno letto, a prendere posizioni su questioni che non conoscono, ad esprimere opinioni su problemi che non hanno mai avvicinato. Del resto, già oltre un secolo fa il matematico Paul Tannery, uno dei padri fondatori della storia della scienza come disciplina specifica, afferma che «per essere un buono storico non basta essere scienziato. Bisogna prima di tutto volersi dedicare alla storia, cioè averne il gusto; bisogna sviluppare in sé il senso storico che è essenzialmente differente da quello scientifico; bisogna infine acquisire una serie di conoscenze particolari, di ausilio indispensabile per lo storico, che sono invece del tutto inutili allo scienziato che si interessa solo al progresso della scienza. Anche per questo, G. era un fautore delle collaborazioni. Come quella tra le innumervoli con Sindoni, che ha portato alla realizzazione dell’affascinante Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell’Universo, dove G., nella parte storica di sua competenza, mostra (anche in questo caso) una conoscenza approfondita e raffinata degli argomenti trattati. Mostrando, ad esempio, in nome di quella “imprevedibilità” alla quale si accennava poco fa, come il “romanziere” Jules Verne avesse, sul tema dell'abitabilità dei mondi, idee molto più chiare e precise dello scienziato Flammarion. Del rapporto tra le due culture G. ha sempre preso il meglio (non dimentichiamo che il celebre testo di Snow sull’argomento fu introdotto in Italia dalla prefazione di Geymonat). Ed era consapevole del ruolo decisivo della scuola nello sviluppare un processo di apprendimento diverso rispetto a quello tradizionale. C’è soprattutto da vincere la scommessa circa “l’avvenire delle nostre scuole”, come direbbe Nietzsche. Chi guarda attentamente alle grandi svolte del pensiero scientifico e alla stessa innovazione tecnologica non può non constatare come gli aspetti più creativi abbiano travolto qualsiasi steccato disciplinare. Valeva ieri per le dottrine di Copernico o per quelle di Darwin, vale oggi per le frontiere della cosmologia o per quelle della biologia, per non dire dell’informatica e dell’alta tecnologia. Potremmo dilungarci su non pochi esempi di virtuose contaminazioni nelle scienze come nelle lettere. Ma ci limitiamo qui a ricordare che la separazione delle culture è l’effetto più deplorevole dell’atteggiamento che concepisce le acquisizioni dell’avventura umana come entità fisse, sospese nel cielo platonico delle idee. Perciò G. (sempre utilizzando le parole di Rossi) provava «una invincibile ripugnanza» per «gli elenchi di scoperte e di ritrovamenti tecnici, per le sfilate di risultati eternamente veri e di errori eternamente falsi. Ancora G. Cosa c’è di meglio per qualsiasi creazione dello spirito umano che venire utilizzata, contestata, magari stravolta in un dibattito (come è appunto quello scientifico), in cui in linea di principio nessuna opinione è immune da critica o revisione? L’ospitalità che la scienza offre a qualsiasi “straniero” (ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo tipo. Non c’è miglior rispetto che quello che prende forma nelle modalità del conflitto. Grazie di tutto, Rossi. A mio non modesto parere. Le recensioni sul “Sole-24 ore”, a cura di Bondì e Monti. Bologna: Mulino, Feyerabend, La scienza in una società libera. Feltrinelli: Milano, Rossi. Feyerabend: un ricordo e una riflessione, in Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia.Bologna: Mulino, Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza; Prefazione di G., Milano: Feltrinelli; Cfr. ad esempio, Rossi; A mio non modesto parere, Rossi; Ci sono molti Galilei?in Un altro presente; Tannery. De l'histoire générale des sciences, in “Revue de Synthèse”) G.  Flammarion, lo “scienziato”, sconfitto da Verne, il romanziere, in Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell'Universo. Milano: Raffaello Cortina, G.  Per una Repubblica delle Scienze e delle Lettere, in Le due culture, a cura di A. Lanni. Venezia: Marsilio, Rossi. Considerazioni conclusive, in Atti del Convegno sui problemi metodologici di storia della scienza. Firenze: Barbera. G. Per una Repubblica delle Scienze e delle Lettere. Grice: “The etymology of libertine ruins it! – or ruins the concept. A slave liberated, being of a low class condition, would be criticized for his excesses of freedom!” Giulio Giorello. Giorello. Keywords: il libertino, implicatura speculativa – specchio e il reame: la communicazione -- “il fantasma e il desiderio” “lo spettro e il libertino” “lo specchio del reame” – “il libertino” “lo scimmione intelligente” lo specchio di Narciso, Bruno, Leopardi-- -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorello” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Giorgi: la ragione conversazionale al limite -- l’implicatura conversazionale di Bacco – filosofia cavallinese – scuola di Cavallino -- filosofia leccese – filosofia pugliese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Cavallino). Filosofo cavallinese. Filosofo leccese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Cavallino, Lecce, Puglia. Si laurea a Perugia con Givone con “L’estetico” --. studia con Seppilli e Arcangeli Studia etnomusicologia della “Grecìa salentina”, rivalutando i brani in "grico". Altre opere: “Pizzica e rinascita”, La Gazzetta del Mezzogiorno”. Cura “La danza delle spade e la tarantella. Insegna a Lecce. “Le strade che portano al Subasio passando dal Salento” (Ed. Del Grifo, Lecce), “Tarantismo e rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della tarantella” (Lecce, Argo); “La danza delle spade e la tarantella: saggio musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina” (Argo, Lecce). “Pizzica-Pizzica, la musica della rinascita. La tarantella del tarantismo e la sua resurrezione: struttura musicale, stato dell'arte e neotarantismo” (Lecce, Pensa MultiMedia); “L'estetica della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina); “Pizzica e tarantismo: la carne del mito dall'etnomusicologia all'estetica musicale, Galatina, Edit Santoro); “Il tarantismo come mito: dagli errori di De Martino alla rivalutazione del pensiero mitico, Galatina, Congedo); “Il mito del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della rinascita, Galatina, Congedo); “I poeti del vino, Galatina, Congedo); “La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico, Galatina, Congedo, “La rinascita della pizzica, Galatina, Congedo);  Husserl e la Krisis, 3ª in “Segni e comprensione”, Milano); Il francescanesimo tra idealità e storicità,  in “Segni e comprensione”, Porzincula (S.Maria degli Angeli); “Il canto popolare salentino, in Convegno Di Studi Demologici Salentini, Copertino. F. Noviello e D. Severino, Capone, Cavallino Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo secondo Schneider: nuove prospettive di ricerca, in, Quarant'anni dopo De Martino: il tarantismo, Atti del Convegno, Galatina, La iatromusica carne del mito: la pizzica pizzica tra etnomusicologia ed estetica musicale, in, Mito e tarantismo Pellegrino, Pensa MultiMedia, Lecce, La pizzica pizzica immensa risorsa culturale del Sud, in, Terra salentina: i Sud e le loro arti, materiali del Convegno di Arnesano, La Stamperia, Leverano, Pierpaolo De Giorgi, “Il ritorno di Dioniso” a proposito di un libro diPellegrino, in “Segni e comprensione”, Fra aborigeni e tarantismo, in, Settimana di promozione culturale pugliese C. Minichiello, Pensa MultiMedia, Lecce, Le tradizioni popolari nei disegni di Severino, greco, Copertino, Diario di bordo, in, La czarda e il vento: antologia di autori salentini, Conte, Congedo G.i, Poesia sintetica, in, Il cuore di Amleto: testi, grafiche e fotografie di autori contemporanei salentini e ungheresi, nota introduttiva di G. Conte, traduzioni di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém, Pierpaolo De Giorgi, I fogli, in “L'Immaginazione”; Chiedendo e schiodando, La vita amico è l'arte dell'incontro e Maestà delle volte, in Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina, In marcia di pace verso Assisi e Trilogia del molto e ben comunicare, in  Omaggio a Maglie cuore del Salento, Torgraf, Galatina, Fantastica pizzica, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia con musica e danza, Gallipoli, Conte, Lecce, Gheriglio in disegno e preghiera, in, Salentopoesia,  festival nazionale di poesia con musica e danza, Lecce, Conte, Lecce,  Isola nel Trasimeno, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia con musica e danza, Monteroni, Conte, Lecce, G. S'è cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da Leggere, in Luigi Marzo: mostra di pittura, Spello, catalogo, Spello, Lascio un cielo di luce cinica, in Sulle ali di Pegaso senza mai cadere. Marzo: mostra di pittura, Città della Pieve, Tipografia Pievese, Città della Pieve 1998. Discografia Album Fantastica Pizzica (MC Discoexpress) Pizzica e Trance (MC Discoexpress) Pizzica e Rinascita (CDSorriso) Il tempo della taranta: pizzica d'autore (CDDrim) Pizzica grica: to paleo cerò (CDPlanet Music Studio) Pizzica e RinascitaRistampa (CD C&M) Taranta Taranta (CDIrma records). La pizzica la taranta e il vino. Il pensiero armonico – G. G.B.  Il libro è stato pubblicato la prima volta  e dopo  anni riteniamo particolarmente ricordarlo per la sua attualità culturale. G., peraltro, è socio della nostra ASSOCIAZIONE APSEC e collaboratore di questa nostra rivista. La ricerca innovativa e serrata compiuta da G., in tanti anni di impegno nelle acque agitate dell’etnomusicologia e dell’estetica, approda finalmente al porto sicuro dello studio La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico.    Accade allora che scoperte e sorprese, esposte con cura e rigore scientifico, si susseguano qui continuamente e senza soluzione di continuità, offrendo una concezione finalmente reale del tarantismo e della sua musica terapeutica, la pizzica pizzica, come pure del decisivo ruolo simbolico e religioso del vino nella civiltà mediterranea. Sono esperienze direttamente connesse con quelle antecedenti del dio Dioniso, il nume più significativo della Magna Grecia e dei territori da essa influenzati, archetipo dell’adesione entusiastica alla vita, della reciprocità e del dialogo.   Tramite Dioniso, nella musica e nella danza, come pure nel vino e nell’ebbrezza, l’uomo recupera il contatto con le radici più profonde dell’essere, che si manifestano armoniche, duali e complementari. Per questo i simboli della taranta, della pizzica pizzica e del vino sono rimedi psicologici che restituiscono l’armonia perduta e che si pongono come un’efficace risorsa anche oggi, per costruire un nuovo umanesimo. Sono simboli mitici, che collaborano con quelli della festa e del rito, e vengono prodotti da un soggetto collettivo. Devono essere considerati come arte tradizionale, alla stessa stregua dell’arte individuale. Nel delineare i confini di queste concezioni, G. rimedita il brillante ma non del tutto sufficiente “pensiero meridiano” di Nietzsche, di Camus e di Cassano. In Puglia, come in gran parte del mediterraneo, “il pensiero armonico” è il pensiero della rinascita e della misura, valori indispensabili anche oggi per un corretto cammino della coscienza verso la comprensione di se stessa e dell’uomo verso la propria natura divina.” IL PENSIERO ARMONICO E LA RICERCA IN PUGLIA La Puglia e il pensiero armonico Il mare, l’armonia degli opposti e la luce mediterranea Il pensiero armonico come incontro di mythos e di logos Le radici elleniche della tradizione pugliese Archeologia e storia. Etnomusicologia ed estetica della tarantella La ricerca comparativa sui brindisi e le analogie con la pizzica pizzica Il mito e il pensiero armonico del Mediterraneo nella contemporaneità L’ambivalenza del mito e la misura armonica La misura armonica e il cristianesimo Monoteismo e panteismo Noi e i miti del tarantismo e del labirinto. Verso un nuovo umanesimo  I BRINDISI E LA PIZZICA PIZZICA COME SIMBOLI DI RINASCITA I brindisi e la pizzica pizzica come simboli di rinascita in Puglia La festa e il pensiero mitico della rinascita La forza estetica di un’arte speciale del leccese, la pizzica pizzica Pizzica pizzica, tarantella e bellezza L’umanesimo mediterraneo e la bellezza mitica della pizzica pizzica e della tarantella Le civiltà del vino e l’ambiente poetico tradizionale della Puglia I brindisi, la tradizione popolare e il soggetto collettivo La ricerca etnomusicologica ed estetica e i brindisi tradizionali Il ritmo armonico della pizzica pizzica e la gestione delle contraddizioni La cumbersazione e i brindisi  IL TEMPO CICLICO, LA RIVOLTA COLLETTIVA E IL PENSIERO ARMONICO TRA ARTE E MITO Il tarantismo come rito di rinascita e il tempo ciclico come attività psichica collettiva di rivolta Nietzsche, l’eterno ritorno e il recupero del pensiero arcaico del Mediterraneo. Le analogie dello Zarathustra con il tarantismo La vita come conoscenza: grandezza e miseria di Nietzsche.  L’eterno ritorno dell’identico e l’eterno ritorno dell’analogo Gli errori di MARTINO (si veda) e le intuizioni di Camus. La rivolta come lotta contro il negativo e come affermazione dell’essere e della vita I brindisi, la pizzica pizzica e il rito del tarantismo come affermazioni della vita. La ierogamia e la rinascita I simboli della rivolta e dell’inversione terapeutica Il ruolo di inversione della pizzica tarantata: mito, ritmo e analogia La pizzica scherma di Torrepaduli e la rivolta mitica I risultati dell’analisi etnomusicologica: la biritmìa simbolica. La pizzica pizzica come analogon della dynamis armonica universale  PENSIERO ARMONICO E SOGGETTO COLLETTIVO Il ritorno al cielo del Sud e i fraintendimenti di Nietzsche. Dioniso e il pensiero armonico L’aióresis dionisiaca e la Processione dei Misteri di Taranto.  Il mare come simbolo armonico e come terapia L’intenzionalità collettiva: il teatro tragico del tarantismo e la tragedia greca Il tempo ciclico e la Magna Mater: l’evoluzione della coscienza La Grecia e il governo rituale degli archetipi. Pizzica pizzica e labirinto I brindisi tradizionali e la pizzica pizzica come arte tradizionale collettiva L’arte collettiva tradizionale come arte del mito. L’umanesimo della misura   IL SIMPOSIO, I BRINDISI E L’UMANESIMO DELLA MISURA La tradizione pugliese e il simposio greco e magnogreco Il brindisi e il simposio L’ethos del vino come armonia degli opposti La sperimentazione del divino e l’etica della misura Il pensiero armonico, l’agape e il rischio della dismisura La sublimazione del simposio La dismisura e la degenerazione del simposio   L’EMERSIONE DEL PENSIERO ARMONICO DALLA RICERCA E DALLA COMPARAZIONE La danza, le uova e le corna come simboli simposiali di rinascita. Il gesto dionisiaco delle corna nelle musiche e nelle danze della rinascita I saperi tradizionali dell’equilibrio mensurale del pensiero armonico: il ritmo e la benedizione La città di Brindisi, l’origine del nome brindisi e il Bacco in Toscana La cena della spillazione Il porto di Brindisi e le corna rituali come simbolo di rinascita. Il brindisi di Dioniso e di Semole come benedizione Indice dei nomi Iconografìa comparativa  Lecce Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità Incontri culturali INCONTRI CULTURALI Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità Da Ernesto De Martino ad oggi la Pizzica Salentina, la Taranta e tutto quel mondo che attorno ad essa ruota in maniera spettacolare e folklorico, in realtà nasconde studi e tradizioni che affondano le loro radici in un passato lontano. In una prospettiva più ampia si può dire che in Europa c'è un luogo che da qualche tempo a questa parte ha espresso una incredibile sequenza di suoni, stili, artisti, esperimenti e contaminazioni culturali. Questo luogo è il Salento. La Terra del Rimorso - come la definì MARTINO (si veda) - si è trasformata nella Terra dello spettacolo delle tradizioni. Riportando con forza la cultura popolare, l'attenzione per le radici, al centro dell'immaginario giovanile e del consumo pop, il Salento si è rivelata una meta a cui non si può rinunciare. A cinquanta anni dal viaggio della troupe di Ernesto de Martino nel Salento, quei luoghi si sono trasformati in altro, dimenticando l’Oltre. Negli ultimi vent'anni il Salento è stato spettatore della nascita delle dance hall del Sud Sound System, e dell'irruzione sulla scena della pizzica, sottratta da un lato al folklore, dall'altro all'accademia sino poi al più grande world music festival del mondo, la Notte della Taranta. Degli aspetti antropologici dell’argomento e di quelli iniziatici, simbolici ed esoterici se ne occuperanno Maurizio Nocera e Pierpaolo De Giorgi in un incontro dibattito senza precedenti  Mail Presidente Ass. Thorah – piscopo. grazia @libero.it    Biografie relatori G., laureato in Filosofia, è etnomusicologo, filosofo, musicista e poeta. Ha fondato e guida “I Tamburellisti di Torrepaduli”, con i quali ha suonato in Italia e in tutto il mondo, provocando la nascita-rinascita del genere musicale pizzica. Ha inciso sette dischi, che hanno venduto più di centomila copie, scrivendone i testi poetici e le musiche. Sue liriche sono state tradotte in greco e in ungherese. Assieme al pittore Luigi Marzo, ha pubblicato il noto volume Le strade che portano al Subasio passando dal Salento (Del Grifo). Ha tradotto in italiano La danza delle spade e la tarantella di Marius Schneider (Argo, 1999) e ha pubblicato numerosi volumi di ricerca, tra i quali Tarantismo e rinascita (Argo, 1999), L’estetica della tarantella (Congedo 2004), Pizzica e tarantismo (Edit Santoro, 2005), I poeti del vino (Congedo 2007), Il mito del tarantismo (Congedo, 2008), La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico (Congedo 2010), La rinascita della pizzica: testi, poesia e storia dei Tamburellisti di Torrepaduli. La via della Taranta (Congedo 2012) che riformulano radicalmente le indagini sul tarantismo e sulla tarantella iatromusicale.  Maurizio Nocera - “Maurizio Nocera (classe 1947) … è un eccellente rappresentante di quella genia … di intellettuali militanti, che sono sempre di meno, oggi, in giro. “Impegnato” dalla punta delle (consumate) scarpe fino alla radice dei (pochi) capelli, infaticabile viaggiatore, talent scout, esploratore di mondi diversi, inguaribile sognatore, gran parlatore, insegnante, politologo, promoter culturale, contastorie, indefesso ricercatore e divulgatore di patrie memorie, bibliofilo, collezionista, scrittore, salentino al cento per cento eppure cittadino del mondo, giornalista, poeta, saggista, storico, critico letterario, editore. Vincenti, Io e Maurizio Nocera, in spigolaturesalentine. wordpress. co /spigolautori maurizio-nocer a/). Maurizio Nocera è segretario provinciale dell'ANPI di Lecce.Grice: “Giorgi is not an Italian philosopher; he is a Leccese philosopher. You have to be Leccese to be a Leccese philosopher, and only a Leccese philosopher will NOT appropriate TARANTA – as Martino did – misunderstanding it – The idea of Nietzsche on Bacco is all very well, but Giorgi notes that you have to have the Leccese experience to understand all this”. Pierpaolo De Giorgi. Giorgi. Keywords: l’implicatura di Bacco, il ritorno di Dioniso; mito. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giorgi:  la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della fiducia nella fiducia – filosofia vernolese – scuola di Vernole -- filosofia leccese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vernole). Filosofo vermolese. Filosofo luccese -- Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Vermole, Lecce, Puglia Grice: “Giorgi discovered a phenomenon I often overlooked: meta-trust: ‘la fiducia nella fiducia e, alla Parsons, la fiducia di ego con alter, e alter con ego. Grice: “I love Giorgi, for various reasons; unlike Sir Geoffrey Warnock, or me, who base our Kantian-type morality on trust, Giorgi recognises a very apt distinction between trust and ‘meta-trust’ – fiduccia nella fiduccia: fiduccia nell’altro!” Insegna a Salento. Si laurea a Roma con “il giuridico e il deontico” – Fonda il Centro Studi sul Rischio a Lecce. Studia i sistemi sociali. Altre opera: “Sociologia del diritto” Manuale di diritto del lavoro e legislazione sociale” “Azione e imputazione” “La società”; “Diritto e legittimazione” “Mondi della società” o, con Stefano Magnolo” “Filosofia del diritto” “Futuri passati”  Fiducia è un meccanismo, un dispositivo di riduzione della complessità. Fiducia non è un valore positivo dell'agire o dell'esperienza; non rappresenta una preferenza rispetto al suo opposto, non ha valore morale di preferibilità. Fiducia e sfiducia sono grandezze non convertibili. Dare fiducia ad altri o suscitare fiducia in altri non sono qualità morali, disposizioni buone, né preferibili o migliori in assoluto. Il riscontro della loro preferibilità è la situazione, la conferma della validità dell'orientamento alla fiducia può essere reperita solo nella dimensione temporale, l'accertamento dell'opportunità può essere dato solo dal futuro. La funzione della fiducia, infatti, si dispiega nella tensione fra presente e futuro. In questa tensione si proietta nel presente il dramma dell'incertezza e il rischio del non sapere. Il sapere, infatti, esclude il rischio e rende inutile la fiducia. Il non sapere, invece, impone al singolo, al sistema personale o sociale, la necessità di reperire un dispositivo di assorbimento dell'incertezza che rischia di paralizzare l'agire. Il problema, allora, è il tempo; lo spazio di questo tempo è il presente, una estensione temporale della cui durata ci si rende conto soltanto quando è finita, cioè quando è già diventata un passato. Lo spazio della fiducia è questo. Solo in questo spazio si può avere fiducia. In esso cioè si può costruire, sviluppare, mettere alla prova quella inevitabile avventura che è l'anticipazione delle aspettative dell'altro. Fiducia non è altro che questa anticipazione che orienta l'agire e l'esperire. Ma è un'avventura del presente che anticipa il futuro nella rappresentazione di colui che ha fiducia, perché si serve solo delle risorse di una propria prestazione effettuata in anticipo e costruita su una propria rappresentazione del mondo. Una risorsa esterna, una certezza, renderebbe inutile dare fiducia. La fiducia costituisce una mediazione tra la complessità del mondo e l'attualità dell'esperienza. Una mediazione drammatica, rischiosa, che si sostiene sul sapere di non sapere, che produce da sé le risorse che investe e con le quali si espone al futuro anticipandolo e all'altro rappresentandosi le sue aspettative. Fiducia non è affidamento all'altro. Fiducia non è il racconto dell'altro. Non ci sarebbe il dramma, non ci sarebbe neppure la possibilità di raccontare l'altro, se fiducia avesse a che fare immediatamente con l'altro. Fiducia ha a che fare con la propria rappresentazione dell'altro; essa è affidamento alle proprie aspettative dell'altro. Fiducia è esposizione del sé. Fiducia è abbandono al sé, per questo c'è il rischio, il dramma, la tensione. G., Presentazione dell'edizione italiana, in N. Luhmann, La fiducia, Bologna, il Mulino, Riferimenti Bibliografici, Berger, Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Bologna, Luhmann, Illuminismo sociologico, Milano, Schütz, La fenomenologia del mondo sociale, Bologna, La semantica del rischio Decisione razionale e azione sociale  G., Filosofia, Lecce, Centro Culturale. Sulla situazione delle scienze sociali  Se si osserva il panorama delle scienze sociali oggi, si può affermare che esse sono alla ricerca di temi attuali riferiti alla società, ma che per questo non dispongono ancora di una struttura teorica adeguata, in particolare non sono pervenute ancora a una adeguata descrizione della società moderna. Le discussioni teoriche vengono effettuate in relazione ad autori, in particolare in relazione a classici. Questo comporta, nel modo di porre i problemi, la presenza di un sovraccarico di vecchie prospettive e l’implicito orientamento ad una società che in virtù del suo ottimismo sul progresso aveva raggiunto i suoi limiti, ma poteva tener presente solo in misura limitata le conseguenze della società moderna e le poteva trattare solo come problemi della distribuzione del benessere. Le acquisizioni alle quali si è pervenuti sono date da un atteggiamento scettico verso l’organizzazione e la razionalità (Weber) o da una critica della struttura di classe della società moderna. Di queste acquisizioni vive ancora oggi la discussione teorica.  La società moderna ha reso urgenti problemi completamente diversi: il problema dell’ecologia, il problema delle conseguenze che derivano dalle nuove tecnologie, dalla ricerca biologica e genetica: ma anche il problema delle conseguenze legate a determinate politiche di investimento o quello relativo al rapporto tra uso del denaro per fini speculativi o per fini produttivi. Si tratta solo di alcuni indici degli ambiti problematici con i quali continuamente si confronta la società contemporanea e rispetto ai quali la soglia di attenzione, e quindi di preoccupazione, sembra essere più alta.  Negli anni più recenti è sembrato che la scienza sociale riuscisse ad andare oltre la discussione sui classici: si è elaborato così un orientamento problematico che può essere descritto mediante concetti quali complessità, problemi del controllo e guida, possibilità dell’azione ed altri ancora. Così la società viene descritta dalla prospettiva dell’agire politico e quindi dalla prospettiva della pianificazione, la quale ha davanti a sé campi di realtà altamente complessi, in cui tutte le azioni scatenano “conseguenze perverse” e producono problemi che danno motivo a nuove forme dell’agire. Tuttavia anche questa discussione ha raggiunto in modo incontestabile i suoi limiti, non dispone di potenziale esplicativo dell’agire reale e ripropone ormai solo l’originaria formulazione dei problemi. All’ottimismo del progresso si è sostituita la paura del futuro, all’ansia della pianificazione e del controllo, la rassegnazione verso le conseguenze perverse dell’agire che, non potendo essere previste, vengono rese oggetto di analisi empirica: un motivo ulteriore per considerare il presente con disappunto e per tentare di risolvere mediante il ricorso alla morale ciò che sembrava impossibile risolvere mediante la razionalità.   Non si può affatto prevedere che nel prossimo futuro la scienza sociale riuscirà a colmare il deficit teorico che la caratterizza e a pervenire ad una convincente descrizione della società moderna. E’ possibile però isolare temi speciali, che in questa direzione sono fruttuosi e possono essere utilizzati perché le ricerche si concentrino su di essi. Il tema rischio può costituire un tema cosiffatto. Esso è un tema nuovo rispetto alla discussione sui classici e mantiene considerevole distanza rispetto alle teorie sulla decisione razionale o sulla pianificazione razionale. Esso attualizza la dimensione del tempo, una dimensione centrale per la società moderna da tutte le prospettive. Esso altresì ha particolare riferimento rispetto ai temi che nell’opinione pubblica hanno acquistato un significato considerevole e che, gradualmente, diventano dominanti. Esso ha quindi tutte le chances di fornire un contributo rilevante alla comprensione delle condizioni sociali nelle quali oggi inevitabilmente viviamo e delle quali in un qualunque modo dobbiamo tener conto.  Stato della ricerca.  Il tema rischio ha stimolato una mole immensa di ricerche ed ha raccolto una letteratura che ormai non è più possibile controllare. Nella letteratura meno recente il tema si è sviluppato prevalentemente sotto la voce: insicurezza. La ricerca però si è concentrata su alcuni punti cruciali e non è pervenuta all’elaborazione di una chiara concettualità teoretica.   Da una parte è dato di trovare ricerche sulla valutazione delle conseguenze prodotte dalle nuove tecnologie; queste ricerche presentano ramificazioni molto concrete: ad esempio la valutazione degli effetti cancerogeni che derivano da alcuni prodotti chimici o la valutazione delle possibilità che si verifichino eventi particolarmente improbabili ed insieme altamente catastrofici. Questa letteratura è orientata nel senso delle teorie della casualità o nel senso della statistica: essa ha prodotto a sua volta altra letteratura che si occupa della posizione e del ruolo degli esperti rispetto alla politica e che di conseguenza individua una perdita di prestigio e di credibilità della scienza e degli esperti nelle diverse tecnologie, qualora questi, sotto la pressione e l’urgenza delle decisioni siano costretti a rendere manifeste le loro insicurezze o le controversie interne alla scienza stessa.   Si tratta di una letteratura e di un insieme di ricerche che tematizzano i problemi della sicurezza rispetto a situazioni di pericolo oggettivo, ma che non riguardano la prospettiva di chi, nell’agire concreto, deve decidere se rischiare o non rischiare e a quali costi.   Accanto a queste ricerche è dato di trovarne altre che sono orientate in misura crescente in senso psicologico e che indagano i modi in cui i singoli si comportano in situazioni di rischio. Risultato di queste ricerche è una distinzione di variabili che influenzano il comportamento, come ad esempio l’influsso della fiducia di sé o del controllo di sé sulla disponibilità di colui che agisce verso il rischio.   Un altro orientamento di ricerca si occupa dei deficit di razionalità e degli “errori” statistici che è possibile individuare nel comportamento decisionale quotidiano. La disponibilità al rischio dipende, secondo queste ricerche, non da ultimo dal modo in cui colui che decide pone il problema col quale deve misurarsi.  Questi orientamenti ai quali si sostiene la ricerca sul rischio permettono di comprendere perché gli esperti che si occupano della percezione e valutazione del rischio e delle strategie del suo trattamento, siano essenzialmente studiosi di scienze naturali, di statistica, di economia (in particolare per i settori relativi alle teorie della scelta razionale, del calcolo dell’utilità, ecc.) o di psicologia. Persino il tema comunicazione sul rischio viene trattato da specialisti che hanno questa formazione.  La sociologia si è occupata fino ad ora prevalentemente degli aspetti limitati dei nuovi movimenti che si formano nella società a seguito della accresciuta percezione del rischio. La scienza politica ha manifestato scarsa attenzione per i problemi che derivano dal fatto che le questioni legate al rischio sovraccaricano gli interessi politici. Accanto alla medicina si è stabilizzata un’etica che si occupa dei modi in cui la morale dovrebbe affrontare questioni che sembrano sottrarsi al calcolo razionale.  Nonostante la sua ampiezza, l’attuale ricerca sul rischio non riesce a pervenire a risultati utili sia alla descrizione dell’agire decisionale che alla determinazione di possibilità ulteriori degli stessi ambiti decisionali, perché è legata da vincoli che derivano dal modo stesso in cui il problema del rischio viene tematizzato. Questi vincoli sono definiti dai modelli derivati dalle teorie della decisione razionale e dalle teorie psicologico-individualistiche. Integrazione teorica. Tanto dal panorama delle ricerche quanto dall’eterogeneità dei diversi approcci scaturisce un considerevole bisogno di integrazione teorica. Le prestazioni innovative che è possibile effettuare in rapporto allo stato attuale della ricerca dipendono dal fatto che si riesca ad elaborare e a rendere disponibile una concettualità teorica capace di rendere possibili questi riferimenti.  Il concetto di rischio è stato definito essenzialmente in relazione agli ambiti della relazione razionale, per così dire, come concetto per la elaborazione dei problemi del calcolo razionale. Da qui derivano considerevoli difficoltà di delimitarne significato e contenuto. Nella letteratura si scambiano e si utilizzano come equivalenti e fungibili con il concetto di rischio formulazioni quali pericolo, danger, hazard, insicurezza e simili. Proprio per questo, sul piano metodologico è necessario mettere in chiaro nel contesto di quali distinzioni il rischio acquista il suo contenuto e significato proprio.  La distinzione tra rischio e sicurezza sembra inutilizzabile. Sicurezza in quanto opposta a rischio, indica solo un posto vuoto che non può certo essere riempito empiricamente. Sicurezza, nello schema rischio-sicurezza, indica solo un concetto riflessivo: esso esibisce solo la posizione dalla quale tutte le decisioni possono essere analizzate dal punto di vista del loro rischio. Sicurezza, in questo senso, universalizza solo la coscienza del rischio; d’altra parte non è un caso se, a partire dal XVII secolo, tematiche della sicurezza e tematiche del rischio si sviluppano insieme.   Per questo sarebbe necessario provare se sia possibile intendere il concetto di rischio utilizzando le prospettive fornite dalla teoria attributiva. Nel generale contesto di una insicurezza rispetto al futuro e di un danno possibile, si potrebbe parlare di rischio quando un qualche danno venga imputato ad una decisione, cioè quando questo danno debba essere trattato come conseguenza di una decisione (o da colui che decide o da altri). Il concetto opposto sarebbe allora il concetto di pericolo, che è applicabile quando danni possibili vengano imputati all’esterno. Una tale concettualizzazione permetterebbe di utilizzare la problematica dell’attribuzione che si è rivelata fruttuosa e saldamente sperimentata. La concettualizzazione proposta dà insieme plausibilità al fatto che nella società moderna la maggiore coscienza del rischio sia correlata all’accrescimento delle possibilità di decisione. Beck, Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, Frankfurt a.M., Beck, Politik in der Risikogesellschaft. Essays und Analysen, Frankfurt a.M.,Covello, J. Mumpower, Environmental Impact Assessment, Technology Assessment, and Risk Analysis, NATO ASI Series, Berlin-Heidelberg, Douglas, Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Milano, Douglas, Wildavsky, Risk and Culture. An Essay on the Selection of Technological and Environmental Dangers, California, Evers, Helga Nowotny, Über den Umgang mit Unsicherheit. Die Entdeckung der Gestaltbarkeit von Gesellschaft, Frankfurt a.M., Giddens, The Consequences of Modernity, Stanford, Hahn, Willy H. Eirmbter, Rüdiger Jacob, Le Sida: savoir ordinaire et insécurité, «Actes de la recherche en sciences sociales, Hijikata, Armin Nassehi, Riskante Strategien. Beiträge zur Soziologie des Risikos, Opladen, Johnson, Covello, The Social and Cultural Construction of Risk, Dordrecht, Kaufmann, Sicherheit als soziologisches und sozialpolitisches Problem. Eine Untersuchung zu einer Wertidee hochdifferenzierter Gesellschaften, Stuttgart, Königswieser, Matthias Haller, Peter Maas, Heinz Jarmai, Risiko-Dialog, Köln, Krücken, Risikotransformation. Die politische Regulierung technisch-ökologischer Gefahren in der Risikogesellschaft, Opladen, Luhmann, Sociologia del rischio, Milano, Perrow, Normal Accidents. Living with High-Risk Technologies, New York, Wildavsky, Searching for Safety, New Brunswick-London,  I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca del Collegio San Carlo. Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione. Grice: “Giorgi understands trustworthiness perfectly. However, he does not seem to care to provide a moral background for it, which is okay with me, since being trustworthy and expecting others to be trustworthy is what an honest chap does! It’s different with PERJURY, and Giorgi has shed light on the notion of legitimacy – an oath of trustworthiness becomes a LEGAL BOND – not just moral. It is however better to consider the moral trustworthiness as PRIOR conceptually to the legal trustworthiness – even if conceptual priority can go both ways. EPISTEMICALLY, to have a law that condemns perjury may be the best way NOT to have faith in faith (fiducia nella fiducia) but PRESUPPOSE that the other has a moral-legal bond to be trustworthy. The perjury figure in Roman law has to be considered historically, since if there was something the Italians are good at is Roman law!” -- Raffaele De Giorgi. Giorgi. Keywords: fiducia nella fiducia, il giuridico, il deontico, imputazione, azione, fiduzia nella fiducia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Giovanni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della civetta di Minerva – filosofia napoletana – scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano.  Napoli, Campania. Grice: “The Italians love ‘divenire’ as in ‘being and becoming’ – but if I say Mary is becoming a princess, ain’t Mary being?” Grice: “I like Giovanni; only in Italy, you write an essay on Marx on cooperation and on Kelsen; and then of course an Italian philosopher HAS to philosophise on Vico: ‘divvenire della ragione,’ Giovanni calls what I would call a critique of conversational reason!” Ha aderito successivamente alla Rosa nel Pugno.  Simpatizzò per la monarchia e l'11 giugno 1946 fu tra coloro che presero parte agli scontri che causarono la strage di via Medina; in seguito avrebbe spiegato la sua partecipazione con queste parole: “Già leggevo Hegel ero monarchico perché credevo all'unita dello Stato.” “Scappai quando la situazione s'incanaglì». Si laurea a Napoli con la tesi “Vico: natura e ius.” Insegna a Bari.  Direttore di “Il Centauro. Rivista di filosofia". Altre saggi: “L'esperienza come oggettivazione: alle origini della scienza”; “Il concetto di classe sociale in Cicerone”; “La borghesia italiana”; “Il concetto di prassi”; “Marx dopo Marx”  (cf. Luigi Speranza, “Grice dopo Grice.” Impilcature: Not Grice! --; “La nottola di Minerva”; -- il guffo di Minerva – la civetta di Minerva -- “Dopo il comunismo”; il comune -- “L'ambigua potenza dell'Europa”; “Da un secolo all'altro: politica e istituzioni” – istituzione istituzionalismo istituismo “La filosofia e l'Europa”; “Sul partito democratico. Aristocrazia, democrazia crazia cratos concetto di potere -- -- Opinioni a confronto”; “A destra tutta. Dove si è persa la sinistra?” “Elogio della sovranità politica, -- il sovrano – lo stato sovrano – Machiavelli --  Editoriale scientifica, “Le Forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni, Napoli, Bibliopolis,  La parabola di Giovanni.  Il dibattito Un saggio di de Giovanni paragona Severino al filosofo del fascismo. Ma a tutte le sue obiezioni è possibile rispondere È Gentile il profeta della civiltà tecnica Ne rende possibile il dominio planetario. Eppure la legge del divenire è eterna di SEVERINO Gentile e assassinato perché e la voce più autorevole e convincente del fascismo. Eppure la sua filosofia è la negazione più radicale di ciò che il fascismo ha inteso essere. Non solo. Essa è tra le forme più potenti — non è esagerato dire la più potente — della filosofia del nostro tempo. Di tale potenza lo stesso Lenin si e accorto — forse gli assassini di Gentile non lo sanno neppure. Tanto meno lo sa la cultura filosofica dominante, che mai riconoscerebbe a un italiano un così alto rilievo. Non solo. Contrariamente agli stereotipi che vedono in Gentile un avversario della scienza, l’attualismo gentiliano è l’autentica filosofia della civiltà della tecnica: rende possibile il dominio planetario della tecno-scienza, ancora frenato dai valori della tradizione. Altrove ho mostrato il fonda- mento di queste affermazioni. Il saggio di G. Disputa sul divenire. Gentile e Severino (Scientifica) è un grande e suggestivo contributo al loro approfondimento — come d’altronde c’e da attendersi dalla statura culturale e sociale dell’autore. Va facendosi largo nel mondo la convinzione che l’uomo non possa mai raggiungere una verità assolutamente innegabile; che, prima o poi, ogni verità siffatta resti travolta da altri modi di pensare, da altri costumi, cioè si trasformi, muoia: divenga. Travolta, anche la certezza che esistano le cose che ci stanno attorno; essa è innegabile solo fino a che esse non vanno distrutte: era innegabile solo provvisoriamente. Esser convinti dell’inesistenza di ogni verità assoluta è quindi, insieme, esser convinti dell’inesistenza di ogni Essere immutabile ed eterno. Dio è morto, si dice. La negazione di ogni verità assoluta e innegabile non investe dunque l’esistenza del divenire del mondo. Anzi, proprio perché si fa largo la convinzione che il divenire di ogni cosa e di ogni stato sia assolutamente innegabile (ed eterno), proprio per questo è inevitabile che ci si convinca dell’impossibilità di ogni altro innegabile e di ogni altro eterno. Gentile lo mostra nel modo più rigoroso (mentre il fascismo, come ogni assoluti- smo politico, intendeva essere la configurazione inamovibile dello stato. Ma è appunto per quell’estremo rigore che G. rileva, a ragione, l’incolmabile contrasto tra la filosofia di Gentile e il tema centrale dei miei scritti, l’affermazione cioè che la verità assolutamente innegabile esiste e che tutto ciò che esiste (nel presente, nel passato, nel futuro) è eterno, ossia non esiste alcunché che esca dal proprio esser stato nulla e che sia travolto nel nulla. Certo, la più sconcertante delle affermazio- ni. Che però G. considera fondata con altrettanto rigore. Infatti, mi sembra, egli è inte-ressato al contrasto Gentile-Severino perché vede in ogni forma di contrasto una conferma della propria prospettiva di fondo, per la quale l’esistenza umana è, da ultimo, un contrasto insana- bile tra il desiderio dell’uomo, finito, di esser sal- vato dall’Infinito e la problematicità del rapporto finito-Infinito. Quindi, a suo avviso, per quanto rigorose possano essere la posizione filosofica di Gentile e la mia, ci dev’essere in entrambe un vizio o più vizi di fondo che non possono venir estirpati. Attraverso una finissima procedura in- terpretativa de G. lo fa capire rivolgendo domande, obiezioni sotto forma di domande. So- prattutto a me. Provo a rispondere ad una soltan- to. In modo adeguato risponderò in altra sede. Ma prima rivolgo anch’io una domanda a G.. La sua prospettiva — qui sopra richiamata in modo molto sommario — intende essere una verità assolutamente innegabile o una proposta dove non si esclude che la verità innegabile esista da qualche parte? Propendo per la prima alternativa. Mi sembra infatti che anche per G.  l’unica verità indiscutibile sia la storicità del reale, cioè il divenire che travolge ogni altra presunta verità. La sua distanza da Gentile tende così a vanificarsi nonostante le obiezioni, che a questo punto hanno un carattere subordi- nato. E infatti G. mi chiede se non ci sia «qualcosa di ineluttabile» «nella condizione mortale dell’uomo», se la morte non sia la prova inconfutabile, l’irrefutabile cogenza che l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla — e anzi, lasciando da parte il domandare, afferma che il mio discorso «si scontra con il fatto che l’uomo muore.  Il contesto in cui G. avanza queste domande-affermazioni è incommensurabilmente lontano dall’ingenuità con cui a volte queste domande mi vengono rivolte. Ma in questa sede può essere opportuno richiamare — ancora una volta — che i miei scritti, ovviamente, non hanno mai negato che l’uomo muoia e come muoia e resti il suo ca- davere, ma hanno sempre negato che la nascita dell’uomo e delle cose sia un venire dal nulla e che la morte sia un andare nel nulla; e lo negano perché mostrano che questo andirivieni non è un fatto. Provo a chiarire. Che il dolore, l’agonia, la morte dell’uomo (e il perire dei viventi e delle cose) sia un fatto significa che se ne fa esperienza. Certo. Si fa esperienza dell’orrore della morte, che è sempre la morte altrui. Ma chi crede che la morte sia un andare nel nulla non crede (è impossibile che creda) che l’uomo vada nel nulla ma, insieme, continui ad essere un fatto che appartiene al contenuto dell’esperienza: gli appartenga nello stesso modo in cui gli apparteneva prima di annientarsi. Nell’esperienza rimane il ricordo di coloro che sono andati nel nulla, e il ricordo è un fatto; ma non rimane il fatto in cui consisteva il loro es- ser vivi, non si fa più esperienza del loro esser stati vivi. Chi, dunque, crede che la morte sia an nientamento crede che — pur avendo avuto espe- rienza dell’agonia e del cadavere — ciò che è di- ventato niente sia diventato anche qualcosa che non appartiene più all’esperienza, che non è un fatto. Ma allora è impossibile che l’esperienza mostri che sorte abbia avuto ciò che è uscito dall’espe- rienza, e quindi mostri che esso è diventato niente. Di questa sorte l’esperienza non può che tacere. Cioè l’annientamento non può essere un fatto. E se il cadavere viene bruciato e, come si dice, diventa cenere; allora anch’esso, come tutta la vita passata di chi è morto, esce dall’esperienza —anche se ne rimane il ricordo. Daccapo: che es- so, diventando cenere, sia diventato niente non può essere l’esperienza ad attestarlo. Ci si convince dunque che la morte è annienta- mento non sulla base dell’esperienza, ma sulla ba- se di teorie più o meno consistenti. All’inizio i vivi si fermano atterriti di fronte alle configurazioni orrende della morte dei loro simili e restano colpiti dalla loro assenza; i morti non ritornano, vivi, come invece il sole torna a risplendere al mattino. Anche su questa base, quando si fa avanti la rifles- sione filosofica sul nulla, si pensa che ciò che non ritorna sia diventato niente e si crede di sperimentarne l’annientamento. Gentile sta al culmine di tale fede e, con la propria teoria generale dello spirito, dimostra nel modo più radicale l’impos- sibilità di ogni realtà esterna all’esperienza, sì che l’uscire dall’esperienza è per ciò stesso l’andare nel niente. Ma, appunto, si tratta di una dimostrazione, di una teoria, non della constatazione di un fatto. Dunque, la sconcertante affermazione, al cen- tro dei miei scritti, che tutto ciò che esiste è eter- no, non è un paradosso che si scontra con l’esperienza, cioè con il fatto che l’uomo muore. All’opposto, a scontrasi con l’esperienza sono coloro che — affermando la sua capacità di atte- stare l’annientamento degli uomini e delle cose — vedono in essa ciò che in essa non c’è e non può esserci. Sono molti, moltissimi? Non importa. An- che quando qualcuno ebbe a mostrare che è la Terra a girare attorno al sole e non viceversa, tutti gli altri lo negavano, sconcertati. A questo punto G.  deve mostrare per- ché (una volta escluso lo «scontro con il fatto») non accetta la fondazione che di quella sconcer- tante affermazione ho indicato nei miei scritti. At- tendo. Ma anche tutte le altre sue domande attendono la mia risposta.Il tramonto del principe: "Fin dall'inizio della sua attività G. ha accompagnato al suo discorso teorico e politico una notevole attività di carattere storico-filosofico. Si può dire, anzi, che per certi versi questi sono tre aspetti di una medesima ricerca che, secondo una tipica 'tradizione' italiana, ha intrecciato, in modo consapevole, filosofia, storiografia e politica. Ma questa è una considerazione preliminare, di carattere generale. Ciò che distingue la posizione di de Giovanni è il modo con cui ha istituito questo intreccio - il suo 'punto di vista' - e i risultati che è riuscito a conseguire." (dalla prefazione di Michele Ciliberto). Con una postfazione sulla storia de "Il centauro" di Dario Gentili Biagio di Giovanni. Giovanni. Keywords: essere/divenire – dall’essere al divenire -- divenire della ragione conversazionale: Vico, Hegel, Marx, nottola di Minerva; monarchia – stato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giovanni: il divennire della ragione conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Giovenale: la ragione conversazionale e la satira del filosofo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.  Renowned for his satires in which it is possible to identify a variety of philosophical interests, if not influences. Decimo Giunio Giovenale. Giovenale.

 

Grice e Giovio: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia nolese – filosofia napoleta --- scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Nola). Filosofo nolese. Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Nola, Napoli, Campania. The son of Paulino di Nola. From a letter written to him by his father, it appears that he was a keen student of philosophy. Giovio.

 

Grice e Giraldi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia ventimigliana – scuola di Ventimiglia -- filosofia ligure – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ventimiglia). Filosofo ventimigliano. Filosofo ligure. Filosofo italiano. Ventimiglia, Liguria. Grice: “Only a Ligurian philosopher would philosophise on Hegel’s real logic and lobsters!” -- Grice: Grice: “One good thing about Giraldi is that he is from Ventimiglia and moved to Noli – the most charming corners of Italy!” – Grice: “Giraldi calls his position ‘romatnic essentialism;’ having born in Ventmiglia he would, wouldn’t he?”“I like Giraldi; nobody in England would dare write “The son of Peter Pan,” but Giraldi, otherwise known as the author of ‘Essenzialismo,’ did write ‘Il figlio di Pinocchio’”! Il padre, originario di Dolceacqua e di estrazione contadina, dopo il servizio militare riuscì la scalata del successo al Casinò di Monte Carlo, affermandosi anche come uomo di grande saggezza e religiosità. La madre invece era originaria di Ventimiglia, dove G. stesso nacque e trascorse la sua infanzia. Sebbene la famiglia fosse benestante, egli soffriva per la grande conflittualità interna, continuamente vessato dalla sorella maggiore che non esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre la madre non faceva parola con il padre di quanto assisteva. Racconta che in questo periodo riusciva a trovare pace solo in chiesa.  Con una bugia astuta riuscì a scappare di casa, entrando in un collegio, dunque l'anno successivo si trasferì in un altro collegio di Roma, ove tuttavia non riuscì a trovare la tranquillità sperata. Riuscì a compiere studi classici a Roma, iscrivendosi poi all'Università. Non frequenta le lezioni delle materie filosofiche curricolari, ma studia per conto proprio. Tuttavia sigue abbastanza regolarmente le lezioni di PONZO, anche se non e materia d'esame. Si laurea e presta servizio militare durante la seconda guerra mondiale. Si laurea in filosofia discutendo molto animatamente la tesi con  Spirito, il quale ironizzò sulle sue pretese di "fare una nuova filosofia". Insegna a Milano. Partendo dalla teoria gentiliana, che vede in tutto una “mediazione”, e da quella di CONSENTINO, che sostiene al contrario la totale "immediatezza", afferma che anche l'atto puro, in quanto nuovo e spontaneo, non può che nascere senza alcuna mediazione, quindi è l'equivalente dell'immediatezza, o del sentire puro. Pertanto prova a risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi hegeliana che possa superare sia il “divenirismo,” sia il coscienzialismo antidivenirista. La soluzione è che l'immediatezza sarebbe sostanziata di mediazione, e viceversa.L'immediatezza è così colma di mediazione, perché senza di essa sarebbe cieca e una mediazione senza una immediatezza sarebbe nulla. Inoltre, per avere una identità distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di sé quanto necessario per identificarsi e per distinguersi.  In “Etica del sentimento”, ancorando il principio morale proprio alla sfera sentimentale, si focalizza sul sentimento di libertà e propone nuove argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del sentirsi responsabili, pur entro un tutto già dato. In “Gnoseologia del Sentimento”, parte proprio dalla posizione del CONSENTINO per ripercorrere gli itinerari di una filosofia dell'essere indiveniente e per affrontare gli aspetti dinamici e volontaristici dell'Io. In “Filosofia giuridica” espone la concezione di diritto naturale quale sentimento fondamentale giuridico, condizione trascendentale di ogni diritto positive. Pertanto il diritto naturale non sarebbe un codice sovrapponibile ad altri codici, ma la precondizione che permette alle leggi positive di essere leggi e non atti religiosi, estetici, scientifici o di altro tipo. Si occupa anche della riflessione su temi politici.“Storiografia come rettorica” tende ad inquadrare l'unitarietà artistica e scientifica della ricostruzione storica, coerentemente con la tesi di CICERONE della “historia opus oratorum maxime” e con quella aristotelica dell'entimema, in altre parole quel sillogismo retorico che si differenzia da quello della necessità. In “Epistemologia” invoca una demitizzazione anche delle teorie cosmologiche e scientifiche più accreditate (l'evoluzionismo, la teoria del Big Bang, la meccanica quantistica), poiché tenderebbero pure esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche, nonostante gli apprezzabili sforzi a riferirsi alla filosofia da parte di alcuni notevoli scienziati. Ad esempio nota che anche i migliori epistemologi che irridono il concetto di sostanza, di fatto, riferiscono i dati sperimentali ad una sottintesa sostanza soggiacente. In numerosi saggi dedicati alla religione, analizzata nelle molteplici forme di spiritualità, avanza la tesi che il proprium della religione sia la soteriologia, quindi non tanto il contenuto di una dottrina, ma la speranza di salvazione dal negativo della vita e della morte. Il principio cardine diventa dunque la speranza, e non più la fede, che viene ricondotta ad un ruolo funzionale alla realizzazione della salvezza.  L'analisi della religiosità tenta perciò di emanciparsi dagli usuali preconcetti filosofici: se alla religione è stato assegnato per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia Dio si dà immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in “Immortalità dell'anima” mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del Pensiero con la determinazione individualizzata della persona. Il “Dizionario d’estetica e linguistica generale”, con alcune integrazioni filologiche presenti in alcune successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche per l'attenzione dedicata all'estetica e sulle concezioni dei primitivi "di ieri e di oggi".  La proposta avanzata per una filosofia della scelta e decisione si apre con una riflessione sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole prendere le distanza. Non si considera dogmatico, perché il suo metodo gli consente di aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni riserva, ma ciò non lo porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né agnostica, in quanto la non possibilità di dimostrare (ad esempio l'immortalità, la vita ultraterrena o l'esistenza di Dio) non equivale ad affermare la loro non esistenza. Tra le numerose acquisizioni che lo difenderebbero dalle accuse incrociate di scetticismo e agnosticismo enumera la consapevolezza di un patrimonio di verità circa le possibilità di pensiero; la ricchezza dell'atto di conoscenza anche nelle forme meno esplicate; l'emancipazione dalla divisione del conoscere in intuizioni e concetto, sensazione e concetto; la pretestuosità di coloro che esigono una purezza del conoscere senza inquinamenti sentimentali; le aporie di una scienza oggettivante e insieme soggettivante al massimo e dell'arte che, mentre il mondo odierno nega il reale, si riferisce continuamente ad essa, particolarmente nella negazione.  Non potendosi dare una irruzione nel trascendente, è tuttavia possibile affermare la vasta pregnanza del trascendentale, in altre parole di un terreno comune per l'esperienza e il pensiero. Si considera pertanto idealista, nel senso che non esiste pensiero senza pensiero, spirito senza spirito, “ideato” (significato) senza “ideante” (significans). Tuttavia, differentemente dalle posizioni di Gentili, non crede che affatto il pensiero sia liquido, tutt'altro; proprio perché l'idea diventa comune, e in essa il Pensiero trova la sua pace, occorre una verità fondamentalmente ferma, non mobilizzabile. Da questi presupposti sorge così una debita attenzione per la scelta e la decisione.  Distinguendo le scelte apparenti, che sono totalmente arbitrarie, da quelle reali, quando al termine dell'analisi si opera con un atto di buona volontà, una decisione autentica ci si trova di fronte ad un bivio metafisico: impossibilità di afferrare la realtà dei tre nominati reali (Dio, Anima e Mondo) e impossibilità di negarli. Sorge appunto la decisione autentica, cui si arriva solamente secondo una corretta formulazione di intenti e seguendo una fine immanente ad ogni forma di scelta. Aristotelicamente e anche kantianamente la causa finale riveste una primaria importanza. Se ogni uomo sceglie per sé, nessuna scelta avrebbe una portata teoretica di cogenza, ma aprirebbe le vie della libertà vera, dalla quale ne derivano conseguenze radicali e speculazioni abissali a partire da una decisione, che può essere quella dell'anima unica immortale, o quella del pensiero che viene ad essere dopo la materia, o la non esistenza di Dio. Ciò permetterebbe anche di evitare il depauperamento culturale, con una rivitalizzazione delle esperienze antiche.  La decisione personale propende per una concezione dell'anima unitaria, di stampo aristotelico. Se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da lui considerata "la più materialistica, e più grezza", preferisce pensare ad una immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può donarla e concessa a chi la chiede. Sul mondo reale fisico resta una indecisione, ma propende verso un residuo di natura mentale, una sorta di noumeno mentale sulla scia di Kant e Galluppi oltre il grande telone dei fenomeni. In questo caso però occorrerebbe rapportarlo ad una mente divina, perché parlare di mondo senza Dio non avrebbe connotazioni filosofiche. Infine, riguardo l'esistenza di Dio, punto in cui la scelta diviene decisione pura, egli tende a negare la validità delle dimostrazioni, pur scorgendo in esse una bella prova della potenza della mente umana. La conclusione non è però la non esistenza di Dio, ma la non dimostrazione della sua esistenza.  Chi ammette l'esistenza di Dio, tuttavia, deve assumere la radicalità di tale affermazione "guardando il mondo dagli occhi di Dio" e non facendo etsi deus non daretur. Chi prendesse la scelta teistica dovrebbe tacersi per sempre e rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette in risalto anche la Volontà, definendola potenza fattiva dell'Idea, e constatandone il carattere generativo-spermatico, per collocare in una prospettiva differente il vitalismo dell'élan vital bergsoniano e della Wille di Schopenhauer. Questo permette di pensare l'Idea non solo quale conoscenza filosofica, ma anche negli aspetti attivi, vitali e di sentimento. Ad essere eroicamente divini non sono pertanto solo i pochi giunti al massime vette di autocoscienza teoretica, ma anche gli umili che vivono inconsapevoli della propria dignità divina, folgoranti però di una autocoscienza morale.  Bàrel Dal punto di vista poetico, l'opera principale di G. è il “Bàrel”, sorto dall'ispirazione di un progetto di Papini esposto nell'autobiografia Un uomo finito per un poema apocalittico, mai scritto. Altri spunti furono la lettura di Lord of the World di Benson e dell'Apocalisse.  Il Bàrel, presentato a Giovannetti de Il Giornale d'Italia, che propose come titolo “Il Dio Eroico”. Gli anni seguenti, segnati dalla Seconda Guerra Mondiale, furono l'occasione per trasporlo in prosa. Questa versione, appena terminata la guerra, e proposta a vari editori ma che per una serie di sfortunate coincidenze Mondadori non dispone della carta, e dopo alcuni anni, quando la carta è disponibile, cambia idea sulla pubblicazione; la casa editrice Api di Mazzucchelli nel frattempo fallì l'idea di pubblicazione venne temporaneamente accantonata. Nel frattempo alcuni versi sono pubblicati frammentariamente. Ri-ordina le due versioni in una unica opera che contenesse sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo sperimentale. La pubblicazione avverrà sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in raccolte unitarie successive.  Il tema è insolito e il contenuto, con riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo, non è di semplice accessibilità. Se può essere collocato in un momento simbolico dell'arte, è anche classico e romantico, nei canoni dell'estetica hegeliana. Nel Apocalisse grande, il protagonista Bàrel sovrappone le passioni alle idee. In La cerca di Barel, ritorna in proporzioni umane e in La morte degli dèi, scende negli abissi vertiginosi della filosofia, che la poesia tenta di inseguire.Saggi: “Organon Philosophicum”, Ironia, morale, educazione, Gheroni, Torino, “Etica del sentimento”  Filosofia dell'Unicità; “Gnoseologia del sentimento” (Pergamena); La filosofia giuridica, Filosofia dell'Unicità, Milano “Filosofia della religione”. Filosofia dell'Unicità, Epistemologia. Una nostra riforma della Logica Hegeliana (Pergamena) La Metafisica. Pergamena, Iesous Eléutheros. La liberazione di Gesù: lettera sistematica (Pergamena) Dizionario di Estetica (Pergamena); Studi nel periodico Sistematica. Res Publica. Educazione civica, Pergamena Res Publica. Teoria dell'Ineguaglianza (Pergamena); Nel Pleròma. Da Dio alla Materia (Pergamena); Storiografia come rettorica; “Autobiografia come filosofia” (Pergamena); Memoriale Ambrosiano; “Memoriale Italico” (Pergamena); Dio, Pergamena  Estetica della Musica, Pergamena scon Colloquia Edizioni. Meditazioni Hegeliane, Editrice, Meditazioni Platoniche, Pergamena Capitoli sulla Scienza Moderna, Pergamena L'immortalità dell'anima, Pergamena Ricerche filosofiche La filosofia del sentimento di Consentino, in Quaderni, Milano, Rabelais e l'educazione del principe, Viola, Milano; ora in Paideia grande. Un mistico bergamasco: Sisto Cucchi, Secomandi, Amiel Morale, Saggiatore, Torino, L'educazione dei ciechi, Armando Roma, Società e Stato da Spedalieri a Marx, Pergamena); “L’ESTETICA ITALIANA: figure e problemi” (Nistri-Lischi, Pisa); Storia della pedagogia, Armando Roma  "le edizioni successive sono state scempiate da interventi dell'Editore riporta G. in Sistematica); “La filosofia politica” (Pergamena); Adolfo Ferrière. Psicologia, attivismo, religione, Armando Roma, Giuseppe Lomabardo Radice tra poesia e pedagogia, Armando Roma, Gentile. Filosofo dell'educazione Pensatore politico Riformatore della Scuola, Armando Roma Raffaello Lambruschini. Armando Roma, Tissi filosofo dell'ironia, Pergamena Moralistica francese, Pergamena Saggi su Sales, il Quietismo, La Rochefoucault, Prevost. Filosofi teoretici e Morali, Pergamena saggi su Condillac, Senancour, Rensi, Hume, Camus, Barié, Galli, Lazzarini, Castelli, Capitini. Gramsci e altri miti, Pergamena; Storia della filosofia, Trevisini Milano; L'Italia nella dittatura e nella non democrazia, Pergamena Paideia Grande, Pergamena Rabelais, Rosmini, Boncompagni, Gentile; “STORIA DEL LIBERALISMO” Pergamena. Moltissimi saggi e studi di politica, religione, filosofia, filologia e critica sono stati pubblicati nelle seguenti riviste fondate da G. stesso:  L'Idea Liberale, Sistematica, attiva sino al. Filologia; Giovanni Michele Alberto Carrara, De fato et fortuna. Tipografia A. Ronda, Milano, Studi sul Rinascimento, Pergamena Saggi su: Seneca e la filologia; PETRARCA viaggiatore; VINCI filosofo; Le fonti del Pontano lirico; Gli errori di ALIGHIERI in un poema umanistico inedito; Il RINALDO di Tasso; Il T. Tasso corregge il Floridante; Rime inedite di Cecco d'Ascoli; Carrara,  Pergamena, Carrara, Armiranda. Inedito umanistico, Pergamena Commedia inedita, testo latino; Carrara,  III, De choreis Musarum, Pergamena Testo latino. Segue un Saggio monografico sull'umanista. Carrara, Sermones objurgatorii, Pergamena Sui tragici; Da mio diario filologico, Pergamena Filologia. Teoria e saggi, Pergamena Su ALIGHIERI con verità, Pergamena MANZONI, in Sistematica, Pergamena Gesù, Pergamena Poesia e prosa d'arte Collana dei "Tredici". La Scala, novelle e poesie; Mutarsio, Torino Bàrel. I. Apocalisse grande, La cerca di Bàrel, La morte degli dèi; Pergamena Hendecasyllabi aliaque scripta, Pergamena L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena; Il figlio di Pinocchio, Pergamena; Fratelli Frilli,  Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena Quadri Intemelii, Pergamena; Miniature. Codex aureus, Codex recens. Codex quadraticus, Pergamena; Cento tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in Hendecasyllabi. Il Codex recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è a soggetto libero e vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli scacchi. Con rubriche annesse che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene MVSA LATINA, Pergamen; IL RAMO D’ORO, Pergamena Scritti in Italiano, Latino, Francese, Romanesco, Biblico. Profili di gente nel mio tempo, Pergamena Splendido novellare, Pergamena Cento racconti e novelle. Musis amicus, Pergamena Versi e prose in Latino. Mimì o E tutto è amore, Pergamena Sorridono i gigli. Liriche e restauro filologico di Saffo, Pergamen; TEVERE AMICO, Pergamena, Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco da un popolano di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, “Faust mediterraneo”, Pergamena, Atlantidos persis, Pergamena, Villon, Il Testamento, saggio critico G., Pergamena, Amitiés françaises, Pergamena, Nel Sublime, Pergamena Il mio Ponente, Pergamena Letture belle, Pergamena; Piero Pastorino, Pinocchio, un figlio nato da una bugia, in La Repubblica, sez. Genova. Docente universitario a Milano di Storia generale della filosofia, è stato ripetutamente consulente all'Accademia di Svezia per il conferimento dei Nobel per la letteratura. Ha al suo attivo un dizionario di estetica e linguistica, una storia della pedagogia e ha scritto novelle. Vive a Noli, di cui è cittadino onorario. Piotr Zygulski, Filosofo liberale, in Termometro Politico; G. Pierre-Philippe Druet, Tissi, filosofo dell'ironia, Revue Philosophique de Louvain,  Dudley, Sui tragici. Dal mio diario filologico, Revue Philosophique de Louvain, Da "Autobiografia come filosofia" (Milano) e pagine integrative in Sistematica, Milano, Pergamena, Grimaldi, Illuministi inglesi, in Disegno storico del costituzionalismo moderno, Roma, Armando, Ottaviani, La scuola del Risorgimento. la scuola italiana Roma, Armando, Semerano, La favola dell'indo-europeo, Milano, Paravia; Mondadori. Grice: “Giraldi is obsessed with ‘essenza’, which is a coinage by Cicero – essentia, meaning essentially nothing!”  Grice: “Giraldi, who defended Gentile, rightly, as a ‘pensatore politico’ – was obsessed with idealism – his essentialism was supposed to supersede it, but he spends some time analysing the situation in Italy with idealism, ‘a la catedra – but is dead – he refers to Croce, Gentile, and the roots of  idealism in Vico, Sanctis, and Spaventa --.” Giovanni Battista Giraldi. Giovanni Giraldi. Giraldi. Keywords. essenzialismo, essenzialismo romantico, storia della filosofia romana, etica del sentimento, autobiografia come filosofia, mio ponente, filosofia ligure, ‘l’aragosta’ – romanzo ligure -- Riviera di ponente, nel pleroma: da dio alla materia,  gentile, filosofo politico -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giraldi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Girgenti: la ragione conversazionale a limite – l’implicatura conversazionale della metrica del filosofo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo girgentino. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Girgenti, Sicilia. Grice: Ritter thinks Girgenti is related to the Velia – and Pareto to the Crotone – so it’s amazing that Bruto never liked those three Greeks of the Athenian embassy seeing that most pre-Platonic philosophy came from Magna Grecia, that is, Italy! Some must have remained in the genes!” -- Grice: “I like Girgenti; obviously Mussolini didn’t!” Grice: “I love Girgenti – he philosophised in verse, not prosa – rhyme being unexistant, it was all about the metre – he talks of ‘amicizia,’ which is none other than Love that unites all things! And then he fell in the Etna!” “Mussolini thought it was rude of the Girgentians to call their land ‘Girgenti,’ so he formulated a self-referential ‘decretto’: “From now on, Girgentians shall be called Agrigentians.’” Peano objected: “Your decree is self-contradictory or invokes a vicious regressus ad infiniutum!” -- filosofo italiano. Siceliota. Nacque da una famiglia antica, nobile e ricca di Girgenti.Come suo padre Metone, che ebbe un ruolo importante nell'allontanamento del tiranno Trasideo, egli partecipò alla vita politica della città, schierandosi dalla parte dei democratici e contribuendo al rovesciamento dell'oligarchia formatasi all'indomani della fine della tirannide, un governo chiamato dei "Mille".  La tradizione gli attribuisce uno spirito severo verso gli aristocratici. Dai suoi nemici fu poi esiliato nel Peloponneso. Tra i suoi discepoli vi fu anche Gorgia.  Successivamente Empedocle abolì anche l'assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre anni, sì che non solo appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano sentimenti democratici.  Anche Timeo nell'undicesimo e nel dodicesimo libro - spesso infatti fa menzione di lui - dice che Empedocle sembra aver avuto pensieri contrari al suo atteggiamento politico. E cita quel luogo dove appare vanitoso ed egoista. Dice infatti: 'Salve: io tra di voi dio immortale, non più mortale mi aggiro'. Etc. Nel tempo in cui dimorava in Olimpia, era ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che di nessun altro nelle conversazioni si faceva una menzione pari a quella di Empedocle. In un tempo posteriore, quando Girgenti era in balìa delle contese civili, si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si rifugiò nel Peloponneso ed ivi morì. Si iscrisse alla Scuola di Crotone, divenendo allievo di Telauge, il figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e rifiutò i sacrifici cruenti. Secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per attenersi all'usanza secondo cui il vincitore doveva sacrificare un bue, ne fece fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo distribuì secondo la tradizione. Secondo altri seguì gli insegnamenti di Brontino e di Epicarpo.  La sua oratoria brillante, la sua conoscenza approfondita della natura, e la reputazione dei suoi poteri meravigliosi, tra cui la guarigione delle malattie, e il poter scongiurare le epidemie, hanno prodotto molti miti e storie che circondano il suo nome. coppiata una pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel partorire, pensò allora di portare in quel luogo a proprie spese le acque di altri due fiumi di quelli vicini. Con questa mistione le acque divennero dolci. Così cessa la pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si prostrarono e lo pregarono come un dio. Volle poi confermare quest'opinione di sé e si lanciò nel fuoco. Si diceva che fosse un mago e capace di controllare le tempeste, e lui stesso, nella sua famosa poesia Le purificazioni sembra avesse affermato di avere miracolosi poteri, compresa la distruzione del male, e il controllo di vento e pioggia.  I sicelioti lo veneravano come profeta e gli attribuivano numerosi miracoli.  Le numerose testimonianze che riguardano la sua biografia sono alquanto discordanti e non consentono di attribuire un'identità precisa alla sua figura. A conferma di ciò sono le numerose leggende sul suo conto. I suoi amici e discepoli raccontano ad esempio che alla morte, essendo amato dagli dèi, fu assunto in cielo. Mentre Eraclide Pontico, Luciano di Samosata e Diogene Laerzio sostengono che si suicidò gettandosi nel cratere dell'Etna. Il vulcano avrebbe eruttato, dopo qualche istante, uno dei suoi famosi sandali di bronzo.In realtà non sappiamo neanche se sia morto in patria o forse nel Peloponneso. Si afferma che visse fino all'età di 109. Una biografia di Empedocle scritta da Xanto, suo contemporaneo, è andata perduta. A Empedocle la tradizione attribuisce numerose opere, fra cui anche alcuni trattati – sulla medicina, sulla politica e sulle guerre persiane – e tragedie. A noi sono giunti però solo frammenti dei due poemi: “Sulla natura” e “Purificazioni”. Di “Sulla natura”, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti circa 400 frammenti. Delle “Purificazione”, di carattere teologico e mistico, abbiamo poco meno di un centinaio. Il timore di Girgenti appare fin dalle prime righe di “Sulla natura”.  “O dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti, e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente, e a te, musa agognata, o vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo. Ciò che spetta agli effimeri ascoltare, tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore devoto. Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria fra i mortali con un discorso, ricolmo di santità, che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera alla vetta della saggezza. La filosofia di Empedocle si presenta come un tentativo di combinazione sintetica delle precedenti dottrine ioniche, pitagoriche, eraclitee e parmenidee. Distingue la realtà che ci circonda, mutevole, dagli Quattro elementi primi, immutabili, che la compongono. Chiama tali elementi "radici", non nate ed eternamente uguali  e afferma che sono in tutto solo quattro, associando ognuno di essi a un particolare dio, sulla base di concezioni orfiche e misteriche proprie dei riti iniziatici allora in uso presso la Sicilia. I quattro elementi (e i rispettivi dèi associati) dunque sono:  fuoco (Giove), aria (sua moglie, Era), terra (Edoneo), ed acqua (Nesti). L'unione delle quattro radici (Giove-Era-Edoneo-Nesti) determina la nascita di una cosa. Si tratta perciò dell’ *apparente* nascita di una cosa, dal momento che l'Essere (le quattro radici) non si crea. “Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nessuna cosa. Solo c'è mescolanza.”  In questo modo, i primi principi si empiono così dell'essenza e del soffio vitale del potere divino. In Empedocle, Amore (Φιλότης) e la «natura divina che tutto unisce e genera la vita. Are, o Marte, e il dio del conflitto. Per Empedocle, l'uomo, essendo di origine divina, raggiunge la vera felicità che quando si riune alla compagnia di Deo. Accanto alle quattro "radici", e motore del loro divenire nei molteplici cose della realtà, si pongono due ulteriori principi: Amore ed Odio (Discordia, Contesa). Amore ha la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" («Amore che avvince.” L’Odio ha la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa".   Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero, immobile, uguale a se stesso e infinito. Amore è Dio e le quattro "radici" le sue "membra", e quando Odio distrugge lo Sfero, tutte, l'una dopo l'altra, fremevano le membra del dio. Infatti sotto l'azione dell'Odio, presente alla periferia dello Sfero, le quattro radici si separano dallo Sfero perfetto e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi. Prima bi-sessuate e poi sotto l'azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in maschi e non-maschi, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate. Alla fine di questo ciclo, Amore riprende l'iniziativa e dalle membra isolate, nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e non-maschi, poi esseri bi-sessuati che finiscono per riunirsi, con le quattro radici che li compongono, nello Sfero. Nelle Purificazioni, sostiene la metempsicosi, affermando l'esistenza di una legge di natura che fa scontare agli uomini le proprie colpe attraverso una serie continua di nascite, tramite cui l'anima, di origine divina, trasmigra da un essere vivente all'altro. In questo poema gli esseri viventi, parti costitutive dello Sfero di Amore divengono dèmoni errando nel cosmo.  “È vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da vasti giuramenti: se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un delitto o se qualcuno per la Contes abbia peccato giurando un falso giuramento, i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo mutando i penosi sentieri della vita. L'impeto dell'etere invero li spinge nel mare, il mare li rigetta sul suolo terrestre, la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici dell'etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch'io sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente Contesa.” L'Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del demone decaduto? Con ogni probabilità, è l'Amore stesso che ci parla in questo frammento. L'"io" dei due ultimi versi è l'autore del poema. Ma è anche, se andiamo più a fondo, l'Amore. I demoni esiliati lontano dagli dèi saranno allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a errare tra i corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la Discordia. Quando le parti dell'Amore che sono i demoni si riuniscono nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente.  Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si trasforma in dio. Questa concezione conduce al rifiuto assoluto dei sacrifici, poiché in ogni essere vivente vi è un'anima umana, che sta compiendo il suo ciclo di reincarnazione. Se nel corso di questo ciclo l'anima si è comportata secondo giustizia, al termine potrà tornare nella sua condizione divina. Dal che, come Pitagora, anche a G. ripugnano i sacrifici animali e l'alimentazione carnea. “Onde, uccidendoli e nutrendoci delle loro carni, commetteremo ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei consanguinei; di qui la loro esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la loro affermazione che commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano l'altare con il caldo sangue dei beati», ed G. dice in qualche luogo: Non cesserete dall'uccisione che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità della mente?” “Il padre sollevato l'amato figlio, che ha mutato aspetto, lo immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo coloro che sacrificano l'implorante; ma quello sordo ai clamori dopo averlo immolato prepara l'infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli la madre dopo averne strappata la vita mangiano le loro carni.” Rispetto alla sua precedente opera vi sono delle contraddizioni che è stato difficile per i suoi esegeti conciliare. Ad esempio, ad una visione naturalistica del poema Sulla natura si contrappone la teoria della reincarnazione delle Purificazioni: nel primo scritto l'anima è anche detta mortale, mentre è definita immortale nel secondo. C'è chi ha spiegato tali incongruenze con la versatilità di G., scienziato e profeta al tempo stesso, medico e taumaturgo. C'è invece chi ha ipotizzato una paternità diversa delle due opera. Uno dei busti ritrovati nella Villa dei Papiri a Ercolano, identificato dapprima come Eraclito, solo più recentemente con Empedocle. Lo stile di Empedocle viene lodato dagli antichi. DICANTVR EI QVOS PHYSIKOUS GRÆCI NOMINANT EIDEM POETÆ QVONIAM EMPEDOCLE G. PHYSICVS EGREGIVM POEMA FECERIT. Siano pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il fisico G. scrive un poema egregio  (CICERONE, De Oratore) padre della retorica (Aristotele) LUCREZIO (De rerum natura) lo prende addirittura come modello.  Renan lo definisce uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton e mezzo Cagliostro. Gli viene intitolato il Regio Liceo Classico di Girgenti, dove studiarono, fra gli altri, PIRANDELLO (si veda) e Camilleri.  Secondo le discordanti fonti sulla vita di G. la cronologia andrebbe fissata. Cfr. GIANNANTONI (si veda), “I pre-socratici” (Roma); Bignone (“Empedocle”, Torino); Robin; Schiefsky; Platone, Parmenide, Diogene Laerzio; Timeo, ap. Diogene Laerzio; Aristotele ap. Diogene Laerzio; Mannucci, “La cena di Pitagora” (Carocci); Satiro, ap. Diogene Laerzio; Plutarco, de Curios. Princ., Adv. Colote, Plinio, HN, e altri.  Così nella letteratura antica, come riferisce Russel nella sua Storia della filosofia occidentale, citando un poeta anonimo. Grande G. che, l'anima ardente, salta in Etna, ed è stato arrostito intero; Orazio, ad Pison. , ecc. Ippoboto riferisce che egli, levatosi, si diresse all'Etna e, giunto ai crateri di fuoco, vi si lancia e scomparve, volendo confermare la fama che correva intorno a lui, che era diventato dio. Successivamente e riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari e rilanciato in alto. Infatti, egli e solito usare calzari di bronzo  (Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi). Cfr. anche Eraclide Pontico, fWehrli. “E questo tutto abbrustolito chi è? - Empedocle. Si può sapere perché ti gettasti nel cratere dell'Etna? Per un eccesso di malinconia. No: per orgoglio, per sparire dal mondo e farti credere un dio. Ma il fuoco rigetta una scarpa e il trucco e scoperto (Luciano di Samosata, I dialoghi). Timeo ci attesta esser lui finito di morte naturale. Dicono alcuni che trovandosi egli in Messina a cagion di una festa sia ivi caduto da un carro, e rottasi la coscia, sia morto. Credono altri che in mare naufragasse: altri che si fosse strangolato da sé. Scinà, Memorie sulla vita e filosofia d'Empedocle gergentino, GERGENTI – non GIRGENTI -- ed. Bianco, Palermo – empedocle gergentino -- Apollonio, ap. Diogene Laerzio; Haase, Principat; Philosophie, Wissenschaften, Technik; Philosophie (Doxographica, Forts.; ed. Gruyter; Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Mondadori. Jori, G. in Dizionario delle opere filosofiche, Milano, Bruno Mondadori. Avverte infatti Jaeger. Dobbiamo guardarci dal prendere per pura metafora poetica l'espressione della religiosità che lo trattiene dal seguire sino in fondo i predecessori troppo sicuri di sé. Cardin, G., in Enciclopedia filosofica, Milano, Bompiani, Reale, Storia della filosofia romana. D-K. Kingsley, Misteri e magia nella filosofia antica. G. e la tradizione pitagorica, Il Saggiatore, In corrispondenza con le quattro primarie anti-tesi del caldo (fuoco), del freddo (aria), dell'asciutto (terra), e dell'umido (acqua). Le IV radici di G. risultano essere poi i IV elementi di Aristotele e Tolomeo.  Edoneo  è un appellativo proprio del dio degli inferi Ade, cfr. in tal senso Esiodo Teogonia; o anche inno omerico A Demetra. Forse si riferisce a Persefone; per una dotta riflessione su questo nome, certamente un teonimo poco conosciuto, si rimanda a Gallavotti in G., Poema fisico e lustrale, Milano, Mondadori; Valla. Secondo G., i due sessi (maschi, non-maschi) furono determinati dalla separazione di creature di natura integra, che si sono a loro volta evolute da forma di vita più primitive. Un papiro contenente aforismi di G., consente tuttavia di integrare le due versioni, portando a ritenerle complementari. Le due opere, quindi, farebbero forse parte di uno stesso saggio filosofico. E stata anche avanzata l'ipotesi che si tratti di Empedocle gergentino. Tale proposta trova conforto sia nella notizia di Diogene Laerzio in merito alla folta chioma del personaggio sia alla specifica collocazione del bronzo all'interno della villa dove fa pendant con il bronzo raffigurante Pitagora che e suo maestro (Museo archeologico Nazionale di Napoli.  “Sulle origini”. Ne conservavamo CCCL versi.”Martin ha consegnato complessivi LXXIV esametri dei quali XXV coincidono con quelli già posseduti.  Ma da ogni parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo sfero rotondo che gioisce di avvolgente solitudine.  (G., D-K); Poema fisico e Lustrale, Milano, Mondadori; Tonelli,  G., Frammenti e testimonianze; Origini; Purificazioni, con i frammenti del papiro di Strasburgo (Milano: Bompiani). Bignone, G.. Studio critico, commento delle Testimonianze e dei Frammenti, rRoma, L'Erma, Bretschneider, Torino: Bocca. COLLI (si veda), G., Pisa, La Goliardica, Traglia, Studi sulla lingua di G.”, Bari, Adriatica, Bodrero, “Il principio dell’amore nella filosofia di G.” Roma; Bretschneider, La lingua di G., Bari, Levante, Volpi, G.: i suoi misteri rivelati in una biblioteca; G., Milano,1.  Filosofi: G., scoperto papiro a Strasburgo. Per gli studiosi è l'unica testimonianza diretta, Strasburgo, Adnkronos,  Pigliando il nostro G. a trattar le cose naturali, cui sopra d'oga ' altro in tendea, ebbe egli a sdegno di seguir setta e maestro. E come egli era franco di animo, e grande d'ingegno; così immagi nò giusta la moda de' tempi, e l' usanza de' filosofi un sistema novello. Questo divulgato gli acquista tal fama, ch'emulo ei divenne per gloria e per sapere de' fisici più famosi di sua età Democrito e Anassagora. I greci di fatto accolsero con ammirazione i suoi belli poemi; e chi vennero poi ricordarono con onore G. e la FILOSOFIA i lui. Incerta fra tanto, manca, é corrotta è venuta la sua dottrina sino a noi. Mancate per l'ingiuria de' tempi le opere del nostro Gergentino (GERGENTI, non GIRGENTI), chi ha voluto conoscer ne lo spirito, è stato costretto di rintracciarlo presso gli storici dell'antica filosofia. I quali non hanno affatto cura di notare il vincolo, con cui destramente iva quegli legando la sua filosofia. Anzi costoro così disparati li rapportano che si possan tenere non altrimenti che rottami, da' quali non si puo il disegno ricavar dell'edifizio, cui prima apparteneano. Però eglino non che han male e tortamente fatto conoscere la fisica di G.; ma nè pur bene e dirittamente apprezzare la forza e la virtu della sua mente. Giacchè l'eccellenza de' sistemi è riposta nell' union delle parti, che si rispondon tra loro; e da questo legame si misura l'ingegno di chi l'hanno inventato. G. inoltre scrive in versi, e ‘abbellì le sue idee, come fanno i poeti. Per lo che pigliando alcuni letteralmente le finzioni della sua fantasia gli apposero opinioni assurde e grossolane. Illusi altri dall’immagini poetiche, che per lo più sono equivoche, travidero; e più presto ci tra mandarono le loro illusioni, che i pensamenti del nostro filosofo. Varie di fatto sono le forme, sotto cui ci presentano G. i scrittori. Ora egli è dualista, e ora è scettico: ora platonizza , e or favoleggia: e non ha gnari e, non so come, anche gridato qual precursore di Newton. Sicchè G., tra biasimato, lodato, e sfigurato, è stato sempre mal conosciuto, e SEMPRE CALUNNIATO. Volendo adunque richiamare in luce la filosofia di lui, cerco e raccolto i frammenti de' suoi poemi, che per avventura ci restano, e sparsi qua e là si leggono presso diversi filosofi. Coll ' ajuto di questi, che sono gl’onorati avanzi della sua vera fisica, son ito raccapezzando pri e poi restituendo la sua filosofia, Perchè tra le opinioni, che gli storici appongono a G., ho quelle scelto, che ben s'adattano, e naturalmente si legano colle idee, le quali si traggono da? frammenti di lui, e le altre rigettato, che a queste si disdicono, o ne sono contrarie. Ho fatto in somma ciò, che suol praticara ma si da chi 'voglioso di restaurare un'antica statua o colonna raccoglie e mette insieme que' pezzi,, che tra loro s' incastrano, e ben si connettono. Questo metodo che stimerà diritto chiunque non è privo di senno, deve specialmente poter convenire a G.. Poichè Aristotele ci attesta: colui più che altro fisico della sua età, aver detto delle cose, ch' eran tra loro ben legate e concordi. Ho quin di fatto ogni sforzo per richiamare alla sua purezza e integrità la dottrina del nostro filosofo quando da lui stesso, quando dall' autorità degli antichi filosofi, sempre mettendo in accordo le idee, che si traggono da questi e da quello. Però non è da maravigliare, se con sì fatto accorgimento,  libera il nostro fisico di non poche assurdità, e se mi sia venuto fatto d'abbozzare almeno il vero sistema di lui. La prima origine, e i primi elementi delle cose, sono, per quanto pare, fuori la sfera del nostro intelletto, perchè oltre: passano la sfera de' nostri sentimenti. Pure. i greci, cominciando da Talete, s' occuparon tutti in si fatta vana ricerca, e tutti si smarrirono. Alcuni degli Jonici coll'acqua, altri coll' aria, altri col fuoco formaron le cose, e fabbricarono presto l'universo. Non così piacque a PARMENIDE DI VELIA, e a LA SETTA DI CROTONE. Costoro, lasciato il mondo materiale, come indegno delle loro meditazioni, si misero per strade diverse in un mondo astratto ed intellettuale. PARMENIDE spiritualizza l'unico elemento degli Jonici; e pone unica, e terna, immutabile sostanza. Uno è tutto, dice PARMENIDE, e tutto è uno; sicchè le mutazioni della materia non altro sno per lui', che modi e semplici apparenze. LA SETTA DI CROTONE dal mondo materiale rifuggi alla Geometria. E se bene questa scienza non fos che un parto della nostra mente; púre l’ehbe quegli, non si sa come, per lo modello, e 'l vero esemplar dell'universo. Però nella geometria legge i rapporti e le proporzioni, che debbono aver le cose, che sono materiali; e vide nell'unità i primi e veri principj de' corpi. Furon gli se ingegni presi da prima di maraviglia così pel filosofo di VELIA, come per quello di CROTONE; e corsero tutti a loro insegnamenti. Ma stanchi di poi di contemplare un mondo o metafisico, o geometrico, ritornarono naturalmente alla materia; e nasce la filosofia corpuscolare. I primi a far questo ritorno sono G.; Anassagora; Leucippo e Democrito. Costoro calando dal mondo della SETTA DI CROTONE alla materia materializzarono le unità di costui. Atomi chiamarono Leucippo e Democrito i principj delle cose; particelle simili Anassagora; e G. col nome li distinse di elementi degl’elementi. Ma in verità i loro principi altro non sono, che le unità della SETTA DI CROTONE fatte materiali, espresse e indicate con vocaboli diversi. Democrito lascia a suoi atomi l'indivisibilità, di cui le unità della SETTA DI CROTONE sono fornite nello stato suo intellettuale. Questa stessa indivisibilità secondo alcuni, nega ale parti simili Anassagora. Differente dall'uno e dall'altro e per Aristotile l'opinione di G. Costui cerca nella materia le sue unità, e dividendo e suddividendo i corpi giunge a quelle molecole, che più non si possono dividere. Ma dove i sensi mancarono, suppli colla ragione, e proseguendo la divisione delle molecole col suo pensiero, s'accorse potersi queste sempre piu di nuovo dividere. Venne però affermando che i suoi elementi degl’elementi eran divisibili, ma solo colla mente, non gia col fatto. Distingue, così dicendo, le unità della setta di CROTONE dalle sue, che sono materiali; e provvida in bel mo doalla durata della natura. Perchè essendo i principi delle cose incapaci, secondo lui, d'ogni fisica alterazione, quelle debbono sempre durare come al presente sono. Tennero tutti tre que fisici non che per cosa assurda, ma impossibile, la creazione dal nulla. Ne venne loro in mente, come ad alcuni indi piacque, di supporre la materia nuda d'ogni qualità. Chiamano essi la materia senza forma, e senza qualità ciò che non è. Ciò ch'è, dice G., è impossibile venire da quello, che non è. Ma diverse sono le qualità ch’attribuiron costoro alle loro unità secondo che diversamente riguarda ciascun di essi i corpi e la natura. Anagsagora ebbe le sue particelle non altrimenti che briccioli minutissimi, ma simili in propieta a corpi, ch'eran destinati a formare. E come varj sono i corpi e differenti le lor propietà; così yarie e differenti pose in corrispondenza le qualità delle sue particelle. Per lo che trasporta egli le qualità delle masse a' frammenti di esse, e,e ristandosi alle apparenze ricava, come suol dirsi, da grande in piccolo. Gl’atomi per Democrito sono al contrario tutti della stessa natura; e solo differiyan tra loro per sito, ordine, e figura. Idea, che ben si conviene alla semplicità della natura; la quale con pochi mezzi suol produrre fenomeni, che sono pressochè infiniti, attesa la lor varietà, la lor moltitudine. G., ciò non o stante, rigettò il pensier di Democrito; e volendo spiegare la varietà materiale, de’ corpi, piglio, com’egli dovea, e genno consiglio dall'esperienza.. Gli Jonici addensando o rarefacendo acqua, or l'aria, or l'aria insieme e'l fuoco, diedero forma e qualità a ' corpi dell'universo. Da questi e dal loro metodo si dilungo il nostro fisico. Studia egli i corpi, e separandone le particelle cerca prima, e raccoglieva poi i loro componenti. Però in luogo di fingere, ritrova ne' corpi i loro elementi; nè i corpi a capriccio componea alla maniera degli Jonici, na li analizza come fanno i chiniici. Le sue esperienze, sono egli è vero, incerte e imperfette, come si leggono ne' versi di lui. Perchè dirizzandosi per una via non ancora usata nelle fisiche ricerche, mancava d'ajuti e di stromenti; massime che la fisica era allora metafisica e bambina. Ma ciò non pertanto que' primi e rozzi saggi del nostro G. sono da stimarsi un chiaro testimonio del suo metodo, ch'era tutto pratico e sperimentale. Coll'ajuto in fatti delle sue esperien ze agginnse, a giudizio d' Aristotile, la terra all' aria, all' acqua, al fuoco, e'l primo stabilì la dottrina de’ IV elementi. IV, dice egli, son le radici di ogni cosa – I GIOVE (fuoco) II GIUNONE (terra) III PLUTONE (aria) IV NESTI (acqua)-- figurando, sotto questi simboli il fuoco, la terra, l'aria, e l'acqua. Per lo che nella sua fisica le unità materiali sono le parti, che diconsi integranti de IV elementi; e questi le costituenti di tutti i corpi, che si trovano in natura, Sebbene il fisico di Gergenti (non Girgenti – c’e un Girgenti in RIETI) avesse distinto l' aria, l'acqua e la terra per le diverse lor qualità. Pure in riguardo al fuoco l'ha e' tutte tre, come se state fossero d' unica e medesima natura. Le particelle dell'aria e dell'acqua tendono, secondo lui ', a condensarsi, come fa la terra. E al contrario crede G. essere propietà del fuoco d'assottigliare, separare, e levare ogni solidezza alle particelle dell' aria e dell' acqua. Di fatto e sua opinione che LA LUNA si condensa a cagione del fuoco, che da essa si parte, non altrimenti che avviene nell'acqua, quando si riduce in gelo. E se il fuoco indura i corpi umidi, e vetrifica talvolta i solidi, ciò accade per G., perchè scioglie e separa l'aria e l' acqua in quel li dimoranti. Gli elementi dunque aria e acqua sono stati solidi, se la forza dissolvente del calore portato non l'ha alla liquidità, che lor si conviene Non conosce, egli è vero, così pensando, qualunque corpo per via del fuoco poter pigliare, passare, ritornare allo stato solido, o liquido, o aerifornie; ma giunse a comprendere l'aria e l'acqua dovere al fuoco la loro fluidità. Questa verità, che in tempi più felici avrebbe potuto generarne tant' altre, e allor qual baleno in notte huja, che illumina in un attimo, poi l' oscurità lascia più grande. Tal verita o affatto non e avvertita, o punto non e ben compresa da’ filosofi d'allora. Aristotile si lagna di G., come di chi e ha usato de IV elementi, non al trimenti che fossero stati II; contando quegli per uno i tre, che questi avea realmente diviso aria, terra, e acqua. Anzi chi furon dopo (quasi G. non già quattro, nia un solo elemento ha stabilito nella sua filosofia) si diedero falsamente a credere il fuoco essere stato tenuto dal nostro fisico per lo principio, da cui ogni cosa venne, e in cui ogni cosa doveasi risolvere. Ma comunque ciò, sia, egli è certo, da che G. manifesta IV poter essere gl’elementi delle cose, tutti abbracciarono la sua opinione. Di leggieri ciascun' s'avvide l'aria, l'acqua, la terra il fuoco aver gran parte nella composizione de’ corpi, e ne' cangiamenti più notabali, che avvengono nel nostro globo e nel la nostra atmosfera. Di fatto non più a capriccio come prima si solea, s'accrebbe o diminui il numero degl’elementi, e tolta ogn'instabilità tra le scuole, comune e, e ferma rimase la sentenza de' IV ele Conta area la dem fial menti. Sicchè su questa dottrina, qual ferma base, venendo assai dopo a posare lfisica. Questa G. ricono scere deve', e lui onorare qual suo capo e fondatore. Hanno le scienze, come ogni cosa umana i lor giri, e le loro vicende, che si distinguono da' metodi, dalle opinioni, dalle verità, ed eziandio dagl’errori che son dominanti. La fisica nella sua infanzia nise tra gl’elementi l' aria, l' acqua, il fuoco, la terra. Questi, non ha guari, ha gia scomposto la chimica. Altri ne sostituiranno i nostri posteri ch' al presente non si conoscon da noi. Ma niuno negherà la debita lode al nostro filosofo che fondo il primo periodo della fisica colla dottrina de’ IV elementi, e regola i primi debolissimi passi dello spirito umano nello studio non che vasto ma difficile delle cose naturali. Più alto senno, e più forza d'ingegno mostra G quando si mise a cercar le forze che mettono in movimento la materia e gl’elementi. Si fatta 2, Dileta plaža matukio ered ܐܐ F Table tol fue ele 8 1 ricerca, siccome molto ardua, non era stata sin allora impresa d'alcuno. Anassagora, attese le sue particelle prive di moto e di vita, non sapendo altro che specolare, ricorre al DIVINO; e colla forza onnipoten te di lui agita e sospinse le sue parti simili, o loro impresse quel moto, che queste naturalmente non aveano. Fece costui, come chi a muover la macchina, in luogo di peso, o di molla, cerca la man dell' artefice. Però Aristotele contro lui si sdegna, e giustamente il rampogna.  Basta a Democrito di fornire il moto a' suoi atomi, nè cura di saper come e d'onde quello venne. Al più facilitò il movimento immaginando un voto, ove ogni sorta d'atomi avesse potuto agevolmente dimenarsi; e particolarmente attribuendo agl’atomi del fuoco la figura sferica, come quella, che avesse questi potuto render atti a scorrere e sdrucciolare. Ma G. e il primo al dir d'Aristotele, che con molto senno in natura conosce due come cagioni del moto degli elementi St & © S forze C 19 menti . Una di quelle chiama AMORE, amicizia, concordia, o l'altra come contraria o lio, inimicizia, lite. L'amore di G. non è quel del la favola, di Parmenide di VELIA, d' Esiodo, o d'altri fabbri di cosmogonia. E forse per costoro un principio attivo che vivifica l’universo. Ma questa e un'idea, vaga, generale, e NULLA UTILE ALLA FISICA. NON E COSI L’AMICIZIA DI G. La quale è una forza, fornita di particolari propietà, e tanto intriseca alla materia, quanto si stima da noi la sua gravità. In virtù di sì fatto amore le particelle simili tendono a unirsi tra loro, e congiungendosi formano a mano a mano le masse. Masse che vie più van sempre crescendo; perchè la maggiore sempre ne trae a se la minore, e l'una all'altra infallibilmente s' unisce. Aria, dice G., si aggiunge ud aria, etere a etere, fuoco a fuoco in modo che il minore al maggiore s’ accoppia. Sospinte del pari dall’amore le particelle di natura diversa tendono a unirsi tra loro, e compongono gli aggregati colla loro unione. L'amore in somma unisce la materia si fattamente, che se in natura si gnoreggiasse la sua sola forza diverrebbe l' universo unica męssa, unica sfera. Perchè è propietà peculiare dell’amicizia di ridurre le cose che son più a una sola. La forza quindi per G. simboleggiata dall' amore, amicizia, e concordia non è se non quella stessa che oggi da’ chimici si chiama AFFINITA. L'odio, non altrimenti che l'amore, è parimente intriseco agl’elementi de' corpi, ma le qualità d'uno son del tutto opposte a quelle dell'altro. Tende l'inimiscizia a disunir le particelle congiunte; sciogliendo le masse, e scomponendo gl’aggregati. E' singolar propietà di quella ridurre l'uno in più: tal che se l'universo fosse una sola massa e unica sfera, que sio in forza dell'odio si dovrebbe tutto quanto sciogliere in minutissimi briccioli. Odio in somma, inimicizia, lite per G. son e valgono forza dissolvente, o 1 tutt'uno 21 repulsiva. Di fatto chiama egli anche il FUOCO inimicizia; perchè questa come quello distrugge e separa ogni cosa. Dą ambidue queste forze tra loro opposte, d'ailinità una, e dissolvente l' altra, significate dall' amore e dall'odio, il nostro G. ne rica il moto ne' corpi. L'amicizia sollecita gli elementi all'unione tra lor l'avvicina, e nell' avvicinarli tra loro parimente li muove. L'inimicizia all'incontro cospinge le molecole unite, so spintele a poco a poco le stacca, staccate le del pari le muove. Forze adunque sono l'amore, e l'odio del nostro fisico; come quelle che avvicinando o respingendo gl’elementi cagionano lor movimento. Fors ze ch'egualmente son chimiche, conie quel le, che uniscono e separano; compongono e scompongono i corpi in natura. Ma come sono esse adombrate sotto le forme morali d'amore e odio, di lite e concoradia; sono state mal comprese e capricciosamente interpetrate. Alcuni videro in quel. le due forze IL DIVINO (“GOD IS LOVE”) e la materia; altri: l'ordine e'l disordine; il bene e' l male. Chi la luce e le tenebre; chi l'Oromaze e l'Arimanio de' Persiani, o altre cose simili. Tanto egli è vero che il suo linguaggio, come poetico, ha recato ingiuria alla sua filosofia. L'amore e l' odio, siccome dice il nostro fisico, han que signorie; ma alternanti e separate tra loro. Comincia l'impero dell'odio, quando finisce quiel dell'amore, e declinando la signoria dell'inimicizia, l' amicizia ritorna a' suoi primieri onori. E come una sifatta vicenda non ha mai fine; così costante si mantiene il movimento in natura, e gl’elementi in eterno s'uniscono e separano. Esprime egli tal con tin: io e scambievole impero dell'odio e dell' amore coll'immagine, e somiglianza d'un cerchio, che si revolve. Perché il cerchio la periodi finiti, che all'infinito si posso no rinovare. Ma tolte le voci d'impero e signoria, che son propie della poetica, si potrebbe la filosofia di G. raſfigurare nella vicenda delle forze, mercè la qua. 23 bene i ebre; chi ni, oabe ero, chei ell'aur Onn '. le i pianeti si'movono. In questi or preva le la forza centripeta e viene a farsi maggior la centrifuga; or prevale la centrifuga, e viene a farsi maggior la centripeta. Sicchè alternativamente prevalendo le due forze centrali, i pianeti s' accostano e discostano dal sole, e costantemente si mo vono nelle loro orbite ellittiche. Tale dell’amicizia, e inimicizia di G.. Come gl’elementi s' uniscono; comincia a preva ler l' inimicizia, che tende a separar le cose unite. E come gl’elementi dividonsi; principia a superar l'amicizia, che tende a unir le separate. Per lo che ambidue sempre operano, e si a vicenda prevalgono, che gl’estremi dell'odio occupa l'amore, e l' inimicizia que' dell' amicizia. Giusta questa legge G. fa e ternaniente operar l'amore e l'odio. Così, e ' dice, comanda o il füto, o la necessità, o l'antico giuramento degli dei. Ma il fato del nostro filosofo non è quello de. gli Stoici, o dei VELINI DI VELIA. Egli null’altro indica colla parola necessità, che l'ins etarr Itale ம் care PA umpert 2.  la que 24 tima natura di quelle due forze. Siccome eterna ei reputala materia, ed eterne le forze, da cui essa era animata; così l ' amore e l'odio volea dover sempre e necessariamente operare. Gl’elementi secondo lui o son separati, e ſrettolosa corre l’amicizia a unirli; o sono uniti, e impaziente va l'inimicizia a separarli. Se per poco lascerebbe l' una o l’'altra di congiun gere le cose separate, o segregar le congiunte, l'amore e l'odio, mutata natura, non sarebbero più nè odio, nè amore. E' quindi pel nostro fisico così necessaria l'eterna vicenda delle due forze, come invincibile si stima il decreto del fato e della necessità. Il fato adunque nel dizionario del nostro filosofo altro non significa che l' intima indole, e l'immutabile natura delle due forze senza più. Però a torto Aristotile riprende lui, come chi avesse introdotto nela la fisica il fato é la necessità. Posti questi principj va G. squadernando il suo sistema, qual poeta, qua si collocato su d'un eminenza, di la conta; ON ie. Sasa templando la natura dichiara agl’uomini le sublimi lezioni di sua filosofia. Nulla, egli dice, manca, nulla ridonda nell'universo; perchè la quantità della materia nè cresce nè manca. Tutto nasce, tutto muore, tutto in altra forma trasformato risorge, L'accozzamento di parti, che son disgiunte, n'è la nascita; e la separazion di quelle, che sono accozzate, n'è la morte, La natura quindi null’altro è, che ” se parazione e miscuglio. Essa è eterna; per che l'amore e l'odio sempre fa e disfà, strugge e compone. Mancherà il presente ordine di cose, sorgerà subito un altro. Questo distrutto, di nuovo, e sotto altra, guisa si verrà a formare. Così senz'alcuna fer posa uno in un altro ordine successivamena te, e sempre sarà permutato. Nè per que: sti continui giri si cangia la natura, ne ha od te luogo o confusione, o simmetria. La materia non è stata, nè sarà mai senza moto. La natura è stata sempre qual sempre sarà: cioè amore e odio, separazione e union d' elementi. Cosi parla G. nel suo d ali 200 € c). och eta, Jade 26 poema sulla natura, o per dir meglio cosi egli smentì anzi tempo chi dopo lui dovean supporre aver lui voluto il caos immaginato sol da' poeti. Lo stato di confusione e di caos pel nostro fisico, o non è stato, nè sarà mai, o sempre egli è stato e sarà. La natura quella è ora, ch'è sta ta, e sempre sarà: miscuglio e separazione: amicizia e inimicizia: nascita e morte. Passando G. d'una in un ' al tra idea strettamente lega i suoi pensie ri. Siccome la materia è tutta divisa ne’ IV elementi; così i corpi per lui eran composti presso a poco de'medesimi. Ma perchè ciò nulla ostante quelli tra lor son tutti diversi; quindi anda ricercando in che, e.come si differisser tra loro. Tal diffrenza ei rinvenne con gran perspicacia nella maniera diversa, con cui gli elementi com binansi. Però non è nè l'aria, nè l'acqua, nè la terra, nè’l fuoco che distingue le cose; ma la misurata lor mescolanza; in breve, la proporzione in cui trovansi due o piti di quelli componenti. Rappresentando da € st CL T 1 C 27 c2003 de poeta le sue idee ch'eran fisiche, dicea: i dipintori mischiano colori diversi, e col mi schio di questi van figurando uomini, piante, fabbriche, uccelli, e anche gli stessi dei. Non altrimenti fa la natura. Ha ella, come IV colori, che sono i IV elementi, e va coll ' accozzare un poco di questo, di quello, e quell' altro forman do uomini, piante, animali, donne leggiadre, e chiarissimi dei. Tutto lo studio di G. e quel di scomporre i corpi, e scomponendoli cerca la ragione, in cui stavan tra loro le parti componenti. Per chè e persuaso, che la loro varietà venne, ed era tutta riposta nella varia proporzion degl’elementi. Aristotele che ammira un sì bel pensamento da a G. il vanto d'aver lui il primo conosciuto una tal verità. Non si può quindi negare il metodo di G., come quel lo, che volea l'analisi de' corpi, esser chimico; chimiche esser le forze amore e odio, che inprimean moto alla materia; e chimica esser tutta la sua fisica; perchè tra lai arch nemt 22 نماز کی P.; Det ue opad ando de d 2 28 P ch for pa me pre me an CO fondata sulla proporzion delle parti, che compongono i corpi pressochè infiniti della natura. Può ora essere a chiunque manifesto G. il primo aver delineato il sistema dinamico, che oggidi leva tanto rumore in Alemagna. Pone questo sistema alcune sostanze semplici e primitive, che colle loro diverse combinazioni producono la varietà de'corpi. Questo stesso fece G. ammettendo i primi elementi, e combinandoli in varia e differente lor proporzione, Forze attrattive e repulsive vogliono i Dinamici; e G. immagina affini tà e forza dissolvente, o sia odio e amore. Che se quegli a spiegare gli stati e i volumi de' corpi si fondano sul contrasto e rapporto, in cui si tiene la forza attrattiva colla repulsiva; anche G. dice che l'inimicizia sta appiattata nelle parti de' corpi pronta a vincer l'amicizia nel tempo opportuno. Ma io non mi maraviglio punto di tal corrispondenza tra Dinamici e il nostro fisico. Gl’uomini gireranno sem at c ) in D gi ti 29 pre nella stessa orbita, e torneranno sempre a riunirsi nelle medesime ipotesi ogni qual volta, che si aggireranno sì oggetti, che illustrar non si possono con osservazioni e co’ fatti. Perchè limitate essendo le forze del nostro spirito, limitato sarà del pari il numero delle sue combinazioni. ' I metafisici di fatto sogliono ricondurre sempre in iscena più o meno vaghe, più o meno adornate le opinioni medesime. Gl’antichi vollero rappresentar l'essenza de' corpi. Però Democrito immagina il sistema atomistico; G. il dinamico. Oggi, che alcuni han pensato di tentar lo stesso, in Francia è risalito in alto il sistema di Democrito, e quel di G. in Alemagna. Dobbiamo persuaderci una volta che le scienze s' accrescono non già colle nostre opinioni, che sono semplici fantasmi della nostra mente, ma coll'esservare ed espri mere co' nostri pensieri i fatti e le consuetudini della natura. Questo metodo per avventura non e ignoto in quella stagione in Gergenti. [NON GIRGENTI, come oggi] Anacrone l'amico di G., poste giù le ipotesi, fonda la medicina sull'esperienza, ed e capo della setta empirica. Il nostro fisico cerca e stabiliva la varietà de' corpi cercando e stabilendo la proporzion de' lor componenti. Ma i tempi imprimono nel nostro spirito la lor forma, il lor carattere, le loro opinioni; operando su noi non altrimenti dell'aria la qual si respira. Non è quindi da maravigliare se G. s'occupò, come allor si fa, su i principi delle cose, e sulla generazion dell' universo. Il romanzo della nascita del mondo e in que' tempi un'introduzione, che si stima necessaria alla fisica. Niuno affatto potea meritare il titolo di sapiente, se non prima avesse ordito la sua cosmogonia. Quindi i filosofi cominciavano allora i lor poemi dalla creazione del mondo. Molto più, che a ciò fare non dovean perdere gran tempo, nè durar molta fatica. Le loro cosmogonie sono un lavoro più di fantasia che di ragione. Si fatti lavori meglio che cosmogonie potevan chiamarsi romanzi, in cui i paragoni tenendo luogo di raziocini affermiare è lo stesso che dimostrare; e le capricciose finzioni si scambiano come opere della natura. G. dunque al par degl’altri intese alla formazion dell'universo; svolgendo e dichiarando l' impero della sua inventata amicizia. Da prima nascita all'etere, indi al fuoco, poi alla terra. Da questa trasse l'acqua, l'aria, l'atmosfera; indi le piante, gl’uomini, e gli animali. Pose più diligenza e più tempo a formar dalla terra; ma per opera dell'amore il genere umano. Rimescolando gl’uomini colle piante, e co gli animali, tenne costoro come unica materia, in cui tutti si fossero contenuti qua si in ischizzo, ma senza che distinta aves ser presentato la irma, leggiadria, e ata titudine delle loro membra. Queste a poco a poco idea egli essersi sviluppate, ed esserne venute fuori delle immagini, prive di moto e di vita, simili alle pitture, ale le statue. Nella terza generazione di poi furon distinti i maschi dalle femmine. Nella quarta s' ebbero degl’uomini, che nascono gli uni dagl’altri; perché, distinto il sesso, si mosse il carnale appetito. Le piante secondo lui fitte restarono in terra per trarne l'alimento; e gli animali qua e la si divisero per cercare un abituro conveniente alla loro natura. Queste cose sconce, incredibili, e simiglianti sognò il nostro fisico, che dovrebbero passarsi sotto silenzio, se non giovasse d'accennarle per dare șin' utile lezione allo spirito umano. Il quale ardito, com’egli è, malgrado gli assai folgoranti brillantissimi lumi non che della religione, ma della moderna deparata filosofia, a dì nostri va sempre fisicando geogonie e cosmogonie. Darwin di fatto adotta gl’errori del nostro Empedocle, e certamente da lui ha a trarre l'idea della successiva perfezione, e a grado a grado del regno animale. L'uno e l'altro fa nascere i vegetabili prima degl’animali nel tempo e nello stato, che le cose sono imperfette. Entrambi del pari segnarono gl’animali essersi a poco a poco svieluppati, e aver tratto tratto acquistato quella perfezione, di cui oggidi son forniti. Vogliono tutti due, che dal principio i sessi fossero stati confusi si negl’animali che negl’uomini. Ambidue affermano che l’universo giunse al grado di sua perfezione, allorchè separati i sessi nacquero gl’animali gl’uni dagl’altri. Darwin in somma dice unica essere stata la specie dei filamenti, che da origine a tutti i corpi, che sono organizzati. E parimente e opinione di G., che unica e la pasta da cui vennero vegetabili, animali, uomini, e Dei. Tanto egli è vero, che i nostri pensatori sempre, o al men per lo più copiano, e s'arrogano le speculazioni degl’antichi. Nella cosmogonia di G. siccome a chiunque è maniſesto, non intervie ne, ne opera alcuna cosa il divino. Ma così pensando, intendea egli di recarle onore più presto che ingiuria. Avendo egli la materia, come allor si pensa, per cosa vilissima, teme che la sapienza si fosse bruttata, se avessé preso a ordinare cose, che son del tutto materiali. Per lo che a intendere la formazione dell'universo, lasciata la mente divina, invoca il caso, e commise gli elementi in poter della fortuna. In sì fatti grossolani sciocchissimi errori s' imbatte chi stoltamente, e senza una precedente saggia e matura riflessio ne, vuol togliere il supremo artefice dal la fabbrica del mondo. Il caso, fantasticano essi, siccome racchiude in se tutte le combinazioni possibili ad avvenire. Così tra le molte, e assai e infinite, che son mostruose, quelle poche ancora contiene, che son regolari. Infinite, dice G., sono state le forme, che ha preso teria, e senza numero le combinazioni degl’elementi. Ma queste si son succedute senz'alcuna posa sin dall'eternità, e forse non han potuto durare perchè prive sono state di regola e simmetria. Dopo tante é tante strane vicende, gl’elementi in fine, conchiude egli, essersi disposti in la ma  quell'ordine, che il mondo ritiene, e da tutti con ragione, s’ammira. Dal caso a dunque G. forma l'universo. Al caso attribui egli quel che privativamente è sol propio della sapienza e dell'infinito potere d'un esser supremo. Da un accidente sogna egli essersi condotto il presente ordine, ma dopo lungo, vario, e successivo disordine. Queste idee và G. adornandh colla sua fantasia vivace, e poetica. Figirra egli mani, piedi, gambe, busti, occhi, braccia, spalle, teste di animali, di uomini, che tra lor misti é confusi si portan qua e là únendosi- senza regola, e senza misura. Ora egli vede petti senza spalıe; teste senza cervici; e fronti prive d' occhi. Or egli osserva piedi congiunti a colli, occhi a spalle, teste å gambe, dita a fronti, e altre irregolari unioni. Quando immagina egli de' tori in volto u e uomini colla testa di bue; e quando nota nell'uomo l'impronta della pecora, e in questa quella dell'uomo. Em mano e 2 36 1 1 a i G. in somma finge, trasfornia, è com pone mille e mille specie di mostri, che per lui una volta furono, e di quando in quando appariscono. Ma dopo forme si sconce é fuor di natura dispone egli ca guialmente quelle membra nelle proporzioni, e misure che al presente veggiamo. Che maraviglia è dunque, ei conchiude, che dopo tanta varietà di mostri sieno a sorte venute le belle e ben disposte macchine degli uomini e degli animali? In tal modo si sforza il nostro fisico di render credibile ciò ch'è falsissimo. Facendo come chi gli occhi s'acceca per meglio e più chiaramente vedere, Ma i suoi sforzi tutti quanti gli tornarono vani. Non cape ne capirà in intelletto umano, che il mondo il quale spira ordine, sapienza, e nia, sia l'opera del cieco, e dello stolto accidente. Ciascuna parte d'un essere forma un sistema; un sistema formano tutte le sue parti; un sistema tutti gl’esseri, che tra loro legati corrispondono tutti al gran di fi armo 37 c scuna, segno dell'universo. I moti varj e multiplici de corpi celesti son regolati da poche e semplicissime leggi; le quali nascono e derivano da unica propietà della materia. Se dunque ogni sistema indica combinazione, e questa suppone DISEGNO – H. P. GRICE, GENITOR, ENGINEER -- e architetto; chi contemplando la fabbrica dell'universo, ch'è un grande e maraviglioso sistema in cia. e in tutte le sue parti, potrà non ammirar la mente di chi seppe non che idearlo, má farlo? Se il mondo è così perfetto, qual dovrebbe essere, se fosse l'o pera d'un supremo fattore; se l'universo non mostra in ciascuna sua parte, avvegna chè minima, alcun segno o piccolo o lontano di casualità; chi senza empietà o stoltezza, potrà riconoscerlo per opera del caso e non della mente d'un Dio? Ma senza più travagliarci a dimostrar cid ch'è chiarissimo; l'esistenza d'un sommo fattore, oltre all'essere scritta nell' animo nostro, si.legge ne' cieli, e a noi per viene da ogn'angolo della terra. Da che Anassagora disse agli uomini la mente divina con singolar magistero è giusta leggi invariabili, áver ordinato la materia, niu. no vi fu, che nol consentisse. Il popolo d'Atene alza allora un tempio a Dio, qual supremo fabbro degli esseri, e onora quel filosofo del soprannome di mente. Anzi la ragione del volgo ha vinto in cið, e vincerà sempre i lunghi ragionamen ti di qualunque filosofo. Il volgo non lo rigetta con orrore le cavillazioni degl’atei, che tentano invano negar l'esistenza d'un eterno fattore, ma poco o nulla cura altresì le speculazioni di que' sapienti, che vogliono dimostrarla. E in vero tal verità alla classe appartiene, attesa la somma evidenza, di quelle che sdegnan le pruove, e che si possono guastar più tosto che ras sodare co' lunghi e sottili raziocinj d'una filosofia illuminata. G. e Democrito sebbene fossero stati superati d’Anassagora, perchè non già una mente divina, ma il caso avesser posto, come autor dell'universo; pure son degnissimi d'onore per i loro metodi, o bel 39 osta k.. ** dias li pensamenti nelle fisiche discipline. Poté Democrito per sua particolar virtù concepi re egli il primo un sistema meccanico del mondo, fondato sulle propietà de' corpi, o sulle leggi del niovimento. Valse G. per forza di sua mente a immaginare anch'egli il primo un sistema chimico dell' universo, che posando su i quattro elemen ti, è regolato da forze, e sottoposto alle leg. gi dell'affinità. Ambidue tennero in onor l'esperienza, che certo e naturalmente con duce alla scoperta della verità. Se chi do po lor filosofarono, fossero stati poco più sensati; avrebber dovuto mettersi dietro la loro scorta, e collegare insienre i modi chi mici di G. e i meccanici di Democrito. Si sarebbe allora abbreviato il corso degli errori, e anticipato il principio di quella filosofia naturale, che fa tant' onore a ' nioderni. Ma le sette smarrirono i filoso fanti d' allora, e costrinser costoro tanto più a errare, quanto più essi s' attennero alla metafisica, e si scostarono dall'esperi. mentare e asservare. Dovettero scorrer piů Dice? 17 bile su 40 secoli, perchè venisse in grande stato lo studio della natura. S'apparteneva veramen te a'nostri tempi, che congiunte chimica e meccanica avesser portato la fisica a quel grado d'altezza, in cui oggi si trova. Ma è sempre da confessarsi G. e De. mocrito aver gettato i primi semi di que' vantaggi, che cal favore del tenipe la fi. sica ha oggi ottenuto. Le opinioni di G. sų gli ele menti, e sull'origine delle cose, se non son vere, almeno non sono ingiuriose nè al la sua mente, nè alla sua filosofia. Splen dono tra gli abbacinamenti chiari i lampi d'ingegno, e un metodo sopra ogn' altro riluce, che l'avrebbe guidato alle più bel, se gli errori de' tempi non gliel' avessero contrastato. Ma non è così, quando il nostro filosofo alle cose si rivol ge, che trattan d'Astronomia. I suoi sen timenti su gli astri sono altrettanti assurdi. G. il fisico pare altr' uomo, e tut. to diverso da G. astronomo. Tal differenza, che veramente è notabile, se 1 le scoperte, 41 non m'inganno, nasce da ciò, che la sua fisica si trae in gran parte da' frammenti de' poemi di lui; là dove le sue opinioni astronomiche ci vengon quasi tutte dagli Storici degli antichi filosofi. ' Non senza ra gione quindi si può sospettare, che i suoi pensieri non sono strani e deformi, quan do egli stesso l'annunzia; e al contrario pajono sconci ee mostruosi, allorchè altri parlano in vece di lui. E maggiore tal congettura, qualor si considera que compilatori essere stati grossissimi delle cose a stronomiche. Costoro affastellano in confuse opinioni de’ filosofi, e o abbreviando le mozzano, o interpolando le allungano, o pure in qualunque altra manieria, senz’alcuno intendimento, ogni cosa deformando's le alterano. Non è quindi duro a com prendersi, gli storici del nostro filosofo, tra per l'imperizia delle cose del cielo, e per l'espressioni di lui, ch'eran tutte fi gurate e poetiche, averne contraffatto la sua astronomia. Non si negan con ciò gli errori, in cui egli per avventura avesse potuto cadere. So benissimo l' astronomia dei Greci, sfornita.com'era in que' tempi d ' osservazioni, ridursi, tolto il nascere o trae montar d' alcune stelle, a una raccolta d' antiche tradizioni, o di opinioni bizzarre. Si conviene pure Empedocle aver potuto di: re il movimento del Sole essere stato da prima più lento, che a' suoi tempi non e. ra. Si concede altresi aver lui potuto opi nare l'asse della terra aver pigliato una po sizione all' Eclittica inclinata, che prima non avea: (usanza de' cosmogoni acconciare a lor talento le parti dell'universo, e condur le allo stato, in cui ne' suoi tempi si trora no ). Ma non si può affatto credere, Empe docle aver tenuto i tropici quasi due mura glie, cui giunto il Sole, essere stato stretto a torcere il suo cammino; e aver segnato și fatti circoli non altrimenti che due confi. ni, che impediscono il Sole camminando verso i poli d'oltrepassare il suo termine. Chiamò egli que circoli con linguaggio fi. gurato i confini del Sole; perchè a quel li il Sole giungendo par che il suo cam, 1 43 mino rivolga. In breve intese egli indica re l'obbliquità dell'eclittica, e segnar lo spazio in cui il Sole fornisce l'anquo ap parente suo corso. Giacchè l'anno si com putava allora da’ solstizj, i quali dall'om bre osservar comodamente si possono coll? ajuto dell'ago. Con tali e simili sconcezze si è guastata l ' astronomia di G.; Però se tra per difetto di memorie di lui, e per ignoranza degli storici, ė, ben diff cile d' indagar ciò che G. penso sul. le cose del cielo; è assai più difficile sa per, ciò ch'egli non disse, e a torto a lui appongon gli storici, Temendo gli Ateniesi, che la terra fosse stata un'abitazione mal soda, furon solleciti della sua stabilità. Provvidero e glino alla propią sicurezza, e a quella del genere umano: ma colla sola fantasia a modo del volgo. S'appresentarono la ter ra in forma d'un monte, le cui barbe vanno a profondare e perdersi negli ultimi lontani confini dello spazio. Assegnarono ina sieme alla terra già divenuta nionte il suo vertice di forma rotonda; e quivi loc:arono ferma sicura l'abitazione degli uomini. A mente dunque di quel popolo il Sole e gli astri non givan mai sotto la terra, che nol poteano; ma spuntavano e tramonta vano girando intorno intorno a quel verti. ce. Questa opinione, che in Atene era un pubblico dogma, non si potea contra star da filosofi senza grave lor danno. Il popolo pigliava alto sdegno di chi osava sen tirne in contrario, e contro lui si scaglia va, come contro chi avesse tentato di som. muover la terra é perdere a capriccio.il genere umano. I filosofi d'allora tra per che adularan la plebe, come chi più che gli altri soglion fuggire i pericoli; o per ehe su ' ciò nulla dissimili dal volgo crede van lo stesso; non mai vi fu alcuno, che avesse ardito negare il monte, le radici, il vertice, e la finta figura della terra. Non cosi fece il nostro filosofo, che molto perito nelle cose naturali, anche da Sici lia si scaglid contro sì fatta sentenza. Ri dea egli del monte, delle radici, del ver 45 tice.e aspramente ripiglio, Xenofane, che avea per immensa la profondità della ter ra. Chi, dice G., tali co se divulgano, o poco veggono, o nulla san. no dell'universo.; Altri e lontani da quelli del volgo fu. rono i sentimenti d' Empedocle intorno al la terra. Fu opinione di lui, che fuoco bruciasse nel centro di questa. I sassi i dirupi, gli scogli, ei riguardò come sco rie, che la virtù di quel fuoco avea in alto levato. L'acque, che sorgon terma li, quelle sono, a suo credere, che sotter ra scorrendo piglian calore dal quel mede simo fuoco. G. in somma im maginò sin d'allora l'ipotesi del fuoco cen. brale, che Buffon, non è guari, più bel la e vistosa ha richiamato alla luce. Pensavano gli Jonici, che la terra sospinta dal vortice che occupava tutta la sfera, era stata condotta nel centro di ques sta. Ma non sapeano essi comprendere, come quella, sfornita d' appoggio, ben li brata si stesse nel punto di mezzo. Timidi quindi i filosofi al par del volgo, ne dilatavan la base, e tormentando i loro ingegni si sforzavan di sostenerla colle ipo: tesi. Talete avvisò la terra restar sospesa nell'aria, non altrimenti che un galleggian te sull'acqua, Democrito e Anassagora ne fecero la base non che larga, ma conca va; aifinchè l' aria quivi sotto racchiusa la potesse sostentar con sodezza. Parmenide di VELIA credette sostenerla col principio della ra gion sufficiente. La terra a suo pensare stava nel centro, perchè non avea ragio ne, che la portasse per questo più tosto, che per quel verso, Ma il nostro fisico si dilung) da co storo, e con altri principj prese a spiegar sie la stabilita. L'acqua nella cosmogonia di lui s' era separata dalla terra per l'im peto del giro, che questa facea. Pe. rò la terra nel suo sistema rotaya. Rota va del pari secondo lui il cielo; è altra differenza non pose nella rotazion dell' una e dell' altro, che nella velocità, Minore la yolea nella terra, che stava nel centro; 47 1 rola, ando il cla colo come star galo raal Po maggiore nel cielo, che in giri smisurati si volgea. Da cid appunto egli ne trasse e perchè quella stesse in aria sen za cadere. Se girate, egli dicea, con pre stezza una secchia; l'acqua non cadrà, ancorchè nel girarsi si tenga capovolta. Tal è nella sfera i La conversion celerissi ma del cielo vince ogni peso e ritiene la terra. Al moto dunque del cielo egli in catenava la posizion della terra nel cen. tro, il suo rotare, e lo starne, Si sihar rì, egli è vero, in quella spiegazione al par degli altri; perchè allor s'ignorava la gravità della terra esser diretta al suo cen. tro. Ma il suo metodo di ridurre più fe nomeni a un solo, e ripescare ne' fatti la ragione di quelli, è molto degno di lode. Dall'esperienza della secchia, che pre stamente si volge, han preso argomento chi son portati per l'antichità, aver co nosciuto il nostro filosofo la forza centrifu. ga, Ma a pensar giusto, ignorandosi allos ra le leggi del moto, niuno ebbe, nè as ver potea l'idea vera e matematica di quel, 1 ajd a $ permas 30, ho murah ento: 48 d he Te la forza. Egli è vero essersi saputo in que' tempi, e da G. essersi ben dimo strato la velocità del girare impedir la ca duta de' gravi. Ma questo era fatto, non forza, e più esempio, che principio. Eran sì lontani G. e gli antichi di cono scer quella forza, che presso loro fu fer ma e costante opinione, i corpi a cagion di circolazione avvicinarsi al centro se pe santi, fuggir dal centro se leggieri. Ma se'a lui si può contrastare la co gnizion della forza centrifuga, gli si deve certamente quella concedere della rotazion della terra. Opinione era questa comune presso noi ne' tempi greci, e propia in ve rità della nostra Sicilia Giacchè Ecfanto e Iceta la divulgarono in Siracusa; ma sin da tempi antichissimi G. l'insegno nella nostra Gergenti – e NON GIRGENTI. Avea il nostro Astronomo il Sole e le Stelle, come se fossero della stessa natura. Opina egli quello e queste esser di fuoco. Ma non perciò è da credere, ch ' ei tenesse la luce per eguale o simile al R te te e 1 49 1 fuoco terrestré. Non sapendo egli qual fose se la natura della luce, che per altro è ignota anche a noi, tenea il Sole come una massa ignita, che lanciava nella sua sfera le sottili sue particelle. Queste ei credea, che dal Sole si moveano, e pro gressivamente propagandosi giungeano agli occhi. La luce, dicea, va prima nel mez zo, e poi perviene sino a noi. An ticipava così la scoperta bellissima della pro pagazione della luce, che i Satelliti di Giove doveano in tempi avvenire rivelare a Roemero. La vide, egli è vero, coll' in telletto, e senza ridurla a fatto, la lascið nel posto di semplice opinione. Ma nel tempo de' sogni e dell'ipotesi è degna cer to d'ammirazione quella opinione, che coll' andar de' tempi è stata condotta al grado eminente di fisica verità. L'emission della luce fu l'ipotesi, ch' allor tenne G., e cui oggi s' acco stano chi non vogliono vaneggiar per no velle bizzarie. Questa a dì nostri d ' alcu ni è rigettata, e in que' tempi era ancor contrastata. L'ipotesi che il Sole quanti raggi manda, altrettanti ne perde, fece al lora, e ha fatto oggi credere a parecchi, ch ' egli raggi mandando, e raggi perden do sì gradatamente impoverirà di luce, che collo scorrer de' secoli giungerà sino a spe. gnersi. Newton all'incontro dimostra in sensibile essere stata la perdita della luce solare dal principio delle cose sino a noi. Anzi egli quasi sforzandosi d'assicurar la luce alle future generazioni, cerca di sup plir la massa solare con quella delle co mete. Le quali attratte dal Sole, quan do nel suo giro sono vicinissime a lui, e su lui cadendo, colla loro materia vanno a risarcire la perdita diurna delle particel. le solari. Ma G. in un modo, che se non sarà forse il più vero, è certamente assai più ingegnoso, s' industrið provedero alla durata del Sole. Siccome i raggi lan. ciati dal Sole son poi riflessi dalla terra; cosà egli pensd, che quelli dopo la rifles, sion concentrandosi, ritornano al Sole. Però questi per riflessione acquista quel, che per enuission perde; e atteso un sì fat to circolo durerà sempre lo splendore del Sole. G. quindi potė ben dire la luce essere al presente una riflessione di quella che fu una volta lanciata dal Sole: Ma i compilatori dell'antica filosofia non capirono i sensi del nostro filosofo. Credette ro essi due essere i Soli di G., uno invisibile, visibile l' altro, che collocati in due opposti emisferi si guardavan tra lo ro. La terra, eglino dissero, riflette al se condo i raggi invisibili lanciati dal primo; e quello poi in forma di luce li rimanda alla terra. Ecco con quali sconcez ze quegli storici guastarono i divisamenti del nostro filosofo sull' emission della luce. Non meno speziosa fu la difficoltà, che s'oppose a G. ne' suoi tempi contro la succesiva propagazion della luce. Siccome nel tempo che la luce viene a noi, il Sole si move; così l'occhio astretto a seguire la direzion della luce, vedrà il Sole in un punto, in cui fu, e poi non g  è più. Empedocle a rispondere, non prese scampo nella prodigiosa velocità della luce, o in qualche sottigliezza, cui i fabbri di si stemi soglion rifuggire. Non è il Sole, ei di cea, ma la terra che in ventiquattro ore si volge: La terra' dunque nel rotare s’im hatte ne' raggi solari, ed essa prolungan doli va a trovare il Sole nel punto, in cui egli sta. Non si potrebbe di certo a di nostri in miglior forma rispondere a chi in quel modo vclesse attaccar l ' emissione e successiva propagazion della luce. G.  ha la Luna come opaca, perchè frapponendosi tra il Sole e la ter ra cagiona l' ecclisse. Plutarco a lui solo, mettendo in non cale tutti gli altri, da il vanto d' aver divolgato la Lu. na essere un corpo privo affatto di luce, che riflette i soli raggi solari. La chiarez za della Luna' ei chiamava non che dolce e bénigna, ma insieme straniera. Una lu ce straniera, dice G. qual poeta, circola intorno alla 'terra. Ma G. ebbe la disgrazia d' aver avuto guastato ogni suo sentimento. Achille Tazio dall' epiteto di straniera dato alla luce lunare da G., ricavo, non so come, il medesi mo aver tenuto la Luna qual pezzo svelto dal Sole. Ma buon per noi che ci sia re stato il verso di G., che smentisca l'interpetrazione di Tazio: Anassagora per dare una misura del So le riferì la grandezza di quest' astro al solo Peloponneso. Il nostro filosofo fu il primo, cui venne in pensiero di comparar Sole e Luna tra loro. Egli credea che il Sole fosse stato più della Luna distante dalla terra so pra due volte. Ciò non ostante affermo quello essere stato assai più grande di que sta; sebbene ambidue fossero appariti dello stesso diametro. In somma l'ineguale distanza fu per lui certo argomento della lo ro diversa grandezza. Parrà ad alcuno ciò essere stata cosa di lieve momento; e pure fu un passo, e un avanzamento che allora fece la scienza del cielo. Giacchè niun altro prima di G., ed egli fu e il solo e il primo, che insegnò gli astri lontani doverci comparire piccoli più de' vicini. E gli pure fu il primo che pose in confronto tra lor gli astri non solo, ma i loro diame tri. Dopo hui in fatti prima Eudosso misu rò i diametri apparenti della Luna e del Sole; e poi cominciarono i Greci a stabili re i periodi lunisolari, da cui nacque, e s’avanzò l'astronomia de' medesimi. Si potrebbe quì aggiungere a formar tutto il quadro dell'astronomia del nostro fi losofo, aver lui forse conosciuto che la Luna rotando intorno a se stessa si mova circa la terra. Ma punto non conviene dar a G. una gloria o dubbia o sospetta. Basta aver levato a suoi pensieri astronomici quella ruggine, di cui li bruttò l'imperi zia di quegli storici. Appresso l' onorano al cuni qual autore d'un poema sulla sfera in cui si descrive, secondo l'uso de' tem pi il nascere e ' l tramontar d' alcune stel le. Ma i critici illuminati han quello come opera d'ignoto autore e non di lui. Io non discordo da loro; anzi confesso non essere stato G. intento a osservare, 1 1 come si conviene nell' astronomia. In quell' età si costruiva il cielo da' filosofi non si osservava. Era quella la stagione della fan tasia, delle opinioni, e dell'ipotesi, che suol sempre precedere l' altra, che porta seco il raziocinio, l'osservazione, la veri tà. Però non è poca la gloria di G. nell' aver conosciuto la ' successiva pro pagazion della luce, la rotazion della ter ra, l'opacità della Luna, è scostandosi dalle volgari stravaganze nell' aver compa rato il primo le masse tra loro della Lu na e del Sole. Se non può egli quindi emulare Timocari e Aristillo, Ipparco e Tolomeo, che nella Greca astronomia fu ron chiarissimi; pure non è da negare lui aver saputo delle cose del cielo assai più che la sua età non portava. Vennero quel. li assai dopo, e in tempi assai più illu minati e felici; e non è maraviglia, che questi fossero stati di quello migliori. Una fiaccola più o meno brilla, quanto più o meno pura è l ' aria, in cui brucia. Dal cielo tornando alla terra non più 56 & troviamo il nostro filosofo, che immagina l' origin delle cose; ma che studia e in terpetra con senno la natura. La prima verità, che c'insegna, non già ragionando ma coll'esperienza, è il peso e la molla dell' aria. Mette egli in opera in difetto di macchine e di strumenti la clessidra, che s'usava allora da' nostri come orolo gio a misurare il tempo. Avea questa la sua figura conica; la base forata a guisa di minutissimo vaglio; e il collo lungo che stringendosi sempre più andava a fi nire in un sottil bucolino. Si tenea allora la clessidra col collo all'ingiù; e l'acqua, di cui era piena, lentamente gocciolando misurava le ore. Questa appunto fu la macchina di G., che nelle sue ma ini diventò indice e misura di fisiche verità. Introduce ei da poeta una donzella, che trastullando colla clessidra la vuol en piere d'acqua. Ne tura essa l'orifizio col le dita, e postane la base all' ingiù, cala quella verticalmente in un fonte. Entra allora l'acqua per la base forata; ma per SC ay is ce 9 in C  quanto la donzella prema, e travagli, la clessidra non si può mai empiere tutta. Stanca finalmente la verginella, alza le di ta, con cui chiudea quell'orifizio; ed ecco l'acqua che sale, e giunge alla cima. Proposta l' esperienza, G. ne' suoi versi ne soggiunge lo spiegamento. L' aria, dice egli, che sta racchiusa nella cavità della clessidra, colla sua molla, resiste all' acqua, e la ripara di venire all'in su. Ma appena la donzella alza, le dita, l'aria e sce, e però l'acqua non più impedita dall' aria sale, e tutta empie la clessidra. In altro modo ci presenta ei la don zella. Finge egli che questa volti la cles sidra; e allora un altra prova egli ci reca del peso e della molla dell' aria. Chiude es. sa colla mano il bucolin della clessidra, questa piena d'acqua volge colla base all' in giù; affinchè l'acqua tutta fuori si ver si. Ma non senza sua sorpresa s' accorge che l'acqua, lungi di cadere da ’ forellini della base, si ferma: Alza ella quindi la mano con fretta; ed ecco l'acqua goccio h  re il a lare, e a poco a poco cadendo tutta fuori versarsi. Dichiarato il primo, ſu agevole a G. spiegare il secondo esperimento. L' acqua, dicea egli, si sforza d' uscire da' fo. rami della base. Ma l'aria sottoposta si resiste colla sua molla, che venga a vince peso dell' acqua. Subito che la don zella alza la mano, l'aria di sopra preme l'acqua sottoposta; e questa, ajutata dall' aria soprastante, vince ogni restistenza, o vien fuori. Con tali esperienze, delle propietà dell' aria mostrava egli e il peso, e la molla. Ciò nulla ostante furon quelle nell'età d'ap presso poste ingiuriosamente in obblio. Se noti fossero stati al rinascer delle scienze gli esperimenti di G., non si sareb be certo levato tanto grido per l'invenzion del barometro. Ivi il mercurio sta sospeso dalla forza dell'aria, come l'acqua sta so spesa entro la clessidra dalla forza egual. mente dell'aria. Si fatte esperienze, che oggi son volgari, allora erano rade e uti € 59 lissime alla fisica. Smarriti i Greci in que? tempi o dalla lor fantasia, o dalla lor me tafisica, non pigliavan cura nè d ' esperien. ze, nè d'osservazioni; e privi di fatti, co storo eran pur privi di scienza · Ne' versi di G. quindi il principio si trova, e la nascita dirò così della fisica; perchè ivi si trovano i primi esperimenti. Democrito al par di G. piglia va anch'egli allora la via de' fatti: sebene ambidue ne fossero stati presto raggiunti dal divino Ippocrate. Sicché questi tre som mi uomini cercarono allor di fondare un epoca novella nella Greca filosofia, sfor zandosi di condurre gl'ingegni a studiar la natura coll' esperienza, e colla osservazio ne. Ma tal metodo, ch'è lento, ostenta to, non potea esser gradito a Greci, che impazienti erano e caldi; e però da pochi fu pregiato ed impreso. Sebbene G. avesse posto ogni studio nello sperimentare; pure fu solo in Sicilia, senza stromenti, nell'infanzia dela la fisica. Ne si creda Democrito, e Ippocrate avergli potuto giovare, essendo e co lui di region lontanissima e questi de tempi d'appresso. Pochi eran quindi i fat, ti, che potea egli raccogliere. I medesimi non gli eran mica bastevoli all' uopo, ch' era assai vasto, e che giusta l'usanza de tempi abbracciava tutta la natura. Di che veniva, ch'egli spesso era costretto a suppli re il difetto de' fatti; e ciò il fece con assai sagacità e senno: cui nercè l'arte inventò del congetturare. Questa non gia che fosse stata da lui ridotta in canoni come si svol presso noi, che in ogni cosa abbondiamo di regole; ma intriseca si tro va, e quasi nascosta ne' suoi ragionamen ti. Anzi io credo non potersi in miglior modo rilevar l'artifizio del suo metodo, che descrivendo l'andamento del suo spi rito; allor quando pigliò ei a comparare i vegetabili agli animali. Furon tanti, e di tal momento i rapporti, con cui egli quel li a questi lego, che giunse a scoprir del, le verita, che son degne non che di ricordanza, ma di stupore. Il seme, il sesso, la generazione, la nutrizione, la traspirazion de’ vegetabili fu. rono i varii sorprendenti oggetti su cui fil filo s'applicò la sua mente. Da prima avverte. G. comune essere il fine assegnato dalla natura 'e agli animali e a ' vegetabili. Un animale, o una pianta, egli dioe, voglion produrre animali, o piante simili a se. Questo fu messo da lui come base delle sue illazioni, e co nie fermo segnale d'un punto, da cui egli partendosi non s' avesse potuto mica smarri re nel proceder più oltre nelle sue nuove scoperte. Soggiunge egli appresso: come l' animale viene dall'uovo, così la pianta dal seme. Attesi questi fatti comincia o ' specolando a filosofarvi, e da quelli guidato va con franchezza formando le sue conget ture. Se l'uovo e il seme, egli prosegue, comune hanno il fine, ch' è la produzio ne; debbono l'uno e l'altro colla stessa attitudine, e col medesimo impeto tendere al medesimo fine. Da sì fatto fine ad ambi comune egli argomenta, come da un indice, comune dover essere la natura del seme e dell' uovo. Ma G. forse à tal indizio si ferma? Nullameno. Egli torna di nuovo a fatti, mette in opera da capo osservazioni; e si sforza rintracciar co. sì la natura dell' uno e dell'altro. Empedocle tirando avanti la sua stes sa traccia, trova e distingue sì nell' uovo che nel seme, non che germe, ma materia che il germe nutrisce. L'animaletto fin, chè non nasce, o la pianticella finchè non abbarbica ', traggono alimento da quella, Non è già, aver lui conosciuto le foglie seminali; o aver lui detto la placenta u terina portar nutrimento all' embrione per via del funicolo umbilicare. Egli non al tro conobbe, che due esser debbano nell' uovo e nel senię le parti principali e muni: il germe e i cotiledoni, che l'ali mento preparano alla pianticella, o all’em. brione, o nel seme, o nell' uovo. Il nostro fisico quindi più non distinse dirò così ani mali da piante. Ebhe egli il seme qual uovo de vegetabili; e chiamò le piante col soprannome d ' ovipare. Ecco avere G. svelato agli uomini assai prima d’Ar véo tutto ciò, che nasce', non d ' altro pro venir che dall'uovo. Teofrasto infatti, e Aristotile a G. solo attribuiscon la gloria della scoperta di tal verità, e gliela dan come propria. La fatica d’Arvéo, fu egli è vero, utilissima all'avanzamento del le scienze, e degna di tutta la lode. Ma egli pubblicando di nuovo lo stesso ritrova mento di G., null' altro fece che as sodar vie più colle prove ogni cosa nascer dall'uovo. Chi adesso non giudicherà mag. gior l'eccellenza dell'ingegno di chi colla mente va congetturando ciò, che del tutto s’ è ignorato in preterito, e prevede ciò che sarà da scoprirsi in futuro? Il nostro fisico, guidato com' egli era dall' induzione, spinse più oltre i suoi ra gionamenti'. Affermd le piante al par de gli animali dover essere tutte fornite di ses so. Conosciutosi da lui il seme null' altro esser che uovo, come l'uovo si feconda per l' union del maschio colla femina; così argomentò egli del pari il seme per la mescolanza di que' sessi doversi fecondare. Franco ' quindi e sagace stabili egli il pri mo, ed egli il primo distinse il sesso ma schile e feminile in ogni vegetabile. Non si dubita prima di lui essersi conosciuti ma schi e femine tra ' vegetabili: ma ciò soltan to attribuivasi a palme, fichi, canape, pi stacchi. Però dal nostro fisico prende ori gine il sistema, su cui oggi posa tutta la Botanica. Egli è vero non aver lui allora ne cercato, nè mostrato gli organi genita li nelle piante, come poi han fatto con grande studio i moderni; ma ciò facea e gli sempre col ragionare, e quelli vedea dirò così, coll' intelletto. Nella testa de' grand' uomini, come dotati d'una specie di tatto pella verità, la forza delle con getture si sostituisce talvolta all' evidenza de ' fatti. Facea Empedocle a guisa d'un gran dipintore, che solo abbozza il quadro con poche, ma pennellate maestre; e la scia poi agli altri la cura di compirne il disegno, di colorirlo, e abbellirlo. Arveo definì tutto nascer dall'uovo: Zalunziaski, Millington, Camerario, Vaillant prima, e poi Linnéo mostrarono il sesso nelle piante. Ma costoro tutti quanti assodaron la dottri na, e compiron l'idea tracciata dal nostro Gergentino. GERGENTI non GIRGENTI. In verità non è poca la glo ria che a costui torna nell' aver lui il pri mo schizzato degli originali, che di mano in mano col favore del tempo si van tro vando in natura. Contemplare Empedocle, che conget tura è uno spettacolo degno d'un filosofo. Ora egli scorto dall'analogia supera tutti i suoi contemporanei', e più oltre proce dendo va diritto a trovare altre belle ve rità. Ora privo di fatti, non ostante il vi. gor di sua mente, tentoni cammina incer to tra verità, ed errore. Conobbe egli il sesso sol nelle piante. Ma altro non pote va egli conoscere, attese le poche anzi le rade verità solamente allor note. Quante altre osservazioni, quante altre verita gli mancarono? Ignoto era allora l'antere, e gli stigmi esser gli organi genitali delle pian i 06 cer te, e questi trovarsi ne' fiori. Niun sapea il polline portato da venti aderire allo sti gma per via dell'umore, che in questo si stà. Chi aveva allora osservato la Passiflo ra, la Graziola; e ' l Tulipano, che come agitati d'estro venereo, erranti van cando la polvere, che loro fecondi? Chi s'era accorto, in que' tempi la Valisneria, e l'altre piante acquatiche sul punto de’ loro amori alzar lo stigma dall? acque, per accoglier cupide, e aperte la polvere de' loro maschi? Non è però da recar mara viglia, se nell'ignoranza di tali fatti non seppe Empedocle comprendere, come le pian. te, che fitte stan sulla terra, si potesser congiungere per far la lor generazione a guisa degli animali. Ma tenne egli come cosa non che non dubbia, ma certissima, e l'induzione già gliel' aveva indicato, che il seme per l'unione si feconda della fe mina col maschio. Però egli, posti in cia scuna pianta, come sullo stesso talamo, quasi marito, e moglie, disse tutte le pian. te dover essere ermafrodite. Fil questo, egli è vero, un errore; perchè in al cune piante i due sessi son del tutto se parati, e distinti. Ma altresì, egli è vero, la più parte delle piante alla classe ap partenersi dell'ermafrodite; oltr'a quelle, che sono androgine, e poligame. G. appresso, il mistero passo a indagare della generazion de’ vegetabili, con quella confrontandola degli animali. Gran cose in prima osò egli dire sul la generazione animalesca. ' Immaginò egli starsi divise ne' liquor seminali de’due ses si particelle analoghe al corpo d'ogni ani male. S'ideò egli queste nella unirsi, e l'embrion formare del corpo or ganizzato. Il carnale appetito egli ri pose in quelle particelle, che, separato trovandosi nel maschio e nella femina, ten. dono naturalmente a unirsi. Ad abbondan za de' due semi la cagione ei riferisce del parto o doppio, o triplo; e a scarsezza o disordine degli stessi la nascita d'ogni sor ta di mostri. La prole secondo lui al pa dre o alla madre somiglia in proporzione generazione i 2. del più o men prevalere del liquor semi nale quando della femina, quando del ma schio. La ragione inoltre crede lui dare della sterilità delle mule, che all' angustia attribuisce e obbliquita de canali della loro figura. Varie spiegazioni va in com ma egli fantasticando, che io piglierei ros sore di chiamar sogni, se chi han tratta to della generazione, non avessero sinora sognato al pari di lui. Le molecole orga niche di Buffon, i vermi spermatici di Le wenoek, l'uova di Bonnet e,di Haller, il filamento nervoso di Darwin, non sono clie ipotesi più o meno, false o tutte immagi narie. La fantasia inoltre, che tutte domi le umane, s' avvide G., poter avere anch'essa una parte nella ge nerazione. Ricordava ei delle donne, che aveaito dato in luce bainbini simili a sta. tue o pitture, cui quelle, essendo gravi. de, aveano a caso fisamente guardato. Opinò egli quindi la fantasia della femin na, non altrimenti del tornitore sul legro, na cose  2oho da ede lidt? po 12.06 maa Potere dar forma, e simiglianza al feto. Non inancan.oggi, chi credono poter più operare l' immaginazione del padre che alle quella della madre. Ma niun disconviene, ato quasi secondo il linguaggio di G., che la fantasia o della femmina o del maschio, giunge talvolta a tratteggiar, dirò cosi, le membra, e la fisonomia della prole nel ventre della madre. Da si fatte cose, stabilitasi. anzi tem po da G. la famosa analogia tra' vegetabili, e animali, trasse egli, e cona chiuse del tutto eguale a questi duver es sere la generaztone di quelli. Ne men dissimigliante tra loro, dice G., dover essere la nutrizione de gli uni e degli altri. I vegetabili e gli a nimali dicea il nostro filosofo, gli alimenti scompongono, e quel traggon da éssi, ch' è conveniente e accomodato alla loro na turá. Ciò egli credea farsi in ambi due per via dell'affinità insieme e de' pori. Dell'affinità cosi egli parlava. Siccome le cose amare all'amare si uniscono, le dol UD Eury 7 Pizze,the is on sullink ei de 1 dis Tec cer ci alle dolci; ogni sinile in somma al suo simile: cosi gli esseri organizzati quel pren dono dagli alimenti, che lor si confa, e può nutrire ciascuna delle propie parti. Chiaro fu eziandio il suo parlare de' po ri. La nutrizione, egli è certo, separarsi e dividersi negli animali, e ne' vegetabili per mezzo de' pori, che son differenti in dia metro. Le particelle, dette nutribi li, è certo altresì non potere indistinta mente entrare per qualunque di quelli: ma ciascuna insinuarsi nell' orifizio di que' bucolini, ch'è analogo alla propia gran dezza. Un vino, egli dice, è diverso da un altro, attesa la differenza non che del terreno ma della stirpe. Ecco come par, che il nostro filosofo avesse voluto vie più assodar la sua opinione della forza dell' affinità, e de' pori, massime su i vegeta bili (ch'è poi propietà d'ogni corpo orga nizzato) i quali giusta la propia organiz zazione han da quelli preparato gli ali menti, e si rendon capaci di saporé diverso. A senno dunque d'Empedocle la nu se su red nog Ila ti co re со ali 71 Fari trizione si opera tra per l'affinità, e la ti que varia ampiezza de ' pori per canali diversi, ce e va svariatamente, ma sempre in pari re preciproco modo, vigore é aumento porgendo agli organi diversi sien de' vegetabili, sien degli animali Empedocle frattanto, il modo volendo indicare, con cui la nutrizione si sparge e dividesi fra gli organi diversi, abbiam noi veduto essersi rifuggito all' affinità, ch'è certamene un'ipotesi. Ma che maraviglia; se dopo la serie di tanti secoli da questo suo pensare non sono mica iti lontani pa recchi pur tra’ moderni? Grande in verità e diligentissima è stata oggidì la fatica de nostri fisiologi nell'indagare i fenomeni del la nutrizione, Gli hanno essi ridotto a ' fat, ti, o a leggi generali, che son propie e comuni a tutti i corpi organizzati. Nè pu re eglino han trascurato di trovare nella contrattilità organica la forza, con cui gli alimenti son trasportati in canali opportuni non sol negli animali, ma eziandio ne've getabili sino all'alto delle propie foglie. Ma TX, ام د ገን muito con tutto cið o nulla o poco si sono essi avanzati nell'additar la maniera, con cui si fa la nutrizione per gli organi diversi. Non si nega oggi darsi da' più a varii organi, una specie di gusto, cui mercè quel suc chino, e tirino, che a ciascuno in partico lar si conviene. Ma poi tal fatto pensa mento mostra forse esser del tutto falso il ritrovato d'Empedocle? E' troppo vero, cho la natura yince in molte cose, e vincera sempre ogni nostra speculazione e fatica e da filosofi per lo più non si recano, cho sole congetture, ed ipotesi, Fattisi vedere eguali da Empedocle i rapporti degli animali co' vegetabili nel se nie e sesso, nel generarsi e nutrirsi, non re. stava altro a lui che applicarsi sulla tra spirazione comune ad entrambi. Conobbe egli, che gli uni e gli altri per via de' pori similmente traspirano, e quella parte degli alimenti tramandano che loro è su perflua. Alla traspirazione di fatto attribuì costui o il perdersi dagli alberi nella fred da stagione, o il serbarsi quelle foglie, che dalla natura, non a caso, ma particolar mente sono ordinate al traspirare e al nu trir delle piante. I primi, ei disse, tra spiran molto in estate, e spossati levan le foglie in autunno. I secondi traspiran po co in estate, e robusti ritengon le foglie in inverno. Fonda egli la copia o scarsez za del lor traspirare sull' ineguale diame tro, e contraria posizion de' lor pori. Gli uni a suo giudizio hanno larghi i pori del le radici, angústi quelli de' rami. Gli al tri all'opposto angusti i pori delle radici, larghi quelli de' rami. Però i primi più, succhiando, e men traspirando non levan le foglie. I secondi men succhiando e più traspirando perdon le foglie. Se una si fatta posizione di pori, che immagind il nostro fisico, fosse stata confermata dalle osservazioni, avrebbe sin d'allora egli sciola to un problema, che non poco fastidio grandissimo stento ha recato a ' moderni. Era rizio comune a quell' età organizzare ad arbitrio gli esseri della natura a fin di. poterne presto dichiarare i fenomeni. Egli k e. 0 1 è vero non esser mancati a di nostri, chi abbian conosciuto e distinto ne' vegetabili non meno di quattro specie di pori. Ma chi ha potuto, o con qual microscopio potrà mai rinvenire, che a ' pori o larghi o stretti delle radici corrispondano a rove scio quelli de' rami? Pur tuttavia a G. in parte siam noi debitori della ragione, che mostra il come dagli alberi cadan le foglie. La famosa traspirazione ne' vege tabili, da lui allora scoperta, scioglie og gi a noi con somma nostra ammirazione o senza nostra molta fatica un sì bel pro blema. Ognun vede le foglie cader più pre sto, quando la state è più calda. Ognun pur vede gli alberi robusti più de' deboli più tardi svestirsi di foglie. Anzi ognun vede altresì quegli alberi in inverno rite ner le foglie, che poco traspirano. I 100 derni al più han distinto le foglie, che cadono in pezzi da quelle, che intere si staccano, secondo che l'une o l'altre sono al tronco diversamente attaccate. Costoro 75 di più son giunti a conoscere, che alcuno foglie cadono intere, prima che le nuovo dalle lor gemme si svolgano, e altre ristan no finchè non ispuntin le nuove. Da ciò essi han tratto, che quegli alberi, i quali gettan le foglie dopo lo spuntar del le gemme, debbon mostrarsi verdeggianti in inverno. E che all'incontro quegli altri, i quali gettan le foglie pria dello spuntar delle gemme, debbon vedersi nudi nella stege sa stagione. Che perciò? i nostri fisiologi forse san. no oggi della caduta delle foglie dagli al beri assai più di quel, che ne seppe al. lora il nostro filosofo? Abbian quanto si vo glia convenuto oggi i moderni le foglie tra. spirar più quanto più abbondano di pori. Abbiano quanto si voglia pure costoro af fermata la copia o della traspirazione o de' succhi si travagliar le foglie, e i lor vasi ostruire, che finiscan di vegetare, muoja no, e cadano. Eziandio ne abbiano essi inferito tutti gli alberi dovere perder le fos glie, chi in Autunno, chi in Primavera. Ma k 2 26 de 60 fu NI tal differenza non è se non perchè le fo glie di quelli più, e le foglie di questi meno' traspirano, e l'une servon più, l' altre meno alla nutrizion delle piante? E non è questa la grande scoperta appunto d' Empedocle, e che forma uno de' suoi gran di elogi? Il pigliare i vegetabili e gli animali au mento dal calore, il goder di gioventù, il cadere in malattia, il giungere alla vecchiez za, sono altresì que' tratti di simiglianza perfetta, che il nostro fisico andava a quel. li aggiungendo. Nè lascid ei di notare, che i vegetabili al par degli animali si muv vano, resistano, si raddrizzino. Gran de com' egli era di mente, e degno d' in. terpetrar la natura, talmente s’ ingegna va di legare il primo con poche o comu ni leggi i due regni, che paion tanto di stanti e discordi tra loro, il vegetabile e l' animale. Gli antichi presero maraviglia di questo specolazioni di lui, e si ne restaron convinti, che si sforzarono aggiungervi qual che cosa del loro, G. aveva già 0 PE C te 77 detto, che il seme senza più è nella ter ra ciò, che il feto nell'utero ed egli no procedendo più oltre' non ebbero a schi fo affermare la pianta essere un animale fitto in terra per le radici, e l'animale una pianta, che cammina. I moderni poi non han tralasciato punto di assai profittar de pensamenti di G., cui mercè tira ta avanti la traccia e allungati, diciam.co sì, i suoi stessi passi, sono iti scoprendo nuovi rapporti, che agli attimali legan le piante. Le piante dormire come gli anima li; respirare coni'essi; avere i lor muli; pro. pagarsi i polpi al par delle piante; esservi animali (che son quei, che vivono attacca ti alle pietre ) che cercano la luce e vergo essa rivolgonsi, come appunto fanno le pian te: questi e simiglianti sono i grandi ogo getti, su cui i moderni profittando di G. si sono fissati. Ciò non ostante no tante, e di tal momento le differen ze, che separano gli animali da' vegetabili, che non è stato possibile di ridurli in tut. to giusta la pretesa di G. alle medesime leggi. Pare soltanto che nel presen te stato delle nostre cognizioni tutto con corra a dimostrare aver la natura espresso e racchiuso dirò così quasi sotto unica fore mola il gran fenomeno della nuova produzione de' corpi organizzati. Questa appun to cercò, e questa rinvenne il nostro fisi co. Perchè distinse il sesso nelle piante, e conobbe il seme non esser altro che uovo: e affermò apertamente le piante, come gli animali, dover essere ovipare. Tali meditazioni d'Empedocle su gli esseri organizzati', in difetto d'oga' altra pruova, basterebbero sole a indicare la forza, e l'eccellenza del suo intendimento. Dovea egli supplir la mancanza de'  fatti, inventar de' metodi per non ismarrirsi, ras. sodare i suoi pensieri incatenandoli, anti veder congetturando, Operazioni, che vo gliono tutte ostinazione, sagacità; avvedi mento. Tal è la condizione dell' umana natnra, che la nostra mente non può senza stento riflettere, ragionare, scorrer le dub bie vie delle fisiche ricerche. No creda alcuno, ch ' ei qual poeta, o cosmogono aves se ravvisato quelle somiglianze tra i vege tabili e gli animali più colla fantasia che colla ragione. La fantasia crea non isco pre; finge non ragiona; abbellisce non in catena; e se talora connette, i suoi lega mi sono immaginari e non reali. Molti sono i cosmogoni tra gli antichi, Ma G. solamente s' addita come chi com prese in egual modo operarsi la generazio ne negli animali e ne' vegetabili. Fu egli è vero intento a legare questi a quegli esse ri, come suol farsi dalla fantasia, che cor ca e ritrova più le somiglianze delle cose che le lor differenze. Ma ciò avvenne dal metodo, con cui il nostro Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI -- aju tava la sua mente, ch' altro non era, nè esser poteą nella sua età, che quel dell' analogia. La quale, siccome essa suole, argomentando da cose simili, potea soltana to condurlo, a veder somiglianze. Se dunque G. e col favor dell' analogia pro pose congetture, che poi si son trovate ve re dalle nostre osservazioni, e ben da dirsi ch' egli fu nobile di monte, robusto ne suoi raziocinj, e di gran sentimento nelle cose naturali., Un altro e più vasto teatro s' apre o rą di altre e nuove specolazioni, G., posti da parte e vegetabili e bruti, staccò l’ Uomo dagli esseri organizzati, con cui l'avea egli sin allora confuso. Prese costui a considerar l’ Uomo solo e isolato non che in metafisica e morale, ma in pa recchie fisiche scienze. Rivolse ei le sue prime indagini alla fisica dell'Uomo, cui i corpuscolisti con gran cura in quel tema po attendeano. G., Anagsagora, De mocrito scrissero sulla natura; ebbero tutti tre il soprannome di fisici: e tutti tre ten tarono di svolgere l'economia, giusta cui vive, si muove, si regola la macchina u mana. Fu forse un tale studio sull' uomo che sopra ogn'altro lor distinse dagli altri filosofi. I quali, senza più, aveano fino allora quello riguardato come un soggetto soltanto metafisico, o morale, o politico. Ma ' le fisiche ricerche di G. sull’ Uomo trapassarono di gran lunga quel le di Democrito e d’Anassagora. Perchè, sagace, com'egli era, si mise in investigazio ni non prima tentate d'altri, e utilissime. Tanti furono i punti di vista, sotto cui e' prese a contemplare il corpo umano; e al trettante può dirsi essere state le scienze, cui diede principio il vigor di sua mente. Egli il primo applicò la chimica, e sie a nalisi al corpo umano; segnd le prime li nee d'anatomia: fece sforzi se non sempre efficaci, sempre almen generosi a gettare i fondamenti della fisiologia dell' Uomo:: Il sistema di G. sulla natura fu chimico; così chimiche del pari furono le sue prime ricerche sull'uomo. Comincio egli a esaminar questo nelle sue parti, e quanto più allor si potèa, ne imprese an cora l'analisi. La carne, ei dicea è coma posta di parti eguali di ciascun de' quattro elementi. Di due parti eguali di fuoco e di terra sono formati i nervi, e le unghie son similmente nervi raffreddati dall'aria. VIII furon le parti, ch'ei distinse nelle cosa: due di terra, altrettante di acqua, e quattro di fuoco. Se non si corresse un qualche pericolo di travedere, chi non direbbe aver lui trovato l'ossa abbondare di fuoco, perchè abbondan di fosforo? Ma che che ne sia, non v'ha dubbio, aver lui dato principio con sì fatte analisi a un novello rano di chimica Ramo, che dopo G. fu del tutto posto in non cale: ma che oggi, attesa la sua grand' utiltà con ardor si coltiva, e che va sempre più smisuratamente crescendo sotto il nome di chimica de corpi organizzati: Erasistrato, Herofilo, Serapione fu ron tra ' Greci, che s ' applicarono con som mo studio all' Anatomia. Ma innanzi a co storo, vinti gli errori della religione e de' tempi, aveano cominciato a coltivarla De mocrito in Abdera, e G. e in Gergenti, NON GIRGENTI. Descrive quest'ultimo la spina del dorso, e tienla, come di fatto è, non ' altri menti che la carena del corpo umano. Distingue egli di più inspirazione da espi razione mostra i canali per cui si respira dalle narici. Ricerca egli inti ne l'organo del sentire, e trapassando il neato uditorio, discopre quella parte dell' udito, che attesa la sua forma torta e spi rale, chiamò egli allora, e chiamasi anco ra la chiocciola. Questo è il poco a vanzo delle sue cognizioni anatomiche, che per sorte sono arrivate sino a noi. Ma que sto stesso poco mostra il suo gran sapere in questa scienza. Un gran pezzo di capi tello o di bảse', il rottape d ' una colon na, o pilastro, bastan sovente a indicar e la magnificenza di un edificio, e la perizia di un architetto. La sola scoverta della chiocciola dimostra assai meglio, che non fecero ' gli antichi scrittori', essersi il nostro filosofo molto avanzato nelle cose anatomi che. Questa situata in luogo riposto dell' udito non si potea discoprir certamente se non da chi fosse stato molto prima versa - to e perito nelle materie anatomiche. Meno scarse son le notizie delle fun. zioni della vita e de' sensi dell’ Uomo: e che per fortuna ci restano della fisiologia di G. Il sangue umano, come ciascun sa, sempre alto, e sempre allo stesso modo co stanțe mantiene il calore. Ippocrate pien di maraviglia l'attribuì a cagione sovrana turale e divina. G. all'opposto eb be il calore, come cosa ingenita e conna turale al sangue medesimo. In cid a lui s'accostarono ne' tempi d'appresso Aristotile, Galeno, e tanti altri, Ma egli fu il primo, che a formare un sistema, trasse dal calore del sangue, come da prima ca gione, una spiegazione non già vera, ma certo artificiosa, delle funzioni della vita. Le regolate, pulsazioni delle arterie a véano gia indicato al nostro filosofo, che il muove nelle vene. Ma igno ta era a lui ', come ignota fu all'antichi tà,, la circolazione del sangue. Però in ve ce di questa suppose egli in quel fluido un movimento d'oscillazione. Il sangue, ei dicea, occupa parte, e non tutta la ca vità delle vene, e in queste va quello giul $ u continuatamente oscillando. La for: che lo stesso agita, era secondo lui il sangue si za calore:. e questo essendo ingenito al san. gue costante ne mantiene e l'oscillazione e il moto. A tal movimento legò il nostro filoso fo la respirazione, altra operazion della vi ta. Quando il sangue, ei dicea, va giù verso il fondo de' vasi, l'aria tosto s ' insi nua ne' sottili prominenti meati delle vene, ed entrando occupa quel vano, che nell' andare si lascia in queste da quello. Ne perciò egli aggiungea l' aria quivị restarsi: perchè il sangue, secondo G., spin to dal calore, e su tornando, preme dolce mente quella, e fuori la caccia col suo ri tornare. Accade, seguiva egli a dire, ciò che nella clessidra si osserva. Ivi l' aria respinge l'acqua, o da questa quella è re spinta. Non altrimenti nella respirazione l' aria esce o entra secondo che il sangue si porta o giù o su nelle vene. Però all'an dare o venire del sangue risponde alter nando il venire o andare dell'aria. Ques sta forma, entrando, l ' inspirazione; ilscendo 'l' espirazione e nell’unal e nell' altra è riposto giusta il suo sistema il respirare d'ognuno. L'aria, che nella respirazione esce ed entra nelle vene toglie al sangue a giu dizio di G.  una porzion di calore. Ciò indusse gli antichi medici, che abbrac ciarono tal sua opinjone, a curar coll'aria fresca e matutina i ' morbi d'eccesivo 'calo re. Il respirar dunque cagionava secondo il nostro filosofo diminuzion di calore. Da ciò anch'egli iuferiva la necessità, che strin. ge gli animali a dormire. Il sonno in fat ti egli diceva; null' altro essere, che dimi nuzion di calore. In quella parte quindi di fisiologia di G. che riguarda le funzioni vitali, il sonno vien dal respirare, e questo dall' oscillazione del sangue. Sicchè sonno, spirazion, movimento di sangue tra lor son connessi, e tutti quanti a un tempo dal calore provengono. Nel calore in somma e' pose la cagione di vita e di moto. La morte, egli dicea, è privazion di calore però riguardava sonno come.egli il principio di morte. Giacchè questa, a suo credere, è privazione, e quello diminu zion di calore. Tali principj di medicina, ch'eran teorici, guidavano lui eziandio nel la pratica. A quel piccol' calore., da noi già osservato, che ritenea la donna Gergentina – GERGENTI, NON GIRGENTI -- caduta in asfissia conosce G., ch'ella era ancor capace dell' aiuto della medicina. Tanto egli è vero, che la sua pratica era alla sua teorica con corde, e questa per l'andamento naturale del suo spirito era legata tutta e formava un sistema. Ecco in qual povero stato erano allo ra l' anatomia, e la fisiologia, la fisica in breve del corpo umano. Nuda era questa di fatti, e piena d'errori, e d'ipotesi. Ma tale è la condizione delle fisiche discipline: Nascono esse imbecilli, a stento s'accresco no, e vanno non di rado alla verità per la via degli errori. A chi allor poteva vee nire in mente, che l'aria nel respirare' in luogo di toglier calore, ñe porga al sanana? gue e ne porga gran copia? Come potea G. anticipar specolando in que di tante yerità, che suppongono la cognizion di tante altre, e d'un immenso numero di fatti, che allora ignoravansi? Segnd e gli quindi, non v'ha alcun dubbio, po che e imperfette linee di chimica, d' tomia; di fisiologia del corpo umano. Ma tali schizzi, avvegnachè informi, ma co me primi, e originali, son titoli degnissimi di sua gloria, e gli concedono un sublime posto d'onore nella storia delle scienze. Appartiene a nobilissimi ingegni (i quali sono ben pochi ), di mostrare almen da lon tano quelle scienze, ch'al dir di Bacone son da supplirsi, e che del tutto s'igno rano. G. fece ancor di più. Dino to egli la chiniica del corpo umano, analiz zando gli ossi e la carne; accennò l'ana tomia discoprendo la chiocciola; indicò la fisiologia legando al calore, come a un sol fatto, le principali funzioni della vita. Su periore e' quindi al suo secolo non avrebbe certamente lasciato ad altri la gloria d' accrescere queste utili scienze. Ma nol poté, come chi privo fu di stromenti, e di tut. ti que' mezzi non solo opportuni ma ancor necessari a ridurre in effetto i nuovi e và. sti disegni, che a ora a ora a lui sugge riva il suo genio, Ma se non ebbe Empe docle la fortuna di accrescerlo tutte, ebbe quella di stabilir meglio la fisiologia e get tare lui il primo le basi di quell' altra parto d' essa, che riguarda i sensi dell' uomo, Andano i corpuscolisti indagando pra d'ogn'altro nella lor fisiologia come i nostri organi avessero potuto sentir gli oga getti che, son fuori di noi. Credevan co storo tutti i corpi venire in ogn’ istante in alterazione, cangiare, ed esalare particel le sottili, e invisibili. Eran queste, sécon do loro, trasportate dall'aria, dall' acqua, dal fuoco su nostri organi, e ivi adatta te eccitavan le sensazioni di que'corpi, da quali esse spiccavansi. Piacque quindi a costoro le sensazioni null' altro essere, che impressioni eccitate negli organi da particel m go le, che si parton dagli oggetti, di cui quel le son, come quasi le immagini. G. intanto non dissenti mica da loro. Ma il suo spirito, come quello che non erane certo, non se ne mostrava del tutto convinto. Messosi costui quindi a esaminare i sensi a uno a uno, adatto a ciascun di loro la sua propia e particolare spiegazione. Fece egli così un'analisi de' sensi e sensazioni più profonda, che sin ' al lora non s'era punto fatta d'alcuno. Ma quel ch'è più aperto egli dimostrò non es ser lui punto ne' suoi pensamenti nè se. guace, nè schiavo delle comuni e dominan ti opinioni. Giacchè egli nel chiarir questo o quel senso ora abbandona i corpuscoli, or recali innanzi, o ora aggiunge agli stes si qualche nuovo argomento. Trattando G. dell' odorato, e del gusto non altro mette in opera, ch'e salazioni, e corpuscoli. Questi, agli dice, trasportati dall'aria s ' acconciano a ' pori del naso, e muovono il sentir dell' odorato. I cani, ei soggiunge, cosi e non altrimenti indagan futando l'orme della fiera, Che se il catarro, dice egli di più, irrigidisce le narici; allora i pori di questo tosto s ' alterano, si respira a stento, e l'odor non si sente. Tratta egli appresso dell'udito, e la sciati e pori, e corpuscoli, piglia dall'ana tomia il suo nuovo argomento. L'udito, ei dice, nasce dalla battitura dell' aria nel la parte dell'orecchia, la quale a guisa di chiocciola è torta in giro, stando essa so spesa dentro, e come un sonaglio percossa. L'anatomia, ch'era allor grossolana piccol conforto a lui porse nel dichiarare la vista. Conobbe G. un de' tre umori, ch'è l' aqueo, e qualche membra na, senza più, di quelle, che coprono il globo visivo. Però sfornito dell' ajuto dell' anatomia era egli dubbio e incerto. G. nondimeno giunse a comprendere dover la luce avere gran parte nella visio ne degli occhi. Ma come, e perchè, per quanto si fosse ei travagliato, nol potè af fatto conoscere. Suppone il nostro filosofo entro dell' occhio, non che, acqua, ma luce, che chia ma fuoco nativo. L'una, e l'altra a suo credere, ivi stanno in tal quantità, che per lo più sono ineguali. Così egli distingue gli occhi azzurri da' neri. Iprimi egli af ferma abbondar di fuoco, scarseggiare d ' acqua; là dove i secondi esser poveri di fuoco s ricchissimi d’aequa. Però ei soggiunge gli uni mal veggon di notte per difetto di acqua; e gli altri veggon male di giorno per iscarsezza di fuoco. Ma sía o poca, ó molta la luce che stanzia nell'occhio, ei la riguarda qual lu me dentro una lanterna. Lo splendore del lume, ei dice., fuori della lanterna si span de, e nella notte ci guida. Così i raggi di luce fuori dell' occhio si spargono,.e ci di mostran gli oggetti. G. talora aga giunge a raggi della luce i corpuscoli. I raggi secondo lui, che dall'occhio si lancia no, prima s' imbattono nelle particelle, che si spiccan da corpi. Poi raggi e corpusco li si congiungono giusta il medesimo: e insiene congiunti si portano all'occhio, e muovono il senso visivo. Aristotile disapprova tali pensamenti di G.  La visione degli ocohi, egli dice, è da riſerirsi solamente all'acqua, e niente al fuoco. Nella storia dello spirito umano accade sovente, che un er rore un altro ne " caccia, e ' l falso al falso di mano in mano succeda. Aristotile oltrº a ciò rimprovera il nostro filosofo, che dub. bio egli e incerto abbia, fatto cagion del vedere ora i raggi uniti a' corpuscoli, e.o ra i soli corpuscoli. Ma in ciò sem bra Aristotile a torto riprendere G. . Non sapea persuadersi il nostro Gergenttino – GERGENTI, non GIRGENTI --, che totalmente passiva fosse la se de del senso visivo. Non potea egli inol tre comprendere, che niuna parte avesse la luce nel gran magistero del nostro vedere. Incerto restò quindi di se, di sue idee, e delle spiegazioni volgari; ma tale incertez. za o quanto onore a lui reca ! Dubitar del le opinioni, che son false, e in voga, è il primo ma più difficil passo, che si può fare verso del vero. La fisiologia, che va a di nostri spa ziando per tutte le scienze, comunica ezian. dio colla metafisica e colla morale. Quest' unione, ch'è il frutto naturale dell'avan zamento delle scienze, fu dirò così presen tita dal nostro Gergentino – GERGENTI, NON GIRGENTI. E di fatto sul la sodissima base della fisiologia cercò egli stabilire si l'una, che l' altra. Da che Pittagora, e Parmenide di VELIA ab bandonarono i priini la testimonianza de' sensi, come ingannevole, i Greci tenzona chi contro la ragione, chi contro i sensi. Questi, è quella vennero quindi in discredito: 6 sorsero intanto i sofisti, e gli scettici. Socrate, Ippocrate', e altri di si mil sorte tentaron conciliar la ragione co ' sensi. Ma vani furono i loro sforzi. Duro la gran lite durante la Greca filosofia. La stessa rinacque al rinascer tra noi delle scienze. Di nuovo si pugnò allor quando contro i sensi, quando contro la ragione; e di nuovo si giunse allo scetticismo. Ma nggi simili dispute sono già state bandite da noi; e si terran lontane, finchè lo studio rono, 95 delle fisiche, e delle Matematiche avrà in Europa stato, e onore. Ne' tempi di G. la scuola di VELIA orgogliosa facea ogni sforzo ad atter rare i sensi, e a inalzar la ragione. Cid ch'è, dicevan gli Eleatici, è unico, eter no, immutabile. E come i sensi ci mostra no il multiplo, il mortale, il mutabile; co sì essi c' ingannano. Però conchiudean co storo la ragione poter sola conoscere cid, che è, ed essa solamente decidere della realtà delle cose. Contro i medesimi entrarono in lizza i corpuscolisti. Questi disdegnando lo sotti. gliezze di quella scuola, fisici com'erano, difesero i sensi, senza annullar la ragione. Anagsagora con sottile avvedimento distinse le particelle simili da ' loro composti; Democrito gli atomi da' loro aggregati: ed Enia pedocle gli elementi dalle lor combinazioni. Particelle simili, atomi, elementi, dicean costoro, sono eterni, immutabili. Non son tali le combinazioni, gli aggregati, i com posti, che mancano, e cangiano. Questi si conoscon da’sēnsi, quelli dalla ragione. Eglino quindi tolsero ogni contrasto tra' sen si, e ragione: assegnando a questa, e a quelli due provincie del tutto separate, e distinte. I corpi, come composti, operano a senno di G., e di Democrito su i nostri organi, che sono del pari composti. Eccitano quelli le nostre sensazioni; ma queste a parer d' entrambi non son tali, che i corpi, La'scuola di Jonia avea tal mente confuso le sensazioni cogli oggetti, che scambiava questi con quelle, e tenea le" une, non altrimenti, che immagini fe delissime degli altri. Non così pensarono i Corpuscolisti. Questi separarono, dirò co si, le sensazioni dagli oggetti, che le ca gionano; è muovono, ed ebbero quelle, come soli, e semplici modi, quali di fatto sono, del nostro sentire. Il bianco o il ne ro, il caldo o il freddo, l'amaro o il dol ce esistono, diceano essi, ne' nostri organi, nelle nostre sensazioni, e non già negli ogo getti. Costoro quindi solean chiamare co 1 97 1. eglia gnizioni, di apparenza, e di opinione, e non gia di verità, e di realtà quelle, che si traggon da' sensi. Ma non perciò crede G., co me alcuni vogliono, le nostre sensazioni es sere immaginarie. Cangiano queste, vero, secondo che a lui piaeque, come can gia lo stato de' corpi, o come s’ înmuta la disposizione degli organi. Ma vero, e reale è altresì il sentimento, che si desta da' cor pi. Tal' è della sua dottrina, al pari di quella di Newton intorno a colori. Vege giamo ne' corpi o rosso, o giallo. Ma ne i raggi di luce, che percuoton l'occhio, sono o rossi o gialli; ne' rossi ne' gialli so no i corpi, che que' raggi colorano. Il ros ò il giallo è in somma nell'occhio, e nell'impressione, che in esso fanno i rag gi di luce: Così a creder di G. le sensazioni sono reali. Ma le medesime non rappresentan mai le qualità, che ne' corpi appariscono; null'altro essendo, che altret tanti modi del nostro sentire, Diversa da quella de sensi, credeano SO, n 98. E 1. i corpuscolisti, esser la via, con cui s'ac quista da noi la conoscenza degli elemen ti, o degli atomi. Questi non si poteano secondo loro, come semplici, conoscer da' sensi, che sono composti. Ogni simile, era antico assioma, non si può conoscere, non col suo simile. Però Democrito e G., tolta a' sensi la cognizione de' sempliei, la riservarono all'anima. Per questo l'anima, giusta Democrito, era for mata d'atomi; e secondo G.  degli elementi, ma uniti alle due forze di amo. re, e di odio. Colla terra, dicea il Ger gentino, veggiamo la terra, r acqua coll' acqua, l ' aria coll' dria, il fuoco col fuo co; e coll' odio e l'amore altresì l' odio, e l'amore. G. portava, dove potea, l'oc chio alla fisica costruzione del corpo uma mo, e dava alle sue opinioni una veduta anatomica. Credetto ei di veder nel cuo. re umano un centro, diciam così, di siste ma; e ivi egli pose la sede dell'anima. Ma come G. in tutto, e sempre e concorde a sestesso, cosi loco quella particolarmente nel sangue, che asperger e bagna il cuore dell' uomo. Perchè ripostosi da lui il principio e di moto, e di vita nel calore del sangue, li ancor e gli dovea ripor l’anima; Era questa dota ta, a suo credere, di sentimento al pari de' sensi. Ma ambidue ricevevano le loro impressioni: l'anima dagli elementi i sen si dalle combinazioni. L' una acquistava la cognizione delle cose eterne, e immutabili, e gli altri la notizia delle mortali, e mu tabili. I corpi esterni in somma oporavan sulla macchina dell' uomo in due modi di versi: come elementi sull'anima, come com binazioni su i sensi: e quella & questi e ran passivi. Nacque da ciò, che Protagora, lo scoo ' lar di Democrito, portð opinione: l'intel letto altro non esser che la facoltà di sen è nelle sensazioni stare ogni cogni zione, e scienza: Per questo Crizia, qua si accostandosi al nostro filosofo, affermo, pensare esser lo stesso che il sentire tire, e 1 ni 2.' 100 anima stanziarsi nel sangue. Ma G. non si fermè quì al par di costoro: passò molto innanzi. A parte dell' anima, che conosce gli elementi, un altra ne sup pose egli entro noi, che è destinata a ver sarsi nella contemplazion delle cose intellet. tuali e divine. Iddio secondo lui, non è una combi nazione a guisa de corpi; ne un unità ma teriale cone son gli elementi. Dio, egli dice, non ha forma nè membra umane; non si può veder cogli occhi, nè toccar col. le mani. Iddio è santa mente, Costui non si può render colle parole, e muove l'uni verso co' suoi veloci pensieri. Iddio in sostan za per lus è mente, e la sua vita è il pensare. Così il nostro filosofo abbandona va la compagnia di Domocrito, e le cose materiali: per tornare alla SETTA DI CROTONE, e alle cose, intellettuali. ins. L'anima dunque, destinata da G. a conoscer cose spirituali, e divine, dovea essere, e fu per lui altresì senza dubbio spirituale, e divina. Questa procede, secondo che dicevano Empedocle, e i Pittagorici, da Dio, ed era particella del la sostanza divina. Se ne appresentavano essi la ġenerazione sotto varie immagini: or di fiaccola, che tante altre ne accende; or d'idea che tante altre no genera; or di parola, che trasmette à chi ascolta, la ragion di chi parla: o di cose simili, che sarebbe lungo il ridirle: Però paghi que' filosofi di esse agevolmente popolarono il mondo d' innumerabili spiriti, che tutti e. ran partecipi della natura divina. Di questa classe prese dirò così il nos,. stro filosofo le anime spirituali. Le due a: nime, quindi annesse da lui nel corpo dell' uomo forman la primaria base di sua me tafisica dottriną. Una egli sostenne essero immateriale, materiale l' altra, ' quella ese sere immortale ed eterna, e questa mori re insieme col corpo: la primą versarsi in contemplazion di cose intellettuali, e astrat te; e la seconda in cognizione di elemen ti, e di due forze odio, e amore.. Ma non mancherà çerto, cui si fatta 102 opinion di dire anime in ciascun corpo di o gn' uomo semibri del tutto strana, e inde gna della gravità d'un filosofo: Ma chi al tresì avea ' manifestato allora, é chi fin' og. gi ci ha detto cose più vere, o più sapien. ti sull' union dell'anima col corpo, e sul reciproco loro influsso, e commercio? Chi presi di boria, annullato lo spirito, tutto riducono a macchina. Protagora volea, che giudicare, e ragionare fosse la stessa facol. tà del sentire. Ma questa è un'empietà; una mattezza. Tal la dimostrano l' unità del pensiero, e l'attività del ragionare dell' uomo. Taglián costoro, come suol dirsi, non isciolgono il nodo. Chi presi d' entusias mo, annullato dirò così il sistema organi co, tutto l' uomo riducono a spirito. Stahl volea, che l'anima sola operava tutte quan te le funzioni del corpo. Ma questa è u• na falsità, e una follia. Talla dimostra: no i movimenti involontarj, e organici. Voglion costoro, como suol dirsi, occultare il sol colla rete. Chi poco più 'ragionevoli, pigliata una via di mozzo, vollero.combinare ambidue le forze dell'anima, e del corpo. Leibnitz volea un'armonia prestabi lita, cui mercè lo spirito segua ne' pensie ri, voleri i moti del corpo, cui quegli è congiunto: Ma questa è una ciancia, è una fola più complicata della cosa stessa, che si vuole spiegare.. Lo spirito umano in somma ha immaginato tante ipotesi su ciò, tanto più, o meno bizzarre, quanto più o meno son le. teste scaldate di tutti filosofi. Nè vi è inoltre mai stata ipotesi, che tosto non sia stata accolta, e non ab hia avuto assai partigiani: tanto vale quel la specie di prestigio, che la novità ope ra sull’intendimento dell'uomo ! Qual ma raviglia dunque, ch’ Empedocle abbia sup posto in ogni corpo due anime? Non fu egli certo nè tanto delirante, quanto Protagora, tutto macchina; nè tanto immaginario quanto Ştahl, tutto spirito; nè cost fantastico qual Leibnitz tutto armonia pri initiva. Dichiarò egli a. rincontro della falsa dottrina di Protagora, che le idee spirituali non procedono dal sentire. Svi 104 luppò anzi tempo contro Stahl le funzioni de' nostri organi, e quelle della vita con fisiologiche ipotesi non di rado fondate sull' anatomia.. Prevenne G. alla fine l' erroneo sisteina di Leibnitz, e i sensi, dis se, e le sensazioni esser capaci di eccitar nell'anima la ricordanza di ciò, che prinia el!a sa, e poscia., atteso il contatto colla materia, la stessa del tutto dimentica. Non è quindi G. colla ipotesi delle due anime o men ragionevole, o più strano di tutti i filosofanti, che sono stati finora. E ' da confessare che il problema intorno alla reciproca azion dell'anima sul corpo forse appartenga alla classe di quelli, che vincono qualunque intendimento dell' uo-. mo. Però non si sono recate da noi, ne' si recheran per lo innanzi, che ipotesi, e sogni, che il tempo, il quale suol confer mare i soli, e veri giudizi della natura andrà a mano a mano struggendo. Non è già, che queste due anime', che noi leggiamo presso molti degli antichi, e sopra ogn'altro' de' Pittagorici, sieno dana, prendersi secondo la lettera. Intendean co storo distinguere il sensibile e l'intellettuale: due maniere di facoltà, che sono entro l' uomo. Ma adombrarono essi, come ' era u sanza d'allora, sotto vive impagini quelle facoltà, o, diciam cosi, fecero le medesime divenire persona. G. di fatto secon do la testimonianza di Sesto Empirico d ' ambidue quelle facoltà compose la sola ragione. Questa, egli dice; è in parte uma in parte divina, e porta il nome di retta ragione. Perchè questa corrego ge gli errori de'sensi, e può sola discer nere il vero dal falso. Tanto egli è vero che le due anime di G., non rape presentavano, che la facoltà sensibile e la facoltà intellettuale, e ambidue faceano u. na cosa sola. Chi potrà or tolerare G. cole locato tra la classe de' filosofi scettici. Egli non mai affermd essere inutile, o va« na la testimonianza de' sensi. Apzi i sensi, egli disse, mostrarci i rapporti, che han. no i corpi, e tra loro, e coll' individuo d'ognuno. I sensi, egli disse del pari, sve. gliare nelle intellettuali facoltà le idee spi rituali, e, astratte. Al più al più diffida va Empedocle de' giudizi de' sensi, che so vente sogliono esser fallaci, o ingannevoli. Però egli volle, che i medesimi fossero sta. ti guidati unicamente dalla retta ragione. Questa potea solo a sentimento di lui discer nére il falso dal vero. Forse, dicea ai suoi tempi Cicerone parlando di G., costui ci acceca, e ci priva de' sensi; allor quan do egli crede, che non fosse in essi gran forza per giudicar di cose, che sieno sot toposte agli stessi? Par, egli è vero, Empedocle degli e lementi trattando, quali esseri semplici, ga gliardamente scatenarsi contro de'sensi. Par lui scatenarsi altresi contro gli stessi, allor ehé, dirizzandosi al suo amico Pausania, e con lui trattando dell'amore e dell' odio, ambidue forze immutabili, gli avverte a non fidarsi.de' sensi, e a guardar le cose non già cogli occhi del corpo, ma con que' della mente. Pare eziandio finalmente, giue sta cid, che., CICERONE ine dice, lui andare in furia, contro i medesimi gridando: niuna cosa poter noi nè veder, nè sentir, ne.co noscere: Ma altri, che questi 'argomenti ci vo gliono a definire come scettico il nostro fi losofo. Chi è intento a esperienze e ad a nalisi; chi cerca con somina cura de' fat ti; chi da questi tenta d'investigare l'ope razioni della natura sotto la guida dell' a nalogia: certamente non sa, nè può esse re scettico. I fisici potranno non prender cura di cose spirituali, e astratte; ma non mai l'esistenza negar di que' corpi, le cui propietà con ardore cercano, e la cui in dole con diligenza studiano. L' espres sioni quindi di quelle parole, non v'è dubbio ' dover valutarsi secondo e il pen sare, e il parlare di quella stagione. Si chiamava allora pero, e ciò che è; quel ch' è eterno, e immutabile, o sia quello, che sotto i sensi non cade: Però Empedo cle a ragione parlando di elementi, e di farze, come quelli, che sono eterni e im 0 2. 108 1 mutabili, rigettd affatto i sensi: @ niuna cosa noi, disse, mercè loro potere o ve dere, o sentire, o conoscere. Fra tanto, chi il crederebbe? che nel volersi definire il carattere, o la dottrina d'uno stesso soggetto, si passi anche da' gran filosofi da uno all' altro estremo del tutto contrario. Anche i grandi uomini tal. volta precipitano i loro giudizi, e nel pre: cipitarli ·traveggono. E' cosa da farci stor: dire il sapere, che la dove alcuni filosofi dichiaravano scettico G.; altri all! opposto avessero lui materialista definito, Aristotile, e altri con lui tacciano di materialismo il nostro Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI. Nel siste ma di G. il pensare, dico Aristotile, lo stesso val che il sentire; ogni nostra cogaizione viene dalle sensazioni: e con que: ste quella s' accresce. Ma questo stesso è altresì una calunnia. Passivi sono, 4. senno di G., i nostri sepsi; pas siva è parimenté una di quelle due ani me, ch'egli suppone materiale entro noi. Pero la nostra scienza, disse egli, accrescersi colle nostre sensazioni. Ma dall' una anima e dall'altra, dalle facoltà cioè sen. sibile, e intellettuale, si forma, come a lui piacque, quella ragiono, che noi già abbiamo osservato. Questa, secondo 'lui, pesa, compara, giudica: in breve ragiona. Due sono i principj, giusta gli avanzi di sua filosofia, cui mercè la ragione rettifica i giudizi de' sensi. Primo: il nulla viene unicamente dal nulla. Secondo: il simile si può solamente conoscer col simile. La ragione quindi secondo lui, riferisce le sens sazioni a tali, e ad altri principj (se pur altri ne avesse ammesso costui ), o coll' ajuto di questi quella ci mostra il roro. @ il falso. Poteva, cio posto, tal essere lui, qual co lo dipinge Aristotile, un materia. lista? Chi ammette principi di conoscere; di giudicare, assoluti, non ricavati da' sen. si, eterni, immutabili non può affatto cre dere, che il pensare lo stesso sia che il sentire, nè punto può essere imputato co stui di materialismo. Non v'è uomo, quanto si voglia grana. de, che non abbia i suoi nei; e anche i gran genj sono soggetti sovente a censure. Si dice di G. in metafisica non essere stato lui originale. Convien forse ora smen tire tal voce? Nulla meno. Si bisogna esse re ingenuo; nè l'amor di colui, ehe si loda dee sì impaniarci, che ci debba far supera: re l'amore del.vero. Si confessi pure G., al par de' corpuscolisti, in metafi sica non essere stato mai originale. G. qnal allievo de' pitta gorici, e degli e leatici non seppe abbandonar punto le idee da lui apprese in ambidue quelle scuole. La stessa venerazione egli ritenne, che ave van costoro verso i principj astratti, Si diparti egli sol da' medesimi (e co si avvicinossi alle scuole contrarie ' ) nel non aver lui rigettato del tutto la testimonian za de sensi. Egli in que' dì si sforzo di sedare colla sua nuova dottrina l'accesa pu gna di que', che litigavano chi contro del, la ragione, chi contro de' sensi. Combind egli, e mirabilmente congiunse i sensi cola la ragione, a questa, e a quelli assegno 111 - uffizj, e diritti separati e distinti: e sen za nulla scemare dalla realtà di nostre sen sazioni, gran forza, e autorità diede a prin. cipj generali; e astratti: Tutti i corpusco listi furono in quella stagione eziandio, chi più, chi meno concordi al nostro filosofo; e tutti egualmente in metafica tennero le parti di conciliatori tra i due partiti allor dominanti. Tal'è la natura dello spirito u mano. Fatica egli senza stancarsi, e riflet te anche sino al cavillo, quando è sospin to dall'ardor del partito, e dall' amor del sistema ! Ma poi stanco ei di meditare, o pugnare, cerca la quiete, e 'l riposo; e componendo insieme le opinioni contrarie si lusinga d'aver trovato gia il vero. Avven ne allora in somma ciò, che la storia filo sofica ci presenta a ogni passo. Sempre dall'urto. di due opposti sistemi n' è il ter zo spuntato, che li ha conciliato, giunto. Anzi quando molti in contrasto so no i sistemi; allora è appunto, che sorgon gli ecclettici, che scegliendo opinioni, or da un partigiano, orda un altro, tutti con accozzano i partiti tra loro, e li riducono & uno. Sarebbe tempo ora mai di volgerci dalla metafisica alla morale di G.. Ma portatesi assai più avanti da lui le sue ricerche, e le sue vedute sull'anima, di storna noi pure per ora d'imprender tal via. La fisica (abbiam noi osservato espo nendo la dottrina di G.), essere stata quella scienza, in cui ei sopra ognº altro si distinse, e cui mercè alto ha so nato, e sonerà eternamente il nome di lui. Mà nello studio della natura quello, che più l'allettava, e cui principalmente egli intendeva, era la contemplazione de' corpi organizzati. Riferi egli da prima (sic. come abbiam noi pure os servato ), gli a. nimali a ' vegetabili, e da questi portando le sue specolazioni sull' uomo giunse sino alla metafisica. Dall' uomo poi tornò G. ad ambidue quegli oggetti quasi al le sue considerazioni primjere,e domesti che · Ando egli indagando, se i vegetabili fossero stati provveduti di gentimento, e se gli animali e vegetabili fossero stati tutti due al par dell'uomo forniti di anima. Si fatta investigazione non fu punto difficile al nostro filosofo, come chi piglia va l'analogia per sua guida. I corpi non organizzati, egli dicea, nulla hañ di comu ne co' vegetabili; perd se quelli son privi di senso, questi all'incontro nę debbono esser partecipi. I vegetabili all'opposto, ei sogglungea, molto aver di comune cogli a nimali. Ambidue han tra loro comu. ni le primarie funzioni vitali: son dotati di sesso, si nutriscono, crescono, traspira ban gioventù, han yeochiezza, han no indozzamenti, malattie, sanità, nasco no, muojono. Però se gli animali son for niti di sentimento, anche i vegetabili in ciò debbono essere a quelli compagni. Fu quindi sua opinione essere gli alberi, 6 le piante capaci di tristezza, di gaudio, di voluttà, di dolore, di desiderio, di sde gno; e di ogn'altro animalesco appetito. Anzi spingendo egli più oltre la forza di sua analogia, posti eguali i fisici rapporti tra l'uomo, e gli animali, e tra questi e i vegetabili, fu di parere, che l' avere un'anima materiale non fosse un privilegio sol conceduto all' umana natura, ma comu ne eziandio a tutti quanti i corpi organiz zati. Anima quindi, e sentimento egli die de, non che agli animali; ma anima e sentimento altresì a ' vegetabili, e a ogni sorte d'erbe, e di piante. ANIMA e sentimento da G. a’ vegetabili ! fiori che si rattristano; erbe che si adirano; pianto, che ' o si rallegra no o piangono ! Quanti, non che qual fan. tastico piglieranno il nostro filosofo, ma ne rideranno ancora al sentirlo? Ma non rideranno certo, chi più sag. gi e più istrutti, non ignorano punto, che anche i Democriti, gli Anassagori, i Pla toni abbracciaron si fatta sentenza (90 ). La quale non è già, che faccia a lui ono re, perchè, abbia in cið avuto e compagni, e seguaci così solenni filosofi. Ciò sarebbe un argomento d'autorità, che nulla, o po co conchiuderebbe in suo pro: perchè filo-, 115 sofi ' ancor di gran nome stan sottoposti a errori grossolani, e massicci. E' che la co sa non è in se stessa sì strana; come a pri ma vista apparisce. L'anima materiale da que' gran filosofi negli animali, e vegetabi li ammesza, in sostanza altro non era, che la fisica sensibilità de' moderni. Questa vole van costoro, che fosse ne' vegetabili tal qua le tra gli animali si trova: In virtù di que sta ', credevan gli stessi, i vegetabili al par degli animali ésser capaci d'amore, odio, e d'ogn' altro animalesco appetito. Empe docle in breve, e que gran filosofi ebbero e uomini, e bruti, e vegetabili come do tati di senso, e la fisica lor sensibilità chia marono anima. Chi adesso potrà dirittaa mente riprendere G.? Di poi non vi sono a di nostri de ' fi siologisti famosi, che nelle piante trovano senso d' umido, di secco, di caldo, di fred do, di luce, di tenebre; perchè non po che di quelle chiudono o aprono i loro pe tali atteso il freddo o il caldo, il secco o l' umido, il lune o lo scuro? Non vi soa P 2 116 no del pari quelli, che veggon nelle pian. te, chi il senso del tatto, come nella sen sitiva; chi quel dell' amore, come nella valisneria, chi una specie di gusto nell'e. stremità d'ogni radice, cui mercè questa sceglio, e trae quella nutrizione, che si con. viene a ciascuna? Non son finalmente o Darwin e le Metherie, che van cercando, é credono d'aver già trovato ne' vegetabili e senso, o sensorio? Qual assurdo egli è dunque, se G., che ne' suoi con cetti abbracciava tutta la natura, abbia u. nito insieme tutti i corpi organizzati per via della fisica sensibilità, che credea essere a quelli comtine? La natura, non v'è dub bio, aver distinto, e separato il vegetabile dall' anirnale con differenze, e caratteri ben contrassegnati, e rivissimi. Ma l' estendere la sensibilità dagli animali sino alle piante è una idea grande, bella, e degna di un sommo filosofo. Non v'è, chi a prima vi sta non ne debba restar preso, e non bra mi trovar vera quella, che vera sin ora non è. Ma comunque ciò sia, una cosa ' solit è verissima, G. aver riguardato i corpi organici in un aspetto diverso di quel, che fece Pittagora, o i filosofi prima di lui. Costoro non ebbero nè pure in pen siero di considerar le piante, di bruti, come dotati di sentimento, e di anima, G. fu il primo, almen tra pittagori ci, a pensare in tal modo. Egli fu, cho ebbe e uomini, e bruti, e piante, quali esseri congiunti tra loro dalla sensibilità, come quasi comune strettissimo vincolo, o che suppose in tutti un' anima materiala egualmente. Però egli fu anche il primo, che strinse l'uomo colle piante, o co ' brus ti ad alquanti sognati doveri, che nasco Ro da quella ideata parentela, con cui e gli legò quello con questi. Ecco ora come chiaro si vede su qual base vada a poggiar la morale di G.. Sulla fisica fondo ei la sua, metafisia ca, e su quella fondd egli ancora gran parte di quest'altra scienza. Con si fatte vedute costui pubblico due gran poemi sul. Ii8 la natura il primo, e gulle purgazioni il secondo. In questo G.  stabilì la sua etiça; in quello la fisica: ma fece precede re il primo al secondo, come argomento pri mario della sua raffinata morale. La morale d'Empedocle fu in verità nel suo fondo la stessa di Pittagora. Pu re lni citano gli antichi scrittori, come chi. avesse alterato la prima antica dottrina di quel sommo filosofo, e i tempi di lui ad ditano come la seconda epoca del pittago ricisino. Ma ciò avvenne, perchè G., aggiustata la morale di Pittagora a suo modo, e conforme al suo fisico pensa rė gi scostò al quanto dagl' insegnamenti di lui. La colpa degli spiriti; una diversa maniera di metémpsicosi: l'astinenza di qualche sorta di cibo, furono in tutto le gran novità, ch'egli introdusse nel corpo della morale di quello. Tra queste come principale, e primaria è da reputarsi l'o pinion della colpa degli spiriti. Non d ' al tra fonte, che da questa, qual prima ca. il.119 gione, il nostro filosofo fece dipendere la metempsicosi e le purificazioni, che sono i due çardini della morale pittagorica. Fu opinione di G., che varj spiriti, mentre menavano yita beata, avesser pec: cato. Però a cagion di delitto, si credet te da lui, quelli, scacciati dal cielo, e pri vi degli onori divini, essere stati così astret ti ad espiare i lor falli. Esuli, erranti, ra minghi, egli diceva, vanno lungi dal cie lo per trenta mila anni, e pagan vagando il fio meritato del propio loro delitto. L' etere quindi, e' soggiungea, precipita gli spiriti nel mare, il mare sulla terra gli sbalza, la terra gli sospinge nell'aria, l ' aria sino all' etere gl' inalza. A quelli sų giù sospinti perciò, e quà e la circolando risospinti, oyunque era d'uopo in mare, in aria, in terra vivere in miseria e in lutto. Tali spiriti, secondo che piacque a costui, andavan successivamente informan do varj corpi, e questi appunto erano le infelici anime degli uomini. Queste quindi stavano in pena delle lor colpe racchius e ne' corpi; i corpi eran le prigioni delle ani me, e la matempsicosi, di cui Empedocle formo il primo cardine di sua morale, giu ata il parer del medesimo, era una pena delle stesse, ch'aveano prima fallato. Di si fatta reità delle anime che ragion fa della metempsicosi, non si trova vestigio alcuno presso que' filosofi, che furono in nanti di G.. Questa per la prima volta si legge ne' versi di lui. Ai suoi tem pi fu, che la medesima divenne comune, o volgare: e Platono dopo fu quello, che l' abbelli sopra ogn' altro. Pero da G. comincia una nuova età del pittago ricismo; perchè da lui comincia l'opinione della fallenza delle anime, qual base e ra gione della trasmigrazion delle stesse. Egli è vero, la metempsicosi, comu ne a pittagorici, essere stata antichissima presso gli Egizi. Non si dubita ne anche aver costoro diviso in più periodi il tempo della trasmigrazion dalle anime, assegnato a ciascuno la durata di tre mila 121 anni. In ogni periodo, credeano i medesi mi ogni anima, informato prima solamen te il corpo di un uomo, andar poi tratto tratto passando non più ne' corpi d' altri uomini, ma di qualunque animale,. che abita o l' aria, o il mare, o la terra. E' vero altresì tal dottrina essere stata dall' Egitto portata da Pittagora presso de' Gre ci. Non si dubita nè pure i Greci filosofi coll' andar del tempo averla molto alterata. Altri restrinsero la metempsicosi ai soli corpi umani, altri pari agli Egizj ľ1°. estesero dagli uomini ai bruti. Vi fu pa. rimente, chi disse que periodi esseri tre, chi dieci, chi nove. Nè mancavan di quei, che ridussėro la durata d'ogni periodo da tre mila a soli mille anni. G. fra tanto afferind il nume ro di que' periodi esser dieci, e la durata di ciascuno di tre mila anni. Ma l ' anime secondo lui migravano in ognuno di que' periodi in ogni sola volta nel corpo d'un uomo, e in tutto il resto a ' finire il cir colo di ciascun degli stessi, andavano mion che ne' bruti, ma eziandio nelle piante. Sono fanciullo, dice G., sono donzella, augello, albero, pesce. Chi è or, che non vegga esser questa un altra delle alterazioni recate da costui alla metempsi cosi di Pittagora, e degli Egiziani? Questi la voleano solamente negli uomini, o ne' bruti. Empedocle agli uomini, e a ' bruti aggiunse la trasmigrazione ancor nelle pian te. Ma non si creda mica, che tale ag giunta d'Empedocle alla dottrina della me tempsicosi di Pittagora, e degli Egiziani, fosse stata in lui l'opera del capriccio, o del caso. Sarebbe cid indegno di un nuovo, e original filosofo. Chi si risovviene del fisico sistema del primo, conosce che si dovea far certamente quest' alterazione notabile alla metempsicosi del secondo, Gia si sa aver avuto G. le piante, al par degli animali, dotate di sentimento, o d'anima materiale. Ma non così aveano pensato nè Pittagora, nè gli Egiziani. Pero quegli fece passar le anime e dagli uomini, e da bruti alle piante, e questi cre dean, che le anime migrassero dagli uo mini nel corpo solamente de' bruti. Le a mirne in somma in forza del sistema d ' Em. pedocle, dovean circolare informando tutti que' corpi, che in qualunque maniera fos. sero stati organizzati. Ecco le due novità recate dal nostro filosofo alla morale di Pittagora, ma novi tà ben legate tra loro qual cagione ad ef fetto. Alla colpa delle anime aggiunse G. la metempsicosi, come al delitto va compagna la pena. Ma quel ch'è più, a questa e a quella unite insieme andò egli pure legando la demonologia: articolo fon damentale della teologia de' pagani. i Vedea egli quasi ingeniti all' uomo i semi si della virtù, che del vizio. Allor si pensava lo spirito ' tendere naturalmente à cose spirituali ed eterne, e la materia al le materiali e caduche. Credette ei quin di i semi della virtù nascer nell' uomo dall' anima, e gli altri del vizio nascere in lui della materia. Ma l'anima, a suo predere, chiusa nel corpo, restava contamina. ta dalla materia, e. però era sospinta assai più verso il male, che il bene. Oimè, di cea egli, come è misero, come. è infelice il genere umano. A quali guai, a qua li pianti non è ei sottoposto Queste due tendenze dell'uonio al be: ne, e, al mal fare raffigurò G., giu. sta il costume di quell'età, sotto le imma gini di due opposti genj. Due, egli disse, sono i genj, che quali direttori delle azio ni degli uomini, accompagnano ciascun uo « mo in tutto il corso della vita d ' ognuno di loro. Buono è l'uno, l'altro è malva gio. Il primo guida, o conforta lui alla virtù; il secondo spinge e conduce il me desimo al vizio (94). Ma ambidue questi genj non indicavano, che questa stessa dop pia tendenza. Pure tutto il volgo allora venne nel credere, che ciascun uomo dal nascere al morire fosse' stato realmente as. sistito da un genio buono, e da un altro malvagio. Tanto egli è vero, che le im magini, sotto cui adombravano gli antichi filosofi le loro specolazioni, fossero state ca gioni di superstizione, e di errori. L'uomo non solo ha tendenze al be ne e al male, ma è capace altresì d' ope. rar l' uno, o l'altro. Quante virtù, e quanti vizi di fatto ei mette in pratica ! Ma questi stessi ebbe la bizzaria Empedoc cle di designare sotto la figura di genj. Singolari, non cho speciosi furono i nomi, con cui egli distinse i demoni, che rap presentavano i vizi, ' e le sfrenate passioni degli uomini, De nomi di Chtonia, d' He liope, d'Asafia, di Nemerte, o di parec shi altri ne sjamo debitori a Plutarco. Singolari eziandio, non che speciosi, esser dovettero i nomi, con cui distinse lo stesso l'opposta classe di genj, che rappresenta vano le virtù, e le passioni imbrigliate de gli uomini, Mą il tempo, che rode ogni cosa, non ha fatto quelli pervenir sino a noi. Pure è sfuggita da sifatta ingiuria la nominazione, con cui G. appelle virtù, felice prodotto, delle regolate passioni. I pittagorici furono usi chiamare il mondo spelonca, e G., qual pittagorico, chiamò le virtù, e passioni virtuose ' potestà conducitrici delle anime: quasi giunte nel mondo, come in un an tro. Il popolo, che in ogni cosa vede portenti, e finge de' genj, accolse quasi revelazione venuta dal cielo, la de monologia del nostro filosofo. Gli antichi scrittori, pari al volgo, non compresero nè pure il vero intentimento di lui. Que sti però dipinsero G., come chi avesse popilato l'intero universo di demo nj, e attribuito a virtù de' genj ogni ope razion di natura. Ma questa stessa dottrina de' genj fu il fondamento della magia, e teurgia fa mosa di G.. Questa, in que' tempi cra un metodo di purificar le anime col favore degli Dei benefici, che dovean con dir quelle all'unione con Dio. Gli Dei bendici non eran che virtù astratte deifi. cate da lui: è nella pratica delle sante o pere era riposto tutto il culto di quelli. Credea egli, non poter le anime ritornare agli onori divini, da cui erat cadute, che coll' ajuto di quegli Dei, perchè credeva altreşi non potersi quelle inalzare a Dio, che coll' esercizio delle sante virtù. La teurgia in somma di G. e un retto, e diritto nietodo di purificar le anime colle opere buone. Sembra cosa veramente incredibile che uomini abbandonati al debile filo della pro pia imbecille ragione, e privi di qualunque superior lume di rivelazione divina, avessero potuto architettare un piano di quasi per fetta morale. Non fu gia la metempsicosi quella, che giusta i pittagorici avesse po tuto purificar le anime. Questa non era purificazione e virtù, ma pena dovuta al. delitto. Questa non si poteva in alcuna an corchè menomisssima parte, o abbreviare, o alterare. Esser questa un decreto divis no, essere un santo giuramento si spaccia va a tutti da G.. Ciascun anima avvegnachè virtuosa, e purissima (così és. si pensavano ) non potea unirsi a Dio, se non compiti i periodi, e il tempo tutto di esilin. Le purificazioni altro cardine della morale di G. eran propiamente, secon do tutti i Pittagorici, le sule, che a poco a poco lavavan le anime, e toglievan loro in quel tempo, che informavano i corpi umani, ogni macchia, di cui le medesime potevano essere dalla materia bruttate. Pur gate poi le sozzure, e finiti i periodi tut ti del bando, allora era, che le anime già nette, secondo che allar si credeva, fos sero agli antichi onori tornate, e alla vita divina... I sagri riti poi, lo studio delle scien ze, la pratica della virtù erano i tre mo di di purificazione inventati all' uopo da que' sommi filosofi. Sembra à prima vista o superfluo o inutile essere stato il primo di questi mo di, e tutti gli augusti riti, e quelle ceri-, monie solenni, che si metteano in opera al lor da Teurgici. Ma si poteva scuotere, e infiammare altrimenti l'immaginazione de gli uomini, affinchè questa si fosse resa docile agl' insegnamenti della virtù? L'110 { 129 - mo materiale si solleva dal mondo materia le merce cose eziandio materiali. Le cerimonie, ei riti sono i soli, che colle san. te immagini níuovono i sensi, e astraendo li dalle cose impure alle pure gli inalza no. I riti sono il verace linguaggio de sen si, che efficacemente parlando destano la fantasia. A questa è sol conceduto ' creare tra il mondo materiale l'altro spirituale: Disadatto pure si crederà forse essere stato lo studio delle scienze a purificar le anime. Ma non è egli questo, che aliena lo spirito: dai vizi, che l'introduce alle co se intelligibili; e che sveglia in lui le idee immateriali e celesti? Non è egli vero al tresì l'anima, esercitata nelle cose dell' in telletto, districarsi da' fantasmi del corpo, e. dalle false opinioni del volgo? Era certa mente un ridicolo sogno quello de pittago rici, che collo studio delle severe discipli ne fosse tornata alle nostr' anime la mé. moria delle cose divine. Ma certamente all' opposto è un dogma incontrastabile,. che tanto più la nostra mente si allontana dalla materia e dagli appetiti carnali, quan to più la medesima s' aggira sulla contem. plazione o de' principj delle cose, o delle matematiche, o elogn'altra scienza. Ma in verità e uso di riti, e studio di scienze, e ogni qualunque altra cosa, che avessero potuto specolare gli antichi, sa rebbe lor tornata inutile, ne sarebbe mai giunta a purificar nè meno da lungi le a nime, se a tutto ciò non avessero costoro accoppiato del pari la pratica della virtù. Questo in fine dovea essere il bersaglio, cui dovean dirizzarsi que' grandi filosofi: o questo l'ultimo e principal metodo di pu rificazione. Non si può infatti ne pure ideare quanto studio avessero posto costoro ad astenersi da ogni ancorchè minimo fal lo. Tutti quanti (tranne il loro raffinato orgoglio, e la loro squisita 'boria e super bia ) furono del tutto.virtuosi. Di e nota te si recavan essi sopra se stessi, scrupo losamente ogni lor fatto esaminando, e c gni movimento del propio loro cuore. In estimabile era la diligenza, ch' essi adoperzano a nettar d'ogni ruggine l'animo lo ro, e a far bene ogni cosa. Tutta la vita į medesimi spendevano in contemplare oggetti spirituali, e. in praticar virtù, e que pre cetti, che si leggono scritti ne' versi dorati. Si crederebbe quì finito il lavoro della loro morale, Pure come eglino avevano que sta diviso in due parti, così alla purifica zione aggiunsero altresì la perfezione. Non basta a Pittagora l' essersi lusingato, che l'anima, mercè la prima si fosse e mondata da vizi, e separata dalla materia, e liberata quasi dal vincolo, che la ren deva prigione. Volle di più immaginarsi, che l' anima, mercè la seconda già prima purificata, si fosse poi inalzata a Dio, o ripigliati gli antichi abiti, e forma, si fos se confusa colla divinità medesima. Le ar nine in somma, che secondo Pittagora e G., erano di loro natura divi ne, ma contaminate dalla colpa e mate ria ', dovean prima purificarsi, e poi sì per fezionarsi, che fossero state degne di tor nare a Dio, e agli onori primieri. Però l' immacolato, e innocente viver di G. obbligo lui a spacciarsi qual Dio, e a promettere ai puri, e perfetti il divino come premio. Sin quì G., e Pittagora furon d'accordo, e quegli fece uno con questo. L' essere stata comune l ' opinione tra loro nel principio, da cui la purificazione, e perfezione avesse avuto sua origine, non fece punto discrepar l'uno dall'altro, Cre deano ambidue le anime tutte degli uomi ni, e tutti gli spiriti altresì formare uni ca, e sola famiglia con Dio. Là poi, ove i sistemi loro non furon punto d'accordo si fatti filosofi furon del tutto discordi.G., altrimenti che Pittagora, riguardo uomini, bruti, piante come unica famiglia. Non è più quindi da far sorpresa, se si ve de ora entrare in iscena una terza novità di G., come riforma alla moral di Pittagora. Se si vuol prestar fede ad Aristotile ad Aristosseno, e Teofrasto, Pittagora e i Pittagorici della prima età uccidevano, eccettine i bovi destinati ai lavori, ogni sor ta d'animali, e tranne i loro cuori e ma trici ne mangiavan le carni: s ' astenevan solamente da' pesci. G. all'incontro fu il primo che proibì affatto qualunque uso di carne; e riputò sacrilegio l'uccidere quale che si fosse animale. Non veggo, dicea egli, perchè alcuni animali debbano serbarsi in vita, e altri all'incontro si pog sano uccidere. Una è la legge per tutti, é questa è pubblica per tutta la terra. Vedeva costui in tutti gli esseri organiz zati, facendone un sol corpo morale, quasi unica é sola farniglia, Perd non sapeva egli scorgere differenza notabile tra uomini, e bruti. Smanioso egli quindi si scaglia con tro chi avesse sagrificato in que' tempi vit. time agli Dei, che' attesa la metempsicosi, potevano per lo più esser uomini sottom bra di bruti. Cessate, gridava G., o crudeli, di fare strage, e lordarvi di san gue: Pazzo il padre, che sotto altra sem. bianza scanna il propio figliuolo, e vane preghiere disperge all'aria e al vento. Stolti non veggono, che divorando le fumanti sanguinose carni di animali le menbra pa. rimente divorano de' lor padri, figliuoli, o congiunti. Si riderebbe oggi la presente età del: la severità di G., e si reputerà cer tamente stravagante la sua pietà verso i bruti. Ma ad altro, e più nobil fine ten devan le idee del nostro filosofo. L'uomo è in mezzo a' suoi simili, e l' amore è il principale anello, che dee le garlo cogli altri. L'amor verso i simili è il principale dovere di un uomo di società: e la pieta n'è la base. Ma questa non si potrà avere giammai, se non campeggia e dilatasi sopra tutti gli oggetti, che circon dano lui. Se l'uomo deve avere pietà ver gli uomini, uop' è non che estenderla, mia cominciarla da' bruti. Qualor ' si eser-: citasse ferocia contro i medesimi, agevol mente il reo costume l'andrebbe portando ancor contro gli uomini. Anche tra noi, se non può recarsi a effetto sì fatta proibizio. ne di scannar gli animali, sempre egli vero, che debbasi tener come parte di e ducazione gentile, quella d'insinuare ne gli animi ancor teneri de' giovani la pietà verso i bruti. Non son dunque da ripren, dersi, così tentoni, gli antichi filosofi per quegli insegnamenti, che oggi, mutate le usa nze, ci sembrano stolti. La proibizio. ne che G. diede a' suoi scolari d ' uccidere gli animali, e cibarsene, ebbe in mira non sol di non essere crudeli, e feroci cogli altri; ma di dispor loro ad amarsi l ' un l'altro a vicenda, e nelle disgrazie scam. bievolmente aiutarsi. Egli non senza sotti le avvedimento si sforzò così in persona de? suoi compatriotti svegliare allora in tutta la generazione degli uomini quell'attitudine, che porta loro a prender parte nell' altrui traversie: attitudine, che di sua natura è debole, languida, spesso sopita, e quasi sempre soffogata, ed estinta. Però G. a ingentilir gli animi umani, e rasla dolcire i costumi degli uomini, volle che questi non si avessero bruttato le mani del sangue, né avessero mangiato le carni de’ bruti. Chi è beniguo co ' bruti non può certo negare agli uoinini amore, pietà, cor tesia, frattellanza. Pittagora nulla conse guente a' suoi stabiliti principj della metem psicosi, trascurando quasi tutti gli anima li, ſecesi soltanto scrupolo, e proibi, che si fosse recata alcuna ingiuria alle piante, che non fossero state nocevoli. Ma G. fa molto più, e' meglio assai di Pittagora. Egli dotate prima quelle di sen timento, proibi poi che si fosse fatto loro del male: ailinchè non si fossero avvezza ti gli uomini ad offendere esseri forniti di sensi e di organi. Fu in somma intendi mento di lui in tutte le maniere, quasi tirando tutte le linee a un centro, stabili re tra gli uomini fratellanza e amicizia Però fu, sollecito ei d ' ordinare, che oltre agli animali, si avesse avuto compassione sin anche alle stesse piante.. Sarebbe stata finalmente non che man. chevole, ma mulla la morale di G., s' egli non avesse presentato o un premio, una pena agli osservanti, o violatori de' ciò, precetti da lui stabiliti. La speranza del premio, e il timor della pena, interni po. tentissimi stimoli dell'animo umano, inco raggiano i buoni a operar la. virtù, spa ventano i mali a praticare il vizio. E' ben ragionevole quindi, che G. avesse pigliato una via come stabili re e premio', e pena, sì alla virtù, che al vizio: e il fece appunto combinando al par de pittagorici, colla dottrina della metempsicosi. Il tempo di tre mila anni di ciascuno de' dieci periodi di essa non era destinato da Empedocle a far cir colare sempre le anime da un corpo in un altro. Le anime in ogni giro di tre mila anni informavano secondo lui e vegetabili, e bruti. Di poi andavano esse in ultimo E luogo ad avvivare il corpo di un uomo. questo finalmente morto, passavan quelle ad abitare un luogo o di gaudio o di lutto secondochè le medesime avessero o bene, o male operato. Quivi doveano esse restare, finchè finito avessero il primo periodo di tre mila anni. Dovean le medesime torna. STo appresso a cominciare il secondo di al tri tre mila anni, passando tratto tratto ne corpi: d' altri bruti, di altre piante, o finalmente di altri uomini. Così successiva mente doveano esse fare in tutto il corso degli interi dieci periodi: e cosi le medesi mo doveano essere o premiato, o punite in ciascuno di essi. Ma al finire di tutti i dieci circoli quelle anime, ch'eran tenaci ne' vizi, giusta G., bandite dal cie. lo, eran dannate in mezzo alle tenebre, e in un continuo lutto, o un eterno suppli zio. Le altre poi, che virtuose al compir di quo' circoli si fossero trovate belle e det. te secondo lui, si portavano all'etere puro, e collocate in mezzo alla luce, sedcano in vi a mensa coi forti Danai, in eterno go dimiento, nell' unione con Dio. Tutto ciò si raccoglie da ' versi di G.. Così pur si pensava da' pittagorici di Sicilia; nè al trimenti si canto da Pindaro nelle sue odi dirette a Gerone, e Terone. Ecco tutto, il quadro compito della intera mora le di G. Egli è senz' alcun dubbio, essere stata questa assai raffinata, e, molto diversa da quella del volgo. E ' cosa da recar mara. viglia l'osservare, com ' essa in tempi assai caliginosi, fosse stata tanto bene architetta ta, cosi brillante, e del tutto diretta a ri. pulire il costume, a liberar l'uonio, quan to più s' avesse potuto dai vizi, e a nobi litar l'anima e la mente di lui. Cid nulla ostante ella ha eziandio i suoi gran difetti. L'essere stata la stessa riservata ai soli sapienti, e ai soli iniziati ne fu il principale. Quel sistema d'Etica, che non è fatto per tutti gli uomini, non può esser giusto, santo, verace. Tutti quan. ti gli uomini sono astretti agli stessi doveri, e a una sola virtù, Si può considerare, & gli è certo, la scuola pittagorica, qual.ce nobio, é i pittagorici quali religiosi dell' antica Grecia. Ma l'orgoglio guastava le loro azioni, rendea yane le loro fatiche, avvelenava ogni loro virtù. Pure è sem pre da reputarsi degno di lode il nostro filosofo, che osservantissimo de' precetti pittagorici non ebbe difficoltà di manifestarli, e divolgarli nel suo poema delle parilica zioni per solo e semplice amore di onestà, e di virtù, G., tranne la super bia, radice infetta dell' operare d'ogni an tico filosofo, è da celebrarsi, come quel lo, che ornato di cortesia, amante degli uomini, e virtuoso, avesse aspirato sempre a perfezionar molto se stesso. Ma gli onori, che si rendono a' tra passati; le lodi, di cui s' onora la memo ria de gran genj, non possono nè recar loro diletto, che più non sono, nè tocca re il lor cenere, che affatto è privo di senso. Tutti i loro elogi, come quelli, che eccitano l'orgoglio e la vanità de' viventi, noi guardano e a noi son diretti. Siam noi, che dagli omaggi, che si tributano a quelli, prendiamo speranza di poter forse nieritare la stessa gloria, e acquistar la fa na stessa presso le generazioni avvenire. Del nome di G. fu una volta ne è oggi, e ne sarà sempre piena la ter,. La filosofia di lui fu tenuta assai in 141 pregio presso tutta l'antichità tra Greci e Latini. Quella occupa tal sublime posto di onore nella storia delle scienze, che G. si può dir, che appartenga a tutte le più colte nazioni. La Sicilia fra tanto è la sola che a giusta ragione lui vanta: qual suo. Felice quel suolo, beato quel clima, cho dà il natale a' grandi uomini ! La memoria e la fama loro è un fecondissimo germe, che in ogni età ne desta l' emulazione, e ne riproduce il sapere. Tal dovrebbe essere a noi il dolce nome di G., caro alla yirtù, caro alle lettere. Anatomia, fisiologia, chimica de cor pi organizzati possono lui chiamare padre inventore. L' essersi ridotta la materia a quattro elementi; l' essersi trovate due for ze in natura di repulsione, di affinità; 1" essersi intrapreso il metodo di fisiche espe. rienze, la terra n'è a lui debitrice. La scoperta della chiocciola; della successiva propagazion della luce; del peso e della molla dell' aria; del nutrirsi, del traspira e dell'essere ovipare le pianto al par de gli animali son cose tutte propie di lui. Divolgati appena sì fatti suoi ritrovamenti, tosto si rese celebre il suo nome in tutta la Grecia, ed egli uno de' concorrenti di venne tra Anassagora e Democrito, La gloria di G., che in gran parte è ancor nostra, ci dee infiammare a battere lo stesso sentiero. La Sicilia è la stessa oggi, ch'era allora ai tempi di G.. Ella in ogn'angolo, e in tutta quanta la sua superficie presenta a' nostri occhi oggetti sempre degni di nostre filoso fiche ricerche. Piante d'ogni sorte, acque d'ogni specie ', minerali d'ogni genere, e i più distinti volcani esistono nel nostro suolo. Il Fisico, il Chimico, il Botanico lo storico naturale trova ovunque ampia materia d'appagar le sue brame. E ' no stra somma vergogna il vedere oggi, che vengan tra noi gli stranieri a insegnare a noi le cose nostre. Si saran forse cambiati il cielo, il clima, la terra, che un di furono ne' tempi de' nostri antichi filosofi? O pur saran venuti meno gli ingegni tra noi? Non sono eglino I SICILIANI dotati ancora o d’acume nello specolare, e di prontezza nel riflettere, e di prestezza nell' eseguire, che loro hanno in o gni tempo distinto? LA SICILIA una volta emula della Grecia in ogni genere di colo tura non potrà anche a di nostri concorrere e gareggiar nelle scienze colle più polite nazioni? Si pigli dunque orgoglio dell' aggiustata idea di nostra antica grandezza. Questo, scossa l'inerzia, ci sarà di stimo. lo ad una nuova carriera da imprendere. La fatica è l'unica via, che conduce al sa pere, e questa ci porta, certamente alla fama. Si desti quindi in ciascuno di noi la virtuosa imitazione d’Empedocle, e si co minci la grand'opera con ardore e franchez za. Un felice evento coronerà allora ogni nostro travaglio: la posterità ricorderà noi collo stesso onore, con cui pieni d'ammi razione noi ricordiamo G. G. non che e eccellente filosofo: ma e del pari profondo politico. SICILIANI, non andate quà là ad apprender ta pini da questo e da quello ordini civili, e fogge di governo. Guardate i maestosi avanzi delle nostre antiche città; specchia. tevi su li nostri passati famosi legislatori; richiamate alla memoria i fatti chiarissimi, non che della nostra Greca SICILIA, ma del la vita di G.. Così tratto tratto di verrete atti a maneggiar le cose pubbliche, e ben presto vi sarà tra voi politica non cabala, libertà non licenza. G., convinti un dì i nobili di Gergenti GERGENTI – non GIRGENTI -- di peculato, atterrò ivi la lor signoria: Non è disdicevole quindi l'imma ginarcelo, ch'egli colla stessa voce gli ota timati così riprenda di nostra età. Finito è il tempo, in cui usurpata un ingiusta franchigia de' pubblici dazj, generosi offri vate al Re il denaro del popolo, a fine e di ottener da quello nuove insopportabi li prerogative, e di stringer questo vie più nuove insoffribili catene. Finito è il tempo in cui macchinando l'esenzion delle taglie, scaricavate gran parte del pubblico con peso sulle città immediatamente al Re sotto poste a fine di disertar qrieste, e di rau nare schiavi in gran copia nelle terre a voi immediatamente soggette. Finito è il tem po, in cui voi assumendo la voce e qualità di nazione, che non avevate, minacciosi vi rivolgevate contro del trono per non paga re, e taglieggiare il popolo ogni tre anni. Già il Principe si è congiunto col popolo. Gia la voce del Re, ch'è quella dell'ins tera nazione, è divenuta oggi più imperio, sa insieme e sicura. Essa ha già rivelato il grande arcano del vostro tirannico impe ro essere stato riposto nell'aver voi voluto fin'ora poco o nulla soffrire de’ dazj, e far li tutti a carico andare della povera gen te. Chi di voi potrà or tolerare con ani mo tranquillo tra vecchi debitori dello sta to non altri nonni leggersi che i vostri, e de' vostri antenati? Chi sarà tanto scelleras to, che rivelando il falso, voglia occulta re l'immensa estensione de' suoi ricchi fon di; affinchè a danno del meschino e del povero, pagasse egli quanto meno si possa 2 t 140 Chi sarà cosi ribaldo, che voglia sgravar d ' imposta la terra, unica e sola sorgente di ricchezza in Sicilia, per istrappare con mano rapace qualche misero tozzo dalla bocca faa melica dello stanco e affannato agricoltore? Şe cið han fatto i vostri maggiori, sono essi stati i più tristi nemici, anzi i più crudeli tiranni dell' infelice Sicilia. Si appartiene ora a voi lavar le macchie di quelli, e onorar voi stessi, contribuendo alla pubblica feli cità col pagarsi prontamente da voi a pro porzione della vostra opulenza, Ma G. dovrebbero avere ezian dio qual modello non che i nobili, chi presi del fantasma di democrazia vo lessero condurre a sfrenatezza la plebe. Quante altre cose possiamo noi idearci a ver potuto lui dire, a costoro ! Egli poten do in Gergenti GERGENTI non GIRGENTI stabilire un governo collo cato tutto nella potestà del popolo, af fatto nol volle. A' popolari uni costui gli ottimati in quella città; e teniperò così gli uni cogli altri. L'equilibrio de' poteri, con cui s'amministrano le cose pubbliche, è la ma solida base, su cui dee riposare, volendo si e florido e durevole, il presente gover no. L'equilibrio morale, non altrimenti che il fisico, viene da contrarietà ed egua glianza di forze. Il popolo ' non deve mai essere. -oppresso, ma all'incontro non dee ne pure essere costui un oppressore. Se la sua forza sbilancia, lo stato andrà tutto a soqquadro, e ruinerà senza meno. La ven detta piglierà allora il nome di forza, di senno il delirio, di libertà la licenza. I poteri legislativo, giudiziario, esecutivo si debbono a vicenda venerazione e rispetto; tutti debbono riunirsi, e cospirare a un sol centro: e se per caso ne sia uno avvalla dee tosto corrersi con mano presta a rialzarlo. Quanto è difficile mantenere og gi in Sicilia un sl fatto equilibrio ! Appe na vi basterebbe un G.. Egli ad assodar vie più la novella for ma di governo stabilita da lui nella sua patria, ebbe in fin l' accorgimento di pian. tarla sulla pubblica coltura, e sul pub blico civile costume. Qual sublime lezio to, t 2 148 è un sogno, zione ella è questa da adottarsi da' nostri legislatori d'oggidi, se vogliono eternare, più che si può, il presente governo stabi lito di fresco. Un impero assoluto si può fondare tra selvaggi e tra barbari, e vien prosperando in mezzo a gente corrotta. Ma è un delirio il pretender fer mo un governo costituzionale senza nè col tura nè costume per base. Nello stato, in cui è il nostro suolo, non potrà certamente portare la novella libera costituzione senza che fosse prima quello preparato e divelto. Voglia Iddio che i nostri, posti giù l'e goismo, le false massime, gl ' impeti, glodj imprendessero a imitare Empedocle, e i nostri antichi felicissimi tempi. Ma se I SICILIANI tutti debbon trarre qualche utile insegnamento dal nostro fil sofo; i Gergentini – GERGENTI, non GIRGENTI -- massime ne dovrebbero emular la virtù. La patria de' grand ' uomi ni è quella su cui sfolgora, riflette e va a concentrarsi, la gloria di loro. Si dovreb bero ricordare i Gergentini – GERGENTI non GIRGENT, ch ' essi principalmente a G. son debitori d'esa 149 ser tanto chiari, e così famosi nella nostra sicola storia. Si dovrebbero eglino pur ri cordare, che vicino a que' tempi, che vis sita oggi lo straniero, e sopra lo stesso suo. lo, che calcano i Gergentini  -- GERGENTI, non GIRGENTI medesimi, dettò allora G. a LEONZIO (si veda) l'eleganti, avvegnachè prime lezioni di Rettorica. Gli stessi quindi a ripigliare in loro l'antico u sato splendore dovrebbero richiamare tra loro e le fisiche e le matematiche discipli ne, e ogn'altra amena e polita lettera tura. Allor si potranno i Gergentini – GERGENTI non GIRGENTI -- gloriare a ragione d' aver prodotto, e dato la culla a G.. Così eglino saran vera mente degni concittadini di lui. Ne altri menti si potranno lusingare gli stessi di far risorger tra loro il verace spirito d' Empe docle, e di poter quivi dire allo straniero. Dell' eccelsa sua mente i sacri versi Cantansi d'ogn'intorno, e vi s'impara Si dotte invenzioni, e si preclare Che credibil non par, ch'egli d'umana Progenie fosse. Il n'est pas ) Freret raffigura l'attrazione e re pulsione di Newton nell'amore e odio di G.. E però dice besoin d'un long discours pour montrer que le fond du systeme Newtonien, dé pouillé de l'appareil et du détail de ses cal. culs se réduit a celui d ' Empedocle, Hi stoire de l'Académie Royale Des Inscripti ons et belles lettres, Memoires -- Και γαρ ονπερ οιηθαη λεγειν αν τις μα. λιστα ομολογουμένως αυτω. Εμπεδοκλης και TYTO TAUTO TETOVIE – G., di cui alcuno potrebbe portare opinione aver, detto sopra di ogn'altro cose tra loro e a se stes so concordi; egli cadde nel medesimo inconveniente (Arist. Metaph.) πος και 8το! O (Arist. de Coelo) -- Λευκίπι και Δημοκρίτος Αβδερίτης φασι είναι τα πρωτα μεγεθη πληθ. μεν απαρα και μεγεθα δε αδιαιρετα τροπον γαρ τινα παντα τα οντα ποικσιν αριθμους και εξ αριθ. μων και γαρ ει μη σαφως δηλεσιν ομως τετο βελονται λεγαν 00 Leucippo e Democrito dicono le prime grandezze essere infini te di numero, ma indivisibili. Essi in certo modo fanno gli esseri o numeri, o da' numeri. E se ben non lo mostrano chiu ro; pure questo vogliono dire. Εμπεδοκλης περι ελαχιστα εφη προ των τεσσαρων στοιχειων θραυσματα ελαχιστα οιονα στοιχεία προ των στοιχεων ομοιομερη και – G. prima de’ IV elementi suppone de minimi bricioli, che sono non altrimen ti che gl’elementi degl’elementi, e parti simili Stob. Εcl. Phys. Ε più chiaramente Plutarco de Pl. Ph. dice οιονα στοιχεια των στοιχείων »και elementi degl’elementi. Ει δε στήσεται που διαλυσις ητοι ατος μον εσται το σωμα εν ω ισταται η διαίρετον μεν ι μεν του διαι εθησομενον εδε ποτε καθαπερ εoικεν Εμπεδοκλης βελεσθαι λέγειν. Se lo scioglinzento delle parti si fermerà in qual che luogo, domando: o il corpo in củi ri starà è indivisibile, o è divisibile; ma in alcun tempo mai non si potrà dividere, co me pare che C. abbia voluto dire, Arist. de Coelo. Sicchè G. ammettea la divisibilità col pensiero non già col fatto. È un assioma presso gli antichi εκ τε μη οντος μηδεν γινεσθαι nulla farse da ciò che non è, Presso i Greci dev significava ciò ch ' esiste e il under ciò che non è. Epicuro talvolta piglia il des per corpo e il under per yoto. Ma diverso era il significato dell' del ov. G. ed Anassago ra chiamavano Oy la materia dotata di qualità sensibili. E Democrito ed Epicuro la materia fornita di figura. Al contrario i primi due indicavano col un oy la mate ria priva di qualità, e i secondi la mates. ria senza figura. Di fatto Aristotile de GV e 156 gener. et corrupt. 1. 1 cap. 3 dice εστι γη το ον, το δε μη ον υλη της γης και πυρος ωσαύτως. L Latini tradussero il δεν per res o corpus il jend Ev per nihil o vacuum. E come non aveano parole corrisponden ti all' oy e' un or; cosi l'indicarono colle stesse parole res et nihil. E ' nato da ciò un equivoco nell' intendere i Greci. Questi non solo dissero nulla farsi da nulla; ia tal volta alcuni di loro pensarono niuna cosa, che ha qualità, poter venire dalla materia priva di qualità. (8) Απαντα γαρ κακείνος (Σμκεδοκλής ) ταυτα ομολογήσας, ότι εκ τε μη ιοντος αμηχα • γον εστι γενεσθαι και Concedendo Empedocle tutte le cose medesime,.e che sia impossi bile venire un essere fornito di qualità de ciò, che ne è privo je Arist. de Xenophane VELIA (si veda) et LEONZIO (si veda).  Εμπεδοκλης δε τα τετταρα προς τους ειρημενοις γην προσθας τεταρτον και Empedoclc disse esser quattro gli elementi, aggiungen do la terra per quarto a’tre già detti Aristot. Metaph. Σεληνην δε φησι συστηναι καθ' εαυτην εκ τα απολειφθεντος αερος υπο τα πυρος • τατον γαρ παγηναι καθαπερ την χαλαζαν. La lu πα, dice Empedocle, essersi condensata da se a cagione dall'aria, che fu abbando nata dal fuoco; perciocchè questa 'si con densò a guisa di grandine Euseb. Praep. Evang. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph. Origen. Phylosoph. etc. (10) I sassi e gli scogli sulla terra so no stati giusta Empedocle formati dalla forza del fuoco. Plut. de primo frigid. Ne per altra ragione credea il nostro filosofo, chę i cieli siensi formati in guisa di çri stallo, che per l'azione del fuoco. Plut. de Plac. Philos.  Ως εν υλης « δ λεγομενα στοιχα τετταρα πρωτος (Εμπεδοκλης ), απεν. και μεν χρηται γε τετταρσιν αλλ ως δυσιν ουσι μονοις. πυρι μεν καθ' αυτο τοις δε αντικειμένοις ως Em. μια φυσα γη τε και αερι και υδατι, pedocle fu il prinio che affermò quattro ese ser gli elementi nella materia. Nondime no di questi non fu egli uso come se fos 158 } νω sero ' quattro, ma due soli. Mette il fuoco per se ', e' come al fuoco opposte l'acqua, ' la terra, l'aria, quasi avessero. queste uni ca natura.,, Aristot. Metaph. Origen. Phylosoph. cap. 3. Clem. Alex. Strom. Αναξαγορας μηχανη χρηται τω προς την κοσμοπίλαν » Anassagora usa della mente nella sua cosmogonia non altrimen ti che d'una macchina Arist. Metaph. Πολλαχου γουν αυτω (Εκπεδοκλα ) η μεν φιλια διακρινει το δε νεικος συγκρινα • μεν γαρ ε ! ς τα στοιχεία διαστήται το παν υπο τ8 14κας τότε το πυρ «ς συγκρίνεται και των αλλων στοιχων εκαστον, οταν δε παντα υπο της φιλιας συνιωσιν ας το εν αναγκαίον εξ εκαστε τα μορια διακρίνεσθαι παλιν. Εμπεδοκλης μεν 89 παρα τ8ς προτερον πρωτος ταυτην την ατίας διελων εισενεγκεν ου μιαν ποιήσας την της κινη σεως αρχη, αλλ' έτερας τε και εναντιας. Non di rado presso d'Empedocle l'amicizia sepa ra; e l'inimicizia unisce. Imperocchè quan. do per l'inimicizia l'universo si scioglie ne • OTULY 159 gli elementi; allora il fuoco si unisce, e al par del fuoco, ciascuno degli altri elemen ii. Quando poi per via dell ' amicizia tutti gli elementi si uniscono; allora è di ne cessità che le parti di ciascun elemento si separino. Però Empedocle fu il primo, che superiore agli altri più antichi di lui, divi dendo questa causa, intro lusse non un solo, ma piii e contrarj principj di movimento: l'anticizia cioè e l' inimicizia Arist. Me taph, L ' vero che qui Aristo tile cerca di cogliere in assurdo il nostro Empedocle"; perchè cerca di mostrare che l' amicizia talvolta separa, e l'inimicizia ta lora unisce. Ma ciò non di meno confes sa che giusta Empedocle l'amicizia e l'ini. micizia eran due principj di moto. E in ciò loda il n'ostro filosofo, e l ' inalza so pra tutti que' ch'erano stati prima di lui. Molti sono i versi di G. che lo pruovano, che noi rapporteremo ne' fram menti di lui. Ma Aristotile lo dice chia. rissimo. Es un evný to vemos ev Tols peyuceo σιν, εν αν ην απαντα ως φησιν (Εμπεδοκλης ) 160,, Se non fosse l ' inimicizia inerente alle cose, tutte queste non farebbero che uno come dice lo stesso Empedocle,, Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4. Simplicio inoltre de Coelo l. 1 Com. rapporta che giusta Empedocle è propietà dell'amicizia ridurre tutto in una sfera lovely o zipov (16 ) (Εμπεδοκλης ) το μεν πυρ κκκος καιλο. μενον προσαγορευων και Empedocle chiamo il fuoco lité perniciosa Plut. de primo fri gido. E lo stesso Plutarco ne soggiunge la ragione: Giacchè il fuoco ha la facoltà di dividere e separare. Clem. Alexand. ad gentes Aristot. Metaphys. Plut. de Isid. et Osirid. Wolf. de Manich. ante Man. S. 30 Bayle Dict. Art. Xenoph. (20 ) Aristotile" riferendo l. 3 taph. l'opinione d'Empedocle sul circolo pe renne delle cose in virtù delle due forze amicizia e inimicizia si lagna del nostro filosofo, che introduce la necessità senza recare alcima cagione della necessità ws ay. 1 cap. 4 Me. 161 αγκαιον μεν ον μεταβαλλεινκαι αιτίαν δ ' εξ ενο αγκής εδεμιαν δηλοι. Brukero de discipulis Pythagorae. Moshem. nelle note a Cudwort. Αρχη η φυσις μαλλον της υλης. εγί άχου δηπου αυτη και Εμπεδοκλης περίπιπτα αγομενος υπ' αυτης της αληθεας, και την εσι. αν, και την φυσιν αναγκαζεται φαναι τον λογον ειναι: οιον οστουν αποδιδους τι εστιν. ετε γάρ εν τι των στοιχεων λεγει αυτο ατε δυο ή τρια ατε παντα αλλα λογος της μιξεως αυτων etc. Il principio delle cose è più presto la nä tura che la materia delle cose.. Empedocle tirato dalla forza stessa della verità spesso è costretto di confessare che la sostanza e la natura altro non sia che la ragione o proporzione: ' come fa allorchè ei dice coså šia.l osso. Poichè dice che l'osso non cen ga da questo o du quel elemento', nè da due elementi, nè da tre, nè da tutti, ma dalla ragione in cui questi nell' osso si stan. no ec. is Arist. de par. Animae l. 1. cap. E poi lo stesso Aristotile soggiunge che 1 362 2 i filosofi prima di G. non fecerd lo stesso perchè non soleano definire ciò che fosse la cosa astion de to. pen en San τ8ς προγενέστερες επί τον τροπον τέτον, το τι ην αναι, και το ορισασθαι την ασιαν εκ OTI My •:- Plut. de Plac. 1. ì cap. 6 Gal. Hist. Ph. Plut. de Plac. Ph. Gal. ibid. Plut. de Plac. Ph. Arist. de Resp. Crede G. che gl’animali, subito che nacque ro dalla terra, si divisero e portarono in luoghi convenienti al loro temperamento. Que' che abbondavan di fuoco o nell' ac qua o nell'aria. Gli altri ch'erano più gravi, abitarono la terra ec. Darwin Zoonomia. Milano, La massa tutta del seme, che noz mostrava alcuna forma, o figura chiama va Empedocle. 8ioques che potrebbe significa. re tutta la natura organica secondo Simpl. 163 1 de Phy. aud. 1, 2. Com. Aldo: Aristotile l. 2 de Coelo cap. 8 par lando dell opinione di Xenofane che credea la terra infinita estendere sino alſ infinito le sue radici, soggiunge do xakt.Eptidoxing ετως επεπλήξεν Per lo che Empedoche co si lo sferzò, e soggiunge i versi d' Empe docle, che noi rapporteremo 'ne' frammenti di lui. (29) Ταυτι δε τα εμφανη κρημνες και σκο: πελες και πετρας και Εμπεδοκλης μεν υπο τα πυ ρος οιεται το εν βαθει της γης εσταται και ανε χεσθαι. Empedocle è d'opinione che que sti sassi, questi scogli, questi dirupi, che sono agli occhi di tutti, sieno stati inalza ti dal fuoco che sta nelle profondità dela la terra „ Plut. de primo frigido, Quare quaedam aquae caleant", quae dam etiam ferveant in tantum, ut non pog sint esse usui nisi aut in aperto evanuere, aut mixtura frigidae intepuere, plures causae redduntur. Empedocles existimat ignibus, quos multis locis terrà opertos tegit, aquam calescere, si subjecti sunt solo per quod aquis transcursus est. Facere solemus dracones et miliaria, et complures formas, in quibus gere tenui fistulas struimus per declive cir. cumdatas; ut saepe eundem ignem ambiens aqua per tantum fluat spatii quantum ef. ficiendo calori sat est. Frigida itaque in trat, effluit calida. Idem sub terra Em. pedocles existimat fieri. Seneca Quest. Nat. Την γην εξ ης αγαν περίσφεγγομενης τη ρυμη της περιφοράς αναβλυσαι το υδωρ la terra, da cui, come fu condensata, per l'impeto della girazione spicciò l' ac qμα 15 Ρlut. de ΡΙ. Ρh. Οτι δε μενα (γη ) ζητεσι την αιτίαν και λέγεσιν οι μεν τυτον τον τρόπον, οτι το πλα τος και το μεγεθος αυτης αιτιον, οι δε ωσ: περ Εμπεδοκλης την τε κραγε φοραν κυκλω περιθεασαν και θαττον φερομενην την της γης φοραν κωλυειν καθαπερ το εν τοις κυαθοις υ δωρ και και γαρ τατο κυκλω το κυαθε φερομείς πολλάκις κατω τα χαλκά γινομενον ομως ου φερεται κατω πεφυκος φερεσθαι δια την αυτην 165 Citidy, Alcuni cercano il perchè la terra stia ferma nel mezzo, e dicono esserne cagione la sua grandezza e larghezza, Al tri poi, siccome Empedocle, son di pare re, che il cielo girando più velocemente del. la terra sia la cagione, per cui la terra non cada nello stesso modo, che avviene allac qua nel calice. Poichè seben questo si giri e stia col fondo su, e il labro all' in giù; pure l' acqua, che di sua natura tende al basso, non cache per la ragione medesima della girazione,, Arist. de Coelo Plut. de fac. in orbe Lunae, Plut. de Pl. Ph. 1, 2. cap. 13 Laert. in Emp. Arist. de anima. Καθαπερ Εμπεδοκλής φησιν, αφικνειο σθαι προτερον το απο τα ηλιο φως ας το μετα ξυ πριν προς την οψιν, η επί την γην, δοξα δ ' ευλογως συμβαινειν Empedocle dice che la luce, la quale viene dal Sole prinra giunge nel mezzo, e poi all'occhio ed aļla terra. Il che pare che accada con buona ragio ne » s. Arist. de sensų et sensili cap. 6. 166 tor.  G. in prima ha il Sole per una gran massa ignita' non già per una rijlessione di un altro sole šíecome attesta Laerz, in Emp. Era in secondo opinione di Empedocle che il simile si va sempre ad u nire al suo simile. Però venne a lui naturale il dire che la luce lanciata dal So. le, dopo d' essersi riflettuta sulla terra, nasse di nuovo ad unirsi al Sole, e poi di nuovo movendosi da quest' astro, tornasse a risplendere. Per altro Plutarco stesso aper. tamente dice de Pyth. orac.. che la luce del Sole secondo Empedocle risplende di nuovo αυθις ανταυγαν. Plut. de Pl. Ph. Gal. Hist. Ph. Stobeo Ecl. Phys. e tunti altri, appongono ad Empedocle l' opinione di due Soli, che si riguardavano, de quali l'uno mandava rag gi invisibili e l'altra visibili ec. (38) Empédocle, sans recourir á l’in stanatneité de cette émission ou á sa pro digieuse velocité disoit que cette objection se roit vraie, si le soleil lui même étoit en mouvement; mais que la terre tournant au 167 tour de son axe, venoit au devant, du ra yon, et voyoit l'astre dans sa prolonga tion. On ne répondroit pas mieux aujourd hui a cette objection, si quelqu'un la pro posoit contre la propagation successive de la lumière et son emission. Montucla. Hist. des Mathematiques Απολείπεται τοινυν το τα Εμπεδοκλεος ανακλάσει τιγί τα ηλια προς την σεληνην γεγες; σθαι τον ενταύθα φωτος οιον απ' αυτης οθεν 80's. Jequor de deep porn Resta dunque co me vera la sentenza d'Empedocle. Però la luce lunare non è nè calda nè assai splen. Plut. de fac in orb. Lunae. Est - il rien de plus juste que ce vers, dont voici la traduction litterale de Greg en latin circulare circa terram yolvitur a lienum lumen dit- il en parlant de lo lu ne? Achille Tatius en tire une preuve qu' Empedocle a regardé cette planéte comme un morceau détaché du soleil. Il n'a pas conçu que cet alienum lumen vouloit dire lumière empruntée, ce qui est très-confor me a la verité. Montucla Hist. des Math. dida, Isag. in Arat. Empedocles plus duplo lunam dia stare censet a terra quam a sole. Galen. Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. Και τον μεν ήλιον φησι πυρος αθροισο μα μεγα και σεληνης μαζω » Empedocle di. ce il Sole essere una gran massa di fuoco più grande della Luna Laert. in Emp. Plutarco de ' fac. in orbe Lunae, afferma che la Luna al dir d'Empedocle giraya a simiglianza d'una ruota: Ora in que' tempi si esprimea la rùvoluzione d'un corpo intorno al propio asse sotto la figura ra d'una rủota, Cosi di fatto indicarono Seleuco d'Eritrea, Heraclide di Ponto, Eco fanto di Siracusa, il movimento della tere ra intorno al propio asse. Per altro i Pit tagorici sapeano che la Luna girando in torno alla terra çi presenta sempre lo stes so emisfero. Il che come ciascun sa non può aver luogo, se la Luna girando intor no la terra ſon rotasse intorno al propio asse: Sicché è da credersi cl’Empedocle non ou esse ignorato questo movimento della Lu na. Ma come Plutarco non ne fa che un sol cenno, che può essere equivoco; cosi io non ho creduto di doverlo affermare come sicura opinione di G.. Fabricio Bibl. Graeca Arist. de plant. Arist. nel med. luogo. Arist. nel med, luogo. Τα δε σπερματα παντων εχ τινα τροφην εν αυτός και συναποτίκτεται τη αρχή καθαπερ εν τοις ωοίς. η και κακως Εμπεδοκλης αρήκε φασκων ωοτοκαν μακρα δενδρα Ogni semè contiene in sè qualche cosa d' alimen to uñitaniente al principio che genera, sic come è nell' uovo. Per lo che Empedocle disse bene che gli eccelsi alberi sono ovipa ri Theofrasto 1. i cap. ' 7 de Caus. Plant. Και τατο καλως λεγει Εμπεδοκλης ποιησάς: Ούτω δ ' ωοτοκεί μικρα δενδρα πρωτον ελαίας •. Το τε γαρ ωον κυημα εστι, και εκ τινος αυτα γίγνεται το ζωον, το δε λοιπον, τροφη τα σπερ ματος, και εκ μερες γιγνεται το φύομενον, το δε λοιπον τροφη γιγνεται το βλαστω και τη y 170 pión en xpern » Questo ben disse Emperor cle affermando, che i piccoli alberi ezian dio sono ovipari. Poichè da una parte dell' uovo nasce l'animale, e dal resto si fa la nutrizione di questo. Nello stesso modo ac cade nel seme. Da una parte si formá la pianticella, ed il resto serve per nutrirla Arist. de Gen. anim. Arist, de Gen. anim. Theofrasto 1. i cap. z de Caus. Plant. Indi è che Malpighi aper: tamente dice Plantarum ova esse semina vetus est Empedoclis dogma. Anat. Plant. In questi ultimi tempi Young è stato il primo a dire che le piante ven gono, dal seme. Rozier journ. de Phys. Auril. e Bonnet Deur. v. 5 p. 256 ha dimostrato l'analogia del seme coll' uovo.  ο δε μαλιστα και κυρίως εστι ζη = τητεoν εν ταυτη τη επίσημη τετο οστιν » όπερ ειπεν Εμπεδοκλής ηγουν α ευρίσκεται εν τοις φύτοις γενος θηλυ και γένος αρρεν και ει εστιν ειδος κεκραμενον εκ τετων των δυο γενών και Cio 171 she in questa scienza sia sopra d'ogn' al tro, e propiamente da ricercare, lo disse Em pedocle: cioè se nelle piante si ritrovi il sesso maschile e feminile, e se questi due sessi sien in quelle mischiati ed uniti,, Arist. de Pl. 1. cap. 2. Per lo che è da ripu. ţarsi particolar opinione d'Empedocle, quel, la del sesso nelle piante, e che queste fos sero state ermafrodite. Si legga lo stesso Aristotile de Pl. Haaly 005 - λομεν ζητειν πότερον ευρισκονται ταυτα τα δυο γενή κεκραμενα εν τοις φυτοις ως απεν Εμπε doxninis:,, Dobbiamo ricercare se i dųe ses si nelle piante sien mischiati, come vuole G..  Empedocles quidem divulsa esse so bolis membra aiebat, ut in faeminae alia alia in maris semine continerentur, atquo inde oriri animalibus venerei complexus ap.. petentiam, dum partes illae inter se di stractae conjungi atque uniri concupiscunt. Galen. de semine. Si legga parimente Aristot. de Gener, ànim. Plutarco de plac. Ph. Arist. de Gener. anim. Εμπεδοκλης τη κατα συλληψιν φαντα. σια της γυναικος μορφουσθαι τα βρεφη και πολ: λακις γαρ εικονων και αδριαντων ηρασθησαν γυναίκες και ομοία τετοις απετέκον. » Empe docle dice che dalla fantasia della donna piglia forma îl feto. Poichè spesso le don ne hanno la lor prole partorito simile a statue o. a immagini, che hanno amato Plut. de Pl. Ph. Plut. de Pl. Ph. Tutta la dottrina di G., siccome in appresso diremo, era fondata su i pori, e sugli effluvj, che si spiccano secondo lui da' corpi, o per quelli s'intro ducono, Plut. de Pl. Ph. I. 5. cap. 26. (58) Frondes amittere quibus aestatis ca. lor humorem ahsumpserit; semper fronde re quae majorem succi copiain habent, ut laurum, oleam, palmam 4 Hist. Ph. Gal. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph. lPlutarco Symp. Si propone la questione, perchè l' ellera conserva le fo glie, e gli altri alberi le perdono. Ei ri sponde con Empedocle per la disposizione de’ pori. Perche τοις δε φυλλoφoυσιν εκ έστι για μανοτητα των αγω και στενότητα των κάτω πι:,, ρων, οταν οι μεν επίπεμπωσιν οι δε φυλαττω σιν, αλλ' ολίγον αθρουν λαβόντες εκχέωσιν ωσ. περ εν αγδηροις τισιν ουχ ομαλοις A quel le piante, le cui foglie cadono į alimen to on basta a cagion della rarità de? pori superiori, e della strettezza degl inferiori. Poichè per questi pori s’ introduce poco ali mento, e per quelli molto se ne dissipa. Indi è che quel poco che hanno ritratto tosto lo perdono. Avyiene ciò che suole ac cadere negli attignitoi, che sono inegual mente forați. Flore française troisieme edition par MM. de La Marck et Decandolle T. Floré française Flore francaise Plut. de Pl. Ph.  Gal. Hist. Ph. Galeno Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. Ρlut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 22 Gal. Hist. Ph. Plut. ' nel med. luogo. Gal. Hist. Ph. Plat. de Pl. Ph. Ρlut. de ΡΙ.. Ρh. Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 16 Gal. Hist. Ph. Arist. de Respirat. Arist. 'de Respirat. cap. 7 Gal. Hist. Ph. (71) Arist, de, Resp. Plut. de PI. Ph. Pluit. de ΡΙ. Ρh. Plut. nel med. luogo. Gal. Hist. Ph. Si vegga la niemoria seconda sulla Vita di G. Ρlut. de Pl. Ph. Τα μεν γλαυκα πυρωδη καθαπερ Εμ. πεδοκλής φησι τα δε μελανoμματα πλεον υδατος εχιν η πυρος. » Che gli occhi az zurri, come dice Empedocle, abbondano di fuoco, ed i rieri abbiano più d ' acqua che 175 di fuoco, Arist. de gener. An Τα μεν ημερας εκ οξυ βλεπεις τα γλαυκα. δι ενδιαν υδατος. θατερα δε νυκτωρ δι ενδααν πυρός και che gli occhi azzurri non veggano bene di giorno per difetto d' ac qua, ed i neri di notte per difetto di fuo: εο, Arist. de Gen. an. Gal. Ηist. Ph. Ρlut. de P. Ph. Ειπερ μη πυρος την οψιν θετεον αλλ' υδατος πασαν,, Perclie la visione non e d ' attribuirsi al fuoco, ma tutta all'acqua » Arist. de Gen. anim. Arist. de sensu et sénsili l. Empedocles animum esse censet cor di suffusum sanguinem.  CICERONE (si veda) Tusc. quaest. e Ρlut. de ΡΙ. Ρh. Εν τη τα αιματος συστασε. Αλλοι δε ήσαν οι λεγοντες κατα Εμ " πεδοκλεα πριτηριον αγαι της αληθεας και τας αισθησεις αλλα τον ορθον λογον και τα δε ορθα λογα τον μεν τίνα θαον υπαρχειν τον δε αν - θρωπινον. ων τον μεν θαον ανεξοισθον ειναι. τον δε ανθρωπινον εξοισθαν. Ci sono stao 1 O 176 ti alcuni, che han dettò con G. esé sere il criterio della verità non già i sensi, ma la retta ragione. Questa poi essere in parte umana e in parte divina: la prima potersi da noi manifestare, e l'altra nòi, Sext: Emp. adv. Log. Hụezio Debolezza dello spiritous mano. Furere tibi Empedocles videtur: at mihi dignissimum rebus iis ', de quibus lo quitur sonum fundere. Num. ergo is ex. caecat nos, aut orbat sensibus, si parum magnam vim censet in iis esse ad ea, quae sub eos subjecta sunt, judicanda? CICERONE (si veda) Lucullus Empedocles quidem, ut interdum mi hi furere videatur, abstrusa esse omnia, ni hil nos sentire, nihil cernere, nihil omni quale sit, posse reperire. CICERONE (si veda) Lucullus Αρχαίοι το φρονων και το αισθανεσθαι ταυτον αναι φασιν ωσπερ και Εμπεδοκλης (δη 01.,, Gli antichi, come disse Empedocle, vogliono che sia lo stesso sentire, che ra 177 € 2. gionare. Arist. de anima, Arist. de Plant. Αναξαγορας μεν και Εμπεδοκλης επί θυμια ταυτα κινεισθαι λεγουσιν αισθανεσθαι τε και λυπεισθαι » Anassagora ed Empedo cle dicono che le piante sien mosse da de. siderio, da tristezza, e da voluttà, Arist, de P1.Αναξαγοράς δε και ο Δημοκρίτος και ο Εμπεδοκλής και νουν και γνωσιν εχεις απον τα φυτα Anässagora, Democrito, ed Em pedocle dissero le piante esser fornite di men te e di cognizione », Arist. de Pl. l. 1 cap. 1. Ρlut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 26. (90) Arist. de.ΡΙ. 1. 1 cap. 1 Ρlut. de P. Ph. Πρωτοι δε και τονδε τον λογον Αιγυ πτιοι ασι αποντές, ως ανθρωπα ψυχη αθα γατος εστι. τα σωματος δε καταφθινοντος ες αλλο ζωον αια γενομενον εσδυεται. επεαν δε περιελθη παντα τα χερσαια και τα θαλασσια και τα πτηνα, αυτις ες ανθρωπό σωμα γινομες γον εσβυνειν. την περιαλησιν δε αυτή γίνεσθαι εν τρισχιλίοισι ετεσι. Sono gli Egizi i pri Z 178 ηι. mi che dicono l'anima essere immortale; ma che 'morto il corpo va questa sempre informando un altro animale; dimodochè dopo d' esser passata per tutti gli animali o terrestri, o marini, o aerei torna di nuo ro ad informare il corpo d'un uomo. Que sto giro compie l anima in tre mila an Herod. Euterp. Τατω λογω ασι οι Ελληνων εχρησαντο οι μεν προτερον οι δε υστερον, ως ιδιω εωυτων εοντι. των εγω αδως τα ονοματα και γραφω. Tra Greci alcuni prima alcuni dopo han divulgato' la metempsicosi degli Egizi come opinione propria. E di quelli non vo. glio scrivere i nomi; ancorche mi sieno, co Herod. Sext. Emp. adν.. Math. 1. 8. (94) Ου γαρ ωσ. ο Μεγανδρος φησιν απαντι δαιμων ανδρι συμπαράστατα ' ευθυς γενομεγω μυσταγωγος τα βιε αγαθος, αλλα μαλλον ως Εμπεδοκλης διτται τιγες εκαστον ημων γενομες γον παραλαμβαγεσι και καταρχoνται μοίραι κα! d'alluoves.,, Non è da credere come dice Menandro, che a ciascun di noi, come ea gniti, gli nasce, assista un genio buono condut tor di tutta la vita, ma piuttosto è da te nersi l'opinione d'Empedocle, il quale di che ciascuno di noi dal punto della na scita è preso e governato da due genj e da due. fati Plut. de anim. tranquill. E sog giunge lo stesso Plutarco che co' nomi de gen; si esprimono σπερματα των παθων i se mi, delle passioni. Plut. de animi tranq. (96) Αφ ων οίμαι ορμώμενοι και οι πυθα: γορεοι και μετα τατος Πλατων αντρον και στην λαιον τον κοσμον απεφηναντο. παρα τε γαρ Εμπεδοκλα αι ψυχοπομποι δυναμας λεγεσιν Ηλυθομεν τοδ ' υπ' αντρον υποστεγον E da queste cose, siccome io stino i Pittagorici, e Platone dopo costoro, pre sero occasione di chiamar questo mondo an tro e spelonca. Poichè presso Empedocle le potestà conducitrici delle anime dicono: che siano finalmente giunte sotto quest' aniro coperto; Porph. de Ant. Nymph. ed. Van - Goens. Clem, Αlex. Strom. 1. 2. Stob. Εcl. 180 Eth. Jambl. Portrep. cap. g Hierocl. in Com. Scheffer de Secta Italica. Pindaro nella prima ode olimpica dirizzata a Gerone; dopo: d' aver descritto il supplizio di Tantalo, che chiama atau λαμον βιον εμποσομοχθον vita priva do gni ajuto e perpetuamente laboriosa » 'sog giunge „ questo supplizio forma il quarto dopo d' averne sofferto altri tre » Mesta Tpl. ων τεταρτον πονον. Non si puo comprendere a prima vista, come questo quarto suppli zio fosse stato perpetuo. Ma ciò è intera mente dichiarato nella seconda ode. olim pica diretta a Terone Gergentino. Quivi e gli dice: que', che dopo d'esser dimorati tre volte nella terra e nell'inferno ocou do ετολμησαν ες τρις εκατερωθι μειγαντες: seppero contener ľanimo loro nella pratica della virtil, arriveranno per la via di Giove al la regia di Saturno, dove laure dell' O. ceano spirano dolcemente attorno le isole fortunate, e splendono i fiori d'oro. vede quindi dal confronto di queste due o. di, che la metempsicosi giusta Pindaro con Si 181 sisteva in tre articoli: iº che l'anima del lo stesso uomo informava tre volte corpi u mani, che ' v'era un intervallo tra la morte e'l rinascimento in cui i giusti go deano di felicità, e i malvagi eran puni ti, 3º che le anime perseveranti nella giu stizia per tutto il corso delle tre vite umia ne, andavano poi. cogli eroi nell'impero di Saturno; e quelle, che s' erano mac chiate di colpe in quello stesso tempo, an davano in fine a soffrire un supplizio eter πο: απαλαμον βιον εμπεδoμοχθον. Gli sco liasti stessi di Pindaro, non altriinenti che noi abbiamo fatto ', lo dichiarano: uno di essi dice υπεραγαν μεχρι τριτης μετεμψυχοσέως Ev 8 %a740015 Tols peeport „ sostennero (le a nime ) sino alla terza metempsicosi nell' uno e nell'altro luogo cioè a dire nel la terra e nell' inferno. Ora trina di Pindaro pare che allora fosse sta ta conosciuta da' soli sapienti. Poichè dopo che il poeir avea esposta la triplice trasmi grazione soggiunge lo tengo sotto il mio gomito e dentro la faretra delle sette vo: questa dot 182 lanti, il cui fischio si sente dal solo sa piente. Ma la moltitudine ha lisogno d' interpetri ες δε το παν ερμηνεων χατιζα. Η saggio è colui che conosce la natura, gli altri, che įmparano da lui, sono loquaci nxo Root Taivajaworick e come i corvi inutilmente gracchiano. Per lo che pare, che Pindaro s'astenea di parlar chiaramente per non ri velare al volgo il dogma pittagorico della metempsicosi, ed opponea la furgawcola o loquacità del profano al silenzio del pittagorico. Tutti gli antichi fanno onorata men zione della filosofia di G.. Lascian do stare Aristotile e Teofrasto, noi sappia. mo da Laerzio l. 10 Sect. 25 ch' Herma co l'epicureo la espose in 24 libri moto - λικων περι Εμπεδοκλεας: Τra Latini poi  aparte di LUCREZIO (si veda) e di CICERONE (si veda), che ne fan sommi elogi, siano avvertiti da CICERONE (si veda) me. desinio che si era stato un SALLUSTIO (si veda), il quale area trattato la filosofia di G. nel la stessa guisa, che avea fatto LUCREZIO (si veda) per quella del GIARDINO ROMANO. Tria per quanto si raccoglie dalle parole di CICERONE (si veda) quell' auto re non era riuscito cosi bene, come LUCREZIO (si veda). Lucretii poemata, ut scribis, ita sunt multis luminibus ingenii: multae tamen ar. tis. Sed cum veneris, virum te putabo, si Sallustji Empedoclea legeris; hominem non putabo, cioè a dire se potrai sostener ne la lettura ti 'stimerò invitto e paziente. ma privo di senso. CICERONE (si veda) Ep. ad Q. Non che Plutarco ne' tempi d'appres. 80, ma tutti gli scrittori ecclesiastici ricor dano con lode Empedocle ed i suoi pensu. menti. Vi ha un luogo di Temistio nell orazione 12 all' Imperator Gioviano, in cui egli loda quest' imperadore per la lege ge da esso lui stabilita circa la libertà del la religione. In questo luogo ei dice agar σθαι μεν εν και τις αλλες το νομο προσηκ4 τον θαοτατον Αυτοκρατορα και μαλιστα δε οίς ουκ εφιασι μονον την ελευθερίαν, αλλα και τις θεσμες εξηγείται και φαυλοτερον Εμπεδοκλεας και Ma All Excave te Teals. Varia è stata l' interpetrazione di piu autori intorno a que ste parole, e principalmente per l'Empe 184 parere che docle, di cui fa menzione Temistio. Al cuni hanno sognato un altro G. di verso e posteriore al nostro. Petavio, non si sa come, crede, che sotto il nome di G. abbia quegli voluto significare G. Petit è di per G. s'inten la un cinico chiamato Peregrino. Nè marican di quei, che credono essere stato rcfurrito in quel luogo S. Policarpo martire. Iru biti gl'inteipetri Casaubono in not. ad M. Anton, pas 87 è stato a giudizio di Fabricio Bibl. Graec., corui che meglio l'hi interpetrato. AgarIsi Mesy XV x2. Toń andy (ita malo quam tos are 285, quod tamen ferri potest, nec' senten tiae, quam volumus, repugnat ), 78 roles.po: σηκ ή τον θιοτατον Αυτοκρατορα μαλιστα δε οίς (idest τετων vel εκεινων οις ) εκ εφιησι porgy etc., Degnissimo è l ' imperadore di ammirazione e di venerazione non che per le cose, che in quella legge si contengono, ma sopra di ogn'altro e per la libertà del la religione, e perchè spiega quelle leggi, che sono state da Dio dettate, con perizia 185 non minore di quella, per · Giove, che non fece quell'antico Empedocle., Di che si vede, ch'era tanta e tale la stima, in cui allora si tenea il nostro filosofo, che ad esso si comparava l ' Imperadore Gioviniano, allorchè si volea lodare. Abulfarage presso gli Arabi, secondo che dice Fabric. Bibl. Graec. T. 1 p. 474 loda G.e, come chi avea ottimamen te conosciuto gli attributi divini. Finalmente la filosofia d'Empedocle è stata vinovata da Campanella, da Magna. no o Maignano. Fahr. Bib. Graec. nel me desimo luogo. Per lo che si vede chiarissimo quanto male ORAZIO (si veda) conoscea il nostro filosofo; allorchè disse. Ep. 12 !. 1 v. 20. G.; an Stertinii deliret acumen. a a  Su i Franmenti delle opere di Empedocle Gergentino. ROM nico è l' oggetto di questa ultima mes moria: presentare a un colpo d'occhio tute ti accozzati gli avanzi delle opere d'Empe. docle. Egli ne detò molte, e quasi tutte, com'era usanza in que' di, le scrisse in versi.. Pure niun poema di lui è venuto sino à noi, e pochi sono i frammenti, che di questi ci restano L'inno ad Apollo, e 'l poema de' Persiani, furono, lui morto, bruciati. Il poema sulla sfera si reputa oggi opera d'incerto autore, Del suo discorso sulla medicina non ce n ' è restato nè anche vestigio: anzi ignorasi, se questo fosse stato scritto in versi secon do Laerzio, o pure in prosa secondo Sui da. I frammenti in somma delle opere di G., che da noi si conoscono, ri guardano e fan parte di due famosi poe e non sia. a, a 2 188 ni: l' uno sulle purgazioni, l'altro sulla natura. Il primo fu intitolato a Gergen tini; il secondo a Pausania il medico el amico di lui. La raccolta quindi de' fram menti de' versi d' Empedocle, di cui qui si parla, appartiene soltanto a questi due gran poemi. Piü Eruditi, e tuti di gran nome assai prima, e in varj tempi praticaron lo stesso. Stefano no pubblica il primo non pochi nel suo Ibro della poesia fi. losofica. Fabricio prese appresso il pensiero d'ampliar la raccolta di Stefano; e giusta il Mosenio quegli mol to l'accrebbe. Ma ogni fatica di lui, co me attesta il Reimaro, tornò vana; perchè morto Fabricio si perderono i suoi origina li,, e il pubblico non potè coglierne il frut. to. Van - Goens di poi nell'edizione, ch ' ei fece del libro della Groita delle Ninfe di Porfirio, manifestò aver già raunato più di trecento versi di G., e promiso al più presto di recarli in luce. Avea, se condo ch' attesta egli stesso, tratto gran pro 189 1 da' manoscritti che si conservano nella libre ria di Leyden, e invitato tutti i dotti ad aiutarlo in si fatio travaglio. Ma punto non si sa, se abbia o nò costui pubblica to la raccolta de' versi del nostro filosofo, giusta la promessa di lui sotto titolo di raccolta Empedoclea. E' sempre una singolar disgrazia il non potere profittar delle fatiche degli uomini grandi. Le nostre librerie een prive non che di manoscritti, ma scarseggiano ancora di libri. Non ci è venuto fatto di ritroe' vare in esse nè pure lo stesso Stefano della poesia filosofica. Però, mancan. ti gli aiuti, si è ito sù giù rifrustando an tichi scrittori per cogliere or uno or due e di rado o sei, o dieci' o più versi di Emperlocle, che sparsi si leggono in que sto, e in quell'altro. Fatica assai penosa, e ' tanto più dura, quanto ha obbligato a durar quello stento, che farebbe chi il pri mo si mettesse ad imprenderla, senza la spe. ranza di poter acquistare la gloria debita a chi il primo l'avesse intrapreso. Unico conforto ne fu un Simplicio dell'edizione d'Aldo, trovato nella libreria de' PP. Tea tini di Palermo (giacchè questi ne' suoi co. mentari d ' Aristotile rapporta molti versi d ' Empedocle ). Da questo libro furon tratti non pochi de' versi d ' Empedocle, che si tro van messi insieme. in quest'ultima parte. Ma il medesimo disgraziatamente fu ruba. to in quella libreria. Però non fu conco duto di potersi più riscontrare i versi rac colti col testo; e si è dovuto, congetturan, do quasi tentoni, quando supplir qualche parola a caso tralasciata, quando correg gere alcuni versi, che per la prima volta erano stati o male lètti, o falsamente scrit ti. Si è detto tutto ciò non perchè s' am. bisca lode di questa qualunque siesi fati ca; ma perchè se ne abbia anticipato come patimento. In altri paesi d'Europa la race colta de' versi d' Empedocle o gia è stata egregiamente recata in pubblico; o se non è stata ancor fatta, si potrà certamente fare e più abbondante, e più corretta, e più dotta, che non è questa. Non è quin 191 di la stessa da considerarsi come un ope. ra perfetta, o degna degli sguardi de' Dot ti. Si desidera soltanto, che si tenga la medesima, come un annotazione, con cui si provano i pensamenti d' Empedocle espo sti nella terza Memoria. Ma comunque ciò sia egli è certo, che i versi d'Empedocle smentiscono coloro, che portano opinione lui essere stato o di niú no o di poco valore in poetica. Si fondan costoro sopra Plutarco (1 ), il quale dice Empedocle avere ornato col metro i suoi discorsi per evitare l'umiltà della prosa. Ma non si accorgono aver loro o mal inte so o sinistramente interpetrato Plutarco, il quale pretese sol definire, che sia stata di dascalica la maniera poetica del nostro filosofo. Questa, come quella, ehe tratta e di filosofia, e di precetti sdegna le finzio. ni e l'invenzione, in cui il pregio, il bel lo, e la natura consiste d'ogni poesia. Per rò quegli disse, ch'Empedocle avea preso De Aud. Poet. 192 dalla poesia, senza più, e la pompa, e il meiro. Questo stesso avea già gran tempo prima annunziato Aristotilo, che fu non che savio ma di gran sentimento nelle co se poetiche. Egli, a distinguer la poesia d' Omero da quella d'Empedocle, affermò i uno e l'altro, tranne il metro, nulla tra loro aver di comune. Perché Omero era un Poeta, com’ei diee, ed Empedocle un fisiologo (1 ). Ma se Empedocle, qual didascalico, non merita é nome e lode, che si convie ne a poeta, non si pao negare aver lui necupato in que' dì il primo luogo tra di dascalici, Aristotile di fatto non seppe in miglior modo contrassegnare la differenza tra la vera poesia e la didascalica, che comparando tra loro il più gran poeta e il più eccellente didascalico; Omero ed Em pedocle. Nè altrimenti si pensò ne ' tempi d' appresso. Cicerone chiama egregio il poe (1 ) De Poet. cap. 1. 793 ma d'Empedocle sulla natura. Anzi mettendo egli a confronto i versi di Par menide, di Xenofane, e d' Empedocle, che furon tutti tre poeti didascalici, dice aper tamente, che più belli ed eleganti erano i versi del nostro filosofo. Che se poi mancasse ogn'altro argomento ad apprez zare il merito di lui, sarebbe certamente bastevole il sapere i poemi d'Empedocle es sersi cantati ne' pubblici giuochi di Grecia. Ognun sa, che questa, piena allora di gu sto, e severa nel gindicare, non concedea tali onori se non a soli grandiuomini. Nel resto ciascuno su cið, o del raffinamento del la poetica d'Empedocle, ne può da ise giu dicare. Il solo leggere i frammenti, che ci sono restati, basta a far che chiunque ne resti persuaso e convinto. Il dialetto de' Siciliani e de' Pittagorici era comune; e questo appunto era il Dori co. Pure G. avvegnache fosse stato Lib. 1 de Orat. (Acad. Quaest. l. 4. Ъь 194 o SICILIANO e Pittagorico, non mise in opera, che il dialetto Jonico, coine quello, ch'era tra Greci poeti il più polito e gentile. Fu inoltre la musa di G. dolcissima. E. gli ne' suoi versi non sol si servì di quel dialetto, ma nel farli scelse le parole più dolci e sonore. Platone, parlando d ' Era clito, d'Empedocle, dice che le muse di quello eran più dure, e le altre di questo più molli (1 ) ancorchè l' uno e l'altro aves sero usato il dialetto medesimo degli Jonj Plutarco stesso poi non lascia di notare, che gli epiteti apposti da Empedocle non erano, come per lo più esser ' sogliono ne' poeti, di puro ornamento, ma esprimeano la natura delle cose. Ne cita egli di fatto l'aggiunto dato da Empedocle a Ve. nere qual datrice di vita; il sempre verdeg: giante dato all'alloro; l'abbondante di san gue adattato al fegato: e altri simiglianti. Anzi il medesimo Plutarco da a G. Plut. in Sophista. Plut. Sympos. l. 6 Erotic.  il vanto d' aver meglio e più: destramento usato d'aleuni epiteti d'Omero: Ne reca ' egli in pruova l'aggiunto d'agglome rator di nubi, che questi attribuisce a Gio ve, e quegli all' aria, e l'altro di difena SOF del corpo, che Omero dà allo seudo, ed Empedocle all'anima. Ma perchè più dilungarci in rapporta: re antichi testimonj su cið? I franımenti stessi d ' Empedocle chiaro ci mostrano l' éc cellenza della sua poesia. Basta dirsi aver lui tenuto Omero per modello nelle sue o pere poetiche. Le voci, le frasi, le me taforé, la giacitura delle parole, le desi nenze de' versi son le medesime in quello, che in questo. Si può quindi dir con ra gione l'apparenza de' suoi versi, e la sein bianza de' suoi poemi essere stata tutta di Omero. Oltre che riluce in lui una viva cità nelle immagini, e una novità sin" nel le stesse parole. Moltissimi sugi epitéti ed espressivi e leggiadri non si trovano in al Plut. Symp. cun altro poeta: 1. pesci, per tacer d i tant altri, " sono chiamati da lui quando nutriti, quando abitatori dell'acqua; gli uccelli cimbe volanti; gli Dei ' di lunghissi. mi secoli. Anzi Aristotile nella sua poeti ca indica come una metafora assai bella, e allora nuova, quella con cui Empedocle esprime la vecchiaja; chiamandola l'occa. so della vita. Chiunque poi legge nelle sue opere la descrizione della natura; " che qual pittore con quattro colori, fa tutte le co se con quattro elementi; o l' altra della visione, che comparata a una lucerna, fa le sue funzioni; o quella della clessidra, o cose simiglianti ', non gli potrà certo ne gare il pregio, che si conviene a vaga e bella fantasia. Per lo che da' framinenti di G. si prende quel diletto, che pigliar si suole guardando i rottami d'una qualche nostra Greca Sicola anticaglia. Nel mettersi insieme si fatti frammen, ti si sono in prima distinti i versi, che appartengono al poema della natura, da. quelli, che fan parte dell'altro sulle pur 197 1 lande prezi Foce cck que nal elle gazioni. Ciò non è riuscito punto difficile, Perchè il primo tratta di cose fisiche, e 'l secondo di cose morali. In quello d'ordi nario, perchè diretto al colo Pausania i verbi si trovano in singolare. In questo all'oppesto perchè indirizzato a Gergentini, i verbi si leggono in plurale. Perd e dalla sintassi e dalla materia è stato age vole il se parare i frammenti d'un poema da quelli dell'altro. Si sa oltr'a ciò il poema di G. sulla natura esser. diviso in tre libri. Molti stenti ha costato il congetturare qua li sieno stati trà versi, che ci restano, quel li che appartengono o al primo, o al se condo, o al terzo, In çiò fare è stato di mestieri ricercare se per avventura gli scrit tori, che ne riferiscono i frammenti, aba biano citato il libro. Talora d' alcuni ver si, che certamente si sa dalla testimonian za degli scrittori doversi collocare in uno de' tre libri, si è rilevata la materia, che in ciascuno di essi trattavasi dal no stro Gergentino, Stabilita poi la materia la ni che ung en. he da ur. 198 stato ben facile il riferire allo stesso li bro tutti que' frammenti, che si versano sullo stesso soggetto. Ma non di rado con frontando i frammenti tra loro si è trova to, che alcuni finiscono con versi, che son principio di altri. Con tale studio quindi e simigliante artifizio si è cercato di collo care o prima, o dopo alcuni frammenti, che sono dello stesso libro. Nel resto sarà meglio il tutto giustificato nelle note, e l' ordine con cui sono rapportati i frammen ti, e l'autore, da cui sono stati ricavati e l'intelligenza, con cui sono stati interpe trati '. Fra tanto se questo qualunque siesi lavoro non sarà stimato degno di lode, po trà almeno, meritare, nell' emenda de dete ti il perdono del pubblico. RACCOLTA DE FRAMMENTI. ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ βιβλ. α. Παυσανία συ δε κλυθι δαίφρονος Αγχίτου υιε. Εστί αναγκης χρημα θεων σφραγισμα παλαιον Αϊδιον πλατεεσσι κατεσφραγισμενον ορκοις Τεσσαρα των παντων ριζωματα πρωτον ακους Ζευς αργής, ηρητε φερεσβιος η αίσθωγευς Νηστις θ' ' δακρυοις τεγγα κρενωμα βρoταον Των δε συνερχομενων εξ εσχατων ιστατο νακος Διπλ' ερεω: τοτε γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ ' αυ διεφυ πλέον εξ ενος ειναι Δοιη δε θνητων γενεσις δοιη και απολαψις Την μεν γαρ παντων συνοδος τικτατ’ ολεκτιτε Ηδε παλιν διαφυαμενών θρυφθασα γε δρυπτα Και ταυτ αλλασσοντα διαμπερες εποτε λήγα DELLA NATURA Lib. I. Pausania figliuol del saggio Anchito Tu ciò, ch ' io dico, attentamente ascolta E' volere del Fato, è degli Dei Decreto antico, che ab eterno fue Segnato con solenni giuramenti. Il bianco Giove, la vital Giunone, E Pluto, e Nesti, che piangendo irriga I canali dell'uom, son d'ogni cosa, Odimi in prima, le quattro radici. Ma come quelli tra di lor s'accozzano Dall' ultimo confin sorge la lite. Dųe son le cose, ch' a narrarti io prendo: Ora l'uno dal più risulta, ed ora Nasce dall' uno il più: cosa mortale Doppio ha nascimento, e doppia ha morte. Genera, e strugge l ' union del tutto; E questa sciolta, torna pur di nuovo CC 20 2 Αλλοτε μεν φιλοτητί συνερχομεν ’ ας εν απαντα Αλλοτε αυ διχα παντα φορεμενα νακεος εχθα Εισοκες αν συμφωντα το παν υπενερθε γενητα. Ουτως η μεν εν εκ πλεογων μεμαθηκε φυέσθαι Η δε παλιν διαφυγτος ενος πλεον εκτελεθεσ: Τη μεν γίγνονται τε και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε διαλλασσονται διαμπερες αποτε ληγει Ταυτη α εν εασσιν ακινητα κατα κυκλoν. Αλλ' αγέ μυθον κλυθι - μεθη γαρ τοι φρεγας αυξ Ως γαρ και πριν ειπα πιφασκων πειρατα μυθων Διπλ’ ερεω: τοτε μεν γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ' αυ διεφυ πλεον εξ ενος αναι Πυρ και υδωρ και γαια και κερος απλετον υψος Νικοστ' αλομενον διχα των αταλαντον εκαστον Και φιλοτης εν τοισιν ιση μηκοστε πλατοστε Την συν νω δερκε μη δ ' ομμασιν ησο τεθηπως Ητις και θνητοισι νομιζεται εμφυτος αρθροίς Tητε φιλαφρονεας ιδ ' ομοιϊα εργα τελεσι Γιθοσυνην καλεοντες επωνυμον ιδ " αφροδιτην Την στις μετ ' οτοίσιν ελίσσομενην δεδαηκε. Θνητος ανηρ συ δ' ακ8ε λογων στoλoν εκ απατηλον Ταυτα γαρ ισα τε παντα και ηλικα γενναν εατσι Τιμης δ' αλλης αλλο μεδα παρα δ ' ήθος εκαστω Εν δε μερά κρατεεσι περίπλομενοιο χρονοιο. Και προς τους ατ' αρ' επιγιγεται δ ' απολήγα Ogni cosa, ch' è nata, a separarsi. Tutto alterna cosť, e così dura Eternamente: ed ora in un si accozza Per la virtù dell' amicizia, ed ora Per l'odio della lite si sparpaglia, Standosi in aria, finchè non si unisca, Cosi l'uno dal più nascer costuma. Cosi dall' un già nato il più rinasce. Entrambi han vita; ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l' uno e l'altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra di un cerchio eternamente gira. Ma tu il mio parlare attento ascolta, Che lo spesso sentire, e risentire La mente aguzza. Come pria ti dissi Raccogliendo la somma del discorso Due son le cose, ch'a 'narrarti io prendo. Ora l'uno dal più si forma, ed ora Nasce dall' uno il piii; ch'è terra, e fuoco, και ed aria d'un'immensa altezza, Oltre di questi, che tra lor son pari, Havi lite dannosa, ed amicizia, Ch'ha per lungo, e per largo egual misura.?' u colla mente la contempla. Invano Ed acqua, CC Η Ειτε γαρ εφθαροντο διαμπερες εκετ ’ αν καισαν. Τατο δ ' επαυξησε το παν τι κε; και ποθεν ελθον; Πη δε κεν απολοιτο επει των δ ' δεν ερημον; Αλλ ' αυτ ’ εστιν ταυτα διαλληλων δε θεοντα Γινεται αλλοτε αλλα διηνεκες αιεν ομοια (4). 205 Stupidi gli occhi sopra dessa fisi. Questa d'ogni mortal nelle giunture Si vuole innata, e chi n'han senso in mente Fanno, comº essa fa, opre leggiadre. Di Venere col nome o d'allegrezza La chiamano, sebben finor niuno Seppe indicare dentro a quali cose Si aggirasse involuta. O tu niortale, Ascolta i detti, che non son fallaci: L'amicizia, e la lite sono eguali, Hanno la stessa età, l' origin stessa Sol con diverso onor l ' una sull'altra Impera, e piglia, com'è lor costume, Il comando a vicenda al fin del tempo, Scritto a ciascuna dal voler del fato. Nulla viene oltr' a ciò, ch' ancor non è Nulla di quel, che è, desser finisce; Se pur finisse., riaver non mai Potrebbe in alcun tempo l'esistenza. Doy ' andrebbe a perir, se non v'ha luogo Di ciò solingo, ch'al presente esiste? E se quel', che non è, ora venisse D ' onde verrebbe? e che? come potrebbe Accrescer questo tutto, s' egli è tutto?? Επι νεικος μεν ενερτατον ικετο βενθος Δινης εν δε μεση φιλοτης στροφαλιγγα γένηται Εν τη δη ταδε παντα συνερχεται εν μονον είναι Ουκ αφαρ αλλα θελυμμα συνισταμεν αλλοθεν αλλο Των δε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρια θνητων Πολλα δ' αμικτ ’ εστηκε κερασσαμένoίσιν εναλλαξ Οσσ ' ετι νεικος ερυκς μεταρσίον • 8 γαρ αμεμτώς Το παν εξέστηκεν επ ' εσχατα τερματα κυκλα Αλλα τα μεν τ ' εμιμνε μελεων τα δε τ ’ εξεβεβηκεν Οσσον δ ' αιεν υπεκπροθεει τοσον αιεν επηει Η επιφρων φιλοτης αμεμπτως αμβροτος ορμη Αιψα δε θνητ’ εφυοντο τα πριν μαθον αθανατ’ είναι Ζωρα δε τα πριν ακρητα διαλλαξαντα κελευθες Των δε τε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρία θνητων EΠαγτ οιαις ιδεησιν αρηροτα θαυμα ιδεθαι Sempre dunque le cose son le stesse, Si mischian, si separano, a vicenda Movendosi tra lor, e nascon sempre Novelle forme, ma tra lor simili. Avea la lite già toccato il fine Ultimo del girar, quando amicizia Del cerchio, in cui si volge, al centro arriva. Tutte le cose allor vanno ad unirsi Per fare l'un; ma a poco a poco il fanno, Base a base di quà di là giungendo. Dagli elementi, che tra lor si mischiano Razza infinita di mortali nasce. Ma in mezzo a que', che s'accozzar, vi furo Altri, che ' ncontro senzı alcun miscuglio Restaron puri; perchè lite ancora In alto li tenea Piena di colpa Ella com'è, voleva il tutto scisso Sull' estremo confin del cerchio trarre. Però de' membri, alcuni fuor spuntaro, Ed altri nò. Ma quanto innanzi corre Sempre la lite, tanto sempre è pronta L ' amicizia a venir saggia, divina, Nuda di colpe, d' immortale forza Σ Η δε χθων τατοισιν ιση συνεχυρσε μαλιστα Ηφαιστω τ ' ομβρωτε και αθερι παμφανοωντι Κυπριδος ορμησθεισα τελειοις εν λιμενεσσιν Ειτ ' ολίγον μειζων ειτα πλεον εστιν ελασσων Ίων αιματ’ εγένοντο και αλλης ειδεα σαρκος. Η δε χθων επικαιρος εν ευτυκτοις χοανοισι Τα δυο των οκτω μερεων λαχε νηστιδος αιγλης Τεσσαρα δ ' ηφαιστοιο. Τα δ ' οστεα λευκα γένοντο Αρμογιης κολλησιν αρηροτα θεσπεσιηθεν E nascer ecco, e divenir nascendo Della morte alla falee sottoposti Que', che prima sapean esserne immuni, E mutando sentier trovarsi misti Que', che puri eran pria senza miscuglio. Formasi in somma dalle cose miste Un numero infinito di mortali, Che d'ogni specie son, d'ogni figura, Si, ch'a vederli è certo maraviglia. Ne'porti estremi della bella Dea Giunse la Terra là dov' ogni cosa Or di massa crescendo, ed or mancando Il più meno si fa, e 'l meno più. Ivi la Terra in parte egual s'avvenne All' aria trasparente, al fuoco, all'acqua, E da tale union indi formossi Qualunque specie di carne, e di sangue. Quando la terra era d'amor sospinta In pevere ben salde a sorte trasse Dell'otto parti, d' acqua chiara due, Quattro di fuoco: e per divin volere Col glutin d'armonia tutte s'uniro: dd διο Βελιον μεν θερμoν οραν και λαμπρον απαντη Αμβροτα γ οσσ ' εδεται και αργέτι δευεται αυγη Ομβρον δ ' εν πασι νιφρεντα τε ριγηλοντε Εν δ ' αιης προρεεσι θελυμγα τε και στερεωμα. Εν δε κοτω διαμορφα και αν διχα παντα πελονται Συν δ εβη εν φιλοτητι και αλληλοισι ποθκται. Εκ τετων γαρ παντ' ην οσσα τε εστι και εσται Δενδρατο βεβλαστηκε και ανερες ηδε γυναικες Θηρεστ’ οιωνοίτε και υδατο θρεμμονες ιχθυς Και τι θεοι δολιχαιωνες τιμησι Φεριστοι και Αυτα γαρ εστι ταυτα δι αλληλων θεοντα Γινεται αλλείωτα E l'ossa bianche furon tosto fatte. Da per tutto si vede il Sol, che desta Calore, e lancia della luce i raggi, E quegli ancor, che senza morte sono, Quasi da fame o pur da sete spinti, L'aria ricercar bianco splendente. Puossi ovunque veder l'acqua; che in neve: Talòr si muta, e facilmente gela: o pur la terra, da cui vengon fuori Le salde cose. Quando impera lira Tutto è biforme, ed ogni cosa è scissa, Ma regnando amicizia il tutto corre Pronto ad unirsi, e l'una all' altra cosa Per interno desir s'abbraccia, e stringe. Tutto viene da quelli, e per l'amore, Ciò, che fu, cid, che è, ciò che sard, Germogliaro cosi alberi, e piante Nacquero maschi, e donne, e fiere, e uccelli, E pesci ancor, che son d'acqua nutriti; O pur gli Dei di secoli lunghissimi Chiari per gl' inni, e per gli onor prestanti. Sempre in somma le cose soil le stesse, Sempre tra loro han moto, e cangian forma. d d 2 Ως δ ' oπoταν γραφεες αναθηματα ποικιλλωσιν Ανερεσ αμφί τεχνης υπο μη τινος δεδαωτες Οιτ ' επει καιν μαρψωσι πολυχροα φαρμακα χερσι Αρμονια μιξαντε τα μιν πλεω αλλα και ελασσω. Εκ των αδεα πασ' εναλίγκιά πορσυνέσι Δενδρεάτε κτιζοντες και ανερας nde γυναίκας Θηρας τ’ οιωνες τε και υδατο θρέμμονες ιχθυς Και τε θεες δολιχαιωνας τιμησι φεριςτες Ουτω μη σ ' απατα φρενα ως νυ κεν αλλοθεν «να Θνητων οσσα γε δηλα γεγαασιν εσπετα πηγήν. ταυτ ' ισθί θεα παρα μυθον ακουσας Αλλα τορώς Εν δε μερα κρατεεσι περίπλομενοίο κυκλοίο Χα, φθιγει ας αλληλα και αυξεται εν μέρει αισης Αυτα γαρ εστι ταυτα οι αλληλων δε θεοντα Γιγοντα ανθρωποιτε και αλλων εθνέα θνητων: Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν ασ ενα κοσμου Qual dipintor nell'arte sua perito Sa' i quadri variar, che la pietate Del tempio alle colonne, appende in dono A santi numi. Egli con man piglian do Ora più, ora men di questo, è quello Colore, insiem con ' armonia li vmischia, E poi con essi va pingendo immagini Che son del tutto simili agli oggetti: Uomini, donne, fiere, uccelli, e piante;. Ed i pesci, che son đ 0 pur gli Dii di secoli lunghissimi Chiari per glinni, e per gli onor prestanti; Cosi la mente certo non s'inganna Dº ogni nato mortal qualora dice Esserne fonte sol quegli elementi. Tu.ciò, che ho detto, tieni pur per fermo. Di tutto il nascer sai, fuorchè di Dio, Sul quale il mio parlar non è diretto. acqua nutriti Or l'amicizia, ed or la lite impera Del cerchio intorno rivolgendo i passi, E luña e l'altra, come vuole il fatoo Manca a vicenda, ed a vicenda sorge. Sempre le stesse son, sempre alternando Αλλοτε δ ' αυ διχ' εκάστα φορεμενα νικεος εχθα Εισοκεν αν συμφωντα το παν υπεγερθα γενηται. Ουτως η μεν εν εκ πλεονων μεμαθηκε φνεσθαι Η δε πάλιν διαφωντος ενος πλεον εκτελεθεσι. Τη μεν γίνονται και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε τα διαλλάσσοντα διαμπερές δαμα λογια Ταυτη αιεν εασσιν ακινητα κατα κυκλος Σ Τεσσαρα των παντων ριζωματα πρωτον ακα! Πυρ και υδωρ και γαιαν η αιθερος απλετον υψος Εκ γαρ των οσατ' ην οσατ ' εσσεται οσσα τ ' εσσι(11 Αυταρ επε μεγα νεικος ενι μελεεσσιν ετρέφθασε Ες τίμαστ' ανορεσε τελιoμενοιο χρονοιο Ο σφιν αμοιβαιος πλατεος παρεληλατο ορκα Si muovono. Deil' uom la razza nasce, Tant' altre razze di mortali han vita. Talor per amicizia in ordin bello Tutto si unisce; ma talor per stizza Di lite il tutto si separa, è stassi Sospeso in alto, finchè non s'unisca. Cosi l'uno dal più nascer costuma. Così dall' un già nato il più rinasce. Entrambi han vita, ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l'uno, e l' altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra d'un cerchio eternamente gira. Quattro, figliuol d'Anchito, in prima ascolta Son radici di tutto: il fuoco, e l'acqua, La terra, e l ' aer d'un immensa altezza; Perchè da questi sol viene, e deriva Ciò, che fu ', ciò, che è, ciò, che sard. Dopo, che lite, la gran lite ascosa Era stata ne' membri, il tempo scorso, Agli onori salt. Perchè l'impero Alternar si dovea, com'era scritto Con solenne, ed eterno giuramento. 256 Αρτια μεν γαρ αυτα εαυτων παντα μερέσσιν Ηλεκτωρτε Χθωντε και κρανος ηδε θαλασσα Οσσα Φιν εν θνητοίσιν αποπλ.αχθεκτα πεφυκέν. Ως δ ' αυτως οσα κρασιν' επαρκεα μαλλον εασσιν Αλληλοις εστερνται ομοιωθεντ' αφροδιτη. Εχθρα πλειστον επ', αλληλων διεχεσι μαλιστα Γεννητε κρασατε και αδεσιν εκμακτρισι Παντη συγγίγεσθαι αηθεα και μαλα λυγρα Νακεσ γεννηθεντα οτι σφισι γεννας οργα ,. Αλλο δε τοι ερεω • φυσις αδενος εστιν απαντων Θνητων εδε τις ολομενα θανατοιο τελευτη Αλλα μογον μιξις τε διαλλαξις τε μιγεντων Εστι. φυσις δε βρoτοις ονομαζεται ανθρωποισι Οι δ ' οτε δε κατα φωτα μιγεν φως αιθερι κυρα Η κατα θηρων αγροτέρων γενος και κατα θαμνων Ηε κατα οιωνων τοτε μεν τα δε φασι γενεσθαι 217 Tutto è perfetto, perchè tutto ha pari Íl numer delle parti, che il compone. Tal è la Terra, il Sole, il Cielo, il Marc E tutto quel, che tra mortali errando Miste ha le parti giusta sua natura. Ciò, che ridonda poi al lor miscuglio Da Venere s ' unisce al suo simile, Giacchè le cose simiglianti forte S'aman tra lor. Na spesso le divide L'inimicizia. Nascon quindi mostri Strani assai per la stirpe., e per la tempra, E per le forme, ch' hanno in loro impresse; Perchè la lite li produce allora Ch' appetiscon le cose il generare. Un altra cosa a dichiararti io prendo: Nulla ha natura, nè mortale ha morte, Che danno arrechi. Perch' è sol miscuglio, E delle cose miste è scioglimento Ciò, che natura gli uomini chiamaro. Quando a caso nell'aria s'imbatte Il miscuglio, che fa dell' uom la razza, O quella degli uccelli, o delle piante, Ευτε ο αποκριθωσι τα δ ' αυ δυσδαιμονα ποτμαν Ειναι καλεσιν Βιβλ. β. Νυν δ ' αγε πως ανδρωντε πολυκλαυτωντε γυναικων Εννυχιες ορπηκας ανήγαγε κρίνομενον πυρ Των δε κλυθ'.8 γαρ μυθος αποσκοπος εδ' αδας μων Ουλοφυες μεν πρωτα τυποι χθονος εξανατελλον Αμφοτερων υδατοστε και αδεος αι σαν εχοντες τετ' ανέπεμπε θελον προς ομοίον ευεσθα Ουτε τυπω μελεων ερατον δεμας εμφαινοντες Ουτ’ ενοπην ετ ' αυ επιχωριον ανδρασι, ηουν Πυρ μεν Πολλα μεν αμφιπροσωπα και αμφιστερνα φυέσθαι Βεγενη ανδροπρωρα τα δ ' εμπαλιν εξανατέλλας Ανδροφυη βεκρανα μεμιγμεγα τη μεν υπ ανδρων Τη γυναικοφυη σκιεροις ήσκημενα γυιοις O de' bruti selvaggi, allor si dice Che nascon essi; e quando si discioglie Il miscuglio di lor, ch' han trista morte. Come nel separarsi il fuoco trasse De' maschi i germi oscuri, e delle donne, Che piungon molto, odimi, che 'l dire Rozzo non è, nè fuor sen va del segno. Perfetti in prima dalla terra i tipi Spuntaron tutti. Ma siccome il fuoco Su n'esulò il suo simil -bramando, Restaron quelli sol umide forme, e l'immago per lor parti aventi. Però nel tipo de' lor membri ancora Non mostravan ľamabili fattezze Del corpo, non ancor l'organ di voce, Nè la natia degli uomini favella. L'acqua, Nascon de' mostri con due facce, o petti.. Bovi son questi con umano volto, Comini quelli con bovina testa, D'opachi membri son forniti, e tutti e e 2 2 20 Η μεν πολλαι κορσαι αγαυχενες εβλαστησαν Οφθαλμοι δε επλασθησαν γαρ πτωχοί μετωπων (18 Βραχιονες γυμνοι χωρίς μορφονται γε. ωμων (19). Τατον μεν βρoτεων μελεων αριδαιαστον ογκον Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν' ας εν απαντα Για το σωμα λελογχε βια θαλέθοντος εν ακμή. Αλλοτε δ ' αυτε κακησι διατμηθοντ ’ εριδεσσιν Πλαζεται ανδιχο εκαστα περι ρηγμινι βιοιο. Ως αυτως θαμνοισι και ιχθυσιν, υδρομελαθροις Θηρσιτ’ οραμελεεσσιν ιδε πτεροβασμισι κυμβας (20 Σδε δ αναπνα παντα και εκπγ: πασι λιφαιμο ! Σαρμων συριγγες πυματον κατα σωμα τετανται Και σφιν επιστομίοις πυκνοις τετρηντα αλοξι Ριγων εσχατα τερθρα διαμπερες. ωστε φαγον μεν Σ 221 L'han di maschio, e di donna insiem confusi Sorsero teste senz' aver cervici. Privi di fronte furon fatti gli occhi. Nude le braccia senza spalle fatte, I membri umani giaccion tutti in massa Bella, e vistosa. Per anior talvolta S' uniscono tra loro, e corpo a caso Nel fior si forma della verde etate. All'opposto talor spiccansi i membri Per trista lite, e quà e là d' intorno Alla spiaggia di vita erran divisi. Apvien ciò pure agli alberi, alle fiere Che montanine son, a pesci ancora Abitator dell acqua, ed agli uccelli Che solcan l ' aria coll ' alate cimbe Ecco nel respirar come da tutti L' aer dentro si tira, é fuor si manda, Delle vene i canali si propagano Agli estremi del corpo, e metton capo Delle nari ne' solchi, in cui le punte  Σ Kευθαν αιθερι δ ευπορίαν διο οισι τετμησθαι Ενδεν επαθ οποτ.ν μεν επαίζη τερεν αμα Αιθαρ παφλαζων καταϊσσεται οίδματι μαργω. Ευτε δ ' αναθρησκ 4 πμλιν εκπν: 1. ωσπερ οταν πας Κλεψυδρας παιζοσα δι ευποτρος καλκoιο Ευτε μεν αυλα πορθμον επ' ευκαδα χερι θισα Εις υ2τος βαπτητι τερεν δεις αργυφεοιο Ουδε γ' ες αγγος ετ’ ομβρος εσέρχεται αλλα μιν εργ ! Αερος όγκος εσωθι πεσων επί τρηματα πυκνα Σισοκ α τ οστεγασι πυκνον ρέον. αυταρ επάτα Πνευματος ελλειποντος εσέρχεται αισιμων υδωρ. Ως γ' αυτως οθ' υδωρ μεν εχω κατα βενθεα καλκα Πορθμα χωσθέντος βρoτεί » χροι ηδε πορο! ο Αιθήρ δ' εκτος εσω λελιημενος ομβρον ερυκα Αμφι πυλας ισθμοιο δυσηχεος ακρα κρατύνων Εισοκε χέρι μεθ, τοτε δ' αυ παλιν εμπαλιν και πριν Πνεύματος εμπίπτοντος υπεκθι αισιμον υδωρ - Ως δ' αυτως τερέν αιμα κλαδισσομενον δια γυιων Οπποτέ μεν παλινoρσον επαιν5 μυχονδε Θατερον ευθυ, ρεμα κατερχεται οι ματι θυον Ευτε δ' αναθρων Α4 παλίν ειπν.4 ισον οπισσα Hanno sturate, Ma di sangue in parte Sono que tubi, e non del tutto pienii. Però calando giù s'occulta il sangue, E lascia all ' aer libera ed apertit Dell'entrata lu vir per le bouciucce. Avvien cosi, che quando il sangue molle In gil si lancii nell'interno, tosto L'aria, che ferve, con sue vacue bolle Entra con furia. E quando poi balzando Ritorna il sangue, torna fuor di nuovo Uscendo l'aria. Guarda quà donzella Intenta a trastullare colla clessidra Di facil bronzo, ch'al martello regge. Empier d'acqua la vuol: perciò ne tura Colla sua bella man prima la bocca Dell'orifizio, e quindi per la base Di spessi forellin tutta bucata L'immerge in mezzo della limpid' acqua. in questa intanto dentro non penétra Perché l'aria racchiusa nella clessidra Sovrastando a' forami con la molla L ' acqua preme, sospinge, ed allontana. Che se appena riapre la donzella Il già chiuso orifizio, di repente Ως δ ' οτε τις προοδον νοεων ωπλίσσάτο λυχνον Χειμεριην δια νυκτα πυρος σέλας αιθομελοιο L'aria sen fugge; e come questa manca L'acqua fatale, che presiede all' ore, Ch'entrar pria non potea, entra nel vaso. La clessidra è già piena: or la donzella In altra guisa guarda là, che gioca. Ella con man turandone la bocca Dalla base forata vuol che cada L' acqua fatale, di cui quella è zeppa. Ma cupido d ' entrar laer di fuori Quasi forte confin l ' acqua ritiene Intorno á forellini gorgogliante. Se quella poi leva la mano, allora All'opposto di pria laer di sopra Cadendo all ' acqua ý giù la manda, è questa Per gli forami della base gronda. Tal è del sangue, che colante scorre Per le membra. Se presto si ritira Affollandosi in dentro, allor di colpo Schiumosa l' aria con vigor rientra. Poi quel ratto s' avanza, e questa fuori Esce coil passo egual retrocedendo. Come d'inwerno per l'oscura notte Chi prende a viaggiar prima prepara Αγας παντοίων ανεμων λαμπτηρας αμοργός Οιτ ' ανεμων μεν πνευμα διασκιανασι αεντων Φως δ ' εξω διαθρωσκον οσον ταγαωτερον ηεν Λαμπεσκεν κατα βηλον αταρεσι ακτινεσσιν. Ως δε τον εν μηνιγξιν εεργμενον ωγυγίον πυρ Λεπτησιν οθονησιν εχευατο κακλοπα κερης Αι δ ' υδατος μεν βενθος απεστεγον αμφινααντος Πυρ δ ' εξω διαθρωσκον οσον τανάωτερον Μεν U Βιβλ. και Ου τοσε τι θεος εστιν και τοτε και τοδε Ουκ έστιν πελασθαι εν οφθαλμοίσιν εφικτος Ημετέροις η χέρσι λαβαν υπερτε μέγιστη Πειθες ανθρώποισιν αμαξιτος ας φρεγα πιπτα. Ου μεν γαρ βροτεη κεφαλη κατα γυια κεκασθα Οι μεν απαι γωτων γε δυο κλαδοι ασσεσιν Lampade,.e lume di un ardente fiamma, E poi li mette dentro una lanterna, Che da venti difenda la fiammella; Perchè di questi come van spirando Disperge il soffio. Ma di fuor si lancia La luce, intanto, e quanto più si estende, Tanto illumina più presso la struda Corai di notte vincitor non vinti; Cosi il naturale antico fuoco, Che la pupilla circolure irradia, Stassi dell' occhio in le membrane chiuso Sottili al par di vel, che dall ' umore, Il quale in copia dall' intorno scorre Tutto il difendon. Ma di là movendo Quanto più lungi puà fuori sį spande. Nè questo, o quello, nè quell' altro è Dio, A noi cogli occhi non è mai concesso Di poterlo veder, nè colle mani Di poterlo trattar: che della mente Esser suole la via grande, e comune, Per cui persuasion entra nell' uomo. Οι ποσες και θοα γουνα παι μηδεα λαχνηεντα Αλλα Φρην ιερη και αθεσφατος επλετο μενον, Φροντισι κοσμον άπαντα καταϊσσεσα θοησιν ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ. Ει δ ' αγε νυν λεξω πρωθ ηλιον αρχην Εξ ων δη εγενοντο τα νυν εσoρωμεγα παντα Ταράτε και ποντος πολυκυμων ηδ' υγρος αηρ Τιταν η δ αθηρ σφιγγων περί κυκλoν απαντα Iddio non è di mortal capo ornato, Che su membri s'estolle. A lui sul dorso Non spiegansi i due rami. Egli non have Ginocchia, che al cammin ci fan veloci. Egli piedi non ha, nè quelle parti Che vergogna, e lanugine ricopre. E mente sol, è sacra mente Iddio, Ch'esprimer non si può da nostra lingua: In un istante tutta la natura Col veloce pensier ricerca, e scorre. DELLA NATURA. V B R SI Che non si sa a quale de tre Libri appartengono. Dirotti in prima co' mięi versi d' onde Ebbe origine il Sole, e d'onde ogn'altro Che noi veggiam; l ' ondoso mar, la terra L'aria, che nel suo sen chiude, e raccoglie Ogni umido vapor, la luce, e letere Che tutto cinge, e tutto intorno avvolge. 23ο Πως και δενδρεα μακρα και ειναλιοί καμασκνες (25) Ειπερ, απαρονα γης τε βαθη και δαψιλος αθηρ Ως δια πολλων δη γλωσσης ρηθεντα ματαιως Εκκέχυται στοματων ολιγον τε παντος ιδόντων Ουδε τι τα παντος κεγεον πελα ουδε περισσον Ως γλυκυ μεν γλυκυ μαρπτε πικρον δ ' επι πικρον Ορέσες οξυ ο επ ' οξυ εβη θερμον δ εποχευετο θερμος Γνους οτι παντων « σιν απορροια οσσ ' εγένοντο Kευθεα θηριων μελεων μυκτηρσιν ερευνων Ούτω γαρ συνεχυρσε θεων τοτε πολλακι δ ' αλλος In qual maniera furon pria formati E gli arbor alti, ed į marini pesci. Per la lingua di molti invan discorre La terra, e l ' Eter non dver con fine Quella nelle radici e questo in alto. Ciò la bocca di color si sparge per Che nulla, o poco sanno, e guardan lungi Colla veduta corta d'una spanna » Vacuo non c'è, e nulla pur ridonda; U Dolce a dolce s' unisce, ed all' amaro Corre l'amaro, e l'aspro all aspro vanne, E verso il caldo si conduce il caldo. Ogni corpo, ch ' esiste, il dei sapere, Vibra lungi da se parti vaganti, Fiutando indaga le ferine tane, Tale in quel punto s’intoppò correndo Ma in altra guisa per lo più s' avviene οπη συγεκυρσεν απαντα Η δ ' αυ φλοξ ιλααρα μινυνθαδικαις τυχε γαιης Κυπρίοδος εν παλαμης πλασέως τοιηστε τυχοντα Τη δε μεν ιοτητι τυχης πεφρονήκεν απαντα Και καθ' οσον μεν αρμοτατα συγκυρσε πεσοντα Αλλα οπως αν τυχη ΓIαντα γαρ εξακης πελειζετο γυια θεσιο (38) Και δα παρ’ ο δη καλαν έστιν ακουσαι Ενθ' ουτ' ηελιοιο διειδετο ωκεα γυια Αρμογιης πυκίγως κρυφα εστηρικτα Σφαιρος κυκλοτερης μοί1 περίγ 19 εκων Dove ogni cosa s' imbatte i Fiamma lunare s' incont Insiem con Terra, che Nelle man di Ciprigna cost Col parer di fortuna al tutto intese In quanto a caso s'accordar tra loro Nell'incontrarsi Ma come sorte volle Tutte di mano in man le membra scosse Furon del Dio Ciò, che è bello convien, che si ripeta Le pronte membra non vedeano il Sole Salde in occulto d' armonia fur fatte In tonda sfera stretto quasi il tuttó Αυξα δε χθων μεν σφετέρος γενος αθερα δ ', αι: θηρ Κατα το μαζων εμιγνυτο δαιμονι δαμων Αιθηρ μακρησι κατα χθονα δυετο ριζας Οινος απο φλοιου πελεται σαπεν εν ξυλω υδωρ (46) Αλλα διεσπασθαι μελεως φυσις ή μεν εν ανδρος Η γ ' εν γυναικος Μηνος εν ογδοατα δεκάτη που επλετο λευκον Ως δ ' οτ’ οπος γαλα λευκών εγομφώσει και εδησεν. Ουτω δε ωοτοκει μικρα δενδρα πρωτον ελαιας Νυκτα δε γαια τιθησιν υφισταμενη φαεισσι Lieto dell'unità solingo gode: Aria ad aria s ' aggiunge, e terra a terra; Il minore al maggior spirto s' unisce: Della terra le barbe aer penetra; L'acqua scomposta sotto la corteccia Vino diventa, Della prole le membra stan dis ise Parte nel maschio, e parte nella femina, Al giorno dieci dell' ottaro mese Nelle poppe si forma il bianco latte. Come gaglio rappiglia il bianco latte, Cosi da prima partoriscon l'uovo Gli arbor non alti della verde uliva Luce impedendo fa la terra notte Ήλιος οξυβελης ηδε ιλαϊρα σεληνη απέσκεδασε.αυγας Ες γαμαν καθυπερθεν απεσκιφωσε δε γαιης Τοσσον οσοντ ’ ευρος γλαυκωσιδος επλετο μηνης Гщи ру тар уцау апожариву детi Uдор Ηερι δε ηερα διον ατάρ πυρι πυρ αιδηλον Στοργην δε,στοργη κακος δε τε νεικεί λυγρω Παντα γαρ ισθι φρονησιν εχαν και σωματος αισαν Λιματος εν πελαγεσι τετραμμενα αντιθρωντος Τη τε νοημα μαλιστα κικλεσκεται ανθρωποισιν Αιμα γαρ ανθρωπους περι καρδιον εστι νοημα  Προς παρεον γαρ μητες αεξεται ανθρωποισι οθεν σφισιν ας Και το φρογαν αλλοια παριστατα Dolce è la Luna, e durdeggiante il Sole. Disperge i raggi sulla Terra, e sopra Tant è la luce, che le fura, quanto Il disco è largo della glauca Luna. Terra veggiam con terra, acqua con acqua, Aer divin con aere, e lucente Fuoco con fuoco, e con amore ' amore, E veggian lite con dannosa lite. Uomini, bruti e piante ben lo sai Han tutii mente, e parte di ragione, Stassi la mente dove più ridonda II sangue, che su giù sempre si muove, Perchè dal sangue, che circonda il core Il pensiero nell' uom sua forza prende; Il pensare dell' uom cresce e al presente Però il pensare sempre a lui diverse Mostra le cose. 238 Ενδ ' εχυθη καθαροισι τα δε τελετουσι γυναικες Ψυχεος αντιασαντα Νηπιοι και γαρ σφιν δολιχοφρονες ασι μεριμνα Οι δε γενεσθαι παρος εκ εον ελπιζασιν Ητοι καταθνησκαν τε και εξολλυσθαι απαντη Αλλα κακοίς μεν καρτα πελ4 κρατ€8 σιν απιστών, Ως δε παρ' η ιετερης κελεται πιστωματα μεσης Γναθη διατμεζεντα ενι σπλαγχνοισι λογοιο Ταυτα τριχες και φυλλα και οιωνων πτερα πυκνα Και λεπίδες γιγνονται επί στιβαροισι μελεσσιν αυταρ ελικος οξυβελας νωτοισι δ ' ακανθι επιπεφρικασι Της δαφνης των φυλλων απο παμπαν εχεσθαι Col solito calor si forma il maschio Ma se l'utero poi s'affredda a caso La famina ne vien. Stolti non lungi col pensier veggendo Prendon lusinga di poter esistere Ciò, che innanzi non fu, o quel, ch'esiste Potersi in tutto struggere, e perire. Il malvagio non crede, e non cedendo Alla forza del ver, trionfo meni, Ma cosi detta, e vuole, che tu creda La nostra musa. Tu dentro l'interno I detti scissi, ne penétra il senso. Della stessa natura sono i peli, Degli arbori le frondi, e degli uugelli Le fulte piume, o pur le squame sparse De' pesci sopra la ben soda carne. Ed il riccio marin, a cui le spine Acute gli si arricciano sul dorso, Dalle foglie d' allor la man ritieni Τετο μεν εν κογχασι θαλασσονομοις βαρυνωτοις Και μην κηρυκαντε λιθορρινων χελυωντε Ενθ οψε χθονα χρωτος υπερτατα ναιεταεσαν Βυσσω δε γλαυκης κροκο καταμισγεται Φυλος αμουσον άγουσα πολυστερεων καμασκηνων κορυφας ετεράς ετεραισι προσαπτων Μυθων μητε λεγαν ατραπον μιαν Νυκτος ερκμαιης αλαωπιδος Αλφιτον υδατι κολλησας θαλλαν Καρπων αφθονιισι κατ ηερα παντ εγιαυτον. Ουδε τις ην κανοισιν Αρης θεος, ουδε Κυδοιμος Ουδε Ζευς Βασιλευς, ονδε Κρονος, ουδε Ποσειδων Αλλα Κπρις Βασιλαα. Del mar le conche di pesante dorso, Il murice riguarda, e le testuggini Che son coperte di petrose scaglie: Bene in questi aninai veder tu puoi Come del corpo sta la terrợ in cima. Si mischia al bisso il fior del croco azzurro. La goffa turba de' fecondi pesci Guidando Somma a sonima giungendo del discorso Per diversi sentier prender cammino Della solinga tenebrosa notte Coll acqua unendo la farina d'orzo. Germoglian ricchi di lor frutta in tutte Le stagioni dell'anno in mezzo all' aria. Marte non han qual Nume, nè Minerva Del tumulto guerriero eccitatrice: A Nettuno, a Saturno, Giove il rege hh Την οιν' ευσεβεεσσιν αγαλμασιν ιλασκονται Γραπτοις δε ζωοισι, μυροισι τε δαδαλεοδμοις, Σμυρνης τ' ακρητου θυσιαις λιβανου τε θυωσους Ξουθων τε σπονδας μελιτων ριπτοντες ες ουδας Στανωποι μεν γαρ παλαμαι κατα για κέχυνται Πολλα δε σαλεμπη α τατ ’ αμβλυνεσι μεριμνας Παυρον δε ζωησι βια μερος αθροισαντος Ωκυμοροι καπνοίo δικην αρθεντες απεπταν. Αυτο μονον πασθεντες οτω προσεκυρσεν εκαστος Παντος ελαυνομενοι και το δε ολον ευχεται ευρειν Ουτως ατ’ επιδερκτα τα δ' ανδρασιν ετ ' επακιστα Ουτε νοω περιληπτα ή και συ 80 επα ωο " ελιασθης Πευσεαι.ε πλεον γε βροτάη μητις ορωρε Negano omaggio; e prestan solo il culto A Venere Regina, che sdegnata Placan con santi simulacri, e pinti Animali, e con mille odor, che l'arte Ingegnosa travaglia, o co' profumi Di pura mirra, e d'incenso spirante Soave odore, e fanle sagrifizio Sopra la terra il biondo miel spargendo. In parte angusta delle membra è sparsa La nostra mente. Abbonda pur la cispa Ch' ottenebra il pensier, e ne' viventi Poch'è la porzioni di vital forza, Che qual fumo sen fugge, allorchè morte Di repente ei fura. E quindi ognuno, D' ogni parte sospinto, sol di quello, Cui per sorte s' avvien, resta sicuro. Altero intanto di trovar presume Tutto, e saper ciò, che non puossi ancora Nè veder, nè sentir, nè colla mente Comprendere dall ' uom. Giacchè vagando in guisa tal ti scosti Prendi consiglio da ragion; che l'uomo hh 2 Αλλα θεοι των μεν μανιην αποτρεψατε γλωσσης Εκ δ ' οσιων στοματων, καθαρην οχετευσατε πηγην Και σε πολυμνηστη λευκο λενε παρθενε μεσα Αντομαι ων θεμις εστιν εφημερoισιν ακ84ν Πεμπε παρ' ευσεβιης ελασσ' ευημιoν αρμα Μηδε σεγ ευδοξοιο βιησεται ανθεα τιμης Προς θνατων αγελεσθαι εφ ω ' οσιη πλεον απον Θαρσα και τοτε δη σοφιης επ ακροισι θοαζη Αλλα γαρ αθρεα πας παλαμη πη δηλον εκαστον Μητε τιν οψιν εχων πιστει πλεον η κατ’ ακτην Η ακοην εριδαπών υπερ τρανωματα γλωσσης Μητε τι των αλλων οποση πορος εστι νοησαι Γυιων πιστην ερυκε γορα θ ' η δηλον εκαστον Col suo saper più oltre non s'inalza. Dalla lor lingua, santi numi, tale Furor cacciate, e dalle vostre bocche La purissima vena in lor sgorgate. Te Verginella bianchibraccia musa, Cui più corteggian disiosi amanti, Te prego attente a porgermi l'orecchie A fin di quello udir, che lice all ' uomo, E come te non pungerà la gloria Fiori a coglier d'onor presso i mortali, Perciò più cose ti potrò svelare. Ma agitando i destrier docili al freno Porta da Religion lontano il carro. Prendi fidanzı: andrai ratta a sedere Di sapienza allor sull’ alta cima. Colla ragion contempla il tutto, e vedi Ciascuna cosa chiarų si, che certa Ti si dimostri. Ne maggior la fede Presta al senso di vista, che all' udito; Nè all'orecchio, che raccoglie i suoni Credi più della lingua, che discopre Le cose. Nè all'una più, ch' all'altra Credi di quelle vie, per cui ci viene Πεση Φαρμακα και οσσα γεγασι κακών και γηραος αλκας ετα μενω σοι εγω κρανεω ταδε παντα. Παυσις δ ' ακαματων ανεμων μενος οιτ' επι γαιαν Ορνόμενοι πνοιαισι καταφθινυθουσιν αρουραν Και παλιν ην και εθελησθα παλιντονα πνευματ' επαξές Θησεις δ ' εξ ομβροια κελαινα καιριον αυχμον Ανθρωποις θησας δε εξ αυχι8οίο θεραου Ρευματα δενδρεοθρεπτα τα δ' εν θερι αησαντα Αξας δ ' εξ αΐδαο καταφθίμενου μενος ανδρος La notizia de' corpi, ed il pensare. De' sensi in somma poni giù la fede: Ti sia guida ragion, onde discerna In ogni cosa chiaramente il vero. Quanti i rimedi fugator de' morbi, Come vecchiezza si conforti, udrai. Che tutto a te io solamente suelo, De' venti infaticabili frenare L'ira saprai; che con furor piombando Sopra la terra, col soffiare, i campi Guastano tutti; o pur se n'hai piacere Concitar li potrai, se son tranquilli. Saprai d'inverno tra procelle scure Produr di state il lucido sereno, O pur nel fitto della secca state Produr le piogge, che nutriscon gli alberi, E del caldo l'ardor tempran movendo Aure soavi. Giungerà tua forza Sin dall'inferno a richiamar gli estinti ΠΕΡΙ ΚΑΘΑΡΜΩΝ. Ω Φιλοι οι μεγα αστυ κατα ζανθου Ακραγαντος Ναιετ ακρην πολεως αγαθων μεληδεμονες εργων χαιρετ. εγω δ υμιν θεος αμβροτος ουκ ετι θνητος ΓΙωλευμα μετα πασι τετιμένος ωσπερ εοικε Ταινίας τε περιστεπτος στεφεσιν τε θαλαιης Τοισιν αμ’ ευτ ’ αν ικωμα ες αστεα τηλεθοωντα Ανδρασι ηδε γυναιξι σεβιζομαι. οι δ ' αμ' εποντα Μυριοί εξερεοντες σπη προς κερδος αναρπος Οι μεν μαντοσυνεών κεχρημενοι οι δε τι νουσων Παντοίων επυθοντο κλύειν ευηκέα βαξιν Αλλα τι τοις δ ' επικειμ' ωσει μέγα χρημα τι πραση σών Ει θνητων περιειμι πολυφθορεων ανθρωπων DELLE PURGAZIONI. Salvete, o miei diletti, abitatori Dell' alta rocca, e della gran cittate, Che del biondo Acragante bagnan l’acque. Salvete, o cari, cui virtute è cura. Immortale sori Dio, nè qual mortale Sto più tra voi, d'onor, siccom'è giusto, Pieno fra tutti. Allorchè cinto il capo Di larghe bende, e di festanti serti Io porto il piè sulle città fiorenti, Corrono, e maschi, e donne a darmi culto. E mille, e mille, che là van col passo Dove dritto il sentier li mena al lucro, Ali s'affollan d'intorno nel cammino: E mi seguono ancor quelli, che intenti Stansi a svelar dell'avvenir gli arcani, Ed altri, che saper bramano l'arte Sagace di guarir qualunque morbo. Ma perchè mi dilungo tali cose Nel riferire, quasichè d'eccelse Gesta pur si trattasse, se vincendo Ogni mortal, sopra di lor m’inalzo? Σ Εστι δε αναγκης χρημα θεων ψηφισμα παλαιον Ευτε τις αμπλακιησι φονω φιλα γυια μιανη Δαιμονες οιτε μακραιωνος λελογχασι βιοιο Τρις μιν μυριας ωρας απο μακαρων αλαλησθαι Την και εγω νυν αμι φυγας θεοθεν και αλήτις Νακεί μαινομεγω πισυνoς Αιθεριων μεν γαρ σφε μενος ποντον δε διωκεα Ποντος δ ' ες χθονος ουδας ανεπτυσε γαιαδες αυ γας Ηελία ακαμαντος οδ ' αιθερος εμβαλε δινας Αλλος δ ' εξ αλλε δεχεται στυγερσι δε παντες (8ο αγα λοιμωγατε και σκοτος ηλεσκέσις be E ' volere del fato, è degli Dei Decreto antico, che s'alcun peccando Di quegli spirti, che sortiron vita Lunghissima, lordò le proprie mini Quasi di sangue, sia costui cacciato Lungi dall' alte sedi, in cui beata Vivon, vita gli Dei, e vada errante In репа del fallir tapino in terra, Finché ritorni primavera ai campi Tre volte dieci mila; ed un di questi Io son, ch' ora dal Ciel men vo lontano Vagando quà, e là esul ramigo, Solo in poter di furibonda lite. } L'aria gli spirti, che falliro, caccia In mar con forza, il mar li getta in terra, La terra li rigetta su lanciando Del sole infaticabile ne' raggi, D ' aria nel turbo il sole infin gli scaglia. L'un dopo l'altro van cosi girando, E tutti traggan pien di duolo i giorni. Van per gli prati, e per lo scuro erranti ii 2 252 Ενθα φόνoστε κοτοστε και αλλων εθνεα κηρων Κλαυσα τε και κοκυσα ιδων ασυγηθεα χωρον Ω πoπoι η δειλον θνητων γενος ω δυσανολβον Οιων εξ εριδων εκ τε στoναγων εγεγεσθε (84). Εξ οιης τιμης και οι μηκεος ολβα Εκ μεν γαρ ζωων ετιθεα νεκρα «δε' αμκβων Σαρκων αλλογνωτί περιστελλασα χιτωνε Και μεταμπεχασα τας ψυχας Ηλυθομεν του ' νπ ' αντρον υποστεγον Ηδη γαρ ποτ' εγω γενομενην κεροστε κορητε Θαμνοστ’ οιωνοστε και εν αλι ελλοπος ιχθυς (89). Εν θηρσι δε λεοντες οραλεχεες χαμαιεύναι Γιγονται σαν ναι εγι δενδρεσιν ηύκομοισιν (go ). Ivi la stragge, e l'ira, ivi tant' altri Mali hanno sede. Insolito abitar vedendo piansi. Ah! La razza mortal quant' è meschina ! Quanto infelice ! Quali affanni, e liti Siete nati a soffrir! Da quale onor son misero caduto, Da qual grandezza di felicitate, Da vita a morte son, forma mutando L'alme involgendo, e quasi ricoprendo Della straniera veste delle carni. inIn quest'antro coperto al fin siam giunti. Fanciullo io fui un di, donzella, uccello, Albero, e senza voce in mar fui pesce, Qual sopra ogn'animal s'alza il Leone Giacente in terra, abitator de monti 254 Εν9 ' ησαν χθονιητε και Ηλιοπη ταναίτις Δηρίς θ ' αιματοεσσα και αρμονίη ιμερωπις Καλλιστω τ’ αισχρητε θοωσατε Δαναητε Νημερτης τεροεσσα. μελαγκαρπος Ασαφια Ξεινων αιδοιοι λίμενες κακοτητος απαροι φιλοι οιδα μεν εν οτ ' αληθαη παρα μυθους, Oυς εγω εξερεω, μαλα δ' αργαλειτε τετυκται Ανδρωση και δυσζηλος επι φρενα πιστέος ορμη (93) Ουκ αν ανηρ τοιαυτα σοφος Φρεσι μαιτεύσατο Ως όφρα μεν τε βιωσι το δε βιοτον καλεσιν Τοφρα μεν εν εστι και σφι παρα δειγα και εσθλα Πριν δε παγασαι βροτοι λυθεντες τ ’ εδεν αρ' εισιν(94 Αλλα το μεν παντων νομημον δια τ’ ευρυμέδοντος Tal su gli arbor fronduti il lauro eccelle. Chtonia gº era là con Eliope Di larghi occhi, e la cruenta Deri Con armonia, piena d'amor, nel volto. Vera del par Thoòsa, e Deinèa E la turpe Callisto, e insiem l'amabile Nemerte, ed Asafia, che il tutto oscura O Gergentini di mal fürè ignari Degno porto d'onor degli stranieri. Io, mici cari, so ben ', che nel mio dire Stassi la verità dentro nascosa, Ala della fe la forza l'uom travaglia E pena, e dispiacer gli reca in mente. Saggio non v'è, che possa con sua mente Pensar, che l'uomo mentre vive questa, Che chiaman vita, esista solo, e colga E beni, e mali; si che l'uomo nulla Sia prima il nascimento, e dopo morte. Ma questa legge pubblicata a tutti Αιθερος ηνεκεός τετατα δια τ ' απλέτε αυγης (95). Ου παυσεσθε Φονοιο δυσηχεος'; 8κ εσoρατε Αλληλες δαπτόντες ακηδεμησι νοοιο;. Μορφήν δ ' αλλαξαντα πατηρ φιλον υιόν αερας Σφαζα επευχομενος μεγα νηπιος και οι δε πορευντα Λισσομενοι θυοντες οδ ' ανηκοστος ομοκλεων Σφαξας εν μεγαροισι κακης αλεγυνατο δαχτα Ως δ ' αυτως πατερ' υιος ελων και μητερα παιδες Θυμoν απορραισαγτα. φιλας κατα σαρκας εδεσι Oιμοι οτ’ και προσθεν με διωλεσε νηλεές ημας Πριν σχετλι’ εργα περι χειλεσι μητισασθα! Dell' aria si distende per l'immenso Splendore, e l'alta region dell Etere Che per lunghezza, e per larghezza è vasto.? Ancor si sparge per le vostre mani IL sangue gorgogliante degli animai? Ah non vedete colla mente piena Di sprezzo, che sbranandovi, a vicenda Vi diorate? E che mutata forma Il padre alzando il suo caro figliuolo Lo scanna, e pazzo grandi cose prega Tutti color, che sacrifizj fanno, Sen van supplici orando; ma quest'altro Nell'atto di scannar gridi mandando D' udirsi indegni, in segno di minaccia Malvagio in casa desinar prepara. Cosi talora avvien, che danno morte Il figlio al padre, ed alla madre i figli, E questa, e quel fucendo privi d'anima Le care in cibo ne trangugian carni. Perchè crudele il di ah non mi spense Prima, ch'avessi fatto il gran peccato D' appor tal cibo sopra le mie labbra ! kk 558 Ταυρων δ ' ακρίτοισι φονοις και δευετο βωμος Αλλα μυσος τετ ' εσκεν εν ανθρωποισι μεγιστον Θυμoν απορρασαντας εεδμεναι ηϊα γυια. Τοι γαρ τοι χαλεπησιν αλυοντες καιστησιν Ου ποτε δαλαιων αγιων λεωφησετε θυμον. Ολβιος ος θαων πραπιδων εκτησατο πλετον Διαλος δω σκοτοεσσα θεων περι δοξα μεμπλε Εις δε τελος μαντάστε και να τοπολοι και 1ητροι Και προμοι ανθρωποισιν επιχθονίοισι πίλονται Ενθεν αναβλαστασιν θεοι τιμηση φεριστοι Αθανατους αλλοισιν ομεστιοι αυτοτραπεζοι Ανδρομεων αχεων αποκληροι εοντες απειροι. Non macchiava l'altar sangue innocente De’ tori un di. Ma sommo allor misfatto Dagli uomin si credea privar dell' anima Gli animai, e divorarne i membri in cibo. Chi dalla colpa, che da se molesta, E ' tormentato, non avrà nell' animo Mai requie al suo misero dolore. Felice è quegli, che possiede i beni Della mente divina, ed infelice E' quel, che male degli Di pensando Ne porta tenebrosa opinione. I vati infine, ed i cantor degl' inni I medici, ed i forti capitani, Che de' terrestri uomini son guida Ivi rinascon Dü d'onor prestanti. Nella stessa magion, a mensa stessa Stando cogli altri Dii, d'ogni vicenda D'ogni umarło dolor futti già privi. kk 2 16ο Ην δε τις.ν κανοισιν ανηρ περιωσια αθως Ος δη μηκιστον τραπιδων έκτησατο πλετον Παντοίων τε μάλιστα σοφων επικράνος έργων Οπποτε γαρ πασησι ορεξατο πραπιδεσσι Ραγε των οντων παντων λευσεσκεν εκαστα Και τε δεκ ' ανθρωπων και τ' ακoσιν αιωνεσσι ΕΠΙΓΡΑΜΜΑΤΑ Περι Ακρωνος • Ακρον ιατρον Ακρων ακραγαντινον πατρος ακρου Κρυπτα κρημνος ακρος πατριδος ακροτατης Τιγες δε το δευτερον στιχον ουτω προφέρονται Ακροτατης κορυφής τυμβως ακρος κατεχα (104) 261 5 Tra quelli o'era l' uom sopra d'ogn ' altro Eccelso nel saper, che della mente L' altissimo tesor chiudea.nel seno. Egli pieno d'amor tutti indagava De' sapienti i fatti, e le scoperte Dotte di lor. E quando del suo spirto Ogni forza intendeva, ad una ad una Tutte schierate le cose reali In dieci o venti secoli abbracciando Rapidamente col pensier vedea. EPIGRAMMI INTORNO AD ACRONE. L'alto di gran saper medico Acrone, Nato dun alto padre in G. Alta, rupe tien alta per sepolcro Della sua patria posto in alta cima. Alcuni leggono così il secondo verso Alta tomba ritien sull' alta cima аба. Περι Παυσαγικς Παυσαγι: ιητρον επωνυμον Αγχίτου υιον Φωτ’ Ασκλεπιαδης πατρις εθρεψε Γελα Ος πολλούς μογεροίσι μαρανομένους κεματοισι Φωτας ατέστρεψαν Φερσεφονης αδυτων Δειλοί πανδειλοι κυαμας απο χειρος, εχεσθαι, Ισον τοι κυαμες τρωγειν κεφαλασθα τοκων Ναν μα τον αμετερας σοφίας ευρoντα τετρακτην Παγον αεγνας φυσεως ριζωμα τ' εχεσαν Di Pausania. Il medico che nomasi Pausania E' d' Anchito figliuol', è discendente Degli Asclepiadi, ed ha per patria Gela, Che lo nutri. Costui molti languenti I'er penosi malor dalle segrete Di Persefone stanze a forza trasse. Versi d' incerto Autore attribuiti da alcuni ad Empedocle. Scostate, o miseri, del tutto in felici Dalle fave la mun: mangiar di queste Egli è privare i genitor del capo. Giuro per quel, che nella nostra scuola Scoperse il qucttro, che racchiude il forte, E la radice eterna di natura. ANNOTAZIONI ALLA RACCOLTA DE FRAMMENTI. Questo verso si trova presso Laerz. in Emp. Egli dice ny de o lavraylas spwjeevas αυτε, ω δη και τα περι φυσεως προσπεφωνηκεν Pausania è amato da G., e que sti gli intitola il suo poema sulla natura E siccome questo verso forma la dedica; cosi si è collocato il primo. La frase per quanto pare è Omerica come si può vedere Iliad. 11 V. 450 Iliad. 1: V. 451. (2 ) Presso Simplicio de Phys. aud. l. 8 p. 272 ediz. d'Aldo. Perchè questi due ver si si suppongono dagli altri, che li seguono, si son collocati prima. Per altro Plut. de exil. afferma che cosi cominciava la filosofia d'Empedocle. (3 ) IL 2. 3 verso son rapportati da Laerz. che se 1. 8 in Emp. I primi tre da Sext. Emp. adv: Phys. 1. ģ, da Plut. de Pl. Ph. l. 1 cap. Tutti quattro poi da Stobeo Ecl. Phys. Questi si sono premessi per la ragio ne ch'esprimono i quattro elementi, che sono base di tutta la filosofia di G. Si conviene da tutti che sotto Giove è in: dicato il fuoco, e da Nesti l'acqua, condo Vossio de Idol. 1. 2. cap. 7 e Fabricio nelle note à Sesto Empirico deriva da yalay fluere. Vi è solo un disparere tra gli Scitiori per gli due simboli. Giunone e Plutone. Pois chè secondo Cic. de Nat. Deor. l. 2.cap. 26 Plut. l. 1. cap. 3. de Pl. Ph. Macrob. Satur. l i cap. 15, da Giunone è espressa l'aria; ed al contrario giusta Athen. Apol. 22. Achill. Tazio in Arat. Laert. I. 8 in Emp. Stobeo Ecl. Phys. 1. i Heracl. Allegaz, Omeriche,p. 443., -sotto il simbolo di Giunone è indicata la terra. E però per questi Plutone era la• ria, e per quelli la terra. Aïd oyeus in luogo di aïdris Om. 11. 20 V. 61. Esiod. Theog. v. 913. Hpn epoßios Omer. Hyinn. in matr. o. mnium '. Nella traduzione si è formato GIOTATO 2 per tmesi. 269 9 col. Di questi versi il 7 e l'8 sono riferi ti da Laerz. in Emp. I. 8. Stobeo Ecl. Phys Dal 10 sino al 15 si trovano presso · Arist. Natur. Auscult. l. 8 cap. 1. Il. 22 presso Ciem. Alex. Strom. I. 5., ed il 21 e 22 presso Plut. Amat. Tutti poi eccetto il g e'l 10 sono rapportati da Simplicio de Phys. Aud. I. 1 p. 34 ediz. d'Aldo. Siccliè si è supplito il 10 con Aristotile, e'l lo stesso Simplicio. Questi versi che sono al numero di 36 fan parte del primo libro della natura. Poichè lo stesso Simplicio dice chiaramente sy 7pUTW TO φυσικών.99 και nel primo libro delle cose fisiche I versi 3, 4, 5 pajono d ' essere un'imi, täzione d'Omero. II. 6.v., 146, e 149. Il 5 portá P&T Th, ma si è cangiato in.dpuntu come più confacente al senso. Nel 6 in luo go di xdcepecei dinge si è posto 8T0T€ anges.co me Omero. Il. -10. V. 164. Nel z la paro la Qiaotati amicizia non significa in verità che ainore, siccome fa Omero. Il. 6 v. 161 c in quasi tutta l'ariade che dice QLXOTNTO felgympia rab. Dal 7 al 12 sembra di essere una sem 270 * plice imitazione d' Esiodo nella Theog. Poichè Empedocle mette in contrasto l'amore e lo dio come Esiodo fa colla notte e'l giorno. Ne’ versi 6, 13 e 32 si trova la parola ' deau Trepes. collocata nello stesso modo che suol fa re Opiero. Il. 10 v. 325 e 331. II. 12 v. 398. II. 19 v. 272. Odys. 4 V. 209. Odys. 7. v. 96. Odys. 10 v. 38. Odys.. 14 v. 11. Sicchè pare che l'orecchio d Empedocle era educato al suono de' versi Omerici, Nel verso 14 aloy Euroly alla maniera d'Omero. Il. 1 v. 290. Nel 16 reipata pewIwon siccome 0. mero παρατα τεχνης. Nel 20 1 ’ αταλαντον co me Il. 15 v. 302. Nel 21 è da dirsi che intanto, l'amicizia sia di lunghezza e larghez za eguale, in quanto i corpi possono risulta re da parti eguali de quattro elementi. Al meno questa interpetrazione pare più confa cente al suo sistema; se non si vuole abbrac ciare quella, che deriva dal pittagoricismo, per cui il numero quattro era il più perfetto. Nel 22 100. TEINTWS per attonito e Omerico. II. 4 v. 246. Nel 24 cina poves's dovrebbe esser nominativo giusta la Grammatica. Na si v. 271 lasciato in accusativo; perchè gli Attici alcuna, volta, coře si vede presso Aristof. in avibus, sogliono usare l'accusativo in luogo del nomi nativo. L'epye texti si trova spesso in Omero e in Esiodo: cosi Odys. 7 V. 272.Esiod. Theog. V, 89. Il 25 è simile a quello dell' Iliad. 9 v. 558, e pile d'ogni altro ad Esiod. Theog. v. 595. Nel 27 laratnaon è d ' Omero. II. 1 v. 526. Nel 30 il Trepiadojevolo è pari mente adattato al tempo e all'anno presso Omero'. Odys. iv. 16 ed Esiod. Opera v. ' 384. Nel 31 si osserva l'id atoange in fi. ne del verso come in Omero. Il. 6 v. 149. (5) I versi 12 e 13 si trovano presso Arist, Poet. cap. 25, e Ateneo lib. 10 p. 424. Tutti poi sono rapportati da Simplicio de Phys. aud. 1. i'p. 7 d' Aldo. Essi sono stati posti nel primo libro del poema; perchè Simplicio li riferice come quelli che precedeano altri, che da lui sono notati per versi del primo lix bro προ τετων των επων • Nel verso 7 è 11 si è scritto a Jey.TTW5 in luogo di queuent Ews come si legge in Sims plicio. Nel 10 si trova vtsupper feri ch'è d' 272 Omero II. 9 V. 502, Nell'ultimo, si ha l espressione Jaunese idiogui ch ' è comune presso Omero ed Esiodo: cosi Il. 18 v. 83. Odys. 13 v. 108. De scụto Herc. v. 140 ', ed in tanti altri lunghi dell' uno e dell'altro poe ta. Teocrito nell' Idyl.. 17 v. 77. non è difficile che imita G., dicendo egli εθνεα μυρια φωτων α εinmiglianzα di quel che dice il nostro poeta nel 8 verso e nel 14, Simplic. de. Phys. aud. Quer sti versi sono quegli stessi innanzi a' quali di ce Simplicio ch' erun collocati quelli della na: ta L' epiteto Truji Payowymi è Omerico. II. 8 v. 320 e 435. Orfeo nell'inno all' etere, chiama l ' etere dotepo@ eyzes I primi tre' versi sono presso Arist. de anima li i càp. 7, e tutti presso Simp. de Phys. aud. I. 2 p. 66 Aldo. Simplicio af ferma che appartengano al primo libro d' Em. pedocle λεγει εν πρωτω. Ε come sono dello stesso tenore della nota (6); cosi si sono si tuati vicino a quelli. Nel 1 verso επικαιρος in luogo di επίκρανος 273 è d'Omero. II. 1 v. 572, e il v. 572, e il xoayolai é ' Esiod. Theog. v. 865. Nel 3 l’ oGTEL deuxa è parimente d ' Esiod. Theog. v. 540, e 557 e d'Omero. Il. 24 v. 793. (8 ) I primi due versi si trovano presso Plut. de primo frigid., e il 7, 8, 9 presso Arist. de gen. et corrupt. Tutti presso Simpl. de Phys aud. l. 1 p. 8, e nella pag. 34 sono pre ceduti da due seguenti versi. 1 እእእ. αγε των δ * οαρων προτερων επί μαρτυρα δερκεί Ει τι και εν προτερoισι λιποξυλον επλετο μορφη • 1 Di questi due versi non si sa che voglia dire quel Altofurov legno pingue: Perchè pa-. re ch? Empedocle voglia rapportarsi a' prece: denti colloquj dove forse v'era qualche for. ma Altrotuloy. Si è cercato di sostituire Action Yugov, ma neppure s intende. Però si sono trascurati nel testo questi due versi. Nel 3 verso si legge presso Plut. Svopa EVTA xep ply a negyté, ch? è spiegato tenebroso, ed crribile. Ma come non si sa ď' onde poss m m 274 sa derivare played soy si è sostituito plyndor, che più si conviene all'acqua. Indi è che si è scritto VIOOEYTA,xoh pigns.ovte. E' vero che il vero so diventa spondaico; ma gli epiteti dell' ac qua sono più confacenti alla sua natura, e corrispondono più all'intendimento d'Empedo cle, che in questi versi vuol dare i caratteri di ciascuno dei quattro elementi, siccome at testa Simplicio de Phys. aud. - p. 7. Nel 4 προρε8σι θελυμνα τη luogo di προθελυμνα. It' 9 vi 537. Il 5 verso è simile a quello d. Omero. Il. 18 v. 511, ilil 7 al v. 70. Il. e al. v. 38 d' Esiod. Theog., e l'8 al v. 163 Odys. 15. Nel 9, e 10 l ' epiteto de' pesci υδατοθρεμμονες, e quello degli Dei δο. arxay wres sono tutti due propj d'Empedocle; giacchè non si leggono presso altro poeta. Il Tlpenoi Ospirtoi pare che sia preso dal v. 494. Simplic. de Phys. aud. 1. 1 p. 34. Egli li rapporta dopo quelli della nota (8) e dice, che Empedocle li soggiunge in esempio. Non v'è quindi dubbio, che debbono essere collocati nel primo libro, e dopo di quelli. Vi 275 si trovano alcuni versi ripetuti alla maniera Omerica, e nel g versa ľws YÜ XEV come nel v. 749 Il. 11, e nel v. 11 della Theog. d' Esiod. Nel 10 si e mutato l'acheta in fore, e nell' 11 vi si troνα μυθον ακεσας nel miodo stesso d'Omero II. 7 v. 54. Odys. 2 z v: Simplic. de Phys. aud. l. 1. Costui, dopo d' avere rapportato i versi delle note. 80ggiunge και ολιγον δε προελθων αυθις Çnti. Però si son collocati dopo, e come ap partenenti al primo libro. Il 7 di questi ver si è quello stesso, ch ' è stato inserito da 9 nes versi della notą. Il 2 verso si trova presso Plut. net lib. de adulat. et amici discrimine: il terzo presso Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4.- Tutti tre presso Clem. Alex. Strom. I. 6. Il secondo verso, si rapporta d'alcuni ne: pos nilov ufos, ma Empedocle nel 19 della nota (4) dice c7 NETOV, e per altro pare più armonioso ed Omerico. Questi versi, come quel li, che indicano i quattro clementi ', non si possono collocare che nel primo libro. m m 2 276 ! (12 ) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4. Simplic. de Phys. ' aud. Plutaroo nel lib. de Reip. geć. praecept. vi allude dicen da τιμας ονομαζω κατ' Εμπεδοκλεα. Questi ver si non possono appartenere, che al primo li bro; perchè in esso dichiara Empedocle le due forze amicizia e lite. Simp. 1. i de Phys. aud. p. 34. La parola aprice del primo versa può significare pari di numero, perfetto, ed adatto. Si è tradotta pari; perciocchè si è trovato che i corpi, di cui Empedocle enumera le parti de gli elementi, da cui quelli son composti, non sono che di numero pari. Cosi l'ossa di oi to parti nota, la carne di parti eguali de quattro elementi nota et.. Arist. de Gen. et Corrupt. e De Xenoph. Gorg., at Zenon. Plut. de Pl. Ph. l. 1 e adv. Golot. Si sono collocati nel primo libro perchè Plutarco dice chiaramente de Pl. Ph. l. i λεγα δε ετως και των πρώτων φυσικών και Anno de Tol spaced è modo turto ď Omero Il., Odys. 11 V. 453. Odys. 10 2: 7 V. 495 ec. L'a.JavaTolo TEMBUTn è d' Esiod. in Scuto Herc., ' e nell'ultimo verso Bpomois "QvIpomolol è maniera greca che spesso si tra, va presso Omero ed Esiodo che dicono Bpotox ardpa. Il Duris nel principio come opposto a 76 deutn pare che indicasse la nascita. Ma co me in fine significa natura si è lasciato cob. la sua propia significazione di natura. Plut. adv. Colot. Questi versi, come si vede dalla materia, sono una continuazio ne di que' della nota antecedente. Si sospetta che questi versi fossero sta ti alterati da qualche copista. Vi si osserva ows per uomo in genere neutro, che suol esa sere presso i Greci di genere maschile.  Simpl. de Phys. aud. 1, 2, pag. 85 Aldo. E siccome queg!i dice « TOTO'S AS T8 Εμπεδοκλεας εν τω δευτερη των φυσικών προ της ανδριων και γυναικιων σωμάτων διαρθρωσεως TAUTU TC ETn, Empedocle nel secondo libro delle cose fisiche canta questi versi prima di parlare della formazione e articolazione de' corpi de maschi e delle femine Non vi ha 278 quindi alcun dubbio, che questi versi fan par te del secondo libro, e che il soggetto di que. sto libro si versa sulla nascita degli uomini, e de' corpi de' maschi e delle femine. Però è, che tutti i versi che riguardano la formazio ne degli uomini, e de' loro membri, e delle parti del corpo umano e loro funzioni sono stati da noi posti nel secondo libro. IL 3 verso è un'imitazione d'Omero nel v. dell' Iliad. Quais secondo Simpli cio esprime la massa tutta, del seme, che an cora' non indicava la forma de' membri. Aeliano de Nat. anim. Le forme descritte in questi versi sono ricor date da tutti gli antichi scrittori come singo lari. Cosi Arist. Nat. ausc. Esse non poterono durare, perchè non eran tra loro convenienti. Di quando in quando ne na. sconto de' simili, e questi sono i mostri.:  Simpl. de coelo 1. 2. Arist. de coel. De Gen. I. Isaac. Tzetze in Comm. ad Lycophr. Epi vax65 Simpl. de coelo Simpl. de Phys. aud. 1. 8 p. 258 279 Aldo. Nel terzo verso si è spiegato pngjely! al la maniera d'Omero Il. Nel 6 e nel 7 - sono da notarsi ud poplene Opols, opsta μελεσσι, € πτεροβαμμoσι κυμβας clie sono ma niere originali di G.. Aristot. de respir. Questo è il più bel frammento d'Empedocle, e forse l ' avanzo più, venerando dell'antica fisica, in cui non solo si spiegà da Empedocle il modo a suo credere del nostro respirare, ma si di mostra eziandio il peso, e la molla dell' a. ria. Egli è stato tradotto per quanto si può letteralmente, e solamente si è ito aggiungen. do talora la forma della clessidra, senza di che non si avrebbe potuto chiaramente com prendere Il coros del 4 verso corrisponde al cruor de’latini. Il. Chi si conosce – Omero può accorgersi come va adattando Em. pedocle tutte le parole e frasi d'Omero nel 5. sino all ': 8 verso. Lo stesso WTTEL OTAY Trays è ď Omero nel v. 362 Il. 15.. L'EPOMBAEOS, che Omero applica ail' acqua'. Ili 16 v. 174, Empedocle l'adatta alla duttilità del bronzo 200 Verso. It all'acqua, nel 9 TEPEY Ejedes dell' 11 è d' 0. mero Il. 14 v. 406. L'autap ETHTU nel 15 è forma parimente Omerica Il. 11 V. 304 Odys. l. 9 v. 371 ec. L'ayrilor ud wp nel 16 si trova applicato al giorno in Oniero, e qui che non può esser fatale se non per che nella clessidra è destinata a notare le ore che scorrono. Nel 18 verso Bpotew Xpor presso Esiod. Opera è preso per umano corpo, qui per la mano. Nel 20 ilil duonysos è applica to alla guerra. Il. v. 395 ec. Da Empedocle si acconcia al gorgogliamento dell'acqua Arist. de sensu et sensili lib. i cap. Nel 2 verso σελας πυρος αθομενοιo e d'Omero. Il. 9 v. 559. Il. II. 11 v. 219. II. 6 v. 282 ec. Il 24uepiny νυκτα e simile all' αμβροσιην δια νυκτα d' O mero. Il. 2. v. 57. Nel 3 si trova apopg85 ch'e' una metafora, quasi che le lanterne di fendendo il lume da venti se li succhiassero; giacchè quopges vuol dire succhianti. Il mayo Town dyepewr Odys. 5 v. 293 e 304. Nel 4 verso il divanid ve si aeyrwy si trova in Omero Il. 5 v. 526. Nel 5 ci ha un epiteto de' 2. Nel dia 282 indomiti; per raggi ch ' è molto ardito UTCpert chè non sono vinti dalla notte. La stessa pa rola walioruto nel i verso per preparare è Omerica. Il. il v. 86 '. In quanto poi alla costruzione delle lanterne è da dirsi, che for se allora erano di corno trasparente. Il i e gli ultimi due versi presso Giov. Tzetze Chil. Il 2 presso Theod. de Curat. Graec. l. 1. IlIl 22,, 3, e 4 pres SO Clem. Aless. Strom. Dal 5 sino all ' ultimo presso lo stesso Giov. Tzetze Chil. Gli ultimi due versi sono anche rap portati da Chalcid. in Tim. Pl. Essi sono sta ti tutti disposti nell' ordine, in cui sono no tati, che sembra non esser disconveniente, e fanno certamente parte del lib. 3. Poichè Tzetze nella Chil. 7 p. 382 nel rapportarli soggiunge Εμπεδοκλης τω τιτω των φυσικων δεικ: VUOY TIS ' N. sold togey το θεα κατ' επ'ος ετω λεγων. 9, Empedocle nel terzo libro delle cose fisiche. volendo indicare quale sia la sostanza di Dio dice cosi Il pendea nel senso in cui qui lo pigliu Empedocle è comune ad Omero nell' Odissea n n. 282 o ad Esiodo nella Theng. Clem. Alex. Strom. Il. 1 ver so manca d'un piede, e si potrebbe compiere leggenda Ει ο αγε τοι μεν εγω λεξω. Vi si os serva poi la stessa maniera d Oniero nell ' ap porre degli epiteti al mare, all'aria, aile tere. Athen. Dipnosoph. Il devd pece pecupce è d'Omero. Il. Lo stesso Athen. nel medesimo luogo attesta che tutti i pesci da Empedocle furon chiamati zce paglves. Aristot. 1. 2 de coelo cap. 8 e De Xenoph. Zenon, et Gorg. Gli ultimi due versi presso Clem. Aless. Strom. Plut. de Pl. Ph. I. i cap. 18. Theo dort. de mater. et mundo Serm. Plut. Symp. l. 4 quaest. 1. Macro bio Saturn. l. 7 p. 521. E siccome in Plut. si leggono alterati; cosi sono stati correlti con Macrobio. Plut. quaest. Nat. Plut. quaest. Nat. et de Curiosit. Alcuni leggono Keuuata, altri rappese. (283 ra, ma si è sostituito xeu-ged, che pare più acconcio al senso dell'autore Arist. Nat. Auscult. e De Part, Anim. I. i cap. 1, Simpl. I. Phys. Simpl. de Phys. and. I. 2 p. 73. Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 23. L' epiteto de incepa come dice ' Hesichio' è propio d' Empedocle.; ed il polyurgadins d'Omero Il. Simpl. l. 2 de Phys. aud. Aldo. (35) Simpl. 1. 2 nel med. luog. (36) Simpl. 1., nel med. luog. Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 73. (38 ) Simpl. l. 8 de Ph. aud. Plut. in l. non posse suaviter vivi jut. xta epicuri decreta. Simpl. de Ph. aud. Simpl. nel med. luog. Simpl. nel med. luog. (43) Arist. de Gen. et Corrupt. Simpl. de coelo Com. Arist. de Gener. et Corrupt. 1. i cap. 6. La frase zgova dupsyo, presso Omero Il. Plut. quaest. Nat. p. 916. Arist. de Gener. anim. 1..1 cap. 18. (48) Arist. de Gener. anim. I. 4 Plut. nel lib. de Amic. multitud. Arist. de Gener. anim. Alcuni leggono μακρα δενδρεα. Plut. quæst. Platon. Plut. de fac. in orbe lunae dove in luogo d' ožupeans è da leggersi očußeans e in vece di naiyo Iraupe. Plut. de fac. in orbe lunae. Questi versi sono stati corretti da Xilandro. Arist. Metaph.  de anim, Sesto Emp. adv. Gram. e adv. Log. l. 7 Chalc. in Tim. Pare che in questi versi Empedocle abbia imitato Omera Il. 13 v. 31, e Il. 16 v. 215. Il tip apo ndoy Omerico. Il. L'epiteto della lite rugpw, che da Omero si adatta alla vecchiaja, e talora alla ferita ec. è situato in fine del verso come in Omero II.  Sext. Emp. adv. logic. Stobéo Ecl. Plys. l. 1 p. 131. L' última verso è anche rapportato da Chalcid. in Tim. Pl. ed è un imitazione di quello d' Esiodo nella Theog. 7 spe pezy 750" T δες, περι δε εστι νοημα Aristot. de anima Aristot. de anima" nel med. luog. Aristot. de Gener. 1. i cap. 13. Plut. adv. Colot. Clem. Alex. Strom. Theodor. de curat. aegritud. Ethnic. Acciaolus Theod, interpres I. i contra Graecos. Arist. Meteorol., atspao TURVO è d ' Omero. Il. 11 y. 454, e otißola pous pedeerol è d ' Esiodo opera Plut. Symp. Deve lege gersi andyl. Plut. Symp. quaest. Plut. Symp. I.,1 quaest. 2, e nel lib. de fac. in orbe lunae. Put. de Orac defectu. Per finire il verso si è supplito nella traduzione artos. Plut. Simp. I.? quaest. Plut. de Orac. defect: Plut. Simp. quaest. Arist. Poet. Meteor. Theophr. de Caus. Plant. Athen. Dipnosoph. Que sti versi si son collocati come appartenenti al poema 'della natura; perchè parlano di Ve nere, che indica l'amicizia. Vi si trova il Soydan codpots parola composta da Empedocle, che non si legge in altro poeta. Si dee lege gere Κυπρις nel testo, e non Kπρις. Sesto Emp. adv. Log. 1.? Gli ul. timi due versi sono anche rapportati da Plut. nel 1. de áud. Peet. Nel verso Scalig. legge suve ETEITA, ed Erric. Stef. dely ETECL; ma ne' MSS. si trova SaneM.T, Si è quindi conservata, come sta ne' MSS., e si è ritratta da dep @ os che più s' adatta al senso dell'autore. Questi versi unitamente agli altri delle note sono riferiti da Sesto Emp. come quelli, che con poche interruzioni si suc vedono. E come Empedocle si dirizza ad un solo, ch'è Pausania;' cosi tutti fan parte del 287 Chil. 1, pra poema sulla natura, Sesto Emp. adv. Log. Sesto Emp. nel med. luog. Laerz. in Emp. 1. 8. Joan. Tzetze I versi sono anche pres. so Clen). Alex. Strom. Nel 5 si legge d' alcuni παλιγτιτα c d' altri παλιντινα; mα da Casaub. si vuole raditova, e fondasi so Suida. Nell'ultimo verso è da notare che il sanare gl' infermi si esprime, presso gli an tichi avastne dall'inferno. Plut. in amat. Horaz. l. 2 Sat. Laerz. in Emp. I versi 3 € 4 si trovano presso Sesto Emp. adv. Gramm., e presso Philost. Vit. Apoll. Se condo Laerzio cosi Empedocle avea dato prin. cipio al suo poema delle purgazioni cvcpzopese νός των καθαρμων φησίν. Sesto Emp. adv. Gram. I. 1 e Laerz. in Emp. 1. ' 8. Sesto Empirico mette questi due versi dopo quelli della nota e soge. giunge nas nary. Sicchè icon c'è dubbio che appartengano alle purgazioni. Plut. de exil. I. 2, e l'ultimo meza 288 zo verso è presso Hierocle in aur. carm., il quale lo ' rapporta unitamente al penultimo ως Εμπεδοκλης Φυσι ο Πυθαγοραος I primi tre versi presso Plut. nel lib. de vit. aere alieno, e tutti quattro presso lo stesso Plut. de Isid. et Osir., e presso Eusebio. Hierocl. in aur. carm. Hierocl. in aur. carm. Clem. Alex. Strom. Clem. Alex. Strom. I. 3 0 70xO1 peegee herdos Il. Clem. ' Alex, Strom. Clem. Alex. nel med. luog. Stob. Ecl. Phys. Porph. de Antr. Nymph. Ediz. di Van - Gcens Clem. " Alex. Strom. Origen, Phy losophumera. Phil. in V. Apoll. Athen. Dipn. In luogo di do7Os, che è un epiteto dato da Esiodo e da Poeti Greci al pesce, presso d' al.cuni si legge eurupos. A prima vista pare che l' epiteto ignito non abbia luogo; mu ove si voglia riflettere che giusta Empedocle, gli ani mali molto caldi cercarono l'acqua, ed ivi soggiornarono, si può comprendere in qual senso abbia potuto adattare al pesce l ' epiteto Europos. Eliano de Nat. anim. Questi versi appartengono al poema delle pur gazioni. Perchè Eliano nel rapportarli soggiun ge λεγει δε και Εμπεδοκλης την αριστην αναι με: τοικησιν την τα ανθρωπου ει μεν ας ζωον η ληξις αυτην μεταγαγα λεοντα γινεσθαι και δε ας φυτον dadyny. » Empedocle dice che ottima sia da stimarsi la trasmigrazione dell'uomo, se do vendo passare in un bruto la sorte lo porta nel corpo del leone, e se in una pianta lo porta nell' alloro L' epiteto ηύκομοισιν Ο. mnerico. Plut. de animi tranquill. L'epiteto έροέσσα e d' Esiodo che dice Θαλιη εροεσσα και ma non s' intende quello di μελαγκαρπος che vuol dire produttrice di frutti neri che Empe docle adatta ad Asafia o sia al genio dell' oscurità. Tzetze Chil. dice Ecco πεδοκλης προ παντωντε φιλοσοφος ο μέγας • γα γαρ την ασαφα αν μελαγκορον υπαρχαν ως κελαινωπας τον θυμον ο Σοφοκλης που λεγα G. filosofo, grande sopra d'ogn'al tro, chiama Asafia o sia l'oscurità di nera pupilla conie Sofocle dice l'animo di nero via In sostanza poi vuol qui indicare Em pedocle quello che noi diciamo animo cupo, che tutto è coperto, e tutto fa con riserva. Diod. Sic. Bibl. Hist. 1. 13 p. Clem. Alex. Strom. Plut. adv. Colot. L'ultimo verso è stato corretto da Giov. Clerc. Bibl. Choisie Arist. Rhet. l. i cap. 13. Si son collocati in questo poema delle purgazioni; perchè Aristotile dice che riguardano la proi bizione d uccidere gli animali. xoy ws EyeTedo κλης λεγα περι τε μη κτιγαν το εμψυχσν. τετο γαρ τισι μεν δικαιον τισι δε και δικαιον. » Co me dice Empedocle parlando della proibizione d' uccidere qualunque animale. Poichè que sto non può essere giusto per alcuni e per al tri nò L' epiteto supurtedortos é d' Omero e quello d'atletoy è d ' Esiodo. Sesto Empir. adv. Phys. Plut. de Superst. Nel verso l'entBTT05 si è tradotto per indegno d'essere udito come půs letterale. Na potrebbe avere due altri sensi cioè: da non essere compreso, o pure come colui, che è pieno di Qyaxer che vuol dire contumacia, o inobbedienza; perchè senza di ciò non si ritrae un senso che sembra ragio nevole. a legurato d'apra è d' Omero nell' Odys. Porphyr. de non necandis ad epulan dum animalibus ediz. di Lio ne 0285dic epga per scelleraggini è d'Omero Odys. Porphyr. de non necandis ad epul. anim. Il primo verso somiglia a quello ď Omero Il. Alcuni leg, gono appatolor in luogo d ' cxpitolob. Clem. Alex. exhortat. ad gentes. Awe Q10ste Odys. Clem. Alex. Strom. Clem. Alex. Strom. I. 4 Bpotol o pu. re ardpes sain horlon. Il. Clem. Alex, Strom. Questi due versi sono stati corrotti. Nel primo verso Sca. ligero legge fyte TPUDEGcus in luogo d' AUTOTA. OO 2 292 che non FIG. In verità questa seconda maniera cor risponde meglio all'opertio. Nel secondo leg ge Ευγιες ανδρειων αχεων αποκηροι ατειρεις. dla ad altri è piaciuto all' aydpelwy di sostituire l' and pouleur ch'è più adatto e pie Omerico; all' електро! ľ Anouampor ch'è anche più ragione vole; ed in fine all ατειρείς I'' ατηρείς si sa donde possa derivare. Si potrebbe dire più presto artelpon. Vi sono poi di quei che in luogo di amewn leggong amoywy; dimodochè spiegano coi forti achivi. I primi due versi sono presso Laerz. 1. 8 in Emp., e tutti si leggono presso Janibl. de Vit. Pyth. Questi versi si sono col locati nel poenia delle purgazioni; perchè in questo poema Empedocle dichiara la morale pittagorica. Presso Suida voce Axpwr e Laerz. in Emp. Questo epigramma, come dicono e Suida e Laerzio, è diretto a punzecchiare Acrone, che domanda a la grazia di ergere un gran monumento a suo padre in un luo. go alto della città di Gergenti. Empedocle va scherzando.col nome di Acrone e la parola acron che in Greco significa alto e altezza. Ma questo scherzo non si può rendere nel no stro linguaggio. Laerz. in Emp. I. 8 & Towvoploy indi ca nome conveniente alla cosa. Perchè liquo gavin in greco può significare che fa cessar i mali, e i dolori. Perciò Empedocle scherza col nome del suo amico. Questi due versi s' attribuiscono dit Aulo Gellio Noct. Att. A G. , e da altri ad Orfeo. Ma in verità so no della scuola pittagorica. Si legga Didym. Geoponicon Varii sono i sen timenti degli Scrittori sulla proibizione, che facea la scuola Pittagorica, di mangiar del le fuve. Secondo alcuni, perchè non sono sa lutari, e secondo altri perchè sono simili agli organi della generazione. Di fatto Gellio dice che l'astinenza delle fave era un simbolo, eon cui si volea indicare da Empedocle l'a ' stinenza delle cose veneree.  Questi versi esprimono il giuramen to che si facea nella scuola Pittagorica. Si leggono presso Jambl, de vit. Pyth. Ma non semhrano d'esser di G. cosi perchè non corrispondono allo stile del nostro poeta, come ancora perchè vi si osserva il dia. letto dor ico, che non mai egii usò ne' suoi poemi. ROMA BIBLIOTECA MEMORIA Απηρεν ασ Κροτωνα της Ιταλίας και κακοι τομές θες τοις Ιταλιωταις εδοξασθη συν τοις μας θεματας και οι περι τας τριακοσίες οντες ωκoνoμαν αριστα τα πολιτικα ωστε σχεδον αριστοκρατίας αναι την πολιτααν και Pittagora si porto in Cro tona d'Italia; ed ivi dando leggi agľ Italias ni fu egli in onore unitamente a' suoi disce poli. Trecento de' quali amministravano otti mamente le cose politiche, si che quella re pubblica era di posta a governo di ottimati, Laerz. in Pythag. La persecuzione della scuola pittagorica nacque da ciò, giusta Jamblico nella Vita di Pittagora, che i pittagorici allontanavano il popolo dalle magistrature, e da' pubblici consigli, e voleano essi soli, come sapienti, regolar le cose pubbliche.Grice: “If people call William of Ockham, Surrey, Occam, I shall call Empedocles of Agrigentum Agrigentum, or Agrigento simpliciter in the vulgar.” Vide “Italic Griceians” While in the New World, ‘Grecian philosophy’ is believed to have happened ‘in Greece,’ Grice was amused that ‘most happened in Italy!’ Empedocle da Girgenti – Keywords: Girgenti – “You say Gergenti, and I say Girgenti” -- -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Empedocle," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Girgenti: Boezio e la ragione conversazionale al limite -- l’implicatura conversazionale -- la parola che non s’incatena – filosofia palermitana – scuola di Palermo – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza  (Palermo). Filosofo palermitano. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I love Girgenti for many reasons! For one, he has edited Boezio ‘as he is’! – then he has elaborated on Socratic irony, a concept that needs some elucidation, if ever one did! Also, he has edited the ‘logica retorica’ of Cicero, which is welcome!”Frequenta gli studi classici a Palermo, sotto Brighina, Franchina, Armetta, Mirabelli e Puglisi) e poi si è trasferito a Milano sotto Bontadini, Bausola, Melchiorre e Giussani. Si laurea sotto Reale con “Platonismo e Cristianesimo in San Giustino Martire” – Studia “Porfirio tra henologia e ontologia riproponendo la questione degli universali come origine del "pensiero forte". Insegna a Milano I suoi studi sono concentrati sul rapporto tra filosofia greco-romana e Cristianesimo, e in particolare nell'influenza che il platonismo ha esercitato sui Padri della Chiesa. Per analizzare questo tema, applica due categorie ermeneutiche: la "storia del’effetto" e la "fusione dell’orizzonte”. Secondo la storia dell’effeto, la Patristica latina deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo antico, che fa da tramite rispetto alla filosofia medioevale. Secondo la fusione dell’orizzonte, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo deve essere analizzato superando due opposte posizioni: la "praeparatio evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la filosofia pre-cristiana sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la "Ellenizzazione del cristianesimo" di Harnack, secondo cui nell'incontro con la filosofia, il Cristianesimo avrebbe smarrito la vocazione originaria (e dovrebbe pertanto “de-“ellenizzarsi, de-filosofarsi). Una posizione mediana potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo cattolico e le chiusure del cristianesimo protestante non-cattolico. Saggi: “Porfirio: catalogo ragionato” (Vita e Pensiero, Milano); “Giustino Martire, il primo cristiano platonico” Vita e Pensiero, Milano); “Porfirio, Vita e Pensiero, Milano); Porfirio, Laterza, Roma-Bari; “Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano, Incontri con Gadamer, G. Girgenti, Bompiani, Milano “Platone” G. Girgenti, Bompiani, Milano; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato, Padova; Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista con Sossio Giametta, Mursia, Milano. G. Giorello, Corriere della Sera, 1ºScheda biografica, curriculum e  nel sito dell'Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Selezione di pubblicazioni  Porfirio negli ultimi cinquant’anni. Bibliografia sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria riguardante il pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, presentazione di Reale, Vita e Pensiero, Milano, Porfirio, Isagoge, prefazione, introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, versione latina di Severino Boezio in appendice, Rusconi, Milano, nuova edizione Bompiani, Giustino Martire, il primo cristiano platonico. Con in appendice “Atti del Martirio di San Giustino”. Presentazione di C. Moreschini, Vita e Pensiero, Milano, Giustino, Apologie. Prima Apologia per i Cristiani ad Antonino il Pio. Seconda Apologia per i Cristiani al Senato Romano. Prologo al “Dialogo con Trifone”, introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano, Aristotele, Poetica, introduzione, traduzione, note e sommari analitici di D. Pesce, revisione del testo, aggiornamento bibliografico, parole chiave e indici di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano, Porfirio, Sentenze sugli intellegibili, prefazione, introduzione, traduzione e apparati di G. con in appendice la versione latina di Marsilio Ficino, Rusconi, Milano. G. Girgenti, Il pensiero forte di Porfirio. Mediazione tra henologia platonica e ontologia aristotelica, introduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano,  Porfirio, Storia della Filosofia (frammenti), a cura di A. R. Sodano e G. Girgenti, Rusconi, Milano, Introduzione a Porfirio, “I filosofi”, Laterza, Roma-Bari, La nuova interpretazione di Platone. Un dialogo di Hans-Georg Gadamer con la Scuola di Tubinga e Milano e altri studiosi (Tubinga), introduzione di H.G. Gadamer, prefazione, traduzione e note di G., Rusconi, Milano, nuova edizione ampliata: Platone tra oralità e scrittura, Bompiani, Milano, Porfirio, Vita di Pitagora, monografia introduttiva e analisi filologica, traduzione e note di A. R. Sodano, saggio preliminare e interpretazione filosofica, notizia biografica, parole chiave e indici di G., in appendice la versione araba di Ibn Abi Usabi’a, testo greco e arabo a fronte, Rusconi, Milano, J. Patocka, Socrate. Lezioni di filosofia antica, introduzione, apparati e bibliografia di G. Girgenti, traduzione di M. Cajtham l, testo ceco a fronte, Rusconi, Milano,  nuova edizione: Bompiani, Milano, Wojtyla, Persona e Atto, a cura di Reale e T. Styczen, revisione della traduzione italiana e apparati a cura di G. Girgenti e P. Mikulska, testo polacco a fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Struttura dell’anima dell’anima secondo Agostino e presupposti neoplatonici, in: Autori vari, Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, Donzelli, Roma, Der Begriff der Verantwortung in der Welt der Antike und des Christentums, in Götz – J. Seifert (Hg.), Verantwortung in Wirtschaft und Gesellschaft, Rainer Hampp Verlag, München;   J. Seifert, Ritornare a Platone. La fenomenologia realista come riforma critica della dottrina platonica delle idee, in appendice un testo inedito su Platone di A. Reinach, prefazione e traduzione di G. Girgenti, Vita e Pensiero, Milano, Autori vari, Incontri con Hans-Georg Gadamer, edizione italiana a cura di G. Girgenti, Bompiani, Milano, Porfirio nel vegetarianesimo antico, “Bollettino Filosofico: Dipartimento di Filosofia Calabria”, Due fonti neoplatoniche indirette di Cusano: Porfirio e Giamblico, in Nicolaus Cusanus zwischen Deutschland und Italien Beiträge eines deutsch-italienischen Symposions in der Villa Vigoni vom (Veröffentlichungen des Grabmann-Instituts), hrsg von Martin Thurner, Akademie Verlag Berlin, Plotino, Enneadi, traduzione di Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di G. Reale. Porfirio, Vita di Plotino, a cura di G. Girgenti, “I Meridiani. Classici dello Spirito”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano  K. Wojtyla, Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, a cura di  Reale e Styczen, apparati e indici di G. , Bompiani, Milano; Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi. Commentaria in Porphyrium. Schepps Samuel Brandt Leipzig European Social Fund Saxony Crane Jouve OCR-ed, Franzini Leipzig Stoyanova Robertson Mount Allison Fonticola (Ludwig Maximilians Munich). Leipzig Germany Schepps Brandt BoezioVienna Leipzig Tempsky Freytag. Secundus hic arreptae expositionis labor nostrae seriem translationis expediet, in qua quidem uereor ne subierim fidi interpretis culpam, cum uerhum uerbo expressum comparatum- que reddiderim, cuius incepti ratio est quod in his scriptis in quibus rerum cognitio quaeritur, non luculentae orationis  lepos, sed incorrupta ueritas exprimenda est. quocirca mul- tum profecisse uideor, si philosophiae libris Latina oratione compositis per integerrimae translationis sinceritatem nihil in Graecorum litteris amplius desideretur, et quoniam humanis animis excellentissimum bonum philosophiae comparatum est,  BOEZIO IN YSAGOGAS PORPHIRII. BOEZIO IN YSAGOGE; BOEZIO COMMENTA IN ISAGOGAS  G,; INCIP COMENTV BOEZIO in isagogis porphirii; Expos Scda  L;  COMENTV BOEZIO IN ISAGOGAS  R;   inscriptione carent CFHNS (nisi quod in FH recens quaedam est), item e codd. Isagogen tantum a Boethio translatam continentibus   ΛΣ ; ISAGOGAE PORPHYRII TRANSLATAE DE GRECO IN LATINVM A VICTORINO ORATORE  (sic)  ΓΦ ; INCIP LIBER YSAGOGARVM (HΥS-) POR- PHYRII (I  pro  Y  Π ) AII ,- Icipidt isagoge porphyrii  (m. poster.)  Ψ;  de titulo operis cf. Prolegomena fidi—reddiderim] cf. Horat. Ars poet. cf. Cic. Acad. post. fędi C foedi Hm1N infidi FGm1 7uerbo]e uerbo  N incoepti CEGHPRS 10 corrupta  Em1Sm1  incorruptae  Em2 (e  in mg. add. sed del .)  Lm1  11 uidebor  brm  13 graecis  Lm2   ut uia et filo quodam procedat ORATIO, ex animae ipsius efficientiis ordiendum est. triplex omnino animae vis in uegetandis corporibus deprehenditur, quarum una quidem uitam corpori subministrat, ut nascendo crescat alendoque subsistat, alia uero sentiendi iudicium praebet, tertia ui mentis et ratione  subnixa est. quarum quidem primae id officium est, ut creandis, nutriendis alendisque corporibus praesto sit, nullum uero rati- onis praestet sensusue iudicium. haec autem est herbarum atque arborum et quicquid terrae radicitus adfixum tenetur, secunda uero composita atque coniuncta est ac primam sibi  sumens et in partem constituens uarium de rebus capere potest ac multiforme iudicium. omne enim animal quod sensu uiget, idem et nascitur et nutritur et alitur, sensus uero diuersi sunt et usque ad quinarium numerum crescunt, itaque quicquid tantum alitur, non etiam sentit, quicquid uero sentire  potest, ei prima quoque animae uis, nascendi scilicet atque nutriendi, probatur esse subiecta. quibus uero sensus adest, non tantum eas rerum capiunt formas quibus sensibili corpore feriuntur praesente, sed abscedente quoque sensu sensibili- busque sepositis cognitarum sensu formarum imagines tenent  memoriamque conficiunt, et prout quodque animal ualet, lon- gius breuiusque custodit, sed eas imaginationes confusas atque ineuidentes sumunt, ut nihil ex earum coniunctione ac compo-  1 uia et filo quodam]  CEm2H  (uia  fort. ras. ex  uiae), uiae et filo quodam  N  uiae  (s. l. R)  ex filo quodam  EmIGPR edd . uiae ( ex  uia  S ) ex quodam filo  LS  uiae ( s. l . filo  m1 ) quodam  F  ratio  CEmIGLRS  ex] ab  Hm1NP  efficienti  Em1 efficientis  Fa. c . 3 post uitam  add . solum  CFHP  solam  N  corporis  GNRL a.r.Sa.r . 5 rationis  FGRS  6 procreandis  CHNP  7 nutriendisque ( om . alendis)  EL  sit  s. l. Gm2Nm2  9 terra  CN  10 ac] ad  FSm1  at  LSm2  et  G  11 rebus] quibus  GRS  de rebus de quibus  L  12 poterit  E post iudicium  add . capit  E (sed del.) L, s. l. m2 in HRS  13 et nutritur om.  CHP, s. l . nutritur  (om. et) Lm2  14 ita  CHR  16 poterit  E  quoque prima  FGm2H  19 praesente ante feriuntur  FHN praesentes  CHm1N  abscedente]  Em2FGHmINESa.r . absente  CEm1Hm2LPSp.r . 20 re- positis  GR  22 imagines  FHN  23  ante  sumunt add. sic  brm   sitione efficere possint, atque idcirco meminisse quidem possunt, nec aeque omnia, admissa uero obliuione memoriam recolli- gere ac reuocare non possunt, futuri uero his nulla cognitio est. sed uis animae tertia, quae secum priores alendi ac sen-  tiendi trahit hisque uelut famulis atque oboedientibus utitur, eadem tota in ratione constituta est eaque uel in rerum prae- sentium firmissima conceptione uel in absentium intellegentia uel in ignotarum inquisitione uersatur. haec tantum humano generi praesto est, quae non solum sensus iraaginationesque  perfectas et non inconditas capit, sed etiam pleno actu intel- legentiae quod imaginatio suggessit, explicat atque confirmat, itaque, ut dictum est, huic diuinae naturae non ea tantum cognitione sufficiunt quae subiecta sensibus comprehendit, uerum etiam et insensibilibus imaginatione concepta et absen-  tibus rebus nomina indere potest et quod intellegentiae ratione comprehendit, uocabulorura quoque positionibus aperit, illud quoque ei naturae proprium est, ut per ea quae sibi nota sunt ignota uestiget et non solum unum quodque an sit, sed quid sit etiam et quale sit nec non cur sit, optet agnoscere, quam  triplicis animae uim sola, ut dictum est, hominum natura sor- tita est. cuius animae uis intellegentiae motibus non caret, quia in his quattuor propriae uim rationis exercet, aut enim aliquid an sit inquirit aut si esse constiterit, quid sit addubitat, quodsi etiam utriusque scientiam ratione possidet, quale sit 2 admissa] CR amissa EFGm1NP amissam  Gm2LS, ras. et s. l. ex  admissam  H  memoriam  om. FGR, s. l. Sm2, memoria  H hiis  F,  sic saepe  cogitatio  CNm2 animae uis  CEL ante trahit  add . uires  brm  6 ea  CHm1N  est  ante constituta  CEGS , om. R  contentione  EGm1Sm1  contemplatione  R, m2 in GLS  in  s. l. Gm1PmS ,  del. Lm2  ignotorum  Hm1N  imaginationes  EN  11 conformat  Gm2Pm2  13 cognitione] in cognitione FHNP 14et] ex  Em1HN  sensibilibus  CEm1Hp. c. Nm2  sensibus  Ha. c. Nm1   ante  imaginatione  add. sibi  E (del. m2) NPSm2  imaginatione] in agnitione  Gm1Sm1  agnitione  Gm2R  post concepta add. nomina  Hm1, idem post  rebus  s. l. m2  sint  E  19 optat  LR  quia] qua  Gm1  atque  EHm1Pm1 scientiam  post  ratione  E  sententiam  Hm1  possedit  FRS   unum quodque uestigat atque in eo cetera accidentium momenta perquirit, quibus cognitis cur ita sit quaeritur et ratione nihilo minus uestigatur.   Cum igitur hic actus sit humani animi, ut semper aut in rerum praesentium comprehensione aut in absentium intellegentia aut in ignotarum inquisitione | atque inuentione uer- setur, duo sunt in quibus omnem operam uis animae ratiocinantis inpendit, unum quidem, ut rerum naturas certa inqui- sitionis ratione cognoscat, alterum uero, ut ad scientiam prius ueniat quod post grauitas moralis exerceat, quibus inquirendis  permulta esse necesse est, quae uestigantem animum a recti itinere non minimum progressione deducant, ut in multis euenit Epicuro, qui atomis mundum consistere putat et honestum uoluptate metitur, hoc autem idcirco huic atque aliis accidisse manifestum est, quoniam per imperitiam disputandi quicquid ratiocinatione comprehenderant, hoc in res quoque ipsas euenire arbitrabantur, hic uero magnus est error; neque enim sese ut in numeris, ita etiam in ratiocinationibus habet, in numeris enim quicquid in digitis recte computantis euenerit, id sine dubio in res quoque ipsas necesse est euenire, ut si ex calculo  centum esse contigerit, centum quoque res illi numero sub- iectas esse necesse est. hoc uero non aeque in disputatione seruatur; neque enim quicquid sermonum decursus inuenerit,  4 aut  om. CNR, s. l. Gm2Sm2  5 rerum  add. edd. post  praesentium,  ante Brandt; cf. p. 137, 6  6 ignotorum  Gm2Hm1Lm2N ante  in- uentione  s. l. in Hm2  8 inpendat  FPSa.c . naturam  FHm1N  certa inquisitionis]  Gm2H  certae inquisitionis  FNP  inquisitionis certa CELm2 , om. certa  Gm1Lm1RS (fort. recte)  10 quod] eius quod r exer- cet  Hm1  12 minimum ante non  E  minime  FSm1  diducant  FGm2  13 atbomis  plerique codd . consistere in  mg. Hm2 constare  CFP, post er . ł consistere  C  honestam  Em1P  honestatem  F  14 uoluptate om.  F uoluptatera  CEHm2  (te* m1)  LNR, add . corporis  L (del. m2) R, s. l. Gm2, ante  uol.  edd . mentitur  CEGHPRSm1  hoc] haec  H  16 racione  CN  comprehenderent  m1   in EHN  nero] ergo  H  maximus  E  error est  CFHNP post  sese  add.  res FR ,  s. l. Pm2  19 digitos  CEFN   id natura quoque fixura tenetur, quare necesse erat eos falli qui abiecta scientia disputandi de rerum natura perquirerent, nisi enim prius ad scientiam uenerit quae ratiocinatio ueram teneat disputandi semitam, quae ueri similem, et agnoscere quae  fida, quae possit esse suspecta, rerum incorrupta ueritas ex ratiocinatione non potest inueniri. cum igitur ueteres saepe multis lapsi erroribus falsa quaedam et sibimet contraria in disputatione colligerent atque id fieri inpossibile uideretur, ut de eadem re contraria conclusione facta utraque essent uera quae  sibi dissentiens ratiocinatio conclusisset, cuique ratiocinationi credi oporteret, esset ambiguum, uisum est prius disputationis ipsius ueram atque integram considerare naturam, qua cognita tum illud quoque quod per disputationem inueniretur, an uere comprehensum esset, posset intellegi, hinc igitur profecta est  logicae peritia disciplinae, quae disputandi modos atque ipsas ratiocinationes internoscendi uias parat, ut quae ratiocinatio nunc quidem falsa, nunc autem uera sit, quae uero semper falsa, quae numquam falsa, possit agnosci, huius autem uis duplex esse perpenditur, una quidem in inueniendo, altera in  iudicando. quod Marcus etiam Tullius in eo libro cui Topica titulus est, euidenter expressit dicens; Cum omnis ratio diligens disserendi duas habeat partes, unam inue- niendi, alteram iudicandi, utriusque princeps, ut mihi quidem uidetur, Aristoteles fuit. Stoici  20 Tullius] Top. 2, 6 s.   1  ante  natura  add . in  HLSpr, s. l. Pm2  3 post nisi  add . quis  r  prius enim  E  4 disputandi  om. GRS ad ueri  similem  s. l . ał que ueri se similem agnouerit  Hm2  et agnoscere]  FSm1  ( om . et) et agnouerit  EGLPRSm2 ( om . et) edd. ut ex hoc delectia rationum que- amus agnoscere  Hm1, s. l . ał et agnouerint quae fida et reliqua  m2  ut ex diligentia rationum queamus ( ex  quaeramus  C ) agnoscere  CN  7 et sibimet] sibimet  C  sibi et  EGRS  9  post re s. l . si  Cm1?  10 cuique)  CHm1N  cuiue  cett . 13 tunc  FHNPm1R post  an  add . id R,  s. l. Gm2Lm2, 2 litt. er. C  15 ipsis ratiotinationibus  Hm2  16 ante internoscendi add. et  brm  uiam  CFHN  19 inneniendi et iudicandi ( om . in)  Hm2  24 quidem uidetur]  FHNPCic . uidetur quidem GRS quidem  om. CEL   autem in altera elaborauerunt; iudicandi enim uias diligenter persecuti sunt ea scientia quam  διαλεκτικήν appellant, inueniendi artem, quae  τοπική  dicitur quaeque ad usum potior erat et ordine naturae certe prior, totam reliquerunt, nos autem  quoniam in utraque summa utilitas est et utramque, si erit otium, persequi cogitamus, ab ea quae prima est, ordiemur, cum igitur tantus huius considera- tionis fructus sit, danda est huic tam sollertissimae disci- plinae tota mentis intentio, ut primis firmati in disputandi  ueritate uestigiis facile ad rerum ipsarum certam comprehen- sionem uenire possimus. Et quoniam qui sit ortus logicae disciplinae praediximus, reliquum uidetur adiungere, an omnino pars quaedam sit philosophiae an ut quibusdam placet, supellex atque instru-  mentum, per quod philosophia cognitionem rerum naturamque deprehendat, cuius quidem rei has e contrario uideo esse sententias. hi enim qui partem philosophiae putant logicam con- siderationem, his fere argumentis utuntur, dicentes philosophiam indubitanter habere partes speculatiuam atque actiuam.  de hac tertia rationali quaeritur an sit in parte ponenda, sed eam quoque partem esse philosophiae non potest dubitari, nam sicut de naturalibus ceterisque sub speculatiua positis solius philosophiae uestigatio est itemque de moralibus ac  2 uias]  ENPCic.p, om. cett. codd ., uiam  brm  ea scientia]  Pm1Cic . eam scientiam  EPm2  edd. eam scilicet scientiam  CN  artem et scientiam FSm2  scientiam  GHLRSm1 διαλεκτικήν ] Cic. dialecticen  CFGHL- NPm2RS  dialecticam  E dialectica  Pm1   τοπική ]  Cic . topice  Gm2LNS  topica  CEFGm1HPR  4 quaeque] quae et  Cic . 5 prior] prior est  GLa.c.RS  6 in—est et]  CN Cic., s. l. Pm2, om. cett. codd., Boethius etiam in comment. in Cic. Top. lib. I p. 1047 D haec uerba respicit  8 prima] prior  Cic . ordiemur]  EHm1NCic . ordiamur  CGHm2LPRS  ordinamus  F  13 quid  FHm1NPp.c . quod  a.c . 14  ante reliquum  add . esse  GHP  pars sit quaedam  GN  quaedam pars sit  L  18 hii  EHL  20  ante  habere  add . duas  L m 1860  21  post  rationali  add . uel orationali  EFGH (del. m2) RS (del. mS)  id est logica  L  ( s. l. m2) edd. ad  an  s. l . si  Cm2  24 inuestigatio  L   reliquis quae sub actiuam partem cadunt, sola philosophia perpendit, ita quoque de hac parte tractatus, id est de his quae logicae subiecta sunt, sola philosophia iudicat. quodsi speculatiua atque actiua idcirco philosophiae partes sunt, quia  de his philosophia sola pertractat, propter eandem causam erit logica philosophiae pars, quoniam philosophiae soli haec dis- putandi materia subiecta est. iam uero inquiunt : cum in his tribus philosophia uersetur cumque actiuam et speculatiuam consideratio|nem subiecta discernant, quod illa de rerum naturis, haec de moribus quaerit, non dubium est quin logica disciplina a naturali atque morali suae materiae proprietate di- stincta sit. est enim logicae tractatus de propositionibus atque syllogismis et ceteris huiusmodi, quod neque ea quae non de oratione, sed de rebus speculatur neque actiua pars, quae de  moribus inuigilat, aeque praestare potest, quodsi in his tribus, id est speculatiua, actiua atque rationali, philosophia consistit, quae proprio triplicique a se fine disiuncta sunt, cum specula- tiua et actiua philosophia partes esse dicuntur, non dubium est quin rationalis quoque philosophia pars esse conuincatur.  qui uero non partem, sed philosophiae instrumentum putant, haec fere afferant argumenta, non esse inquiunt similem logicae finem speculatiuae atque actiuae partis extremo, utraque enim illarum ad suum proprium terminum spectat, ut speculatiua tractat  Ep.r.FR, m2 in GLP  3 diiudicat  CHm2  5 sola philo- sophia  CFN  pertractet  Em1  tractat  Hm1  7 iam] tam  R  ita  FL  9 sublectas discernat  Em2  10 dubium non est  CEL  non est dubium  F  11 a  om. LS, s. l. Gm2Pm2, postea add. R  disiuncta (iunc  in ras. m1? )  R est enim] etenim  GLRS post  tractatus add. est  LR, s. l. Pm2  14 orationibus  E ratione  Lm1, add . est  L  17 sint  Rm1, ex  sit  Sm2  cumque  H  (q.  er .)  Lm2N  18 et] atque  EFNP philosophiae  pbr  dicantur  Lm2N  non est dubium  EFHNP  21 haec—argumenta  del. G  asserunt (ss in ras. m1?)  C similem  om. GR, post  finem  s. l. Sm2, ad  similem  s. l.  ł proprium  Pm2  22  ante  speculatiuae  add . sed  R, s. l. Gm2Lm2  extremum E (u  ex a uel  o  m2 )  GL  (um  ex am m2 )  Pm2RSm1  23 proprium suum  C  ut] ita ut  brm   quidem rerum cognitionem, actiua uero mores atque instituta perficiat, neque altera refertur ad alteram, logicae uero finis esse non potest absolutus, sed quodammodo cum reliquis duabus partibus colligatus atque constrictus est. quid enim est in logica disciplina quod suo merito debeat optari, nisi  quod propter inuestigationem rerum huius effectio artis inuenta est? scire enim quemadmodum argumentatio concludatur uel quae uera sit, quae ueri similis, ad hoc scilicet tendit, ut uel ad rerum cognitionem referatur haec scientia rationum uel ad inuenienda ea quae in exercitium moralitatis adducta beatitu-  dinem pariunt. atque ideo quoniam speculatiuae atque actiuae suus certusque finis est, logicae autem ad duas reliquas partes refertur extremum, manifestum est non eam esse philosophiae partem, sed potius instrumentum, sunt uero plura quae ex alterutra parte dicantur, quorum nos ea quae dicta sunt  strictim notasse sufficiat. Hanc litem uero tali ratione discernimus. nihil quippe dicimus impedire, ut eadem logica partis uice simul instrumentique fungatur officio, quoniam enim ipsa suum retinet finem isque finis a sola philosophia, consideratur, pars philosophiae esse ponenda est, quoniam uero finis ille  logicae quem sola speculatur philosophia, ad alias eius partes suam operam pollicetur, instrumentum esse philosophiae non negamus; est autem finis logicae inuentio iudiciumque rati- onum. quod scilicet non esse mirum uidebitur, quod eadem pars, eadem quoddam ponitur instrumentum, si ad partes  corporis animum reducamus, quibus et fit aliquid, ut his quasi quibusdam instrumentis utamur, et in toto tamen corpore par- tium obtinent locum, manus enim ad tractandum, oculi ad  1 rerum]  Em2H(in mg. m1?) Lm2 edd., post  cognitionem  add . rerum  s. l. Pm2Sm2, add . naturalium rerum  F, s. l. Gm2, om. cett . 2ad alteram] de altera  Em2 3 non potest esse  FGN  4 est  om. C  5 aptari  FGm1Hm1Pm2R  6 affectio  EFHLm2Pm1Bm1  8 intendit  F  9 rationum scientia  CLP  10 mortalitatis  bm  11 parant  Ea.c . pariant  Hm1  15 alterutra] utraque  EP, add. post  alterutra  H, del. m2 ante  dicta  add . supra  EP, s. l. Lm2  18 enim] nero  CFHN  21 ei  F  24 uidetur  Em1FGm2LNPm2  28 optineant  Fp.c.S   uidendum, ceteraeque corporis partes proprium quoddam uidentur habere officium, quod tamen si ad totius utilitatem corporis referatur, instrumenta quaedam corporis esse deprehenduntur quae etiam partes esse nullus abnuerit, ita quoque logica  disciplina pars quidem philosophiae est, quoniam eius philo- sophia sola magistra est, supellex uero, quod per eam inqui- sita philosophiae ueritas uestigatur. Sed quoniam, quantum mihi quoque breuitas succincta largita est, ortum logicae et quid ipsa logica esset explicui,  nunc de eo nobis libro pauca dicenda sunt quem in praesens sumpsimus exponendum, titulo enim proponit Porphyrius introductionem se in Aristotelis PREDICAMENTO conscribere, quid vero valeat haec introductio vel ad quid lectoris animum praeparet, breuiter explicabo. Aristoteles enim librum qui De  X PREDICAMENTI inscribitur hac intentione composuit, ut infinitas rerum diuersitates quae sub scientiam cadere non possent, paucitate generum comprehenderet, atque ita quod per incomprehensibilem multitudinem sub disciplinam uenire non poterat, per generum, ut dictum est, paucitatem animo  fieret scientiaeque subiectum. decem igitur genera rerum esse omnium considerauit, id est unam substantiam et accidentia nouem, quae sunt II QUALITAS III QVANTITAS IV RELATIO V VBI VI QVANDO VIII FACERE et pati, IX SITVS X HABERE, quae quoniam genera essent suprema et quibus nullum aliud superponi genus posset, omnem  necesse est multitudinem rerum horum decem generum spe-  1 quoddam] quod  Em1 (aliquod  m2 )  G  2 utilitatem  post  corporis EG, ante  totius  L  quas  FSm2  5 quidem post philosophiae  H  quaedam  L  uero] uero est  L  8 quoque  om. L  quidem  edd . ueritas  Cm1N  succincta]  CNPSm2  sua mora  EFGHR  sua mota  Sm1  succincta suam moram  L  ortum  om . L et de ortu CNF quod  CF  est  G  explicaui  CELm2PRS  11 titulum  CHm1N  lectoris  s. l. Gm2, post  animum  CN, post  praeparet  H. om. E  14 paret  EFGNRS  15 scribitur  EGRSm1  17 ita quod  s. l. Gm2  (itaque m1)  Rm2  quod ( om . ita)  s. l. Sm2  20 decem] in decem  C  23 et  om. FLNP  situm habere  CRa.c . situm esse habere  Gm1S  genus superponi  H  possit  Ea.c.FGm1NPRS  ante horum add. per  s, l. Pm2, ante  species  CFLR. s. l. Gm2Sm2   cies inueniri. quae quidem genera a se omnibus differentiis distributa sunt nec quicquam uidentur habere commune nisi tantum nomen, quoniam omnia esse praedicantur. quippe I SBSTANTIA est, II QVALITAS est, III QVANTITAS est, et de aliis omnibus ‘est’ uerbum communiter praedicatur, sed non est eorum  communis una substantia uel natura, sed tantum nomen. itaque X genera ab Aristotele reperta omnibus a se differentiis distributa sunt sed quae aliquibus differentiis disiunguntur, necesse est ut habeant proprium quiddam quod ea in singularem solitariamque vindicet formam. non est autem idem  proprium quod accidens accidentia enim et venire et abesse possunt, propria ita sunt insita, ut absque his quorum sunt propria, esse non possint. quae cum ita sint cumque Aristoteles X rerum genera repperisset, quae vel intellegendo mens caperet vel loquendo disputator efferret - quicquid  enim intellectu capimus, id ad alterum sermone uulgamus —, euenit ut ad horum X PREDICAMENTI intellegentiam quinque harum rerum tractatus incurreret, scilicet generis, speciei, differentiae, proprii, accidentis. generis quidem, quoniam oportet ante praediscere quid sit genus, ut X illa quae  Aristoteles ceteris anteposuit rebus, genera esse possimus agnoscere, speciei uero cognitio plurimum ualet, ut quae cuiusque generis sit species, possit agnosci. si enim quid sit species intellegimus, nihil impediti errore turbamur. fieri enim potest, ut per speciei inscientiam saepe quantitatis species in  relatione ponamus et cuiuslibet primi generis species alteri cui-  4 omnibus aliis  FHLN  9 quoddam  S  10 uendicet  HLP  uindicent  ( ent  in ras.) S  constituat CN 11 euenire  FGm2R  (om. et) abire  NP  12 propria ita] propria enim ita  H  proprietates  EGm1S propria uero ita  edd . insitae  EGm1S  14 uel  om. FP  16 cupimus  E  alterutrum  FPm2S  ante accidentis add. atque  FHNP  et  L 21 inter- posuit  m1 in EGS  superposuit  Em2NP  praeposuit  FGm2  possemus  FN  22 cognitio  post  ualet  LP  24 impedito  (uel  in- ) Ca.c.EGm1HNS  impedit  R  turbari  CS  25 inscitiam  F 26 cuilibet] cuiuslibet  Gm1N,a.r. in EFS   libet generi subdamus atque ita fiat permixta rerum atque indiscreta confusio; quod ne accidat, quae sit natura speciei ante noscendum est. nec uero in hoc tantum prodest speciei cognoscenda natura, ne priorum generum species inuicem per-  mutemus, uerum etiam ut in eodem quolibet genere proximas species generi nouerimus eligere, ut ne substantiae mox animal dicamus esse speciem potius quam corpus aut corporis homi- nem potius quam animatum corpus, at uero differentiarum scientia in his maximum retinet locum, qui enim omnino  qualitatem a substantia uel cetera a se genera distare cogno- scimus, nisi eorum differentias uiderimus? quomodo autem discernere eorum differentias possumus, si quid ipsa sit diffe- rentia nesciamus? nec hunc solum nobis inscientia differentiae offundit errorem, uerum etiam specierum quoque tollit omne  iudicium. nam omnes species differentiae informant, ignorata differentia species quoque necesse est ignorari, quomodo uero fieri potest, ut quamlibet differentiam possimus agnoscere, si omnino quae sit nominis huius significatio nesciamus? iam nero proprii tantus usus est, ut Aristoteles quoque singulorum  PREDICAMENTI propria perquisiuerit. quae propria esse quis deprehenderit, antequam quid omnino sit proprium discat? nec in his tantum propriis haec cognitio ualet quae singulis nomi- nibus efferuntur, ut hominis risibile, uerum etiam in his quae in locum definitionis adhibentur, omnia enim propria rem subrectam  quodam termino descriptionis includunt, quod suo quoque loco  25 suo loco] lib. IV c. 15 s.   1 generis  Gm1REa.r.Sa.r . fiet  CH  fit  N  permixtio  FHm2LNP  4 primorum  FNP  5 in om.  CERS, s. l. Gm2  6  ante  generi  add . cuilibet  brm  7 aut—corpus om.  E, s. l. Gm2Sm2  8 corpus  om. FP ,  del. Hm2  9 qui] quomodo  Ep.c.HPp.c.R  11 nouerimus  R  quo- modo—ignorari  (16) in inf. mg. Em2  autem] nero  E(m2)  14 offundit]  E (m2) Pm1  obfundit  Hm2  diffundit  Gm1  effundit  cett.; cf. p. 159,16  15 informant differentiae  brm  16 quomodo] qui  FNP  uero om.  G  18 huius nominis  FNP  20 perquisierit  R  quis esse  FR  21 deprehen- derit in  ras. E  deprehenderet  Np.c . deprehendet ( ex  -it)  P  22 proprii  Gm2N post  singulis  add . tantum  FHLNP  24 subiecto  EGm1RS   oportunius commemorabo, accidentis quoque cognitio quantum afferat, quis dubitare queat, cum videat inter X PREDICATMENTI  IX accidentis naturas? quae quomodo accidentia esse putabimus, si omnino quid sit accidens ignoremus, cum praesertim nec differentiarum nec proprii scientia nota sit, nisi  accidentis naturam firmissima consideratione teneamus? fieri enim potest, ut differentiae loco uel proprii per inscientiam accidens apponatur, quod esse uitiosissimum etiam definitiones probant, quae cum ipsae ex differentiis constent et fiant unius cuiusque definitiones propriae, accidens tamen non uidentur  admittere. Cum igitur Aristoteles rerum genera collegisset, quae nimirum diuersas sub se species continerent, quae species nuraquam diuersae forent, nisi differentiis segregarentur, cumque omnia in substantiam atque accidens, accidens uero in alia nouem praedicamenta soluisset cumque aliquorum PREDICAMENTI fere sit propria persecutus, de his ipsis quidem praedicamentis docuit, quid uero esset genus, quid species, quid differentia, quid illud accidens, de quo nunc dicendum est, uel quid proprium, uelut nota praeteriit, ne igitur ad PREDICAMENTI Aristotelis uenientes, quid significaret unum  quodque eorum quae superius dicta sunt ignora|rent, hunc librum Porphyrius de earum quinque rerum cognitione per- scripsit, quo perspecto et considerato quid unum quodque eorum quae supra praeposuit designaret, facilior intellectus ea quae ab Aristotele proponerentur addisceret.   Haec quidem intentio est huius libri, quem Porphyrius ad introductionem PREDICAMENTI se conscripsisse ipsa, ut  1 opportunius  NR post  accidentis  add . teneri  L ,  post  naturas  (3) tenere  HN  3 quonam modo  FHLNP  5 tota  EN, m1 in GPS  6 tenemus  C  7 insciciarn  FN  11  ante  rerum  add . decem  cod. Monac. 4621 brm, recte?  15 nouem om.  S edd., s. l. Em2Gm2  16 fere  om. EFGS, er. H  18 nunc  om. GRS  est dicendum  CL  eorum  delendum esse coni. Engelhrecht  23 quo] ut  CHLNP  inspecto  FNP perfecto EGm1  24 eorum]  cod. Monac. 4621 ( om . quae),  om. codd. nostri  proposuit FP proposui  H  posuit  NR  25 ab  om. ENR praeponerentur  CHm2NR  27 ipse  L  ita  F   dictum est, tituli inscriptione signauit, sed licet ad hoc unum huius libri referatur intentio, non tamen simplex eius utilitas est, uerum multiplex et in maxima quaeque diffusa est. quam idem Porphyrius in principio huius libri commemorat dicens; Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamentorum doctri- nam, nosse quid genus sit et quid differentia quidque species et quid proprium et quid apcidens, et ad definitionum adsignationem et omnino ad ea  quae in diuisione uel demonstratione sunt, utili hac istarum rerum speculatione, compendiosam tibi traditionem faciens temptabo breuiter uelut introductionis modo ea quae ab antiquis dicta sunt adgredi altioribus quidem quaestionibus  abstinens, simpliciores uero mediocriter coniectans. Utilitas huius libri quadrifariam spargitur, namque ad illud etiam ad quod eius dirigitur intentio, magno legentibus usui Porph. Boeth. Busse).   2 eius utilitas est]  FGm2 (in mg. add.) HP  utilitas eius est  in mg. add. Em2  est eius utilitas  s. l. add. Lm2  eius est utilitas  N, om, RS;  est tamen simplex eius utilitas  C uerum  in mg. Em2  sed  GLS  sed et  R  multiplex et  in mg. Em2, s. l. Sm2  est  er. uid. E  5  ante  Cura  add . PROLOGVS  RS, de inscript. codicum Isagogen tantum con- tinent. cf. ad initium libri  Chrysaori]  G chrisaori  EHNPa.c .  Γ  ( s. l . menanti)  Ώμ2ΣΦ  chrysaoni S chrisarori ( uel  cris-  uel  chriss-,1  CFLPp.c .  R lATl m1 *!  (-oui) ante et add. te  C (er.)   FLNA (del.)   Σ ,  s. l . scil, te  E  6  ante praedicamentorum  add . X  Δ  7 sit genus  L A  et  om .  Φ  quidue  N  8  pr .  et s. l. E, om .  A  9 diffinitionem  Em1 \ m2 ,  in  -nes,  hoc in  -num  mut. F  10 in] ad  FHP ,  ante  in  er . ad  uid. C diuisionem  Ca.r.FHNP T a.r . A a.r . Q  uel] et  N  et ad  FHP  uel in  ΔΣΦ  demonstrationem  Ca.r . (-ne  ras. ex  -ne  ut uid .)  FHNP F a.r. A a.r .(b  utili]  edd . utilia  codd . 11 hac]  HP ,  s. l. Sm2  hanc  CLNΤ ΛΙIΣΦ ,  del .  Δ ,  om .  EFGRS  speculationem  CEa.r.Hm2L A a.r .  ΑΦ ,  in  -num corr.  Σ compendiosa  ras. exsa  C A  12 traditione ( uel  -cione)  CLΝ Φ ,  ras. ex  -nem  HT A  14 altioribus] ab altioribus  A  17 quadrifaria  S ante  ad  add . et  EGP ,  s. l. L  18 etiam  om . G   est et ad cetera, quae cum extra intentionem sint, non tamen minor ex his legentibus utilitas comparatur, est enim per hoc corpusculum et PREDICAMENTI facilis cognitio et defini- tionum integra adsignatio et diuisionum recta perspectio et demonstrationum ueracissima conclusio, quae res quanto difficiles atque arduae sunt, tanto perspicaciorem studiosioremque animum lectoris expectant. dicendum uero est quod in omnibus libris euenit. nam primum si quae sit intentio cognoscatur, quanta quoque utilitas inde prouenire possit expenditur et licet extra multa, ut fit, huiusmodi librum sequantur, tamen  illam proxime utilitatem uidetur habere, ad quod eius refertur intentio, ipso libro quem sumpsimus exponente, cum eius intentio sit ad PREDICAMENTI intellectum facilem comparandi, non dubium quin haec eius principalis probetur utilitas, licet non minores sint comites definitio, diuisio ac demonstratio,  quorum nobis quaedam hic principia suggeruntur, sensus uero totus huiusmodi est : ‘cum sit, inquit, utilis generis, speciei, differentiae, proprii accidentisque cognitio ad PREDICAMENTI Aristotelis eiusque doctrinam, ad definitionum etiam adsignationem, ad diuisionem et demonstrationem, quae sit harum  rerum utilis überrimaque cognitio, compendiosam, inquit, tra- utilitas legentibus  FHP  3 opusculum  CEp.r.FGm2HLN, recte ? integra  om. ER, s. l. Gm2Sm2  recta] perfecta  CFGm2- Hm1N 8 post  libris  add . his  HNP  hoc  R,  s. l,  sed exters. G  sit] est  H id est  (add. Lm2)  perpenditur  Em2Lm2  10  ante huius- modi  add . in  CE (del.) G (del. m2) N  librum]  LPm2RSm2, om. Hm1 , libros  FGm1Sm1, s. l. Hm2 , libro  CE (del.) Gm2NPm1  sequntur ( uel  sec-)  R, m1 in EGS  11 uidentur  FH  ad quod] aliquod  Cm1  ad quam  FGm2Pm2  eius] eorum  FGm2HPm1  12  ante ipso  add . ut  (s. l. est Lm2)  in hoc  CFHLNP, s. l . ut in  Em2  hoc  Gm2  ex- ponendum  CE (dum  in er . te?)  FHLNP  ( ex  -dus  m1  exponere  m2 )  Sm1 post  cum  s. l . enim  Hm2  13 praeparandi  H 14  ante  dubium  add . est  FHNP ,  s. l. Gm2, post s. l. L  15 minoris  CGm1N  16 nobis  om. C  hic quaedam  C  principalia  NSm1  17 huiusmodi totus  EG  19 eamque  Hm1Sm1  20 ad  om. C, s. l. Gm2 , et  FHN  et ad  P  et] ac  H, om. CFNP , et ad  edd . demonstrationemque CN demonstrationum- que  FP  quae] quia  Lm2R, om. CFNP  21 traditione  ras. ex  -nē  H   ditionem faciens ea quae ab antiquis large ac diffuse dicta sunt, temptabo breuiter aperire’, neque enim esset compendiosa, nisi totum opus breuitate constringeret et quoniam introductionem scribebat, ‘altiores, inquit, quaestiones sponte refngiam, simpliciores uero mediocriter coniectabo’, id est sim- pliciorum quaestionum obscuritates habita in eis quadam coniecturae ratiocinatione tractabo. Tota quidem sententia huiusce prooemii talis est, quae et utilitate überrima et facilitate incipientis animo blandiatur, sed dicendum uidetur  quidnam celet amplius altitudo sermonum, necessarium in Latino sermone, sicut in Graeco  άναγκαΐον , plura significat, diuersa enim significatione Marcus Tullius CICERONE dicit necessarium suum esse aliquem atque nos, cum nobis necessarium esse dicimus ad forum descendere, qua in uoce quaedam utilitas  significatur. alia quoque significatio est qua dicimus solem necessarium esse moueri, id est necesse esse, et illa quidem prima significatio praetermittenda est, omnino enim ab eo necessario quod hic Porphyrius ponit aliena est. hae uero duae huiusmodi sunt, ut inter se certare uideantur quae huius loci  obtineat significationem, in quo dicit Porphyrius; Cum sit necessarium, Chrysaori; namque, ut dictum est, neces-  Marcus Tullius] cf. infra apparatum.   2 enim  om. E  3 corpus  HNPm1  4 refugio  EGR  5 simplicium  Gm2LPm2  6 eas  EFGm1HNSm1 7 ad  quidem  s. l.  autem  Gm2  8 prohemii  EPS  uberrima <sit>  Brandt  9 animum  EGLm2Pm2R  uidetur  om. ERS, s. l. Gm2  11 ΑΝΑ Γ ΑΙΟΝ  uel  ANAKAION  uel sim. codd . ANA IT CION ł ANAKAION  C 12 etenim F  ad  Marcus Tullius  in mg . Marcus enim tullius pro fundanio inquit descripsistine eius neces- sarium id est adiutorem danium ( leg . fundanium)  add. Hm2, ex Mario Victorino De defin., Boeth. p. 906 B, haustum, Cic. IV 3 p. 236 frg. 6 Mueller  13 aliquod  C  aliquid  Hm1NPm2  nos]  Hm1Pp.e.Sm1  nostrum  cett.; an nostrum est  scribendum ? ante cum  add . ut  EG (del. m2) HLm2P  uel  F  nos  Hm2  14 dicamus  L 16  post , esse] esset  F  est  Hm1LNP  18 uero  om.  N  ergo  F   Chrysaori]  CEm1  chrisaori  uel eris-  uel  crys-uel  crisar-  uel sim. cett . necessarium] harum  E  ( s. l . duarum necessitatum  m2 )  Gm1S  necessarium harum  F   sarium et utilitatem significat et necessitatem, uidentur autem huic loco utraque congruere, nam et summe utile est ad ea  quae superius dicta sunt, de genere et specie et ceteris disputare, et summa est necessitas, quia nisi sint haec ante praecognita, illa ad quae ista praeparantur, non possunt cognosci, nam  neque praeter generis uel speciei cognitionem PREDICAMENTA discuntur nec definitio genus relinquit et differentiam, et in ceteris quam sit utilis iste tractatus, cum de diuisione et demonstratione disputabitur, apparebit, sed quamquam necesse sit haec quinque de quibus hic disputandum est, prius ad  cognitionem uenire quam ea quibus illa praeparantur, non tamen ea significatione hic a Porphyrio positum est qua necessitatem significari uellet ac non potius utilitatem, ipsa enim oratio contextusque sermonum id clarissima intellegentiae ratione significat, neque enim quisquam ita utitur ratione, ut  aliquam necessitatem referri dicat ad aliud, necessitas enim per se est, utilitas uero semper ad id quod utile est refertur, ut hic quoque, ait enim Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem PREDICAMENTI doctrinam, si igitur hoc necessarium utile intellegamus et id nomine ipso uertamus dicentes: cum sit utile. Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamen-  1 et  om. R, del. CGm2 significans  R ante  necessitatem  add . altera  R, s. l. Gm2  4 necessitas est  E  quia  om. NS  sint  post  haec  F, post  praecognita  H  5 agnosci  CN  post cognosci  add . quae  (om. E)  praedicamenta dicuntur  CEGL (in sup. mg. m2)  PR cognitiones  (del. et s. l . quae  add. m2) praedicamentarum (rum  del. m2 ) dicuntur  S  nam—discuntur  om. GRS, in sup. mg. Lm2  nam—cognitionem  in mg. Em1?, reliqua om . 7 nec] sed istis cognitis nec  C  sed nec  S  neque  N  sit] erit  Em2GLm1RS  13 significare  FN  15 utatur  Sm1  oratione  CHm1N  16 aliud] aliquid  CHm1N  17  post  se  add . quiddam  CFHPN, s. l. Em2Lm2 , quidem  edd . quod] ad quod  NP defertur  Gm1Lm1RS  18 enim  om . C Chrysaori]  eaedem fere quae   p. 147, set  in codd. scripturae  19 et] te et  L  20  post   doctrinam add . nosse quid genus sit  C  nosse quid sit genus et cetera  in mg. Lm2  22 Chrysaori]  ut 18  et  om .  EFGS  te et  L  doctrinam praedicamentorum  C   torum doctrinam, nosse quid genus sit et cetera, recte se habebit ordo sermonum; sin uero id ad ‘necesse’ permutetur atque dicamus : cum sit necesse, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem PREDICAMENTI doctrinam, nosse quid  genus sit et cetera, rectae intellegentiae sermonum ordo non conuenit. quocirca hic diutius immorandum non est. quamquam enim sit summa necessitas his ignoratis non posse ad ea ad quae hic tractatus intenditur perueniri, non tamen de necessi- tate hic dictum est necessarium, sed potius de utilitate. Nunc uero, licet idem superius dictum sit, tamen breuiter  quid ad PREDICAMENTI generis, speciei, differentiae, proprii atque accidentis prosit agnitio, disputemus. Aristoteles enim in X PREDICAMENTI genera constituit rerum quae de cunctis aliis PREDICARE ut quicquid ad significationem  uenire posset, id si integram significationem teneret, cuilibet eorum subiceretur generi de quibus Aristoteles tractat in eo libro qui De decem praedicamentis inscribitur, hoc ipsum uero referri ad aliquid uelut ad genus tale est, quale si quis speciem supponat generi, hoc uero neque praeter cognitionem  speciei ullo modo fieri potest nec uero ipsae species quid sint uel cuius magis sint possunt perspici nisi earum differentiae cognoscantur, sed differentiarum natura incognita, quae unius  1 recte—sermonum] recte intellegentiae sermonum ordo conuenit  CLP   (ex 5) uero] autem  C  atque] itaque  FN  ut  CLH (in ras.)  Chrysaori]] sit  GLRS  nosse —sit om.  EH  5 ordo  ante  sermonum  E    post  his  s. l. quinque  Lm2  pr. (sic) ad om. G ,  in mg. Em1?  tractatus hic  H  intendit  L  peruenire  Lm1S  9  ante  hic  add. solummodo  F  10 nunc] nam  F  11 quod  EN  12 possit  Lm2  cognitio  R  possit  Fa.c.LS Aristoteles  delend. esse coni. Brandt  eo  om. E  17 De  om. NS , de  s. l. Lm2  uero  s. l. Gm2 18  post , ad  om. GRS, s. l. Em2Lm2P  qui  S  19 neque  er .  L  nec  N   post  cognitionem  add. generis neque praeter cognitio- nem  CFHP (in mg. m2)  generis nec  E   (s. l. m1?)N, s. l. generis et  Lm2  20 nullo  Lm2  neque  F  21 magis] modi CEm2 (in aliis m1) Hm1Pp.c.(corr. m1?)  modo  N  possint  S  possumus  Gm1Lm2  possemus  m1  possimus  E  perspici] scire  EGm1 (sciri  m2 )  L  agnosci  RS cuiusque speciei sint differentiae, modis omnibus ignorabitur, quare sciendum est quoniam, si de generibus Aristoteles tractat in PREDICAMENTI, et generum natura cognoscenda est, cuius cognitionem speciei quoque comitatur agnitio, sed hoc cognito, quid sit differentia non potest ignorari, quamquam  in eodem libro plura sint ad quae nisi maximam peritiam et generis et speciei et differentiae lector attulerit, nullus omnino intellectus patebit, ut cum ipse Aristoteles dicit : diuersorum generum et non subalternatim positorum diuersae secundum species et differentiae sunt, quod his ignoratis  intellegi inpossibile est. sed idem Aristoteles proprium unius cuiusque PREDICAMENTI diligentissima inquisitione uestigat, ut cum substantiae proprium post multa dicit esse quod idem numero contrariorum susceptibile sit, uel rursus quantitatis, quod in ea sola aequale atque inaequale  dicatur, qualitatis etiam, quod per eam simile et dis- simile aliud alii esse proponimus, et in ceteris eodem modo, ut quae sit proprietas contrarii, quae secundum relationem oppositionis, quae priuationis et habitus, quae affirmationis et  8—10] Aristot. Categ. c. 3, p. l b , 16 s. 13 s.] ibid. c. 5, p. 4 a , 10 s. 15 s. (dicatur)] ibid. c. 6, p. 6 a , 26 s. 16 s.] ibid. c. 8, p. 11 a , 15—19. 18 (quae sit)—153, 1 (negationis)] ibid. c. 10.   1 sit differentia  S  5 non potest  s. l. Gm2 quamquam] cum  F et generis—differentiae post attulerit  E  8 pateat  EGLRS  dicit]  Brandt dicat  codd. edd.; cf. 13. p. 154, 14. 21. 153, 2. 6  10  post  secundum  add . se  EGL (del.) ES, er. uid. H  et om.  CN, del. Lm2, er. uid. H; cf. Aristot. Cat. c. 3   τών Ιτέρων γενών καί μή ΰπαλληλα   τεταγμένων ετεροι τω εΤδεε κο· αϊ διαοοραί   et Boethii interpretat. In Categ. Arist. p. 177 A (om. se)  quid  GRS  11 possibile  EG  ( post  est  signum interrogat.) RS  propria  FHNP  14  ante  numero  s. l.  cum  E  aequum  Em1FGLm1RS; cf. p. 153, 17  atque] aut N 16 dicitur FHLm2P  et dissimile]  F  uel dissimile  s. l. Em2  aut dissimile  s. l .  Gm2Pm1? ,  om. cett.; cf. Aristot. Cat. c . 9 Τ ών μέν ouv είρημένων  — τό  ομοιον χα) άνο'μοιον  —  αοτήν   et Boethii interpretat A  (simile et dissimile,)  aliis  DGPm1RS ( s  in ras); cf. Aristot, ibid .  έτέρω ,  Boeth. ibid . alteri 18  post  relationem  add . contrarii  Em1, del. et s. l . ut sapientia stulticiae  m2   negationis, in quibus ita tractat tamquam iam peritis scienti- busque quae sit proprietatis natura; quam si quis ignorat, frustra ea quae de his disputantur adgreditur. iam uero illud manifestum est, quod accidens maximum PREDICAMENTI obtineat locum, quod proprio nomine nouem PREDICAMENTI circumdat. Et ad PREDICAMENTI quidem quanta sit huius libri utilitas ex his manifestum est. quod uero ait et ad definitionum adsignationem, facile cognosci potest, si prius substantiae  rationum diuisio fiat, substantiae ratio alia quidem in descriptione ponitur, alia uero in definitione, sed ea quae in descriptione est, pro|prietatem quandam colligit eius rei cuius substantiae rationem prodit, ac non modo proprietate id quod monstrat informat, uerum etiam ipsa fit proprium, quod in  definitionem quoque uenire necesse est; si quis enim quantitatis rationem reddere uelit, dicat licebit; quantitas est secundum quam aequale atque inaequale dicitur, sicut igitur proprietatem quidem quantitatis in ratione posuit quantitatis et ipsa tota ratio ipsius quantitatis propria est, ita descriptio et  proprietatem colligit et propria fit ipsa descriptio, definitio uero ipsa quidem propria non colligit, sed ipsa quoque fit propria, definitio namque substantiam monstrat, genus differentiis iungit et ea quae per se sunt communia atque multorum in unum redigens uni speciei quam definit reddit aequalia.  ita igitur ad descriptionem utilis est proprii cognitio, quoniam sola proprietas in descriptione colligitur et ipsa fit propria sicut definitio quoque, ad definitionem uero genus, quod primum 1 ita  om. RS, s. l. m2 in EGL  tamquam iam] quasi  C  5 optinet  FHm1LmSN  obtineat  ante  praedicamentorum  E libri huius  CGLRS utilitas]  brm  intentio  codd . 10  post  substantiae  add . uero  F, s. l . enim  Lm2  16  ante dicat  s. l . sc. ut  Lm2  20 proprietates  CFHNP  ipsa] ita  G  nam qui  Gm2Lm1  (namque qui  m2 )  S  26 proprietas sola  CLP  sola proprietas sola  FGm1S  27 ad sicut  s. l . ł sic  Em2  uero  s. l .  Hm2  quod  om .  F  quidem  R   ponitur, et species, ad quam genus illud aptatur, et differentiae, quibus iunctis cum genere species definitur, sed si cui haec pressiora quam expositionis modus postulat uidebuntur, eum hoc scire conuenit, nos, ut in prima editione dictum est, hanc expositionem nostro reseruasse iudicio, ut ad intellegentiam  simplicem huius libri editio prima sufficiat, ad interiorem uero speculationem confirmatis paene iam scientia nec in singulis uocabulis rerum haerentibus haec posterior colloquatur. Ad diuisionem uero faciendam tam hic liber est utilis, ut praeter earum scientiam rerum de quibus in hac libri serie  disputatur, casu fiat potius quam ratione partitio, hoc autem manifestum erit, si diuisionem ipsam diuidamus, id est si nomen ipsum diuisionis in ea quae significat partiamur, est namque diuisio generis in species, ut cum dicimus ‘coloris aliud est album, aliud nigrum, aliud uero medium’, rursus diuisio est,  quotiens uox plura significans aperitur et quam multa sint quae ab ea significantur ostenditur, ut si quis dicat ‘nomen canis plura significat, et hunc, latrabilem quadrupedem que et caeleste sidus et marinam bestiam’, quae omnia a se definitione disiuncta sunt, diuidi autem dicitur et quotiens totum in  partes proprias separatur, ut cum dicimus ‘domus aliud sunt fundamenta, aliud parietes, aliud tectum’, et haec quidem triplex diuisio secundum se partitio nuncupatur, est autem] in prima editione nihil eiusmodi. 1  post  ponitur  add . utile est  CN, post  species  s. l . utilis est  Lm2  et species—aptatur  in mg. Em2Gm2  illud genus  C  3 eum  om. E ,  s. l. Gm2 , ei  R  4 uti  FGLRSm1  5 reseruasse]  CPm2 edd . reser- uare  E ( -re  in ras .)  FGm2HNPm1 (ante  reseruare add. se m1, del. m2) reseruantes Gm1S seruantes Lm1  seruare  m2  reseruantes sumus  R  8 colloquatur]  m1 in GLS  eloquatur  CEm2 (in ras.) HN  collocatur  Em1R ,  m2 in GLS edd . loquatur  FP  9 utilis est  LP  10 rerum  om. E  12  post . si  om. EG, s. l. Sm2  13  ante  partiamur  s. l . si  E  partia- tur  Gm1  14 aliud est]  CEp.c.R edd . aliud esse  Ea.c.GHLPS  esse aliud  FN  15 rursum  CEGNPm1R  est  s. l. Sm2 , ante diuisio  FHNP ,  et ante  rursus  et post  diuisio  R  16 quam] quod  EG a.c . (quae  p.c .)  LRS  sunt  CFLNPa.c. 18 quadripedemque  Sm1  20 distincta  FHm1NP  23 partitio] separatio  EGLm1Pm1RS   alia quae secundum accidens dicitur, ea quoque fit tripliciter, aut cum accidens in subiecta diuidimus, ut cum dico ‘bonorum alia sunt in animo, alia in corpore’, uel rursus cum subiectum in accidentia, ut ‘corporum alia sunt alba, alia nigra, alia  medii coloris’, rursus cum accidens in accidentia separamus, ut cum dicimus ‘liquentium alia sunt alba, alia nigra, alia medii coloris’, et rursus ‘alborum alia sunt dura, alia liquentia, quaedam mollia’, cum igitur ita omnis sit diuisio aut secundum se aut per accidens, utraque uero partitio tripliciter fiat cumque in superiore secundum se triplici partitione sit una diui- sionis forma genus in species separare, id neque praeter generum scientiam fieri ullo modo potest neque uero praeter differentiarum, quas necesse est in specierum diuisione sumi, manifestum est igitur, quanta utilitas huius libri ad hanc  diuisionem sit quae primo aditu genus ac species et differentias tractat, secunda uero ea diuisio quae est secundum se in uocis significantias, nec haec quidem ab huius libri utilitate discreta est. uno enim modo cognosci poterit, utrum uox cuius diuisionem facere quaerimus, aequiuoca esse uideatur an genus,  si ea quae significat definiantur, et si ea quae sub communi nomine sunt, definitione clauduntur, species esse necesse est, et illud commune eorum genus, quodsi illa quae proposita  3 sunt alia  H  uel] aut  brm  rursum  FS  4 corporalium  Ca.c.Hm1N   rursum  F  6 liquentia  Ea.c.Gm1  8 fit  G  sit  ante omnis  F ,  post  diuisio N 9 accidentia  S  10 superiori  Sm2  11 sepa- rare  om. EN  possit  Em2 uero  om. C post   praeter s. l . scientiam  Sm2  ea  del. L, er. uid. P ante  quae  add . est  N   (om. post  quae]  P (er. uid.)  secundum—significantias]  FHN  uocis  post  significantias  C  se  et  in  om cett . 18 uno] nullo  F  quo  m2 in HLP  enim] quidem  N  20 si] nisi  FLm2Pm2  significant  CNPm2  et  (om.  si, ) in ros. Hm2  si et  RS  (et  s. l. m2 ) si  om. EL, s. l. Gm2Pm2 , etenim  L (ex et m2) Pm1  communi nomine]  CEm2 (in ras.) FHNP  (nomine  s. l. m2 ) communione cett. 21 sunt del. L, s. l.  Pm2 ante  definitione  add . una  FHL (del. m2) R, s. l. Em2Pm2  diffinitione  s. l. Gm2  claudantur  EGLRS  22 earum  ES post  genus  s. l . necesse est  Gm2  praeposita  EGPS   uox designat, non possunt una definitione concludi, nemo dubitat quin illa uox sit aequiuoca neque ita sit communis his de quibus PREDICARE ut genus, quandoquidem ea quae sub se posita significat, secundum commune nomen non possunt una definitione comprehendi, si igitur ex definitione manifestum  fit quid genus sit, quid uero nomen aequiuocum, definitio uero per genera differentiasque discurrit, quisquamne dubitare potest aeque in hac diuisionis forma plurimum huius libri auctoritatem ualere? illa uero secundum se diuisio quae est totius in partes, quemadmodum discernitur ac non potius generis in species diuisio esse putabitur, nisi sint genus |et species et differentiae earumque uis ante disciplinae ratione tractata? cur enim non quisquam dicat domus species potius esse quam partes fundamenta, parietes et tectum? sed cum occurrit generis nomen in una quaque specie totum posse congruere, totius uero in una quaque parte sua nomen conuenire non posse, manifestum fit aliam diuisionem esse generis in species, aliam totius in partes, conuenire autem nomen generis singulis speciebus ostenditur per id, quod et homo et equus singuli animalia nuncupantur, neque tectum uero neque parietes aut  fundamenta singillatim domus nomine appellari solent, sed  1 concludi  om ., nemo— comprehendi  in inf. mg. Gm1?  nemo—ita sit  in ras. Em2  2 uox—communis] uox non (non  er. L, om. S ) sit communis  Gm1 uel 2 Lm1Sm1, post  uox  add . sit aequiuoca neque (non,  sed del. G ) ita ( om. G  etiam  S )  s. l. Gm2 uel alia Sm2, in mg. Lm2  3  ante  his  add . de  E (er.) G (del. m2) ES his s. l. Lm2  4  post  posita  s. l. sunt Hm2  non possunt] definiri ( uel  diff-j (-ri  ex  -re  Cm2 ) non possunt (add . neq.  Cm1, er. et una add. m2) nec  CFN 6 fit]  H  est  C  sit  cett . 8 aeque] etiam  CFHm1NPSm1  9 auctorem  GR  utilitatem  Lm2 10 discernetur  Hm2 (fort. recte)  discernatur  N  ac] et  FHNP  11 esse  om. R, ante  diuisio  FN  sit  FSm1  sunt  G  et] ac  R  12 earum quauis  ELR, m2 in GHPS , earum quis  Fm1  quamuis ( om . earum,)  m2 ;  cf. p. 157, 3  13 quisque  CFHR  esse potius  FNR  14 dum  F  15 quaque  om. FN  17 sit  ELRm1  (est  m2 )  S  19 id  om .  RS, s. l. Em2Gm2  singula  CEa.r. (ut uid.) GLPm1  singularis  Sa.c . singu- laque  R  20 aut] ac  FHLNP  neque  S  21 singulatim  CNR  appel- lari] nuncupari  FHLNP cum fuerint iunctae partes, tunc recte totius nomen excipiunt, de ea uero diuisione quae secundum accidens fit, nullus ignorat quin incognito accidenti incognitaque ui generis ac differentiarum facile euenire possit, ut accidens ita in subiecta soluatur quasi genus in species, et postremo omnem hunc ordinem partitionis foedissime permiscebit inscientia. Et quoniam quid hic liber ad diuisionem prosit ostendimus, nunc.de demonstratione dicemus, ne per ardua atque difficilia haereat qui in tanta hac disciplina uigilantissimo ingenio et sollertissimo labore sudauerit. fit enim demonstratio, id est alicuius quaesitae rei certa rationis collectio, ex ante cognitis naturaliter, ex conuenientibus, ex primis, ex causa, ex necessariis, ex per se inhaerentibus, sed genera speciebus propriis priora naturaliter sunt; ex generibus enim species fluunt, item  species sub se positis uel speciebus uel indiuiduis priores naturaliter esse manifestum est. quae uero priora sunt, ea et praenoscuntur et notiora sunt sequentibus naturaliter, duobus enim modis primum aliquid et notum dicitur, secundum nos scilicet et secundum naturam, nobis enim illa magis cognita  sunt quae sunt proxima, ut indiuidua, dehinc species, postremo genera, at uero natura conuerso modo ea sunt magis cognita quae nobis minime proxima, atque ideo quamlibet se longius 1 tunc  er. C  accipiunt  F  3 incognita  m1 in GRS  accidente  CN  accidentia,  del . a  EGm2Rm2  accidenti—differentiarum  in mg .,  ante facile  add . ea accidentia,  sed del. E  incognitaque—differentia- rum  om. GR  cognitaque  (sic) ut generis ac differentiarum  Sm1, del. m2  4 soluamus  FHNP  5 postremum  HP  hunc  ante omnem  L, post  ordinem  R  6 inscitia  FHN  7 quid hic liber)  FGm1NP  quid liber hic  Em2HL hic quid liber  Gm2  liber quid hic  Em1R  liber hic quid S; quid ad diuisionem hic liber  C  8 ne—haereat] rem perarduam atque difficilem illi etiam  FN ; ne  et  - in  in difficil ** ia  et  hereat  in ras. C  9 hereat  s. l. Sm2  etiam  m1  tota  CFN  11 alicuius  om. CL  13 priora propriis  C  15  pr . uel  om. L, del. Pm2  19 enim] uero  N  21 natura]  Ea.c.GR  naturae  Ep.c.FHLPS  secundum naturam  CN; cf. Boeth .  Post. Analyt. Aristot. interpret. lib. I c. II p. 714 B  non enim idem est natura prius et ad nos prius neque notius natura et nobis notius. 22 quantumlibet  Em2  quantolibet  Pm2 a nobis genera protulerint, tanto magis erunt lucida et naturaliter nota, differentiae uero substantiales illae sunt quas per se inesse his rebus quae demonstrantur agnoscimus, praecedere autem debet generum ac differentiarum cognitio, ut in una quaque disciplina quae sint eius rei quae demonstratur convenientia principia, possit intellegi, necessaria uero esse ea ipsa quae genera et differentias dicimus, nullus dubitat qui speciem sine genere et differentia intellegit essq non posse, genera uero et differentiae sunt causae specierum. idcirco enim species sunt, quia genera earum et differentiae sunt quae in  syllogismis posita demonstratiuis non rei solum, uerum conclusionis etiam causae sunt, quod postremi Resolutorii locupletius dicent. Cum igitur perutile sit et definitione quodlibet illud circumscribere et diuisione dissoluere et demonstrationibus comprobare,  haec autem praeter earum rerum scientiam de quibus in hoc libro disputabitur, neque intellegi neque exerceri ualeant, quis umquam poterit dubitare quin hic liber maximum totius logicae adiumentum sit, praeter quem cetera quae in ea magnam uim tenent, nullum doctrinae aditum praebent? Sed meminit Porphyrina introductionem aese conscribere neque ultra quam institutionis modus est, formam tractatus egreditur, ait enim ‘se altiorum quaestionum nodis abstinere,  1 protulerunt  FLR  praetulerint  N  2 substantiales] substantiae uel  E  3 inesse  post  rebus  C  esse,  del . in  E  4 in  om. C, s. l. Sm2  6 possint  Hm1P  7  ante  genera add. et  LP  8 intellegit  in mg .  Cm2, post  esse  in ras. N  9 causae sunt  FHL  sunt  om. R  causa  G  11 demonstrantibus  EFGLPm1RS; cf. Boeth. ibid. c. VI p. 718 D  de- monstratiuus syllogismus 12 postremis  L  in (s. l.) postremis Pm2 postremo  EFGPm1RS  resolutoriis  L  resolutarii  F  resoluturi  RS  resoluituri  G  resolutius ac  E 13 dicemus  EGLPm1RS  15 demon- stratione  N  16 in  om. FGPR, s. l. Hm2S  17 ualeant]  m2 in EHLS  ualent  CEm1F  (n  del .)  GHm1NP  (n  in ras .)  RSm1  22 nec  N  23 egre- ditur]  CF (aegr-)  HNPm1  aggreditur  L  egredi  EGRS  aggredi  Pm2  altioribus  FN  nodis  om .  Cm1Sm1 modis  FNRa.c., s. l. Cm2, in mg. Sm2   simplices uero mediocri coniectura perstringere’, quae uero sint altiores quaestiones quas se differre promittit, ita proponit : Mox, inquit, de generibus ac speciebus illud quidem, siue subsistunt siue in solis nudisque intellectibus  posita sunt siue subsistentia corporalia sunt an incorporalia et utrum separata a sensibilibus an in sensibilibus posita et circa ea constantia, dicere recusabo, altissimum enim est huiusmodi negotium et maioris egens inquisitionis. Altiores,.inquit, quaestiones praetereo, ne eis intempestiue lectoris animo ingestis initia eius priraitiasque perturbem, sed ne omnino faceret neglegentem, ut nihil praeterquam quod ipse dixisset, lector amplius putaret occultum, id ipsum cuius exequi quaestionem se differre promisit, addidit, ut de his  minime obscure penitusque tractando nec le|ctori quicquam  p. 54  obscuritatis offunderet et tamen scientia roboratus quid quaeri iure posset agnosceret, sunt autem quaestiones quas sese reti- Porph. Boeth. altissimum— negotium] Abaelardus, Epistolae, Opp. I p. 5 ed. Cousin.   1 simpliciores  L  praestringere  G  perscribere  CFN  2 sunt  N  3 inquit  om .  Ω  ac] et  ΗΝ Ω   post  quidem  add . quod  EG (del.) Sm2  quae  m1  4 subsistant  L  nudisque] nudis purisqne  Ω ;  Porph. p. 1, 10   έν μο'να'.ς ψιλοΐς έπινοίαϊς  5 substantia  Em1  sunt  ante corporalia  Σ ,  post  incorporalia  Δ  sint  LR A m2 ,  ras .  ex  sunt II 6 separat  R  a sensibilibus  om. Gm1 (s. l. m2) Sm1 (cf. proxima), ras. ex  ab insensi- bilibus  \ m2; om .  Porph. p. 1,12  ab  CEa.r. A m1 A m1  an in sensibilibus posita et]  FG  (posita  s. l. m2 )  LR Ψ  an in sensibilibus (a sensibilibus  m2 ) et  S  an ipsis sensibilibus (posita  om .) iuncta  (in mg.)  et ( om . II)  Γ ,  s. l .  Π m2 et ( cetera om .)  CEHPm1 h m1  (s. l. an et in sensi- bilibus posita  m2 )  A m1  ( in mg . an sensibilibus iuncta  m2 )  Φ  an  (cet. om.)   NPm2   Σ  7 consistentia  CHF A m1  8 enim—negotium]  FHLP Q  ( sed  est enim  A )  Abaelard . negotium  ante  est  CEGRS  enim est negotium huius modo  (sic)   N; Porph. p. 1, 13   βαθύτατης οϊοης τής τοιοΰτης   πραγματείας  10  ante  eis  add . in,  sed del. E  11 primitiaque  R  per- turbent  FN  12 neglegentiam  Gm1P  praeter  (s. l.)  quam  C  praeter id quam  L  13 putasset  C  14 exequi quaestionem] exeeutionem (uel  eis-)  EGHm1LRS  15 penitus  Em1FG  ne  L  16 effunderet  Ca.c.EGLNR  infunderet  Cp.c.FS ;  cf. p. 145, 14  17 possit  C a.c. Fa.c . se  N   cere promittit, et perutiles et secretae et temptatae quidem a doctis uiris nec a pluribus dissolutae, quarum prima est huiusmodi. omne quod intellegit animus aut id quod est in rerum natura constitutum, intellectu concipit et sibimet ratione describit aut id quod non est, uacua sibi imaginatione depingit ergo intellectus generis et ceterorum cuiusmodi sit quaeritur, utrumne ita intellegamus species et genera ut ea quae sunt et ex quibus uerum capimus intellectum, an nosmet ipsi nos ludimus, cum ea quae non sunt, animi nobis cassa cogitatione formamus, quod si esse quidem constiterit et ab his quae sunt, intellectum concipi dixerimus, tunc alia maior ac difficilior quaestio dubitationem parit, cum discernendi atque intel- legendi generis ipsius naturam summa difficultas ostenditur, nam quoniam omne quod est, aut corporeum aut incorporeum esse necesse est, genus et species in aliquo horum esse oportebit quale erit igitur id quod genus dicitur, utrumne cor- poreum an uero incorporeum? neque enim quid sit diligenter intenditur, nisi in quo horum poni debeat agnoscatur, sed neque cura haec soluta fuerit quaestio, omne excludetur ambi- guum. subest enim aliquid quod, si incorporalia esse genus  ac species dicantur, obsideat intellegentiam atque detineat exsolui postulans, utrum circa corpora ipsa subsistant an et praeter corpora subsistentiae incorporales esse uideantur. duae quippe incorporeorum formae sunt, ut alia praeter corpora esse  1 promisit  C 2 doctissimis  P  4 statutum  L  discribit  E  5 id  s. l. C   capiamus  C ipsi nos] ipsos FR ipsos **  (-os  ex  i  m2 )  S  ipsi  Hm1  nos  s. l. m2  eludimus  Hm2  cogitatione] imaginatione  F  11 intellectu  ras. ex  -tu  E  ac] et  R  12 parat  FHm1PRS  discer- nendae atque intellegendae.. naturae  EFGHNRS  13 natura  L  osten- datur  N  16 utrum  FHm1NP   an] aut  ex  ut  F  uero  om. N  19 excluditur Cm2GHp.c.LPRS aliquid quod] alia quae (que  N) FN aliud (ex  aliquid] quod E esse post species FHL, om. N  21 ac] et  H intellegentiam atque] animum intelligentiamqne  F  intellegen- tiamque  N ipsa corpora  EFGHN  et om. CFHLN (fort. recte),  del. Pm2  23 subsistentia  Ca.c.Gm2L  substantiae  Cp.c.FN (s. l . ł subsistentes) incorporalia  Gm2L   possint et separata a corporibus in sua incorporalitate perdurent, ut deus, mens, anima, alia uero cum sint incorporea, tamen praeter corpora esse non possint, ut linea nel superficies uel numerus uel singulae qualitates, quas tametsi incorporeas esse  pronuntiamus, quod tribus spatiis minime distendantur, tamen ita in corporibus sunt, ut ab his diuelli nequeant aut separari aut, si a corporibus separata sint, nullo modo permaneant, quas licet quaestiones arduum sit ipso interim Porphyrio renuente dissoluere, tamen adgrediar, ut nec anxium lectoris  animum relinquam nec ipse in his quae praeter muneris suscepti seriem sunt, tempus operamque consumam, primum quidem pauca sub quaestionis ambiguitate proponam, post uero eundem dubitationis nodum absoluere atque explicare temptabo. Genera et species aut sunt atque subsistunt aut  intellectu et sola cogitatione formantur, sed genera et species esse non possunt, hoc autem ex his intellegitur, omne enim quod commune est uno tempore pluribus, id unum esse non poterit; multorum enim est quod commune est, praesertim cum una eademque res in multis uno tempore tota sit.  quantaecumque enim sunt species, in omnibus genus unum est, non quod de eo singulae species quasi partes aliquas carpant, sed singulae uno tempore totum genus habent, quo fit ut totum genus in pluribus singulis uno tempore positum unum esse non possit; neque enim fieri potest ut, cum in  pluribus totum uno sit tempore, in semet ipso sit unum  1 a  om. CS, s. l. Em2  corporalitate  ELS  possunt  ELNPR  4 tamenetsi  Ca.c . (tam  ras. ex  tam)  L  tam si  Em1  tamensi  GRS   quod] eo quod  L  tamen  om. G tam N  6 uti  EGLPa.r.RS  ante diuelli add. aut  Hm1, del. m2  a  om. ERS,  s. l. Gm2  separatae  exta  H quaestiones licet  FHLPN  9 rennuente  Ca.r.Ga.c.LNS ut] ita ut  R  13 dubietatis  L  exsoluere  CF  14 atque] et  EGLPRS  15 solo ( s. l. Pm2 ) et  FHNP  uno tempore pluribus] multorum uno tempore  N  18 est (s. l. m2 ) enim  G  tota sit] transit  F  est unum  Fm2H  non,  s. l . quod  S, ut non  CHm1N   carpunt  RS  capiant  F  participant  Nm1  habeant  Hm2Lm2P   possunt  F  possint  S  enim  om. FN. del. L  unoque  Gm2  sit uno  FHN  tempore  in mg. Gm2   numero, quod si ita est, unum quiddam genus esse non poterit, quo fit ut omnino nihil sit; omne enim quod est, idcirco est, quia unum est. et de specie idem conuenit dici, quodsi est quidem genus ac species, sed multiplex neque unum numero, non erit ultimum genus, sed habebit aliud super-positum genus, quod illam multiplicitatem unius sui nominis uocabulo includat, ut enim plura animalia, quoniam habent quiddam simile, eadem tamen non sunt, idcirco eorum genera perquiruntur, ita quoque quoniam genus, quod in pluribus est atque ideo multiplex, habet sui similitudinem, quod genus est,  non est uero unum, quoniam in pluribus est, eius generis quoque genus aliud quaerendum est, cumque fuerit inuentum, eadem ratione quae superius dicta est, rursus genus tertium uestigatur itaque in infinitum ratio procedat necesse est, cum nullus disciplinae terminus occurrat, quodsi unum quiddam  numero genus est, commune multorum esse non poterit, una enim res si communis est, aut partibus communis est et non iam tota communis, sed partes eius propriae singulorum, aut in usus habentium etiam per tempora transit, ut sit commune  ut seruus communis uel equus, aut uno ] tempore omnibus  commune fit, non tamen ut eorum quibus commune est, sub- stantiam constituat, ut est theatrum uel spectaculum aliquod, quod spectantibus omnibus commune est. genus uero secundum nullum horum modum commune esse speciebus potest; nara  numero] in numero NR quoddam  FS  quodque  N  quidem  R  5  ad  ultimum  s. l . maximum  E  super se (se  s. l. G ) positum  GR  6 sui]  LP edd . ui  cett. (post  nominis  F ) hominis  R  7 uocabulo]  HLP edd., om. cett . concludat  H concludit  Lm1  includat  m2  includit  R  12 requirendum  F  perquirendum  N  13 ratio  Hm1N  tertium genus  CL  14 nestigabitur  FH nestigabit  N  15 quodsi] quod  NR  quiddam] quoddem  (sic) R  17 si communis] sic omnis  F quae com- munis  CN  si  om. R   post post , communis est  add . ut puteus et (uel  H ) fons  CHNP (del. m2) ,  in mg. E, s. l. Lm2  18 proprie  CFLNR   post  singulorum  add . sunt  HP ,  s. l. Lm2 ,  post  sunt  s. l . ut puteus et fons  Pm2  19 habent  G  etiam om.  FNP  iam  LS  21 sit  NP  ( ras. ex  fit) est  R   ita commune esse debet, ut et totum sit in singulis et uno tempore et eorum quorum commune est, constituere ualeat et formare substantiam, quocirca si neque unum est, quoniam commune est, neque multa, quoniam eius quoque multitudinis  genus aliud inquirendum est, uidebitur genus omnino non esse, idemque de ceteris intellegendum est. quodsi tantum intel- lectibus genera et species ceteraque capiuntur, cum omnis intellectus aut ex re fiat subiecta, ut sese res habet aut ut sese res non habet nam ex nullo subiecto fieri intellectus  non potest —, si generis et speciei ceterorumque intellectus ex re subiecta ueniat, ita ut sese res ipsa habet quae intel- legitur, iam non tantum in intellectu posita sunt, sed in rerum etiam ueritate consistunt, et rursus quaerendum est quae sit eorum natura, quod superior quaestio vestigabat. quodsi ex re quidem generis ceterorumque sumitur intellectus neque ita ut sese res habet quae intellectui subiecta est, uanum necesse est esse intellectum qui ex re quidem sumitur, non tamen ita ut sese res habet; id est enim falsum quod aliter atque res est intellegitur, sic igitur, quoniam genus ac species nec sunt  nec cum intelleguntur, uerus eorum est intellectus, non est ambiguum quin omnis haec sit deponenda de his quinque pro- positis disputandi cura, quandoquidem neque de ea re quae sit  1 sit]  s. l. Lm1? brm, om. cett .  post  tempore add. sit  Np, s. l .  Em2  conformare  N  substantias  FHNP   ante  si add. et  Hm1 ,  del. m2 ad  quoniam  s. l . quod  Hm2  4 multiplex  m2 in CEGP,Lm1  8 habeat  N  aut—habet  in mg. Gm2  ut  s. l. Lm2Sm2 9 habeat  N ,  post add . nanus est intellectus (Intellectus otn.  brm ) qui de nullo subiecto capitur  in mg. Lm2, s. l. Rm1?   brm  intellectus  post  potest  C  11 ipsa res  HLN   pr . in  om. ENR ,  s. l. F  13 etiam  om. CL  14 uestigabit  Lm2  inuestigabat  F  esse  post  intellectum  F ,  post  uanniu  N ,  om .  R  enim falsum est  CKNP  est  om .  H ,  er .  L  enim  om.   si  CNPS, m1 in   GHL , nec  R  igitur—intelleguntur  om . R quoniam om.  CN  ac] et  S  neque  FHN  quae  Sm1 neque  FH  cum  om. GLPS s. l. add. E, sed del . uerus] nec uerus  GLR  earum  HN  est eorum  CL  non] neque  N  22 fit  Lm2   neque de ea de qua uerum aliquid intellegi proferriue possit, inquiritur.  Haec quidem est ad praesens de propositis quaestio; quam nos Alexandro consentientes hac ratiocinatione soluemus. non enim necesse esse dicimus omnem intellectum qui ex  subiecto quidem fit, non tamen ut sese ipsum subiectum habet, falsum et uacuum uideri. in his enim solis falsa opinio ac non potius intellegentia est quae per compositionem fiunt. si enim quis componat atque coniungat intellectu id quod natura iungi non patitur, illud falsum esse nullus ignorat, ut si quis  equum atque hominem iungat imaginatione atque effigiet Centaurum. quodsi hoc per diuisionem et per abstractionem fiat, non quidem ita res sese habet, ut intellectus est, intellectus tamen ille minime falsus est; sunt enim plura quae in aliis esse suum habent, ex quibus aut omnino separari non possunt  aut, si separata fuerint, nulla ratione subsistunt. atque ut hoc nobis in peruagato exemplo manifestum sit, linea in corpore quidem est aliquid et id quod est, corpori debet, hoc est esse suum per corpus retinet, quod docetur ita : si enim separata sit a corpore, non subsistit; quis enim umquam sensu ullo  separatam a corpore lineam cepit? sed animus cum confusas res permixtasque in se a sensibus cepit, eas propria ui et  4 Alexandro] testimonia Simplicii in Categ. Aristot. p. 50 a , 45 ss., Dexippi p. 50 b  15—31 (= p. 45, 12—28 Busse), Dauidis (Brandis) adfert Prantl,  Gesch. d. Logik im Abendlande  I 623 n. 24.   6 sit  CEFH (ex  fit ) NPR ante  ut  add . ita  FN ,  s. l. Gm2Pm2 habeat  FHm1NP  7  post  uideri  add . ut si quis dicat lineam esse cum longitudine sine latitudine non est omnino falsum  F  8 compositionem] conjunctionem  EGLPRS, recte?  9 quisquam  HP quisque  N  ponat  H  intellectu] in intellectu  F  id  om. N  10 patiatur  NR  11  pr . atque] aut  N efficiet  L ( c  ex  g  m2)  efficiat  CF  effigiat  Sa.c . 12 haec  E   ad  abstractionera  s. l . ł (??)positionem  Lm2  ł abscisionem  Pm2  fit  R  13 ita  post  res  C, om. R  14 ille] ipse  R  16 ut  s. l. Cm2, del. Lm2 ,  post  hoc  F  ad  peruagato  s. l . ł uulgato  Pm2  18 hoc  om. F  est  om. ELS, s. l. Gm2 , et  F  19  ante  docetur  add . et  CHNP, in mg. Lm2  20 a  om. ERS, s. l. Gm2  21 anima  Em1Gm1Pm2Sm1  22  post  permixtasque  add . corporibus  brm  capit  C  eas  in mg. Hm2   cogitatione distinguit, omnes enim huiusmodi res incorporeas in corporibus esse suum habentes sensus cum ipsis nobis corporibus tradit, at nero animus, cui potestas est et disiuncta componere et composita resoluere, quae a sensibus confusa et  corporibus coniuncta traduntur, ita distinguit, ut incorpoream naturam per se ac sine corporibus in quibus est concreta, specnletur et uideat. diuersae enim proprietates sunt incorpo- reorum corporibus permixtorum, etsi separentur a corpore, genera ergo et species ceteraque uel in incorporeis rebus uel  in his quae sunt corporea, reperiuntur. et si ea in rebus incorporeis inuenit animus, habet ilico incorporeum generis intel- lectum, si uero corporalium rerum genera speciesque perspexerit, aufert, ut solet, a corporibus incorporeorum naturam et solam puramque ut in se ipsa forma est contuetur, ita haec cum  accipit animus permixta corporibus, incorporalia diuidens speculatur atque considerat, nemo ergo dicat falso nos lineam cogitare, quoniam ita eam mente capimus quasi praeter corpora sit, cum praeter corpora esse non possit, non enim omnis qui ex subiectis rebus capitur intellectus aliter quam sese ipsae  res habent, falsas esse putandus est, sed, ut superius dictum  20 superius] p. 164, 8. 2 corpore  EGLRS  3 at nero  om. C  animi ( om . cui)  R  et  om. GRS, s. l. Lm2 post  disiuncta  add . ut equum et hominem quae iungi non patitur natura,  post  composita  add . ut corpus et lineam et  (sic)  disiungi natura non patitur R 4 a  s.l. m2 in EGLS  5  ante  incorpoream  add . in  FLNS  7 et] ut  S  sunt proprietates  CLR , add. ut equum et cetera R 8  ante  corporibus add. et C etiamsi  R  et,  s. l. si Cm2F separarentur  F (ra s. l.) R  separantur  Lm1N  ergo  om. FN, del. Lm2 , uero  H, s. l. Lm2 corporeis  Cm1GHLPa.c.R  10 incorporeis] corporeis  Cm1  11 animus inuenit  FHNP  post ilico add . ibi  F, s. l. Gm2,  add . quo E, sed del. incorporalium  Em1  speciesque] et species esse  F prospexerit  HR  14  ante  haec  add . et  H (del. m2) N, s. l. Cm2  animus cum accipit  F  15 accepit  Pm1S  animus  accipit C  post incorporalia  add . ea  CHm2LPN  diuisa  Gm2  16 desiderat  Em1Ga.c . falso  ante  dicat F  falsam   CGm1Lm1  ( post  nosl  NRS  17 capiamus  Cm2N  19 sese om.  F  ipsae  om .  H ,  s. l. Em2 , ipsa  F est, ille quidem qui hoc in compositione facit falsus est, ut cum  p. 56  hominem atque equum | iungens putat esse Centaurum, qui uero id in diuisionibus et abstractionibus assumptionibusque ab his rebus in quibus sunt efficit, non modo falsus non est, uerura etiam solus id quod in proprietate uerum est inuenire potest.  sunt igitur huiusmodi res in corporalibus atque in sensibilibus, intelleguntur autem praeter sensibilia, ut eorum natura perspici et proprietas ualeat comprehendi, quocirca cum genera et species cogitantur, tunc ex singulis in quibus sunt eorum similitudo colligitur ut ex singulis hominibus inter se dissimilibus humanitatis similitudo, quae similitudo cogitata animo ueraciterque perspecta fit species; quarum specierum rursus diuersarum similitudo considerata, quae nisi in ipsis speciebus aut in earum indiuiduis esse non potest, efficit genus, itaque haec sunt quidem in singularibus, cogitantur uero uniuersalia  nihilque aliud species esse putanda est nisi cogitatio collecta ex indiuiduorum dissimilium numero substantiali similitudine, genus uero cogitatio collecta ex specierum similitudine, sed haec similitudo cum in singularibus est, fit sensibilis, cum in universalibus, fit intellegibilis, eodemque modo cum sensibilis  est, in singularibus permanet, cum intellegitur, fit uniuersalis. subsistunt ergo circa sensibilia, intelleguntur autem praeter corpora, neque enim interclusum est ut duae res eodem in subiecto sint ratione diuersae, ut linea curua atque caua, quae  1 cõpositionem  GHR  facit  post  hoc  H  2 quia  Gm1R  quod  Sm2  3 id  om. N, s. l. Em2H,  post  diuisionibus  F assumptionibus  Em1Gm1P  atque assumptionibus  CL  post  solus  add. intellectus  F , scil, intellectas  s. l. Lm2  6 corporibus  FHN   post  sensibilibus  add . rebus  CHLNP  8  ante  genera  add . et  CFS ; et species et genera  R  11  post pr . simili- tudo  add . colligitur  N , scil, colligitur  s. l. Hm2Sm2  cognita  Cm1F  cognita uel cogitata  N  12 ueraciter  Lm2N  perfecta  Em1NP  sit  FN  13 in  om. C  14 earum]  Pp.c. (corr. m1?)  eorum  cett . 17 substantiarum  R  18 collecta cogitatio  Cm1LP  22 autem] tamen  R  23 eadem  Em1Gm1Ha.c . eidem  Gm2Lm1  fin eodem  m2 )  PR e * dem  (sic) S  in  ante  subiecto  s. l., post  eodem  er. uid. C, om. EGLPRS  24 sint  om. L concaua Cm2N  cauata  Lm1   res cum diuersis definitionibus terminentur diuersusque earum intellectus sit, semper tamen in eodem subiecto reperiuntur; eadem enim linea caua, eadem curua est. ita quoque generibus et speciebus, id est singularitati et uniuersalitati, unum quidem  subiectum est, sed alio modo uniuersale est, cum cogitatur, alio singulare, cum sentitur in rebus his in quibus esse suum habet. His igitur terminatis omnis, ut arbitror, quaestio dissoluta est. ipsa enim genera et species subsistunt quidem alio modo, intelleguntur uero alio, et sunt incorporalia, sed  sensibilibus iuncta subsistunt in sensibilibus, intelleguntur uero ut per semet ipsa subsistentia ac non in aliis esse suum habentia, sed Plato genera et species ceteraque non modo intellegi uniuersalia, uerum etiam esse atque praeter corpora subsistere putat, Aristoteles uero intellegi quidem incorporalia  atque universalia, sed subsistere in sensibilibus putat; quorum diiudicare sententias aptum esse non duxi, altioris enim est philosophiae, idcirco uero studiosius Aristotelis sententiam executi sumus, non quod eam maxime probaremus, sed quod hic liber ad Praedicamenta conscriptus est, quorum Aristoteles  est auctor.   Illud uero quemadmodum de his ac de propo- sitis probabiliter antiqui tractauerunt et horum ma- xime Peripatetici, tibi nunc temptabo monstrare.    Praetermissis his quaestionibus quas altiores esse praedixit, Porph. Boeth. earum] HPp.c.(corr. m1?)  eorum  cett. enim  om. LP  quippe  P, s. l. Lm2  concaua  Cm2N  eadcmque  FLRS  6  post  singulare  add . est  R, s. l. Sm2  9  post , alio] alio modo  LR  post  uero  s. l . praeter corpora  Pm2  11 subsistentia  in ras. E  substantia  GSm1  13  ante  esse  s. l . ea  E  praeter  s. l. Cm2  15  ante  sensibilibus  add . ipsis  G  16 dixi  Lp.c.Sa.c . 17 uero  s. l. Cm2  20 auctor est  CLP  est  om. G  ante lemma  ISTORIA  add. S, sic  ( uel  HIST-)  ante omnia paene lemmata uero] autem  Σ  post, de  om. E  22 probabiliter]  λογιχώτίρον   Porph. p. 1, 15  tractauerint  Cp c . GH X m1  23 monstrare (demonstrare  N ) temptabo  FLN  24  ante  Praetermissis  add . EXPOSITIO S,  sic paene ubique ante explicat, lemmatum  Missis  Sm1   exoptat mediocrem introductorii operis tractatum, sed ne haec ipsa sibi harum quaestionum omissio uitio daretur, apposuit quemadmodum de propositis tractaturus est, ex quorumque hoc opus auctoritate subnixus adgrediatur, ante denuntiat, cum mediocritatem quidem tractatus promittit detracta obscuri-  tatis difficultate, animum lectoris inuitat, ut uero adquiescat ac sileat ad id quod dicturus est, peripateticorum auctoritate confirmat, atque ideo ait de his, id est de generibus et spe- ciebus, de quibus superiores intulerat quaestiones, ac de pro- positis, id est de differentiis, propriis atque accidentibus,  sese probabiliter disputaturum, probabiliter autem ait ‘ueri similiter’, quod Graeci  λογικώς  uel  Ινδόξως  dicunt, saepe enim et apud Aristotelem  λογικώς  ueri similiter ac probabiliter dictum inuenimus et apud BOEZIO et apud Alexandrum. Porphyrius quoque ipse in multis hac significatione hoc  usus est uerbo, quod nos scilicet in translatione, quod ait  λογικώς , ita interpretari ut rationabiliter’diceremus omisimus, longe enim melior ac uerior significatio ea uisa est, ut probabiliter sese dicere promitteret, id est non praeter opini- onem ingredientium atque lectorum, quod introductionis est  proprium, nam cum ab imperitorum hominum mentibus doctrinae secretum altioris abhorreat, talis esse introductio debet,  p. 57  ut praeter opinionem ingredijentium non sit. atque ideo melius haec  om. S  harum que  LS  horumque  Gm1  quaestionum] insti- tutionum  Gm1Lm1RS  omissi  Em1  omisso Lm1Sm1 amissio  F  3 est  s. l. Em2 , esset  Gm1  ex] et  FHN ,  s. l. (om . ex)  Em2  quo- rum  FHN  4 subnisus  EGm1Sm1  aggreditur  EGLPRS  8 et] ac  R  10 de]  R, om. cett . 11  post  ait  add . id est  C  12  λογιχώς  uel  ένδόξως ]  edd., ante   λογιχώς   add . uel  CGLPR ;  ΛΟΓ ΙΚΟΟ  uel  ΛΩΓΙ-  ΚΩΟ   uel alia sim. codd .; ΕΝ ΔΩ ΧΟΝ  C, sim. Η  endo ΧΩ Ο  E ΕΝ ΑΟΓΩ Ο  S, alia uarie cett . 13 et  om. GR  est  S   λογιχώς ]  S,  in cett. eadem   fere quae 12  14 Boethum]  b  boetum  p  boethon  Em2GNS   (recte?)  boeton  CEm1PR  boethion  F  bethon  H boetoton  Lm1  boeten  m2  Boethum (-tium  m)rm  uerbo usus est  CEGLRS  17  λογιχώς ]  item ut   13,  λογικώτερον   edd. se  L  *mitteret,  s. l . pro  Cm2  23 ingredientium opinionem  C  non  ante  praeter  CEG  (corr. m2) L  atque ideo] ergo  Gm1  (atque ita  m2 )  LPm1RS  melius probabiliter quam om.  R, s. l. Gm2Sm2   probabiliter quam rationabiliter, ut nobis uidetur, interpretati sumus, antiquos autem ait de eisdem disputasse rebus, sed se eorum illum maxime tractatum insequi quem Peri- patetici Aristotele duce reliquerint, ut tota disputatio ad  Praedicamenta conneniat.    2 eisdem]  E  (eis  in ras .) hisdem  cett. disputasse  post  rebus  C,  ante de eisdem  L, disputare  N   se  post  illum  add.  brm,  post  sed  Brandt  sequi  CEm2HN reliquerint]  Gm1HPp.r . relinquerint  FSm1P a.r . relinquerent.  R a. r.Sm2  reliquerunt  CEGmSLNRp.r . EXPLICIT (CΟΜ- MENTARIORV  add .  C , COMENTORVM  add. F , COMTV PLOLOGI,  sic, add . S) LIB. I. INCIPIT (LIB.  add. F ) II.(INCIPIT.  om. R ) CEFGPRS  ( uariis cum scripturis compendiisque), subscriptio deest in HLN  Quaeri in expositionum principiis solet, cur unum quodque ceteris in disputationis ordine praeponatur, uelut nunc in genere dubitari potest, cur genus speciei, differentiae, proprio accidentique praetulerit; de eo enim primitus tractat,  respondebimus itaque iure factum uideri; omne enim quod uniuersale est, intra semet ipsum cetera concludit, ipsum uero non clauditur, maioris itaque meriti est ac principalis naturae quod ita cetera cohercet, ut ipsum naturae magnitudine nequeat ab aliis contineri, genus igitur et species intra se  positas habet et earum differentias propriaque, nihilo minus etiam accidentia, atque ita de genere inchoandum fuit, quod cetera naturae suae magnitudine cohercet et continet, praeterea illa semper priora putanda sunt quae si auferat quis, cetera perimuntur, illa posteriora quibus positis ea quae ceterorum  substantiam perficiunt, consequuntur, ut in genere et ceteris, nam si animal auferas, quod est hominis genus, homo quoque, quod species est, et rationale, quod differentia, et risibile, quod proprium, et grammaticum, quod accidens, non manebit et  2 ante Quaeri  codd. et p exhibent idem lemma (sine inscript.) quod p. 171,10 habent, om. brm expositione  CGm1L  expositionis  S  prin- cipii  CGm1L  3 dispositionis  N  5 praetulerat  C tractat  in ras .,  s. l . scil, conamur  Em2  tractare  Em1Sm1  6 respondemus  F  8 clu- ditur (i  ex  e  m2 )  S  naturae] naturae suae  F  10 igitur] itaque  C  et  om .  CN  11 etiam minus  HS  12 etiam  om. R  etiam et  C  ita] idcirco  CE (in ras.) HLm2NP  ideo  F  inchoandum fuit] erat incho- andum  FHNP  13  ante cetera add . et  L  natura suae magnitudinis  FHN  coerceat et contineat  Lm2  14 priora] propria  LS  aufert  Ca.c . 19  ante  proprium  add . est  P, s. l. Lm2   post  grammaticum  add . esse  FHP, s. l. Em2 post  accidens add.  est FP ,  ante N   interemptum genus cuncta consumit, si uero hominem esse constituas uel grammaticum uel rationale uel risibile, animal quoque esse necesse est. siue enim homo est, animal est, siue rationale, siue risibile, siue grammaticum, ab animalis  substantia non recedit, sublato igitur genere et cetera con- sumuntur, positis ceteris sequitur genus; prior est igitur natura generis, posterior ceterorum, iure est igitur in dispu- tatione praepositura. Sed quoniam generis nomen multa significat hoc - est  enim quod ait : Videtur autem neque genus neque species simpliciter dici; ubi enim non est simplex dictio, illic multiplex significatio est, prius huius nominis significationes discernit ac separat, ut de qua significatione generis tractaturus est, sub oculis ponat, sed cum neque genus neque species  neque differentia nec proprium nec accidens significatione simplici sint, cur de his tantum duobus, genere inquam ac specie, dixit non simpliciter dici, cum proprium, differentia atque accidens ipsa quoque sint significatione multiplici? dicen- dum est quoniam longitudinem uitans tantum speciem nomi-  nauit eamque idcirco, ne solum genus significationis esse multi- plicis putaretur, enumerat autem primam quidem generis significationem hoc modo;    Genus enim dicitur et aliquorum quodammodo se habentium ad unum aliquid et ad seinuicem collectio,  10 s. Porph. Boeth. Porph. Boeth. esse  om. P  2  post  grammaticum  add . esse  FHP ,  s. l. Em2  3 esse  post est Gm2L ,  om. EGmIRS, post  esse  add . constituas  EP ,  s. l. Lm2 alt . est] sit  FHNP  5 et om.  FHNR  consummantur  S  9 enim est  L  10 ante Videtur  add . INCIPIT  Δ  DE GENERE  ΓΔΛΠ2Φ  Incipit diffinicio generis  Ψ   m. post., om. cett . autem  om. HN  est significatio  C  tractatus  R  14 est] sit  P  oculos  HN  neque genus  om. C  15  pr . nec  FHP  neque proprium neque  N  simplicia  G (a  add. m1 uel 2) LSm2  ac] et C 17 non] nec  G  18 atque om. C  est om.  G   solem  Gm1  quidem  om. C  24 ad] et ad  S  aliquod  EN P IIS  aliquem  in ras .  Cm2,  fort . aliquid  m1   secundum quam significationem ROMANI dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO, et multitudinis habentium aliquo modo ad inuicem eam quae ab illo est cognationem secundum diuisionem ab aliis generibus dictae. Una, inquit, generis significatio est quae in multitudinem uenit a quolibet uno principium trahens, ad quem scilicet ita illa multitudo coniuncta est, ut ad se inuicem per eiusdem unius principium copulata sit, ut cum ROMANI dicitur genus; multitudo enim ROMANI ab uno ROMOLO uocabulum  trahens et ipsi ROMOLO et ad se inuicem quasi quadam nominis hereditate coniuncta est. eadem enim quae a ROMOLO societas descendit, ROMANI inter se omnes uno generis nomine deuincit et colligat, uidetur autem secuisse hanc generis significationem in duas partes, cum copulatiuam coniunctionem  admiscuit dicens; genus dicitur et aliquorum quodam- modo se habentium ad unum aliquid et ad se inuicem collectio, tamquam et illud genus dicatur ad unum se aliquo modo habere et hoc rursus genus dicatur, quod ad se inuicem unius generis significatione coniuncti sint. hoc uero minime;  eadem enim a quolibet uno propagata societas et ad illum qui princeps est generis, totam multitudinem refert et ipsam  1 significationem] diffinitionem  Φ  romanura  Cm1G   scilicet  om. Porph.   ante  inuicem  add . se  L   (s. l. m2) brm Busse; cf. p. 173, 12  4 eam quae] eamque  CR  5 dictae]  Hm1Lm2R \ m2 W  dictam  cett.; cf. p. 173, 14 et Porph. p. 1,  ( τού πλήθοος_ )  κεκλιμένοι»  7 uno  om. FGRS, s. l. Em2 , unum  H; cf. 21 ad  quem  s. l . ał quod  Lm2  8 est coniuncta  F  9 dicitur—Romanorum  in mg. E, s. l. Gm2, uerba  multitudo enim Romanorum  del. Lm2  11  post  trahens  add . sit  E (del.) G (del. m2), s. l. Lm2  12 ea  E (ras. ex eadem ) FHN  ab  CEH  14 colligit  CFPm2RS  alligat  L  16 genus  om .  H, s. l. N  dicitur]  edd., om. H  dici  cett. (s. l. N)  17 ad] et ad  S  aliquod  N  collectionem  FH  aliquo modo  om. EGRS  rursus  post  genus  C  rursum  S  dicatur—generis  om. GRSm1  dicatur unius generis  s. l. m2  coniunctiua  EGR  coniuncta  Sm2  sint]  NS  sunt  CFHLP ,  om. EGR post  minime  add . est  LPm2  22 refert—multitudinem  om. EGSm1, s. l. m2 (sed  praefert )   inter se multitudinem uno generis nomine conectit et continet. quocirca non est putandus diuisionem fecisse, sed omne quic- quid in hac generis significatione intellegendum fuit, aperuisse. ordo autem uerborum ita sese habet — qui est hyperbaton  intellegendus — genus enim dicitur et aliquorum ad unum se aliquo modo habentium collectio et ad se inuicem aliquo modo habentium — rursus collectio subaudienda; est enim zeugma, cuius significationis adiecit exemplum: secundum quam significationem Romanorum dicitur genus ab  unius scilicet habitudine, dico autem Romuli, et multitudinis rursus habitudine habentium aliquo modo ad inuicem cognationem, eam scilicet quae ab illo est, id est ROMOLO, secundum divisionem ab aliis generibus dictae, scilicet multitudinis. haec enim multitudo aliquo  modo ad unum et ad se inuicem habens genus dicta est, ut ab aliis discerneretur, ut ROMANI genus ab Atheniensium ceterorumque separatur, ut sit integer uerborum ordo genus enim dicitur et aliquorum collectio ad unum se quodammodo habentium et ad se inuicem, secundum quam significationem  ROMANI dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO, et multitudinis secundum diuisionem ab aliis generibus dictae, habentium scilicet hominum aliquo modo ad inuicem eam quae ab illo est, id est Romulo, cognatio-  1 nomine]  EGLRS uinculo  CFHN  nomine uel uinculo P 4 se  FHNP  qui  om. ER, s. l. Gm2Sm2  pr . sese  L  7  ante collectio  s. l . et ( ut uid .)  C  subaudiendo  N ,  post  sub.  add . est  LR, ante s. l. Pm2  8 zeuma EFGHPS  14 dictam  EGm1Lm1PSm2  haec enim multitudo  om.  ERS, s. l. Gm2  aliquo modo  om .  FP, ante add . et  C, post add . se  P (del. m1?), s. l. Gm2H  15  post  unum  s. l . aliquid  Gm2 post  habens  add . cognationem Pm2 edd. separetur  Fa.c.N  separaretur  CFp.c.HLm1  sit] sic  H  (sit  post  uerborum,)  P  (sit  post  ordo,) sic sit  F ; integer sit  C ; ordo uerborum,  post repet . sit  N  18 collectio  om. E  20 ab] ad  F  habitudinem  F ,  post repetit uerba post . aliquo — exemplum  (6—8) G  22 dictam  CEGm1Lm1Sm2 post  habentium  add . se  Lm2P  23 id est  om. S, in quo post  cognationem locus p. 172, 4—13 secundum—deuincit et collegit  (sic) repetitus (5  dicta est,  12  ea  script.)   nem.’ Atque haec hactenus; nunc de secunda generis signi- ficatione dicendum est.   Dicitur autem et aliter rursus genus, quod est unius cuiusque generationis principium uel ab eo qui genuit uel a loco in quo quis genitus est. sic enim  Orestem quidem dicimus a Tantalo habere genus, Hyllum autem ab Hercule, et rursus Pindarum quidem Thebanum esse genere, Platonem uero Atheniensem; etenim patria principium est unius cuiusque generationis, quemadmodum et pater. haec autem uidetur promptissima esse significatio; ROMANI enim sunt qui ex genere descendunt ROMOLO, et Cecropidae, qui a Cecrope, et horum proximi. Quattuor omnino sunt principia quae unum quodque prin- cipaliter efficiunt. est enim una causa quae effectiua dicitur,  uelut pater filii, est alia quae materialis, uelut lapides domus, tertia forma, uelut hominis rationabilitas, quarta, quam ob rem, uelut pugnae uictoria. duae uero sunt quae per accidens unius Porph. Boeth. generationis  om .  A ,  in ras. C  quae  Gm1 ll m1  5 a loco] ab eo loco  CEGLRS;   Porph. p. 2, 1   άπ6 τού τόποα  sic  ex  si  Cm2  enim  in ras. Cm2  6 oresthē  C  oresten  LN ΣΝΑΣΦ  horestem  FH T  dicemus S genus habere  F  7 Hyllum]  Gm1  yllum  m2  illum ( ad quod  s. l . tan- talum  A m2 )  cett . autem  om. G  8  ante  Thebanum  add . dicimus  2  9 principium]  Porph. p. 2,4   αρχή τις ;  cf. infra p. 178, 17  10 et]  Ν Ψ   (er. uid.) brm, s. l .  Δ ,  om. cett. Busse; Porph. p. 2, 5   καί   om. codd. quidam (habet M) ;  cf. p. 176, 1  11 esse  om. H  sunt  om. EFG- ΗΝS ΑΑΣ ,  s. l. Lm2 ,  in mg .  U m2  dicuntur  edd.; Porph. p. 2, 6   λέγονται ;  cf. p. 176, 7  12 cecropides  Σ  13 a Cecrope] cecropis  Ea.c . (a cecropis  p.c .)  G  (cae-  m1  ci-  m2 )  R  ex genere descendunt cecropis  LS ΑΑΣ,  s. l. Em2  ( om . cecropis),  fort. ex p. 176, 8 ;  Porph. Κ εκροπίδαι ol άπό Κέκροπος  eorum  HL A ,  in ras .  2  14 efficiunt principaliter  H  16 filii] et filius  Em1FGLPRS post  materialis  add . dicitur  FPR  17  ante  forma  add. a  R, s. l. Sm2, ras. in   E uelut  (i  er .)  C  quam]  NS, om. R , quae  cett., fort. recte  ob rem  s. l. Rm2  18 pugnae uictoria]  N  pugna uictoriae  cett . duo  CNP  accidentes  Ea.c.GHm1  ( in mg . ał accidentialiter  m2 )  Lm1RSm2  accidentis  m1 cuiusque dicuntur esse principia, locus scilicet ac tempus. quoniam enim omne quod nascitur uel fit, in loco ac tempore est, quicquid loco uel tempore natum factumue fuerit, eum locum uel id tempus accidenter dicitur habere principium.  horum omnium in hac secunda generis significatione duo quae- dam ex alterutris assumit, quae ad significationem generis uidebuntur accommoda, ex his quidem quae principalia sunt, effectiuum, ex his uero quae accidentia, locum. ait enim genus  dicitur et a quo quis genitus est, quod est effectiua principalium causa, et in quo quis loco est procreatus, quae est accidens causa principii. itaque haec secunda significatio duo continet, eum a quo quis procreatus est, et locum in quo quis editus, ut exempla quoque demonstrant. Orestem enim dicimus a Tantalo genus ducere; Tantalus quippe Pelopem,  Pelops Atreum, Atreus Agamemnonem, Agamemnon genuit Orestem. itaque a procreatione genus hoc dictum est. at uero Pindarum dicimus esse Thebanum, scilicet quoniam Thebis editus tale generis nomen accepit. sed quoniam diuersum est illud, a quo quis procreatus est, locusque in quo quis editus,  uidetur diuersa esse generis significatio procreantis et loci, quam in secunda scilicet parte enumerans unam fecit. sed ne uideretur duplex, per similitudinem coniunxit dicens: etenim patria principium est unius cuiusque generationis, uel  in ras. E  et  C quicquid  ex quo quid  Cm2, ante add . et  F, post add . enim  L   accidentaliter  CLN  accidentialiter  EGPSm2; cf. indicem Meiseri  ex alterutris duo quaedam  FP  consumit  S sunt Cm1H sumit Cm2, s. l.N generis significationem H  uidebantur  LPRS  uideantur  EG  accommodata  R  post quidem  add . causis  codd., om. unus F, del. Hm2  ante  effectiuum  add . sumit  H  accidentalia  N dici CFNP  et  om. C, s. l. Lm2  quisque  CGRS  10 loco procreatus est  L  procreatus est loco  N  quod  GKS  13 editus] editus est  FHNP post  quoque  add . ipsa  FHP, s. l. Lm2  oresten  LN ,  item 16  14 pelopen  E  15 agamemnonen  EG  (-men) 17 quoniam] quia  FHN ante  Thebis  s. l. a Hm2?  18 editus] editus est  CL  accipit  C  est  om. G  19  pr.  quisque  R  editus] editus est  NP  (est  s. l. m2 ) 22  post  uideretur  add . tamen  EP, s. l. Lm2  adiunxit  FN  23 patria  s. l. Cm2, in mg. F  generati  Em1  generis  RSm1 quemadmodum et pater. sed quoniam in significationibus euenit fere, ut sit aliquid quod intellectui significatae rei propinquius esse uideatur, quoniam duas generis apposuit significationes, multitudinis scilicet et procreantis, cui generis nomen conuenientius aptetur, iudicat atque discernit dicens  hanc esse promptissimam generis significationem quae a procreante deducta sit; hi enim maxime Cecropidae sunt qui a Cecrope descendunt, hi ROMANI, qui a ROMOLO quae cum ita sint, confundi rursus generis significationes uidentur. si enim hi sunt maxime Romani qui a Romulo originem trahunt, et haec significatio illa est quae a procreante deducitur, ubi est reliqua, quam primam quoque enumerauit, quae est multitudinis ad unum et ad se inuicem quodammodo se habentium collectio? sed acutius intuentibus plurimae admodum differentiae sunt. aliud est enim a quolibet primo procreante genus  ducere, aliud unum genus esse plurimorum. illud enim et per rectam sanguinis lineam fieri potest et non in multa diffundi, ut si per unicos familia descendat, huic enim aptabitur secunda illa generis significatio, quae a procreante deducitur; prima uero illa non nisi in multitudine consistit. illud quoque  est, quod prima procreationis principium non requirit, sed, ut ipse ait, sufficit aliquo modo se habere ad id unde huiusmodi generis principium sumitur, secunda uero significatio nullam uim nisi procreante sortitur. item in illa PRIMAE SIGNIFICATIONIS multitudine huius secundae particularitas continetur, ut in  2 fere] saepe  C (ante  euenit ) LNPm2S intellectu  G significandae FRSm2  propinquis  F  propinquus  Gm1PR  propinquum N quoniamque  Em2HLm2P, post  quoniam  add. qui  Sm1, del. m2  generi  EGH  (s  er .) 6 esse  om. G  7 ducta  R  cecropides  R  8 Cecrope] cecropede  FR  (-ide)  post Romulo  add . descendunt  N  9 significationes generis  C  11 ducitur  Lm1  15 est  s. l. F, post  enim  CL  enim  om. N  aliquolibet ( om . a)  G  16 deducere  CLm1  et  om. N  18 si  s. l. Lm2, del. Sm2 per—descendat] puer unicus familiam distendat  Cm1FHN  aptatur  N  21 est] est intellegendum C  primae  Hm2  24 <a> procreante  Engelbrecht  prima  EGHLm1RS   Romanorum genere Scipiadarum genus; nam cum sint ROMANI, Scipiadae sunt. quoniam enim ad ROMOLO et ad ceteros ROMANI secundum ROMOLO habitudinem iuncti sunt, ROMANI sunt, SCIPIADAE uero dicuntur ad secundam generis significa-  tionem, quia eorum familiae SCIPIONE et sanguinis principium fuit.    Et prius quidem appellatum est genus unius cuiusque generationis principium, dehinc etiam multitudo eorum qui sunt ab uno principio, ut a ROMOLO; namque  diuidentes et ab aliis separantes dicebamus omnem illam collectionem esse ROMANI genus. Sensus facilis et expeditus, si tamen ambiguitas una solvatur. cum enim prius multitudinis significationem retulerit ad generis nomen, post autem ad procreationis initium, nunc  contrario modo illam prius a se enumeratam significationem dicere uidetur quae est procreationis, illam uero posteriorem quae est multitudinis; quod contrarium uideri potest, si quis ad ordinem superius digestae disputationis aspexerit. sed hic non de se loquitur, sed de humani consuetudine sermonis, in  quo prius eam significationem generis fuisse dicit quae a procreante sit tracta, accedente uero aetate loquendi usu nomen generis etiam ad multitudinem habentem se quodam- modo ad aliquem fuisse translatum, hoc uero idcirco, quoniam Porph. Boeth. nam] natura  CFL  2 scipiades  HNP ante pr.  ad  add . et  FHNP ,  s. l. Em2Lm2 post, ad om. L  4 scipiades  N  5 quia] quod  E  et  om. NP, s. l. Cm2  8 generationis  in ras. Cm2  generis  PR  9 nam- que  sic etiam B Bussii om.  ΛΦ, add.  Hm2 \ m2  nam  2  quam  edd. Busse; Porph. p. 2, 8   το πλήθ-οςδ  10  post  aliis  add . generibus  F ,  s. l. Lm2  11 collationem  Λ  collectionem  post  esse  HP ; romanorum esse collectionem  F  12  post  facilis  s. l . est  Lm2Pm2  facile ( om . et)  FN  expeditur  FNPa.c . 13 retulerat  F  retulit  R  14  post , ad  om. FHNR, s. l. Sm2  post nunc  s. l . autem  Lm2  15 prius] posterius  CLm2NP  numeratam  N  16  post  uidetur  add . priorem  CGLNP  18 perspexerit  C  21 loquendique  CN  et  (s. l. m1?)  loquendi  H  23  ante  hoc  s. l . dicit  Lm1?, post  idcirco  in mg . dixit  Pm2   superius dixerat : haec enim uidetur promptissima esse significatio, ut ab hac, id est secunda, quam promptissimam significationem esse dixit, illa quoque nuncupata uideretur, quae est multitudinis. prius enim genus inter homines appellatum est quod quis a generante deduceret, post autem factum  est, ut per loquendi usum etiam multitudinis ad aliquem quodammo|do se habentis genus diceretur propter diuisionem scilicet gentium, ut esset inter eas nominis societatisque discretio. His igitur expletis uenit ad tertium genus quod inter FILOSOFI tractatur cuiusque ad dialecticam facultatem multus  usus est. horum quippe generum historia magis uel poesis tractat exordium, tertium uero genus apud philosophos consideratur. de quo hoc modo loquitur. Aliter autem rursus genus dicitur cui supponitur species, ad horum fortasse similitudinem dictum. et-  enim principium quoddam est huiusmodi genus earum quae sub ipso sunt specierum, uidetur etiam multitudinem continere omnem quae sub eo est. Duplicem significationem generis supra posuit, nunc tertiam monstrare contendit, hanc autem ad superiorum similitudinem  1 superius] p. 174, 10. 14—18] Porph. p. 2, 10—13 (Boeth. p. 26, 19—23).   1 enim] autem  p. 174 , 10 2 secundum  GR  a  (s. l.)  secunda  E  5 quis  Cm2  prius  m1  7 duceretur  Cm1  diuisiones  EFHLm2NP  8 esset] est  (s. l.)  et  E  has  FH  9 expeditis  N  ad  om. F  10 cuius  CF  multus  post  usus  Lm1R , multum  G  11 poesi  Cm1  13 hoc]  2 litt. er. C  14 genus  ante  rursus  Λ ,  post  dicitur  Φ  cui—genus  (16) om. N, quod indicatur uoce  usque  addita  (dicitur usque earum);  sic  ( saepe etiam  usque ad)  paene constanter in N aliisque codd. ubi mediae lemmatum partes omissae sunt  15 ab.. similitudine  GL \ m2 \Z  16 eorum  A m2 A  earum—specierum]  Porph. p. 2, 12   τών δφ’ lauto  17 ipso  om .  h m1  se  m2Lp.c. \HA>  sunt add.  Gm2 \ m2  uideturque  brm Busse; Porph .  xai SoxeT xai  etiam] enim  F autem  Δ  18 omnem]  2  ( h m1 ß m1 ) omnium  CEGLPRS h m2 U m2  earum  FHN, s. l. post omnium  Lm2  sub eo est]  PA m1 AU m1 ST  est  Φ  sub eo (ipso  F \ m2  se  Lm2 ) sunt (est  E, s. l. G ) specierum  EFGHLNPp.c . (sunt eo sub  a.c .)  RS \ m2 U m2  sunt sub eo specierum  C; cf. Porph. p. 2,12 s . 19 pro- posuit  edd . 20 superiorem  FLm1Pm1   dictam esse arbitratur. superius autem dictae significationes sunt una quidem, cum nomen generis quadam principii anti- quitate ad se iunctam multitudinem contineret, alia uero, cum genus ab uno quoque procreante duceretur, quod eorum  quae procreantur principium est. cum igitur sint superius duae generis propositae significationes, tertium nunc addit de quo inter philosophos sermo est, illud scilicet cui supponitur species, quod idcirco genus uocatum esse sub opinionis credit ambiguo, quoniam habet aliquam similitudinem superiorum. nam sicut illud genus quod ad multitudinem dicitur, uno suo nomine multitudinem claudit, ita etiam genus plurimas species cohercet et continet. item ut genus illud quod secundum procreationem dicitur, principium quoddam est eorum quae ab ipso procreantur, ita genus speciebus suis est principium. ergo quoniam utrisque est simile, idcirco nomen quoque generis etiam in hac significatione a superioribus mutuatum esse ueri simile est.    Tripliciter igitur cum genus dicatur, de tertio apud philosophos sermo est; quod etiam describentes adsi- Porph. Boeth. dictam esse arbitratur] ut dictum est  GRS  autem  om. C, s. l. Lm2, del. Pm2  dictae] duae  Lm1, ante  sunt  s. l . dictae  m2 , duae  ex  dictae  H (ras.) Sm2, ante  dictae  s. l. Pm2, ante  sunt  edd., post R  2 quidem  om. C  cum  in mg. Cm2  quae  m1N  quadam  om. EFG  quandam  H  qua  RSm1  antiquitatem  H  3 ad se iunctam]  CLm2  ad se et adiunctam  HN  ad se iniunctam  Sm1  ab uno quoque iniunctam  R  adiunctam  cett.; cf. p. 177, 2  continet  Cm1 (corr. in mg. m2) Nm2  aliam  G  4 deduceretur  E  5 qui  P  6 tertiam  et  qua  F  7  post  scilicet  add . genus  F, s. l. Sm2  8  ante  opinionis  add . suae  N, post CHLP, s. l. Em1?, in mg. Sm2  se  m1  9 creditur  Ca.r.FR   a multitudine  Ep.c.FHN  11 suo] sub  C  (nomine sub uno)  FHNPm2 ,  ex suo  EL  ita  in mg. Cm2, s. l. Nm2  13 est] esse  EGLm2RS  14  post  suis  add . constat  FHN, post genus  s. l. Em2  est]  CLm1P  esse  cett . 15 idcirco] id  C  nomen  post  generis  FHNP, post  quoque  L  16 in hac etiam  FHN  hanc significationem  CP  18 cum genus—sit  (p. 180, 2) om. N  dicitur  S A m1 /AS  19 etiam] etiam et  R   gnauerunt genus esse dicentes quod de pluribus et differentibus specie in eo quod quid sit praedicatur, ut animal. Iure tertium genus philosophi ad disputationem sumunt; hoc enim solum est quod substantiam monstrat, cetera uero  aut unde quid existat aut quemadmodum a ceteris hominibus in unam quasi populi formam diuidatur ostendunt. nam illud quod multitudinem continet genus, illius multitudinis quam continet substantiam non demonstrat, sed tantum uno nomine collectionem populi facit, ut ab alterius generis populo segregetur. item illud quod secundum procreationem dictum est, non rei procreatae substantiam monstrat, sed tantum quod eius fuerit procreationis initium. at uero genus id cui supponitur species, ad speciem accommodatum speciei substantiam informat. et quia inter philosophos haec maxima est quaestio,  quid unum quodque sit — tunc enim unum quodque scire uidemur, quando quid sit agnoscimus —, id circo reiectis ceteris de hoc genere quam maxime apud philosophos sermo est, quod etiam describentes adsignauerunt ea descrip- tione quam subter annexuit. diligenter uero ait describentes,  non definientes; definitio enim fit ex genere, genus autem aliud genus habere non poterit. idque obscurius est quam ut primo aditu dictum pateat. fieri autem potest ut res quae  esse  ante  genus  Pm1, post  dicentes  Σ  et  om. F  differentiis  R  quid]  iterum  quod  P  praedicetur  Γ  3 ut animal  om .  ΑΣ  5 est solum enim  CN  enim est solum  FP existit  E  (it  in ras .)  GLPS  existet  Sm1  extitit  HN  <multitudo> a  Brandt  7 una... forma  EGRS  diuidantur  G  ostendit  EGLPm1S  8 multitudinis] multi- tudinem  G  12 procreantis  Nm1  13 atque  G  14 ad speciem  om. N  ad differentiam  Cm2FLm1Pm2 edd . 15 quaestio est  FHN  16 unum  om. EGRS  enim] etenim  FN  quodque unum  G   uidemur] debemus  E (in ras.) GPm1RS, post  uidemur  add . uel debemus  Hm1   del. m2 post  reiectis  add . quia non demonstrant substantiam  L  temptatis temporum  Sm1, del. m2  19  post  quod  add . genus  EPm1, del. m2   ait  ex  aut  Em1  addit  m2NP  addidit  F  21 ex] de  H  23 dictum  om. FH dictu  GLS  autem] enim  FNP   alii genus sit, alii generi supponatur, non quasi genus, sed tamquam species sub alio collocata. unde non in eo quod genus est, supponi alicui potest, sed cum supponitur, ilico species fit. quae cum ita sint, ostenditur genus ipsum in eo  quod genus est, genus habere non posse. si igitur uoluisset genus definitione concludere, nullo modo potuisset; genus enim aliud quod ei posset praeponere, non haberet, atque idcirco descriptionem ait esse factam, non definitionem. descriptio uero est, ut in priore uolumine dictum est, ex proprietatibus infor-  matio quaedam rei et tamquam coloribus quibusdam depictio, cum enim plu|ra in unum conuenerint, ita ut omnia simul rei  cui applicantur aequentur, nisi ex genere uel differentiis haec collectio fiat, descriptio nuncupatur. est igitur descriptio generis haec : genus est quod de pluribus et differen-  tibus specie in eo quod quid sit praedicatur. tria haec requiruntur in genere, ut de pluribus praedicetur, ut de specie differentibus, ut in eo quod quid sit. de qua re quoniam ipse posterius latius disputat, nos breuiter huius rei intellegentiam significemus exemplo. sit enim nobis in forma generis animal.  id de aliquibus sine dubio praedicatur, homine scilicet, equo, boue et ceteris. sed haec plura sunt. animal igitur de pluribus praedicatur, homo uero, equus atque bos talia sunt, ut a se discrepent, nec qualibet mediocri re, sed tota specie, id est tota forma suae substantiae. de quibus dicitur animal; homo  enim et equus et bos animalia nuncupantur. praedicatur ergo animal de pluribus specie differentibus. sed quonam modo fit  9 in priore uolumine] cf. p. 42, 8—43, 6 potius quam p. 153, 10 ss.; cf. Proleg. adn. 7.   1 genere  G post  supponatur  add . sed cum (alii  add. P ) subponi- tur ( uel  sup-)  CFHN, s. l. Pm2  non— potest  (3) del. E  2 col- locatur  CFHNPm2  non] enim  EF  7 ei (eius  HN ) aliud quod  HNPm1RS  possit  EGS priori  LN  ex  om. GHS, s. l. Em2Lm2  11 plurima  L  plura  post  unum  C  16  post . ut  om. FG  late  E (in ras.) FHP, ecte ? 19 exemplo] hoc modo  CLP  20 prae- dicetur  CEGPm1RS ante  equo  add . et  FHLN, er. P  21 boue] et boue  L  et  er. uid. C  22 a] ad  Lm1S  23 mediocri re] medio- critate  H 24 forma tota  E (del. tota) G  26 fit  om. G   haec praedicatio? non enim quicquid interrogaueris, mox animal respondetur: non enim si quantus sit homo interrogaueris, animal respondebitur, ut opinor; hoc enim ad quantitatem pertinet, non ad substantiam. item si qualis interroges, ne huic quidem responsio conuenit animalis, ceterisque omnibus interrogationibus hanc animalis responsionem ineptam atque inutilem semper esse reperies, nisi ei tantum apta est quae quid sit interroget. interrogantibus enim nobis quid sit homo, quid sit equus, quid sit bos, animalia respondebitur. ita nomen animalis ad interrogationem quid sit de homine, equo atque  boue ac de ceteris praedicatur, unde fit ut animal praedicetur de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit. et quoniam generis haec definitio est, animal hominis, equi, bouis genus esse necesse est. omne autem genus aliud est quod in semet ipso atque in re intellegitur, aliud quod alterius prae-  dicatione. sua enim proprietas ipsum esse constituit, ad alterum relatio genus facit, ut ipsum animal, si eius substantiam quaeras, dicam substantiam esse animatam atque sensibilem. haec igitur definitio rem monstrat per se sicut est, non tamquam referatur ad aliud. at uero cum dicimus animal genus  esse, non, ut arbitror, tunc de re ipsa hoc dicimus, sed de ea relatione qua potest animal ad ceterorum quae sibi subiecta non] num  FHN  rogaueris  Cm1GS  3  ante  animal  add . mox  F respondetur  F  ut] non  FHN  4  post  qualis  add . sit  FHNP, s. l. Em2, s. l. homo sit  Lm2 interroges]  Em1Lm1P  roges  cett . nec  CG  haec  CSm2  id  m1  hic  FN  5 interrogantibus  EG  6 ineptam]  CFHNPp.c.Lm2  idiotam  E (s. l. i . inertem  m2) GLm1 (s. l.  inpro- priam  m1?) Pa.c.S Hilgard  idiotam uel ineptam  R  idiotae  Engelbrecht  7 nisi] ni  C  interrogat  Em2HN  enim] autem  F post . quid] quidque  R  sit  om. E  animal  C  item  EGLm1PRS  11 ac] et  R ante bouis  add . atque  FHNP  14 genus autem  C ante  alterius  add . ad  CEm2HN  praedicationem  Em1PSm1 edd., post add . refertur  Pm2 edd . 18 dicas  Lm2  21 esse  om. EGRS, s. l. Lm2  re  om. EGR, s. l. Sm2 post  hoc  add . nomen  C, s. l .  Em2Pm2, ante FHNS  de  del. L, s. l. Pm2  22 relatione  in ras .  E  ratione  GLPm1R   sunt praedicationem referri. itaque character est quidam ac forma generis in eo quod referri praedicatione ad eas res potest, quae cum sint plures et specie differentes, in earum tamen substantia praedicatur. Huius autem definitionis rationem per exempla subiecit dicens: Eorum enim quae praedicantur, alia quidem de uno dicuntur solo, sicut indiuidua ut Socrates et hic et hoc, alia uero de pluribus, quemadmodum genera et  species et differentiae et propria et accidentia com- muniter, sed non proprie alicui. est autem genus qui- dem ut animal, species uero ut homo, differentia autem ut rationale, proprium ut risibile, accidens ut album, nigrum, sedere. Omnium quae praedicantur quolibet modo, facit Porphyrius diuisionem idcirco, ut ab reliquis omnibus praedicationem generis seiungat ac separet, hoc modo. omnium, inquit, quae praedicantur, alia de singularitate, alia de pluralitate dicuntur.  7—14] Porph. p. 2, 17—22 (Boeth. p. 27, 2—7).   1  post  itaque  add . ut  P, s. l. Lm2 est  om. R, post  generis  F  quiddam  Ea.r.G  quidem  CNPm1  2 praedicatione  post  res  C  3 eo- rum  CGNS, m1 in ELP  4 tantum  E  substantiam  NR , -a  ex  -a  CS; cf. p. 187, 11. 18  5 autem  om. C, in mg. Lm2  8 indiuiduum  C  indibus ( s. l . indiuidua  Em2 ) diabus (a,  ex  e  E )  EG  ut Socrates— hoc  om. CLNP ,—risibile  (13) om. E (in mg . sicut socrates et hic et hoc)  GH  ut] sicut  Em2 (in mg.) RS ΑΣ  et hic et hec et hoc  F  9 uero  om. CFLNPR  autem  Σ  quemadmodum—risibile  (13) om. CL  ( sed uerba  est autem  11 —sedere 14  exhibet p. 184 , 14)  NP  ut genera, om. reliqua usque  accidens (13)  F  10 differentia  Sm1   m1  pro- prium  Γ  11 sed] et  ΛΣ  proprie]  L (p. 184, 14) R Ψ  propria  ΓΑΑΠ  ( ras. ex  -ae)  2  (a  in ras .)  Φ  ( post  alicui);  Porph. p. 2, 20   ιδίως est— risibile  om. R  est—sedere  (14) om. S  12 uero  s. l .  Δ m2 Φ m2  ante  accidens  add . ut  CL  ut] id est  CLm2P  uel  E  et  R; Porph. 2,22   otov  14  ante  nigrum  add.  et  R  16 a  LPS  17  post separet  add . et  (F)  id facit  FHN, s. l. Em2  18  pr . alia] alia quidem  FHN  alia de singularitate  om. G, s. l. Em2, post  pluralitate  CLm1 post . alia] alia uero  FHNS  dicuntur] praedicantur  post singularitate  FHN   de singularitate uero, inquit, praedicantur quaecumque unum quodlibet habent subiectum de quo dici possint, ut ea quibus singula subiecta sunt indiuidua, ut Socrates, Plato, ut hoc album quod in hac proposita niue est, ut hoc scamnum in quo nunc sedemus, non omne scamnum – hoc enim uniuersale  est —, sed hoc quod nunc suppositum est, nec album quod in niue est uniuersale est enim album et nix —, sed hoc album quod in hac niue nunc esse conspicitur; hoc enim non potest de quolibet alio albo PREDICARE quod in hac niue est, quia ad singularitatem deductum est atque ad indiuiduam  formam constrictum est indiuidui participatione. alia uero sunt quae de pluribus PREDICARE, ut genera, species, differentiae et propria et accidentia communiter, sed non proprie alicui. genera quidem de pluribus praedi- cantur speciebus suis, species uero de pluribus praedicantur  indiuiduis; homo enim, quod est animalis species, plures sub se homines habet de quibus appellari possit. item equus, qui sub animali est loco speciei, plurimos habet indiuiduos equos de quibus praedicetur. differentia uero ipsa quoque de pluri- bus speciebus dici potest, ut rationale de homine ac de deo  corporibusque caelestibus, quae, sicut Platoni placet, animata sunt et ratione uigentia. proprium item etsi de una specie PREDICARE, de multis tamen indiuiduis dicitur, quae sub conuenienti specie collocantur, ut risibile de Platone, Socrate et ceteris indiuiduis quae homini supponuntur. accidens etiam  1 uero  om. FHN  2 possunt  CLm1  3  ante Plato  add . ut  FH, s. l. Lm2  et  N edd . 4 quod] ut  F  ut] et  N  6 sed] sed et  F  7 niui  Gm2Sm1 enim est  FL  8 niui  Sm1, item 9  9 hac] alia  EFGR (a.c.ut uid.  ac  p.c.) Sm1  post , ad  om. GHLR, s. l. Em2Nm2, in  FSm2  14 propriae  FGa.c.Sm1  propria  CHLN post  alicui  uerba lemmatis p. 183, 11—14  est autem—sedere  add. L  15 plurimis  FN  post  indiuiduis  add . suis  CFHP  17 qui] quod  FHN  19 praedicatur  FHN  potest dici  E  21 quae  om. R, s. l. Sm2 q.  er. N  item] autem  Lm2P  specie  om. C  23 tamen  ante  de  H  post  indiuiduis  add . dicitur  CLP, s. l. Hm2  hominibus  EG  homini *   ( b. ? er.) L  supponantur  Em1GS  supponuntur  ante homini  C   de multis dicitur; album enim et nigrum de multis omnino dici potest quae a se genere specieque seiuncta sunt. sedere etiam de multis dicitur; homo enim sedet, simia sedet, aues quoque, quorum species longe diuersae sunt. accidens autem  quoniam communiter accidens esse potest et proprie alicui, idcirco determinauit dicens et accidentia communiter, sed non proprie alicui. quae enim proprie alicui accidunt, indiuidua fiunt et de uno tantum valentia PREDICARE, ea quae communiter accipiuntur, de pluribus dici queunt. ut enim de  niue dictum est, illud album quod in hac subiecta niue est, non est communiter accidens, sed proprie huic niui quae oculis ostensionique subiecta est. itaque ex eo quod commu- niter praedicari poterat — de multis enim album dici potest, ut albus homo, albus equus, alba nix —, factum est, ut de  una tantum niue PREDICARE illud album possit cuius partici- patione ipsum quoque factum est singulare. omnino autem omnia genera uel species uel differentiae uel propria uel acci- dentia, si per semet ipsa speculemur in eo quod genera uel species uel differentiae uel propria uel accidentia sunt, manifestum est quoniam de pluribus PREDICARE. at si ea in his speculemur in quibus sunt, ut secundum subiecta eorum formam et substantiam metiamur, euenit ut ex pluralitate praedicationis ad singularitatem uideantur adduci. animal enim,  3 enim  om. C  et  (s. l. m2)  enim  L  sedit  CN  simia]  post  sedet  FH  et simia  R  aues] auis  N  set et aues  F  sedet auis  H  4 quo- que  om. FN , uero  L  quarum  Lm1 post  sunt  s. l . sedent  Pm2  scil, sedent  Sm2  5  ante  communiter  add . et  FHN, s. l. Em2Pm2  7 propria  HN pr . alicui  om. GLR  quae  s. l. Sm2  cum  E (s. l. m2)FH  enim proprie  s. l. Em2Sm2  propria  N accidunt ali- cui  E  ea quae] et quae  E  ea quidem quae  N  eademque cum  P  et cum  F  cum  H  9 queunt  om. Em1G, s. l. Sm2  possunt  E m2 Pm1  (potest  m2 )  R  niui  Sm1  niue est subiecta  HL  niui  Sm1  nunc  G  12 ostensione  GRS  ita (q.  er .)  C  ita quoque  Sm2, ad  itaque  s. l . quoque  Hm2  15 niui  GSm1  17 differentias  CE  (s  in er . e?)  GL  20 quoniam] quod  G  21 ut] et  FN subiectam  CEGH a.r.Lm1PSm2  22 substantiamque ( om . et)  FHNP  metiantur  E  mentiamur  Ca.r.Sa.c . eueniet  HN  pluritate  Gm1P   quod genus est, de pluribus praedicatur, sed cum hoc animal in Socrate consideramus — Socrates enim animal est —, ipsum animal fit indiuiduum, quoniam Socrates est indiuiduus ac singularis. item homo de pluribus quidem hominibus praedi- catur, sed si illam humanitatem quae in Socrate est indiuiduo consideremus, fit indiuidua, quoniam Socrates ipse indiuiduus est ac singularis. item differentia ut rationale de pluribus dici potest, sed in Socrate indiuidua est. risibile etiam cum de pluribus hominibus praedicetur, in Socrate fit unicum. communiter quoque accidens, ut album, cum de pluribus  dici possit, in uno quoque singulari perspectum indiuiduum est. Fieri autem potuit commodior diuisio hoc modo. eorum quae dicuntur, alia quidem ad singularitatem praedicantur, alia ad pluralitatem, eorum uero quae de pluribus PREDICARE, alia secundum substantiam PREDICARE, alia secundum accidens. eorum quae secundum substantiam praedicantur, alia in eo quod quid sit dicuntur, alia in eo quod quale sit, in eo quod quid sit quidem, genus ac species, in eo quod quale sit, differentia. item eorum quae in eo quod quid sit PREDICARE, alia de speciebus PREDICARE pluribus, alia minime;  de speciebus pluribus praedicantur genera, de nullis uero species. eorum autem quae secundum accidens praedicantur, alia quidem sunt quae de pluribus praedicantur, ut accidentia,  1 plurimis  R  5 si  s. l. Lm2Sm2  quae  et  est  om. F  est— indiuidua  in mg. Cm2  7 est  post  singularis  E  9 hominibus  om. FN praedicatur  CEGL (ante  hominibus) Pm1RS dici possit  N  in Socrate  om. ER  unica  Em1GS unicam  Lm1  unita  R  10 cum  s. l. Em2Sm2  11 possit dici  E  singulari] singulari corpore  CFHN perspectum]  CE (in ras.) FH, m2 in LPS  perspecta  Lm1 a.c . (perfecta  m1p.c .) R  perfectam  Pm1Sm1  profecto ( alt . o  in ras .)  N  profecto perfecta  G  in- diuidua  EGLm1RS  12  ante  eorum  add . ut  GRS, del. EL  13 dicun- tur] praedicantur  Pm2  praedicantur] dicuntur  L  ( ex  dicantur  m2 )  P  14 plurimis  R  praedicantur] dicuntur  N  17  pr . quod— differentia  (19) in ras. Em2 post , in eo— differentia  (19) om. GR  19 iterum  FN  20 pluribus (plurimis  H ) praedicantur  FHN  21  post  speciebus  add . quidem  FHNP  pluribus  om. GRS, s. l. Lm2, post  praedicantur  Em1Fm1 23  post  pluribus  add . speciebus  CFHN, s. l. Em2   alia quae de uno tantum, ut propria. Posset autem fieri etiam huiusmodi diuisio. eorum quae PREDICARE, alia de singulis PREDICARE, alia de pluribus. eorum quae de pluribus, alia in eo quod quid sit, alia in eo quod quale sit  praedicantur. eorum quae in eo quod quid sit, alia de diffe- rentibus specie dicuntur, ut genera, alia minime, ut species, eorum autem quae in eo quod quale sit de pluribus prae- dicantur, alia quidem de differentibus specie PREDICARE, ut differentiae et accidentia, alia de una tantum specie, ut propria.  eorum uero quae de differentibus specie in eo quod quale sit praedicantur, alia quidem in substantia PREDICARE, ut differentiae, alia in communiter euenientibus, ut accidentia. et per hanc divisionem quinque harum rerum definitiones colligi possunt hoc modo. genus est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit praedicatur. species est quod de pluribus minime specie differentibus in eo quod quid sit praedicatur. differentia est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit in substantia PREDICARE. proprium est quod de una tantum specie in eo quod quale sit non in sub-  stantia praedicatur. accidens est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit non in substantia praedicatur.  1 quae  om. FN  una  C (s. l. add . specie ) FHN  possit  FRS  potest  N  2 etiam  om. LP  4  post pr . sit  add . praedicantur  CFHNP, s.l. Lm2  6 specie] speciebus  Ea.r.FLNPS  7 autem  in mg. E, s. l. Lm2  9 accidentia et differentiae  C post  accidentia  add . communiter  Pm2   edd . 10 uero  om. GRS, in mg. Em2Lm2  quae  in mg. Em2  de differentibus specie  om. GLRS, in mg . de specie differentibus  Em2  de  om . C 11 substantiam  RSa.r . conuenientibus  Pm2  13 de- finitiones] diuisiones  FHm1  14 specie differentibus  hic F, post quid sit  (15) cett.; cf. proxima et p. 193, 1  15 est] autem  E  substantiam  R  proprium—praedicatur  (20)] om. GR, in mg. Em2  proprium (uero  s. l. add. Lm2 ) est quod de pluribus minime specie differentibus in eo quod quale ait (sit  s. l. Lm2 ) non in substantia praedicatur  LPm2  non in substantiam praedicatur  Sm1, del. m2, in sup. mg . ( ante  non  inse- renda )  haec proprium est quod de pluribus specie minime differentibus,  deinde pauca uerba, quorum extremum  <praedi>cat<ur>,  cum mg. abscisa, sequuntur uerba  accidens est   —praedicatur ,  m2   ante  specie  add . et  CE (del.) GLP    Et nos quidem has diuisiones fecimus, ut omnia a semet ipsis separaremus, Porphyrio vero alia fuit intentio. non enim omnia nunc a semet ipsis disiungere festinabat, sed tantum ut cetera a generis forma et proprietate separaret. idcirco diuisit quidem omnia quae PREDICARE aut in ea quae de  singulis praedicantur, aut in ea quae de pluribus, ea uero quae de pluribus PREDICARE, aut genera esse dixit aut species aut cetera, horumque exempla subiciens adiungit : Ab his ergo quae de uno solo PREDICARE, differunt genera eo quod de pluribus adsignata praedi-  centur, ab his autem quae de pluribus, ab speciebus quidem, quoniam species etsi de pluribus praedican- tur, sed non de differentibus specie, sed numero; homo enim cum sit species, de Socrate et Platone praedicatur, qui non specie differunt a se inuicem,  sed numero, animal uero cum genus sit, de homine et boue et equo praedicatur, qui differunt a se inui- cem et specie quoque, non numero solo. a proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem de una sola specie, cuius est proprium, praedicatur et de his  quae sub una specie sunt indiuiduis, quemadmodum  Porph. Boeth. separemus  GNRm1Sm1  porphirii  Lm1  fuit alia  CN  4 forma generis  H  separet  NPa.c.Sm1 ante  idcirco  add . hic  FRS  5 diuisit  s. l. Em2  separauit  m1  quidem  s. l. R, ante  diuisit  L  6 praedicarentur  FHLm2Pm2  plurimis  Em1Lm2  uero] autem  C  7 plurimis  FGm2N  praedicarentur  FHLm2  8 horum  F  9 Ab  om. GHP, s. l. ER  ergo] uero  H  praedicarentur  N  10 prae- dicantur  Em1GLm2PRSm2 Busse  11 ab his—accidens  (p. 189, 14) ]  Ω,  om. cett., sed in S particulae lemmatis plerumque  HISTORIA inscriptae uariis locis expositionis insertae sunt, item particulae quaedam in L; quorum locorum lectiones hic pro- ponentur post . ab]  Ω   (etiam B Bussii)  a  edd. Busse  12  post  quidem  add . differunt genera  Γ  praedicatur  ΛΣ  13 sed non] sed  om .  Σ  non tamen  H m2 ‘i’  14 Platone] de platone  A  16 sit genus  Σ  17 boue] de boue  Γ  18 et om.  ΓΦ  non]  Porph. p. 3, 1   aX\’ οΰχί  solum  edd. cum Porph .  τώ άριθ·μώ μόνον  20 hiis  Φ  21 una  om. Porph. p. 3, 3   risibile de homine solo et de particularibus homini- bus, genus autem non de una specie praedicatur, sed de pluribus et differentibus specie. a differentia uero et ab his quae communiter sunt accidentibus differt  genus, quoniam etsi de pluribus et differentibus specie PREDICARE differentiae et communiter acciden- tia, sed non in eo quod quid sit praedicantur, sed in eo quod quale quid sit. interrogantibus enim nobis illud de quo praedicantur haec, non in eo quod quid  sit dicimus PREDICARE, sed magis in eo quod quale sit. interroganti enim qualis est homo, dicimus rationalis, et in eo quod qualis est coruus, dicimus quoniam niger. est autem rationale quidem differentia, nigrum uero accidens. quando autem quid est homo  interrogamur, animal respondemus; erat autem hominis genus animal.    Nunc genus a ceteris omnibus quae quolibet modo praedi- 3 specie  s. l.  Γ, om. optimi codd. Porph. p. 3,5, delend. uid. Bussio  5  locum  quoniam—animal  (16) post  genus  p. 193, 18 add. LS  etiamsi  LS sΠ*ΙΓ  specie differentibus  ΛΣ ;  Porph. διαφερόντων τψ ειόει  6 differentia  Lm2S  7 sed non]  Δ  ( ad  sed  s. l . id est tamen  m1? )  Π  ( ad  sed  s. l . uel tamen  m1? )  A Busse  tamen non  LS ΤΣΦ  non tamen  Ψ   edd.; Porph. p. 3, 8   άλλοόκ ,  cf. supra p. 188, 13, infra 190, 12  7 sit  om. L  sed in eo quod quale quid sit]  codd. cum Porph. p. 3, 8 codicib. Lm2Mm2   άλλέν τψ όποιον τ£ έστιν ,  delend. uid. Bussio  8 quid  om. S Φ  interrogantibus—sit  (11) om .  Φ  ad interrogantibus  s. l . uel interrogati  Δ  nobis]  LS A m2 Ii   (del. m2) Busse  nos  A m1 (enim  post  nos,)  Ψ ,  om .  ΓΔ2  ( decst   Φ );  Porph. p. 3, 8   έρωτησάντων γάρ ήμών  uel  τινών   codd . post  illud  s. l . quomodo  (m1?)  uel de quo  (m2)   Δ  haec  s. l. Lm2  10  post  quale  add . quid  Π (del. m2)   Ψ m Busse, om .  LS VM pbr, om. etiam p. 194, 7 (cf. p. 195, 4. 196, 8. 15) , aliquid  s. l .  Λ  ( deest   Φ );  Porph. p. 3, 10   έν τψ ποιόν τί έατιν  11 interroganti]  ΑΣ a.r . Ψ  interrogantibus  S interrogati  cett.; Porph. p, 3, 10   έν γάρ τψ έρωταν  12. dicimus]  Π m2 ΣΨ ,  om .  Φ , dicitur  cett.; Porph. p. 3, 11   οομέν  14 autem  om. N  quid est] quidem  FN  qui  Gm1, s. l . est  m2  quod est  L 15 interrogamus  P A ,  m1 in   EGR Z  interrogemus  S  erat]  RS, m1 in Ρ ΔΛ , est  1  erit  cett.; Porph. p. 3, 13   vjv  genus ho- minis  Σ   cantur separare contendit hoc modo. quoniam enim genus de pluribus PREDICARE, statim differt ab his quidem quae de uno tantum praedicantur quaeque unum quodlibet habent indiui- duum ac singulare sublectum; sed haec differentia generis ab his quae de uno PREDICARE, communis ei est cum ceteris,  id est specie, differentia, proprio atque accidenti idcirco, quo- niam ipsa quoque de pluribus praedicantur. horum igitur singulorum differentias a genere colligit, ut solum intellegendum genus quale sit sub animi deducat aspectum, dicens : ab his autem quae de pluribus praedicantur, differt genus,  ab speciebus quidem primum, quoniam species etsi de pluribus praedicantur, non tamen de differentibus specie, sed numero. species enim sub se plurimas species habere non poterit, alioquin genus, non species appellaretur si enim genus est quod de pluribus specie differentibus in eo  quod quid sit PREDICARE, cum species de pluribus dicatur et in eo quod quid sit, huic si adiciatur ut de specie differentibus PREDICARE, speciei forma transit in generis; id quoque exemplo intellegi fas est. homo enim praedicatur de Socrate, Platone et ceteris quae a se non specie disiuncta  sunt, sicut homo atque equus, sed numero quod quidem habet dubitationem quid sit hoc quod dicitur numero differre. numero enim differre aliquid uidebitur quotiens numerus a  2 quidem  om. CHN  qui  G, ex  quae  Lm2  3  post praedicantur  add . ut socrates et hic et hoc  H  quae  CN  5 uno] uno solo  LS  est ei  L  est  om. CEHN  6  post  specie  add . et  FHP, s. l. Lm2  accidente  Lm2Pm1N  9 aspectum deducat  E  ab]  CL (s. l.) NSm2, om. cett . 10 autem] enim  P post  pluribus  add . id est ( add . specie,  sed   del. E ) ab his quae ( haec s. l. E ) de pluribus  Em2GPRS  11 a  R  primum  om. S, s. l. Lm2; deest p. 188, 12  12 praedicatur  S  non tamen] sed non  S  de  om. FHNP  15 plurimis  Em2GPRS  16 plurimis EGR  dicatur] praedicetur  C  praedicatur  edd . 19 fas est] placet  HNPm1 post  enim  s. l . cum sit species  Em2Pm2 quod est species  Lm2  20 et ceteris  del. E  qui  Ep. c . disiuncta ( ad quod s. l . differunt)—equus  del. E  21  post  equus  add . uel bos  LP  23 differre  (in mg. H) post  aliquid  FHLN  aliquis  GS  quoties (-cies)  EPRS   numero differt, ut grex boum qui fortasse continet triginta boues, differt numero ab alio boum grege, si centum in se contineat boues; in eo enim quod grex est, non differunt, in eo quod boues, ne eo quidem : numero igitur differunt,  quod illi plures, illi uero sunt pauciores. quomodo igitur Socrates et Plato specie non differunt, sed numero, cum et Socrates unus sit et Plato unus, unitas uero numero ab unitate non differat? sed ita intellegendum quod dictum est numero differentibus, id est in numerando differentibus, hoc est  dum numerantur differentibus. cum enim dicimus ‘hic Socrates est, hic Plato’, duas fecimus unitates, ac si digito tangamus dicentes ‘hic unus est’ de Socrate, rursus de Platone ‘hic unus est’, non eadem unitas in Socrate numerata est quae in Platone. alioquin posset fieri ut secundo tacto Socrate Plato  etiam monstraretur. quod non fit. nisi enim tetigeris Socratem uel mente uel digito itemque tetigeris Platonem, non facies duos, dum numerantur. ergo differunt quae sunt numero differentia. cum igitur species de numero differentibus, non de specie praedicetur, genus de pluribus et differentibus specie  dicitur, ut de boue, de equo et de ceteris quae a se specie inuicem differunt, non numero solo. tribus enim modis unum quodque uel differre ab aliquo dicitur uel alicui idem esse,  3 continet  EGLRS  differt  C, add . neque  CP, s. l. Hm2, s. l . nec  Lm2  4 ne— differunt]  H  ( post  quidem  del . haec  m2 )  N  igitur  om. EG  nec in eo  (recte?)  quidem differunt. Igitur numero differunt  L non nisi quidem numero. Igitur differunt numero  F  non nisi (eo  add. S, sed del .) quidem numero differunt  RS  Numero igitur (Igitur numero  C ) differunt,  cet .  om. CP  quomodo] quo  R  igitur] uero  C  6 specie—Plato  om. F  7  pr . unum  PS  8 differt  CEm2NPR post  intellegendum  add . est  CL  10 dum] cum  F   ante  rursus  s. l . et  S possit  FLRS  posset fieri  in mg. Cm2 ut] in  Cm2Em2G  tactu socrates  Em1G  ante  etiam  add . et ( sed  et  in  etiam  del. uid. E )  EG demonstraretur  LP  19 speciebus  CFHN post  genus  s. l . quoque  Lm2  et  om. Em1  ( s. l . et de  m2 )  R  specie differentibus  EF  20  pr . de  om. CL  et  om. FH  de  s. l. Em2Lm2  ceterisque quae  F inuicem specie  FN   genere, specie, numero. quaecumque igitur genere eadem sunt, non necesse est eadem esse specie, ut si eadem sint genere, differant specie. si uero eadem sint specie, genere quoque eadem esse necesse est, ut cum homo atque equus idem sint genere — uterque enim animal nuncupatur, differunt specie,  quoniam alia est hominis species, alia equi. Socrates uero atque Plato cum idem sint specie, idem quoque sunt genere; utrique enim et sub hominis et sub animalis PREDICAZIONE ponuntur. si quid uero uel genere uel specie idem sit, non necesse est idem esse numero, quod si idem sit numero, idem et specie  et genere esse necesse est; ut Socrates et Plato, cum et genere animalis et specie hominis idem sint, numero tamen reperiuntur esse disiuncti. gladius uero atque ensis idem sunt numero, nihil enim omnino aliud est ensis quam gladius, sed nec specie diuersi sunt, utrumque enim gladius est, nec genere,  utrumque enim instrumentum est, quod est gladii genus. quoniam igitur homo, bos atque equus, de quibus animal PREDICARE, specie differunt, numero ergo etiam eos differre necesse est. idcirco hoc plus habet genus ab specie, quod de specie differentibus PREDICARE nam si integram generis definitionem demus, dabimus hoc modo : genus est quod de plu-  1  ante  genere  add . id est  P, s. l. Hm2Lm2  genere—esse specie  om. EGRS numero] et numero  C  2 esse  post  specie  C, ante  eadem  FH  ut si—differant specie  om. FHNPm1 ,  in mg. add., sed del. m2  genere— eadem sint  om. C  3 sunt  F  4 est] esse ( idem ante necesse )  GSm1  sunt  EFGKHm1NRSm1  5 animalia  FHN  nuncupantur  FHNS  differentia  Hm1N  6 species  om. FG, ante  est  C  7 uterqne  EGLPRS, recte?  8 et  om. CP  sub hominis et  om. GLRS, s. l. Em2Pm2 post , sub  om. C  ponitur  Lm2Sm2  9 sit] sint  S  sunt  Fm1 (in mg . est m2) Nm1  10 quod si—necesse est  post  disiuncti  (13) transpos. et 13  enim  pro  uero  scr. brm 12 tamen] tantum  CLm1  15 diuersi *   (s er.) ,  om , sunt  C  est gladius  FN  16  ad  instrumentum  s. l . bellicum  Em2  17 bos  ante  homo  EG  atque bos  post  equus  FN  18 ergo  om. FHNP, del. Cm1? Lm1? Sm2  etiam  s. l. Lm1?   ante  id- circo  add . et  F, s. l. Sm2  ab specie  om. EGLS  a  R  de] a  R  ab  CEGLS  20  post  specie  s. l . quidem  L  definitionem ( uel  diff-) generis  FHNP  21 dabimus  om. EG  ( add . dicimus  post  modo)  RS, s. l. Lm2, post  modo  C   ribus specie et numero differentibus in eo quod quid sit prae- dicatur, at uero speciei sic : species est quod de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur. A proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem  de una sola specie, cuius est proprium, PREDICARE et de his quae sub una specie sunt indiuiduis. proprium semper uni speciei adesse potest neque eam relinquit nec transit ad aliam, atque idcirco proprium nuncupatum est, ut risibile hominis; itaque et de ea specie cuius est proprium  praedicatur et de his indiuiduis quae sub illa sunt specie, ut risibile de homine dicitur et de Socrate et Platone et ceteris quae sub hominis nomine continentur. genus uero non de una tantum specie, ut dictum est, sed de pluribus. differt igitur genus a proprio eo quod de pluribus speciebus praedi-  catur, cum proprium de una tantum de qua dicitur appelletur et de his quae sub illa sunt indiuiduis. A differentia uero et ab his quae communiter sunt accidentibus differt genus. differentiae atque accidentis discrepantiam a genere una separatione concludit. omnino enim quia haec in  eo quod quid sit minime PREDICARE, eo ipso segregantur a genere; nam in ceteris quidem propinqua sunt generi, nam et  1 specie—differentibus] specie non (non  Lm2 s. l. et R  et  cum cett. P ) numero solo (solo  s. l. Lm2, om. P ) differentibus  LPR  2 plurimis  S  3 in—sit  om. HN  4 proprium] prius  S  proprium—praedicatur] pro- prium praedicatur et de una sola specie  C  quidem—est proprium  om .  G, s. l. Em2  quidem  om. etiam S  6  post  proprium  add . uero  N  enim  brm  7 uni  om. GS, post speciei  E (s. l. m2) HR  9  post  hominis  add . est  edd . 11 et] ut  RS  de  om. FN, s. l. Pm2  Platone] de platone  G  et ceteris] ceterisque  FHNP  12 qui  Em2  13 ut  s. l. Hm2Pm2  de  om. N  plurimis  CEm1GNR, add . et differentibus specie  S, in mg. Pm2  ( om . specie) 14 praedicetur  Lm2P  15  post  tantum  s. l . specie  Lm2  appellatur  FHm1NR  17 sunt accidentibus] accidunt  HN  18 genus]  cf. ad p. 189, 5; post locum p. 189, 5—16   uerba  Quare—praedicantur  s. add. L  discrepantia  FL  19 separatione  del. et s. l . diffinitione  Em2, post  separatione  add . uel definitione  Hm1, del. m2  20 sint  Em2HN  21 in]  CL (s. l. m2) N, om. cett.  de pluribus praedicantur et de specie differentibus, sed non  p. 65  in eo quod quid sit. si quis enim | interroget : qualis est homo? respondetur rationalis, quod est differentia; si quis : qualis est coruus? dicitur niger, quod est accidens. si autem interroges: quid est homo? animal respondebitur, quod est genus. quod  uero ait: haec non in eo quod quid sit dicimus PREDICARE, sed magis in eo quod quale sit, hoc magis quaestioni occurrit huiusmodi. Aristoteles enim differentias in substantia putat oportere PREDICARE. quod autem in substantia PREDICARE, hoc rem de qua PREDICARE, non quale sit, sed  quid sit ostendit. unde non uidetur differentia in eo quod quale sit praedicari, sed potius in eo quod quid sit. sed solvitur hoc modo. differentia enim ita substantiam demonstrat, ut circa substantiam qualitatem determinet, id est substantialem proferat qualitatem. quod ergo dictum est magis, tale  est tamquam si diceret: uidetur quidem substantiam significare atque idcirco in eo quod quid sit PREDICARE, sed magis illud est uerius, quia tametsi substantiam monstret, tamen in eo quod quale sit praedicatur.   Quare de pluribus praedicari diuidit genus ab his  quae de uno solo eorum quae sunt indiuidua praedi- cantur, differentibus uero specie separat ab his quae  Porph. Boeth. plurimis  FH  3 respondebitur  R rationabilis  N  quis  om. R, post s. l . scil.  (om. brm)  interroget  Hm2brm post , est  om. HN  4 dicetur  FHN  interrogetis  N  9 autem] uero  FHN  10 qualis  Cm2FHP  16 tamquam] ac  F  20  uerba  Quare—praedicantur  (21) et p. 193, 18 et hic  ( hic om . praedicatur)  habet L, eadem iam ante lemma add. S  predicari  ex  preditur  Pm2  genus diuidit  hic L  hiis  F  21 sola  F  eorum—accidentibus   Ω ,  in sup. mg . non sunt indiuidua  accidentibus  add. Lm2? dicuntur ut indiuidua quae de una solummodo substantia dicuntur  R, om. cett. codd . eorum quae sunt indiuidua  om.  L  eorum  om. L (hic)   A   ante  differentibus  add . de  ΓΛΦ ; differentibus—quibus praedicantur  post  colligamus   inseruit S, itaque uerba quae  —quibus praedicantur  (195, 5) et illic et hic  habet separatur  Φ ,  in mg . genus  add .  Γ   sicut species praedicantur uel sicut propria; in eo autem quod quid sit PREDICARE diuidit a differentiis et communiter accidentibus, quae non in eo quod quid sit, sed in eo quod quale sit uel quodammodo se  habens praedicantur de quibus praedicantur. Tria esse diximus quae significationem hanc tertiam generis informarent, id est de pluribus PREDICARE, de specie differentibus et in eo quod quid sit. quae singulae partes genus a ceteris quae quomodolibet praedicantur distribuunt ac secernunt, quod ipse breuiter colligens dicit; id enim quod de pluribus PREDICARE, genus ab his diuidit quae de uno tan- tum praedicantur indiuiduo. indiuiduum autem pluribus dicitur modis. dicitur indiuiduum quod omnino secari non potest, ut unitas uel mens; dicitur indiuiduum quod ob soliditatem  diuidi nequit, ut adamans; dicitur indiuiduum cuius praedicatio in reliqua similia non conuenit, ut Socrates : nam cum illi sint ceteri homines similes, non conuenit proprietas et PREDICAZIONE Socratis in ceteris. ergo ab his quae de uno tantum praedicantur, genus differt eo quod de pluribus PREDICARE.  restant igitur quattuor, species et proprium, differentia et acci-  6 diximus] p. 181, 15.  2 diuiditur  Φ ,  s. l . genus  add. Lm2  differentibus  S  3  ante  quae  add . et  CEGP  quae  om. R  non  om. S (hic)  quod] quia  R  4  post . sit]  Σ  est  cett; cf. p. 196, 8  quodammodo  in ras. Em2  quod ad modum  CG  quemadmodum  LP  quod a modo  R  quomodo  Ψ   edd. Busse ;  Porph. p. 3, 19   πώς ;  cf. supra p. 128, 10  5 praedicantur  om .  ΓΦ   ante  de quibus  add . de his  S  ( ad p. 194, 22 ) ab his  Σ  his  A  hiis  Φ  de quibus praedicantur]  S (ad p. 194, 22)   ΓΛ  (de  s. l .)  2Φ ,  om. cett . 7 informant  FHm1N post,  de]  Hm2LPm2, om, CEGNRS , sed  FHm1Pm1; cf. p. 181, 16  8 et  om. R  9 quolibet modo  CL  (modo  s. l. m2 ) N quo *** libet (libe  er. uid .)  F  praedicatur  GPm1  10 colligens breuiter  EGS  12 dicitur pluribus  C  13 non potest secari  CFN  14 indiuiduum—dicitur  (15) om. G  15 adamas  HLm1P  (-as  ras. ex  -ans), amans  R  18 ceteros  NP  20 igitur] ergo  FP dif- ferentiae  EHa.c.NP, ante add . et  H, s. l. Lm2   dens, quorum a genere differentias colligamus. singulis igitur differentiis ab his rebus segregabitur genus. ea quidem differentia qua de specie differentibus genus dicitur, separat ab his quae sicut species praedicantur uel sicut propria. species enim omnino de nulla specie dicitur, proprium uero de una  tantum specie PREDICARE atque ideo non de specie differentibus. item genus a differentia et accidenti differt, quod in eo quod quid sit PREDICARE; illa enim in eo quod quale sit appellantur, ut dictum est. itaque genus quidem ab his quae de uno praedicantur differt in quantitate PREDICAZIONE, ab  speciebus uero et proprio in subiectorum natura, quoniam genus de specie differentibus dicitur, proprium uero et species minime. item genus in qualitate praedicationis a differentia accidentique diuiditur. qualitas enim praedicationis quaedam est uel in eo quod quid sit uel in eo quod quale sit PREDICARE. Nihil igitur neque superfluum neque minus con- tinet generis dicta descriptio. Omnis descriptio uel definitio debet ei quod definitur aequari. si enim definitio definito non sit aequalis et si quidem maior sit, etiam quaedam alia continebit et non necesse est ut semper  definiti substantiam monstret; si minor, ad omnem definitionem  Porph. Boeth. quarum  Cm1Lm1 colligamus  ante  differentias  C  colligemus (e  ex  i)  H; cf. ad p. 194, 22  2 ea quidem —dicitur  om. S  3 post  differentibus  add . praedicari  edd . separat ab his]  FLm1R  dum separat ab his  S differt ab his  CN  differt  (s. l. Em2)  ab (a  L) specie et proprio  HP ,  s. l. Lm2 (seperat—propria  [4] del. Lm2, om. P), s. l . et ab his  add .  Hm2, om. EG  separatur ab his  edd.; cf. p. 194, 20  4 praedicantur  post  propria  H  5 nulla] nulla alia  LS  8 enim] uero  FHN  10 a  LNR  13 ab  FHP  (b  er .) 15 praedicare  GR  16 Nihil  ex  Nil  Pm1? pr . neque  om .  ΛΛΠΣΨ   Porph. p. 3, 19 Busse, del .  Γ m2  17 genus  F  dicta  om. E, s. l .  Σ ,  post  descriptio  G locus Porph. s. plenior est (cf .  τής έννοιας ,  quod deest ap. Boeth.)  18 Omnis descriptio  in mg. Em2 (in contextu ras.), om. GR, s. l. Sm2 post  Omnis  add . enim  L, s. l. Sm2, post  debet  C (er.) EGR  19 definito  om. FPS  et  om. CFN  21 definitio ( uel  diff)  Ca.r.N post  si  s. l . sit  L  definitio  C  definiti ( uel  diff)  Em2HN   substantiae non peruenit. omnia enim quae maiora sunt, de minoribus praedicantur, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime; nemo enim uere dicere potest omne animal homo est. atque idcirco si sibi praedicatio conuertenda est,  aequalis oportebit sit. id autem fieri potest, si neque super- fluum quicquam habet neque diminutum, ut in ea ipsa generis descriptione dictum est enim esse genus quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit praedicetur, quae descriptio cum genere conuerti potest, ut dicamus quicquid  de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit PREDICARE, id esse genus. quodsi conuerti potest, ut ait, nec plus neque minus continet generis facta descriptio.    1 substantiam  CEm2  4  pr . est  om. C  5 oporteat  EGHL  ( a del .)  PRS ante  sit  add . ut  E (in ras. m2) FLNPR, s. l. Cm2Hm2  6 habeat  R  diminutiuum  Em1  7 enim est  G  esse  s. l. Em2L, post  genus Pm2  8 praedicatur  Em2FNa.c .  post  ut  s. l . si Lm2  quicquid] quod  EGLm1RS  10 praedicatur  Em2 11 conuerti potest] * (ñ  er .) con- uertitur  C  conuertitur. est  F  conuerti (non  del .) potest  S neque — neque  FLm2P  nec—nec  HLm1  neque—nec  N  12 continet  s. l. Nm2   Sm2, om. F, post  generis  CEGL  facta] dicta  p. 196, 17  BOEZIO V. C. ET I LL  EXCONS. ORD. PATRICII IN ISAGOGAS (YSAGOG.  E ) PORPHYRII ID EST INTRODVCTIONEM (introductiones  C ) A SE TRANSLATAS EDITI- ONIS SECVNDAE COMMENTARIVS SECVNDVS EXPLIC. (commen- tum in secdo lib. explic.  C, post  PORPHYRII  add . SCDE EXPOSITIO- NIS LIB. II. EXPLICIT  E ) INCIPIT  C  ( pleraque litt. minusc. scr .)  GE  ( uariis cum scripturis compendiisque ); sede trans- lationis comtarius expł incip lib IΙI.  L ; EXPL COMMENTARIVS. II. INCIPIT LIB TERTIVS. S; EXPLIC COMENTORV LIBER SCDS. INCIPIT TERTIVS N·, EXPLICIT LIBER SECDS. INCIPIT LIBER TERTIVS (TERCIVS LIBER  P )  FP ; INCIPIT LIBER TERTIVS  R ;  subscriptio deest in H  Superior de genere disputatio uideatur forsitan omnem etiam speciei consumpsisse tractatum. nam cum genus ad aliquid praedicetur, id est ad speciem, cognosci natura generis non potest, si speciei quae sit intellegentia nesciatur. sed  quoniam diuersa est in suis naturis eorum consideratio atque discretio, diuersa in permixtis, idcirco sicut singula in prooemio proposuit, ita diuidere cuncta persequitur. ac primum post generis disputationem de specie tractat. de qua quidem dubitari potest. si enim haec fuit ratio praeponendi generis  reliquis omnibus, quod naturae suae magnitudine cetera contineret, non aequum erat speciem differentiae in ordine tractatus anteponere, quod differentia speciem contineret, cura praesertim differentiae ipsas species informent. prius autem est quod informat quam id quod eius informatione perficitur.  posterior igitur est species a differentia, prius igitur de differentia tractandum fuit. etenim prooemio etiam consentiret, in quo eum ordinem collocauit quem naturalis ordo suggessit, dicens utile esse nosse quid genus sit et quid differentia. huic respondendum est quaestioni, quoniam omnia quaecumque  dicens] p. 147, 5. 7. 148, 17.   2 uidetur  CGHL, ras. ex  uideatur  PS  3 sumpsisse  CHN  5 ne- scitur  FHm1  mixtis  Fa.c.Lm1  8 posuit  H  diuidere  ante  ita  G, post  cuncta  CLP , diuise  HNa.c . prosequitur  Gm1PR  10 pro- ponendi  CFNR  genus  R  12 nonne  Em2FHPSm2 ante aequum  add . et  HP, s. l. Em2  speciei differentiam  EFHLm2P; cf. p. 239, 9  13 obtineret  CLm1 14 ipsae  CNP  est  s. l. Gm2Lm2  15 informet  E  16 post  Em1GLm1RS  igitur] ergo  C  a  om. CRS, er. L  17 ut enim  N  ut  CH  etiam  om. CF  18  post  quo  add . prius  CN  eam ordine  CFN quam  CFN  19  post  dicens  add . ubi ait  E  20  ante  huic  add . sed  E   ad aliquid PREDICARE, substantiam semper ex oppositis sumunt. ut igitur non potest esse pater, nisi sit filius, nec filius, nisi praecedat pater, alteriusque nomen pendet ex altero, ita etiam in genere ac specie uidere licet. species quippe nisi  generis non est rursusque genus esse non potest, nisi referatur ad speciem; nec uero substantiae quaedam aut res absolutae esse putandae sunt genus ac species, ut superius quoque dictum est, sed quicquid illud est quod in naturae proprietate consistat, id tunc fit genus ac species, cum uel ad inferiora  uel ad superiora referatur. quorum ergo relatio alterutrum constituit, eorum continens factus est iure tractatus. De specie igitur inchoans ait hoc modo. Species autem dicitur quidem et de unius cuiusque forma, secundum quam dictum est primum quidem  species digna imperio dicitur autem species et ea quae est sub adsignato genere, secundum quam sole- mus dicere hominem quidem speciem animalis, cum sit genus animal, album autem coloris speciem, trian- gulum uero figurae speciem.    Sicut generis supra significationes distinxit aequiuocas, ita idem in specie facit dicens non esse speciei simplicem signi- ficationem. et ponit quidem duas, longe autem plures esse  7 superius Porph. Boeth. positis Gm1Sm1 3 nomen] non  Ea.c.Ga.c . 4 uideri EP  8 in  om. R 9 consistit  CLNPSm2  constat  Em1  tum  R  ac] et  H  10 referuntur  FLm1  referantur  NS  refertur  Pm2R  11 continuus  CN  12  ante  De  add . sed  CH ,  m1 in LRS , si  E  de  ex  sed  Sm2  sed  del. Lm2Rm2  13  ante  Species  inscriptio  DE SPECIE (EXPLICIT DE GENERE. INCIPIT DE SPECIE  Ψ )  additur in   11  et  om. L  14 primum]  G edd . primi  L  primis  Sm1  priami  cett. Busse; Porph. p. 4, 1   πρώτον piv είδος άξιον τυραννίδος   (Eurip. Aeol. frg. 15, 2 N.) ;  cf . quemlibet illum  infra p. 200, 22  15  post  digna  add . est  HNPR AAΦ ,  s. l. LSm2, edd. Busse; om. Porph. post et ras., s. l . etiam  Γ  17 qui- dem  om. N, post add . esse  FR, s. l. L , esse  post  speciem  s. l. Pm2  cum—animal  om. S  18 autem  om. Ε   ΑΣ  20 ita  om. HN   manifestum est, quas idcirco praeteriit, ne lectoris animum prolixitate confunderet. dicit autem primum quidem speciem uocari unius cuiusque formam, quae ex accidentium congregatione perficitur. cautissime autem dictum est unius|cuiusque, hoc enim secundum accidens dicitur. quae enim uni  cuique indiuiduo forma est, ea non ex substantiali quadam forma species, sed ex accidentibus uenit. alia est enim sub- stantialis formae species quae humanitas nuncupatur, eaque non est quasi supposita animali, sed tamquam ipsa qualitas substantiam monstrans; haec enim et ab hac diuersa est quae  unius cuiusque corpori accidenter insita est, et ab ea quae genus deducit in partes. postremumque plura sunt quae cum eadem sint, diuersis tamen modis ad aliud atque aliud relata intelleguntur, ut hanc ipsam humanitatem in eo quod ipsa est si perspexeris, species est eaque substantialem determinat  qualitatem; si sub animali eam intellegendo locaueris, deducit animalis in sese participationem separaturque a ceteris animalibus ac fit generis species. quodsi unius cuiusque proprietatem consideres, id est quam uirilis uultus, quam firmus incessus ceteraque quibus indiuidua conformantur et quodam-  modo depinguntur, haec est accidens species secundum quam dicimus quemlibet illum imperio esse aptum propter formae  1 praeterit  CEGLPR primo  FHNP formam]  CN figuram  cett haec  GL  ( s. l. add . species  m2)  RSm1  uni  om. EGRS  6 ea  om. HN  ante species (specie  H )  add . ac  CHN  ex  om. CH  8 forma,  s. l . species  (m. 2) E pr . quae] sed quae  E  eaque] ea quae  EFGH   Lm1Sm2   post  sed  add . est  brm, post  qualitas  S  11 unius cuiusque corpori]  CNPm2R  in  (s. l. Lm2)  unius cuiusque (in  add. Lm1, del. m2 ) corpore (ex -ri Lm2) FHLPm1 unius cuiusque (in  s. l. Sm2) corpore  EGS  accidentaliter  CLm2P  sita  FHLm1  si ita  Na.c . ea] hac  F  postremoque  CNPm2 (recte?)  postremo quoque  Rm1  postremum quae Rm2S  postremum  H  13 sunt  FH post  atque  add . ad  CHR  14 intelligantur  LRm1  si  post humanitatem  FHN  respexeris  N  eaque]  Cm1N  ea quae  cett . determinet  R  16 eam  om. GPRS (recte?) ,  s. l. Em2  se  Lm1N  18 species generis  C  20 informantur  LPm2  accidentalis  Lm2Pm2 quamlibet  FLm1  quodlibet  Sm2  illum  om. CHLNP  illud  RS   eximiam dignitatem. huic aliam adiungit speciei significationem, id est eam quam supponimus generi. nos vero triplicem speciei significationem esse subicimus, unam quidem substantiae quali- tatem, aliam cuiuslibet indiuidui propriam formam, tertiam  de qua nunc loquitur, quae sub genere collocatur. credendum uero est propter obscuritatem eius quam nos adiecimus, quia nimirum altiorem atque eruditiorem quaereret intellectum, ea tacita praetermissaque ceteras edidisse. cuius quidem speciei haec exempla subiecit, ut hominem quidem  animalis speciem, album autem coloris, triangulum uero figurae; haec enim omnia species nuncupantur eorum quae sunt genera, animal quidem hominis, albi autem color, trianguli figura. Quodsi etiam genus adsignantes speciei meminimus dicentes quod de pluribus et differentibus specie in  eo quod quid sit praedicatur, et speciem dicimus id quod sub genere est. Dudum cum generis descriptionem adsignaret, in generis definitione speciei nomen iniecit dicens id esse genus quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid ait prae-  dicaretur, ut scilicet per speciei nomen definiret genus. nunc uero cum speciem definire contendat, generis utitur nuncupatione dicens speciem esse quae sub genere ponatur.  Porph. Boeth. Dicens s.   3 subiecimus  CLN  substantialem  FLm2Bm2  4 indiuiduam  G  5 collocatur (-catur  in ras. m2) E  colligatur  GLm2  (colligitur  m1 ) Rm1s  6 est] est quod  EPRS  7 quia] quae  CN quaerit  C quaeret  Hm1N  praetermissa quae  Em1Sa.c . praetermissa  Rm1  dedisse  Gm1  edidisset  R, ante  edid.  add . ipsum  r  9 ut] et  EGLm1Ra.c.S  11 eorum quae]  CFHN  earum quae  EGR  earumque  LPS  12 trianguli figura]  Lm1  figura trianguli  Pm2  forma trianguli  HNPm1  trianguli forma  cett.; fort , trianguli >uero>;  cf. 10. 199, 19  13 Quodsi] Quid sit  FPm1  (Quod sit  m2 ) Quod  CL  Sic  Λ2  signantes  F  14 et  om. F, s. l. R  15 sit  om. ERS  praedicatur—quid sit  (19) om. N  id  s. l. Hm2  16 quod sub assignato genere ponitur (est  p )  edd., Porph. p. 4, 6   το όπό τό άποοοθ-έν γένος  19 et differentibus  p. 180, 1  20 genus definiret  C  21 nunc] nam  Cm1   cui quidem dicto illa quaestio iure uidetur opponi. omnis enim definitio rem declarare debet quam definitio concludit, eamque apertiorem reddere quam suo nomine monstrabatur. ex notioribus igitur fieri oportet definitionem quam res illa sit quae definitur. cum igitur per speciei nomen describeret  uel definiret genus, abusus est uocabulo speciei uelut notiore quam generis atque ita ex notioribus descripsit genus. nunc uero cum speciem uellet termino descriptionis includere, generis utitur nomine rerumque conuertit notionem, ut in generis quidem sit notius speciei uocabulum, in speciei autem descrip-  tione sit notius generis, quod fieri nequit. si enim generis uocabulum notius est quam speciei, in definitione generis speciei nomine uti non debuit. quodsi speciei nomen facilius intellegitur quam generis, in definitione speciei nomen generis non fuit apponendum. cui quaestioni occurrit dicens:   Nosse autem oportet quod, quoniam et genus alicuius est genus et species alicuius est species, idcirco necesse est et in utrorumque rationibus ntrisque uti. Omnia quaecumque ad aliquid praedicantur, ex his de quibus praedicantur, substantiam sortiuntur; quodsi definitio unius  cuiusque substantiae proprietatem debet ostendere, iure ex alterutro fit descriptio in his quae inuicem referuntur. ergo quoniam genus speciei genus est et substantiam suam et  Porph. Boeth. post , definitione ( uel  diff-)  CHNPm2  claudit  C  nec concludit  F  3 monstrabat  E  (-bat  ex  -batur?  m2 )  R  5 sit] est  FHN  6 notiorem  FR  uelit  FHNPm1  9 conuertit] uidetur conuertere  CHLm2P  genere  R  10  post  quidem  add . descriptione  CFHLN, in mg. Em2, fort. recte  autem] quidem  C  uero  FHNP  11 sit  om. G pr . genus  FH  16 autem  om. Porph . quod  add. edd.; Porph. είϊέναι χρή   ότι, έπεί χτλ . pr . est  om. FN, s. l .  Λ ,  ante  alicuius  Σ  idcirco in utrisque necesse est utrorumque rationibus uti  Σ et] hoc  N om .  FPSA S  neutrorumque  Em1  utrasque  Em1  utriusque  Λ  20  post  definitio  add . uel descriptio  CFHNP, s. l. Em2Lm2   ante  inuicem  add . ad  CL, s. l. Pm2 , ad se  F, s. l. Rm2   ante  substantiam  add . in  FHm1, del. m2 post , et  om. F, s. l. Hm2Sm2   uocabulum genus ab specie sumit, in definitione generis speciei nomen est aduocandum, quoniam uero species id quod est sumit ex genere, nomen generis in speciei descriptione non fuit relinquendum. quoniam uero diuersae sunt specierum  qualitates aliae enim sunt species, quae et genera esse possunt, aliae, quae in sola speciei | permanent proprietate neque in naturam generis transeunt —, idcirco multiplicem speciei definitionem dedit dicens:  Adsignant ergo et sic speciem: species est quod  ponitur sub genere et de quo genus in eo quod quid sit praedicatur. amplius autem sic quoque : species est quod de pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. sed haec quidem adsignatio specialissimae est et quae solum species est, aliae  uero erunt etiam non specialissimarum. Tribus speciem definitionibus informauit, quarum quidem duae omni speciei conueniunt omnesque quae quolibet modo species appellantur, sua conclusione determinant, tertia uero non ita. cum enim duae sint specierum formae, una quidem,  cum species alicuius aliquando etiam alterius genus esse potest, altera, cum tantum species est neque in formam generis  9—15] Porph. p. 4, 9—14 (Boeth. p. 29, 2—7). 1 genus  om. H generis  FLS  ab  om. F a NR, s. l. Hm2  specie  s. l .  Hm2  species  F  definitionem ( uel  diff-)  FGHP  2  pr . est] fuit  Lm2  ( post  aduocandum)  Pm2 3 descriptione] definitione (uel  diff-)  CFHLm2N  diffinicione uel descripcione P 4 relinquendum] omittendum  FHN  uero  post  sunt  H  8 reddit  FN  9 ergo] uero  PLm2  autem  Σ  et er.  Λ  speciem sic  F  quae  CNR h m1  (quo  m2 )  ΛΣ 10 quo]  EGHLm2Pm1   >  qua  cett . 11 amplius—praedicatur  (13) om. L 12 et  om .  S  ac  EGRS 13  post  praedicatur  add . ut homo equs  (sic)  bos et asinus et cetera  C  14 specialissimae]  ΧΨρ (-me) specialissima  cett. codd. brm ;  Porph. p. 4, 12   aΰτη μέν ή άπόδοσις τού εΐδιχωχάτου άν εΐη  et  om.  FHR, s. l. Pm2, del. Sm2  sola  C  17 omnis  G  18 determinantur  Hm2  19  post  ita  s. l . est  Hm2  sint  om. Em1  sunt  CEm2GR   ante  specierum  add . species  Cm1, del. m2  20  post cum  s. l . sit  Lm2 ,  post  aliquando  EP   (del. m1?), post  species  s. l . scil. sit  N   transit, priores quidem duae, illa scilicet in qua dictum est id esse speciem quod sub genere ponitur, et rursus in qua dictum est id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit praedicatur, omni speciei conueniunt. id enim tantum hae definitiones monstrant quod sub genere ponitur. nam et ea  quae dicit id esse speciem quod sub genere ponitur. eam uim significat speciei qua refertur ad genus, et ea quae dicit id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit praedicatur, eam rursus significat speciei formam quam retinet ex generis PREDICAZIONE idem est autem et poni sub genere et de eo  praedicari genus, sicut idem est supponi generi et ei genus praeponi. quodsi omnis species sub genere collocatur, mani- festum est omnem speciem hoc ambitu descriptionis includi. sed tertia definitio de ea tantum specie loquitur quae numquam genus est et quae solum species restat. haec autem species ea  est quae de differentibus specie minime praedicatur. nam si id habet genus plus ab specie, quod de differentibus specie praedicatur, si qua species praedicetur quidem de subiectis, sed non de specie differentibus, ea solum erit superioris generis species, subiectorum uero non erit genus. igitur PREDICAZIONE ea quam species habet ad subiecta, si talis sit, ut de differen- tibus specie non praedicetur, distinguit eam ab his speciebus  2 ponitur—genere om. N  rursum CR quo] Schepss  qua codd. et edd.; praedicaretur  EGLRS  praedicetur  edd . 5 ponuntur  Cm2HN  6 speciem  om. Sm1  species  m2G post  eam  add. tantum  FHNP, s. l. Lm2  7 qua]  CNP  quae  cett . 8 quo]  p Schepss  qua  codd. brm; cf. 3  genus  s. l. Em2, ante add . species  G  praedicetur  FHLm2NP  praedicaretur  S  9 speciei  om. C  10 est  post  autem  E (s. l. m2) R  supponi EFGHLRS 11 generi] genere  CGm1  12 omnes  (sed  collocatur ) ELN  13  post  est  add . autem  CEGL (del. m2) S (del. m2)  15 est  om. EGS, ante  genus  ΗR , fit  L  per- stat  E ( pers  in ras.) HNa.c . 17 habet  ante  plus  FH, post N,  plus  post  habet  L  a  RS  18 si qua species  om. N praedicetur  om. N  praedicatur  Em1HSm2 post  subiectis  add . Species uero differentibus numero  N  19 de  om. N  21 de—non] non differentibus specie  N  22  ante  distinguit  add . sed hanc terciam,  sed del. E, post add . enim,  sed del. RS   quae genera esse possunt et monstrat eam solum speciem esse nec generis PREDICAZIONE tenere. illa igitur tertia descriptio speciei quae magis species ac specialissima dicitur, definitur hoc modo : species est quod de pluribus numero  differentibus in eo quod quid sit PREDICARE -- ut homo PREDICARE enim de CICERONE ac Demosthene et ceteris qui a se, ut dictum est, non specie, sed numero discrepant.  Ex tribus igitur definitionibus duae quidem et specialis- simis et non specialissimis aptae sunt, haec uero tertia solam  ultimam speciem claudit. ut autem id apertius liqueat, rem paulo altius orditur eamque congruis inlustrat exemplis. Planum autem erit quod dicitur hoc modo. in uno quoque praedicamento sunt quaedam generalissima et rursus alia specialissima et inter generalissima et  specialissima sunt alia. est autem generalissimum quidem super quod nullum ultra aliud sit superueniens genus, specialissimum autem, post quod non erit alia inferior species, inter generalissimum autem et spe- cialissimum et genera et species sunt eadem, ad aliud  7 ut dictum est] p. 188, 13 ss. 12—p. 206, 18] Porph. Boeth. et  (s. l. m2)  monstrabat  S  monstratque  FHNP  solam  Sm2  3 speciei] solum species est  N  speciei—species ac] quae  (s. l. m2)  solum species magisque  (in ras.)  species  H  4 hoc modo  in mg. Hm2   ante  species  add . Dicitur enim  FHP  et differentibus numero  p. 203, 12  6 Cicerone] socrate  N post  ac  add . de  R  8 duae—claudit]  C (om. pr . et)  E (in ras. m2) FH (solum)  LNP  duabus quidem et specialis- simas et non specialissimas species claudit  GR  una quidem et specialis- simam et non specialis ultimam speciem claudit  Sm1, del. et in mg. corr. m2  (apte sunt  post  duae quidem,) 10 id  om. LR  rem  om. EGS, s. l. Pm2, post  orditur  Lm2  12 in uno quoque—solum species   RS Q ,  om. cett . 14 rursum  Γ  et inter—alia  om. RS 15 sunt  om .  T m1, in mg.  scil. sunt ut corpus  m2 , est  ut uid .  Δ  16 super— ultra] ultra quod nullum  RS  ultra nullum  ΓΦ  17 specialissima  R  quod] quam  RS  18 autem  om .  Γ   ante  et genera  add . alia  p  alia sunt quae  brm; Porph. p. 4, 19   άλλα, α ν,α'ι  γένη   quidem et ad aliud sumpta. Sit autem in uno PREDICAMENTO manifestum quod dicitur. substantia est quidem et ipsa genus. sub hac autem est corpus, sub corpore uero animatum corpus, sub quo animal, sub animali uero rationale animal, sub quo homo, sub homine uero Socrates et Plato et qui sunt particulares homines. sed horum substantia quidem generalissi-mum est et quod genus sit solum, homo uero specialissimum et quod species solum sit, corpus uero species quidem est substantiae. genus uero corporis animati;  et animatum corpus species quidem est corporis, genus uero animalis. animal autem species quidem est corporis animati, genus uero animalis rationalis, sed rationale animal species quidem est animalis, genus autem hominis, homo uero species quidem est rationalis  animalis, non autem etiam genus particularium hominum, sed solum species. et omne quod ante indiuidua proximum est, species erit solum, non etiam genus. Praediximus ab Aristotele decem praedicamenta esse dis-  19 Praediximus] p. 151, 12.   1 quidem  post  eadem  R 5  ad  om .  Λ ,  s. l. R T  uno] uno quoque  R A  (quoque  er .)  Φ ,  ad uno  s. l . isto  A m2  2 est quidem]  R ΓΦ  est quiddam ( repet , est  S )  cett . 3 est  post  corpus  S, om .  Φ  5 uero]  RST iI   (s. l. m2)   Φ ,  om .  ΛΛΣΊ   Busse; Porph. p. 4. 23   δέ  6 uero]  codd. nostri, om. Busse; Porph. p. 4, 24   δέ   post , et  om. RS  7 eorum  RS  generalissimum]  codd. PQ (non L) Bussii edd . genera- lissima  codd. nostri; Porph. p. 4, 25   τό γινικώτατον  8 uero  om. R  9  ante  et  add . est  2   pr . specie  R  10 est  om .  2 ,  s. l .  Δ  11 et] sed et  brm, recte ut uid.; Porph. p. 4, 27   αλλά καί  est  om. R  12 animal autem] rursus animal  brm; Porph. p. 4, 28   κάλιν δέ to ζώον  13 uero] ΓΔ   (s. l. m2)   Π*!' ,  om. cett . animalis]  Δ   (s. l. m2)   ΣΊ ’ ( post  ratio- nalis).  om. cett.; Porph. p. 4, 29   γένος δέ τού λογικού ζώου  14 animal— est  om. R  15 autem] uero  RS  16 autem  del .  h m2 genus etiam  R  17 et  om. CEGP  indiuiduum  F  est  s. l. E  erit  CGR  solum species erit  LS  erit solum species  E  solum species est  CR  solum speciem non etiam genus esse liquet  G  19 Praedicimus  R, add.  etiam  L   posita, quae idcirco praedicamenta uocauerit, quoniam de ceteris omnibus praedicantur. quicquid uero de alio praedicatur, si non potuerit PREDICAZIONE conuerti, maior est res illa quae PREDCIARE ab ea de qua PREDICARE. itaque haec PREDICAMENTI maxima rerum omnium, quoniam de omnibus PREDICARE sunt. in uno quoque igitur horum PREDICAMENTI quaedam generalissima sunt genera et est longa series specierum atque a maximo decursus ad minima. et illa quidem quae de ceteris PREDICARE ut genera neque ullis aliis supponuntur ut species, generalissima genera nuncupantur, idcirco quia his nullum aliud superponitur genus, infima uero quae de nullis speciebus dicuntur, specialissimae species appellantur, idcirco quoniam integrum cuiuslibet rei uocabulum illa suscipiunt quae pura inmixtaque in ea de qua quaeritur proprietate sunt constituta. at quoniam species id quod species est ex eo habet nomen, quia supponitur generi, ipsa erit simplex species, si ita generi supponatur, ut nullis aliis differentiis praeponatur ut genus. species enim quae sic supponitur alii, ut alii praeponatur, non est simplex species, sed habet quandam generis admixtionem, illa uero species quae ita supponitur generi, ut minime speciebus aliis praeponatur, illa solum spe- cies simplexque est species atque idcirco et maxime species et specialissima nuncupatur. inter genera igitur quae sunt generalissima et species quae specialissimae sunt, in medio  1 uocauit  Lp.c.P  dicuntur  N  3 poterit  CNSm1  res  om. E, sed   ras ., ratio  R  4  post , praedicatur] dicitur  HNP  5 maxime  Em1G a.c . 7 quaedam] quae  CFHN  genera  om. CN, ante  sunt  F  et  om.  CHN maximis  CFHNPm2  11 quia] quoniam  HN inper- mixtaque  Em2HPm2  intermixtaque  NPm1  de qua  s. l. Sm2  de quo  R  quae  E (ex alia uoce) N  15 at] ut  CFN  quod] quoniam  E  16 nomen  om. FN  quia] quoniam  F  aliis  om. C    ante  alii  add . generi  CL (del. m2), post s. l. P   simplex  om. GRS, s. l .  Em2Lm2  atque idcirco maxime (-ma  H ) species est (est  om. H )  in mg. Hm1?, s. l. Lm2 ante  species  add . est  P, post C, s. l. Lm2   specialissima  EGSm1  sunt  om. EG, s. l. Pm2, post  quae  L sunt quaedam quae superioribus quidem collata species sunt, inferioribus uero genera. haec subalterna genera nuncupantur, quod ita sunt genera, ut alterum sub altero collocetur. quod igitur genus solum est, id dicitur generalissimum genus, quae uero ita sunt genera, ut esse species possint, uel ita species,  ut sint genera nonnumquam, subalterna genera uel species appellantur. quod uero ita est species, ut alii genus esse non possit, specialissima species dicitur.   His igitur cognitis sumamus PREDICAMENTI unius exemplum, ut ab eo in ceteris quoque PREDICAMENTI atque in  ceteris speciebus in uno filo atque ordine quid eueniat possit agnosci. substantia igitur generalissimum genus est; haec enim de cunctis aliis PREDICARE ac primum huius species duae, corporeum, incorporeum; nam et quod corporeum est, substantia dicitur et item quod incorporeum est, substantia PREDICARE sub corporeo vero animatum atque inanimatum corpus ponitur, sub animato corpore animal ponitur; nam si sensibile adicias animato corpori, animal facis, reliqua uero pars, id est species, continet animatum insensibile corpus. sub animali autem rationale atque inrationale, sub rationali homo  atque deus; nam si rationali mortale subieceris, hominem feceris, si inmortale, deum, deum uero corporeum; hunc enim mundum ueteres deum uocabant et Iouis eum appellatione  1 quidem  om. EG  collata]  FHm1NPm2  collatae  Cm2EGHm2  ( add. e,  sed exters .)  Lm2  collocata  Pm1 collocatae  Cm1Lm1RS (in ras.) sunt species  CLR  haec] et  C nominantur  FHNP  3 alterutrum  Ea.r.Pm1  alterutro  Pm2   ita  s. l. Em2Lm2, ante  ut  C  ut sint — est species  (7) s. l. Em2  9 igitur] ergo  E   ante  in  add . ut  Lm2Pm2  uno quoque  Em2H  (quoq.  del. m1 ?)  PRS quod  Ea.c .  GLm2Pm1R  14 duae  om. HN  sunt  add. C,s.l. Pm2, ante  duae  L post pr . corporeum  add . et  C, s. l. Pm2 , atque  FHN  15  ante post . substantia  add . et  ES (del) , ex  R  17 sub animato—ponitur  om. R post . poni- tur] collocatur  FHNP  18 adicies  RS  19 inanimatum  Cm1Lm2NPm2S  (in  s. l. minus cert .),  post add . et  s. l. Pm2  20  post  rationali  add . autem  L  22 feceris  om. GRS, s. l. Em2 , scil. fecisti ( ante  hominem)  s. l. Sm2  constituis  L post  uero  s. l . dico  Lm2, post  corporeum  Sm2  23 deum ueteres  LN   dignati sunt deumque solem ceteraque caelestia corpora, quae animata esse cum Plato, tum plurimus doctorum chorus arbitratus est. sub homine uero indiuidui singularesque homines ut Plato, CATONE, CICERONE et ceteri, quorum numerum pluralitas  infinita non recipit. cuius rei subiecta descriptio sub oculos ponat exemplum substantia corporea incorporea corpus animatum inanimatum animatum corpus sensibile insensibile animal rationale inrationale rationale animal mortale | inmortale homo Plato CICERONE CATONE Superius posita descriptio omnem ordinem a generalissimo usque ad indiuidua praedicationis ostendit. in qua quidem substantia generalissimum dicitur genus, quoniam praeposita est omnibus,  nulli uero ipsa supponitur, et solum genus propter eandem scilicet causam, homo autem species solum, quoniam Plato,  1 dignati sunt] designauerunt  Em2  deum quoque  HLm2P  2 cum] tum  Em2F  platone  Lm2PSm1  tunc  CGLSm1  4 cato  om. C, ante  plato  L , tito  N  5 oculis  CFP  6 ponit  Lm1 figuram supra de- pictam exhibent P (est altera de duabus ipsa quoque a m1 facta, prior minus dilucida est), nisi quod ad pr . animal  add . sensibile  et  rationale  post post . animal  pos., et E, in quo ordo nominum  cato plato cicero  est, simillima est in G, sed extrema pars  homo—Cicero  deest, et in H, nomina tamen  socrates plato cicero  sunt; in S uoces mediae tantum  substantia—homo  extant, sub uoce homo unum nomen est  FVLCO GONCŁ,  (explicare non potuimus); figura deest in CFLNR, in F post ponat exemplum  est  SVBSTANTIA 8 ad  om. H, s. l. Em2  indiuiduum  FLN  in qua] et  E  10 uero] ergo  H   Cato et Cicero, quibus est ipsa praeposita, non differunt specie, sed numero tantum. corporeum uero, quod secundum a substantia collocatur, et species esse probatur et genus, substantiae species, genus animati. at uero animatum genus est animalis, corporei species. est enim animatum genus sensibilis, animatum  uero sensibile animal est; ipsum igitur animatum propter propriam differentiam, quod est sensibile, recte genus esse dicitur animalis. animal uero rationalis genus est et rationale mortalis. cumque rationale mortale nihil sit aliud nisi homo, rationale fit animalis species, hominis genus. homo uero ipse  Platonis, CATONE, CICERONE non erit, ut dictum est, genus, sed est solum species. nec solum differentiae rationalis species est homo, uerum etiam Platonis et CATONE ceterorumque species appellatur, propter diuersam scilicet causam. nam rationalis idcirco est species, quoniam rationale per mortale  atque inmortale diuiditur, cum sit homo mortale. idem nero homo species est Platonis atque ceterorum; forma enim eorum omnium homo erit substantialis atque ultima similitudo est autem communis omnium regula eas esse species specialissimas quae supra sola indiuidua collocantur, ut homo, equus,  coruus — sed non auis; auium enim multae sunt species, sed hae tantum species esse dicuntur —, quorum subiecta ita sibi sunt consimilia, ut substantialem differentiam habere non possint. in omni autem hac dispositione priora genera cum inferioribus coniunguntur, ut posteriores efficiant species; nam  1 Cato] tito  N  et  om. P, s. l. Lm2  5 corporis  FN  enim] autem  CLSm2  ipsum  post  igitur  FL (s. l. m2), om. EGRS  propter] praeter  H  7 quae  ER  8  post  rationale  add. est genus  R, s. l . scil. genus  L  11 Catonis  om. CLN  titonis  N ante  Ciceronis  add . et  CFHP  12 species est solum  C  13 catonis et platonis  CL  platonis titonis  N  15  post  rationalis  add . homo  G  homo  om. EGLS  17 atque] et C eorum enim  E erit] est  FHNP   ante  omnium  add . et  R post  regula  add . est  EG  esse  ante  eas  FNS   (s. l. m2), om. EGR  21 enim] uero  CEGLRS 22 haec  Gm1NR  hee  P  species  om. E quarum Em2FSm2 sibi om. R  disputatione  F  iunguntur  CLm1  coniungantur  m2  efficiunt  Fa.c.Sm1  efficiat  m2   ut sit corpus substantia, cum corporalitate coniungitur et est substantia corporea corpus. item ut sit animatum, corporeum atque substantia animato copulatur et est animatum substantia corporea habens animam. item ut sit sensibile, eidem tria illa  superiora iunguntur nam quod est sensibile, tantum est, quantum substantia corporea animata retinens sensum, quod totum animal est. item superiora omnia rationi iuncta efficiunt rationale postremumque hominem superiora omnia nihilo minus terminant; est enim homo substantia corporea, animata, sensibilis, rationalis, mortalis nos uero definitionem hominis reddimus dicentes animal rationale, mortale, in animali scilicet includentes et substantiam et corporeum et animatum atque sensibile. et in ceteris quidem speciebus atque generibus ad hunc modum uel genera diuiduntur uel species describuntur. Quemadmodum igitur substantia, cum suprema sit, eo quod nihil sit supra eam, genus erat generalissimum, sic et homo, cum sit species post quam non sit alia species neque aliquid eorum quae possunt diuidi, sed solum indiuiduorum — indiuiduum enim est  p. 71   Socrates et Plato —, species erit sola et ultima species Porph. Boeth. eadem  H idem  ex  eidem  Lm2  6 retinet  CN  habens  L  7 ratio- nali  Pm2  coniuncta  HL efficiuntur  Ea.r.GS  8 postremoque  CHNP (recte?)  postremum (-mo  L) uero  LS  11  inter mortale  et  in animali  add . quia animal includit[ur] in se et substantiam et corporeum et animatum atque sensibile  R  12 atque] et  H  14 describuntur] dis- tribuuntur  FN  15 cum]  R (sed ante breuis ras.)   fi  quae cum  cett . (quae  del. et in mg. scr . parentesis  5 m2 ); an quae  scribend .? suprema  om. S  summa  G eo quod] et  A a.c . nihil] nullum  N SA  sit  om. F, s. l . Λ , est  post  eam  Λ2  erat]  RSm1  erit  m2F  sit  P  est  cett. codd .  edd. Busse; Porph. p. 5, 2   ήν   sic et—species dicitur  (p. 212, 15) ]  RS Q ,  om. cett . et] etiam  RS ΤΦ ,  glossa ut uid. ad  et  in   Π   alia] aliqua  RS; add . inferior  ΔΛΠΣ*Ρ   Busse, post  species  Γ ,  om. RS Φ   edd. Porph. p. 5, 3 aliud  R   post  diuidi  add . in species  edd., recte ut uid., etiam Bussio placet; Porph. p. 5, 3 χών χέμνεοΟαι ουναμένων εις είδη   post  indiuiduorum  add . species  R  20  post  Plato  add . et hoc album  brm, fort. recte; Porph. p. 5, 4   xat χοοχι χό λεοχόν  solum  R  solam  S   et, ut dictum est, specialissima. quae uero sunt in medio, eorum quidem quae supra ipsa sunt, erunt species, eorum vero quae post ipsa sunt, genera. quare haec quidem habent duas habitudines, eam quae est ad superiora, secundum quam species ipsorum esse  dicuntur, et eam quae est ad posteriora, secundum quam genera ipsorum esse dicuntur. extrema uero unam habent habitudinem. nam et generalissimum ad ea quidem quae posteriora sunt, habet habitudinem, cum genus sit omnium id quod est supremum, eam  uero quae est ad superiora, non habet, cum sit supremum et primum principium, specialissimum autem unam habet habitudinem, eam quae est ad superiora, quorum est species, eam uero quae est ad posteriora, non diuersam habet, sed etiam indiuiduorum species  dicitur, sed species quidem indiuiduorum uelut ea continens, species autem superiorum, uelut quae ab eis contineatur.  ipsa  om. R, post  sunt  Γ species erunt  RS; Porph. p. 5, 6   είη αν εϊδη  3 uero—sunt  om. S, s. l . autem quae sunt sub se erunt  m2  uero] autem  RSm2 V<]?}   fort. recte  post ipsa] sub ipsis  R  4 duas habent  ΔΛ2   Busse; Porph. p. 5, 7   έχει Sio σχέσεις  habentes  S  7 dicuntur esse  R  extremae (-me)  Sm1 h m1 A2 m2 b 8 habent unam  Δ  et generalissimum] id quod generalissimum est  RS; Porph. p. 5, 9   το τε γάρ γενιχώτατον  9 habet] habet unam  Δ  10 genus  post  omnium  R, post  sit  S Σ  id] hic  R  ea  R  11  post  uero  add . habitudi- nem  Γ  non habet  hic om., post  principium  add . non habet habitudi- nem  R, add . et (ut diximus) supra quod non est aliud superueniens genus  edd. cum Porph. p. 5,12  12  ante  specialissimum  add . et  brm   Busse, fort. recte, om. codd. (etiam LPQ Bussii); Porph. p. 5, 12   «ύ τί> είδιχώτατον δέ  specialissimam  R T m1  specialissima  S  autem] etiam  brm  13 eam  om. RS  14 posteriora] inferiora  RS 511 ,  recte ? 15 non diuersam]  Sm1 edd . quorum diuersam  A m1  non ( del. uel om . diuersam,)  Sm2 A m2   et cett. Busse; Porph. oi% άλλοίαν  species dicitur—indiuiduorum  om. FHN , sed—indiuiduorum  om. CT  quidem  om.  Σ,  post add. dicitur  edd.; codd. quidam Porph. λέγεται eam  N 17  post continens  add. est  Σ autem] uero  L 18 his  NR  illis  F  contineantur  CEm2H  continetur  N Ω  ( sed corr .  K m2,  ex  -entur  II m2 )   Ex proportione speciei nomen et generis ostendit. nam ut genus, quoniam non habet genus supra se, generalissimum genus dicitur, ut substantia, ita species, quoniam non habet sub se speciem, sed indiuidua, specialissima species dicitur,  ut homo. quid est autem species non habere his praeesse quae neque in dissimilia diuidi possunt, ut genera diuiduntur, neque in similia secantur, ut species. quae uero inter genera generalissima speciesque specialissimas constituta sunt, ea et species et genera nuncupantur, quoniam et ipsa aliis supponuntur et his alia subiciuntur, quorum uel in dissimilia uel in similia possit esse partitio. cumque duae sint habitudines et quasi comparationes oppositae, quae in omnibus generibus speciebusque uersentur, una quidem quae ad superiora respi- ciat, ut specierum, quae suis generibus supponuntur, alia  uero quae ad inferiora, ut generum, cum speciebus propriis praeponuntur, generalissima quidem genera unam tantum retinent habitudinem, eam scilicet quae inferiora complectitur, illam uero quae ad praeposita comparatur, non habent. generalissimum enim genus nulli supponitur. item species specialissima unam possidet habitudinem, per quam scilicet ad sola genera comparatur, illam uero quae ad inferiora committitur, non habet; nullis enim speciebus ipsa praeponitur. at uero quae subalterna sunt genera, utraque habitudine funguntur.  1 propositione  FPm1  et  om. N, del. Sm2 , etiam  FL  2 super  F  se  om. CN, s, l. Lm2  4 species specialissima  FHN  5 speciem  Lm2 post  habere  add . nisi ( ex 2 al. litt. m2 )  L  hoc est  N  id est  R, inseruit   Pm1?  6 possint  ESm2  7  ante  neque  add . sed  P, del. m1?, s. l· Lm2  quae—constituta] specialissimae constitutae,  cet. om. EGRS   ea et] illae (illa  L ) uero  EGLRS  9 et  om. FP  quoniam] quae  EGLm1R subponantur  S  10 subiciantur  S pr . uel  om. EGR, s. l. Lm2  uel in similia  om. EGRS  11 possint  EGLm1S  possunt  R  paratio  Cm1  partitiones  EGLa.r.RS  cumque—comparationes  om. EGRS, in mg. Lm2  duo  Cm1 sunt  NPa.c. subpositae  CHm1Lm1N, om. F 13 uersantur  EGL  16 una  Cm1  retinent  ante  tantum  H  retinet  R  habent  N   illam—comparatur  (21) om. S habet  G, m1 in CEH  19 genus enim  H  nullis  F  23 quae] illa quae  F  utramque habitudinem  G   nam et illam possident quae ad superiora respicit, quoniam quae subalterna sunt, habent superpositum genus, et illam quae de inferioribus PREICARE; habent enim subalterna genera suppositas species, ut corporeum ad substantiam quidem eam retinet habitudinem qua potest poni sub genere, ad ani-  matum uero eam qua potest de specie praedicari specialissimae uero species licet ipsae indiuiduis praeponantur, tamen praepositi habitudinem non habebunt, idcirco quoniam illa quae speciei ultimae supponuntur, talia sunt, ut quantum ad substantiam unum quiddam sint non habentia substantialem  differentiam, sed accidentibus efficitur, ut numero saltem distare uideantur, ut paene dici possit et pluribus praeesse speciem et quodammodo nulli omnino esse praepositam. nam cum species substantiam monstret unam, quae omnium indi- uiduorum sub specie positorum substantia sit, quodammodo  nulli praeposita est, si ad substantiam quis uelit aspicere. at si accidentia quis consideret, plures de quibus PREDICARE species fiunt, non substantiae diuersitate, sed accidentium multitudine. itaque fit ut genus quidem semper plurimas sub  1  ad  illam  et  quae  s. l . ał illud  et  ał quod  L  ad  om. CGHLPS  quoniam quae] quantum que  S  2  post  sunt  add . genera  P, s. l. Lm2  3 praedicantur  Hm1Sm1  4 superpositas  Hm1  5 qu * a (i  er .)  C  poni potest  E  6 quae  EHm1LPN specie] speciebus  R  7 prae- ponuntur  Hm1Pm1  8 subpositi  E  habent  EP  habebit  Gm2  9 ul- tima  EGLm1S  ad substantiam] substantia  F  10 quidem  GLm2S  non] nec  FHLm2NP habentia]  Em2  habentes  CEm1GL  (es  ex al. litt. m2 )  PS  habentem  R  habent  FHN  11  post  sed  s. l . scii, ex  Hm1?  accidentibus  del. et s. l . ał accidentalem  Hm2 uel al ., acci- dentalem,  s. l . ał accidentibus  Lm1, s. l . Nam accidentibus  m2  saltim  Lm2NPR  12 possint  EFGLRS  et] nec  F, m1 in HLN  13 species  EGL  ( es in er . em?  m2 )  Pm1RS  esse  om. FHN  praepositae  EGLRSm2 (-tum  m1 ) nam cum—praeposita est  (16) in sup. mg. Lm2  14 monstraret  HPm1  monstrat  RS unam, quae]  S  unaque  CFHNP  ( ras. ex  -que) unam quamque  EGR  unam *  L 15 substantiae  GLR  sit  s. l. ante  substantia  Pm2, om. EGLR , est  S ante  quodammodo add.  fit HN, post  nulli  C, om . est CHN  16 ad  om. EGPRS  17 ac  GR  praedicatur  EGLRS   se habeat species; de differentibus enim specie PREDICARE, differentia uero nisi pluralitati non conuenit. at uero species etiam uni aliquando indiuiduo praeesse potest. si enim unus, ut perhibetur, est phoenix, phoenicis species de uno tantum  indiuiduo PREDICARE; solis etiam species unum solem intellegitur habere subiectum. ita nullam multitudinem species per se continet, cum etiam si unum sit tantum indiuiduum, speciei tamen non pereat intellectus; quibusdam enim suis quasi similibus partibus praeest. ut si aeris uirgulam diuidas,  secundum id quod aes dicitur, idem et partes esse intellegitur et totum. idcirco dictum est speciem, licet sit indiuiduis praeposita, unam tamen habitudinem possidere, unam scilicet qua species est. quoniam enim praepositis subditur, species nuncupatur, et est superiorum species tamquam subiecta  inferiorum quoque species, idcirco quoniam eorum substantiam monstrat. speciem uero substantiam nuncupamus, nec ita est species substantia indiuiduorum, quemadmodum speciei genus; illud enim pars substantiae est, ut animalis homo reliquae enim partes rationale sunt atque mortale, homo uero Socratis  atque CICERONE tota substantia est; nulla enim additur differentia substantialis ad hominem, ut Socrates fiat aut Cicero,  1 de differentibus enim] quod de differentibus  CL  2 ni  C  4 est  post  unus  FHP, post  phoenix  N  5 solem]  EGPpr  solum  cett. codd .  bm; cf. p. 218. 3. 219, 17 . 7 cum  om. S  ut  CFN  tantum  om .  ENRS; cf.p. 219,11 post indiuiduum  add . unius generis  G  8 tamen  om. C  perit  Sm2, add . sensus et  F  9  post  uirgulam  add . in partes suas (suas partes  P ) id est (id est  om. F ) aeneas particulas (particulas  om. F , aeneas uirgulas,  sed del. L )  CFHLN, in mg. Pm2  10 in- telliguntur  H  12 possidet  FN  unam] illam  L  eam unam  F  13  ante  qua  s. l . in  Sm2  14 nuncupatur] nominatur  FHN  16 demonstrat CEGLP  est  om. S, post  species  in ras. N , esset  F  17 substantia (ia  ex  ie  F )  ante  species  FNa.c.RS, post  indiuiduorum  C  18 ani- malis homo]  EGLm1  homo animalis  Sm2P  animal hominis  CLm2Sm1  hominis animal  FH  (inis  in ras. m2 et post  animal  2 litt. er .)  NR  19 etenim  R  sunt  om. EGR post  mortale  add . adduntur ( om. N ) animali ad diffiniendam substantiam hominis  N edd . uero  om. CFGLRS   sicut additur animali rationale atque mortale, ut homo integra definitione claudatur. idcirco igitur species specialissima tantum species est atque hanc solam possidet habitudinem ad superiora quidem, quoniam ab his continetur, ad inferiora uero, quoniam eorum substantiam format et continet. Determinant ergo generalissimum ita, quod cum genus sit, non est species, et rursus, supra quod non erit aliud superueniens genus, specialissimum uero, quod cum sit species, non est genus et quod cum sit species, numquam diuiditur in species et quod de  pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. ea uero quae in medio sunt extremorum, subalterna uocant genera et species, et unum quodque ipsorum speciem esse et genus ponunt, ad aliud quidem et ad aliud sumpta. ea uero quae sunt ante specialissima usque ad generalissimum ascendentia, et genera dicuntur et species et subalterna genera, ut Agamemnon Atrides et Pelopides et Tantalides et ultimum Iouis. Posteaquam naturam generum ac specierum diuersitatemque  monstrauit, eorum ordinem definitionis descriptionisque com- memorat. ac primum quidem generalissimi generis terminum  Porph. Boeth. rationalis atque mortalis  N  3 possidet] optinet  P  6  post  deter- minant  add . philosophi  C  ergo  om. CN  enim  EGLm1 <t> p.c.;   Porph. p. 5, 17   τοίνον  ita  om. CGHP, s. l. Em2 A m2  quod] quoniam  S  7 sit genus  NR  et rursus—genera ut  (17) ]  LRS ii ,  om. cett . rursum  S  8 erit]  LRS T est  cett.; Porph. p. 5, 18   οΰχ αν ειη  9  pr . quod] quae  S h a.c . post. quod—et quod  (10) om. L  10 diuidatur  S  11 et] et de  L  13 uocant]  Λ2Φ  uocantur  cett. edd. Busse; Porph.   χολοΰσι 14 ipso eorum  S  speciem]  Brandt  species  codd. Busse  ponunt]  A m2 U m2 ,  e coni. scr. Busse , ponuntur  T m1  possunt  m2   cum   cett .; species esse potest et genus  edd.; Porph. p. 5, 22   xal έχαοτον αδτών είδος είναι xal γένος τίθενται  17  post , et  om. R  ut  om. FS  18 et  om. CEG pelides  F post . et  om. C  19 ultimo  F  20 Post ** quam  CL  diuersitatem  GLm1R , -que  in ras. E, er. P   inducit, id esse generalissimum genus quod cum ipsum genus sit, non habet superpositum genus, hoc est speciem non esse, et rursus, supra quod non erit aliud superueniens genus. si enim haberet aliud genus, minime ipsum generalissimum  uocaretur. specialissima uero species hoc modo : quod cum sit species, non est genus, ex opposito, quoniam opposita ex oppositis describuntur interdum. nam quoniam praepositio opposita est suppositioni, genus autem praeponitur, species uero sup- ponitur, si idcirco erit primum genus, quia ita superponitur,  ut minime supponatur, idcirco erit ultima species, quia ita supponitur, ut praeponi non possit, oppositorum igitur recte ex oppositis facta est definitio. Est alia rursus descriptio : quod cum sit species, numquam diuidatur in species, id est genus esse non possit. si enim omne genus specierum  genus est, si quid non diuiditur in species, genus esse non poterit. Est rursus alia definitio : quod de pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. de qua definitione saepe est superius demonstratum. nunc  18 saepe superius]11 ss. 203, 11. 205, 4.   1 inducit]  RSm1  indicit  Em1  indicat  GLa.c.  dicit  CEm2FHLp.c.   NPSm2  inducit dicens  brm  indicat dicens  p  id  om. EGRS, s. l. Lm2  3 non  om. EGRS, s. l. Lm2  superueniens  om. EGRS, s. l. Lm2  si—genus  om. EGRS, in mg. sup. Lm2  5 uocetur  EGLm1Sm2; post   inlatus est locus p. 219,14—220, 3  quoniam ridere—exemplam  in EGL,  quoniam irridere  (sic) —praedicatur  p. 219, 15 (qui locus tamen infra quoque extat) in S  specialissima—idcirco erit   in ras. C post  modo  add.  describitur  edd.  6 opposito] opposita  F  opposito est  H; post   add.  Quia sicut genus (genus  in mg. F ) generalissimum est cui non aliud genus superponitur, ita et species specialissima nuncupatur, cui alia species non subponitur (superponitur  F ) et utrumque ex opposito dicitur alterius sicut pater ex opposito dicitur filii  F, in inf, mg. cum nota  d(esunt) h(aec)  Hm1?  opposita  om. EGR, s. l. Sm2  quoniam  om. EN  si  er. E  sed  La.c, Pm2  11  ante  ut  add.  rursus  RS  ut praeponi non possit] ut minime praeponatur  CFHN (in mg. add. m2)  oppositorum  om. EGLRS  recte  om. C   quod]  Lm1 edd.  quae  cett.   ante  numquam  add.  quae  CGHm1, del. m2  diuiditur  CLRSm1  est  om. C  possit] posse  CFN  potest  edd . potest  EGLRS  Est] et  FHNS  et  om. N   illud attendendum est. si, ut paulo superius dictum est, speciei unum indiuiduum potest esse subiectum, ut phoenici atomum suum, ut soli corpus hoc lucidum, ut mundo uel lunae, quorum species singulis suis indiuiduis superponuntur, qui conuenit dicere speciem esse quae de pluribus numero differentibus in  eo quod quid sit praedicatur? sunt enim quaedam quae de numero differentibus minime dicuntur, ut phoenix, sol, luna, mundus. sed de his illa ratio est de qua etiam superius pauca reddidimus, quae paululum inflexa commodissime nodum quaestionis absoluit. | omnia enim quae sub speciebus specialissimis  sunt, siue infinita sint siue finito numero constituta siue ad singularitatem deducantur, dum est aliquod indiuiduum, semper species permanebit neque indiuiduorum deminutione, dum quodlibet unum maneat, species consumitur. ut enim dictum est, tametsi plura sint indiuidua, substantiales differentias non  habebunt. id uero in genere dici non conuenit, quod his praeest quae substantiali a se differentia disgregata sunt; praeest enim speciebus quae diuersis differentiis informantur.  1 paulo superius.  superius] p. 215, 2 ss.   1 est  om. G, s. l. Lm1  si, ut] sicut  FGPSm1  sic  La.c. supra  RS  3 suam  S  solis  F  mundi  FR, add.  hoc inane spacium  s. l.   Lm2, post  lunae  in mg.  et hoc immane spacium quod uidemus  P  quo- rum] quae  Lm1  4 indiuiduis  om. EGRS post superponuntur  add . quod si ita est ut species de uno quolibet indiuiduo praedicetur (praedicatur  P ) ut de phoenice (phe-  P )  P edd.  qui] quomodo  Hm2LP  6 praedicetur  L  8 mundus  om. EGRS, s. l. Lm2  illa his  EG  ratio est  om. EG  9 paulum  N  inplexa ( uel  im-) EHm1LP  nodum  ras. ex  modum  EN  10 sub] suis  EGS  in suis  R  specialissima  GPm1RS  11 sint] sunt  CHa.c.Lm1R  finita  CHm2N  12 deducuntur  Lm2R  adducuntur  P, add.  ut fenix uel sol  R  aliquid  FL  semper—deminutione  om. EGRS, in mg. Lm2  semper s. l.  Pm1?, post species  N, om. L (m2)  13 deminutione]  C  diminutione  cett.  dum  om. S  si  EGLm1R  14  ante consumitur  add.  non  EGL   (del. m2) RS  ut] quod  EGLRS  15 tamenetsi  G  tamen si  RS  sunt  F ante  substantiales  add.  si  G, s. l. Sm2, ras. in E  16 id uero  om. EG  quod  L  idcirco id  R  id circo  Sm1 , circo  del. m2  ante  speciebus  s. l.  genus  E   si igitur earum una perierit et ad unitatem speciei reducta sit ratio, genus esse non poterit, quia de differentibus specie praedicatur. non ita in speciebus. si enim omnium indiuidu- orum natura consumpta sit et ad unius singularitatem indiuidui superpositae speciei praedicatio peruenerit, est tamen species ac permanet. talia enim sunt illa quae pereunt ac desunt, quale est id quod permansit et subiacet. quod uero dicimus de pluribus numero differentibus speciem praedicari, duobus id recte explicabitur modis, uno quidem, quia multo  plures sunt species quae de numerosis indiuiduis praedicantur, quam hae quibus unum tantum indiuiduum uidetur esse sup- positum, dehinc hoc, quia multa secundum potestatem dicuntur, cum actu non semper ita sint, ut risibilis homo dicitur, etiamsi minime rideat, quoniam ridere potest. ita igitur species  de numero differentibus praedicatur; nihilo enim minus phoenix de pluribus phoenicibus PREDICARE, si plures essent, quam nunc, quando unus esse perhibetur. item solis species de hoc uno sole quem nouimus, nunc dicitur, at si animo plures soles et cogitatione fingantur, nihilo minus de pluribus solibus  indiuiduis nomen solis quam de hoc uno praedicabitur. idcirco igitur species de pluribus numero differentibus dicitur praedicari, cum sint aliquae quae de singulis indiuiduis appellentur. Illa uero quae subalterna uocantur ita definiri queunt : subalternum  1 eorum  EFGLm1RS  redacta  EGLPm2RS edd.  2 de  om. E  3 si enim] nam si  EGLRS  5 suppositae  LNR  superposita  S  uene- rit  EGLRS  6 alia  EGLa.c.RS ante  sunt  s. l.  non  E  7 quale] quam  EGLa.c.RS  et] ac  CFHNP  8 de numero pluribus  Ca.c.  numero de pluribus  p.c.  9 excusatur  EGLRS  quidem uno  EG  multo  om. FN, s. l. H  11 hae  om. ER  hee  C  eae  H  ea  N ante  qui- bus  add.  e  CR, er. uid. E  tantum  om. S  suppositum esse  RS  12 dehinc] deinde  EGLRS  hoc  om. FHNS  13 semper  om. CFH  14 etiamsi—praedicatur  om. F de loco  quoniam ridere  eqs. in EGLS   cf. ad p. 217 , 5 igitur] etiam  E  15 nihil  EGLPRS  16 phoenicibus  om. F 17 ita (a  in ras. m2) E  hoc  om. S, post  uno  F  18 ac  EGR ante  animo  s. l.  in  Pm2  19 cogitationes  Ca.c.F ante  de  add.  enim  EG  20 praedicatur  EGLRS  22 appellantur  FHN   genus est quod et genus esse poterit et species, ad eumque modum est ut in familiis, quae procreant et procreantur, ut etiam subiectum monstrat exemplum : ut Agamemnon Atri- des et Pelopides et Tantalides et ultimum Iouis. Atreus enim Pelopis filius tamquam eiusdem species quasi  Agamemnonis genus est. item Agamemnon Pelopides et Tan- talides, cum Pelops ad Tantalum comparatus Tantalusque ad Iouem quasi species itemque Tantalus ad Pelopem, Pelops ad Atreum tamquam genera esse uideantur, cum Iuppiter ueluti sit horum generalissimum genus.   Sed in familiis quidem plerumque ad unum redu- cuntur principium, uerbi gratia ad Iouem, in generibus autem et speciebus non se sic habet. neque enim est commune unum genus omnium ens nec omnia eiusdem generis sunt secundum unum supremum genus, quem-  admodum dicit Aristoteles. sed sint posita, quemad- Porph. Boeth. Aristoteles] Metaph. II, 3, p. 998 b , 22.   1 et  om. RS  et genus  om. EG  ad—ut]  CG ( ut  om.) Hm2  ad eumque  ( et ad eum  N)  modum sunt ut  Hm1N  ad eumque  ( eum que *   L  eundem  Pm2 ) modum qui  (s. l. Lm2, part. in ras. Pm2)  est  (s. l. Pm2)   LP  ad eum modum qui est  EFR  ad eum  ( eum  del. m2, post  que eu  er.)  modum,  in ras. quae est  m2 S  4 et Tantalides—Iouis]  Lm2Pm2   (om.  et Tantalides ) R edd., post  species  (5) Lm1S, om. cett.  5 quasi] quae si  Sm1, del. m2, ante add.  et  F, s. l. Pm2 , est  R  Agamemnonis] tamen his  ( is  R) EGLm1R  tamen non his  Sm1, del. m2  genus est  del. Sm2  est  om. P ante  Pelopides  add.  non  E  atrides non  ( non  del. m2) L  7 comparatus]  (s  in ras. m2) H comparatur  (cõ-) cett  Tantalusque] ut tantalus quae  G   idemque CP idem N Atreum] creontum EG creontem Lm1 tareontum S tamquam] quasi  EGLR  quae  S  uelut  HP  11 reducuntur  ante  ad  N, post  reducuntur  add.  omnes  L, s. l. Pm2;  reducunt  coni. Busse; cf. p. 224, 19  reduci;  Porph.   p. 6, 3   άναγουοι  12 ad  om. EGRS A  13 speciebus] in speciebus  R  sic se  ΝΣ  habetur  EG  neque—dicerentur  (p. 221, 5) ]  RS Q ,  om.   cett.  enim  om. R  14 neque  Busse  15 sunt generis  Γ  16 sunt  \ m2 2 ;  Porph. p. 6, 6   χείοθ·ω  quemadmodum  om. S, add.  dictum est  edd., idem post  Praedicamentis  h m2 W m2; om. Porph. p. 6, 7   modum in PREDICAMENTI, prima X genera quasi prima X principia; uel si omnia quis entia vocet, aequiuoce, inquit, nuncupabit, non uniuoce si enim unum esset commune omnium genus ens, uniuoce  entia dicerentur; cum uero X sint prima, communio secundum nomen est solum, non etiam secundum rationem, quae secundum nomen est. Cum de subalternis generibus diceret, familiae cuiusdam posuit exemplum, quae ab Agamemnone peruenit ad Iouem,  quem quidem pro numinis reuerentia ultimum posuit. quantum enim ad ueteres theologos, refertur Iuppiter ad Saturnum, Saturnus ad Caelum, Caelus uero ad antiquissimum Ophionem ducitur, cuius Ophionis nullum principium est. ne igitur quod in familiis est, id in rebus quoque esse credatur, ut res omnes  possint ad unum sui nominis redire principium, idcirco deter- minat hoc in generibus ac speciebus esse non posse; neque enim sicut familiae cuiuslibet, ita etiam omnium rerum unum esse principium potest. fuere enim qui hac opinione tenerentur, ut rerum omnium quae sunt unum putarent esse genus quod  ens nuncupant, | tractum ab eo quod dicimus ‘est’; omnia enim  inquit] sententia, non uerba Aristotelis.   1 quasi  in ras.   Σ  sic  A m1  sicut  Ψ  2 prima  om.   Γ ,  post  decem  Π  2 uocat  A m1 II  3 nuncupauit  S, in ras. ex  -bit  Γ  4 genus omnium  Busse  entia uniuoce  R post  uniuoce  add.  omnia  edd. cum Porph.   πάντα  uero] autem  Γ  enim  ΔΔΣΦ ;  Porph.  δέ sunt  FH  prima] principia  Lm1  prima genera  m2P  (genera  s. l. m2 ), prima principia  N ΓΣ  7  ante  rationem ( ante  nomen  E )  add.  definitionis ( uel  diff-)  ELRS Q ,  om. Porph. p. 6, 11  quam  E post  est  add . solum  CHN  8 Cum] Quoniam  CLm1NS  Quoniam  (del. m2)  cum  H  di- cens  CLm1N  dicit  in ras. S  cuius  Pm1  cuiusque  F  eiusdem  R   ponit  Sm2  ab  om. F, s. l. Gm2   nominis  EGLS  nomini  R  11 ad ueteres] aduertere  Sm1  aduertisse  CEFGLm2P  aduertit se  R referantur  Hm1N  12 caelium ( uel  ce)  LPm2RS  zethum  F  zechum  N  Caelus] Hm2  caelius (uel ce)  LPm2Sm2  celium  R  caelum  CEGHm1Pm1Sm1  zetus  F  zehus  N  othionem  F  ( sed ophionis) 14 esse ( Pm2  est  m1 ) quoque  FHNP   ante  sui  exters. uid.  proprii  E  17 familia  H 19 ut] et  Fa.c.S  ut et  N  20 est] esse  S   sunt et de omnibus esse PREDICARE itaque et I SBVBSTANTIA est et II QVALITAS est itemque III QVANTITAS ceteraque esse dicuntur; nec de his aliquid tractaretur, nisi haec quae PREDICAMENTI dicuntur, esse constaret. quae cum ita sint, ultimum omnium genus ens esse posuerunt, scilicet quod de omnibus PREDICARE ab eo autem quod dicimus est participium inflectentes Graeco quidem sermone  Sv  Latine ens appellauerunt. sed Aristoteles sapientissimus rerum cognitor reclamat huic sententiae nec ad unum res omnes putat duci posse primordium, sed X esse genera in rebus, quae cum a semet ipsis diversa sint,  tum ad nullum commune principium reducantur. haec autem X genera statuit I SVBSTANTIA II QVALITAS III QVANTITAS IV AD ALIQVID V VBI VI QVANDO VII SITVM VIII FACERE IX PATI X HABERE quod uero occurrebat quoniam de his omnibus esse PREDICARE — omnia enim quae superius enumerata sunt genera, esse dicuntur,  ita discussit ac reppulit dicens non omne commune nomen communem etiam formare substantiam nec ex eo debere genus esse commune arbitrari, quod de aliquibus nomen commune PREDICARE quibus enim definitio communis nominis convenit, illa communis nominis iure species iudicabuntur et communi illo vocabulo uniuoce PREDICARE quibus uero non convenit, vox his communis tantum est, nulla uero substantia. id autem manifestius declaratur exemplis hoc modo. animal hominis atque equi genus esse PREDICARE; demus igitur  1  post.  et  om. EGRS, s. l. Lm2  2 cetera  C  3 de] in  GLm1RS  5 esse  om. EGRS, s. l. Lm2  6 autem  s. l. L  enim  C  est] esse  FS  principium  EG, m1 in LPS  inflectentes  post  quidem  N   quidem  ante  Graeco  R ante  sermone  add.  de  P, s. l. L post  Latine add. autem  FHN, s. l. Pm2  prudentissimus  FNP  rerum] principiorum EGLm1Pm1RS  9 omnes  ante  res  C, om. EGRS, s. l. Lm2  dici  FGm1Pm2  10 ad  FHNRm1 ipso  Em1GPm1S  ipsa  FHN  ipsos  Rm1  sunt  CLm1R edd.  11 reducuntur  EFGLm2RPm1S  15 nu- merata  CEGL  innumerata  S  repulit  CEFHRP  17 eo debere] eodem uere (e re  add. S )  EGSm1  18  post  arbitrari  add.  debet  E  19 praedicatur  E  praedicetur  FHNP  nominis communis  FN  22 his uox  FHNP  manifestis  FLp.c.  praedicatur  S  dicamus  CHN   animalis definitionem, quae est substantia animata sensibilis; hanc si ad hominem reducamus, erit homo substantia animata sensibilis, nec ulla falsitate definitio maculatur. rursus si ad equum, erit equus substantia animata sensibilis; id quoque  uerum est. conuenit igitur haec definitio et animali, quod commune est homini atque equo, et eidem equo atque homini, quae species ponuntur animalis. ex quo fit ut homo atque equus utraque animalia uniuoce nuncupentur. at si quis hominem pictum hominemque uiuum communi animalis nomine nuncu-  pauerit, definiat si libet animal hoc modo, substantiam animatam esse atque sensibilem. sed haec definitio ei quidem homini qui uiuus est conuenit, ei uero qui pictus est, minime; neque enim est animata substantia. igitur homini uiuo atque picto, quibus communis nominis definitio, id est animalis,  non potest conuenire, non est animal commune genus, sed tantum commune uocabulum diciturque hoc nomen animalis in uiuo homine atque picto non genus, sed uox plura significans; uox autem plura significans aequiuoca nuncupatur, sicut uox ea quae genus ostendit, uniuoca dicitur. itaque id quod  dicitur ens, etsi de omnibus dicitur PREDICAMENTI quoniam tamen nulla eius definitio inueniri potest quae omnibus PREDICAMENTI possit aptari, idcirco non dicitur uniuoce de prae- dicamentis, id est ut genus, sed aequiuoce, id est ut uox plura significans. Conuincitur etiam hac quoque ratione id  quod dicimus, ens PREDICAMENTI genus esse non posse.  2 hanc] uel hanc  E  3 facultate  Em1  4 equus] equi  CFPm2  5 definitio (uel  diff-) haec  FHN homini] et homini  CNP  atque] et,  FHNPR  eidem]  CEm2FH a.r.NPR  idem  Em1GHp.r.Lm1S  eadem  Lm2brm  ea eidem  p  animalis  EGLa.c.  una uoce  E  nun- cupantur  C  nominentur  FHN  9 uiuum] uerum  EGLm1PRS 10 si libet] scilicet  CHm1N  animal  om. E   uero]  FHP, om. S , quidem  cett.  13 est  post substantia  LP  16 dicitur quae  Em1Sm1  dicitur quod  LSm2  dicitur quia  CFN  17 genus] genus est  FN  uox—significans  om.   CEGP, s. l. Lm2Sm2  18 autem] enim  RS ante  aequiuoca  add. quae  CEGP  nuncupantur  GS  19 ita  ELm1  23 id est  om. CFN  ut genus  om. F  24 quoque  om. N   unius enim rei duo genera esse non possunt, nisi alterum alteri subiciatur, ut hominis genus est animal atque animatum, cum animal animato uelut species supponatur. at si duo sint sibimet ita aequalia, ut numquam alterum alteri supponatur, haec utraque eiusdem speciei genera esse non possunt. ens  igitur atque unum neutrum neutri supponitur; neque enim unius dicere possumus genus ens nec eius quod dicimus ens, unum. nam quod dicimus ens, unum est et quod unum dicitur, ens est; genus autem et species sibi minime conuertuntur. si igitur PREDICARE ens de omnibus PREDICAMENTI PREDICARE etiam unum. nam I SBVSTANTIA unum est, II QVALITAS unum est, III QVANTITAS unum est ceteraque ad hunc modum. si igitur, quoniam esse de omnibus PREDICARE, omnium genus erit, et unum, quoniam de omnibus PREDICARE, erit omnium genus. sed unum atque ens, ut demonstratum est, minime alterum  alteri praeponitur; duo igitur aequalia singulorum PREDICAMENTI genera sunt, quod fieri non potest. cum haec igitur ita sint, id Porphyrius determinauit dicens non ita in rebus, ut in familiis omnia ad unum principium posse reduci nec omnium rerum commune esse genus posse, ut Aristoteli placet; sed sint posita, inquit, quemadmodum in PREDICAMENTI dictum est, prima X ge|nera quasi X prima principia, scilicet ut nulla interim ratio perquiratur, sed auctoritati Aristotelis concedentes haec decem genera nulli  3 ac  R  sint  post  aequalia  pos. RS, repet. FL (s. l. m2) P  4 sibi- metque  ( quae  F) FLm2Pm1  ita  s. l. Lm2  5  ante  haec  add . aequa  C ,  sed del . eidem  Pm2  eius  S neutris  Em1  8  pr . unum  post  nec,  om .  post  ens  H  dicitur  om. S dicimus  Rbrm  13 esse] ens  Lm2P   post  omnibus  add . his  CP, in mg. Hm2, add . praedicamentis  (s. l. m2)  his  L post  erit  add . ens  CHN  et unum—omnium genus  om. R  15 sed] si  in ras. Em2 ut  om. FH  praeponi  FH  17 hoc  Ea.c. edd. sit  edd . 19 deduci  LS  duci  Em1  genus  ante esse  CFN, post  posse  S  poterit  F  21 sint]  FHm1  sunt  cett . 23 prima  om. N, post  principia  R  ut  om. EGS  24 auctoritate  Em1Hm1  ad auctoritatem  FN  accedentes  CFNS   alii generi esse credamus subiecta, quae si quis entia nuncupat, aequiuoce nuncupabit, non uniuoce; neque enim una eorum omnium secundum commune nomen definitio poterit adhiberi. quae res facit, ut non uniuoce de his aliquid PREDICARE si  enim uniuoce PREDICARE genus esset eorum commune nomen quod de omnibus PREDICARE; at si genus esset, definitio generis conueniret in species. quod quia non fit, commune his id quod dicimus ens, uocabulum est uocis significatione, non ratione substantiae X quidem generalissima sunt, specialissima uero in numero quidem quodam sunt, non tamen infinito, indiuidua autem quae sunt post specialissima, infinita sunt. quapropter usque ad specialissima a generalissimis descendentem iubet Plato quiescere,  descendere autem per media diuidentem specificis differentiis; infinita, inquit, relinquenda sunt; neque enim horum posse fieri disciplinam.  Porph. Boeth. Plato] Phileb. p. 16 C. Polit, p. 262 A—C. Sophist. p. 266 A. B adfert Busse.   1 entia nuncupat]  ERS  (-pet), etiam entia nuncupat  N  ab ens entia nuncupat (-pet  Lm2 )  CGL  etiam nuncupat (nuncupat  post  ens  P ) ab ens entia  HP entia nuncupat ens  F  2 nuncupabit (-uit  FHN )  post  uniuoce  FHNP , nuntiauit  S  unam—definitionem ( uel  diff-) poterit adhibere  FHN  3 nomen  ex  non  Em2G  5 esse  Hm1, add . ens  s. l .  L, ante  esset  P  eorum  om. CN, post  commune  L  6 nomen  in   mg. Hm2, del. Lm2  ens  CH(in mg.) Lm2  ( s. l. ante  eorum)  N  7 con- uenerit  Em1  8 his  om. GS  10 sunt  om. S  11 in numero  om .  Δ  quodam] quaedam  Pm1  sunt  om., post  indiuidua  add . est  S  tam  C  infinito]  Fp. c . (finito  a.c .)  Hm2S TNtt p.c . Φ  in infinito  Hm1N W a.c . indefinito  C  ( ras. ex  -tio) EGL a.c . (in indefinito  et  ał definito  corr. m1 )  PR kIPV  (in  er .) 12 indiuidua—quiescere)  LRS Q ,  om. cett . 13 sunt infinita  LRS Busse; cf. p. 226, 22  a  om. R  15  ante  descendere  post  usque  (cf. ad p. 178, 14) add.  ad id  CHP  diuidentem per me- dia  Γ  16  ante  infinita  add . indiuidua uero  Δ ,  sed del., post add . uero  ΓΦ  17 enim  s. l. L, del .  Γ  horum]  N ii  ( ante add . et  ΛΦ ,  er. uid .  Γ ,  post add . indiuiduorum  Γ ) eorum  cett.; Porph. p. 6, 16   τούτων  disciplina  Cm1   Quoniam specierum nosse naturam ad sectionem generum pertinet quoniamque scientia infinita esse non potest — nullus enim intellectus infinita circumdat —, idcirco de multitudine generum, specierum atque indiuiduorum rectissima ratione persequitur dicens supremorum generum numerum notum — enim X PREDICAMENTI ab Aristotele esse reperta quæ rebus omnibus generis loco praeferenda sint —, species uero multo plures esse quam genera. nam cum decem suprema sint genera cumque uni generi non una, sed multae species supponantur proximaeque species supremis generibus subalterna  sint genera usque dum ad ultimas species descendatur, nimirum unius generis multas species esse necesse est utrobique dif- fusas, specialissimas uero multo plures esse quam subalterna, quoniam per multitudinem generum subalternorum ad specia- lissimas descenditur species. quas multo plures esse quam  genera subalterna hoc maxime ostenditur, quod inferiores sunt; semper enim genera in plura subiecta diuiduntur. decem uero generum species multo plures quam unius existere manifestum est, uerum tamen etsi plures sunt, certo tamen numero con- tinentur; quem facile si quis discutiat omniumque generum  species persequatur, possit agnoscere. indiuidua uero quae sub una quaque sunt specie, infinita sunt uel quod tam multa  1 generis  EGLRS, recte?  2 scienti  GRS scienti alicui  Lm2  5 su- premorum] supra horum  EG, m1 in LPS ante  numerum  add . esse FHNP, post  notum  L  6  post  reperta  s. l . commemorat  Em2  7 gene- ris  om. R, post  loco  L , generum  S  sunt  CFH   (ras. corr.) NPRSm2  8 nam cum—genera  om. EGRS  9 sunt  FLP (ras. corr.)  11 sint  post  genera  C  sunt  F  13 subalternas  FH (s in ras. m2) N, ante  sub.  add . genera  PS, s. l. Lm2  16 hoc] in hoc  F  inferiora  FHm1Lm2NP  17 semper enim genera]  FHN  semper si genera  Cm1  semper enim sub- alterna (genera subalterna  P )  Cm2 (part. in mg.) P  et semper subalterna genera  RS  et  (om. G)  semper subalterna  EGL  plurima  N  18 ge- neris  G  unius] generis unius  R  species unius generis  Lm1  19 sint  L  compraehenduntur  L prosequatur  NR 22 species  G  specie  ante  sunt  FHLNR  tam]  FHN  ea  EGLPRS  tam ea  C   sunt diuersisque locis posita, ut scientia numeroque includi comprehendique non possint, uel quod in generatione et corruptione posita nunc quidem incipiunt esse, nunc uero desinunt. atque idcirco suprema quidem genera et subalterna et species  eas quae specialissimae nuncupantur, quoniam finitae sunt numero, potest scientiae terminus includere, indiuidua uero nullo modo. idcirco igitur Plato a magis generibus usque ad magis species id est specialissimas praecipiebat facere secti- onem; per ea enim quae finita essent numero, iubebat descen-  dere diuidentem, ubi autem ad indiuidua ueniretur, standum esse suadebat, ne, quod natura non ferret, infinita colligeret. ita uero genera in species diuidi comprobabat, ut specificis differentiis soluerentur. de specificis autem differentiis melius in eo titulo ubi de differentia disputatur, ac largius disseremus.  hic enim hoc tantum dixisse sufficiat, eas esse specificas differentias quibus species informantur, ut rationale uel mortale hominis. cum igitur diuidimus animal, rationali atque inratio- nali, mortali inmortalique separamus. hoc ergo ceteraque genera talibus differentiis quae subiectas species informent,  Plato censuit esse diuidenda usque dum ad specialissima  13 de specificis— disputatur] lib. IV c. 8.   1 sint  EFGHp.r . ( ex  sunt)  LPRS  numeroque]  FHN  in unum  EGLm1  (numero  m2 )  RS  numeroque in unum  CP  concludi  LS  3 uero)  ex  quidem uero  P recepit Brandt , quidem  CEGLRS, om. FHN; cf. p. 223, 12  5 easque ( om . quae,)  LR specialissime  GS  7 igitur  om. C  magis a  EGLPRS  usque ad magis species]  FHN  magis  om. C quam a speciebus  cett . 8 id est] e  ut uid. er. C  specialissimas]  CFHN  a ( add. L ) specialissimis  cett.; cf. p. 225, 13  9 essent] sunt  FN  10 diuidentem] diuisionem  EGHm1  (diuisorem  m2 )  Lm1PRS  11 nec  HN  12 comprobat  ELm1  (probabat  m2 )  R  ut  et  soluerentur  om .  EGPm1 (s. l. m2) RS post  ut  add . in  edd . 13 autem  om. EGLPm1  (uero  m2 )  RS  14 de  om. FG  differentiis  CS a.c . 16 rationabile  E  uel  om. ERS  et  Lm1  17  ante  rationali  et  inrationali  add . in  Em2 rationale atque inrationale ( uel  irr-)  EGN p.c.RS  18 mortali  om .  N  mortale  EGLPS inmortaleque  EGNp.c.PRS ; mortale  (sic)  ac  (s. l.)  inmortali  L  18 hoc ergo  add. Brandt , cetera <quo>que  Engelbrecht  separabimus  FHN  separauimus  R  19 informant  Fa.c.Lm1NR   ueniretur, dehinc consistere nec infinita sequi, quoniam indiuiduorum numquam esset nec disciplina nec numerus. Descendentibus igitur ad specialissima necesse est diuidentem per multitudinem ire, ascendentibus uero ad generalissima necesse est colligere multitudinem. collectiuum enim multorum in unam naturam species est et magis id quod genus est, particularia uero et singularia e contrario in multitudinem semper diuidunt quod unum est; participatione enim speciei plures homines unus, particularibus autem unus et  communis plures; diuisiuum est enim semper quod singulare est, collectiuum autem et adunatiuum quod commune est. Diuidere est in multitudinem quod unum fuerat ante dissoluere, omnisque diuisio e contrario compositionem coniunctionemque meditatur. quod enim, cum sit unum, dispertiendo diuiditur, id ipsum ex pluribus rursus partibus adunando componitur ut igitur superius dictum est, indiuiduorum quidem similitudinem species colligunt, specierum uero genera : similitudo uero nihil est aliud nisi quaedam unitas qualitatis.  ergo substantialem similitudinem indiuiduorum species colli- gere manifestum est, substantialem uero similitudinem specierum genera contrahunt et ad se ipsa reducunt. rursus Porph. Boeth. p. 32, 1—8). 9 participatione—11 plures] Abaelardus, Theolog. christ., II p. 486 ed. Cousin. 18 superius] p. 166, 8 ss.   3  ante  igitur  add . illis  L  necesse—singulare est om. N  4 ire  ante  per  L T  ascendentibus—plures  (11) ]  Ω ,  om. cett . 6  post  multitudinem  excidisse  in unum  coni. Busse  ( cum Porph. p. 6, 18   e’:; εν ),  add. edd . 8 e contrario—semper]  Γ   edd. cum Porph. p. 6, 20  semper in multitudinem e contrario  cett. codd. Busse  9 est unum  Φ 10 unus, unus autem et communis particularibus plures  Abaelard . 11 commune  P a.c . communes  Φ  enim post  est FS Φ ,  om. CELR ,  ante  est  cett . 12 est  om. E  14 est] enim  C  est enim  L  in  om. G ,  s. l. Lm2  15  post  dissoluere  add . est  C  17 plurimis  F  19 uero] ergo  CEGLm1RS  20 nisi] ni  C   generis adunationem differentiae in species distribuunt, spe- cieique adunationem in singulares indiuiduasque personas accidentia partiuntur. cum igitur haec ita sint, necesse est semper cum a genere descendis ad speciem, diuidendo semper  facere multitudinem, cum uero ab speciebus ascendis ad genera, componendo colligere et plura quae in specierum differentiis fuerant similitudine qualitatis adunare. in speciebus etiam idem considerari potest. ut enim ipsae indiuidua, quae sunt infinita, una similitudine substantiali colligunt. ita indiuidua  speciem propria infinitate distribuunt. omnia enim indi- uidua disgregatiua sunt et diuisiua, species uero et genera collectiua, species quidem indiuiduorum collectiua atque adu- natiua, specierum uero genera, ut ita dicendum sit : genus quidem species distribuunt et species ab indiuiduis in multitudinem deducuntur, rursus autem genus quidem multas species colligit, species autem particularem singularemque multitudinem ad singularitatis deducit unitatem. igitur plus genus adunatiuum est quam species. species namque sola indiuidua colligit, genus uero tam species quam ipsarum quoque specierum indiuiduas contrahit singularesque personas. sed in hoc conuenienti utitur exemplo dicens quoniam partici- patione speciei, id est hominis, CATONE, Plato et CICERONE pluresque reliqui homines unus, id est milia hominum  1  post  generis  s. l . ergo  E  species] specie  G  speciem  Lm1  2  ante  indiuiduasque  s. l . in  Hm2  3 haec igitur  LNP  4 species  ELm2R  5 a  ELS  ad ( tamen  speciebus)  G  6 et  om.  EGLPRS  plures  EFGLPm1RS  quae  ante  fuerant  EGLPRS  7 fuerint  S  simili- tudinum (-nem  Pm2 ) qualitates ( ex  -tis  Pm2) EFGLPRS ante  adunare  add . et  EGLPR  8 poterit  Lm2 ante  ipsae  add . species  N, post in mg. Cm1?  ipsae]  Cm2H  ipsa  cett . 9 unam similitudinem substantialem  EFGLRS  10 propriam infinite (uel  -tae, -tate  H ) EGHLPRS  12  post  adunatiua  add . est  CGH   (in mg. m1?) Lm2 NPm2  13 specierum uero genera  s. l. Hm2  14 distribuit  EGRS  15 ducuntur  EGHN  17 ducit  HN  19 cum species tum  N 20 indiuidua  EGHLPRS  21 participationi  G  post  unus  add . est  Hm2   in eo quod sunt homines, unus homo est; at uero unus homo, qui specialis est, si ad hominum multitudinem qui sub ipso sunt consideretur, plures fiunt. ita et plures homines in spe- ciali homine unus est et specialis unus in pluribus infinitus. sic igitur quod singulare quidem est, diuisiuum est, quod  uero commune, quoniam multorum unum est, ut genus ac species, collectiuum atque adunatiuum.   Adsignato autem genere et specie, quid est utrumque, et genere quidem uno, speciebus uero pluribus — semper enim in plures species diuisio  generisest, genus quidem semper de specie PREDICARE et omnia superiora de inferioribus, species autem neque de proximo sibi genere neque de supe- rioribus; neque enim conuertitur. oportet autem aut aequa de aequis praedicari, ut hinnibile de  equo, aut maiora de minoribus, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime; neque enim ani- mal dices esse hominem, quemadmodum hominem dices esse animal. de quibus autem species prae-  Porph. Boeth. est. ut  et 3  fiunt, ita  r  2  pr . qui] quamuis  FNm1 post . quae  EPR  3 et] ut  Cm1  4 unus est] unum est ał  (haec del. m2)  unus est  C post . unus] unus est  LS  infinitis  CLm1  diffinitus  R  5 quidem  om. FN  diuisum  Em1  diuisuum  N  quod] quia quod,  s. l . est  G  6 uero commune]  FS  commune uero  Cm1  ( post  uero  add . est  m2 )  HN  commune est uero  LPm2R  commune est numero  EGPm1  ac] et  R  ad  Em2GLPm1  8 Assignati  Pm1  quid est]  FHPm2 \ m1  quide  CNRS  quid sit  Π m2 xV   edd . quod est  cett. Busse; cf . sunt  p. 236, 14  9 utrum- que— uno]  CEGHPm1  (quidem  ex  quodem)  RS h m2 W m2 xP  utrumqae quodque sit genus unum (unum genus  N )  FN & m1 AZΦ  utrumque et (et  om .  L Π ) cum (cumque  Π ) sit genus unum  LPm2 il m1  utrumque unum  Γ  species uero plurimae  FLNPm2 TΔ m1 Λ2Φ ;  ad utrumque— pluribus  cf. Porph. p. 7, 1  11 genus —indiuiduis  (p. 231, 16) ]  RS Q ,  om. cett . speciebus  R  14 autem]  Porph. p. 7, 4   γάρ  15 aut]  RS  edd.,  om .  Ω   Busse; Porph. ή aequis] aequo  R  ignibile  R  17 uero] autem  S post  minime  add . praedicantur  Γ  utroque loco  dices]  RS  dicis  Ω   edd. Busse; Porph. ειποις άν   dicatur, de his necessario et speciei genus PREDICARE et generis genus usque ad generalissi- mum; si enim uerum est Socratem hominem dicere, hominem autem animal, animal uero substantiam,|  uerum est et Socratem animal dicere atque substantiam. semper igitur superioribus de inferioribus praedicatis species quidem de indiuiduo PREDICARE, genus autem et de specie et de indi- uiduo, generalissimum autem et de genere et de  generibus, si plura sint media et subalterna, et de specie et de indiuiduo. dicitur enim generalissimum quidem de omnibus sub se generibus speciebusque et de indiuiduis, genus autem quod ante specialissimum est, de omnibus specialissimis et  de indiuiduis, solum autem species de omnibus indiuiduis, indiuiduum autem de uno solo particulari. indiuiduum autem dicitur Socrates et hoc album et hic ueniens, ut Sophronisci filius, si solus ei sit Socrates filius. Breuiter quaecumque superius dicta sunt commemorat hoc modo. cum, inquit, adsignauerimus quid sit genus et quid species, cumque suis ea definitionibus comprehenderimus docuerimusque unum genus semper in plurimas species solui,  2 generalissima  Sm2  (specialissimum  m1 )  ΓΛΛ  3 enim] autem  S  4 autem] uero  Λ  uero] autem  Δ  5 et Socratem animal]  A m2 A m2  ( om . et,)  Ψ  hominem et (et  om ,  AA ) animal  Α m1 Α m1 Φ  et hominem ani- mal  RS Σ  et ( om .  II ) socratem et (et  om .  Γ ) hominem ( del .  Γ m2 ) et ( om.  T ) animal  ΓΠ ;  cf. Porph. p. 7, 11 6  igitur]  RS  enim  Ω ;  Porph.    οΰν superioribus] superiora  RS TA a.c . 7 praedicantur  RS VA a.c . species] et species  R  indiuiduo]  cod. Q. Bussii brm  indiuiduis  RS Q  ( ante add.  eius  Σ );  Porph,. p. 7, 13   τοΰ άτομοο  10 sunt  RS m2   p.c  subalterna] de subalternis  A  11 enim] autem  S  13 et de  om. R  de  om. S  14 de]  Ω   cum Porph. p. 7, 17  et de  RS  15  pr . de  om. S post . de] et de  R  17 autem] enim  N TAΛΣ ;  Porph. p. 7, 19   ie  18 album] aliud  T m1  (et illud  m2 )  A m1  ut] et  Ν ΤΑ m2 ΑΣ  19 socrates sit  CEGLPRS; Porph.   εΤη Σινγ,ράτης  20 quae  FHN  21 et  om. R   illud, inquit, adiungimus quoniam omnia superiora de inferioribus praedicantur, inferiora uero de superioribus minime. et ea quae sunt utilia de PREDICAZIONE modo rite pertractat. ostendit autem genus in plurimas species semper solui adsignata generis definitione. quod enim de pluribus rebus specie  iffdiertenbus in eo quod quid sit praedicaretur, esse definiuit genus. nihil autem sunt plurimae res specie differentes nisi plurimae species; de quibus autem praedicatur genus, in ea ipsa dissoluitur. ostensum est igitur ex definitionis adsignatione unius generis esse species plures. quae cum ita sint,  genus quidem de specie PREDICARE, species uero de indiuiduis omniaque superiora de inferioribus, inferiora de superioribus nullo modo. id quare eueniat paucis absoluam. quae superiora sunt, substantialiter ea genera esse praediximus, qua uero sunt genera, ampliora sunt quam una quaeque species. neque enim  in plurima diuideretur genus, nisi ab una quaque specie maius existeret. id cum ita sit, nomen generis toti conuenit speciei; non enim coaequatur solum speciei generis magnitudo, uerum etiam speciem superuadit. idcirco igitur omnis homo animal est, quoniam intra animalis uocabulum et homo et  cetera continentur. at uero nullus dixerit : omne animal homo est; non enim peruenit ad totum animal hominis nomen, quia, cum sit minus, nullo modo generis uocabulo coaequatur. itaque quae maiora sunt, de minoribus PREDICARE, quae minora, non conuertuntur, ut de maioribus praedicentur. at uero si  qua sint aequalia, ea secundum naturae parilitatem conuerti necesse est, ut hinnibile atque equus, quoniam ita sibimet  1 quoniam] quod  S  2 uero  om. ES  4  ante genus  add. unum  FHNPR, in mg. Cm2, recte?  5 definitio ( uel  diff-)  Ea.c.GLPm1S  6 esse] et esse  R  definiuit] designauit  Sm1  10  ante  esse  add . semper  FHNP  13 id cur  HN  idcirco  F  ea  add. Em2  quae  L  ( s. l.  illa)  PS  15 quaque  E  quoque  S  17 toti] totum non  R  post  enim  repet . non  R  21 cetera] cicero  F  cetera animalia  G  23 itemque  Lm1S  24  post post. quae  s. l . uero  Hm2  26 sunt  FHLN  pari- tatem  EGLp.c.RS  27 ignibile  R  ita] si  ita H   coaequantur, ut neque equus non sit hinnibilis neque quod sit hinnibile, non sit equus. fit ergo ut omne hinnibile equus sit et omnis equus hinnibilis. quae cum ita sint, ea quae superiora sunt, non modo de sibi proximis inferioribus PREDICARE, uerum etiam de inferiorum inferioribus. nam si illud recipitur, ut ea quae superiora sunt, de inferioribus PREDICARE, inferiorum inferiora superioribus multo magis infe- riora sunt, uelut substantia praedicatur de animali, quod est inferius; sed animali inferius est homo, PREDICARE  igitur etiam substantia de homine. rursus Socrates inferius est homine, praedicabitur igitur substantia de Socrate. ita- que species quidem de indiuiduis PREDICARE, genera uero et de speciebus et de indiuiduis. quod conuerti non potest; nam neque indiuidua de speciebus aut generibus prae-  dicantur nec species de generibus. ita fit ut genus quod est generalissimum, de omnibus subalternis generibus praedi- cari et de speciebus et de indiuiduis possit. de ipso nihil. ultimum uero genus id est quod ante specialissimas species collocatur et de solis speciebus specialissimis dici potest,  species uero de indiuiduis, ut dictum est, indiuidua autem de singulis praedicantur, ut Socrates et Plato, eaque maxime sunt  1 non  om. brm post  sit (si  R )  add . nisi  CH (s. l. m2) LNPS  ni  R inhinnibilis  EG  nec  FN  quid  CF  2  pr . sit  om. S post . sit] est  CEGLm1RS ; non sit  om. brm; post add . nisi  CLNPRS ,  s. l. Hm2  ergo  om. H  enim  F  sit equus  FHNP  3 hinnibile  N, post hinn.  add . sit  L, ante P  4 sunt  om. S, ante  superiora  EGP  sibi  om. H  5 si  om. S, s. l. Hm1?  8 uelut  om. LS  ut  C  9  pr .  est s. l. Lm2   post . est  s. l. Gm2  praedicatur  CELm2RS  10 etiam  om. FG  11  ante  de  add. et  EGLR  ita  R  de speciebus]  hic desinit cod. F  14 aut] ac  R  15 itaque  CHNP  quod est] quidem  CP  quidem est  R  16  post  praedicari  add . potest  L (s. l.) m1  possit  m2 N  17 possit  om. N  potest  L post  ipso  add . uero  HNPR, s. l. Cm2Lm2  uero] autem  L  id est]  CHm2NS  id est autem est  Hm1  id autem est  EGLa.c. (id est autem  ut uid. p.c .) RP  ante  om. EGR, s. l. Pm1?  19 collocat  EGR  et  om. HN  20  post  uero  add . quae  post  indiuiduis  add . dici potest  R  autem] enim  Lm1  21 ea quae maximae  G   p. 78  indiuidua quae sub ostensionem | indicationemque digiti cadunt, ut hoc scamnum, hic ueniens atque quae ex aliqua proprie accidentium designantur nota, ut, si quis Socratem significatione uelit ostendere, non dicat Socrates, ne sit alius qui forte hoc nomine nuncupetur, sed dicat Sophronisci filius,  si unicus Sophronisco fuit. indiuidua enim maxime ostendi queunt, si uel tacito nomine sensui ipsi oculorum digito tactuue monstrentur, uel ex aliquo accidenti significentur uel nomine proprio, si solus illud adeptus est nomen, uel ex parentibus, si illorum est unicus filius, uel ex quolibet alio  accidenti singularitas demonstratur, eo quod ad esse unam praedicationem habeat eiusque dictio non transeat ad alterum, sicut generis quidem ad species, specierum uero ad indiuidua. Indiuidua ergo dicuntur huiusmodi, quoniam ex proprietatibus consistit unum quodque eorum,  quarum collectio numquam in alio eadem erit. Socratis enim proprietates numquam in alio quolibet erunt Porph. Boeth.ostensione  EGPS  ostentationem  HN  indicationeque  EGPS  indaga- tionemque  N  2  ante  hic (is  ex  hic  E )  add . ut  CEGR  et  L  atque quae]  Hm2LNP  atque  EGHm1  atque ea quae  S eaque quae  CR  propria  CH  proprietate  R  4 qui  post  forte  HP  5 forte  ante  alius  N  6 Sophronisci  LNRS; cf . ei  p. 231, 19  7 quaeant  R  si uel  ex  siue  Lm2  sensu  GL  ( ante add . siue)  P  ( ras. ex  -sui)  R  ipso  Cm1LPm1R  tactuque  H  tactu uel  R  8 monstrantur  R  accidenti significentur uel  om. EGR  accidente  N ante  uel  add . id est  CH   (del. m2) Lm2NP  9 nomine  om. EGR ,  post  proprio  S  illud  om .  S, del. Lm2  10  post  uel  add . si  HR, s. l. Lm2  11 demonstretur  S  eo quod  in ras. Cm2  eaque  H  (que  add. m2, post er . quod)  N  ea quae  P; post quod  add . accidentia  in mg. Cm2  de  (s. l.)  accidenti  in con -  textu , ał eo quod accidentia  in mg. L  ad esse unam] unam ad sese  C  ad sese unam  HN  ad se unam  L (s. l. et in mg . de se  a.c.) P  12 habeat]  EGHm2Lp.c.PRS  habet  Cm1Hm1La.c.N  habeant  Cm2L   in mg . dictio] praedicatio  CNSp.c . transit  CHNR  13 species]  m2 in CH (in mg.) P, La.c . specierum  cett . 16 quarum—pluribus  (p. 235, 3) ]  R il ,  om. cett . quarum]  Π m2 Ψ  quorum  cett . in alio  post  eadem  s. l .  \ m2  in alium  R, post  alio  add . quolibet  2   particularium, hae uero quae sunt hominis, dico autem eius qui est communis, proprietates erunt eaedem in pluribus, magis autem in omnibus particularibus hominibus in eo quod homines sunt. Quoniam superius indiuiduum appellauit, huius nominis rationem conatur ostendere. ea enim sola diuiduntur quae pluribus communia sunt; his enim unum quodque diuiditur quorum est commune quorumque naturam ac similitudinem continet. illa uero in quae commune diuiditur, communi  natura participant proprietasque communis rei his quibus com- munis est conuenit. at uero indiuiduorum proprietas nulli communis est. Socratis enim proprietas, si fuit caluus, simus, propenso aluo ceterisque corporis lineamentis aut morum institutione aut forma uocis, non conueniebat in alterum; hae  enim proprietates quae ex accidentibus ei obuenerant eiusque formam figuramque coniunxerant, in nullum alium conueniebant. cuius autem proprietates in nullum alium conueniunt, eius proprietates nulli poterunt esse communes, cuius autem proprietas nulli communis est, nihil est quod eius proprietate  participet. quod uero tale est, ut proprietate eius nihil parti-   post  particularium  add . eaedem  edd .  cum Porph. p. 7, 24  haec  Δ  eae  Φ   post hominis  s. l . proprietates  Δ  dico— communis  om. R  2 proprietates  er .  Λ  proprietatis  Γ  3 eadem  Δ m1 2   pr . in] et in  Γ   post . in] et in  ΓΛ m2 Φ  omnibus  om. S  4 in  om .  Φ   post  sunt  add . continentur  (ex p. 236, 7) R  6 ostendere conatur  C  7 <in> his  brm  quodque unum  Cm1  quibus  EGLPRS edd . 10 participan- tur  R post . communi ( om . est)  Gm1  proprietas  om. E proprietates  Gm1  12 caluus, simus] caluissimus  EGHm1  (caluus uel simus  m2 )  Lm1PR  13 perpenso  ESp.c . albo  Em1  (caluitio  m2 )  G  uentre  N  corporis  linea del., sed lin. er., s. l . corruptus  Hm2  liniamentis  CEG   LNPm2S  14  post  institutione  add . probatus  EP, s. l. Lm2 uocis]  Cm1EGPRS  uocisue sono  Cm2HLm2  (uocis uel sonus  m1 )  N  con- ueniebant  EGm1Hm1P  haec  G  16 in nullo alio  EGHLm1PS  cuius—conueniunt  om. EGLRS  cuius] eius  P  autem] uero  N  ita- que  P  in nullum—eius  om. P post  eius  add . itaque  N  igitur  L  18 poterant  EGL  potuerunt  ex  poterunt  P  potuerant  R  autem  om. LS  proprietatem  EGLRS proprietate *  (s  er .)  H  20 proprietatem  EGH   LPRS  nihil] nulli  Lm2P  participat  ER   cipet, diuidi in ea quae non participant, non potest; recte igitur haec quorum proprietas in alium non conuenit, indi- uidua nuncupantur. at uero hominis proprietas, id est specialis, conuenit et in Socratem et in Platonem et in ceteros, quorum proprietates ex accidentibus uenientes in quemlibet  alium singularem nulla ratione conueniunt. Continetur igitur indiuiduum quidem sub specie, species autem sub genere. totum enim quiddam est genus, indiuiduum autem pars, species uero et totum et pars, sed pars quidem alterius, totum autem non alterius, sed aliis; partibus enim totum est.   De genere quidem et specie et quid generalissimum et quid specialissimum et quae genera eadem et species sunt, quae etiam indiuidua, et quot modis genus et species dicitur, sufficienter dictum est. Hic retractat omnia breuiter quae supra latius absoluit dicens indiuiduum ab specie contineri, species uero ipsas a genere, huiusque causam reddens ait : omne enim genus totum est, indiuiduum pars. totum enim genus in eo quod genus est, continet, tametsi species esse potest; totum enim non  ut genus species est, sed ut ea quae supponitur generi. genus igitur in eo quod genus est, totum est speciebus, semper enim continet eas. at uero indiuiduum pars semper est, num- Porph. Boeth. proprietates  Em1NR  conueniunt  N  4  pr . et  om. C secund . in  om. S tert . in  om. HNP  5 uenientes ex accidentibus  C  ex accidente  (om . uenientes ) EGLm1RS  7 Continetur  om. R (cf. ad p. 235, 4)  con- tinentur  A m2 K m1 Z  quidem  om .  Φ  est quidem  Δ  8 totum—indi- uidua  (14) ]  R Q ,  om. cett . 9 pars—uero] pars est species autem  Δ  10  pr . totum] totum est  ΛΦ 11 sed in aliis, in partibus  edd. cum Porph. p. 8, 2  12 quod  ΛΣ  13 et quid specialissimum  om .  A  quod  A2  14 sint. R ΓΛΙIΣ;   cf. p. 237, 15  quod  GS  tot  Pm1  modis  om. S  15 dicatur  N ΥΔΛΠΦΨ ,  s. l. add .  Σ ;  cf. p. 237, 19  16 Hic  om. NR, s. l. Hm2  17 teneri  C  ipsas  om. E  ipsa  Cm1  18 huiusce  Lm2 pars  om. E  genus enim  Cm1 (ante  genus  s. l. totum  m2) HN  20 totum] tum  Hm1  tunc  Ν  enim] autem  S  23 est  ante  semper  CN  pars  post  est  LS   quam enim ipsum aliquid sua proprietate concludit. species uero et totum est et pars, pars quidem generis, totum uero indiuiduis. et cum pars est, ad singularitatem refertur, cum totum, ad pluralitatem. quoniam enim unum genus pluribus speciebus superest, una quaelibet species pars est generis, id est unius, quoniam autem species pluribus indiuiduis praeest non est uni indiuiduo totum, sed plurimis. idcirco enim totum dicitur, quia plura continet et cohercet. nam ut pars sit ali- quid, una ipsa unius pars esse poterit, ut uero totum sit,  unum ipsum unius totum esse non poterit. idcirco alterius quidem pars est species, aliis uero totum. Et de genere quidem et specie dictum est et quid sit gene- ralissimum genus, quoniam id cui nullum aliud superponitur genus, et quid specialissima species, quoniam ea cui species  nulla supponitur, et quae genera eadem sunt, eadem et species, scilicet subalterna quibus aliquid superponitur, aliquid uero supponitur, quae etiam indiuidua, ea scilicet quorum proprietates alteri nequeunt conuenire, et quot modis genus uel species dicitur, genus quidem aut in multitudine aut in pro-  creatione aut in participatione substantiae, species uero aut ex figura aut ex generis suppositione, sufficienter dictum est. quibus absolutis modum uoluminis terminabo, ut quarti area libri differentiae reseruetur.    2  ante post . pars  add . et  C ,  post er . que  L  totum  in mg. Cm2 uero  om. HN  autem  C (in mg. add. m2) L  quidem  S  3 indiuidui  Cm1NS  et] sed  CHN post post . cum  add . uero  R  4 quoniam] quod  L  7 plu- ribus  HLm2NS  9 unum ipsum  brm  12 Et] sed  in er . et  Lm2  specie] de specie  EG  13  post  id  add . est  P, s. l. Em2  14 quod  C specialissimum ( om . species,]  HN  nulla species  NR  15 superponitur  (ras. corr. E)  nulla  EG eadem  s. l. Lm2  16 supponitur  HR  aliquid uero supponitur  om. ENR, in mg. Cm2  17 ea om.  EGLPRS  18 non queunt  G  quod  Em1GN  quod quot  R  20 aut in participatione  s. l. Gm2 post substantiae  add . aut ex figura  S  consistit  edd . uero aut] autem  N  21 figura] genere  S  ex  om. E est  om. S  post  area  s. l . ubi discutiamus ea  Em2  23  ante subscriptionem initium libri IV usque ad p. 239, 6  iniecta  scriptum, post subscrip -  tionem E  ANICII MANLII (MALLII  G ) SEVERINI BOETII (BOECII  G ) V. C. ET I LL . EXCONS (EXC.  E ) ORD. PATRICII IN ISAGOGEN (YSAGOGAS  E ) PORPHYRII (PORPHIRII  E ) ID EST INTRODVCTIONE A SE TRANSLATAE (ID  eqs. om ., SCDAE  E ) EDITIONIS LIB. III. EXPL. INCIP. LIB. IIII.  EG ; EXPLICIT LIBER TERTIVS. (LIB. IIII. EXPLICIT  L ) INCIPIT (LIBER  add. LS ) QVAR- TVS  L   (add. mS)   NPRS (uariis cum. compendiis) ; LIBER QVARTVS  C; subscriptio deest in H  De differentia disputanti non aeque illud debet occurrere quod in generis specieique tractatu de collocationis ordine quaerebatur. illic enim meminimus inquisitum, cur esset omnibus praepositum genus, ut id primum ad disputationem ueniret, cur post genus species esset iniecta, nunc uero superuacuum est dicere, cur post speciem differentia sumpta sit, cum illud iam fuerit inquisitum, cur non ante speciem collocata sit. quodsi mirum uidebatur speciem differentiae in disputationis  loco fuisse praepositam, quod differentia continentior et magis amplior esset specie, quid est quod possit quisque mirari, si eandem differentiam ante proprium atque accidens collocauerit, cum proprium unius semper sit speciei, ut posterius demon- strabitur, accidens uero exteriorem quandam ostendat naturam  nec omnino in substantia PREDICARE, differentia uero utrumque contineat, et de pluribus speciebus et in substantia PREDICARE? sed haec hactenus, nunc ad ipsa Porphyrii uerba ueniamus.    Differentia nero communiter et proprie et magis  3 quod—inquisitum] Porph. Boeth. De differentia Differentiae  E  Differentia  G  Differentiam  La.c . disputanti] in disputando  CEGLm1N  non aeque illud] non illud quoque  C  3 quod] ut  HN  collationis  Cm1HN  4 quaerebatur]  hic desinit cod. S  11  ante  specie  add . ea  EG  ab  HL  est quod  om. GR  ( post  quid  add .interrgatiue)  s. l. Lm2 , sit  Em1  sit quod  m2 an  quisquam?  ad  quisque  add . iure possit  Em2  12  post  eandem  add . iure  E, s. l. Lm2  13 sit unius speciei semper  C  unius sit semper speciei  R  unius semper speciei sit  N  15 substantiam  NR  16 substantiam  Em1  ante  Differentia  inscriptio  DE ( om .  Ψ ) DIFFERENTIA  additur in   2  et magis proprie  in mg. Cm2?   proprie dicitur. communiter quidem differre alterum ab altero dicitur, quod alteritate quadam differt quocumque modo uel a se ipso uel ab alio. differt enim Socrates a Platone alteritate et ipse a se uel puero uel iam uiro et faciente aliquid uel quiescente et  semper in aliquo modo habendi alteritatibus. proprie autem differre alterum ab altero dicitur, quando inse- parabili accidenti ab altero differt. inseparabile uero accidens est ut nasi curuitas, caecitas oculorum, cicatrix, cum ex uulnere obcalluerit. magis proprie  differre alterum ab altero dicitur, quando specifica differentia distiterit, quemadmodum homo ab equo specifica differentia differt rationali qualitate. Tribus modis aliud ab alio distare PREDICARE genere. specie, numero, in quibus omnibus aut secundum substantiales  quasdam differentias alia res distat ab alia aut secundum accidentes. nam quae genere uel specie distant, substantialibus quibusdam differentiis disgregata sunt, idcirco quoniam genera et species quibusdam differentiis informantur. nam quod homo ab arbore genere distat, animalis sensibilis qua-  litas in eo differentiam facit. addita enim sensibilis qualitas praediximus] dicitur]  λεγέσ&ω   Porph. p. 8, 8; cf . nuncupatur  infra communiter—distiterit  (12) ]  R Q ,  om. cett . 2 ab  om .  A , s. l .  Γ  3 ipso  om. R  4  pr . a  om. R X  puero] a puero  ΣΦ  5 uiro] a uiro  Φ  et]  R T  uel  cett.; Porph. p. 8, 11 χοιί  aliquod  S  6 habendi] habendi se  Φ ;  Porph. p. 8, 12   τού πώς εχειν  7 ab  om .  ΔΛΣ  quandam  R  8 accidente  R ;  post add . alterum  edd. cum Porph. p. 8, 13  ab  om .  Σ  10 coaluerit  Σ m2 post proprie  add . autem  ΓΔ   (fort. recte)  uero  Φ ;  Porph. p. 8, 15   hi  11 ab  om .  ΛΣ  12 destiterit  TX m1 AZ  quem- admodum—differt  del. Lm1?  13 differentia  om. Ν Σ   ante  rationali  add . id est  CEGL, s. l .  Hm2 A m1?  rationabili  CEGLPR  14 ab]  LP, om. cett . 17 accidens  CEm2 accidentales  Lm2  18 disgregata— quibusdam  om. N, s. l. R  19  post  quibusdam  add . substantialibus  Hm2 edd.,recte? ad  informantur  s. l.  disregantur  N  21 ea  Hm1Lm2NP   animato animal facit, eidem detracta facit animatum atque insensibile, quod uirgulta sunt. igitur homo atque arbor genere differunt — utraque enim sub animalis genere poni non possunt, differentia sensibili secundum genus discrepant, quae unius ex propositis tantum genus, id est hominis informat, ut dictum est. illa uero quae specie distant manifestum est quod ipsa quoque differentiis substantialibus discrepant, ut homo atque equus differentiis substantialibus discrepant, rationabilitate atque inrationabilitate. ea uero quae indiuidua sunt et solo  numero discrepant, solis accidentibus distant. haec autem sunt uel separabilia uel inseparabilia, separabilia quidem, ut moueri, dormire; distat enim alius ab alio, quod ille somno prematur, bic uigilet. distat item inseparabilibus accidentibus, quod hic staturae sit longioris, hic minimae. Quae cum ita sint, in ternarium numerum has differentiarum diuersitates Porphyrius colligit hisque ipse nomina quibus post utatur, apponit dicens : omnis differentia uel communiter uel proprie uel magis proprie nuncupatur, communiter quidem eam differentiam sumens quae quodlibet accidens monstret, quae in  quadam alteritate consistit, ut si Plato a Socrate differat, quod ille sedeat, hic ambulet, uel quod ille sit senex, hic  5 ut dictnm est] p. 208, 17 ss.   1 eiusdem  E  et idem  G  eadem  L  inanimatum  L , in-  er. EP; cf. p. 208, 14 ss . 2  post  arbor  add . quae  H   (linea del., sed lin. er.) L (del. m1) N  3 animali ( om . genere)  N  4  ante  differentia  add . sed ex  E  nam  brm, post s. l . igitur  Pm2  5 praepositis  CLm1N positis  Em1, s. l . homine et arbore  Lm2Em2  6 distant specie  C  quod  om. CHN  7 dis- crepare  CHN  ut—discrepant  om. EGL, s. l. R  8 discrepant  om. C  9  post  inrationabilitate  add . distant  L  10 sunt  add. Lm2, in mg. Pm2  13 distant  Hm1Pm2  distet  L  distat enim  E  14 sit  om. R, ante staturae  HN  staturae sit  post  longioris  L  minimae]  Ppr  minime  cett. codd. bm  16 isque  EG ipsis  C  post utatur] postulatur  EGR  17 propria  Ca.c.L  18 propria  L  differentiam eam  HNP  a differentia  (om. eam) E  19  ad  sumens  s. l . exordium  Em2  monstraret  EGLm1  (demonstraret  m2 )  R  20 ut si] uti  EGLm1  (uti si  m2 )  R  a  om. CGR, s. l. Lm1?Pm2  differt  ex  -rat  E  21 sit  om. C  est  EGL (s. l.) R   iuuenis. a se ipso etiam saepe aliquis differre potest, ut si nunc quidem faciat aliquid, cum ante quieuerit, uel si nunc adulescens iam factus sit, cum prius tenera uixisset infantia. communes autem differentiae nuncupatae sunt, quoniam nullius propriae esse possunt differentiae, sed separabilia accidentia  sola significant. nam et stare et sedere et facere aliquid ac non facere multorum atque adeo omnium et separabilia esse accidentia manifestum est. quibus si qui differunt, communibus differentiis distare dicuntur. praeterea puerum esse atque adule- scentem uel senem, ea quoque separabilia sunt accidentia. nam  ex pueritia ad adulescentiam atque hinc ad senectutem, ab hac denique ad decrepitam usque aetatem naturae ipsius necessitate progredimur. illud forsitan sit dubitabile de unius cuiusque forma corporis, an ullo modo separari queat. sed ea quoque est separabilis, nullius enim diuturna ac stabilis forma perdurat. idcirco nec peregrinus pater relictum domi puerum, si adulescentem redux uiderit, possit agnoscere; forma enim semper quae ante fuerat, permutatur atque ipsa alteritas qua distamus ab altero, semper diuersa est. Constat igitur hanc communem differentiam separabilibus maxime accidentibus  applicari, propria uero est quae inseparabilia significat acci- dentia. ea huiusmodi sunt, ut si quis caecis nascatur oculis, si quis incuruo naso; dum enim adest nasus atque oculi, ille caecus, ille erit semper incuruus. atque haec per naturam. sunt uero alia quae per accidens corporibus fiunt, ut si cui uulnus  1  post  differre  add . quidem  L  2 cum ante  in mg. Cm2  nunc si  C  3 iam  er. L, post  nunc  N  5 proprie  CL  sed]  CLm2NP ,  om. EG , et  R  quae  HLm1  separabiles  E, post add . enim  Lm1, del. m2  6  pr . et  om. P  ac] et  HNP  7 ideo  EGL post  omnium  add-  sunt  edd . et  om. H  esse  om. G, post  accidentia  EL ; separabilium esse accidentium  N  8 si  om . N quid  EG  qua  R  9 discuntur  E 10  ante  separabilia  add . ueraciter  R  14 eo  Lm1  15 est separabilis] est separabilis forma  PR separabilis forma est  EGL  nullius—per- durat  om. GR, in mg. Cm2, s. l. Pm2  ac stabilis] et stabilis  C  ( ut uid .)  N  ac stabili  P  estimabilis  E  18 alteritas ipsa  EG  19 altera  EGLm2R  22 nascetur  Em1  24  ante  erit  add. etiam  R  semper  om. C   inflictum cicatrice fuerit obductum, haec si obcalluerit, pro- priam differentiam facit; distabit enim alter ab altero, quod hic cicatricem habeat, ille uero minime. postremoque in his omnibus uel separabilibus accidentibus uel inseparabilibus alia  sunt naturaliter accidentia, alia extrinsecus, naturaliter quidem ut pueritia uel iuuentus et totius conformatio corporis, sic caeci oculi et curuitas nasi. et superiora quidem exempla separabilis accidentis per naturam sunt, posteriora uero inse- parabilis. item extrinsecus uel ambulare uel currere; id enim  non natura, sed sola affert uoluntas, natura uero posse tan- tum dedit, non etiam facere. atque haec sunt separabilis accidentis extrinsecus uenientis exempla, illa uero inseparabilis, ut si qua cicatrix obducta uulneri obcalluerit. Magis propriae autem differentiae praedicantur, quae non accidens, sed substantiam formant, ut hominis rationabilitas; differt enim homo a ceteris, quod rationalis est uel quod mortalis hae sunt igitur magis propriae, quae monstrant unius cuiusque sub- stantiam. nam si illae quidem idcirco communes dicuntur, quia separabiles atque omnium sunt, aliae autem propriae,  quoniam separari non possunt, quamuis sint in accidentium numero, illae iuro magis propriae praedicantur, quae non modo a subiecto separari non possunt, uerum subiecti ipsius speciem substantiamque perficiunt. ex his igitur tribus differentiarum diuersitatibus, id est communibus, propriis ac magis propriis,  fiunt secundum genus uel speciem uel numerum discrepantiae nam ex communibus et propriis secundum numerum distantiae nascuntur, ex magis propriis uero secundum genus ac speciem.  1  ante cicatrice  add . si  H  6 uel  om. C  formatio  HNPm2  sic]  HPm1  (et si  m2 )  Rm1  (sieque  m2 ) si  EGLm1  (sique  m2 ) tum  CN  9  post  currere  add . sunt  E  10 uoluptas  L  11 at  Em1  atqui  m2 separabilis sunt  C  13 uulneris  Lm2P  autem propriae  La.c.R  14 substantia  Cm1  15 informant  Pm2, recte?  16 a  om. HN  rationa- bilis  EGLPR post  mortalis  add . est  C  hae]  Hp.r.L  haec  cett . sunt igitur] enim sunt  H  20 quoniam] quod  R  22 ab  G post  ipsius  add . suis  Em1, del. m2  23 tribus igitur  CG  24 ac  s. l. Em2 , et  CR    Uniuersaliter ergo omnis differentia alteratum facit cuilibet adueniens, sed ea quae est communiter et proprie, alteratum facit, illa autem quae est magis proprie, aliud. differentiarum enim aliae quidem alte- ratum faciunt, aliae uero aliud. illae quidem quae  faciunt aliud, specificae uocantur, illae uero quae alteratum, simpliciter differentiae. animali enim differentia adueniens rationalis aliud fecit et speciem animalis fecit, illa uero quae est mouendi, alteratum solum a quiescente fecit; quare haec quidem aliud,  illa uero alteratum solum fecit. Omnis differentia alterius ab altero distantiam facit. sed haec uel est communis et continens uel cum quodam proprio et magis proprio differentiarum modo. quare quicquid qualibet ratione ab alio diuersum est, alteratum esse dicitur. si uero  accesserit illi diuersitati ut etiam specifica quadam differentia sit diuersum, non alteratum solum, uerum etiam aliud esse praedicatur. alteratio igitur continens est, aliud uero intra alterationis spatium continetur; nam et quod aliud est, alteratum est, sed non omne quod alteratum est, aliud dici potest.  itaque si accidentibus aliquibus fuerit facta diuersitas, alteratum  1—11] Porph. p. 8, 17—9, 2 (Boeth. p. 34, 7—15).   1 ergo] uero  CEGR; Porph. osv  alterum  E h m2 A  2 sed ea—quiescente fecit  (10) ]  Ω ,  om. cett . ea quae est  eqs. ]  cum cod. A Porph. cett.   α: μένκοιοϋσιν, a: 81 άλλο  3 alterum  Δ ,  item 4  autem] uero  ΔΣΦ  7 altera  Φ*  enim] autem  A a.c . 8 ratio- nale  2  facit  ΓΣΦ   item 9; Porph. p. 9, 1   ίποίησεν  et speciem animalis fecit  om. codd. quidam Porph., deleri uult Busse  10 faci(??)  ΓΔ m2 ΣΦ  qua * ( (??)  ? er.)  re *   C  qua in re (si  add. GLm1, s. l . siqui- dem  m2 )  EGL  11 ille  Gm1  illae  Δ  solum  om. EG, s. l. Cm2 , solum modo  P  fecit]  ΔΛ ,  om. P,  facit  cett.; Porph. p. 9, 2   έποίηοιν  13 uel est]  L  uel ex  EG  est uel  N, om . est  CR, om . uel  HP   (ante  est  add . quidem )  communi  EG continenti  E ( -ti * ) G  cum  om. N, s. l. Em2  eo  m1  14 proprio] proximo  GR, post  proprio  add . uel ma- ximo  P  18 inter  Gm1  19 nam et]  Hm1NR  igitur et  EG  igitur omne  ( et  add. C) CHm2L  21 erit  HN   quidem effectum est, quoniam quidem quolibet modo uel ex quibuslibet differentiis considerata diuersitas alterationem facit intellegi, aliud uero non fit, nisi substantiali differentia alterum ab altero fuerit dissociatum. itaque communes et propriae  differentiae, quoniam accidentium, ut dictum est, sunt, solum efficiunt alteratum, aliud uero minime, magis propriae autem, quoniam substantiam tenent et in subiecti forma praedicantur, non modo alteratum, quod est commune uel substantiali uel accidenti differentiae, sed etiam aliud faciunt, quod ea sola  retinet differentia quae substantiam continet formamque subiecti. atque hae quidem differentiae quae faciunt aliud, specificae nuncupantur idcirco, quod ipsae efficiunt speciem; quam cum substantialibus differentiis informauerint, faciunt ab aliis ita esse diuersam, ut non alterata solum sit, uerum etiam  tota alia praedicetur. itaque fit huiusmodi diuisio, differentiarum ut aliae alteratum faciant, aliae nero aliud. et illae quidem quae faciunt alteratum, simpliciter puro nomine differentiae nuncupantur, illae uero quae aliud, specificae differentiae PREDICARE atque ut planius liqueat quid sit alteratum, quid  aliud, tali describuntur termino uel declarantur exemplo : aliud est quod tota speciei ratione diuersum est, ut equus ab homine, quoniam rationalis differentia animali adueniens hominem fecit aliudque eum quam equum esse constituit. item si unus homo sedeat, alter assistat, non efficietur homo diuersus ab homine,  sed eos alteratio sola disiungit, ut eum qui assistit ab eo qui  5 ut dictum est] p. 242, 4 ss. 19 ss.   1  post , quidem  om. HNP, del. Lm2  uel ex quibuslibet  om. H  ad  differentiis  s. l . uel diuersitatibus  Rm1 ? 7 formam  N  9 accidentali  Hm2NPm2 facit  EGLP  10 quae  er. C  11 hee  P  12 ipsae  om. EGLR  14 alteratum  E (in ras. m2) P  alterum  GLR  15 aliud  R  sit  E  16 ut  om. EH  faciunt  HNR  facient  Em2  facie  m1  20 describantur  Em1 21 ratione specie  (sic) E  ab  om. EGL, s. l. HP  22 facit  HLNPm1  23 esse] est  Em1  ita  R  itaque  N  24 effi- citur  N  efficiatur (ur  add. m2 )  P   sedet faciat alteratum. item si ille sit nigris oculis, ille caesiis, nihil, quantum ad formam humanitatis attinet, permutatum est. ita secundum has differentias alteratio sola consistit. at si equus quidem iaceat, homo uero ambulet, et aliud est equus ab homine et alteratum, dupliciter quidem alteratum, semel  uero aliud. alteratum est enim, uel quod omnino specie diuersum est — et est aliud; omne enim aliud, ut dictum est, etiam alteratum est —, uel quod accidentibus distat, quod ille iaceat, hic ambulet, semel uero est aliud, quod rationabili atque inrationabili differentiis dis|gregatur, quae specificae sunt  et substantiales dicuntur. est igitur alteratum quod ab alio qualibet ratione diuersum est. Secundum igitur aliud facientes diuisiones fiunt a generibus in species et definitiones adsignantur, quae sunt ex genere et huiusmodi differentiis, secundum  autem eas quae solum alteratum faciunt, alteratio sola consistit et aliquo modo se habendi permutationes. Quoniam in principio operis huius generis, speciei, differen-  13—17] Porph. p. 9, 2—6 (Boeth. p. 34, 15—19). 18 in prin- cipio o. h.] p. 147, 5.   1 facit  Em1G  item  om. EGR, in mg. Hm2, s. l. Lm2 si  om. EGL, post  ille  R, in mg. Hm2 post . ille] iste  N  caesius  La.c . (ce-)  Pm1  caecis  N  cecus  C  3 item  in ras. L post  has  add . quo- que  HNP, s. l. Lm2  sola  s. l. Em2  ut  GN  4 uero  om. E  5 ab] de  P pr . alterum  GLm1  6  post  uero  add . est  C  enim  om .  H  (quidem  add. post est )  N, ante est  CGPR  7 enim  om. G  8 distet  R  9 iacet  HLm1N  ambulat  H  rationali atque inrationali  HLm2R  10 differentia  N  segregatur  CR  specificae sunt] differentiae specificae  C  13  post facientes  add . differentias  edd., om. codd. cum cod. C Porph. p. 9,3 et Dauide commentatore p. 177, 23 (Busse); post add . et  edd. cum Porph .  τέ  14 quae— faciunt  (16) ]  L Q ,  om. cett . 15  ante  sunt  add . definitiones  Γ  definitiones scilicet  Δ  et] ex  Δ m2  16  ante  alteratio  add . at  CG alteratio sola consistit]  ai έτερότητες μο'νον συνί- ατανται   Porph. p. 9, 5  17 et] in  CEGLR  ad  Δ ;  Porph.   v.at  aliquo modo] aliquando  Γ  se  add. Em2  habentis  R  habentibus  EGLm1 permutatione  R  permutationibus  CEGLm2  18 huius  om. EGR, ante  operis  s. l. Lm2 specieique  EGLNPR; tiae, proprii accidentisque notitiam ad diuisionem atque ad definitionem utilem esse praedixit, idcirco nunc differentiarum ipsarum facta diuisione easdem partitur et segregat, quaenam differentiae diuisionibus ac definitionibus accommodentur, quae  uero minime. quoniam igitur diuisio generis ita in species facienda est, ut illae a se species omni substantiae ratione diuersae sint, idcirco non probat assumendas esse eas ad diuisionem differentias quae uel separabilis uel inseparabilis accidentis significationem tenent, idcirco quoniam, ut dictum est,  solum faciunt alteratum, aliud uero perficere et informare non possunt. inutiles igitur sunt ad diuisionem hae differentiae quae faciunt alteratum. segregandae igitur sunt communes et propriae a generis diuisione, illae assumendae tantum quae sunt magis propriae. illae enim faciunt aliud, quod generis  diuisio uidetur exposcere. ad definitionem quoque eaedem magis propriae plurimum ualent, communes et propriae uelut inutiles segregantur; communes enim et propriae, quoniam accidens diuersi generis ferunt, nihil substantiae ratione conformant, definitio uero omnis substantiam conatur ostendere.  specificae uero differentiae illae sunt quae, ut superius dictum est, speciem informant substantiamque perficiunt; hae sunt magis propriae. eaedem igitur sicut in diuisionem, ita etiam in definitionem assumuntur. ut enim dictum est, eaedem diffe-  9 ut dictum est] superius] ut enim dictum est] infra p. 253, 12 ss. 258, 9 ss. 260, 6 ss.   2 definitionem] defensionem  G  utile  E  4 ac definitionibus  om .  EG  5 diuisio igitur  E  7 eas  ante  assumendas  P, ante  esse  HN  diuisiones  NRm1  8 uel inseparabilis  om. EGR  9 idcirco—faciunt] uel eas differentias quae faciunt (faciant  R )  EGL (del. m2) R  10 aliud— alteratum  (12) om. EGR  14 aliud faciunt  C  15 definitionem] diui- sionem  Cm1EGLm1  eadem  Em1G  16 plurimum  om. EG post  ualent  add . nam  EGL (del. m2) P  17 uelut—propriae  om. EGR  enim  om. CH  18 proferunt  Lm2Pm2 procedent  m1  praecedunt  N a.c. informant  N  hee  CP  haec  E  22 eaedemque  C  eadem  Em1GL  diuisione  GN, add . generis  GL  etiam  om. HN  et  P  23 diffinitione  N  ut enim— sumuntur  om. edd .   rentiae nunc quidem constitutiuae ad definitionem specierum sumuntur, nunc diuisiuae ad partitionem generis accommodantur. ita igitur cum diuisiuae sunt generis, aliud constituunt, in substantiae uero definitione speciei informationem faciunt, cumque magis propriae et aliud faciant et specificae sint, eo  quidem quo aliud faciunt, diuisionibus aptae sunt, eo uero quo speciem informant, definitionibus accommodatae sunt. communes autem et propriae quoniam neque aliud faciunt, sed alteratum, neque omnino substantiam monstrant, aeque a diuisione ut a definitione disiunctae sunt. A superioribus ergo rursus inchoanti dicendum est differentiarum alias quidem esse separabiles, alias uero inseparabiles. moueri enim et quiescere et sanum esse et aegrum et quaecumque his proxima sunt, separabilia sunt, at uero aquilum esse uel  simum uel rationale uel inrationale inseparabilia. inseparabilium autem aliae quidem sunt per se, aliae Porph. Boeth. assumuntur  Ea.c . partitionem] coparationem  N  3 ita—faciunt  (4) in mg. sup. Hm2  Ita igitur cum diuisio generis aliud quaerat. substantia uero speciei informationem  Hm1, eadem uerba loco  ita—faciunt  adiungit N  Ita igitur cum ad diuisionem generis aliud querant. aliud uero ad speciei informacionem faciunt  Hm3  3 diuisiuae]  CHm2LN   (priore loco) Pm1  diuisione  EG  ad diuisionem  Hm3R  diuisio  Hm1N (post. l) Pm1  sunt]  CHm2LN (pr. l.), om. EGHm1 et 3 N (post. l.) R, s. l. Pm2  constituunt]  CHm2N (pr. l.) Pm2  quaerat  Hm1N (post. l.) Pm1  quaerant ( uel  que-,)  Hm3R  quam erat  EG  constituunt quam erat  L  in substantiae uero definitione]  CHm2LN (pr. l.) Pm2  in substantia uero  Pm1R  substantia uero  EGHm1N (post. l.)  aliud uero  Hm3  4  post  uero  add . ad  Hm3  faciunt  om. EHm1N (post. l.)  5  pr.  et  om. HN, s. l. Pm2  faciunt  Lm1Pm1  et] ac  C  eo] in eo  N  6 quidem  om. L  quod  HLm1NP (d  er .) uero] modo  N  7 quod  HRm1  9 sed] sub  G  monstrat  CGm1  11 ergo  om .  H  uero  N 2 ;  Porph. p. 9, 7   ouv  rursus  om. H  12 aliae... aliae  h m1  separabiles esse  Φ  13 alias uero—perceptibile  (p. 249, 2) om. C  moueri—perceptibile]  R Ω ,  om. cett . 14  ante  quaecumque  s. l . omnia  Λ  15 at—inseparabilia  in sup. mg .  h m2  acylum  ΓΦ  acilum  ΛΣ ,  sim. . al . 16  post  inseparabilia  add . sunt PAS<P   edd. Busse, om.R h   cum Porph. p. 9,10   uero per accidens; nam rationale per se inest homini et mortale et disciplinae esse perceptibile, at nero aquilum esse uel simum secundum accidens et non per se. Superius differentias triplici diuisione partitus est dicens aut communes esse aut proprias aut magis proprias, dehinc easdem alia diuisione in duas secuit partes dicens has quidem aliud facere, illas uero alteratum. nunc tertiam earum quidem facit diuisionem dicens alias esse separabiles, alias inseparabiles, posse autem de uno quoque cuius multae sunt differentiae, plurimas fieri diuisiones ex ipsa differentiarum natura manifestum est. nam si omnis diuisio differentiis distribuitur, quorum multae sunt differentiae, multas etiam diuisiones esse necesse est. fit autem ut animal diuidatur quidem hoc modo: animalis alia quidem sunt rationabilia, alia in rationabilia, item alia mortalia, alia inmortalia; item alia pedes habentia, alia minime; rursus alia herbis uescentia, alia carnibus, alia seminibus. ita nihil mirum uideri debet, si multiplex differentiae est facta partitio.ac primum quidem cum in ternarium numerum differentiae membra secuisset, communes et proprias et magis proprias nuncupauit. secunda uero diuisio communes et proprias intra nomen alteratum | facientis inclusit, magis proprias uero intra aliud facientis. haec nero tertia diuisio, quae ait dif- ferentiarum alias esse separabiles, alias inseparabil es,  5 Superius... dicens aut eqs.] p. 239, 18. 7 dicens has eqs.| p. 244, 2.   2 perceptibile]  ΦΨ  perceptibilem  cett . ( in mg . capacem  T ) 3 uel] et  Γ  simium  P post  accidens  add . est  Γ ,  s. l. Lm2, ras. in E  et  om. Ν ΑΣ  4  post  se  add.  est  P  5 differentia  R  7 dicens  in mg. Hm2  8 earum quid  R  earundem  CN  quidem  post pr . alias  C  9  post post , alias  add . uero  C  14 animal] in animali quod  H  diuiditur  H  quidem  ante  diuidatur  Lp, om. brm  15 animalium  N edd . quidem  post  sunt  NP, om. H  rationalia alia inrationalia  H  18 item  P  20  post  secuisset  add . ait  HP  aut  CN  et magis—et proprias  om. EG  21 nun- cupari  H  nuncupauerit  LPR  22 facientes  CNPm1  propria  R  proprium  Em1GLp.c . 23 facientes  CN  qua  CLNRm1   unam quidem ex alteratum facientibus separabilibus differentiis adiungit, ceteras uero intra inseparabilis differentiae uocabulum claudit. una quidem ex alteratum facientibus. id est propria differentia, et reliqua quae aliud facere demonstrata est, id est magis propria, inseparabiles differentiae esse dicuntur.  quarum subdiuisio fit. inseparabilium differentiarum aliae sunt per se, aliae secundum accidens, per se quidem magis pro- priae, secundum accidens uero propriae. per se autem aliquid inesse dicitur quod alicuius substantiam informat. si enim idcirco quaelibet species est, quoniam substantiali differentia  constituitur, illa differentia per se subiecto adest neque per accidens aut per quodlibet aliud medium, sed sui praesentia speciem quam tuetur informat, ut hominem rationabilitas. homini enim huiusmodi differentia per se inest, idcirco enim homo est, quia ei rationabilitas adest; quae si discesserit,  species hominis non manebit. et has quidem quae substanti- ales sunt, inseparabiles esse nullus ignorat; separari enim a subiecto non poterunt, nisi interempta sit natura subiecti. secundum accidens nero inseparabiles differentiae sunt hae quae propriae nuncupantur, ut aquilum esse uel simum; quae  idcirco per accidens nuncupantur, quoniam iam constitutae speciei extrinsecus accidunt nihil subiecti substantiae commodantes.   Illae igitur quae per se sunt, in substantiae  Porph. Boeth. ex  om. EG, in inf. mg. L  alteratum  post  facientibus  R, om. G post  facientibus  add . id est communem  L (in inf. mg.) P  2 adiungit] ponit  La.c . cetera  R  ceterasque  Lm2  alteram  C  3 una  ras. ex  una  C  quidem] quidem fit  G  quippe  HN  4 et  om. G, s. l. E  5 inseparabilis  E  esse  om. G  6  post  quarum  add . quidem  Lp  ita  brm post  aliae  add . enim  EGL  8 inesse aliud ( ex  aliquid  m2 )  L  11 neque] non  Lm2R, ante  neque  add . quae  Hm2  12  post  medium  add . quae sunt propria  Hm1, del. m2  13 rationalitas  H, item 15  15 ei  s. l. Hm2  16 quidem eas  (sic) C  17 nullus esse  C  18 nisi] ni EG 20 proprie  CN  aquilum]  cf. p. 248, 15  22 accedunt  Hm1N  subiecto  Hm1  subiectae  Lm1N   (-te)  24 Igitur illae  C  in  om .  N   ratione accipiuntur et faciunt aliud, illae uero quae secundum accidens, nec in substantiae ratione dicuntur nec faciunt aliud, sed alteratum. et illae quidem quae per se sunt, non suscipiunt magis et  minus, illae uero quae per accidens, uel si inseparabiles sint, intentionem recipiunt et remissionem; nam neque genus magis aut minus praedi- catur de eo cuius fuerit genus, neque generis differentiae, secundum quas diuiditur; ipsae enim  sunt quae unius cuiusque rationem complent, esse autem uni cuique unum et idem neque intentionem neque remissionem suscipiens est, aquilum autem esse uel simum uel coloratum aliquo modo et intenditur et remittitur. Differentiis rite partitis earum inter se distantiam monstrat atque unam quidem repetit quam superius dixit. cum enim tres esse dixisset differentias, communes, proprias, magis proprias, alteratum facere dixit proprias, sicut etiam communes, aliud minime, sed hoc solis magis propriis reseruauit. nunc  igitur idem repetit dicens quoniam inseparabiles differentiae quae substantiam monstrant, id est quae per se subiectis speciebus insunt easque perficiunt, aliud faciunt, illae uero superius] rationem  GR h  suscipiuntur  Lm2  percipiuntur  Φ  aliud] illud  E  illae—suscipiens est  (12) ]  Ω ,  om. cett . 3 dicuntur] accipiuntur  Φ   (ex 1); Porph. p. 9, 16   λαμβάνονχαι   uel παραλαμβάνοντα   codd .,  λέγονται   Dauid comment. p. 184, 16  alteratum] alterum  W- m1  et  om .  Γ  4 quidem  om .  Λ  uero  Γ  5 uero quae] quidem  Γ  si  om .  Φ  6 sunt  ΔΣΦ brm Busse; Porph. p. 9, 18   v.dv—Jaw  7 aut]  Λ   Busse  et  cett. codd. edd. (cf. 4); Porph. p. 9, 19   ή   cod. M   m;   cett . 9 ipsae]  otuxat   Porph. p. 9, 20  10  post  rationem  add . id est diffinitionem  Φ  11 neque—remissionem  cum Porph. p. 9, 21 cod. Μ ,  ooxe ανεσιν οντε έπίχασιν   cett . 12 aquilum]  cf. ad p. 248, 15  autem  om. P  13  pr . uel] et  Γ  colorari  Em1  et  om. CLR  14 et] uel  R  17 esse  post dixisset  HNP, ante  tres  P  18 alteratum—proprias] proprias alte- ratum facere dixit  HNP  19  post  aliud  add . uero  HNPR, s. l. Lm2   quae sunt propriae, id est secundum accidens inseparabiles differentiae, neque in substantia insunt nec aliud faciunt, sed tantum, ut superius dictum est, alteratum. item alia distantia est earum differentiarum quae secundum substantiam sunt, ab his quae secundum accidens, quoniam quae substantiam mon-  strant, intendi aut remitti non possunt, quae uero sunt secundum accidens, et intentione crescunt et remissione decrescunt. id autem probatur hoc modo. uni cuique rei esse suum neque crescere neque deminui potest; nam qui HOMO (cavallo) est, UMANITA (cavallita) suae nec crementa potest nec detrimenta suscipere. nam neque  ipse a se plus aut minus hodie uel quolibet alio tempore homo esse potest nec homo rursus ab alio homine plus homo potest esse uel animal. utrique enim aequaliter animalia, aequaliter homines esse dicuntur. quodsi uni cuique esse suum nec cremento ampliari potest nec inminutione decrescere,  quod per id facile monstrari potest, quoniam quae genera sunt uel species, nulla intentione uel remissione uariantur, non est dubium quin differentiae quoque, quae unius cuiusque speciei substantiam formant, nec remissionis detrimenta suscipiant nec intentionis augmenta. itaque substantiales differentiae  neque intentionem neque remissionem suscipiunt. huius causa haec est. quoniam esse uni cuique unum et idem est, et  p. 84  intentionem re|missionemue non suscipit huius exemplum. genus  2 nec  N  substantiam  N  sunt  EN  neque  edd . 4 est]  L   (s. l. m2) P edd., om. cett . sunt  om. E  5 secundum accidens quo- niam quae  om. EGP  6  ante  intendi  add . quae  EGP post  pos- sunt  add . secundum  (s. l. E)  accidens  EGP  sunt  om. CHL  7 in- tentione] intensione  Pm2 edd., item 17—p. 253, 6  9 deminui]  Pm1  minui  L (ex  diminui  m2) N  diminui  cett . quia  C  10 decrementa Em1G edd . 11 uel] aut  L  12 neque  N  13 uterque  P  aequa- liter—dicuntur] aequaliter corporales. aequaliter animati. aequaliter ho- mines esse dicuntur  H, eadem uerba loco æqualiter— dicuntur  adiungit sic  utrique enim aequaliter  eqs. N  15 ampliorari  EGLPm1  17  ante  non  s.. et ob hoc  Em2  informant  Pm2  21 suscipient  N  cuius  HNP  22  post  unum  add . est  L  23 remissionemque  N post  exemplum  add.  sit  Lm1 edd. (ante  huius  distinctio) , est  Lm2, s. l. Hm2   enim dici non potest plus minusue cuilibet genus; omnibus enim genus aequaliter superponitur differentiae quoque quae diuidunt genus et informant speciem, quoniam speciei essentiam complent nec intentionem recipiunt nec remissionem. quae  uero secundum accidens differentiae sunt inseparabiles, ut aquilum esse uel simum uel coloratum aliquo modo, et intentionem suscipiunt et remissionem. fieri enim potest ut hic paulo sit nigrior, hic uero amplius simus, ille minus aquilus, at uero quod non omnes homines aequaliter rationales mor-  talesque sint, nec specierum nec differentiarum natura uidetur admittere.   Cum igitur tres species differentiae consi- derentur et cum hae quidem sint separabiles, illae uero inseparabiles, et rursus inseparabilium cum  hae quidem sint per se, illae uero per accidens, rursus earum quae sunt per se differentiarum aliae quidem sunt secundum quas diuidimus genera in species, aliae uero secundum quas ea quae diuisa sunt specificantur, ut cum per se differen-  tiae omnes huiusmodi sint, animati et inanimati, Porph. Boeth. differentiarum—19 specificantur] Abaelardus, Introduct. ad theolog., II p. 94.   1  post  cuilibet  add . esse  L edd . 2 quae  om. GPR, del. Hm1?  3 formant  CEGLm1R  species  Lm2NP  ante  quoniam  add . quae  EGHLPR  essentiam] substantiam  N  4  ante  quae  add.  ill<a>e  G aquilum]  cf. ad p. 248, 15  colorari  EG  8 nigrior sit  HNP  hic— aquilus] hic uero minus hic magis acilus ille autem minus hic amplius simus illo uero minus  E amplius simus] amplissimus  G, add . sit  L  aquilus]  ut  6 9 non quod  R  ut non  HNPm1  quoniam non  m2  ratio- nabiles  ELm2P  12 considerantur  Λ m2  ( in er . -entur)  2  13 haec  EG  illae—sensibilis  om. CEG  14 et—sensibilis  (ibid.) om. HLNP  16 rursus—sensibilis  (ibid.) om. R  per se sunt  Λ2Φ  17 quidem  om .  Λ2  18 ea]  ΓΔΨΨ   edd . haec  ΛII2  20 animatum et inanimatum sensibile et insensibile rationale et inrationale mortale et inmortale  h m1 animati—insensibilis]  Porph. p. 10, 4   εμψύχου και αίαβητικου   ante  sint  add . animalis  edd. cum Porph .  τοϋ ζώου   quattuor  et  om.   sensibilis et insensibilis, rationalis et inrationalis, mortalis et inmortalis, ea quidem quae est animati et sensibilis differentia. constitutiua est substan- tiae animalis — est enim animal substantia animata sensibilis, ea uero quae est mortalis et  inmortalis differentia et rationalis et inrationalis, diuisiuae sunt animalis differentiae; per eas enim genera in species diuidimus. Fit nunc differentiarum plena et suprema diuisio, quae est huiusmodi. differentiarum aliae sunt separabiles, aliae inse-  parabiles, inseparabilium aliae sunt secundum accidens, aliae substantiales. substantialium aliae sunt diuisibiles generis, aliae coustitutiuae specierum. quod uero ait : cum igitur tres species differentiae considerentur, ad hoc retulit, quod in prima differentiarum diuisione partim eas communes esse,  partim proprias, partim magis proprias dixit, quas rursus tres differentias alias separabiles esse monstrauit, alias inseparabiles, separabiles quidem communes, inseparabiles uero proprias ac magis proprias. inseparabilium uero fecit diuisionem dicens alias esse secundum accidens, quae propriae nuncupantur, magis  proprias uero secundum substantiam considerari. earum uero quae secundum substantiam sunt, subdiuisionem facit, quod  3 constituta  T m1  4  post  animata  add . et  ΓΛ   Busse, om .  ΔΠΣΦΨ Porph. (p. 10, 6) edd . 5 ea] he  ex  e  Rm2  est] sunt  R  6 diffe- rentia  om .  CEGPR  et  om .  CLR \\ rationabilis et inrationabilis (rac-  et  irrac-  P )  Lm2P  7 diuisi  Em1  diuisae  GPm1  has  HP; Porph. p. 10, 8   St’ αΰτών genera in]  L (s. l. m2)   ΓΔΠ .  (in mg. m2)   Ψ   Porph., om. cett . 11  post  inseparabilium  add.  uero  C  12 generis  om. EGR, in mg. Lm2  15  post  esse  add . dixit  HNP  dicit  R  16 dixit  om. HPR, s. l. Em2  rursum  H  17 alias insepa- rabiles esse (esse  om. N ) monstrauit  HNP  18 ac] et  HN  20 accidens] se  EG(er.), s. l. Pm2, add . substantiam  Em1  alias (alia  E ) se- cundum substantiam considerari  G edd., in mg. Em2, s. l . alias secun- dum  Pm2, post  considerari  add . et illas esse secundum accidens  edd.  quae—considerari  om. E post  quae  s. l . uero secundum accidens  Pm2  propria  C  proprias  Pm2  nuncupari  Pm2  21 eorum  (sic)  uero quae secundum substantiam  s. l. add. Em2  post  quae  add.  et  C   aliae earum genus diuidant, aliae speciem informent. ad cuius rei facilem cognitionem illa tertii libri specierum generumque dispositio transcribatur. sitque primum substantia, sub hac corporeum atque incorporeum, sub corporeo animatum atque  inanimatum, sub animato sensibile atque insensibile, sub quo animal, sub animali rationale atque inrationale, sub rationali mortale atque inmortale et sub mortali species hominis, quae solis deinceps indiuiduis praeponatur. in hac igitur diuisione omnes hae differentiae specificae nuncupantur, generum enim specierum-  que differentiae sunt, sed generum quidem diuisiuae, specierum autem constitutiuae. id autem probatur hoc modo. substantiam quippe corporei atque incorporei differentiae partiuntur, corporeum uero animati atque inanimati, animatum sensibilis atque insensibilis. ita igitur genera substantiales differentiae  partiuntur et dicuntur generum diuisiuae. at uero si eaedem differentiae quae a genere descendentes genus diuidunt, colligantur et in unum quae possunt iungi copulentur, species informatur. nam cum animal species sit substantiae omnia enim superiora de inferioribus praedicantur et quicquid inferius  fuerit, species erit etiam superioris —, animatum tamen atque  2 illa tertii libri.. dispositio] p. 208, 12 ss.   1 diuidunt  N  diuident  R informant  CNR, add . atque construant  H  atque constituunt (-ant  ex  -ent  P )  NP, s. l. Lm2   (ex p. 256, 3)  at  E  2 facilitatem  G  cognitionem  om. EG  illa  s. l. Hm2  3 trans- feratur  Hm1N; post transcribatur  spatium ad inscribendam figuram ut uid. relictum in EG  sub] ubi  E  hoc  Em1GLm1R  4 atque incorporeum  in mg. Em2  sub corporeo  om. GR, in mg Em2, s. l. Lm2  6 animal sub  om. E  sub animali  om. GR rationabile  E  7 et  om. HN, del. Em2  12 patiuntur  Em1G  corporeum— partiun- tur  (15) om. Em1, in mg . corporeum ( ex  corpore  m3 )—inanimati (ani- matum autem  s. l. add. m3 ) sensibilis— partiuntur  add. m2  13 ani- matum  om. G, post add . autem  Em3  enim  Lm1, del. m2 , et  er. N  14  post  insensibilis  add . partiuntur  CL substantialis  Gm1Pm2  15 si  del. Lm2, post  si  del . et  R  heaedem  P  (dem  er .)  R  (h  del .) hae  HN 16 quae  post  descendentes L 17 in  ex al. litt. Em2  18 informantur  EHN  informant  part. ras. ex informatur  Lm2  fit  E   sensibile quae sunt differentiae, si referantur ad genera, diui- siuae sunt, constitutiuae uero fiunt animalis eiusque sub- stantiam formant atque constituunt definitionemque conformant, ut sit animal substantia animata sensibilis, substantia quidem genus, animatum uero atque sensibile eiusdem differentiae constitutiuae. | item animal rationabilitas atque inrationabilitas diuidit, mortali etiam atque inmortali diuiditur, sed iuncta rationabilitas atque mortalitas, quae animalis diuisiuae fuerant, fiunt hominis constitutiuae eiusque perficiunt speciem atque omnem eius rationem definitionis informant atque perficiunt. at si  inrationabilitas cum mortalitate iungatur, fiet equus aut quod- libet animal, quod ratione non utitur, rationabilitas uero atque inmortalitas copulatae del substantiam informant. ita eaedem differentiae cum referuntur ad genera, diuisiuae generum fiunt, si uero ad inferiores species considerentur, informant species  earumque substantiam conuenienti copulatione constituunt. In hoc quaesitum est, quemadmodum dicerentur esse hae diffe-  1  post  sunt  add . eiusdem  P (s. l. m2) edd . diuisiua  Em1G  2  post  sunt  s. l . si ad speciem  Lm2Pm2  uero  om. N, del. Pm1?, s. l. Hm2Rm2  fiunt  s. l. Rm2  3 definitionemque] diuisionemque  EG  formant  Hm1  4 quidem] uero  N  5 ante genus add. eiusdem  CN ,  post add . est  s. l. LPm2 ante  differentiae  add . generis  GP, post add . diuisiuae  R post  constitutiuae  add . animalis  R, s. l . speciei animalis  Lm2  6 rationabilitas—diuiditur]  P  rationalitas atque inrationalitas diuidit mortalitas ( ex  inmortali  m2 ) etiam atque inmortalitas ( ex  inmor- tali  m2 ) diuidit ** ·  H  rationabilitas atque irrationabilitas mortale atque inmortale diuidit  C  rationale atque inrationale (diuidunt  add. N ) mortale atque (et  N ) inmortale diuidit (diuidit  om. N )  NR inrationabile (inratio- nale  L ) atque inmortale diuiditur  EGLm1, in mg. ante  atque  add . irracionale. mortale etiam atque  m2  rationabilitas atque irrationabilitas, mortalitas atque immortalitas diuidit  brm  7 rationalitas  E  8 diuisiua  Em1GLm1R  9 constitutiua  GLm1R eiusque] hominisque  HNP  nominis  (del. Lm2)  eiusque  EGL  10 atque perficiunt  s. l. Rm2  11 irrationalitas  EP  mortali  Lm2Pm1  fiat  G  aut] atque  L  12 rationalitas  HP  13 inmortalitas] inrationabilitas  R  dei  om. G ,  post  substantiam  E (s. l. m2) L  formant  HN  item  HL  14 di- uisae  E  17 esse  om. C  eae  EGR  heae  P rentiae specierum constitutiuae, cum inrationabilis differentia atque inmortalis nullam speciem uideantur efficere. respondemus primum quidem placere Aristoteli caelestia corpora animata non esse; quod uero animatum non sit, animal esse non posse; quod uero non sit animal, nec rationale esse concedi. sed eadem corpora propter simplicitatem et perpetuitatem motus aeterna esse confirmat. est igitur aliquid quod ex duabus his diffe- rentiis conficiatur, inrationabili scilicet atque inmortali. quodsi magis cedendum Platoni est et caelestia corpora animata  esse credendum, nullum quidem his differentiis potest esse subiectum quicquid enim inrationabile est corruptioni subiacens et generationi, inmortale esse non poterit, sed tamen hae differentiae, quoniam substantialium differentiarum in numero sunt, si iungi ullo modo potuissent, earum naturam  et speciem quoque possent efficere. atque ut intellegatur, quae sit haec potentia efficiendae substantiae specieique formandae, respiciamus ad proprias atque communes, quae tametsi iungantur, speciem substantiam que nulla ratione constituunt. si quis enim loquatur ambulans, quae sunt duae communes dif-  ferentiae, uel si albus ac longus, num idcirco isdem eius substantia constituitur? minime. cur? quia non eiusdem sunt generis, quae alicuius possint constituere et conformare sub-  Aristoteli cf. De caelo; ed. Didot IV part. II p. 38 a , frg. 24 (Cic. de nat. deor. II 15, 42 cum locis ab Heitzio adlatis). 9 Platoni Tim. E. 39 E ss.; cf. supra p. 209, 2.   1 species  G  inrationalis  CEGP  differentiae  E  5 concedit  Lm1N  7 est] esse  CN, ad  est  s. l . ał esset  L  aliud  G  8 con- ficeretur  H, s. l.  ( add . ał)  ad  conficiatur  L  irrationali  Lm2P  9 ac- cedendum  CN  (ac  er .)  H  (ac  in ras. m2 ), concedendum  edd . est platoni  CN  et  om. C  10 credendum  om. CN  11 inrationale (irr-  P )  HP 13  ante  substantialium  add . in  CHN, post  diff.  om. CHNR  16 efficientiae  G  17 tametsi] etsi  C etiam (si  er. H ) etsi  H  ( in mg . ł tametsi  m2 )  NP  19 loquitur  HN  20 sit  H  num  ex  non  Rm2 isdem]  NP  eisdem (ei  in ras. m2 )  L  hisdem  cett., post s. l . differentiis  add. Em2  21  ante  cur  add . id  HNP, s. l. Lm2  eius  EG  sunt  ante  eiusdem  N, post  generis  L  22 possunt  NP  con- firmare  Em1GRm1   stantiam. ita igitur hae, id est inrationale atque inmortale, etiamsi subiectum aliquod habere non possunt, possent tamen substantiam efficere, si ullo modo iungi copularique potuissent, praeterea inrationale iunctum cum mortali substantiam pecudis facit: est igitur constitutiua inrationalis differentia, item inmor-  tale ac rationale coniuncta efficiunt deum: est igitur inmortale quod speciem formet, quodsi inter se iungi nequeunt, non idcirco quod in natura earum est, abrogatur.   Sed hae quidem quae diuisiuae sunt differentiae generum, completiuae fiunt et constitutiuae specierum; diuiditur enim animal rationali et inrationali differentia et rursus mortali et inmortali differentia, sed ea quae est rationalis differentia et mortalis, con- stitutiuae fiunt hominis, rationalis uero et inmortalis del, illae uero quae sunt inrationalis et mortalis, inrationabilium animalium, sic etiam et supremae substantiae cum diuisiua sit animati et inanimati dif- ferentia et sensibilis et insensibilis, animata et sen- sibilis congregatae ad substantiam animal perfecerunt.   Porph. Boeth. aliquod  om. C  aliquid  LP  possunt— substantiam] possent tamen substantiam possent  C  4 mortale  EGPm1  5 irrationabilis  NP  ita R 6 coniunctae  HN  8 eorum  edd . 9 haec  CL  heae  P  10 generum  om. EG  fiant  Cm1Em1G  sunt  Σ  11 diuiditur—insensibilis  (18) ]  2 ,  om. cett . 12  pr . et—differentia  om.   2 ,  add.   X m2  13 ea... differentia]  Porph. ai... διαοοραί  rationalis.. mortalis  cum cod .  M Porph., cett .  τοΰ 6-νητοδ καί τού λογικού  14 fiunt] definiunt  Δ m1 ΙΛΣ  hominem  Δ m1 ΑΣ  15 dni in ras.  2 ,  add . sunt et angeli  Δ ,  sed del., ante  dei  add.  angeli et  Π m2 ,  sed del.; codd. Porph. p. 10,13 aut   θεού   aut   άγγέλοο  quae sunt  add .  X m2   post  mortalis  add . constitutiuae sunt  Γ  16 inratio- nalium  X m2 \ m1 ,  add . sunt  Φ etiam] enim  Φ  supremae substan- tiae]  T m2  (suae substantiae  m1 )  X m 2 (superna substantia  m1 ) suprema substantia  cett. codd. edd. Busse; cf. Porph. animatum  EGR  sensibile  E  (le  in ras .)  R  19 congregata  ER  perficerent  G  perficiunt  in ras .  2 post  perfecerunt  add . animata uero et insensibilis perfecerunt plantam  edd. cum Porph. p. 10, 17, om.  BOEZIO etiam in commentario Geminum differentiarum usum esse demonstrat, unum qui- dem quo genera diuiduntur, alium uero quo species infor- mantur; neque enim hoc solum differentiae faciunt, ut genera partiantur, uerum etiam dum genera diuidunt, species in quas  genera deducuntur efficiunt, itaque quae diuisiuae sunt gene- rum, fiunt constitutiuae specierum, huiusque rei illud exemplum est quod ipse subiecit; animalis quippe differentiae sunt diuisiuae rationale atque inrationale, mortale atque inmortale; his enim PREDICAZIONE  diuiditur animalis, omne enim quod animal  est, aut rationale aut inrationale aut mortale aut inmortale est. sed istae differentiae quae diuidunt genus quod est animal, speciei substantiam formamqne constituunt, nam cum sit homo animal, efficitur rationali mortalique differentiis, quae dudum animal partiebantur, item cum sit equus animal, inrationali  mortalique differentiis constitui|tur, quae dudum animal diuidebant. deus autem cum sit animal, ut de sole dicamus, rationali inmortalique efficitur differentiis, quas diuidere genus habita partitio paulo ante monstrauit. sed hic, ut diximus, deum corporeum intellegi oportet, ut solem et caelum ceteraque  huiusmodi, quae cum animata et rationabilia Plato esse confirmat, tum in deorum uocabulum antiquitatis ueneratione probantur assumpta, de primo quoque genere, id est substantia demonstrantur uenire. nam cum eius diuisiuae sint differentiae  18 ut diximus] p. 208, 22 ss. 20 Plato] aliud  EHm1Rm2  alio  m1  uero  om. R  4 partiuntur  GPm1  diuidendo  N  5 deducantur  HN  dicuntur  R  diuiduntur C (uid  in er . duc?  m2 ) diuisae  Em1Gm2HR  6 huius C rei  om. EGR s. l. Lm2  7 ipse] ille  R  diuisae  Em1Gm2  8 mortale atque inmortale  om. EGR, in mg. Lm2  9 quod animal est] animal  HNR  10  pr . aut  om. R post  rationale  add . est  HN  11 est  om. HR  quod] hoc  C  13  post  efficitur add. ab his  EPm1, del. m2, s. l. Lm2  post differentiis  add . constituitur  Cm1, del. m2  14 partiebantur] diuidebant Lm1R  15 diuidebant] parciebantur  R  16 ut] si  CH, in ros. N, recte?; cf.p. 208, 22  20 confirmet  C  (et  in ras. m2 ) HLm2N  22 substantiam  Em1  23 demonstrantur] idem monstratur  HN  idem  (super ras. Cm2, s. l. Pm2)  demonstrantur  Cm1Pm1, alt. n  del. Cm2Pm2  euenire  HNPm2, add. s. l . differentiae  Lm2  diuisae  Em1Pm1  sunt  EHm1   animatum atque inanimatum, sensibile atque insensibile, iunctae differentiae sensibilis atque animati efficiunt substantiam ani- matam atque sensibilem, quod est animal, iure igitur dictum est, quae diuisiuae sunt differentiae generum, easdem esse constitutiuas specierum. Quoniam ergo eaedem aliquo modo quidem acceptae fiunt constitutiuae, aliquo modo autem diuisiuae, specificae omnes uocantur. et his maxime opus est ad diuisiones generum et definitiones, sed non his quae secundum accidens inseparabiles sunt, nec magis his  quae sunt separabiles.  Omnes a genere differentias procedentes genus ipsum a quo procedunt, diuidere nullus ignorat, ipsae autem quae diuidunt genus, si ad posteriores species applicentur, informant substantias easque perficiunt, eaedem igitur sunt constitutiuae  specierum, eaedem diuisibiles generum, alio tamen modo atque alio consideratae, ut si ad genus relatae quidem in contrariam diuisionem spectentur, diuisibiles generis inueniuntur, si uero iunctae aliquid efficere possint, specierum constitutiuae sunt, quae cum ita sint, hae differentiae quae genus diuidunt, rectissime diuisiuae nominantur - quae enim constituunt speciem, specificae sunt, sed constituunt speciem hae differentiae quae Porph. Boeth. post  constitutiuas  add . et completiuas  C  completinasque  HNP   (ex p. 258,10)  6 ergo] igitur  P  needem  uel  heedem  hic et 15. 16. p. 261, 1 codd. quidam  alio  P  ( ras. ex  aliquo,)  Γ  (o  in ras .) quidem]  ΓΔΛΙIΨ ,  om. cett.; Porph. p. 10, 18   μεν  7 aliquo—inseparabiles sunt  (10) ]  Ω ,  om. cett . alio  ras. ex  aliquo  ut uid .  Γ  autem modo  Φ  autem  add .  5 m2  10 sunt inseparabiles  Γ his  om .  Γ  12  post  Omnes  add . enim  R  quo] quibus  EGR  procedent  Em1  15  post  sub- stantias  s. l . earum  L  eas substantiasque (quae  N )  HNR  sunt igitur  HL  16  post  eaedem  add . sunt  LR  19 sint  CHPRm1  21 diui- siuae] specificae  Lm2  nominantur] nuncupantur  HΡΝ  enim  om. C   post  speciem  add. eaedem speciem faciunt, quae uero speciem faciunt  CHN   sunt generis diuisiuae - eaedemque sunt specierum constitu- tiuae. quare iure quae generum diuisiuae sunt et quae specierum constitutiuae, specificae nuncupantur, has igitur in diuisione generis et in definitione specierum accipi oportere  manifestum est. quoniam enim diuisiuae sunt, per eas diuidi oportet genus, quoniam autem constitutiuae, per eas species definiri; quibus enim unum quodque constituitur, isdem etiam definitur, constituitur autem species per differentias generis diuisiuas, quae sunt specificae, iure igitur specificae solae et  in generis diuisione et in specierum definitione ponuntur, et de specificis quidem haec ratio est, de his autem quae uel separabilia uel inseparabilia continent accidentia, nihil in generum diuisione uel definitione specierum poterit assumi, idcirco quoniam quae diuisibiles sunt, substantiam generis  diuidunt, et quae constitutiuae sunt, substantiam speciei con- stituunt. quae uero sunt inseparabilia accidentia, nullius substantiam informant, unde fit ut multo minus separabilia accidentia ad diuisiones generum uel specierum definitiones accommodentur; omnino enim dissimiles sunt substantialibus  differentiis, nam inseparabilia accidentia hoc fortasse habent commune cum specificis, hoc est substantialibus differentiis, quod aeque subiectum non relinquunt, sicut nec specificae differentiae, separabilia autem accidentia ne hoc quidem; sepa-  1 diuisae  Gm1  eaedemque]  H  (hee-)  NP  eaedem  C  igitur eaedem (eaedem  s. l. Lm2 ) quae (que  E ) sunt  EGLR  constitutiuae specie- rum  C  2 quare—constitutiuae  om. EGLR  quare iure] iure igitur  P  4 diuisionem  HLm2P  et] uel  R  definitionem (uel diff-)  HL  ( s. l . ał constitutione]  P  diuisione  Em1  6 eius  Em1  7  post  definiri  add . oportet CN, s. l . (scil.  add. E )  EL  quibus—definitur  om. EGLR, in mg. Pm2  hisdem  CHN  9 solae  s. l. Em2  10  post , in  om. HN  12 continent] concedunt  EG, s. l . uel faciunt  Gm1?  13  post  uel  add . in  L  16 sub- stantiam]  HN, om. Em1 , speciem  CGLm1R  (post informant)  s. l. Em2 , speciei substantiam  Lm2P edd . 17 formant  H  multo  om. C  18 ad diuisiones—accidentia  (20) in inf. mg. Gm2  definitiones] diuisiones  Em1G  19  ante  substantialibus  add . a  HN, recte?  22  ante quod  add. id H   (linea del., sed linea er. uid.) N ad  quod aeque  s. l. ał  quod hae similiter  L  sic  G  (ut  er .)  L (ut del. m2)  23 ne] nec  LN   rari enim possunt, nec tantum potestate et mentis ratiocinatione, sed actus etiam praesentia, et omnino ueniendi uel discedendi uarietatibus permutantur. Quas etiam determinantes dicunt: differentia est qua abundat species a genere, homo enim ab animali  plus habet rationale et mortale : animal enim neque ipsum nihil horum est nam unde habebunt species differentias? neque enim omnes oppositas habet nam in eodem simul habebunt opposita —. sed, quemadmodum probant, potestate quidem omnes  habet sub se differentias, actu uero nullam, ac sic neque ex his quae non sunt, aliquid fit neque opposita circa idem sunt.    Specificas differentias definitione concludit dicens substantiales differentias a quibusdam tali descriptionis ratione finiri :  differentia specifica est qua abundat species a genere, sit enim genus animal, species homo : habet igitur homo differentias in se, quae eum constituunt, rationale atque mortale; omnis enim species constitutiuas formae suae differentias in se retinet nec praeter illas esse potest, quarum congregatione  perfecta est. si igitur animal quidem solum genus est, homo uero est animal rationale mortale, plus habet homo ab animali id quod rationale est atque mortale, quo igitur abundat species Porph. Boeth. nec] non  brm  4 Quae  h m1  dicuntur  A m1  est  add .  \ m2  5 que  Em1  quae  Ga.c . abundant (ha-  G )  Em1G  a  om. N ho- mo—-nullam  (11) ]  R Q ,  om. cett . ab  om .  ΓΦ  6 enim] enim tamen  R  autem  A  7 horum nihil  Γ  8 enim  om .  Φ ,  add .  & m2 , autem  er .  T  :  Porph. p. 11, 3   ούτε ίί ; enim  pro  autem;  cf. ad p. 16, 15; an  autem ( cf.   T )  Boethius scripsit ? opposita  R  habet]   habent  cett .  codd. et edd . 9 nam] nec  R  habebit  Φ  ( post  opposita), non habe- bunt  Δ  11 habet]  P p.c .  Φ*Γ  habent  cett . ac sic  om. N  sic  ex  si  Em2G  12 hiis  Φ  sint  Sa.c . opposita] ex oppositis quae  R h m1  13 circa idem sunt]  Porph.    &pa περί τό αΰτο εσται  15 diffiniri  Pm2R  19 constitutiuae  Em1GLp.c.Rm1  in se  om. C  est uero  E  23 id] id est  EGP   a genere, id est quo superat genus et quo plus habet a genere, hoc est specifica differentia, sed huic definitioni quae- dam quaestio uidetur occurrere habens principium ex duabus per se propositionibus notis, una quidem, quoniam duo con-  traria in eodem esse non possunt, alia uero, quoniam ex nihilo nihil fit. nam neque contraria pati sese possunt, ut in eodem simul sint, nec aliquid ex nihilo fieri potest; omne enim quod fit, habet aliquid unde effici possit atque formari, quae pro- positiones talem faciunt quaestionem, dictum est differentiam  esse id qua plus haberet species a genere, quid igitur? dicendum est genus eas differentias quas habent species, non habere? et unde habebit species differentias quas genus non habet? nisi enim sit unde ueniant, differentiae in speciem uenire non possunt, quodsi genus quidem has differentias non habet,  species autem habet, uidentur ex nihilo differentiae in speciem conuenisse et factum esse aliquid ex nihilo, quod fieri non posse superius dicta propositio monstrauit. quod si differentias omnes genus continet, differentiae autem in contraria dissol- uuntur, fiet ut rationabilitatem atque inrationabilitatem, mor-  talitatem atque inmortalitatem simul habeat animal, quod est genus, et erunt in eodem bina contraria, quod fieri non potest, neque enim sicut in corpore solet esse alia pars alba, alia nigra, ita fieri in genere potest; genus enim per se conside- ratum partes non habet, nisi ad species referatur, quicquid  igitur habet, non partibus, sed tota sui magnitudine retinebit, nec illud dubium est, quin in partibus suis genus habeat  1  post , quo] quod  Em1  (quid  m2 )  GHm1R  a  om. H  2 hoc—dif- ferentia  om. C  huic] hunc  Em1N  4 per se  ante  notis  brm  unam  GHa.r. 5  aliam  C (sic) Ha.r. post  quoniam  add . quidem  C  6 sit  C  nec  N  10 id  om. R  qua] quod  GHLm1P; cf. p. 270, 12  dicen- dumne  Lm2  11 genus  ante  non habere  HNP  habent] habet  Lm2  12 habet] habebit  CEGLm1, in mg. Rm2 (om. m1)  13 ueniunt  R  15 uidetur  GLm1P  differentia  EGL  ( ex  -tiasj P 16 esse] est  CLP  aliquando  Em1  18 contrarium  HLm2NPm1  contrario  R  19 mortalitatem atque inmortalitatem]  CNP, s. l. Lm2, om. cett . 22 esse  post  alba  N, post  alia  P  25 detinebit  N  in]  HNP, s. l. Lm2, om. cett .   contrarietates, ut animal in homine rationabilitatem, in boue contrarium. sed nunc non de speciebus quaerimus, de quibus constat, sed an ipsum per se genus eas differentias quas habent species, habere possit atque intra suae substantiae ambitum continere, hanc igitur quaestionem tali ratione dis-  soluimus. potest quaelibet illa res id quod est non esse, sed alio modo esse, alio uero non esse, ut Socrates cum stat, et sedet et non sedet, sedet quidem potestate, actu uero non sedet. cum enim stat, manifestum est eum non agere sessi- onem, sed potius standi inmobilitatem. sed rursus cum stat,  sedet, non quia iam sedet, sed quia sedere potest; ita actu quidem non sedet, potestate uero sedet. et ouum animal est et non est animal. non est quidem animal actu, adhuc namque ouum est nec ad animalis processit uiuificationem, sed idem tamen est animal potestate, quia potest effici animal, cum  formam ac spiritum uiuificationis acceperit. ita igitur genus et habet has differentias et non habet, non habet quidem actu, sed habet potestate. si enim ipsum per se animal consideretur, differentias non habebit, si autem ad species reducatur, habere potest, sed distributim atque ut eius speciebus separarim nihil  possit euenire contrarium. ita ipsum genus si per se consi-  1  post homine  s. l . habet  E, post  rationabilitatem  Lm2  2 nunc  om. EGR, s. l. Lm2  4 suae intra  C  6 quaelibet illa res]  HLm2NPm1  quaelibet res  ( res  s. l. E) CEPm2  quidlibet  Lm1R  quodlibet  G 7 alio uero non esse  om. Hm1, s. l . alio non esse  m2  8  secund . sedet  om. CEGR  9 enim  om. CEGLPm1 (s. l . autem  m2) R  sessione  G  10 mobilita- tem  CEGLm1P  mobilitate  N  cum stat  in  constat  mut .  ERm2  13 actu  om. EG  14 neque  CL  ad  om. E  animal  G  animalis quidem  L  spiritum] speciem  CHR  genus et]  ELm2NP  et genus et  H  genus  CGLm1R  17 non habet quidem—potestate] habet quidem potestate sed non habet  ( habet  om. C)  actu  CEm2P  habet quidem actu sed non habet potestate  Em1G  18 consideretur] quis  (s. l.)  consideret  E  19 autem] enim  R  reducat  E distributim]  HLm2PRm2  distri- butum  CN  distribute  EGLm1 distributam  Rm1  atque—contrarium] atque in species separatum  ( separatim  H)  ut nihil possit esse  ( euenire  H)  contrarium  CHN, add. locum  atque ut eius—contrarium  C  nihil] et nihil  G 21 si ipsum genus  HN   deretur, differentiis caret; quod si ad species referatur, per distributas species uel in partibus suis contraria retinebit, atque ita nec ex nihilo uenerunt differentiae quas genus retinet potestate nec utraque contraria in eodem sunt, cum contrarias  differentias in eo quod dicitur genus, actu non habet, inpos- sibilitas enim eius propositionis quae dicit contraria in eodem esse non posse, in eo consistit quod contraria actu in eodem esse non possunt, nam potestate et non actu duo contraria in eodem esse nihil impedit, quae uero nos contraria diximus,  Porphyrius opposita nuncupauit. est enim genus contrarii oppositum : omnia enim contraria, si sibimet ipsis considerantur, opposita sunt. Definiunt autem eam et hoc modo : differentia est quod de pluribus et differentibus specie in eo quod  quale sit PREDICARE; rationale enim et mortale de homine PREDICATO in eo quod quale quiddam est  homo dicitur, sed non in eo quod quid est. quid est enim homo interrogatis nobis conueniens est dicere animal, quale autem animal inquisiti, quoniam ratio-  nale et mortale est, conuenienter adsignabimus.    Tres sunt interrogationes ad quas genus, species, differentia, proprium atque accidens respondetur, haec autem sunt : quid  13—20] Porph. p. 11, 7—12 (Boeth. p. 37, 6-12).   1 species] differentias  H  2 uel  om. Lm1  uelut  HLm2  sin eo] id  HN  quot  E  7 actu  ante  contraria  H, post  eodem  CLN  in eodem esse—in eodem  om. EG  8  post  non possunt  add . quantum ad genus potestate solum, quantum ad species actu et potestate  Rm2  9 nil  L  contraria nos  C  11 si  om. HN, s. l. Cm2  si in semet  Lm2P  considerentur  CLm2  12 sunt  om. HN  13 autem  om. H  enim  C  et om.  CEGHNP 2 ,  ante  eam  4 ;  Porph. p. 11, 7   xo; όντως  14 quae  EP  de  om. C  et om.  CEGLIR; Porph.   xat ;  cf. infra p. 267, 1  15 ra- tionale—animal  (19) ]  R Q ,  om. cett . 16 praedicatur  T a.c.   m1  quid- dam  om.   ΓΦ  18 homo om.  R ΔΦ ,  s. l . scil, homo  \ m2 ; Porph.  άνθρωπος  19  post post , animal  add . sit  C, ante EG  inquisiti]  Porph. p. 11, 11   πυνθανομενων  20 et  om. CEGLR; Porph. p. 11, 12   xac  est om.  HNR, s. l .  2 m2 assignauimus  E  assignamus  G  22 hae  Hp.r.LR edd . heede  m P   sit, quale sit, quomodo se habeat, nam si quis interroget: quid est Socrates? responderi per genus ac speciem conuenit aut animal aut homo, si quis quomodo se habeat Socrates interroget, iure accidens respondebitur, id est aut sedet aut legit aut cetera, si quis uero qualis sit Socrates interroget,  aut differentia aut proprium aut accidens respondebitur, id est uel rationalis uel risibilis uel caluus. sed in proprio quidem illa est obseruatio, quod illud proprium dici potest quod de una specie PREDICARE, accidens uero tale est quod qualitatem designet quae non substantiam significet, differentia uero talis  est quae substantiam demonstret, interrogati igitur qualis una quaeque res sit, si uolumus reddere substantiae qualitatem, differentiam praedicamus, quae differentia numquam de una tantum specie praedicatur, ut mortale uel rationale, sed de pluribus, quod igitur de pluribus speciebus inter se differentibus PREDICARE ad eam interrogationem, quae quale sit id de quo quaeritur interrogat, ea est differentia cuius talem posuit definitionem : differentia est quod de pluribus  1 se  om. G, s. l. E  habet  CEGLR  2 per  om. H  ac  N  3  pr . aut] ut  CHm1N post , aut] ut  Hm1N  habet  R, post  habeat  del . se habet  G  4 iure—legit] differentia aut legit  G  aut differentiam * ut (a er.) legit  E  differentia respondetur (respondetur  etiam R) id est aut sedet aut legit  Lm1 5 aut] et  HLm1NP quale  H proprio aut accidenti  EGR  respondebitur]  CLm2P  respondebit  EGR  respondetur  HLm1N  7  pr . uel  om. LN  uel risibilis uel caluus]  Lm1 edd . uel mortalis uel caluus  CHLmSN  uel mortalis uel alicuius  EGR  uel mor- talis uel saluus uel caluus  Pm1  uel mortalis uel risibilis uel caluus  m2 10 quae non—demonstret] Differentia uero talis est  (haec om. L)  quae (que  ELm1  atque  m2 ) non substantiam significet (-cat  Lm1, add. m1  Differentia uero talis est quae substantiam significat, del.  m2 ). Differentia uero talis est quae (non  add., sed del. E ) substantiam demonstret (at  Lm1 )  EGL  post significet  in mg.  Proprium uero est quod non sub- standam significat  H  11 quae] quia  R  demonstrat  CLm1  inter- roganti  R  ( extis] quale  R  12 constantiae  G  13 numquam] non  C  tantum de una  C  14 sed  om. EG, s. l. Lm2  15 quod] quod- si  R  16  ad  praedicatur  in mg . respondetur  E  18 pluribus—differen- tibus]  cf. p. 265, 14   specie differentibus in eo quod quale sit praltdicatur; cuius definitionis causam rationemque pertractans ait;   Rebus enim ex materia et forma constantibus uel ad similitudinem rtfateriae et formae constituti-  onem habentibus, quemadmodum statua ex materia est aeris, forma autem figura, sic et homo communis et specialis ex materia quidem similiter consistit genere, ex forma autem differentia, totum autem hoc animal rationale mortale homo est, quemadmodum  illic statua. Dixit superius differentias esse quae in qualitate speciei PREDICARE, nunc autem causas exequitur, cur speciei qua- litas differentia sit. omnes, inquit, res uel ex materia formaque consistunt uel ad similitudinem materiae atque formae substantiam sortiuntur, ex materia quidem formaque subsistunt  3—10] Porph. Boeth. post  quale  add . quid  Lm2(in ras.) E (sed er.) Rm1, del. m2, add . quid  post  sit  s. l. Hm2  4  post similitudinem  add . proportionemque  LNRQ  ( in mg . nempe communionem  Γ );  om. Porph. p. 11, 13  et) ac  ΓΔΙΙΨ- ,  om .  L Α2Φ  formae]  A m2 HI!1-  speciei  CEGHNPR h m1  specieique L Λ2Φ  formae speciei  er. uid .  Γ ;  cf. Porph. et infra 13 ss . 5 quem- admodum—differentia  (8) ]  LR Q ,  om. cett. post  materia  add . quidem  edd., recte ut uid.; Porph. μέν  6 aeris] et  (s. l. m2)  aere  (in ras. m2)   Ψ  forma] ex ( in al. litt.   xV m2 ) forma  L xV brm   Busse;   Porph .  εΐϊοος post figura haec Proportionale autem (enim  Φ ) dicitur (est  Σ ) quod proportionem omnium specierum teneat (tenet  Σ ) id est communionem omnium partium uel (et  T ) specierum quae diuidi (diui- dendo Rhm1 diuidendae  Th m2 \l m1 2'l> ) ex ea (eo  ΣΣ ) contingunt (con- tingant  R ) per (del.  Σ ) differentiam figuras  ΓΠ m2  diffe- rentiam figuras  \ )  add .  LR T m1 h m1 ΑΠΣΦ ,  om .  Ψ ,  del .  T m2 \ m2  7 simi- liter]  Busse  similiter proportionaliter  LR ll m1  similiter proportionaliterquc  ΓΔΙ m2 Φ'Ρρ  proportionaliter  2 brm; cf. Porph. p. 11, 15  8 ante genere  add . in  Γ m2  (ex  m1 )  L Σ  toto  Ga.c . 9 ratione  E ante  mortale  add . et  CEGHLPR, om .  N Q   cum Porph. p. 11, 16  homo est om.  N ,  ex  homine  Δ m2  11 differentiam  HN  12 praedicaretur  HN causis  Em1 post  cur  add . autem  Hm1, del. m2  qualitas speciei  H  omnis  ELm2N  uel  om. EGR  14 consistit  Ea.c.HLm2  subsistit  N  15 sortitur  HLm2N  ex  om. CEGR  formaque] et forma  P   omnia quaecumque sunt corporalia; nisi enim sit subiectum corpus quod suscipiat formam, nihil omnino esse potest, si enim lapides non fuissent, muri parietesque non essent, si lignum non fuisset, omnino nec mensa quidem, quae ex ligni materia est, esse potuisset, igitur supposita materia ac praeiacente cum in ipsam figura superuenerit, fit quaelibet illa res corporea ex materia formaque subsistens, ut Achillis statua ex aeris materia et ipsius Achillis figura perficitur, atque ea quidem quae corporea sunt, manifestum est ex materia formaque subsistere, ea uero quae sunt incorporalia, ad similitudinem materiae atque formae habent suppositas priores antiquioresque naturas, super quas differentiae uenientes effi- ciunt aliquid quod eodem modo sicut corpus tamquam ex materia ac figura consistere uideatur, ut in genere ac specie additis generi differentiis species effecta est. ut igitur est in  Achillis statua aes quidem materia, forma uero Achillis qualitas et quaedam figura, ex quibus efficitur Achillis statua, quae subiecta sensibus capitur, ita etiam in specie, quod est homo, materia quidem eius genus est, quod est animal, cui superueniens qualitas rationalis animal rationale, id est speciem  fecit, igitur speciei materia quaedam est genus, forma uero et quasi qualitas differentia, quod est igitur in statua aes, hoc est in specie genus, quod in statua figura conformans, id in specie differentia, quod in statua ipsa statua, quae ex aere  2 potest] putem  G putemus  R  4 nec  om. Gm1  ne  EGm2L  5 ma- teria est] fit materia  HNP ante  igitur  add . si  E ,  sed del . 6 in  om. R  ipsa  ER  figuram  Hm1La.r . peruenerit  HN  9 corpo- ralia  HNP  ex  om. C  11 prioris  Em1G  12 antiquiorisque  G  13 tamquam  om. CLP, del. Hm2  ex] ea  GL (in ras. m2) R 14 materia ac figura]  brm  materia  (in ras. Lm2)  forma ac figura (ac figura  del. Lm2 )  LP forma ac figura  CEGHRp  figura ac forma  N  15 generi] generis  EG  16 aes—statua  (17) om. N materiae  G  17 et quaedam—statua]  CH, om. Lm1  ( in mg . et quaedam figura  m2 )  P  statua (cet. om.) EGR  18 quod] quae  edd . 22 et  om. EGR, s. l. Lm2  quali- tatis  R  igitur est (est  s. l. Pm2 )  HNP  23 figura] forma  N  24  post  quod  add . est igitur  Pm2   figuraque conformatur, id in specie ipsa species, quae ex genere differentiaque coniungitur. quodsi materia quidem speciei genus est, forma autem differentia, omnis uero forma qualitas est, iure omnis differentia qualitas appellatur, quae cum ita  sint, iure in eo quod quale sit interrogantibus respondetur.  Describunt autem huiusmodi differentias et hoc modo: differentia est quod) aptum natum est diuidere quae sub eodem sunt genere; rationale enim et in- rationale hominem et equum, quae sub eodem sunt  genere, quod est animal, diuidunt.    Haec quidem definitio cum sit usitata atque ante oculos exposita, eam tamen plenius dilucideque declarauit. omnes enim differentiae idcirco differentiae nuncupantur, quia species a se differre faciunt, quas unum genus includit, ut homo atque  equus propriis discrepant differentiis; nam sicut homo animal est, ita etiam equus, ergo secundum genus nullo modo distant. Porph. Boeth. p. 37, 18—38, 1). formatur  CHNP quidem] quaedam  CHLm2PR  3 autem] nero  N uero] ergo  Lm1  autem  N  qualitas]  HNPm1  qualia  CEGLR  uel qualis  s. l. Pm2  5  ante respondetur  excidisse  differentia  coni. Brandt  6  post  autem  add . et  L (del.) R; Porph. p. 11, 18 post   8e   add . *αί   cod. B  differentias]  Em2GHPm1 xV  differentiam  CLPm2   ΓΛΑΙIΣΦ differentia  Em1NR; Porph ,.  τάς τοιούτας διαφοράς  et]  LPR i ,  om. cett.; Porph. *a\ οοτως  7 qua  CG  actum  R  natura]  HL   (del. m2)   ΓΑΛΠΦ   om. cett.; Porph.   πεφοχος;  ante quae add. ea  Γ2 ,  s. l.   A m2 ,  del. m. al. , illa  s. l.   Δ m2  genere sunt  ΣΑΨ  rationale—sunt genere  om. EG  9 et equum] equnmque  C  10 diuidit  L  11 cum—oculos  in mg. E  sit usitata] sita sit situr  (sic) Em1  ita sit  m2  situ sit sita  G  ante  om. HNR, s. l. Lm2 oculis  HN  12 post exposita add. superius  R  ea  GNR  plenius dilucideque declarauit] (claruit  Em1Gm1 )  CEm2Gm2  plenius dilucideque declarauit  L  plenius lucidinsque declarauit  Hm2 plenius dilucidiusque claruit  R  exempli insuper luce declarauit ( ex  decla- ruit  N )  NP  plenius dilucideque exempli insuper luce declarauit  Hm1  exempli insuper luce reserauit  edd . 13 species ase differre] specie ( ex  specierum,  sequ. rasura ) differentiam  E  species in aere differentiam  G  species ase differentiae  Lm1  14 a] ad  R  concludit  N  nam  in ras. Lm2  sed  EG   quae igitur secundum genus minime discrepant, ea differentiis distribuuntur, additum enim rationale quidem homini, inratio- nale uero equo equus atque homo, quae sub eodem fuerant genere, distribuuntur et discrepant, additis scilicet differentiis. Adsignant autem etiam hoc modo: differentia  est qua differunt a se singula; nam secundum genus non differunt, sumus enim mortalia animalia et nos et inrationabilia, sed additum rationabile separauit nos ab illis, et rationabiles sumus et nos et dii, sed mortale adpositum disiunxit nos ab illis. Vitiosa ratione et non sana quod uult explicat definitio quorundam. id enim esse dicunt differentiam qua una quaeque res ab alia distet, in qua definitione nihil interest quod ita dixit an ita concluserit : differentia est id quod est differentia, etenim differentiae nomine in eiusdem differentiae usus est  5—10] Porph. p. 11, 21—12, 1 (Boeth. p. 38, 1—5).   2 describuntur  EG  post  equo  distinguunt edd., post  equus  expec- tatur  igitur’  Schepps , additum  eqs. nominatiuum absolut .  (cf. indicem Meiseri) interpretatur Brandt  qui  Lm2P  5 autem  om .  \,   del. Lm2 A. m2  etiam  om. H  etiam et  Λ  eam et  Ν Σ ;  Porph. p. 11, 21   St καί  6 qua]  Porph.   διαφορά έσχιν δχψ διαφέρει έκασχα;  ‘an quo?’  Busse, sed cf. infra p. 271, 1.7. 18. 272, 17 . 6 nam—ab illis  (9) ]  LR Q ,  om. cett. post  nam  add . homo et equus  cum Porph. edd. (cf. etiam infra p. 271, 9. 12, sed etiam supra p. 269, 9) ,  etiam Bussio  homo atque equus  addendum uid . 7 enim] autem  Γ  8 inrationalia ( uel  irr-)  R ?ΓΠ   (in ras.)  ros.  ex  -bilia  Δ  sed—illis  (9)   om. R  ratio- nabile]  p.r   rationale  \ a.r. et cett . separauit] disiunxit  ΓΦ  9 et]  CHP, s. l. er. uid.   Δ ,  om. cett . rationabiles]  L \ m1 2  rationale  CP  rationales  cett., add . enim  ΕGΗ ΑίΙΦΨ ;  codd. Porph. aut   λογικοί  aut  λογικά  sumus  om. CEGHP; Porph .  έσμέν  et nos  om. E  et  om. N di  C  dei  ut uid   . 2 sed—ab illis  om. EG  11  ante  Vitiosa  in ras.  Haec  E  ratione]  L edd., om. cett. (recte?), in ras . est  E  et  om. G  sane  E (in ras.) NP  explicans  HNP  non  (s. l. m2)  explicat  L  12 id]  cf. p. 263, 10  13 aliis  R  distat  HN  differt  P  14 dixerit  Lm2P  an] utrum  R  concluderit  L  concludat  EGR  id quod est  om. E ante  differentia  add . ipsa  ER  differentia  om. G  15 etenim om. EGR  differentiae nomine] qua differt una res ab alia, id est id quod est differentia est differentia. Differentiae nomine fid est—nomine  in ras. m2) E  in—definitione] usus in eius diffinitione  N   definitione dicens : differentia est qua differunt a se singula, quodsi adhuc differentia nescitur, nisi definitione clarescat, differre quoque quid sit qui poterimus agnoscere? ita nihil amplius attulit ad agnitionem qui differentiae nomine  in eiusdem usus est definitione, est autem communis et uaga nec includens substantiales differentias, sed quaslibet etiam accidentes hoc modo : differentia est qua a se differunt singula; quae enim genere eadem sunt, differentia discrepant, ut cum homo atque equus idem sint in animalis genere,  quoniam utraque sunt animalia, differunt tamen differentia rationali, et cum dii atque homines sub rationalitate sint positi, differunt mortalitate, rationale igitur hominis ad equum differentia est, mortale hominis ad deum, atque hoc quidem modo substantiales differentiae colliguntur, quodsi Socrates  sedeat, Plato uero ambulet, erit differentia ambulatio uel sessio, quae substantialis non est. namque istam quoque dif- ferentiam definitio uidetur includere, cum dicit : differentia est qua differunt singula; quocumque enim Socrates a Platone distiterit nullo autem alio distare nisi accidentibus  potest —, id erit differentia secundum superioris terminum definitionis, quam rem scilicet uiderunt etiam hi qui definitionis huius uagum communemque finem reprehendentes certae conclusionis terminum subiecerunt.  2 nesciatur  Lm2  (non noscitur  m1) P  definitione] in definitione  N  3 qui]  LN  quomodo CEGPR qui (d  er.) H  possemus  EG  possi- mus  R  4 ita  om. EGR  cognitionem  NPm2, post  agnitionem  add.  a cogitatione  Hm1, del. m2, s. l.  uel cognitione  m2, del. m. al.  set  om. EG accidentales  Lm2Pm2  9 sunt  EGHLm1R  in  om. GNR  et  om. EGR  rationabilitate  CGLm1  rationale  N sunt  CEGLm1R  12 positi] post  EG  post differunt  add.  tamen  L  rationabile  L  13 est  om. C  15 ambulatio uel  om. EG, s. l. Lm2  16 nam  HLm1  ista  E  quo  EGHm1 post  differunt  add.  a se  R  cumque  EG  quoque  Rm1  quocumque modo  P post  enim  s. l.  modo  Lm2  19 de- stiterit  CEm1HPRm2  distauerit  m1 post  alio  s. l.  modo  Em2  ac- cidentibus] ex accidentibus  P    Interius autem perscrutantes de differentia dicunt, non quodlibet eorum quae sub eodem sunt genere diuidentium esse differentiam, sed quod ad esse conducit et quod eius quod est esse rei pars est; neque enim quod aptum natum est nauigare erit hominis differentia, etsi proprium sit hominis, dicimus enim animalium haec quidem apta nata sunt ad nauigandum, illa uero minime, diuidentes ab aliis, sed aptum natum esse ad nauigandum non erat completiuum substantiae nec eius pars, sed aptitudo quaedam eius est, idcirco, quoniam non est talis quales sunt quae specificae dicuntur differentiae, erunt igitur specificae differentiae quaecumque alteram faciunt speciem et quaecumque in eo quod quale est accipiuntur. Et de differentiis quidem ista sufficiunt.   Sensus propositionis huiusmodi est. quoniam superius dixit determinasse quosdam differentiam esse qua a se singula dis-  p. 90  creparent, ait alios diligentius de differentia | perscrutantes non  1—15] Porph. Boeth. perscrutantes]  EGHP  perscrutantes et speculantes  cett.; Porph.   p. 12, 1   προσεξεργοζόμενοι de differentia]  CH (linea del., sed lin. er.)   Σ  differentiam  cett. edd. Busse; Porph. p. 12, τά περί τής διαφοράς  2 non] non solum  R , quodlibet] quod habet  ELm1 h m1 X ,  post  quod- libet  er.  habet  23  diuidentium esse  om.   X ,  s. l. Lm2  sed quod— dicuntur differentiae  (12) ]  LR Q ,  om. cett.  5 aptum] actu  R  natum  om. LR; Porph. p. 12, 4   τδ πεφοχέναι πλεΐν  6 dicimus]  Porph. p. 12,  5  εΐποιμεν γάρ dv ,  unde  dicemus  coni. Brandt;   infra 12 erunt  ειεν άν ;  p. 234, 16.  (erit). 17.  235, 2  (erunt) 7 ani- malia  A  acta  Rm1  nata  om. LR  8 aliis] illis  A actum  Rm1  natum  om. R  est  R  erit  h m2  10 neque  Busse  11 est  om. R  quoniam  om. LR  12 quae  om.   Φ  igitur] ergo  L  13 alteram— quaecumque  om. H  et] ea  EG  quale  in er.  quid  ut uid.  Hm2 quid  EG post est add.  esse  EG  accipiunt  EG  15 Et—sufficiunt  om. N  Et  om. CEGP; Porph. 12,11   Καί  de  om. EG A  diffe- rentiis]  Porph.   περί μίν διαφοράς  quidem  om. H  sufficiant  CL X m2;   Porph.   άρχει  18 alios] ilico  EGLa.c.  ilico alios  P  de differentia] differentiam  CLm1P   fuisse arbitratos recte esse superius propositam definitionem, neque enim omnia quaecumque sub eodem posita genere dif- ferre faciunt, differentiae hae de quibus nunc tractatur, id est specificae, numerari queunt, plura enim sunt quae ita diuidunt  species sub uno genere positas, ut tamen eorum substantiam minime conforment, quia non uidentur esse differentiae speci- ficae nisi illae tantum quae ad id quod est esse proficiunt et quae in definitionis alicuius parte ponuntur, hae autem sunt ut rationale hominis, nam et substantiam hominis conformat  et ad esse hominis proficit et definitionis eius pars est. ergo nisi ad id quod est esse conducit et eius quod est esse rei pars sit, specifica differentia nullo modo poterit nuncupari, quid est autem esse rei? nihil est aliud nisi definitio, uni cuique enim rei interrogatae quid est? si quis quod est esse  monstrare uoluierit, definitionem dicit, ergo si qua definitionis pars fuerit, eius erit pars quae unius cuiusque rei quid esse sit designet, definitio est quidem quae quid una quaeque res  1 positam  EG  2 posita] posita sunt  EGL post genere add.  quae  Lm1, del. m2  3 differentiae—id est  om. CN  hae  om. H  id est  om. R, er. uid. H, s. l. Lm2   nominari HLm2NR 5 earum  H  6 quia] quae  CH  specificae  ante  esse  H, post N 7 proficiant  R  et quae] eaeque  G  eae quae  Em1, del. m2, etiam proxima  inponuntur  del. m2in  del. Lm2, om. P  diffinitiones  N  definitionibus  EGLm1  aliqua  N  partes  EGLP post ponuntur  add.  ut mortalis rationalis  Em1, del. m2  hae] ea  EGLm2P  9 et  s. l. Lm2  et ad  G  con- format—hominis  om. EG  11 conducat  EHm2Lm2N  et eius— pars sit]  N  et eius quod ( add. quid  Rm1, del. m2 , quidem  ex  quid  Hm2 ,  del. m3 ) est esse rei pars sit (est  Hm1) HR  et eius rei quod est (est  del. Lm2 ) esse pars est (est  om. Lm1, s. l.  sit  m2) CL  et eius quod quidem esse rei pars est  P  eius rei quod quidem (aliquid  add. E) EG  13 esse  om. G, ante  autem  H  nihil  del. Em2  est  s. l. Lm2Rm2  esse  E (del. m2) G  unius cuiusque  R  14 interrogatae] ad inter- rogationem  CHN  quis] quid  Lm2  quod] id quod  CHNP  qua] quid  CHN  16  post  eius  s. l. rei  Lm2  quae] quod  HLm1N  quid] quod  N  sit esse  L  esse fit  G  est esse  Hm1N  17 designat Lm2P  significet  Hm1N  est quidem] enim est  HN  quae quid] quia  N   sit, ostendit ac profert, demonstraturque quid uni cuique rei sit esse per definitionis adsignationem. illae uero differentiae quae non ad substantiam conducunt, sed quoddam quasi extrin- secus accidens afferunt, specificae non dicuntur, licet sub eodem genere positas species faciant discrepare, ut si quis hominis  atque equi hanc differentiam dicat, aptum esse ad nauigandum. homo enim aptus est ad nauigandum, equus uero minime, et cum sit equus atque homo sub eodem genere animalis, addita differentia aptum esse ad nauigandum equum distinxit ab homine, sed aptum esse ad nauigandum non est huiusmodi,  quale quod possit hominis formare substantiam, sed tantum quandam quodammodo aptitudinem monstrat et ad faciendum aliquid uel non faciendum oportunitatem. Id circo ergo specifica differentia esse non dicitur, quo fit ut non omnis diffe- rentia quae sub eodem genere positas species distribuit, specifica esse possit, sed ea tantum quae ad substantiam speciei proficit et quae in parte definitionis accipitur, concludit igitur esse specificas differentias quae alteras a se species faciunt per differentias substantiales, nam si uni cuique id est esse quodcumque substantialiter fuerit, quaecumque differentiae  substantialiter diuersae sunt, illas species quibus adsunt, omni substantia faciunt alteras ac discrepantes, atque hae in definitionis parte sumuntur, nam si definitio substantiam monstrat  1 ostendit  om. E  ostenditur  N  ac  er. E, om. N  profert  om. N demonstratque  CLm1  quid] quod  Lm1Pm1R  quidem quid  N  2 per  om. EGR, in mg. Lm2 assignatione  EG  3 ad  om. EΡ  quasi  om. EGPR  5 faciant  om. EG  facient  CLm1Rm1  7 homo enim (autem  LR )—equus]  HLNR  hominem equum  (cet, om.) CEGP  10 esse ad—sed tantum  (11) om. EG  11 quale  om. EGR, del. Lm2 ante  quod (quid  P )  add.  per  L   (del. m2), s. l. Pm2 post  substantiam  add.  sicut rationale quae est substantialis qualitas  C  12 habitudinem  Hm1  13 opportunitatem  CR  differentia specifica  C  18  ante  esse  add.  eas  HΝΡ, s. l. Lm2  quae—differentias  om. EGR ad  faciunt  s. l.   1  informant  Lm2  19 differentias  ex  distantias  Lm2  idem est ( in   ras. m2 ) esse  H  idem esse est  R  21 sint  Hm1  omnes  EGP  22 substantias  P  substantiae  Hm1  substantiae ratione  N   et substantiales differentiae species efficiunt, substantiales dif- ferentiae erunt partes definitionum.  Proprium uero quadrifariam diuidunt. nam et id  quod soli alicui speciei accidit, etsi non omni, ut homini medicum esse uel geometrem, et quod omni accidit, etsi non soli, quemadmodum homini esse bipedem, et quod soli et omni et aliquando, ut homini in senectute canescere, quartum uero, in quo concurrit et soli et omni et semper, quemadmodum homini esse risibile, nam etsi non semper rideat, tamen risi- bile dicitur, non quod iam rideat, sed quod aptus natus sit; hoc autem ei semper est naturale et equo hinnibile, haec autem proprie propria perhibent esse,  3—p. 276, 2] Porph.  (Boeth. et  om. EG, s. l. Pm2  2 erunt  post  partes  Lm2  sunt  m1  sunt  post definitionum  CGR, s. l. Em2  3 DE PROPRIO  om. H, add. Lm2  EXPLICIT DE DIFFEREN. (DIFFERENTIIS  Ψ ) INCIPIT DE PRO- PRIO  2<F  4 et  s. l. C  5 hominem  R h m1 A  6 uelut  H geo- metram  CEm1G edd. Busse  et quod—perhibent esse  (14) ]  LR  ( locum   hic om., p. 277, 7 post  adest  inserit)  Ω ,  om. cett.  omni]  Porph.   p. 12, 14   παντίτφ εϊδει  7 etsij et  R T m1   ante homini  add.  et  R  8 homini]  Porph. όνΟ-ρώπψ παντί ,  unde  homini omni  coni.   Busse 9  post  uero add. est  Φ  in quo concurrit et  del., in mg.  conuenit  T m2  10 hominem  R Σ  11 risibilem  R ΓΣΦ ;  Porph. ώς τψ άνθρώπψ τό γελαστιχόν  non semper rideat]  L Σ  non rideat  ΓΑ  non ridet ( hic ut uid. s. l.  semper  add., sed er.   \ )  R AIIΨΨ  semper non rideat  Busse non rideat semper  edd.; Porph. p. 12, 18   χαν γάρ μή γελά αεί  risibile tamen  L Λ   edd. Busse; Porph.   άλλα γελαστιχο'ν  12 iam] semper  Σ   edd.; Porph. άεί ,  cod. Mm2   ί)Bη  rideat—natus sit  om.   Φ  13 sit natus  R, add.  ad ridendum  R ΓΑ  ridere  Σ,  ante  sed  add.  ridendum  Φ ;  om. Porph.  semper ei est naturale  L  semper est ei naturale  Γ  ei semper naturale est  Σ   ante  et  add. ut  (om. etiam B Bussii) edd. Busse ;  Porph. p. 12, 20   ώς ,  om. cod. A  14 autem]  Porph.   81 xai ,  om.   xai   cod. A  proprie—esse]  L Λ  (esse  s. l. m2 )  Σ  (esse  om. ), proprie domi- nanterque (nominantur  T m2 ) propria perhibentur (perhibentur  del.   Γ m2 )  ΓΦ  proprie nominantur (nominant  Π ) propria  R ΔΙΙ  uere dicuntur propria  Ψ ;  Porph.   χυρίως ΐßιά φασιν   quoniam etiam conuertuntur. quicquid enim equus, hinnibile, et quicquid hinnibile, equus. Superius dictum est omnia propria ex accidentium genere descendere, quicquid enim de aliquo praedicatur, aut substan- tiam informat aut secundum accidens inest. nihil uero est  quod cuiuslibet rei substantiam monstret nisi genus, species et differentia, genus quidem et differentia speciei, species uero indiuiduorum. quicquid ergo reliquum est, in accidentium numero ponitur, sed quoniam ipsa accidentia habent inter se aliquam differentiam, idcirco alia quidem propria, alia priore atque antiquiore nomine accidentia nun|cupantur. et de accidentibus paulo post, nunc de propriis, quae quadrifariam diui- duntur, non tamquam genus aliquod proprium in quattuor species diuidi secarique possit, sed hoc quod ait diuidunt, ita intellegendum est, tamquam si diceret nuncupant, id est  propria quadrifariam dicunt, cuius quadrifariae appellationis significationes enumerat, ut quae sit conueniens et congrua nuncupatio proprietatis ostendat, dicit ergo proprium accidens quod ita uni speciei adest, ut tamen nullo modo coaequetur ei, sed infra subsistat ac maneat, ut hominis dicitur proprium medicum esse, idcirco quoniam nulli alii inesse ani-  3 superius eqs.] fort. enim equus  om. N  equus—equus  CEGHNP U  ( sed add.  et si homo, risibile, si risibile, homo est]  cum Porph. p. 12, 21, post pr.  equus  add.  et  R A  est et  L  est etiam est et  (sic)   Φ  equus est et hinnibile est (est  s. l.   F\ m2 ) et quicquid hinnibile equus est  ΓΔ  est equus est hinni- bile et quicquid est hinnibile est equus ( quattuor  est  s. l. m2 )  Ψ  equus est hinnibile et quicquid hinnibile est equus est et si homo est risibile est et risibile homo est  2  4 alio  N  6  ante  species  add.  et  Lm1, del. m2  7 et  om. R  genus—diiferentia  om. EGR, s. l. Hm2  11  ante  antiquiore add.  in  ER  12 nunc  ex  nam  Hm2  quadrifarie  N  in quadrifariam (-um  GP )  EGP  diuidunt  H  (ur  er. )  P  (ur  del. m2 ) aliquid  CPm1  14 ait  om. E  ( in mg.  dicitur  m2 )  G  est  R  diuiduntur  EG  15 nuncu- pantur  EGR  proprie  CEm1G  propriam  ut uid. Pm1  propriam  m2  dicuntur  EGHm1La.c.NR  quadrifariam  C  18 proprietas  Ea.c.  (proprii  p.c. )  G  dicitur  CEHLa.c. (corr. m1 et 2) P  ergo  om. C  proprium  s. l. Cm2  primum  m1  20 ei  ante  nullo  HN  ac] et  HNP dicimus  HN   malium potest, nec illud adtendimus, an hoc de omni homine praedicari possit, sed illud tantum, quod de nullo alio nisi de homine dici potest medicum esse, et haec quidem significatio proprii dicitur inesse soli, etsi non omni; soli enim  speciei, etsi non omni coaequatur, ut medicina soli quidem inest homini, sed non omnibus hominibus ad scientiam ad- est. Aliud proprium est quod huic e contrario dicitur omni, etsi non soli; quod huiusmodi est, ut omnem quidem speciem contineat eamque transcendat, et quoniam quidem nihil  est sublectae speciei quod illo proprio non utatur, dicimus omni, quoniam uero transcendit in alias, dicimus non soli: hoc huiusmodi est quale homini esse bipedem, proprium est enim homini esse bipedem, omnis enim homo bipes est etiamsi non solus, aues enim bipedes sunt, geminae igitur  significationes proprii quae superius dictae sunt, habent aliquid minus, prima quidem quia non omni, secunda uero quia non soli, quas si iungimus, facimus omni et soli, sed demimus aliquid secundum tempus, si ei adiciatur aliquando, ut sit haec tertia proprii nuncupatio ‘omni et soli, sed aliquando,  ut est in senectute canescere uel in iuuentute pubescere; omni enim homini adest in iuuentute pubescere, in senectute canescere, et soli, pubescere enim solius hominis est, sed ali-  1 hoc  om. EG  homini  EN  quod] quia  HN  nisi de homine  post  esse  N  3 medicus  Hm1N  4 inesse]  CP, s. l. Hm2Lm2, om.   EGR  inest  N  etiamsi  Em2  (et  m1)  Hm1LR etiamsi  EHm1L  (repet, post  inest)  PR  coaequetur  Em2Hm1 ante medicina  add.  homini  H   (del. m2) LNR  homini  om.   NR, s. l. Hm2  adest] adesse potest  CLN potest esse  H; de R cf. ad p. 275, 6  7 est  ante  aliud  HN, post   CG, om. E  8 etiamsi  HLNR  quid  HN  10 quod illo—non soli  in   inf. mg. Em2 post  dicimus  add.  enim  C  11 aliis  Em2G  12 hoc] id  N   post  quale  add.  est  s. l. Hm2, post  homini  CG  hominis  R, post  homini  add.  proprium  Em2  enim  in mg. Em2  14 etiamsi—geminae  om.   EGR  17 sed Hm2 si m1 demimus]  HN deminus Cm1  i demimus ί deest minus  m2  dempsimus  R  dedimus  Em1  (addimus  m2)  G  deest minus  LP  18 eis  HLP  ei  post  adiciatur  N   omni et soli] et soli et omni  C  sed] si  G  21  post. in] et in  HN  22 est hominis  HN   quando, neque enim omni tempore, sed in sola tantum iuuen- tute. haec igitur determinatio proprii in eo quidem modo quod omni et soli inest, absoluta est, sed ex eo minuit aliquid uel contrahit, cum dicimus aliquando, quod si auferamus, fit pro- prii integra simplexque significatio hoc modo : proprium est  quod omni et soli et semper adest, omni autem et soli speciei et semper intellegendum est ut homini risibile, equo hinnibile; omnis enim et solus homo risibilis est et semper. neque illud nos ulla dubitatione perturbet, quod semper homo non rideat; non enim ridere est proprium hominis, sed esse  risibile, quod non in actu, sed in potestate consistit, ergo etiamsi non rideat, quia ridere tamen posse soli et omni homini semper adesse dicitur, conuenienter proprium nuncupatur, nam si actus separatur ab specie, potestas nulla ratione disiungitur.   Quattuor igitur significationes proprii dixit, nam prima  quidem, quando accidens ita subiectae speciei adest, ut soli ei adsit, etiamsi non omni, ut homini medicina; secunda uero,  1 in  om. EGR, s. l. L, post  tantnm  P  tamen  L post iunentnte  add.  pubescit  N  2  post  proprii  add.  integra simplexque significatio  GHP (del. m1? ex 5)  in eo—fit proprii  om. R  modo  om.   N, del. Lm2  inest  om. EG  est  Lm1  minus  La.c. minui  N  minuens  P  aliquid uel] atque significationem  in ras. Em2  uel]  CNP  et  GL, om. ΕH  4 quod] quam  N  simplexque] et simplex  HLNR  proprii  R  6 soli et omni  N secund.  et  om. GLR,   s. l. Pm2  omni autem—intellegendum est  om. Rbrm  7 et semper  om. EGR, del. Lm2, s. l. Hm2Pm2  intellegendum est  del. et s. l.  adest  scr. Hm2, in mg.  quod soli et omni adest  m. al. 8  post.  et  om. EGPR   post  semper  add.  similiter et equus hinnibile  brm  9 illud  Hm2  enim Hm1N  10 proprium est  NPR  sed] si est  R  esse  del. Lm2  est  R  11 sed] si  R  12 si non rideat etiam  C  quia  om. N, s. l. Hm2  tamen  om. R  autem  HN  possit  La.c.N  potest  Em2 post  omni  add.  adsit  H (del. m2)  adest  N  13  ante  semper  s. l. et Hm2  semper  om. R ante  conuenienter  add.  et  H (er.) L (del. m2) NP  14 si] etsi  Hm1Lm1N  separetur  Em2  a  C  15 proprii  om. EG nam prima] unam  CHm1  (primam  m2) N  nam  (s. l.)  primam  P  homini medicina] hominem esse medicum  C  secundam  CHN; in mg . ał. se- cunda autem cum omni accidit etsi non soli ut homini esse bipedem  add. L  uero] autem  CL (in mg.)   cum soli quidem non adest, omni uero semper adiungitur, ut homini esse bipedem; tertia uero, cum omni et soli, sed aliquando, ut omni homini in iuuentute pubescere; quarta, cum omni et soli et semper adest, ut esse risibile, atque ideo  cetera quidem conuerti non possunt : neque enim coaequatur quod soli, sed non omni speciei adest, species quidem de ipso dici potest, ipsum uero de specie minime, qui enim medicus est, potest dici homo, homo uero qui est, medicus esse non dicitur, rursus quod ita est alii proprium, ut omni adsit  etiamsi non soli, ipsum quidem de specie PREDICARE potest, species uero de eo minime, nam bipes praedicari de homine potest, homo uero de bipede nullo modo, rursus quod ita adest, ut omni et soli, sed aliquando adsit, quoniam de tempore habet aliquid deminutum nec simpliciter semper adest,  reciprocari non poterit, possumus enim dicere omnis qui pubescit homo est, non omnis homo pubescit: potest enim minime ad iuuentutem uenire atque ideo nec pubescere; nisi forte non sit pubescere hominis proprium, sed in iuuentute pubescere, aut, etiam cum nondum est in iuuentute aut etiam praeteriit, tamen  sit ei proprium non tale quale tunc fieri possit, cum praeter iuuentutem est, sed quale cum in iuuentute consistit, atque ideo hoc  1 cum] quae  N  soli —adiungitur  del. Hm2 omni accidit etsi non soli  CHm2L  semper  s. l. Hm2  2 hominem  C  tertiam  CHN  soli et omni  N omnio  m. LNR  homini  om. N  quartam  CG (sic) HN  4  post.  et  om. EG, add. Pm2  inest  CHm1N  ideo  om. E  adeo  HLR  coaequantur  HN  6 quodj quia cum  Hm1N  non omni sed soli  N  sed] si  R  7 qui enim—dici homo  om. EGR  8 homo dici  C  9  ad  alii  s. l.  a t illud  L, post add. una pars  R de homine praedicari C 13 adest  ex  est  Em2  distat  Hm1  assit  ex  sit  Hm2  14 diminutum  EN  nec] et  Hm1  non] non tamen dicimus  L  homo] qui est homo  L  qui homo est (qui  et  est  s. l. m2) H  18  ante  sed  add.  solummodo  Hm2, ante  in  CN, post post.  pubescere  L  aut]  Hm2La.c.Pm2  ut  EGHm1Lp.c.Pm1R  autem  CN  19 cum]  Hm1NR  quod  CEGHm2LP etiam  s. l. Hm2  iam  Em1  20 sit] adsit  CHN  ei  om. G  fieri  om. C, in ras. Lm2  fieri possit  del., est  s. l. scr.   Hm2  potest  L   (in ras. m2) P  est  C  21  post  quale  add.  tunc fieri potest (posset  CHLm1N) CH (s. l. m2) LNP   quod non in omne tempus tenditur, etiamsi tale est, ut omni  p. 92  speciei adsit, quod ta|men in tempus aliquod differatur, integrum atque absolutum proprium esse non dicitur, quartum est quod ita alicui adest, ut et solam teneat speciem et omni adsit et absolutum sit a temporis condicione, ut risibile quod a superiore plurimum distat; nam qui risibilis est, semper ridere potest, rursus qui potest in iuuentute pubescere, cum ipsa iuuentus non sit semper, non ei adest semper ut in iuuentute pubescat, haec autem quarta proprii significatio quoniam nulla temporis definitione constringitur, absoluta est atque ideo  etiam conuertitur et de se inuicem proprium atque species praedicantur; homo enim risibilis est et risibile homo. Accidens uero est quod adest et abest praeter sub- iecti corruptionem, diuiditur autem in duo, in separa-  bile et in inseparabile, namque dormire est separabile accidens, nigrum uero esse inseparabiliter coruo et Aethiopi accidit, potest autem subintellegi et coruus albus et Aethiops amittens colorem praeter subiecti corruptionem, definitur autem sic quoque; accidens est  13—p. 281, 7] Porph. p. 12, 23—13, 8 (Boeth. p. 39, 10—21).   1 quod] quia  HN  2 speciei] tempori  EGR  aliquid  C  4 alicui  om. EG, del. Hm2  ali  R  alii  Lm1 pr.  et  om. EGLR post.  et] ut  La.c.R  5  post.  a  s. l. Hm2  6 qui  ex  quod  Lm2  7  ante  cum  add.  sed  CH (del. m2) NP, s. l. Lm2  8 adest] est  EGR  in iuuentute  deleri uult Hilgard  9 quoniam] quam  EGLm2P  10 definitio ( uel  difd–)  EGLm2R  constringit  EG  11 et de se] et ideo de se  P  de se  om. R  De specie  EG  12 risibile  C  et  om. EGHR  13  inscript.   om. HL K ACCIDENTE  ΝR ΔΣ  14 uero  om.   A  15 diuiditur—sub- sistens  (p. 281, 3) ]  LR Q ,  om. cett. duobus  L  16 in  om.   Φ  nam  A   Busse amittens colorem]  A m1 T"  nitens colore c ett. edd. Busse;   Porph. άποβαλών τήν χροιάν;   cf. supra p. 101, 13  corruptionem subiecti  LR ϋίΓΦ ;  codd. Porph.   φθοράς   aut ante   τοΰ υποκειμένου   aut post; definitur]  Porph. p. 13, 3   ορίζονται   quod contingit eidem esse et non esse, uel quod neque genus neque differentia neque species neque proprium, semper autem est in subiecto subsistens. Omnibus igitur determinatis quae proposita sunt,  dico autem genere, specie, differentia, proprio, accidenti, dicendum est quae eis communia adsint et quae propria. Quouiam, ut superius dictum est, quae de aliquo PREDICARE, uel substantialiter uel accidentaliter dicuntur cumque  ea quae substantialiter PREDICARE, eius de quo dicuntur substantiam definitionemque contineant et sint eo antiquiora atque maiora, quod ex substantialibus PREDICATO efficiuntur, cum ea quae substantialiter dicuntur pereunt, necesse est ut simul etiam ea interimantur quorum naturam substantiamque  formabant, quae cum ita sint, necesse est ut quae accidenter dicuntur, quoniam substantiam minime informant, et adesse et abesse possint praeter subiecti corruptionem, ea enim tantum cum absunt subiectum corrumpere poterunt, quae efficiunt atque conformant quae sunt substantialia, quae uero  8 superius] p. 276, 4.   1 contigit - R A   ante pr. esse add. et R, s. l.   \ m2; om. Porph.   p. 13, 4 post.  et] uel  L  ( post  uel  littera er. )  edd.; Porph.   η ,  codd. CM   nat  2  post  genus  s. l. est A m2  neque species neque differentia  ΔΔΣ  edd.  Busse; Porph.   οοτε διαφορά οϋτε είδος   post proprium  add.  sit  LR  3 consistens  Λ  4 praeposita  Δ m1  5 dico—accidenti  om.   Γ  propria  Φ proprio et  L ΔΑΣ  accidente  H  et accidenti  L A m2  (et accidente  m1 )  ΛΣ  de accidenti  EG  6 eis] his  CHP  hiis  Φ  uel his  R ,  om. EG;   Porph. p. 13, 7   αΰτοϊς  adsint] sint  R  sunt  L Λ m1 ηιΙΧΣ ;  Porph.   πρδσεοτιν  et  om. G  7  post  propria  add.  EXPLICIT DE GENERE SPECIE DIF- FERENTIA PROPRIO ACCIDENTE  Σ  8 ut  om. EG  alio  CEGR  9 accidentialiter  CP accidenter  HR  dicuntur] praedicantur  R  cum  EG  11 definitione  EG  maiora atque antiquiora  C 12 quod] quia  R  substantialiter  CN  efficitur  CHm2LN  13 cumque  N ,  post  cum  s. l.  accidenter  E  intireunt  P  an  informabant? acci- dentaliter  Lm2  16 et  om. EGR, s. l. Lm2  abesse et adesse  H  17 possunt  N  tantum enim  C  18 perrumpere  E  potuerunt  LR  19 informant  HN   non efficiunt substantiam, ut accidentia, ea cum adsunt uel absunt, nec informant substantiam nec corrumpunt, est igitur accidens quod adest et abest praeter subiecti corruptionem, id autem diuiditur in duas partes, accidentis enim aliud est separabile, aliud inseparabile, separabile quidem dormire, sedere,  inseparabile uero ut Aethiopi atque coruo color niger. in qua re talis oritur dubitatio. ita enim est definitum : accidens est quod adesse et abesse possit praeter subiecti corruptionem. idem tamen accidens aliquando inseparabile dicitur; quod si inseparabile est, abesse non poterit, frustra igitur positum est  accidens esse quod adesse et abesse possit, cum sint quaedam accidentia quae a subiecto non ualeant separari, sed fit saepe ut quae actu disiungi non ualeant, mente et cogitatione sepa- rentur. sed si animi ratione disiunctae qualitates a subiectis non ea perimunt, sed in sua substantia permanent atque perdurant, accidentes esse intelleguntur, age igitur, quoniam Aethiopi color niger auferri non potest, animo eum atque cogitatione separemus, erit igitur color albus æthiopi, num idcirco species consumpta sit? minime, item etiam coruus, si ab eo colorem nigrum imaginatione separemus, permanet tamen  auis nec interit species, ergo quod dictum est et adesse et abesse, non re, sed animo intellegendum est. alioquin et sub- stantialia, quae omnino separari non possunt, si animo et cogi- tatione disiungimus, ut si ab homine rationabilitatem auferamus  1 cum—absunt] uel cum adsunt uel cum absunt  H  uel cum absunt uel cum adsunt  N  cum uel (uel  s. l. m2 ) absunt uel adsunt  L; ante  assunt  (sic) add.  uel  P  3  ante  adest  add.  et  P  4 dinidunt  EGLR  accidens  edd.  aliud est enim  H  ante  dormire  add.  ut  brm  6 ut  om. HR edd.  7 dubietas  CEG (recte?) post.  est  add. Hm2  8 et] uel  N  potest  CL  9 dicit  EG  11 abesse-et adesse  E  12 ab  CRm1  14 animi] hac  C  15 eas  EGN  permaneant  G  ac  R  16 acciden- ter  CG  intellegantur  Em1 igitur] enim  HN  17 eum  om. G, ante  separemus  C , uero  E  atque] et  HLNPR  18 num  ex  non  Rm2  19 consumptae (consumpta  R ) sunt  EGLR edd.  ita  CEP  20 imagine  EGR  21 interiit  Lm1PR pr. et om. EGR, s. l. Lm2  22 et  om. CEG  23 si] saepe  Hm1LNP  2t rationalitatem  P   — quam licet actu separare non possumus, tamen animi imaginatione disiungimus —, statim perit hominis species, quod idem in accidentibus non fit: sublato enim accidenti cogitatione species manet. Est alia quoque accidentis definitio ceterorum omnium priuatione, ut id dicatur esse accidens quod neque genus sit neque species nec differentia nec proprium; quae definitio plurimum uaga est ualdeque communis. sic enim etiam genus definiri potest, quod neque species neque differentia nec proprium sit nec accidens, eodemque modo  species ac differentia et proprium, cum autem eadem similitudine definitionis plura definiri queant, non est terminans et circumclusa descriptio, praesertim cum longe sit a definitionis integritate seiunctum quod cuiuslibet rei formam aliarum rerum negatione demonstrat. Quibus omnibus expeditis, id est genere, specie, differentia. proprio atque accidenti, descriptisque eorum terminis quantum postulabat institutionis breuitas, ea ipsa communiter pertrac- tanda persequitur, ut quas inter se habeant differentias haec quinque, de quibus superius disputatum est, quas uero com-  muniones, mediocri consideratione demonstret, ut non solum  1 separari  EG  possimus  EL post  tamen  add.  si  L, s. l. Hm2Pm2 imaginatione] cogitatione  N  statimque  C  (q.  er. )  H  (q.  del. m2) N  periit  PR  3 item  CHm1  sit  EN (ut uid.)  sublata  EGR  enim  s. l. Cm2 accidenti  om. EGR, post  cogitatione  N  ante  cogitatione  er.  et  C  quoque  om. EGP (sic) accidentis  om. C, post  definitio  R  ad  priuatione  s. l.  quae fit per priuantiam  Em2  id  om. EG dicat  EGR  6 fit  C  neque differentia neque proprium  LNR  8 enim  om. NR  nec ( ante differentia)  CH  9 neque  NR  sit  om. L,   post  accidens  R  neque  N  10 proprio  HPm1  11 plurima  L  queunt  EGLm1R  termino  Ep.c.R  et  om. EGR 12 ab LR  ac  G negatione rerum  E   demonstret  N  post  genere  add.  quidem  CP  ante  proprio  add.  et  H ante  quantum  add.  et  PR, s. l. Lm2  17  post  breuitas  repet.  expeditis  PR,   s. l. Em2  pertractanda  om. C  retractanda  HNP  18  ante  quas  s. l.  quia  Em2 de quibus  om. E  disputandum  G  quas nero] quasue  CL   quid ipsa sint, uerum etiam quemadmodum inter se compa- rentur, appareat.  quid]  H, m2 in CLP  quod  NPm1  quae  Cm1EGLm1R  compa- rantur  E  2 BOEZIO ( BOETI  E)  V. C.ET I LL . (EXINI  sic E ) EXCONS. ORDINAR. PATRICII IN ISAGOGAS PORPHYRII ( Y  ex  I  Gm2)  ID EST INTRODVCTIONEM IN CATEGORIAS A SE TRANSLA.  (sic EG)  EDITIONIS SECVNDAE LIBER IIII. EXPL.  ( EXPLICIT’  E) . INCIPIT LIBER V.  EG ; EXPLICIT LIBER  ( LIBER  om. C)  QVARTVS. INCIPIT LIBER  ( LIBER  om. HN)  QVINTVS  CHLNP, add.  DE COMMVNIBVS GENRIS. DIFFER. SPEC. ACCID. ET PROPI  N ; EXPLICI  R   Expeditis per se omnibus quae proposuit et quantum in unius cuiusque consideratione poterat, ad scientiae terminum breuiter adductis nunc iam non de singulorum natura, id est  uel generis uel differentiae uel speciei uel proprii uel acci- dentis, sed de ad se inuicem relatione pertractat, nam qui communiones ac differentias rerum colligit, non ut sunt per se res illae considerat, sed ut ad alias comparentur, id autem duplici modo, uel similitudine, dum communitates sectatur,  uel dissimilitudine, dum differentias, quae cum ita sint, nos quoque, ut adhuc fecimus, propter planiorem intellectum philosophi uestigia persequentes ordiemur de his communio- nibus quae adsunt generi et speciei et differentiae uel proprio et accidenti.    Commune quidem omnibus est de pluribus praedi- Porph. Boeth. p. 40, 1—16).   3 cuiuscumqne  C  considerationem  Ea.r.G  4 id est  om. N, add.   Rm2  5  pr . uel  om. P secund.  uel] et  P  6 nam quia  R  namque  Hm1N  7 sunt. om. C  8 ille  GLNP, post  illae  s. l. sint  Cm2  ut  om. R  ad  s. l. LRm2 post  alias  add.  qualiter  CHPR, s. l. Lm2  comparantur  EGHm2, recte? cf.p. 284, 1 post  autem  s. l.  fit  Cm2L,   in mg. Em2, post  duplici  s. l. Pm2  9 dum—dum  om. EG  sectatur] retractat  R  retractantur  L  (n  del., s. l. a i  sectatur]  P differentiae  La.c.P  uel differentia  EG  11  ad  adhuc  s. l.  id est (uel  G ) hac tenus  EGm2  12 his] his omnibus  R  communibus  EGR  utrumque  et  om.   EGLR  uel  om. R  et  NP  14 et] uel  EGL atque  R  15  ante  Commune  add. inscriptionem  DE COMMVNIBVS GENERIS (ET  add.   ΔΠ ] SPECIEI DIFFERENTIAE PROPRII ET ACCIDENTIS  ΛΠ   Busse,   N in subscript. libri IV cum alio ordine uerborum,  DE HIS (HIIS  Φ ) COMMVNIBVS QVAE ASSVNT (sunt  A ) GENERI ET SPECIEI (ET SPECIEI  om.   T ) ET DIFFERENTIAE ET PROPRIO ET ACCIDENTI (accidenti proprio et differentiae  A )  ΓΑ   (litt. minusc.)   Φ , INCIP. DE EORV COMVNIBVS  2  DE COMMVNITATIB; OMNIVM. i',  inscript.   om. CEGHLPR   cari, sed genus quidem de speciebus et de indiuiduis, et differentia similiter, species autem de his quae sub ipsa sunt indiuiduis, at uero proprium et de specie cuius est proprium et de his quae sub specie sunt indiuiduis, accidens autem et de speciebus et de indiuiduis. namque animal de equis et bobus et canibus praedicatur, quae sunt species, et de hoc equo et de hoc boue, quae sunt indiuidua, inrationale uero et de equis et de bobus praedicatur et de his qui sunt par- ticulares, species autem, ut homo, solum de his qui  sunt particulares praedicatur, proprium autem, quod est risibile, et de homine et de his qui sunt particulares, nigrum autem et de specie coruorum et de his qui sunt particulares, quod est accidens inseparabile, et moueri de homine et de equo, quod est accidens  separabile, sed principaliter quidem de indiuiduis, secundum posteriorem uero rationem de his quae continent indiuidua. Antequam singulorum ad unum quodque habitudinem tractet, illam prius respicit quam omnes ad se inuicem habere uide-  1 sed—separabile  (16) om. HNP post.  de  om. R  2 autem] quidem  Δ  hiis  Φ ,  item 4  3  post  indiuiduis  s. l.  praedicatur  Em2  at uero —separabile  (16) om. CEG  at uero—indiuiduis  (5) om.   Σ · 4 de his  om.R  5  post.  de  om. R  6 bubus  Lm1 A  bobis  R, ante add.  de  L T  de bobus Busse  et canibus  cum Porph. p. 13, 14 om. edd., delend. uid. Bussio  7 praedicatur  post species  R pr. (sic)  de  om. R  8 inrationabile  L  et  om. Porph. p. 13, 15; ante  et  add.  similiter  R  9 de  om. R  bubus  RLm1 A  praedicatur  s. l.   \ m2  (dicitur  m1 ),  post  particulares  Λ2  quae  L TA  10 quae  R ΓΑ  11 particularia  R, add.  homines  L 4ΛΦ ;  om. Porph. proprium—particulares  (12) om. R  quod est]  otov   Porph.   p. 13, 17  12  pr.  et  om.   L ΆΣ   Busse (casu ut uid., cf. eius adnot. ad   Porph.  v-ai ),  add.   \ m2  13  pr.  et  om. Busse; Porph. p. 13, 18   τοΰ τε εΐδοος  14 qui] quae  R de homine—equo  post  separabile  R  16 sed  om.   Π Σ   post principaliter  add.  accidens praedicatur  Φ ,  s. l.  accidens  Lm2  17 secundum—rationem] secundo uero  (cet. om.)   N ΛΣΦ ; secundo  etiam  T m1 ; uero  post  secundum  C  posteriore  E ratione  E  orationem  Λ   ante  de  add.  et  edd. cum Porph. p. 13, post  indiuidua  add. speciebus  N Σ  20 uidentur  RG   antur. haec est autem una communio quae propositarum quinque rerum numerum pluralitate praedicationis includit; omnia enim de pluribus praedicantur, in hoc ergo sibi cuncta communicant, nam et genus de pluribus praedicatur, itemque  species ac differentia et proprium et accidens, quae cum ita sint, est eorum una atque indiscreta communio de pluribus PREDICARE, disgregat autem ipsam de pluribus PREDICAZIONE, quemadmodum in singulis fiat, quod unum quodque propositorum de quibus pluribus praedicetur ostendit, ait enim genus  quidem de pluribus praedicari, id est speciebus ac specierum indiuiduis, ut animal praedicatur de homine atque equo ac de his indiuiduis quae sub homine sunt atque sub equo, item genus PREDICARE de differentiis specierum atque id iure. quoniam enim species differentiae informant, cum genus de  speciebus praedicetur, consequens est ut etiam de his dicatur quae specierum substantiam formamque efficiunt, quo fit ut genus etiam de differentiis praedicetur ac non de una, sed de pluribus; dicitur enim quod rationabile est, esse animal et rursus quod inrationabile est, esse animal, ita genus de speciebus ac differentiis praedicatur ac de his quae sub ipsis sunt indiuiduis. differentia uero de speciebus dicitur pluribus ac de earum indiuiduis, ut inrationabile et de equo praedicatur ac boue, quae sunt plures species, et de his quae sub ipsis sunt indiuiduis eodem modo dicitur; nam quod de uniuersali  praedicatur, praedicatur et de indiuiduo. quodsi differentia de speciebus dicitur, praedicabitur etiam de eiusdem speciei sub- 1 praepositarum  HN  5  post.  et] atque  R  7 autem] ut est  E  8 quod] ut  Em2P  et quod  La.c.  et ut  p.c., ante  quod  s. l.  in eo  Hm2  praepositorum  HN  9 ostendat  ELm2P  10 id est  om. HNR, er. G 11 atque] et  CL  equo ac de  om. EG  ac] atque  CL  et  R  12 de  om. L, s. l. Cm2  qui  EGP post. sub  om. LNP  14 enim  del. E  15 praedicatur  HN  16 perliciunt  HNP  18 rationale  EGHNP  19 quod  om. R, in ras. E,  quoniam  GLm1  inrationale  HNP  est  om. R  21 differentiae... dicuntur  R 22 inrationale ( uel  irr-)  Em2  (rationabile  m1) HLm2NP  23 bouej de boue  N  et de] deque  EG 25 et  ante  praedicatur  C  26 praedicatur  C  etiam  om. EN   iectis. species uero de suis tantum indiuiduis praedicatur; neque enim fieri potest, ut quae species est ultima quaeque uere species ac magis species nuncupatur, haec alias deducatur in species, quod si ita est, sola post speciem indiuidua restant, iure igitur species de suis tantum indiuiduis praedicantur, ut  homo de Socrate, Platone, CICERONE et ceteris, proprium item de specie PREDICARE cuius est proprium, neque enim esset proprium alicuius, si de alio diceretur; de quo enim una quaeque res ‘et soli et omni et semper’ dicitur, eiusdem proprium esse monstratur quae cum ita sint, proprium de specie  dicitur, ut risibile de homine; omnis enim homo risibilis est. dicitur etiam de indiuiduis speciei de qua praedicatur; est enim Socrates, Plato et CICERONE risibilis, accidens uero et de speciebus pluribus dicitur et de diuersarum specierum indiuiduis. dicuntur enim coruus atque Aethiops nigri et hic cor-  uus et hic Aethiops, qui sunt indiuidui, nigri secundum nigredinis qualitatem uocantur. atque hoc quidem est accidens inseparabile, sed multo magis separabilia accidentia pluribus inhaerescunt, ut moueri homini et boui — uterque enim mouetur —, et rursus ea quae sub homine sunt atque boue indiuidua,  moueri saepe praedicantur. sed aduertendum est auctore Porphyrio quod ea quae accidentia sunt, principaliter quidem de his dicuntur in quibus sunt indiuiduis, secundo uero loco ad uniuersalia indiuiduorum referuntur, atque ita praedicatio  1 praedicabitur  CLP  3 uero  C  5 praedicatur  Cm1EGLRm2  7 esse  E  8 nisi  HPR, ex  si  CLm2  aliquo  CHP ante  diceretur  add.  non  R, s. l. Lm2  9  pr.  et  om. EGHN secund.  et  om. G tert.  et  om. EG, del. Lm2, s. l. Pm2; ad  et—semper  cf. p. 275,10  12 etiam] autem  HPm1  13 Plato] et piato  N  et  om. CEG  risibiles  CH  et  om. EGLP  14 pluribus  om. CN  dicitur  om. H, post  indiuiduis  s. l.  scil, praedicatur  m2  specierum  om. HN  15 dicuntur  in ras.   Hm2  dicitur  GNR  niger  NR  et  om. EGHN  16 et  om. EG   post  nigri  add.  autem  R, s. l. Lm2  19 et  om. EG  20 et  om.   CEGP  21 mouere  Ea.c.Gm2  actore  Ea.c.R  23  post  dicuntur  add. nam non subsistunt praeter haec quibus adsunt et nulli prius acci- dunt quam indiuiduis  R  24  post  uniuersalia  add.  ad speciem  G   superiorum redditur, ut quoniam nigredo singulis coruis adest, dicitur adesse coruo. nam quia omnia particularia qualitas ista accidentis nigredinis inficit, idcirco eam de specie quoque PREDICARE dicentes coruum, ipsam speciem, nigrum esse. In quibus omnibus mirum uideri potest, cur genus de proprio PREDICARE non dixerit nec uero speciem de eodem proprio nec differentiam de proprio, sed tantum genus quidem de speciebus ac differentiis, differentiam uero de speciebus atque indiuiduis, speciem de indiuiduis, proprium de specie atque indiuiduis,  accidens de speciebus atque indiuiduis. fieri enim potest ut quae maioris PREDICAZIONE sint, ea de cunctis minoribus praedi- centur, et quae aequalia sunt, sibimet conuertuntur, eoque fit ut genus de differentiis, de speciebus, de propriis, de accidentibus praedicetur, ut cum dicimus ‘quod rationale est,  animal est’, genus de differentia, quod homo est, animal est, genus de specie, quod risibile est, animal est, genus de proprio, ‘quod nigrum est’, si forte coruum uel Aethiopem demonstremus, animal est, genus de accidenti praedicamus, rursus quod homo est, rationale est, differentia de specie,  1 superiorum]  E  ( s. l.  id est specierum)  GP  superioribus  cett.  sub- teriorura superioribus  brm  ut—dicitur  om. EG  2  post  coruo  s. l.  speciali  Lm2  3 nigredinis accidentis  C infecit  HLm1  eam] eamdem  Lm2Pm2  (it eadem  m1 ) eadem  EG  eo  Rm1  ea  m2  de  om. P  4 ipsum specie  EGPRm2 post  ipsam  add.  scilicet  C  nigram  C  5 omnibus  s. l. Cm2  6  utroque loco  neque  R  7 differentias  R  8 atque  Rbrm  et de  p  differentiis] indiuiduis  pr cum p. 286, 1, differentiis <atque indiuiduis>  coni. Brandt; cf. p. 287,12—21  differentias  HLPR  9 proprium de specie atque indiuiduis  om. H  11 maiores praedicationes  EGR  sunt  Ca.c. (ras.  i  ex  u)  Pm2R  ea  s. l. L  eadem  C  eaedem ( om.  de  G ) eae  Pm1  hae  ER  cunctis] dictis  EGR  12 et  om. EG   conuertuntur ]  Em1GLm1Rm2  (conuertentur  m1 ) conuertantur  CEm2HL   m2NP ad  eoque  s. l.   i  ideo  G  fit] quale sit  EG  13  pr.  de] et de  HNP   secund.  de  om. R  et de  HLNP tert.  de  om. E  et  HNPR  et de  L   quart.  de] et  NP  et de  HL  atque  R  14 praedicatur  EG  rationabile CEGLm1NR  15 animal est] sit animal  E  ( ad  sit  s. l.  pro est)  GLR  de  s. l. EGm2L post differentia  add.  praedicatur  GP (del. m1?),   s. l. Lm2, s. l. praedicari  Em2  16 eat genus  om. G accidente  R  19 rationabile  Em1G post  specie  add.  praedicatur  G  quod risibile est, rationale est,’ differentia de proprio, quod nigrum est, rationale est, si æthiopem demonstremus, dif- ferentia de accidenti; item quod risibile est, homo est, species de proprio, ‘quod nigrum est, homo|est,’ si æthiopem designemus, species de accidenti, qua in re etiam quod nigrum  est, risibile est in Aethiopis demonstratione ut proprium de accidenti praedicatur. conuerti autem ad totum accidens potest, ut quoniam in indiuiduis singulorum esse proponitur, idcirco de superioribus etiam PREDICARE, ut quoniam Socrates animal est, rationalis est, risibilis est et homo est, cumque in Socrate  sit calvitium, quod est accidens, praedicetur idem accidens de animali, de rationali, de risibili, de homine, ut accidens de quattuor reliquis PREDICARE sed horum profundior quaestio est nec ad soluendum satis est temporis, hoc tantum ingredientium intellegentia expectet, quod alia quidem recto ordine PREDICARE, alia uero obliquo, quoniam moueri hominem rectum est, id quod mouetur hominem esse conuersa locutione proponitur, quocirca rectam Porphyrius in omnibus propositi- onem sumpsit, quodsi quis uim praedicationis et solutionis adtenderit in singulis praedicationibus comparans, eas quidem  1 differentiam  HR  3 accidentia  G post  item  add. quod rationale est homo est species de differentia  Hm1, del. m2  speciem  ELm2PR,   item 5  6 ut  om. R, del. ELm2 post  proprium  s. l.  etiam  Pm2,   post  accidenti  N, s. l. Cm2 praedicetur  CHLm1NPm2  ad  om.   N, s. l. Cm2  8 ut  ex  et  Hm2  in]  N, s. l. m2 in EHP, om. cett. praeponitur  Ca.c.EGHLNR  9 praedicatur  CHLNR ante  animal  add.  et  HN  10  ante  rationalis  add.  et  HNP, s. l. Cm1?  rationabile  Lm1 ante  risibilis  add.  et  HNPR, s. l. Cm1? Lm2  risibile Cm1EGLm1  et  (s. l. m1?)  homo est  post  rationalis est  C  et  om.   EG  11 praedicatur  CHLm2NP 12  secund.  de  om. CEGR tert.  de  om. R quart.  de  om. C  ut] et  CHN praedicatur  CHN dissoluendum N expectet idem quod  spectet quoniam] nam HLm2NP moueri posthominem Cm2Pm2 17 moneatur  N  ante  proponitur  s.l.  non  Hm2  proportionem  EL uim quis  EGLR  uim  om. Hm1, ante adtenderit s. l. m2  praedicatae  H  praedictae Lm2Pm2  et solutionis] CN  solutionisque  L  solutionis  Gm1Hm2  (locutionis  m1 ),  s. l. add. Pm2  solutione  Gm2R  solue  (sic) E attenderit  in ras. Em2  ostenderit  R prolationes quae rectae sunt, inueniet a Porphyrio esse enumeratas, eas uero quae conuerso ordine praedicantur, fuisse sepositas. Commune est autem generi et differentiae con-  tinentia specierum. continet enim et differentia species, etsi non omnes quot genera, rationale enim etiamsi non continet ea quae sunt inratio· nabilia quemadmodum animal, sed continet homi-  nem et deum, quae sunt species, et quaecumque praedicantur de genere ut genera, et de his quae sub ipso sunt speciebus praedicantur, et quae- cumque de differentia PREDICARE ut differen- tiae, et de ea quae ex ipsa est specie praedicabuntur. nam cum sit genus animal, non solum de eo praedicantur ut genera substantia et animatum, sed etiam de his quae sunt sub animali speciebus  4—p. 292, 10] Porph. p. 13, 22—14, 12 (Boeth. p. 40, 17—41, 12).   1 esse  om. GN, add. Hm2  enumeratas] N numeratas  cett.  2 prae- dicantur] proferuntur  HN  3 positas  Gm1Hm1  suppositas  Pm2  4  de   Porph. cf. ad p. 103, 7  5 Communis  Σ ,  m1 in EH \  est  om. E   Porph. (p. 13, 33) Busse, post  autem  N  6 continet—sunt  (p. 292, 8)] LR Q ,  om. cett.  7 etiamsi  ΔΣ  quod  i m1  quas  A m2R  8 enim  om. R,   8. l.   Δ inrationalia  2Φ ,  add.  ut genus  codd. praeter R Σ ,  om. etiam   Porph. p. 14,2, delend. uid. Bussio 9 sed] tamen  brm  10 deum] angelum  R  angelum et deum  L; Porph. cod. A   θεόν,  cett.   άγγελον 11 genera]  Σ  genus  cett. Busse (sed  genera  probare uid.); cf.  ut genera  16. p. 293, 20 , ut differentiae; Porph.  όσα τε ν,ατηγορεΐται του   γένους ώς γένους  et] eadem  in ras. A m2  12 et]  Z p, s. l.   A m2,   om. cett.  (aliter  er.   T )  Busse  item  brm; cf. ad quaecumque]  Lm2R Z  quaeque  cett.  13 de differentia] differentiae  Lm1 A  differentia  R ΓΦ ;  cf.  ut differentiae  p. 294, 1; Porph. p. 14,4   όσα τε τής διαφοράς ώς   διαφοράς  ex] sub  L \  et  R; Porph.   έξ praedicantur  Γ  15 genus sit  ΔΛΣ  16 praedicatur  R  ut  om. edd.  genera]  L Z   Busse  genus  cett. codd., om. edd.; cf. p. 394, 3—5; Porph. p. 14,5   γένους... ώς   γένους αατηγορεΐται ή ουσία  17 sunt  om. L  animalis  Δ  omnibus PREDICARE haec usque ad indiuidua. cumque sit differentia rationalis, praedicatur de ea ut differentia id quod est ratione uti, non solum autem de eo quod est rationale, sed etiam de his quae sunt sub rationali speciebus PREDICARE ratione uti. commune autem est et perempto genere uel differentia simul perimi quae sub ipsis sunt; quemadmodum enim si non sit animal, non est equus neque homo, ita si non sit rationale, nullum erit animal quod utatur ratione. Post eam quae cunctis adesse uisa est communitatem, singulorum ad se similitudines ac dissimilitudines quaerit, et quoniam inter quinque proposita genus ac differentia uniuersalioris praedicationis sunt, siquidem genus species continet ac differentias, differentiae uero species continent neque ab his  ullo modo continentur, primum generis ac differentiarum similitudines colligit, ac primam quidem ponit hanc, dicit enim commune esse generi ac differentiae, ut species claudant;  1 praedicatur  LR ante  haec  add.  et  s. l. Lm2, in mg.   Γ,  post  haec  Λ  haec  del.   \ m2  2 rationalis]  codd. (etiam Bussii LQ  rational,  in P uox paene tota euanuit) rationale  edd. Busse; Porph. διαφοράς τε οόσης τής τοΰ λογιχοΰ ;  cf. infra p. 293, 14  rationalis diffe- rentia;  295, 11  sub rationali differentia,  unde  rationalis  nominatiuum   potius intellegas quam cum Porph. genetiuum praedicantur  Φ  3 eo  coni. Busse  non] et non  L *l  4 autem]  ΓΦ ,  s. l. Km2, om. cett.;   Porph. p. 14, 8   δε  5  ante  sunt  s. l.  sub ipsa  \ m2  sub rationabili- bus  h m1, del. m2 post  rationali  add. animali  ΠΦ,  s. l. Lm2  praedicatur  ΓΔΛΣΦ   a.c.; Porph. p. 14, 9   χατηγορηθήσετοι  6  ante ratione  add.  id quod est  s. l.   & m2 W m2 Busse  id quod potest  LR post  com- mune  s. l.  illis  Γ est autem  Φ   ante  perempto  add.  hoc  Λ  genere]  Porph.  ή τοΰ γένους ,  om.   η   cod. Μ  8 enim]  Σ ,  s. l.   Ψ m2,  om. cett.; Porph. p. 14,11   γάρ  sit] est  CEGHP  9 ita] sic  L  ac  b m1 \  12 ad se] ad esse  EGP  et  om. CEG, s. l. Pm2, del. Lm2  13 generis ac differentiae  CN  uniuersaliores praedicationes  CEGNP  14  ante  species  add.  et  LR  15 nec  N  16 ac] et  N  17 primum  LNP hanc] hanc communionem  H  18 commune] hoc commune  H  communionem  LR  ac] et  CGLP concludant  HN   nam sicut genus sub se habet species, ita etiam differentia, tametsi non tantas quot habet genus, etenim genus quoniam differentiam etiam claudit et non unam tantum sub se differentiam cohercet ac retinet, plures necesse est habeat sub se  species, quam quaelibet una earum differentiarum quas claudit, ut animal PREDICARE de rationabili et inrationabili. quodsi ita est, PREDICARE et de his quae sub rationali sunt positae speciebus et de his quae sub inrationali. est ergo commune animali et rationali, id est generi et differentiae, quod sicut  genus de homine et de deo PREDICARE, ita etiam rationale, quod est differentia, de deo ac de homine dicitur, sed non in tantum haec praedicatio funditur quantum animalis, id est generis, animal enim non de deo solum atque homine, sed de equo et boue praedicatur, ad quae rationalis differentia non  peruenit. sed quandocumque deum supponimus animali, secun- dum eam opinionem facimus quae solem stellasque atque hunc totum mundum animatum esse confirmat, quos etiam deorum nomine, ut saepe dictum est, appellauerunt. Secunda item communio est generis ac differentiae, quoniam quaecumque  PREDICARE de | genere ut genera, eadem de his quae sub  p. 96  ipso sunt speciebus praedicantur; ad hanc similitudinem 15 quandocumque — 18 appellauerunt] Abaelardus, Introduct. ad theolog., II 34. saepe] p. 208, 22. 259, 19.   1 habeat  Lm2  differentiae  EGR  2  post.  genus  om. EGR, post quoniam  Cm1, corr. m2  3 differentias  CHm1L  etiam  del. Lm2, om. N  et  om. EG, s. l. Lm2 tantum  om. H, s. l. Lm2  4  ante  plures  add.  sed  EGL  adhibeat  R  ut habeat  L  5 quas  om. L quam  EGHPm1R  6 rationali  CHLN  inrationali ( uel  irt-)  HLN  7 rationabili  Cm1EGm2P  8 inrationabili ( uel  irr-,)  CEGNP  commune est,  post s. l.  ergo  C; ergo  om. EG, add. Pm2  10 et de deo  om. EG  rationabile  CEGR  11 in  om. LN  12 haec  om. EG  14 rationabilis  R  16 opinionem]  CHNPm2 Abaelard.  propositionem  EGLPm1R  qua  EGLm1P  solem] coelum  Abaelard.  17 confirmant  EGLm1  confirmet  N  20 de genere praedicantur  C post  eadem  add.  et  L  21 ipso] genere  H  ad hanc similitudinem  om. EGR; ante  ad  s. l.  et  Pm2   quaecumque de differentia prædicantur ut differentiae, et de his quae sub differentia sunt ut differentiae praedicantur, cuius sententiæ talis est expositio, sunt plura quae de generibus praedicantur ut genera, ut de animali dicitur animatum, dicitur substantia, atque haec ut genera, haec igitur praedicantur et  de his quae sub animali sunt, ut genera rursus; nam hominis et animatum et substantia genus est, sicut ante fuerat animalis. item in ipsis differentiis quaedam differentiae inueniuntur quae de ipsis differentiis PREDICARE, ut de rationali duae differentiae dicuntur, quod enim rationale est, utitur ratione  uel habet rationem, aliud est autem uti ratione, aliud habere rationem, ut aliud est habere sensum, aliud uti sensu, habet quippe sensum et dormiens, sed minime utitur, ita quoque dormiens habet rationem, sed minime utitur, ergo ipsius ratio- nabilitatis quaedam differentia est ratione uti, sed sub rationabilitate homo positus est; prædicatur igitur de homine ratione uti ut quaedam differentia, differt enim a ceteris animalibus homo, quia ratione utitur, demonstratum igitur est quia sicut ea quae de genere praedicantur, dicuntur de generi subiectis, ita etiam ea quae de differentia prædicantur, dicuntur de his  quae differentiae supponuntur. Tertium commune est quod ante  quaecumque  add.  et  EGL(del. m2), er. uid. C  quaeque  GPR  praedicantur  om. EGR, post ut differentiae  H  ut differentiae  om. EG post  differentiae  add.  eadem quoque  L, post  de his  P (om.  et), eadem  s. l. Nm2  2  post  sub  add.  ipsa  NR  sunt  ante  sub  H  ut differentiae  om. H, s. l. Nm2  ut differentia  EG  4  post.  dicitur  om. L 5 ante  substantia  add.  et  LPm2  6 rursus  ante  ut  GR, post L  7 antea fuerat  H  ante fuerant (n  s. l. m2) L  fuerant ante  R  8 quae- dam  s. l. Cm2  9 praedicentur  Cm2  ut  om. HN  11 autem habere rationem aliud uti ratione  NR.  12 ut  om. H sicut  N  est  om. H  13 sed minime utitur  om. N  sed—dormiens  om. EGPE, del. Lm2  ita—rationem  in sup. mg. Nm2  15 sed  om. EG, s. l. Pm2  16 positus est homo  R  esse ( om.  est  EGP est  ex  esse  Lm2  esse  del. Pm2 ) praedicatur. Igitur  EGLP  17 ut  om. EG, s. l. Cm2 post  diffe- rentia  add.  est  EGP  a]  L, om. cett.  18 homo  ante  ceteris  H  est igitur  HLN  quia] quod  CL  post.  generum  EGLm2P  20 post  his  add.  quoque  HN  21  post  Tertium  add.  uero  P, s. l. Lm2 quod] quia  C sicut absumptis generibus species interimuntur, ita absumptis differentiis species de quibus differentiae praedicantur, intereunt, commune enim est hoc, uniuersalium in substantia pereuntium perire subiecta. sed prima communio demonstrauit genera de  speciebus praedicari, sicut etiam differentias, propter hanc igitur similitudinem si auferantur genera, species pereunt, sicut etiam species perire necesse est quae sub differentiis sunt, si uniuersales earum differentiae consumantur, cuius exemplum est: si enim auferas animal, hominem atque equum sustuleris,  quae sunt species positae sub animali, si auferas rationale, hominem deumque sustuleris, qui sunt sub rationali differentia collecti. Et de communitatibus quidem hactenus, nunc de generis et differentiae dissimilitudine perpendit. Proprium autem generis est de pluribus prædicari quam differentia et species et proprium et accidens; animal enim de homine et equo et aue et serpente, quadrupes uero de solis quattuor pedes habentibus, homo uero de solis indiuiduis et hin-  nibile de equo et de his qui sunt particulares, et  14—297, 2] Porph. p. 14, 13—15, 8 (Boeth. p. 41, 13—42, 14).   1 sicut—ita  om. EG  consumptis ( post  ita)  Pm2  6 igitur] qui- dem  E  sicut] sic  GHm2LN  7 species etiam  HNP  10 quae] quia  H  qui  ex  quia  Nm2  12 collocati  HNP, recte? cf. 10. p. 300, 18  Et  om. CEGP, del. Lm2  13 perpendet  G  14 PROPRIO  C  PRO- PRIIS  post DIFFERENTIAE  L  GENERI  R  DE PROPRIIS EORVM (EORVNDEM  ΨΡ Ψ ;  de Porph. cf. ad autem  om ·.  ΓΦ  generi  LNR A ;  cf. infra p. 297, 15. 16 s. 299, 17. 300, 23. 301,10. (13) 302,11  est  ante  generis  s. l.   A ,  om .  Σ ,  om. Porph. p. 14,14  16  ante  quam  add . magis  L (er.)   A   (del. m2)  differentiae  EGHLPm1R ;  Porph. p. 14, 15   ή διαφορά  et species—differentia  LR ii ,  om. cett . et proprium] propriumque  A  17 de equo et (de  add.   \ ) homine  ΔΑ  post  uero  add . uidetur  ΓΦ ,  m1 in L ΔΑ ,  del. m2; om. Porph. p. 14, 17  solis  om. R  20  ante  equo  add . solo  edd. cum Porph. μόνον ,  fort. recte post , de  om. R, s. l. Lm2   accidens similiter de paucioribus, oportet autem differentias accipere quibus diuiditur genus, non eas quae complent substantiam generis, amplius genus continet differentiam potestate; animalis enim hoc quidem rationale est, illud uero inratio-  nale. amplius genera quidem priora sunt his quae sunt sub se positae differentiis, propter quod simul quidem eas auferunt, non autem simul aufe- runtur; sublato enim animali aufertur rationale et inrationale. differentiae uero non auferunt  genus; nam si omnes interimantur, tamen substan- tia animata sensibilis subintellegitur, quae est animal, amplius genus quidem in eo quod quid est, differentia uero in eo quod quale quiddam est, quemadmodum dictum est, praedicatur, amplius  genus quidem unum est secundum unam quamque speciem, ut hominis id quod est animal, differen- tiae uero plurimae, ut rationale, mortale, mentis et disciplinae perceptibile, quibus ab aliis differt, et genus quidem consimile est materiae, formae  uero differentia, cum autem sint et alia communia  1 autem  om .  Σ  enim  Lm1  4 continet genus  LR; Porph. p. 14, 20   τό γένος περιέχει 5 enim  om.   2  uero  A m1  est  in mq. Lm2  6 quidem genera  Lm1R  priora  om. L  7 sub se  ante sunt  L, post  positae  R  positis  ΓΛΦ ,  m1 in L Λ2  quidem  om. L, ante  simul  R  auferunt]  h m1 V aufert  cett.; Porph. p. 14, 22  ( τα γέν-r )  σοναναιρεΐ οΰτός  aufe- runtur]  A m1 W  aufertur  cett.; Porph. p. 14, 23   σοναναιρεϊται  9 aufertur rationale—aufernnt genus  om. R  11 si] etiamsi  brm cum Porph. p. 15, 1   καν ; fort. etsi  scribendum  tamen  om .  Σ ,  s. l.   A m2 A m2  12 sensi- bili  R subintellegitur]  Φ  subintellegitur potest  R  subintellegi  potest   cett.; Porph. p. 15, 2   επινοείται quod  Δ   Busse; Porph .  οϋσια...ήτις ήν τό ζψον  14 uero  om. L  quiddam  om. R  quid  edd . est  om.   LR TΛΦ  15 quemadmodum] sicut  LR  est dictum  Λ   Busse  16 quidem genus  hA m1 Z  est unum  LR  17  ante  hominis  add. est   edd. Busse; om. Porph. p. 15, 4  18 plures  brm cum Porph. p. 15, 5   πλείοος ;  cf. infra p. 301, 21; post  plurimae  add . sunt  ΑΣ   Busse; om. Porph. mentis  5 m2  risus  m1  20 cum simile  R  21 autem  Cp.c . haec  a.c . et  om. G   et propria generis et differentiae, nunc ista sufficiant. Proprium quidem quid sit, conuenienti atque integro uocabulo definitum est. sed per abusionem illa etiam propria  quorumlibet dicuntur quae in una quaque re ab aliis continent differentiam, licet cum aliis sint ea ipsa communia, per se quippe proprium est homini quod ei omni et soli et semper adest, ut risibilitas, per usurpatam uero locutionem etiam proprium hominis rationabilitas dicitur non per se proprium,  quippe quod ei cum deorum est natura commune, sed homini rationabilitas proprium dicitur ad discretionem pecudis, quod rationale non est; id uero propter hanc causam, quoniam id proprium unius cuiusque dicitur quod habet suum, quo igitur quis ab alio differt, proprium eius non absurda usurpatione  praedicatur, sed nunc quod dicit proprium generis esse de pluribus praedicari quam cetera quattuor, id ipsum generis tale proprium est, quale per se proprium dici solet, id est quod semper et omni et soli adsit generi, generi enim soli adest, ut differentia, specie, proprio, accidenti überius atque  affluentius praedicetur, sed de his differentiis, speciebus, propriis atque accidentibus id dici potest quae sub quolibet  1 proprii  P  et] ac  EGP  nunc  om. Porph.  sufficiunt  Λ m1 2 ;  Porph .  άρκείτω ταϋτα ,  cod. B   apxet τοααδτα  3 quidem] autem  C  quod  R in una quaque re]  CLP  re  om. N  una quaque  E  una quaeque  G  unam quamque  HR  6 differenda  EGLm1  7 omni et soli] et soli et omni  C   pr.  et  s. l. Lm2 post , et  om. EG  10  post  ei  add . quoque  HNP  12 rationabile  HR post  uero add. fit  L ,  s. l. Pm2  14 aliquo  Lm2  differat  Cm2Hm1N  15 nunc  om. EG ,  post  quod  C  17 tale  ante  quale  P est proprium  LP post , est  om. CN  18 et  add. brm  adest  C  generi enim  in mg. Hm2  enim] uero  C  autem  L  19  post  ut  add . et  H   (del. m2) N  et specie  HLN  et proprio  HLR  et (atque  R ) accidente  HLm1  (-ti  m2 )  NR  20 affluentius]  CHNPm2  fluentius  Lm1,  s. l . ł lucidius  m2 cluentius  E  ( s. l . habundantius]  Pm1  licentius  G  luculentius  R  de] e  R  speciebus  post differentiis  pos. Brandt, ante codd. pr, om. bm  et propriis  CHLN  atque  om. P   genere sunt, id est differentiae quidem quae quodlibet diuidunt genus, species uero quae diuisibilibus generis differentiis infor- matur, proprium autem illius speciei quae sub illo genere est quod differentiis est diuisum, accidentiaque quae his hae- reant indiuiduis quae sub ea specie sunt quam designatum  genus includit, hoc facilius exempla declarant, sit enim genus animal, quadrupes ac bipes differentiae sub animalis positae continentia, homo atque equus species sub eodem genere constitutae, risibile atque hinnibile propria earundem spe- cierum, uelox uero uel bellator accidentia quae his indiuiduis  accidunt quae sub speciebus equi atque hominis continentur : animal igitur, quod est genus, praedicatur et de quadrupede et bipede, quae sunt differentiae, quadrupes uero de bipede non dicitur, sed tantum de his animalibus quae quattuor pedes habent; plus igitur praedicatur genus quam differentia, rursus  homo de Platone ac Socrate praedicatur, animal uero non modo de hominibus indiuiduis, uerum etiam de ceteris inratio- nabilibus indiuiduis dicitur; plus igitur genus quam species praedicatur, sed cum sit proprium hinnibile equi speciei cum-  1 differentiae]  CNp  differentias  EG, m1 in HLP de  (om. HPR)  dif- ferentiis  m2 in HLP, Rbrm  quidem  om. B, ante add . sunt  C, post N  genus diuidunt  HN  2 speciebus  Hm2Lm2  specie  Pm2brm  diuisi- bilis  Hm1Pm1R  ( add . est), dissimilis  E  ( add . est)  G, ad  diuisibilibus  in mg.  ał quae diuisiuis  Lm2, sed ante generis  add  est  ERm2, add . sunt,  post  et  (del. m2) P  informantur  CLm2  3 pro- prio  m2 in HLP (ante s. l. de add.) brm post  autem  add . quod est  EGP (del. m2)  illi  Lm1 diuisiuum  Lm1  diuiditur (om . est;  N  accidentiaque]  CEGHm1Lm1  accidentia quoque Pm1  (de accidentibus quoque  m2 ) accidentia  Rp  accidensque  N  accidentibusque  Hm2Lm2brm  quae] quod  N  hereat  N  haerent  Pm2 edd . 5 sint  G  10 uelox— bellator]  HNP  (uel  om. , et  s. l. m2 ), uelox uero dux uel bellator  C  uelox uero uel bellator dux  L  uelox uero bellator dux  EG  ferax uerox  (sic)  ( s. l . equus  m2 ) bellator dux  R  11 accidant  H  accidencia  Pm1  12 et  om. EGP  13 et bipede]  HNP, om. R  bipede  C  de bipede  EGLm1  et de bipede  m2  quadrupedes  G  14 his  om. GR, s. l. Cm2Lm2  ac] et  P post  praedicatur  add. et ceteris  HNP  17 hominis  C  (s  in er. b.? m2 )  GHm1N  19 sed—praedicetur  om. EG  hinnibile  ante  proprium  N, om. LR  simile  H  equi  om. H   que genus quam species überius praedicetur, praedicatio quo- que generis proprii supergreditur praedicationem, accidens quoque etsi pluribus inesse potest, tamen saepe genere con- tractius inuenitur, ut bellator non proprie nisi homo dicitur,  ut uelocitas in paucis animalibus inuenitur. quo fit, ut genus differentia, specie, proprio et accidentibus amplius praedicetur. Atque haec est una proprietas generis quae genus ab aliis omnibus disiungat ac separet, oportet autem, inquit, nunc eas differentias intellegere quibus diuiditur genus, non quibus  informatur, illae enim quibus informatur genus, plus quam ipsum genus sine dubio praedicantur, ut animatum et corporeum ultra animal tenditur, cum sint differentiae animalis, sed non diuisiuae, sed potius constitutiuae; omnia enim superiora de inferioribus praedicantur, quae uero de inferioribus praedicantur neque conuerti possunt, haec ab eis quae inferiora sunt amplius praedicantur.   Post hoc aliud proprium generis ostendit quo ab his differentiis quae sub eodem sunt positae, segregatur, omne enim genus continet differentias potestate, differentia uero  genus non potest continere, animal enim rationale atque inra- tionale continet potestate; neque enim inrationabilitas neque rationabilitas animal poterit continere, potestate autem ait continere animal differentias quia, ut superius dictum est,  23 superius] p. 264, 16.   1 praedicatur  Cm1R  3 inesse] inest  C  ante saepe  add . semper uel  Hm1, del. m2  contractius genere  H  inneniri  C  5  pr.  ut  er. uid. C, om. HPm1  et  LN, s. l. Pm2  6  ante  differentia  add . et  Hm2LN ante  specie  add . et  HL  et de  N ante  proprio  add. et HL  et de  N  et  om. E  accidente  R  8 inquit  om. N, del. Hm2  10  post  informatur  add . genus  C  illae—informatur  om. EGLR, post praedicantur  (11) add . Ipsae enim diffe- rentiae a quibus informatur genus  Lm1, ante  plus quam  transpos. m2  illae enim] nam illae  P ante  plus  add . nam  GR  11 sine dubio  om. HN  et  om. EG  12 tendit  EG ? tenduntur  R  sunt  H  15 ab  om. H  18 eodem] eo  HN  eodem genere  C segregetur  HN  20 rationabile  ELm2P  atque  om. EGR, s. l. Pm2  inrationale  om. EGPm1R inrationabile  Lm2, s. l. Pm2  21 inrationalitas neque rationalitas  HN  22 poterunt  CHLP  post  differentias  add . proprias  CL (del. m2), ante HNP   genus quidem omnes sub se habet differentias potestate, actu uero minime, ex quo fit ut alia proprietas oriatur, sublato enim genere perit differentia, ueluti sublato animali interimitur rationabilitas, quod est differentia, at si rationale interimas, inrationale animal manet, sed obici potest : quid? si utrasque  differentias simul abstulero, num poterit remanere genus dicimus: potest, unum quodque enim non ex his de quibus praedicatur, sed ex his ex quibus efficitur, substantiam sumit, itaque fit ut genus sublatis diuisiuis differentiis permanere possit, dum tamen maneant illae quae ipsius generis formam  substantiamque constituunt, quoniam enim animal animata  atque sensibilis differentiae constijtuunt, hae si maneant atque iungantur, perire animal non potest, licet ea pereant de quibus animal praedicatur, rationale scilicet atque inrationale. unum quodque enim, ut dictum est, ex his substantiae proprietatem  sumit ex quibus efficitur, non ab his de quibus praedicatur, amplius si utrasque differentias genus potestate continet, ipsum per se neutram earum intra se positam collocatamque con- cludit. quodsi actu quidem eas non continet, sed potestate, actu etiam ab his poterit separari; hoc ipsum enim, potestate  eas continere, id erat actu non continere, genus uero, quod quaslibet differentias actu non continet, actu ab eisdem etiam separatur. Kursus aliud est proprium generis, quod ex pro-  1 omne  GR  2 alia ut  EGP  4 rationalitas  HN  at  om. EGR  rationabile  CLm1R  5 inrationale  om. EG  inrationabile  Lm1R  quod  CEGLP  qui  R  6  post  abstulero add. rationales et inrationales  E num] non  EGLm1P  7 dicimus] sed dici  EP  de quibus—his  in mg.   Hm2  8  post , ex] de  P  9 itaque] atque  GR  atque  ita C  atque ideo  EP  10  post  tamen  add . earum  P  illa  C  ( a. in er . ae  m2 )  N  quod  E  11 quoniam—constituunt  in mg. inf. Em2  animati  Cm2LR  12 differentia  HN differendis  Pm1  haec  C (c er.)   EGHN  manent  E  15 dictam est] diximus  C  17  ante  ipsum  s. l. tunc  Hm2  18 neutra  G  neutrum  R  positum collocatumque  LPm1R  20 etiam] quidem  E post poterit  add . genus  EG   post  enim  add . quod est  R, s. l. Pm2  21 erit  Lm2R  quod] quae  E  23 eat om. ENR   prietate praedicationis agnoscitur, omne enim genus ad inter- rogationem ‘quid est unum quodque?’ responderi conuenit, ut animal in eo quod quid est de homine praedicatur, differentia uero minime, sed in eo quod quale sit; omnis enim differentia  in qualitate consistit, sed hoc proprium tale est quale superius diximus, non per se, sed secundum alicuius differentiam dictum, alioquin commune est hoc generi cum specie, ut in eo quod quid sit praedicetur, sed quia hoc genus a differentia discrepat, quoniam differentia quidem in eo quod quale est,  genus uero in eo quod quid est praedicatur, generis proprium dicitur non per se, sed ad differentiae comparationem, et in omnibus reliquis eandem rationem conueniet speculari; quodcumque enim ita generi proprium dicitur, ut nulli sit alii commune, sed tantum hoc habeat genus ut omne genus et  semper, id secundum se proprium nuncupatur, quicquid uero cum quolibet alio commune est, id non per se, sed ad alterius differentiam proprium dicitur. Alia rursus generis et diffe- rentiae separatio est, quod genus quidem speciei unum semper adest, scilicet proximum plura - enim possunt esse superiora,  uelut hominis animal atque substantia, sed proximum eiusdem hominis animal tantum —, differentiae uero plures uni speciei  5 superius] p. 297, 9.   1  post  agnoscitur  add . Omne enim genus ei proprietate cognoscitur praedicationis  P, in inf. mg. Lm2  generis  E  2 quid est] quidem  E  quidem quid est  HN  unum  om. E  respondere  CLR  4 sit] est  HN  7 hoc  ex  huic  Em2  8 ac G 9 est] sit  N  11 et  om. EG  12 conuenit  CHNP  13 generis  Pm2  alii sit  C  14 tamen  E  habeat—semper]  Cm2Hm1N  habeat genus et omne genus et (et  om .  Lm2R ) semper  Cm1Hm2Lm2R  habeat omne genus semper  EG  habeat genus omne semper  Lm1  genus hoc  (del. m2)  haheat omne genus (genus omne  m2 ) et  (s. l. m2)  semper  P  15 se  om. CN , illud  Cm2   (s. l.)  id  H post proprium  add . dicitur quod per se proprium  CHN  16 ad  om. C, in mg. Hm2  17  pr . differentia  C  18 est  om. HNR ,  s. l. E  uni  R  19 proximum  Cp. c . proprium  a. c . ad plura  in   mg.  genera  Lm2 , enim genera  P  20 ante animal  s. l . sed genus  Cm2  21  post  speciei  add.  semper adsunt  E   adesse poterunt, ut rationale atque mortale homini, itaque fit definitio ex uno quidem genere, sed pluribus differentiis, ut hominis animal rationale mortale. Rursus alia discretio est, quod genus quidem quasi subiecti locum tenet, differentia uero formae, ita ut illud sit materia quaedam quae figuram  suscipiat, haec uero sit forma quae superueniens speciei substantiam rationemque perficiat. Idcirco uero pluribus differentiis a genere differentiam segregauit, quia haec maxime generis quandam similitudinem contineat, quia est uniuersalis et praeter genus inter ceteras maxima, sed cum alia plura communia pluraque propria generis inter se ac differentiae ualeant inueniri, nunc, inquit, ista sufficiant, satis est enim ad discretionem quaslibet differentias assumere, etiamsi non quae dici possunt omnia colligantur. Genus autem et species commune quidem ha- bent de pluribus, quemadmodum dictum est, prae- dicari. sumatur autem species ut species et non etiam ut genus, si fuerit idem et species et genus. Porph. Boeth. adesse—mortale  om. EGR  ut  om. HN  ut homini  C  Hominis itaque  C  hominis, itaque  P  2  ante  pluribus  add . de  Lm2  3  post  rationale  add.  atque  edd . est  om. HNR  4 quidem  om. C  5 ita ut om.  EGLm1  ut  m2  quaedam  om. EG, s. l. Lm2, ante  materia  P  quae  om. R, s. 1. Cm1?  quod  Em1  6 suscipiens  Lm1R  7 uero  om. EGLR  8 differentias  CEGHm1Pm1  9 continet  EGLPR  10 et  om. N  praeter] post  HPm1  maxima inter ceteras  H  in  N  cetera Lm1Pm2 edd . maximi  G  maximae  Pm1  12 nunc — sufficiant]  HLNR   (recte? an ex p. 297, 1?) ista inquit sufficiunt  GP  sufficiunt inquit ista  C  ista quidem sufficiunt  E  14 non  post  omnia  E (s. l.) p, ante brm  colliguntur  Hm1R  15 ET SPECIEI] SPECIEIQVE  C; de Porph. cf. ad p. 102, 7  17 de pluribus  om. G  18 sumatur—prae- dicantur  (p. 303, 2)] LR Q ,  om. cett . autem] autem et  L ΛΛΦ ;  Porph. p. 15, 11   11  et  om .  ΓΔ  sed  RΣ  19 ut  add .  \ m2 pr . et]  L cum Porph. p. 15,12, om. codd. cett. edd. Busse  genus et species  Ε Σ   commune autem his est et priora esse eorum de quibus praedicantur, et totum quiddam esse utrum que. Generis et speciei enumerat tria communia, unum quidem,  de pluribus praedicari; genus enim et species de pluribus praedicantur, sed genus de speciebus, ut dictum est, species uero de indiuiduis. sed nunc de illa specie loquitur quae tantum species est. id est quae non etiam genus est, sed ultima species, quodsi talem speciem ponamus quae etiam  genus esse potest, ac de ea dicamus quoniam commune habet cum genere de pluribus praedicari, nihil interest an ita dica- mus, ipsum genus id secum habere commune de pluribus praedicari, talis enim species quae non est solum species, ea etiam genus est. Est autem commune his quoque quod utra-  que priora sunt his de quibus praedicantur, omne enim quod de aliquibus praedicatur, si recto, ut dictum est superius, ordine dicatur, prius est his de quibus praedicatur. Praeterea est illis hoc etiam commune, quod genus ac species totum sunt eorum quae intra suum ambitum continent et cohercent;  omnium enim specierum totum est genus et omnium indi- ui|duorum totum species, aeque enim genus et species aduna-  p. 99  tiua sunt plurimorum, quod uero multorum adunatiuum est, id eorum quae ad unitatis formam reducit, recte dicitur totum. superius] p. 290, 15 ss.   1 est  om. L  priora] propria  La.c. Tk a.c A m1  2 esse] est  C  5  ante  genus  add. et H (er.) N  6  post  genus  add . quidem  L  8 est, sed] est ut est  H  ut est  N  12 secum]  H  (cum  in ras. m2 )  LR  secundo  CEGNPm2  (-da  m1 ) de pluribus—commune  post  praedicantur  (15) E 13 quod  E  14 his commune  HN  15 omne—-praedicatur  (16) in mg. Hm2 dicatur] praedicatur  CN  his] de his  G  18 etiam hoc  N  eorum sunt  C  20 genus est  NR  et] ut  Hm1  ante  species  add. est CNP, post E (in ras.) H  23 quod  E  re- ducuntur  Ca.c.N     Differt autem eo quod genus quidem continet spe- cies sub se, species uero continentur et non continent genera; in pluribus enim genus quam species est. genera enim praeiacere oportet et formata specificis  differentiis perficere species; unde et priora sunt naturaliter genera et simul interimentia, sed quae non simul interimantur. et species quidem cum sit, est et genus, genus uero cum sit, non omnino erit et species. et genera quidem uniuoce de speciebus praedi-  cantur, species uero de generibus minime, amplius genera quidem abundant earum quae sub ipsis sunt specierum continentia, species uero a generibus abun- dant propriis differentiis. amplius neque species fiet umquam generalissimum neque genus specialissimum.   Expeditis communibus generis ac speciei nunc de eorum discretione pertractat. differre enim dicit genus ab specie, quoniam genus continet species, ut animal hominem, species  1—15] Porph. p. 15, 14—24 (Boeth. p. 42, 21—43, 10). 1 PROPRIO  H  DIFFERENTIIS  C; de Porph. cf. ad p. 105, 16  2 Differunt  ENR edd.; Porph. p. 15, 15   διαφέρει   post  autem  add . genus  a  specie  Φ  continet quidem  N  3 sub se  er. uid .  5 ,  s. l. 2 m2, ante  species  (2)   ΓΦ ;  Porph. p. 15, 15   περιέχει τά είδη  species  s. l. Gm2  continetur  C A continetur a genere  Γ ;  Porph .  τα δέ είδη περιέχεται  et  om. EG  continet  C ΑΦ  4 in pluribus—differentiis  (14) ]  LR Q ,  om. cett . enim] quidem  S ;  Porph. p. 15, 16   ετι τά γένη  5  ante  oportet  s. l . et  5 m2  et  s. l .  5 m2 ,  hic om., sed ante  perficere  pos. LR h m1   (del. m2)   A ;  Porph. p. 15, 17 ν.α'ι διαμορφωθ-έντα  7 sed] si  R  9 est]  Porph. p. 15, 19   πάντως εστι;   exciditne  omnino ?   pr . et  om .  LR I ,  s. l .  A m2 ;  Porph. p. 15, 19   εστι και γένος   post . et]  A   (del. m2)   Φ   cum Porph. p. 15, 20, om. cett. edd. Busse  10 uniuoce quidem  AAS ;  Porph.   τά μέν γένη  de speciebus]  Porph. p. 15, 21   των δφέοοτά ειδών  12 quidem genera  L s m2 i\Y .  Busse; Porph.   τά μέν γένη  sunt  (s. l. L)  sub ipsis  LR; Porph. p. 15, 22   των όπαΰτά ειδών  13 a  om .  ΓΦ  ab  A m1 ,  del. m2  14 fiet  post  umquam  C  fit  HN  15 neque genus specialissimum  om. H   post  genus  add . fiet  CEGR  fiet umquam  ΑΑΣ  fiet species  L; Porph. 15, 24   ούτε τδ γένος ειδικάιτατον  16 ac] et  CE  17 differt  GR  a  HLNR  18  pr . speciem  HN   uero non continet genera; neque enim homo de animali prae- dicatur. itaque fit ut species quidem contineantur a generibus, numquam uero contineant genera, omne enim quod amplius praedicatur, illius est continens quod minus dicitur, quodsi  genus amplius praedicatur quam species, necesse est ut spe- cies quidem contineatur a genere, genus uero speciei nullo ambitu praedicationis includatur, huius autem ratio est quo- niam genus semper suscipiens differentiam speciem facit, hoc est, genus quod habebat latissimam praedicationem, coartatum  differentia et contractum speciem facit; omnino enim generi iuncta differentia speciem reddit et ex uniuersalitate atque latissima praedicatione in angustum speciei terminum con- trahit. animal enim, cuius praedicatio per se longe lateque diffusa est, si arripiat rationalis differentiam, si etiam mortalis,  deminuit atque contrahit in unum hominis speciem, unde fit ut minor sit semper species quam genus atque ideo contineatur, sed non contineat, sublatoque genere auferatur et spe- cies; si enim totum auferas, pars non erit, quodsi species auferatur, genus manet, ueluti cum animal sustuleris, interi-  mitur etiam homo, si hominem auferas, animal restat, haec etiam causa est, ut genus de specie uniuoce praedicetur, id est ut species suscipiat definitionem generis et nomen, sed  1 continent  HN enim  om. C  6 contineantur  NR  speciei  om. R  specie  Cm1  in specie  Lp.c . species  N  post nullo  add . modo  EGHPR, s. l. Lm2  7 includitur  EGLm1P  includat  N   post  autem  s. l.  rei  Cm2  8 semper  om. HN  species  N  hoc—facit  (10) om. EG  9 est  s. l. C, om. HN, del. Pm2  habet  Lm2Pm2  coartatum  ex  coapta- tum  Lm2, in mg . ał coaptata ipsa diffinitio et contracta speciem facit  m1  coaptata  Hm2P  apta  Cm1  (aptata  m2 )  Hm1N  10 et]  LR, s. l. Pm2 , om. CHN (de EG cf. ad S) contracta Lm2 omni Hm2Lm2 11 et om. G, s. l. ELm2 atque] et EHNPR 12 post praedicatione add. generis CNP, s. l. Lm2 speciem EG contrahitur Hm2 14 differentia  C ( ras. ex  -ã)  R  etsi etiam E et s. l., del. si etiam Lm2, et  R diminuit  EHLPR ; diminuitur atque contrahitur  N  unam  C  (am  in ras. m2 )  Hm2NR  16 continentur sed non continent  N  17 et  om. EGR  19 remanet  C  cum] si  P  21 est causa  C  22 generis et nomen] et generis nomen  E et nomen generis  N  generis nomen  R   non e conuerso. definitionem quippe speciei genus suscipere non uidetur; substantiam enim priorum inferiora suscipiunt, si enim definias animal et dicas substantiam esse animatam atque sensibilem aut si praedices de homine animal, uerum dixeris, si etiam animalis definitionem de homine prædicaueris  dicasque hominem esse substantiam animatam atque sensi- bilem, nihil fuerit in propositione falsi, sed si hominis defini- tionem reddas ‘animal rationale mortale’, ea animali non con- ueniunt; neque enim quod animal est, id dici poterit animal rationale mortale, fit igitur, ut sicut species generis nomen  suscipit, ita etiam capiat definitionem, et sicut genus nomen speciei non suscipit, ita nec eiusdem definitione monstretur, sed cuius nomen et definitio de aliquo praedicatur, id uniuoce dicitur, cum igitur generis et nomen et definitio de specie praedicetur, genus de specie uniuoce dicitur, quoniam uero  speciei de genere. neque nomen neque definitio praedicatur, non conuertitur uniuoca praedicatio. Differunt genera <ab> speciebus hoc quoque modo, quod genera superuadunt species suas aliarum continentia specierum, species uero genera dif- ferentiarum pluralitate, animal enim, quod est genus, superuadit  hominem, quod est species, quia non hominem solum continet, uerum etiam bouem, equum aliasque species, quas suae spatio praedicationis includit, species uero, ut homo, superuadit genus, ut animal, multitudine differentiarum, nam quod actu genus  1 e conuerso] est  (om. R)  conuersio  EGLPR 2 non  er. H  sub- stantiae  EGLm2  (-tia  m1 )  PR  enim priorum] enim proprium  EGP diffinitionem ( om . en.  pr .)  R  3 et  om. CHNP  4 aut]  brm  at  CHLNP, om. EGR  5 definitione  E 7 nil  C  fuerat  Cm1  fueris  HN  falsi] mentitus  HN  sed] quod  CHN  hominis definitionem  om. EGR  hominis rationem  L  8 addas  EGR, post  si ( om . reddas,)  add. P , reddas addas  L pr . animali  Ea.c.LR  animal est G conuenit  CNPa.c.  9  ante  quod add.  id HNPR, s. l. Lm2  id dici] EGLa.r.P dici  Lp.r.R  idcirco dici  HN  id circo id dici  C  11 et  om. EG  12 defini- tionem ( uel diff-) monstret  EGR  14  pr . et  om. CEG, s. l. Lm2  15 praedicatur  E  uniuoce de specie  C  17 a  add. brm , ab  Brandt  18 modo  om. NR  19 continentia aliarum  C  21 quod] quae  N  non  s. l Cm2 22 equum bouem  HN  24 namque quod  Lp.c .   non habet rationale uel mortale nullas quippe actu genus retinet | differentias, easdem species suae substantiae inhaerentes atque insitas tenet, homo enim rationalis est atque mortalis, quod genus minime est; animal enim neque mortale  est per se neque rationale, quodsi genus quidem plus unam continet speciem, at uero species multis differentiis infor mantur, superat quidem genus speciem continentia specierum species uero uincit genus differentiarum pluralitate. Illa quoque est differentia, quod genus quoniam omnium primum  est, numquam in tantum descendere poterit, ut fiat ultimum, species uero, quae cunctis est inferior, in tantum ascendere non poterit, ut suprema omnium fiat; numquam igitur nec species generalissimum fiet nec genus specialissimum. Sed ex his quae dictae sunt differentiae aliae sunt quae genus ab  specie propriae coniunctaeque disterminant, aliae uero quae non solum genus ab specie, uerum etiam a ceteris diducunt ac disterminant, neque in his tantum differentiae quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris considerentur oportet, si proprie normam quaerimus discretionis agnoscere.  uel  om. R  4 mortale] rationale  CHN  5 rationale]  R  inratio- nale  CHN  per se rationale  EGLP  unam continet speciem]  EG  (unam  s. l. m2 )  Lm1  quam unam continet speciem  Lm2R  una continet (continet una  C ) specie  CHNP  6 species uero ( om . at)  C  informa- tur  Lm1Pm1  7 species  G  9 quoniam] quod  Hm2  11 in tantum ascendere non] numquam in tantum ascendere  LNR  12 nec... nec] et... et  Hm1N  et... nec  C, pr . nec  om. P  14 ex his  om. EG, s. l. Lm2  sunt  om. E differentiarum  CN  differentiis  R  genus  s. l. Cm2  a  R  15 proprie coniuncteque ( ras. ex  -teque  Η )  HΝR (recte?)  propriaeque  G  coniunctaeque  om. EG  16 ab] a  R  diducunt]  Em2R  deducunt cett. distinguunt ac deducunt ( om . disterminant]  HN  17 neque (et quae non  CHN, s. l . ał quae  L ) in his tantum differentiis quae sunt dictae ( L  quae sunt dicta  G  quae dictae sunt  CHNP quid sint  in ras. E ) uerum etiam in ceteris (add. quoque  HLm1N, del. Lm2 ) considerentur oportet  CEGHLNP  neque in his tantum oportet considerare differentias quae sunt dicta uerum etiam in ceteris oportet  R ; differentiae  scr. Brandt ; neque enim in (de  bm ) his tantum oportet (oportet  om. p ) differentiis quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris considerare (considerari oportet  p )  edd.  18 propriae  CEGLP  19 discretionis quaerimus  HR     Generis autem et proprii commune quidem est sequi species - nam si homo est, animal est, et si homo est, risibile est et - aequaliter praedicari genus de specie- bus et proprium de his quae illo participant; aequaliter  enim et homo et bos animal et Cato et Cicero risibile, commune autem et uniuoce praedicari genus de propriis speciebus et proprium quorum est proprium.    Tria interim generis ac proprii dicit esse communia, quorum primum illud est, - quoniam ita genus sequitur species ut  proprium, posita enim specie necesse est intellegi genus ac proprium; neutrum enim species proprias derelinquit, nam si homo est, animal est, si homo est, risibile est; ita quemad- modum genus, sic proprium ab ea specie cuius est proprium, non recedit. Illud quoque, quod aequalis est generis partici-  patio, sicut etiam proprii, omne enim genus aequaliter specie- bus participatur, proprium uero indiuiduis omnibus aequaliter adhaerescit, manifestum uero est participationem e?se generis aequalem; neque enim plus homo animal est quam equos Porph. Boeth. COMMVNITATIBVS  Ψ ;  de Porph. cf. ad p. 102, 7  2 Genus  Em1Gm1 consequi  Pm1  3 nam—risibile]  LR Q,  om. cett. pr . est  s. l.   h m2  5 illo] sub illo  R participant] continentur  R ,  add.  indiuiduis  edd. cum plerisque codd. Porph. p. 16, 4  6  post animal add. est  ΓΦ ,  om. Porph. p. 16, 5  et Cato et Cicero]  Porph .  xat Άνοτος και Μέληχος post  risibile add. est  Φ  7 autem et] autem  CEGP  autem est (est  s. l .  h m2 ) et  (om. R)   R h  autem his  Ψ  autem hiis et  Φ  his  (s. l. m2)  autem et  Γ ;  Porph. p. 16, 6   δέ καί  speciebus propriis  R  8  post pr . proprium  add . de his  Ν Σ ,  s. l.  de propriis  Gm2  10 illud est primum  R  11  post proprium add. quoque  CH   (del. m2)   N  ac] et  C  13 si] et si  HN  risibilis  EGHNP  15  post quoque add. est commune  R, s. l. Lm2 ,  s. l . scil, commune est  Hm2  a genere (generis  Hm2 ) participatio est  HN  16 proprii] a proprio  Hm1N   ante  speciebus  add . a  H  ab  L (del. m2) NB, post add . suis  R  17 parti- cipat **  (ur  er .)  E  18 adheret  N  participatione  EGR  generi  E  ( ex genere  m2 )  R  19 aequale  EG  aequale proprium  R, post  aequa- lem  add. s. l . et proprii  Lm2, in mg . et proprium  Pm2   atque bos, sed in eo quod sunt animalia, aequaliter animalis, id est generis ad se uocabulum trahunt. CATONE (si veda) etiam et CICERONE (si veda) æqualiter risibiles sunt, etiamsi aequaliter non rideant; in eo enim quod apti ad ridendum sunt, dici risibiles possunt, non  quod iam rideant, aequaliter ergo ea quae sub genere sunt, suscipiunt genus, sicut ea quae sub propriis, propria. Tertium illud, quod sicut genus de speciebus propriis uniuoce praedi- catur, ita etiam proprium de sua specie uniuoce dicitur, genus enim quoniam substantiam speciei continet, non modo eius  nomen de specie, uerum etiam definitio praedicatur, pro- prium uero quia speciem non relinquit eamque semper sequitur nec in aliam speciem transgreditur nec infra subsistit, defi- nitionem quoque propriam speciebus tradit; cuius enim nomen uni tantum conuenit speciei cui coaequatur, dubitari non  potest quin eius quoque definitio speciei conueniat. quo fit ut sicut genus de speciebus, ita proprium de sua specie uniuoce praedicetur.    Differt autem, quoniam genus quidem prius est, posterius uero proprium; oportet enim esse animal,  dehinc diuidi differentiis et propriis, et genus qui- Porph. Boeth. eo] eodem  HLm2NR  2 ad se  om. EGR, s. l. Lm2 etiam  om. H  et  om. R  3  pr . aequaliter  om. C  6 suscipiant  Em1Lm1  genera  EGLPm2  gen.  ante  suscipiunt  HNP  7 illud] illud commune est  G quid  Cm1  9 enim  om. E  nomen eius  C  11 quia  om. EGLP  derelinquit  Lm2P  eamque] eique  HN  ei quae  R  ea quae  Pm1  ae- quatur  Pm2  12 definitio (diff-)  ELm2  (diffinitione  m1 )  Pm1 definitio enim  R  13 proprium  Ea.r.R  proprii  Ep.r.L  ( ras. ex  propriis,)  P  traditur  EGLm2Pm1 14 cui] uel ei  C  eique  HNPm2  (cuique  m1 ), et  (del. m2)  cui  L  aequatur  L  18 De proprietatibus  Δ ;  de Porph. cf. ad p. 105, 16  GENERIS ET PROPRII] EORVM P PROPRII] SPECIEI  L  19 Differunt  C edd . autem om. N autem genus et proprium  LR Δ2 ;  Porph. p. 16, 9 Διαφέρει δέ δτι τό μίν γένος  quidem om.  HNR  est  om. H  20 oportet—interimunt genera  (p. 310, 10) ]  LR Q ,  om. cett . 21  pr . et  om. L   dem de pluribus speciebus praedicatur, proprium uero de una sola specie cuius est proprium, et proprium quidem conuersim praedicatur de eo cuius est proprium, genus uero de nullo conuersim praedicatur, nam neque si animal est, homo est, neque si animal est, risi-  bile est; sin uero homo est, risibile est, et e conuerso amplius proprium omni speciei inest cuius est pro- prium, et soli et semper, genus uero omni quidem speciei cuius fuerit genus, et semper, non autem soli, amplius species quidem interemptae non simul inter-  imunt|genera, propria uero interempta simul in- terimunt ea quorum sunt propria, et bis quorum sunt propria interemptis et ipsa simul interimuntur.  Rursus tale proprium sumit, quod ad alterius comparationem proprium nuncupetur, dicit enim proprium esse generis prius  esse quam propria, oportet enim prius esse genus, quod ueluti materia differentiis supponatur, uenientibusque differentiis fieri speciem, cum quibus propria nascuntur, si igitur prius est  1 praedicatur]  R A m2 n   edd . praedicari  cett. codd. Busse  (propriis, et genus  distinguit, sed cf. 16  oportet  et p. 311, 9  Rursus differt);  Porph- p. 16, 11 κατηγορεΐται  2 una sola]  Porph.   ενός ,  cod. C add .  μόνοο  est  om.   Φ  6 si  R  homo est] homo et  ΔΑΠΨ  (et  er .), homo, et  Busse  homo est (est  s. l. m2 ) et  L; Porph. p. 16, 13  et  δέ άνθρωπος  et e conuerso] et conuerso  L h m1  et conuersim si risibile est homo est  R  si risibile est homo est  2 ;  Porph. p. 16, 14   καί εμπαλιν , add. ei  γελαστικόν, άνθρωπος   cod. C  8 et soli]  TA m2  et uni  Δ m1 ΑΣ  et uni et soli  LR ΠΦΨ ;  Porph. p. 16, 15   καί μόνψ  speciei quidem  2  9  post  speciei  add . inest  LR TA  ( s. l .)  ΠΦΦ-   (in mg. m2) edd. Busse, om .  Δ2   cum Porph . soli]  Porph. p. 16,16   και μόνω  10 species  s. l. L  propria  brm cum Porph . interempta  Φ  interimuntur  HL  11  post  genera  add.  quorum sunt species  A  propria] genera  brm Busse (in adn.) cum Porph. p. 16, 17 interimuntur  HΡ  12 ea  om .  Η ΤΦ  species  brm cum Porph . quarum  brm  et his— interemptis  om. EG  et] quare  edd., Porph. p. 16, 18   ώστε καί  13 in- teremptis  ante  et his  CP  et ipsa] et ipsa etiam propria  Φ  ipsa propria  2  interimuntur simul  CGLR ad 10—13 cf. p. 312, 13 ss . 14 Rursus  om. EG, s. l. Pm2 , sed  R  ad  om. H, s. l. Pm2  comparatione  HPm1  15 nuncupatur  Cm2Em2Ga.c.N   pr . esse  om. N, s. l. Pm2  uelut  N  species  Lm2  nascantur  N   genus quam differentiae, prius etiam differentiae quam species et speciebus propria coaequantur, non est dubium quin pro- pria generibus posteriora sint, ac per hoc quod dictum est, proprium esse generis prius esse quam propria, commune est hoc  generi cum differentia, differentiae enim species conformantes priores considerantur esse quam propria, siquidem speciebus ipsis priores sunt, quas propria ratione determinant, sed ut dictum est, hoc proprium ad differentiam proprii intellegendum est, non quale superius per se proprium constitutum est. Rursus  differt genus a proprio, quod genus quidem de pluribus praedicatur speciebus, proprium uero minime; nam neque genus est, nisi plures ex se species proferat, nec proprium, si alteri cuilibet speciei possit esse commune, fit igitur ut genus quidem plurimas sub se species habeat, ut animal  hominem atque equum, proprium uero unam tantum, sicut risibile hominem. Quo fit ut illa quoque differentia nascatur : genus enim praedicatur quidem de speciebus, ipsum uero in nulla praedicatione supponitur, proprium uero et species alterna praedicatione mutantur, fit enim praedicatio aut a maioribus  ad minora aut ab aequalibus ad aequalia, genus igitur, quod maius est, de speciebus omnibus praedicatur, species uero, quoniam minores sunt, de generibus non dicuntur, ut animal de homine dicitur, homo uero de animali nullo modo praedi- catur. at uero proprium, quoniam speciei aequale est, aeque  1 etiam] enim  Lm2  2et  om. EG  et si  H  4 est hoc]  HL  (hoc  del. m2 )  N  est et hoc  C  esse  Pm1  et hoc est  m2  est  EGR  5 diffe- rentia] differentiis  CHN  differentiae  om. EG  enim  s. l. Cm2, post species  EG  informantes prius  N  6 considerentur  Hm1R  esse  s. l .  Cm2  7 quam  G  8 hoc  om. EGR  10 a  om. NR  quod] quo- niam  L  de] a  C  12 proferet  Lm2  14 species sub se  C  16 quoque del. Em2, post add . proprietas  (s. l. Lm2)  ex  GL, s. l. Pm2  nascan- tur  Ep.c . 17 de speeiebus quidem  C  ipsis  CN  in  om. CN  19 mutuantur  La.c.Pm2  praedicatio  om. EGR, s. l. Lm2  20 quod] quoniam  E (in ros.) Gm2  21 est  s. l. Em2  praedicabitur  N  22 minora  CEGLm2P   praedicatur atque supponitur, ut risibile de homine dicitur - omnis enim homo risibilis est —, eodemque conuertitur modo; omne enim risibile homo est. Differt etiam proprium a genere, quod proprium uni et omni et semper speciei adest, genus uero ex his duo quidem retinet, in uno uero diuersum  est. nam speciebus suis et semper adest et omnibus, non uero solis; hoc enim haeret propriis, quod singulas tantum species continent, hoc generibus, quod plures. igitur propria quidem singulas optinent species, genera uero non singulas, adest igitur proprium uni soli speciei et semper et omni, genus uero omni  quidem et semper, sed non soli, ut risibile homini soli, ani- mal uero eidem homini, sed non soli; praeest enim ceteris, quae inrationabilia nuncupamus. Praeterea si auferatur genus, species interimuntur nam si non sit animal, non erit homo —, si auferas species, non interimitur genus; nam si non  sit homo, animal non peribit, species uero et propria quoniam sunt aequalia, alterna sese uice consumunt; nam si non sit risibile, homo non erit, si homo non sit, risibile non manebit, consumunt igitur genera sub se positas species, non uero ab his inuicem consumuntur, species uero et proprium inuicem  perimuntur et perimunt.    1 supponitur] (sub-  HP )  CHm2Lp.c.P praeponitur  cett., recte?  2 enim  om. C locus  risibilis est—quidem speciebus  (p. 315, 7) bis in E scriptus, pag. 229—231 (E I ), ubi deletus est, et p. 232—234 (E II )  3 etiam  om. R, del. Lm1 , enim  m2  autem etiam  H  a genere pro- prium  C  a  om. R  4 speciei  s. l. Hm2  5 uero] quidem  E I qui- dem duo  CNB ,  om . quidem  E I  7 haeret propriis]  E III   GL  haeret (ł inerit  m2 ) tantum propriis  P  erat (erit  R ) tantum propriis (proprii  N ) esse  CNR  heret propriis uel aliter hoc enim erat tantum  H; ad  haeret  cf. p. 298, 4  tantum species—quidem singulas  om. E I  tan- tum  del. Lm2, s. l. Pm2 ,  post  species  NR  8 continerent  CHm2  con- tineret  N  contineant  Pm2  10 soli/////  E I  solius  E II G  11 sed] et  HN  soli homini  NP  13 inrationalia  H  auferamus  EGLPR  14 interi- mantur L  erit] est  N  19 sub se positas] sibi  (om. H)  suppositas  HN  21 perimuntur] consumuntur  Lm2  perimunt] perimuntur  Lm2  pereunt  HNPm2     Generis uero et accidentis commune est de pluri- bus, quemadmodum dictum est, praedicari, siue separa- bilium sit siue inseparabilium; etenim moueri de  pluribus et nigrum de coruis et de hominibus Aethio- pibus et aliquibus inanimatis.  Nihil est quod inter cetera ita sit a generis ratione dis- iunctum, sicut est accidens, nam cum genus cuiuslibet substantiam monstret, accidens uero a substantia longe disiunctum  sit et extrinsecus ueniens, nihil fere notius commune potest habere cum genere quam de pluribus praedicari, genus enim de pluribus praedicatur speciebus, accidens uero de pluribus non modo speciebus, uerum etiam generibus animatis atque inanimatis, ut nigrum dicitur de rationabili homine, de inra-  tionabili coruo et de inanijmato hebeno, album etiam de cygnoj  p. 102  et marmore, moneri de homine, de equo et de stellis ac de sagitta, quae sunt separabilis accidentis exempla.    1—6] Porph. p. 16, 19—17, 2 (Boeth. p. 44, 12—16).   1 GENERIBVS ACCIDENTIBVS  E I   E II   m1  ACCIDENTI  R de Porph. cf. ad p. 102, 7  2 Commune uero est generis et accidentis  2  Generi  N  Generibus  E I  accidentibus  E I   m1  3 praedicari  ante quemadmodum L siue—pluribus et]  LR Q ,  om. cett . separabile  2 m1  4 sit] sit accidens  2 inseparabile  2 m1  5  post  et  om. R  de  om .  E II HNR ΑΦ ,  recte?  homine  E III  omnibus  L A  ( ras. ex hominibus) hominibus  om. brm, delend. uid. Bussio; cf. p. 116, 5. 123, 22. 131, 2  homine Aethiope; Porph. p. 17, 1 κατά κοράκων καί Αίθ·ιοπων aethiopus EIII et (et de  G, del. m2 ) aethiopibus  GPm2 T2  6 ante aliquibus add. de  Gm2  in animis  E I ,  ante  inanimatis  add . naturis  H (del. m2), post CN , praedicari  Γ  ( in mg . praedicatur)  Φ ;  Porph.   καί tivmv άψΰχων  7 in ceteris  E III   GLm1P  9 a  om. R  10 uere  GR  uero ha- bere potest  C enim] uero  C  14 rationabile  E III   a. c. Gm1  rationali  HNP post  homine  add . et  N  irrationali  HNP  15 ebeno  E III 16 marmore] de marmore  P   post  homine  add . et  N  17 sagitta]  CHLm1NPm1  (sagittis  m2 ) agitatis  E III   GR edd . ał de agitatis scil, rebus id est mobilibus  Lm2     Differt autem genus ab accidenti, quoniam genus ante species est, accidentia uero speciebus posteriora sunt; nam si etiam inseparabile sumatur accidens, sed tamen prius est illud cui accidit quam accidens, et  genere quidem quae participant, aequaliter partici- pant, accidenti uero non aequaliter; intentionem enim et remissionem suscipit accidentium participatio, generum uero minime, et accidentia quidem in indi- uiduis principaliter subsistunt, genera uero et species  naturaliter priora sunt indiuiduis substantiis, et genera quidem in eo quod quid sit praedicantur de bis quae sub ipsis sunt, accidentia uero in eo quod quale aliquid sit uel quomodo se habeat unum quod- que; qualis est enim Aethiops interrogatus dices  ‘niger’, et quemadmodum se Socrates habeat, dices quoniam sedet uel ambulat.  Porph. Boeth. PROPRIIS] DIFFERENTIA  C; de Porph. cf. ad p. 105, 16  QVID INTER GENVS ET ACCIDENS SIT  Φ   (ex p. 116, 10)  2 genus  s. l. Hm2  ab  om .  HRE III   Δ  accidenti]  Δ  accidente  cett . 3 speciem  ΧΦ  posteriora  ante speciebus  C  inferiora  XA m1 AS  4 nam—unum quodque  (14) ]  LR Q ,  om. cett . si etiam] etsi etiam  ΓΦ  sed  om .  Γ  si  Σ  5 prius] plus  S  6 genere]  A m2   Busse  genera  cett. codd. edd . quae] quibus  A m1  aeque  Δ  7 accidenti]  p Busse  accidentia  codd. brm; ad 5  et— 7 cf. Porph. p. 17, 6 s. et infra p. 315, 12—14  enim  om. L in mg: figuram quandam habet   Δ ,  aliam (cf. ad p. 320,17)   Γ  9 uero  om. R  in  om .  Γ   Busse, s. l .  Rm2 A m2 K ;  cf. p. 315, 21; Porph. p. 17, 9   έπΐ τών άτομων  10 nero  om .  Δ  11  post  naturaliter  add.  non principaliter  LR AΑΦ ;  om. Porph. p. 17, 9  12 sit] est  LR A   ante  de  add.  et,  sed del.   ΓΔ  13 hiis  Φ  14  ante  quale  add.  et  R  sit]  cod. Q Bussii edd . est  cett. codd . quomodo  om. R  quodammodo  A m2  se  s. l.   A m2  habet  A m1  15 eat  ante  aethiops  ΔΑ , post  HΝ ΤΣΦ  enim  om. L  interrogatur  Φ  dices]  LRT  dicis  cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 15  respondebimus;  Porph. p. 17, 12   έρεΐς  16 quo- modo  Δ  habeat  ante socrates  A  habet  ΗR Φ  dices]  K m2  dicis  cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 16  dicemus;  Porph .  έρείς  17 ambulet  La.c.N   Differentiam generis et accidentis hanc primam proponit, quod genus quidem ante species sit, quippe quod materiae loco est et differentiis informatum species gignit, at uero accidens post species inuenitur. oportet enim prius esse cui  aliquid accidat, post uero ipsum accidens superuenire; nam si subiectum non sit quod suscipiat, accidens esse non poterit, quodsi genus quidem speciebus subiectum est nec possunt esse species, nisi eis genus ueluti materia supponatur, acci- dentia uero esse non possunt, nisi eis species supponantur.  manifestum est genus quidem esse ante species, accidentia uero post species. Rursus alia differentia, quoniam genus neque intentionem neque remissionem suscipere potest, quo fit ut quae participant genere, aequaliter eius nomen definitionemque suscipiant; omnes enim homines aequaliter animalia  sunt eodemque modo equi, nec non inter se homo atque equus et cetera animalia comparata aeque animalia praedicantur, accidentis uero participatio et intenditur et remittitur, inuenies enim quemlibet paulo diutius ambulantem, paulo amplius nigrum et in ipsis Aethiopibus considerabis omnes non aeque  nigro colore obductos. Alia quoque differentia est, quoniam omne accidens in indiuiduis principaliter subsistit, genera uero et species indiuiduis priora sunt; nisi enim singuli corui  1 et accidentis] ab accidentibus  HN  ponit  C  2  pr.  quod] quid  C  quoniam  (del. m2)  quod  E II  4  post  esse  add . aliquid  P, s. l. Lm2  5 si—sit] nisi sit subiectum  HN  nisi subiectum sit  R  6 quid  Cm1  potest  H  7 speciei  HN est] sit  N  nec] non  CEGLP  8 uelut  CEGLP  uel  R  supponitur  C  9 supponatur ( uel  subp-)  EGH 10  ante  manifestum  add . nam  EGLP  11  post  Rursus  add . uero  C post  alia  add . est  CGP  13 generi  CEGP  15 eodem  EHLR  18 paulo amplius nigrum paulo diutius ambulantem  HN post ambulantem  add . et  LR  19 et] et si (si  s. l, Lm2 )  LR  si  EGP  omnis  GLm2R  aequa nigredine coloris (coloris  del. Lm2)  HLNP  20 obductus  EGLm1R ,  post  obd.  add . esse  C  est  EGLR  est  om. HN  21 in  om. CG  genera—priora sunt]  C  species uero et genera indiuiduis priora sunt HLm1N  genera uero speciebus et indiuiduis priora sunt  GP  genera nero et speciebus et indiuiduis posteriora sunt  Lm2  genera indiuiduis priora sunt  E  et indiuiduis posteriora sunt  R 22 singulariter  EGPR nigredine infecti essent, comi species nigra esse minime dicere- tur. ita fit ut accidentia post indiuidua esse uideantur. nam si prius est id cui aliquid accidit quam illud quod accidit, nop est dubium prius esse indiuidua, posterius uero accidens, genera uero et species supra indiuidua considerantur; hoc  idcirco, quoniam de his omnibus praedicantur eorumque substantiam propria praedicatione constituunt, sed dici potest genera quoque ipsa et species posteriora indiuiduis inueniri; nam nisi sint singuli homines singulique equi, hominis atque equi species esse non possunt, et nisi singulae species sint,  eorum genus animal esse non poterit, sed meminisse debemus superius dictum esse genus non ex his sumere substantiam de quibus praedicatur, sed de eo potius, quod differentiis constitutiuis eorum substantia formaque perficitur, itaque si genus quidem diuisiuis differentiis interemptis non perimitur, sed  manet in his quae eius constitutiuae sunt eiusque formam definitionemque perficiunt, cumque differentiae diuisiuae generis speciebus sint priores — ipsae enim species conformant atque constituunt —, non est dubium quin genus etiam pereuntibus speciebus possit in propria manere substantia, idem de speciebus dictum sit; species enim superioribus differentiis, non posterioribus indiuiduis informantur, quae cum ita sint, species quoque ante indiuidua subsistunt, accidentia uero nisi sint  12 superius] essent  in ras. Lm2 , sunt  N  sint  R  2 esse  om. EGR  4 indiui- duum  CHN  5 super  CN  8 genera] de genere  R  quoque  om. R  quaeque  EGP  ipsa  om. EGPR  et species] atque species (specie  R )  LR  specieaque  N  9 nam nisi] nisi enim  EGR  nara nisi enim (enim  del. m2 )  C  homines—nisi singulae  (10) in mg. Em2  homi- nes  EN  10 et  om. EG  singulis  E  singuli  G  singulares  Lm2R  11 eorumque  Lm2 earum  brm  12 ex  del .,  his om. E  13 de eo] eo  Hm1N  ex eis  Hm2  de eis  Lm2  quod  del. Hm2, er. L , quo  GPR  14 eorum  om. Lm1  eius  R edd . quae eius  Hm2  de quibus eius  Lm2 substantiam formamque perficiunt  Hm2  normaque  N  15 diuisiuae (post  differentiae  N) differentiae interemptae non perimunt  HLN  16 eius- que] quae eius  C  quaeque eius  EGP  17 speciebus generis  LNR  20 permanere  Lm2R  23 quaeque  EG   quibus accidant, esse non possunt, nullis uero prius accidunt quam indiuiduis; haec enim generationi et corru|ptioni sup- p, 103·  posita uariis semper accidentibus permutantur. Illam quoque adnumerat differentiam quae est superius dicta, quod genus  quidem, quia rem demonstrat et de substantia praedicatur, in eo quod quid est dicitur, accidens uero in eo quod quale est aut in eo quod quomodo sese habet res. nam si qualitatem interroges, accidens respondebitur, ut si qualis est coruus, ‘niger’, si quomodo sese habeat, aliud rursus accidens, aut sedet aut volat aut crocitat. nam cum accidens in nouem praedicamenta diuidatur, qualitatem, quantitatem, ad aliquid, ubi, quando, situm, habitum, facere, pati, cetera quidem omnia in ‘quomodo se habeat’ interrogatione ponuntur, qualitas uero in qualitatis sciscitatione responderi solet. nam si interrogemur  qualis est æthiops, respondebimus accidens, id est ‘niger’, si quomodo se habeat Socrates, tunc dicemus aut ‘sedet’ aut ‘ambulat’ aut superiorum aliquid accidentium.  Genus uero quo ab aliis quattuor differat, dictum  4 superius] p. 189, 4 ss. 195, 1 ss. 18—p. 319, 14] Porph. Boeth. pr.  accidunt  Lm1  accident  N prius  post  accidunt  C  2 post indi- uiduis  add.  quia indiuidna prima sunt quantum ad praedicationem  P, in mg. Lm2  4 adnumera  ( ann-  G) EG  annumerant  Hm1  dicta est superius  R est sepius  (corr. m2)  dicta  C  sepius  (corr. Hm2)  dicta est  HN  5 quidem  om. EGR  6 dicitur  om. N, s. l. Hm2 post  uero  add.  aut P 7se  H post  habet  add.  res  CLm1, del. m2  9se  EGHN  habet  Clm1  aliud rursus accidens] aliud uero accidens rursus  C  aut uolat aut sedet  HLN  10 croccit  Hm1  groccitat  N, post add . egrotat  P  nam] at  EGLm1  ac  (ut uid.) R  12 quanto  Em1  quan- tum  G  situm habitum quando  C post  omnia  add.  id est VIIII  Hm1, del. m2  13 habeant  Ep.c. Lm2P interrogationem  EGR  14 inter- rogemur]  C edd. (cf.p. 314, 15)  interrogemus  cett., recte? cf.p. 58, ss. 99, 23  15 respondemus  HNR  16 dicimus  EHLRbrm  17 aliquod  ELa.c.N  18 uero] uerus  Pa.c.  ergo  CHL (in ras. m2)   R Φ  enim  A ;  Porph. p. 17, 14   uiv ουν  quod  EGPm1Rm1 T<l>  ab]  ΔΣΨ ,  s. l.   Il m2, om. cett.  quattuor  om. G, s. l.   Δ m2   est. contingit autem etiam unum quodque aliorum differre ab aliis quattuor, ut cum quinque quidem sint, unum quodque autem ab aliis quattuor differat, quater quinque, uiginti fiant omnes differentiae, sed semper posterioribus enumeratis et secundis quidem  una differentia superatis, prop(??)terea quia iam sumpta est, tertiis uero duabus, quartis uero tribus, quintis uero quattuor, decem omnes fiunt, quattuor, tres, duae, una. genus enim differt a differentia et specie et proprio et accidenti; quattuor igitur sunt omnes differentiae. differentia uero quo differat a genere dictum est, quando quo differret genus ab ea dicebatur; relinquitur igitur quo differat ab specie et proprio et accidenti dicere, et fiunt tres. rursus species quo  1 contingit—ad accidens  LR Q , om. cett. contigit  R A m1 Y m1  2 aliis  om. Porph. p. 17, 15  quidem  om. L K   Busse; Porph.   μεν  3  post  sint  add.  res  L  unum quodque autem]  il m2 xP p  Busse  unum autem  Β ΤΜΙ m1 Σ  una autem  L ΑΦ  et unumquodque  brm; Porph.   ίνος ϊέ εκάοτοο  aliis  om. Porph.  differt  Δ  4 uiginti  del.   A,  pos t XX  add.  uel quinquies quattuor  Rm1  quater V. XX uel  del. et post  fiant  add.  uiginti  m2 fient  ΑΑ m1 Φ  fuerint  Γ   post  differentiae  add.  sed non sic se res  ( res  om. p)  habet  edd. cum Porph. p. 17, 17   άλλοοχ οδτως εχει  set  om.   Γ  6 superatis] subtractis  ΓΦ   (ex  substr- )  quia] quoniam  L A  Busse  sumpta] subtracta  Γ  7 uero] autem  LR T<l'  duobus  R  8 omnes  om. L post fiunt  add.  differentiae  Γ   (s. l.)   Π m2 edd. Busse (sed om. etiam eius codd. LP) cum Porph. p. 17, 20  9 enim] autem  Γ  a  om.  Σ , s. l.  A m2  et specie et proprio] a specie a pro- prio  R  specie proprio  Σ  10 et  om.   Σ  accidente  R Σ  igitur quatuor  R  differentiae omnes  La.c.  generis differentiae  R; Porph. p. 17, 22   at διοφοραί  11 quo  om. R  differat]  La.c. ( a  del.)   Σ  differret  R differt  cett.  a  om. R  12 quo] quid  L A  Busse  quod  m1,   om.  A ; ubi  quo  est (hic et 11. 13. 14. 319, 1. 2. 3. 5. 7 bis), Porphyrius   π-j   scripsit (p. 17, 23 et 22. 24. 25. 26 bis. 18, 1. 2. 3. 4) differret]  LR Ψ  (alt. r s. l.)  differre  Λ  differt  ΓΙIΣΦ  13 igitur] ergo  2  quod  R A  differt  A a.c.  ab  Brandt  a  LR il , s. l.  A m2, om. cett.  et  om. Β ΤΑΣ  a  L  14 accidente  R ΓΔ2Φ  post  tres  add. differentiae  Λ   ( ei fiunt tres differentiae. rursus  in mg. m2)   11 m2 ( species  m1)   Γ   ( rursus differentiae  pos.) Busse (cum duobus suis codd.), om. cett. codd. edd. Porph. quidem quo  ΓΔ2Φ;  Porph.   π-jj έν   quidem differat a differentia dictum est, quando quo differret differentia ab specie, dicebatur; quo autem differat species a genere, dictum est, quando quo differret genus ab specie dicebatur; reliquum est  igitur, ut quo differat a proprio et accidenti dicatur. duae igitur etiam istae sunt differentiae. proprium autem quo differat ab accidenti relinquitur; nam quo ab specie et differentia et genere differat, praedictum est in illorum ad ipsum differentia. quattuor igitur  sumptis generis ad alia differentiis, tribus uero differentiae, duabus autem speciei, una autem proprii ad accidens, decem erunt omnes, quarum quattuor, quae erant generis ad reliqua, superius demonstraui- mus.  Quoniam differentias atque communitates generis ad differentiam, ad speciem, ad proprium atque accidens persecutus est, idem quoque ad ceteras facere contendens praedicit, quot omnes differentiae possint esse quae inter se comparatis com-  1 differt  R A  quo] quid  A   Russe  quod  Lm1 \  2 differret]  Lm2 Rm2 Aß p.c. tfl p.c.  differet  Lm1Rm Uα a. c. ΦΨ a.c.  differt  Δ2  differtur  Γ differentia ab specie]  ΓΦΨ   ( sed  a,  scr.  ab  Brandt),  a  (s. l.  A m2)  specie  (s. l.  et  add.  Δ m2) differentia  ΔΔΣ   edd. Busse  species a  ( et  Ώ )  differen- tia  L H  differentia ab ea  R; Porph. p. 17, 26   ή διαφορά τού είδους  quod  A m1  3 differat]  L  differt  cett. (ex  differet  V )  a  om. R ϋϊ  quo] quid  Δ   Busse  quod  A  4 differret]  L yAIW  differet  R Φ  differt  ΓΑ2  4 ab specie]  Γ  a specie  L ΔIΙΔΦΦ  specie  2  ab ea  R  5 differt  R, add.  species  ΓΑΠΨΨ ,  s. l. Lm2; om. Porph.  a  om.   accidenti]  L  acci- dente  cett.  dicitur  R  6 igitur  om.   2  7 autem  om. R, s. l.  h m2  ab  om.   Σ accidenti]  edd.  accidente  codd. fort.  relinquetur;  cf. Porph. p. 18, 3   χαταλειφθήσεται  8 ab  Brandt  a  ΓΦ ,  om. cett. pr.  et  om. R  differet  Λ m1  differret  m2  differt  A m1 2 , s. l.  proprium  add. Lm2  dic- tum  Σ  9 differentia  ante  ad ipsum  Σ  differentiis  Β ΓΑΦ ; Porph. p. 18, 5 ... διαφορά  11  pr.  autem] uero  A  ad accidens] et accidentis  ΓΔ«ι7ΠΦ;  Porph. p. 18, 7   πρός τδ σορβεβηχος  13 erant] erunt  N  reliqua]  N Λm1ίΣΦΨ  reliquas  cett. (in mg.  ad aliquas  T m2); Porph. p. 18, 8 πρός τά άλλα  16  utrumque  ad  om. NR  17 idem quoque] idemque  Lm1NR  ad cetera  C  de ceteris  HLN  praedicit  om. R  nunc dicit  H  18 possunt  CHLm1N  commissisque  N   mixtisque rebus his quae supra propositae sunt efficiantur. sunt autem uiginti. nam cum quinque sint res, una quaeque res earum si a quattuor aliis differat, quinquies quater, uiginti differentiae fiunt, quod appositarum litterarum manifestatur exemplo. sint quinque res ueluti quinque litterae A B C D E.  differat igitur A quidem ab aliis quattuor, id est B C D E, fient quattuor differentiae. rursus B differat ab aliis quattuor, id est A C D E, erunt rursus quattuor; quae superioribus iunctae octo coniungunt. C uero tertia ab reliquis differt quattuor, scilicet A B D E; quae quattuor differentiae supe-  rioribus octo copulatae duodecim reddunt. quarta D reliquis quattuor comparetur differatque ab eisdem, id est A B C E, fient igitur rursus quattuor; quae superioribus duodecim ap- positae sedecim copulant. quodsi ultima E ab aliis quattuor differat, scilicet A B C D, fient aliae quattuor differentiae;  quae compositae prioribus uiginti perficiunt. et sit quidem   huiusmodi descriptio:  positae  EHLNP  efficiuntur  HN   ante  una  add.  et  HLNPR  res  om. HN  3 si  om. HN  a  om. R  uiginti  om. E  fiant  Rm2  5 uel  E  6 aliis] reliquis  HN  7 fiant  R  differt  Ha.c.LN  aliis] reliquis  L  8 id est  om. HN  9 ab]  codd. reliquis] aliis  L  ante  reliquis  add.  si  L, s. l. Pm2  12 differatque] differat aeque  EGP ( differt  m2) R  eis  GHNPm1R  13 fiunt  N  fiant  R  igitur  om. HN post  quattuor  add.  differentiae  HN  15 fiant  R  faciat  L  faciet  HN  aliae  om. H  alias  LN  differentias  HLN  16 superi- oribus  C  et sit quidem]  CGP  et quidem sit  R  et sic  (ex  si )  quidem est  E  quarum  ( quorum  LN)  quidem sit  HLN  17 discriptio  C figu- ram om. G (duae lineae uacuae) Hm1N, supra depictam dedimus ex E, eandem uarie exornatam habent R (post uerba  quattuor differentiae  supra 7)   Γ   (in mg ad locum p. 314, 7 ss.), litteras tantum omissis lineis   Quae cum ita sint, in generibus quoque et speciebus et ceteris idem considerabitur. erunt ergo quattuor differentiae, quibus genus a differentia, specie, proprio accidentique dis- iungitur; aliae rursus quattuor, quibus differentia a genere,  specie, proprio atque accidenti discrepat; rursus quattuor spe- ciei ad genus ac differentiam, proprium atque accidens; quat- tuor etiam proprii ad genus, differentiam, speciem atque acci- dens; quattuor insuper accidentis ad genus, differentiam, speciem atque proprium. quae coniunctae omnes uiginti explicant  diflferentias. sed hoc, si ad numeri referatur naturam compara- tionisque alternationem; nam si ad ipsas differentiarum naturas uigilans lector aspiciat, easdem saepe differentias inueniet sumptas. quo enim genus differt a differentia, eodem differentia distat a genere, et quo differentia distat ab specie, eodem  species a differentia disgregatur, et in ceteris eodem modo. in hac igitur dispositione differentiarum, quam supra disposui, easdem saepius adnumeraui. atque si differentiarum similitudines detrahamus, decem fiunt omnino differentiae, quas ad prae- sentem tractatum uelut diuersas atque dissimiles oportet assu-  mere. age enim differat genus a differentia, specie, proprio  in mg. sup. add. Hm2, quaternas litteras ( B C D E  cett.) infra singulis litteris  A  cett. positas quadratis inclusas exhibet L; in C in mg. (litt. minusc.) hae duae figurae sunt, quarum posterior spectat ad p. 321, 20 ss. 323, 9 ss:   in P figura est per quinque ob- longa deorsum continuata, quorum primum hic proponitur  :  3 ab  CEGHP  accidentique] atque accidenti  ( -te  N) HN  4 dif- ferentiae  G  ab  CEGHNP  ac  om. N  ad  LP  10  post  hoc  add.  fiet  E (s. l. m2)  fit  H (s. l. m2)  niget  L (in mg.) R  13 adsumptas  R  differat  C  14 ab] a  R saepius  om. EGPR, s. l. Cm2, post  ad- numeraui  L  adnumerauit  Cm2GP  atque)  EGP  at  CR  itaque  HLN  si  om. N  multitudines,  s. l.  ał similitudines  L  18 fient  edd.   atque accidenti, quattuor differentiis, quas supra iam diximus. item sumamus differentiam, distabit haec a genere primum, dehinc ab specie, proprio atque accident. sed quo discrepet a genere, iam superius explicatum est, cum diceremus quo  genus a differentia discreparet. detracta igitur hac comparatione, quoniam supra commemorata est, relinquuntur tres distantiae quibus differentia ab specie, proprio accidentique disiungitur; quae iunctae cum superioribus quattuor septem differentias reddunt. post hanc species si sumatur, quattuor quidem eius  essent differentiae secundum numeri diuersitatem, cum ad genus, differentiam, proprium atque accidens comparatur, sed priores duae comparationes iam dictae sunt. nam quo species differat a genere tunc dictum est, cum quid genus differret ab specie dicebamus, quid uero species a differentia distet commemoratum est, cum differentiae ab specie dissimilitudines redderemus. quibus detractis duae supersunt integrae atque intactae speciei ad proprium atque accidens discrepantiae; quae iunctae cum septem nouem differentias copulant. proprii uero si ad numerum differentiae considerentur, quattuor erunt, scilicet ad  genus, differentiam, speciem atque accidens comparati, quarum quidem tres superiores differentiae iam dictae sunt. nam quid proprium distet a genere, tunc dictum est, cum quid genus a proprio distaret ostendimus, rursus quid proprium a differentia discrepet, in colligenda distantia differentiae propriique superius accidente  N  3 ab]  HN  a  cett.  accidente  HN  quod  L  dis- crepet] distet  HN  5 hac igitur  C  6 distantiae] differentiae  L  7 a  LN  accidenti  C  accidenteque  H  disiungitur  ante  ab specie  C  8 reddunt differentiae  C  9 sumatur] mutatur  E  11  ante  differentiam  add.  et HLNP ante  proprium  add.  et  P  cõpararetur  C  cõparantur  N  12 differat  post  genere  EN   a  om. EGHNP  differret]  GLm2Pm2R  differet  ΕLm1  differat  HNPm1  differt  C  ad speciem  R  ad specie  C  15 ab specie]  CG  a specie  EHLm2NP  ad speciem  Lm1R  17  post  speciei  add.  id est  EGP  18 differentias copulant] complent differen- tias  C  20 comparatae  Ep.c. (ex-ti) GHm2PR quorum  EGLm1R  21 quod  C  22 proprium—cum quid  om. EGR  distaret a proprio  H   demonstratum est, quid uero proprium distet ab specie, tunc expositura est, cum quid species distaret a proprio dicebatur. restat igitur una differentia proprii ad accidens, quae superioribus iuncta decem differentias claudit. accidentis nero ad  cetera possent quidem esse quattuor, nisi iam omnes proba- rentur esse consumptae. nam quid differat uel genus uel dif- ferentia uel species uel proprium ab accidenti, supra mon- stratum est, nec sunt diuersae differentiae accidentis ad cetera quam ceterorum ad accidens. itaque fit, ut cum sit quinque  rerum numerus, si prima assumatur, quattuor fiant differentiae, si secunda, tres, uincanturque secundae rei ad ceteras difterentiae a prima ad ceteras una tantum distantia; nam cum prima habuerit quattuor, secunda retinet tres. tertia uero si sumatur, duas habebit differentias, quae uincantur a primis  quattuor differentiis duabus; quarta si sumatur, unam habebit differentiam, quae uincitur a primis quattuor differentiis tribus, quinta uero quoniam nullam omnino habebit differentiam nouam, totis quattuor a prima differentiis superatur. atque hoc nume- rorum gradu quidem usque ad denarium numerum tenditur :  quattuor, tres, duae, una, ut generis quidem quattuor, diffe- rentiae uero tres, speciei duae, proprii una, accidentis nullap p. 105  sit. et primae quidem generis comparationes quattuor nouas tenent differentias, secundae uero differentiae comparationes  1 uero  om. EGR  a  EGLR  2 cum] quando  R  5 cetera] extera  Cm1  6 differret  H  differet  N  7 accidente  CHN  monstrauimus  H  8  ante  diuersae  add.  plus  R, s. l. Lm2  10  ad  prima  s. l.  ł una res  Hm2  sumatur  HN  fient  C  11 uincanturque]  C (pr.  n  om.) Lm1  (iungantur  m2) N, m2 in HPR ( iungenturque  Rm1) , uincantur  EGHm1Pm1 12 primis  L  13 habuerat  C  habeat  Lm2NP  retineat  Lm2  14 diffe- rentias habebit  C  uincuntur  Lm1R  15 duabus  (s. l. E)  differentiis  EHN post  duabus  add.  distantiis  GR post  quarta  add. nero  R, s. l.  autem  Pm2  16  post  tribus  add.  subdistantiis  E  distantiis  G  17 habet  HL  18 primis  brm  hoc] ex hoc  HLN  numeri  HN  19 gradus  HLm1N  quidam  HN  20  post post.  quattuor  add. sint  CHm2L (del. m2) P  sunt  Hm1N  22 sit]  Rbrm  est  CEGLP, om. HN  et  om. EGR  quidem  s. l. Em2L, post  generis  C  23 teneant  HLm1NR   tres nouas tenent; una enim superius adnumerata est, uincitur autem a primis quattuor nouis differentiis una tantum. speciei uero tertia comparatio duas tantum habet differentias nouas, duas quippe superius adnumeratas agnoscimus, et uincitur a  quattuor primis duabus tantum differentiis nouis. proprium uero unam retineat nouam, quoniam tres habet superius adnumeratas, uincaturque a prima nouis tribus differentiis, quinti uero accidentis comparationes quoniam nullam retinent nouam differentiam, totis quattuor a primis generis transcendantur.  atque ad hunc modum ex uiginti differentiis secundum numerum decem secundum dissimilitudinem contrahuntur. ut tamen has secundum dissimilitudinem differentias non in quinario tan- tum numero, uerum in ceteris notas habere possimus, talis dabitur regula quae plenam differentiarum dissimilitudinem in  qualibet numeri pluralitate reperiat. propositarum enim rerum numero si unum dempseris atque id quod dempto uno relin- quitur, in totam summam numeri multiplicaueris, eius quod ex multiplicatione factum est dimidium coaequabitur ei plura- litati quam propositarum rerum differentiae continebunt. sint  igitur res quattuor A B C D; his aufero unum, fiunt tres; has igitur quater multiplico, fient duodecim; horum dimidium  1 teneant  HLm1NR  ten.  post  nouas  CR  adnumera  (tamen  eat ) C  uincitur autem] et uincatur  HLm1 ( et  del.,  uincitur  m2) N  2 nouis quattuor primis  HN  adnumeratas  om., in mg.  enumeratas  G  uin- catur  Lm1  uincantur  HN uincuntur  C  6  ante  unam  add.  tantum  L, post EGPR  retinet  Lm2Pm2 edd.  7 uincanturque  N uincatur qua re  EG  uincitur haec  R  uinciturque  edd.  quinta  N  8 comparatio  Lm2N  retinet  HLN, post  nouam  HN  primis]  CLPH a.r.  primi  EGHp.r.NR  transcendentur  Lm2 transcendatur  N  transgrediantur  C  transcenduntur  edd.  11 tamen  er. uid. E  non  G (etiam post diffe- rentias  est  non )  13 uerum] uerum etiam  C  ceteris quoque  brm  notas]  Lm1N  notis  CEGHm2 ( totas  m1) Lm2PR  15 reperiat] pariat  Cm2Hm1N  17  post  numeri  add.  si  CHP simul  EG  18 ei  om. EGN  19 sunt  Lm1R  20 igitur] ergo  CEN  fiant  LR  hos  EGLPR post igitur  add.  si  N  tres  H  per totam summam  R  multiplica  C  multipli- cato  E  fiunt  HN  fiant  R post  horum  add.  si  L   teneo, sex erunt. tot igitur erunt differentiae inter se rebus quattuor comparatis : A quippe ad B et C et D tres retinet differentias, rursus B ad C et D duas, C uero ad D unam; quae iunctae senarium numerum complent. atque hanc quidem  regulam simpliciter ac sine demonstratione nunc dedisse suffi- ciat, in Praedicamentorum uero expositione ratio quoque cur ita sit explicabitur. Commune ergo differentiae et speciei est aequaliter  participari; homine enim aequaliter participant par- ticulares homines et rationali differentia. commune uero est et semper adesse his quae participant; sem- per enim Socrates rationalis et semper Socrates homo.    Dictum est saepius ea quae substantiam formant, nec  remissione contrahi nec intentione produci; uni cuique enim id quod est, unum atque idem est. quodsi differentia spe- cierum substantiam monstret, species uero indiuiduorum, æqualiter utraque ab intentione et remissione seiuncta sunt; quo  6 in Praedicamentorum expositione] p. 272 C. B— Porph. Boeth 14 saepius] cf. infra.   1 teneo] sumo  N  sumo tenens  ( tenens  del. m2) H  si  (ex  sumo  m2)  teneo  L pr.  erunt  ante  sex  N, s. l. Hm2 post.  erunt  ante igitur  ( ergo  H) HL  2 detinet  HN  4 complent numerum  H  5 dedisse nunc  HN  8 DIFFERENTIAE ET SPECIEI]  plerique codd. fort. ex 9 sumptum, om.   Δ , SPECIEI ET DIFFERENTIAE  Γ2Φ , r ecte ut aid.; Porph. p. 18, 10   Περί τής κοινωνίας τής διαφοράς καί τοΰ είδοος ,  cod. Μ   Περί κοινών είδους καί διαφοράς  9 est  add. Hm2  10 homine—parti- cipant  (12) ]  LR Q , om. cett.  homini  R T a.c.  hominem  L \  11 ratio- nalem differentiam  L \ , post differentia  add.  nam omnes homines æqualiter homines sunt et aequaliter rationales  Σ  12 et  del. uid.  Δ , om.  Ψ  his adesse  LR <t>  post  quae  add.  eorum  ΓΔΠΦ  13 enim  om. R  rationabilis  CEGPR U  Busse, add.  est  ΓΔΦ ,  s. l.  A m2  14 saepius  i. e. p. 250, 24 ss. 314, 5 ss. ; saepe  de duobus locis etiam p. 293, 18 dictum;  superius  P, fort. recte, cf. ad p. 317, 4. 337, 8  17 monstrat  HLNP  18 utraeque  CP  seiunctae  CGPR   fit ut aequaliter participentur. omnes enim indiuidui mortales aeque sunt atque rationales sicut homines. nam si idem est ‘esse’ homini quod est esse rationale, cum omnes homines aeque sint homines, necesse est ut sint aequaliter rationales. Aliud quoque commune habent quoniam ita differentiae sui participantia non relinquunt ut species. semper enim Socrates rationalis est Socrates enim rationabilitate participat, semper homo est, quia scilicet humanitate participat. ut igitur differentiae sui participantia non relinquunt, ita species his quae ea parti- cipant, semper adiuncta est. Proprium autem differentiae quidem est in eo quod quale sit praedicari, speciei uero in eo quod quid est: nam et si homo uelut qualitas accipiatur, non sim-  11— p. 327, 16] Porph. p. 18, 15—19, 3 (Boeth. p. 46, 15-47, 11).   1 mortales—sicut homines]  ( sunt  ex  sint  Lm2, add.  homines  Lm1, del. m2,  sunt  del. Pm2;  atque Lm1Pm2  et  HLm2Pm1;  sicut  del. et  sunt  scr. Pm2) HLP  aeque mortales atque rationabiles sunt ut homines  C  aeque  (s. l. m2)  mortales  (ex  -lis  m2)  sunt atque rationabilis  (sic)  sunt  (part. ras. ex  sicut  m2)  homines  E  mortales sunt atque  ( atque sint  N)  rationales sicut homines  NR  mortalis atque rationabilis sicut homines  G  2 nam—homines  (4) om. N  idem est]  E ( est  in mg.) HR  idẽ  CL  id est  ( ẽ  G) GP  est  del. Lm2 esse  post  ration.  EL, repetit. post ration.  P, om. CH  rationali  R  rationalis  Lm1  rationabile  G  rationabili  E  rationabilis  Lm2P  5  ante  commune  add.  est  H  habent  om. HR, s. l. EL ( n  del. m2)  differentia  R  6 relinquit  R relinquent  Pm1  derelinquunt  Lm1  rationabilis  EG  7 rationabilitati  CGP  rationalitate  HN post semper  add.  enim  G  8 quia  ex  qua  Em2  humanitati  EGLP  differentia  HLNR  9 relinquit  HLNR  par- ticipent  E  11 SPECIEI ET DIFFERENTIAE  ( DIFFERENTIIS  E) ΕG ΤΖΦ , recte ut uid. , DE PROPRIIS EORVM  ( EORYNDEM  Ψ ) Ρ Ψ ;  Porph. p. 18, 15   Περί τής διαφοράς τού εϊδοος και τής διαφοράς ,  cod. Μ   Περί τών ιδίων ειδοος και διαφοράς  12 autem  om. Η uero  C Q  quod  ex  quid  C  13 species  EGHNP  uero  om. H  autem  Busse  eo quod] quo  Γ  est] sit  R  14 nam—generationem  (p. 327, 15) ]  LR Q ,  om. cett.  accipitur  A m1  non]  R ΓΔΈ  cum Porph. p. 18, 17  hic non  L  non hic  A m2 H  Busse  non sic  Λ m1 Σ  non homo  Φ   pliciter erit qualitas, sed secundum id quod generi aduenientes differentiae eam constituerunt. amplius differentia quidem in pluribus saepe speciebus con- sideratur, quemadmodum quadrupes in pluribus animalibus specie differentibus, species uero in solis his quae sub specie sunt indiuiduis est. amplius diffe- rentia prima eat ab ea specie quae est secundum ipsam; simul enim ablatura rationale interimit homi- nem, homo uero interemptus non aufert rationale, cum  sit deus. amplius differentia quidem componitur cum alia differentia rationale enim et mortale compositum est in substantia hominis, species uero speciei non componitur, ut gignat aliam aliquam speciem; qui- dam enim | equus cuidam asino permiscetur ad muli generationem, equus autem simpliciter asino num- quam conueniens perficiet mulum.  Expositis communitatibus quantum ad institutionem per- tinebat differentiae et speciei, eorundem nunc dissimilitudines colligit dicens quoniam differunt, quod species in eo quod  quid sit praedicatur, differentia uero in eo quod quale sit. huic differentiae poterat occurri. nam si humanitas ipsa, quae species est, qualitas quaedam est, cur dicatur species in eo quod quid sit praedicari, cum propter quandam suae naturae sed] id  (del.) R  3 considerantur  Δ  4 pluribus]  Porph.  πλείστων ,  cod. B   πλειόνων  6 specie] una specie  R Γ  ( sunt  ante specie )   ΛΨ ;  Porph. p. 18, 21   άκο το είδος  7 prima  ante  differentia  Δ  prior  edd.fort· recte cum Porph.   κροτέρα;   cf. p. 328, 32  superioris ab ea] et  Γ  ab ea—ipsam] ab ea quae est secundum se specie  2  8  post  ipsam  add.  differentiam  Δ   (del. m2)   Λ  10 deus] angelus  LR  ponitur  Δ  12 sub- stantiam  edd. cum Porph. p. 19, 1   εις οπδστοσιν  speciei] specie  R  13 aliquam  ante  aliam  T\A ,  post  speciem  2  14 equus] asinus  Σ  asinae  Φ  equae  Σ  15 equus] asinus  2  autem  om. N enim  C ΔΛ2  asinae  Pm2  conueniens numquam  2  16 mulum perficiet  CEG  perfici ad mulum  R 17 Positis  N  instructionem  H  18 eorum  L  earundem  edd.; cf. indicem Meiseri s.  neutrum 20 differentiae  C  uero  om. CGP  autem  R post  sit  add.  qua inter se differunt differentia et species  Hm1, del. m2  21 huic] nunc  G  differentia  G  22 dicitur  CLm2  praedicatur  GR   proprietatem quaedam qualitas esse uideatur? huic respondemus, quia differentia solum qualitas est, humanitas uero non est solum qualitas, sed tantum qualitate perficitur. differentia enim superueniens generi speciem fecit; ergo genus quadam differentiae qualitate formatum est, ut procederet in speciem,  species uero ipsa, qualis quidem est, secundum differentiam illius quae est pura ac simplex qualitas, qua scilicet perficitur et conformatur, qualitas uero ipsa pura simplexque nullo modo est, sed ex qualitatibus effecta substantia. itaque iure diffe- rentia, quae pure ac simpliciter qualitas est, in eo quod quale  est sciscitantibus respondetur, species uero in eo quod quid sit, licet ipsa quoque quaedam qualitas sit non simplex, sed aliis qualitatibus informata. Rursus illa quoque differentia est, quia plures sub se species differentia continet, species uero tantum indiuiduis praesunt. rationabilitas enim et hominem  claudit et deum, quadrupes equum, bouem, canem et cetera, homo uero solos indiuiduos. atque in aliis speciebus eadem ratio est. idcirco enim definitiones quoque secutae sunt, ut differentia uocaretur quod in pluribus specie differentibus in eo quod quale sit praedicatur, species uero quod de pluribus  numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur. Ideo etiam superioris naturae sunt differentiae, quoniam continentes sunt specierum. nam si quis auferat differentiam, speciem  1 respondebimus  G  tantum  om. EG  solum,  s. l.  ał tantum  L  4 facit  CLN  5 formatum est  s. l. Gm2  6  ad  qualis  s. l.  ł quali- tas  Hm2 post  quidem  add.  non  EGP (del. m2), in mg. Hm2  9  post  sed  s. l.  hec  L  iure itaque  C  11 species—quid sit  in mg. Gm2  12 sit] est  HN, add.  iure respondetur  CG (in mg. m2) LP  13 rursum  E, add.  differentiae et speciei  C  illa  om. E  ipsa  CGP post  quoque  add.  his  HN  differentia est] differunt  in ras. E est om. P  in hoc a specie distat  G  15 uero  om. CEGP  rationalitas  HΝ  post  quadrupes  add.  enim  P, s. l. Lm2  canem  om. C  camelum  R  17 sola indiuidua  Lm2R  pr.  in] de  Pm2  20 praedicetur  HLN species—praedicatur  om. E  21 praedicatur] dicatur  GHLPm1 post  differentiae  add.  quam species  CLP  speciebus  N post  quoniam  add.  enim  HLN  23 sunt  ( erunt  L) post  specierum  EGL, ante  conti- nentes  R  nam  om. LR, post  quis  s. l.  enim  Lm2   quoque sustulerit, ut si quis auferat rationabilitatem, hominem deumque consumpserit, si uero hominem tollat, rationabilitas manet in speciebus reliquis constituta. est igitur differentiae specieique distantia quod una differentia plures species continere potest, species uero nullo modo. Alia rursus est differentia, quoniam ex pluribus differentiis una saepe species iungitur, ex pluribus speciobus nulla speciei substantia copulatur. iunctis enim differentiis mortali ac rationali factus est homo, iunctis uero speciebus nulla umquam species informatur. quodsi quis occurrat dicens quoniam permixtus asino- equus efficit mulum, non recte dixerit. indiuidua enim indi- uiduis iuncta indiuidua rursus alia fortasse perficiunt, ipse uero equus simpliciter, id est uniuersaliter, et asinus uniuer- saliter neque permisceri possunt neque aliquid, si cogitatione  misceantur, efficiunt, constat igitur differentias quidem plurimas ad unius speciei substantiam conuenire, species uero in alterius speciei naturam nullo modo posse congruere. Differentia uero et proprium commune quidem  habent aequaliter participari ab his quae eorum participant; aequaliter enim rationalia rationalia sunt et risibilia risibilia. et semper et omni adesse com-  18—p. 330, 4] Porph. Boeth. rationalitatem  HN  2 aero] quis  R  rationalitas  HLa.c.N  3 est  om. CEGP  4 specieqne  R  et species  C  distant  C  distantia est  EGP  species] significationes  Em1  5 differentia est  C  6 saepe  om. EGR post  pluribus  add.  uero  R  8 enim] etiam  Lm1  igitur  Lm2Pm1  10 asinae  HLm2  11 perficit  GP  12 perficiant  Lm1R  14 nec.. nec  C  neque permisceri possunt  om. EGR  neque aliquid] non aliquid  EGR  cogi- tatione si  HN  18 COMMVNIBVS] d e Porph. cf. ad p. 102, 7  20 par- ticipari] praedicari  L  ab his—dicitur  (p. 330, 2) ]  LR Q , om. cett.  ab  om.  Σ , del.  A m2  21 post enim  s. l.  quae  T m2  rationalia rationalia]  Tk m2 <t>W m2 edd. rationalia rationabilia  Π  rationalia  A2<V m1  rationabilia  LR & m1  rationabilia rationabilia  Busse  sunt  om. R, s. l.  h m2  22 et  er. uid.  Δ  post.  risibilia  om. LR \2 , post add.  sunt  codd., om. L cum Porph. p. 19, 6   mune utriusque est. si enim curtetur qui est bipes, sed ad id quod natum est semper dicitur; nam et risibile in eo quod natum est habet id quod est semper, sed non in eo quod semper rideat.    Nunc differentiae propriique communia continua ratione persequitur. commune enim dicit esse proprio ac differentiae quod aequaliter participantur æque enim omnes homines rationa- biles sunt, aeque risibiles, illud, quia substantiam monstrat, istud, quia est aequum proprium speciei et subiectam speciem non relinquit. Aliud etiam his commune subiungit : æqualiter enim semper differentia subiectis adest ut proprium; semper enim homines rationabiles sunt, ut semper quoque risibiles. sed obici poterat non semper esse bipedem hominem, cum sit bipes differentia, si unius pedis perfectione curtetur. quam tali modo soluimus quaestionem. propria et differentiae  non in eo quod semper habeantur, sed in eo quod semper naturaliter haberi possunt, semper dicuntur adesse subiectis.  utrisque  ΓΛΣΦ  si] sine  R ΓΦ  qui est] quies  R  quidem  L A  post  bipes  add. non substantiam  ( substantia  ΑΦ )  perimit  ( perimitur  Ψ ) L ΑΨ  Busse (in adn. deleri mauult) , non substantia perit  ( peribit  Σ )   ΓΠΣΦ p ,  om. Rbrm, Porph. p. 19, 8, Boeth. in comment.  2 sed] ta- men  R  ad id quod] ad quod  L AΠ  (post  est  repet.  ad id )   Σ   Busse  ad id ad quod  Ψ , ad id  post est  h m1 post  est  add.  habet et id quod est  L A  (del. m2)  2 , ‘fortasse  id quod est  recipiendum’ Russe : Porph. p. 19, 8   αλλά πρός το πεοοχένοι το   ( το  om. Μ)   άει λέγεται  nam  -om. R  3 in eo] eo  EGLR A m1  ad  C 72  id  Ρ Π  ad id  *F  aliquod  N  habet id quod est semper]  C ( id  s. l. m1?) L hA  ( "habet—est  del. m2), pro  id  exhib.  hoc  H  et id  Σ , est  om. N  habet semper  Ρ Π  habet  EG semper dicitur  ΓΦΨ ,  om. R  4 sed—rideat] in  om. C, in mg. Hm2,  in quod semper rideat  EG non quod semper rideat  R Ψ ; Porph.   έπε'ι ναι τό γελαστικόν τώ πεφυχέναι έχει τό αεί, άλλ' ο όχι τώ γελάν άει  6 enim] autem  Lm2P  dicitur  CEGR  proprii  C  7 rationales  Cm2ELm2P  8 atque  NR  9 istud] illud  EGHN (add.  risibilis ) P  aequum  om. H  aeque  EG, recte?  propriae  EGLPR  et  om. EG  ac  N  subiectam  om. C  subiectum  EGPm1  10 reliquit  ELa.c.  etiam his] hic etiam  HN  11 subiectis  s. l. Gm2  12 rationales  Cm2HN  15  ante  propria  add.  et  HNP (del. m2), s. l. Lm2  propriae  CEGPm2  proprii  R  et  om. CE, del. Pm2  16  post  in] ex  HN   si enim quis curtetur pede, nihil attinet ad naturam, sicut nihil ad detrahendum proprium ualet, si homo non rideat. haec enim non in eo quod adsint, sed in eo quod per naturam adesse possint, semper adesse | dicuntur. ipsum enim semper;  p. 107   non actu esse dicimus, sed natura. numquam enim fieri potest, ut per naturae ipsius proprietatem non semper homo bipes sit, etiamsi potest fieri, ut pede curtetur, etiam si deminuto pede sit natus; in his enim non speciei atque substantiae, sed nascenti indiuiduo derogatur. Proprium autem differentiae est quoniam haec quidem de pluribus speciebus dicitur saepe, ut rationale de homine et de deo, proprium uero de una sola specie, cuius est proprium. et differentia quidem illis  est consequens quorum est differentia, sed non con- uertitur, propria uero conuersim praedicantur quorum sunt propria, idcirco quoniam conuertuntur. Distat a proprio differentia, quia differentia plurimas species  10—17] Porph. Boeth. curtetur quis  N  nil  C  attinet  s. l. Lm2, post  naturam  R  2 ad  om. EG  ualet  om. EGR  3  pr.  in  om. CEH, s. l. Lm2Pm2 , ab  Gm1, del. m2 post.  in  om. EGNP, s. l. Lm2  4 possunt  HN  dicuntur semper adesse  R  5 actum... naturam  E  umquam  Ea.c.G  7 potest  om. EG, post  fieri  L, postea  (om.  fieri ut ) HN  pede]  HLm1N  ambo pede  Em1GR utroque pede  Em2Lm2P;  ambobus curtetur pedi- bus  C ante  etiam  (om. C) add.  uel  CL (s. l. m2) R  diminuto  CEGLPR  8 pede  om. C  sit natus] nascatur  C  de inscript. ap. Porphyr. cf. ad p. 105, 16  11 autem] uero  Δ  quoniam] quod  ΓΦ  12 saepe— conuertitur  (15) ]  LR Q , om. cett.  saepe  om. Lm1R, ante  dicitur  Lm22 ;  Porph. p. 19, 11   λέγεται πολλά*ις  rationabile  R  13  post , de]  A ,  om. cett.; cf. Porph. p. 19, 12 et infra p. 332, 3  deo]  ii  angelo  R  deo et angelo  L; cf. Porph. p. 19, 12 adn. ante  proprium  add.  et  Δ  uero  om. R  de una]  L 4 m2 4'  in una  R ΓΔ m1 ΠΣ  una  Φ ;  Porph.   έφ’ ένός   post  specie  add.  dicitur  Δ  16  post  prædicantur  add.  de his  Δ   (s. l. m2) edd.  ex his  Σ  hiis  Φ,  om. Porph. p. 19, 14  18  post.  diffe- rentia  om. C  plurimis  R plures  L  pluribus  EG  speciebus  Em2GR   claudit ac de his omnibus praedicatur, proprium uero uni tantum speciei cui iungitur adaequatur. rationale enim de homine atque de deo, quadrupes de equo et ceteris animalibus, risibile uero unam tantum tenet speciem, id est hominem. unde fit ut differentia semper speciem consequatur, species  uero differentiam minime. proprium uero ac species alternis sese uicibus aequa prædicatione comitantur. sequi uero dicitur, quotiens quolibet prius nominato posterius reliquum conuenit nuncupari, ut si dicam omnis homo rationabilis est, prius hominem, posterius apposui differentiam; sequitur ergo differentia speciem. at si conuertam nomina dicamque omne rationabile homo est, propositio non tenet ueritatem; igitur species differentiam nulla ratione comitatur. proprium uero et species quia conuerti possunt, mutuo se secuntur : omnis homo risibilis est et omne risibile homo est.     Differentiae autem et accidenti commune quidem est de pluribus dici, commune uero ad ea quae sunt  16—p. 333, 3] Porph. Boeth. clauditur  EGRm2  claude his  (sic) ml  2 cui iungitur] coniungitur  Lm1N, add.  et  L  rationabile  CGLPR  3  pr.  de  om. CH, er. L post  deo  add.  praedicatur  R, s. l. Lm2 post  quadrupes  add.  uero  R  et ceteris] ceteris  E  ceterisqne  GP  6 ac] et  E  7 aeque G R ( -(??)e )  comitentur  HN  comitatur  ex  commitetur  Rm2  sequi] si quid EGPm1  8 quotiens  om. EG, s. 1. Pm2  qualibet re  ( re  s. l. Pm2)  prius nominata  HLNPm2R reliquam  HLm2NPm2  reliqua  Lm1Rm2  uero qua  m1 rationalis  Cm2HN  est  om. N  10 posterius  ex  prius  Em2  opposui  EG  posui  Lm1R  ergo] enim  E  11 at] et  Hm1  nomina] ut  (in ras. Lm2)  prius differentiam nominem  HNP, in mg. Lm2  12 rationale  HN  propositi  CG proposita oratio  in ras. E  13 nulla ratione differentiam  C  proprium—secantur  in mg. sup. Hm2  14 sequuntur  PRm2  sequntur  E ante  omnis  add.  ut  L, post add.  enim  HNP  15 et  om. EG, s. l. Lm2  est  om. R  16 ACCI- DENTIS ET DIFFERENTIAE  E  ΕΤ] uel  P  ACCIDENTI  C de in- script. ap. Porphyr. cf. ad p. 102, 7  17 accidentis  Cm2 il  commune adesse  om. N  18  post uero  add.  est  Ρ ΑΠ  Busse, om. Porph. p. 19, 18   inseparabilia accidentia, semper et omnibus adesse; bipes enim semper adest omnibus coruis et nigrum esse similiter. Duo quidem differentiae et accidentis communia proponit,  quorum unum separabilibus et inseparabilibus accidentibus cum differentia commune est, ab altero uero separabile acci- dens segregatur. tantum uero inseparabile secundo communi concluditur. est enim commune differentiae cum omnibus accidentibus de pluribus praedicari; nam et separabilia et inse-  parabilia accidentia sicut differentia de pluribus speciebus et indiuiduis prædicantur, ut bipes de coruo atque cygno et de his indiuiduis quae sub coruo et cygno sunt, nuncupatur. item de eodem coruo atque cygno album et nigrum, quae sunt inseparabilia accidentia, praedicantur. ambulare enim uel  stare, dormire ac uigilare de eisdem dicimus, quae sunt acci- dentia separabilia, reliqua uero communitas ea tantum acci- dentia uidetur includere quae sunt inseparabilia. nam sicut differentia somper subiectis speciebus adhaerescit, ita etiam inseparabilia accidentia numquam uidentur deserere subiectum.  ut enim bipes, quod est differentia, numquam coruorum speciem derelinquit, ita nec nigrum, quod accidens inseparabile est. differentia enim idcirco non relinquit subiectum, quoniam eius substantiam complet ac perficit, accidens uero huiusmodi,  1  post  semper  add.  in eodem genere  P  omni  R; Porph. p. 19, 18   παντί   post omnibus  add.  hominibus et  L  hominibus  Λ   (del. m2)  2 nigrum esse]  ΓΛ»ηίΨ  nigris  ( nigros  Hm2)  esse  EGHm1  nigredo esse  L  nigrum adest  \A m2  nigrum  CNΡR ΙΙΣΦ  Russe; Porph. p. 19, 19   τότε μέλαν είναι   (sic Μμέλασιν είναι  Βm2  μέλαν  eett.)  4 quaedam  HΝ  et] atque  ΗΝ  5 sepa- rabilibus  om. G, s. l. Em2  6 uero] autem  E  7 uero] enim  R, recte? post  inseparabile  add. accidens  L  accidens cum inseparabilibus differentiis  in mg. Hm2  secunda communione  HLP differentiae  CEGLm2P  11 et de his—cygno  om. H, cygno sunt  om. EGR nuncupantur  G  praedicatur uel nuncupatur  C praedicantur—separabilia om. N enim s. l. C  etiam  H  isdem  CPm2  hisdem  ER  dicitur  LP  17  post  inseparabilia  add.  accidentia  C  19 accidentia inseparabilia HN  deserere uidentur  C corui  N  21 est inseparabile  C  22 subiectum non relinquit  C  derelinquit  Lm1  post  huiusmodi  add.  est  edd.   quia non potest separari; neque enim possit esse accidens inseparabile, si subiectum aliquando relinquit.      Differunt autem quoniam differentia quidem continet et non continetur continet enim rationabilitas hominem, accidentia uero quodam quidem modo continent eo quod in pluribus sunt, quodam uero modo continentur eo quod non unius accidentis sus- ceptibilia sunt subiecta, sed plurimorum, et differentia quidem inintentibilis est et inremissibilis, acci-  dentia uero magis et minus recipiunt. et inpermixtae quidem sunt contrariae differentiae, mixta uero con- traria accidentia.    Huiusmodi quidem communiones et proprietates dif- ferentiae et ceterorum sunt, species uero quo quidem  p. 108 differat a genere et differen|tia, dictum est in eo quod dicebamus, quo genus differret a ceteris et quo dif- ferentia differret a ceteris.    Post differentiae et accidentis redditas communitates nunc de eorum differentiis tractat. ac primum quidem talem proponit.  3—18] Porph. Boeth. post.  posset  Lm1  potest  HLm2NPR post  accidens  repet. esse  G , 3  uel  4  litt. er. L  2 reliquerit  H  relinqueret  N  3 ACCIDENTIS ET DIFFERENTIAE  Γ EARVNDEM  C  EORYNDEM  E de inscript. ap. Poiphyr. ef. ad p. 105, 16  4 Different  Cm1 Differt  L ΣΐΑηιΐ m1 Φ  post  autem  add.  differentia ab accidenti  Γ  5 et  om. GHP  continet— sunt  (15) ]  LR il , om. cett.  enim] autem  L  rationalitas  ΓΑ a.c. Π2ΦΨ  6 quidem  om.   Δ2  7 sint  L ΓΔΛΠΦ»ιί m1 | ·uero  post  modo  Ψ ,  del.   ΓΦ   (ut uid.)  9 sint  A  10 intentibilis  ΓΣ   Busse inintensibilis  edd.; Porph. p. 20, 4   άνεπίτατος;   ef. Roensch, Collect. phil. p. 299 12 post  uero  add.  sunt  ΛΦ  14 Huiuscemodi  Δ  15 quod  EGR  quidem  om.   2  quidam  Em2G  16 a  om. EGH 2 differentiae  E  est  om. C  17 quo] quod  R A m1  differet  R  differt  CEGP 2  a  om. ΕGΗΡR ΤΠ,ΣΦ quod  EGR is m1  18 differet  R  differat  L A  differt  G a  om. EGHR TWZ  19 reddit has  E communicantes  Rm1  communiones  m2  20 primam  HN  quidem  om. HN  tale  C   differentia, inquit, omnis speciem continet. rationabilitas enim continet hominem, quoniam plus rationabilitas quam species, id est homo, praedicatur : supergressa enim substantiam hominis in deum usque diffunditur. accidentia uero aliquando  quidem continent, aliquando continentur. continent quidem, quia quodlibet unum accidens speciebus adesse pluribus con- sueuit, ut album cygno et lapidi, nigrum coruo, æthiopi atque hebeno, continentur uero, quoniam plura accidentia uni accidunt speciei, ut uideatur illa species plurima accidentia continere.  cum enim æthiopi accidit ut sit niger, accidit ut sit simus, ut crispus, quae cuncta sunt accidentia æthiopis, species, quod est homo, omnia quae habet intra se plurima accidentia uidetur includere. huic occurri potest: quoniam differentiae quoque aliquo modo continentur, aliquo modo continent, ut  rationabilitas continet hominem plus enim quam de homine prædicatur, continetur quoque ab homine, quia non solum hanc differentiam homo continet, uerum etiam mortalem. re- spondebimus : omnia quaecumque substantialiter de pluribus praedicantur, ab his de quibus dicuntur non poterunt conti-  neri; quo fit ut differentiae quidem non contineantur ab specie, etsi sint differentiae plures quae speciem forment. accidentia uero continentur, quoniam accidentia speciei substantiam nulla praedicatione constituunt; nam nec proprie uniuersalia dicuntur  1 omnis speciem] species  R rationalitas  HNP  2 rationalitas  HNP  3 substantia  N aliquando—aliquando] aliquo modo quid N ante  lapidi  s. l.  pario  Em2 post  nigrum  add.  ut  CEGLP, ante edd. ante  Aethiopi  add. et  E continentur uero]  HLm2NP  continentur- que  cett.  9 plura  HN  10 enim] etenim  N ad simus  s. l.  naribus pressis  E  12  ex  quod  part. ras.  quae  Cm2  quod est] quidẽ  G ante  intra  add. et  E  plurima  om. EGH  13 occurri] opponi  HN  14  pr.  aliquo modo] aliquando  EGLm2P post. aliquo modo  om. N  aliquando  Em2Lm2P  15 rationalitas  H  17 homo] nomen hominis  HN mortale  edd.  respondemus  HN  respondebimus contra haec  GLPR  18 praedicantur de pluribus  C  20 a  R  21 sunt  H  differentiae  om. HN  speciem forment]  CEGP  speciem formant  Lm(??) ( informent  m2 hrm) N  formant speciem  H  informant speciem  R  22 con- tineantur  HN  23  ad constituunt  in mg.  ał subsistunt  Hm2   accidentia, cum de speciebus pluribus dicuntur, differentiae uero maxime. quae enim quorumlibet uniuersalia sunt, ea neoesee est eorum quorum sunt uniuersalia, etiam substantiam continere. qno fit ut quia differentiae substantiam monstrant, intentione ac remissione careant — una enim quaeque substantia  neque contrahi neque remitti potest, at uero accidentia quoniam nullam constitutionem substantiae profitentur, intentione cre- scunt et remissione decrescunt. Illa quoque eorum est dif- ferentia, quod differentiae contrariae permisceri, ut ex his fiat aliquid, non queunt, accidentia uero contraria miscentur et  quaedam medietas ex alterutra contrarietate coniungitur. ex rationabili enim et inrationabili nihil in unum iungi potest, ex albo uero et nigro coniunctis fit aliquis medius color.    Expositis igitur distantiis differentiae ad cetera restat de specie dicere, cuius quidem differentias ad genus ante colle-  gimus, cum generis ad speciem differentias dicebamus. eiusdem etiam speciei distantias ad differentiam diximus, cum differentiae ad species dissimilitudines monstrabamus. restat igitur speciem proprii et accidentium communioni coniungere, tum differentia segregare.     Speciei autem et proprii commune est de se intri- cem praedicari; nam si homo, risibile est, et si risi-  Porph. Boeth. pluribus speciebus  HN  2 maximae  EH, add.  dicuntur uniuersalia et  ( et  om. R)  proprie  Lm2 (in mg.) R 4 ut  om. CG, s. l. Lm2  5 una quaeque enim  HNR  6 quoniam] quia  E  7 profitentur] monstrant  R ante  intentione  add.  et  HN  9 his] se  C  10 misceantur  N  permiscen- tur  R  et] ut  C  11 coniunguntur  LN  fiat  C  12 rationali  C ( bi  s. l. er.) HN  inrationali  HN  in unum]  L  in  om. cett.; cf. indicem Meiseri s.  unus 13  post color s. l.  ut uenetns  Pm2  15 ad genus— differentias  om. EG  16 dicebamus] diximus  EGP  17 diximus] dice- bamus  C  19 proprio  HLm1NP  accidenti  Lm1  accidenti tum  HPm2  accidentique  (om.  et ) N  communione  HLm1NP  tunc  R  20 disgre- gare  N  21  de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7  23 nam—dictum est  (p. 337, 4) ]  LR Q , om. cett. post  homo  add.  est  ΔΣ ,  s. l.  A m2  et si]  ΔΕΈ  et  L ΓΛΠΦ  ita et  R post  risibile  add.  est  ΔΣΨ   bile, homo est – risibile uero quoniam secundum id quod natum est sumi oportet, saepe iam dictum est —; aequaliter enim sunt species his quae eorum partici- pant et propria quorum sunt propria. Commune, inquit, habent propria atque species ad se ipsa praedicationes habere conuersas. nam sicut species de proprio, ita proprium de specie praedicatur; namque ut est homo risibilis, ita risibile homo est; idque iam saepius dictum esse commemorat. cuius communitatis rationem subdidit, eam scilicet,  quia aequaliter species indiuiduis participantur, sicut eadem propria his quorum sunt propria. quae ratio non uidetur ad conuersionem praedicationis accommoda, sed potius ad illam aliam similitudinem, quia sicut species aequaliter indiuiduis participantur, ita etiam propria; æque enim Socrates et Plato  homines sunt, sicut etiam risibiles. itaque tamquam aliam communionem debemus accipere quod est additum : aequaliter enim sunt species his quae eorum participant et pro- pria quorum sunt propria. an magis intellegendum est hoc modo dictum, tamquam si diceret ‘aequalia enim sunt species  et propria’? nam quia species eorum sunt species quae spe- ciebus ipsis participant, et propria eorum propria quae|pro-  p.109  priis participant, proprium atque species aequaliter utrisque sunt, id est neque species superuadit ea quae specie parti-  8 saepius] cf. infra.   1 est  om. R ante  secundum  add.  et  A   (s. l.) Busse, om. Porph. p. 20, 13  id  om.   J!  2 natum]  Porph. p. 20, 14   κατά τό πεοοχέναι γελάν  sumi oportet]  LR  dicitur  Q ;  Porph.   ληπτεον 3 sunt  om.   Φ ,  post  spe- cies  P  earum  R, ex  eorum  ut uid.  5 m2  7 ita—est homo  in mg. Hm2 praedicamus  EGHm2P p.c.R  namque  om. N  nam  R  8 ita homo risibile est  E  ita est risibile homo  R  iam] etiam  C  saepius]  HN  superius  cett. (recte?); cf.  saepe  2, et ad p. 317, 4. 325, 14 10 qua  CGLP  eadem] eodem modo  E  11 ratio] puto  Em2  12 accommo- data  edd.  13 qua  CGEm1P ante  indiuiduis  add.  ab  HNR, s. l. Lm2  14 participatur  H  18 ac  Lp,c.Pm2  est  om. C 19 æqualiter  N  20  post  propria  add.  quorum sunt propria  C  21 et propria— atque species] atque proprium species  N  23  post.  speciei  EGLP   cipant, neque propria superuadunt ea quae propriis participant. cumque haec propria specierum sint. propria, species ac pro- pria aequalia esse necesse est atque inuicem praedicari.    Differt autem species a proprio, quoniam species  quidem potest et aliis genus esse, proprium uero et aliarum specierum esse inpossibile est. et species quidem ante subsistit quam proprium, proprium uero postea fit in specie; oportet enim hominem esse, ut sit risibile. amplius species quidem semper actu adest  subiecto, proprium uero aliquando potestate; homo enim semper actu est Socrates, non uero semper ridet, quamuis sit natus semper risibilis. amplius quorum termini differentes, et ipsa sunt differentia; est autem speciei quidem sub genere esse et de plu-  4—p. 339, 3] Porph. p. 20, 16—21, 3 (Boeth. p. 49, 11—50, 2). 14 quorum—differentia] Abaelardus II, Introduct. ad theolog. p. 94; Theo- log. christ. p. 488; De unit, et trinit. diuina p. 58 Stoelzle.   1 nec  CELN  2 haec  om. LN, del. uid. E  sunt  EHa.c.N, add.  et  CE (del.) GH (del.) P (del. m2)  propriis  (post  sint ) E (del.) G  proprii  Ha.c.  4 DE PROPRIETATIBVS  Δ  DE DIFFERENTIA  C; de Porph. cf. ad p. 105, 16  5 a  om. GHLNR, s. l. Pm2 il m2  6 et  om R SΣ ; Porph. p. 20, 17 cod. BM   χαί  proprium—praedicari  (p. 339, 2) ]  LR Q , om. cett.  et  om. Porph.  9 post  R Σ  post  enim  add.  ante  L  ut]  Porph. p. 20, 20   Ινα xai ( Voti   om. cod. M)  ut sit  s. l.  \ m2  11 potestate]  Porph. p. 20, 21   xol δονάμε:  12 enim] uero  L est  om. R  non uero semper]  ΔΛΠΨ   edd. Busse  non semper autem  Γ2Φ  semper autem non  LR; Porph. p. 20, 22   γελά δέ oix αεί ;  cf. infra p. 340, 4  13 quamquam  (uel  quan- )   L ΓΦ  natura  in ras.  A m2  14 termini] definitiones  (uel  diff- ) LR ΓΦ , ad  termini  s. l.  ł diffinitiones  \ m2 differentes]  ΓΑ  differentes sunt  Δ»ιίΠ2Φ  differunt  LR s m2 ii} ; Porph. p. 20, 23   ων οί οροί διάφοροι ; quo- rum termini, id est diffinitiones  ( id est diff.  om. p. 94)  sunt differentes  ( sunt differentiae  p. 488) , ipsa quoque sunt differentia  Abaelard.  15 spe- cies  R, post  speciei  s. l. diffinicio  A m2  quidem]  R T\ m2 (in ras.)  Ψ brm Busse in adn.,  semper  \ m1 (ut uid.)  All/ p Busse in contextu , esse semper  L  quidam terminus  Σ ; quidem sub genere semper esse  Φ   ante sub  add.  et  L A  Busse; Porph.   εατιν δέ ειδοος uev το οπδ τό γένος είνα: ribus et differentibus numero in eo quod quid est praedicari et cetera huiusmodi, proprii uero quod est soli et semper et omni adesse. Primam proprii et speciei differentiam dicit quoniam species  potest aliquando in alias species deriuari, id est potest esse genus, ut animal, cum sit species animati, potest esse hominis genus. sed nunc non de his speciebus loquitur quae sunt specialissimae, atque hunc confundere uidetur errorem, quod cum de his speciebus dicere proposuerit quae essent ultimae,  nunc de his quae sunt subalternae et saepe locum generis optineant disserit. propria uero nullo modo esse genera possunt, quoniam specialissimis adaequantur; quae quoniam genera esse non queunt, nec propria quae sibi sunt aequalia, genera esse permittuntur. Rursus species semper ante subsistit  quam proprium—nisi enim sit homo, risibile esse non poterit, et cum ista simul sint, tamen substantiae cogitatio praecedit proprii rationem. omne enim proprium in accidentis genere collocatur, eo uero differt ab accidenti, quia circa omnem solam quamlibet unam speciem uim propriae praedicationis  continet. quodsi pviores sunt substantiae quam accidentia, species uero substantia est, proprium uero accidens, non est dubium quin prior sit species, proprium uero posterius. Dis- 1 est] sit  2   edd.; cf. p. 340, 13. 341, 22  2 praedicari]  Porph. p. 21, 2 κατηγορούμενον είναι post  huiusmodi  add.  praedicari  I m1, del. m2  pro- prium  R  quod est  om.   ΓΦΨ ,  del.  \ m2;Porph. τό μονω προοείνα;.  3 soli et omni et semper  Λ  semper et soli et omni  2  scilicet semper et omni  Gm1, ante  scilicet  in mg.  sali et semper  m2  4  ad  dicit  s. l.  dicunt  Έ  5 diriuari  EGNPR  7 specialissimae sunt  H  8 hunc  s. l. L  nunc  N  hinc  C  hic  Em2  uidetur confundere  C  9 essent] sunt  L  11 genera  s. l. Lm2, ante  esse  HRS  13 non queunt] nequeunt  L  non pos- sunt  NR  14 permiitunt  C ( ur  er.) N  species—subsistit] species est semper ante  C  15 homo sit  LPR  16 ista] ita  CLa.c.  18 uero]  Brandt  enim  codd. edd.  accidente  CNR  quia] quod  L  19 speciem  om. H propriae  del. Lm2  20  post  continet  add.  accidens autem quando continet, ad multas species potest diffundi  EL. (in mg. inf. m2) Pbrm  21 accidens — proprium uero  om. R  22 uero  om. EG, s. l. Pm2  Decernuntur  GHLP  Disterminantur  E   cernuntur etiam species a propriis actus potestatisque natura; species enim actu semper indiuiduis adest, propria uero ali- quotiens actu, potestate autem semper. Socrates enim et Plato actu sunt homines, non uero semper actu rident, sed risibiles esse dicuntur, quia tametsi non rideant, ridere tamen poterunt.  natura itaque species et proprium semper subiectis adest, sed actu species, proprium uero non semper actu, uelut dictum est. At rursus quoniam definitio substantiam monstrat, quorum diuersae sunt definitiones, diuersas necesse est esse substantias; speciei uero et proprii diuersae sunt definitio-  nes, diuersae sunt igitur substantiae. est autem speciei definitio esse sub genere et de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicari; quam superius frequenter expositam nunc iterare non opus est. proprium uero non ita : definitur : proprium est quod uni et omni et semper speciei  adest. quodsi definitiones diuersae sunt, non est dubium spe- ciem ac proprium secundum naturae suae terminos discrepare.      Speciei uero et accidentis commune quidem est de pluribus praedicari; rarae uero aliae sunt communi-20  18—p. 341, 2] Porph. Boeth. species om. EHP, s. l. Lm2, ante  etiam  G  a propriis  in ras. Lm2,  a  (om. R)  proprio  Pm2R  actu  CHLm1N  2  post  uero  add.  non semper  ( actu  s. l. add. Lm2)  sed  EGLPR  3 actu  om. EG, del. R, s. l. Lm2  autem semper  om. EGR  4  ante  sunt  add.  semper  N  5 quia  om. HN, s. l. Lm2  tametsi] etiamsi  C  potuerunt  N  pos- sunt  R  non  (del. E)  poterunt  EG  6  ante  species  add.  e(??)  R, ras. L  ad- est] adsunt  H  7 uelut] ut  NR  9 diuersas—definitiones  (10) om. N  11 igitur—speciei] substantiae igitur. est speciei autem  H  substantiae— de pluribus  in mg. inf. Gm2  speciei definitio] diffinitio speciei spe- cies  C  12 sub genere esse  HΝ  14 opus non  H  ita definitur,  om.  non  Hbrm, er. E;  ita, <sed> definitur  Brandt, cf. p. 347, 4  15 spe- ciei  om. H  18  de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7  19 uero] autem  H  est quidem  C  20 sunt aliae  HRT   tates propterea, quoniam quam plurimum a se distant accidens et id cui accidit.    Speciei atque accidentis similitudinem communem dicit de pluribus praedicari; de pluribus enim dicitur species, sicut et  accidens. raras uero dicit esse alias eorum communiones idcirco, quoniam longe diuersum est id quod accidit et cui accidit. cui enim accidit, subiectum est atque suppositum, quod uero accidit, superpositum est atque aduenientis naturae. item quod supponitur substantia est, quod uero uelut accidens  praedicatur, extrinsecus uenit. quae omnia multam eius quod est subiectum et eius quod est accidens differentiam faciunt. tamen inueniri etiam aliae possunt speciei et accidentis inse- parabilis communitates, ut semper adesse subiectis — aeque enim homo singulis hominibus | semper adest et inseparabilia  p. 110   accidentia singulis indiuiduis praesto sunt —, et quod sicut spe- cies de his quae indiuidua continet, aeque de pluribus accidentia indiuiduis praedicantur; nam homo de Socrate et Platone, nigrum uero atque album de pluribus coruis et cygnis quibus accidit nuncupatur.      Propria uero utriusque sunt, speciei quidem in eo quod quid est praedicari de his quorum est species,  20—p. 342, 15] Porph. Boeth. quam  om. ΗL ΣΑΛ'Ψ  (recte?), s. l.   Π m2 , quem  R  qui  (ut uid.) N; Porph. p. 21, 6   itXststov  distant  ante  a se  Δ   (s. l. m2)   A , a se  om. N  2  ante  accidens  add.  et  Γ id  om.   12 ,  s. l. Pm2 , hoc  Σ ;  Porph. p. 21, 7   *a\ το m οομβέβηχβν  accidunt  Em1P  3 atque] et  HL  accidens  Έ  dicit  om. E, s. l. Lm2Pm2  de  s. l. Lm2  5 dicit alias,  post er.  esse  uid. C  7 atque] et  H  8 est  om. EGHP  adueniens  EPm1  accidentis  N  11 et eius] eius est  E  12 possunt) sunt  E  insepa- rabiles  Cm1GP  13 subiectis semper adesse  HN post  adesse  add.  possunt  E  15 sicut]  L (s. l. m2) Rbrm, om. cett. codd. p  16 conti- nent  H ante  accidentia  add.  ut  CH  17 praedicatur  G  et  om. EGHPR  20 ET  om. R de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 105, 16  21 in] et  C 22 est] sunt  Hm1  sit  Σ  praedicare  EGm1P , praedi- catur  2  de his  om.   Σ  hiis  Φ  quorum—in eo] in eo accidentis autem quorum est species  Φ   accidentis autem in eo quod quale quiddam est uel aliquo modo se habens; et unam quamque substantiam una quidem specie participare, pluribus autem acci- dentibus et separabilibus et inseparabilibus; et spe- cies quidem ante subintellegi quam accidentia, uel si  sint inseparabilia — oportet enim esse subiectum, ut illi aliquid accidat —, accidentia uero posterioris generis sunt et aduenticiae naturae. et speciei quidem participatio aequaliter est, accidentis uero, uel si inseparabile sit, non aequaliter; Aethiops enim alio  Aethiope habebit colorem uel intentum amplius uel remissum secundum nigredinem.    Restat igitur de proprio et accidenti dicere; quo enim proprium ab specie et differentia et genere differt, dictum est.   Quod nunc proprium speciei et accidentis se exequi polli- cetur, tale proprium intellegendum est quod, ut superius dictum est, ad comparationem dicitur differentium rerum. species enim in eo quod quid est praedicatur, accidens uero in eo quod quale est. qua differentia non ab accidentibus solis species  2 unam quamque—4 inseparabilibus] Abaelardns II, Introduci. ad theolog; Theolog. christ. p. 479. 17 superius] quale] quale est  N  quidem  CEm1  quidam  m2  uel—habens  om. CEGHN  2 aliquo modo] quomodo  ΓΦ ;  Porph. p. 21, 10   πώς ;  cf. supra p.128, 10 adn.  et—nigredinem  (12) ]  LR Q , om. cett.  3 unam  R  qui- dem  om. Abaelard.  participari  L ΓΔΣ a.c. Φ praedicari  \ m1  autem] uero  L Abaelard.  4  tert. et om.   Γ  5  post  quidem  add.  sane  L ΓΛ  (s. l. m2)  ΙIΣΦ  Busse, om. R ΛΨ  cum Porph. p. 21, 12 post  subintel- legi  add.  potest  Lpr  possunt  bm; Porph.   w\ τά piv είδη προεπινοεΐται  uel  om.   Φ   ad  uel si  s. l.  etiamsi  K m2  6 inseparabilibus  R  8 generis  om. R  aduentiuae  R  9 aequalis  Λ  accidens  L T m1 A m1  10 alio Aethiope]  Porph. p. 21, 16   ΑίίΚοπος  13 accidente  HNR ΔΣ , ante er.  de  P  14 enim] etiam  H  a]  cod. Q Bussii (om. cett.) edd. (cf.p. 344, 9),  ab  scr. Brandt  speciei  Ca.r.EGR  et  om. CEGHPR differen- tiae  GR  15 differt  om. L  differat  ΦΣ  distat  R  est dictum  H, add.  in illorum differentiis ad ipsum  2  18 dicatur  R  20 est  om. GP, post add.  praedicatur  H   discernitur, uerum etiam a differentiis ac propriis, nec solum species ab eisdem, uerum etiam genus. praeterea quod species in eo quod quid est praedicatur, accidens uero in eo quod quomodo sese habeat, id quoque commune est cum genere;  genus quippe ab accidenti in eo quod quid est et quomodo se habeat praedicatione diuiditur. Item unam quamque substantiam una uidetur species continere, ut Socratem homo, atque ideo Socrati una tantum propinquitas est species hominis. rursus indiuiduo equo una species equi est proxima, itemque  in ceteris; uni cuique enim substantiae una species praeest. at uero uni cuique substantiae non unum accidens iungitur; uni cuique enim substantiae plura semper accidentia super- ueniunt, ut Socrati quod caluus, quod simus, quod glaucus, quod propenso uentre, et in aliis quidem substantiis de numero  accidentium idem conuenit. Dehinc semper ante accidentia species intelleguntur. nisi enim sit homo cui accidat aliquid, accidens esse non poterit, et nisi sit quaelibet substantia cui accidens possit adiungi, accidens non erit. omnis autem sub- stantia propria specie continetur. recte igitur prius species,  accidentia uero posterius intelleguntur; posterioris enim sunt, ut ait, generis et aduenticiae naturae. nam quae substantiam non informant, recte aduenticiae naturae esse dicuntur et posterioris generis; his enim substantiis adsunt quae ante diferentiis informatae sunt. Rursus quoniam species substantiam  1 decernitur  Rm2  ac  s. l. Lm2  a  EGH  et a  P  3 praedicatur  post  species  H  quod  om. E, s. l. Gm2  4 se  EP  habet  LR  id—habeat  (6) om. R  est commune  H post  est  add.  speciei  L (s. l. m2) brm  5 accidenti]  edd.  accidente  codd.  quod  om. E  8 propinquitate  EPm1  propinqua  L  species est  LR  9 est equi  H  item  H  10 una—substantiae  in mg. Hm2  13 quod simus  om. C  15 accidentium  ex  accommodantium  Hm2 post conuenit  add.  dicere  R  ante  om. C  16 accidit  CHLNPR, recte?  18 autem  del. Lm2  enim  P  20 uero  om. R, in mg. Lm2  posterius] postremo  R  enim] uero  CE  21 generis ut ait  CR  nam quae] nam  Rm1  namque  EG  nam quia  CN  22  ante  recte  add.  ideo  EGL (s. l. m2) P (del. m2)  esse  om. H   monstrat, substantia uero, ut dictum est, intentione ac remis- sione caret, speciei participatio intentionem remissionemque non suscipit. accidens uero uel si inseparabile sit, potest inten- tionis remissionisque cremento et detrimento uariari, ut ipsum inseparabile accidens quod Aethiopibus inest, nigredo. potest  enim quibusdam talis adesse, ut sit fuscis proxima, aliis uero talis, ut sit nigerrima.    Restat nunc proprii communiones ac differentias persequi. sed quo proprium differat a genere uel specie uel differentia. superius demonstratum est, cum quid genus uel species uel  differentia a proprio distaret ostendimus. nunc reliqua ad com- munitatem uel differentiam consideratio est, quid proprium accidentibus aut iungat aut segreget.      Commune autem proprii et inseparabilis accidentis  est quod praeter ea numquam constant illa in quibus considerantur; quemadmodum enim praeter risibile non subsistit homo, ita nec praeter nigredinem sub-  14—p. 345, 2] Porph. Boeth. demonstrat  H  ac] et  H  2 remissionemque] ac remissionem  H  3 si  s. l. CLm2  4 in  (del. m2)  incremento  H  decremento  R edd.  uti  R  ita  E  5  ante  nigredo  add.  ut  Hm1N  id est  s. l. Hm2  6 fu- scis]  La.c. edd.  fuscus  Lp.c. et cett.  aliis uero]  edd.  uero aliis  codd. ( uero  s. l. Lm2)  8  post  proprii  add.  et accidentis  N  ac] ad  EGLm1  9 quo]  Cm2 (part. ras. corr.)  quod  Cm1EGLm1NPR  quid  HLm2; cf. p. 342, 13  10 quid] quod  N  quicquid  E  uel differentia uel species  H a  s. l. Lm2  12 uel] et  N  quod  E  quae  Hm2LR  13 iungit  EGHm1LPm1R  segregat  LPR  separet  N  14 ACCIDEN- TIS]  Porph. p. 21, 20 cod. Μ   σομβεβηχοτος,  cett.   τοδ άχωρίστοο σομβεβη- αότος ;  de Porph. cf. etiam ad p. 102, 7  16 est  post  commune  L, ante  accidentis  AA m1  accidentis inseparabilis est  m2  praeter ea] prop- terea  Φ  constant]  CH Busse (coll. p. 159, 7)  consistant  EGNPR h m1 A p.c. W   edd.  consistunt  L A a. c.   112Φ  consistent  r\ m2  illa  post  quibus  N  17 quemadmodum—Aethiops  (p. 345, 1) ]  LR Q ,  om. cett.  18 ita  om.   2 ,  s. l.   A m2  subsistit] non subsistit  A m2; Porph. ΰποσταίη dv   sistit Aethiops, et quemadmodum semper et omni adest proprium, sic et inseparabile accidens. Quoniam proprium semper adest speciebus nec eas ullo  p. 111  modo relinquit quoniamque inseparabile accidens a subiecto  non potest segregari, hoc illis inter se uidetur esse commune, quod ea in quibus insunt, praeter propria uel inseparabilia accidentia esse non possint. inseparabilia uero accidentia com- parat, quoniam, ut in specie dictum est, rarissimae sunt speciei atque accidentis similitudines. quocirca multo magis proprii  atque accidentis communitates difficile reperiuntur. accidens enim in contrarium diuidi solet, in separabile accidens atque in inseparabile, quae uero sub genere in contrarium diuiduntur, ea nullo alio nisi tantum generis praedicatione participant. quodsi proprium inseparabile quoddam accidens est, a separabili  accidenti plurimum differt, atque ideo nullas proprii et separabilis accidentis similitudines quaerit. sed quia ipsum proprium certis quibusdam causis ab inseparabilibus accidentibus differt, horum et communitates inueniri possunt et inter se differentiae. quarum una quidem ea est quam superius exposuimus, secunda  uero quoniam sicut proprium semper et omni speciei adest, ita etiam inseparabile accidens; nam sicut risibile omni homini et semper adest, ita etiam nigredo omni coruo et semper adiuncta est. 8 ut in specie dictum est] 1 et omni  om. H  et  om. R; Porph. παντι και άεί  2 sic  om. P  sicut  C  et  om. R  3 semper  om. H  4 quodque  Hm1  5 inter se  post  commune  H  6 ea in] eam (m  del. m2) H  insunt] sunt  R, add.  ipsa propria et inseparabilia accidentia sunt  E (del. et s. l.  glosa est  scr. m2) L (in mg. m2, om.  sunt)  P (om.  sunt) uel] et  LNR  7 possunt  EHLm2NP  uero  s. l. Cm2 ante  comparat  s. l.  proprio  Cm2, post s. l.  scil. proprio  L  8 sunt  post  accidentis  H  10  ante  accidens  add.  scilicet  E  11 enim] uero  R  12 sub genere  om HΝΡ, del. Lm2  14 quiddam  CL  quoddam  post  est  H  16 simili- tudines—accidentibus  in mg. Em2  17 causis  om. EG  rationibus  Lm2PR differentiae] dissentiae uel differentiae  H  19 est ea  H  21  post  accidens  add.  est  H  22 et semper  om. H  et semper adest  s. l. Gm2 post.  et]  N edd., om. cett.  Differt autem quoniam proprium uni soli speciei adest, quemadmodum risibile homini, inseparabile vero accidens, ut nigrum, non solum æthiopi, sed etiam coruo adest et carboni et hebeno et quibusdam  aliis. quare proprium conuersim praedicatur de eo cuius est proprium et est aequaliter, inseparabile autem accidens conuersim non praedicatur. et propriorum quidem aequaliter est participatio, acciden- tium uero haec quidem magis, illa uero minus.    Sunt quidem etiam aliae communitates uel proprie- tates eorum quae dicta sunt, sed sufficiunt etiam haec ad discretionem eorum communitatisque traditionem. Proprii atque accidentis prima quidem differentia est quia proprium semper de una tantum specie dicitur, accidens uero  minime, sed eius praedicatio in plurimas diuersi generis substantias speciesque diffunditur. risibile enim de nullo alio nisi de homine praedicatur, nigrum uero, quod est inseparabile quibusdam accidens, tam coruo quam æthiopi, quae diuersa sunt specie, tum coruo atque hebeno, quae differunt generi-  bus, non tantum specie, praesto est. quo fit ut propriis quidem Porph.  Boeth. .   1 PROPRII ET ACCIDENTIS]  CP W ,  item Porph. p. 22, 4 cod. M  ( των αυτών   plerique cett. ), ACCIDENTIS ET PROPRII  cett., nisi quod  EORV II EORVNDEM  Ψ ;  de Porph. cf. etiam ad p. 105, 16  2 Dif- ferunt  CG ΔΣΦ ;  Porph. p. 22, 5   διενήνοχεν  proprium  om.   Σ  3 risi- bili  N  inseparabile—minus  (10) ]  LR Q ,  om. cett.  4 soli  L A‘l>  5 etiam] aeque  R  hebeno  plerique codd., item proprium est  ΓΦ  post.  est]  ΓΔ   (del. uid.)   ΙΙΣΦΨ   cum Porph. p. 22, 8, om. LR A Busse  8 autem] uero  ΔΛ   Busse  conuersim non] nec conuersim  A  proprii  R A m2 2  proprium uero  Φ  9 aequaliter]  R 2 ,  coni. Busse , aequalis  cett.; Porph. και τών μέν ιδίων έπίτης ή μετοχή 10 hae Δ  11 uel]  Porph. τέ καί  earum  C  dictae  CEGHP  hae  N  et  R   traditionem  ex  distractionem  E  contradictionem  Gm1  14 est  om. H  16 praedicatio eius  H species  Cm1  diuersae  HLNPm2  diuisae  m1 20 speciei  H (ante  sunt)  N  tunc  R  nec non  Lm1  sed tum  m2  21 tantum specie] uni tantum speciei  P   conuersio aequa seruetur, in accidentibus uero minime. quoniam enim propria in singulis esse possunt atque omnes continent, species conuerso ordine praedicantur; nam quod risibile est. homo est, et quod homo, risibile. nigrum uero non ita, sed  ipsum quidem de his praedicari potest quibus inest, illa uero ad huius praedicationem conuerti retrahique non possunt; nigrum enim de carbone. hebeno, homine atque coruo prae- dicatur, haec uero de nigro minime, nam quae plurima continent, de his quae continent praedicari possunt, ea uero quae  continentur, de sese continentibus nullo modo nuncupantur. Rursus proprium quidem aequaliter participatur, accidens remis- sionibus atque intentionibus permutatur. omnis enim homo aeque risibilis est, æthiops uero non æqualiter niger est, sed, ut dictum est. alius quidem paulo minus alius uero  taeterrimus inuenitur. Et de proprii quidem atque accidentis differentiis satis dictum est. restabat uero accidentis ad cetera communiones proprie- tatesque explicare, sed iam superius adnumeratae sunt, cum generis, differentiae, speciei et proprii ad accidens similitudines  ac differentias adsignauimus. fortasse autem his institutus animus et sollertior factus alias praeter eas quas nunc diximus com- munitates uel differentias quinque rerum quae superius sunt positae reperiet, sed ad discretionem atque eorum similitudines comparandas ea fere quae sunt dicta sufficiunt. nos etiam,  quoniam promissi operis portum tenemus atque huius libri seriem primo quidem ab rhetore Victorino, post uero a nobis  1 conseruetur (con  s. l. m2 ) aequa conuersio H 2esse presunt (presunt  del. m2) H  esse  Lm1  esse habent  Lm2R  4  post post.  homo  add.  est  CLR post  risibile  add.  est  LPR  5 quibus] in quibus  R  ante  hebeno  add. de  H, er. uid. L  9 continentur  HN  11 proprium  post  quidem  H (s. l. m2)  quidem  om. G  permittatur  E  deterrimus  CLN  16 proprii *  (s  er.) HL differentiis  om. G  proprietate  E  accidens  G  18 replicare  EGLPR  iam] etiam  EG  enumeratae  La.c.  19 speciei] et speciei  NR  ad accidens] et accidentis  Em1La.c.R  his  om. NR  23  ante  eorum  add.  ad  EGLPR  24 sufficiant  HR  26 ab  in a mut. ut uid. C   Latina oratione conversam gemina expositione patefecimus, hic terminum longo statuimus operi continenti quinque rerum disputationem et ad Praedicamenta seruanti. 1 conuersa ELm1  continenti  om. C  quinque] V  L (in ras. m1?) edd., om. cett.  3 et  om. C  seruienti  brm  ANICII MALLII SEVERINI BOEZIO LIBER V EXPLICIT SECVNDI SVPER YSAGOGAS COMMENTI  P FINIT EXPLICIT EDITIONIS SECVNDAE COMMENTARIORV LIBER V FELICITER. AMEN  (er. uid.)  DEO GRATIAS  C  ANICII MANLII SEVERINI BOEZIO ILLVSTRIS CONSVLIS EXPLICIT LIBER  ANICII. MANLII SEVERINI BOEZIO A. M. S. B.  N  V. C. ET ILL. I LL S.  N EXCONS EXCS  N ORD. PATRICII. (ΈΧC. —PATR.  om. G)  IN ISAGOGAS (YS-  EG)  PORPHYRII (I  pro  Y  N)  IDE. INTRODVCTIONES (-NE  E)  IN CATEGORIAS (KATH-  N)  A SE  (om. N)  TRANSLATAS. (-TĘ  E , IDE— TRANSL.  om. G)  EDITIONIS (EDΙCΤ-  E , AED-  N)  SCDĘ LIBER V (QVINTVS  N)  EXPLICIT  EGN, add. TIBI PAX. AMEN.  E ; QVINQVAE  (sic)  FIT OPTATVS HIC FINIS ISAGOGARV  R; subscriptione caret H, item e codd. Isagogen tantum a BOEZIO translatam continentibus ΓΛΣΦΊ’ (nisi quod in Φ recens quaedam est); post  traditionem  habent EXPLIC. LIB. HISAGOGARV PORPHIRII  Δ, EXPLICIT  Π.  gradatimfoliacontrahit.Videtur hæcnonminusdilatatio ne, contra iones foliorum honorare solem, quam homines genarum gestu, moru labiorum. No folumuero 'in plantis, quæ ueftigium habent uitæ, fed etiam in lapidibus aspicere licet, imitations, & participationem quandam luminum supernorum, quem ad modum helicis lapis radijsaureisso laresradio simitatur. lapis autem, qui uocatur cælioculus, uel solis oculus, figuram habet fimilēpu pillæ oculi, atqsex media pupillae micatradius. Lapis quoque selenitus, id est lunaris, figura lung corniculari similis, quadam sui mutatione lunarem fequitur motum. Lapis deinde helio selenus, id est solaris, lunarisóz imitatur quod ã modo congreffum folis, & lunæ, figuratcs colore. Sic diuinornm omnia plena funt, terrena quidem cælestium, cæleftia uero super cælestium proceditæ quilibetor d o rerum uso ad ultimum . Quæ enim super ordinem rerü colligū curin uno, hæc deinceps dilatan turindescendendo, ubi aliæ animæ subnuminibusalñs ordinantur. Deinde & animalia funt sol ana multa, uel ut leones, & galli, numinis cuiusdam solaris pro fua natura participes, unde mirum est, quantum inferiora in eodem ordine cedant superioribus, quamuis magnitudine, potentias non cedant hin eserunt gallum timeri am leone quam plurimum, & quafi col0i . cuius rei causam a matería, sensu ue assignare non possumus, sed solum ab ordinis supernicontemplatione. quoni amuide licet præsentia folaris uirtutis conuenitgalto magis quam leoni: quod& inde appare Marfil. Ficin. in Interprete  FICINO. Vem ad modum amatoresabipsa pulchritudine, quæcircasensumapparet, addiuinam paulatim pulchritudinem ratione progrediuntur: fic& sacerdotesantiqui,cùmconli, derarentinrebus naturalibus cognacionemquandam compassionemç; aliorumadalia &manifestorum aduiresoccultas,& omniainomnibus inuenirent, facrameorumscien quicquidest, pulchrumeft, & bonum eft.etiamsiindecorporissequaturin commodum. Corpus enim nonpars hominis, fedinftrumentum: instrumentiuero malumnonpertinetadutentem. Quomodo differantduohæc, fcilicetfecundumfeipfum,& quaipsum. Ietioneseius modi, fcilicet secundum feipsum, & quaipsum, etiam apud Aristotelemdistin, D guuntur. Quod enim secundum seipsum alicui competit , poteste i non competere primo. Quod autem qua ipsum conuenis præter id, quod conuenit, secundum se ipfum etiam primo competitei, atque adæquatur. Pulchrum igitur, fi commensurationis animæ causaest, atq;obhoc ipsum dicitur pulchrum, efficito, ut melius inanima dominetur deceriori, perficitąnos, & animæ deformitat empurgat: hac ipfa ratione bonum est, non quidem pe raccidens, fedquarationepul. chrum .fienim qua pulchrum est commensuratum, eft & bonum. Bonãenim estmensura cercéquá pulchrum est,exiftit& bonum. Similiter turpe, qua turpe,malum est. Nam qua curpe eft, informe est qui 1   quiagallus, quafiquibufdáhymnis applaudit furgentisoli, & quafiaduocat, quãdoexantipodum mediocæloadnosdeflectitur, & quando non nullisolaresangeliapparuerunt formiseiusmodi prædici, a r c f, cum ipfi i n s e fine form a essent, nobis tamen, qui formati sumus, occurrere formati. No nunquam tione. Quæ fecundumfefuntin corporea, non localicerpræsentia corporibus, adsunt eis,quotiescunqueuolunt, adillauergentia, atquedeclinantià, quatenusuidelicet naturaliteradea uergunt, arqueinclinantur. Sed enim cum nonadfint localia conditione corporibus, habitudine quadam eisadfunt. Quæ fecundum sesuntincorporea, certenonper substantiam, & peressentiam corporibusadsunt. Non enim corporibus cómifcentur ueruntamen ex ipsa inclinatione, quasimo mentouisquædam subfiftitinde comunicataiam propinquacorporibus. Ipsa namq inclinatio secundam quandam uim substituít corporibus iam propinquam. mæ, fecundữ corporafuntdiuisibiles. Non omne, quod agitinaliud appropinquatione, &ta &ufacit,quodfacit,fedetiam qupæropinquarido, & tangendo faciuntali quid fecunduma ccidens, nonutuntur propinquirate. Anima corporialligatur conuersione quadam adpassionesprouenien resacorpore. Rursum foluiturquatenusa corpore nihil patitur. Quod natura ligauit, hoc &ipsa naturasoluit. Rursusquod conciliauitanima, hoc & animadirimit. Naturaquidem corpusinanimadeuincit, animauerose ipsam in corpore.Quamobrem natura corpusab anima separaczanimauerose ipsam à corporesegregat,  saclia us modi . Qui 1 Proc. De Sacrif. & Magia.  ICOR bada mler: in: no.N enlos ur, but aliano compiz quider Locum siue causisadintelligibilianos ducentibus. FICINO INTERPRETE. De natura, e alligatione,o solutioneanime. Nimaquidemmediüquiddameftintereffentiam indiuiduam, arqueessentiamuera corpora A diuisibilem. Intellectusautem essentiaest,indiuiduafolum. Sed qualitates, materialesq for lael, ea ncense garia 1, fiu ucent oxd zateni XOM etiam dæmones nisisuntsolares leonina fronte quibuscum gallusoböceretur, repente disparuerunt. Quod quidemindeprocedit, semper quæineodem ordineconstitutainferiora funt, reuerentur superiora: quemadmodum plerişintuentes uirorum imagines diuinorum,hocipsoas. pe&uuererisolentturpe aliquidperpretare. Vt autem summatimdicam, aliaadreuolucionessolis correuoluuntur, ficutplantæ, quasdiximus: aliafiguramsolariumradiorumquodammodoimitan tur, ut palma, dactylus: aliaigneamsolis naturam, ut laurus: aliaaliudquiddam uideresanelicetpro prietates, quxcolligunturin sole, passimdistribucasinsequentib. insolariordineconstitutis, scilicet angelis, dæmonibus,animis, animalibus, plantisatque lapidibus. Quo circasacerdotijueterisautho resàrebusapparentibus superiorum uiriumcultumad in uenerunt, dum aliamiscerent, alia purificarent. Misceban t autem plura i n uicem, quia uidebant fimplicia non nullam habere numinis proprieratem, non tamen fingulatim, sufficientem ad numinis ilius ad uocationem. Quamobrem ipfa multorum comixtioneattrahebant supernos influxus: acßquodipfi componendo unumexmul tisconficiebant, assimilabantipfiuni, quod est super multa, constituebantæ statuas exmaterñismul tispermixtas: odores quoq compositos colligentes:arceinunum diuina symbola, reddentesísun um tale, qualediuinumexiftit secundum effentiam, comprehendens, uidelicet uires quam plurimas. Quorum quidem diuisiounamquamg debilitauit, mixtiouerorestituitin exemplarisideam. Non nunquam ueroherbauna, uellapisunus, addiuinum sufficitopus. Sufficicenim Cnebison, ideftcar duus, ad fubitam numinis alicuius aparacionem , ad custodiam uerò laurus. Raccinum, ideftgenus uirgultispinosum, cepa, squilla, corallus, adamas, laspis, fed adpræsagiumcortalpæ, adpurificatio. nem uerosulfur, &atos marina. Ergo sacerdotes permutuam rerum cognationem, compassionem'. conducebant inunum, per repugnantiam expellebant purificantes,cum oportebat, sulfure, atque asphalto, idestbitumine, aquaas per gentes marina, purificat enim sulfur quidem propterodorisa cumen, aquaueromarina propterigneamportionem, & animaliadrjsindeorum cultucongruaad hibebant, cxtera't similiter. Quamobrem abës, atoßsimilibus recipientes primum potentias demonum, cognouerunt, uideliceceasesse proximasrebus.actionibus naturalibus: atq; perhæcnatura lia, quibus propinquantin præsentiam conuocarunt. Deindeà dæmonibus adipfasdeorumuires actiones & processerunt, partimquidem docentibus dæmonibus addiscentes, partim uero industria propria interpretantes conueniencia symbola, inpropriam deorum intelligentiam ascendentes, ac deni q post habitis naturalibus rebus, actionibusque, ac magna ex parte dæmonibus in deorum feconfortium receperunt. PORPHYRIVS DE OCCASIONIBVS, De natura corporeorum, atque in corporeorum. Mnecorpuseftin loco, nullumuerocorum, quæfecundūsesuntin corporea, uelaliquid tale, estinloco. Quæ secundum sesuntincorporea, eoipso, quodpræstantiusestomni corpore, atqueloco, ubiquesunt, nondistanti quidem, sedindiuiduaquadam condi USCE inuss sdina labor Pt, imi adns aberi is,fip liol Sicdi liatiei ,unto 10,p Omnia MMM $   Omnia quodammodo suntin omnibus pro conditionecorum, quibusinfunt. On fimiliter omniainomnibus intelligimus, sed propriese habetadomniauniuscuíu sed sentia: intellectuquidem intelle&ualiter, inanimauero rationaliter: in plantis seminarie, in corporibus imaginariè: ineodem quod his omnibussuperiuseft, modoquodamfuper intellectuali, atquesuperessentiali essentiæ, aliatandem naturx supe rioris,aliaanimæ, aliaintele&ualis: uiuuntenim & ila: etfi nullum eorum, quæabiplisexi ftunt, uirameisfimilemsorciatur. aliaueropartim quidem fle&tunturadila, partimetiamnonflestuntur aliacandem folumde flectunturadgenituras, neqzinterimadse reflectuntur. per , educere. Anima quidé habet omnium rationes. Agit autē secundã eas, uel ab alio ad ex peditionemeiusmodi prouocata, uel ipfa fe ipfamintus conuertensadrationes, & cum abaliopro uocatur, tanquamadexternacommititintroducere sensus: cum uero ingredicurinseipsam, adintel ligentiasperuenit: necigitursensus extra imaginationem funt, necß,utdixeritaliquis, intelligence quatenus competunt animali Anima eft immortalis. Anima ef t essencia inextensa, immaterialis, immortalis, in'yita habenteaseipsauiuere, arosese fimiliterpossidente. Passio animæ, atque corporisestlonge diuersa. Liudestpati corpora, aliudincorporea. passioenim corporụm cum transmutatione cötingit passiouero animęest accommodatio quædam, & affe&ioadrem ipfam, & a&ioquædã, nullo modo fimilis  calefationi, frigefactionią corporum, quamobrem sipassiocorporū, cũtrans mutatione fit,dicendum eft omnia incorporea esse passionis expertia. Quæ enim a materia, corporf busipfeparatasuntadu, eadempermanent: quæueromateriæ corporibus propinquant, ipsaqui d e m n o n sunt passiua, sed illa, in quibus hæc apparent, patiuntur, quád o enim animal s e n d t, anima quidam fimilis esseuideturharmoniæ cuidam separatæ ex seipsam chordas mouenti cötemperatas Corpus aữrsimileharmonię, quæ inseparabilisinestchordis, fed causa mouendieffeuideturanimal propter eaquod fit animatū, quod quidem simile eft mufico, exeoquodfitcõcinnum, corporaueros quæ per passione sensualem pulsantur, fimilia contemperatis chordis apparent. Etenim ibinon harmonica quid é separata patitur, fed chorda . & mouet f a n e musicus p ipsam, quæ sibi i n eft, harmoniā: newtamen chordaratione musica moueretur etiam, fiuelletmusicus, nifi harmonia ipsaiddixit. nataestquemadmodum corpora, sed fecundum nudam ad corporapriuationem. Quãobrenihil prohibetinterila, alia quidemesse essentia, alia uerò non essentia: & aliarursusante corpora, alia ueròunacumcorporibus: itemalia a corporibus separata, alia uerò non separata. Præter eaaliasecun dum sesubfiftentia, aliaueroalijs, utsintindigentia: alia deniqa&tionibus, uitisfexfemobilibuse adem, sedaliauitis, &qualibu sa&tionibus quodammodo permutata,nempefecundumnegatione corum, quæ ipfanon sunt, non secundum assistentiameorum, quæ sunt, appellatur. Pussiones materie prime assignat esimiliter à Plotino. Ateriae propria apudantiquos hæc funtincorporeaquidem, diuerfaenimeftàcorporibus, prætereauitæexpers, negintelle&tus, neckanima, neque aliquid fecundum seuiuens. Itêin, formis, permutabilis, infinita, impotens. Quapropternec ens, feduerum nõens, imagomol lisapparens, quoniãqd primo estinmole,eftipfum impotens, itéappetitio subsistentia & ftansno instacupræterea fempinse apparens, tum paruum, rum magnữ,tūminus, tūmagis, tūdeficiens, cī excedens, quoduefiatfemp, maneatuerònunquã, nec tamen aufugere potens,quippecútotius entisfit defectus. Quamobrēquicqd pmittat, mentitur: aciimagnūappareant, interimeuadirparo uũ, quafienimludus quid ãeftinnõensaufugiés, Fugaenimeius non fit loco, sed dūabencedeficis, Quamobren. in infummiseftunitas cumuirtute: ininfimis multitudo cum debilitate. N corporeæ fubftantiædescendentesquidemdiju dicentur, atqßinsingula potentiæ defe&umul tiplicantur, adscendentes autemutuntur, atæ fimul recurrunt inunumcopia poteftatis. Quegenerant, partimconuertuntur ad genita, partimminimè. Mne, quodsuaessentiagenerat, aliquid sed eterius generat, atqomne genitü adgenitorina O curaconuertitur, eorumuero, quægenerant, alia quidem nullo modo conuertuntur ad genitas Sensus, imaginatio, memoria intelligentia. Emorianonest imaginationü conferuatio quædam, ámdtāmpastwintorspobaristale vias spoluéwata, sed eft ipfas propositiones, fiue productiones ina&um corū, quæ medicatus eft animusnu: nec rurfusabsq inftrumentorum sensualium passione sunt senfus, sic & intelligentiæ non absque imaginatione, nisianalogaconditiofit: quemadmodum figura consequens quiddam est ad animal sensuale, sic phantasma ali quidconsequensadintelligentiam anima intelligentis in animali. 1N Despeciebusuite. On solumincorporib æquiuoca conditio est, sed ipsa etiãm vita multipliciter prædicatur eftenim uita plantæ, animalisalia: aliarursus intellectualis Alia IN N>M Dedifferentijs incorporeorum. Pfain corpore orī appellatio non secundum communicatē unius, eiusdemiş generis, sic cognomi.   Quam obremquæineasunt imagines, in suntindeteriorirursus imagine, quem admodum in speculo id quodalibilitum eft, apparetalibi, & ipsum speculum plenumese uidetur, nihilqz habet, dum om nia uidetur habere. funt, aut non funt, quappter nulla corūpaticur: quodempatienseft, non oportetitafe habere, fed efetale, ütalterariqueat, atointeriminqualitatibus eorī, quae ingrediuntur, ficásinferuntpas fionem. Eiñamos quodinest alteratio non aqualibec accidit, nexigicur imaceriapacítur. Nāsecun dum fe ipfam qualitatis estexpers, nesprorsusformx, quae funtinca, ingrediences; uicissim sexe, untes, sed passio fic circa compofitum, & uniuselsein compositione confiftit, hocenim incontrarijs uiribus& qualitatib ingredientiữz inferentiumą passione perfeuerare in fubfiftendo uidetur. Quá obre mea quoru um i uere est ab externis, ne casciplis, nimirum & uiuere, & non uiuere pat i possunt. Sed ea, quorum esse in u i t a consistit, passionis experte, necessarium est permanere secunduum itam, quemadmodūm uitä uacuitati conuenit & non pac, quarenus & uitæuacuicas. Icaq ficut permutari, acpati composito ex materia, forma côtingit, ideftcorpori, neqstamenidmateriæ accidic, ficujuere, areinterire, patiofecundumhocipfum incompofitum exanima, corporeæperspicitur, neqstamé animæidcontingit, quoniam animanoneft aliquidexuita, & non uita conflatum, sed uica solum constatquippe, cum fimplex essentia fit, ipfaqsanimæ ratio fit natura ipfa se mouens. Omnis intellectuseft omniformis. Ntelle&ualis esentia fic in partibuseftconfimilis, ut & in particulari quolibet intelle&u, uniuer soosintelle&u fint entia: fed intele&u quidem uniuerfali endaeciam particularia uniuersalifint ratione: in particularia ut čincellectu eciāmi uniuersalia fimulacos particularias intconditione qua dam particulari: Omnisuitain corporeaquocunq; mütetur,permanetimmortalis. Nuicisin corpore ispces susmanentibus prioribus in se firmisefficiuntur, dūnihilfuiõdunt, neos pmutantad substantiâ inferiori bexhibendam, quapptern ed quæ inde subfiftūccũaliquagdi tioneueltráf mutatione subsistûr, nechoc qdēefficitur, ficutgeneratiointeritus, gmutationisą particeps, ingéciaigitur, & incorruptibilia funtaroingčitæ, incorrupcx'ssecīdū hoc ipfumeffecta. Quomodo intelligatur quod eft fuperius intelectus uigilantiãmultadicatur, fed perfomnū ipsum cognitioeius, peritia'oshabetur, fimilinãque fimile cognosci folet, quoniã omnis cognitio, assimilatio quæ dá ef t ad hoc ipsum, quod cognoscitur ens uel ut falsam concipimus passionecă, ingentem uidelicet ili, quidigreditur extrase ipsum, ipfeenimquisque quemadmodum existenter deftuere, atokperse ipfum poteftreduciad ipfum non ens ente superius, ficabence, sepsipfodigres diensiam traducitur ad non ens, quod entisipfius est casusatqzruinia. Substantia in corpore aest ubi cunque uult. Atura corpori snihil impedit, quinquod fecundum fe incorporeum eft, ficubicung, & quò modocunque. Sicuc enim corpori incomprehensibile est, quod molis eft expers, nihilą adip  Porphyr de Occasionib.  Quidpatiatur, quidnon. Afsiones circa id funt omnes, circaqd accidit & interitus.Vía enim ad interitãeft admissio passionis, acohuius est interirecuius  eft paci. In cerireaūc in corpore ūnullű, sed quædã interilaaur Anima quia per effentiam eft uita, non moritur. yIrca essentiam, cuius efe confiftic in uita, & cuius passione suit a quædã funt, nimirum& morg in quali aliqua uita uersatur, non in priuatione uitæ fimul tota. Quoniamneqs passio, seu uita est omnino, illic ad non uiuendum, iplaqz illic accidit orbitas. Sillo quod eft mente superius, per intelligentiam quidem multa dicuntur: considerantur D temuacuitatequadă intelligentiæ intelligentiam eliore; quem admodum dedormienteper Non ens aut eft fuperiusenteut Deus, aüt inferius cum materia. Vod non ensdicitur, auciplínos machinam urab ipso entealiquando separaci, aut super intelligimus,dum ens possidemus qua propter fi separamur ab ente, ens ipsum non super inetelligimus non ens super ens ipsum, sed iamnon N sumpertiner: sicin corporeo ipsum, quod molle diftenditur, non fic obstaculum & quafi non acec, neque enim quod incorporeum eft locali conditione quo uulc discurrit locus enim cum mole simul exiftit, neq srurfus corporum limitibus coercecur, quod enim quomodo cūqiiacetinmole, in angustum cohiberi poteft, & conditione locali transmutationem agere, quod aucemestamole,mag nitudine prorsusexemptū, hocabójs, quæ funt inmole contineri non poteft, a motuş i localiper manet liberum. Igitur qualiquadam, certaque dispositione reperituribi, ubi cunque disponitur, loco inter eatum ubique, tum nusquam simul exiftens, qua propter quali quadam certaque affectione uel super cælum, uel in parte mundi quadam apprehenditur: quando uero in aliqua mundi pàřectenetur, non oculis quidem aspicitur, sed ex operibus eius præsentia sua fit hominibus manifestas Substantia in corpore inullo corpore cohibetur, sed produci tescamin corpore perquamse corpori applicát. Vodeft in corpóreū, li quando in corporecomprehendatur, nonopuseftutitaconcludatur, Q quem admodum inparcoferæ clauduntur, nullum namque corpus poteft ipsumficinfeco hibere, nequeficutüterliquoremaliquem trahit, & cohibet, autfacum, fed oportetipsum ia nd C TO MmM. fubftituere cavite   Vniaersales cause non conuertuntura defectus, fed eosadfe conuertunt. V l l a substantiarum, quæ universæ sunt, a t æ perfectæ ad suam conuertitur geni cură. Omnes auté perfectæ subftantiæadgenerantiarediguntur, & id quidem ad corpus uso mundanum. Quomodo differenterestubiq; DeusintelleĀus,animas Euseftubiq, quianusquam intellectus est:ubiq etiã,quianufquam anima deníqueubiqet EX PORPHYRIO DE AB ftinentia animalium quinetiam cognoscitipsum, quod in feest, naturaliterperpetuo uigilans, atque fom/ num, quo hic opprimitur, deprehendit. Cui non sane educationem, nutritionemque trademus consentancã, tūhuius locinaturæ, tum suiipsiuscognitioni conuenientem, Beatitudo non eft diuinorum cognitio, fed uita diuina. Eata nobis contemplatio non est uerborum accumulatio, disciplinarumque multitudo, quemad Bmodum aliquis forteputauerit: neque enim iracomponitur, neque pro quantitate rationūac  quare perfectio quidê aprioribus fecunda fubftituit cõferuanseade ad priora conversa, defectusautempri oraetiam ad pofteriora defledit, eficitqzut hæc ipfa diliganta superioreinterim differentia Marsil. FICINO (si veda) in substitucreuiresab ipsa in se ipsum unione extramanantes, quibus descendens corporiaplícatur, copula itaßeius ad corpus per ineffabilem quandam suiipsiu simpletur extensioné, quam obrénõ aliud adem ultūipfuamlligat, fed ipfum certe se ipfum, nec igiturefoluit ipsum corpus quãdofrangitur autinterit,fèdipsum pociusfemetipsumcnodat, quando a familiari erga subiectâ affectione diuercio Quod quidemcūsit perfectum ad animā estreda&um, animam in quã intellectualem, ideoas círculouoluitur, anima uero mundi ad intellectum attollitur, intelle&us auteerigitur ad principio Omnia itaque perueniunt ad hoc ipsum ab extremis exordientia, quatenus facultas suppecitunicuic perueniūt inquam eleuatione ad primū, illucusą perducta: quæ quidēautex propinquo, autex. lon ginquoeficifolet. Hæcitas non solum appetere Deum dicipossunt, sedetiam prouiribusafequizin substancijsuero particularibus, et ad multa labipotentibus in eft procliuitas deflectēs adgenicuras: ideoiginhis deli&um dicitur accidissezinhis infidelitas eft damnata. Has igitur contaminatipla materia, propter ea quod ad hác defledipossint, cũtameninterea ad diuinūs e ualeant convertisse: quoniã eft & nufquā: fed Deus quidem ubique& nusquãeftcorum omnium, quæ funt poft ipsum. Sui uerò ipfius eft folum, ficutest, atqueuult. Intellectus autem in Deo quidem ubica est, fed ineis, quæ funt poftipsum, existirnusqua pariter, et ubique anima tandem in incelecttu, acor Deo, fimiliter eft ubique, incorporeuero ubique est simul et nusquam. Corpus aut et inanima, et in intellectu, et in Deo, omnia pro se et o cūentia, tum non entia ex Deo sunt, et ideonec tamen ipse Deus eft,cum entia,tum nonentia, nec existit in eis. Si enim esset duntaxat ubiq ipfe quidem omnia, et in omnibus esset. A  quoniam est, et nusquam, omnia sane per ipsum fi unc fiunt a ž r ursus in ipso, quiam ipse existit ubios: diversarursusab ipso, quoniam ipse nusqua. Similiter intelectu subicexistens, atqs nus quam, causa est animaram, animasæ sequentium: neq s ipse anima est, neg quæ post animam, neque in cis existic: quoniam uide licet non folum ubiqueest, eorumque, quæ funt post ipsum, sed et nusquam. Rursus anima neque corpu seft, neque est in corpore, fedcausacorporis,quoniam dum ubiq eftper corpussimuleft, &incorporenus quam, processus denique universi in illud definit, quodnec ubiqfi mui, nequenusquamesseualet, sed alternis quibus damuicibus utriusque fit particeps. Giustino (filosofo) filosofo e martire cristiano Lingua Segui Nota disambigua Disambiguazione – "Giustino martire" rimanda qui. Se stai cercando altri martiri con questo nome, vedi San Giustino. San Giustino Justin filozof. jpg Icona russa di Giustino   Padre della Chiesa e martire    Nascita Flavia Neapolis, MorteRoma Venerato daTutte le Chiese che ammettono il culto dei santi Santuario principaleCollegiata di San Silvestro Papa, Fabrica di Roma (VT) Ricorrenza Attributipalma, libro Patrono difilosofi Giustino, conosciuto come Giustino martire o Giustino filosofo (Flavia Neapolis, 100 – Roma, 163/167), è stato un martire cristiano, filosofo e apologeta di lingua greca e latina, autore del Dialogo con Trifone, della Prima apologia dei cristiani e della Seconda apologia dei cristiani. A lui dobbiamo anche la più antica descrizione del rito eucaristico.   Iustini Philosophi et martyris Opera, Fu uno dei primi filosofi cristiani, e venerato come santo e Padre della Chiesa dai cattolici e dagli ortodossi. La memoria si celebra il 1º giugno.   La Chiesa Cattolica lo considera anche santo patronodei filosofi insieme a Caterina d'Alessandria, pur non essendo nessuno dei due nel novero dei Dottori della Chiesa. Giustino, che spesso si dichiarava in verità samaritano, visto il suo nome e il nome di suo padre - Bacheio - sembra piuttosto di origini latine o greche. La sua famiglia probabilmente si era stabilita da poco in Palestina, al seguito degli eserciti romani che qualche anno prima avevano sconfitto gli Ebrei e distrutto il Tempio di Gerusalemme.   Come riferisce Giustino stesso nel Dialogo con Trifone, venne educato nel paganesimo ed ebbe un'ottima educazione che lo portò ad approfondire i problemi che gli stavano più a cuore, quelli riguardanti la filosofia. Racconta che la sua smania di verità lo portò a frequentare molte scuole filosofiche. Presso gli stoicinon trovò giovamento, in quanto il problema di Dio, per questa filosofia, non era essenziale. Poi frequentò la scuola peripatetica, ma anche presso questi filosofi non trovò quanto cercava. Si recò presso un filosofo pitagorico che lo sollecitò dunque ad approfondire le arti della musica, dell'astronomia e della geometria. Ma Giustino, troppo concentrato nel voler raggiungere la verità e la "conoscenza di Dio", reputava tempo sprecato il soffermarsi su tali materie.   Approdo al platonismo Da ultimo frequentò una scuola platonica; un maestro di questa filosofia era da poco giunto nel suo paese e presso questa corrente filosofica trovò quanto credeva di cercare. «Le conoscenze delle realtà incorporee e la contemplazione delle Idee eccitava la mia mente...», dice Giustino. Si convinse che questo lo avrebbe portato presto alla visione di Dio, che considerava essere lo scopo della filosofia. Decise di ritirarsi in solitudine lontano dalla città, ma in questo luogo appartato, secondo quanto racconta nel prologo del Dialogo con Trifone, incontra un anziano, con cui inizia un serrato dialogo, incentrato su Dio e su cosa fare della propria vita. Dopo aver dichiarato all'anziano la sua idea di Dio Ciò che è sempre uguale a sé stesso e che è causa di esistenza per tutte le altre realtà, questo è Dio», l'anziano lo porta a ragionare su di un aspetto che forse a Giustino era sfuggito: come possono i filosofi elaborare da soli un pensiero corretto su Dio se non l'hanno né visto né udito? E porta il giovane a meditare sulle persone considerate "gradite a Dio" e dallo stesso "illuminate", i Profeti, che nel tempo avevano parlato di Dio e profetizzato in Suo nome, in particolare la "venuta del Figlio nel mondo" e la possibilità attraverso di Lui di avere una "vera conoscenza del divino. Conversione al cristianesimo Dopo questa esperienza, Giustino si converte al Cristianesimo e per tutto il resto della sua vita educherà i discepoli, utilizzando gli stessi schemi usati dalle altre scuole filosofiche. Oltre a questo incontro, che fu decisivo per la sua conversione, Giustino indica anche un altro fatto che lo rinfrancava nella fede: «Infatti io stesso, che mi ritenevo soddisfatto delle dottrine di Platone, sentendo che i cristiani erano accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti ritenuti terribili, mi convincevo che era impossibile che essi vivessero nel vizio e nella concupiscenza. Giustino viaggia molto, andò a Roma una prima volta e quando ritornò vi aprì una scuola filosofica a impronta cristiana, i suoi insegnamenti insistevano molto sui fondamenti razionali della fede cristiana. Questo approccio, molto diverso da quelli tradizionali, suscitò numerose controversie sia con gli stessi cristiani sia con alcuni filosofi, specialmente con Crescenzio il cinico.   La sua fede lo porterà a subire una morte violenta. Fu condannato a morte da Giunio Rustico che era prefetto di Roma e amico dell'imperatore filosofo ANTONINO (si veda), con queste parole: Coloro che si sono rifiutati di sacrificare agli dèi e di sottomettersi all'editto dell'imperatore, siano flagellati e condotti al supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi.»  Di questo processo esiste ancora il verbale: Martyrium SS. Justini et sociorum VI. Giustino venne decapitato assieme a sei dei suoi discepoli, Caritone e sua sorella Carito, Evelpisto di Cappadocia, Gerace di Frigia, schiavo della corte imperiale, Peone e Liberiano. Le sue reliquie furono traslate da Roma, e si trovano attualmente sotto l'altare maggiore della Collegiata di San Silvestro Papa a Fabrica di Roma, in provincia di Viterbo. Giustino fu il primo di una serie di autori cristiani che intravide in Eraclito, Socrate, Platone e negli stoicidegli autori precristiani, precursori del Cristo e da esso ispirati. Anche lo Spirito Santo è identificato con Dio stesso. A suo avviso, la nozione trinitaria fu introdotta già dal platonismo. A Giustino si deve la più antica descrizione della liturgia eucaristica. Egli fu il primo ad utilizzare la terminologia filosofica nel pensiero cristiano ed a tentare di conciliare fede e ragione. Si schierò duramente contro la religione pagana ed i suoi miti mentre privilegiò l'incontro con il pensiero filosofico. La figura di Giustino attrasse l'attenzione di Lev Tolstojil quale dedicò al santo cristiano una breve agiografia, Vita e passione di Giustino filosofo martire. Saggi: Dialogo con Trifone, Paoline, Milano Le due apologie, Paoline, Milano Opere Parisiis, apud Carolum Morellum typographum regium, via Iacobaea ad insigne Fontis Il Dialogo con Trifone, la Prima apologia dei cristiani e la Seconda apologia dei cristiani, ci sono pervenute in un manoscritto conservato a Parigi. La Prima apologia dei cristianinIo, Giustino, di Prisco, figlio di Baccheio, nativi di Flavia Neapoli, città della Siria di Palestina, ho composto questo discorso e questa supplica, in difesa degli uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io che sono uno di loro. (Apologia Prima) La Prima apologia dei cristiani è indirizzata all'imperatore Antonino Pio e al Senato romano. In essa compare un tema che sarà ampiamente sviluppato dall'apologetica cristiana, cioè la critica della prassi diffusa presso i tribunali romani, per la quale il solo fatto di appartenere alla religione cristiana era motivo sufficiente di condanna.   Giustino inoltre polemizza con i pagani riguardo ad alcune contraddizioni interne alla società romana, per esempio fa notare come, mentre i cristiani sono condannati a morte perché ritenuti atei, vari filosofi greci e latini sostengono apertamente l'ateismo senza conseguenze. Interessante, poi, è il fatto che Giustino citi abbondantemente vari brani dei vangeli sinottici per esporre le dottrine cristiane; ancor più notevoli sono i tentativi dell'apologeta per convincere i pagani della verità del Cristianesimo attraverso le citazioni di autori classici sia di filosofia come Socrate e Platone che di mitologia come Omero e la Sibilla che vengono accostati a brani dei vangeli o dell'Antico Testamento. Sia la Sibilla sia Istaspe profetarono la distruzione, attraverso il fuoco, di ciò che è corruttibile.   I filosofi chiamati Stoici insegnano che anche Dio stesso si dissolve nel fuoco, ed affermano che il mondo, dopo una trasformazione, risorgerà. Se dunque noi sosteniamo alcune teorie simili ai poeti ed ai filosofi da voi onorati perché siamo ingiustamente odiati più di tutti? Quando diciamo che tutto è stato ordinato e prodotto da Dio, sembreremo sostenere una dottrina di Platone; quando parliamo di distruzione nel fuoco, quella degli Stoici; quando diciamo che le anime degli iniqui sono punitemantenendo la sensibilità anche dopo la morte, e che le anime dei buoni, liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo sostenere le stesse teorie di poeti e di filosofi. Quando noi diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio, Gesù Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus.   Voi sapete infatti di quanti figli di Zeus parlino gli scrittori onorati da voi: Ermete, il Logos; Asclepio, che ascese al cielo; Dioniso, che fu dilaniato; Eracle, che si gettò nel fuoco e Bellerofonte, che di tra gli uomini ascese con il cavallo Pegaso.   Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato generato da Dio come Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è comune alla vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero di Zeus. Se poi qualcuno ci rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso anche questo è comune ai figli di Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi, furono soggetti a sofferenze. Se poi diciamo che è stato generato da una vergine, anche questo sia per voi un elemento comune con Perseo. Quando affermiamo che Egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e che ha resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo concordare con le azioni che la tradizione attribuisce ad Asclepio (Apologia Prima) L'opera si conclude con una petizione che contiene una lettera dell'imperatore Adriano, la quale serve a Giustino per mostrare come anche un'autorità imperiale era del parere di giudicare i cristiani in base alle loro azioni e non in base a dei pregiudizi; ed una lettera dell'Imperatore Marco Aurelio e del "Miracolo della pioggia" durante le guerre marcomanniche. La filosofia in effetti è il più grande dei beni e il più prezioso agli occhi di Dio, l'unico che a lui ci conduce e a lui ci unisce, e sono davvero uomini di Dio coloro che han volto l'animo alla filosofia Dialogo con Trifone) Oltre alle già citate Prima apologia dei cristiani (Ἀπολογία πρώτη ὑπὲρ Χριστιανῶν πρὸς Ἀντωνῖνον τὸν Εὐσεβῆ; Apologia prima pro Christianis ad Antoninum Pium) e Seconda apologia dei cristiani (Ἀπολογία δευτέρα ὑπὲρ τῶν Χριστιανῶν πρὸς τὴν Ρωμαίων σύγκλητον, Apologia secunda pro Christianis AD SENATVM ROMANVM), Giustino scrive il Dialogo con Trifone (Πρὸς τρυφῶνα Ἰουδαῖον διάλογος, Cum Tryphone Judueo Dialogus), opera dedicata a un certo Marco Pompeo. Il tema è il confronto con il giudaismo, con il quale i cristiani avevano in comune l'Antico Testamento, un terreno utile per un dialogo. Si tratta di un dibattito che si svolge ad Efeso nell'arco di due giorni e vede protagonisti Giustino e Trifone, nel quale è stata individuata da alcuni storici la personalità di un rabbino realmente esistito. Lo scopo di questo dialogo è mostrare la verità del cristianesimo, rispondendo alle principali obiezioni mosse dagli ambienti giudaici. In particolare, Giustino vuole dimostrare che il culto di Gesù non mette in discussione il monoteismo e che le profezie descritte nell'Antico Testamento si siano avverate con l'avvento di Cristo. Il dialogo assume toni sempre rispettosi e amichevoli e non si conclude, com'era consuetudine per gli scritti cristiani, con la richiesta da parte del giudeo del battesimo. A tal proposito, alcuni studiosi si sono chiesti se effettivamente le motivazioni portate avanti da Giustino in questo dialogo fossero valide a convertire un giudeo. Sembra piuttosto verosimile, invece, che quest'opera sia una risposta di Giustino ai dubbi che i cristiani stessi del tempo nutrivano verso la loro fede.   L'opera presenta anche un prologo, in cui Giustino racconta di un suo incontro con un vecchio saggio che lo introdusse al cristianesimo. Giustino lo interroga tra l'altro sulla dottrina, da lui professata, della trasmigrazione delle anime anche dentro corpi animali, esposta nel Timeo platonico. L'interlocutore gli risponde che una tale possibilità non avrebbe senso, perché non darebbe nessuna reminiscenza delle colpe passate e quindi neppure la capacità di pentirsi. In secondo luogo, il vegliardo passa a confutare la dottrina dell'immortalità dell'anima. Bobichon, "Filiation divine du Christ et filiation divine des chrétiens dans les écrits de Justin Martyr" in P. de Navascués Benlloch, Crespo Losada, A. Sáez Gutiérrez (dir.), Filiación. Cultura pagana, religión de Israel, orígenes del cristianismo, vol. III, Madrid La reliquia di San Giustino Martire ( PDF ), su parrocchiafabrica.it. ^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR saggi, G. Giustino Martire: il primo cristiano platonico : con in appendice "Atti del martirio di San Giustino", Pubblicazioni del Centro di Ricerche di Metafisica, Platonismo e filosofia patristica, n. 7, Milano, Vita e pensiero Tolstoj, «Vita e passione di Giustino filosofo martire». In: Lev Tolstòj, Tutti i racconti, a cura di Igor Sibaldi, Milano: Mondadori, Collana I Meridiani Bobichon, "Œuvres de Justin Martyr : Le manuscrit de Londres (Musei Britannici) apographon du manuscrit de Paris (Parisinus Graecus), Scriptorium Barbaro, Apologia seconda di S. Giustino filosofo e martire in favor de' Cristiani al Senato romano traduzione dal greco nell'italiano pubblicata in occasione che mette fine alla sua quaresimale predicazione Treviso, Tipografia Trento Essendo manifesto da tutte l'opere di san Giustino, ch'egli ben sapeva e confessava l'equalità del Verbo col Padre. Lettera di Adriano. Lettera di Marco Aurelio al Senato. ^ Cit. in Jacques Liébaert, Michel Spanneut, Antonio Zani, Introduzione generale allo studio dei Padri della Chiesa, Queriniana, Brescia Visonà, introduzione a Saint Justin, Dialogo con Trifone, Paoline Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR Rizzoli.Saggi, Milano, BUR Rizzoli G., Giustino Martire: il primo cristiano platonico, Vita e Pensiero, Niccoli, GIUSTINO Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Bellinzoni, The Sayings of Jesus in the Writings of Justin Martyr, Leiden, Brill, Bobichon, Dialogue avec Tryphon, édition critique. Editions universitaires de Fribourg, Introduction, Texte grec, Traduction Commentaires, Appendices, Indices Étienne Gilson, La Philosophie au Moyen Âge. Des origines patristiques a la fin du XIV siècle, Payot, Paris La filosofia nel Medioevo. La Nuova Italia, Scandicci Quasten. Patrologia, Marietti, Giustino, santo, su Treccani.it – Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giustino, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giustino, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Giustino Giustino su open MLOL, Horizons Unlimited Opere di Giustino, su Open Library, Internet Archive.Audiolibri di Giustino Giustino Giustino su LibriVox. Giustino, su Goodreads. Giustino, in Catholic Encyclopedia Appleton Giustino, su Santi, beati e testimoni, santiebeati Apologia Prima, su monastero virtuale Apologia Seconda, su monasterovirtuale.it. URL Santi Caritone e compagni, discepoli di san Giustino, in Santi, beati e testimoni Enciclopedia dei santi, santie beati. Catechesi su vatican di papa Benedetto su Giustino tenuta durante l'udienza generale Opera Omnia dal Migne Patrologia Græeca con indici analitici e traduzioni su documenta catholica omnia. eu.  Biografie Cristianesimo   Portale Filosofia Patristica studio dei Padri della Chiesa  Taziano il Siro teologo e filosofo siro  Filosofia cristiana. Giuseppe Girgenti. Girgenti. Keywords: la parola che non s’incatena, Giustino martire, la traduzione di Boezio delle Categorie di Porfirio, traduzione di Marsilio Ficino delle sentenze sugl’intelligibili di Porfirio, henologia platonica, categoria, prediccamento, Agostino, Boezio, predicare, predicato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girgenti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Girotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della curva – la filosofia nella storia d’Italia – il caso Gentile – filosofia veneta – scuoa d’Adria. filosofia italiana – Luigi Speranza (Adria). Filosofo adriase. Filosofo veneto Filosofo Italiano. Adria, Rovigo, Veneto. Grice: “I like Girotti; for one, he has explored the idea of ‘beauty,’ which Sibley should, but did not!” Si laurea a Padova, sotto SANTINELLO (si veda) e BERTI (si veda). Pubblica Filosofia (La Scuola, Brescia). Pubblica: “Gouhier e la sua storia storica della filosofia” (Unipress, Padova). “Comunicazione filosofica” “Società Filosofica Italiana.” Altre saggi: “Aristotele, dal platonismo all’autonomi” (Polaris, Faenza); “Modelli di razionalità nella filosofia”, Sapere, Padova; Discorso sui metodi, Pensa, Lecce; Medioevo vs oggi: tra tabula rasa e innatismo, Sapere, Padova; Riforma Gelmini e filosofia Sapere, Padova; Essere e volere, Pensa multimedia, Lecce; Siamo completamente liberi di volere ciò che vogliamo?, Il Giardino dei Pensieri, Bologna); Bellezza e responsabilità, Diogene Multimedia, Bologna; Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia, Bologna; GENTILE; Diogene Multimedia, Bologna); “Il fico proibito dell’Eden e la giustificazione del male, Diogene Bologna; Un viaggio intorno all’io: Da Atene a Delfi dialogando, Diogene, Bologna; Sul permesso di morire, Diogene Bologna; Comunità di ricerca, Gouhier in Enciclopedia Filosofica Bompiani,  La collana si chiama Briciole di Filosofia “una storia storica che si fermi all’esibizione dei dati diventa semplice una ‘cronaca’; infatti, nel momento in cui si espone la filosofia di Grice, per poter abbracciare l'oggettività si dovrebbe rimanere all’interno di un'asettica descrizione, quella che G. definisce como “fenomenologia dello spirito metafisico. G. distingue la fenomenologia come metodo e lo spirito metafisico come oggetto. Seguendo il metodo della fenomenologia, il filosofo-storiografo sarebbe invitato a fermarsi alla lettura del dato per descrivere ciò che esso mostra. Seguendo “lo spirito metafisico”, il filosofo- storiografo ritroverebbe l'oggetto o topico della sua ricerca, cioè il fatto spirituale.  È su questo fatto spirituale che G. refina Gouhier in quanto trova che Gouhier, quando ha messo le vesti dello storico della storia storica della filosofia, sia scivolato in una loro descrizione bergsoniana, ammessa anche da Gouhier. Cf. Grice on the longitudinal history of philosophy. “We should treat those who are dead and great as if they were great and living – it’s a matter of introjecting into his shoes, or sandals!” -- “La distillazione filosofica”  GENTILE nasce a Castelvetrano, provincia di Trapani, ottavo di dieci fratelli, due dei quali erano già morti quando egli vide la luce. Suo padre, che si chiamava anche lui Giovanni, era farmacista; sua madre, Teresa Curti, maestra elementare.  Da quel poco, o non molto, di autobiografico che, sempre restio alla confidenza e all'effusione dell'animo, pur si deduce dagli scritti e, in particolare, dai carteggi con i suoi maestri pisani,  Jaja ed Ancona, risulta che il rapporto con i genitori fu intenso, nutrito di forti affetti; sebbene, per altro verso, travagliato, a causa soprattutto, oltre che della morte del fratello Gaetano, delle disavventure professionali del padre. Le quali derivarono dal forte e alquanto anarchico convincimento di non dover sottostare, nella gestione della farmacia di cui era proprietario e titolare, alle nuove regole introdotte dalla legge sanitaria emanata dal governo di F. Crispi; e dalla sua decisione di chiudere perciò la farmacia, che si trovava a Campobello, e ritirarsi con la famiglia nella vicina Castelvetrano, quindi di riaprirla tornando da solo là dove quella si trovava e subendo un nuovo processo per il reiterato suo rifiuto di sottostare alle nuove regole.  È probabile che nell'animo sensibile, e più impressionabile forse di quanto il G. fosse disposto ad ammettere, del giovinetto che intanto attendeva agli studi scolastici, si formassero, nei confronti della terra siciliana, ossia di un luogo così fortemente segnato da dolori e umiliazioni, sentimenti contrastanti. Non che per le sofferenze che involontariamente aveva inflitto al padre, egli prendesse allora a odiare, o anche soltanto a disistimare, il siciliano Crispi, al quale sempre invece guardò come a un grande personaggio, l'unico degno di rappresentare sul serio, nella decadente Italia di fine secolo, lo spirito autentico del Risorgimento, nelle cui battaglie era stato protagonista.  Ma nei confronti della piccola, e pur amata, patria siciliana, i suoi sentimenti furono in effetti misti; e abbastanza presto si sublimarono, assumendo forma intellettuale, in quelli che, se lo si legge con attenzione, si colgono al fondo del libro che, quando era professore a Pisa e insegnava dalla cattedra che era stata del suo maestro Jaja, egli dedicò a Il tramonto della cultura siciliana (Bologna). Libro singolare, in effetti; che, riboccante di passione e di affetti, concerne un "tramonto" atteso e auspicato di "cose" che, profondamente radicate nella storia e nelle tradizioni dell'isola, meritavano, a suo giudizio, di "tramontare" per sempre risolvendosi in assai più ampio e comprensivo orizzonte di pensieri e di cultura. Nella Sicilia "moderna", con poche eccezioni, il G. non coglieva infatti se non materialismo, illuminismo astratto, anticlericalismo estrinseco, e niente romanticismo, niente idealismo, nessun serio sentimento della vita vissuta nel segno di più alte idealità. E con questi "caratteri" spiegava le difficoltà che l'isola aveva opposto al Risorgimento nazionale e, quindi, alla vera cultura idealistica. Quando perciò, divenuto nel 1906 professore di storia della filosofia nell'Università di Palermo, il G. dette inizio all'insegnamento che doveva condurlo alla prima sistemazione del suo pensiero nell'idealismo attuale, c'era nel suo impegno filosofico qualcosa di missionario, quasi che nel fondo di sé sentisse di operare in partibus infidelium e il suo compito consistesse nel riscattare nel suo idealismo gli assai diversi principî ai quali la Sicilia era rimasta ferma.  Nell'isola il G. non rimase se non il tempo necessario al conseguimento dei primi traguardi scolastici; e quando, finalmente, ottenuta, nel 1893, un anno prima della naturale scadenza, la licenza liceale presso il liceo Ximenes di Trapani, fu ammesso, avendo vinto il relativo concorso, a frequentare la Scuola normale superiore di Pisa, era uno studente critico bensì di molti aspetti della cultura siciliana quello che approdava alla sponda toscana, ma recante tuttavia in sé non pochi segni di quella. Il positivismo che, colorandosi sotto l'influsso di R. Schiattarella di materialismo e anticlericalismo, largamente dominava la cultura siciliana non era passato sul suo animo e sulla sua mente senza lasciare qualche traccia; e se non vi era passato intero, in parte almeno vi era passato: il che spiega l'intransigenza con la quale, compiuta la sua più autentica formazione alla scuola pisana dello Jaja, egli si impegnò a cancellarne, nel suo pensiero, ogni possibile traccia.  Nel componimento scolastico consacrato a U. Foscolo con il quale ottenne la licenza liceale colpiscono in effetti le due tonalità che lo caratterizzano: quella civile, che sarebbe poi rimasta, attraverso la trasfigurazione risorgimentale, al centro dei suoi sentimenti e interessi, e l'altra, antiromantica, appresa alla scuola del suo professore di italiano, V. Pappalardo, e ribadita attraverso lo studio della Storia della letteratura italiana di Giudici. E si può e si deve, del resto, andare anche oltre. Fu forse allora, infatti, negli anni in cui fu studente in Sicilia, che il G. venne positivamente in contatto con la questione del "fatto"; che certo, nel corso del suo pensiero, subì, rispetto al punto di partenza, trasformazioni così profonde da rendere questo quasi irriconoscibile nel risultato conseguito. Quasi, tuttavia, e non del tutto: perché, assunto nella prospettiva dell'atto, il "fatto" è bensì l'astratto che quello, l'atto, perennemente supera conseguendo e conquistando la sua concretezza, ma, oltre a esser anche la sua "determinatezza", si rivela altresì, nel processo costitutivo dell'atto, indispensabile e necessario: con la conseguenza che, nell'idealismo attuale, la sua è bensì una morte, caratterizzata tuttavia nel senso, piuttosto, della "trasfigurazione".  Non s'insisterà mai abbastanza sull'importanza che, proprio per queste ragioni, la Scuola normale ebbe, con i professori che vi insegnavano, lo Jaja e il D'Ancona, in primo luogo, ma anche A. Crivellucci, nella formazione del giovane allievo siciliano. E ai professori debbono aggiungersi i compagni che egli allora v'incontrò, Volpe e Pintor, Congedo, Salza, Radice.  Anche qui, per altro, avrebbe torto chi semplicemente ritenesse che al fuoco dell'idealismo professato dallo Jaja il G. bruciasse ogni scoria positivista e rapidamente acquistasse la fisionomia che in seguito sarebbe stata la sua. È vero invece che la dicotomia determinatasi in lui quando, in Sicilia, per un verso si accendeva di entusiasmo per il Foscolo e i valori civili da lui rappresentati e per un altro si piegava al culto reverente dei fatti, in qualche modo si ripropose anche a Pisa. Ed egli dovette subirla anche qui perché alla filosofia senza storia né arte che gli veniva insegnata da Jaja corrispondevano la storia e la letteratura senza filosofia che gli provenivano dall'esempio di D'Ancona e di Crivellucci. Il che, naturalmente, non deve sorprendere, perché a predominare, anche a Pisa, era allora il positivismo con il congiunto metodo storico; e con il suo idealismo di derivazione spaventiana Jaja costituiva, in quell'ambiente, piuttosto l'eccezione che non la regola.  La produzione scientifica in cui, senza abbandonare la rivista Helios, che si pubblicava in Sicilia, a Castelvetrano, e alla quale seguitò infatti a non far mancare la sua collaborazione, allora si impegnò appare nettamente scissa fra l'erudizione pura, da una parte, e la filosofia, altrettanto pura, da un'altra (anche se, nel ricercare e commentare i testi di quest'ultima, il giovane G. mostrava chiari i segni del metodo che aveva appreso d’Ancona e dal Crivellucci, e che dette del resto chiara prova di sé nella dissertazione accademica Delle commedie di Grazzini, detto il Lasca, pubblicata negli Annali della Scuola normale superiore di Pisa. Le cose più notevoli uscite tuttavia dalla sua penna a conclusione del suo periodo pisano sono, com'è noto, la tesi su Rosmini e Gioberti, discussa con Jaja e quindi, discussa anch'essa con quest'ultimo, la più breve indagine su La filosofia di Marx.  Di questi due libri, il primo costituisce il documento, altrettanto precoce che maturo, di un'indagine condotta nel segno di Bertrando Spaventa e della sua idea relativa alla relazione intercorrente fra il pensiero italiano e quello europeo, fra A. Rosmini e V. Gioberti, da una parte, I. Kant e Hegel da un'altra. Il secondo è invece il documento della capacità dimostrata dal giovane studioso di cogliere il carattere, che a lui sembrava nel fondo idealistico, della filosofia di K. Marx, e altresì di entrare con autorevolezza in uno dei dibattiti - quello concernente la "crisi" del marxismo - fra i più vivi che allora si accendessero nella cultura dell'Europa contemporanea.  Lo studio dedicato a Rosmini e Gioberti, e alla loro polemica fu steso per il conseguimento della laurea in filosofia, che il G. ottenne con il massimo dei voti e il diritto alla stampa. Quello dedicato a Marx fu composto per la tesi di abilitazione all'insegnamento che egli conseguì l'anno successivo e gli dette la possibilità di un ulteriore periodo di perfezionamento da trascorrere presso l'Istituto di studi superiori di Firenze, dove fu per un anno e dove ebbe modo di entrare in contatto con gli illustri professori che allora vi insegnavano e che, fra gli altri, si chiamavano Villari, Vitelli, Rajna. Fra questi era anche il professore di filosofia, il neokantiano F. Tocco, con il quale i rapporti non furono né semplici né facili, ma con il quale comunque conseguì un nuovo titolo, discutendo una tesi sulla filosofia italiana del periodo che da Genovesi va fino a Galluppi, e che poi divenne un volume, pubblicato, nelle edizioni de La Critica, da Croce (Da Genovesi a Galluppi: ricerche storiche, Napoli).  Fu, anche quello trascorso a Firenze, un periodo importante; e se il rapporto con il Tocco fu, malgrado asprezze e incomprensioni, proficuo perché lo mise comunque in contatto con un Kant diverso da quello di Bertrando Spaventa mediatogli dall'insegnamento di Jaja; se quello con Villari fu alquanto burrascoso, dei grandi filologi, classico il primo, romanzo il secondo, Vitelli e Rajna dovette conservare per sempre un grato ricordo, se è vero che ancora negli ultimi anni progettò di ristampare, del secondo, il libro su Le fonti dell'Orlando furioso, ossia uno dei monumenti più insigni della vecchia scuola del metodo storico.  Con l'anno trascorso a Firenze, nell'estate 1898 i suoi Lehrjahre avevano termine; e gli anni che seguirono furono non facili; anzi decisamente difficili, perché l'esigenza per lui imperiosa di trovare un lavoro, e perciò un posto nell'insegnamento medio, era pari a quella che egli avvertiva non meno viva e urgente di non interrompere gli studi filosofici, nei quali aveva già realizzato un'impresa notevole, con quei tre lavori, così ricchi di dottrina e di idee. Ma l'esigenza di proseguire senza nocive interruzioni la intrapresa carriera dello studioso implicava l'altra che l'eventuale sede non fosse dispersa nella lontana provincia meridionale e lontana perciò dai centri vivi della cultura nazionale, dalle università e dalla biblioteche. E la preoccupazione principale del G. fu allora, in particolar modo, di non essere costretto a far ritorno nell'isola dalla quale era partito anni innanzi: sì che quando ebbe la sede di Campobasso, con l'incarico di filosofia al liceo Mario Pagano, non poté dirsene del tutto scontento, perché di lì poteva raggiungere di tanto in tanto Napoli, dove la frequentazione del filosofo hegeliano S. Maturi, professore al liceo Umberto e, sopra tutto, di Benedetto Croce, con il quale era entrato in contatto quando ancora era studente del terz'anno, largamente lo compensavano dalla solitudine alla quale era invece, per il resto del tempo, costretto.  Del resto, non fu quello di Campobasso un periodo che si protrasse nel tempo. E la fortuna girò in suo favore, perché G. poté ottenere un posto presso il liceo Vittorio Emanuele di Napoli: il che gli dette la possibilità di rendere veramente intrinseci i legami intellettuali con Croce, ossia con il già illustre studioso che, in quello stesso anno, concluso il periodo degli studi soltanto eruditi, giunto al termine della discussione intrapresa con i testi di Marx e dei marxisti, era tornato alla filosofia e aveva dato all'estetica la sua prima sistemazione.  A ragione, e del resto non è un'osservazione peregrina, è stato detto che, se senza Croce non s'intende G., altrettanto è vero per l'inverso. Ma ancor meglio potrebbe dirsi e ripetersi che, se si prescindesse dalla collaborazione, stretta, intensa e anche conflittuale, che subito si stabilì fra il libero studioso Benedetto Croce e il giovane ex normalista siciliano, poco o niente si capirebbe della cultura italiana che nel bene (secondo alcuni), nel male (secondo altri) per circa mezzo secolo fu dominata dalle loro personalità e dalle loro opere, spesso intrecciate le une alle altre nel segno prima della concordia discors e poi dell'aperta polemica. È difficile decidere chi fra i due, se il più vecchio o il più giovane, giovasse all'altro nella forma più decisiva. E forse, posta così, la questione è posta male, perché, se è vero che da G. Croce ricevette impulsi a cogliere nel pensiero che si veniva formando in lui le difficoltà che ne nascevano e ad affrontarle nel segno dell'unità, se è vero, d'altra parte, che la collaborazione prestata dal giovane studioso alla formazione della filosofia dello spirito non avvenne senza che egli ne traesse grande giovamento per le tante idee con le quali veniva in contatto e la non comune dottrina storica e letteraria con il cui carattere venivano al mondo, anche è vero che in questi bilanci del dare e dell'avere c'è sempre qualcosa di angusto, di gretto, di meschino: e conviene perciò, dalle parole generali, passare di volta in volta ai fatti determinati.  Sta comunque di fatto che, mentre il carteggio fra i due si faceva tanto intenso e frequente che non c'era, si può dire, giorno senza che uno scambio intervenisse a proporre osservazioni, suggerimenti, informazioni e, magari, contrasti; mentre l'amicizia si approfondiva nella collaborazione, la diversa indole dei due ingegni ne riusciva non soffocata, ma in qualche modo persino potenziata. E, come si è detto, c'erano, meno infrequenti di quanto non si pensi, anche i contrasti, anche le polemiche, garbate, amichevoli, ma ferme.  Se, per esempio, nella questione concernente il materialismo storico (una filosofia, per il G., e non, come per Croce, un semplice "canone empirico": una filosofia della storia, fondata per altro sullo scambio del trascendentale e dell'empirico), il dissenso rimase senza soluzione, la discussione, che in buona parte si svolse per lettera, su forma e contenuto nell'estetica condusse i due filosofi a un accordo sempre più stretto; e anche qui è, non solo alquanto meschino, ma sopra tutto difficile chiedersi, e quindi rispondere al quesito, se a condurre il gioco fosse piuttosto G., o se invece fosse Croce che, via via che veniva impadronendosi dell'intero territorio dell'estetica, suggeriva il tema e controllava lo svolgimento.  Intanto, la realizzazione del progetto di una rivista letteraria, storica e filosofica, che si chiamò La Critica (il primo numero uscì il 20 gennaio), dette a Croce, e a G., lo strumento attraverso il quale la loro collaborazione potesse rendersi visibile e concreta in risultati specifici, attraendo altresì su di sé, fra consensi e dissensi, l'attenzione del mondo culturale italiano e non soltanto italiano, perché l'anno precedente era uscita la prima edizione dell'Estetica crociana e il successo travolgente del libro, andato al di là di ogni previsione, non poteva non ripercuotere sulla rivista appena agli inizi la sua positività.  La Critica divenne così, velocemente, un severo luogo di ricerche, di studi, e anche, spesso, di impietosi esami critici; e, con il diverso accento caratterizzante lo stile del direttore e del suo principale collaboratore, svolse un'opera della quale sarebbe vano voler disconoscere l'importanza. L'oggetto della "critica" era costituito dalla cultura positivistica, che era bensì in declino quando la rivista iniziò la sua battaglia, ma non tanto, tuttavia, che se quell'urto violento e sistematico non si fosse prodotto, avrebbe trovato così presto la via della sua risoluzione. Al contrario, si direbbe: perché, malgrado la non eccelsa qualità dei suoi pensatori, e certa loro tendenza a dividersi fra un alquanto volgare materialismo e vacue accensioni mistiche e "spiritualistiche", il positivismo aveva, nella sua forma di "metodo storico", non soltanto prodotto alcune opere egregie e importanti, ma era penetrato in profondità nella cultura e nel costume dei professori e della classe dirigente del paese. E "positivista" era in sostanza il pensiero democratico e altresì, malgrado il marxismo, quello socialista; positivisti altresì, con maggiore o minore intensità, erano stati, e per qualche tratto ancora erano, gli stessi Croce e G., che in quella tradizione, e non in un'altra, avevano compiuto i primi passi. Con la conseguenza che quella loro battaglia antipositivistica, esaltata, enfatizzata e mitizzata da alcuni, deprezzata e magari deplorata da altri, fu, con le sue luci e le sue ombre, anche una battaglia che giorno dopo giorno i due filosofi amici condussero contro quel loro "sé stesso" che di essere emendato nel senso della nuova filosofia avesse avuto necessità. E molte cose della vecchia "fede" certamente furono lasciate cadere, che qui non occorre elencare. Ma alcune no; e, per fare qualche esempio, certo si deve anche alla severa disciplina erudita appresa alla scuola dei maestri del metodo storico se, come nessun altro ai suoi tempi, Croce esplorò gli angoli più riposti della "regione" seicentesca, e scrive il saggio su La novella di Andreuccio da Perugia (Bari), e il G. non disdegnò le minute ricerche rinascimentali che sottese e affiancò ai grandi quadri d'insieme, e rievocò le ombre dei suoi maestri toscani per scrivere il bel libro dedicato a Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono.  Il soggiorno a Napoli fu, nel rapporto con Croce, quale non poteva non essere: importante, fondamentale perché ebbe per conseguenza di renderlo sempre più stretto, sempre più profondo e, perciò, più stimolante. Il che, trattandosi del rapporto di due pensatori che in quello impegnavano la parte più delicata del loro essere, significa altresì che, per ciò stesso che toccava il profondo, scopriva le differenze mentre celebrava le affinità e persino le identità, e potenzialmente conteneva in sé il germe del suo rovesciamento nell'inimicizia. La polemica sul marxismo contribuì a far meglio conoscere a entrambi le rispettive, e diverse, fisionomie intellettuali; e i due ne uscirono, sebbene avessero ciascuno mantenuto il proprio punto di vista, rafforzati nell'amicizia. Ma la polemica epistolare, e rimasta perciò privata, sulla questione della filosofia e della storia della filosofia, aveva già, sotterraneamente, impresso qualche preoccupante vibrazione alla struttura portante dell'edificio; perché a Croce, sebbene avesse alla fine dato il suo consenso alla tesi del G., era anche sembrato di cogliervi qualche tratto di vecchio hegelismo, il cui Idealtypus era rappresentato allora a Napoli da S. Maturi; e questo G. non l'aveva gradito.  L'amicizia per allora rimase salda, e anzi, via via, si approfondì, perché in realtà non solo la filosofia e la scienza riguardava, ma anche le cose dell'anima e dell'esistenza, che nella battaglia culturale non potevano, del resto, non essere coinvolte. E poiché nella Critica il G. sistematicamente svolgeva il compito che si era assunto di ricostruire le origini della filosofia contemporanea in Italia e intanto, al margine, scriveva note e recensioni per lo più molto polemiche nell'atto stesso in cui, su un altro fronte, conduceva la sua aspra battaglia, in nome della filosofia che non può non essere immanentismo assoluto, contro quello che perciò sembrava a lui l'equivoco del modernismo cattolico: delle eventuali dispute che intanto i due filosofi svolgessero in privato la rivista non risentì e non mostrò il segno.  La collaborazione che essi vi svolgevano e realizzavano fu perciò, per anni e anni, vista e avvertita come se i due fossero quasi una sola persona che, di volta in volta, faceva prevalere il rigore filosofico e l'eleganza letteraria, nutrita anch'essa di rigore. Si aggiunga che allora Croce fu impegnato, fuori della Critica, nella costruzione della Filosofia come scienza dello spirito; e che, per parte sua, mentre svolgeva il suo lavoro e si impegnava a seguire i progressi filosofici del suo amico, sul piano teoretico il G. mostrò in quei primi anni la tendenza a restare in disparte.  Avvertiva, e in una lettera del 1908 inviata al Maturi lo scrisse anche in modo esplicito, che se avesse dovuto esprimere intero il pensiero che intanto gli urgeva dentro con Croce sarebbe giunto allo scontro, e avrebbe dovuto combatterlo. Sapeva, o riteneva di sapere, che, svolto con rigore, il tratto spaventiano del suo pensiero avrebbe dato luogo a conseguenze diverse da quelle che Croce stava allora ricavando dalle sue premesse, e sistemando nei suoi libri; e della migliore qualità filosofica di quelle era altrettanto convinto come della necessità che per allora non convenisse mettere in crisi una collaborazione dalla quale frutti copiosi la cultura italiana poteva ancora attendersi. Del resto, la cautela del G. e la sua decisione di lavorare per, e non contro, l'alleanza con Croce non potevano esser tali da impedire che, talvolta anche in pubblico, sebbene non dichiarate, le differenze emergessero; e fu quel che puntualmente avvenne quando G. scrisse (e per allora non pubblicò) la prolusione al suo corso libero di filosofia teoretica nell'Università di Napoli.  Da Napoli, dove nell'insieme trascorse un sereno periodo (aveva sposato Erminia Nudi, una maestra conosciuta a Campobasso), quasi per intero consacrato all'insegnamento - aveva ottenuto la libera docenza che esercitava nel corso libero di filosofia teoretica presso l'Università e dal 1904 aveva assunto anche un incarico di filosofia e pedagogia presso l'Istituto superiore di magistero Suor Orsola Benincasa -, alla riflessione filosofica, allo studio, G. passò a Palermo, perché nel frattempo - dopo che un primo concorso per la filosofia teoretica lo aveva visto soccombere per l'ostilità dimostratagli da Tocco, e anche a causa della debole difesa fattane da A. Labriola, gravemente ammalato e quasi impossibilitato a parlare - aveva vinto la cattedra di storia della filosofia per quella Università. Così, senza averlo sul serio desiderato, era di nuovo approdato alla sponda siciliana; e meno che mai lo aveva desiderato Croce, che non solo vedeva interrotta una consuetudine di vita, di collaborazione e di lavoro che doveva a ogni costo essere difesa, ma anche temeva che il nuovo ambiente potesse distrarre in vario modo l'amico e, sotto diversi punti di vista, allontanarlo da lui.  Il timore di Croce non aveva allora nessun altro fondamento che sé stesso e l'intuizione di cui si alimentava. Era infatti qualcosa come una congettura, una supposizione. Ma la congettura, la supposizione, e il timore, non si rivelarono tuttavia per intero infondati; perché, come forse era inevitabile, nel nuovo ambiente G. non poteva non ottenere la posizione preminente e da protagonista che non solo il prestigio di cui godeva, ma anche e sopra tutto la forte personalità della quale era dotato, non potevano non assicurargli. La sua posizione divenne preminente nell'Università e, quindi, nella Biblioteca filosofica che, per le iniziative di G. Amato Pojero che ne aveva la cura principale, divenne un centro vivo di dibattiti, nel quale l'idealismo attuale definì per la prima volta sé stesso e vide la luce. Anticipato in modo più che parziale con il breve saggio che G. dedicò a Le forme assolute dello spirito e, senza presentarlo in altra sede, incluse nel volume su Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia come sua ideale premessa (e conclusione), l'idealismo attuale trovò la sua prima espressione nella memoria, letta presso la Biblioteca filosofica su L'atto del pensare come atto puro (Palermo), quindi nell'altra su Il metodo dell'immanenza, e ancora nelle pagine consacrate a La riforma della dialettica hegeliana e a Spaventa che l'aveva avviata, nonché nel Sommario di pedagogia come scienza filosofica, il cui primo volume contiene in effetti una sorta di teoria generale dello spirito sotto specie pedagogica.  Un volume, questo, che quando lo lesse in bozze Croce giudicò con qualche severità, perché gli parve che non solo il G. si fosse espresso con nettezza contro la possibilità che tra le forme dello spirito potesse darsi la "distinzione", ma anche che, senza nominarlo e perciò con tanta maggiore asprezza, avesse polemizzato proprio con lui che nella distinzione aveva fatto e stava facendo consistere il criterio supremo dell'intelligenza della realtà. Da queste dichiarazioni di autonomia e di indipendenza, che, implicitamente (ma in modo per altro trasparente), contenevano qualcosa come una sfida, Croce non poteva non essere preoccupato; e tanto più in quanto il senso di indipendenza e di autonomia era confermato da quel che scrivevano gli allievi siciliani del G.: Fazio-Allmayer e Omodeo, Saitta e Albeggiani; e anche Ruggiero, che siciliano e residente in Sicilia non era, ma attualista sì, anzi ultrattualista, come ci teneva a dichiararsi e come aveva del resto dimostrato con la memoria, pubblicata anch'essa nell'Annuario della Biblioteca filosofica, su La scienza come esperienza assoluta.  La pubblicazione degli scritti attualisti del G. e le varie manifestazioni che allora innegabilmente si ebbero del formarsi di una scuola che in quella forma d'idealismo riconosceva l'unica rigorosa e, perciò, possibile, non potevano non provocare prima o poi la reazione di Croce. Il quale aveva bensì fatto il possibile perché G. tornasse a Napoli come professore nell'Università, convinto che in tal modo la collaborazione sarebbe tornata alle vecchie forme senza le perturbazioni provocate dalla "scuola" e dagli spiriti non sempre positivi che, in effetti, vi si formano o tendono a formarvisi. Ma il suo tentativo non ebbe, com'è noto, successo, perché forti e insormontabili furono le resistenze che l'ambiente accademico napoletano dimostrò all'accettazione della sua proposta. E così accadde che, persa quella battaglia nella quale aveva speso molto del suo prestigio e delle sue energie, quando una grave sciagura privata gli dette il senso che tutto ormai, nella sua vita dovesse giungere all'estremo chiarimento, Croce decidesse di rendere pubblico il "dissidio" filosofico che lo divideva dall'idealismo attuale; e scrisse, per la Voce di Prezzolini, un articolo in forma di lettera, nel quale i termini del dissenso erano definiti con amichevole fermezza. La scelta della Voce significava, nelle intenzioni crociane, che la disputa non riguardava La Critica, ossia il luogo della loro comune opera culturale; e si svolgeva, per così dire, al margine di questa. Ma la decisione di mettere in piazza il loro dissenso ferì in modo particolare G.: anche se, decisa nella sostanza e orientata non a sanare, bensì a ulteriormente precisare, il dissenso, la replica che anche lui affidò alla Voce, si presentasse come la risposta amichevole a un'amichevole richiesta di chiarimenti teoretici. Il dissenso era comunque stato dichiarato; e non mancò di suscitare molta impressione: tanto più che, replicando a sua volta, con fermezza, Croce prese atto di un divario che concerneva non la periferia, ma il centro stesso delle loro filosofie.  Il periodo siciliano fu comunque fecondo di molto lavoro. E oltre ad aver gettato le basi dell'idealismo attuale, G. svolse infatti e approfondì alcuni essenziali aspetti della scolastica e del Rinascimento; e scrisse di Bruno, di Telesio, di Vico, mentre la collaborazione alla Critica continuava con il consueto ritmo e, dopo la tempesta teoretica, nei rapporti con Croce era tornata la calma. Deve anzi dirsi che, malgrado varie traversie di natura familiare e qualche apprensione per la sua salute, fu quello un periodo nella sostanza sereno, sebbene non possa escludersi che egli lo considerasse provvisorio e in cuor suo non desiderasse una sede diversa e migliore. Quando infatti a Napoli e a Roma si liberarono due cattedre, la prima università fu subito scartata, perché vivo era ancora il ricordo della sconfitta patitavi quattro anni prima, ma la seconda no; e fu invece presa in seria considerazione. Il G. riteneva infatti che l'opposizione di Barzellotti, titolare della cattedra di storia della filosofia, potesse essere in qualche modo aggirata e vinta. Ma il calcolo risultò errato: a Roma per allora non fu chiamato; e dopo un tentativo, esperito senza troppa convinzione, di essere chiamato a Torino, città molto amata da Croce, che non avrebbe visto male un suo trasferimento colà, ma assai meno da lui, che la considerava lontana, fredda ed estranea ai suoi gusti e alle sue abitudini, scelse infine di andare a Pisa, dove sarebbe succeduto a D. Jaja e, con l'atmosfera della giovinezza, anche avrebbe ritrovato la Scuola normale, luogo e fonte inesausta di cari e intensi ricordi.  A Pisa tornò con un piglio e una convinzione ben diversi da quelli con i quali vi era approdato, giovane e sperduto studente siciliano, tanti anni prima. Vi approdò con il piglio del pensatore che, ormai sicuro di sé e delle sue forze, sente di dover svolgere una missione non solo filosofica, ma anche, lato sensu, civile e politica. La forte accentuazione teoretica che nei precedenti anni aveva conferito alle sue pagine, anche di storia della filosofia, non aveva mai spento in lui, se mai aveva rafforzata, la convinzione spaventiana che ricostruire la filosofia italiana nella sua storia significasse in realtà contribuire, con le armi della cultura, alla prosecuzione del Risorgimento, riaccenderne negli animi la consapevolezza, battersi contro la corruzione letteraria che in Italia si era per secoli fatalmente intrecciata con lo splendore delle arti. Egli faceva insomma vibrare e risuonare un corda che a Jaja era rimasta sostanzialmente estranea, ma non ad Ancona, ebreo e fervente patriota risorgimentale, e nemmeno, nei suoi modi particolari, a Crivellucci. Del resto, la prolusione pisana è; e con gli avvenimenti che lo caratterizzarono e con quelli che ne sarebbero seguiti, quell'anno fatale avrebbe ben presto provveduto a trasformare dal di dentro atteggiamenti, abitudini, costumi, ad accelerare il ritmo delle passioni, talvolta in superficie, altre volte in profondità, a rendere esplicito e visibile quel che per l'innanzi fosse rimasto chiuso nel segreto delle coscienze.  A Pisa, per altro, G. non stette a lungo, perché già nel 1918 egli passava all'Università di Roma per ricoprirvi la cattedra di storia della filosofia, dalla quale, sempre nella stessa Università, sarebbe passato a quella di filosofia teoretica, lasciata libera da Bernardino Varisco.  Ma, a parte le passioni e anche le incertezze e le angosce politiche che li caratterizzarono, quelli pisani furono anni importanti: per i risultati filosofici innanzi tutto, che G. vi conseguì. Fu allora, infatti, che, dopo averne offerto un primo saggio nel Sommario di pedagogia, e quindi nelle memorie palermitane, egli procedette senz'altro a tracciare le linee della Teoria generale dello spirito come atto puro, nata dalla scuola e pubblicata la prima volta quello stesso anno: così come dalla scuola nacquero in quel medesimo tempo i Fondamenti della filosofia del diritto, nei quali, espressione suprema dell'unità, e unità esso stesso, l'atto era indagato nella sua dimensione, oltre che teoretica, pratica, senza che fra l'una e l'altra potesse operarsi la distinzione per la quale, in Croce, i distinti erano i distinti. Ma a Pisa il G. avviò anche la composizione del Sistema di logica come teoria del conoscere, la sua opera in ogni senso più rilevante: della quale scrisse il primo volume che, nato anch'esso dalla scuola, vide la luce e dovette attendere per avere il suo compimento nel secondo volume, dedicato alla logica del concreto.  Agli anni di Pisa appartiene anche, con sicurezza, Il tramonto della cultura siciliana, un libro del quale si è già avuto modo di accennare come presenti un duplice carattere, di condanna della cultura siciliana positivistica, materialistica e, deteriori sensu, illuministica; e di speranza: la speranza che nel segno dell'idealismo attuale, nato nell'isola per virtù di un siciliano, quella si riscattasse ed entrasse a pieno titolo nella civiltà moderna.  Gli anni pisani furono quelli del primo conflitto mondiale, di quel dramma, anzi di quella tragedia, dopo la cui conclusione niente sarebbe più stato come prima. Il G. li visse con passione, fra esaltazioni e depressioni, come ogni altro italiano del suo ceto, della sua condizione e della sua cultura; ma anche con il sempre più netto convincimento che, all'inizio, non era stato scevro di dubbi anche forti, che quella di entrare in guerra a fianco della Francia e della Gran Bretagna contro gli Imperi centrali fosse stata una giusta decisione, una sorta di chiamata del destino risorgimentale della nazione. Il G. non era nazionalista, e meno che mai era disposto a vedere nell'evento bellico la manifestazione delle forze sanamente irrazionali che spezzano l'ordine stabilito dalla logica, sconvolgendo i suoi concetti. Dalle deteriori manifestazioni di misticismo e vario sensualismo, così frequenti allora nella "cultura" italiana e non soltanto italiana, si tenne sempre discosto. Ma quando gli indugi diplomatici furono rotti e la guerra fu dichiarata, egli scoprì in sé l'interventista che all'inizio non era stato, e progressivamente venne intensificando e attualizzando le critiche che nei confronti dell'Italia e dell'assetto politico e morale che si era dato dopo la conclusione del Risorgimento erano già in lui, allo stato potenziale e, in qualche caso, più che potenziale. Le essenzializzò e attualizzò perché, senza con ciò diventare nazionalista e seguitando anzi a oppugnare ogni idea della nazione che attingesse a concezioni naturalistiche o, peggio, razzistiche, il suo principio, gli parve tuttavia che la prova terribile alla quale l'Italia aveva deciso di sottoporsi richiedeva che di lì in avanti i piccoli pensieri cedessero a pensieri grandi e che quel che s'era ottenuto sui campi di battaglia non fosse poi amministrato dai politici di sempre, maestri non di drammi, ma di mediocri commedie.  Di qui, anche in questo campo così pericolosamente esposto ai venti violenti delle passioni, delle "cupidigie", per dirla con il poeta, e dei "brividi", la ragione profonda dell'ulteriore distacco che allora, giorno dopo giorno, si venne compiendo da Croce. Il quale, come si sa, non solo era stato contrario alla guerra, condividendo le realistiche preoccupazioni di Giolitti e di quanti, come lui, erano persuasi che, vinta o persa, la guerra avrebbe comunque rappresentato per l'Italia un troppo grave rischio. Ma anche aveva dichiarato che avrebbe considerato una grave onta per il popolo italiano se all'improvviso i suoi governanti avessero stracciati i trattati e si fossero schierati dalla parte di coloro contro i quali avrebbero, semmai, dovuto combattere. Anche nei confronti della guerra che, quando fu dichiarata, li vide entrambi consapevoli che il loro posto non potesse essere se non quello che l'Italia aveva scelto per sé, l'atteggiamento dei due filosofi fu, nella sostanza, assai diverso. E Croce considerava la guerra alla stregua di un evento irresistibile della natura, ne vedeva la trama violentemente economica e utilitaria, così che sempre il suo monito fu che non si sottomettesse alla sua particolare logica la logica dei superiori valori della verità e della cultura, del pensiero e dell'arte.  Diverso fu, invece l'atteggiamento del Gentile. Senza che perciò si inducesse a passare il segno e a farsi, come Croce diceva, "l'animo di guerra", egli la considerò tuttavia come una grande occasione rigeneratrice, come un evento assoluto, recante in sé il segno di una tal quale superiore provvidenzialità. Mentre Croce confidava, o quanto meno sperava, che nell'Europa di domani il meglio dell'Europa di ieri fosse conservato e potenziato, e nella religione degli studi, nella civiltà dei rapporti intellettuali, nell'universalità delle idee, gli odi nazionali si placassero e depurassero, il G. inclinava viceversa, lui che nazionalista non era mai stato e nemmeno a rigore era diventato, verso i toni dell'esaltazione nazionale. E fu allora che, per la forza di queste sue convinzioni e passioni, si preparò la sua futura adesione al fascismo, nel quale, mettendo come fra parentesi le molte cose che certo non appartenevano al suo costume, egli credette di scorgere, e in questo convincimento fu poi irremovibile, lo strumento del riscatto "risorgimentale" dell'Italia.  Il sistema filosofico che fino a quel punto il G. aveva elaborato negli scritti dei quali qui sopra si è detto era per intero incentrato su questo concetto: che, come la filosofia antica e quella medievale e moderna (che non riusciva perciò a esser tale), era rimasta ferma, anche nelle sue dimensioni idealistiche, a un concetto intellettualistico e soltanto descrittivo del concetto, del soggetto e della sua attività, con la conseguenza che il concetto non era autoconcetto, e cioè la sua eterna autogenerazione e autoproduzione, nell'idealismo invece, che per questa ragione meritava di essere definito "attuale", questo proprio avveniva. E il concetto era autoconcetto, il soggetto, soggetto, e non concetto (astratto) del soggetto: non era una sorta di res naturalis che il concetto appunto si limiti a contemplare, a descrivere nel suo astratto organismo logico, e non a produrre nell'atto del suo atto. Di qui la tesi, caratteristica di questo idealismo, che nella sua concretezza e attualità, l'atto non può trascendere il suo atto, questa trascendenza dell'atto non potendo essere se non, essa stessa, atto; e l'altra tesi secondo cui la teoria che dell'atto intendesse darsi è perciò una teoria vera (secondo G.) ma astratta: una teoria astratta del concreto (vero anch'esso, naturalmente: e a fortiori). E di qui l'interna, forte tensione di questa filosofia; che, per un verso (e sopra tutto nelle sue prime formulazioni) era orientata a svalutare e criticare ogni teoria che, in quanto soltanto contemplativa e descrittiva, fosse perciò incapace di cogliere l'atto se non come un "fatto", e dunque come il suo opposto, falsità ed errore, se l'atto era viceversa verità e concretezza. Ma per un verso (e questo accade sopra tutto nel secondo volume del Sistema di logica, non senza che per tale via il G. provasse a rispondere al rilievo di ineffabilità e misticismo rivoltogli da Croce) la questione dell'astratto e del fatto assumeva un altro volto, e l'atto era bensì celebrato nella sua non obiettivabile attualità, ma il fatto e l'astratto gli si rivelavano a loro volta indispensabili, erano (per dirla in modo tecnico) il suo opposto, ma anche il suo diverso, un grado attraverso il quale, sia pure dissolvendolo, il concreto era, nel e per il suo costituirsi, costretto a idealmente passare. Il punto critico di questa filosofia sta qui: nel suo essere, non, come tante volte si è detto, misticismo e indistinzione, ma nel porsi come una sintesi, attuale e intrascendibile, di opposti, senza poter rinunziare - donde l'ambiguità - a trattare gli opposti come gradi, e cioè come diversi o distinti: nell'essere insomma una teoria dell'unità che in eterno supera la distinzione, e della distinzione che, proprio perché è in eterno superata, non può veramente uscire dal quadro e si rivela come la condizione insostituibile della sua possibilità.  Verità del concreto, dunque: ma anche dell'astratto; che nelle opere del secondo attualismo, e cioè nel Sistema di logica e oltre, si rivela non, quale all'inizio era, come natura, immobilità, impenetrabile assenza di coscienza, ma come circolo e mediazione, punto semovente che parte da sé e per fare ritorno a sé: come circolo, e perché no, dunque, come esso stesso logo concreto? Come logo concreto; e perché no, dunque, come logo astratto, se questo è mediazione e coscienza, e niente più di questo il logo concreto può essere?  A Pisa, negli anni della Grande Guerra, il G. rivelò a sé stesso la passione politica che gli stava dentro come assopita; e assunse perciò una dimensione che non era più soltanto quella del professore che parla dalla cattedra e magari fa conferenze, ma era bensì quella dell'"intellettuale" militante, che si rivela al grande pubblico attraverso i giornali quotidiani. Ai quali in effetti, assumendo una consuetudine che avrebbe, con diversa intensità (nel tempo), mantenuta fino alla fine della sua vita, G. allora prese a collaborare: tanto che quando, a guerra finita, raccolse in un volume che intitolò Guerra e fede (Napoli) quanto aveva scritto durante il suo corso, il libro risultò tutt'altro che smilzo, e comunque più consistente di quello che lo seguì, e nel quale, con il titolo Dopo la vittoria (Roma 1920), sistemò gli articoli composti nei due anni iniziali dell'agitato, inquieto, drammatico dopoguerra. Un periodo, quest'ultimo, nel quale sempre più decisamente G. cercò la sua parte e venne via via inasprendo la sua posizione, perché l'idea natagli nei passati anni, durante le sue meditazioni sulla storia d'Italia e sulla fatale dicotomia che nell'età del Rinascimento si era prodotta fra lo splendore artistico e la decadenza politica e morale, quest'idea doveva ora essere messa alla prova della realtà, doveva diventare uno strumento forte e tagliente di lotta e di azione politica. Il che implicava che, pur seguitando a dichiararsi liberale, sempre più egli sentiva di doversi opporre al liberalismo quale si era riflesso nel costume politico italiano, nella degenerazione dei metodi parlamentari, nell'arte del compromesso e del perenne rinvio delle decisioni: un'arte nella quale maestro insuperabile gli sembrava fosse Giolitti, che per lui fu allora non il ministro, come Salvemini l'aveva in precedenza definito, della malavita, ma l'artista di ogni cosa che fosse mediocre, si contentasse della mediocrità e rinunziasse a volare alto nei cieli della grande politica.  Furono, questi, mesi drammatici, che egli visse in uno stato d'animo teso e agitato, e nel segno di un'attività senza soste, che dette a tratti l'impressione di essersi risolta in frenetico attivismo. Che certo non si placò quando Croce è chiamato da Giolitti a ricoprire nel governo la carica di ministro dell'Istruzione pubblica e dette la sua opera alla riforma della scuola media e introdusse sia l'esame di Stato, sia l'insegnamento della religione. Alle cose della scuola G. aveva, per parte sua, cominciato a interessarsi da molto tempo: ossia fin da quando, giovane professore nel liceo di Campobasso, s'era reso conto di quante manchevolezze l'affliggessero. E poi aveva pubblicato il Sommario di pedagogia, così che a giusto titolo era, in quel campo, considerato un'autorità; che, divenuto ministro, Croce non tardò a riconoscere, chiamandolo a presiedere "la commissione per lo studio dell'autonomia universitaria e dell'esame di Stato", nonché "a far parte di quella per la riforma dei programmi presieduta da Vitelli", nominandolo commissario dell'Istituto femminile superiore di magistero di Roma e confermandolo nel Consiglio superiore dell'istruzione pubblica (Turi).  A Croce, del resto, G. non fece mancare il suo appoggio, pieno e incondizionato. Almeno nei risultati da raggiungere, e nelle conseguenze che occorreva trarre da alcune generali premesse, i due filosofi amici concordavano senza riserve. E nel sostenere, per esempio, la tesi che la religione dovesse costituire materia d'insegnamento, il suo pensiero non differiva da quello di Croce se non per il modo e per la diversa posizione che alla religione egli riserva nel sistema dello spirito. La sua idea era insomma che, come per pervenire alla pienezza del suo sé nella filosofia, lo spirito passa attraverso le fasi ideali, e contrapposte, dell'arte (soggetto) e della religione (oggetto), così anche nella scuola questo ritmo dovesse trovare una sorta di trascrizione temporale o fenomenologica, quasi che, per giungere alla filosofia, anche lì si dovesse percorrere la regione del mito di cui le religioni s'interessano. Ma la religione della quale il progetto ministeriale prevedeva l'insegnamento era quella cristiana e cattolica, la più perfetta, per G., di tutte le religioni quando, appunto, proprio nella forma assunta dal cattolicesimo la si fosse considerata. Era, questa, della perfezione cattolica, un'idea che G. aveva sostenuto quando, nei primi anni del secolo vigorosamente aveva polemizzato con i modernisti cattolici. E, per questo riguardo (oltre che per quello concernente la struttura dello spirito), il suo accordo con Croce era piuttosto sulle conclusioni che non sul metodo. Che è poi quello stesso che si dà a vedere nell'idea che presiedette all'introduzione dell'esame di Stato, perché se, nel propugnarlo, G. vi implica il concetto secondo cui in esso lo Stato realizzava una delle dimensioni della sua eticità, Croce non vi vedeva se non uno strumento di controllo e a questa luce ne interpretava la necessità.  La cosa più singolare fu allora che, nell'atto in cui più stretto si rivelava il legame dei due filosofi impegnati in una importante impresa pratica, il loro dissenso filosofico tornò invece a farsi acuto e a complicarsi con quello politico generale, perché nei confronti del fascismo la reazione di Croce fu bensì, agli inizi, cauta e anche esitante, ma certo in quel movimento egli non vide nemmeno una piccola parte delle idealità che G. riteneva gli fossero intrinseche e immanenti.  Del resto, dopo due anni che era salito sulla cattedra romana, G. fondò, assumendone la direzione, il Giornale critico della filosofia italiana: una rivista di sola filosofia che anche per questo suo carattere non si contrapponeva in ogni senso alla Critica, ma in un certo senso sì, anche perché nella nuova rivista gli scolari che subito si erano stretti intorno al nuovo professore, e in lui vedevano il sole della filosofia mondiale, riconobbero l'organo della scuola. E questo, come si sa, era il punto che Croce meno apprezzava ed era disposto a perdonare.  Il momento decisivo della vita del G. venne quando, caduto il governo del Giolitti nel quale Croce aveva ricoperto l'incarico di ministro, e succedutogli uno presieduto da Bonomi con Corbino all'Istruzione pubblica, egli ebbe modo di riflettere sulle mille difficoltà che dal mondo politico e parlamentare sempre sarebbero state opposte a ogni tentativo che si fosse fatto d'introdurre nella scuola una seria riforma. La disistima che, in linea generale, già da molto tempo G. nutriva nei confronti della classe dirigente italiana trovava così, nella recente esperienza fatta quando Croce era al governo con Giolitti, nuovo alimento. E può ben darsi che anche da questo egli fosse indotto a guardare con sempre più grande favore al movimento fascista e a considerare con politica indulgenza la violenza e le illegalità di cui nutriva la sua azione.  I documenti necessari a rendere certezza questa, che è solo una congettura, mancano, che si sappia. Ma non è improbabile che, appunto, riflettendo sulle recenti esperienze, G. allora si persuadesse che, nella questione della scuola come, in generale, in quella concernente il governo del paese, il regime parlamentare dovesse cedere il campo a un sistema politico diverso, fondato sulla rapidità delle decisioni e sulla forza necessaria a tradurle nella realtà. E altresì deve aggiungersi che, nel pensare così e nell'orientare in questa direzione le sue scelte politiche, come molti altri egli fu forse tratto in inganno dalla scarsa esperienza che, nel complesso, aveva non solo della politica, ma anche della storia; che, se gli fosse stata meglio nota, gli avrebbe con ogni probabilità in segnato che la politica è un'arte difficile, complessa e insidiosa, non in quanto si svolga in un Parlamento e da questo attenda il consenso, ma perché è politica, e ha a che fare con le passioni e gli interessi, nonché con il loro governo.  Come che sia, l'occasione di mettere alla prova i convincimenti che via via gli si erano formati dentro venne quando, avendo ricevuto dal sovrano l'incarico di formare il suo governo, che succedeva così a quello per breve tempo presieduto da L. Facta, MUSSOLINI scelse infine come ministro della Pubblica Istruzione proprio Gentile. È stato detto da taluni che, entrando in quel governo come indipendente e soltanto per le sue competenze non politiche ma tecniche, il G. accettava da Mussolini quel che avrebbe benissimo potuto accettare da Giolitti e da chiunque gli avesse offerto un'analoga occasione. Ma, sebbene egli non avesse ancora dichiarato il suo consenso esplicito al fascismo, e fascista ancora non potesse perciò essere detto, è pur vero che quel che pensava di Giolitti e della tradizionale classe politica italiana non gli avrebbe forse consentito di collaborare nel governo con uomini per i quali nutriva disprezzo, e non stima. Nel governo in cui entrava G. poteva infatti contare sugli ampi poteri che, nel dargli fiducia, il Parlamento aveva concesso a Mussolini, che governò infatti soprattutto con i decreti legge e con facilità poteva aggirare le opposizioni; e di questo, che considerava un vantaggio, egli si giovò con larghezza e altrettanta fermezza, perché, appunto, al governo era andato con l'idea di realizzare comunque la riforma; e a realizzarla era deciso.  Non è possibile, in poco spazio, raccontare le vicende complesse e intricate alle quali il progetto gentiliano della riforma dette luogo. E basteranno due rilievi: uno rivolto a ricordare la struttura a cui la riforma tendeva e alla quale infine mise capo, l'altro diretto a rievocare le fiere critiche che essa suscitò, non solo nel mondo politico, ma anche in quello della scuola. La struttura della scuola riformata prevedeva una scuola elementare obbligatoria per tutti, nella quale il senso della tradizione nazionale, della religione e della letteratura tenessero il centro e costituissero il criterio per la formazione del giovane, al quale certo non sarebbero mancate le nozioni elementari dell'aritmetica e della scienza. Accanto al ginnasio-liceo, destinato a formare le future élites dirigenti e, comunque, gli strati più alti della popolazione, la scuola riformata prevedeva quattro indirizzi fondamentali a cui, come ha scritto S. Romano, corrispondevano quattro distinti ruoli sociali; e altresì prevedeva che l'educazione impartita nelle elementari sarebbe stata completata, per i figli del popolo, con tre anni di complementare, mentre una scuola industriale e tecnico-commerciale, integrata da un istituto tecnico per chi avesse inteso proseguire nello studio, avrebbe corrisposto alle esigenze formative di queste professioni, insieme con una scuola magistrale, proseguibile in un magistero universitario, per certe parti analogo alla facoltà di lettere e filosofia.  Le critiche che a questo modello di scuola, qui sommariamente descritto, furono rivolte posero subito in rilievo il carattere conservatore, statico e anche classista di una struttura a cui faceva in effetti riscontro l'idea di una società immodificabile nei suoi equilibri politici ed economici. E forti furono subito, da parte di non pochi, le riserve avanzate circa il ruolo riservato al ginnasio-liceo, nel quale lo studio delle due lingue classiche, il latino e il greco, prevaleva su quello delle lingue moderne e, nel complesso, la parte riservata alle lettere appariva rispetto a quella fatta alle scienze naturali, predominante. Si aggiungano le critiche rivolte all'abbinamento, nel liceo, della filosofia e della storia, e anche della matematica e della fisica; e sopra tutto al primo, che sconvolgeva antiche abitudini sia degli storici, sia dei filosofi, alquanto astrattamente dedotto da una teoria e che in concreto non aveva, e non ebbe, il potere di rendere filosofi gli storici, e storici i filosofi. E infine non si dimentichi che la riforma non piacque a molti cattolici, scontenti del potere che lo Stato veniva a esercitare sulle scuole private, e a non pochi laici, scontenti essi pure che la religione cattolica fosse diventata materia obbligatoria per tutti i cittadini dello Stato italiano.  Accanto alle molte critiche, occorre tuttavia anche ricordare e sottolineare che la riforma gentiliana nasceva da una visione coerentemente unitaria, e certo non era la veste di Arlecchino che altrimenti (e come poi è accaduto) avrebbe rischiato di essere: tante idee di diversa provenienza mal combinate e peggio tenute insieme dallo spirito deteriore del compromesso politico. Per quanto concerne il rilievo (certo non infondato) di elitismo e persino di classismo, conviene dimenticare il nodo che, per parafrasare ALIGHIERI, tiene al di qua di ogni ragionevole traguardo chi, ripugnando all'idea di fare delle classi economiche più forti le vere destinatarie dell'alta cultura, intesa perciò come strumento di conservazione e di trasmissione del potere, con alquanta semplicità di spirito ritenga che la difficile questione si risolva col "democratizzare" la cultura, ossia con l'estenderne l'ambito e abbassarne il livello. L'esigenza che G. (e questo non può essere negato) cercava di realizzare, e che per alcuni versi si traduceva in istituti didattici inadeguati, era diretta a far entrare nelle menti che "cultura" significa, in primo luogo, la grande difficoltà che s'incontra nel tentativo che si faccia di conseguirla: un tentativo che va a buon segno soltanto se ci si impegna nell'acquisizione degli strumenti tecnici, storici, linguistici, filosofici, scientifici, senza i quali il mondo del sapere non dischiude i suoi tesori. Ma qui, su questo difficile problema, che tende a tornare insoluto dinanzi a chi pur lavori nel tentativo di risolverlo, occorre non insistere.  All'apparenza con una decisione improvvisa, che non fu comunicata se non a Mussolini, che doveva essere informato, e della quale nemmeno Croce fu messo al corrente, G. si iscrive al PARTITO NAZIONALE FASCISTA. E sulle ragioni che lo indussero, mentre era ministro, a compiere questo passo, che certo non era privo di gravi conseguenze, si è molto discusso; e da alcuni si è avanzata l'ipotesi che a prendere questa decisione, che rese contenti i suoi allievi romani, ma non altri che ne rimasero invece alquanto sgomenti, egli fosse indotto da due diverse, ma convergenti, persuasioni.   La prima, che quello fosse l'esito necessario non tanto dell'idealismo attuale, che con il fascismo in quanto tale poco aveva in comune, quanto piuttosto della riflessione da lui condotta nei passati anni sulla storia d'Italia e sulla possibilità che ora il fascismo aveva nelle mani di reintegrarne in unità le secolari scissioni e lacerazioni, la politica imbelle e la letteratura vuota, compiendo il Risorgimento. L'altra, immediatamente pratica e politica, che la riforma sarebbe stata meglio difesa, e altrimenti non potesse esserlo, se il liberale che egli era, ed era considerato, avesse mostrato di condividere senza riserve la convinzione mussoliniana e fascista e avesse così posto termine, o almeno un freno, alle critiche che gli si muovevano e alle diffidenze da cui era circondato.  In ogni caso, il passo che doveva decidere il destino di G. era compiuto. Ed è quanto meno dubbio che, se lo compì anche per salvare la riforma dalle forze che l'avversavano e minacciavano di impedirne l'attuazione, quel passo servisse veramente allo scopo. I mesi che precedettero l'assassinio di Matteotti, e che videro quattro giorni dopo le sue dimissioni dal governo, furono drammaticamente segnati da gravi difficoltà, a superare le quali non bastarono né il tattico appoggio datogli dal capo del governo, né gli inviti alla resistenza provenienti dai suoi scolari e amici romani, né il sostegno deciso di Croce che, malgrado il sempre più netto incrinarsi dei loro rapporti e la frattura che entrambi sapevano, in cuor loro, inevitabile, non glielo fece mancare e, nella sua impresa di ministro, lo sostenne. Le dimissioni dal governo non furono un atto di autonomia, di distacco dal fascismo che si era macchiato di un gravissimo delitto, di opposizione alla sua politica. Furono, infatti, da lui motivate con pure ragioni di opportunità politica e nell'interesse sia del governo, sia di colui che lo presiedeva: ossia con l'argomento secondo cui le opposizioni delle quali la sua riforma era da tempo l'oggetto potessero diventare un pretesto per colpire Mussolini o avessero comunque, pretesto o no, a indebolire la posizione politica di lui che, all'improvviso, era venuto a trovarsi in una situazione obiettivamente molto difficile.  Accusato apertamente dalle opposizioni di essere il responsabile e il materiale mandante del delitto, MUSSOLINI è allora non solo in pericolo, ma sembrava altresì aver perduto la sicurezza e la spregiudicatezza che, in momenti non altrettanto gravi, erano sembrate la dote precipua del suo essere un politico nuovo, estraneo alle astuzie deteriori e alle infinite mediazioni della prassi parlamentare. E, proprio perché sull'indecisione dimostrata da Mussolini egli ebbe allora, in lettere private, a formulare critiche precise - nonché il timore che quello smarrisse la via e naufragasse -, proprio per questo il proposito di rendergli il più possibile sgombro di ostacoli il cammino dovette sembrargli l'unico che un seguace fedele dovesse preoccuparsi di tradurre in comportamenti conseguenti.  Al fascismo, dunque, con quel gesto il G. non tolse il suo consenso, ma piuttosto lo rinnovò in un momento in cui non mancarono, fra i suoi allievi, quelli che, delusi dall'indecisione mussoliniana, lo esortavano a prender lui la guida effettiva, e cioè politica, del fascismo in crisi. Furono quelle settimane drammatiche, perché, oltre gli elementi obiettivi che rendevano tale la crisi, a coloro che, nel campo fascista, lo spingevano verso posizioni estreme si contrapponevano gli amici che, o antifascisti o in via di diventar tali, gli davano il consiglio opposto: non di rimanere nel partito di MUSSOLINI, ma, decisamente, di uscirne, mettendo in salvo una volta per tutte il suo "nome onorato". Drammatiche sono, in questo senso, le lettere che allora gli scriveno Radice, collaboratore fedele e amico fraterno, e Omodeo, uno degli allievi prediletti della scuola palermitana. Furono giorni, settimane, mesi molto difficili anche perché il dissidio con Croce, che, come si è detto, mai si era sul serio ricomposto e, come il fuoco la cenere, sempre aveva seguitato a sottendere i loro rapporti, giunse allora, finalmente, alla sua definitiva espressione. E quali, a determinare la rottura che in sostanza si consumò, possano essere stati gli episodi e le circostanze specifiche, sta di fatto che era la logica delle cose a rendere grave ogni episodio, ogni circostanza che, se tale logica non fosse appunto stata così forte e imperiosa, avrebbero, con ogni probabilità, potuto avere un esito diverso.  Sulle ragioni profonde che la determinarono e misero fine a un sodalizio durato quasi trent'anni, molte cose si dissero allora, molte sono state dette poi, quando parve che il distacco cronologico consentisse la serenità necessaria alla formulazione del giudizio. E questa non è la sede dove la questione possa essere analizzata in ciascuno dei suoi aspetti, filosofici, politici, psicologici; e si può ben dire che, per quanto attiene al suo concreto e determinato delinearsi e decidersi, essa risulti definita dalle due lettere che G. e Croce si scambiarono: essendo tuttavia quest'ultimo che, di fronte alla dolorosa meraviglia espressa dall'altro nell'apprendere che certi suoi comportamenti avevano seriamente messo in pericolo la prosecuzione, non solo del loro sodalizio scientifico, ma, addirittura, della loro amicizia, obiettò che al dissidio mentale nel quale da tempo si trovavano se n'era aggiunto un altro, di natura pratica e politica; e che le cose dovevano perciò fare il loro corso necessario, fino alle estreme conseguenze.  Le dimissioni che il G. presentò e che Mussolini accettò, nominando al suo posto il liberale, e grande amico di Croce, A. Casati, segnarono nella sua vita una svolta importante. Nella sua vita, s'intende dire, pubblica e politica; e non nei suoi sentimenti e convincimenti politici che, a quanto risulta, fino all'ultimo dei suoi giorni rimasero quelli che lo inducenno a chiedere la tessera del PARTITO FASCISTA. Non nei sentimenti e nei convincimenti, dunque. Ma nella vita pubblica e politica, sì. Al governo infatti G. non torna più. E alla politica del paese partecipa bensì, nei primi tempi, come presidente della commissione dei quindici (divenuta poi dei diciotto), il cui compito fu di svolgere una revisione costituzionale in senso autoritario dello Stato. Partecipò bensì come vicepresidente del consiglio superiore della pubblica istruzione: una carica importante, questa, che gli consentiva di vegliare sull'integrità della riforma, proteggendola da quanti avevano interesse a intervenirvi per alterarla e stravolgerla. Ma, intesa in senso stretto, dalla politica, in sostanza, egli allora uscì. E la sua partecipazione alla vita del regime fascista si realizzò nelle istituzioni culturali (per esempio, l'Istituto nazionale fascista di cultura, poi di cultura fascista) delle quali ebbe la cura e che presiedette; e se nei giornali e nelle riviste politiche alle quali normalmente collaborava non perse occasione per dire il suo parere su ciò che più da vicino lo toccava, l'argomento prescelto fu quasi sempre culturale, anche se mai egli mancò di collocarlo nel quadro costituito della sua fede fascista e della sua fedeltà al regime mussoliniano.  Almeno su due episodi occorre tuttavia, non essendo possibile in questa sede un più largo discorso, soffermarsi. E di questi uno era bensì di natura anche filosofica e culturale, perché implicava in modo preminente l'idea che da anni ormai egli aveva elaborato della filosofia e dello Stato che, identico alla filosofia, rappresenta il vertice stesso dell'autocoscienza; ma anche era di natura politica, e persino diplomatica, coinvolgendo direttamente l'azione del governo e del suo capo. Si allude al concordato con la S. Sede. E G. lo avversò in un pubblico discorso, che non ebbe conseguenze pratiche perché sulla via concordataria MUSSOLINI è deciso ad andare fino in fondo, e l'opposizione del filosofo formalmente rientrò: sebbene quell'episodio dovesse seguitare ad agire dentro di lui che, forse anche per questo, quasi volesse rinverdire dentro di sé quel gesto di autonomia non andato a segno, per tutta la vita polemizzò con i filosofi cattolici e, in modo particolare, con gli ambienti dell'Università cattolica del S. Cuore di Milano, in primis con Gemelli, che egli trattò con la mano rude che riservava a certe sue battaglie culturali e filosofiche.  L'altro episodio è costituito dalla battaglia che egli sostenne perché ai professori universitari fosse imposto il giuramento di fedeltà al regime fascista. E a parte le modalità con le quali e attraverso le quali si svolse; a parte il nesso con le vicende della replica che, per iniziativa di Amendola, e a nome di tanti e tanti intellettuali, Croce dette al Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da G.; a parte le tragiche ferite che questa imposizione apriva nella coscienza di tanti che innanzi a sé videro o la prospettiva della miseria o quella dell'abdicazione ai dettami dell'etica, c'è qualcosa che a questo riguardo merita di essere notato. E questo è il singolare concetto della "concordia" a cui, com'era accaduto persino nei giorni cupi della crisi aperta dell'assassinio Matteotti (e come ancora sarebbe accaduto vent'anni dopo nei mesi della Repubblica sociale), anche in quel caso G. si appella per sostenere che, se l'opposizione resa evidente e, anzi, drammatizzata dal conflitto dei due manifesti, il suo e quello di Croce, fosse stata superata da un formale atto di fedeltà al regime, l'unità sarebbe stata ristabilita e nessuna discriminazione avrebbe più avuto alcuna ragione d'essere nei confronti di dissenzienti che non erano, ormai, più tali. E la cosa singolare è che, nell'argomentare così, non solo egli mostrava di credere che, se il giuramento fosse stato dato, le ragioni del dissidio politico che ai suoi occhi lo aveva reso necessario sarebbero venute meno; ma addirittura riteneva che potesse essere e definirsi unità autentica quella che fosse stata conseguita per la via della coercizione e non per quella, da lui tante volte definita come l'unica possibile, della libertà, mediante la quale lo spirito costituisce sé stesso.  Quella dell'enciclopedia è l'impresa alla quale G. dedica la parte più viva della sua energia di grande organizzatore culturale. La parte più viva, e anche la più grande, la più impegnata e costante, quella con la quale il suo "tutto" quasi per intero giunse a coincidere. Quasi per intero; perché, accanto all'opera dell'Enciclopedia, occorre non dimenticare l'altro grande suo impegno, che fu costituito dalla Scuola normale superiore di Pisa, della quale ècommissario, quindi direttore, e che nella sua stessa persona difese dall'attacco mosso da Vecchi di Val Cismon che, divenuto ministro dell'Educazione nazionale, gli mostra intera la sua ostilità, giungendo anche a destituirlo. Il provvedimento del ministro è presto ritirato perché, sollecitato da G., nella controversia intervenne direttamente il capo del governo, che rimise al suo posto il filosofo; che poté così continuare la sua opera di potenziamento e di ammodernamento della Scuola, e rendere assai più agevole il soggiorno, e migliori le condizioni di studio, agli studenti interni. Dai quali dovette sopportare non poche manifestazioni di antifascismo, perché, fra La Sapienza e la Normale, per opera di alcuni giovani professori, e in primo luogo di Calogero, Pisa era diventata un centro assai vivo di opposizione al regime fascista.  Il consenso del quale questo aveva goduto fin verso la metà degli anni Trenta era andato impallidendo quando, con la guerra di Spagna e poi, con le leggi razziali, si ha netta l'impressione che l'allineamento alla Germania nazionalsocialista avrebbe avuto per conseguenza la tragedia di una seconda guerra europea e mondiale. E, ancora una volta, il G. si trovò a dover affrontare un conflitto, difficile e penoso, con i giovani che, direttamente o no, erano anche suoi allievi e non poco, comunque, avevano ricevuto da lui. Le testimonianze, scritte e anche orali, che rimangono di quegli anni pisani dicono di un suo atteggiamento incerto fra paternalismo e autoritarismo, fra benevole indulgenze e improvvise durezze. Un atteggiamento, questo, tipico di un uomo generoso e, nello stesso tempo, incapace di comprendere le ragioni del dissenso; e che, su un piano di ben altra drammaticità, si ripeté quando, avendo accolto e cercato di "sistemare" alcuni intellettuali tedeschi che avevano dovuto lasciare la loro terra perché ebrei (Kristeller, Löwith, Rubinstein, per citarne solo tre), la medesima questione gli si presentò, per gli ebrei italiani, in seguito alla promulgazione delle già ricordate leggi razziali. Anche in questo caso, infatti, quanto fu benevolo e comprensivo nei confronti dei perseguitati, altrettanto il suo atteggiamento fu debole nei confronti di chi di quella persecuzione si era reso responsabile. E se niente egli disse in quegli anni in difesa di provvedimenti che non potevano non ripugnargli profondamente, in pubblico non se ne dissociò.  Ma si diceva dell'Enciclopedia, nell'organizzare la quale, nel dirigerla, nell'avviarla alla sua realizzazione, G. seppe altresì formare, nella sede romana di piazza Paganica, un luogo di lavoro affatto particolare, segnato in profondità dalla sua energia, ma anche dal suo vivo senso della libertà della scienza, che in sostanza, tenendosi in difficile equilibrio fra il censore ecclesiastico e quello politico, egli seppe per lo più garantire agli studiosi che vi collaboravano e che, se non certo in maggioranza, in buon numero erano antifascisti o non fascisti.  Si pensi, per fare qualche nome, a Sanctis, che all'Enciclopedia seguitò a collaborare anche dopo che, per non aver voluto prestare il giuramento di fedeltà al regime, aveva dovuto rinunziare alla cattedra romana. Si pensi a Calogero, a Giusti, a Malfa, a Antoni, e ad altri che, se, come si è detto, non erano propriamente ostili al fascismo, nemmeno gli erano amici incondizionati; e qui si possono, per esempio, fare i nomi di Chabod, di Sestan, di Maturi.  A proposito dell'Enciclopedia sono state poste, tra le altre, due questioni: se il G. la concepisse come un grande monumento, fascista, da innalzare al fascismo, o se da questa idea si tenesse tanto lontano quanto per contro era convinto che quello dovesse essere un monumento italiano, frutto e documento dell'unica, ossia della più alta, cultura italiana; e, inoltre, se l'enciclopedia, quale il G. la concepì e disegnò, abbia patito la conseguenza della chiusura e dell'angustia della cultura idealistica e fosse perciò poco disposta a concedere alle scienze naturali, fisiche e matematiche, lo spazio che queste avrebbero richiesto e, beninteso, meritato. Alla prima deve rispondersi che, certo, nata in quegli anni e resa possibile dal fascismo, l'Enciclopedia appartiene al numero delle opere che allora si produssero. Ma fascista non è nella concezione, perché esplicitamente il G. sostenne il suo carattere in primo luogo scientifico, culturale e non politico. E fascista non è nel contenuto, perché, oltre a essere scritta da molti che fascisti non erano, e anzi al regime erano avversi, anche gli studiosi che aderivano al regime vi scrissero per lo più da studiosi e non da fascisti. Sì che, al riguardo, occorre distinguere e mantenere le distinzioni: aggiungendo (e con questo si passa all'altra questione) che, come non fu fascista nella concezione, così nemmeno fu "idealistica" nel senso vulgato, per il quale si dice "idealismo" e s'intende qualcosa come un oltraggio recato alla scienza. In realtà, come accanto a studiosi idealisti tanti altri vi scrissero che idealisti non erano affatto, così non sarebbe giusto dire che in generale le scienze vi fossero depresse, e che le relative voci non fossero affidate a studiosi di provato e, spesso, di grande valore.  Il lavoro svolto nelle Università di Roma e di Pisa, l'Enciclopedia, e quindi l'Università Bocconi di Milano, l'Istituto per il Medio e l'Estremo Oriente, il Centro nazionale di studi manzoniani (di cui G. è stato nominato commissario, e che è affidato alle cure sapienti di Barbi e del suo collaboratore Ghisalberti) non resero però meno intensa la sua attività di studioso. Certo, venne meno in G. la possibilità e, con questa, anche l'interesse, di coltivare la ricerca storica nelle forme che questa aveva assunto, presso di lui, negli anni precedenti. Ma nel 1931, rielaborazione di un corso tenuto nell'Università di Roma, dove (come già si è ricordato) era succeduto al Varisco sulla cattedra di filosofia teoretica, il G. pubblicava La filosofia dell'arte, documento di aspra polemica anticrociana, ma anche, nello stesso tempo, rielaborazione dell'idealismo attuale dal punto di vista del sentimento, interpretato ora come una sorta di grande Grundakkord, presentante tratti di essenzialità e precategorialità della stessa vita spirituale. E quindi pubblicava l'Introduzione alla filosofia, raccolta di scritti concernenti l'esame dei concetti fondamentali della filosofia, studiati e prospettati dal punto di vista conseguito dall'idealismo attuale. E senza la pretesa di ricordare tutti i tanti scritti, spesso di varia occasione, che egli allora compose e con i quali fu presente nel dibattito e nella vita culturale del paese, converrà tuttavia far menzione degli scritti dedicati ai poeti, e cioè, in pratica, a Dante (La profezia di Dante, Roma; Il Purgatorio, Firenze), a Manzoni e infine a Leopardi, il più amato, e quello altresì al quale dette forse il contributo, in questo campo della critica letteraria, più notevole (Manzoni e Leopardi, Milano; Commemorazione di Leopardi, Roma; Poesia e filosofia di Leopardi, Firenze).  Se la si osserva dall'alto, e la si scruta nel non breve periodo seguito alle battaglie per la riforma della scuola, contro il concordato, per l'istituzione del giuramento da imporre ai professori delle università, la vita di G. sembra, come si è detto, svolgersi prevalentemente all'interno delle istituzioni culturali delle quali ebbe la cura. E qui, fra le luci e le ombre di queste molteplici attività, che lo condussero anche all'acquisto della Sansoni, si ha quasi l'impressione che il personaggio sfugga a una definizione; che, malgrado la sua spesso ingombrante presenza, ci fosse in lui qualcosa di segreto, di irriducibile, con il quale egli era forse il primo a non voler prendere, fino in fondo, contatto.  L'uomo era orgoglioso, sicuro di sé: tollerante, come si è detto, ma anche deciso e prepotente. E non avrebbe mai consentito che qualcuno spingesse, o provasse a spingere, lo sguardo per andare al di là di quella spessa corazza attivistica, dietro la quale si muovevano forse più cose di quante amici, nemici, egli stesso supponessero. Mentre impediva che altri penetrasse nel suo animo, non era certo lui quello che fosse disposto ad aprirlo perché egli stesso vi guardasse dentro. Un contributo gentiliano alla "critica" di sé stesso sembra, francamente inconcepibile. Non senza perciò che un moto di stupore si determinasse nell'ambito di chi vi conduceva qualche ricerca, dal suo archivio sono emersi alcuni inediti dedicati alla questione della morte, ossia a un tema, per il teorico dell'idealismo attuale, insidioso fin quasi al limite dello "scandalo" (filosofico).  Da qualche altro indizio documentario può desumersi che se la fedeltà che lo legava al FASCISMO non venne meno e intatta rimase l'ammirazione per Mussolini e inconcussa la fiducia in lui, nei confronti del razzistico nazionalsocialismo il G. mostrò tutt'altro che inclinazione o simpatia. Il che peraltro non gli impedì di accettare senza discussione alcuna la guerra che coinvolse tragicamente anche l'Italia. Nei tre anni successivi - in quei tre anni così gravi di disastri, di distruzioni, di sconfitte, e anche di dolorosi lutti familiari, mentre il nesso che aveva unito le coscienze alla patria si spezzava, perché la difesa di questa non s'identificava più, per molti, con la difesa della libertà, da vent'anni perduta -, in questi tre anni G. scelse il silenzio; che fu rotto solo in poche occasioni: quando esaltò in un articolo il Giappone guerriero, che, nei modi noti era entrato in guerra attaccando gli Stati Uniti d'America; e quindi con il famoso discorso agli Italiani del 24 giugno 1943.  È difficile dire come, dentro di sé, G. valutasse il dissenso politico sempre più vivo nei confronti del regime, e che egli non poteva non cogliere nei giovani con i quali, a Roma e a Pisa, aveva frequente contatto: anche se è indiscutibile che di quel dissenso, di quell'avversione, del progressivo distacco dal fascismo di molti che pure in questo avevano creduto e riposto speranze, egli non partecipò, chiuso nel suo sentimento di fedeltà come in una fortezza della quale convenisse non abbassare, bensì, piuttosto, tenere ben alzati i ponti levatoi. È questa, come si sa, la ragione per la quale egli accettò l'invito rivoltogli dal segretario del partito fascista, Scorza, di pronunziare dal Campidoglio un discorso che si rivolgesse agli Italiani, impegnati nella terribile prova della guerra e che, da qualche settimana avevano ormai il nemico in casa, fortemente attestato nella terra siciliana. Accettò l'invito che altri, interpellati prima di lui, avevano declinato. Salì sul Campidoglio, e pronunziò il suo discorso, che alcuni lodarono per il coraggio che aveva dimostrato e per il rischio al quale aveva in tal modo esposto la sua persona, e altri invece fortemente deplorarono e criticarono, cogliendovi come il segno della sua perdizione, del suo ribadito essersi reso estraneo a quel suo più profondo "sé stesso" dal quale non pochi avevano tratto una lezione di libertà. Certo, con quel suo discorso, così teso, così eloquente e così, politicamente, ingenuo, G. mostra intero il dramma, anzi rivelò la tragedia nella quale, forse al di là della sua stessa consapevolezza, si dibatteva.  Poi vennero la caduta di Mussolini e del fascismo, le umiliazioni che egli dovette subire quando il suo antico segretario al ministero della Pubblica Istruzione, Severi, divenuto a sua volta ministro nel governo formato da Badoglio, rese, senza alcuna seria ragione, pubbliche tre lettere che gli erano state da lui privatamente indirizzate a proposito, sopra tutto, di questioni concernenti la Scuola normale superiore di Pisa. Il che provocò giudizi aspri su di lui sia da parte dei fascisti che lo ritennero pronto a mettersi al servizio dei nuovi governanti, sia da parte di non pochi antifascisti uniti ai primi, in questo caso, da un non diverso giudizio.  Poi venne l'8 settembre, la cui notizia il G. apprese mentre si trovava a Roma, dove si era recato uno o due giorni prima, per affari personali, da Troghi, un piccolo paese sito a pochi chilometri da Firenze, nel quale, in una casa di campagna messa a disposizione sua e della sua famiglia dall'amico G. Casoni, aveva trascorso i mesi estivi, occupato a scrivere Genesi e struttura della società, il suo ultimo libro, estremo frutto di un corso di lezioni tenute all'Università di Roma. E le settimane successive furono quelle in cui, liberato Mussolini, e formatosi, con la proclamazione della Repubblica sociale, un governo fascista con sede a Salò, egli ricevette, tramite Biggini, divenuto ministro dell'Educazione nazionale, l'invito a recarsi al Nord per un incontro con il capo del governo, il "vecchio amico" al quale, ancora una volta, non poté non concedere quel che quello gli chiedeva. Così fu nominato presidente dell'Accademia d'Italia, trasferita da Roma a Firenze, dove fu sistemata a palazzo Serristori. E qui, dopo che il "commovente" incontro con l’amico" Mussolini aveva come riacceso in lui il desiderio di non starsene in disparte e, invece, di combattere la sua ultima battaglia, egli riprese il lavoro, cercando di riorganizzare l'Accademia e lavorando con i pochi soci che vi si recavano, assumendo la direzione della Nuova Antologia, cercando di riprendere contatti, e rapporti, per avviare nuove imprese. Ridette vita e autonomia, e questa è una circostanza singolare, la cui genesi richiederebbe qualche studio e attenzione, all'Accademia dei Lincei che infine era stata in parte assorbita nell'Accademia d'Italia, e quindi soppressa. E riprese ancora a collaborare ai giornali, perché, mentre gli eserciti alleati risalivano la penisola e alla guerra che investiva le città e le campagne un'altra si aggiungeva, di Italiani contro Italiani, gli sembrò che non si potesse non far di nuovo risuonare il tema della concordia e dell'unità.  Era un suo vecchio tema, una sua convinzione tenace che, nel livido e tragico teatro che era allora l'Italia, fu qual era stata durante la crisi seguita all'assassinio di Matteotti, e quindi al tempo del giuramento fascista imposto ai professori universitari, anche se, risuonando nella solitudine e nel gelo che circondavano la sua persona, il suo accento risultasse ancora più livido, ancora più tragico. Il G. riprese quel tema nel fosco crepuscolo dell'Italia fascista, forte lui della convinzione che gli Italiani sarebbero tornati a esistere come soggetti politici solo se fossero retroceduti al di qua delle ideologie e qui, in questo luogo ideale, avessero ritrovato la loro unità e identità di Italiani. Era una convinzione nutrita di illusione; e che fosse tale, si comprende non solo se le sue parole siano ripensate nel clima di quel tragico inverno, ma anche se si riflette sullo scambio logico sul quale, ancora una volta, si fondavano, e che si rivela non appena si consideri che per un verso sembrava che la conciliazione, la concordia, la ritrovata unità e identità dovessero realizzarsi in un luogo ideale, irraggiungibile dalle ideologie, dal fascismo, dunque, e dall'antifascismo, mentre per un altro era la Repubblica sociale a rappresentare, nel segno dell'italianità, quel luogo ideale.  Ancora una volta le diverse componenti della sua anima, quelle che, nel loro contrasto, conferiscono alla sua personalità un'inconfondibile dimensione tragica, urtarono violentemente l'una contro l'altra. E la fedeltà mantenuta usque ad mortem al fascismo si accompagnò alla protesta che egli più volte elevò contro le atrocità alle quali intanto si dava luogo, da parte dei fascisti, con torture, uccisioni, gravi violenze.  La sua morte, avvenuta per mano di un commando partigiano comunista, che lo attese nei pressi della Villa Montalto al Salviatino, sulle colline di Firenze dalla parte di Fiesole, nella tarda mattina, al suo ritorno a casa dopo la mattina trascorsa al lavoro a palazzo Serristori, fu perciò anch'essa una morte violenta. E suscitò molta emozione, anche fra coloro che lo avevano combattuto e mai avevano perdonato a lui, filosofo dell'atto e della sua assoluta libertà, la scelta fascista, cui era rimasto fedele.  Due domande, semplici, ovvie e altrettanto inevitabili, si pongono, e sono state poste, a proposito della sua ultima scelta politica e sulle ragioni che determinarono la decisione di ucciderlo. E la risposta non è, per quanto concerne la seconda, altrettanto semplice di quella che può e deve darsi alla prima. Alla Repubblica sociale il G. aderì per le ragioni da lui stesso addotte; perché si trattava non di scegliere di nuovo, ma di ribadire, nel momento del supremo pericolo, la scelta fatta vent'anni innanzi. E non c'era calcolo politico che bastasse a mettere in crisi questa decisione, perché l'intero universo si concentra e vive nell'atto puro, e quel che resta fuori non è se non calcolo, astuzia: ossia, a rigore, niente. Alla seconda domanda rispondere si potrà in modo adeguato quando nuovi documenti interverranno a far luce nelle molte zone oscure che tuttora impediscono di vedere tutta la verità; che emergerà quando e se emergerà: e allora si vedrà fino a che punto nella decisione di uccidere il G. che aveva rinnovato il suo legame con il fascismo e con Mussolini siano entrate anche valutazioni politiche non direttamente note a quanti, sulla collina fiorentina, spezzarono il filo della sua vita. Qui basterà ricordare che nella chiesa di S. Croce, in Firenze, il nome del G. indica, sul pavimento, il luogo della sua sepoltura.  Opere. Le opere complete del G., raccolte via via durante la vita dell'autore, prima da Laterza (Bari), poi da Treves-Tumminelli (Milano e Roma), quindi da Sansoni (Firenze), furono riprogettate e stampate dopo la morte del G. e la fine della guerra mondiale da questo medesimo editore, al quale subentrò negli ultimi anni, ma senza alcuna mutazione di veste tipografica e di caratteri, l'editrice Le Lettere, sempre di Firenze. L'edizione definitiva rispetta fondamentalmente le partizioni già previste dal G., e cioè: Opere sistematiche; Opere storiche; Opere varie alle quali due si aggiungono, una IV, Frammenti, e una V, Epistolari. A queste cinque partizioni si è unita di recente, una VI di Scritti inediti e vari, nella quale sono apparsi fin qui Eraclito. Vita e frammenti (con il facsimile del manoscritto della traduzione di Diels), a cura di H.A. Cavallera, premessa di F. Adorno, Firenze 1996, e La filosofia della storia. Saggi e inediti, a cura di Schinaia, premessa di Garin. A parte questi due ultimi, i volumi fin qui pubblicati delle Opere complete sono quarantanove, perché ancora in preparazione risulta il XXIX, dedicato a B. Spaventa; e aumenteranno, negli anni a venire, nella sezione comprendente i Carteggi, alcuni dei quali sono già in lavorazione, come quello con G. Calogero, a cura di C. Farnetti, e l'altro con G. Chiavacci, a cura di M. Simoncelli.   Qui converrà ricordare in quanto inserite nel testo della voce le principali opere del G.: Rosmini e Gioberti, Pisa; La filosofia di Marx, ibid. 1899; Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari; I problemi della scolastica e il pensiero italiano; La riforma della dialettica hegeliana, Messina; Sommario di pedagogia come scienza filosofica, I, Pedagogia generale, Bari; II, Didattica, ibid.; Teoria generale dello spirito come atto puro, Pisa; I fondamenti della filosofia del diritto, ibid.; Sistema di logica come teoria del conoscere, La logica dell'astratto, La logica del concreto, Bari; Le origini della filosofia contemporanea in Italia,, Messina; Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono, Firenze; La filosofia dell'arte, Milano; Introduzione alla filosofia, ibid.; Genesi e struttura della società, Firenze.   Fra i carteggi, quello con Croce, comprendente le sole lettere del G., è raccolto in Lettere a B. Croce, cur. di Giannantoni, Firenze (il testo di riferimento è Croce, Lettere a Gentile, a cura di Croce, con introd. di Sasso, Milano). Ma sono anche usciti: G. - Jaja, Carteggio, a cura di Sandirocco, Firenze; G. - Omodeo, Carteggio, a cura di Giannantoni; G.  - Maturi, Carteggio, a cura di Schinaia, Gentile - Pintor, Carteggio, a cura di E. Campochiaro, Fonti e Bibl.: Tre sono le biografie fin qui dedicate a G.: Lalla, Vita di G., Firenze; Romano, G.: la filosofia al potere, Milano; G. Turi, G. G.: una biografia, Firenze. Si aggiungano i ricordi e le testimonianze di Gentile: G.: dal Discorso agli Italiani alla morte, Firenze; Ricordi e affetti, Firenze. Sulla uccisione di G., v. Canfora, La sentenza. Marchesi e G., Palermo, dove si trova l'indicazione della precedente bibliografia relativa a questa pagina non ancora definitivamente scritta. Cfr. anche Sasso, La fedeltà e l'esperimento, Bologna. La bibliografia su G. è assai ampia: per gli scritti di G. ci si deve ancora servire della Bibliografia degli scritti di G., a cura di V.A. Bellezza, in G.: la vita e il pensiero, Firenze, e anche di Il pensiero di G. Gentile. Atti del Convegno, Roma. Per gli scritti, si veda: Bonechi, Croce - G.: bibliografia Giornale critico della filosofia italiana. In questo ambito per un primo orientamento si può innanzi tutto cercar di distinguere fra quanto di e sul G. è stato scritto dai principali discepoli delle sue due scuole, la palermitana e la romana, e cioè da V. Fazio-Allmayer, da Omodeo, Albeggiani, Ruggiero, e quindi Spirito, Volpicelli, Volpicelli, Calogero, Chiavacci, lo stesso Carlini, ecc. in ciascuna delle loro opere, e quanto invece al pensatore siciliano è stato dedicato con esplicita intenzione storiografica. Non sempre agevole da rispettare, la distinzione può tuttavia essere di qualche utilità; e qui si indicheranno gli scritti appartenenti alla seconda classe (mentre per la storia "filosofica" dell'attualismo, può vedersi Negri, G. G., Firenze; cfr. anche A. Lo Schiavo, Introduzione a G., Bari). Sono, innanzi tutto, da tener presenti gli studi raccolti nei quattordici volumi della serie G.: la vita e il pensiero, Firenze. Si veda quindi: G. De Ruggiero, La filosofia contemporanea, Bari; U. Spirito, Il nuovo idealismo italiano, Roma; Id., L'idealismo italiano e i suoi critici, Firenze; La Via, L'idealismo attuale di G. G., Trani; Sarlo, G. e Croce. Lettere filosofiche di un superato, Firenze; Calogero, Il neohegelismo nel pensiero contemporaneo, in Nuova Antologia; Holmes, The idealism of G. G., New York Carabellese, L'idealismo italiano, Roma; Guzzo, Sguardi sulla filosofia contemporanea, Roma, Ciardo, Un fallito tentativo di riforma dello hegelismo: l'idealismo attuale, Bari; E. Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari; Harris, The special philosophy of G. G., Urbana, IL; A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienza idealistica in Italia, Padova Spirito, G., Firenze, Noce, Il suicidio della rivoluzione, Milano; Bellezza, La problematica gentiliana della storia, Roma; Noce, G. G.: per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Negri, L'inquietudine del divenire. G. G., Firenze, Sasso, Filosofia e idealismo, G., Napoli. Armando Girotti. Girotti. Keywords: la curva, la curva della bellezza, la linea, la linea della bellezza, storia storica, non filosofica – unita longitudinale – longamiranza, distillizione filosofica – Gentile, il Gentile di Girotti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girotti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Gitio: la ragione conversazionale e a setta di Locri -- Roma – scuola di Locri – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Locri, Calabria -- According to Giamblico, a Pythagorean.

 

Grice e Giudice: la ragione conversazionale al rogo -- l’implicatura conversazionale di Bruno – filosofia napoletana – scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo Italiano. Napoli, Campania. Grice: Grice: “Giudice amply proves my trust in the worth of the longitudinal unity of philosophy, for Giudice has unearthed some philosophical minutiae in Bruno – like his tract to Sir Philip Sidney on ‘Atteone,’ which are jewels of implicature!” -- “For Italian philosophy, Bruno is interesting: it’s not all saints like Aquinas; they had hereetics, too – and usually the heretics had a better philosophical background – into what the Italians called the lovely ‘hermetic tradition’ – we used to have one at Oxford in pre-lib days!” -- Grice: “If I am a Griceian, Giudice is a Brunoian – the Italians prefer ‘brunista’ or ‘bruniano,’ but I follow Katz is respecting the full surname – if it is ‘bruno,’ you add things, you don’t substract things!” Essential Italian philosopherwho has studied in depth the origin of philosophy in the Eleatic school. Si laurea a Napoli e studia BRUNO e la filosofia del rinascimento. Fonda la Societa Bruno. Altre opera: “BRUNO” (Marotta e Cafiero Editori, Napoli); “La coincidenza degl’opposti” (Di Renzo, Roma); “Bruno, Rabelais e Apollonio di Tiana, Di Renzo, Roma); “Due Orazioni. Oratio Valedictoria e Oratio Consolatoria, Di Renzo, Roma, “La disputa di Cambrai. Camoeracensis acrotismus, Di Renzo, Roma); “Il Dio dei Geometri” quattro dialoghi, Di Renzo, Roma); “Somma dei termini metafisici”; “Tra alchimisti e Rosacroce, Di Renzo, Roma, “Io dirò la verità. Intervista a Bruno, Di Renzo, Roma, “Contro i matematici, Di Renzo, Roma, “Il profeta dell'universo finite” – “Epistole latine, Fondazione Luzi,. Scintille d'infinito” (Di Renzo Editore).  BRUNO, Giordano (Philippus Brunus Nolanus; Iordanus Brunus Nolanus, il Nolano). Nacque a Nola, nel Regno di Napoli, figlio di Bruno, uomo d'arme, e di Fraulisa Savolino: è battezzato con il nome Filippo. Della città natale, dove trascorse l'infanzia e iniziò i primi studi, conserva poi sempre un ricordo nostalgico. Si reca a Napoli per studiare lettere, logica e dialettica: in quello Studio ebbe come maestri il Sarnese (COLLE (si veda)), filosofo di tendenze averroiste, e fra' Teofilo da Vairano, agostiniano, da lui ricordato in seguito con sincera ammirazione. La lettura di uno scritto di Pietro Ravennate suscitò fin da allora in lui l'interesse per la mnemotecnica. Con una incipiente formazione laica, entra come chierico nel convento napoletano di S. Domenico Maggiore, dove assunse il nome Giordano (forse in onore del domenicano fra' Giordano Crispo, maestro allo Studio) e quel nome ritenne poi sempre, salvo che per una breve parentesi. Mal compatibile, per carattere e prima formazione, con la regola conventuale incorse nelle prime infrazioni per aver spregiato il culto di Maria, nonché quello dei santi (una denuncia contro di lui venne allora stracciata dal maestro dei novizi).  Con cautela va accolta la notizia da lui in seguito fornita (Doc. parigini) di un invito a Roma per mostrare la propria abilità mnemonica a Pio:va però notato che allo stesso pontefice il B. dichiarò di aver dedicato L'arca di Noè,operetta smarrita di argomento morale (Dialoghi italiani).  Ordinato suddiacono e poi diacono, venne consacrato sacerdote dopo aver compiuto i ventiquattro anni, e celebrò la prima messa nella chiesa del convento domenicano di S. Bartolomeo a Campagna, presso Salerno. Dopo aver soggiornato in altri conventi del Napoletano, fece ritorno allo Studio di S. Domenico Maggiore in Napoli come studente formale di teologia: il curriculum quadriennale comprendeva un corso speculativo (prima e terza parte della Summa tomista) e un corso morale (seconda parte della Summa,alternabile con il quarto libro delle Sentenze di PLombardo esposte da Capreolo). È da ritenere che il B. abbia superato gli esami annuali, e quelli di licenza, per cui sostenne le tesi "Verum est quicquid dicit D. Thomas in Summa contra Gentiles" e "Verum est quicquid dicit Magister Sententiarum" (Doc. parigini).  Tali studi, se da una parte suscitarono in lui una non mai smentita ammirazione per l'opera d’AQUINO (si veda), d'altra parte dovettero ingenerargli quel fastidio per "les subtilitez des scholastiques, des Sacrements et mesmement de l'Eucharistie" (Doc. parigini,), con il conseguente disinteresse per la problematica teologica manifestato in seguito nelle proprie opere come pure, più tardi, in sede processuale. Fin dagli anni conventuali mostrò per contro interesse per opere estranee al curriculum, nonché decisamente vietate, quali i "libri delle opere di S. Grisostomo e di S. Ieronimo con li scolii di Erasmo" (Doc. veneti). Ciò che, unitamente all'espressione dei propri dubbi circa il dogma della Trinità durante una discussione sulla eresia ariana, portò all'istruzione di un processo a suo carico da parte del padre provinciale (con l'occasione venne ricostruito anche il precedente atto d'accusa già distrutto): in una scrittura smarrita inviata a Roma egli doveva figurare come sospetto di eresia.  Mentre il processo veniva iniziato, il B. non esitò ad abbandonare il convento e la città, probabilmente nel febbraio 1576, e nello stesso mese dové giungere a Roma, dove prese alloggio nel convento di S. Maria sopra Minerva, confidando forse che il proprio caso passasse ignorato tra i disordini che turbavano la città. Egli stesso venne però coinvolto in tali disordini e imputato di "aver gettato in Tevere chi l'accusò, o chi credette lui che l'avesse accusato a l'inquisizione" (Doc. veneti, I): imputazione infondata (come è mostrato dal mancato riferimento ad essa nelle successive vicende processuali), con tutto che un secondo processo contro di lui venne istruito dall'Ordine dei predicatori. Dopo i primi mesi di quell'anno, saputo che i propri libri erasmiani erano stati rintracciati a Napoli, B., deposto l'abito, abbandonò Roma, raggiunse GENOVA e si trattenne a insegnando la grammatica a figliuoli e leggendo la Sfera a certi gentilomini (Doc. veneti). Da NOLI passa a SAVONA e quindi a Torino; di lì, non avendovi trovato trattenimento a sua satisfazione", si recò a Venezia, dove si trattenne non più di due mesi, facendovi stampare, allo scopo di guadagnare qualcosa, "un certo libretto intitolato De' segni de' tempi", da lui fatto esaminare dal domenicano Remigio Nannini: opera pur questa smarrita. A Padova fu persuaso da alcuni domenicani a indossare l'abito pur quando non avesse voluto rientrare nell'Ordine: ciò che il B. fece dopo essersi recato, per Brescia, a Bergamo. Toccata Milano, lasciò l'Italia attraverso la Savoia, diretto a Lione: giunto a Chambéry e avvertito dai domenicani locali dell'ostilità che avrebbe incontrato nella regione, si trasferì a Ginevra, dove fin dal 1552 una comunità evangelica italiana era stata fondata dal marchese Gian Galeazzo Caracciolo di Vico.  A Ginevra, dimesso nuovamente l'abito, il B. si guadagnò da vivere come correttore di bozze tipografiche. Risulta tuttavia che egli aderì formalmente al calvinismo, come provato non tanto dalla immatricolazione universitaria autografa, quanto da un processo per diffamazione ai danni del titolare di filosofia Antoine de la Faye, istruito contro di lui dal concistoro: B. venne riconosciuto colpevole e virtualmente scomunicato. Dopo un debole tentativo di difesa, egli si riconobbe colpevole, pregò di essere riammesso alla cena, e il giorno 27 venne prosciolto dalla scomunica. Tale episodio (che avrebbe lasciato tracce durevoli nelle sue opere mediante la propria polemica anticalvinista) determinò la sua partenza da Ginevra.  Recatosi questa volta a Lione, non avendovi trovato modo di sostentarsi, vi si trattenne solo un mese e si recò quindi a Tolosa, che era proprio in quel tempo uno dei baluardi della ortodossia cattolica: ciò che dimostra la portata della sua reazione anticalvinista, confermata anche dal tentativo che allora fece di ottenere l'assoluzione da un padre gesuita. La mancata assoluzione, "per esser apostata" (Doc. veneti), non gli impedì di essere invitato "a legger a diversi scolari la Sfera, la qual lesse con altre lezioni de filosofia forse sei mesi" (Doc. veneti), nonché di conseguire il titolo di magister artium: ed ottenere per concorso il posto allora vacante di lettore ordinario di filosofia: onde lesse, "doi anni continui, il testo del LIZIO De anima ed altre lezioni de filosofia". Da accenni fatti più tardi dallo stesso B., è dato inferire che il suo insegnamento incluse lezioni di fisica, matematica e lulliane. Risale a quest'epoca la composizione della Clavis magna, trattato mnemotecnico-lulliano rimasto inedito e smarrito.  Si delineò una ripresa della lotta tra cattolici e ugonotti, e il B. dové lasciare Tolosa "a causa delle guerre civili" (Doc. veneti, IX). Trasferitosi a Parigi, vi intraprese "una lezion straordinaria", cioè un corso di trenta lezioni su altrettanti "attributi divini, tolti d'AQUINO (si veda) dalla prima parte, che alcuni vogliono costituisse l'operetta inedita e smarrita "di Dio, per la deduzion di certi suoi predicati universali" (Doc. veneti). A Parigi non poté accettare un lettorato ordinario per l'obbligo - che, come apostata, non volle assumersi - di frequentare la messa; tuttavia conseguì tale rinomanza mediante il lettorato straordinario, che, come ebbe a dichiarare egli stesso, "il re Enrico terzo mi fece chiamare un giorno, ricercandomi se la memoria che avevo e che professava, era naturale o pur per arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con quello che li dissi e feci provare a lui medesimo, conobbe che non era per arte magica ma per scienza" (Doc. veneti): episodio che ben si comprende tenendo conto del fatto che la corte francese era frequentata da intellettuali come Perron e Tyard di cui sono noti gli interessi per il sapere enciclopedico e l'arte della memoria come strumenti per un piano di riforma culturale. Tuttavia i rapporti del B. con la corte - che sarebbero durati, direttamente o indirettamente, per circa un quinquennio - si spiegano altresì sul piano ideologico-politico, ove si tenga conto dell'analogia tra l'equidistanza bruniana dal rigorismo cattolico e da quello protestante, e la posizione mediana dei politiques, che controllavano la corte, tra l'estremismo cattolico dei ligueurs e quello protestante degli ugonotti.  Durante questo primo soggiorno parigino apparvero a stampa le prime operette bruniane a noi pervenute: il Deumbris idearumcon raggiunta dell'Arsmemoriae, opera mnemotecnica e lulliana stampata da Gourbin, da B. dedicata ad Enrico III, il quale "con questa occasione lo fece lettor straordinario e provisionato" (Doc. veneti, IX: egli venne cioè a far parte del gruppo dei lecteurs royaux, tendenzialmente contrari al conformismo aristotelico della Sorbonne); seguì, nello stesso anno, il Cantus circaeus, operetta mnemotecnica stampata da Gilles e dedicata, per conto del B., da Regnault ad Angoulême, fratello naturale del re, essendo B. stesso "gravioribus negociis intentus" (Opera); quindi il De compendiosa architectura et complemento Artis Lullii (Gourbin) dedicata dal B. all'ambasciatore veneto Giovanni Moro.  La prima parte del De umbris rielabora materiale lulliano e mnemotecnico ai fini di una ricerca gnoseologica che presuppone, platonicamente, una corrispondenza tra mondo fisico e mondo ideale; la seconda e terza parte costituiscono un manuale mnemotecnico per cui il B. attinge in particolare al ravennate (l'impostazione didascalica è ripresa nell'Ars memoriae, in cui elementi della tradizione astrologico-ermetica si inseriscono nella elaborazione lulliana e mnemotecnica, fermo restando l'intento gnoseologico). Il Cantus circaeus, in due dialoghi, presenta un'applicazione concreta dell'ars esposta nel De umbris, non senza un'intenzione satirica che sarà poi sviluppata nello Spaccio. Il De compendiosa architecturarielabora gli elementi tecnici del lullismo allo scopo di offrire uno strumento gnoseologico per cui l'ordine universale risulta riflesso nello schema simbolico. B. terminava la composizione dell'unica sua commedia, il Candelaio, stampata prima della fine dell'anno (anteriormente forse al De compendiosaarchitectura) da Guillaume Julien figlio. Sul frontespizio l'autore si definiva "Academico di nulla Academia, detto il Fastidito, in tristitia hilaris, in hilaritate tristis.  Il Candelaio, scritto in un volgare popolaresco ricco di napoletanismi plebei, ma non senza echi della tradizione burlesca rinascimentale (Aretino, Berni, ecc.) accanto a moduli parodici della retorica classica, riflette sul piano morale il momento di rottura con l'Ordine, né è da escludere che la composizione ne fosse stata iniziata prima dell'allontanamento dall'Italia. Dedicata Alla signora Morgana B., personaggio napoletano di non sicura identificazione, la commedia, di ambientazione appunto napoletana - la cui azione si svolge vicino al seggio di Nilo" - investe satiricamente tre materie principali e l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo e la pedanteria di Manfurio", in una sorta di applicazione alla vita morale del principio bruniano della corrispondenza e identificazione dei distinti nell'uno. Fin dalle pagine preliminari si notano del resto motivi che, riallacciandosi alla base teoretica dell'elaborazione lulliana e mnemotecnica delle operette latine, anticipano alcuni presupposti dei più tardi dialoghi filosofici ("Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s'annichila; è un solo che non può mutarsi...").  Dalla dedica del Candelaio si sono desunti due titoli di presunte opere smarrite del B. (Gli pensier gai e Il troncod'acqua viva), mentre nell'atto I, scena II, si trova citata un'ottava ("Don'a' rapidi fiumi in su ritorno") di un "poema" inedito e smarrito, cui appartiene forse anche l'ottava "Convien ch'il sol, donde parte, raggiri" citata tre anni dopo negli Eroici furori.  L'ambasciatore inglese a Parigi, Cobham, inviava un preoccupato messaggio al primo segretario del Regno d'Inghilterra, Walsingham, informandolo dell'intenzione del B. di passare in Inghilterra: la preoccupazione concerneva l'ambigua posizione bruniana in fatto di religione. L'arrivo del B. in Inghilterra, con lettere di raccomandazione di Enrico III per il proprio ambasciatore presso Elisabetta - il tollerante Michel de Castelnau (cui era affidato il compito delicato di sostenere la causa di Maria di Scozia presso la regina) -, è da porre nell'aprile. Da una parte il B. poté essere indotto a lasciare Parigi "per li tumulti che nacquero" (Doc. veneti) - o più esattamente per il delinearsi di quella reazione cattolica che due anni più tardi avrebbe indotto il re a revocare gli editti di pacificazione con i protestanti -; d'altra parte non è da escludere che il suo viaggio in Inghilterra potesse rientrare in un piano dei moderati francesi inteso a mobilitare la corrente politique inglese ai fini di una distensione politico-religiosa in Europa. Ma non è certo da trascurare la personale urgenza bruniana per una sua affermazione sul piano accademico-speculativo dopo i tentativi compiuti a Tolosa e a Parigi.  Al suo arrivo in Inghilterra B. prese dimora nella casa del Castelnau, a Butcher Row, dove "non faceva altro, se non che stava per suo gentilomo" (Doc.veneti). Fa una visita a Oxford, al seguito del conte palatino Laski: in tale occasione, pur non facendo parte degli oratori designati, sostenne un pubblico dibattito con i dottori oxoniensi, in particolare con il teologo Underhill, richiamandosi alla logica aristotelica in polemica con le posizioni ramiste. Rientrato a Londra, è da ritenere che indirizzasse allora la sua pomposa lettera Ad excellentissimum Oxoniensis Academiae Procancellarium, clarissimos doctores atque celeberrimos magistros (allegata ad alcuni esemplari della Explicatio triginta sigillorum), con la quale faceva istanza per l'ottenimento di una lettura a Oxford. Sebbene dai registri universitari non risulti che B. abbia tenuto un corso formale in quella sede, la sua stessa testimonianza di avervi tenuto "pubbliche letture, e quelle de immortalitate animae, e quelle de quintuplici sphaera" (Dialoghi italiani: vedi Doc. parigini, I, e Opera), risulta confermata dalla pur ostile testimonianza di George Abbot (cfr. McNulty), il futuro arcivescovo di Canterbury, allora membro del Balliol, da cui si apprende che, dopo la prima visita a Oxford, il B. vi tornò nel corso della stessa estate e vi iniziò un corso in latino sostenendo, tra l'altro, la teoria copernicana del movimento della Terra e della immobilità dei cieli: anticipando quindi pubblicamente quanto da lui elaborato nei dialoghi londinesi stampati l'anno seguente. Così il B. come l'Abbot concordano nell'affermare che tale corso venne interrotto per pressioni esterne (stando all'Abbot, il medico Martin Culpepper, guardiano di New College, e Matthew, decano di Christ Church, avrebbero rilevato un plagio bruniano nei confronti del ficiniano De vita coelitus comparanda: ciò che può essere inteso con riferimento ai prestiti ficiniani nella terminologia bruniana). Interrotto il corso dopo la terza lezione, rientrò a Londra, presso il Castelnau, ribadendo il proprio atteggiamento antiaccademico, in direzione quindi antiaristotelica e insieme antiumanistica.  A Londra il B. condusse la propria polemica culturale e speculativa sia in discussioni nell'ambito dei circoli paraccademici di corte, sia mediante la divulgazione a stampa delle proprie teorie già respinte dal pubblico universitario inglese. La prima opera pubblicata a Londra è un volumetto contenente l'Ars reminiscendi, l'Explicatio triginta sigillorum (preceduta in alcuni esemplari dalla già citata lettera agli Oxoniensi) e il Sigillus sigillorum. Solo per l'Explicatio e per la lettera è possibile precisare l'officina tipografica, che è quella di Charlewood, dalla quale sarebbero uscite tutte le rimanenti opere londinesi.  L'Ars reminiscendi è, con lievi varianti, una riproduzione dell'ultima parte del Cantus circaeus. Gli scritti che seguono portano la dedica all'ambasciatore francese, con parole di riconoscenza per la familiare ospitalità. L'elencazione dei triginta sigilli mostra che questi rappresentano la sintesi formale dei segni ovvero ombre delle cose e delle idee. Dalla Triginta sigillorum explicatio appare manifesto il presupposto gnoseologico del complesso simbolismo mnemotecnico bruniano. Nel Sigillus sigillorum si manifesta la fede del B. nell'unità del processo conoscitivo, cui corrisponde, sul piano ontologico, la fondamentale unità dell'universo. Alla innegabile utilizzazione di elementi propri alla tradizione platonico-alchimistica, fa qui riscontro l'assenza di preoccupazioni e tendenze d'ordine mistico-religioso: il carattere "speculativo" del Sigillusfa di quest'opera il legittimo antecedente della serie dialogica italiana.  Il mercoledì delle Ceneri, B. venne invitato a illustrare la propria teoria sul moto della Terra nella "onorata stanza" di Greville, a Whitehall, in compagnia di Florio e del medico Gwinne, essendo presenti due dottori oxoniensi sostenitori del sistema geocentrico e un cavaliere di nome Brown (in sede processuale tale riunione venne dichiarata come avvenuta invece in casa del Castelnau). La conversazione degenerò presto in un diverbio causato dalla intolleranza dei due dottori oxoniensi: sdegnato, il B. si licenziò dall'ospite e di lì a qualche giorno iniziò la stesura della Cena de le Ceneri (stampata nello stesso anno).  Tramite il resoconto della sfortunata discussione, il B. enuncia in questi dialoghi la propria cosmografia: movendo dall'eliocentrismo copernicano, egli approda intuitivamente a una concezione originale dell'universo che per molti rispetti sembra anticipare i postulati della scienza moderna. Già prima dell'arrivo del B. in Inghilterra, la corrente scientifica distaccatasi dalle università e sostenuta dalla corte elisabettiana (Recorde, Dee, Field, Digges) aveva mostrato un certo interesse per le teorie copernicane: è in questa corrente appunto che si inserisce ormai l'attività inglese di B., sia per le istanze "scientifiche" (elaborazione di una moderna teoria astronomica), sia per quelle letterarie (ripudio del latino e adozione del volgare per trattazioni scientifico-speculative) e perfino politiche (adesione alla moderata fazione puritana capeggiata da Dudley, conte di Leicester, nei contrasti tra questo e il tesoriere elisabettiano Cecil: ciò che ci è rivelato dal confronto tra la prima e la seconda redazione del dialogo II della Cena).  Suddivisa in cinque dialoghi, dedicati all'ambasciatore francese, la Cena è in sostanza un'opera cosmografica che, se da una parte contrasta il geocentrismo aristotelico e tolemaico, d'altra parte trascende l'eliocentrismo copernicano con l'affermazione della pluralità dei mondi nell'universo infinito (non senza la suggestione implicita della definizione ermetica di Dio, come sfera infinita il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non si trova in alcun luogo): sul piano teologico ne deriva l'affermazione dell'infinito effetto della causa infinita, nonché l'interpretazione prammatica di quei passi delle Scritture che concordano con la concezione vulgata dell'universo.  L'impostazione polemica dell'opera investe, nel dialogo II, tutti gli strati della contemporanea società inglese mediante una rappresentazione vivacemente realistica. B., pur adottando la forma dialogica della tradizione speculativa rinascimentale, la piega alle esigenze della propria polemica, accostandosi non di rado alla maniera parodica della tradizione aretiniana: onde non manca la satira della pedanteria grammaticale oltre che di quella peripatetica.  Gli attacchi contenuti nella Cena alla università di Oxford e alla società inglese suscitarono una forte reazione negli ambienti accademici e cittadini: reazione che coincise con una serie di offese, anche materiali, del pubblico londinese contro gli addetti all'ambasciata francese e contro, la stessa sede diplomatica. Nell'emozione del momento il B. poté ritenersi oggetto diretto di quella reazione anticattolica: è certo tuttavia che la pubblicazione della Cena gli fece perdere molte di quelle simpatie che era riuscito ad accattivarsi a Londra. Di qui l'esigenza di premettere ai già composti quattro dialoghi speculativi De la causa, principio et uno, un dialogo "apologetico" che si risolse però, caratteristicamente, in un ribadimento della propria polemica, salvo un riconoscimento esplicito della validità della tradizione speculativa oxoniense anteriore alla Riforma e la lode di alcuni personaggi conosciuti a Oxford (in particolare Martin Culpepper e Tobie Matthew). La pubblicazione dei nuovi dialoghi, dedicati anch'essi al Castelnau, seguì di poco quella della Cena. Il primo dialogo della Causa si distingue dai rimanenti quattro anche per i diversi interlocutori (tra questi Elitropio è Florio, mentre Armesso sembra identificabile con Gwinne); notevole, tra gli interlocutori dei rimanenti dialoghi, lo scozzese Alexander Dicson Arelio (nativo di Errol), discepolo londinese del B. e autore di un'opera mnemotecnica, De umbra rationis et iudicii ispirata al De umbris bruniano: l'opera era stata attaccata da William Perkins, ramista di Cambridge, il quale non mancò di accomunare i nomi di B. e del Dicson nella sua riprovazione del metodo mnemonico classico considerato in opposizione a quello ramista. La presenza di questo interlocutore, insieme con l'attacco frontale a Ramo nel dialogo III, può valere a farci considerare la Causa come opera di letteratura militante nell'ambito della contemporanea polemica ramista (per l'aspetto politico non va dimenticato che l'attività del Dicson era in linea con il programma politique).  I quattro dialoghi più propriamente speculativi della Causa concernono la definizione dei tre termini enunciati nel titolo: "causa" e "principio" sono intesi, rispettivamente, come la "forma" e la "materia" che, indissolubilmente unite, costituiscono l'"uno", cioè il "tutto". Movendo dalla critica dei postulati della tradizione aristotelica, e non senza ricorso alle formulazioni di stampo neoplatonico ed ermetico, B. giunge in tal modo a fornire una originale base teoretica alla propria cosmologia già in parte enunciata nella Cena e di lì a poco elaborata nei dialoghi De l'infinito.  Il motivo della satira antipedantesca si accentua nella Causa con una aderenza polemica alle posizioni culturali delle due università inglesi.  Il ritmo serrato con cui alla pubblicazione della Cena e della Causa segue quella dei dialoghi De l'infinito, universo e mondi e dello Spaccio de la bestia trionfante si spiega tenendo conto del fatto che B. doveva aver elaborato buona parte del materiale confluito poi nei tre dialoghi cosmologici. Anche l'Infinito porta la dedica al Castelnau, mentre lo Spaccio è dedicato a sir Philip Sidney, nipote del Leicester, mostrandoci in tal modo la portata dei contatti letterari, oltre che politici, dal B. avuti in Inghilterra.  Nei cinque dialoghi De l'infinito, in polemica con la fisica aristotelica, il B. rigetta la teoria della divisibilità all'infinito e ribadisce la propria teoria della infinità dell'universo e della pluralità dei mondi. In questa opera risulta enunciato il pensiero bruniano sul rapporto tra filosofia e religione conforme alla teoria averroista esposta dal Pomponazzi. Tra gli interlocutori figura Fracastoro, tracce delle cui dottrine sono reperibili nel dialogo; discutibile rimane l'identificazione di Albertino con Gentili (da B. certamente incontrato a Oxford): potrebbe trattarsi invece di personaggio nolano.  La nuova concezione dell'universo esposta nei tre dialoghi cosmologici si riflette sul piano etico con la trilogia dei dialoghi tradizionalmente definiti "morali", a cominciare dallo Spaccio, il cui tono satirico ravviva un'invenzione che risale, letterariamente, ai dialoghi "piacevoli" di Niccolò Franco.  Lo Spaccio espone un piano di riforma morale che implica la critica all'etica cristiana delle Chiese riformate non meno che di quella cattolica, in nome di un attivismo umanistico contrapposto al tradizionale umanesimo misticheggiante e retorico. L'ispirazione acristiana dell'etica bruniana sembra trovare conferma nella critica - metaforicamente condotta - della duplice natura della persona del Cristo. Non è escluso che questa opera sia da identificare con il Purgatorio de l'inferno,titolo fornito dal B. nella Cena.  Le allusioni politiche contenute nello Spaccio sono compatibili con l'orientamento brumano favorevole ai politiques e che risale al suo soggiorno parigino: c'è chi pur oggi continua a ritenere che la "bestia trionfante" spodestata nello Spaccio sia da identificare con l'intransigente Sisto V. Ma, a parte la cronologia, sembrerebbe contrastare all'interpretazione il quadro tracciato nella Cabala del cavallo pegaseo, con l'aggiunta dell'Asino cillenico, in cui l'"asino", identificabile con la "bestia" dello Spaccio, riassume il suo posto nel cielo: né sembra possibile supporre che la Cabala sia posteriore, data della bolla con cui Sisto scomunicò il re di Navarra.  Al di là del possibile significato politico-religioso, la Cabala interessa sia per l'accentuata satira morale rispetto allo Spaccio,sia per gli spunti speculativi (quali il problema del rapporto tra le anime individuali e l'anima universale, risolventesi nella negazione dell'assoluta individualità delle anime) che valgono a meglio illuminare questa fase del pensiero bruniano.  L'operetta è scherzosamente dedicata a un personaggio nolano, don Sabatino Savolino, della stessa famiglia materna di B. cui pure appartiene l'interlocutore Saulino presente già nello Spaccio. Il B.ebbe a dichiarare in seguito, di aver soppresso questa opera in quanto non piacque al volgo e ai sapienti "propter sinistrum sensum": essa è infatti la più rara tra le superstiti opere a stampa di Bruno.  Il soggiorno inglese del B. non poteva concludersi in maniera più degna che con la pubblicazione dei dialoghi De gli eroici furori, dedicati a Sidney, in cui risultano poeticamente esaltati i principî fondamentali della filosofia bruniana esposti nei tre dialoghi cosmologici, mentre vi si sviluppa e precisa la portata della satira morale contenuta nei due dialoghi etici.  I dieci dialoghi De gli eroici furori hanno come tema il conseguimento della consapevolezza dell'unione con l'Uno infinito da parte dell'anima umana. La terminologia di estrazione ficiniana (risalente a Platone, Plotino, Dionigi l'Areopagita, lamblico, Proclo, ecc.) rischia di far perdere di vista il carattere "naturale e fisico" del discorso bruniano, quale dall'autore stesso enunciato nella dedicatoria. La stessa adozione dei moduli platonici ("ente, vero e buono son presi per medesimo significante circa medesima cosa significata") va in realtà ricondotta a una sfera etica in cui si risolve ogni apparente residuo di trascendenza: infatti "le cause e principii motivi" sono "intrinseci" e la divina luce è sempre presente"; "ogni contrarietà si riduce a l'amicizia, "le cose alte si fanno basse, e le basse dovegnono alte.  Notevole nei Furori l'esposizione della poetica bruniana che, movendo dalla critica delle poetiche rinascimentali nella loro interpretazione normativa della poetica aristotelica, approda a una concezione della poesia come letteratura applicata: di qui il ripudio della tradizione lirica petrarchesca, pur nell'adozione prammatica di rime intonate al gusto del tardo petrarchismo (ivi inclusi prestiti dal Tansillo e dalla Cecaria di M. A. Epicuro).  Gli interlocutori sono tutti nolani, ovvero, come il Tansillo, amici della famiglia del Bruno. Notevole, come dato biografico dell'infanzia, la presenza di due figure femminili: Laodamia e Giulia.  B. rientrava in Francia al seguito dell'ambasciatore Castelnau: il quale ai primi di novembre si trovava già a Parigi; durante il viaggio la comitiva era stata vittima di una grassazione. Al suo rientro a Parigi B. veniva a trovare un clima politico mutato (nel luglio Enrico III aveva revocato gli editti di pacificazione e nel settembre era stata pubblicata la bolla contro il re di Navarra): di qui forse il suo tentativo infruttuoso "de ritornar nella religione" (Doc. veneti) tramite il nunzio apostolico Ragazzoni. Dedicò al filonavarrese Bene, abate di Belleville, la Figuratio Aristotelici physici auditus, esposizione mnemonico-mitologica del pensiero aristotelico; entrò in contatto con gli italiani di Parigi, tra i quali Botero, stringendo amicizia con Iacopo Corbinelli che lo definì "piacevol compagnietto, epicuro per la vita" (cfr. Yates), e prese a frequentare l'abbazia di St. Victor, dove quel giorno prese a prestito l'edizione di LUCREZIO (si veda) curata da Giffen e confidò al bibliotecario Guillaume Cotin (il cui diario ci conserva le notizie fornitegli da B.) l'intenzione di pubblicare l'Arbor philosophorum, del quale nulla sappiamo a parte il titolo lulliano.  Due episodi clamorosi neutralizzarono in quel tempo il residuo d'appoggio in cui il B. poteva ancora sperare presso il partito politique. Dopo aver assistito a una pubblica dimostrazione del compasso di riduzione inventato dal geometra salernitano Fabrizio Mordente, uomo senza lettere, il B. acconsentì a divulgare in latino la scoperta - parendogli atta a dimostrare il limite fisico della divisibilità, conforme alla propria incipiente monadologia -: pubblicò infatti i Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione (seguiti dall'Insomnium), presso Chevillot: opera ambiguamente laudatoria che irritò il Mordente, alla cui polemica verbale il B. rispose con i sarcastici dialoghi Idiota triumphans e De somnii interpretatione,dedicati al Del Bene e fatti stampare insieme con i due precedenti dialoghi mordentiani. B. veniva così ad attaccare apertamente un cattolico fautore dei Guisa, reclamando per sé l'ormai vacillante protezione politique. Atale imprudenza si aggiunse una disputa da B. tenuta al Collège de Cambrai, in presenza dei lecteurs royaux, sulla base di Centum et viginti articuli de naturaet mundo adversus peripateticos: programma da lui fatto stampare sotto il nome del discepolo Hennequin. Secondo il Cotin B. non avrebbe preso la parola, neppur dopo che allo Hennequin ebbe risposto Callier, giovane avvocato politique (il B. venne dunque sconfessato dal suo stesso partito), e, riconosciutosi battuto, avrebbe abbandonato Parigi. Secondo Corbinelli, il B. "s'andò con Dio per paura di qualche affronto, tanto haveva lavato il capo al povero Aristotele", mentre il Mordente decideva di ricorrere al Guisa. Lasciata Parigi, il B. giunse in Germania; toccata Magonza e Wiesbaden, veniva immatricolato all'università di Marburgo come theologiæ doctor romanensis (Doc. tedeschi). L'insegnamento bruniano si dovette mostrare incompatibile con l'aristotelismo ramista di quella università: gli fu infatti negato il permesso di leggere pubblicamente; a una protesta formale B. fece seguire le proprie dimissioni. Nella stessa estate passò a Wittenberg, nella cui università venne introdotto da Gentili e immatricolato come doctor ITALVS (Doc. tedeschi. Per circa due anni poté insegnare indisturbato (lesse, tra l'altro, l'Organon di Aristotele) e fece stampare il De lampade combinatoria lulliana - commentario dell'Arsmagna - cui premise una lettera alle autorità accademiche mostrandosi riconoscente per la liberale accoglienza. Seguì la pubblicazione del De progressu et lampade venatoria logicorum, sorta di compendio della Topica aristotelica, dedicato a Mylins, cancelliere dell'università. Allo stesso anno risale il suo corso privato sulla Rhetorica adAlexandrum (pubbl. post. da H. Alstedt: Artificium perorandi, Francofurti, come il frammento delle Animadversiones circa lampadem lullianam e la Lampas triginta statuarum, amplificazione dell'Arsmagna lulliana post.: negli Opera, con cui si conclude la trilogia delle "lampade". L'anno seguente, per i tipi di Zaccaria Cratone, uscì nella stessa città una seconda edizione dei Centum et viginti articuli (ridotti a ottanta, con le relative rationes), con un discorso apologetico di J. Hennequin: Iordani Bruni Nolani Camoeracensis Acrotismus. Allostesso periodo, sembra, risalgono i commentari aristotelici ai primi cinque libri della Fisica, al De generatione et corruptione e al quarto libro Meteorologicon (pubblicati negli Opera postumi: Libri physicorum Aristotelis explanati. B. si accomiatava dall'università con una Oratio valedictoria stampata dal Cratone: va notato che il vecchio duca Augusto era morto prima dell'arrivo del B., e che il successore Cristiano I favorì progressivamente il calvinismo, giungendo a proibire, ogni polemica a questo contraria; di qui la rinnovata precarietà della posizione di Bruno.  Partito da Wittenberg, B. giunse a Praga e vi si trattenne fino al principio dell'autunno, attrattovi forse dal mecenatismo dell'imperatore Rodolfo II, il cui cattolicesimo moderato poté sembrargli incoraggiante; non sappiamo comunque se fu registrato all'università. A Praga B. ripubblicò, presso Nigrinus, il De lampade combinatoria R. Lullii preceduto dal De lulliano specierum scrutinio: nuovo commentario dell'Arsmagna dedicato all'ambasciatore spagnolo don Guglielmo de Haro; con dedica all'imperatore, presso Daczicenus, gli Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, in cui riprendeva la propria polemica contro l'interpretazione meccanica della natura (già anticipata nei dialoghi mordentiani e poi svolta nel De minimo):notevole, nella dedicatoria, la dichiarazione della religio bruniana, interpretabile come teoria della tolleranza religiosa e speculativa.  Ricevuta in dono dall'imperatore la somma di "trecento talari" (Doc. veneti), B. si recò a Helmstedt, attrattovi dalla "Academia Iulia" (fondata dal duca protestante Giulio di Brunswick), dove fu registrato e dove lesse l'Oratio consolatoria (stampata da Iacobus Lucius) per la morte del duca. B. fu remunerato dal nuovo duca, Enrico Giulio, con "ottanta scudi de quelle parti" (Doc. veneti), ma non gli mancarono seri fastidi: fu infatti scomunicato dal sovrintendente della locale Chiesa luterana, Voët, per motivi che B. definì di natura privata in una sua lettera di protesta alle autorità accademiche, ma che avranno avuto giustificazione formale per sospetto filocalvinismo (è comunque significativo che alla originaria scomunica cattolica e a quella calvinista ginevrina si aggiungesse ora la scomunica luterana). Il B. rimase tuttavia nella città. Durante l'anno e mezzo ivi trascorso lavorò alle opere poi stampate a Francoforte e compose il gruppo di opere magiche stampate postume negli Opera, De magia e Theses de magia (concernenti la magia naturale), De magia mathematica (parzialmente tuttora inedita nel codice di Mosca), De rerum principiis et elementis et causis;trattati tutti che tendono a dimostrare la possibilità dell'utilizzazione pratica delle forze naturali occulte. Intervenne a una disputa tenuta dal dottor Heidenreich e avendo riscossi a Wolfenbüttel 50 fiorini assegnatigli dal duca - si accomiatò dall'università con l'intenzione di passare per Magdeburgo (dove risiedeva W. Zeileisen, zio del discepolo norimberghese Besler, di cui si era servito come copista) allo scopo di farvi stampare qualcosa di suo in onore del duca. La partenza fu ritardata: ed è probabile che il B. si recasse direttamente a Francoforte sul Meno (allo scopo di farvi stampare la trilogia poetica latina, sua opera di maggior rilievo dopo i dialoghi londinesi), dove giunse al più tardi nel giugno. Il Senato della città rigettò una sua richiesta di poter alloggiare presso lo stampatore J. Wechel, il quale tuttavia gli procurò alloggio presso il convento dei carmelitani. B. attese soprattutto alla pubblicazione dei tre poemi: i Detriplici minimo et mensura... libri V e il De monade, numero et figura liber unito ai De innumerabilibus, immenso et infigurabili... libri octo, opere dedicate al duca di Brunswick, per le quali B. curò la stampa e intagliò i legni, salvo che per l'ultimo foglio del De minimo a causa di un repentino allontanamento dalla città (per cui la dedica relativa fu composta dal Wechel. Stampati il De minimo fu posto in vendita nella primavera; il De monade con il De immenso,nell'autunno.  Nei poemi francofortesi - composti alla maniera di Lucrezio - il B. sviluppa in senso decisamente atomistico la propria concezione della materia già esposta nei dialoghi londinesi. Nel De minimo sicontiene la definizione dell'atomo bruniano: pars ultimadella materia, minimum fisico assoluto, sostrato di tutti i corpi, impenetrabile. La discontinuità degli atomi lascia aperto il problema dello spazio tramezzante con tutto che B. riconosce l'esigenza di una materia che agglutina gl’atomi. Se l'atomo è l'elemento materiale insecabile, il minimo è l'essere o la figura minima in un dato genere, mentre la monade è l'unità di un genere determinato: l'atomo, che è di forma sferica, è anche minimo e monade. Gl’atomi sono infiniti essendo infinita la materia. In tale concezione non v'è posto per una forza esteriore che regoli o determini le combinazioni materiali. Nel De monade B. dà una spiegazione aritmologica delle diverse qualità degli oggetti sensibili, i cui elementi vengono mossi - come già sostenuto nella Causa rispetto alla materia infinita - da un principio intrinseco. Così l'atomismo dei poemi francofortesi si riallaccia all'animismo dei dialoghi londinesi, dei quali il De immenso riprende esplicitamente l'esposizione cosmologica, con una aderenza a tratti letterale (tanto che il Fiorentino fu indotto a riportare al periodo inglese l'inizio della composizione del poema). In quest'ultimo il B. ripercorre il cammino della propria speculazione, rinnovandone la polemica contro la fisica aristotelica e ribadendone il superamento intuitivo dell'eliocentrismo copernicano.  Applicato l'ordine di estradizione del Senato francofortese B. riparò a Zurigo, dove tenne lezioni di filosofia scolastica raccolte e pubblicate poi da Egli (la Summa terminorum metaphysicorum a Zurigo; la Summa con la Praxis descensus seu applicatio entis a Marburgo. Ritornato per breve tempo a Francoforte, B. pubblica presso Wechel i De imaginum,signorum,et idearum compositione ad omnia inventionum,dispositionum et memoriae genera libri tres, dedicati a Heinzel, patrizio di Augusta da lui conosciuto a Zurigo. Durante il secondo soggiorno francofortese B. è raggiunto da lettere del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, il quale, letto il De minimo, lo invitava a Venezia affinché gli "insegnasse l'arte della memoria ed inventiva" (Doc. Veneti. B. giunse a Venezia.  I motivi soggettivi dell'imprudente rientro in Italia sono stati variamente definiti: imponderabile è la componente nostalgica, mentre è ormai da escludere il proposito di una azione di riforma religiosa con l'ausilio delle proprie nozioni magiche (con tutto che l'accessione del Borbone al trono di Francia e la presenza del mite Gregorio sul soglio pontificio ravvivavano allora le speranze conciliatrici in Europa); sul piano contingente, più che dell'occasionale invito del Mocenigo, va tenuto conto delle aspirazioni magistrali dal B. non mai dimesse nel corso dei suoi soggiorni francesi, inglese e tedesco.  Infatti, soffermatosi qualche giorno a Venezia "a camera locanda Doc. veneti, B. prosegue per Padova, dove già si trovava al principio di settembre e dove si trattenne, con brevi interruzioni, per almeno tre mesi. Qui impartì lezioni "a certi scolari tedeschi", tra i quali sarà da includere Besler, che era allora procuratore degli studenti tedeschi (Besler gli trascrisse, e la Lampas triginta statuarum, il De vinculis in genere, abbozzato l'anno precedente, e il non bruniano De sigillis Hermetis, inedito e smarrito). All'insegnamento patavino vanno riferite le Praelectiones geometricae e l'Ars deformationum, lezioni, rinvenute solo piu pardi, in cui B. illustra geometricamente postulati ed enunciazioni del De minimo. L'attività del B. a Padova induce a ritenere che, con l'appoggio del Besler, egli mirasse alla vacante cattedra di matematica, che è assegnata a GALILEI (si veda).  Rivelatosi infruttuoso l'insegnamento padovano, al principio dell'inverno il B. si trasferì a Venezia, prendendo dimora, almeno dal marzo in contrada S. Samuele, presso il Mocenigo. Incominciò a frequentare il ridotto Morosini, sul Canal Grande, dove, in un clima di "civile e libera creanza", si disputava di cose che avevano "per fine la cognizione della verità" (F. Micanzio, Vita di Paolo Sarpi, Leida. Nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, confide al domenicano fra' Domenico da Nocera il proprio desiderio di quetarsi e di comporre un libro da offrire al neoeletto Clemente, con lo scopo ultimo di trasferirsi a Roma, ed ivi "accapare forsi alcuna lettura Doc. veneti: programma illusorio, suggeritogli forse dalla politica papale e dalla contemporanea esperienza di Francesco Patrizi. Il 21 maggio, allo scopo di far stampare a Francoforte alcune sue opere, inedite e smarrite, "delle sette arte liberali e sette altre inventive, e dedicar queste al Papa Doc. veneti, B. chiede licenza al Mocenigo. Costui, deluso dall'insegnamento ricevuto, la notte lo fece arrestare dai suoi e presenta una denuncia per eresia (allegando tre libri a stampa di B. e l'autografo della smarrita operetta "di Dio, per la deduzion di certi suoi predicati universali", nonché i nomi di due contesti: i librai Ciotti e Britano) all'inquisitore veneto fra' Gabriele da Saluzzo: la sera stessa B. veniva prelevato dagli sbirri e condotto alle carceri di S. Domenico di Castello. Si apriva così la fase veneta del processo, che si doveva concludere nove mesi dopo con la sua estradizione a Roma.  Gli episodi principali del processo veneto sono i seguenti: denuncia del Mocenigo; denuncia (B. era complessivamente accusato di disprezzare le religioni, di non ammettere la "distinzione in Dio di persone", di avere opinioni blasfeme sul Cristo, di non credere alla transustanziazione, di sostenere che il mondo è eterno e che vi sono mondi infiniti, di credere alla metempsicosi, di attendere all'arte divinatoria e magica, di negare la verginità di Maria, di disprezzare i dottori della Chiesa, di ritenere che i peccati non vengano puniti, di essere già stato processato a Roma, di indulgere al peccato della carne); interrogatorio dei contesti (favorevoli a B.) e primo costituto di B.; costituto e ulteriore accusa (di aver soggiornato in paesi di eretici vivendo alla loro maniera); interrogatorio sui capi d'accusa (a proposito dei propri saggi B. dichiara: "io ho sempre diffinito FILOSOFICAMENTE e secondo li principii e lume naturale, non avendo riguardo principal a quel che secondo la fede deve essere tenuto, Doc. veneti; interrogatorio di Morosini e deposizione di Ciotti, favorevoli a BRUNO; 30 luglio: ultimo costituto veneto del B. (ammissione di dubbi marginali già dichiarati e sottomissione al tribunale) e trasmissione del processo al card. di Santa Severina, inquisitore supremo in Roma (il quale già prima dell'ultimo costituto interferiva nella causa); richiesta formale di avocazione della causa a Roma: consenso del tribunale veneto; trasmissione della richiesta romana al Collegio presieduto dal doge; parere sfavorevole del Collegio trasmesso al Senato; comunicata a Roma la risposta negativa; rinnovata richiesta al Collegio motivata con precedenti; comunicazione a Roma dell'approvazione del Senato. BRUNO usce dal carcere veneziano e, fatto salpare per Ancona, fa ingresso nel carcere del S . Uffizio di Roma da cui, dopo lungo e intermittente processo, sarebbe uscito sette anni più tardi per subire l'orrendo supplizio. Gli episodi noti e salienti del processo romano sono così riassumibili: grave denuncia da parte di fra' Celestino da Verona, concarcerato a Venezia (imputazione di aver sostenuto che Cristo peccò mortalmente, che l'inferno non esiste, che Caino fu migliore di Abele, che Mosè era un mago e inventò la legge, che i profeti furono uomini astuti e ben meritarono la morte, che i dogmi della Chiesa sono infondati, che il culto dei santi è riprovevole, che il breviario è opera indegna; di aver bestemmiato; di aver intenzioni sovversive ove fosse costretto a rientrare nell'Ordine); interrogagatorio a Venezia dei contesti fra' Giulio da Salò, Francesco Vaia, Matteo de Silvestris (attenuazione delle responsabilità bruniane e nuova accusa: l'avere in spregio le sante reliquie); interrogatorio del conteste Graziano (ribadimento della credenza bruniana nella pluralità dei mondi e nuova accusa: riprovazione del culto delle immagini). Otto costituti bruniani (dall'ottavo al quindicesimo dell'intero processo) e conclusione del processo offensivo.  Il B. mantenne la linea difensiva già adottata a Venezia (attenuò la portata dei dubbi circa la Trinità, disponendosi ad accettare il dogma; negò le accuse circa l'inferno, Cristo, i propositi sovversivi, l'ateismo, le manifestazioni blasfeme; precisò il significato di "magia" con riferimento a Mosè, e la propria opinione, ritenuta "filosoficamente" e ipoteticamente, circa la metempsicosi; negò l'opinione attribuitagli circa Caino, e precisò quella relativa alla pluralità dei mondi; negò le pratiche superstiziose, precisando il proprio interesse per l'astrologia). Gennaio-marzo 1594: a Venezia, esami ripetitivi dei testi (Mocenigo, Ciotti, Graziano, De Silvestris): confermate nel complesso le precedenti deposizioni, solo la sospetta integrità dei testi poté far differire la conclusione del processo; giugno: supplemento di denuncia da parte del Mocenigo (accusa di aver irriso il papa nel Cantus circaeus); estate 1594: sedicesimo costituto (il B. si difese sull'ultima accusa, su quella relativa ai Magi, e forse anche sull'altra relativa alla verginità di Maria; sporse denunce contro il Graziano e Francesco Maria Vialardi concarcerato a Roma); BRUNO presenta una difesa scritta, non pervenutaci. Si stabilì che una lista dei libri bruniani fosse presentata al papa.  BRUNO è raggiunto nel carcere da Pucci, Campanella e  Stigliola. La Congregazione stabilì una commissione con lo scopo di censurare le proposizioni eretiche contenute nei libri. BRUNO è ammonito di abbandonare la sua teoria della pluralità dei mondi. Si stabilì inoltre che egli è interrogato stricte (forse con applicazione della tortura): ciò che avvenne con il diciassettesimo costituto, circa la Trinità e l'incarnazione (BRUNO precisa il carattere speculativo dei dubbi passati), nonché la pluralità dei mondi (che BRUNO persiste a sostenere). Ha luogo, forse oralmente, la risposta del BRUNO alle censure, otto delle quali sono rilevabili dal Sommario del processo: "circa rerum generationem"; circa il principio che a causa infinita debba corrispondere effetto infinito; circa il rapporto tra anima universale e anima individuale; circa il principio che nulla si genera e nulla si corrompe; circa il moto della terra; circa la definizione degl’astri come angeli; circa l'attribuzione di un'anima sensitiva e razionale alla terra; circa l'affermazione che l'anima non è forma del corpo umano (due altre censure, rilevabili da una lettera di Schopp Doc. romani, concernono l'identificazione dello spirito santo con l'anima mundi, e la credenza nei pre-adamiti. A istanza di Bellarmino, venneno sottoposte a BRUNO, per la sua dichiarazione di abiura, otto proposizioni eretiche (ci è nota la prima, de hæresi Novatiana, e la settima, estratta dal De la causa, ubi tractat an anima sit in corpore sicut nauta in navi. Il ventesimo costituto BRUNO si dichiara disposto all'abiura incondizionata; ma torna a manifestare esitazioni sulla prima e la settima. In mancanza della prova giuridica della colpevolezza, i consultori si dichiararono in favore dell'applicazione della tortura, che tuttavia non è approvata da Clemente. BRUNO si dichiara disposto all'abiura (costituto), ma con un memoriale al papa, rimette in discussione le proposizioni incriminate. Intanto al S. Uffizio di Vercelli perveniva una delazione dovuta, sembra, a un reduce dall'Inghilterra con cui BRUNO è di nuovo accusato di irriverenza verso il papa, lo Spaccio, e di aver lasciato fama di ateo in Inghilterra. Il tribunale ordina il termine per il riconoscimento degl’errori. Ventiduesimo costituto, BRUNO rifiuta la ritrattazione. Vano è l'intervento del generale e del procuratore dei domenicani. Il papa ordina che BRUNE è sentenziato come eretico formale, impenitente e pertinace, e consegnato al braccio secolare. Un estremo memoriale di BRUNO al pontefice venne aperto ma non letto dal tribunale. BRUNO viene condotto dal carcere del S. Uffizio al palazzo del cardinale Madruzzi, in piazza Navona, dove la sentenza gli è letta pubblicamente. Dell’imputazioni contenute nella sentenza, risultano accertate quelle concernenti la transustanziazione, la verginità di Maria, la vita eretica, lo spaccio, la pluralità dei mondi, la metempsicosi, l'anima umana, l'eternità del mondo, Mosè, le Sacre Scritture, i preadamiti, Cristo, i profeti e gl’apostoli.  Riconosciuto eretico impenitente pertinace ed ostinato (Doc. romani), BRUNO è condannato alla degradazione dagl’ordini, all'espulsione dal foro ecclesiastico e a essere consegnato alla corte secolare per la debita punizione. I suoi saggi sono bruciati in piazza S. Pietro e le opere tutte incluse nell'indice. BRUNO ascolta in ginocchio la sentenza. Quindi, levatosi in piedi, esclama rivolto ai giudici. Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam Doc. romani. Trasferito al carcere di Tor di Nona, e visitato ancora da teologi e confortatori, è condotto a Campo di Fiori, dove, spogliato nudo e legato a un palo, è bruciato vivo Doc. romani.  La portata speculativa della vicenda bruniana è implicita nella storia del moderno pensiero europeo. Per il lato culturale e biografico, pur dopo ricerche secolari, quella vicenda è tuttora al vaglio della filologia contemporanea.  Fonti e Bibl.: Per la biografia bruniana le fonti sono costituite dalle opere e da una serie di documenti coevi. Edizioni complete delle opere: Iordani Bruni Nolani Opera Latine Conscripta: Facsimile - Neudruck der Ausgabe von Fiorentino,Tocco und anderen,Neapel und Florenz Drei Bände in acht Teilen, Stuttgart-Bad Cannstatt da integrare con le seguenti pubblicazioni: Zubov, Rukopisnoe nasledie Džordano Bruno, Moskovskij Kodeks" Gosudarstvennoj Biblioteki SSSR im. V. I. Lenina, in Zapiski Otdela rukopisej, Moskva Bruno, Due dialoghi sconosciuti e due dialoghi noti: Idiota triumphans, De somnii interpretatione, Mordentiu, De Mordentii circino, cur. Aquilecchia, Roma con Errata-corrige stampate a parte; Id., Prælectiones geometricæ e Ars deformationum: Testi inediti, cur. di Aquilecchia, Roma; Le opere italiane di G. B., cur. Lagarde, Gottinga , edizione para-diplomatica, per le opere italiane in edizione moderna: Bruno, Candelaio: commedia, a cura di V. Spampanato, Bari; Id., Dialoghi italiani: Dialoghi metafisici e Dialoghi morali stampati con note da GENTILE (si veda) cur. Aquilecchia, Firenze; Id., Lacena de le ceneri, cur. di Aquilecchia, Torino (da tenere presente  Tissoni, Sulla redazione definitiva della Cena de le ceneri, in Giorn. stor. della letter. ital. Pregevoli le sillogi antologiche in Opere di BRUNO e di Campanella, cur, Guzzo e Amerio, Milano - Napoli, e in Scritti scelti di BRUNO e Campanella, cur. Firpo, Torino. I documenti coevi in Spampanato, Documenti della vita di BRUNO, Firenze suddivisi in Documenti napoletani Documenti ginevrini Documenti parigini Documenti tedeschi Documenti veneti Documenti romani da integrare con Elton, Modern Studies, London, Harvey, Marginalia, cur. Smith, Stratford-upon-Avon; Sigwart, Kleine Schriften, Freiburg i. B. Mercati, Il sommario del processo di BRUNO, Vaticano, Firpo, Il processo di BRUNO, Napoli Yates, BRUNO: some documents, in Revue internationale de philosophie, XVI [1951], 2, pp. 174-199; G. Aquilecchia, Un autografo sconosciuto di G. B., in Giorn. stor. della letter. ital., Id., Un nuovo documento del processo di BRUNO, McNulty, B. at Oxford, in Renaissance News, XIII[1960], pp. 300-305; A. Nowicki, Un autografo inedito di G. B. in Polonia, in Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche... in Napoli, Una poesia "Ad Iordanum: Brunum", in La Ragione, Korzan, Praski Kra̢g humanistów wokóù Bruna, in Euhemer.  La biografia più estesa, sebbene in parte invecchiata, rimane quella di V. Spampanato, Vita di G. B. con documenti editi e inediti, Messina Biografie sintetiche recenti sono dovute a Garin, B., Roma-Milano, e a G. Aquilecchia, G. B., Roma da cui dipende la presente voce.  La bibliografia bruniana è vastissima: va fatto riferimento a Salvestrini, Bibliografia di BRUNO, a cura di Firpo, Firenze: opera monumentale di inestimabile utilità, aggiornata poi essenzialmente, Quanto ai titoli, con l'appendice bibliografica alla citata monografia di Aquilecchia. A questi due strumenti si fa qui riferimento, rispettivamente, per opere critiche di tradizionale autorità (Tocco, Troilo, Gentile, Namer, Garin, Corsano, ecc.), e per saggi più recenti, che propongono un ridimensionamento della problematica bruniana conforme a diverse metodologie (Badaloni, Michel, Yates, Gorfunkel', Nowicki, Papi, ecc.). Guido del Giudice. Giudice. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, del Giudice, e la filosofia greco-romana," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Keywords: l’implicatura di Giudice, universe finite, infinito, geometrici, alchimisti, matematici – rinascimento – scintilla d’infinito” --  Refs: Luigi Speranza, “Grice e Giudice: implicatura e scintilla” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giudice: la ragione conversazionale, l’esperienza, e l’implicatura conversazionale di Telesio – filosofia foggiese -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucera). Filosofo lucerese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Lucera, Foggia, Puglia. Grice: “Riccardo del Giudice is a philosopher; he wrote an essay on Telesio.”  Allievo e collaboratore di GENTILE (si veda), si laurea in filosofia, rivelando i suoi vasti e solidi interessi culturali, che, insieme ad una rara volontà di studio e ad una seria attività politica formano il suo principale merito. Apprezzato per le doti oratorie e l'accuratezza nella scrittura, è parlamentare di chiara fama nella  Camera dei Deputati. Di profonda ed esemplare preparazione filosofica. Insegna a Roma.  Intestazioni: Sindacalista, politico, SIUSA. Iscrittosi al movimento nazionalista mentre frequenta nell'ateneo romano i corsi di GENTILE (si veda). Si tessera al Partito fascista, del quale apprezza l'interesse per le questioni sindacali. È appunto nell'organizzazione fascista dei lavoratori, diretta da Rossoni, che muove i primi passi nella politica militante. Nominato responsabile dei sindacati in provincia di FOGGIA, distinguendosi per la dura opposizione nei confronti dell'apparato del Pnf guidato dal conservatore Caradonna. Espulso dal partito viene nominato da Rossoni Segretario della Federazione sindacale di Torino. Passato nella Federazione di Bari si oppone allo sbloccamento dei sindacati. Si occupa di studi sulla legislazione del lavoro e sul corporativismo, partecipando attivamente alle riunioni del consiglio nazionale delle corporazioni e viene nominato presidente della confederazione fascista dei lavoratori del commercio. Dopo una intensa attività nel settore sindacale - celebri le sue polemiche con SPIRITO (si veda) sul rapporto tra sindacato e corporazione - è nominato sotto-segretario al ministero dell'educazione nazionale, allora retto da Bottai. Si occupa soprattutto di sviluppare i rapporti tra la scuola e il mondo del lavoro, seguendo le indicazioni contenute nella carta della scuola di Bottai. Lasciato il ministero in seguito alla sostituzione del ministro Bottai con Biggini, è nominato presidente dell'ente nazionale per l'oganizzazione scientifica del lavoro, Enios. Non adere alla Rsi e viene arrestato dagl’alleati e inviato nel campo di concentramento di Padula dove scrive le memorie. Epurato dall'insegnamento universitario, vi ritorna come docente prima di diritto della navigazione, poi di diritto del lavoro, presso l'ateneo romano.  Complessi archivistici prodotti: G. (fondo). Il fondo archivio conserva le carte del dirigente sindacale e collaboratore di BOTTAI ed e costituito da documentazione riguardante la politica sindicale FASCISTA, da una vasta raccolta di materiale e stampa sulla POLITICA CORPORATIVA, da documenti sulla POLITICA SCOLASTICA del regine negl’anni della guerra e da un ricco epistolario con personalita della FILOSOFIA, della politica, dell’economia, e della cultura. Bibliografia: PARLATO, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla caduta del regime, Roma, Bonacci. G. PARLATO, G.: dal sindacato al governo, Roma, Fondazione Spirito, G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna, Il Mulino. Sindacalismo fascista Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni La neutralità di questa voce o sezione sugli argomenti fascismo e politica è stata messa in dubbio. Con sindacalismo fascista si intende quel settore del sindacalismo improntato sui principi della dottrina fascista del lavoro. Filippo Corridoni con Mussolini durante una manifestazione interventista del 1915 a Milano. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sindacalismo rivoluzionario.  Fontana sulla cui lapide marmorea era scolpito il discorso che Mussolini pronuncia presso lo stabilimento di Dalmine, in occasione dell'autogestione operaia. Il sindacalismo fascista ha i suoi primordi nel magma del movimentismo sindacale dei primi due decenni del XX secolo: in particolare esso trova i suoi riferimenti culturali prima nella componente rivoluzionaria del sindacalismo socialista, che portò alla dirigenza del partito diversi esponenti e Benito Mussolini alla direzione dell'Avanti!, poi nelle sezioni più agguerrite del sindacalismo interventista, in particolare l'attivissima sezione milanese retta da Filippo Corridoni, nate in seno all'Unione Sindacale Italiana[1]ma da cui saranno espulse già nel 1915, per incompatibilità con i principi antimilitaristi e antistatalisti dell'USI[2]. Numerosi, pur con alcuni bassi, sono gli scioperi, le manifestazioni di piazza, gli scontri ed i comizi cui parteciparono Mussolini ed i dirigenti del fascismo a fianco, o anche in qualità stessa, di sindacalisti rivoluzionari. In Italia non sarà possibile nessuna forma di sindacalismo fino a quando il Partito Socialistanon sarà abbattuto. Corridoni a Malaparte SICKERT (si veda) a Milano poco prima di partire per il Carso, giugno 1915[4]) Un altro forte legame è quello con la Unione Italiana del Lavoro, da essi creata e di ispirazione sindacalista rivoluzionaria, diretta inizialmente da Rossoni. La nuova formazione sindacale, nel fermento dell'interventismo nei confronti della Grande Guerra, tentò di operare una prima sintesi all'interno dell'immenso magma rivoluzionario italiano, combattuto ormai da anni tra le esigenze sociali e quelle nazionaliste del popolo. In particolare si verificò una congiunzione con le teorie di imperialismo operaiodi Enrico Corradini (Associazione Nazionalista Italiana) e lo sviluppo del produttivismo nazionale, grazie anche al Popolo d'Italia di Mussolini, pervenendo all'idea non tanto di negare la lotta di classe per difendere gli interessi di categoria, quanto di ricomporli tutti all'interno del comune interesse superiore nazionale. Al suo interno la UIL portava però già i sintomi di quella che fu una battaglia destinata a concludersi più tardi, durante il sindacalismo fascista vero e proprio: quella tra la visione di un sindacalismo legato all'azione politica, appoggiata principalmente da Rossoni, e quella indipendentista di Ambris. Primo sfogo di queste evoluzioni avvenne al Dalmine, dove si verifica la prima occupazione con autogestione operaia della storia italiana, organizzata dai sindacalisti rivoluzionari. Il fatto eclatante che destò scalpore fu però soprattutto la continuazione della produzione, d'accordo con l'ottica produttivista che aveva acquisito il movimento: gli operai autorganizzati continuarono infatti il lavoro, issando sulla fabbrica il tricolore nazionale. Due giorni dopo lo stesso Mussolini è in visita agli stabilimenti: Voi oscuri lavoratori del Dalmine, avete aperto l'orizzonte. È il lavoro che parla in voi, non il dogma idiota o la chiesa intollerante, anche se rossa, è il lavoro che ha consacrato nelle trincee il suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve diventare gioia, orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria libera e grande oltre i confini. Mussolini, Discorso del Dalmine, in "Tutti i discorsi) In un primo momento la posizione di De Ambris e della sua UIL fu la più apprezzata da Mussolini, aprendo nel periodo 1919-1920 una forte convergenza tra i due, con il secondo che sostenne apertamente la UIL dalle colonne de Il Popolo d'Italia[11] ed il primo che dette un apporto considerevole al programma dei FASCI ITALIANI DI COMBATTIMENTO, costituiti e dai quali prenderà spunto il fascismo durante la fase governativa. Il nucleo iniziale Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Sansepolcrismoe Squadrismo.  Benito Mussolini a Dalmine con gli operai dello stabilimento autogestito. Grandi. È da questo connubio che, infatti, si costituisce in maniera strutturata il sindacalismo fascista, i cui protagonisti, dapprima immersi nei movimenti sindacalisti di varia estrazione sopra descritti, andarono a creare l'ossatura del nuovo movimento insieme agli interventisti futuristi, ad Arditi e reduci di guerra, nazionalisti e squadristi.  Fra i maggiori esponenti di questo sindacalismo squadrista, che affianca i sindacalisti puri Balbo, Bianchi, Baroncini ma, soprattutto, Grandi e lo squadrismo bolognese vicino agli ambienti de "L'Assalto", portatori di uno dei più genuini tratti del fascismo di sinistra, basato particolarmente a Bologna sulle rivendicazioni contadine, l'allargamento della piccola proprietà agricola ed al concetto de "la terra a chi la lavora. L’armonia tra sindacalismo rivoluzionario e fascismo sansepolcrista si spezzò quando, in conseguenza della grave sconfitta elettorale, Mussolini operò la strategia della virata a destra per aprirsi maggiori spazi politici e, staccandoli dalla UIL, creò i Sindacati economici, che diventeranno poi la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacalifasciste dirette da Rossoni. La crisi tra i due movimenti si attuò essenzialmente sul nodo della concezione del rapporto tra economia e politica. Da una parte il fascismo, che riteneva fondamentale che ogni dinamica attraverso la nazione sia controllata dallo Stato, dall'altra i sindacalisti rivoluzionari, che vedevano questa posizione come antitetica ai propri canoni libertari ed autonomisti, concependo la nazione come identità e sostanza storica di un popolo, ma lo Stato come sistema di potere di una classe esclusiva. Il sindacalismo rivoluzionario, portando il suo contributo decisivo alla determinazione dell'Italia per l'intervento nella guerra, salvò l'onore dei lavoratori italiani e gettò le premesse in virtù delle quali l'organizzazione del lavoro è oggi, su piede di uguaglianza con tutte le altre forze economiche, elemento fondamentale dello Stato Corporativo. In questo senso soltanto può essere affermata la derivazione del movimento sindacale fascista dal vecchio sindacalismo rivoluzionario. Masotti) Rossoni e la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali fasciste Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali.  Edmondo Rossoni.  I quadrumviri e Benito Mussolini(da sinistra a destra: Bono, Bianchi, Mussolini, Vecchi e Balbo). Il primo, il terzo ed il quinto furono sindacalisti. Si tenne il  I Convegno sindacale di Bologna, in cui si scontrarono le due visioni principali, già emerse in passato, riguardanti il grado di dipendenza dei sindacati nei confronti della politica e, in questo caso, del neocostituito PARTITO NAZIONALE FASCISTA. Si scontrarono quindi la visione "autonomista" di Rossoni e di Grandi e quella "politica" di Rocca e Bianchi, tra le quali sarà vincente la seconda.  A Bologna vennero inoltre affermati i principi basilari della politica corporativa, con la conferma del superamento della lotta di classe nei confronti della collaborazione e dell'interesse nazionale su quello individuale o di settore, e la nascita della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, una nuova formazione antisocialista ed anticattolica, costituita nella forma di sindacati autonomi formati da cinque Corporazioni suddivise per categorie lavorative e non ancora (lo saranno piu tardi) sindacati misti lavoratori-datori di lavoro. Come nel sindacalismo rivoluzionario, inoltre, le corporazioni dovevano riunire tutte le attività professionali che identificavano la loro "elevazione morale e economica con il dovere imprescindibile del cittadino verso la Nazione". La nazione, sintesi superiore di tutti i valori materiali e spirituali della razza, è al di sopra degli individui, dei gruppi e delle classi. Individui, gruppi e classi sono gli strumenti di cui la nazione si serve per migliorare le proprie condizioni. Gli interessi individuali e di gruppo acquistano legittimità a condizione che si realizzino nell'ambito dei superiori interessi nazionali.»  (Articolo 4 della Carta dei principi delle corporazioni) Sulla Confederazione si svilupparono polemiche anche negli ambienti del sindacalismo internazionale: la sinistra operaia internazionale, in sede di Organizzazione Internazionale del Lavoro, contesta il titolo alla rappresentanza operaia alle corporazioni fasciste e, quindi, la possibilità di partecipare all'assemblea. La polemica non venne però accettata, e l'ILO permise alle Corporazioni di partecipare alle sedute senza interruzioni nel rinnovo del mandato. In sede congressuale Rossoni dichiarò l'esistenza di una linea di continuità tra il sindacalismo rivoluzionario, il sindacalismo fascista ed il corporativismo: per il sindacalismo fascista, infatti, l'ultimo era legato al primo sia per il comune intendimento del concetto di rivoluzione che, al di là dell'aspetto della rivolta popolare, in ambito lavorativo ritenevano rivestisse il significato di sopravvento di superiori capacità produttive; inoltre, ugualmente, avevano l'obbiettivo di innalzare il proletario (nell'accezione negativa del termine) al rango di lavoratore inserito a pieno titolo nella vita nazionale. Il sindacalismo deve essere nazionale ma non può essere nazionale per metà: esso deve comprendere capitale e lavoro e sostituire al vecchio termine proletariato, quello di lavoratore ed all'altro, di padrone, la parola dirigente, che più alta, più intellettuale, più grande. Rossoni, Congresso dei Sindacati intellettuali fascisti) Nei mesi successivi, in concomitanza con il termine del biennio rosso e l'avanzata dell'offensiva militare del fascismo imperniata sulle squadre d'azione, ebbe luogo lo sfondamento politico in campo sindacale, con il passaggio di interi settori operai dalle strutture del Partito Socialista Italiano e della CGdL al fascismo. Tanto che la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali contava 800.000 iscritti. Ciò evidenziava il successo dei progetti di Rossoni, che aveva pensato di creare da una parte una base contadina potente ed affidabile che appoggiasse e facesse da riserva strategica allo squadrismo, dall'altra di fare del sindacalismo una delle pietre angolari dello Stato fascista. Con la Marcia su Roma, l'affermazione del sindacalismo fascista fu quasi definitiva e l'inizio della costruzione del nuovo Stato portò quindi una relativa tranquillità nell'ambiente del sindacalismo stesso che, con il termine degli scontri e delle tensioni politiche, poté incentrarsi sul proprio sviluppo culturale e la propria evoluzione politica. Rossoni così ne spiega definizione e scopo principale:  la salvaguardia della salute spirituale del popolo. Sindacato vuol dire: unione di interessi omogenei. Sindacalismo: azione che deve disciplinare e tutelare gli interessi omogenei. Noi rivendichiamo la concezione italiana del Sindacalismo alle corporazioni italianissime che sono nate ancor prima che la parola 'sindacalismo' fosse pronunciata.»  (Edmondo Rossoni, La Marcia su Roma e il compito dei sindacati, Napoli) Caratteristiche principali, che evidenziavano la differenza del sindacalismo fascista rispetto a quello socialista, furono anche la mancanza di dogmatismo, teologismo e perseguimento di finalità remote, come ad esempio il prefiggersi in anticipo un determinato tipo di obbiettivo finale, come il tipo di economia da instaurare, ma tentando sempre di adeguarsi alla realtà del mondo.[27]  Questo clima non portò fine al dibattito interno, che anzi aumentò decisamente, tanto che gli stessi vecchi sindacalisti rivoluzionari come Rossoni, Lanzillo, Panunzio e Olivetti, discutevano e si dividevano spesso e volentieri tra loro. In tutti però un'evoluzione era avvenuta: il sindacalismo non era più considerato propulsore del libero mercato ma, aderendo al concetto di nazione come unità organica d'intenti, ritenevano che il sindacato - come gli imprenditori - dovesse trovare il suo limite nel superiore interesse della patria, rigettando il concetto di libero mercato stesso e giungendo al tal punto da definire che "la nazione è il più grande sindacato. Le prime forti tensioni con i conservatori ed il padronato Farinacci.  Renato Ricci con la sua squadra d'azione carrarese impegnata a S. Terenzio nello sgombero delle macerie del forte di Falconara. Immediatamente dopo l'apice della Marcia su Roma si accese però lo scontro tra il fascismo di sinistra ed i settori più conservatori dello Stato. Avvennero alcuni episodi chiave:  la creazione dei gruppi di competenza, da parte di Rocca, limitanti lo spazio sindacale della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali; il tentativo di bloccare il corporativismo da parte di Confindustria e Confagricoltura, contrapposti alla minaccia di Rossoni di assalti, scontri ed occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori fascisti; l'appoggio diretto al sindacalismo fascista da parte di tutta la sinistra fascista nazionale, compresi Bianchi e Farinacci; il lancio del sindacalismo integrale da parte di Rossoni, che puntava ad inglobare nelle corporazioni Confindustria e Confagricoltura (ossia le rappresentanze sindacali dei datori di lavoro); la creazione della Federazione italiana dei sindacati agricoltori e della Corporazione dell'Industria e del Commercio da parte di Rossoni; i primi tentativi di trasformare le organizzazioni sindacali da associazioni di fatto in organi di diritto pubblico da parte di Casalini; il patto siglato tra Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e Confindustria a Palazzo Chigi, in ottica di limitazione dei conflitti di classe. Sia il Capitale sia il Lavoro, ndr) devono essere disciplinati. L'appetito all'infinito è malefico e assurdo. Per queste ragioni il sindacalismo fascista è per la collaborazione ma con gli industriali che si impuntano e dicono comandiamo noi, occorre lottare decisamente per dare ai lavoratori il posto degno nella vita della nazione»  (Edmondo Rossoni, adunata al Teatro Regio di Torino) In questo periodo di tensioni tra industriali e sindacati fascisti, difficile per l'attecchimento della collaborazione di classe vagheggiata dal fascismo per il mondo del lavoro, assurgono agli onori del sindacalismo fascista le personalità di Mario Gianpaoli, sindacalista e federale del PNF di Milano, e di Domenico Bagnasco, segretario dei sindacati fascisti di Torino. Organizzatore e combattente di piazza, Bagnasco fu deciso a prendere di petto gli industriali, accusando il padronato di "spietata intransigenza antioperaia". Spesso i sindacalisti fascisti di questo periodo pagarono con la fine della propria carriera politica l'attivismo sfrenato, a causa di un fascismo ancora non abbastanza forte da poter far fronte ad uno scontro con la grande industria, appoggiata dai molti uomini del precedente regime ancora posizionati nelle istituzioni dello Stato. Essi ebbero però il merito di infondere risolutezza in molti sindacalisti di periferia. La seconda fase del sindacalismo fascista  Monumento a Razza.  Corradini. Si entra quindi in quella che viene chiamata "la seconda fase del sindacalismo fascista, durante la quale il sindacalismo e tutte le componenti della sinistra fascista tornarono all'attivismo ed alla tensione del periodo rivoluzionario. Panunzio ricominciò a tuonare a favore della ripresa dell'anima rivoluzionaria del fascismo e del recupero del programma, esprimendosi per la creazione di una Camera sindacale e del lavoro e di un Senato politico. Cadde la Confagricoltura, inglobata dalla fascista Federazione italiana sindacati agricoli, riunendo in un'unica corporazione i lavoratori con i grandi e piccoli proprietari agricoli. Il nuovo spostamento a sinistra dello schieramento fascista, questa volta apertamente appoggiato da Mussolini stesso, portò ad un conseguente irrigidimento degli industriali sulle tradizionali posizioni reazionarie, decretando l'inizio di un'escalation. Si verificò quindi anche la ripresa militante dello squadrismo in appoggio all'azione sindacale fascista, dando luogo ad un'ondata di scioperi su tutto il territorio nazionale, i più infuocati dei quali in Valdarno, Lunigiana e ad Orbetello. In Valdarno lo sciopero venne organizzato dal dirigente Bramante Cucini, seguace di Sergio Panunzio, e finanziato direttamente dai Comuni amministrati dal Partito Nazionale Fascistae da uno stanziamento apposito del Direttorio generale del PNF, con la pubblica approvazione di Mussolini. Al termine dello sciopero si ebbe perfino la nomina statale di una commissione straordinaria di lavoratori per gestire le miniere, destando comprensibile spavento tra il padronato. Si tenne a Roma il II Congresso nazionale delle corporazioni. Qui venne messa momentaneamente da parte la strada della collaborazione di classe, per riprendere quella della lotta in difesa dell'unità dei lavoratori e dell'istituzionalizzazione delle corporazioni, quest'ultimo aspetto chiesto a gran voce durante tutto il congresso dalla maggioranza degli esponenti, soprattutto quelli rappresentanti i sindacati agricoli provinciali, come Mario Racheli. Nei riflessi della politica economica non v'è chi non afferri l'utilità nazionale di rendere responsabili le organizzazioni sindacali e di creare discipline contrattuali garantite dalla legge.»  (Edmondo Rossoni, intervento al II Congresso nazionale delle corporazioni) In questo quadro ha luogo, come in altri casi era avvenuto, un'avversione crescente nei confronti dell'inerzia e dell'inattivismo di Mussolini verso la situazione generale, legato alla fase ed alle operazioni di consolidamento del potere del fascismo all'interno della formazione statale. Ciò generò, in diversi casi, il concepimento e la presa di decisioni autonome da parte dei capisquadra, dei leader sindacali e dell'ala movimentista e la messa in evidenza della natura anticapitalista che permeava il fascismo provinciale nei confronti di quello cittadino, dove il movimentismo si scontrava coi circoli conservatori. Questa natura emerse visibilmente e prepotentemente con lo sciopero carrarese organizzato da Renato Ricci, capo delle squadre d'azione della Lunigiana. In tale frangente lo sciopero fascista portò ad una radicalizzazione estrema dello scontro con "i baroni del marmo", imperanti nel carrarese, da portare all'occupazione ed all'autogestione delle cave e delle industrie di lavorazione, ma soprattutto (dato che lo sciopero non si risolse con una vera e propria vittoria) a divenire una delle cause fondamentali della nascita di una corrente di dissidenti all'interno del fascismo ufficiale. Ha luogo il discorso alla Camera con cui Mussolini si prende carico della responsabilità politica della vicenda Matteotti.  Il Direttorio delle corporazioni e quello del Partito Nazionale Fascista si riuniscono congiuntamente studiando una serie di problemi da risolvere per valorizzare il ruolo delle classi lavoratrici ed il loro inserimento a pieno titolo nella vita nazionale, producendo poi un ordine del giorno in cui si autorizzavano i sindacati fascisti a ricorrere alla "lotta economica" contro industriali e capitalisti, rei di "colpevole incomprensione" dei fini e della prospettiva sociale e nazionale del fascismo. Ciò determina, insieme all'entusiasmo per l'intransigenza insita nel discorso di Mussolini, l'instaurazione di un clima da "seconda ondata", rimettendo nuovamente in moto la rivoluzione da sinistra e accendendo nuovamente l'entusiasmo del fascismo movimentista. Avviene quindi l'ultima grande azione di forza della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, che scavalcò le vertenze sindacali in corso tra la O.M. di Brescia e la FIOMindicendo uno sciopero a sorpresa, scatenato da una serie di multe e licenziamenti inflitti agli operai fascisti che, per protesta, abbandonarono i posti di lavoro. Le agitazioni ottennero l'appoggio di Farinacci, in quel periodo segretario nazionale del Partito, e, di contrasto, gli appelli alla moderazione di Mussolini, che consigliò cautela a Rossoni per non ripetere le vittorie di Pirro degli scioperi valdarnesi e carraresi. Le agitazioni dei metallurgici riuscirono però ad allargarsi fino a Milano, dove gli operai socialisti e comunisti vennero invitati ad aderire; le attività di contestazione cominciarono poi ad interessare anche carovita ed altri argomenti, estendendosi a tutta la Lombardia ed assumendo, soprattutto con il sindacalfascista Razza caratteri indipendenti dal governo e di aperta minaccia e violenza nei confronti degli industriali, terrorizzati dalla possibilità di combinazioni politiche unitarie impreviste. Dopo lunghe trattative le agitazioni rientrarono, decretando un grosso insuccesso per gli industriali, che dovettero fare buone concessioni, sebbene non totali, agli operai tramite i sindacati fascisti, e l'emarginazione completa della FIOM, i cui rappresentati si spostarono in massa nelle Corporazioni. Per ben tre anni l'esistenza di un sindacalismo fascista, cioè di un movimento sindacale guidato da fascisti e orientato verso le idee del fascismo, fu ostinatamente negata. Ci voleva, per dissuggellare gli occhi dei ciechi volontari e fanatici, il fatto clamoroso: lo sciopero che mettesse in campo le forze sindacali del fascismo e che desse in pari tempo allo stesso sindacalismo fascista una più risoluta nozione della sua forza e delle sue possibilità di azione.»  (Benito Mussolini, Fascismo e sindacalismo, a seguito degli scioperi metallurgici organizzati dai sindacati fascisti in Nord Italia) Altro commento che rivela il momento infuocato fu quello di Corradini, sindacalista nazionale:  «Il superamento del socialismo, non la dispersione, non la distruzione dell'opera socialista. Questo è buono affermare, in occasione dello sciopero dei sindacati fascisti. Vi è fra socialismo e fascismo un nesso storico, oso dire una continuazione storica. Il fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti dell'opera socialista e secondo la sua propria legge, quando occorra, tale opera continua. Corradini, Il Popolo d'Italia. La trasformazione in organi di diritto pubblicoModifica  Edmondo Rossoni in Piazza del Popolo (Roma) annuncia la promulgazione della Carta del Lavoro. Spirito. La conseguenza principale di questi avvenimenti furono però gli accordi di Palazzo Vidoni, in cui venne riconosciuto dalla Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e da Confindustria la reciproca esclusività di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro, con l'impegno al conseguimento prioritario dell'interesse nazionale. Va però evidenziata soprattutto la legge: con questa legge vennero infatti, tra l'altro, realizzata l'istituzionalizzazione dei sindacati fascisti e legalizzato il loro monopolio per la rappresentanza dei lavoratori con la nascita della contrattazione collettiva del lavoro. Ciò andava a significare che le Corporazioni divennero organi di diritto pubblico dell'amministrazione statale, con "funzioni di conciliazione, di coordinamento ed organizzazione della produzione". All'interno di questa legge era inoltre presente l'articolo 42, che prevedeva una direzione comune tra le associazioni di categoria delle due parti, contenendo in nuce il progetto corporativo a sindacato misto che verrà realizzato piu tardi. Dopo questa vittoria, per Rossoni si ebbe la redazione della Carta del Lavoro, testo fondamentale della politica sociale fascista in ottica di eliminazione della dicotomia tra le classi sociali ma, dall'anno successivo, con Farinacci non più alla segreteria nazionale del PNF, ebbero sfogo gli attacchi alla Conferenza nazionale delle corporazioni sindacali, che venne smembrata dai circoli conservatori, capeggiati da Giuseppe Bottai (sottosegretario al Ministero delle corporazioni) ed Augusto Turati(nuovo segretario del partito), in sei separate confederazioni di sindacati, facendo diminuire il potere contrattuale dell'organismo, disperdendolo in strutture più piccole e limitate. Il secondo Convegno di Studi sindacali e corporativi Nel periodo che intercorse da questo momento alla legge, istitutiva delle corporazioni, si ebbe uno blocco totale dell'azione nel settore, in cui intervenne positivamente soltanto il II Convegno di Studi sindacali e corporativi, tenutosi a Ferrara, nel quale emerse il concetto di corporazione proprietaria proposta da Spirito, nei confronti della quale il sindacalismo fascista si trovò su posizioni contrastanti a causa di un arroccamento di tipo ideologico: rimasti su posizioni classiste nel passaggio dal socialismo eterodosso al fascismo, molti degli esponenti pre-rivoluzionari del sindacalismo fascista (Lanzillo, Giampaoli, Bagnasco, ecc.) videro il progetto di annullare il sindacalismo nel corporativismo come un progetto reazionario, rimanendo ancorati alla concezione della lotta di classe come uno scontro benefico per gli interessi individuali e nazionali. L'incapacità di accettare la proposta di Spirito da parte dei primi sindacalisti fascisti, ma anche i "nuovi" come Razza e Capoferri, fu dovuta quindi essenzialmente al rigetto totale della visione statalista che andava formandosi nel fascismo ed al cui finalismo erano sempre stati avversi: per loro "la corporazione è il sindacato, e dire Stato corporativo è come dire Stato sindacale. L'esaurimento del sindacalismo fascista nelle CorporazioniModifica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Corporativismo.  Sede dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Viene approvata la creazione dello Stato corporativo che, con le nomine dall'alto al posto delle cariche elettive e l'abolizione del fiduciario di fabbrica, aveva dato tra l'altro alle corporazioni, divenute veri e propri sindacati formati dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro ed istituzionalizzati nello Stato, la facoltà di stipulare i contratti collettivi di lavoro. In ogni caso il cambiamento di assetto istituzionale e la rivoluzione nel mondo del lavoro, non pregiudicarono i risultati effettivi che il sindacalismo fascista aveva ottenuto negli anni. Tra le più importanti si possono elencare:  ferie pagate; indennità di licenziamento; conservazione del posto in caso di malattia; divieto di licenziamento in caso di maternità; assegni familiari; diffusione delle casse mutue aziendali; assistenza sociale dell'Opera Nazionale Dopolavoro(ad es. centri ricreativi, viaggi collettivi a prezzo simbolico, manifestazioni teatrali, etc). È Mussolini stesso a rivendicare alle corporazioni la funzione di esaurire in sé il compito del sindacalismo fascista, superando ed andando oltre al sindacalismo stesso, inserendosi nel solco della Rivoluzione continua:  «È nella corporazione che il sindacalismo fascista trova infatti la sua meta. Il sindacalismo, di ogni scuola, ha un decorso che potrebbe dirsi comune, salvo i metodi: s'incomincia con l'educazione dei singoli alla vita associativa; si continua con la stipulazione dei contratti collettivi; si attua la solidarietà assistenziale o mutualistica; si perfeziona l'abilità professionale. Ma mentre il sindacalismo socialista, per la strada della lotta di classe, sfocia sul terreno politico, avente a programma finale la soppressione della proprietà privata e dell'iniziativa individuale, il sindacalismo fascista, attraverso la collaborazione di classe, sbocca nella corporazione, che tale collaborazione deve rendere sistematica e armonica, salvaguardando la proprietà, ma elevandola a funzione sociale, rispettando l'iniziativa individuale, ma nell'ambito della vita e dell'economia della Nazione. Il sindacalismo non può essere fine a sé stesso: o si esaurisce nel socialismo politico o nella corporazione fascista. È solo nella corporazione che si realizza l'unità economica nei suoi diversi elementi: capitale, lavoro, tecnica; è solo attraverso la corporazione, cioè attraverso la collaborazione di tutte le forze convergenti a un solo fine, che la vitalità del sindacalismo è assicurata. Mussolini, discorso inaugurale del Consiglio Nazionale delle corporazioni) Maggiori esponenti ed ispiratori Corridoni Corradini Ambris Panunzio Olivetti Dinale Lanzillo Grandi Fontanelli, G.,  Bianchi Baroncini Cianetti Rossoni Razza Racheli Bagnasco Bramante Cucini Capoferri Landi Aimi Riviste La Stirpe Il Lavoro Fascista (poi organo ufficiale del Partito Fascista Repubblicano) Il Lavoro d'Italia Cultura Sindacale Rivista del Lavoro L'Idea Sindacalista Il Lavoro I Problemi del Lavoro NoteModifica Perfetti, Il sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo Bonacci, Roma, Breve storia dell'Usi di Fedeli Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De Donato, Bari, Malaparte e Suckert, Malaparte, vol. 1, Ponte delle Grazie, operante e senza legami con la UIL attuale. Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Roma e Bari, ristampa Firenze, La Nuova Italia, Nel cui sottotitolo cambiava, in questo periodo, la dicitura da quotidiano socialista in quotidiano dei produttori ^ Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Bonacci, Roma, Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, Corridoni (a cura di Andrea Benzi), ...come per andare più avanti ancora - gli scritti, Milano, Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino, Roma, Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. Torino, Einaudi, Sacco, Storia del sindacalismo, Torino, Olivetti Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Roma, Bonacci, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, Anche per via del cambiamento di schieramento di Grandi: Renzo De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. Torino, Einaudi, Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia University Press, New York, Allio, La polemica Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle corporazioni fasciste nell'ILO, "Storia contemporanea", Bologna, Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale, Feltrinelli, Milano"Il Giornale d'Italia", Il Mondo", Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, Cordova, Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, Ancora forti rimanevano i sindacati socialisti (CGdL) e comunisti soprattutto tra metallurgici e metalmeccanici del nord-ovest e lo rimarranno fino allo sciopero fascista della OM di Brescia, espansosi poi in tutto il nord Italia. In Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Settimo Sigillo, Roma, Le idee della ricostruzione. Discorsi sul sindacalismo fascista, Bemporad, Firenze, Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze. Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla vigilia dello Stato corporativo, Bonacci, Roma, Con l'eccezione di Lanzillo, che continuò pericolosamente a portare avanti idee liberiste anche durante il regime. Olivetti, Bolscevismo, comunismo e sindacalismo, Editrice Rivista Nazionale, Milano, Deliberazione congiunta del PNF e del Gruppo parlamentare del partito Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, Espressosi esplicitamente, in particolare, nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo occupatasi dell'analisi dei problemi sindacali. In questo ambito Michele Bianchi definì "dittatoriale" la "procedura introdotta dal sindacalismo fascista", mentre il sindacalista nazionale Maraviglia ribadì che "la doppia organizzazione, cioè quella dei datori di lavoro e quella dei lavoratori, allontana ogni pericolo che anche il Fascismo, per le pressioni e l'influenza delle organizzazioni sindacali, possa diventare un partito di classe". In Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Settimo Sigillo, Roma, Corriere della Sera, AA. VV., Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, contrassegnata da un parziale ritorno alla teoria e alla pratica del conflitto di classe", in Adrian Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo Laterza, Bari, Il fascismo è una dottrina, una fede, una civiltà nuova. Riemerge ora l'anima rivoluzionaria del Fascismo. Il Fascismo deve immediatamente tornare, non per opportunismo, ma per necessità storica, al programma L'anima del Fascismo è, ricordiamolo sempre, il Sindacalismo Nazionale, la cui formula Mussolini lanciò prima, prima di Vittorio Veneto". In Sergio Panunzio, La méta del Fascismo, in Il Popolo d'Italia, Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, Il Mondo, Rossoni sta, nel suo intervento, illustrando le future battaglie del sindacalismo fascista sui contratti collettivi di lavoro. In Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, In questo periodo continuarono ad affiorare, in seno al sindacalismo fascista, tendenze centrifughe verso Mussolini e il partito, la cui sorte pareva a molti gravemente compromessa" in Alberto Acquarone, La politica sindacale del fascismo ^ Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa, Il regime fascista, Il Mulino, Bologna, Che rientrò poi in breve tempo nell'alveo della sinistra fascista ufficiale. ^ Sandro Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986. Uva, La nascita dello stato corporativo e sindacale fascista, Carucci, Assisi-Roma Gerarchia Acquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, Arata, Decennale della Carta del Lavoro - Sul piano dell'Impero, su "L'Italia", Milano, Felice, Mussolini il fascista. L'organizzazione dello Stato fascista Einaudi, Spirito, Memorie di un incosciente, Rusconi, Milano Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Spirito, Firenze, in Belfagor Parlato, Ugo Spirito e il sindacalismo fascista, in AA. VV., Il pensiero di  Spirito, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze. BibliografiaModifica Testi in lingua italianaModifica AA. VV., Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, Critica Fascista, antologia a cura di De Rosa e Malgeri, Landi, San Giovanni Valdarno, Aquarone, La politica sindacale del fascismo. Alberto Aquarone e Vernassa (a cura di), Il regime fascista, Il Mulino, Bologna, Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, Allio, La polemica Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle Corporazioni fasciste nell'ILO, "Storia contemporanea", Bologna, Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale Feltrinelli, Milano, Bocca, Mussolini socialfascista, Garzanti, Milano, Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Vallecchi, Firenze. Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Roma e Bari; ristampa Firenze, La Nuova Italia, Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere, Torino, Einaudi, Felice, Mussolini il fascista. L'organizzazione dello Stato fascista, Torino, Einaudi, Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, Felice, Autobiografia del fascismo. Antologia di testi fascisti, Bergamo, Minerva italica, Gentile, Le origini dell'ideologia fascista, Laterza, Bari. Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De Donato, Bari,  Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Spirito, Firenze, in Belfagor, Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo Laterza, Bari, Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino, Parlato, Spirito e il sindacalismo fascista, in AA. VV., Il pensiero di Spirito, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma,  Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla caduta del regime, Bonacci, Roma, Perfetti, Il sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo Bonacci, Roma, 1988. Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Bonacci, Roma, Sacco, Storia del sindacalismo, Torino, Salvemini, Scritti sul fascismo, Feltrinelli, Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, Susmel, Opera Omnia di Mussolini, La Fenice, Firenze. Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino, Roma, Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia University Press, New York, Lowell Field, The Syndacal and Corporative Institutions of Italian Fascism, Columbia University Press, New York, Roberts, The Syndacalist Tradition and Italian Fascism, University of North Carolina Press, Chapel Hill, Camera dei fasci e delle corporazioni Carta del Lavoro Corporativismo Corporazione proprietaria Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali Collaborazione di classe Fasci Italiani di Combattimento Interventismo Leggi fascistissime Politica economica fascista Politica sociale (fascismo) Dalmine Rivoluzione fascista Squadrismo Sindacalismo rivoluzionario Sindacato fascista dei giornalisti Portale Fascismo   Portale Politica   Portale Storia d'Italia Edmondo Rossoni sindacalista, giornalista e politico italiano Oliviero Olivetti politico, politologo e giornalista italiano  Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali. Riccardo Del Giudice. Giudice. Keywords: l’implicatura di Telesio, Telesio, polemica con Spirito su la distinzione tra sindacato e corporazione, le corporazione nell aroma papale, I diritti dello stato pontificio, il diritto della navegazione, contratto, gentile, la scuola al lavoro – ‘dottrina e prassi corporativa” --  – la tesi di telesio – consiglio nazionale delle corporazioni.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giudice: l’implicatura di Telesio” -- The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giudice: all’isola – la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- corpi ed espressioni – filosofia messinese – scuola di Messina -- filosofia siciliana – filosofa italiana -- Luigi Speranza (Antillo). Filosofo messinese. Filosofo siciliano. Filosofo italiano.  Antillo, Messina, Sicilia. Grice: “Giudice has written an essay that poses a conceptual query for Austin’s conceptual query. It’s “Sull pudore” – “But do we have that in ordinary language?”” – Grice: “Giudice has also written on more standard forms of philosophy of language, and Nietzsche.” Dopo aver espletato studi classici si laurea con la tesi “Ideologia e Sociologia” -- Ricercatore all'Istituto di Filosofia di Messina. Direttore della collana "Filosofia Teoretica". Altre saggi: “La Nuova Filosofia, Messina, Sortino “Il discorso filosofico” “Gli echi del corpo” Verona,Paniere, “Il lessico di Nietzsche” Roma, Armando, Nietzscheana. Esercizi di lettura, Messina, Alfa, “Il tribunale filosofico” I simboli delle cose più alte, Fedeltà alla terra, Profili della contemporaneità, Cosenza, Pellegrini, “Stare insieme” Cosenza, Pellegrini, La filosofia del finito, Cosenza, Pellegrini, Gl’echi, Cosenza, Pellegrini Editore, Il corpo e l'espressione, Cosenza, Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Emozioni e cognitività: Un approccio fisiologico, Cosenza, Pellegrini Sul pudore -- Sul pudore e sull'osceno, Cosenza, Pellegrini Breve documento sulla "nuova filosofia", Cosenza, Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Su Messina e altri scritti, Cosenza, Pellegrini, Morelli, Puoi fidarti di te, Milano, Mondadori, Battaglia, Storia e cultura in Popper, Cosenza, Pellegrino, Battaglia, Guicciardini tra scienza etica e politica, Cosenza, L. Pellegrino,,  varie Giovanni Coglitore, Kant: cristianesimo come impegno morale, in Il contributo,  L'Espresso, Studi etno-antropologici e sociologici,.  Fisiologia branca della biologia che studia il funzionamento degli organismi viventi disambigua.svg Disambiguazione – "Fisiologo" rimanda qui. Se stai cercando l'omonimo trattato antico, vedi Il Fisiologo. La fisiologia (da φύσις, natura', e λόγος, 'discorso', quindi 'studio dei fenomeni naturali') è la branca della biologia che studia il funzionamento degli organismi viventi, analizzando i principi chimico-fisici del funzionamento degli esseri viventi, siano essi mono o pluricellulari, animali o vegetali.  L'Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, un'importante prima tappa nello studio della fisiologia. È detta "condizione fisiologica" lo stato in cui si verificano le normali funzioni corporee, mentre una condizione patologica è caratterizzata da anomalie che si traducono in malattie. Data l'estensione del campo di studi, la fisiologia si divide, fra gli altri, in fisiologia animale, fisiologia vegetale, fisiologia cellulare, fisiologia microbica, batterica e virale. Il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina è assegnato dall'Accademia reale svedese delle scienzea coloro che raggiungono risultati significativi in questa disciplina.  StoriaModifica  Claude Bernard e i suoi aiutanti. Olio su tela di Leon-Augus Wellcome. I primi studi fisiologici risalgono alle antiche civiltà dell'India e all'Egitto, dove venivano condotti insieme agli studi anatomici, senza l'utilizzo della dissezione o della vivisezione. Lo studio della fisiologia umana come campo medico risale almeno ai tempi di Ippocrate, noto come il padre della medicina. Ippocrate incorpora questa scienza alla sua teoria degli umori, che si basa su quattro sostanze fondamentali: terra, acqua, aria e fuoco; associate ad un corrispondente humor (bile nera, flegma, sangue e bile gialla, rispettivamente). Ippocrate nota alcune connessioni emotive ai quattro umori, che Galeno avrebbe poi ripreso nei suoi studi. Il pensiero criticodi Aristotele e la sua teoria sulla correlazione tra struttura e funzione ha segnato l'inizio dello studio della fisiologia nella Grecia antica. Come Ippocrate, Aristotele riprende la teoria umorale, che per lui consisteva in quattro qualità primarie: caldo, freddo, umido e secco. Galeno è stato il primo ad utilizzare degli esperimenti per sondare le funzioni del corpo. A differenza di Ippocrate, però, Galeno sostiene che gli squilibri umorali siano situati in organi specifici, o nell'intero corpo. Galeno ha poi introdotto la nozione di temperamento: sanguigno corrisponde al sangue; il flemmatico è legato al catarro; la bile gialla è collegata alla collera; e la bile nera corrisponde alla malinconia. Galeno afferma che il corpo umano è composto da tre sistemi collegati: il cervello e i nervi, responsabili dei pensieri e sensazioni; il cuore e le arterie, che danno la vita; e il fegato con le vene, che sono collegati alla nutrizione e la crescita.[9] Galeno è anche il fondatore della fisiologia sperimentale. Per i successivi 1.400 anni, la fisiologia galenica influenza l'intera medicina. Fernel, un medico francese, ha introdotto per primo il termine "fisiologia". Il fisiologo francese Milne-Edwards introduce il concetto di divisione fisiologica del lavoro, che ha permesso di "confrontare e studiare le cose viventi come se fossero macchine create dall'industria dell'uomo". Ispirato dal lavoro di Adam Smith, Milne-Edwards ha scritto che il "corpo di tutti gli esseri viventi, animali o piante, assomiglia ad una fabbrica ... in cui gli organi, paragonabili ai lavoratori, lavorano incessantemente per produrre i fenomeni che costituiscono la vita dell'individuo." Negli organismi più differenziati, il lavoro può essere ripartito tra diversi strumenti o sistemi (chiamati da lui appareils). Lister studia le cause della coagulazione del sangue e l'infiammazione. Le sue scoperte portano all'implemento di antisettici in sala operatoria, con conseguente diminuzione del tasso di mortalità degli interventi chirurgici. La conoscenza fisiologica ha iniziato a crescere ad un ritmo rapido, in particolare nel 1838, grazie alla teoria cellulare di Schleiden e Schwann, nella quale si afferma per la prima volta che gli organismi sono costituiti da unità chiamate celle. Le scoperte di Bernard hanno portato al concetto di milieu interieur (ambiente interno), che sarà poi ripreso e definito "omeostasi" dal fisiologo americano Walter B. Cannonnel. Con omeostasi, Cannon intendeva "il mantenimento di stati stazionari nel corpo e i processi fisiologici con cui sono regolati. In altre parole, la capacità dell'organismo di regolare l'ambiente interno. Va notato che, William Beaumont è stato il primo americano ad utilizzare l'applicazione pratica della fisiologia.  I fisiologi del XIX secolo come Michael Foster, Max Verworn, e Alfred Binet, sulla base delle idee di Haeckel, elaborano il concetto di fisiologia generale, una scienza unificata che studia le cellule, ribattezzata biologia cellulare nel 900. Nel XX secolo, i biologi iniziano ad interessarsi agli organismi diversi dagli esseri umani, e nascono i campi della fisiologia comparata ed ecofisiologia. Più di recente, la fisiologia evolutiva è diventata un sotto-disciplina distinta. La fisiologia opera su diversi livelli, occupandosi sia dei meccanismi di base a livello molecolare sia di funzioni di cellule e organi, come pure dell'integrazione delle funzioni d'organo negli organismi complessi.   A seconda dell'ambito specialistico, la fisiologia si avvale delle conoscenze di numerose discipline, oltre alle già citate chimica e fisica, alcune branche della biologia quali: biochimica, biologia molecolare, anatomia, citologia e istologia e costituisce anche la base fondamentale per numerose discipline mediche quali la patologia, la farmacologia e la tossicologia.  Esistono diversi metodi per classificare la fisiologia  In base al taxon: Fisiologia animale: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni degli animali. Fisiologia vegetale: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni dei vegetali. Fisiologia umana: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni degli esseri umani Fisiologia microbica e virale. In base al livello di organizzazione: Fisiologia cellulare: studia i meccanismi associati al funzionamento delle cellule e le loro interazioni con l'ambiente. Fisiologia molecolare: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni delle molecole Neurofisiologia: studia il funzionamento del sistema nervoso sia a livello cellulare che sistemico Fisiologia sistemica Fisiologia ecologica Fisiologia integrativa In base ai processi che causano variazioni fisiologiche: Fisiologia ambientale: studia le reazioni e l'adattamento dell'organismo sottoposto a differenti ambienti (temperatura, altitudine, inquinamento, ecc..). Fisiologia patologica: studia le modificazioni delle funzioni in seguito ad una patologia. Fisiologia dello sviluppo: studia i meccanismi e le fasi che conducono un organismo alla maturità riproduttiva. In base agli obiettivi finali della ricerca: Fisiologia applicata: studia la capacità umana d'interagire con l'ambiente esterno. Fisiologia comparata: studia le somiglianze e le differenze delle diverse specie animali. Fisiologia dell'esercizio: studia i meccanismi che interessano l'attività motoria e sportiva e come migliorare le prestazioni con l'allenamento. Prosser, C. Ladd Comparative Animal Physiology, ambientale Environmental and Metabolic Animal Physiology Hoboken, NJ: Wiley  Introduction to Physiology: History And Scope, in Medical News Today Hall Guyton e Hall Manuale di fisiologia medica Philadelphia, Pa .: Saunders / Elsevier. Burma; Maharani Chakravorty. From Physiology and Chemistry to Biochemistry. Pearson Education. Zimmermann. The Jungle and the Aroma of Meats: An Ecological Theme in Hindu Medicine. Motilal Banarsidass publications. Selin, Medicine Across Cultures: History and Practice of Medicine in Non-Western Cultures, Springer Science & Business Media, Physiology - humans, body, used, Earth, life, plants, chemical, methods, su scienceclarified. URL Boeree, Early Medicine and Physiology, su webspace.ship.edu. URL Galen of Pergamum | Greek physician, in Encyclopedia Britannica. Stanley C. Fell e F. Griffith Pearson, Historical Perspectives of Thoracic Anatomy, in Thoracic Surgery Clinics  thorsurg.. Wilbur Applebaum. Encyclopedia of the Scientific Revolution: From Copernicus to Newton. Routledge. Cervello. The Pulse del modernismo: fisiologici Estetica a Fin-de-siècle Europa . Seattle: University of Washington, Milestones in Physiology Archiviato il 20 maggio 2017 in Internet Archive. Brown e Elizabeth Fee, Walter Bradford Cannon, in American Journal of Public Health, Brain, The Pulse of Modernism: Physiological Aesthetics in Fin-de-Sicle Europe, University of Washington  Feder, ME; Bennett, AF; WW, Burggren; Huey, RB New directions in ecological physiology. New York: Cambridge University Press. Jr T Garland, P. A. Carter, Evolutionary Physiology Moyes, C.D., Schulte, P.M. Principles of Animal Physiology, second edition. Pearson/Benjamin Cummings. Boston, MA, lemma di dizionario «fisiologia»  fisiologia, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Fisiologia, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Opere riguardanti Fisiologia, su Open Library, Internet Archive. Fisiologia, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Portale Biologia: Biologia scienza che studia la vita  Storia della biologia Equilibrio idro-salino. Santi Lo Giudice. Giudice. Keywords: corpi ed espressioni, corpo, espressione, pudore, osceno, l’osceno nella Roma antica, l’osceno nella italia antica, fisiologia, fisiologico, natura --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giudice: corpi ed espressioni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giulia: la ragione conversazioanle e l’implicatura conversazionale – filosofia calabra – scuola d’Acri -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Acri). Filosofo calabro. Filosofo italiano. Acri, Cosenza, Calabria. Grice: “Julia was more of a poet than a philosopher; but then for Heidegger, philosophy IS poetry and vice versa!” -- essential Italian philosopher. Studia a Cosenza sotto FOCARACCI (si veda). Direttore di Telesio, periodico. Stringe grande amicizia PADULA (si veda). La temperie culturale in ambito locale vede la difficoltà della Calabria a integrarsi nella nuova entità politica. Area essenzialmente contadina, la regione ha una classe dirigente che preferisce assoggettarla al clientelismo e alla sua arretratezza piuttosto che metterla al passo con zone del paese più avanzate e progredite; perciò il mondo intellettuale d'avanguardia, deluso dalle speranze e conscio del sottosviluppo, si volge verso il positivismo e il socialismo. Vive tra il tardo romanticismo e l'affermarsi delle innovative correnti costituite dal naturalismo e dal verismo, nella scia di CARDUCCI (si veda) e VERGA (si veda). Le contraddizioni della sua epoca lo formano come un intellettuale spiritualista che rifiutail materialismo e in parte il mondo contemporaneo, e d'altra parte un sostenitore degli ideali socialisti, del riscatto delle masse disagiate e della glorificazione del passato della Calabria a partire dall'assedio degl’Aragonesi e dei suoi conterranei coevi illustri, fra i quali Miraglia, Padula, Quattromani, Tocco, oltre a CAMPANELLA. Accostatosi in un primo tempo al misticismo di Gioberti, si converte al verismo, alla ricerca del pragmatismo e di un modello di poesia di alto civismo che lo stesso G. proclama nei suoi Sonetti e liriche. Parte dai miti popolari e dalle ballate della tradizione romantica per marcare orgogliosamente la storia della sua terra. Considerato il padre della letteratura calabrese, si interessa alle origini della cultura letteraria della regione analizzando anche alcune opere a lui precedenti. Il suo impegno regionalistico si concretizza in uno studio su Selvaggi, nel quale si individua un collegamento fra Galeazzo di Tarsia e le produzioni romantiche. Vi fu poi un saggio su Padula e un esame delle liriche riferibili all'Accademia Cosentina. Sa però spaziare oltre i confini delle sue terre, fino a richiamare Milton nel suo scritto dedicato a Padula. Oltre a uno studio su Monti, produce dei lavori anche su Mazzini, Poerio, Correnti, legati dall'attenzione alle tematiche relative al Risorgimento e perciò in convergenza con il proprio pensiero, che dal punto di vista della poetica si richiama ai modelli che il letterato individua in Leopardi, Berchet e Giusti, oltre che in Prati.  Piromalli, La letteratura calabrese, Pellegrini, Cosenza; Monografia su calabria o, su calabria. Digital Storytelling su G. a cura degli studenti del Liceo G. di Acri, CS. Ovvero delle famiglie nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al libro d'oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che gioccano un ruolo nelle vicende del Sud Italia. Famiglia G. A cura di Dodaro  Socio Corrispondente dell’Accademia Cosentina, Arma: d’azzurro alla fascia d’oro accompagnata nel capo da un destrocherio di carnagione tenente un uccello di nero e in punta da un albero radicato al naturale. Titolo: Nobile d’Acri. Arma Famiglia  La famiglia G., in origine nota come de “Giulia”, figura fra le antiche e nobili casate d’Acri, Cosenza. I G. godettero sempre nella locale società di un buon livello di prestigio sociale come testimoniato dalle alleanze matrimoniali contratte con diverse famiglie patrizie fra le quali ricordiamo le seguenti: Benincasa, Candia, Capalbo, de Simone, Dodaro, Falcone, Fusari. Simbolo della condizione privilegiata della famiglia è il grande palazzo sito tra il rione Casalicchio ed il quartiere Piazza. Tale edificio, al cui interno si conserva la ricca biblioteca di famiglia, è abbellito da un portale lapideo sul quale spicca un mascherone sormontato da un’antica riproduzione in pietra dello stemma del casato. Il suddetto blasone è timbrato dalla classica corona a cinque punte che identifica i Julia come nobili. Acri, Palazzo Julia, portale  con atto del notaio Gaudinieri, il sacerdote Nicola Maria J. fonda una cappella privata sotto il titolo dell’Immacolata Concezione all’interno della chiesa di San Nicola di Bari in Acri situata nel rione Casalicchio. Fabrizio J. vende a Sanseverino un terreno dove e edificato l’imponente complesso del palazzo acrese dei principi di Bisignano, permutandolo con la casa e il fondo Macchia. Dal matrimonio fra il dott. Raffaele e la N.D. Giuseppina Capalbo nacquero Salvatore ed Antonio dei quali il primo è rinomato avvocato mentre Antonio viene ricordato come “Medico illustre” che “in età provetta, in pochi mesi, studiò leggi presso il Focaracci e ne apprese quanto ne anno i più maturi; onde s’incentrarono in lui il medico e l’avvocato. Fra i personaggi celebri di questa famiglia ricordiamo il citato Raffaele, Governatore di S. Giorgio e Vaccarizzo. La figura cui si lega maggiormente la fama del casato è quella di G., FILOSOFO. Allo stesso è intitolato il liceo – LIZIO -- d’Acri. Svolge gli studi presso l’istituto Molinari di Acri ed il seminario di S. Marco Argentano. Frequenta il seminario di Bisignano dove ebbe come insegnante il Canonico acrese Francesco Saverio Benvenuto, quest’ultimo colto latinista nonché teologo, filosofo e parroco maggiore di Santa Maria in Acri.  Intraprese gli studi giuridici e per alcuni anni esercita la professione di avvocato poi accantonata a favore dell’insegnamento di materie filosofiche. Quanto alla sua produzione filosofica questa e quella del poligrafo (letteratura, filosofia, storia, cultura calabrese) inoltre. Nei suoi studi predilesse la valorizzazione e la riscoperta di figure regionali poiché gli pareva che la Calabria fosse dimenticata e poco apprezzata dopo la raggiunta Unità. Fra le sue opere ricordiamo: Saggio sulla vita e le opere di Gravina, Saggio di studi critici su Selvaggi e la Calabra poesia, ROVERE e i suoi dialoghi di scienza prima, FIORENTINO filosofo, Lettere al figlio Antonio su Cesare, SANCTIS in Calabria, Monti. Muore in Acri. Telesio, rivista codiretta da J. Antonio J. figlio di Vincenzo, avvocato e raffinato poeta sposa, in prime nozze, Mariantonia Dodaro, figlia dell’avv. Giovanbattista e di Cristina Benvenuto. Il loro è un matrimonio felice e allietato dalla nascita di Maria Gabriella, Vincenzo e Antonietta.  Antonio G. e sua moglie Mariantonia Dodaro  Antonio G. è legato da sincero amore a sua moglie e quando questa prematuramente scomparve, riversò il suo dolore in alcuni toccanti componimenti poetici che rappresentano una struggente testimonianza del suo dramma interiore e assieme della sua spiccata sensibilità d’animo. AL CROCIFISSO DEL SUO LETTO Non più le sue lucenti Pupille a te si volgeran la sera; non più per le dolenti mie stanze echeggerà la sua preghiera. O tu, che pendi ancora, mistico Iddio, sul vedovo mio letto, volgi le luci ognora sovra i miei figli e sul paterno tetto! Dimmi che ancor le rose Olezzano per te, vigile Iddio, le parole amorose che a te rivolse, ne l’estremo addio. Dimmi che ancor tu senti La voce sua, ne l’ombre de la sera, e che, in soavi accenti, mormora pe’ suoi figli una preghiera! Gli smalti dello stemma J. sono noti grazie ad una raffigurazione del blasone in oggetto riportata dallo storico acrese Capalbo in un suo lavoro inedito sull’araldica delle famiglie nobili d’Acri. Nella riproduzione del blasone dei G., visibile ancora oggi sul portale del loro palazzo in Acri, il destrocherio appare vestito. (2) - Per approfondimenti si rimanda a CHIODO, L’Archivio Privato della famiglia G. di Acri - Inventario sommario, in “Archivio Storico per le Province Napoletane. Per un elenco completo delle famiglie patrizie di Acri si vedaCAPALBO, Memorie storiche di Acri, S. Giovanni in Persiceto (BO), Edizioni Brenner, CAPALBO. Quest’ultima, appartenente a una famiglia originaria di Rogiano Gravina, sorella di Balsan,  letterato e deputato del regno d’Italia nonché preside del liceo Telesio di Cosenza. Lo stesso figura tra i maestri del nipote PIROMALLI, La Letteratura Calabrese, Cosenza, Pellegrini. Per approfondimenti su alcune vicende storiche che interessarono la famiglia Fusari si rimanda a CAPALBO,- G. vincenzo. atavist. Alcuni anni dopo il decesso della prima moglie, si unirà in matrimonio con Maria Beatrice Antonietta Romano di Acri. Poi sposatasi con Carlo Giannice Andata successivamente in sposa a Giuseppe dell’Armi A. G., Momenti, S. Maria Capua a Vetere, Casa ed. Della Gioventù, Si veda anche il componimento intitolato “Alla Vergine della Sua Stanza”. Questo egregio, su cui fondiamo, a buon dritto, non pic cola speranza, per le diverse prove del suo nobile ingegno fin'ora dateci, coltiva con forte, inteso amore le filosofiche discipline, tutto solo rannicchiato in piccol paesuccio delle Calabrie, Acri. Egli, da quello n'è sembrato, predilige la filosofia di quel sommo torinese filosofo, che col suo primato Civile e Mormale D'Italia fanatizzò tutti isuoi connazionali per la dupla autonomia del loro paese, Libertà ed Indipendenza; e con l'Introduzione allo studio della Filosofia, la Protologica ed altre opere speculative ispira nei cultori di questa no bilissima scienza l'amore delle nazionali dottrine. J. a dunque è un giobertiano, un ontologo, e per lui quindi sta che l’ente, il primo essere, Colui che dà l'essere a tutte cose, non però spezzandosi, non diffondendosi, nè emanandole dal suo seno, come il ragno il ragnatelo; ma liberamente creandole; per lui dico sta, che l'Ente, l'ASSOLUTO reale, non astratto, quale il pose, il proclama Hegel, è il Primo Filosofico, cioè a dire è non solo il primo essere o primo ontologico; ma anche la Prima Idea o Primo Psicologico. Sicchè non solo anno le cose tutte da Dio l'essere loro, ma anche la loro intelligibilità. Verità già insegnata dal fondatore dell'Accademia, il divino Platone, il quale dice che l'idea del DIIVINO è pel mondo intelligibile quello che il sole è pel mondo visibi le, e che l'essere assoluto dà alle menti nostre l'esistenza e spande su loro e sugli obbietti della scienza illume della verità« detí v 8.& Tlothuns oùoxv xai adnocías» come il sole, che non solamente rende visibili le cose, ma dona loro eziandio il nascimento, l'accrescimento e la maturita -- τον ήλιον τοϊς ορωμένοις ου μόνον , οίμαι τήν του οράσθαι δυναμιν παρέχειν φήσεις , αλλά και την γένεσιν αυτών όντα. Quindi per J. sta quel metodo detto deduttivo, o sillogistico, che dai principii va alle conseguenze, ma non come pretende il fondatore del Peripato del LIZIO, il qua le fa il sillogismo posteriore all'induzione, ed il cui scopo non consiste in altro che in applicare i principii alle cose particolari a meglio rifermarle. J. ha capito bene che l'induzione non può darci punto tanto i principii proprii a ciascuna scienza, quanto i principii comuni ed assolutamente universali. I principii sono ontologici ed originalmente presenti alla intelligenza, secondo dice il divino Platone, e non già puramente logici ed astratti, secondo dice Aristotele, che li vuole prodotti la merce dell'intelligenza con gl’elementi fornitici della sensazione. Nè debbe dirsi che J. neghi l'induzione. Ei l'ammette, e nel senso di venir essa provocata, sostenuta e guidata in noi dal lume di certe idee generali sempre presenti all'anima nostra, essendo un impossibile elevarsi da qualche fatto individuale e variabile all'idea della legge generale e permanente, senza averci di già nella mente, almeno in una maniera vaga e confusa, l'idea di ordine, di generalità e di stabilità. Laonde dice Laforet nella sua storia della filosofia antica, in parlando del LIZIO. Comment s'élever de la perception de faet contingents et relatif à l'idée de principes nécessaires et absolus, si le necessaire et l'absolu sont entieremant étrangers à l'intelligence? Dunque pel J., come per ogni giobertiano, si deve partire di Dio per costruire la scienza filosofica ossia dalla idea somma ed improdotta , perché è quel principio supremo che illumina e rende conoscibili gli altri principiimeno generali e senza di cui non potrebbe aversi quella sintesi obbiettiva, che argumenta di necessità nel suo moto organico la gerarchia dei principii scientifici; e deve radicarsi in un principio assoluto, supremo, universale, immutabile, il quale, reggendo colla sua virtù ogni singolar passo del procedimento razionale, accorda ed unifica tutti imomenti del discorso ideale, e tutta insieme 1.umana enciclopedia. Laonde dice saviamente nel suo dotto di scorso intorno al Panteismo Attanasio, nella La Carità di Napoli. Sintesi senza gerarchia di principii io non intendo nell'ordine dell'idee, come non vedo nell'ordine umano sociale e nell'ordine fisico di natura. E ingradamento di gerarchie che ponga in atto una sintesi universale torna impossibile a concepire pur col pensiero senza un principio supremo, essenzialmente uno ed immutabile, che sia il centro immoto che governi i moti del multiplo e del diverso e tragga a sè ed accordi il multiplo e dil diverso». Laonde, lasciando chel'induzione non conduca ai principii, a ciò che è universale , sia che dessa fosse positivista o come la intende il positivismo, siache fosse anche nel senso di Aristotsle, ci facciamo a lodare J. per avere ei scelto quel sistema, che parte dall'idea dell’ASSOLUTO reale per costruire la scienza, non sipotendo, per tante e tante ragioni dette e ri-dette, porsi per primo conoscibile ciò che non è prima cosa; per chè sarebbe, seguendo questa via, un turbare l'armonia della scienza filosofica; giusta che vien fatto dai psicologi, i quali partono dal contingente, ed oșano spiegare l'assioma degl’assiomi, la verità prima con la verità seconda, e separare l'ordine di esistenza da quel lodi conoscenza, il primo psicologico dal primo ontologico, dando questo per primo filosofico. Di qui non potremmo esserer improverati che atorto, se dicessimo che iseguaci del PSICOLOGISMO di Aristotele -- non però di quelle d’AQUINO (si veda) ch'è ben altro -- siam lontani da una vera scienza; perché la scienza è con la sintesi, e la sintesi co'principii, e la gerarchia dei principii scienziali nel principio sommo, Dio, radicata. Siechè scienza sull'ANALISI è scienza effimera, è scienza di nome, essendo disgregazione, e tale è la filosofia di Aristotele, siccome è conto da quei due principii ammessi da lui. Nihilest in intellectu,quod prius non fuerit in sensu --  e che l'anima nostra si rassomiglia ed una tavolarasa -- Δείδ'ούτως ώσπερεν γραμματειωώ μηθένυ πάρχει εντελεχεία γεγραμένον. È quantunque fosse vero che il LIZIO ammettesse l'intelletto attivo profondamente distinto dalla sensibilità, essendo quello che opera 83 $¢%su ciò che ci vien porto dalla sensazione, per tirarne od indurne avec lemonde intelligible; sun intervention n'apportedo nerien de now eri veau à ce qui est déposé dans l'àme par suite de la perception des 0C sens, il ne peut qu'exercer son activité et travaillier sur ce qui est racu dans l'intellect paseif. L'intellect actif d'Aristote nous semble jouer, redans la formation de la connaessance,un rôle exactement samblable à 1021"celui que joue la reflexion de Locke; ni l'un ni l'autre n'ajoutent ta rien à l'objet fourni par la sensation, toute leur action seborné à éla:) doaborer cet objet Dunque nonpuò farsi ammeno di ammettere col ret. J. e la scuola giobertiana l'apprensione diretta ed immediata, din cioè l'intuito dell'assoluto, e ritenere essere questi la prima idea, la l'oprima conoscenza, che, per la via di un primo guardare, viene al. into: l'intelletto umano nello stato d'intenebramento, che la riflessione di in poi, la quale èun secondo intuito od un ripiegamento dello spirito e sopra il primo intuito, chiarifica e fissa, e non già che la si acqui isti e conosca in forza del raziocinio, passandosi dalla cognizione a iilistratta, ottenuta per la via dell'induzione, a quella concreta del V e on& ro Assoluto, avendo ben dimosorato altrove, che i psicologi si tro fost vino in grande errore, credendo ed insegnando, che Dio siccome ve fosesrità assiomatica, essendo universale, necersaria ed immutabile, debba 18 essere astratta,e che vi bisogna di forza indispensabilmente il ra ley ziocinio per ascendere, mediante essa verità astratta, al vero primo buik ed assoluto, mentre, siccome facemmo notare in proposito di Milone. Insomma, senza menarla piùinlungo, della insignescuola on anda tologica è J., siccome l'ha mostrato co'suoi vari scritti di ar veratgomento filosofico e conquello, veramente stupendo, Discorsointorno alla vita ed alle opera di Balsano, in cui, prendendoa consi ost: der ar e questo disgraziato dotto Calabrese, divenuto vittima del pugnale di un assino, e, considerandolo non solo quale oratore egregio ed acuto critico,ma anche qualeillustre cultore delle scienze filosofi cincche, e forte amatore del sistema ontologico, palesa a chiare note i suoi O. pensamenti in fatto di filosofia, che sono indubitatamente quelli del Pladiotonismo, cristianizzato d’Agostino, ammirato d’AQUINO (si veda) e d’ALIGHIERI (si veda), divulgato da Gioberti, ed abbracciato dalla th, maggior parte de'pensatori nostrani. La FILOSOFIA di J. che ci avemmo in dono da lui medesi i mo , palesa ad evidenza non solo la scuola filosofica cui appartie ne; non solo la lucentezza delle idee, ond'è corredata sua mente; e non solo l'affetto per la patria grandezza quanto a politica, governo e civile, scienze, lettere ed arti; ma dàanche prova della perizia che l'universale ed elevarci sino alla concezione dei principii; pure non to bisogna dimenticarci che nella teoria dello Stagirita è desso affatto & vuoto, senza alcun rapporto diretto col mondo intelligibile, da potersi pelo dire che nella conoscenza eserciti l'ufficio nè più nè meno della riostruflessione di Locke. E dice bene Laforet. Dans la theorie du Stagirite l'intellect actif est tout a fait vide et n'a nul rapport direct Profilo Bibliografico pubb. nella Rivista Itoliana di Palerino ela:Anno IV,N. 11, nonci ha cosa più chiara, che essa verità assio -artormatica primitiva è obbiettiva in sommo grado,appunto per le sue veritacaratteristiche di universalità, necessità ed iminutabilità. COSS me adal tile. // ne  84 ha ei nell'idioma nazionale. Sicchè è a rallegrarci con lui dei buoni studi, dell'amore delle nazionali dottrine dell'eccellenza del sistema che ha adottato nelle scienze speculative, anteponendo (fra i due sistemi che veramente possono dirsi i più perfetti, essendo ambo sin tesisti, cioè a dire razionalo-empirici od empirico-razionali) l'ontologismo al psicologismo, e, fuggendo, quelloche è più, gl’eccessi del razionalismo e dell'empirismo, e quei tali sistemi erronei, idealismo e positivismo, pei quali delirano i filosofi, da cui camminando si di questo passo, non ci possiamo attendere, se non un ar venire sventurato. Prosegue J. i suoi studii filosofici, e ci offra lavori speculativi di maggior lena, per poterlo vie meglio ammirarlo, e rallegrarcene con lui.  Delle dottrine filosofiche e civili di Gravina per Balsano, con saggio sulla vita e sulle opere del Gravina per J. — Cosenza, Mgliaccio. Gravina è considerato dai più come poeta e letterato segnatamente pel suo trattato della Ragione poetica,e come insigne giureconsulto, specie per lasua opera De ortu et progressu juris civilis. Ma eglime rita,sotto un certo rispetto,d'essere altresi considerato come filosofo e per le dottrine speculative che professava e per quei sommi principii a cui s'informano i suoi SAGGI DI FILOSOFIA, dovendo le scienze particolari e d'applicazione, quali sono appunto le discipline giuri diche e pratiche.esser precedute ed illuminate da una scienza speculativa più alta ed universale, cioè dalla Filosofia propriamente detta. A nostri giorni il calabrese Balsano si pro pose di far meglio conoscere le dottrine filosofiche e civili di Gravina, studiando accuratamente e con intelletto d'amore le opere del suo grande concittadino. Ma Balsano, non che pubblicarlo, non potè compiere il suo lavoro, perchè trafitto dal pugnale dell'assassino! J. ha raccolto la sacra eredità del suo venerato maestro, dettando un'eru dita ed ampia monografia sulla vita di Gravina, e pubbli candola insieme al lavoro inedito del Balsano. In questa vita  e   troviamo uno specchio breve ma fedele dei tempi di Gravina, specie riguardo agli studii; la pittura del carattere morale del pensatore rogianese, un cenno de'suoi numerosi scritti e de'suoi meriti letterarii. L'opera del Balsano, dettata in una forma quanto castigata altrettanto elegante ed elevata, contiene una larga esposizione dei pensamenti di Gravina diretti a coordinare tutte le sue meditazioni di filosofia speculativa e di morale , di religione e di diritto, di estetica e d'insegnamento, di politica edi civiltà. È divisa in due libri. Nel primo si ragiona delle dottrine civili. Quanto alla filosofia, da Balsamo si cerca dimo strare che Gravina, studioso della TRADIZIONE DELL’ANTICA FILOSOFIA ITALICA,si attenne specialmente alla dottrine platoniche (come apparisce anche dall'Orazione sua De instauratione studiorum), armoneggiandole col progresso della civiltà cristiana, delle scienze particolari e massime del Diritto, egli che aveva meditato le opere dei sommi giure consulti romani, e che aveva piena la mente ed il petto della grandezza di ROMA antica. Le dottrine platoniche da lui professate gli fecero innalzare la mente ai principii sommi del Diritto, a meditare la riforma delle dottrine civili, ed a comprendere la sintesi el'armonia delle parti principalidel sapere. Difatti, Gravina vedeva la scienza umana come un'armonia e ricordava la piramide in cui egli dice espressamente avere gli antichi savi simboleggiato la scienza umana e la natura delle cose: il che significa che per lui l'ordine della scienza risponde a quello della natura, l'idealità alla realità; e come il primo vero è l'idea divina nota da principio all'intelletto creato, così il primo essere è Dio creatore della scienza e della natura. Tutto l'ordine dei contingenti reali ha sua causa efficiente nell'ASSOLUTO che licrea; tutto l'ordine delle cono scenze empiriche ha sua origine nell'idea eterna, presente sempre all'intelletto umano e norma o tipo a cui si riscon trano le cose finiteapprese per esperienza sensibile. E sotto questo aspetto può dirsi che Gravina precorresse a Gioberti, che in cima del sapere e dell'essere doveva porre Dio creatore. Adunque il contemporaneo di VICO (si veda) non segui le dottrine del Locke, ma invece quelle più elevate di Pla- [Disp.] tone e del Cartesio, quantunque non și mostrasse sempre giusto verso il LIZIO. Ma se a Gravina non può negarsi un certo valore filosofico, i suoi veri meriti risguardano, più che la FILOSOFIA ela Letteratura, la Giurisprudenza. Preceduto da Gentile, da Bacone e da Grozio, Gravina non solo ricercava l'origine del Diritto e ne indagava iprogressi (De ortu et progressu juris civilis), ma sapeva altresi elevarsi alle idealità o ai principii supremi del Diritto. Quindi è che a lui debbono molto la Storia del Diritto, specie, di quello romano che insegna in Roma stessa, e la FILOSOFIA. Gravina, esaminando l'origine e la natura del Diritto, non lo separava dalla Morale come oggi fanno taluni, perchè nella legge morale,da cui scaturiscono tutti i doveri umani, trova pure il suo primo e vero fon damento il diritto. Egli precorse al Savigny da un lato, al VICO e Montesquieu dall'altro, interpretando con larghezza di veduta la storia civile e giuridica di ROMA. Balsano si è proposto di ritarrre ilGravina non solo qual eminente giureconsulto, sì ancora qual filosofo civile, mostrando com'egli additasse le norme eterne d'ogni società umana (che ammetteva come un portato della natura) nella vita privata e pubblica, nell'ordine privato e politico. Ma ripetiamo, Balsano non potè compiere l'opera sua; la quale del resto, merita di essere conosciuta e studiatadai cultori della Filosofia, benchè ci sembri scritta con entusiasmo soverchio verso il proprio concittadino risguardato come filosofo. DISCORSO Recitato nella sala dell'Accademia Cosentina). Piansi,o Signori, nella mia pensosa solitudine, la morte immatura del caro Fiorentino, che mi fu amico e fratello!; vengo ora a glorificarne l'ingegno nel tempio della scienza, innanzi al simulacro del vecchio TELESIO, al cospetto di dotti Accademici, di fervidi giovani, dieletti ingegni, di distinti Professori, che meglio di m e , nato e cresciuto nelle montagne, potrebbero valutarne i forti studi e la vasta intelli genza. Parlerò con franchezza, senza adulazioni rettoriche, senza intemperanze di lodi; dinanzi ad uomini gravi ed austeri le apoteosi e la rettorica sono un fuordopera. La parola mendace è un insulto alle ceneri di Fiorentino, uomo sovero ed aperto, che disdegnò il lenocinio e le bel lezze oratorie, sa dire con schiettezza di calabrese la v e rità ad amici e nemici, e fu audace demolitore del vecchio mondo; inesorabile agl'ipocriti ed ai ciarlatani. Nella rioca personalità del Fiorentino grandeggia il filosofo ed il pensatore; lascio,per ora,ad altri di me più competenti, esami nare il letterato, lo scrittore, ed il cittadino; io vi parlerò soltanto dell'Autore di BRUNO;del Saggio Storico sulla Filosofia; di POMPONAZZI e di TELESIO; quat tro titoli di gloria , che basteranno a rendere immortale il nome di Francesco Fiorentino. [Vedi il saggio su Fiorentino da J. pubblicato nell'Avanguardi, riprodotto dalla Gazzetta Calabrese e dal Calabro in Catanzaro; dal Corriere del Mattino e dall'Ateneo, in Napoli. L'Italia, o Signori, fu scossa nei principi del secolo, dopo la grande Rivoluzione dell'ottantanove, dalla parola del nostro GALLUPPI, che il Gioberti chiama il Nestore della sapienza italiana. Senza mistiche intemperanze, senza voli metafisici, ei richiamò, nuovo Socrate, la mente degl’italiani ad indagare il me e la coscienza; a scrutare profondamente ilsubbietto umano; e, rigettando lequiddità scolastiche ed il sensismo di Condillac e di Tracy, contribui à rinnovare presso di noi il metodo naturale , e fu salutare reazione all'esorbitanze speculative del secolo decimottavo, Conscio dell’esigenza storioa del secolo decimonono, Galluppi inizia presso di noi lo studio della storia della filosofia; indovino, pur combattendola fieramente, l'importanza speculativa della sintesi a priori, che in parte accetto; e, benchè avesse trascurata la Rinascenza, Telesio, Bruno, Campanella, può dirsi, IL VERO EDUCATORE DELLO SPIRITO FILOSOFICO IN ITALIA. La Calabria, terra delle grandi iniziative e delle magnanime audacie, si elevò con Galluppi all'altezza del pensiero moderno, e fu, sarei per dire, la squilla settimon tana di CAMPANELLA, che risveglia in Italia il pensiero laicale ed umano, il pensiero puro ed universale. FIORENTINO studia Galluppi, ne comprese l'indirizzo storico, o gli piacque la nuova e socratica spe culazione, che un modesto filosofo inizia nella estrema Calabria, sulle rive di quei mari, che ripetono ancor l'eco delle armonie pitagoriche. Galluppi, con le sue serene e casalinghe meditazioni, non bastava ad appagare il libero ed irrequieto ingegno di Fiorentino, aquila delle montagne, che volea spezzare le pastoie del vecchio mondo e della speculazione galluppiana. In mezzo a queste ansie intellettive sopravvenne Gioberti a scuotere le menti dei meridionali con la magica parola; ed Fiorentino, assetato di ideale e di patria, come tutti i forti ingegni di Calabria, accettò anch'egli la mistica speculazione giobertiana, o è idealista platonico ed ortodosso. E chi potea, pria del sessanta, resistere al fascino di Gioberti? Chi rinnegare la p a tria, ch'egli glorificò nelle pagine immortali del Primato? Guerrazzi chiama Gioberti scintilla piovuta dal Vesuvio sulla cima delle Alpi: veramente ci è in lui l'audacia, la fiamma profetica, la divinazione geniale del Mezzogiorno; ci è VICO e Campanella, AQUINO o Bruno; ci è la fede dei credenti, lo spirito ribelle dei tempi nuovi, l'ome rica fantasia di Platone, l'austero sillogismo di Aristotile. Nei dolori dell'esilio, egli scrive la Teorica del Sopranna turale, ch'è l'apoteosi della vecchia ortodossia ; riassunge nella Introduzione tutto il passato teologico e tradizionale, rinnovò il realismo del Medio-Evo, sposandolo al pensiero moderno; risuscitò nel Primato, con l'entusiasmo del pro feta, i titoli della nostra grandezza, e lanciandosi col volo dell'Aquila alpigiana nel grembo dell'essere, credette di averne interrogate le profondità, ringiovanito il vecchio Dio della Scolastica , e sciolti tutti i problemi con la formola ideale e con l'ente creatore. Gioberti non arrestossi a metà; e, ringagliardito da nuovi studî, ingegno audace e progressivo, com'era, accettò gran parte della speculazione moder na, e, spastoiandosi dal vecchio teologismo, dalle utopie del Primato, inaugura la nuova Italia col Rinnovamento; la nuova Scienza con la Protologia, e la nuova chiesa con la riforma cattolica, e con la filosofia della rivelazione; sebbene non interamente emancipato dalla vecchia ortodos sia. Ai tempi che Gioberti pubblica il Rinnovamento, ed Massari le Opere postume del suo grande amico, le Calabrie erano chiuse dalla muraglia cinese, ed ilnuovo pen siero laicale di Gioberti non potè penetrare nei nostri boschi. È ancora innamorato del misticismo e della formola ideale; gl’eroi della Rinascenza non sono ancora conosciuti tra noi; o SPAVENTA, esule a Torino, dove pubblica i suoi stupendi Saggi Critici su Bruno e Campanella, e quasi ignorato in Calabria. Fiorentino, non bisogna nasconderlo, avea subito an. Scrisse allora a Napoli Bruno, un Saggio, come schiettamente confessa l'Autore; composto in tutta fretta nelle vacanze, e disteso in soli ventotto giorni. Quel Saggio, benchè imperfetto, segna il primo momento della critica evoluzione del nostro in filosofia, il passaggio, cioè, dal dommatismo giobertiano alla speculazione libera e laicale dei tempi moderni. Nello studio del passato Fiorentino trova la spiegazione dei posteriori sistemi; e, poichè non poteva valutare le teoriche di Bruno, senza risalire alle origini, guarda la dialettica nelle scuole di CROTONE e VELIA, e ne rilevò con sa gace giudizio l'importanza speculativa nel gran dramma del greco pensiero. Si occupa, egli il primo, presso di noi, della stupenda Dialettica del cardinale di Cusa, e ne indaga i le gami col sistema del Nolano, dove causa e principio sono una medesima cosa, e la esteriorità della causa e la inte 1 Leggeva i SS. Padri in una cella di monaci: ne trascrisse molto; e ne pubblica alcuni saggi a Messina, voltandole in italiano. Cusani; Aiello; Re; Salvetti; Gatti; Spaventa e Spaventa; Imbriani; Meis; Tari; Savarese; Perez; Mancini; Sanctis; Marselli; Trinchera; Turchiarulo; Zio; Quercia ed altri. pensiero germanico, diffuso nel mezzogiorno dai più forti ingegni del Napolitano; indovina la grandezza speculativa della Rinascenza, e si sentì attratto dall'eroica figura del Nolano ch'egli l'influsso dei Santi Padri, e, principalmente, come dicemmo, del filosofo torinese, che da lui studiato profon damente in gioventù, non fu dimenticato nella età matura, in mezzo ai più splendidi trionfi del suo ingegno. Venne però il sessanta, con le sue titaniche audacie, e con le sue immortali demolizioni a svegliare Fiorentino dalla sua fede dommatica e dal suo sonno ortodosso; e, benchè non ancora emancipato da Gioberti, si volse a studiare il riorità del principio si ricongiungono nell'Uno, ch'è insie me causa e principio. L’uno nel sistema del Nolano, è totalità assoluta; vale a dire che come principio della forma zione dello cose è minimo,come totalità perfetta ó massimo; come identità del principio e della fine piglia il nome di uno, ove tutto si assorbe, come in vasto ricettacolo; ove il pensiero e la realtà si confonde in una identità suprema. In ciò consiste il panteismo di Bruno, che Fiorentino rigetta, soggiogato da Gioberti, confutando l'eccletismo poco omogeneo, gli ondeggiamenti e le contraddizioni del Nolano, che fonde insieme la Causa dei Pitagorici, l'Uno di VELIA, ed il Principio degl’alessandrini. E pure, ad onta delle prevenzioni ortodosse e giobertiane, Fiorentino non disconosce le novità laicali, di cui è ricco il sistema del Bruno; la maggioranza del pensiero, la menta lità, che splende come intelletto divino, mondano, partico lare,ed ilconcetto direlazione, ch'è tanta parte della Protologia del Gioberti, e costituisce il verace assoluto; l'assoluto, cioè, della moderna speculazione. Dallo oscillare di Bruno tra la Scolastica e la Rinascenza deriva che il finito ora è una vana parvenza, ora la massima realtà; ed il Nolano ondeggia tra Eraclito e Parmenide di VELIA, tra il flusso c o n tinuo e la rigida immobilità. Fiorentino mette Bruno in relazione con Spinoza e Schelling, ne nota col solito acume le differenze e le somiglianze, o conclude che i tre filosofi si rassomigliano nella prospettiva generale del sistema, hanno il medesimo intendimento di unificare la scienza e d'immedesimarla col mondo; cercano fuori del pensiero il centro della loro unità, e costituiscono quella serie di Panteisti, che si dicono obbiettivi; l'Uno, la Sostanza, l'Assoluto sono tre creazioni parallele. Fiorentino analizza del pari la dialettica di Hegel e di Gioberti, monumenti immortali della moderna speculazione, e nota che in Hegel e Gioberti contrastano due tradizioni, due filosofie, e due nazioni; la filosofia della creazione e la filosofia della   identità, il cattolicismo ed il razionalismo, l’Italia, patria d’AQUINO o d’ALIGHIERI, e la Germania, patria di Lutero e di Göthe. Fiorentino, senza sconoscere la importanza della filosofia tedesca, glorifica la vecchia formola giobertiana, il cattolicismo e la rivelazione; rigetta quasi il pensiero moderno, desidera il rinnovamento della antica filosofia italiana, e, collocando sugl ialtari il Gioberti della Teorica e della Introduzione, chiude il Saggio con queste parole. Sogna che il nome di GIOBERTI suonerebbe terribile sui campi di battaglia, e venerando tra le arcale della Università. Quel mio sogno giovanile si è avverato in gran parte e la indipendenza e l'unità della « mia patria,propugnata da quel grande statista, è presso a compiersi; mi sarebbe ora assai dolce il vedere una « scuola ed un'accademia iniziarsi, diffondersi , giganteggiare in quel nome si caro ad ogni italiano, con quella « formola,che assomma la scienza e la fede dei nostri padri. Da esse soltanto noi potremo sperare, compagni di quelli che combatterono a Curtatone, e cacciarono gli’austriaci da Varese e da Como. Bruno porta Fiorentino ad uno studio più accurato della greca filosofia, di cui è anche specchio e ri produzione, in buona parte, la Rinascenza italiana, della quale il Nolano è l'eroe ed il martire. Professore straordinario di Storia di filosofia a BOLOGNA, Fiorentino si da a studiare alacremente e con tenacità di calabrese Aristotile e Platone. Si fatti studii, come racconta egli stesso, gli apreno nuovi orizzonti, gli allargano la vista intellettiva, o gli fanno scorgere il difetto fondamentale della filosofia giobertiana. Fiorentino si allontano da Gioberti, non col cuore, si bene con la mente, ch: i forti amori non possono dimenticarsi. Rude e franco calabrese, intelletto austero, Fiorentino si emancipa dalla scuola filosofica ortodossa, quando si convince che il mito e la leggenda prevalevano sulla pura speculazione, sul pensiero libero o laicale. La critica, che Aristotile fa di Platone, a cui GIOBERTI si rassomiglia, fece schivo il Nostro dal mescolare immagini ad idee, e lo inimicò con le metafore filosofiche la severa, m a ineluttabile critica di Aristotile; non i tedeschi lo convertirono alla nuova filosofia, degna dei tempi moderni, si bene il rigido, inesorabile Aristotile Fiorentino scese, CALABRO ATLETA, nella arena della greca filosofia, e ardente è trasportato lungo le sponde dell' Ilisso, tra gl’alberi fragranti, che ne ombreggiano il margine; sotto il bel cielo d’Omero, tra le dispute di Socrate, i simposî platonici, e le austere meditazioni dell'Accademia. Sa egli fondere ed accordare insieme l'idea greca all'idea calabra, rappresentata nei tempi antichi da Pitagora, e tutte e due al nuovo pensiero laicale del Rinascimento, rappresentato presso di noi da Telesio e Campanella. Ringiovani così il pensiero, irrigidito nelle ferree strette della Scolastica e di Gioberti; e farfalla, ch'esce a poco a poco dal suo involucro; montanaro calabrese, che si trasfigura man mano sotto il soffio dei nuovi tempi, si sentì umano ed universale nei Dialoghi di Platone e nella Metafisica di Aristotile. La Grecia è infatti la terra dove sboccia il fiore dell'Arte, e germoglia il seme dell'umana ragione; è la patria del pensioro speculativo, della Dialettica, e della Categoria, a cui metton capo ipiù vasti sistemi dell'antica e della moderna filosofia. Fu lapatria di Platone, che per genialità e divinazione speculativa, per universalità di pensa menti, per movimento drammatico, per colorito artistico e finezza di dialogo, grandeggia su tutti i filosofi; egli fonde in sè l'eloquio facile e maraviglioso d’Omero e l'attica bellezza di Sofocle. La vecchia Grecia s'idealizza e si trasfigura nel gran discepolo di Socrate; la speculazione diviene arte e dramma, ed il pensiero, chiuso nei c ancelli di Talete e di Eraclito, abbraccia ilmondo, si fa universale ed umano, an- [Vedi Filosofia Contemporanea in Italia, Napoli] ticipa il Cristianesimo e preludia all'età moderna. Egli fonde, come disse bene FERRAI FERRARI (si veda), in una grande unità isofisti e i politici, gli artefici e i guerrieri; uomini, donne, vecchi, fanciulli, schiavi e liberi, e in questo mondo in azione ti si fa duca e maestro, innalzandoti, migliorandoti, affinando le tue facoltà, spesso spirandoti nell'anima un sacro entusiasmo per il buono, per il vero; quell'entusiasmo, aggiungo io, che crea i grandi fatti della storia, e quei capolavori del l'arte, che si chiamano Convito ed il Fedro, ove si specchia tutto il sorriso dell'Ionio mare, l'apollinea bellezza dei Greci, il fascino di Diotima e di Aspasia; la morbida poesia dell'Attica e l'arguta ironia di Socrate ; divina bellezza , m u . sica arcana, che rende unica la Grecia tra le nazioni più civili e più artistiche del mondo. Non volendo abusare della vostra bontà io m i restringo per ora a Platone; che ci porterebbe assai lungi il voler discorrere completamente del Saggio Storico sulla filosofia Greca ; discutere ed esaminare Aristotele e quanto altro riguarda le Categorie ed i problemi della filosofia moderna, di cui si occupa il nostro nel suo stupendo lavoro. Fiorentino scrutò con animo libero e spassionato la vec chia speculazione ellenica; la Grecia anteriore a Socrate,ove campeggiano le grandiose figure di Talete, di Senofane, di Eraclito, di Parmenide, d’Anassagora; o dove si elabora a poco a poco l'idea platonica e la categoria aristotelica. È un quadro ricco di pensiero, ed anche di poesia,che con vivi colori ci tratteggia Fiorentino con quella sua ge nialità, con quella lucida esposizione, che tanta grazia a g giunge ai suoi lavori speculativi; incantevole lucidezza, che ritrae i limpidi Soli diffusi sui patrî vigneti e sulle marine di Cotrone CROTONE. Il Saggio Storico sulla filosofia sarà sempre, secondo il nostro debole parere, l'opera più bella, più geniale del Fiorentino; ci è il profumo e l'entusiasmo, ci è la vita artistica, anche in mezzo alle severe meditazioni del pensatore; quella vita, che solo può dare la Giorn.Napoli] gioventù, nella sua più rigogliosa fioritura ed espansione. Ciò nonostante, spassionati estimatori dell'ingegno del nostro amico, riconosciamo in quel saggio lacune ed imperfezioni, che l'autore medesimo, uomo schietto e leale,vi riconobbe, ricco di nuovi studi sulla lingua, sulla filosofia, sulla letteratura greca; dotto nel tedesco e conoscitore profondo dei moderni lavori alemanni su Platone ed Aristotile. Intanto facciamo notare che il cardine fondamentale della critica di Fiorentino sono le idee platoniche e le categorie aristoteliche, che sono e saranno sempre le colonne e le pietre granitiche dell'umano pensiero. La critica platonica (come nota Chiappelli nel dottissimo studio sulla interpetrazione panteistica della dottrina platonica) si è a giorni nostri ri fatta da capo; e la quistione si aggira sui fondamenti di tutto il platonismo, valeadire, sul genuino valore della dottrina delle idee, che forma il centro del sistema dell’ACCADEMIA. Dalla interpetrazione di codesta dottrina dipende quella di tutto il resto del sistema; è il presupposto, da cui, come tanti corollarii, scendono tutte le altre parti di questo monumento immortale del genio greco, che scosso dalla potente critica dal LIZIO d’Aristotile, travisato dal Neo-platonismo, rivive anche oggi, dopo le vicende di tanti secoli. Varie e con traddittorie in ogni tempo sono le interpetrazioni delle idee platoniche. Sono scambiate, ora con gl’ideali estetici, che vagheggia l'artista, ora ritenuti come generi logici e concetti intellettivi, ed ora come gl’eterni paradimmi del divino artefice, modelli esemplari delle cose, e quindi esistenti per sė; la quale interpetrazione, che si trova diffusa tra i neo-platonici, tra i padri della chiesa, ed in tutto il medio-evo, anche oggi è sostenuta da valorosi critici. È certo poi che le idee in Platone sono trascendenti, immobili e separate dalla materia, e che carattere principale del Platonismo è la irreconciliabilità tra l'idea e la materia, tra l'intelligibile ed il sensibile: Le più ingegnose interpetrazioni dei critici moderni, e massime di Teicmuller, che fa dell’ACCADEMIA un Panteista, non han potuto colmare l'abisso, che nel greco filosofo separa l'idea dal cosmo, l'elemento intelligibile dall'elemento materiale. Relegate, come sono, le idee in un mondo inaccessibile, non possono esercitare nessuna influenza, nè sul l'essere, nè sul divenire delle cose sensibili, nė spiegare il formarsi delle cose medesime. Anche la relazione delle idee col divino, osserva Fiorentino, rimane indefinita. Le idee non hanno causalità, perciò la causa efficiente deve trovarsi accanto a loro, o concorrere con loro alla formazione dei mondo. L’ACCADEMIA non tenta neppure di conciliare il divino con le idee; perciò accanto alla speculazione tu trovi ancora il mito, non come semplice ornamento, ma come elemento integrale del sistema. Solo è certo che l'altissima idea è per Platone quella del bene; la quale ora s'immedesima con la ragione divina, ora è quella, a cui guardando il demiurgo dà forma al mondo; se non che non si può risolutamente affermare che il bene s’immedesimi col divino, ch'è un dato della tradizione piuttosto che della filosofia, ed in Piatone non essendo chiara quella immedesimazione, non riesce perfetto il collegamento tra le idee e la mente divina, ed il sistema delle idee riesce poco coerente, e sempre ondeggiante ed incerto. Fiorentino nel Saggio storico rigetta la interpetrazione delle idee dell’ACCADEMIA come riminiscenze di una vita anteriore, come modelli e paradimmi del mondo, come pensieri divini; e ritenne che Platone non è sempre lo stesso ne'suoi dialoghi; filosofo da poeta, senti bisogno di spiegare la scienza, e ricorre alle idee; negli ultimi anni adotta il linguaggio pitagorico a proposito delle idee, e le considera come numeri. La dottrina delle idee platoniche, trattata davvero scientificamente, consiste per Fiorentino nei Dialoghi il Teeteto, il Sofista, ed il Parmenide. Il Sofista prepara il Parmenide, a cui dà il fondamento ed il principio; ed il Parmenide sostituisce alla me- [Manuale di Storia della Filosofia, Napoli] tessi ed ai simulacri la relazione, ch'è la vera natura e la vera condizione di tutte le idee; è la loro vita e fecondità. Fiorentino, austero intelletto e libero pensatore, prefere alla lirica del Fedro e del SIMPOSIO, alla epica narrazione del Timeo ildramma ideale del Parmenide. Fiorentino scruta profondamente i tre dialoghi platonici, o ne rileva il vero significato. La scienza, egli dice, non è sola sensazione e sola opinione, come vogliono i Jonici, ed ecco il significato del Teeteto; la scienza non è la sola cognizione dell'uno, come pretende Parmenide di VELIA, e ne anco dell'essenze immobili ed irrelative dei megarici; ed ecco il significato del Sofista. La scienza è l'una e l'altra opinione e cognizione, relazione di entrambe; ed ecco il risultato ultimo del Parmenide  da VELIA; tanto vero che, senza la relatività delle idee, il Parmenide da VELIA rimarra sempre un enimma, il sistema di Platone un leggiadro tessuto di favole, di reminiscenze oltre-mondane ed assurde, e di sperticate idealità. Scrutando meglio il Sofista ed il Parmenide di VELIA, Fiorentino asserisce che il principio da cni muove Platone nel Sofista, ossia l'ente, e quello da cui muove nel Parmenide, ossia l'uno, sonolostesso principio; se non che l'ento è rigido, immobile, indeterminato, e l'Uno è determinato, e produce i molti. L'uno è il medesimo e dil diverso del Molti; come viceversa il molti si può dire medesimo ed altro dell'uno; tanto che, a parere del Fiorentino, abbiamo nel Parmenide esplicito il diverso e l'altro; sebbene rimanga in Platone nell'ombra la causa della estrinsecazione della idea, e l'apparire della materia. Platone non colse la vera natura dell'altro, che non può essere nè un'essenza, nė un'idea; sì bene una relazione; egli perciò oscilla dall'uno all'altro di questi due termini, per trovarvi la materia, ed, irresoluto, la fè credere una volta essenza, ed un'altra idea. Pare che in tutte queste sottili ed ingegnose interpetrazioni di Fiorentino entrasse un po il sistema e la critica moderna dell’Hegel, sempre caro al nostro, come quegli che è la sintesi più stupenda del pensiero laicale tedesco, da Lutero a Kant. TOCCO (si veda), di cui tanto si onorano le Calabrie, nelle sue dotte Ricerche Platoniche, esplicitamente osserva che Fiorentino interpetra il Parmenide di Platone alla maniera di Hegel, e che, ad onta delle argute considerazioni sulle stonature della Dialettica platonica, non tenne in conto il fare negativo di tutto il dialogo. Il trapasso, dalla teorica della metessi e degl’influssi a quello della dialettica assoluta, è un salto così smisurato, che difficilmente puo farsi da un uomo, per vastissimo ingegno ch'egli ha, sopra tutto nel tempo, in cui la speculazione è ancora sul nascere, ed i sistemi filosofici sono appena abbozzati. E ingiusto per ciò, conchiude Tocco, il raccostamento della dialettica platonica all’egheliana, e non bisogna interpetrare con Hegel Platone, e trasportare il mondo antico nel mondo moderno! Alla origine e natura delle idee è intimamente legata la DIALETTICA dell’accademia. Essa non è altro, se non che la legge dell'intreccio ideale, il modo come si forma il Logo, o la Ragione universale ed assoluta. Il ritmo della dialettica vera dell’ACCADEMIA, secondo la interpetrazione di Fiorentino, è nel Parmenide; il contenuto del quale si risolve in una trilogia, di cui la prima parte presenta la idea solitaria dell'uno, e l'annulla. La medesima idea appaiata con quella del l'essere, e con essa in contraddizione; la risolve la con traddizione nel momento, ch'è il diventare; momento e divenire, che sono mutuati dalla dialettica hegeliana, e rendono infide e soverchiamente moderne le interpetrazioni di Fiorentino. Egli è convinto, quando scrive il saggio storico, che la dialettica hegeliana è modellata sulla platonica, e che le prime tre categorie del filosofo alemanno, l'essere, il non essere, ed il divenire ricordano l'uno, l'ente, ed il momento del Parmenide da VELIA. La Dialettica platonica, monumento grandioso dell'umano pensiero, ispira in ogni tempo gl’Artisti ed i Filosofi; e Fiorentino conchiude che Goethe v'im  [Catanzaro. Lo studio della filosofia greca fa rientrare Fiorentino nel mondo moderno, ch'egli avea sfiorato col lavoro di Bruno; il greco pensiero, che più degli altri è pensiero umano ed universale, ricondusse il nostro alla Rinascenza, la quale, se inizia l'epoca moderna con le ribellioni speculative di Bruno, di Telesio e di Pomponazzi, usufrutta con TELESIO e con BRUNO la parte viva ed immortale della greca filosofia, il concetto della natura, autonoma od assoluta, e l'idea dell'infinito generante. FIORENTINO, ingegno fecondo e progressivo, accetta i pronunziati, gl’ardimenti, o, le ribellioni della rinascenza. Nelle fresche correnti della natura ei sente ringiovanirsi, ed il suo pensiero divenne più ampio ed umano. L'epoca della rinascenza è, o Signori, un'epoca gloriosa, battagliera, o titanica. La scolastica è assottigliata. La cavalleria ed il feudalismo se ne vanno. La teocrazia perde il suo prestigio, e la sua universalità. La poesia si emancipa dai terrori mistici. Alle fosche pitture succedono i freschi colori del Tiziano e del Correggio. Nasce lo stato laicale, e Machiavelli crea la storia moderna. I filosofi rappresentarono in questo gran dramma una parte gloriosa, e specialmente il mantovano POMPONAZZI, che per audacia speculativa, per energia di carattere è uno degli eroi più spiccati del rinascimento italiano. FIORENTINO, che come fiero calabrese e libero pensatore, è naturalmente attratto verso i grandi precursori ed apostoli, si mette a studiarlo con coscienza di filosofo e pazienza di critico; sgobba sui polverosi volumi in folio, si chiuse come un anacoreta nella sua cella di BOLOGNA; ed affronta con leonino coraggio l'intolleranza e lo scherno degl'insipienti, le beffe dei gaudenti, che senza forti stupara la movenza del Dialogo; Hegel il severo ragionamento; VICO vi attinse lo schema della Scienza Nuova; SERBATI il principio del nuovo saggio; ed a quell'opera immortale bisogna ricorrere ogni volta, che si vorranno scandagliare davvero le origini dell'umano pensiero senza accurato lavoro vogliono, con la veduta corta di una spanna, giudicare gl’uomini serî ed austeri, gl’uomini che sacrificano tutto sull'ara del pensiero e della scienza ; indomiti o tetragoni nei loro propositi ; Capanei, che muoiono e non si arrendono. POMPONAZZI insorse fieramente contro la scolastica, e contro la greca filosofia; e nello spiegare la natura dell'anima, ed il processo del conoscere non ha esitato punto, nè riprodotte, come altri fecero, le incertezze del LIZIO. Sgombrate tali perplessità, il filosofo mantovano si libera dall'intelletto separato di Averroè, dell'intelletto agente dello Afrodisio, senza però emanciparsi del tutto dagl’influssi e dalle intelligenze superiori; ondeggiante ancora, come tutti gl’uomini della rinascenza, tra la scolastica ed il mondo moderno; tra AQUINO (si veda) e BRUNO (si veda). Strema, è vero, POMPONAZZI (si veda) la trascendenza in filosofia; considera l'intelletto umano come sviluppato dalla potenza della materia. Ma non volle attribuire all'intelletto dell'uomo la concezione dell'universale; e disconobbe la vera mediazione, che l'uomo fa tra le cose eterne e caduche. Egli scruta insistente i più ardui problemi metafisici, religiosi e morali, la provvidenza, il fato, la libertà, la predestinazione e la grazia; e porta in tutte queste discussioni la novità e l'audacia, proprie dei filosofi del rinascimento; piega più dalla parte della determinazione fatale del PORTICO ROMANO che da quella della vuota determinabilità dell’Afrodisio; che l'arbitrio non può essere primo movente; e l'aver compreso il difetto della dottrina della libertà, come è in Alessandro ed in LIZIO; l'aver intravveduto nel fato del PORTICO ROMANO maggior ragione volezza costituisce uno dei massimi pregi della critica di POMPONAZZI (si veda) Disconosce inoltre il valore assoluto delle Religioni; ne spiega con ragioni naturali l'origine, il fiorire, la decadenza; le riconosce portato dello spirito, eterno ed irrequieto viaggiatore, che tutto rinnova e distrugge. Con questa divinazione Pomponazzi è anche precursore dei nuovi tempi, e della scuola moderna; se non che mancogli la perfetta coerenza nelle dottrine, e non si solleva al concetto profondo dello spirito, come lo intendono i moderni. L'ingegno di POMPONAZZI (si veda), benchè novatore e ribelle, non si era completamente spastoiato dal vecchio mondo scolastico ed del LIZIO aristotelico; ei non puo ai suoi tempi cancellare del tutto il divino di Agostino e d’AOSTA (si veda); non puo scartare intieramente la provvidenza oltre-mondana, non puo combattere a viso aperto le tradizioni della fede ortodossa. Ei però intravvede che al divino estra-mondano, collocato fuori la coscienza, dovea fra poco succedere il divino intimo e vivente; che la vecchia forma religiosa dovea ringiovanirsi e al motore immobile di LIZIO dovea succedere l'infinito di BRUNO (si veda). È questo il merito precipuo di POMPONAZZI (si veda), che a buon dritto deve chiamarsi il precursore della riforma e del mondo laicale moderno; e l'averlo saputo rilevare con sagacia di critico coscienza di storico è gloria di FIORENTINO (si veda). Ciò segna un altro momento importante nella evoluzione critica e speculativa del nostro; la quale ha il suo compimento ed il suo massimo splendore in Telesio, e negli studii sulla idea della natura nel risorgimento italiano. TELESIO (si veda) infatti costituisce l'ultimo e più splendido momento speculativo e storico di FIORENTINO (si veda), il quale rappresenta perciò in Calabria il più alto grado, la più alta manifestazione della critica storica, ed il completo svegliarsi presso di noi della coscienza laicale ed umana; rappresenta la continuazione della rinascenza, ingrandita, però, trasformata e divenuta pensiero europeo ed universale coi Saggi critici di SPAVENTA (si veda). È primo SPAVENTA (si veda) in Italia a dare la debita importanza a BRUNO (si veda) ed a CAMPANELLA (si veda), ed a tutta la filosofia del rinascimento, rivendicando gl’eroi della nostra filosofia, ed i martiri obbliati della ragione. L’Italia, dice Spaventa, apre le porte della civiltà moderna con una falange d’eroi della filosofia. Pomponazzi, Telesio, Bruno, VANINI, Campanella, CESALPINO (si veda) paiono figli di più nazioni. Essi preludiano più o meno a tutti gl'indirizzi posteriori , che costituiscono il periodo della filosofia da Cartesio a Kant. VICO (si veda) è il vero precursore di tutta l'Alemagna -- Prolusione alle Lez.di fil. nap. Le austere parole e i forti ragionamenti del filosofo abruzzese eccitarono il potente ingegno di FIORENTINO, e come il nostro schiettamente confessa, lo fa orientare in quell' arruffio, ch'è la speculazione della rinascenza, e lo innamorarono di quel periodo filosofico, che prima si contenta di ammirare, senza averne perfetta e matura cono scenza, piuttosto, perseguire i facili lodatori che per vederne realmente l'importanza coi proprii occhi. Educato dalla critica nuova e poderosa di Spaventa, Fiorentino percorso da padrone e da maestro il campo glorioso della rinascenza italiana, e v'impresse orme da gigante. Gli uomini nuovi od audaci; i martiri dell'idea piacquero tanto a Fiorentino, ed ei s'immedesimò loro, aspirandone l'immortale profumo, ed il soffio. La Calabria, che, senza conoscersi, spesso si vilipende e si schernisce, non è per lui barbara c selvaggia, covo di briganti, e nido di cannibali; è invece terra di filosofi, di critici, di poeti; culla di martiri e di eroi, terra artistica ed originale, a cui, ultimo tra gl’ingegni calabresi, consacrai tutto me stesso, e per la quale non cessa di combattere, finché avrò forze, finchè in Italia vi saranno uomini senza coscienza storica e senza carità di patria. La Calabria (e perdonate questo amore indomabile alla mia patria nativa, alle mie care montagne) sa anch'essa indovinare e comprendere i tempi nuovi, uscire dal fondo de'suoi burroni, e mettersi a paro coi più grandi eroi della Rinascenza italiana. La Calabria sa anch'essa combattere con la sua selvaggia vigoria lo impero, la scuola, ed il potere teocratico. Il calabro pensiero, che ancora si accusa di angustia e municipalità, è, com’io dimostrai, un pensie ro, non solo nuovo ed originale, ma eziandio italiano, europeo ed umano. Universale in filosofia, inizid con Telesio lo studio dellanatura, sconosciuta ai padri nostri, velata per tanto tempo dalle ombre del Medio-Evo; nel tetro carcere della Vicaria crea col SERRA la scienza economica; con GALEAZZO usci dal cerchio della poesia provinciale, e fuse nel calabro Sonetto la vigoria d’ALIGHIERI e la musica di Petrarca; pre corse con Campanella a Descartes; e con GRAVINA anticipa Vico e Montesquieu, o crea la nuova critica italiana. Fiorentino, che, com'egli stesso canto, avea Saldo il voler ne le virili imprese, E indomita la tempra calabrese, innamorato della vecchia Calabria, fa rivivere con magiche tinte le belle ed eroiche figure dei padri nostri, PARRASIO, Telesio, il Martirano, il Quattromani, il Tarsia, Cornelio, Severino, Schettini ecc.; filologi, poeti e critici precursori, che usciti dal fondo dei nostri boschi illustrarono le prime università, e danno un potente i m pulso al rinascimento italiano, col fondare e promuovere quella stupenda accademia dei cosentini, segno in tutti i tempi di odio inestinguibile e di amore indomato, la quale è tanta parte del dramma grandioso della rinascenza; da all'Italia grandi latinisti da emulare Poliziano, Sannazaro, Fracastoro, e sorpassarne altri con Coriolano Martirano; porta scolpito il fatidico motto: Donec totum impleat orbem; decrescit numquam, nec fulmine læditur; e servi di modello a tutta Europa con Telesio per la scoverta del vero metodo naturale. Sotto questo doppio aspetto la vide l'occhio sagace di Fiorentino, e stupendamente la illustra, sollevandola a quel posto, che merita, e meriterà sempre, finchè le tradizioni del pensiero laicale ed umano rimarranno vive in Calabria, e ne trasformeranno la vita, l'arte, e la speculazione; finchè vi saranno uomini insigni come il Presidente Scaglione,ed il Segretario Greco, che ne accresceranno le glorie e l'importanza , continuando l'esempio dei loro illustri a n tenati, che noi, gaudenti e borghesi , abbiamo dimenticati, sconosciuti, e fino scherniti. Fiorentino, che il dotto canonico Scaglione avea precorso con lo studio su Telesio, pubblicato negli atti dell'Accademia, studiando a fondo, al lume della nuova critica, le opere del filosofo cosentino, proclama che Telesio inaugura i tempi moderni, ritiene la natura, come il principio universale delle cose, il ricettacolo di tutte le forme, e, come schietto naturalista, rigetta il LIZIO d’Aristotile e la Scolastica, la Teosofia, e la Magia. Telesio, evitando la contraddizione del Lizio aristotelica, che rompe l'unità della natura, parte da una materia primitiva ed unica, e da una contrarietà universalissima, il caldo ed il freddo, nature agenti, dalla cui azione sulla materia nasce la generazione e la corruzione. Telesio , pur ritenendo la necessità di un'opposizione universale e di un'unica materia, il che è anche ammesso dal LIZIO d’Aristotile, ne ha profondamente modificato il valore. La forma del LIZIO aristotelica, ch'èsempre assoluta ed estra-naturale, non gli parve principio naturale, e la sbandì, e la rigetta dalla sua filosofia, con la rude franchezza del calabrese. In una parola, la natura non ha mestieri per essere spiegata di principi, che non siano naturali. E così è vinto e sor passato il medio-evo, e la filosofia delle scuole. Il soffio fresco delle nostre montagne spazza lo nebbie scolastiche, e Telesio, meditando gl’arcani della natura nel suo ameno podere, sito sulle rive pittoresche del fiume Coraci, è veramente il precursore di Bruno e di Galilei, l'uomo nuovo ed audace, che scrolla il vecchio mondo medievale, ed inaugura l'epoca moderna. Telesio, rigettando l'entelechia del LIZIO aristotelica, vi sostitui una sostanza sottile, mobile, lucida, che per lui costituisce il principio della vita; semplifica inoltre il sistema del naturalismo, tolge il dissidio immenso, che è nel medio-evo tra la natura esterna e l'organismo vitale, e fuse insieme nel suo novello sistema la fisica e la biologia. Fiero ed inesorabilo calabrsse, rovescio tutto, non diè quartiere al LIZIO d’Aristotile ed alla scolastica, o combattė senza ipocrisia, ed a fronte scoverta; da una nuova teorica dell'anima, sorpassando il Fedone dell’Accademia, e l'intelletto universale del Lizio d’Aristotile; FONDA SUL SENSO LA CONOSCENZA, ed ammise il mondo etico come un effetto e risultato naturale. Nel vasto dramma telesiano, che Fiorentino stupendamente tratteggia, brilla di nuova luce il martire di Nola, il quale, ebbro del nuovo divino, dell'Infinito generante, e della Natura, allarga e feconda i concetti del filosofo cosentino, ed accetta pienamente il naturalismo. Il vero assoluto rimane però in lui un punto oscuro, dove i contrarii si affondano e spariscono; il nolano, più che cogliere con l'atto intellettivo l'assoluto, vuole trasformarsi in lui, e divenire il divino. E l’eroico furore, che lo trasporta in grembo dell'infinito, non il sillogismo speculativo, e la serena meditazione; l'ebbrezza dell'amante, che lo trasfigura in grembo alla divina Anfitrite. Bruno, uomo del Mezzogiorno, nato presso il Vesuvio, ha scosso in ogni tempo la mente dei pensatori, ed il cuore dei poeti. Eroe leggendario del pensiere, cavaliere errante della scienza, mistico o ribelle, inesorabile flagellatore dei cucullati pedanti, egli che veste la bianca tunica di Domenico, Bruno percorse, si può dire, da un capo all'altro l'Europa disputando, combattendo, affrontando il vecchio LIZIO d’Aristotile, la ciarlataneria delle scuole, e l'infallibilità dei dottori. Vilipeso e adorato, schernito glorificato, ora debole innanzi a'suoi carnefici, ed ora sublime; il tutore tradito a Venezia da Mocenigo, suo pupilo discepolo ed ospite, è consegnato al Sant'Uffizio, dissacrato e condannato a morte. Quando in Roma gli è letta la sentenza, Bruno, con calma eroica e tremenda ironia, ha il coraggio di profferire innanzi ai giudici queste memorande parole. Maggior timore provate voi nel pronunciar la sentenza contro di me, che non io nel riceverla. L’eroe della verità, e del pensiero laico è legato come un volgare malfattore ad un'antenna, e, bruciato vivo in Campo di Fiore, imperterrito Bruno non manda nè un sospiro,  nè un lamento. Le fiamme sono la sua apoteosi; e benchè le sue ceneri fossero state disperse al vento, correno l'Europa come polline fecondatore, e vi propagarono i semi del libero pensiero, e della filosofia moderna. Fiorentino, pensatore e poeta, che dopo più maturi studî avea accettata in tutta la sua pienezza la Rinascenza, ritorna su Bruno, e lo vede nel Telesio sotto un nuovo punto di vista; e se lo avea rigettato come pan-teista ed anti-mistico, ora lo guarda, e lo ammira come il vero eroe del pensiero, l'araldo e il martire della nuova e libera filosofia; degno, come dice Spaventa, di avere un posto accanto a Prometeo ed a Socrate. Quel che FIORENTINO scrive di SPAVENTA, permettete, o signori, che io lo riferisca al nostro fiero concittadino. Il grande ideale del filosofo per Fiorentino è Bruno; pari forse avrebbero avuto il fato, se fossero vissuti nella stessa età. FIORENTINO guarda il rogo con lo stesso coraggio; BRUNO avrebbe disprezzato con la stessa serenità, non il rogo, ma qualcosa di peggio, quella rete sottilissi. ma di cabale, onde la turba ignara circonda gli animi alteri; che tentano slacciarsi da maltesi agguati: non il rogo, ma la calunnia divota: dopo il Torquemada ilTartufo: siamo ben progrediti noi. Il vecchio divino della Scolastica si assottiglia in Bruno. In lui si fondono il divino e l'Universo; la creazione è sviluppo del divino stesso, processo necessario, che rende cono scibile e reale l'attività del divino. In una parola, il divino del Nolano non vive se non per la natura, e nella natura. Fuori e senza di lei sarebbe un'astrazione ed un fossile. La necessità della creazione, che BRUNO insegna a viso aperto, lo mette di accordo col futuro naturalismo spinoziano, e lo fa precursore della moderna filosofia alemanna. La filosofia del rinascimento, incarnata in TELESIO ed in Bruno , per avere considerato l'assoluto, come natura, ha preparato il grande avvenimento dello spirito, la cui speculaziane incomincia con la coscienza cartesiana. L'infinita natura, iniziata da un sofo di Calabria, è la gran parola della rinascenza e dei tempi moderni! Telesio e Bruno preparano inoltre la vasta speculazione di Campanella, indomito frate, che sopporta, con la fiera costanza del calabrese anni di carcere, ed un giorno intero di torture. Permettete, o Signori, ch'io m’inchini al martirio di Campanella, ed al rogo di Bruno; martirio e rogo, che sono LA GLORIA DEL MEZZO GIORNO, e del libero pensiero; la condanna più eloquente dei feroci persecutori dell'umana ragione. CAMPANELLA, che sublima alla dignità di principio speculativo la divinità latente di Bruno, è il vero tipo dell'uomo calabro, ricco d'ingegno e di cuore, intemperante, battagliero, audace, iniziatore. È uomo originale e contraddittorio; fa l'apoteosi della teocrazia e della Spagna, della scolastica, del Medio-Evo, e poi scrive la Città del Sole, e vagheggia la democrazia ed il socialismo, la sovranità del libero pensiero, e lo stato laico moderno. Ei fonde in sè due età di verso, la età della fede, e l'età della ragione; Platone ed Aristotile, Telesio ed il Cusano; l'austero sillogismo del pensatore, e le vaporosità dell’astrologo; le apocalittiche visioni dell’abate Gioacchino FIORE (si veda), o la fredda sottigliezza di Machiavelli; l'ossequio alle somme chiavi, e l'audace ribellione di Lutero. Campanella, stupendamente tratteggiato da FIORENTINO, ritorna, come metafisico, a Platone, ed al Medio-Evo. Come sensista e psicologo, anticipa, nella teorica del senso e della cognizione, Cartesio, ed il mondo moderno. Ei proclama la identità del pensiero e dell'essere. Se non che sì fatta unità non acquista la forza di vero principio, e Campanella, ad onta delle sue stupende divinazioni, ondeggia ancora tra lo schietto naturalismo ed il sistema delle cause finali. Alla filosofia naturale, che tolse in prestito ed usufruttua dal nostro Telesio, CAMPANELLA aggiunge una metafisica, che ne rimane staccata; mettendo ogni sforzo per levarsi alle categorie supreme della natura e dell'essere, non seppe applicarle alla natura, e con tutta l'energia poderosa d’assurgere all'unità, resta nella opposizione, ch'è il carattere principale del naturalismo. Il solo naturalismo, chiarendosi con Campanella impotente a spiegare la genesi della natura, non potė, esso solo, sciogliere il gran problema del mondo moderno, e conciliare l'universale col particolar; ricomprendere il senso in una forma di pensiero più larga, dove l'opposizione riapparisse trasformata ed unificata in una sintesi suprema e dialettica. Tale è il progresso apportato nel naturalismo, o nella filosofia moderna da GALILEI (si veda) e Descartes. Tali sono le glorie del nuovo pensiero, anti-mistico e laicale, iniziato da due filosofi, nati tra i selvaggi burroni delle nostre Calabrie. Fiorentino, dopo aver richiamato alla memoria degl’taliani. Cornelio, e Severino, glorie dell'università napoletana, e filosofi telesiani. Dopo aver valutato la importanza di Galilei e di Bacone, si arresta con Descartes alla soglia della filosofia moderna, lieto che la speculazione filosofica si stacchi dalle scienze naturali, preliminare, per altro, necessario nella evoluzione del pensiero moderno, e si posi nel cogito cartesiano. La natura si emancipa, il pensiero si scioglie, e diviene più libero e più snello; lo spirito, che tutto ringiovanisce e trasforma, fondo ed armonizza Telesio e Bruno, Campanella e Galilei, Bacone e Descartes, e la silvosa Calabria entra co'suoi filosofi, e coi suoi profeti, co’suoi martiri, e co'suoi precursori nel dramma glorioso del mondo moderno. Vi rientra sotto l'impulso di Fiorentino, che, nato presso Stilo, tocca di nuovo la squilla dimenticata di Campanella, annunzia ai calabresi l'aurora di nuovi giorni, la completa emancipazione dalla scolastica e dal medio-evo; la risurrezione del pensiero della magna Grecia, fuso, ingrandito, trasformato nel pensiero moderno. La Calabria e l'Accademia Cosentina non potranno dimenticarlo. Non potranno disconoscere l'austero filosofo, che ne illustra stupendamente le glorie, e con magico pennello ne ritrasse gl’apostoli, e gl’eroi , rivendicando i padri nostri al cospetto di un secolo banchiere e borghese. La morte lo colge sulla soglia del tempio del Rinascimento; gloria al virile sacerdote della scienza, che muore, adempiendo il suo dovere, mentre si folleggia, deridendo gl’eroi del pensiero, i modesti operai del mondo moderno, e sigitta lo scherno sulle ossa dei grandi precursori della nuova filosofia e della nuova critica. Io ho fede che i calabresi, così ricci d'ingegno e di cuore, cosi amanti delle patrie glorie, hanno un culto per gl’uomini, che muoiono sulla breccia, martiri della scienza e della patria; per le anime generose, che non curano le amarezze della vita, l'esilio, la povertà, la carcere, ed accettano, fino le torture di Campanella, fino il rogo di Bruno. Ho fede che la Calabria si rinnovi nel lavacro della rinascenza e negli studii virili del passato, e la gentile e dotta Cosenza, riccaperme di care e dolorose memorie, prodiga di tanto sangue alla patria, di tanto contributo d'ingegno alla storia del pensiero italiano, s'ispiri nell'austera figura del più grande dei suoi figli, il cui busto parla tra il verde degli alberi la gran parola del risorgimento ai calabresi. Ho fede che l'austera parola del filosofo di Sambiase non suoni più nel deserto, e la sua tomba, su cui piansero amici e nemici, è un'ara dove le novelle generazioni attingano i forti propositi, e, quel che più ci preme, la serietà della vita, l'abnegazione, il sacrifizio, ed il libero pensiero. Così,o gio vani, non sarò costretto a ripetere gli amari versi dell’austero poeta di Recanati. Oggi è nefando stile Di schiatta ignava e finta Virtù viva sprezzar lodare estinta. Vincenzo Julia. Julia. Keywords: implicatura, filosofia calabrese, Campanella, Telesio, Sanctis, Leopardi, Mazzini, Garibaldi, Gioberti, Spaventa, Hegel, Aligheri, Serra, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Julia” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giuliano: la ragione conversazionale e la filosofia di Giove -- Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “When I think Giuliano, I think Donizetti – and Poliuto’s lions!” -- Flavio Claudio Giuliano (in latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli), filosofo. L’ultimo sovrano dichiaratamente pagano, che tenta, senza successo, di riformare e di restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte alla diffusione del cristianesimo. Sometimes known as ‘the Apostate,’ Giuliano was a Roman emperor, who died in battle at the early age of 32 exclaiming the infamous “Galileans, ye won!” as the arrow penetrated in his breast. A naturally gifted scholar, Giuliano stuied philosophy under Massimo di Efeso and had many philosophical friends and acquaintances, including Saturnino Secondo Salutio, Prisco, and Imerio. Although his philosophical outlook was what he described as ‘generally eclectic,’ he had a special fondness for the Accademia, and a particular hostily to the Cinargo. Keen to eliminate the Galileans, as he called the sect originated after the death of Gesu di Nazareth, in fact he left them rather ‘to their own devices,’ although removing some of their privileges. His letters and speeches survive – many on deep philosophical issues (‘What is universal about worshipping a man born in Galilee who claimed to be the son of God – and born of a virgin?’). Grice: “There are various Griceian problems when approaching Giuliano from a Griceian perspective. It all reminds me of my father, a non-Conformist, in a household comprised of my High-Church mother and Catholic convert aunt! At Oxford, and in fact, before then, at Clifton, I learned that religion has nothing to do with i. Nobody believes that Giove raped Ganymede – it’s a tale! Giuliano has been unjustly treated counterfactually. Historians, seeing that Giuliano’s fight was useless, dismiss it. But this is a weak argument. I might just as well dismiss Mussolini’s plans because we English bombed Milano! Giuliano read too much of what the Hebrews call ‘the Holy Writ’ – but his propositions should be taken separately, one by one. In a way reminiscent of Arnold (in his Ebraism and Ellenismo), Giuliano proposes to us an examination of things like ‘Jesus was the son of God, therefore he was God.’ Aeneas was divinized by Virgil, so the Romans shouldn’t count as good critics here. A nice story involves Giuliano and Arete, a philosopher to whom Giamblico di Calcide dedicated one of his books. It seems likely that she was one of his pupils. Her neighbours (presumably Christians) tried to get her thrown out of her home, but the emperor Giuliano himself went to Phrygia to help her. Giuliano. Keywords: pagano, ennico, prima Roma, terza Roma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giuliano” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giuliano:  la ragione conversazionale e la gnossi a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Eclano). Filosofo italiano. A follower of (of all people) Pelagio.  As a result he was prompty deposed from his position as ‘vescovo’ of Eclanum. He appears to have led an unsettled life thereafter. His works survive in the use made by them by Agostino in “Against Giuliano, the defender of the Pelgagian heresy, and the so-called ‘Incomplete work against Giuliano’ – left unfinished by Agostino. Giuliano strongly opposed Agostino’s convoluted doctrine of the original sins (he said there were many). By contrast, Giuliano entertained a totally positive conception of human nature. Giuliano.

 

Grice e Giulio: la ragione conversazionale e la filosofia sotto Giulio Cesare  – Roma – filosofia italiana – l’anima di Cesare – il discorso contro la penna di morte a Catilina -- Luigi Speranza. (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Si lo è voluto collocare G. Nel GIARDINO ROMANO perchè, nell’orazione che, secondo SALLUSTIO (si veda), tenne in senato per opporsi alla condanna a morte dei complici di Catilina, NEGA l'immortalità dell’anima -- e le pene dell’oltre-tomba. Però non sappiamo se e fino a qual punto rispecchi la sua filosofia quell’orazione, che, in ogni modo, mira a impedire l'uccisione dei catiliniani. La divinazzione di G. La stella raccontata di OVIDIO (si veda). OTTAVIANO (si veda) interpreta la stella di altro modo. Allorche nella congiura di CATILINA (si veda) il console pronunzia il primo contro i congiurati l’opinione sua per la pena di morte, G., il quale desidera ne’ suoi fini di salvare loro la vita, nell’orazione che recita in senato, riferita estesamente da SALLUSTIO (si veda), non tratta gia come ingiusta o crudele la pena di morte, ma disse anzi che per coloro, che condur devono una vita misera ed infelice, la morte NON È UNA PENA, MA UN BENEFIZIO, che li libera avventurosomente dai mali che sofirone. Ne CICERONE (si veda), ne CATONE (si veda), ne alcun altro de' senatori contraddissero punto in questa parte al sentimento di G.. Anzi, Cicerone ne parla come d'un sentimento vero e giusto. G., dic’egli, considera che la morte non e stata dagl’iddi immortali stabilita come una pena, ma come il fine de’ dolori e delle miserie. Le catene, massimamente le catene perpetue, sono, a parere di lui, la pena che merita l'orrendo attentato, di qui si tratta. Egli lascia a questi empil uomini la vita, la quale, se venisse loro tolta, liberati verrebbero ad un tratto da tutte le pene dell'animo e del corpo. Omnis homines, patres conscripti, qui de rebus dubiis consultant, ab odio,  amicitia, ira atque misericordia vacuos esse decet. Haud facile animus verum  providet, ubi illa officiunt, neque quisquam omnium lubidini simul et usui paruit. Ubi intenderis ingenium, valet. Si lubido possidet, ea dominatur, animus nihil  valet. Magna mihi copia est memorandi, patres conscripti, quæ reges atque populi ira aut misericordia inpulsi male consuluerint. Sed ea malo dicere, quæ maiores nostri contra lubidinem animi sui recte atque ordine fecere. Bello Macedonico, quod  cum rege Perse gessimus, Rhodiorum civitas magna atque magnifica, quæ POPVLI ROMANI opibus creverat, infida et advorsa nobis fuit. Sed postquam bello confecto de  Rhodiis consultum est, maiores nostri, ne quis divitiarum magis quam iniuriæ causa  bellum inceptum diceret, inpunitos eos dimisere. Item bellis Punicis omnibus,  quom saepe Carthaginienses et in pace et per indutias multa nefaria facinora  fecissent, numquam ipsi per occasionem talia fecere: magis quid se dignum foret,  quam quid in illos iure fieri posset, quærebant. Hoc item vobis providendum est,  patres conscripti, ne plus apud vos valeat P. Lentuli et ceterorum scelus quam vostra  dignitas, neu magis iræ vostræ quam famæ consulatis. Nam si digna poena pro  factis eorum reperitur, novom consilium adprobo. Sin magnitudo sceleris omnium  ingenia exsuperat, his utendum censeo, quæ legibus conparata sunt. Plerique eorum, qui ante me sententias dixerunt, conposite atque magnifice  casum rei publicæ miserati sunt. Quæ belli saevitia esset, quae victis adciderent,  enumeravere: rapi virgines, pueros; divelli liberos a parentum conplexu; matres  familiarum pati quæ victoribus conlubuissent. Fana atque domos spoliari. Cædem,  incendia fieri. Postremo armis, cadaveribus, cruore atque luctu omnia conpleri. Sed, per deos inmortalis, quo illa oratio pertinuit? An uti vos infestos coniurationi  faceret? Scilicet, quem res tanta et tam atrox non permovit, eum oratio adcendet. Non ita est, neque quoiquam mortalium iniuriæ suæ parvæ videntur, multi eas  gravius æquo habuere. Sed alia aliis licentia est, patres conscripti. Qui demissi  in obscuro vitam habent, si quid iracundia deliquere, pauci sciunt, fama atque fortuna eorum pares sunt. Qui magno imperio præditi in excelso aetatem agunt,  eorum facta cuncti mortales novere. Ita in maxuma fortuna minuma licentia est;  neque studere neque odisse, sed minume irasci decet; quæ apud alios iracundia  dicitur, ea in imperio superbia atque crudelitas appellatur. Equidem ego sic  existumo, patres conscripti, omnis cruciatus minores quam facinora illorum esse. Sed plerique mortales postrema meminere et in hominibus inpiis sceleris eorum  obliti de pœna disserunt, si ea paulo severior fuit. D. Silanum, virum fortem  atque strenuom, certo scio quæ dixerit studio rei publicæ dixisse, neque illum in  tanta re gratiam aut inimicitias exercere. Eos mores eamque modestiam viri cognovi. Verum sententia eius mihi non crudelis – quid enim in talis homines crudele  fieri potest? Sed aliena a re publica nostra videtur. Nam profecto aut metus  aut iniuria te subegit, Silane, consulem designatum genus pœnæ novom decernere. De timore supervacuaneum est disserere, quom præsertim diligentia clarissumi  viri consulis tanta præsidia sint in armis. De pœna possum equidem dicere, id  quod res habet, in luctu atque miseriis mortem ærumnarum requiem, non cruciatum  esse; eam cuncta mortalium mala dissolvere; ultra neque curæ neque gaudio locum  esse. Sed, per deos inmortalis, quam ob rem in sententiam non addidisti, uti  prius verberibus in eos animadvorteretur? An quia lex Porcia vetat? At aliæ leges item condemnatis civibus non animam eripi, sed exilium permitti iubent. An quia gravius est verberari quam necari? Quid autem acerbum aut nimis  grave est in homines tanti facinoris convictos? Sin quia levius est, qui convenit  in minore negotio legem timere, quom eam in maiore neglegeris? Maiores nostri, patres conscripti, neque consili neque audaciæ umquam eguere;  neque illis superbia obstabat quo minus aliena instituta, si modo proba erant, imitarentur. Arma atque tela militaria ab Samnitibus, insignia magistratuum  ab Tuscis pleraque sumpserunt. Postremo, quod ubique apud socios aut hostis  idoneum videbatur, cum summo studio domi exsequebantur: imitari quam invidere  bonis malebant. Sed eodem illo tempore Græciæ morem imitati verberibus  animadvortebant in civis, de condemnatis summum supplicium sumebant. Postquam res publica adolevit et multitudine civium factiones valuere,  circumveniri innocentes, alia huiusce modi fieri cœpere, tum lex Porcia aliæque  leges paratæ sunt, quibus legibus exilium damnatis permissum est. Hanc ego  causam, patres conscripti, quo minus novom consilium capiamus, in primis magnam  puto. Profecto virtus atque sapientia maior illis fuit, qui ex parvis opibus tantum  imperium fecere, quam in nobis, qui ea bene parta vix retinemus. Placet igitur eos dimitti et augeri exercitum Catilinae? Minume. Sed ita censeo: publicandas eorum  pecunias, ipsos in vinculis habendos per municipia, quæ maxume opibus valent. Neu quis de iis postea ad senatum referat neve cum populo agat. Qui aliter fecerit,  senatum existumare eum contra rem publicam et salutem omnium facturum. Tutti gli uomini, o senatori, che deliberano intorno a fatti dubbi, debbono  essere liberi da odio e da amicizia, da ira e da misericordia. L’intelletto non può  discernere facilmente il vero, se quei sentimenti 1’offuscano, e nessuno mai può  obbedire contemporaneamente alla passione e al proprio interesse. Se tendi  l’arco dell’intelletto, questo ha forza; se sei preda della passione1 , questa domina e  la mente non ha più vigore. Potrei, o senatori, ricordare molti e molti esempi di  re e di popoli che spinti dall’ira o dalla pietà presero funeste deliberazioni; ma io  preferisco dire ciò che i nostri antenati, trattenendo l’impeto delle loro passioni,  fecero con senso di rettitudine e di giustizia. Nella guerra Macedonica, che noi  combattemmo contro il re Perseo, la città di Rodi, grande e magnifi ca, che aveva  accresciuto la sua potenza con l’aiuto del popolo romano, ci fu infedele e nemica;  ma quando, terminata la guerra, si dovette deliberare intrno alla sorte dei Rodiesi,  i nostri antenati li lasciarono impuniti3 , affi nché non si dicessse che si era intrapresa la guerra per impadronirsi delle loro ricchezze piuttosto che per l’offesa ricevuta. Allo stesso modo in tutte le guerre puniche, benché i Cartaginesi, durante gli  intervalli di pace e le tregue, avessero commesso molte azioni crudeli, i nostri non  approfi ttarono mai dell’occasione per fare delle rappresaglie; cercavano di agire sempre secondo la loro dignità piuttosto che, infi erire contro di quelli, anche se a  buon diritto. Così pure voi, o senatori, dovete tener conto di voi stessi, affi nché  presso di voi non possa di più la scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri che la  vostra dignità, e non pensiate maggiormente alla vostra ira che alla vostra buona  reputazione. 8. Infatti se si può trovare una pena adeguata al male da loro compiuto, io approvo anche un provvedimento eccezionale; ma se la grandezza del misfatto supera ogni umana credenza, io penso che si debbano applicare quelle pene che  siano stabilite dalle leggi. La maggior parte di coloro che hanno espresso il loro  parere prima di me, con un linguaggio forbito e brillante, hanno commiserato la  sventura dello Stato. Hanno enumerato le crudeltà della guerra e i mali che toccano ai vinti, vergini e fanciulli rapiti, fi gli strappati dalle braccia dei genitori,  madri di famiglia costrette a subire le voglie dei vincitori, case e templi spogliati,  stragi, incendi, infi ne in ogni luogo armi, cadaveri sangue e lutto Della pena posso dir questo, che è pura verità: nel lutto e nelle miserie la  morte è il riposo dagli affanni; non è un tormento, anzi dissolve tutti i mali umani  e non schiude né angosce né gioie. Ma, per gli dèi immortali, perché non hai  aggiunto alla tua proposta che i congiurati fossero sottoposti prima alla fustigazione? Forse perché lo vieta la legge Porcia? Ma ugualmente altre leggi dispongono che ai cittadini già condannati a morte non si tolga la vita, ma si conceda  l’esilio. O forse perché è più duro essere fustigato che ucciso? Quale pena è  grave o troppo aspra per chi risulta colpevole di un tanto delitto? Se poi è una  pena troppo leggera fustigarli, come può darsi che si tema la legge per fatti poco  importanti, quando è stata violata per più gravi? Ma invero, chi potrà criticare  una sentenza di morte contro traditori della patria? L’occasione, il tempo, la fortuna, che dominano a loro volontà tutte le genti. Qualunque cosa accada, essi  l’avranno ben meritata; però, voi, o senatori, rifl ettete bene6  che ciò che deliberate  non ricada su altri. Tutti gli esempi di illegalità nascono da casi in cui quell’illegalità fu giusta; ma quando il potere passa nelle mani di cittadini incapaci o meno onesti, quel nuovo esempio di illegalità, applicata contro chi l’aveva ben meritato, viene rivolto contro cittadini incolpevoli e innocenti. Quando la repubblica s’ingrandì e la moltitudine dei cittadini accrebbe la  forza dei partiti, si cominciarono a opprimere gli innocenti e a commettere arbìtri  di tal fatta; allora fu approvata la legge Porcia e con essa altre leggi con cui si concedeva l’esilio ai rei di pena capitale. Io, o senatori, ritengo che questo motivo  sia di grandissima importanza perché non si approvi l’innovazione che ora si propone. Certamente ebbero più virtù e saggezza coloro che costruirono con  forze modeste un così vasto impero che non noi, che a malapena sappiamo mantenere ciò che così bene essi hanno creato. Allora si debbono mettere in libertà  costoro e mandarli ad accrescere l’esercito di Catilina? Niente affatto. Ma ecco il  mio parere: si confi schino i loro beni, si tengano i rei in prigione affi dandoli ai municipi che posseggono i migliori presìdi; per l’avvenire intorno a costoro non si  facciano più proposte in Senato né discorsi al popolo; se qualcuno trasgredisse, il  Senato deve dichiararlo nemico dello Stato e della salvezza pubblica.Giulio Cesare. Tutti gli uomini, o senatori, che deliberano intorno a fatti dubbi, debbono  essere liberi da odio e da amicizia, da ira e da misericordia. 2. L’intelletto non può  discernere facilmente il vero, se quei sentimenti 1’offuscano, e nessuno mai può  obbedire contemporaneamente alla passione e al proprio interesse. 3. Se tendi  l’arco dell’intelletto, questo ha forza; se sei preda della passione1 , questa domina e  la mente non ha più vigore. 4. Potrei, o senatori, ricordare molti e molti esempi di  re e di popoli che spinti dall’ira o dalla pietà presero funeste deliberazioni; ma io  preferisco dire ciò che i nostri antenati, trattenendo l’impeto delle loro passioni,  fecero con senso di rettitudine e di giustizia. Nella guerra Macedonica, che noi  combattemmo contro il re Perseo, la città di Rodi, grande e magnifi ca, che aveva  accresciuto la sua potenza con l’aiuto del popolo romano, ci fu infedele e nemica;  ma quando, terminata la guerra, si dovette deliberare intrno alla sorte dei Rodiesi,  i nostri antenati li lasciarono impuniti, affi nché non si dicessse che si era intrapresa la guerra per impadronirsi delle loro ricchezze piuttosto che per l’offesa ricevuta. Allo stesso modo in tutte le guerre puniche, benché i Cartaginesi, durante gli  intervalli di pace e le tregue, avessero commesso molte azioni crudeli, i nostri non  approfi ttarono mai dell’occasione per fare delle rappresaglie; cercavano di agire sempre secondo la loro dignità piuttosto che, infi erire contro di quelli, anche se a  buon diritto. Così pure voi, o senatori, dovete tener conto di voi stessi, affi nché  presso di voi non possa di più la scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri che la  vostra dignità, e non pensiate maggiormente alla vostra ira che alla vostra buona  reputazione. 8. Infatti se si può trovare una pena adeguata al male da loro compiuto, io approvo anche un provvedimento eccezionale; ma se la grandezza del misfatto supera ogni umana credenza, io penso che si debbano applicare quelle pene che  siano stabilite dalle leggi. La maggior parte di coloro che hanno espresso il loro  parere prima di me, con un linguaggio forbito e brillante, hanno commiserato la  sventura dello Stato. Hanno enumerato le crudeltà della guerra e i mali che toccano ai vinti, vergini e fanciulli rapiti, fi gli strappati dalle braccia dei genitori,  madri di famiglia costrette a subire le voglie dei vincitori, case e templi spogliati,  stragi, incendi, infi ne in ogni luogo armi, cadaveri sangue e lutto. Della pena posso dir questo, che è pura verità: nel lutto e nelle miserie la  morte è il riposo dagli affanni; non è un tormento, anzi dissolve tutti i mali umani  e non schiude né angosce né gioie. Ma, per gli dèi immortali, perché non hai  aggiunto alla tua proposta che i congiurati fossero sottoposti prima alla fustigazione? Forse perché lo vieta la legge Porcia? Ma ugualmente altre leggi dispongono che ai cittadini già condannati a morte non si tolga la vita, ma si conceda  l’esilio. O forse perché è più duro essere fustigato che ucciso? Quale pena è  grave o troppo aspra per chi risulta colpevole di un tanto delitto? Se poi è una  pena troppo leggera fustigarli, come può darsi che si tema la legge per fatti poco  importanti, quando è stata violata per più gravi? Ma invero, chi potrà criticare  una sentenza di morte contro traditori della patria? L’occasione, il tempo, la fortuna, che dominano a loro volontà tutte le genti. Qualunque cosa accada, essi  l’avranno ben meritata; però, voi, o senatori, rifl ettete bene6  che ciò che deliberate  non ricada su altri. Tutti gli esempi di illegalità nascono da casi in cui quell’illegalità fu giusta; ma quando il potere passa nelle mani di cittadini incapaci o meno onesti, quel nuovo esempio di illegalità, applicata contro chi l’aveva ben meritato, viene rivolto contro cittadini incolpevoli e innocenti. Quando la repubblica s’ingrandì e la moltitudine dei cittadini accrebbe la  forza dei partiti, si cominciarono a opprimere gli innocenti e a commettere arbìtri  di tal fatta; allora fu approvata la legge Porcia e con essa altre leggi con cui si concedeva l’esilio ai rei di pena capitale. 41. Io, o senatori, ritengo che questo motivo  sia di grandissima importanza perché non si approvi l’innovazione che ora si propone. Certamente ebbero più virtù e saggezza coloro che costruirono con  forze modeste un così vasto impero che non noi, che a malapena sappiamo mantenere ciò che così bene essi hanno creato. Allora si debbono mettere in libertà  costoro e mandarli ad accrescere l’esercito di Catilina? Niente affatto. Ma ecco il  mio parere: si confi schino i loro beni, si tengano i rei in prigione affi dandoli ai municipi che posseggono i migliori presìdi; per l’avvenire intorno a costoro non si  facciano più proposte in Senato né discorsi al popolo; se qualcuno trasgredisse, il  Senato deve dichiararlo nemico dello Stato e della salvezza pubblica. Giulio Cesare.

 

Grice e Giulio: la ragione conversazionale e l’attaco a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) Filosofo italiano. A philosopher who was killed during an attack on the city. Giulio Giuliano.

 

Grice e Giunco: la ragione conversazionale dell’andreia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The author of a philosophical dialogue about the three ages of man. The son-in-law of Tito Vario Ciliano. The models for the three ages of man are his father in law, himself, and his own son, as models. He argues that the middle age is the best. Grice: “But he was biased. In fact, in my lectures on reasoning, I give this as an example of biased reasoning!” – Giunco.

 

Grice e Giunio: la ragione conversazionale dell’accademia al portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Roma). Filosofo italiano. Appartene all'Accademia -- cioè effettivamente all’eclettismo con tendenze stoiche di Antioco d’Ascalona -- che, appunto, accetta dottrine derivate dal portico.  In Atene fa studi di filosofia, e in questa ha maestro Aristone.  Nella guerra civile parteggia per Pompeo e combatte a Farsaglia. Ottenne di riconciliarsi con GIULIO (si veda) Cesare. Forma stretti rapporti con CICERONE, che gli dedica varie opere: "Brutus", "Paradoxa", "Orator", "De finibus", "Tusculanae", "De natura Deorum." A CICERONE, dedica il "De virtute" (Andreia). Legato pro-pretore nelle Gallie, pretore urbano, partecipa alla congiura contro GIULIO (si veda) Cesare e e uno dei suoi uccisori. Sconfitto a Filippi d’OTTAVIANO, si uccide. Uno dei maggiori rappresentanti dell’atticismo è oratore insigne. Scrive lettere (VIII a Cicerone ci restano nella corrispondenza di questo), poesie e tre opere morali. Nel "De virtute” difende la teoria dell’auto-sufficienza della virtù. In "Sui doveri" da precetti al fratello sulla sua condotta. (Grice: “He never followed them!”). Nel "De patientia," tratta di questa. Marco Giunio Bruto il Minore. Giunio. The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giunio: la ragione conversazionale e il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A follower of the Porch, and one of the senators who opposed NERONE. Giunio Maurizio

 

Grice e Giuniore: la ragione conversazionale e la geografia filosofica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher who wrote, or edited, a short work on geography, comprising the whole of Rome, and some of the shoreline outskirts, including Ostia. Giuniore.

 

Grice e Giussani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’amicizia – il comune,  fraternità, liberazione – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Desio). Filosofo lombardo.. Filosofo italiano. Desio, Monza, Lombardia. Grice: “I like Giussiani; of course at Oxford he would be a no-no, being a Catholic; but he understands the pragmatics of conversation!” Ricevette la prima introduzione dalla madre Angelina Gelosa, operaia tessile; il padre Beniamino, disegnatore e intagliatore, era un socialista. Entra nel seminario diocesano San Pietro Martire di Seveso dove frequenta i primi quattro anni di ginnasio. Si trasfere a Venegono Inferiore, nella sede principale del seminario dove frequenta l'ultimo anno di ginnasio, i tre anni del liceo e dove svolge i successivi studi di filosofia.  Ha come docenti, fra gli altri, Colombo, Corti, Carlo, e Figini. In quella sede conosce i compagni di studio Manfredini e Biffi. Si interessa di Leopardi e delle chiese ortodosse.  Riceve l'ordinazione da Schuster.  Dopo l'ordinazione, rimase nel seminario di Venegono come insegnante e si specializzò nello studio della teologia orientale, specie sugli slavofili, della teologia protestante e della motivazione razionale dell'adesione alla Chiesa. Lascia l'insegnamento in seminario per quello nelle scuole superiori. Inizia l'insegnamento della religione nelle scuole a Milano dove e suo alunno Giorello. Le riunioni di suoi studenti si tennero con il nome di Gioventù Studentesca, che fonda insieme a Ricci e che fa parte dell'Azione Cattolica.  Inizia anche un'attività pubblicistica volta a porre attenzione sulla questione educativa. Redasse la voce "Educazione" per l'Enciclopedia Cattolica.  Sotto  Colombo continua gli studi di teologia protestante per i quali soggiornò per cinque mesi negli Stati Uniti. Ottenne la cattedra di Introduzione alla Teologia a Milano. Lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l'opinione che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere. G. s'impegnò allora a ridestare nei giovani l'amore verso Cristo "Via, Verità e Vita", ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell'uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto della nostra umanità, ma attraverso di essa. Il movimento da lui creato prese il nome di Comunione e Liberazione; ne assunse la guida presiedendone il consiglio generale.  Il Pontificio Consiglio per i Laici riconobbe la Fraternità di Comunione e Liberazione e G. ne guidò la Diaconia Centrale. Contribuì alla costituzione della Fondazione Banco Alimentare. Fra le sue numerose opere vi è la trilogia del Per Corso, redatta a partire dagli appunti delle lezioni di religione che aveva tenuto negli anni cinquanta al liceo Berchet e in seguito all'Università Cattolica. L'opera, pubblicata in successive edizioni prima da Jaca e poi da Rizzoli, è composta da “Il senso religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa. Propone la concezione della fede e dell'esperienza cristiana come incontro con Cristo attraverso la Chiesa cattolica. La fede è un «riconoscere una Presenza» ed occupa ogni singolo spazio della vita individuale (i rapporti umani, l'esperienza lavorativa, la vita sociale e politica). Da ciò nasce anche una critica alla ragione illuminista. L'idea della ragione come principale strumento offerto all'uomo nel rapporto con la realtà e della fede come metodo di conoscenza sono le premesse metodologiche per un'analisi dell'esperienza religiosa.  Dopo la morte, sono stati dedicati a G.:  Desio: nel paese natale di G., la piazza retrostante il municipio e un monumento opera di Cristina Mariani a Milano: parco G., in predenza parco Solari Trivolzio: il piazzale adibito all'accoglienza delle auto dei pellegrini alla chiesa parrocchiale che ospita le spoglie di San Riccardo Pampuri. Finale Ligure: l'ultimo tratto del sentiero che porta all'antica chiesa di San Lorenzo di Varigotti: lì si tennero alcuni dei primi incontri di Comunione e Liberazione, che ancora si chiamava Gioventù Studentesca Castronno (VA): un largo presso la rotatoria all'uscita dell'Autostrada dei laghi. Ascoli Piceno: la scuola primaria e dell'infanzia "G.". Portofino: la piazzetta del faro Kampala (Uganda): la scuola secondaria G. Pozzolengo: il parco comunale adiacente al castello San Leo: un basso-rilievo in bronzo, opera dell'artista riminese Ceccarellia, sulla facciata del convento di Sant'Igne Rimini: la rotonda davanti al Palacongressi, nei pressi dell'area della demolita Fiera dove si sono svolte le prime edizioni del Meeting per l'amicizia fra i popoli Chiavari: un tratto del lungoporto Verona: i giardini presso ponte Garibaldi a Borgo Trento Cinisello Balsamo: un largo urbano nei pressi del comune Segrate: il centro sportivo della frazione di Redecesio Strade comunali sono state intitolate a don G. a Cagliari, Morrovalle, Rapallo, Treviglio, Mestre, ecc. La maggior parte delle opere deriva dalla trascrizione di dialoghi, conversazioni e lezioni svolte in pubblico durante raduni, convegni, esercizi spirituali. I suoi libri sono stati pubblicati dall'editore milanese Jaca. Rizzoli ha iniziato a rieditare i testi di G. in nuove edizioni aggiornate dotate spesso di un nuovo apparato di note e di nuovi contenuti editoriali e a volte con titoli diversi. Rizzoli ha anche pubblicato le opere inedited e volumi antologici di conversazioni precedentemente disponibili sotto forma di fascicoli pro manuscripto o di redazionali per varie riviste. Volumi di inediti o di riedizioni di  testi sono poi usciti anche per altri editori, tra i quali Marietti, San Paolo, SEI, Piemme e Messaggero di Sant'Antonio. Trascrizioni di conversazioni e lezioni nel corso di incontri con i responsabili di Comunione e Liberazione, di esercizi spirituali e di incontri con appartenenti ai Memores Domini sono state di norma pubblicate come inserti redazionali o allegate come fascicoletti nelle riviste Tracce (precedentemente nota come CL-Littere Communionis, organo ufficiale del movimento), Il Sabato e 30 giorni nella Chiesa e nel mondo. Un gran numero di questi testi è stato poi pubblicato in volumi antologici.  -- è iniziata la catalogazione sistematica dei testi e degli scritti di Giussani. G. Scritti, curato dalla Fraternità di Comunione e Liberazione, inizia la pubblicazione di schede riassuntive dei testi. Ha diretto la collana editoriale I libri dello spirito cristiano per la Biblioteca Universale Rizzoli. La collana e poi sostituita da un'analoga iniziativa sotto il nome di Biblioteca della spirito cristiano, ha pubblicato titoli scelti fra quelli che più hanno segnato l'esperienza di G. e di Comunione e Liberazione. Ha diretto la collana discografica Spirto gentil, CD musicali di «introduzione alla musica» con allegato un booklet di norma contenente una nota introduttiva di G., una scheda storica sui compositori o sui musicisti e una guida all'ascolto. Saggi: “Il senso religioso: all'origine della pretesa cristiana, Perché la Chiesa e Il rischio educativo. “Il senso religioso, Jaca, Reinhold Niebuhr, Jaca Teologia protestante, La Scuola Cattolica, Jaca Marietti, “L'impegno del cristiano nel mondo, Jaca, Tracce di esperienza e appunti di metodo cristiano, Jaca Dalla liturgia vissuta: una testimonianza, Jaca, San Paolo, Il rischio educativo, Jaca, SEI, Rizzoli, Tracce d'esperienza cristiana, Jaca Decisione per l'esistenza, Jaca L'alleanza, Jaca Il senso della nascita, colloquio con Testori, BUR Rizzoli, Moralità: memoria e desiderio, Jaca, Alla ricerca del volto umano, Jaca  Rizzoli, Pregare, illustrazioni di Marina Molino, Jaca La fede e le sue immagini, illustrazioni di Marina Molino, Jaca La coscienza religiosa nell'uomo moderno, Jaca,  Il senso religioso, Per Corso, Jaca Rizzoli, All'origine della pretesa Cristiana, Jaca Rizzoli, Perché la Chiesa, Jaca, Rizzoli, Un avvenimento di vita, cioè una storia, EDITIl Sabato L'avvenimento cristiano, BUR Rizzoli, Il senso di Dio e l'uomo moderno, BUR Rizzoli, Si può vivere così?, BUR Rizzoli, Rizzoli Il PerCorso, Jaca, Opere: Jaca, Il tempo e il tempio, BUR Rizzoli, Realtà e giovinezza: la sfida, SEI; Rizzoli, Il cammino al vero è un'esperienza, SEI, Rizzoli, Le mie letture, Rizzoli, Si può (veramente?!) vivere così?, BUR Rizzoli, Porta la speranza, Marietti Riconoscere una presenza, San Paolo, Lettere di fede e di amicizia a Majo, San Paolo, Generare tracce nella storia del mondo, con Alberto e Prades, Rizzoli, L'uomo e il suo destino, Marietti Scuola di Religione, SEI, L'io, il potere, le opere, Marietti Tutta la terra desidera il Tuo volto, San Paolo, Che cos'è l'uomo perché te ne curi?, San Paolo, Avvenimento di libertà, Marietti L'opera del movimento. La Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo, Il miracolo dell'ospitalità, Piemme,Il Santo Rosario, San Paolo, Egli solo è. Via Crucis, San Paolo, La libertà di Dio, Marietti, Come si diventa cristiani, Marietti La familiarità con Cristo, San Paolo, Vivere intensamente il reale, La Scuola,. Spirto gentil, BUR Rizzoli,. Cristo compagnia di Dio all'uomo, EMessaggero Padova, Collana Quasi Tischreden "Tu" (o dell'amicizia), BUR Rizzoli, Vivendo nella carne, BUR Rizzoli, L'attrattiva Gesù, BUR Rizzoli, L'auto-coscienza del cosmo, BUR Rizzoli, Affezione e dimora, BUR Rizzoli, Dal temperamento un metodo, BUR Rizzoli, Una presenza che cambia, BUR Rizzoli, Collana L'Equipe Dall'utopia alla presenza  BUR Rizzoli, Certi di alcune grandi cose, BUR Rizzoli, Uomini senza patria BUR Rizzoli, Qui e ora BUR Rizzoli, “L'io rinasce in un incontro” BUR Rizzoli, Ciò che abbiamo di più caro, BUR Rizzoli, Un evento reale nella vita dell'uomo BUR Rizzoli, In cammino BUR Rizzoli, Collana Cristianesimo alla prova Una strana compagnia, BUR Rizzoli, La convenienza umana della fede, BUR Rizzoli, La verità nasce dalla carne, BUR Rizzoli, Un avvenimento nella vita dell'uomo, BUR Rizzoli,  Interviste Comunione e Liberazione. Interviste Robi Ronza, Milano, Jaca Book, Un caffè in compagnia. Conversazioni sul presente e sul destino, colloqui con Farina, Milano, Rizzoli. Il fondatore: Comunione e Liberazione. CamisascaC’altro Sessantotto", da "L'Osservatore Romano" ORIGINE, in Banco Alimentare, Elemedia S.p.A.Area Internet, Il mistero di don G.. Rivelato dai suoi scritti, su chiesa. espresso.repubblica. Oggi l'addio a don Giussani Il Tirreno, in Archivio Il Tirreno. Società Coop. Edit. Nuovo Mondo Via Porpora, Milano Tracce , Cristo è veramente tutto, è il compiersi dell’umano», su tracce. Repubblica » politica » Milano, i funerali di G., su repubblica Milano, profanata la tomba di don G., Corriere della Sera su corriere. Chiesta l'apertura della causa di beatificazione e canonizzazione, in Tracce, Società Coop. Edit. Nuovo Mondo, Passo avanti verso la beatificazione di don Giussani, in Tempi, Società Coop. Edit. Nuovo Mondo, Savorana, Don Luigi G., fondatore di CL, nominato monsignore, in Avvenire, Don G.: vince il premio della cultura cattolica, in Adnkronos, Mia giovinezza, in Tracce, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, Premio Isimbardi Città metropolitana di Milano.Tettamanzi, La famiglia a scuola, in Tracce, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, La Festa dello StatutoEdizione Sigilli longobardi, su Consiglio Regionale della Lombardia. Desio, rinasce il monumento per don Giussani a dieci anni dalla scomparsa, in Il Cottadino,  Il parco Solari sarà dedicato a G., in Il Giornale, Tornielli, Don Giussani nel solco di San Pampuri, in La Provincia Pavese, Finale: intitolazione strada a Giussani, in Savona  News, Castronno, intitolata a Don G. la nuova rotonda, in Varese News, Emidio Cagnucci, al musicista ascolano intitolata una scuola, in il Quotidiano,Francesca Nacini, G. faro di Portofino, Il Giornale, Uganda. La G. High School inaugurata a Kampala tra i canti delle donne del Meeting Point, su AVSI, Pozzolengo, raid vandalici nei parchi, in qui Brescia, Un bassorilievo per  G. a San Leo, in Rimini Today, Rotatoria del Palacongressi dedicata a G., in Altarimini, Chiavari, lungoporto G. per il fondatore di Cl, in Il Secolo XIX, In Borgo Trento giardini intitolati al fondatore di CL, in Verona Notte, Melati, Jaca Santa editrice della rivoluzione, in Il Venerdì di Repubblica, L'Espresso SpA, Le opere  di Comunione e Liberazione. Chi siamo, su G. Scritti, Fraternità di Comunione e Liberazione.  Collana I libri dello spirito cristiano, Comunione e Liberazione. Collana musicale Spirto gentil, di Comunione e Liberazione. Bosco, G., Torino, Elledici, Bedouelle; Graziano Borgonovo; Clément; Olinto; Ries, Gli uomini vivi si incontrano: scritti per G., Milanok, Camisasca, Comunione e Liberazione: Le origini Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, Massimo Camisasca, Comunione e Liberazione: La ripresa, Cinisello Balsamo, San Paolo,Elisa Buzzi, Scola, Un pensiero sorgivo, Marietti D Perillo, Caro G.. Dieci anni di lettere a un padre, Piemme, Camisasca, Comunione e Liberazione: Il riconoscimento, Appendice, Cinisello Balsamo, San Paolo, Farina, G.. Vita di un amico, Piemme,  Farina, Maestri. Incontri e dialoghi sul senso della vita, Piemme, Ceglie, G.. Una religione per l'uomo, 1ª ed., Cantagalli, Gamba, Allargare la ragione, Vita e Pensiero, Camisasca, G.. La sua esperienza dell'uomo e di Dio, Cinisello Balsamo, San Paolo, Savorana, Vita di G., Milano, Rizzoli Editore, Savorana, Un'attrattiva che muove, 1ª ed., Milano, BUR Saggi, Scholz-Zappa, G. e Guardini. Una lettura originale, Milano, Jaca, Marta Busani, Gioventù studentesca. Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione, Roma, Studium, Massimo Camisasca, L'avventura di Gioventù Studentesca, fotografie di Elio Ciol, Milano, Mondadori Electa, G. Paximadi, E. Prato, R. Roux e Tombolini, Giussani. Il percorso teologico e l'apertura ecumenica, Siena, Cantagalli Eupress FTL. Scritti di  G., su G. Scritti, Fraternità di Comunione e Liberazione. Giussani su Comunione e Liberazione, Fraternità di Comunione e Liberazione. Luigi Giovanni Giussani. Giussiani. Keywords: dell’amicizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giussani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giusso: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’eroi – filosofia fascista --  il mistico dell’azione – filosofia campanese – filosfia napoletana – scuola di Napoli -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Giusso: he has explored philosophers from his country like Leopardi and Bruno, and tdhe whole ‘tradizione ermetica nella filosofia italiana,’ but also French – Bergson – and especially “Dutch,” i. e. Deutsche or tedesca – Spengler, and Nietsche – All very Italian!” Nato in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio Giusso e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, G., uno dei fondatori del quartiere Bagnoli, ne era stato sindaco). Si laurea in filosofia a Napoli sotto ALIOTTA (si veda). Segue con passione l'attualismo gentiliano e proprio il suo carattere passionale lo porta anche nel campo filosofico ad un tipo di critica scenografica, così come fu definita. Le sue frizioni con Croce, inizialmente orientate su temi politici, presero più tardi una forma "sotterranea", genericamente orientata contro l'idealism. G. si richiamava al fatalismo di Leopardi, al demiurgo di Nietzsche, allo storicismo di Dilthey, al nichilismo dello Spengler: e a causa di quest'ultimo, oltre che per la sua interpretazione della Scienza nuova vichiana (che si attirò una severa recensione dello stesso Croce, G. è criticato dall'ambiente crociano. G, critico e storico delle idee s'identificava con la visione della vita di autori che sentiva a lui vicini per temperamento ed interessi come Bruno, Vico (dall'analisi degli scritti del quale nacque l'infastidita reazione di Croce), Giacomo, Bacchelli, Barilli, Papini, Soffici, Palazzeschi, Borgese, Gozzano, che molto ispirò la sua composizione poetica Don Giovanni ammalato. I suoi Tafferugli a Montecavallo meriterebbero forse di essere più conosciuti. Tra le due guerre, egli partecipò all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce, da cui molto presto si distaccò (come TILGHER (si veda), che egli difende e mostra di apprezzare) assumendo posizioni eretiche e ispirandosi piuttosto a un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare in una fase iniziale, Spengler e Nietzsche.  Intelligenza precoce, prima di intraprendere l'insegnamento universitario che lo avrebbe allontanato da Napoli portandolo ad insegnare Filosofia a Bologna, Pisa, e Cagliari, Giusso avviò una copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi quotidiani icome Il Popolo d'Italia, Il Secolo, Il Mattino, Il Resto del Carlino, ed ancora il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di Sicilia, La Stampa ed altri ancora.  Giornali questi dove fu autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali esponenti, soprattutto scrittori. Nel dopoguerra, superati i miti dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica, si riavvicinò alla fede cristiana. Era sua intenzione realizzare una revisione del pensiero italiano dal Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico volto a ravvicinare la filosofia della Roma antica e quello cristiano. In chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla figura di BRUNO (si veda). Di ritorno da un viaggio nella sua adorata Spagna muore. A Napoli gli venne intitolata una strada.  Saggi: “Le dittature democratiche dell'Italia” (Milano, Alpes); “Leopardi” (Napoli, Guida); “Idealismo e prospettivismo” (Napoli, Guida); “Leopardi e le sue due ideologie” (Firenze, Sansoni); Spengler, Roma, società anonima La nuova antologia, Cadenze di Sigismondo nella Torre, Modena, Guanda); “VICO fra l'Umanesimo e l'Occasionalismo” (Roma, Perrella); “La visione della vita” (Napoli, R. Ricciardi); “Elegie del torso della saggezza mutilata, Milano, Corbaccio); “Il viandante e le statue: saggi sulla letteratura contemporanea, Roma, Cremonese); “Lo storicismo, Milano, Bocca, Gioberti, Milano, A. Garzanti, L'anima e il cosmo, Milano, Bocca,  “La tradizione ermetica nella filosofia italiana” (Milano, Bocca); Due scritti sul nazionalsocialismo, Roma, Settimo Sigillo, Quaderno, Napoli, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa,. Tafferugli a Montecavallo, La Finestra, Lavis, Il fascismo e Croce, "Gerarchia",  "La Critica", rist. in Nuove pagine sparse, Panteismo e magia in Bruno (Sassari, Scienze e filosofia in Bruno, Napoli Roma, Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Corriere della sera, La Fiera letteraria, Giornale di metafisica, F. Bruno,Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos, IE. Falqui, Di noi contemporanei, Firenze, ad indicem; G. Villaroel, Gente di ieri e di oggi, Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo, ad indicem; G. Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, R. Maran, L. G. e la ricerca d'un sistema, in Sophia, A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero; Toffanin, Nuova Antologia, Boni Fellini, L'Osservatore politico letterario, Diz. della letteratura mondiale, Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiano.  L’Illuminismo oscuro  G., autore e studioso multidisciplinare, ha lasciato ai posteri una sterminata produzione intellettuale, tenuta tuttavia troppo poco in considerazione dal mondo accademico contemporaneo.  Stefano Chemelli  10 articoli  G. è studioso di filosofia. Recinto riduttivo si dirà, ma per lui invece parco multiforme. Ispanista, germanista, francesista. Allievo d’Aliotta e BATTAGLIA (si veda) è critico letterario, si laurea, ottiene la libera docenza in Filosofia teoretica e morale ma insegna. “Tafferugli a Montecavallo” pubblicato da Cappelli uno studio sul barocco romano e Bernini, “La tradizione ermetica nella filosofia italiana”, le straordinarie conversazioni radiofoniche di “Autoritratto spagnolo” sono appena un accenno a una sterminata produzione redatta nel breve arco di cinquantasette anni.  Sodale di Unamuno e Ortega con i quali ha condiviso amabili conversari, G. si occupa a fondo di Goethe, LEOPARDI (si veda), Stendhal, Nietzsche, Dostoevskij, Freud, Dilthey, Simmel, Bergson, GIOBERTI (si veda), VICO (si veda), BRUNO (si veda). Inoltre fu di Spengler uno dei primissimi esegeti italiani. Dotato di una conversazione che incantava anche il grande Edoardo, complice in gustosi siparietti nei quali De Filippo si trasformava in spettatore, basterebbero le pagine dedicate al Bernini per intuire la rabdomantica agilità di scrittura sempre corroborata da una cultura che poteva reggere l’impulso filologico di un Croce. Dona un’analisi storica poderosa in “Le dittature democratiche dell’Italia”, all’ascesa del fascismo, seguito dalla prima raccolta di scritti letterari che ne connotano le capacità di “viandante” nei diversi giardini del sapere; “Il ritorno di Faust” è, “Figure di Capri”, a ruota seguono le pagine sopra Freud, Ortega, Dostoevskij, e soprattutto lo studio su Leopardi.  Copia de "La tradizione ermetica nella filosofia italiana"Copia de “La tradizione ermetica nella filosofia italiana” Stendhal e Nietzsche non escludono l’impegno anche poetico che troverà sfogo in tre raccolte che molto dicono del Giusso più segreto (“Musica in piazza”, “Cadenze di Sigismondo nella torre”, “Elegie del torso della saggezza mutilata”). “Spengler e la dottrina degli universali formali” restituisce in forma autonoma un approfondimento più volte ripreso da Giusso nel decennio dei trenta che costituisce la decade dell’approfondimento filosofico più intenso (Dilthey e Ortega tra gli altri) e preparatorio al grande volume “Filosofia e immagine cosmica” dedicato a GENTILE. Due traduzioni spagnole coinvolgeranno gli studi di G. rivolte a Vico ma sarebbe urgente dare attenzione alla tradizione ermetica, magari per scoprire che GARIN (si veda) l’ha sicuramente letta e ripresa molto più tardi. Kulturkritiker universale lo definì Buscaroli, allievo devoto a Bologna quando G. strabilia un manipolo di arditi fuoricorso in Estetica e Letteratura spagnola, che mai avrebbero rinunciato alle sue esibizioni in diretta presso l’Alma Mater bolognese, fugacemente ospitati.  Un grande romantico della ispecie dei Kleist, degli Hoederlin, dei Novalis però, poeta dei talami dissacrati che trova negli articoli, nelle corrispondenze, nei taccuini di viaggio infinite suggestioni, il tono di un G. confidenziale e descrittivo vicino al lettore non specialista ma disposto a calarsi nell’ambiente e nell’aria, nella luce chiara e tersa di un respiro curioso sino al dettaglio minuto.  Filosofia ed imagine cosmica; Filosofia ed immagine cosmica; Pubblicati recentemente i quaderni spagnoli dalla Università Benincasa, sono ancora inedite le pagine tedesche e austriache, ma esistono anche reportage francesi, nei quali uomini e cose sbalzano con la modestia e la versatilità del carattere e la magnificenza della scrittura. La vita di ognuno non elide né la circostanza né l’astrazione, G. è uno dei protagonisti del teatro del mondo che abbiamo ignorato, noi italiani, lui, molto napoletano, ma già europeo, ben oltre l’amatissima Spagna. Un europeo immerso nella musica delle lingue (francese, spagnolo, tedesco…), in VICO e Spengler. Tilgher, Alvaro, Toffanin, furono amici veri, fidati, ammirati di un uomo al quale era sconosciuta l’invidia e al contrario era profferta a piene mani una generosa e prodiga liberalità in nome di una poetica propensione al dialogo di un sapere trasversale, comunicativo e incantato nella magia della parola libera, circostanziata, esatta.  Una studiosa di letteratura italiana ha affermato che il più bel libro di G. è il quaderno spagnolo, ed ha pure aggiunto che quaderno spagnolo e autoritratto spagnolo coincidono. Spaini, ma pure Buscaroli che con Rispoli di G. sono stati tra i conoscitori più profondi di G., difficilmente concorderebbero. Le pagine spagnole, tedesche, austriache servono a entrare nel mondo giussiano, consentono di accedere a una dimensione della cultura che non conosce omologazioni di sorta, schieramenti, posizionamenti di rendita. Permettono di sorridere a fronte di un esteta armato solo di una generosità speciale: cogliendo l’anima dell’umanità in una minuzia necessaria a ritrovare un sentiero precario, attraverso il quale condurre a una visione più ampia, senza dimenticare la poesia della vita. Gioberti come uomo del risorgimento – serie: Uomini del risorgimento. “U= IL FASCISMO di Croce” Gerarchia – “Croce contro Croce” – da CRITICA FASCISTA – “Gentile, mistico dell’azione, tratto da “Il lavoro d’Italia” – “Gentile, “La Nazione” .  Nacque a Napoli, in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo Giusso, ne era stato sindaco).  Gli studi di G. a Napoli (dove è allievo, fra gli altri, di ALIOTTA (si veda)), coronati dalla laurea in lettere e filosofia, si svilupparono in molteplici direzioni. Pur destinato a diventare prevalentemente filosofo e storico della filosofia, i suoi non dilettanteschi interessi spaziarono dalla letteratura alla musica, dalla pittura alla filosofia, secondo un percorso eclettico ed estroso, fondato sull'istinto piuttosto che sul metodo, che lo portò a una conoscenza approfondita ed estesissima nei settori più diversi.  Tra le due guerre, egli partecipò all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce, da cui molto presto si distaccò (come TILGHER (si veda), che egli mostra di apprezzare) assumendo posizioni "eretiche" e ispirandosi piuttosto a un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare, in una fase iniziale, Spengler e Nietzsche.  Intelligenza precoce, prima di intraprendere l'insegnamento universitario, che lo avrebbe allontanato da Napoli, G. avvia una copiosa pubblicazione di saggi, collaborando con numerosi quotidiani italiani come autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali esponenti, soprattutto scrittori. L'attività giornalistica si sviluppa particolarmente quando G. inizia a collaborare con L'Idea nazionale, Il Popolo d'Italia e Il Secolo, quindi con Il Mattino, come critico letterario; fu poi autore di articoli di viaggio, per il Corriere della sera, e tenne un diario critico per Il Resto del Carlino, pubblicando sulla terza pagina di molti quotidiani italiani (Il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di Sicilia, La Stampa e altri ancora), anche se il lavoro propriamente giornalistico rallentò quando prevalse quello universitario. Ottenne la libera docenza in filosofia a Napoli, dove l'anno successivo insegnò filosofia morale; le principali tappe del suo percorso universitario - molteplice anche per le numerose discipline di cui si occupa - furono: Cagliari, dove insegna come professore incaricato, ricoprendo, secondo un percorso abbastanza inconsueto e irregolare, le cattedre di filosofia teoretica, letteratura italiana e francese, storia delle religioni; quindi, Bologna, dove, sempre come incaricato, insegnò lingua e letteratura spagnola, infine Pisa. La carriera universitaria del G. non si limitò, comunque, all'Italia: insegna letteratura italiana a Monaco, a Nizza, a Breslavia, a Debreczen in Ungheria, a Madrid, dove è accademico d'onore, e a Barcellona.  Proprio al ritorno da un viaggio in terra spagnola venne colpito dalla malattia che lo avrebbe condotto alla morte.  G. muore a Roma.  Oltre all'attività come giornalista e saggista, G. pubblica anche alcune raccolte di poesie: Musica in piazza (Napoli) e Don Giovanni ammalato, una rifusione, accresciuta, del primo volume; Cadenze di Sigismondo nella torre, Modena; e, infine, Elegie del torso della saggezza mutilata, Milano: d'intonazione prossima ai crepuscolari le prime, percorse dal senso di una discrepanza tra la piattezza della vita quale ci è data e il desiderio di viverla in modo più libero e pieno; maggiormente legate all'estetismo dannunziano, e insieme non dimentiche del clima d'avanguardia in cui era avvenuta la prima formazione di G., le ultime due.  Saggista acuto, ottimo conversatore, spirito brillante e fortemente antiaccademico, caratterizzato da un sapere enciclopedico, G. non si lega ad alcuna scelta politica, non appartenne a nessuna scuola di pensiero e non ebbe maestri diretti né discepoli. Dal suo asistematico sforzo di interpretazione della cultura moderna non si può trarre una dottrina unitaria ma soltanto il profilo di un cammino variegato e intenso, che trae origine dalla ricerca di una visione totale dell'esistenza nel fondamentale intento di realizzare un ideale di vita, problema con cui G. non smise mai di misurarsi, secondo una prospettiva antirazionalista (e implicitamente antidealista).  Allontanatosi molto presto, come si è detto, dal crocianesimo imperante nell'ambiente napoletano, il primo interesse di G. è per i protagonisti dell'irrazionalismo e del vitalismo eroico, e per il pessimismo cosmico di Leopardi (Il ritorno di Faust, Napoli; Leopardi, Stendhal, Nietzsche; Tre profili: Dostoevskij, Freud, Ortega y Gasset; Leopardi e le sue due ideologie, Firenze); in tempi diversi riunì in raccolte i ritratti degli autori e dei personaggi che più lo avevano interessato (Il viandante e le statue. Saggi sulla letteratura contemporanea, Milano).  Nell'ambito di una ricerca più propriamente FILOSOFICA, i principali autori di riferimento di G. - che costituirono anche l'oggetto dei suoi studi – sono Dilthey (Dilthey e la filosofia come visione della vita, Napoli; Dilthey, Simmel, Spengler, Milano); i già ricordati Nietzsche (Nietzsche, Napoli), Spengler (Spengler e la dottrina degli universali formali, Napoli), e Gasset.  Il rapporto tra razionalismo e irrazionalismo (e il superamento della loro opposizione) e quello tra scienza e filosofia e vita sono il tema di fondo di quella che probabilmente rimane una delle sue opere più significative, Filosofia ed imagine cosmica (Roma), in cui, in diretto riferimento a Vico (si veda anche: Vico tra umanesimo e occasionalismo, Roma; La filosofia di Vico e l'età barocca), egli delinea una genealogia della filosofia, e in generale dell'attività razionale, a partire dalle istanze vitali e concrete dell'uomo. In VICO (si veda), secondo G., non c'è una filosofia intesa come ontologia e come organo di un conoscere razionale perché i sistemi filosofici riflettono il tentativo di appropriazione verbale del mondo in rapporto a un'originaria intuizione cosmica, così come le scienze e le tecniche non procedono da una razionalità astratta ma dai bisogni dell'uomo sociale, rimandando a un sentimento che è espressione del primitivo legame, non specificamente conoscitivo, che unisce uomo e mondo.  Nel dopoguerra, approfondendo questa tematica e superati i miti dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica, il G. si riavvicinò alla fede cristiana; era sua intenzione realizzare una revisione della storia del pensiero italiano dal Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico volto a ravvicinare il pensiero dell'antichità greco-romana e quello cristiano. In chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla figura di Bruno (Scienza e filosofia in Bruno, Napoli-Roma).  Tra le opere del G., oltre a quelle già citate, si ricordano: Le dittature democratiche d'Italia, Milano; Idealismo e prospettivismo, Napoli; Lo storicismo tedesco: l'anima e il cosmo, Roma; Bergson, Milano; Gioberti; Spagna e antispagna: saggisti e moralisti spagnoli, Mazara del Vallo; La tradizione ermetica nella filosofia italiana, Trapani; Tafferugli a Montecavallo, Bologna; Origene e il Rinascimento, Roma: Autoritratto spagnolo, a cura di A. Spaini, Torino; Necr. in Corriere della sera, La Fiera letteraria; Giornale di metafisica, Bruno, L. G., in Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos; Falqui, Di noi contemporanei, Firenze, ad indicem; Villaroel, Gente di ieri e di oggi, Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo, ad indicem; G. Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, 11 maggio 1957; R. Maran, L. G. e la ricerca d'un sistema, in Sophia; Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero; Toffanin, G. e Ortega, in Nuova Antologia; Boni Fellini, G. dieci anni dopo, in L'Osservatore politico letterario; Diz. della letteratura mondiale del '900, sub voce.  Panteismo tipo di teismo Lingua Segui Modifica Il panteismo (πάν = tutto e θεός = Dio, vuol dire letteralmente "Dio è Tutto" e "Tutto è Dio") è una visione del reale per cui ogni cosa è permeata da un divino immanente o per cui l'Universo o la natura sono equivalenti a Dio (Deus sive Natura).  Definizioni più dettagliate tendono ad enfatizzare l'idea che la legge naturale, l'esistenza e l'universo (la somma di tutto ciò che è e che sarà) siano rappresentati nel principio teologico di un 'dio' astratto piuttosto che una o più divinità personificate di qualsiasi tipo. Questa è la caratteristica chiave che distingue il panteismo dal panenteismo e dal pandeismo. Ne deriva che molte religioni, pur reclamando elementi panteistici, sono in realtà per natura più panenteiste e pandeiste. Levine, nel suo libro Panteismo, lo definisce «una concezione non-teistica della divinità». In senso lato, con "panteismo" si intende ogni dottrina filosofica che identifichi Dio con il mondo o con il principio che lo regge. Per l'esattezza, il concetto di Dio-Uno-Tutto si presenta in due versioni: quella "cosmistica", la quale afferma "Dio è nel Tutto", e quella acosmistica (il termine è di Hegel), la quale afferma "Il Tutto è in Dio". Nel primo caso, come nello stoicismo, Dio impregna e pervade l'universo in ogni sua parte; nel secondo caso, come nello spinozismo, l'universo in ogni sua parte rifluisce e si scioglie in Dio, quale Uno-Tutto.  Storia del panteismo Modifica Il termine "panteista" (dal quale la parola "panteismo" è derivata) è usato propriamente per la prima volta da Toland nella sua opera Socinianism Truly Stated, by a pantheist. Comunque, il concetto era stato discusso già al tempo dei filosofi della Grecia antica, da Talete, Parmenide ed Eraclito. I presupposti ebraici del panteismo possono essere ricercati nella Torah stessa, nel racconto della Genesi e nei suoi primi materiali profetici, nei quali chiaramente gli "atti di natura" (come inondazioni, tempeste, vulcani, etc.) sono tutti identificati come "la mano di Dio" attraverso idiomi di personificazione, così spiegando gli aperti riferimenti al concetto, sia nel Nuovo Testamento, che nella letteratura cabalistica.  Sorge una consistente controversia tra Jacobi e Mendelssohn, che infine coinvolse molte importanti persone del tempo. Jacobi affermava che il panteismo di Lessing era materialistico, per il fatto che considerava tutta la natura e Dio come una sola sostanza estesa. Per Jacobi, esso non era altro che il risultato della devozione alla ragione, tipicamente illuminista, che avrebbe condotto all'ateismo. Mendelssohn espresse il suo disaccordo, asserendo che il panteismo era teistico.  Il Panteismo di Eraclito Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Eraclito. Il panteismo è un componente della dottrina del filosofo greco Eraclito, secondo cui il divino è in tutte le cose ed è identico al mondo nella sua interezza. Questa concezione porta a identificare il divino con l'Universo, facendolo divenire quindi l'Unità di tutti i contrari, il Fuoco generatore.  Il Dio-tutto di Eraclito ha in sé tutte le cose ed è una realtà eterna. Eraclito sembra rifarsi alla teoria della cosmologia ciclica, poiché la sua concezione della realtà è simile a un insieme di fasi alterne: un ciclo distruttivo-produttivo, che verrà sviluppato in seguito dagli Stoici.  Il Panteismo del PORTICO ROMANO Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: IL PORTICO ROMANO. Il panteismo stoico è una delle più compiute espressioni di esso, dove il divino è la ragione e l'intelligenza che lo determina e lo permea. Il divino del PORTICO ROMANO, quindi, non si identifica con l'universo, ma lo permea come suo fondamento e ragion d'essere.  Il Panteismo di Plotino Si è parlato spesso impropriamente di panteismo in Plotino. In realtà, secondo Plotino, Dio non è solo immanente, ma anche trascendente. Come ha evidenziato anche Reale, l'Uno, il Dio plotiniano, pur permeando di sé ogni realtà, ne è superiore. Plotino dice infatti chiaramente che l'Uno, «in quanto principio di tutto, non è il tutto. Con questa affermazione egli sembra prendere in contropiede, quasi le prevedesse, le interpretazioni immanentistiche e panteiste del suo pensiero.  Il Panteismo di BrunoModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Bruno. La visione di BRUNO (si veda) può essere considerata un panteismo del divino-Infinità ed ha alcuni caratteri del panpsichismo. Nella filosofia di Bruno, i cinque dialoghi del De la causa, principio et uno intendono stabilire i princìpi della realtà naturale.  Forma universale del mondo è l'anima del mondo, la cui prima e principale facoltà è l'intelletto universale, il quale «empie il tutto, illumina l'universo e indirizza la natura a produrre le sue specie».  La materia è il secondo principio della natura, dalla quale ogni cosa è formata: «come nell'arte, variandosi in infinito le forme, è sempre una materia medesima che persevera sotto quella, come la forma dell'albore è una forma di tronco, poi di trave, poi di tavolo, poi di sgabello, e così via discorrendo, tuttavolta l'esser legno sempre persevera; non altrimenti nella natura, variandosi in infinito e succedendo l'una all'altra le forme, è sempre una medesma la materia».  Discende da questa considerazione l'elemento fondamentale della filosofia bruniana: tutta la vita è materia, materia infinita. Nella sua concezione, anche la Terra è dotata di anima.  Egli in De l'infinito, universo e mondi scrive:   «Io dico Dio tutto infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità dell'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quello. Bruno, Dialoghi metafisici, Firenze, Sansoni Il Panteismo di Spinoza  Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Spinoza e Monismo panteistico. La tesi centrale del pensiero di Baruch Spinoza è l'identificazione panteistica o, meglio, immanentistica di Dio con la Natura (Deus sive Natura) ed in essa convergono i temi ed i motivi appartenenti alle tradizioni culturali più disparate, la teologia giudaica, la filosofia ellenistica, la filosofia neoplatonica-naturalistica del Rinascimento, il razionalismocartesiano ed il pensiero arabo, ed infine le sfumature di Thomas Hobbes.  Spinoza concepisce un Dio coniugato con l'unità e la necessità e perciò:   «Dio, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna ed infinita, esiste necessariamente. Se lo neghi, concepisci, se è possibile, che Dio non esista. Dunque (per l'As.7) la sua essenza non implica l'esistenza. Ma questo (per la Prop.7) è assurdo: dunque Dio esiste necessariamente.»  (Spinoza, Etica, Roma, Editori Riuniti Ne consegue la dimostrazione di ciò che Dio è:   «Tutto ciò che è, è in Dio: Dio però non si può dire cosa contingente. Infatti esiste necessariamente, e non in modo contingente. Inoltre, i modi della divina natura sono seguiti da essa anche necessariamente e non in modo contingente e ciò o in quanto si considera la divina natura assolutamente oppure in quanto la si considera determinata ad agire in un certo modo. Inoltre, di questi modi Dio è causa non soltanto perché semplicemente esistono in quanto li si considera determinati a fare qualcosa. Poiché se non sono determinati da Dio, è impossibile e non contingente che determinino se stessi; e al contrario se sono determinati da Dio, è impossibile, e non contingente, che rendano se stessi indeterminati. Per cui tutte le cose sono determinate dalla necessità della divina natura non soltanto ad esistere, ma anche ad esistere e agire in un certo modo, e non si dà nulla di contingente.»  (B. Spinoza, Etica, Questa concezione fa sì che il Dio di Spinoza (ma non meno quello del PORTICO ROMANO), per qualche filosofo contemporaneo, risulti essenzialmente un impersonale Dio-Necessità, contrapponibile al Dio-Volontà come persona divina tipica dei monoteismi.  Descrizione Tipi di panteismoModifica Si possono distinguere tre gruppi di panteisti:  panteismo classico, che si esprime attraverso l'immanente Dio del Giudaismo, Induismo, Monismo, neopaganesimo e delle dottrine New Age, generalmente considerando Dio come personificazione o manifestazione cosmica; panteismo biblico, che è espresso negli scritti della Bibbia; panteismo naturalistico, basato sulle, relativamente recenti, visioni di Baruch Spinoza (che potrebbe essere stato influenzato dal panteismo biblico) e John Toland (che coniò il termine "panteismo"), così come sulle influenze contemporanee. La maggioranza delle persone che possono identificarsi come "panteiste" appartengono al tipo classico (come gli Indù, i Sufi, gli Unitaristi, i neopagani, i seguaci della New Age, etc), mentre molte persone che identificano se stesse come panteiste (non essendo membri di un'altra religione) appartengono al tipo naturalista. La divisione tra le tre branche del panteismo non sono completamente chiare in tutte le situazioni, rimanendo dei punti di controversia nei circoli panteisti. I panteisti classici generalmente accettano la dottrina religiosa secondo cui ci sarebbe una base spirituale per tutta la realtà; mentre i panteisti naturalisti generalmente non concordano, piuttosto intendendo il mondo in termini più naturalistici. La confusione tra i concetti di panteismo e ateismo è un problema antico in linguistica. GL’ANTICHI ROMANI si rifereno ai cristiani come atei e le spiegazioni di questo fenomeno semantico possono variare.  Metodi di spiegazione Una caratteristica spesso citata del panteismo è che ogni essere umano, essendo parte dell'universo o della natura, è parte del divino. Uno dei problemi discussi dai panteisti è come possa esistere il libero arbitrio in un contesto simile. In risposta, qualche volta è data la seguente analogia (particolarmente dai panteisti classici): "stai a Dio come una tua singola cellula sta a te".  L'analogia sostiene anche che, sebbene una cellula possa essere cosciente del suo ambiente e abbia persino qualche scelta (libero arbitrio) tra giusto e sbagliato (uccidere un batterio, divenire cancerogena o non fare semplicemente niente), ha presumibilmente una comprensione limitata dell'essere più grande, di cui fa parte. Un altro modo di comprendere questo tipo di relazione è tramite la frase indù tat tvam asi - "quello che sei", in cui l'anima/essenza umana o Ātmanè intesa medesima di Dio o Brahman. Nel contesto indù, si crede che il singolo debba essere liberato attraverso l'illuminazione (moksha), in modo da sperimentare e capire pienamente questa relazione: la parte diventa non dissimile dal tutto.  Non tutti i panteisti accettano l'idea del libero arbitrio, dato che il determinismo è largamente diffuso, particolarmente presso i panteisti naturalistici. Sebbene le interpretazioni individuali del panteismo possano suggerire certe implicazioni per la natura e l'esistenza del libero arbitrio e/o determinismo, il panteismo non implica il requisito di credere in entrambi. Comunque, il problema è largamente discusso ed è presente in molte altre religioni e filosofie.  Dibattito Alcuni sostengono che il panteismo è poco più che una ridefinizione della parola il divino per definire esistenza, vita o realtà. Molti panteisti direbbero che, se fosse così, un tale cambiamento nel modo in cui pensiamo a queste idee servirebbe a creare una nuova e potenzialmente più perspicace concezione sia dell'esistenza, che di Dio. Forse il più significativo dibattito all'interno della comunità panteistica è quello riguardante la natura di Dio. Il panteismo classico crede in un Dio personale, cosciente e onnisciente e vede questo Dio come unificante di tutte le vere religioni. Il panteismo naturalistico crede invece in un Universo non cosciente e non senziente che, sebbene sacro e meraviglioso, è visto come un Dio in senso non tradizionale e non personale.  I punti di vista compresi all'interno della comunità panteista sono necessariamente diversi, ma l'idea centrale, che vede l'Universo come un'unità onnicomprensiva e la sacralità sia della natura che delle sue leggi, è comune. Alcuni panteisti sostengono, inoltre, un fine comune di natura e uomo, sebbene altri rifiutino l'idea di un fine e vedano l'esistenza come esistente di per sé.  Concetti panteistici nella religione Induismo  È generalmente riconosciuto che i testi religiosi indù sono i più antichi conosciuti in letteratura contenenti idee panteistiche. Nella teologia indù, Brahman è la realtà infinita, immutabile, immanente e trascendente che è il Divino Terreno di tutte le cose nell'Universo e che è anche la somma totale di tutte le cose che sono, sono state e saranno. Questa idea di panteismo è rintracciabile in alcuni testi più antichi come i Veda e gli Upanishad e nella più tarda filosofia Advaita. Tutti i Mahāvākya degli Upanishad, in un modo o nell'altro, sembrano indicare l'unità del modo con Brahman. Upanishad dice Tutto in questo Universo in realtà è Brahman; da lui esso procede; all'interno di lui è dissolto; in lui respira, così lasciate che ognuno lo adori tranquillamente". Inoltre dice: "Tutto l'Universo è Brahman, da Brahman a una zolla di terra. Brahman è la causa efficiente e materiale del mondo. Egli è il vasaio da cui si forma il vaso; egli è la creta con il quale è fabbricato. Tutto proviene da Lui, senza perdita o diminuzione della fonte, come la luce irradiata dal sole. Ogni cosa è unita entro Lui ancora, come le bolle che esplodono si uniscono all'aria, come i fiumi sfociano negli oceani. Tutto proviene e ritorna al divino, come la tela di un ragno è fabbricata e ritratta dal ragno stesso, Negli inni del Rig Veda, una traccia di pensiero panteista può essere riconosciuta nel libro decimo. Questa concezione di Dio lo vede come l'unità, con gli dei personali e individuali aspetto dell'Unico, sebbene differenti divinità siano viste da diversi fedeli come particolarmente adatte alle loro preghiere. Come il sole emana raggi di luce che provengono dalla stessa fonte, lo stesso avviene dagli sfaccettati aspetti di Dio emanati da Brahman, come più colori dallo stesso prisma. Il Vedānta, specificatamente l'Advaita, è una branca della filosofia indù che pone grande accento su questa materia. Molti aderente vedantici sono monistio "non-dualisti, vedendo le molteplici manifestazioni di un solo Dio o della fonte dell'essere, una visione che è spesso considerata dai non induisti come politeista.  Il panteismo è la componente chiave della filosofia Advaita. Altre suddivisione dei Vedanta non sostengono in maniera peculiare le stesse istanze. Per esempio, la scuola Dvaita di Madhvacharya ritiene che Brahman sia il Dio esterno personale Vishnu, laddove invece le scuole Rāmānuja sposano il Panenteismo.  Ebraismo Il senso radicalmente immanente del divino nella mistica ebraica (Kabbalah) si ritiene abbia ispirato la formulazione del panteismo da parte di Spinoza. Nonostante ciò, la teoria di Spinoza non è stata recepita dall'Ebraismo ortodosso. D'altro canto, Schopenhauer sosteneva che il panteismo spinoziano fosse una conseguenza della lettura di Malebranche da parte del filosofo olandese: Malebranche insegna che tutto ciò che osserviamo è in Dio stesso. Ciò equivale a voler spiegare qualcosa di ignoto mediante qualcosa di ancor più oscuro. Inoltre, secondo Malebranche noi non solo vediamo tutto in Dio, ma Dio è anche l'unica attività, sicché le cause fisiche sono mere occasionalità (Ricerca della verità,. E così qui rinveniamo essenzialmente il panteismo di Spinoza che pare abbia appreso più da Malebranche che da Descartes. (Schopenhauer, Parerga e paralipomena, "Schizzo di una storia della teoria dell'ideale e del reale"). Inoltre, Eliezer, fondatore dello chassidismo, aveva un senso mistico del divino che può essere definito come Panenteismo.  Secondo l'ebraismo biblico l'origine dell'Universo si è basata sulla Torah (legge) della natura. Pertanto la Torah originale non è rinvenibile negli scritti di Mosè, bensì nella natura stessa. "Interpretare" la Torah della natura equivale ad "interpretare" la Torah della rivelazione e teoricamente alla fin fine coincideranno l'una con l'altra [come si dimostra ad esempio con la scoperta del Big Bang. L'ortodossia rabbinica considerando questa posizione come una discrepanza, allo scopo di porre la Torah scritta al di sopra di quella data per prima in natura, ha sostenuto che la Torah scritta precedette la creazione, infatti a partire dalla Torah scritta che Dio ha parlato nella creazione. Questa posizione non è accolta dai panteisti biblici.  Maimonide, benché Ortodosso, nei suoi scritti sulla riconciliazione fra le sacre scritture e la scienza, accolse l'opinione dell'equivalenza fra la Torah della natura e la Torah delle scritture e trovò la sua logica come inevitabile. Queste tesi, senza dubbio, servirono da sfondo per lo sviluppo delle teorie di Spinoza.  Cristianesimo Vi è un certo numero di tradizioni minori nell'ambito della storia del Cristianesimo secondo le quali le origini del loro credo panteistico sono da rintracciare nel Nuovo Testamento ed in altre correlate tradizioni ecclesiastiche. La diversità di questo punto di vista è rintracciabile a partire dai primi Quaccheri sino ai successivi Unitaristi e fino ad arrivare alle stesse principali denominazioni del cattolicesimo tradizionale e del protestantesimo liberale. Altre fonti includono la  Teologia del processo, la Spiritualità della Creazione, i Fratelli del libero spirito, altri ancora ne sostengono la presenza fra gli Gnostici. Tale idea ha avuto, per qualche tempo, aderenti in vari segmenti del Cristianesimo.  Alcuni Cristiani considerano la Trinità in questo significato: lo Spirito Santo tiene insieme l'Universo e personifica se stesso come il Padre, che a sua volta personifica se stesso come il Figlio dentro questo Universo (ciò significa che il Padre è al di fuori dell'Universo, del Tempo e dello Spazio). Secondo altri, lo Spirito Santo è consapevole e utilizzabile e per questo è usato da Dio per benedire la gente con i Doni dello Spirito Santo. Tutti i poteri sovrannaturali si ritiene che siano possibili anche dal binomio Universo/Spirito Santo. I panteisti di religione cristiana asseriscono che l'origine del loro credo è rintracciabile nelle Sacre Scritture, nel Vecchio Testamento come nel Nuovo ed attenuano le difficoltà che i teologi della Chiesa Apostolica Romana hanno sempre cercato di "risolvere" nei concili sul tema della Trinità e della Natura di Cristo come il Verbo (solo il panteismo fornisce una formulazione per il Cristo come verbo di Dio e per l'unità del Monoteismo.  Il parificare nella Bibbia Dio agli atti della natura e la definizione di Dio data nello stesso Nuovo Testamento forniscono un persuasivo richiamo verso questo sistema di credenze.  I panteisti cristiani sostengono che la definizione cattolica del divino è pesantemente influenzata da fonti non bibliche, tra queste in particolar modo il neo-Platonismo, che considerano il divino come qualcosa che esiste fuori dall’esistenza, pertanto la definizione del divino si riferiva ad un qualcosa che non esiste, cioè, ad un Dio non-esistente. È proprio questa basilare definizione neo-platonica di non-esistenza che i panteisti cristiani ritengono biasimevole e contraria alle scritture. Agostino rigettò il panteismo per i seguenti motivi: Ma c'è un motivo che, al di là di ogni passione polemica, deve indurre uomini intelligenti o comunque siano, perché all'occorrenza non si richiede un'alta intelligenza, a fare una riflessione. Se Dio è la mente del mondo e se il mondo è come un corpo a questa mente, sicché è un solo vivente composto di mente e di corpo ed esso è Dio che contiene in se stesso tutte le cose come in un grembo della natura; se inoltre dalla sua anima, da cui ha vita tutto l'universo sensibile, vengono derivate la vita e l'anima di tutti i viventi secondo le varie specie, non rimane nulla che non sia parte di Dio. Ma se questa è la loro tesi, tutti possono capire l'empietà e la irreligiosità che ne conseguono. Qualsiasi cosa si pesti, si pesterebbe una parte di Dio; nell'uccidere qualsiasi animale, si ucciderebbe una parte di Dio. Non voglio dir tutte le cose che possono balzare al pensiero. Non è possibile dirle senza vergogna. come pure:  Riguardo allo stesso animale ragionevole, cioè l'uomo, la cosa più banale è ritenere che una parte divina prende le botte quando le prende un fanciullo. E soltanto un pazzo può sopportare che le parti divine divengano dissolute, ingiuste, empie e in definitiva degne di condanna. Infine perché il dio si arrabbierebbe con coloro che non lo onorano se sono le sue parti a non onorarlo?[5] Nel Vangelo secondo Tommaso (considerato apocrifodai Cristiani), Gesù disse:  Io sono la Luce: quella che sta sopra ogni cosa; io sono il Tutto: il Tutto è uscito da me e il Tutto è ritornato in me. Fendi il legno, e io sono là; solleva la pietra e là mi troverai. Tuttavia questa è un'affermazione dell'onnipresenza di Dio, non in senso panteistico, ma in armonia con l'insegnamento che ogni apparenza fenomenica è riflesso della luce divina. informazioni Questa voce o sezione sull'argomento religione non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. La maggioranza dei Musulmani condanna il concetto di panteismo e lo considera come un insegnamento non-Islamico. Tuttavia, il Sufismo è ritenuto dai musulmani contenere insegnamenti panteistici.  Il Sufismo può essere suddiviso nelle seguenti categorie:  Sufismo originario - Sincretico: Mescola insieme dottrine e concetti dell'Islam con credenze e pratiche religiose locali dei paesi Orientali e Occidentali. Lo si pratica in paesi non-Islamici. Sufismo ḥadīth - Tradizionale: è l'Islam con un'enfasi sulle forme ortodosse della spiritualità e del misticismo Islamico. Essenzialmente ortodosso e considerato prevalentemente come una subcultura nei paesi Islamici. Sunniti o Sciiti. Sufismo Coranico - Coranico: Si attiene strettamente a quanto scritto nel Corano compreso il profetismo e non accetta i più recenti ḥadīth come altrettanto ispirati dalla tradizione. È considerato non-ortodosso o come una forma di neo-ortodossia ed è praticato soprattutto nell'occidente islamico. Ha subito influenze dal concetto di riforma e restaurazione del Protestantesimo. Né il Sunnismoné il Sciismo sono da considerare come forme di ḥadīth. Il concetto di Panteismo si può rinvenire in ciascuno dei suddetti tipi di Sufismo, a differenza della maggioranza ortodossa dell'Islam, esso è molto diverso ed accentua l'esperienza e la conoscenza spirituale personale ed individuale. Le fonti dell'interpretazione panteistica differirebbero a seconda della tradizione cui fanno capo. Il Sufismo originario risentirebbe ovviamente dei testi orientali, il Sufismo ḥadīth sarebbe influenzato dagli studiosi Islamici del regno del Solimano, il Sufismo Coranico vedrebbe lo stesso Corano come la continua rivelazione e la personificazione linguistica è interpretata in modo coerente con i profeti biblici. La maggioranza dei Musulmani Ismailiti è panteista, o per essere più precisi, Panenteista.  Gli scritti di Seth e il PanteismoModifica Il concetto di Panteismo è parte integrante di molte delle credenze religiose e delle filosofie della New Age; la sua differenza rispetto al panenteismo è sostenuta in modo specifico negli scritti di Seth come presentati dalla medium Roberts. Seth, l'"entità" cui da voce la Roberts, diceva che Dio è formato di energia mentale, e questa energia mentale è la sostanza che dà vita a tutti gli esseri e a tutte le cose; la coscienza di Dio è veicolata da questa energia, per cui la coscienza di Dio è onnipresente. Seth spesso si riferiva a Dio come a "Tutto ciò che è" e diceva che "Tutte le facce appartengono a Dio". Seth descriveva Dio come una forma contenente tutti gli individui al suo interno; inoltre aggiungeva che Dio si conosce come è, ma anche si conosce come ciascun individuo. Tuttavia, questo insegnamento ha molto in comune con il correlato concetto di panenteismo, dato che pone in risalto la personificazione di Dio e quindi si trasforma in un teismo.  Altre religioniModifica Molti elementi panteistici sono presenti in alcune forme di Buddismo, Neopaganesimo, e Teosofiainsieme a molte variabili denominazioni. Si veda anche la Neopagana Gaia e la Church of All Worlds.  Molti Universalisti si considerano panteisti.  Il filosofo Carus si define un ateista che ama Dio. Egli critica ogni forma di monismo che cerca l'unità del mondo non nell'unità della verità bensì nella unicità di una logica supposizione di idee. Carus define tali concetti come henismo. Il Taoismo propugna una visione panteistica. Il Tao potrebbe essere paragonato al Deus-sive-Natura di Spinoza.  Concetti connessiModifica PanenteismoModifica Il Panteismo e il panenteismo presentano aspetti comuni ma non coincidono: il primo vede l'universo pieno di Dio il secondo lo vede come parte di Dio. Filosoficamente, però, i due concetti sono ben distinti. Mentre per il panteismo Dio è sinonimo della natura, per il panenteismo, invece, Dio è superiore alla natura e la include. È la ragione per cui Hegel definiva quello spinoziano un panteismo acosmistico (senza mondo).  Per alcuni tale distinzione è inutile, mentre altri la considerano un significativo punto di divisione. Molte delle maggiori fedi descritte come panteistiche potrebbero essere descritte anche come panenteistiche, al contrario ciò non è possibile per il panteismo naturalistico (perché non considera Dio come superiore alla sola natura). Per esempio, elementi appartenenti al panenteismo ed al panteismo si rinvengono nell'Induismo. Certe interpretazioni dei testi Bhagavad Gita e Shri Rudram Chamakam sostengono questo punto di vista.  CosmismoModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Cosmismo e World Brain. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento filosofia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Mentre questo termine è raramente usato, e molto spesso è solo un sinonimo di Panteismo, l'insolita filosofia da esso indicata è stata utilizzata in modo piuttosto differente, ma in ogni caso con essa si vuole esprimere il concetto che Dio è un qualcosa creato dalla mente umana, forse rappresenta uno stadio finale della evoluzione dell'uomo, raggiunto attraverso la pianificazione sociale, l'eugenetica e altre forme di ingegneria genetica. Wells diede vita a una forma di cosmismo, che denominò World Brain (cervello mondiale), rifacendosi a un saggio da lui in cui viene tra l'altro descritta la creazione di una biblioteca-enciclopedia. Tale idea venne ripresa nel libro God the Invisible King, in cui l'autore consiglia all'umanità di istituire un sistema socialista, strutturandolo sui dati statistici sociali ed eugenetici, sull'istruzione e l'eugenetica, in modo che un giorno idealmente possa essere alla pari e possibilmente anche fondersi con la stessa divinità panteista, e anche in alcuni paragrafi di Outline of History, che richiamavano tali credenze dell'autore e le sue ricerche sull'insegnamento di Gesù e di Buddha. Queste idee vengono riprese nel suo libro Shape of Things to Come e nel film da esso tratto nel Things to Come; in essi viene descritta l'umanità che, sopravvivendo ad una guerra apocalittica e a un prolungato periodo Feudale, si unisce per dar vita ad una utopia collettivista.  In Israele, il Cosmismo è stato oggetto di studio da parte di Mordekhay Nesiyahu, uno dei primi ideologi del Movimento Laburista Israeliano e docente presso l'Università di Beit Berl. Secondo questo autore Dio è qualcosa che non esisteva prima dell'uomo, ma era una entità secolare. Infatti fu la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme ad avere un ruolo nell'"invenzione" di questa entità.  Nel XX secolo, lo statunitense  Pierce, un nazionalista bianco iscritto nel Partito Nazista Americano e, a sua volta, fondatore del movimento Alleanza Nazionale, utilizza il termine cosmismo. Per Pierce (così come per Wells), Dio sarebbe il risultato finale dell'eugenetica e dell'igiene razziale. Si veda: Nazismo, Galton e Teosofia.  La noosfera descritta da Vernadsky e Chardin puo essere considerata come la descrizione di una divinità Cosmistica, come anche la coscienza collettiva di Émile Durkheim e l'inconscio collettivo di Jung. Clarke fa un possibile riferimento alla Noosfera Cosmista nel suo libro Childhood's End o Le guide del tramonto, riferendosi ad essa come la "Overmind", una mente alveare interstellare. Il Pandeismo è una specie di Panteismo che include una forma di Deismo, sostenendo che l'Universo è identico a Dio, ma anche che Dio precedentemente fu una forza cosciente e senziente ovvero una entità che progettò e creò l'Universo. Diventando l'Universo, Dio divenne inconscio e non senziente. A parte questa distinzione (e la possibilità che l'Universo un giorno ritornerà ad essere Dio), le credenze Pandeistiche sono identiche a quelle del Panteismo. Secondo Schopenhauer, nel panteismo non vi è etica. Il panteismo, nel suo complesso, naufragherebbe a fronte delle inevitabili esigenze etiche e quindi non avrebbe risposte sul male e sulle sofferenze del mondo. Se il mondo è una teofania, allora ogni cosa fatta dagli uomini, ed anche dagli animali, è da considerarsi parimenti divina ed eccellente; niente può essere giudicato più censurabile e più meritevole rispetto ad ogni altra cosa; quindi non vi è etica. (Il mondo come volontà e rappresentazione, Tuttavia, alcuni panteisti sostengono che il punto di vista panteista è molto più etico, evidenziando che ogni danno arrecato all'altro è come fare male a se stessi, perché arrecare danno ad uno è come arrecare danno a tutti. Ciò che è bene e ciò che è male non dipende da qualcosa al di fuori di noi, ma è il risultato di come ci rapportiamo gli uni con gli altri. Il fare bene non si deve basare sulla paura di una punizione da parte di Dio, bensì deve scaturire da un reciproco di tutti verso tutto.  Le forme tradizionali e le varie definizioni di panteismo, comunque, rinviano ai loro testi sacri e ai loro maestri per le definizioni di ordine etico. Levine, Pantheism: A Non-Theistic Concept of Deity, Londra e New York, Routledge, Il Panteismo. Una concezione non-teistica della divinità, Genova, ECIG, Constance E. Plumptre, General Sketch of the History of Pantheism, Londra, W. W. Gibbings, Chandogya Upanishad 3-14 traduzione di Monier-Williams ^ La Città di Dio, La Città di Dio, Testo del Vangelo secondo Tommaso God the Invisible King Voci correlateModifica Dio Monismo Monoteismo Teismo Deismo Pandeismo Panenteismo Naturalismo (filosofia) Panpsichismo Panteismo naturalistico Panteismo classico Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su panteismo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su panteismo Collegamenti esterniModifica panteismo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Panteismo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Panteismo, in Catholic Encyclopedia, Appleton Mander, Pantheism, Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information, Stanford. Tanzella-Nitti, Panteismo del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, su disf.org. Portale Filosofia   Portale Mitologia   Portale Religioni Monismo (religione) Panenteismo scuola filosofica  Panteismo naturalistico. Lorenzo Giusso. Giusso. Keywords: gl’eroi, il vico di giusso, la tradizione ermetica nella filosofia italiana, nazionalsocialismo, bruno, panteismo, leopardi, occasionalismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giusso” – The Swimming-Pool Library. Giusso.

 

Grice e Giustino: la ragione conversazionale e la gnossi a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Giustino is cited by Ippolito di Roma as the originator of what Ippolito describes as a pagan form of gnosticism in which a wide variety of disparate elements are brought together.

 

Grice e Giustino: la ragione conversazionale e la setta di Napoli -- Roma – filosofia campanese – filosofia napoletana – scuola di Napoli -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo campanese. Filosofo napoletano. Filosofo italiano. Napoli, Campania. He studies various schools of philosophy with his friend Trifone, but could not decide. He shows his scepticism in a letter to Antonino Pio. He irates Crescente, who has a mob kill him. Grice e Giustino. Giustino.

 

Grice e Givone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei fanes – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza -- Givone (Buronzo). Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Buronzo, Vercelli, Piemonte. Grice: “I like Givone, especially his two essays on ‘eros’: ‘eros and ethos’ and the more controversial, ‘eros and knowledge.’ Si laurea Torino sotto Pareyson. Insegnato a Perugia, Torino e Firenze. Alcuni suoi lavori riguardano la poetica e l’estetica all’ombra del nichilismo. Da questa riflessione nasce anche la sua ricerca sulla “Storia naturale del nulla” --  e sulle implicazioni sullo tragico. In sua estetica e forte è ancora il richiamo filosofico. Il malinconico, ‘l’ibrido – Saggi: “La storia della filosofia secondo Kant” (Milano, Mursia); “Hybris e malinconia: Studi sulle poetiche del Novecento” (Milano, Mursia); “William Blake. Arte e religione, Milano, Mursia, “Ermeneutica e romanticismo, Milano, Mursia, Dostoevskij e la filosofia, Roma, Laterza, Storia dell'estetica, Roma, Laterza, Disincanto del mondo e il tragico, Milano, Il Saggiatore,  La questione romantica, Roma, Laterza, Storia del nulla, Roma, Laterza, Favola delle cose ultime, Torino, Einaudi, Eros/ethos, Torino, Einaudi, Nel nome di un dio barbaro, Torino, Einaudi,  Prima lezione di estetica, Roma, Laterza, Il bibliotecario di Leibniz. Torino, Einaudi,  Non c'è più tempo, Torino, Einaudi, Metafisica della peste. Colpa e destino, Torino, Einaudi, Luce d'addio. Dialoghi dell'amore ferito, Firenze, Olschki,  Sull'infinito, il Mulino, Pantragismo. Treccani. Grice: “I like Givone; he philosophises on ‘eros,’ but fails to notice that for Butler there’s self-love and other love; instead, Givone prefers to contrast ‘eros’ with ‘ethos’!” “His ramblings on Phanes are fun, though!” – Grice: “Not satisfied with metaphysics, Givone goes to criticize Marinetti’s hybris, or superbia, i. e. lack of moderation. His ottimismo notably contrasts with the decadentismo of the croposcolaristi.  Futurismo movimento artistico, culturale, musicale e letterario italiano Lingua Segui Modifica Nota disambigua. svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Futurismo (disambigua). Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento arte è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Il Futurismo è stato un movimento letterario, culturale, artistico e musicale italiano dell'inizio del XX secolo, nonché una delle prime avanguardieeuropee. Ebbe influenza su movimenti affini che si svilupparono in altri paesi d'Europa, in Russia, Francia, negli Stati Uniti d'America e in Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione: la pittura, la scultura, la letteratura (poesia) al teatro, la musica, l'architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La denominazione del movimento si deve al poeta italiano Marinetti.  Boccioni La città che sale, bozzetto, Museum of Modern Art, New York OriginiIl manifesto del Futurismo pubblicato su Le Figaro (qui evidenziato in giallo) Il Futurismo nasce in Italia, in un periodo di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell'arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologichee di comunicazione, come il telegrafo senza fili, la radio, gli aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, "avvicinando" fra loro i continenti, creando nuove connessioni.  Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava una nuova realtà: la velocità. I futuristi intendevano idealmente "bruciare i musei e le biblioteche" in modo da non avere più rapporti con il passato per concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luci artificiali, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel tempo impiegato per produrre o arrivare a una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione. Severini racconta che quando venne in contatto con Marinetti per decidere se aderire o meno al Futurismo parlò anche con MODIGLIANI (si veda), che egli avrebbe voluto nel gruppo, ma il pittore declinò l'offerta perché come scrisse:   «Queste manifestazioni non gli andavano, il complementarismo congenito lo fece ridere, e con ragione, perciò invece di aderire mi sconsigliò di mettermi in quelle storie; ma io avevo troppa affezione fraterna per Boccioni, inoltre ero, e sono sempre stato pronto ad accettare l'avventura. Severini, Vita di un pittore Primo Futurismo «Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell'umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro…»  (dal Manifesto dei pittori futuristi) Una scazzottata futurista A seguito di una serie di articoli critici di Ardengo Sofficisu La Voce vi fu una reazione violenta dei futuristi: Marinetti, Boccioni e Carrà raggiunsero Soffici a Firenze e lo aggredirono mentre sedeva al caffè delle "Giubbe Rosse" in compagnia dell'amico Medardo Rosso. Ne nacque una grande pubblicità e un grande tumulto rinnovatosi alla sera, alla stazione di Santa Maria Novella, quando Soffici, accompagnato dagli amici Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper e Alberto Spaini, volle rendere la contropartita.   «Fu una vera spedizione punitiva, che mi fu raccontata da Boccioni e, più tardi, da Soffici. I futuristi appena arrivati a Firenze vanno al Caffè delle Giubbe Rosse, dove sapevano di trovare Soffici, Papini, Prezzolini, Slataper, e tutti redattori della Voce. Boccioni domanda ad un cameriere: «Chi è Soffici?»; sull'indicazione ottenuta si avvicina Soffici e senza spiegazioni gli appioppa un paio di schiaffoni; Soffici per niente smontato si alza risponde con una scarica di pugni. Parapiglia generale, tavole seggiole per terra, bicchieri rotti e questurini che portano tutti al commissariato. Per fortuna caddero in un commissario intelligente che capisce con chi aveva a che fare; visto che Soffici e quelli della Voce non volevano far querela d'aggressione, li rimandò tutti fuori come se niente fosse stato. I futuristi, vendicate le ingiurie, andarono alla stazione dove un treno, pressappoco a quell'ora, doveva riportarli a Milano. Ma quelli della Voce, malgrado si fossero ben difesi, non erano contenti affatto, perciò si recarono in fretta anch'essi alla stazione. Mentre il treno stava per arrivare ebbe luogo un altro incontro, e un altro violento pugilato, che, per poco, faceva restare a piedi futuristi. Ma fecero in tempo a prendere il treno, un po' ammaccati, ma soddisfatti. Severini, Vita di un pittore Nel Manifesto Futurista, pubblicato inizialmente in vari giornali italiani (la Tavola Rotonda di Napoli, la Gazzetta dell'Emilia di Bologna, la Gazzetta di Mantovae L'Arena di Verona) e, definitivamente, due settimane dopo sul quotidiano francese Le Figaro, Marinetti espose i principi-base del movimento. Poco tempo dopo a Milano i pittori Boccioni, Carrà, Balla, Severini e Luigi Russolo firmarono il Manifesto dei pittori futuristi e nell'aprile dello stesso anno il Manifesto tecnico della pittura futurista. Nei manifesti si esaltava la tecnica e si dichiarava una fiducia illimitata nel progresso, si decretava la fine delle vecchie ideologie (bollate con l'etichetta di passatismo, tra cui figura anche il Parsifal di Wagner, che cominciò a essere rappresentato nei teatri d'Europa). Si esaltavano inoltre il dinamismo, la velocità, l'industria, il militarismo, il nazionalismo e la guerra, che veniva definita come "sola igiene del mondo. Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi per l'inaugurazione della prima mostra. La prima importante esposizione futurista si tenne a Parigi presso la galleria Bernheim-Jeune. All'inaugurazione della mostra erano presenti Marinetti, Boccioni, Carrà, Severini e Russolo. L'accoglienza iniziale fu fredda, ma nelle settimane successive il movimento suscitò un certo interesse divenendo presto oggetto di attenzioni internazionali tanto da favorire la riproposizione della mostra anche in altre città europee come Berlino.  La riconciliazione con i futuristi avvenne in seguito, grazie alla mediazione dell'amico Palazzeschi. Infatti, Soffici e Papini uscendo da La Vocedecisero di fondare la rivista Lacerba appoggiando così il movimento futurista.  Alla morte di Umberto Boccioni, Carrà e Severini si ritrovarono in una fase di evoluzione verso la pittura cubista, di conseguenza il gruppo milanese si sciolse spostando la sede del movimento da Milano a Roma, con la conseguente nascita del secondo Futurismo. In prima fila Depero, Marinetti e Cangiullo con panciotti "futuristi" Il secondo Futurismo fu sostanzialmente diviso in due fasi. La prima andava due anni dopo la morte di Boccioni, e fu caratterizzata da un forte legame con la cultura post-cubista e costruttivista; la seconda invece,  fu molto più legata alle idee del surrealismo. Di questa corrente - che si concluse attraverso il cosiddetto "terzo Futurismo", portando anche all'epilogo del futurismo stesso - fecero parte molti pittori fra cui Colombo, Prampolini, Sbardella, Diulgheroff, Tulli ma anche Sironi, Soffici, Rosai, Testi e la moglie Stagni. Se la prima fase del Futurismo fu caratterizzata da un'ideologia guerrafondaia e fanatica (in pieno contrasto con altre avanguardie) ma spesso anche anarchica, la seconda stagione ebbe un effettivo legame con IL REGIME FASCISTA, nel senso che abbraccia gli stilemi della comunicazione governativa dell'epoca e si valse di speciali favori.  I futuristi di sinistra, generalmente meno noti nel panorama culturale italiano dell'epoca, comunque, costituirono quella parte del futurismo collocata politicamente su posizioni vicine all'anarchismo e al bolscevismo anche quando il movimento con i suoi fondatori e personaggi ritenuti principali è fagocitato dal FASCISMO. Anche se la gerarchia fascista riserva ai futuristi coevi una sotto-valutazione talvolta sprezzante, l'osservazione dei principi autoritaristici e la poetica interventista del Futurismo sono quasi sempre presenti negli artisti del gruppo, fino a che alcuni di questi non abbracciarono altri movimenti e presero le distanze dall'ideologia fascista (Carrà, ad esempio, abbraccia la metafisica). Altri ancora, come il giovane pittore maceratese Tulli, mantennero costantemente un approccio giocoso e libertario, che poco aveva a che fare con L’ESTETICA FASCISTA, anche nelle successive esperienze di pittura informale. Goncharova Il ciclista, Museo russo, San Pietroburgo Manifesto futurista di Marinetti era stato pubblicato a San Pietroburgo appena un mese dopo l'uscita su Le Figaro, e Gončarova e Larionov, che in patria verrà definito il padre del Futurismo russo, furono i concreti iniziatori del movimento in Russia. Il pittore Malevič, il compositore Matjušin e lo scrittore Kručënych redassero il manifesto del Primo congresso Futurista russo. Al movimento, conosciuto anche come Cubofuturismo o Raggismo, aderirono personalità come il poeta e drammaturgo Majakovskij.  Marinetti stesso si recò a Mosca. Dal movimento d'avanguardia futurista nacquero negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione due importanti avanguardie artistiche, il Costruttivismo e il Suprematismo. L'attenzione che i giornali e il pubblico dedicarono a Marinetti fu enorme, ma non ci fu la stessa attenzione da parte dei futuristi russi, alcuni dei quali tentarono anche di ostacolare la visita di Marinetti. Altri invece, come Sersenevič, furono più ospitali e cordiali. Il temperamento e le declamazioni di Marinetti riscossero successo ovunque; ma Marinetti tentò invano di chiamare i futuristi russi ad unire le forze con i futuristi italiani, perché i maggiori poeti russi, Chlebnikov, Livsič, Majakovskij e anche il regista Larionov criticarono Marinetti. L'ultima "mostra futurista" si tenne a Pietrogrado.  In Russia il movimento non fu caratterizzato dal bellicismo come quello dei futuristi italiani, criticato da Majakovskij, ma fu accompagnato da un'utopica idea di pace e libertà, sia individuale dell'artista, sia collettiva del mondo, che si sarebbe concluso con l'adesione di una parte del gruppo al bolscevismo. Dopo la rivoluzione d'ottobre molti futuristi confluirono nel cubismo e nell'astrattismo.  Futurismo francese In Francia il Futurismo non si organizzò mai come movimento, ma ebbe almeno due nomi degni di nota: Apollinaire e Saint-Point.  Apollinaire scrive il manifesto L'antitradition futuriste, pubblicato su Lacerba solo dopo le aggiunte e le correzioni di Marinetti. I successivi Calligrammes rivelano la chiara influenza del paroliberismo futurista sul poeta francese.  Valentine de Saint Point, nipote di Lamartine, scrisse il Manifesto della donna futurista, con il sottotitolo “Risposta a Marinetti”, in un volantino pubblicato simultaneamente a Parigi e a Milano. è il Manifesto futurista della lussuria.  Orientamenti artistici Nelle opere futuriste è quasi sempre costante la ricerca del dinamismo; cioè il soggetto non appare mai fermo, ma in movimento: ad esempio, per loro un cavallo in movimento non ha quattro gambe, ne ha venti. Così la simultaneità della visione diventa il tratto principale dei quadri futuristi; lo spettatore non guarda passivamente l'oggetto statico, ma ne è come avvolto, testimone di un'azione rappresentata durante il suo svolgimento.  Per rendere l'idea del moto nelle arti visive tradizionali, immobili per costituzione, il Futurismo si serve, nella pittura e nella scultura, principalmente delle “linee-forza”; poiché la linea agisce psicologicamente sull'osservatore con significato direzionale, essa, collocandosi in varie posizioni, supera la sua essenza di semplice segmento e diventa forza centrifuga e centripeta, mentre oggetti, colori e piani si sospingono in una catena di contrasti simultanei, determinando la resa del “dinamismo universale”.  PitturaJoseph Stella Battle of Lights, Coney Island, Mardi Gras, Yale. A Milano gl’artisti d'Italia avevano pubblicato i manifesti sulla pittura futurista. Boccioni si occupò principalmente del dinamismo plastico e sintetico e del superamento del cubismo, mentre Balla passò dallo studio delle vibrazioni luminose (divisionismo) alla rappresentazione sintetica del moto. Boccioni, Carrà e Russolo esposero a Milano le prime opere futuriste alla "Mostra d'arte libera" nella fabbrica Ricordi.  Il Futurismo diede il meglio di sé nelle espressioni artistiche legate alla pittura, al mosaico e alla scultura, mentre le opere letterarie e teatrali, ma anche architettoniche, non ebbero la stessa immediata capacità espressiva.  Le radici del fermento che portò alla declinazione del Futurismo nell'arte si possono riconoscere, artisticamente parlando, già nella Scapigliatura - corrente tipicamente milanese e borghese della seconda metà dell'Ottocento - laddove il Futurismo distoglie con disprezzo l'attenzione dalla raffinata borghesia per concentrarsi sulla rivoluzione industriale, sulle fabbriche.  Dal punto di vista stilistico il Futurismo - in particolare quello boccioniano - si basa sui concetti del divisionismo che però riesce ad adattare per esprimere al meglio gli amati concetti di velocità e di simultaneità: è grazie ad artisti come Segantini e PELLIZZA da Volpedo che, pochi anni dopo, il futurista Umberto Boccioni poté realizzare dipinti come La città che sale.   Opera futurista di Emma Marpillero Corradi Dal punto di vista concettuale, il Futurismo naturalmente non ignora i principi cubisti di scomposizione della forma secondo piani visivi e rappresentazione di essi sulla tela. Cubista è senz'altro la tecnica che prevede di suddividere la superficie pittorica in tanti piani che registrino ognuno una diversa prospettiva spaziale. Tuttavia, mentre per il cubismo la scomposizione rende possibile una visione del soggetto fermo lungo una quarta dimensione esclusivamente spaziale (il pittore ruota intorno al soggetto fermo cogliendone ogni aspetto), il Futurismo utilizza la scomposizione per rendere la dimensione temporale, il movimento.  Altrettanto interessanti sono i rapporti stilistici tra il Futurismo boccioniano e il cubismo orfico di Delaunay.  Non mancarono relazioni complesse tra i futuristi italiani e i più importanti esponenti delle avanguardie russe e tedesche. Equiparare, infine, la ricerca futurista dell'attimo con quella impressionista, come è stato fatto in passato, è ormai considerato profondamente errato. Se è vero infatti che gli impressionisti fecero dell'"attimalità" il nucleo della loro ricerca - loro scopo era fermare sulla tela un istante luminoso, unico e irripetibile - la ricerca futurista si muoveva in senso quasi opposto: suo scopo era rappresentare sulla tela non un istante di movimento ma il movimento stesso, nel suo svolgersi nello spazio e nel suo impatto emozionale.  Come conseguenza dell'"estetica della velocità", nelle opere futuriste a prevalere è l'elemento dinamico: il movimento coinvolge infatti l'oggetto e lo spazio in cui esso si muove. Il dinamismo dei treni, degli aeroplani (Aeropittura), delle masse multicolori e polifoniche e delle azioni quotidiane (del cane che scodinzola andando a spasso con la padrona, della bimba che corre sul terrazzo, delle ballerine) è sottolineato da colori e pennellate che mettano in evidenza le spinte propulsive delle forme. La costruzione può essere composta da linee spezzate, spigolose e veloci, ma anche da pennellate lineari, intense e fluide se il moto è più armonioso.  Tra gli epigoni più interessanti del Futurismo, l'avanguardia russa del raggismo e del costruttivismo. Le tecniche pittoriche futuriste sono state riassunte nei due manifesti sulla pittura.  Due tra i principali esponenti del movimento pittorico, Boccioni e Balla, furono presenti anche nella scultura. La pittura di Boccioni è stata definita "simbolica": il dipinto La città che sale, per esempio, è una chiara metafora del progresso, dettato dal titolo e dalle scene di cantiere edile sullo sfondo, esemplificate nella loro vorticosa crescita dalla potenza del cavallo imbizzarrito, un vortice di materia che si scompone per piani. Se Boccioni è simbolico, Balla è fotografico e analitico. Ancora legato a principi cubisti, non è raro che realizzi sequenze fotogrammetriche di una scena, per rendere il movimento, piuttosto che affidarsi a impetuosi vortici di pittura: è il caso del posato Bambina che corre al balcone.  Scultura Boccioni Forme uniche della continuità nello spazio, New York, Museum of Modern Art L'artista futurista più attivo nel campo della scultura è Umberto Boccioni, la cui ricerca pittorica corre sempre parallela a quella plastica.  Lo stesso Boccioni pubblica il Manifesto tecnico della scultura futurista. Punto di arrivo di questa ricerca può essere considerato Forme uniche della continuità nello spazio: l'immagine, applicando le dichiarazioni poetiche di Boccioni stesso, è tutt'uno con lo spazio circostante, dilatandosi, contraendosi, frammentandosi e accogliendolo in sé stessa.  Anche in L'Antigrazioso o La madre, immediatamente precedente, sono presenti parametri scultorei simili a Forme uniche nella continuità dello spazio, ma con ancora non risolti alcuni problemi di plasticità derivanti da influssi naturalistici.  MosaicLa tecnica del mosaico, basata sull'utilizzo di tessere ceramiche e vitree, si è prestata molto bene a esprimere i modi e il dinamismo intesi dall'arte futurista.  Enrico Prampolini e Fillia eseguono l'importante mosaico dedicato al tema delle Comunicazioniall'interno della torre del Palazzo delle Poste di La Spezia.  Alcuni anni più tardi Gino Severini esegue altri mosaici per le Poste di Alessandria. La tradizione musiva di Ravenna continua con mosaici futuristi di autori vari (Palazzo del Mutilato,.  ArchitetturaMagnifying glass icon mgx2.svg. Lo stesso argomento in dettaglio: Architettura futurista. «Il problema dell'architettura moderna non è un problema di rimaneggiamento lineare. Non si tratta di dover trovare nuove sagome, nuove marginature di finestre e di porte, di sostituire colonne, pilastri, mensole con cariatidi, mosconi, rane: ma di creare di sana pianta la casanuova, costruita tesoreggiando ogni risorsa della scienza e della tecnica…»  (Antonio Sant'Elia, dal Messaggio posto a prefazione della mostra del gruppo Nuove Tendenze)  Antonio Sant'Elia, una veduta prospettica della Città Nuova. Sant'Elia, Casa a Gradinate la Città Nuova. Arnaldo Dell'Ira lampada "a grattacielo Pettazzi  Stazione di servizio "Fiat Tagliero", Asmara. Sant'Elia, che divenne l'architetto più rappresentativo del movimento, era ancora distante dai futuristi ed era piuttosto legato nel movimento del cosiddetto Stile floreale. In quegli stessi anni a Milanoera attivo Giuseppe Sommaruga e questi sembra che avesse esercitato una grande influenza sulla formazione del Sant'Elia, infatti, per esempio, molti elementi dinamici del futurista furono anticipati nel Grand Hotel Campo dei Fiori di Varese. Sant'Elia pubblica il Manifesto dell'Architettura futurista, dove esponeva i principi di questa corrente. Al centro dell'attenzione c'è la città, vista come simbolo della dinamicità e della modernità. Tutti i progetti creati da Sant'Elia si riferiscono a città del futuro: in contrapposizione all'architettura tradizionale, vista come inadeguata, le città idealizzatedagli architetti futuristi hanno come caratteristica fondamentale il movimento, i trasporti e le grandi strutture. I futuristi, infatti, compresero immediatamente il ruolo centrale che i trasporti avrebbero assunto successivamente nella vita delle città. Nei progetti di questo periodo si cercavano sviluppi e scopi di questa novità. L'utopia futurista è una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte, un continuo cantiere in costruzione, e la casa futurista allo stesso modo è impregnata di dinamicità.  Anche l'utilizzo di linee ellittiche e oblique simboleggia questo rifiuto della staticità per una maggior dinamicità dei progetti futuristi, privi di una simmetriaclassicamente intesa.  Le teorie futuriste sull'architettura erano principalmente ideologiche ed erano espressione di un atteggiamento intellettualistico ma senza riferimenti a metodi formali e tecnici, tuttavia anticiparono i grandi temi e le visioni dell'architettura e della città che saranno proprie del Movimento Moderno.  A causa della guerra e dopo la morte di Boccioni e Sant'Elia il movimento futurista in Italia perse il suo slancio. L’originaria proposta futurista dei primi tempi è raccolta piuttosto dai costruttivisti russi. Il movimento razionalista italiano cercherà di proporre gli scenari della Città Nuova delle utopie futuriste ma il regime fascista smorzerà questi tentativi privilegiando un monumentalismo legato alla tradizione classicista. Lo stesso avvenne in Unione Sovietica con il sopravvento del regime totalitario.  Tra i grandi esponenti dell'architettura da ricordare Chiattone, che visse con Sant'Elia a Milano, condividendone le linee teoriche e sviluppando straordinarie visioni di città del futuro, prima di trasferirsi in Svizzera e abbandonare la militanza. E infine Marchi, che operò anche come scenografo.  Al Secondo Futurismo appartengono le architetture di Mazzoni, autore di notevoli edifici postali e ferroviari, ancora oggi validamente in funzione in diverse città italiane.  CeramicaPer le sue possibilità espressive, anche la ceramica interessa il movimento futurista. In particolare i ceramisti dell'ISIA espressero lavori in sintonia con il nuovo movimento. Sulla Gazzetta del Popolo a firma Marinetti ed Albisola viene pubblicato il Manifesto futurista della Ceramica e Aereoceramica. Il centro propulsore della ceramica futurista italiana fu Albissola Marina.  Musica Modifica In campo musicale gli unici rappresentanti di rilievo sono Pratella e Russolo, pittore, musicista e scrittore, autore del saggio L'arte dei rumori. L'arte dei rumori è considerata da alcuni autori uno dei testi più importanti e influenti nell'estetica musicale del XX secolo. A Russolo si deve l'invenzione dell'Intonarumori, uno strumento che usava per mettere in pratica la sua teoria del rumorismo, ovvero di una musica nella quale ai suoni dovevano essere sostituiti i rumori. Essi erano formati da generatori di suoni acustici che permettevano di controllare la dinamica e il volume.  Letteratura Modifica  Da sinistra: Palazzeschi, Carrà, Papini, Boccioni, Marinetti, Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Letteratura futurista e Filippo Tommaso Marinetti. Marinetti invia il Manifesto del Futurismo ai principali giornali italiani, ma è la pubblicazione su Le Figaro a garantirgli risonanza europea. Sulla rivista fiorentina Lacerba, comparve il "Manifesto tecnico della letteratura futurista. è il volume Zang Tumb Tumb, miglior esempio delle futuriste Parole in libertà.  Poesia. I poeti futuristi si riuniranno attorno alla rivista Poesiafondata da Marinetti qualche anno prima. Nei componimenti si trova generalmente l'esaltazione del futuro e delle sensazioni forti associate alla velocità e alla guerra. Gli esponenti più noti, oltre al Marinetti, sono: Palazzeschi, autore della raccolta poetica L'incendiario (che include "La fontana malata", "E lasciatemi divertire" e "La passeggiata"); Soffici, autore di Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi lirici; Paolo Buzzi, autore di Aeroplani. Canti alati. Anche Quasimodo aderì, in gioventù, al Futurismo (ricordiamo la sua poesia "Sera d'estate. A un successivo momento del Futurismo marinettiano appartiene l'Aeropoesia.  Teatro Modifica Magnifying glass icon mgx2. svLo stesso argomento in dettaglio: Teatro futurista. I futuristi perseguirono la rifondazione del concetto stesso di comunicazione teatrale. Promossero un teatro «sintetico, atecnico, dinamico, simultaneo, autonomo, alogico e irreale», dove « è stupido» non ribellarsi al pregiudizio della teatralità, soddisfare la primitività delle folle, curarsi della verosimiglianza, voler spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, sottostare alle imposizioni del crescendo, della preparazione e del massimo effetto alla fine, lasciare imporre alla propria genialità il peso di una tecnica che tutti possono acquisire, rinunciare «al dinamico salto nel vuoto della creazione totale».  I futuristi, infatti, possedettero una «invincibile ripugnanza» per il lavoro studiato a tavolino, a priori, sostenendo l'improvvisazione, il teatro come «serbatoio inesauribile di ispirazioni».  «Tutto è teatrale quando ha valore»  (Il teatro futurista sintetico di Marinetti, Settimelli e Corra) Il teatro futurista promosse anche la commedia e la farsa, anziché la tragedia, o il dramma borghese. Tuttavia, nelle serate futuriste, non era inusuale vedere il pubblico adirato a causa di spettacoli fatti di azioni deliranti. Le cronache dell'epoca riportano notizie relative agli attori futuristi che sfuggono all'ira degli spettatori, spesso provocata ad arte secondo gli intenti espressi nel Manifesto futurista del teatro di varietà.  Cinema Magnifying glass icon mgx2. svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cinema futurista. Venne pubblicato il Manifesto della Cinematografia futurista, firmato da Marinetti, Corra, Ginna, Balla, Chiti ed Settimelli, che sosteneva come il cinema fosse "per natura" arte futurista, grazie alla mancanza di un passato e di tradizioni. Essi non apprezzavano il cinema narrativo "passatissimo", cercando invece un cinema fatto di "viaggi, cacce e guerre", all'insegna di uno spettacolo "antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero". Nelle loro parole c'è tutto un entusiasmo verso la ricerca di un linguaggio nuovo slegato dall'estetica tradizionale, che era percepita come un retaggio vecchio.  I futuristi, per allontanare il cinema dal passato, ripudiavano tutto ciò che era convenzionalmente accettato come affascinante e bellissimo dalla borghesia, usando quindi come soggetti figure distorte (che verranno riprese anche dall'espressionismo tedesco come manifestazione della perdita di speranza della popolazione dopo la prima guerra mondiale), colori forti ecc. Molte opere cinematografiche futuriste sono andate perdute durante la guerra, tra cui Vita futurista, pellicola nella quale alcuni uomini disturbavano e poi scappavano velocemente alcuni turisti nei bar di Firenze.  Tra le opere rinvenute di questo movimento, ci è pervenuta la tragedia Tahïs di Bargaglia e la romantica Amor pedestre del 1914 del comico Marcel Fabre, nel quale viene proposta una relazione non corrisposta tutta raccontata inquadrando i protagonisti dal ginocchio in giù (cortometraggi rintracciabili su YouTube).  Gastronomia Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina futurista. Grazie alla completezza di questo movimento, ne venne influenzata anche la gastronomia. Il cuoco francese Maincave adere al Futurismo, proponendo quindi l'accostamento di nuovi sapori ed elementi fino ad allora separati senza serio fondamento. Questo comprende accostamenti come filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatinadi fragola.  Marinetti pubblica il Manifesto della cucina futurista sulla rivista Comoedia. Secondo Marinetti bisognava eliminare la pastasciutta, così come forchetta e coltello e condimenti tradizionali, e incoraggiare l'accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi.  Scrive Marinetti:  vi annuncio il prossimo lanciamento della cucina futurista per il rinnovamento totale del sistema alimentare italiano, da rendere al più presto adatto alle necessità dei nuovi sforzi eroici e dinamici imposti dalla razza. La cucina futurista sarà liberata dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi principi, l'abolizione della pastasciutta. La pastasciutta, per quanto gradita al palato, è una vivanda passatista perché appesantisce, abbrutisce, illude sulla sua capacità nutritiva, rende scettici, lenti, pessimisti. È d'altra parte patriottico favorire in sostituzione il riso.»  Nel suo tempo È normale che il Futurismo, nascendo in un'epoca di transizione, abbia avuto molteplici contraddizioni. All'immobilismo scolastico e accademico ereditato dalle "tre corone" della poesia decadente (Carducci, Pascoli ed Annunzio) i futuristi oppongono la dinamicità, la demolizione all'armonia, e alla raffinatezza contrappongono il disordine delle parole. Gli elementi suddetti richiamano alle caratteristiche del Futurismo più importanti: esse rientrano appieno nello spirito culturale della belle époque che precedette lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Secondo i futuristi, questi poeti devono essere completamente rinnegati perché incarnano esattamente i quattro ingredienti intellettuali che il Futurismo vuole abolire:  la poesia morbosa e nostalgica; il sentimento romantico; l'ossessione della lussuria; la passione per il passato. In contraddizione con il Futurismo è stata anche la corrente crepuscolare. Infatti il crepuscolarismo, nonostante condivida con il Futurismo l'idea di interartisticità, ha però una concezione della vita completamente diversa:  i futuristi inneggiano alle innovazioni, i crepuscolari sono avversi a una modernità che aliena l'individuo i futuristi sono prepotenti, dinamici, chiassosi, i crepuscolari assumono toni dimessi, pacifici e malinconici i futuristi esaltano il caos e le attività delle grandi città, i crepuscolari amano l'intimità, le "piccole cose di pessimo gusto", gli affetti familiari e una vita tranquilla i futuristi sono sempre protesi verso un domani esaltante, i crepuscolari guardano al passato e alle piccole cose quotidiane.  Scultura futurista  esposta a Milano in Piazzetta Reale per il centenario del movimento Nelle arti figurative invece si presenta il confronto con le altre avanguardie, Cubismo, Astrattismo, Dada, Surrealismo, Metafisica, ognuna delle quali caratterizzata da propri temi e propri linguaggi espressivi. L'opera futurista è in evidente contrasto per alcuni temi con molte delle altre avanguardie sebbene condividano tutte l'intuizione di trasmettere attraverso l'arte un impulso di trasformazione della società e di rinnovamento. Aspetto specifico del Futurismo è quello di non limitare la propria azione alle espressioni artistiche (come il Cubismo o la Metafisica), ma di prospettare la re-invenzione dell'intera vita, in ogni suo aspetto (e uno dei manifesti maggiormente rilevanti fu infatti "Ricostruzione futurista dell'universo" di Balla e Depero).  Tra i contemporanei dei futuristi che criticarono il movimento ricordiamo Giandante X, che a Milano, all'apertura dei festeggiamenti per il ventennale del Futurismo, contestò apertamente Filippo Tommaso Marinetti, sostenendo che "l’uomo si deve affrancare dalla macchina ed è un errore lasciare sussistere lo scombinato movimento artistico"[20].  Nella critica del dopoguerra Il Futurismo ha influenzato tutta l'arte d'avanguardia del Novecento. Gli artisti futuristi che sopravvissero alla morte di Marinetti e alla seconda guerra mondiale caddero in disgrazia come tutto il Futurismo, con l'accusa di aver fiancheggiato il fascismo.  Nel secondo Novecento nuovi studi di Luciano De Maria, Mario Verdone, Enrico Crispolti, Maurizio Calvesi, Claudia Salaris, Giordano Bruno Guerri hanno parzialmente corretto l'accusa di collusione fascista, rilanciando l'interesse artistico-sociale verso il futurismo. Studi sul futurismo di sinistra (i contatti con gli ambienti anarchici, e persino comunisti) mostravano contemporaneamente che l'avanguardia futurista italiana era stata troppo sommariamente giudicata.  Nel corso del tempo diverse sono state le esposizioni riguardanti il Futurismo. Di indubbia rilevanza è stata quella del 2009 presso il Palazzo Reale di Milano per il centenario del movimento. La mostra si intitolava Futurismo 1909-2009 Velocità+Arte+Azione. Il Futurismo italiano, con una grande esposizione retrospettiva fino al 1944 al Guggenheim Museum di New York a cura di Greene, è tornato alla ribalta internazionale. Il centenario del Futurismo ha anche contribuito al rilancio internazionale degli studi sulle artiste del Futurismo e sulla visione della donna nel Movimento.  è stato pubblicato il Manifesto del Fumetto Futurista redatto da Bonura e uno dei primi, se non il primo, fumetti futuristi programmatici, cioè seguente esplicitamente uno schema scritto e definito, dal titolo "Il brutto anatroccolo. Ma che Wow!!" di Gnoffo, a significare l'importanza che il movimento futurista ha avuto come influenza nel delineare nuovi stili d'arte di rottura e sperimentali. Principali esponenti del futurismo Futuristi italiani Marinetti Allimandi Asinari Asinari Antonio Asturi Azari Baldessari Balla Benedetto Boccioni Bodini Bonetti Bot, pseudonimo di Barbieri Bragaglia Bruschetti Buzzi Cangiullo Cappa Carli Carmassi Carta Carrà Carramusa Caselli Castagnedi Cavacchioli  Ciacelli Chiti Conti Corona Corra, pseudonimo di Bruno Ginanni Corradini Tullio Crali D'Alba, pseudonimo di Umberto Bottone Giulio D'Anna Luigi De Giudici Mino Delle Site Depero Gerardo Dottori Leonardo Dudreville Carlo Erba EVOLA (si veda), Farfa, pseudonimo di Tommasini Fillia, pseudonimo Colombo Folgore Gesualdo Frontini Funi Gambini Giardina Ginna, pseudonimo di Ginanni Corradini Governato Govoni Jannelli Korompay Krimer Mimì Maria Lazzaro Escodamè, pseudonimo di Michele Leskovic Licini Lucini Magnelli Mai Mainardi Michetti Marasco Marchesi Emma Marpillero Masnata Mix Sante Monachesi Marisa Mori Munari MUSSOLINI (si veda) Mussolini (si veda) Notte Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari Nello Voltolina Pippo Oriani Nino Oxilia Ivo Pannaggi Papini Pepe Diaz Peruzzi Piscopo Prampolini Pratella Preziosi Quasimodo Righetti Romani Rosai Rizzo Rognoni Ronco Rosso Russolo Sanzin Sartoris Sant'Elia Sbardella Severini Ardengo Soffici Fides Stagni Tato (Guglielmo Sansoni) Mario Sironi Fides Stagni Stella Sturani Tavolato Tedeschi Thayaht, pseudonimo di Ernesto Michahelles Tulli Ungaretti Vann'Antò Ruggero Vasari Lucio Venna, pseudonimo di Landsmann Vucetich; Futuristi russi Makov Černichov Velimir Chlebnikov Natal'ja Sergeevna Gončarova Michail Larionov Vladimir Majakovskij Kazimir Severinovič Malevič Aleksandr Rodčenko Aleksej Kručënych Futuristi ucraini Davyd, Mykola, Volodymyr Burljuk Futuristi francesi Robert Delaunay Marcel Duchamp Paul Fort Léger Jules Maincave Georges Bernanos Guillaume Apollinaire Futuristi cechi Růžena Zátková Futuristi ungheresi  Béla Kádár Lajos Kassák Hugó Scheiber Futuristi portoghesi Fernando Pessoa, divulgò aspetti del movimento attraverso le riviste Orpheu e Portugal Futurista Guilherme de Santa-Rita, pittore, ideatore della rivista Portugal Futurista Futuristi spagnoli Joan Salvat-Papasseit Futuristi brasiliani Oswald de Andrade Futuristi argentini Alberto Hidalgo Emilio Pettoruti Principali manifesti Manifesto del futurismo, (Pubblicato da "Le Figaro" Marinetti Uccidiamo il Chiaro di luna, Marinetti Manifesto dei Pittori futuristi, (11 febbraio 1910), Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini La pittura futurista - Manifesto tecnico, Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini Contro Venezia passatista, Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo Manifesto dei drammaturghi futuristi, Marinetti Manifesto dei Musicisti futuristi, Pratella La musica futurista-Manifesto tecnico, Pratella Manifesto della Donna futurista,, Valentine de Saint-Point Manifesto della Scultura futurista, Boccioni Manifesto tecnico della letteratura futurista, Marinetti L'arte dei Rumori, Russolo Distruzione della sintassi. L'immaginazione senza fili e le Parole in libertà,, Marinetti L'Antitradizione futurista, Apollinaire La pittura dei suoni, rumori e odori, Carrà Il Teatro di Varietà, Marinetti Il controdolore, Palazzeschi Pittura e scultura futuriste, Boccioni Manifesto dell'Architettura futurista, Sant'Elia Il teatro futurista sintetico, (1915), Corra, Settimelli, Marinetti La ricostruzione futurista dell'universo,, Balla, Depero La Scenografia futurista, (1915), Prampolini Manifesto del cinema futurista, Marinetti, Corra, Settimelli Manifesto della danza futurista, Marinetti Manifesto dell'Aeropittura futurista, Manifesto della Fotografia futurista, Tato (pseudonimo di Sansoni), Marinetti Manifesto della cucina futurista, (1931), Marinetti. Manifesto futurista della Ceramica e Aereoceramica, Filippo Tommaso Marinetti e Tullio d'Albisola Opere principali Pittura Umberto Boccioni, Tre donne; Boccioni, La città che sale; Carrà, Notturno a Piazza Beccaria Boccioni, La risata Boccioni, Stati d'animo, gli addii Carrà, I funerali dell'anarchico Galli; Umberto Boccioni, Materia; Balla, Ragazza che corre al balcone Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio Balla, Lampada ad arco; Umberto Boccioni, Elasticità Severini, La chahuteause Russolo, Dinamismo di un'automobile Carrà, Cavaliere rosso; Giacomo Balla, Automobile + velocità + luce Severini, Ballerina in blu; Fortunato Depero, I Cavalieri.  Futurismo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il pensiero futurista si richiama evidentemente a varie ideologie dell'azione e della violenza: il "vitalismo" del "superuomo" (oltreuomo) di Friedrich Nietzsche, l'anarchismo di Max Stirner, la "violenza" di Georges Sorel (Considerazioni sulla violenza), lo slancio vitale di Henri Bergson(cfr. "Futurismo" nell'Enciclopedia "Il Sapere", De Agostini editore). arengario.it, arengario.it/ futurismo specimen-tonini- manifesti.pdf. 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Modifica su Wikidata Il portale sul Futurismo, futurismo.org LA VERA STORIA DEL FUTURISMO, la parola a Gesualdo Manzella Frontini Il "Discorso contro i Veneziani" di Marinetti, su pagina delle idee. Il Cerchio: Rivista di Cultura con particolari approfondimenti sul Futurismo, su cerchionapoli.it. Russolo: Frammenti di un discorso rumoroso - La rivoluzione musicale futurista": monografia sul sito Sentireascoltare Recensioni delle mostre del centenario futurista a Roma e a Milano avanguardie russe, su chimera.roma1.infn.it. Viva il Futurismo! Iniziativa culturale e artistica per il centenario del Futurismo, su kulturserver-nrw.de. Principi e filosofia del Futurismo in arte, poesia e politica, su manentscripta.wordpress.com. Architettura Futurista Italiana, su architettura futurista.it. Il futurismo e le arti applicate, sul portale RAI Arte, su arte.rai.it. Portale Arte   Portale Italia PAGINE CORRELATE Carlo Carrà Pittore e docente italiano  Manifesto dei pittori futuristi Manifesto futurista pagina di disambiguazione di un progetto, Esaminerò i temi principali del mio saggio, intitolato “Eros ethos”: la contraddizione, la violenza, la domanda di salvezza, che è poi la domanda di senso, il silenzio di Dio. Ma, effettivamente, questi temi fanno da sfondo, perché “ Eros ethos”, questo nesso su cui dobbiamo riflettere, riguarda piuttosto le cose prossime che non le cose ultime come la domanda di senso, la domanda che appunto ruota interamente intorno a ciò che era al principio. Che cos’era il principio? Era il senso, era il logos, o non era piuttosto come Nice, in modo sprezzante, ma anche polemico e profondo, ebbe a dire: “ in principio era il non senso”? Ecco, cos’ hanno a che fare queste domande sulle cose ultime con le cose prossime? Eros ethos: che cosa c’è di più prossimo alle esperienze che noi facciamo, che questa? Esperienza erotica ed esperienza etica. Questo è il quadro, questo è l’orizzonte problematico dentro il quale vorrei insieme con voi procedere per alcuni passi, e allora incomincerei col dire che, davvero, la domanda da cui partire è la domanda sull’origine: una domanda che ai non filosofi può sembrare di scarsa rilevanza. Perché la domanda sull’origine? E che cosa vuol dire domanda sull’origine? Vuol dire, se la vogliamo tradurre, interrogarsi sul da dove veniamo, da dove il male, la violenza che patiamo. “Unde malum?” questa è la domanda sull’origine. Ma a questa domanda sull’origine, così perentoria e così grave di implicazioni, come risponde il pensiero contemporaneo? Il pensiero contemporaneo risponde rimovendola, come se non esistesse, meglio come se non la potessimo, né la dovessimo porre. E questo perché? Perché alla domanda ha già risposto la scienza. Sappiamo da dove veniamo, di chi siamo figli: siamo figli del caos, e se è vero che leggi che possono essere accertate scientificamente governano questo caos, del caos noi siamo figli, o, se non del caos, di quel suo riflesso che è il caso. Siamo figli del caso. La violenza è un fatto. Certo che c’è violenza nel mondo, ma c’è come c’è quell’ultimo orizzonte che non possiamo trascendere. Ci appartiene la violenza, è in noi, sempre di nuovo la evochiamo, basta un niente ed ecco esplode, come se un fondo sub umano ci abitasse, come se da questa brutalità naturale noi provenissimo, come se appunto questo fondo sub umano, questa brutalità naturale, sempre pronta ad esplodere, costituisse un orizzonte intrascendibile. Non è forse vero che veniamo di lì, non ci dice la scienza che veniamo dalla “selva antiqua?” Dallo stato di natura? E che cos’è lo stato di natura se non lo stato in cui la violenza ci fa simili, anzi identici, a quegli esseri che abitano la natura e l’abitano inconsapevolmente, producendo la violenza appunto come produzione inconsapevole di quella volontà di vivere che abita tutti gli esseri naturali? Sembra essere questa la grande parola della filosofia moderna e poi contemporanea, perchè troviamo in essa quasi un vero e proprio ritornello: il risalimento all’origine è precluso, la filosofia pensa a partire da una situazione, da un trovarsi ad essere in un certo modo, a partire da cui soltanto il pensiero è pensiero. Che cosa significa risalire alle origini, ipotizzare fondamenti ultimi? Tutto questo appartiene all’ontoteologia cioè alla pretesa appunto di ragionare ricostruendo il fondamento, la ragione ultima di tutte le cose, in una parola l’origine, quell’origine che non è, o meglio non è se non nella forma che ci è data, e di cui noi facciamo esperienza sapendo di essere quello che siamo, ossia esseri naturali che dallo stato di natura provengono e che nello stato di natura trovano una sorta di ultimo orizzonte, di estremo confine intrascendibile, assolutamente intrascendibile. Da questo punto di vista abbiamo la parola di Hobbes da una parte( lo stato di natura), e la parola di Rousseau dall’altra( lo stato di natura come 1   stato di pura violenza che si tratta di controllare attraverso un patto, i cui contraenti autolimitano la propria libertà in nome del controllo di ciò che è dato: lo stato di natura). Da una parte Hobbes( il Leviatano), e dall’altra Rousseau dicono la stessa cosa anche se sembrerebbero dire due cose completamente diverse. Che cosa dice Rousseau? Dice che lo stato di natura non è il regno del Leviatano, il regno della violenza, è il regno della gioia, è il regno della libertà, è il regno della giustizia. Eppure dicono la stessa cosa. Che cosa? Dicono che quello, lo stato di natura, è un orizzonte che non possiamo trascendere. Lì ci troviamo a vivere. Che questo stato di natura sia uno stato di violenza, o che questo stato di natura sia uno stato tornando nel quale noi ci liberiamo dalla violenza stessa, in definitiva è la stessa cosa, perché è questo stato, questa condizione intrascendibile, e non possiamo affacciarci, per così dire, sulla soglia, su questo stesso orizzonte, e guardare al di là e chiederci: “ Ma noi da dove veniamo? Chi ci ha gettati qui?” O nella lotta o nella gioia edenica: domanda senza senso. Risalire non è possibile. L’orizzonte è chiuso. La violenza non è nient’altro che questo, quella violenza di cui ci parlano anche le cronache, ma che noi conosciamo anzitutto in noi stessi, perciò della violenza non resta che prendere atto come qualche cosa che è connaturato, stato di natura appunto, e che non ci resta che controllare. Sempre di nuovo l’uomo ricade nella violenza, sempre di nuovo l’uomo deve, se non liberarsene totalmente, elaborare delle strategie di controllo. Auschwitz non deve più accadere e invece è accaduto e probabilmente sempre di nuovo accadrà. Questo lo sappiamo, lo sappiamo nei nostri giorni violentissimi, crudelissimi. Su questo non possiamo chiudere gli occhi: sul fatto che Auschwitz sempre di nuovo accade, che sempre di nuovo l’uomo cade dentro quello stato di natura dal quale proviene e dal quale non può evadere. E’ la parola più dura della filosofia contemporanea, nascosta spesso dentro strategie di pensiero molto sofisticate, molto raffinate, ma che questo dicono: l’intrascendibilità della nostra provenienza, dell’orizzonte dal quale proveniamo, tanto è vero che sempre di nuovo cadiamo dentro a questo orizzonte. Difficile immaginare, appunto, una risposta più cupamente ateistica e nichilistica di questa, ma anche più vera, con una sua verità che sembrerebbe difficilmente controvertibile. Non è forse vero che la violenza è in noi, che veniamo di lì? Non ci dice la scienza che in noi ci sono forze che se non teniamo sotto controllo fanno di noi, di chiunque di noi, il peggiore dei delinquenti, e che ciascuno ha in sé questa virtualità negativa e terribile? Ciascuno di noi. Lo vediamo, non solo per le guerre, ma per i casi che la vita ci mette sotto gli occhi: gli adolescenti che uccidono i genitori, il mobbing tra le persone, questo bisogno di farsi reciprocamente male, che cos’è questo se non una radice? Maligna, ma nello stesso tempo naturale, maligna, ma in questa prospettiva senza nessuna ascendenza teologica, perché appunto è lo stato di natura dal quale proveniamo, dentro il quale sempre di nuovo ricadiamo in quanto l’orizzonte è intrascendibile. Che questo sia detto nei termini di Hobbes, o sia detto nei termini di Rousseau, che a partire da Hobbes si elaborino teorie dello stato come strumento, il solo che l’uomo ha per tenere sotto controllo la violenza, che a partire da Rousseau si elaborino invece teorie della emancipazione, della liberazione, del ritorno alla natura, però questo ci dice l’intrascendibilità dello stato di natura. E’ una tesi che ha mille sfaccettature naturalmente, ma molto forte. A questa tesi della intrascendibilità radicale dello stato di natura io credo ci sia una sola obiezione, ma forte, altrettanto forte che la tesi stessa. E questa obiezione è che la violenza dell’uomo sull’uomo, quella violenza che fa dell’uomo un bruto, che lo ricaccia sempre di nuovo nella brutalità dello stato di natura, questa violenza è sempre qualche cosa di più, è sempre qualche cosa di meno che espressione dello stato di natura. Questa è la vera obiezione. E cioè, che cos’è? E’ cosa umana. La violenza fatta dall’uomo non è infatti assolutamente assimilabile alla violenza fatta dall’animale, da una tigre, da un leone feroce. La ferocia che emerge, che affiora, e che trasforma un essere umano in un animale 2   è altra cosa, non è vero che trasforma l’essere umano in animale ( questo è un modo di dire assolutamente sviante, falsificante, anche se sembra corrispondere all’esperienza che ciascuno di noi fa ), questa violenza è altra cosa, perché la violenza dell’uomo ha, per così dire, un segno, una segnatura, quella signatura rerum di cui parlavano gli alchimisti che la vedevano nelle cose stesse, quasi le cose fossero portatrici di simboli entrando in contatto con l’uomo. Ecco, la stessa cosa vale per la violenza umana: essa ha una segnatura che ne fa qualcosa di altro rispetto alla violenza dell’animale, di radicalmente altro, di ontologicamente altro. Perché la violenza dell’uomo non è assimilabile a quella dell’animale? Perché la violenza dell’uomo ha qualcosa come un valore aggiunto, e il valore aggiunto è quello che ci mette l’uomo stesso. Pensate all’uomo, al soldato che uccide, deve farlo, lo fa per difendersi, pensate alla violenza che esplode in una situazione apparentemente normale: sempre c’è qualche cosa di più e di diverso che l’espressione di una aggressività volta a raggiungere uno scopo, raggiunto il quale la stessa violenza, per così dire, ritorna in una quiete, in una pace, la pace del leone che ha divorato la gazzella e si ritrova in pace con sé stesso e con la natura. La violenza dell’uomo, quale che sia, giustificata o non giustificata, ( ma appunto la parola giustificazione è povera) , sempre ha questo valore aggiunto: e il soldato sente il bisogno, ahimè, spesso di sottolineare questo valore aggiunto , irridendo il nemico. Questo è nell’Iliade, come nella cronaca di oggi, di ieri e dell’altro ieri. Nell’Iliade, quando Achille strazia il cadavere di Ettore, sente il bisogno di straziarlo sotto le mura di Ilio, sotto gli occhi delle persone care: ecco quel di più, ecco ciò che fa della violenza umana qualche cosa di radicalmente umano. Nel soldato che aggredisce e umilia l’aggredito, il vinto, il nemico vinto, stuprando la sua donna, per esempio, non c’è mai una pura e semplice espressione pulsionale di qualche cosa, come un bisogno bestiale o animalesco, c’è invece il desiderio di segnare ( parlavo prima di segnatura, di valore simbolico) , c’è il bisogno di umiliare, c’è, in altre parole, l’impossibilità di ricadere nella quiete della violenza che ha raggiunto il suo scopo. Allora, se la violenza dell’uomo non è assimilabile alla violenza della natura, se questo valore aggiunto fa sì che la violenza dell’uomo riveli una sua irriducibilità all’ordine naturale delle cose, allora non è vero che lo stato di natura non può essere trasceso, non è vero che non è possibile affacciarsi sull’ultimo orizzonte e chiedersi: “ Ma da dove vengo io?” Allora non basta dire: “ Io vengo da lì, cioè dalla natura e dalla sua brutalità, io vengo da un altrove”. E’ una contraddizione, perché, se vogliamo dirla con una formula filosofica, la intrascendibilità dello stato di natura chiede di essere trascesa. Il riconoscimento che di lì vengo, che sono impastato di quella pasta, che sono fatto di quel fango, che in me agiscono forze brutali, bestiali, non basta. Non basta perché quelle forze dicono non soltanto la mia provenienza dallo stato di natura, ma da un al di là, che non so che cosa sia, che la filosofia non può dire naturalmente, ma deve cercare. Non mi basta riconoscermi parte della natura, perché questo mio riconoscimento fa cenno, sia pure nella forma della contraddizione, ad un altrove, come se io fossi caduto, come se io di là venissi, e come se soltanto questo movimento potesse spiegare il valore aggiunto che è nella violenza. Ho fatto due esempi, di due grandi filosofi della modernità, Hobbes e Rousseau, i teorici della intrascendibilità dello stato di natura. Farò altri due esempi di grandi filosofi della modernità i quali sostengono quello verso cui sto cercando di condurvi e cioè che l’intrascendibilità dello stato di natura è contraddittoria. Certo l’uomo, con le sue categorie, con i suoi concetti, con ciò di cui dispone, non può uscire dall’orizzonte in cui è venuto a trovarsi, ma patisce, soffre, vive questo suo trovarsi in un orizzonte che è come un carcere per lui, appunto come un essere cacciato lì dentro. Diceva Pascal: “ Io mi guardo intorno, e tutto è confusione, un orribile caos, cerco Dio, ma Dio tace ( il silenzio di Dio), e non solo Dio tace, ma tutto è terribilmente silenzioso, e il silenzio degli spazi infiniti è eterno. Che cosa mi resta, se voglio in questo orribile 3   caos muovermi e sopravvivere? Che cosa mi resta da fare? Prendere atto che le cose stanno così, seguire le leggi del mio paese. Già, ma le leggi del tuo paese sono esattamente l’opposto delle leggi del paese accanto. Che fare? Questa è appunto la prova del caos in cui versiamo. Ma il mio sovrano mi ha ordinato di uccidere quello che sta al di là del fiume. E perché? Perché sta al di là del fiume. Ma è una ragione questa? Eppure lo devo fare, perché, se non mi attenessi alle leggi del mio paese, cadrei in un disordine ancora più grande, non vivrei più”. L’abbiamo visto: l’unica forma di sopravvivenza è quella garantita dall’accettazione dello status quo. Dice: “ Ma io mi guardo intorno. Questo è giusto, che cosa è sbagliato? Nulla è giusto, nulla è sbagliato, tutto lo è. E infatti non c’è atto, non c’è gesto, non c’è comportamento umano, anche il più abietto, che non abbia trovato il suo altare. Sull’altare è stato messo l’incesto, sull’altare è stato messo l’omicidio, sull’altare è stato messo il furto, e così via. Un orribile caos, è quello nel quale l’uomo naturaliter viene a trovarsi: intrascendibilità dello stato di natura”. Ecco allora la contraddizione, ecco il passo in più che fa Pascal: l’intrascendibilità dello stato di natura è inaccettabile, l’intrascendibilità dello stato di natura non può essere vissuta se non come una condanna, e quale maggiore condanna che quella di chi vede che ogni atto, anche il più nefasto, il più delittuoso, ha trovato il suo altare? Quale condanna peggiore di chi constata che è costretto a compiere atti profondamente ingiusti e tuttavia giustificati? “ Vai, uccidi”. “ Perché?” “Perché il tuo sovrano te lo ordina”. Ed è giusto così, o meglio giustificato così, pena un disordine ancora maggiore. Questa è una realtà che non si può non accettare, una realtà che ci dice il nostro essere vincolati ad essa, l’intrascendibilità dello stato di natura, ma una realtà nello stesso tempo vissuta come iniqua, come inaccettabile: non la posso che accettare, ma è inaccettabile. Ecco la contraddizione, e se volessimo dirla filosoficamente, dovremmo dire: “l’intrascendibilità dello stato di natura impone il suo trascendimento”. Da dove vengo io? Da quale paradiso perduto, se soffro così tanto all’interno di una situazione per la quale non vedo via d’uscita? L’intrascendibilità chiede di essere trascesa. Qui la filosofia deve tacere, la filosofia non può che aprirsi ad una dimensione altra. E’ una risposta, come vedete, ben diversa da quella di Hobbes, ed anche da quella di Rousseau. Nasce da Pascal una filosofia religiosa, laddove da Hobbes e da Rousseau nasce una filosofia irreligiosa. Le fedi private dell’uno e dell’altro non sono più in questione, ma è profondamente irreligiosa una filosofia che dice: “ La violenza c’è e non resta che tenerla sotto controllo. Noi non possiamo guardare al di là”. E’ una filosofia profondamente irreligiosa quella che dice che la violenza c’è perché c’è la società. Togliamo questo elemento storico sociale, che inquina, con gli apparati repressivi che la società mette in atto, liberiamoci da tutto ciò, e ritroviamo quella gioia che è lo stato originario dell’uomo: filosofia, in entrambi i casi, con tutte le loro propaggini, da Rousseau a Marcuse, oppure da Hobbes a Smith, filosofia profondamente irreligiosa quella dell’intrascendibilità dello stato di natura, laddove è filosofia profondamente religiosa quella di un Pascal che dalla stessa intrascendibilità ricava, attraverso la contraddizione, l’idea di non poter non trascendere. Anche Vico, che viene spesso interpretato, e giustamente, come il padre dello storicismo, ma è anzitutto teologo cristiano, dice la stessa cosa, cent’anni dopo Pascal, e la dice attraverso l’idea che la menzogna in cui l’uomo si trova a vivere sia l’illusione che “ omnia Iovis plena” , che gli alberi siano dei, che tutto gli parli, che l’universo sia animato da presenze. Se un fulmine cade nella selva antiqua e apre la radura e l’ uomo si illude che un dio gli abbia parlato, non è vero, è un’illusione, è pura idolatria credere che lì si sia avuta una epifania, e tuttavia questa che è la condizione idolatrica che l’uomo non può trascendere. Vico dice: “ Cos’è più vero? Lo stato di natura, dove l’uomo è e non è se non cacciatore e preda? Oppure lo stato di cultura?” Quello stato di cultura che l’uomo costruisce in base ad una simulazione, cioè in base ad una menzogna, illudendosi che gli dei gli abbiano parlato e 4   sulla base di questo messaggio, di questa rivelazione, costruisce appunto le istituzioni, le famiglie, gli stati, la cultura, insomma. Che cos’è più vero? E’ il puro e semplice abitare la natura come l’abitano i bruti, brutalità dello stato di natura, oppure è, attraverso la finzione, diventare uomini? Accedere ad una verità propriamente umana? Anche lì, attraverso la contraddizione, l’uomo è costretto a vedere nella natura una sorta di deiezione, di caduta. Da dove? La filosofia non lo dice, lo dice la rivelazione. Come vedete queste sono ipotesi molto diverse, opzioni filosofiche che sono alla radice del mondo moderno. Voi vi chiederete: “ Tutto questo che cosa c’entra con Eros ethos?” C’entra perché c’entra la contraddizione. E’ la contraddizione che dobbiamo cercare, che dobbiamo interrogare, per capire appunto se noi siamo consegnati ad un destino umano e soltanto umano o se invece questa stessa umanità del nostro destino impone un trascendimento della condizione nella quale ci troviamo: dobbiamo cercare l’origine, ciò che è in principio ma anche ciò che è, per dirla con sant’Agostino, “intimior intimo meo”, più intimo a me stesso di quanto non lo sia io a me. Come sappiamo, Agostino identificava Dio con questo movimento, con l’intimior intimo meo: è Dio che è più intimo a me di quanto io non lo sia a me stesso. Potremmo, parafrasando Agostino, vedere precisamente nel nodo di contraddizione che nello stesso tempo lega e separa eros ethos qualche cosa che può essere definito negli stessi termini. Che eros ed ethos si contraddicano, o meglio si oppongano( l’opposizione e la contraddizione sono due cose diverse) lo so bene, che eros ed ethos si oppongano è cosa abbastanza ovvia. Che cosa indica eros se non l’immediatezza, diciamo pure la gioia di vivere, quella gioia di vivere che non ammette ostacoli di nessun tipo, che chiede soltanto di essere espressa? Eros i Greci, e non soltanto i Greci, lo presentavano come un fanciullo, la divina innocenza, eros come espansione vitale, o per dirla con Kierkegaard come vita immediata, vita che non dà ragione di sé, e noi diremmo oggi ( figli volenti o nolenti, tutti figli di Freud ) “vita pulsionale”, e le pulsioni sono le pulsioni, il bene e il male appartengono ad un altro ordine, ad un’altra dimensione. Ethos è il contrario. Ethos è il “Tu devi”. Ethos è la serietà della vita. Ethos è il dover rispondere di tutto nei confronti di tutti, o quanto meno di sé nei confronti di coloro coi quali si è stretto un patto. Quale opposizione maggiore che quella tra eros ed ethos? Tra l’immediatezza e la mediazione? Tra la libera e gioiosa espansione di sé che non dà ragione, perché è quello che è, è vita immediata, tra la gioia, se vogliamo dire così, e la serietà della vita, ossia il “Tu devi”, questo sì e questo no, perché tu devi rispondere di te nei confronti di tutti gli altri? Ma appunto siamo ancora sul piano dell’opposizione, non ancora della contraddizione. Per scorgere la contraddizione dobbiamo renderci conto che c’è dissidio, cioè c’è intima opposizione sia in eros, sia in ethos. Ed è solo a partire da un’analisi separata delle due forme di esperienza, esperienza erotica ed esperienza etica, che capiremo come l’opposizione diventi una vera e propria contraddizione e capiremo come la contraddizione che abita in ciò che è “intimior intimo meo”, così prossimo a noi da costituire davvero la nostra anima, la nostra carne ( e che cosa se non eros ed ethos? ), come la contraddizione sia proprio in questa prossimità. Ma lo scopriremo appunto esaminando separatamente le due forme. Perché c’è opposizione in eros? L’abbiamo definito come gioioso, libero, come espressione di una vitalità che non conosce ostacoli. Non è forse vero che eros è trasgressione? Ma non carichiamo subito questa parola di un significato morale: no, siamo prima, siamo al di qua della morale. Parliamo dunque di trasgressione nel senso letterale del termine, nel senso di una spinta, di un movimento teso a rompere tutti i vincoli. Quindi siamo ancora sul piano di una fenomenologia che non chiama in causa la morale. Eros è questo transgredior, questo superare il limite che eros stesso pone a sé stesso per essere quello che è. Cosa c’entra la morale con eros, se eros è questo? Come è pensabile un intimo dissidio di eros con eros? I Greci lo hanno pensato. Quando ci troviamo di fronte a queste difficoltà, definita filosoficamente la categoria, 5   sembrerebbe non si dovesse più procedere oltre, invece sappiamo che l’esperienza erotica è molto più complessa, che non è questa pura e semplice, come qualcuno vorrebbe, espressione pulsionale di sé che non dà ragione di sé, bensì un’esperienza terribilmente complessa. E allora come la mettiamo? La filosofia ci dice che è trasgressione, movimento libero verso la liberazione da tutti i vincoli. Il mito, e di nuovo la religione, ci dice che è cosa molto, molto più complessa. E come avevano rappresentato questa complessità i Greci? Attraverso i miti, come sappiamo. I miti sono questo: servono a dire delle cose che la filosofia non riesce a dire, o che il linguaggio comune non riesce a dire. Ci sono tanti miti nella cultura greca che parlano di eros, infiniti, ma non soltanto nella cultura greca, anche in quella indiana, anche in tante altre. Ma alcuni in particolare: intanto quello che identifica eros con Fanes Protogono. Chi è Fanes Protogono? Fanes Protogono è qualcuno, qualche cosa che viene prima della stessa formazione del mondo, e quindi del costituirsi di figure archetipiche nel mondo che sono gli dei; Fanes ( “ fainetai”) è questa accensione originale che fa sì che il mondo, che era, secondo il mito di Fanes Protogono, tutto raccolto in un nucleo simile ad un punto ( pensate a quale profondità di intuizione erano arrivati i Greci), per questa improvvisa accensione si spacchi, si scinda come sotto una spinta, una forza assolutamente sorgiva, che non è governata da figure archetipiche, dagli dei, ma che è assolutamente iniziale. Questa realtà tutta compressa, tutta compresa in un unico punto, per così dire a seguito di questa cosiddetta accensione, esplode, e questa esplosione dà luogo alla terra e al cielo, perciò la terra e il cielo, a partire da questa esplosione, non potranno che sempre di nuovo cercare di ricongiungersi. Urano e Gea, il cielo e la terra, originariamente uniti, a seguito della esplosione cercano di ricongiungersi, grazie a eros, Fanes Protogono, cioè il principio primo, il principio originariamente generatore, che è la luce. Eros è questa accensione, questa forza ricongiungente dei due. Dentro questo mito che cosa scopriamo? Il carattere assolutamente non morale di eros. Eros è quello che è, non è neppure un dio, è luce, è manifestazione, è pura forza esondante, quella pura forza esondante che ciascuno di noi prova in sé, nelle varie forme in cui eros si manifesta, che, come sapevano i Greci, sono infinite. Basta leggere il Simposio per capire come Platone sapesse delle varie forme di eros. Ma che cosa accade? Accade qualche cosa di tremendo, il tremendo che è in eros: accade che nel momento in cui la terra e il cielo si scindono in due, in una sorta di mattino del mondo nasce Afrodite che è la dea dell’amore, che è la dea, a seguito di questa vicenda, chiamata a incarnare, a personificare, la forza originariamente creatrice. Ma chi è Afrodite? E’ la dea della doppiezza, e i poeti greci così l’ hanno descritta: è la dea della felicità, della gioia, della gioia di vivere che non dà ragioni di sé, è la dea al di là del bene e del male, è la dea al di qua del bene e del male. Ma Afrodite è anche la dea che nasconde il tremendo da cui proviene, tanto è vero che lo stesso mito greco ci parla di questo mattino del mondo: e cosa c’è di più bello che il sorgere di Afrodite dalla spuma del mare, che cosa c’è di più innocente, di più incantevole? E tuttavia quella spuma del mare è memoria di un atto di sangue: la spuma del mare è il sangue stilato, e anzi sangue- liquido seminale, stilato dal sesso di Urano, castrato dal suo stesso figlio. Capite che cosa dicono i Greci? Che cosa tiene insieme nell’idea di eros l’uomo greco? Gli opposti: l’innocenza, la perfezione in quanto è l’emergere della vita da sé stessa, la vita che non dà ragione di sé, la vita che è quello che è, al di là del bene e del male, tuttavia su uno sfondo cupo di sangue. Il fanciullo innocente è nello stesso tempo colui che ha memoria del tremendum, con buona pace dei teorici, quanti sono oggi, delle emancipazioni a buon mercato: “Liberatevi dai tabù, abbandonatevi!” Tutte cose belle, per carità, non voglio dire che non ci si debba anche liberare dai tabù, però le cose sono un po’ più complicate: la liberazione( tesi) è necessaria, e tuttavia sta a fronte( antitesi) di qualche cosa come gli orrori delle origini. Quando ci si interroga sul fatto, sul rapporto eros e violenza, per esempio, perché chiudere gli occhi di fronte a 6   questa che è realtà umana, più che umana? Bisogna pensare come hanno pensato i Greci, o come hanno pensato gli Indiani in modo forse meno cupo, in modo meno metafisico, ma altrettanto espressivo, con la figura della donna che volge lo sguardo, dell’amante che raggiunge l’amato ( che è un tema iconografico di molta arte indiana, di molta arte erotica dell’India ), della donna che si butta nel fiume per raggiungere l’amato, ma volge lo sguardo, e questo sguardo è pieno di malinconia per tutto ciò che lascia: siamo fatti di una irriducibile doppiezza, ci dice il mito. Certo che è necessario gettarsi, raggiungere l’amato, ma non ci è dato di farlo ( è la dinamica della trasgressione ), se non volgendo lo sguardo verso tutto ciò che abbiamo perso, che stiamo perdendo, che potrebbe essere la rottura del patto. E questo che cosa vuol dire? Vuol dire che eros, l’innocenza stessa, in modo del tutto contraddittorio, si lega al suo contrario, a qualcosa come la colpa: ecco come eros è portatore di una contraddizione. Ma lo stesso vale per ethos. Ethos è in sé stesso contraddittorio, e sono ancora una volta i Greci che ci dicono questo. Della profondità del mito greco si era accorto Aristotele, per primo, che io sappia, quando, guardando al mito, ha scoperto che la parola greca ethos (da cui etica, naturalmente, ) si dice in due modi, o meglio si dice in un modo solo ma si scrive in due ( è una anomalia del Greco che forse non ha altri esempi così clamorosi ): ethos in greco si scrive con la ipsilon, e con la eta, e se scritta con la ipsilon vuol dire una cosa, se scritta con la eta vuol dire un’altra cosa, o meglio, vuol dire la stessa cosa , ma un po’ diversa . Se scritta con la eta , ethos fa riferimento alla dimora, alla casa. E allora che cos’è ethos? Ethos è la convenzione, sono gli usi, i costumi, le abitudini, da cui abitus, le virtù, come abiti che indossiamo che ci portano a compiere certe cose, a comportarci in un certo modo. Ma perché ci comportiamo in un certo modo? Perché siamo stati educati, perché abbiamo accolto in noi, essendo stati accolti da una comunità e cioè dalla casa anzitutto, quelle leggi, quei comportamenti, quel modo di vedere, che è proprio di ethos con la eta. Qui a essere privilegiato è il riferimento al sentire comune, alla comunità: ethos come appartenenza ad una comunità, che mi impone di non pensare tanto a me stesso quanto agli altri, di riconoscermi all’interno di una tradizione e così via. Ma se io lo scrivo con la ipsilon, allora vuol dire carattere, che appartiene a me, è solo mio : l’ethos è il mio demone, è qualche cosa che mi dice: “ Tu devi fare questo”. “No”. “ Ma sei contraddetto da tutti, non è accettabile che tu non faccia questo, la società ti condanna”. “ Che mi importa, lo devo fare, perché so, ma in base a quale sapere?” “In base ad un sapere demonico, cioè che non dà ragioni di sé. Sapere di cui io mi faccio carico, costi quello che costi”. Guai se ethos fosse solo sapere demonico, se fosse solo carattere, perché allora l’etica sarebbe una cosa terribile, sarebbe cosa tragica, darebbe luogo a scontri senza fine, senza un terzo che faccia da medio, se è giusto quello che io sento giusto. L’io, la coscienza: se ethos fosse solo questo sarebbe terribile. Ma guai se ethos fosse soltanto quell’altro: abitudine, tradizione, leggi e così via. Facciamo il caso che la società alla quale appartengo, nella quale mi riconosco, mi condanni legalmente e in base a dei principi riconosciuti come giusti, mi condanni per esempio a essere deportato. Immaginate un’ etica che sia soltanto etica pubblica, un’ etica della tradizione condivisa, immaginate di togliere a me o a chi per me il diritto di dire no, anche se la società alla quale appartengo mi condanna, di rivolgermi al mio Dio, per invocarlo, o per bestemmiarlo, dicendo:” Non è giusto”. Non dimentichiamo mai Auschwitz, ma non dimentichiamo mai che tutto quello che è accaduto in quegli anni è accaduto legalmente: le deportazioni erano leggi dello stato tedesco, non si tratta di qualcosa avvenuto nascostamente, bensì di leggi dello stato tedesco. L’etica che fosse soltanto l’etica, la casa della comunità di appartenenza, della polis, dello stato, potrebbe non essere un’etica a sua volta monca, terribilmente manchevole? Già, ma come fanno a stare insieme ethos ed ethos, ethos con la eta e ethos con la ipsilon? Come far stare insieme le leggi della pietà, per esempio, come sa bene Antigone, e le leggi della città? Le leggi di coloro che stanno sotto la luce del sole e le leggi sotterranee, degli dei, che stanno sotto? Contraddizione, la contraddizione di ethos. Voi direte, ma che cosa c’entra questo discorso con la violenza? E’ lo stesso discorso. In che senso? Abbiamo visto, e mi avvio alla conclusione, come la violenza sia un dato di natura, anzi, è la natura che è in noi, è uno stato, tanto è vero che si parla di stato di natura: è quell’emergere di forze oscure, che ci riportano al luogo da cui proveniamo, che è la selva. E’ la linea maestra del pensiero moderno e contemporaneo, e abbiamo visto che non basta dire questo. Le cose non stanno così, perché qui c’è una contraddizione . La contraddizione è sollevata dalla affermazione che la violenza dell’uomo sull’uomo è sì qualche cosa che lo accomuna alla bestia feroce, ma nello stesso tempo è qualche cosa che lo rende irriducibilmente diverso dalla bestia feroce. La violenza è sì cosa che implica la non trascendibilità dello stato di natura, ma questa non può che essere vissuta come condanna che implica il trascendimento. Lo stato di natura è uno stato che io posso pensare solo come stato di gettatezza, avrebbe detto Heidegger. Senonché per Heidegger la gettatezza, la deiezione, il mio trovarmi come gettato in questo mondo, non ha più né capo né coda, non ha più un da dove sono gettato e un verso dove vado. E in questo senso Heidegger in fondo resta all’interno della tradizione tipicamente moderna che ritiene intrascendibile questo stato. Non così là dove questo stato venga vissuto, venga letto, nel suo valore simbolico. Lo dice bene Pascal. Tutto è simbolo, quella natura caotica, così confusa, non fa che ricordarmi che questo non può essere il mio mondo, è il mio mondo e per viverci lo devo accettare, e tra questo mondo, e l’infinito, e l’assoluto, un abisso mi separa: non c’è verso, filosoficamente, di costruire un ponte tra il qui e ora, il qui di leggi contraddittorie, e l’origine. Tuttavia, in questo mondo io vivo come uno straniero, come uno che è stato gettato da un altrove, la cui chiave la possiede non la filosofia ma la religione: la caduta, il peccato originale.” Lo stesso discorso vale per la contraddizione, il rapporto contraddittorio di eros ed ethos. Noi vorremmo potere riferirci, così come nel caso della violenza ci siamo riferiti, a qualche cosa di ultimo, qui riferirci a qualche cosa di primo, eros ethos, di prossimo, di propriamente nostro a cui ancorarci, vorremmo poterlo fare. E che cosa se non ancorarci a eros, se non ancorarci a ethos? E’ esperienza che tutti fanno, se pure in forme molto diverse: l’esperienza che vorremmo gioiosa di eros e seria di ethos, e lì restare, restare in questa prossimità, in questa intimità di noi con noi stessi, in definitiva rassicurante. Eros è la gioia: Abbandonati; ethos è il dovere: “ Rispetta”. Già, ma questa intimità, di noi con noi stessi, è contraddittoria, ovvero “intimior intimo meo”. Nel punto in cui noi ci troviamo più intimi con noi stessi, noi siamo per così dire scavalcati, trascesi da un movimento che fa cenno a qualche cosa che è assolutamente altro rispetto a questa pretesa di raccoglierci in una certezza, la certezza di eros e la certezza di ethos. Tanto è vero che non solo eros ed ethos stanno tra loro in opposizione, ma è una opposizione contraddittoria perché il dissidio è sia nella forma dell’esperienza erotica, sia nella forma dell’esperienza etica. “Intimior intimo meo”: qui davvero varrebbe la pena di parafrasare Agostino, e ricordare che nel momento in cui io sono più prossimo a me stesso in realtà sono infinitamente lontano, sono per così dire costretto a trascendere, trascendere me stesso. Sergio Givone. Givone. Keywords: phanes, eros/ethos; phanes protogono, convito di platone, pareyson. storia naturale dell nulla, unelongated history of negation;  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Givone” – The Swimming-Pool Library.

 

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