Grice e Gruppi: la ragione conversazionale e la via
italiana al socialismo – filosofia piemontese – filosofia torinese – scuola di
Torino -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel gruppo di gioco di Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Torino). Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice:
“Gruppi is an Italian philosopher; at Oxford, someone who writes only on
politics is not considered usually one!” -- Il concetto di egemonia in Gramsci,
Gramsci è senza alcun dubbio quello che, tra i teorici del marxismo, ha
maggiormente insistito sul concetto di egemonia; e lo ha fatto in modo
particolare richiamandosi a Lenin. Anzi, direi che, se vogliamo vedere il punto
di contatto più costante, più scavato, di Gramsci con Lenin, questo mi pare
essere il concetto di egemonia. L'egemonia è il punto di approccio di Gramsci
con Lenin. Citazioni La scienza si ha
quando si supera il dato immediato, l'apparenza; si ha con un salto dialettico.
In tutte le analisi che Gramsci conduce, io trovo la presenza di un filo rosso
che le guida, presente in tutti i Quaderni. G. Il concetto di egemonia in
Gramsci, Riuniti, Roma. Gramsci è senza dubbio quello che allaccia, se
così si può dire, congiunge il movimento operaio italiano agli insegnamenti di
Lenin, è giustamente il primo bolscevico italiano, come disse Togliatti, il
primo leniniano del nostro paese. Attraverso un processo che fu complicato e
che parte dalla sua comprensione non completa, ma sostanzialmente giusta del
valore della rivoluzione d'Ottobre, arriva ad affermare che la rivoluzione
d'Ottobre è una rivoluzione contro Il capitale di Marx, cioè contro
un'interpretazione meccanica, schematica del Capitale, secondo cui bisognava
aspettare lo sviluppo delle forze produttive del capitalismo, ecc. ecc. Già
coglie l'importanza dell'elemento soggettivo, della funzione del partito come
guida dei processi rivoluzionari. Gramsci sempre più si avvicina ad una
comprensione del pensiero di Lenin con un processo che anche nei Quaderni del
carcere è un approfondimento del pensiero di Lenin. Gramsci si aggancia
direttamente al concetto di dittatura del proletariato come si trova in Lenin,
individuando nella dittatura del proletariato, non solo un profondo mutamento
della struttura economica e politica del paese, ma una profonda rivoluzione
culturale, una profonda trasformazione del modo di pensare degli uomini non
solo in Russia, ma in tutto il mondo. Il pensiero degli uomini non può più
essere la stessa cosa dopo l'instaurazione della dittatura del proletariato in
Russia. La dittatura non è soltanto un fatto politico, ma di cultura e di
pensiero, secondo quello stretto nesso che Gramsci stabilisce tra politica e
filosofia affermando che la filosofia vera di ciascuno sta nel suo modo di
agire, sta nella sua politica più che nelle dichiarazioni teoriche. Da questo
egli ricava che il principio teorico-pratico dell' egemonia (e qui egemonia
significa dittatura del proletariato) ha anch'esso una portata gnoseologica,
cioè di conoscenza, e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporto teorico
massimo di Lenin alla filosofia della prassi, cioè al marxismo. Lenin
avrebbe fatto progredire la filosofia come filosofia in quanto fece progredire
la dottrina e la pratica politica. C'è stretto nesso, quindi, tra i due
elementi. In un altro punto dei Quaderni dice: «Tutto è politico, anche
la filosofia o le filosofie. La sola filosofia è la storia in atto, cioè è la
vita stessa. In questo senso si può interpretare la tesi del proletariato
tedesco erede della filosofia classica tedesca, come aveva detto Engels, e si
può affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell'egemonia fatta da
Lenin, è stato anche un grande avvenimento metafisico, cioè nel senso di
pensiero generale, non nel senso negativo di filosofia astratta. Il
processo attraverso cui Gramsci nei Quaderni arriva a queste conclusioni è
complesso. Gramsci al tempo dell'Ordine nuovo parte da una riflessione sullo
Stato che non è una riflessione sullo Stato in generale, ma sullo STATO
BORGHESE ITALIANO, una individuazione della sua specificità. In un
articolo dell'Ordine nuovo scrive, Lo Stato italiano che - secondo un
parlamentare - starebbe alla repubblica dei Soviet come la città all'orda
barbarica, non ha mai neppure tentato di mascherare la natura spietata della
classe proprietaria. Si può dire che lo statuto albertino sia servito ad
un solo fine preciso: a legare fortemente le sorti della corona alle sorti
della proprietà privata. I soli freni che funzionano nella macchina statale per
limitare gli arbitri del governo dei ministri del re sono quelli che
interessano la proprietà privata del capitale. Soltanto qui si pongono limiti
all'esercizio del potere per garantire la proprietà, la libera
iniziativa. Lo statuto albertino non ha creato nessun istituto che
presidi almeno formalmente le grandi libertà dei cittadini: la libertà
individuale, la libertà di parola e di stampa, la libertà di associazione e di
riunione, mentre negli altri Stati democratico-borghesi almeno una garanzia,
almeno formale, esiste, in Italia non c'è neanche la garanzia
formale. Negli Stati capitalistici che si chiamano liberal-democratici
l'istituto massimo di presidio delle libertà popolari è il potere giudiziario.
Nello STATO ITALIANO la giustizia non è un potere, è uno strumento del potere
esecutivo, è uno strumento della corona e della classe proprietaria, cioè è
agli ordini del ministro della giustizia. Si pensi che ancor oggi la nomina del
pubblico ministero avviene ad opera del ministro della giustizia. La direzione
generale delle carceri, le direzioni particolari, gli agenti della pubblica
sicurezza, tutto l'apparato repressivo dello Stato dipendono dal ministero
degli Interni, si capisce perché in Italia il presidente del consiglio si
riservi sempre il ministero degl’interni, come era tipico nello Stato
prefascista, in modo che tutto l'apparato di forza armata del paese sia
completamente nelle sue mani. Il presidente del consiglio è l'uomo di
fiducia della classe proprietaria - alla sua scelta collaborano le grandi
banche, i grandi industriali, i grandi proprietari terrieri e lo Stato
maggiore. Egli si prepara a conquistare la maggioranza parlamentare con la
frode e con la corruzione; il suo potere è illimitato non solo di fatto - come
è indubbiamente in tutti i paesi capitalistici - ma anche di diritto, il
presidente del consiglio è l'unico potere dello STATO ITALIANO. La classe
dominante italiana non ha avuto neppure l'ipocrisia di mascherare la sua
dittatura, il popolo lavoratore è stato da essa considerato un popolo di razza
inferiore che si può governare senza complimenti, come una colonia africana. Il
Paese è sottoposto ad un permanente regime di stato d'assedio: in ogni ora del
giorno e della notte un ordine del ministro dell'interno ai prefetti può fare
entrare in movimento l'amministrazione poliziesca, gli agenti vengono
sguinzagliati nelle case, nei locali di riunione, senza mandato dei giudici,
che sono passivi. In pura via amministrativa la libertà individuale e di
domicilio è violata, i cittadini sono ammanettati, confusi coi delinquenti comuni
in carceri luride e nauseabonde, la loro integrità fisiologica è in difesa
contro la brutalità ed i contatti, i loro affari sono interrotti o rovinati.
Per il semplice ordine di un commissario di polizia un locale di riunione viene
invaso e perquisito, una riunione viene sciolta, per il semplice ordine del
prefetto un censore cancella uno scritto il cui contenuto non rientra affatto
nelle proibizioni contemplate dai decreti generali [c'era la censura sulla
stampa] per il semplice ordine di un prefetto i dirigenti di un sindacato
vengono arrestati, cioè si tenta di sciogliere un'associazione, ecc.. È
un'analisi spietata dei limiti liberali e democratici dello Stato liberale
italiano, della sovrapposizione del potere esecutivo sul potere legislativo,
sul potere giudiziario, è una descrizione di questo ordinamento che discende
dall'esecutivo ai prefetti, ai questori e sospende in qualsiasi momento ogni
libertà. Ora a questa visione, a questa definizione, a questa analisi
dello Stato italiano, Gramsci ne contrappone un'altra che nasce dal movimento
reale. Anche per lui, come per Lenin, la conquista dello Stato non è puramente
un momento negativo, di distruzione, ma è il processo di crescita di un nuovo
tipo di Stato, che si organizza sin da prima della conquista dello Stato. E la
rivoluzione, come per Lenin, viene concepita come un processo, non come un atto
subitaneo che si compie in un determinato momento. La domanda infatti,
che egli si pone, la domanda da cui parte con tutto il lavoro del giornale,
dell'Ordine nuovo, è precisamente questa: se ci sia in Italia, a Torino, un
embrione di Soviet, un inizio di Soviet, e la risposta è: sì, sono le
commissioni interne. E aggiunge: bisogna trasformare le commissioni interne in
qualche cosa di piu, bisogna far nascere dalle commissioni interne, cioè
dall'esistenza dei Consigli di fabbrica eletti da tutti i lavoratori
indipendentemente o meno dalla loro iscrizione al sindacato. Con rappresentanti
quindi per reparti, per officina, per mestieri, e cosi via, in modo che il
Consiglio di fabbrica sia il momento non solo della difesa dei diritti
sindacali o delle conquiste sindacali, ma un organismo attraverso cui gli
operai si impadroniscono del processo della produzione, della organizzazione
del lavoro, intervengono sul processo della produzione, stabiliscono un potere
nella fabbrica, un potere democratico della fabbrica e un potere che poi dalla
fabbrica si irradi alle campagne e salga a diventare potere nella società e
nello Stato. indice I consigli di fabbrica Gramsci dice che
questo trasforma l'operaio da semplice salariato - schiavo del capitale, non
cosciente della funzione storica della propria classe - in produttore (egli
prende da Sorel questo termine), ma esso è presente anche in Marx quando parla
della Comune come l'autogoverno dei produttori e non più degli operai
salariati, cioè dell'operaio che ha superato ogni limite corporativo, che non
ragiona più come mentalità di categoria, di classe sociale chiusa in sé, intesa
solo alla difesa dei propri interessi immediati di classe, ma che si sente come
produttore, protagonista e interprete degli interessi generali della società e
quindi come componente essenziale, forza dirigente del nuovo Stato che si vuole
costruire. Egli scrive nell'Ordine nuovo: l'officina con le sue
commissioni interne, i circoli socialisti e le comunità contadine sono i centri
di vita proletaria nei quali occorre direttamente lavorare, le commissioni
interne sono organi di democrazia operaia che occorre liberare dalle
limitazioni imposte dagli imprenditori, e ai quali occorre infondere vita nuova
ed energia. Oggi le commissioni interne limitano il potere del capitalista
nella fabbrica e svolgono funzioni di arbitraggio e di disciplina, sviluppate
ed arricchite dovranno essere domani come organi del potere proletario che
sostituisce il capitalista in tutte le sue funzioni utili di direzione e di
amministrazione. Cioè bisogna imparare prima a dirigere le fabbriche se
vogliamo abolire il capitalismo. Fin d'ora gli operai dovrebbero procedere
già all'elezione di vaste assemblee di delegati scelti tra i migliori e più
consapevoli compagni sulla parola d'ordine: tutto il potere all'officina, ai
comitati d'officina, coordinata all'altra: «tutto il potere dello Stato ai
consigli operai e contadini. Vi è, quindi, un tentativo di risposta alla
domanda: come facciamo in Italia a fare come in Russia, dove ci sono i Soviet?
E i Soviet li inventa Gramsci: li va a cercare nel movimento reale, li va a
cercare in quello che già esiste, cioè le commissioni operaie da sviluppare in
organismi con molto più potere e molta più capacità rappresentativa. A
questa concezione di elevamento della funzione dirigente della classe operaia
prima della conquista del potere, come condizione della conquista del potere,
qui Gramsci ragiona già alla leniniana, a questa sua concezione si contrappone
un'obiezione di BORDIGA e del suo giornale, Il Soviet, sul quale egli dice: è
illusorio, utopico pensare che la classe operaia possa avere una funzione
dirigente nella fabbrica prima della conquista del potere, fino ad allora resta
subalterna ai capitalisti, solo quando la classe operaia prenderà il potere
essa potrà esercitare il potere nella fabbrica. Ma BORDIGA non risponde alla
domanda: il potere come lo prendi? Questo perché Bordiga vede il processo
sociale come il processo di crescenti contraddizioni dell'economia
capitalistica, finché si arriva alla grande crisi che è il momento fatale della
rivoluzione proletaria, a cui il proletariato e il Partito comunista devono
prepararsi mantenendosi puri, intatti, non contaminando si in alleanze, in
compromessi e in cose del genere. Vi è cioè in BORDIGA una visione
meccanicistica, di materialismo volgare, meccanicistico del processo
rivoluzionario che ignora la funzione del soggetto, del partito. Non a
caso BORDIGA (si veda) dice che non bisogna partecipare alle elezioni
parlamentari. Il parlamento è borghese e quindi non interessa il proletariato.
Riprende cioè una tesi di Bakunin e degl’anarchici contro cui già Marx ed
Engels polemizzano, come Lenin polemizza inEstremismo malattia infantile del
comunismo contro queste posizioni di BORDIGA. Per Gramsci, invece,
ripeto, la rivoluzione è intesa come processo. Non sto ad illustrare tutte le
vicende dell'Ordine nuovo, le grandi lotte, lo sciopero, detto lo sciopero
delle lancette, che poneva proprio la questione dell'autorità e del potere dei
consigli di fabbrica perché il padronato decise di passare dall'ora legale,
usata in guerra, all'ora solare senza avvertire i consigli di fabbrica.
Gli operai arrivarono in fabbrica e trovarono le lancette dell'orologio
spostate e fu lo sciopero. Era in gioco una questione di principio: il potere
democratico del consiglio di fabbrica. L'ingenuità fu il non aver unito alla
questione altre rivendicazioni piu sostanziose che potessero legare a questa
lotta le masse operaie. Fu solo una lotta di principio che poi fini con una
sconfitta grave, dopo di che la classe padronale passò all'attacco e
l'occupazione delle fabbriche fu, è vero, il momento più avanzato della lotta,
ma un momento di difesa. Funzionarono, però, i consigli di fabbrica,
diressero la produzione, tennero la disciplina, ma nell'occupazione delle
fabbriche appare chiaramente un elemento cioè il movimento dei consigli
fallisce per essere rimasto troppo torinese, non essersi esteso alle altre
regioni italiane, per essere rimasto chiuso all'interno della fabbrica, e anche
per una debolezza nel vedere un'alleanza con i contadini e soprattutto una
grave debolezza nel vedere l'alleanza con i ceti medi, tipico limite
dell'Ordine nuovo. Dalla sconfitta, quindi, del movimento dei consigli
con l'occupazione delle fabbriche si pone l'esigenza del partito, come momento
unificante di tutto il movimento a livello nazionale, cosa che Gramsci aveva
visto, ma in modo incompleto, e aveva privilegiato un movimento, aveva
privilegiato i consigli rispetto alla questione del partito stesso.
indice Necessità della ricognizione nazionale La riflessione di
Gramsci, però, va oltre e in un articolo: Che fare? scritto per una rivista di
studenti comunisti, si pone l'interrogativo: perché siamo stati
sconfitti? Siamo stati sconfitti perché il movimento operaio non conosce
il proprio Paese, non conosce l'Italia, non è uscito fino ad oggi un libro
sulle stratificazioni sociali, sulle classi in Italia, sulla storia delle
classi, non è uscito un libro sulla storia dei partiti italiani, c'è
un'infinità di domande a cui non sappiamo rispondere: perché in Sicilia i
contadini sono autonomisti e in Sardegna no, mentre in Sardegna sono autonomisti
i latifondisti e in Sicilia non altrettanto, perché dove son forti gli
anarchici sono forti i repubblicani? e così via. Non sappiamo rispondere perché
non conosciamo il nostro Paese. Eppure abbiamo un metodo, il marxismo, che Marx
ed Engels hanno impiegato per conoscere la realtà concreta. Ecco l'esigenza di
usare il marxismo non come strumento di propaganda, ma come strumento di
analisi, di comprensione della realtà. Certo, spiegare la sconfitta col
fatto che non si conoscesse bene l'ITALIA è insufficiente, è unilaterale, è
polemico, però è senza dubbio uno degli elementi della verità. Il gruppo
dell'ordine nuovo, alla testa del partito, cercherà di arrivare ad un'analisi
dell'Italia, ad una conoscenza del processo storico italiano. Le tesi del
Congresso di Lione sono un'analisi del processo attraverso cui si è formato lo
Stato unitario italiano per individuare da questa analisi concreta, storica, le
forze motrici della rivoluzione nella classe operaia del nord e nei contadini
del mezzogiorno e delle isole. Si veda il saggio sulla questione meridionale,
contemporaneo alle tesi di Lione. Gramsci riprende un concetto di egemonia
che aveva già usato in polemica contro BORDIGA dicendo: BORDIGA non ha capito
il concetto leniniano dell'egemonia, dell'alleanza della classe operaia con gli
altri ceti e soprattutto con i contadini e si è attenuto ad una posizione
astratta per cui la classe operaia deve restare chiusa in se stessa, ha temuto
che ogni alleanza fosse una contaminazione piccoloborghese della classe
operaia, per questo non ha capito l'essenziale di quello che è il leninismo,
alleanza operai contadini, costruzione dell'egemonia. Nella questione
meridionale inoltre Gramsci pone non solo la questione meridionale come
elemento nazionale decisivo e quindi chiave della egemonia della classe
operaia, ma entra in una definizione pili precisa della egemonia. Che la
questione meridionale sia elemento decisivo della egemonia è un momento molto
importante, perché non aver capito questo aveva reso il movimento socialista
subalterno alla politica della borghesia e di GIOLITTI GIOBETTI, cioè aveva
accettato la politica di Giolitti assai limitata, da un lato, e, dall'altro,
riformistica senza riforme in un certo senso, che però fa concessioni alle
cooperative del nord, al diritto di associazione, alla funzione dei sindacati,
non interveniva come Stato nei conflitti del lavoro, ecc., facendo pagare tutto
questo al mezzogiorno. Nel mezzogiorno fa la politica della camorra, degl’ascari,
cioè dei deputati che andano in parlamento per votare sempre Sì, reclutati
attraverso le clientele, ecc. Il modo in cui si spezza l'egemonia della
borghesia è il modo in cui si rompe questo blocco industriale e agrario tra la
borghesia capitalistica del nord e i grandi proprietari terrieri, latifondisti
del sud, e si salva l'alleanza classe operaia del nord e contadini del sud. A
questo proposito Gramsci dice: il proletariato può diventare classe dirigente e
dominante, nella misura in cui riesce a creare un sistema di alleanze di classe
che gli permetta di mobilitare contro il capitalismo e lo Stato borghese la
maggioranza della popolazione lavoratrice, il che significa in Italia (nei
reali rapporti di classe esistenti in Italia): nella misura in cui riesce a
ottenere il consenso delle larghe masse contadine. La questione delle
alleanze, quindi, è vista come questione decisiva per conquistare il dominio e
la direzione, e la questione contadina viene vista come essenziale. Ma non la
questione contadina in generale (tra l'altro non esiste). La questione
contadina in ITALIA è storicamente determinata, non è la questione contadina ed
agraria in generale, in Italia la questione contadina ha, dice Gramsci, per la
tradizione italiana, per il determinato sviluppo della storia italiana, assunto
due forme tipiche e peculiari: la questione meridionale e la questione
vaticana, cioè il rapporto con i contadini del Sud e con i contadini legati
alla chiesa cattolica, di ispirazione cattolica. Ora che cosa si può dire
in proposito? Si può dire che c'è un altro passo in cui egli si richiama alla
dittatura del proletariato, che l'egemonia viene vista come una direzione che
si conquista nella società civile e la dittatura del proletariato è concepita come
la forma statale, politica dell'egemonia, anzi essenzialmente come la forma.
statale. Inserisce qui una distinzione tra società civile e Stato. Nella
società civile l'egemonia, nello Stato la dittatura del proletariato, che però
in Gramsci non è così schematica. I due momenti sono fusi e Gramsci, nei
Quaderni, avverte che la distinzione tra Stato e società civile, società
politica e società civile è una distinzione puramente di metodo, metodologica,
non organica, perché in realtà questi due elementi sono fusi. Società civile e
Stato non SI separano nella realtà. Come è noto la parola egemonia deriva
da un verbo greco che significa dirigere, guidare, condurre. Gramsci usa il
termine egemonia non nel significato tradizionale che sottolinea soprattutto il
DOMINIO, ma nel senso originario, etimologico, greco: direzione, guida. Trae
questo termine da Lenin, perché Lenin l'aveva impiegato proprio per indicare la
funzione dirigente della classe operaia nella rivoluzione democratico-borghese,
Lenin non lo usa più quando usa ormai il concetto di dittatura del
proletariato. Ma non c'è dubbio che la capacità dirigente della classe operaia
nel processo rivoluzionario congiunge strettamente la rivoluzione democratica
alla rivoluzione proletaria, in modo che la dittatura del proletariato si
assume gli obiettivi della rivoluzione democratica, quegli obiettivi che la
borghesia non sa realizzare, e nella dittatura del proletariato vengono infatti
indicati, come obiettivi primi, obiettivi democratici e non obiettivi socialisti:
la terra ai contadini, la nazionalizzazione delle banche e cose di questo tipo.
indice Egemonia e blocco storico Gramsci riprende nei quaderni il concetto di
dittatura del proletariato, ma riferendosi alla dittatura del proletariato
teorizzata e realizzata da Lenin. Poiché l'egemonia della classe operaia nella
rivoluzione è sconfitta, significa che Gramsci usa il termine di egemonia nel
senso di dittatura del proletariato, quella teorizzata e realizzata. Ora
Gramsci sa bene che nella dittatura del proletariato c'è il dominio e il
consenso, la coercizione e la persuasione, ma perché la chiama
egemonia? La chiama egemonia perché vuole sottolineare nella dittatura del
proletariato la funzione dirigente, la conquista del consenso, l'azione di tipo
culturale e ideale che l'egemonia deve compiere, non c'è altra spiegazione a
questo diverso uso dei termini. Sottolinea questo elemento, nella dittatura del
proletariato, sia perché era quello rimasto più in ombra, quello che si era
capito di meno (si era sempre intesa la dittatura soprattutto come violenza,
limitazione delle libertà, e non come l'essenziale capacità dirigente, come
Lenin aveva sempre più sottolineato, man mano che veniva avanti la costruzione
del regime sovietico negli ultimi anni della sua vita). Gramsci usa questo
termine, la egemonia, perché egli conduce una riflessione sulle esperienze e si
pone ancora la famosa domanda: perché non abbiamo vinto? Non abbiamo
vinto, dice Gramsci, perché bisogna capire le differenze che esistono tra una società
e un potere politico come quello russo, zarista, e un potere politico in una
società come esiste in Italia e nei paesi capitalisticamente sviluppati. La
domanda - si poteva fare la rivoluzione? c'erano le condizioni oggettive? non
c'erano? cosa è mancato? - trova in realtà una risposta in questa analisi di
Gramsci. Gramsci dice: in Oriente, cioè in Russia, lo stato è tutto, la
società civile era primordiale e gelatina sa (ecco il punto). Nell'occidente
tra stato e società civile c'è un giusto rapporto e nel tremoli o dello stato
si scorgeva subito una robusta struttura della società civile, lo stato era
solo una trincea avanzata dietro a cui stava una robusta catena di fortezze, di
casematte (più o meno diversa da stato a stato) ma questo richiedeva
un'accurata ricognizione di carattere nazionale. Ecco la grande differenza: in
Russia lo Stato era tutto, ed era indubbiamente casi, in una società molto
fluida, gelatinosa, non articolata, non robusta, una enorme burocrazia zarista
gestiva ogni momento della vita statale per cui quando lo Stato andava in crisi
o in sfacelo a causa ovviamente della disfatta militare e durante la grande guerra,
dietro allo Stato non c'era più niente che resisteva. In Occidente è
diverso, dietro al tremolio dello Stato, e LO STATO ITALIANO trema fortemente,
c'era però la robusta struttura della società civile, c'era l'apporto del
capitalismo, le sue organizzazioni, la sua tenuta culturale e cosi via.
Questo, secondo me, è un tentativo di risposta di Gramsci al perché siamo stati
sconfitti, ma è al tempo stesso una riflessione molto più generale sul modo in
cui si pone il problema della rivoluzione in Paesi capitalisticamente
sviluppati. Di qui egli trae la necessità di una diversa strategia
rivoluzionaria, dice in altre pagine. Mentre in Russia la società civile era
fluida ed embrionale, gelatinosa, era possibile la guerra manovrata, cioè lo
scontro di classe rapidamente risolutivo, in Occidente è necessaria la guerra
di posizione, che qui non significa stare fermi. 'è un altro passo in cui con
guerra di posizione Gramsci indica una relativa staticità dei processi sociali
e politici, qui non significa questo, qui guerra di posizione è la guerra di
trincea, per cui vai all'assalto delle trincee, delle fortezze, delle
casematte, cioè individui i gangli essenziali della vita sociale e statale e
conduci quindi una politica (attualizzando un po') che investe la totalità
della società e che tiene conto di tutte le complesse articolazioni della
società. Cioè Gramsci pone l'esigenza di una nuova strategia rivoluzionaria, di
un modo nuovo di concepire la rivoluzione. Questo è l'enorme passo che
egli ha fatto partendo dall'Ordine Nuovo, attraverso La questione meridionale
per arrivare ai Quaderni, perché il problema dell'Ordine Nuovo era: come
facciamo a fare anche in Italia come in Russia? Ma il problema era fare come in
Russia partendo dal movimento reale, non astrattamente. Individuiamo che
cosa distingue la questione contadina in ITALIA dalla questione contadina in
Russia. Come noi risolviamo questo problema decisivo della egemonia proletaria
che Lenin risolse in Russia con l'alleanza con i contadini? Qui che cosa è
l'alleanza con i contadini? Qui è questione meridionale, qui è questione
vaticana che l'origina. Nei Quaderni del carcere Gramsci pone l'esigenza
di una strategia, cioè dice: non possiamo fare come in Russia, abbiamo bisogno
di una ricognizione del terreno nazionale, cioè di una analisi concreta della
situazione concreta italiana, di calarci nel processo storico, nella originalità
dei processi sociali, politici e culturali del nostro Paese.
L'interessante è, però, che egli si riferisca a Lenin quando dice: «mi pare che
Lenin avesse compreso che occorreva un mutamento della guerra manovrata)
applicata vittoriosamente in Oriente alla guerra di posizione che era la sola
possibile in Occidente, cioè Gramsci attribuisce alla tattica del fronte unico
della classe operaia, proposta dai bolscevichi, da Lenin alla Internazionale,
al suo congresso, la individuazione di un tipo diverso di lotta rivoluzionaria,
di lotta di posizione. Fa dire a Lenin, a mio parere, molto di più di quanto
Lenin non volesse dire, forza il suo pensiero, lo porta oltre. Lo porta
oltre però partendo da intuizioni che in Lenin ci sono, perché vi sono scritti
di Lenin che forse Gramsci nemmeno conosceva in cui Lenin dice: in Occidente
tutti i lavoratori sono organizzati, non è come in Russia dove non c'erano
sindacati, dove i partiti avevano scarse radici, non avevano avuto una vita
legale, ci sono cooperative, sindacati, partiti, municipi, ecc. Cioè Lenin
dice: in Occidente tutti i cittadini partecipano in qualche modo alla
democrazia, non è come in Russia, quindi Lenin intuisce delle diversità in
Occidente e propone una tattica, non una strategia, diversa, cioè il fronte
unico. Gramsci parte da questa intuizione di Lenin e la porta, secondo
me, molto oltre e sottolinea fortemente la necessità di una ricognizione del
terreno nazionale: una classe di carattere internazionale, cioè il
proletariato, in quanto guida strati sociali strettamente nazionali e anzi
spesso meno ancora che nazionali, particolaristici e municipalistici, come i
contadini, deve nazionalizzarsi in un certo senso, cioè deve calarsi
profondamente nella realtà nazionale se è internazionalista, in quanto è INTER-NAZIONALISTA,
se vuole dirigere i contadini, gli intellettuali, ecc., deve individuare la
specificità del processo rivoluzionario. Dove si vede che l'egemonia è
impensabile al di fuori della ricognizione nazionale, la egemonia è proprio la
capacità di individuare la specificità nazionale, i caratteri specifici di una
determinata società, l'egemonia è conoscenza, oltre che azione, e quindi è
conquista di un nuovo livello di cultura, scoperta di cose che non si
conoscevano. Questo nazionalizzarsi, questo calarsi nella realtà nazionale
e la conquista dell'egemonia sono in Gramsci strettamente congiunti. L'egemonia
è individuazione della tattica e della strategia nuove che si devono usare in
determinate situazioni. Come nasce in Gramsci l'idea dell'egemonia? Marx
aveva detto nella Ideologia tedesca che le idee dominanti in una società sono
le idee della classe dominante, cioè la classe dominante diffonde le sue idee,
la sua cultura, la sua ideologia in tutta la società. più esattamente Marx dirà
nella prefazione a Per la critica dell'economia politica del '59, che sono i
rapporti di produzione, quindi il modo di proprietà prevalente, che determinano
non solo le istituzioni politiche e statali, ma il modo di pensare, la
coscienza. Il modo di produzione però - i rapporti di produzione e il loro
nesso con le forze produttive - è contraddittorio e quindi questa
contraddizione, la contraddizione che esiste nel modo di produzione
capitalistico, tra classe operaia e capitalisti per esempio, pone in
discussione non solo la politica economica, le questioni sindacali immediate,
ma anche la politica e la cultura delle idee della classe dominante. Non
appena la classe antagonistica nel sistema capitalistico, il proletariato,
assume coscienza del suo antagonismo al sistema capitalistico, elabora non
soltanto delle lotte sindacali immediate, ma anche una linea politica e una
concezione del mondo, il marxismo, l'ideale socialista, una nuova morale che
contrappone ai valori ed alla morale della società dominante. Attraverso un
processo enormemente faticoso, attraverso una piccola avanguardia, poco alla
volta, cerca di strappare all'egemonia ideale e politica della classe dominante
una parte sempre più grande della classe operaia e dei suoi alleati, contadini,
ceti medi, cerca di conquistare gli intellettuali. Ora Gramsci si chiede
come si tiene insieme una determinata società, cioè un determinato blocco
storico, un nesso di forze politiche e sociali, come si tiene insieme questo
rapporto tra la struttura economica, i rapporti di produzione e di scambio, e
lo Stato, come si può spiegare insomma che un determinato Stato, una
determinata classe dominante tenga insieme e abbia il consenso di forze i cui
interessi sono opposti. Questo blocco storico trova il consenso tra gli
operai, tra i contadini, i cui interessi sono opposti a quelli della società
capitalistica, non solo con l'influenza politica, dice Gramsci, ma con
l'ideologia. È l'ideologia che tiene insieme il blocco storico, che lo salda,
che consente di tenere insieme classi sociali non solo di tipo differente, ma
con interessi addirittura opposti, antagonistici. L'ideologia è il grande
cemento del blocco storico, ed è momento della sua edificazione, che non è solo
ideologica, è culturale, è politica in primo luogo, ma non può essere
dissociata dal momento dell'ideologia e delle idee. Noi allora abbiamo un
processo per cui le classi, antagoniste per interessi, sono subalterne
all'origine, Cloe non hanno una propria concezione del mondo, una propria
cultura, ma hanno assorbito la cultura delle classi dominanti, in un modo
eterogeneo, disorganico, passivo. Cosicché, il modo di pensare delle classi
subalterne è privo di organicità, di capacità critica. Le classi subalterne
sono però spinte alla ribellione, ma tale ribellione è un sussulto che non
riesce ad organizzarsi in una politica perché c'è subalternità ideale,
culturale. È necessario tutto un processo perché le classi subalterne
diventino autonome, si diano un partito, una linea politica, una concezione
culturale, e allora da autonome lottano per diventare egemoni, dirigenti. Già
prima della conquista del potere possono diventare egemoni, cioè. diffondere la
propria concezione non solo politica, ma culturale, in tutta la società.
L'egemonia si conquista prima della conquista del potere ed è una condizione
essenziale per la conquista del potere. Il processo di egemonia è quindi
un processo di unificazione del pensiero e dell' azione perché - quando le
classi sono subalterne - può esserci per esempio una insurrezione contadina
unita all'affermazione che i proprietari della terra ci sono sempre stati, e
magari sempre ci saranno, un'insurrezione che spera nel re per sistemare le
cose. Può accadere che gli operai di Pietroburgo vadano in corteo al palazzo
dello zar perché lo zar intervenga e faccia finire le ingiustizie. E lo zar
pensa bene di farli mitragliare e allora gli operai cambiano idea. Prima erano
subalterni, pensavano che lo zar fosse un piccolo padre, il padre della chiesa
ortodossa, che la soluzione delle ingiustizie dipendesse da lui. Gramsci
allora dice: c'è nelle classi subalterne una filosofia reale che è quella della
loro azione, del loro comportamento. C'è una filosofia dichiarata che vive
nella coscienza, che è in contraddizione con la filosofia reale. Bisogna sogna
congiungere questi due elementi attraverso un processo di educazione critica
per cui la filosofia reale di ciascuno, la sua politica, diventi anche la
filosofia cosciente, la filosofia dichiarata. Per giungere a quel processo di
unificazione di teoria e pratica, di costruzione di una cultura nuova,
rivoluzionaria, di riforma intellettuale e morale. Le due cose sono
strettamente congiunte per Gramsci. Gramsci riprende questo concetto di
riforma intellettuale e morale ancora una volta da Sorel, ma cambiandone
completamente i contenuti. Riprende anche un tema tipico della cultura italiana
del suo tempo che si ritrova nella destra, in Alfredo Oriani, per esempio, come
nella sinistra, in GOBETTI (si veda): l'idea cioè che all'ITALIA sia mancato
qualcosa di simile alla riforma protestante, cioè una riforma della concezione
del mondo e morale che arrivasse in profondità, nel popolo. In Italia c'è stata
invece la controriforma, il distacco della chiesa dal popolo, la
sovrapposizione del dogma, l'irrigidimento gerarchico della chiesa, la
limitazione della libertà scientifica, di espressione artistica, c'è stata
l'Inquisizione, l'ipocrisia, che ha viziato profondamente il carattere degli
italiani, ne ha fatto dei cortigiani, ne ha fatto dei servi. È mancata una
riforma protestante. Gramsci dice che non solo è mancata una riforma
protestante, ma è mancato qualche cosa ben di più della riforma protestante;
qualche cosa di analogo all'illuminismo francese del settecento che preparò la
rivoluzione francese, qualche cosa di simile alla rivoluzione
democratico-borghese. indice La nozione di intellettuale Gramsci aggiunge: in
Italia i laici hanno fallito il loro compito che era di diffondere una nuova
concezione culturale, un nuovo umanesimo :fino agli strati più profondi e più
incolti del popolo. Come era necessario fare. Gli intellettuali democratici
laici non l'hanno fatto perché si sono mantenuti come una casta separata, con
un suo linguaggio separato, con una sua vita culturale separata. È mancato
l'elemento essenziale della costruzione democratica e di una riforma
intellettuale e morale nel nostro Paese, cosa che solo la classe operaia può
fare, non la chiesa cattolica, perché la chiesa cattolica tiene separati gli
intellettuali e i semplici, parla due linguaggi, uno per gli intellettuali ed
un altro per i semplici, ma sta bene attenta che gli intellettuali non rompano
il rapporto con i semplici al tempo stesso. Gli idealisti, Benedetto
Croce, Gentile, hanno fatto una riforma intellettuale per i grandi
intellettuali, non per il popolo. Al popolo lasciano la religione che è la
filosofia di quelli che non hanno filosofia cosciente. Questo processo di
unificazione tra intellettuali e semplici lo può fare la classe operaia guidata
dal marxismo, grazie al marxismo, e creando nuovi quadri intellettuali,
organici alla classe operaia, che sono i suoi quadri, i suoi dirigenti.
Qui muta completamente la nozione di intellettuale, l'intellettuale non è chi
sa il latino o il greco, lo scrittore o cose del genere, l'intellettuale è il dirigente
della società, il quadro sociale. Un caporale dell'esercito anche se analfabeta
è un intellettuale, secondo Gramsci, perché dirige i soldati, un intellettuale
è il capo-lega bracciante, anche se analfabeta, come tanti lo erano al tempo di
Gramsci, perché organizza i braccianti, perché li guida, perché li educa.
Questi sono gli intellettuali secondo Gramsci, il tessuto connettivo del blocco
storico, gli elaboratori della egemonia della classe dominante la quale senza
gli intellettuali non potrebbe essere egemone, dirigente: sarebbe solo
dominante e oppressiva e le mancherebbe la base di massa, il consenso
necessario per esercitare il suo dominio. La cosa interessante è che
Gramsci elabora queste idee attraverso un'analisi del processo storico
italiano. C'è sempre concretezza nel suo pensiero. Ad esempio analizza come si
sia formata in ITALIA l'egemonia dei liberali, come i liberali con un'azione
molecolare ed empirica abbiano assimilato, isterilito le forze repubblicane,
mazziniane, ecc., e disgregato il blocco opposto con un'opera, egli dice, di
direzione intellettuale e morale. Gramsci sottolinea l'importanza di questo
momento ideale e morale nella direzione dei liberali moderati. Ed è qui
che egli introduce il concetto di supremazia. Un gruppo sociale, una classe ha
una supremazia in quanto ha la direzione e il dominio, la classe che è
all'opposizione non ha ancora il dominio, ma deve conquistare la direzione,
cioè l'egemonia, se vuole conquistare anche il dominio e una volta conquistato
il dominio deve mantenere la direzione. Come si presenta, quindi, per
Gramsci la rivoluzione? La rivoluzione si presenta in realtà come una c risi di
egemonia, cioè come una crisi di capacità dirigente da parte di coloro che
hanno il dominio perché non riescono più a risolvere i problemi del paese, non
riescono più a tenerlo insieme con l'ideologia. Pensate ai processi che oggi si
sono compiuti. Lo spostamento a sinistra degli studenti, pur caotico ed anche
pericoloso che sia, contiene molti elementi di individualismo borghese esasperato
- e quindi resta nel quadro dell' egemonia culturale borghese molto più di
quanto non si pensi -, ma è anche il segno della disgregazione di questa
egemonia culturale, una disgregazione che non riesce ad uscire da se stessa,
che si rigira e si tormenta intorno a se stessa. Ma che è il segno di questa
crisi. Basta vedere come le idee del marxismo si sono diffuse e si
diffondono. Qui c'è un allargamento della nozione di rivoluzione.
Marx aveva detto: la rivoluzione si ha quando le forze produttive entrano in
una contraddizione incontenibile con i rapporti di produzione. (Gramsci parte
di qui, ma vede la totalità sociale). Lenin aveva detto: la rivoluzione si ha
quando la classe dominante non riesce più a dominare, quando le classi oppresse
non accettano più di essere dirette e oppresse alla vecchia maniera e abbiamo
una grande ribellione di massa. Gramsci, in modo più preciso, la definisce la
crisi di egemonia, come uno scollarsi tra dominio e direzione, come il venir
meno della direzione, quindi come una crisi che investe tutta la totalità
sociale, in cui il momento culturale, morale, ideale ha un'enorme
importanza. Noi stiamo vivendo un momento di questo genere. Si è rotto il
vecchio blocco di potere che aveva come asse la Democrazia cristiana, è venuta
meno la capacità dirigente del vecchio blocco di potere (che è sempre stata
molto limitata del resto), non si è ancora costruito un nuovo blocco di potere
che possa portare ad un nuovo blocco storico. Blocco di potere è un'espressione
che GRAMSCI non usa, la usa TOGLIATTI, intendendo la fase di preparazione di un
nuovo blocco storico e di una nuova società, di una nuova base sociale, di un
nuovo tipo di Stato, di un nuovo rapporto tra base sociale e Stato. Il
momento di questa crisi di egemonia è dunque un momento anche di crisi ideale,
di crisi culturale, di crisi morale. Gramsci dà grande valore al momento del
soggetto, della coscienza, delle idee nel processo rivoluzionario. L'egemonia è
iniziativa, è intervento sul processo e guida del proletariato, come già Lenin
aveva detto quando rimproverava ai menscevichi di alterare il materialismo
storico, di deformarlo perché non capivano la funzione dei partiti i quali,
avendo individuato e compreso la realtà oggettiva, intervengono nel processo
per condur1o in una determinata direzione. Lenin dice: i menscevichi non hanno
capito la prima tesi su Feuerbach, la funzione del rapporto soggetto-oggetto.
Non è a caso che Gramsci chiama il marxismo FILOSOFIA della prassi, usando una
terminologia che e usata da GENTILE (si veda). Però Gramsci l'usa in tutt'altro
senso; non la prassi dell'intelletto, come intende GENTILE, ma la prassi
trasformatrice, rivoluzionaria, unità di soggetto-oggetto, intervento del
soggetto sulla realtà. Attenzione però. Gramsci parla sempre di egemonia
della CLASSE operaia, non del partito, perché Gramsci non ha mai rinnegato
l'esperienza dei consigli di fabbrica e ritiene che la classe operaia debba
darsi una molteplicità di organizzazioni per conquistare il potere. Mai Gramsci
ha pensato che la classe operaia conquisti il potere solo col partito, essa
deve avere altri collegamenti, altre organizzazioni, deve essere presente nelle
istituzioni statali oltre che di massa. Inoltre Gramsci non mortifica mai
il movimento, dice che l'elemento cosciente deve saper depurare il movimento
spontaneo da quanto c'è in esso di contraddittorio, di arretrato, di
reazionario anche, deve depurarlo e portarlo al livello della scienza moderna,
cioè del marxismo. Ma non si deve né disprezzare, né trascurare la spontaneità,
che bisogna però aiutare. Bisogna partire da quello che egli chiama il senso
comune e vedere quanto c'è di sano in questo senso comune, nelle sue
contraddizioni, nelle sue superstizioni, nelle sue posizioni arretrate.
indice Il partito, moderno «Principe» È compito del partito
cogliere questo elemento sano, tirarlo fuori dal guscio (il nocciolo razionale,
direbbe Marx) e portarlo al livello di una coscienza scientifica della realtà.
Il partito è il momento decisivo della formazione dell'egemonia della classe
operaia; non è possibile egemonia della classe operaia senza il partito, perché
esso è l'unificatore dell'azione e del pensiero, della FILOSOFIA istintiva, non
consapevole, presente nell'azione, e della filosofia consapevole che bisogna
fare acquisire, dando la prospettiva, dando la visione dell'insieme. In
questo senso egli chiama il partito il moderno principe, riferendosi a
MACHIAVELLI e valorizzando enormemente MACHIAVELLI. Un PRINCIPE moderno non più
come individuo, perché nella società moderna questo non è più possibile, ma
come intelligenza e VOLONTA COLLETTIVA personificazione di una grande volontà
collettiva: il partito è il moderno principe. Del partito Gramsci mette
molto in rilievo l'elemento della coscienza e della direzione. In ogni partito,
secondo Gramsci, ci sono tre strati: uno di dirigenti, molto ristretto, a
livello nazionale, uno di base che aderisce soprattutto per entusiasmo o per
fede, e uno intermedio che collega questi due elementi. Senza questi tre
elementi il partito non c'è, però Gramsci dice: attenzione, con l'elemento di
base voi non formerete nulla, non formerete mai il partito; occorre l'elemento
dirigente. Ovvero, un esercito non forma il capitano, ma alcuni capitani
formano l'esercito. Per Gramsci la formazione del partito va dall'alto in
basso, come per Lenin, cioè parte dal congresso, parte dal punto più alto della
consapevolezza, il che non è una visione burocratica, ma è una visione di
intervento della coscienza, della direzione sul movimento spontaneo. Educazione
del movimento spontaneo, perché tutta la concezione pedagogica di Gramsci,
dell'educazione come sforzo, come disciplina, dello studio anche come fatica,
ci dice chiaramente come egli intenda la direzione. Il partito è il
grande riformatore intellettuale e morale, quello che supera la vecchia
concezione e ne costruisce una nuova. C'è in GRAMSCI il superamento del
meccanicismo materialistico tipico di BORDIGA, di tutto il movimento socialista
da cui lui veniva. Il suo ragionamento sul blocco storico è un ragionamento
sulla totalità sociale, su gli elementi sociali, politici e culturali:
l'egemonia costruisce un determinato blocco storico e il blocco storico si
tiene insieme grazie all'egemonia, grazie alla direzione. L'egemonia è il
momento di saldatura. Ecco quindi un'egemonia che rompe il precedente
blocco storico. Rompe il vecchio tipo di totalità sociale ormai in crisi e
costruisce un nuovo tipo di totalità sociale, anzi, direi, sociale, politica e
culturale. Dicevo che Gramsci pone l'esigenza di una nuova strategia, non
di più. A mio parere di più non poteva fare negli anni trenta: ha smesso di
scrivere i Quaderni, quando la sua malattia si era tanto aggravata da
togliergli la forza fisica di scrivere. In questa elaborazione noi siamo
andati avanti, cercando di dare una risposta a che cosa è la strategia
rivoluzionaria in paesi capitalisticamente sviluppati. L'abbiamo cominciato a
fare durante la guerra di Liberazione, parlando di democrazia progressiva, di
democrazia di tipo nuovo, come diceTogliatti. Secondo Togliatti non ci si
puo più rifare al modello russo della rivoluzione perché la rivoluzione ha modi
e scadenze diverse a seconda dei paesi, non c'è un unico modello. La ricerca
del nuovo modello avrebbe potuto avvenire attraverso l'azione dei Comitati di
Liberazione Nazionale che Togliatti valorizza quando dice: avremmo preso una
strada più rapida e più sicura se avessimo potuto mantenere in piedi questi
comitati. Lo afferma al quinto congresso del PCI. Lavorando su questa
indicazione di Gramsci, e non solo, lavorando sulla realtà oggettiva,
riprendendo l'esperienza della guerra di liberazione, siamo venuti costruendo
quella strategia che è, che chiamiamo la via italiana al socialismo. Questa
strategia non può grettamente rinchiudersi in una sola nazione, deve per forza
avere delle convergenze con la strategia di altri partiti, del movimento
operaio in altri paesi capitalistici. Quello che gli altri chiamano
euro-comunismo è fatto di accordi tra noi e il partito comunista francese, il
partito spagnolo ed altri partiti. Abbiamo naturalmente esteso il
concetto di egemonia.Per noi l'egemonia, la capacità dirigente della classe
operaia è capacità di realizzare tutte quelle alleanze che sono indispensabili
affinché la classe operaia abbia accesso al potere in una società di
capitalismo monopolistico e di capitalismo monopolistico statale. Perciò la
classe operaia deve andare al di là dell'alleanza operai-contadini poveri (tra
l'altro i contadini oggi sono solo il 15% della popolazione, comprendendo anche
quelli ricchi), ma deve arrivare ai ceti medi delle città e delle campagne,
deve arrivare al settore della piccola e media industria. Si tratta di un
sistema di alleanze assai articolate e, badate bene, contraddittorio. perché,
tra gli operai della piccola e media industria e il proprietario della piccola
e media industria c'è indubbiamente una contraddizione, una contraddizione che
noi dobbiamo indirizzare verso la contraddizione principale, come direbbe
Mao-Tse-Tung, ovvero contro il capitalismo monopolistico. Ora alleanze
sociali cosi ampie non possono che esprimersi a livello politico, cioè in
partiti politici. Questa è una cosa che GRAMSCI non aveva presente, per lui un
partito solo faceva la rivoluzione: il Partito comunista. Al Partito socialista
bisognava tagliare le radici.Gramsci non arrivava a questa visione cosi ampia
delle alleanze, non ci poteva arrivare. indice Quale
pluralismo Per noi invece questa visione si esprime in una pluralità di
partiti, e d'altra parte le democrazie popolari ci danno un esempio di
pluralità di partiti. In Polonia, nella RDT, vi sono partiti che hanno una
scarsa autonomia forse, ma esistono realmente. Come mandare oltre questa
esperienza? Sviluppando un sistema di alleanze, anche a livello politico, che è
fatto di contrasto, che è fatto di confronto, che è fatto di lotta. Ad
'esempio, la nostra alleanza col partito socialista è anche lotta, è anche
discussione non priva di asprezze, naturalmente. Questo sistema lo possiamo
chiamare pluralismo, pluralismo sociale e politico, assumendo un termine che
non è nostro, che è estraneo al marxismo, ma che viene dalla sociologia
cattolica e dalla sociologia americana. La sociologia cattolica intende
per pluralismo una pluralità di istituzioni che si equilibrano l'uno con
l'altra: la famiglia, la chiesa, lo STATO ITALIANO, la scuola e cosi via. Il
suo pluralismo è fondato sull'interclassismo, cioè sulla collaborazione tra
classe operaia e capitalisti e sul superamento della contraddizione tra l'una e
gli altri. La sociologia americana dice: il pluralismo è una pluralità di
istituti che impedisce a una sola forza di avere l'egemonia, il dominio, la
prevalenza. Per noi il pluralismo è invece un'ampiezza di alleanze
sociali e politiche tale da isolare il grande capitale monopolistico, la sua
logica e la logica da cui oggi è dominato il capitalismo di stato in questa
società, 1ìno a sconfiggerlo. Cosi si realizza il vero pluralismo, perché noi
diciamo che fino a quando esiste il grande capitale il pluralismo reale nella società
non ci sarà mai, sarà sempre apparente. La costituzione è pluralistica,
ma il pluralismo reale della nostra vita è apparente. Invece vi è il monopolio
dei mezzi di informazione, dell'economia e cosi via. Ad esempio il
pluralismo della società americana nasconde la realtà di una società in cui il
potere economico e politico è al massimo grado concentrato, e la partecipazione
democratica dei cittadini è puramente formale. In realtà, devono votare per due
partiti che si confondo l'un con l'altro, che si mescolano, non si sa bene che
differenza ci sia tra democratici e repubblicani. A volte i democratici su
certe cose sono d'accordo con i repubblicani, su altre sono d'accordo solo con
certi repubblicani. Si può dire che negli Usa ci sia un pieno trasformismo. Un
reale pluralismo si ha quanto più si batte il capitalismo, quanto più si
avviano forme di autogoverno della società, di partecipazione. Il nostro
pluralismo è anche statale, di istituzioni statali e sociali. L'autonomia del
sindacato, poi, è un momento decisivo. Quando diciamo pluralismo delle
istituzioni statali intendiamo parlamento, regioni, comuni autonomi,
comprensori, consigli di quartiere o di circoscrizione, sino ad arrivare ai
consigli di fabbrica che non sono un istituto statale, ma sono sanciti dai
contratti e riconosciuti dallo Statuto dei lavoratori. Perciò pluralità di
istituzioni sociali e politiche. Inoltrel'autonomia dei sindacati significa che
il pluralismo è già dentro la classe operaia, che esso non caratterizza
semplicemente il rapporto della classe operaia con forze sociali non proletarie
e il rapporto del Partito comunista con partiti non proletari, ma che vive
nella classe operaia. Infatti nella classe operaia ci sono i comunisti, ci sono
i socialisti, ci sono anche i democristiani, c'è anche il sindacato autonomo,
c'è il consiglio di fabbrica, che ha anche esso una sua dialettica nei rapporti
col sindacato e coi partiti. Il pluralismo vive nella classe operaia e per
questo può attuarsi nella società. Egemonia nel pluralismo, dunque, e non:
egemonia e pluralismo, come diceva bene Ingrao, e fra i due termini c'è un
rapporto dialettico. Più egemonia c'è, e più c'è pluralismo, non come
confusione di forze, ma come forma di lotta, la più ampia, la più acuta, la più
caratterizzata dal punto di vista di classe oggi. D'altra parte, senza
pluralismo non si ha egemonia, ma isolamento della classe operaia e suo ritorno
a posizioni subalterne. Di tale nesso dialettica tra i due termini i nostri
avversari ovviamente non capiscono nulla, e dicono: se parlate di egemonia non
potete parlare di pluralismo, e viceversa. Dal punto di vista della
sociologia cattolica e americana hanno ragione, ma noi usiamo questo termine
con tutt'altro significato. Legato a questo si pone anche il tema della
dittatura del proletariato. Come ci collochiamo? Quando i
socialdemocratici escludevano la dittatura del proletariato, e anche Kautsky la
escluse dopo la rivoluzione d'Ottobre, in realtà dilatavano una concezione
della democrazia tale per cui nell'esercizio della democrazia si arriva al
socialismo, ma smarrivano la questione dell'autonomia e dell'egemonia della
classe operaia, concepivano il processo come puramente elettorale e non come
un'egemonia che rompe il blocco avversario, che aggrega e costruisce un nuovo
fronte, quindi un'egemonia fondata sull'iniziativa e sulla lotta. Noi
abbiamo parlato di dittatura del proletariato nella Dichiarazione programmatica
del congresso per sottolineare come cambino le forme della dittatura del
proletariato a seconda dei paesi. Abbiamo mantenuto il concetto, ma abbiamo
sottolineato questo elemento: cambiano le forme. Abbiamo ripreso questo
concetto al decimo congresso, per sottolineare che della dittatura del
proletariato emerge sempre di più l'elemento della direzione e del consenso. In
seguito non abbiamo più ripreso questa nozione, l'abbiamo lasciata
cadere. Mi chiedo se sia compito dei documenti del partito affrontare
questa questione tipicamente teorica o se invece non si debba sviluppare la
discussione e il dibattito a livello teorico su questo problema. Ad ogni
modo la mia opinione, che altri possono naturalmente confutare, è che la
nozione della dittatura del proletariato è nella situazione italiana
dialetticamente superata, il che può voler dire assunta ad un livello
superiore. Cosa significa? Significa che la classe operaia deve, at·
traverso tutto un processo (oggi un accordo programmatico, poi un governo
unitario), costruire un nuovo blocco di potere in cui essa sappia avere una
funzione dirigente. D'altra parte, un nuovo blocco di potere o si
costituisce sotto la direzione della classe operaia o non si
costituisce. Blocco di potere certamente contraddittorio dal punto di
vista sociale e politico che dovrà saper risolvere le sue stesse contraddizioni
in modo progressivo se ne sarà capace. L'egemonia si conquista, la direzione si
conquista ogni giorno. Ecco allora che è il blocco di potere ad
esercitare la coercizione sulla società attraverso la legalità dello Stato.
L'elemento della coercizione non può essere eliminato, non si costruisce il
socialismo senza coercizione, anche dura, ma essa viene esercitata dal blocco
del potere, non direttamente dalla classe operaia. Del resto anche nella
concezione di Lenin e nella realtà, la classe operaia ha esercitato la
coercizione contro i nemici di classe e non verso i contadini poveri, non verso
gli intellettuali. Lenin diceva: gli specialisti li dobbiamo conquistare, qui
la coercizione non serve, li dobbiamo convincere a lavorare per noi, bisogna
pagarli molto, ecc. ecc. Anche allora nel blocco di potere c'è un elemento di
consenso e un elemento di costrizione. Se si allarga il blocco di potere,
come da noi deve allargarsi, si allarga anche la sfera del consenso, ma di un
consenso molto travagliato, ottenuto con le lotte, tra contrasti, anche,
tutt'altro che scontato. L'altro elemento è che non solo la classe operaia non
esercita direttamente la coercizione, ma non impone nemmeno il suo modello di
Stato a tutta la società. Nella rivoluzione russa è avvenuto questo: i Soviet,
che sono un istituto tipicamente operaio, nato dal movimento operaio russo, si
sono estesi ai contadini e ai soldati, e poi son diventati l'istituto statale.
La classe operaia ha creato cioè la società a sua immagine e somiglianza, per
riprendere una frase biblica, cioè ha impresso la sua visione statale su tutta
la società. Noi questo non lo facciamo e non lo proponiamo, noi assumiamo
il parlamento dalla storia della democrazia ateniese, noi assumiamo i comuni,
le stesse regioni derivano da una tradizione non nostra, e introduciamo, come
elementi nostri invece, i consigli di fabbrica, il decentramento nei quartieri
e cosi via, i quali sono gli elementi di una democrazia diretta che supera il
parlamentarismo. In questo senso allora mi pare che non si possa parlare
di dittatura del proletariato, perché della dittatura del proletariato cade un
elemento: la coercizione esercitata direttamente dalla classe operaia nelle sue
forme e nei suoi modi. La coercizione resta ma è di tutto il blocco di potere
che esercita anche la direzione sulla società, non sola la coercizione.
Inoltre all'interno del blocco di potere la classe operaia deve sapere
esercitare la sua funzione dirigente per costruire lo stesso blocco di potere,
per tenerlo insieme, per trasformarlo in senso progressivo. Mano a mano che si
va avanti nel senso del socialismo, anche il blocco di potere si trasforma e
diventa più avanzato, più omogeneo dal punto di vista di classe e cosi
via. Allora si mantiene della dittatura del proletariato questo elemento
essenziale: l'autonomia e l'egemonia o direzione della classe operaia,
superando l'altro elemento, lo elemento della coercizione inquadrandolo in un
ambito più ampio. Questa è soltanto la mia opinione in proposito. C’è
in molti giovani comunisti uno stile di serietà riflessiva, di maturità e di
chiarezza responsabile, che stupisce, se confrontato al tono un pò vacuo,
avventato o ciondolone, che è tradizionale di molta gioventù italiana. Sono
giovani che, usciti dalla dura scuola che i tempi impartiscono – sia pur con
diverso profitto – a ciascuno, son passati alla scuola del partito, e diventano
in breve dirigenti : acquistano quel piglio, quel polso, quella quadratura,
quasi non avessero fatto altro da molti anni, o come se tutto in loro da tempo
tendesse a farne dei quadri comunisti, o non altro. Un dirigente di questo tipo
è G., segretario della Federazione di Torino. Laureato in , e questa FILOAOFI è
una delle chiavi della sua personalità, ma proprio in un senso che smentisce
nel modo più assoluto il concetto che del FILOSOFO s’ha volgarmente. Tutto in G.
è esattezza logica, ragionamento filato, rigore razionale. Un matematico,
potrebbe anche essere, se i numeri non fossero entità troppo astratte per il
suo bisogno di concretezza. Così Calvino, dalle pagine de l’Unità piemontese,
descriveva G. Mi sembra giusto rendere onore ad un grande compagno, anche
se non ho avuto la fortuna di conoscere se non attraverso i suoi scritti.
G. è stato per lungo tempo il responsabile della Sezione culturale del PCI e
successivamente direttore dell’Istituto di studi comunisti Togliatti, la famosa
scuola di Frattocchie. Pubblica saggi su Rinascita, su l’Unità, su Critica
marxista -- di cui è stato vicedirettore --, assieme ad altre
pubblicazioni. Il suo lavoro, nel partito ed all’istituto, è stato
fondamentale nel costruire quadri e militanti e nello sviluppare quella teoria
rivoluzionaria che a noi, comunisti del XXI secolo, così manca. Una
testimonianza diretta da mio padre Marco. “Conobbi G, alla scuola di
Partito di Frattocchie, In quel periodo il partito si era impegnato molto nella
formazione dei gruppi dirigenti. Io insieme ad altri compagni della gloriosa
Federbraccianti delle varie regioni d’Italia, avevamo partecipato,
orgogliosamente, a quella settimana di studi e approfondimenti sulla questione
agraria e economica del mezzogiorno. Ci colpi’ molto la preparazione e la
competenza di G., ma soprattutto il suo linguaggio e la sua dialettica,
coerentemente alineata a sani principi etico-morali. E uno che volava
alto, ogni tanto si lasciava andare in ragionamenti filosofici che a noi,
ancora politicamente acerbi, sembravano un pò difficili. Una settimana intensa
e ricca che ci forni strumenti di analisi, di critica e di proposta.”
Qualche cenno biografico per i compagni che non lo conoscono, dal sito
biografico gestito dalla moglie e da suo nipote Bonavoglia
http://digilander.libero.it/lucianogruppi/ : Iscritto al Partito comunista.
Partecipa alla Resistenza. Dopo la Liberazione è membro della Segreteria e
responsabile della Commissione giovanile della Federazione di Torino. Responsabile
della Commissione giovanile, poi della Sezione di stampa e propaganda, membro
della Segreteria della Federazione di Milano. Responsabile della Sezione
d’organizzazione e vicesegretario della Federazione di Torino. Segretario della
Federazione di Torino. Fa parte della Segreteria regionale del Piemonte. Membro
della segreteria del Consiglio mondiale del Movimento dei partigiani della pace
a Praga e a Vienna. Vice responsabile della Sezione di stampa e propaganda
del Comitato centrale del PCI. Fa parte della segreteria della Federazione di
Torino ed è capogruppo consiliare al Comune di Torino. Rappresentante del
PCI nel Comitato di redazione della rivista internazionale Problemi della pace
e del socialismo, a Praga. Vice responsabile della Sezione culturale del
Comitato centrale del PCI. Dal ’64 al ’66 responsabile della Sezione per
le scuole di partito. Vice responsabile della Sezione culturale del
Comitato centrale del PCI. Vicedirettore della rivista Critica
marxista. Direttore dell’Istituto di studi comunisti Togliatti
(Frattocchie). Presidente dello stesso istituto. Membro del Comitato
centrale, Membro della Commissione centrale di controllo. Al congresso ha
chiesto di non essere riproposto per organismi dirigenti del PCI; Ha
restituito la tessera dei Democratici di Sinistra; Iscritto al Partito
della Rifondazione Comunista; Nello stesso sito è possibile trovare
l’importantissimo “La concezione marxista dello Stato”, che riunisce le lezioni
tenute presso Frattocchie. digilander. libero.it/ lucianogruppi/
concezionedellostato/ la_concezione_dello_STATO ITALIANO. Per finire, la
commemorazione su “L’Ernesto” .marx21.it/rivista/- marx-dalla- democrazia-radicale-al-comunismo rivoluzionario.html
Un breve estratto da quest’ultimo articolo, ancora oggi attualissimo, di Torsi
e Giannini, che mi sento di condividere in pieno : “Due propensioni,
quella dello studio teorico e della formazione, quanto mai necessarie ed attuali
oggi, in questa fase caratterizzata sia dalla povertà teorica che segna di sé
una parte significativa del movimento comunista che dalla grave
sottovalutazione del valore della formazione politico-teorica ( la scuola
quadri) che si manifesta anche in Rifondazione comunista. G., dunque, non
solo nel ricordo: ma per il lavoro futuro, come è destino dei grandi. Grice: “In retrospect, I can
imagine that it may have been torture for my pupils to have to endure my
tutorials on ordinary language philosophy, when none of them ‘parled’ it!” -- Luciano
Gruppi. Gruppi. Keyword: la via italiana al
socialismo, egemonia della filosofia del linguaggio ordinario -- Refs.: Luigi
Speranza: Grice e Gruppi” – The Swimming-Pool Library.
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