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Monday, October 28, 2024

GRICE ITALO A/Z G GU 2

 

Grice e Guicciardini: la ragione della conversazione e la ragion di stato – la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dele cose dello stato – filosofia toscana – filosofia fiorentina – scuola di Firenze -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Guicciardini. Grice: “Guicciardini is what I call an Italian classic; some like Machiavelli, as Austin used to say, “but Guicciardini is MY Renaissance man!” – Grice: “There are various topics of interest: the italian of Machiavelli and Guicciardini in the development of a philosophical political lexicon; there’s the trope of the centaur –‘all’ombra del centauro.’ – Pure political philosophy of the type enjoyed by members of the Debating Union at Oxford!”  Terzogenito dei Guicciardini, famiglia tra le più fedeli al governo mediceo. Dopo una prima formazione umanistica in ambito familiare dedicata alla lettura dei grandi storici dell'antichità (Senofonte, Tucidide, Livio, Tacito), studia a Firenze seguendo le lezioni di Pepi. Soggiornò a Ferrara per poi trasferirsi a Padova per seguire le lezioni di docenti di maggior importanza. Rientrato a Firenze, esercita l'incarico di istituzioni di diritto civile. Nominato capitane dello Spedale del Ceppo. Inizia la stesura delle Storie fiorentine e dei Ricordi. Dieci anni prima si chiudono quelle Cronache forlivesi di Leone Cobelli che espongono le premesse degli avvenimenti riguardanti Caterina Sforza e Cesare Borgia di cui G. si occupa, nelle sue Storie, per i notevoli riflessi che hanno sulla politica fiorentina. In occasione della guerra contro Pisa, venne chiamato a pratica dalla signoria, ottenendo l'avvocatura del capitolo di Santa Liberata. Questi progressi portarono G. anche ad una rapida ascesa nella politica, ricevendo dalla Repubblica Fiorentina l'incarico di ambasciatore presso Ferdinando il Cattolico. Da questa sua esperienza nell'attività diplomatica nacque la Relazione, e anche il "Discorso di Logrogno", un'opera di teoria politica in cui G. sostiene una riforma in senso aristocratico della Repubblica fiorentina. Fece parte degli Otto di Guardia e Balia ed entra a far parte della signoria, divenendo, grazie ai suoi servigi resi ai Medici, avvocato concistoriale e governatore di Modena, con la salita al soglio pontificio di Giovanni de' Medici, col nome di Leone X. Il suo ruolo di primo piano nella politica emiliano-romagnola si rinforza con la nomina a governatore di Reggio Emilia e di Parma. Nominato  commissario generale dell'esercito pontificio, alleato di Carlo V contro i francesi, matura quell'esperienza che sarebbe stata cruciale nella redazione dei suoi Ricordi e della Storia d'Italia.  Alla morte di Leone X, si trova a contrastare l'assedio di Parma, argomento trattato nella Relazione della difesa di Parma. Dopo l'assunzione al papato di Giulio de' Medici, col nome di Clemente VII, venne inviato a governare la Romagna, una terra agitata dalle lotte tra le famiglie più potenti. Diede ampio sfoggio delle sue notevoli abilità diplomatiche.  Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propaganda un'alleanza fra gli stati regionali allora presenti in Italia e la Francia, in modo da salvaguardare in un certo qual modo l'indipendenza della penisola. L'accordo fu sottoscritto a Cognac, ma si rivelò ben presto fallimentare; di questo periodo è il Dialogo del reggimento di Firenze, in cui si ripropone il modello della repubblica aristocratica. La Lega subì una cocente disfatta e Roma fu messa al sacco dai Lanzichenecchi, mentre a Firenze veniva instaurata la repubblica. Coinvolto in queste vicissitudini, e visto con diffidenza dai repubblicani per i suoi trascorsi medicei, si ritira nella villa G. di Finocchieto, nei pressi di Firenze. Qui compose due orazioni, l'Oratio accusatoria e la defensoria, ed una Lettera Consolatoria, che segue il modello dell'oratio ficta, nella quale espose le accuse imputabili alla sua condotta con le adeguate confutazioni, e finse di ricevere consolazioni da un amico. Scrisse le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la prima deca di Livio", in cui accese una polemica nei confronti della mentalità pessimistica dell'illustre concittadino. Completa anche la redazione definitiva dei Ricordi. Lasce Firenze e ritorna a Roma, per rimettersi di nuovo al servizio di Clemente VII, che gli offrì l'incarico di diplomatico a Bologna. Dopo il rientro dei Medici a Firenze, fu accolto alla corte medicea come consigliere del duca Alessandro e scrisse i Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro. Non fu tenuto tuttavia in altrettanta considerazione dal successore di Alessandro, Cosimo I, che lo lascia in disparte. Si ritira nella sua villa Guicciardini di Santa Margherita in Montici ad Arcetri. Rriordina i Ricordi politici e civili, raccolse i suoi Discorsi politici e scrisse la “Storia d'Italia. Morì ad Arcetri, quando da circa due anni si era ormai ritirato a vita privata.  Guicciardini è noto soprattutto per la Storia d'Italia, vasto e dettagliato affresco delle vicende italiane tra l’anno della discesa in italia del Re francese Carlo VIII e il anno della morte di Papa Clemente VII. -- è un monumento al ceto italiano e più specificamente alla scuola fiorentina di filosofi di cui fecero parte anche Machiavelli, Segni, Pitti, Nardi, Varchi, Vettori e Giannotti.  L'opera districa la rete attorcigliata della politica degli stati italiani del Rinascimento con pazienza ed intuito. L'autore volutamente si pone come spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati eccellenti come analista e filosofo (anche se più debole è la comprensione delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo).  G. è l'uomo dei programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui al saggio è richiesta la discrezione (Ricordi), ovvero la capacità di percepire "con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si determina la varietà delle circostanze. La realtà non è quindi costituita da leggi universali immutabili come per Machiavelli. Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è il particulare (Ricordi) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e dello stato. In altre parole, il particulare non va inteso ego-isticamente, come un invito a prendere in considerazione solamente l'interesse personale, ma come un invito a considerare pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica situazione in cui si trova (dottrina che collima con quello di Machiavelli).  In netta polemica, Pitti scrisse l'opuscolo Apologia dei Cappucci, a difesa della fazione dei democratici. E considerato il progenitore della storiografia moderna, per il suo pionieristico impiego di documenti ufficiali a fini di verifica della sua Storia d'Italia.  La reputazione di G. poggia sulla Storia d'Italia e su alcuni estratti dai suoi aforismi. I suoi discendenti aprirono gli archivi di famiglia e diedero incarico a Canestrini di pubblicare le sue memorie.  Furono pubblicati i suoi Carteggi, che contribuirono ad un'accurata conoscenza della sua personalità.  «L’angolo di prospettiva dal quale si prese a considerare, nella prima metà del secolo XVII, l’opera guicciardiniana, la posizione di questa nel giudizio dei lettori secenteschi, sono bene indicati da uno spirito acuto dell’epoca, A. G. Brignole Sale. “Quindi non per altro, a mio giudizio, porta pregio G. sopra il Giovio, sol che questi, qual pittor gentile, de’ soggetti ch’egli ha per le mani colorisce agli occhi altrui con vivacissimi ritratti, senza inviscerarsi, la superficie, quegli per contrario, qual esperto notomista, trascurando anzi dilacerando la vaghezza della pelle, vien con l’acutezza della sua sagacità fino a mostrarci il cuore e il cervello de’ famosi personaggi ben penetrato.” All’affiatamento con lo spirito dell’opera guicciardiniana si accompagnò, sul piano letterario, una migliore intelligenza del suo stile, di cui si cominciò ad ammirare, superando le pedanti riserve linguistiche, la scorrevolezza, l’intima misura e precisione pur nel tono sostenuto. Tuttavia, proprio dal più accreditato esponente letterario del tacitismo, Boccalini, fu formulato un giudizio tra i meno benevoli alla Storia.»  Il giudizio di Francesco De Sanctis  Copertina di un'antica edizione della Storia d'Italia Sanctis non ebbe simpatia per G. ed infatti non nascose di apprezzare maggiormente Machiavelli. Nella sua Storia della letteratura italiana il critico irpino mise in evidenza come G. fosse, sì, in linea con le aspirazioni di Machiavelli, ma se il secondo agì in linea con i suoi ideali, il primo invece "non metterebbe un dito a realizzarli". De Sanctis affirma:“Il dio del G. è il suo particolare.” “Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici, o lo stato del Machiavelli.” “Tutti gli ideali scompaiono.” “Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato.” “Non rimane sulla scena del mondo che l'INDIVIDUO.” “Ciascuno per sé, verso e contro tutti.” “Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita”. E poco più in basso aggiunse. “Questa base intellettuale è quella medesima del Machiavelli, l'esperienza e l'osservazione, il fatto e lo «speculare» o l'osservare. Né altro è il sistema. G. nega tutto quello che il Machiavelli nega, e in forma anche più recisa, e ammette quello che è più logico e più conseguente. Poiché la base è il mondo com'è, crede un'illusione a volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di asino, e lo piglia com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo istrumento".  Nel Romanticismo, la mancanza di evidenti passioni per l'oggetto dell'opera era infatti vista come un grave difetto, nei confronti sia del lettore che dell'arte letteraria. A ciò si aggiunga che G. vale più come analista e filosofo che come scrittore. Lo stile è infatti prolisso, preciso a prezzo di circonlocuzioni e di perdita del senso generale della narrazione. "Qualsiasi oggetto egli tocchi, giace già cadavere sul tavolo delle autopsie".  Altre opera: Scritti autobiografici e rari (Laterza), Storie fiorentine; Discorso di Logrogno, Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli, Ricordi politici e civili Dialogo del Reggimento di Firenze, Storia d'Italia, Scritti sopra la politica di Clemente VII dopo la battaglia di Pavia (Firenze, Olschki); Le cose fiorentine, R. Ridolfi, Firenze, Olschki, Carteggi,  presso Zanichelli, Bologna;  presso Istituto per gli studi di politica, Firenze; presso Istituto storico italiano, Roma; presso G. Ricci, Roma. "Donna di grandissimo animo e molto virile", secondo G. (Storie fiorentine). N. Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, A. G. BRIGNOLE-SALE, Tacito abburatato, Genova, «Or chi non vedescriveva il Tassoniche questo è uno stil maestoso e nobile, quale appunto conviensi alla grandezza delle cose proposte e alla prudenza politica dell’Istorico che le tratta? e che non ostante i periodi sien tutti numerosi e sostenuti, per esser ben collocate le parole fra loro, e però l’ordine, e ’l senso facile e piano in maniera che ’l lettore non trova scabrosità né intoppi, come nello stil di Villani, che va saltellando e intoppando a ogni passo etc. A. TASSONI, Pensieri diversi, Venezia,  Il legame del pensiero politico tassoniano con quello di G. (incluso, a differenza del Machiavelli, tra gli storici della «prima schiera» con Comines e Giovio, ossia considerato pari agli antichi; v. Pensieri) e del Machiavelli è noto: i due fiorentini, come dice il Fassò, furono «i due poli» a cui si volse la sua riflessione politica. (Introduz. a TASSONI, Opere, Milano-Roma,  T. BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso e Pietra del paragone politico, I, Bari,  Binni, I classici italiani nella storia della critica: Da Dante al Marino, Nuova Italia, Testi Dialogo e discorsi del reggimento di Firenze” (Bari, Laterza); “Historia di Italia, Pisa, Capurro; Historia di Italia. Libri (Venezia, Angelieri): Scritti autobiografici e rari” (Bari, Laterza); “Scritti politici” (Bari, Laterza); “Storia d'Italia” (Bari, Laterza); “Storie fiorentine” (Bari, Laterza); Studi R. Ridolfi, 'Vita', Milano, Rusconi Treves, Il realismo politico, Firenze, R. Ramat, “La tragedia d'Italia” Firenze, V. De Caprariis, G. Dalla politica alla storia, Napoli, (ristampa Bologna, G. Sasso, Per G. Quattro studi, Roma, E. Cutinelli-Rèndina, G., Roma, Famiglia G.. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Propositioni, overo Considerationi in materia di cose di Stato, sotto titolo di Avvertimenti, Avvedimenti Civili, & Concetti Politici di G., Lottini, Sansovini, Venezia, Presso Altobello Salicato, Opere illustrate da Canestrini, Firenze, Barbera, Bianchi e Comp., (Bari, Gius. Laterza); biblioteca italiana. Il principe, che colmezo del suo Ambasciatore vuole ingannar Paltro, deue prima ingannar l'Ambasciatore, perche opera, en parla con maggior efficaccia, credendo che cosi sia la mente del fuo Principei, lche non farebbese credesse essere simulatione, eg il medesimo ricordousi ogn'uno, che permezo d'altrivuoleper Juaderea un'altro il falso. DAL fareò non fare una cosa che paiaminima, depende ben spejlo momento di cose importantissime, o però nelle cosepiccole deue fieffere auuertito, ceonsiderato. FÁCIL cosa è guastarsi un bel'esere dificile al racquistarlo, però chi si truong in buon grado deue fareogni sforzo di non lasciar selovscirdimano. E' Pazzia sdegnarsi con quelle persone con le quali per la grandezza loro, tu non puoi sperare di poter uendicarti, però se bena pare essere ingiuriato da questi, bisogna patire, e simulare NELLE cose di guerra nasconoda un'hora à vn'altra infinite varietà, però non fide uepigliare troppo animo dele nuoue prospere, nè uiltà delle auuerse, perche speso nasce qualche mutatione, ma questo deue insegnare, che a chi se li presenta l'occasione non la perda, perche dura poco. COME il fine de mercanti è il piu delle volte il fallire; quello de nauiganti il fom mergere, cofi spesso di chi lungamente gouerna il fine è capitar male QYESTI ricordi son REGOLE, che in qualche caso particolare che ha diversa   LE cose che sono uniuerfalmente desiderate, rare uolte riescono, la ragione è cheli pochi sono quelli che communemente danno il motto alle cose, e a li fini, di che sono contrarij al jaigli appetitidi molti TVTTE le sicurtà che si possono hauere del'inimico son buone, di fede, di amici, di promesse, ed'altre assicurationi, ma per la mala conditione degli huomini, e variatione de tempi nissuna altraè migliore, & piu ferma, che accommodarsi in modo, chel'inimico non habbia poteftà d'offenderti. Nessuna cosa deve desiderare piu l'huomo in questo modo, nè attribuirlo piu a fua felicità, che uedere l'inimico fuo prostrato in terrae ridotto a termini tali, che tu l ' habbia a discretione. Ma quanto è felice a chi accade questo, tanto deve farsi glorioso conl'ofarla laudabilmente, cioè esser clemente a perdonare, cofa propria degli animi generofi, & eccellenti: ragione,   ragione, hanna eccettione, ma quali fiano quei casi particolari, si pofono male insegnare altrimenti, chceon la difcrettione. diuèdicarsi dite, non lo faccia precipitosamente, anzi aspetti il tempo e l'occasione, la quale senza dubbio liuerrà di forte, che senzas coprirsi maligno, o appasionato, potrà sodisfareal fuo desiderio. Chi ha da gouernare Città, opopolieli vogliatenercoreti, Sappia che ordina riamente basta punire i delinquenti aföldiquindici per lira, ma è necessario punirli tutti, che in effetto si acustigato ogni delitto, ma si può ben far qualche misericordia, eccetto delli casi atroci, che bisogna dar essempio. Il ricordo di sopra, bisogna usarlo in modo chel'acquistarno medinoneser bene. fattore, nonfaccia, chegl'huomini fugghino, & a questo si prouedefacilmente, con beneficiar n feuor della REGOLA qualch’ono, perche naturalmente ha tanta si g noria negl’huomini LA SPERANZA che piuti valerà presso agl’altri, & piu essempio favno che tu haba bia beneficiato, che cento che non habbino datehauutor emuneratione.  S. Auuertimenti di ingengnate vi di non venire in mal concetto appresso di chi è superiore nella patria vostra, ne uifidate del buon gouerno del uiuer nostro, che sia tale, che non pensiate d'hauerglia capitar nelle mani; per che nascono infiniti, e non pensati casi di hauer bisogno di lui, è conuerso il Superiore se ha voglia di punire. Tutti gli huomini sono buoni, cioe doue non cauano piacere o utilità del male, piace piu loro il ben che il male: ma sono varie le corruttele del mondo e fragilità loro; & spesso perl'interesse proprio inclinano al male. Però da faui Legislatorifie per fondamento delle Republiche trovato il premio e la pena, non per violentare gli huomini, ma per che seguiti ng l’inclinatione naturale. Piu tengono a memoria gl'huomini l'ingiuria, che i beneficij riceuuti, anzi quando pure si ricordano dei benefici, lo fanno nell’imagine sua minore, che non furiputun dosimeritar piu che non meritano. Il contrario si fa dell'ingiuria, che duolead ogniuno E 'laudato appresso gl'antichi ,& è verissimo prouerbio: Magistratus virumostédit, perche con questo paragone non solo si conosce per il peso che siba, sel'huomo è d'assai o da poco, ma per lapoteftà, e licenza si scuoprono le affettioni dell'animo, cioè di che natural'huomo fia, perche quanto altrui è piu grande tanto manco freno, e rispetto ha ala sciarsi guidare da quel chegl'è naturale. SE li Scrittori fufero discreti, o gratisarebbe honesto, e debito, che li padroni li beneficiassero quanto potesero, ma perche sono il piu delle volte d'altr anatura, e quando fono pieni, o li lasciano, ò li straccano, però è piu vtile andare con loro con la mano stretta, e trattenendoli con SPERANZA, darloro di effetti tanto che bastia fare che non si di Sperino. piu, che ragione nol mente non doveria dolere, però douegl'altri termini. forpara guardate uidi far quelli piaceri, che di necessità fanno ad un altro dispiacere vguale, perche per la ragione detta di sopra, si perde in grosso, piu chen on si guadagna., perche per esperienza si vede che gli huomini non son grati, però nel fare i calcoli tuoi, òneldi segnar disponer degli huomini fa maggior fondamento in chi ne consegue vtilità, che in chi s’ha da muouer folo per rimunerarti, perche in effetto i beneficij si dimenticano. che procede da bron’animo, fi vede, che pur tal volta è remunerato qualche beneficio, e anche spesso di forte, che ne paga molti, & è credibile che aquella potestà ch'èso pragli buomini piaccino l'ationinobili, e però non consenta che sia no senza frutto: Ingegnate vid’hauere degli amici, perche son buoni in tempi, luo ghie casi, che voi non pensarete, e questo ricordo ben che vulgato, non lo può considerare profondamente quanto vaglia, achinon è accaduto in qualche fua importanza fen tirne l'esperienza: PIACE vniuersalmente, chi è dinatara vera e liberă, & è cosa generosa, ma talvolta nuoce. Ma dall'altro canto, la simulatione è vtile ,ma'è odiata, G hadelbrut the è necessaria per le male nature de glialtri, però non sò quale si debba eleggere, Credo però, che si possa vsare l'onaordinariamente, senza abbandonarl'altra, cioè nel corsotuo ordinario comume vjarla prima in modo, che acquisti no medi persona libera, non dimeno in certi casi importanti potrai sare la simulatione, la quale à chi vi ue così è tanto piu vtile, e si crede meglio quanto per bauernome del contrario, tiè facilmente creduto E INCREDIBILE quanto giouia chi ha amministratione, che le cose sue fieno segrete, perche non solo i disegni suo qiuando sifanno, possono eser prenenuti, e interrotti, ma ancora l'ignorare i suoi pensieri, fa che gl'huomini fanno sempre attoniti. Piu fondamento potete fare invnoc'habbia bisogno divoi, oc'habbia in qua! Che caso l'interese commune che in vnoc'habbia riceuuto daboi beneficio. Ho posto i ricordi di sopra, perche sappiate viuere, e riconosciate quelche le cose possono, non accio che viritiriate dal beneficiare, perche oltreche è cosa generosa, en PER Le cagioni di sopra, non laudo chi viue sempre con simulatione, & con arte, mascufo benechi qualche voltal'vja.  $1A certo che se tu desideri, che non si sappia che hai fatto, ò tentato qualche cosa, che è sempre a proposito il negarla. Perche ancora che il contrario sia quas iscoperto & publico, tutta uia negandola efficacemente, sebene non lo persuadia chi hai ndi tij, o crede il contrario, non dimeno per la negatione gagliardasegli mette il ceruello à partito. A 3 e sospetti,   e fofpetti, aoßeruare le sue attioni. Ed'ogni fuominimo moto, si fannomille commente ti,& interpretationi, il che glidà gran riputatione, però chi è in tal gradodo uerebbe auezzare i suoi ministri non solo à tacere le cose che mai sifappino, ma ancor tutte quel le che non è ptilechesi publichino. Ancora quelli che attribuendo tutto alla prudenza, o virtů, s'ingegnano escludere la fortunna, o n possono negare, che non si agrandissi ma forte nascere d quel tempo, o abbattersi a quelle occasioni, che sienoin prezzo quelle parti,o pirtùinchę tu vali . NON voglio già ritirar quelli che infiammati dall'amore delta Patriasi metto Ho a pericolo per rimetterla in libertà, e liberarla da Tiranni; ma dico bene, che chi cerca mutatione distato per suo intereffe non è sauio, perche è cofa pericolosa, eli vede cõeffettiche pochissimi trattati sono qui che riescano, e poi quando bene è successo, fide e quasisempre che nella mutatione tu no conseguisci di gran lunga quel che tu hai disegnato, & in oltre ti oblighià vno perpetuo trauaglio, perche sempre tu hai da dubitare, non tornino quelli, che tu hai fcacciatijeti vecidino. Chi pur puo leattendere'atratati,si ricordi, che nefunacosa lirouinapiucheit desiderio di volerli condurre troppo fieuri, perchéchi vuolfarperinter ponere manco tē po, implica piu huomini, e mescola piu cose, dalla qual causa si scopronosempre fimili pratiche. Et anco è da credere che la fortuna, sotto l'animo di chi son qoueste cose si j de gniconchi vuolliberarsi dalla potestà fua & asicurarsi, però è piu sécuro volerli esem quire con qualche pericolo, che controppasicurta. Non disegnates ù quello, che non hauete, nè spendete fuli guadagni futuri; perche molte volte non fuccedono, eti troui inuiluppato, & si vede il piu dele volte, che li mercanti groffifalliscono per quefto, quando per SPERANZA d'vin maggior guadagno futuro, entrano suo cambi; la moltiplicatione de quali è certa, & ha tempo determinato, ma li guadagni molte volte,o non nengono, o fiallungano piu che ildia. Osserva I quando ere Ambasciatore in Ispagna appresso il Re Ferdinan do d'Aragona Principefauio, & glorioso, che egli quando voleua fare una guerra, impresa nuoua, ò altra cosa d'importanza, non prima lap ublicaua, e poi la giustificaua, ma per il contrario vsaua arte che innāzi s'intendesse quellocʻbaueuain animo, er fi diuulgana il Re douerebbe per letali cagionifar questo in modo, che doppo publicandosi quelche già pareuagiufto ad ogni unoo necesario, è incredibile con quanta lände erano riceuute le fue deliberationi. Rcon vi affaticatea quelle mutationi che non parteris con oaltro, she mutarei viside gl’huomini: perche che beneficio ti recafe quel medesimo male, o dispeto che ti faccia Pietro ti faccia Giovanni? Jegne,   Tegno, di modo, che quella impresa che tu haueni cominciata come vtile, tiriescedania nofiffima SE hauete falit openfate la bene, e misurate la bene, tananzi che entriate inprigio ne perche ancorach'il cafo fusse molto dificile a scoprire, tamen è incredibile, a quante cose pensa il giudice diligente e desideroso di trovare la verità ,& ogni minimo spiras glio è bastante a far uenire tutto a luce, o fa tiche. Ma quelchela fa forse desiderabile ancora all'anime purgate, è l'appetito che s'had'essere fuperiore agl'altrihuomini, il che è certo. cafa bella & beata, attesomaffia me ch’innessuna altra cosa ci pesamo assomigliare a Dio denti subiti de repentini, cosa che agiudiciomio è rarissima pericoli ,& mai la medesima ragione fa, che quanto piul'huomo inuecchia, tanto pingli per fatica il morire, e sempre piu conleattioni, e con li penfieri viue, comes ejapesenon ha weremaia morire. SI CREDE, & anco spesso fe uede per esperienza che le ricchezz emale acquistate, non passano la terza generatione. Sant'Agoftino dice, che Dio permette, che chi l'haacquistate goda in rimuneratione di qualche bene, che ha fatto in vita, ma poi non passano troppo innanzi, perche è giudicio di Dio ordinariamente, che cosi nada di male larob amale acquistata. Iodiligiàadun Padre, che ameoccor reua un'altra ragione, perche chi ha acquistata la roba, è communemente allenato dapouero, l'amascsal'arte di conferuarla, ma i figliuoli che sono nati & allcuatida ho desiderato come glialtri huomini l'honore & l'otile, & infinquiper gram tia di Dio è fucceduto sopra il disegno, e nondimeno quando ho conseguito quelche desiderauo, non uiho ritronato dentro alcuna di quelle cose che mi haueuo imaginato, ragione, à chi ben la considerasse, che doueri abastare ad eftinguere affai la fete degli huomini. La grandezza di ftato vniuersalmente è desiderata, per che tuto il bene ch'èin Jei-apparisce difuori, il male stà dentro occulto, il quale chinedesse non ebarebbe forse tant anoglia, perche è pienasenza dubbio di pericoli, di sospetto di mille trauagli. Le cose non prenedute, nuocono senza comaratione pisa, che le prouifte; però chiama moio animo grande e perito, quelo che regge, e non si sbigotisce porili  Non è dubbio, che quanto piu l'huomo inuecchia, piu cresce l'auaritia. Si dice communemente esserne causà, perche l'animo diminuisce, ragione, che amenon è capace, perche è bene ignorante quel uecchio, che non conosce hauerne minor bisogno, quan ldpiu inuecchia, & inoltre ueggo, che ne'uecchi s'augmenta per il cotrario la lusuri dico l'apetito e non la forza la crudeltà, egl'altriuitij però credo, che la ragion ue-: safia, che quanto piu si uiue, tanto piu l'huom os'habitua alle cose del mondo o per consequente piu l'amaricchi, A 4   ricchi, non sanno che cosa sij l'acquistar roba , & non hauendo arte, ò modo di conservarla facilmente la disipano. Non fi può biasimare l'apetito di hauer figliuoli, perche è naturale: ma dico bene, che è fpecie di felicità non hauorne, perche etiandio chi gli ha buoni, e saur,' perdita ditenpošle quali cosesono tenute male neli nostri giudicij, che l’impossibile, chel'huomo se bene è d'ottimo ingegno, e giudicion a turale posa aggiugnère s& bene intendere certi particolari, però è necessaria le sperienza, la qual non altro gli insegna, e questo ricordo lo intenderà meglio, chi ha maneggiato facende assai, perche con le sperienza medesima ha imparato quantovan glia, e sia buona l'esperienza. Stretto non toglie à nessuno, pinsono quelli che patiscono del le grauezze del prodigo, che quelli che hanno beneficio della fica larghezza: La ragione dunque al mio giudicio è, che neglihuomini puo piu la SPERANZA che il timore, et piu Sono quelli che ferono coseguire qualche cosa dalui, che qui, che temono essere oppressi. Auuertimenti di senza dubbi omolto piu dispiacere di loro, che cosolatione. L'esempio l'ho veduto in mio Padre, che a suoi dì era essempio a Firenze di padre ben dotato di figliuoti, però pensa secomestia, chi gli ha di mala forte. Piace senza dubbio piu vn Principe c'habbia de lprodigo, chevnoo’habbia dello stretto, ő tamendo uer ebbe essere il contrario perche il prodigo è neceßitato fa reestorsioni, Grapine, lo sha messia sua volontà, & afuo beneplacito, perche la legge non gli ha voluto dar poteftà di farne gratia, ma non potendo nei casi particolari, per la varietà delle circostanze darne precisa determinarione,si rimette all'arbitrio del giudice,cioè alla sua conscienza, che considerato il tutto, faccia quelche glipare piu giusto, & bonefo, & chi altija menti l'intendesse, s'inganna, perche la forza della legge lo affolue di hauerne a dar conto, perche non hauendo il caso determinato, si può sempre scusare, ma non gli dàf a caltàdi far dono della roba d'altri. Si ved per esperienza, che i padroni tengono poco conto de seruitori, e per ogn si ua commodità, & appetito gli mettono da parte. Tolaudoque seruitori, che pigliando essempio da padroni, tengono più conto dele interesi suoi, che di loro, il che però consiglio che si faccia, salvando sempre l'honore e la fede. Erra chi crede che li casi, che la leggerí mette ad arbitrio del giudice, fienorin. Non biasimo interamente la giustitia ciuile del Turco, che è piu tosto precipitosa, che fommaria: perche chi giudica a occhi chi usi ragionevolmente, spedisce la meta delle cause giustamente, e liberale parti daspese, & spesso farebbe piu per chi ha ragione ha uere hauuto da prima la sentenza contra, che conseguirla doppo tanto difpendio, do ti trauagli, senza che à per malignità, o per ignoranza delli giudici;ó ancora per oflervanza delle leggi si fa del bianconero. L’in deui offeruare questa opinione, etiamcon qualche tua incommodità, & in questo s'ingannano spesso gli huomini, perche si muovondo a qualche poco di danno, che apparisce, & non confiderano quanto siano grandi i beni, che non si veggono, perche i sudditi non veggono, e non misurano appunto quelche tu puoi fare, anzi imaginando si molte voltela potestà tua maggiore, che non è, credono a quelle cose che tu non li potresti costringerė. Sono alcuni huomini saui a sperare quello che desiderano, altri che ma i lo crea dono, in fin, che non neson obensicuri, & senza dubbio piuv tileè sperare in simili casi poco, che molto, perche la SPERANZA ti fa mancare di diligenza, e ti dà piu dispiacere, quando la cosa non succede. Quanto bendisse colui. Ducunt volente sfatano lentestrahunt, se ne veg gono ogni dìtante esperienze, che a me non pare, che mai cosa alcuna sia icelj imeglio.  Saui, che si devgeodere il beneficio del tempo. L’intendersi bene con li frateli, e con li parenti, fa infiniti beni, che tu non conosci, perche non appariscono advi per vno, ma infinite cose ti profitta, fatti hauere in rispetto, però altrimenti è impossibile che lungamente sia tenuto buono.  Chi non sicura d'essere buono, ma desidera buona fama, bisogna che sia buono. Fuigid d'opinione dinonvedereetiam col pensare assai, quelche non vedeuo presto: ma conl'esperienza ho conosciuto esere falsissimo, però fáteuibefe di chi di ce altrimenti. Quanto piu si pensano le cose, tanto meglio s'intendono, á si fanno: Quando ti verrà occasione di cosa che tu desideri pigliala senza perdere tempo, perche le cose del mondo si variano tanto spello, che non si può dire di hauer cofa alcuña, finche non si a in mano. Et quando ti è proposta qualchecosa che ti dispiace, cerca il diferirla piu che tu puoi, perche ogni borasi vede che il tempo porta accidenti, che ti cauano di queste difficoltà, e così s’ha da intendere quel prouerbio, che dicono i ILTIRANNO faestrema diligenza di scoprire l'anitzetio, ciodseti con tentidel tuostato, consider agliandamenti Ünnodituoi, concetičare dritesdiertocat chi chi ha autorità, & signoria puo fpingersi, & flenderla ancora sopra le forze sue. Se tu vuoi conoscere quali fieno i pensieri de Tiranni, legi CORNELIO TACITO (si veda), quan do fa mentione degloltimi ragionamenti c'hebbe OTTAVIANO con TIBERIO. Il medesimo CORNELIO TACITO achibenlo considera, insegnaper eccellenza come s'ha da gouernarechi vine sotto a un tiranno. Thì CONVERSA teco, e con ragionarte co di varie cofe, & ponerti domandarti partiti, & parere, però se non vuoi che t'intenda, bisogna che ti guardi congrandissima diligenza, da mezzi che egli vsa, non vsartermir: A chi ha conditione nella patria, efiafotoon tiranno fanguinofo & beftia le, si posjondare poche REGOLE, chseieno buone, eccettoiltorso l'esilio Ma quando il tiranno, o per prudenza, ò per necessità del suo stato si gouerna con sospetto, on’huomo ben qualificato deue cercare di essere tenuto da affai, e animoso, ma di natura quieto, nè cupido d'alteraresenon è sforzato, perche in tal caso il Tiranno ti accarezza, e cerca dinondarti caufa di farnouità, il che non fariaseti conoscesse in quieto, perche all’hora pensa in ogni modo che tu non sia perftarefermo, onde è neceffitato pensare sempreťoccasione di spegnesti. Secondo il termine di sopra,è meglio non esere de li piu intimie confidenti del Tiranno, perche non solo ti accarezza, ma in molte cose, famanco asicurtàte co, che conli suoi, cosìtugodilasua grandezza, & nella rouina sua diuenti grande, ma di questo ricordo non se ne può valere chi non ha conditione grande nella sua patria. E differenza dhauereli fudditi disperati, ad hanerli malcontenti, perche quelinon pensa no mai ad altro, che a mutatione di stato, e la cercano etiam con suo pericolo, questi sébenenon si contentano, e desiderano cose nuouteamennoninui tanole occasioni, ma aspettano che da seuenghino. Non posono gouernare i suditi bene senza le verità, perche la malignità de gli buomini cerca cosim, asiuvolemescolar destrezza, & fardimostratione, accioche glihuominicredano,chelacrudeltànon piace,ma che l'usiper necessità, esalute publica. Si doverij atendere a li efeti non ale dimostrationi, esuperficie, e non di manco dincredibile quanta gratia, cöfauoveticöcilino appresoglihuominileca rezze, et lahumanità di parole. l ragione credo che sia, perche ogni uno sistima, par meritare piu che non uale, e però sisdegna', quandonede, chetunontieniquel contodilui, che gli pare che se gli conuenga.  Avvertimenti di che babbino a dar sospetto, guardandoco meparli, etiam conlintimi tuoi, e secoragionando, e rispondendo di forte, chenonti poljacauare, i!che tiriuscirà, seti presupponi sempre que l'obbietto, che egli quanto puoticirconuieneperscoprirti. E cosa honoreuoleà un'huomonon prometterese non quello cheuuole offer nare,ma communemente tuttiquelligachituneghi,á giustamente, restano malfo dif fatti, perche gli huomini non Jilalano gouernare dalla ragione: Il contrario intra uiénea chi promette, perche intra uengono molti casi, che fanno che non accade fare l'esperienza di quello, chetuhaipromello, e cosihaiso disfatto conlamēteyetse pure s'hadauenire al'ato non mancano Spedoscuse, emoltisonofigrofli, che si lasciano aggirare con parole, nondimeno è fi brutto mancare alla parola sua, chequestopre pondera ogni utilità ch esitragga dal contrario, e però l'huomo sideue ingegnaredi trattenersi  quanto puo con risposte generali, e piene di buona SPERANZA, ma non difor techeti oblighino precisamente. Perche è paz giafarsi nimico senza proposito, & ueloricordo, perche quafi ogni unoerrainque fta leggerezza. Chi entrane' pericolisenza confiderarequel chepossono, oimportino, si chiama bestiale, maanimosoè quello che conoscendo i pericoli uientra francamente, operne cefftà, o per honoreuol cagione. ranno. mad ti i popoli, Credono molti, che unfauio, perche uede tuti i pericoli, non possaessere animoso: io sono di contraria opinione, che non possa essere savio chi non è animoso, per che manca di giudicio, chi stima a d auuenire il pericolo, piuc he non si deve, ma per auuentura questopaso, che è confuso, deue si considerare, che non tutti i pericoli hanno effetto, perche alcuni neschi fal'humo cola diligenza, et industria, et franchezza sua, altriil caso iftesoet mille accidenti che nascono portano uia, però chi conoscos pericoli, no li deve mettere tutti ad entrata, e presupponere che tutti succedano,m a discorrerecon prudenza quelche altruipuò sperare d'aiutarsi, edoue il caso verisimilmente gli può farfauore, farsianimo, nè ritirarsi dall’impresedirili, e honoreuoli per paura di tutti i pericoli che conosce esser nel caso. Erra chidice che le lettere e gli studij guaftano il cervello degli huomini, perche forseè veroachil' ha debole, ma doueleletteretrouanoil naturale buono, lo fanno perfetto, perche il buon naturale congiunto coʻl buono accidentale fanno buonif Jima compositione. Livi E sen a  comparatione piudetestabilein vn principe l'avaritia,cheinun priuato, non solo perch ehauendopiú facultà da diftribuire, priua gli huomini tanto più: maetiam perche quello che ha vn priuato è tutto fuo, & per uso fuo, e nepuòsenze giufta querel ad'alcuno disponere, ma tutto quello che ha il principe, gli èdatopervalós e beneficio d'altri, & per òritenendolo in fe, frauda gli huomini di quel ch edeueloro. Guardate vI da tutto quello cheuipuonuoceree non giouare, però in presenza d'altri, non ditemai senza necessità cose, che dispiaccino, Non furonotrouatii Principipe rfarbeneficioaloro,perchenessunofefareb bemessoinseruitù grauiffima, ma perinteresedepopoli, perchefuserobenegouernati, peròcomeonPrincipehapiurispettoafe,cheaipopoli, nonèpiu Principe Dico che il Principe che famercantia, questononsolofacosavergognosa, ma è Tiranno, facendo quelloche è oficio de priuati, enonde Principi, & peccatanto verfa   Auuertimenti di ipopoli, quanto peccherienoi popoliversolui, volendointromettersiinquel che è oficio solo del Principe. Le cosedelmondo sono varie, edipendonodatanticasi, e accidenti, che difficilmente si puo far giudicio del futuro, & sivedeperesperienza, che quasi sempre le conietture de sanij sono fallaci, però non laudo il consiglio di quelli che lasciano la commodità d'onben presente, ben che minore, per paura d'on mal futuro, benche maggiore, se non è molto propinquo, et moltocerto, peichenon succedendo poispessoquello dichete meui, titrouipervna pauravanahauerlasciato quello chetipiaceua, & peròèfauio quelprouerbio. Dicosanascecosa. Nelle cose dello stato ho veduto spessoerrarechi fa giudicio, perche esamina quello che ragione uolmentedouerebbfear questoe quel Principe, et no consideraquel loche farà,verbigratiail Re di Francia, perche deue hauer piu rispeto, qualsialana tura& costumi don Francese, che àquello douerebbefarciascun Principe, prudente, faggio, e giusto. Ho detto molte volte, etlodicodinuouo, ch’oningegno capace, & chesappia farecapitaled el tempo, non ha causa di lamentarsi, chelauitasiabreue, perche può attendereadinfinitecose, e spendereytilmente il tempo, gliauanzatempo. Non èfaciletrouarequestiricordi, ma è piu dificileesequirli, perche spesso l'huomoconosce, manonmetteinatto, però volendo vsarlisforzate la natura,e fate niunbuonhabito, colmezodelquale, nonfolo farete questi, ma ancoravi verrà fatto senza fatica, tutto quello che vi comanda la ragione. sottol'Imperio, che Tiberio huomo tiranno, & superbo haueuaesofa tantadappocagine. SE hauetemala satisfattione d'ono,ingegnateui quantopotete,chenonsen'accor ga, perche subitofialienaràdavoi, & vengonomoltitempi, e occafioni chevipollo noferuire, viseruirebbe, secol dimostrare d'haverlo in mal concetto, nonvelbauesti giocato, e ioconmiavtili tàn 'ho fatto l'esperienza, che inqualchetempoho hauuto mal animo versod'ono, che non accorgendosenem 'hapožinqualche occasionegiouato, com'è statoamico. L'AM. Non simarauigliardd ell'animobasoeseruilede molti popoli chi leggera in CORNELIO TACITO che li ROMANI solitià dominare il mondo & viuere in tanta gloria, ferui uanosivilmente. Chi vuoletrauagliare, nonsilascicanaredi possessionedellefacende, perchedal l'onanascel'altra, siperl'aditochedàlaprimacaufaalaseconda,comeperlariputa tione che tiportailtrouartiin negotio, & peròsipuo. Ancoa questo adattare il prouerbio: Di cosa nasce cosa. 1 1   e nefas, como ècausad'infinitimali. Però veggiamo cheli Signori fimilichehannoquestoobiet to, nonhannofreno alcuna, o fannounpiano dellaroba, & vita degli altri, purche, cosigli conforti il rispetto dela sua grandezza. similimodi, ha piu lungo trattocheprimanons'haveb becreduto, come ancora intrauieneadvno che muore d'etico o ditisico, chelasuavi tasempresipro lungaoltra l'opinione che hanno hauutoimedici, colivnmercăteinan zichefalisca, peresere consumato dagli interesi fireggepiutēpo, cbenöera creduto. M'e parfasempredificilea credere, che Dio babbiaa per mettere, chelifigliuoli del Duca Lodovico, habbinoagoder quello stato, quando ioconsidero, cheilpadresuo l'havfurpatofceleratamente, é pervfurparloèstato causadellarouina, seruity d'ITALIA editantitraua gli seguiti in tutta Christianità, a questichelibiasimama no sono pazzi, perche starebbefrescala Città, cóloro, seiltiranno non hauesseattor noaltrichetristi. L'ambitione dell'honore, e della gloria è laudabile, & vtilealmondo, perche da caujaa gl’huominidipēsareefarecosegenerose,&ecelse. Nonècosi quella dela grandezza, perchechilapigliaperidolo, vuolhauerlaperfas, L'imprese e cose, che hanno da accaderen on per impeto, ma perche prima si consumano, vannoassai piu in lungo, chenonsicredeuadaprincipio, perchegli huominisiostinanoapatire, apatiscono, lopportano molto piu, chenonsisarebbe creduto. Perùveggiamo, ch'unaguerra ches'babbiaa finire per fame, per l'incomodità, per mancamento didanari, &  Favev1beffe di questi che predicano lalibertà, non dicoditutiman’ec cettuo benpochi, perche ogni unodiquestitali, chesperasjehauerepiubeneinvnosta tostreto, cheinun libero, vicorrerebbeperleposte, perchequasituttipostponeran noilrispeto del'intereseloro, esonpochifimi queli che conoscono quanto vagliala gloria & l'honore. gottirti, e coltenere il capo franco non tilassar eleuare facilmente. Chi conversa congrandinonfilafcileuara cavallo da carezzee dimostrationi fuperficiali, conlequaliefe fanno communementebalzar gli huomini come vogliono, @affogarli nel fauore. Et quantoquestoè piu dificile adifendersitanto piudeuesbir Non potetehauermigliorparte, chetenereconto dell'honore, perche chi faque ftonontemei pericoli, nefamaicosa che sia brutta, perotenetefermo questo capo, ú faraquasiimpossibile, chetuttononvi succeda.bene, expertusloquor. Dico cheunbuoncittadino, e amatoredella patria, nonfolodeuetrattenersi coltirrannopersua sicurtà, perche è in pericolo quando è hauuto insospeto, ma anco ta per beneficio de la patria, perche gouernandosi cosi, gli viene occasione con consigli, e conopere di favorire molti buoni, e disfauorire molti mali Lav   städod imezzo tu sempre rilieuietuincachisi uoglia. La natura de popoli è come quella de privati, diuoleresempre augumentare del gradoinchesitrouano,peròèprudenzanegareloroleprime cose, che domandono, per che concedendo non lifermi, anzigliinuitiadomandar piu, & con maggior instanza, che non faceuonoda principio, perche col.darlispessodaberesegli accresce lasete. Osservate con diligenza le cose de tempi passati, perche fannolumealle future, cumsitcheilmondofia sempred'unamedesimaforte, e che tutto quello che è, sarà,èstatoinaltro tempo, perchele medesime coseritornano, mafotodiuerfinomiz e colori, però ogni uno non le conosce, ma solo chi è sauio, e le considera diligentemente. SE Oferuate bene, trouate che d'età in età si mutano non solamente i uocaboli, modideluejlire, eticostumi, maancoraquelcheèpiui gusti el'inclinationi dell'arme, & questa diuersità si vede etiam in un tempo medesimo dipaeseinpaese, douenonso lo è diuersità delle inftrutioni, maancorade gusti decibiedegliappetitiuarij degli huomini.  Lamene pericolo dell auittoria, ma Auuertimenti di i . Laudo chi nelle guerre d'altri staneutrale, chi è potentediforte, hatalconsi d erationedistato, che non ha da temere il uincitore, perchefuggeilpericolo, elaspesa, ela Stracchezza, di disordini d'altri possono pararti qualche buona occasione: fuordi questi termini la neutralità è una pazzia, perch eattacãdoticonuna delle parti corriso Senza dubbio hamigliortempoinquestomondo,piulungavita, esipuochia mareinuncertomodo felice, chi èd'ingegno piubasso, che questi intellett ieleuati, pero chel'ingegnonobile, seruepiutostoa trauaglio, & cruciato diehi l'ha, nondimeno l’uno participapiu dell'animal brutto che d'huomo, l'altro trascende il grado dell'huomo, s'accosta piu alle nature celesti.  Inanzi a nelqualtempol'ambitione, &cecita del Duca Ludouico aperse la uia alla rouina d'Italia, erano come ogn'unosaimodidels la guerra molto diuersi da questiloppugnatione delle città, le uccisioni, i conflit id'ale traforte, & quasisenzafanguein modo che chihaueuaunostato difficilmente glipote wa effertolto, dipo ifiridusse, che chi era padrone della campagna, haueua uinta la guerra, comein un momento, se erano due eserciti in campagna siueniua in un trattoale la giornata, & era data la sentêza dela guerra, cosi uedemo senza rompere lancia per dersi il Regno di Napoli, il Ducato di Milano, econla fortuna d'unsologiocarsi tutto lostato de Venetiani. Hoggi il Signor Profpero primo ha dimostrato diuerfo modo di guerra, che col mettersi nelle terre hafoggiogato l'impeto di chi era padrone della camopagna, ma non riuscirebbe bene questo, a chi non hauesse dispositione de popoli fauor e wole, cornehahauuto egli quella di Milano contra Francesi. Le medesime impres eche fatte fuordi tempo, Sono štate dificiliseme, ò impoffibile, 1 quando   quando sono accompagnate daltempoe dall'occasiones ono facilißime, però nonsiuuo letentarle attrimenti, perche setuletenti fuor del tempo suo, non solononti fuccedono, ma porti pericolo, checon l'hauerle tentate non leguasti per quel tempo, che facilmente farebbono riuscite, però sono tenuti sauiji patienti. Non è gran cosa, ch'un gouernatore vsando spesoaffrezza, ò efetidife uerità, si facciatemere, percheisudditi hanno facilmente paura di chi li puo sforzare, erouinare, & viene facilmente all'esecutione, ma laudo io quelli governatori, che con far poche affrezge, et esecutioni, fanno acquistarsi, & conferuarno medi terribili. Ricordate vi di quello che altre volte ho detto di questi ricordi scheno s'hanno ad osseruare sempre indistintamente, ma in qualche caso particolare, che ara gionediuer fanonsono buoni, & quali sieno questi casi, non sipuocomprendereconrego laalcuna, nesitroua libroche l'insegni, ma è necessario che questolumetelodia prima la natura, & poil'esperienza cui diseon popolo, diseveramente un pazzo, perche egli è un moftro pieno di tonfusione; ó d'errore, perche le sue opinionisonotanto lontan de alla uerità, quanto secondo Tolomeo, la Spagna dall'India. Come A mio giudicio innesjungrado, ò antoritàsiricercapiu prudenza, & qualitàec cellente, cheinvn Capitano d'onoesercito, perche sono infinite quelle cose, a cheproue deré, & comandare sinfiniti accidenti, etcasivarijsche d'hora in hora se gli presentano, in modo che peramente bisogna che habbia piu occhi d'Argo, e non soloper l'importanza sua, ma per la prudenza, che li bisognare putoinogni altro peso niente. E differenzaa desereanimoso, & non fuggire ipericoliper rispeto del'bonore, Psta noe l'altro conosce i pericoli, ma quello seconfidapoterfenedifendere, efenonfusseque sta confidēza nõ gliaspetarebe, questo puoeferschetema piu del debito znè sia faldo, perche non habbia paura, ma perche si risolueavolerpintosto ild ãnocbe la uergogna. Ho osseruatowe' mieigouerni, che quando mièvenutain anzi vna causa, cheho hauutoper qualche giusto rispetto desiderio d'accordarla, nonhoparlatod'accordo, ma folmetterevariedilationi, & ftrachezzehofatto chelemedesime partilhannoricer cato, cosiquello, che se nel principio io l'haueßi proposto, sariastatoributtato, s'eridotto intermine, chequando è venuto il tempo suo, io ne sono stato pregato. Non, che chi tiene gli stati non sia necessitato, metterle mani nel sangue, ma di cobene che non si de vefarsenzagran neceßità, & che ilpiy delle volte se ne perde, piuchenonseneacquista, perchenon solo s'offende quellichesonotocchi, ma ancorasa dispiace all'vniuerfale deglialtri, efebenetuleui quello inimico, o quello ostacola, non pero se ne spegne il seme, cumsits che in luogo di quello sott'entrano degli altri, & fpeffo intrauiene, come si dice dell'hidra; che per ognuno jnenafcesette. Non possoio, ne sofarmibello, ne darmi riputatione diquelle cose, che inperin tànonsono cosi, & tamenfariapiuvtile fare il contrario, perche è incredibile quanto giouila riputatione, e opinioneche hanno gli huomini, che tu siagrande. Con questoru mor esolo ti corrono dietro, senza che tun'habbiavenireacimento. che ilpadrone,eproportionatamenteil superiore li sudditi, perche non si presenta ianzialuitali quali si presentano agl'altri, anzi cercano coprirsialui, & parered'altra forte che inveronon sono, e pericoli, qual forte habbia piu ad esiderare una Città, òdicadere nel gouernod'vno, òdimolti, odipochi. perch e d'hora in hora nascono occasioni, che egli commette a chi vede, ò a chi gli è piu e propinquo, che seti hauesse a cercare ò aspettarenonti si commetterebbe, e chi perde vn principio benche piccolo, per despesso l'introduttione, e aditaarose grandi. Fawpus ēruitori che fanno il medesimo versoi padroni, non facendo peracosa che sia contra l afede, l'honore. Auvertimenti di Com Ecolui c'haagiutato, òeftata caufa, che unosalgainun grado, louuolgouer nareinquelgrado, giàcominciaa cancellare il beneficio, che gliha fato, volendo usarper se, quelche prima ha operato, che sia di quell'altro, eglihagiusta causa di non comportarlo, ne pe rquesto merita eserechiamato ingrato. Ron s'atribuisca a laudedifa, ò chi non fa quelle cose, lequalife potefse, ofa cesje meriteriabiasimo. Dice il prouerbio Castigliano, il filsirompedallatopiudebole, sempreche pensi venire in concorrenza è compa ratione di chi è piu potente o rispettato, piu succumbe il piudebole, nonostante, che la ragione è l'honestà, ò la gratitudine volesse il contrario, perche communemente; s'ha piu rispeto al'interese, che al debito: Niuno conosce peggio liferuitorisuoi  ve lo dico di nuouo, li padroni fanno poco conto de seruitori, & per ogni interesse listrascinano senza rispeto, perosono. Tu chéstai in cortë, & seguition grande, e desideriessereado per atodaluiinfa cende, ingegnati di Starli tutta niadinanzia gl'occhi, pome Concordano tutiefere megliore lo stato d'vno quando è buono, ibedi pochiedimolti,o buoni, e le ragioni sono manifeste, cosi concludono, che quellod'ono piu facilmente di buono diuenta cattiuo, chegl'altri, & quando è cattivo è peggiore di tutti, tanto piu quando vaperfiu è ceffione, percherade volte ad un padre buono fa uio, succedeun figliuolo simile. Pero vorrei che questi politici m'haueJero dichiarato, considerate tute queste conditioni Chi si conosce hauere buonaforte, puotentarl'imprese con maggior animo, ma è da auuertire che la forte non solo pko essere varia di tempo in tempo, ma anco in un tempo medesimo puoelervaria nellecose, perche chiosseruauedr à per esperienza, mol tiessere fortuna tiinunaspeciedicoje, & in un'altra essere sfortunati, et io in mio parricolare ho hauutoin fino a questo dàtre di.in molte cose bonißima forte, tamen non Pho simile nelle mercantie, one glihonori, cheiocerco d'havere, perche noncercandolimicorrono naturalmente dietro,ma come cominciò a cercarli, pare chesidiscostino. Le cose del mondo non stānoferme, anzi hanno sempre progresso al camino, àche ragione uolmente per fua naturahannodaandare, e finire, ma tardanospeso piache il credere nostro perche non le misuriamo secondo la vita nostra, che è breue, e non secondo il tempo suo, cheèlungo, & però ipaffifuoifono piu tardi, che non sonoino fri,& fitærdipersua natura, cheancorachefimoui non onci accorgiamo spesode fuoi moti, e per questo sono fpefjofalsii giudicij, chenoi facciamo, Ron sosesideuono chiamare: fortunatiquelli, a chi vnavoltasipresentavna grande occasione, perchechino nè prudente, non lafa bene vsare, masenzadubbiofo no fortuna tiffimi quelli, aqualivna medesima grande occasione sipresentadue uol te, perche non è buomo cosi dappoco, che la seconda volta non la sappia vsare, cosi in questocasosecondos' hadahauere tutta l'obligatione conla fortuna, done nel primo ha luogo ancora la prudenza, che uiuonoinlibertà, ma queli, nei qualiera meglio prouifto alla conferuatione delle leggi e della giuftitia. fannoinuentione diquel löche s'aspeta, òsicrede, e piuorecchivi preftosefononuoue strauaganti, o'inaspettate, perche mancooccorre agli buomini fare inuentioni, ò persuadersi quello chenon èinalcunaconsideratione, e di questohovedutoiomolteuolte l'esperienza. Gruan forte è quelladegli astrologi, che ancora, che la loroprofeffionefiava  Non hamaggioreinimico l'huomo ,chefefteso, perche quasitutiimali, pericoli, & trauagli superflui, che ha non procedono da altro, che dalla sua troppa cupiditate. L’appetito  dellarobanasceda animo balo, o malcomposto, fenonside. fiderasseperaltro, che per poterlagodere, ma essendocorrottoilviuere delmondo, co me èchidefidera riputatione, è neceßitato à desiderareroba, perche.coneffarilucono Levirti,cfono inprezzo lequaliinunpouerosono pocoftimate, & mã coconosciute.  La libertà delle Republiche è ministra della giustitia, perche non è fondataa dal trofine, se non per difensione, chel'onononsiao presso dal'altro, però chi potesse efsore sicuro, che in uno stato d'unoòdipochis'ofjeruaje la giustitia, non harebbetau fa di desiderare la libertà. Questa è la ragione, che gli antichisauij, e FILOSOFI non laudornopiu degli altrique'gouerni Quando lenuoue s'hanno d'Autore incerto, & fieno nuoue verisimili, d aspettate, io li presto poca fede, perche gli huomini facilmente; nito, Auuertimenti di mità, ò perdiffettodell'arte, ofuo,tamenpiufedeglidàvna verità, chepronostica no, checento falsità, é tamenne gli huominiintrauiene il contrario, cheunabugia, chse  a reprobata da vno,  a , che s i s tàsospeso a crederli tutte l'altre verità, & procede daldesiderio grande c'hanno gl ibuomini di sapere il futuro, diche non hauendo altro modo dihauerecertezza; credonofacilmente, a chi fa professione di saperlolor dire, comeall'infermoilmedico, che li promette la salute, ò dalla uoluntàdiquelli, chedominano, perche non han uendesia cūbattere con ragioni immutabili, ocon giudicijstabili, nasconoogni dimille cafi, che facilmente tisolleuanoda chi puo pretendere di leuartidiposeso. scarso, perche nessuna cosaof fende più l'animo d’un fuperiore che il parergliche non lisiahauuto quel rispet oeri uerenza, che giudica conuenirseli. Ë ogni cosa per non trouarui done si perde, perche ancora, chenonuisia colpa isoftra, ne hauete sõprecarico, nè si puo andareatuttele piazze getbanchiagiu Stificarsi, come chi si troua doue fi vince, siporta sempre laudeetia Jenza suo merito. fa nellecosepriuate, trouarsi in poffeffione antica, chele ragioni non fi mutano, imodidegiuditye di consignareil suo fono ordinarü, & fer mi, masenza cumparatione è molto maggiore vantaggio in quelle cose che dependono dagli accidenti delli stati Fu crudele il decreto de Siracusani, dichefamentione Liuio, che insino alle donne nate de tiranni fussero ammazate, ma non però al tutto senza ragione, perche mă Catoiltiranno, quelli che uiueuano uolentieri sotto di lui, sepotefjerone farebbono un'altrodicera, e non essendo cosi facile uoltare la riputationea un'huomo nuouo,si ri tirano sottoogni reliquia, che refti di quello. Però una Città, che esca nuouamente dalla tirannide, non ha mai bensicura la libertà Se non spegnetutta la razza, & pro genie de tiranni, dicoperò glimaschi, e non le femine. Non è inpoteftà d'ogniuno eleggersiil grado, e le facende, chel'huomo uno le, ma non bisogna spessofarquelle, che t'appresentalatuaforte, & chesonoconfor mialostatoincheseinato, però tutta lalode consiste in farla sua bene, comeinuna comedia, nonèmancolodato, chi ben rappresenta la perfona d'unferuo, chequelli, a chi sono meffiindosso i panni del Re, od'altra personadegna, ogni unoinefeto nel grado fuopufoarsi honore. E vantaggio come ognun Chi desidera eseramato da superiori, bisogna mostrare d'hauere loro rispetto, e riuerenza,e con questo efer piutofto abbondante, che Ogniuno in questo mondo fa deglierrori, daqualinascemaggioreomi nordanno, secondo gli accidenti, & casicheseguitano, ma buonafortehanno quelli, che s'abbattono adevrarein cofe di minore importanza, ò dalle quali nes eguitaman codisordine. E 'gran felicità potere viuere in modo che non siriceua, nè f ifaccia ingiuria ad altri, ma chi s'adduce in grado, che sia necessitato, o aggrauare, ò apatire, deue per mio consiglio pigliare il tratto auantaggio, percheè cosigiustadifesa, quella chesifa pernonesser offeso, comequella, chesifaquando l'offesati è fatta, èneroche bisogna bendiftinguericasi, nè per superflupaauradarsi senza causa adintendere d'eserene ceshtato a preuenire, nèpercupidità, nè per malignità, doue in vero non hainèdeui hauere sospetto volere con allargare questo timore giustificare la violenza, chetufai. Ne glihuominie lapatienza, el'impetosono bastantiapartorirecosegranuis perche l'onoopera conl'urtare gli buomini, esforzare le cose, l'altra con lostraccara li, evineerlicol tempo, el'occasioni, però in quello chenuocel'ono, gioual'altro, Grå conuerfo, & chi potesse congiugnerli, & vsareciascuno al tempo suo sarebbe diuino, ma perche questo è impoßibile, credo che ožbus cõputatis, la patienza e moderationfi: landabile in un Principe percõdurre maggior coseafine, chel'impeto e la pcipit. iticne.  Nelle cose dellEconomica il uerbo principale è risecaretute lespese superflue, ma quello in che mi pare, che consista l'industria, è chi fa le medesime spese con piu vantaggio, e come si dice volgarmente, spendere il foldo per quattro quattrini.  Diceva un padre, che piu bonoretifa un ducato in borsa, chediecichene baispesi, parolemoltodanotare, non per diventar fordido, nè per mancare nelle cose honoreuoli,e ragionevoli, maperchetifafrenoafuggirelecose superflue. la malitia, o che nel maneggiare le cose s'accorgono di quello harebbono di bisogno, si cerca fardireal iStruméti quello che l'huomo vorrebbe ch edicese, però quando sono gli inftrumenti di cose vostre d'importanza, habbiate pervfariza faruelilenare subito, & hauerliincasainforma autentica.  Rarissimi sonogliinstrumenti, chedaprincipiosifalsificano, madopo fatisecondo che gli huomiui pensano . Se bengli huominid eliberanoconbuono consiglio,gliefetisono peròlpelocat tiui, tanto sono incerte le cose future, non dimenononsiuuole come bestiadarsiinpicito da alla fortuna, ma come huomoandarconta ragione, & chièSauio, hadacontentar fi, diessersimoltoconconsiglio, ancor chel'efeto sia stato cattiuo, che feconvá con figlio cattivo, hauessehauuto l'effetto buono. Tenete amente, chechiguadagna, sebenpuospendere qualchecosadi piu che non guadagna, tame nè pazzia spendere largamente sul fondamento de guadagni, seprimanonhai fato buono capitale, perche l'occasione del guadagnare non dura sempre, & fe mentre essa dura non ti sei acconcio, passata che ella èytitroui pouero come prima, ed i piu hai perduto il tempo, e l'honore, perche alla fine è tenuto di poco ceruello, chi hahauuta l'occasione bella,& non l'ha saputa usare bene, e questo ricordo tenetelo bene a mente, perche ho visto amjeidi infiniti errori. E Cer B2   puo alcuna uolta mettendo insieme la gratitudine che si sente datuttiefere notabile. Del fare un'opera buona, & laudabile non si vede sempre il frutto, peròchi non sisatisfafolum del ben fare di sesteso, lascidifarlo, non parendo gli trarneuti lità, maquesto è inganno degli huomini non piccolo, perche il farelaudabilmente, se ben non ti portasje altro frutto euidente, spargebuonome, & buona opinione dite, la qual in molti tempi & cafitire cautilità incredibile. Progresso di tempo si poche cofe verificate, come s i trova a capo dell'anno degli astrolpogei, rche le cose del mondo sonotroppouarie. Nelle cose importantinonpuo fare buono giudicio, chi non fa bene tuttii particolari, perche speso una circonftantias & minima, nariatutto il caso, mauidice bene, che non hanotitiaad altro, chedigenerali, & questo medefimo giudica peggio intesii particolari, perche chi non hailceruello molto perfetto e molto netto dalle paf fioni, facilmente intendend o molti particolari si confondeeuaria. Se d'unos'intendedlegge, che senza alcuno fuo commodo, è interefe, ampor. E' eerto, chenonsitien conto deliseruitij fattial i popoli in uniuersale, comedi quellichesifanno in particolare, perche toccando col commune, nessuno sitienseruito inproprio, peròchi s'affaticcaperli popoli, & vniuersità, nosperiche s'affatichin oper luiinunsuo pericolo, ò bisogno, ò che per memoria de beneficij, la fcino una loro como modità, non dimeno non sprezzate tanto il fare seruitio a popoli che quando ui si presenti l'occasione la perdiate, perche se ne uiene in buon nome, e buon concetto, cheè fruttoasai dela fatica, senzapure, chein qualche casogioua quella memoria, e rin mzoneachiè beneficiatosenonsi calda mente, comeli benefici propri, al manco sarà parte di quanto si conuiene, & fonotanti questi achi tocca questa lorleggieraimpres fione, che  Chi facesse fu un'accidente giudicareda un'buomo sauio gli effetti, che nasce ranno, & scriuese il giudicio, trouerebbe tornando a uederlo in Spesso s'inganna, chi sirifoluesui primiauuifi, cheuengono delle coseper ebeuengono semprepiu caldi, & piu spaventosi, che non riefconopoi congli effettin però chino nè neceffitato aspetti semprei secondi, ed imano in mano gli altri. Chi ha la cura d'una terra, che babbiaa essere combattuta, ò assediata, deue fa repochiffimo fondamento in tutti quei rimedij, che allunganogestimare assai ogni cosa che tolga tempo, etiam piccolo aliiniinici, perche spessoundì piu, o un'borapor taqualche accidente, chelalibera. Non combattere mai con la religione, neconle coseche pare che dependono immediate da Dio, perche questo obietto ha troppa forza nelle menti degli huomini. Il male E' buon mezo aguadagnarsi fauori il mostrarea quelli, da chi tu duoi guadagnare il fauore di farli capis Quando si fa una cosa, se si potesse sapere quel che farebbe seguito, senon sifufefatta, sòi fusse fatto il cotrario, senza dubbio molte cose sono da gli huominilau dati,chenon fariano, anzi meriter ebbono contraria sentenza: Accade: molte uolte in una deliberatione cheha ragione da ogni banda, che ancora chel'huomo habbia diligentemente penfato, ch e poiche ha fatto la deliberatione, gli parebauere letto la parte peggiore, laragioneè, che poiche tu hai deliberato tisi rappresentano solamente alla fantasia le ragioni, cheeranonell'opinione contra riale quali confiderate senz a il contrapeso dell'altre ti paiono piu graui,e pire importanti  Ir i male,cheilbene; fi deue chiamarbeftiae, t non huomo, poichemanca dell'appetia naturale , no a fauorire quello, che per altr o harebbono disfauorito  NON credete aquestiche predicano cheamano laquiete, etd'essere Stracchi dell'ambitione, & hauere lasjatele. facende, perche quasi sempre hanno nel cuore il contrario, esisonoridottia vita appartata, & quieta, òpersdegno, òpernecessità, ò per pazzia, l'essempio seneuede tutto il dì, perchea questi tali subito ches'appres Senta qualche spiraglio di grandezza, abbandon erannola tanta lodata quiete, & nifi mettono con quel pericolo, che fa il fuoco, ad una cosa fecca. L’inclinationi, e deliberationi de popoli sono tanto fallaci, & Menate piuspesso dal caso, chedallaragione, che chi regola il traino deluiuer fuo, non in altro che infüi la speranza d'hauere adesere grande colpo polozhapocogiuditios per che oppor si è piutosto venturacbe fenno. autoridiquellacosa, nella qualen'haidibisogno, perche la piupartede glihuomini, presida quella uanità, ò ambitione, uisiaffettionanoinmo do, che dimèticatii rispetti contrari, ancora depiu ragione uolie piuur genti comincia. Infinite sono le varietà delle nature, da de pensieri deg’uomini, però non si puo imaginare cosa, nè sìstrauagante, nè si contra ragione, che non sia secondo il cervello d'alcuno, per questo quando sentirete dire, ch'altri habbia detto, ofattoco. Facche non ui parra uerifimile, nè che possa cadere in concetto d'huomo, nonuënefat te leggiermente beffe, perche quello che non quadraate, puo facilmente trouareachi piaccia, òpaiaragionevole. Pare che i principi siene piu liberi,e piupadroni delle loro volontà, che gl’altri uomi nózno nè uero ne principi che si governano prudentemente, perches o non e cefsitati procedere con infinite considerationi, rispetti, in modoche molte voltecat tiuanoi lor disegni, i loro appetiti, el'altre volontà loro, io che l'ho osservato, n'ho pedutemolte esperienze, diriandare tutte le ragioni, che sono hinc, e inde, perche queen sto concorso e contrarietà, che  tiapprefentiinanzi, fa, che leragioni che si concede ilano, non ti paiane piu di maggiorpesoso importanzadiquello,cheveramente quando nelle consulsteono pareri contrarij, se alcuno esce fuora con qual. Che partito di mezo, quasiche sempre è approuato, non perche i partiti di mezo, il piu delle volte nonsier: o peggiori, ma perchei contradittori calano piu volentierid quello, che all'openione contraria, e ancoglialtri, ò per non dispiacere, opernonef jerecapaci, si gettano aquello che parloro, che habbia manco disputa. Possono malegli huomini priuati, biafimareolo dare molto leationide principi, non solo per non sapere le cose come stanno e per essergli interessi, e ilo to finiin cognitismi ancora perche la differenza è dall'hauere avverzo il cervello advsode Principi, ad hauerlo aurezzoadvsode privati, fa che ancor che lo stato, i fini delle cose, e gli intereshfulero all'uno noticome al'altro, le considerationi  Auvertimentidi portanti, che non pareuanoin anzi, che tu deliberasi: Il rimedio di liberarsi da questo molestia, è sforzarsi No huomo, chenonsia prudente, non si puo reggere senza  consiglio, nondime no egli è molto pericoloso pigliar consiglio, perche chi dà consiglio, ha speso piu consideratione all'interesse suo, che aquello che lo domanda, anzi propone ogni suopicciolo rispetto, & fodisfattione all'interesse, benche grauissimo,a importantijimo diquela l'altro, peròdico, cheintalgradobifogna, che s'abbatta conamici fedeli, altrimenti porta pericolo di non far male apigliar consiglio, et male et peggiofa, ànolopigliare. molte volte in terzo o quarto caso, che non fumai in consideratione, e che difficilmente fisar ebbe imaginato, che potese essere molte utolte si trova ingannato. Non si puo chiamare infelice vna città, che fiorita lungamente, uieneabal Sezza, perche questo è il fine delle cose humane, në sipuoimputareinfelicitàlelle resoto postoa quellalegge, che è commune atuti gl’altri, mainfelicesonoque i cittadini,a i quali ha dato la forte nascere piu presto nella declinatione della sua patria, chenel tempo della sua buona fortuna. fono. Però Si chi sul far giudicio del futuro vuol pigliare  qualchedeliberatione, comespesso calcula, la tal cosa anderà, ònel tal modo, ò nel tale., e su questo discorso pigliail suo partito, perche per la varietà delle cose, ed egli accidenti del mondo, viene  il principe, che volessetorreil creditoagli Astrologi, che stampano i giudicij vniuersalmente, non harebbe il piu facilmodo, che comandare, che quando si stampa il giudicio loro, perl'anno futuro, fusseri stampato, e appiccato conesso loro il giudicio dell'annopaljato, perche gl’uomini rileggendoin quelloquantopoco fifienoa p posti del passato, farel bono sforzati non prestar fede al futuro, & hauendosi dimenticato le bugie dell'annopaljato, la curiosità naturale, che hanno gli huomini di sapere, quelche ha da essere, gliinclina facilmenteaprestarlifede. 1 però sono molto diverse, äsi discorrono le cose con diuerso occhio, sigiudicano condiversogiudicio,& infine, l'uno le misura con diversa misura dall'altro. fareogni opera possibile, fa checoluiilpiu delleuoltè cominci a acre dere, che non lo voglia seruire; il contrario intrauienea chi fa larghezza disperan 2a,  e di facilità, perche s'acquista piu colui, ancorche l'efeto non riesca, cosi si Dede, che chi si governa con arte, o perdir meglio con qualche avvertenza , è piu grato, & piu fa il fatto suo, nè procede da altro, se non da essere la piu parte degli huomini ignoranti al mondo, che s'ingannano facilmente in quello che desiderano.onesto ma utilitario, ambi ziosoepositivo, considerato il dramma della ruina italica, in mezzo al quale si svolse l'agitata sua esi stenza, voi avrete nelle mani il segreto per giudicare la sua energia morale anche nelle opere scritte, in cui manifesta l'anima sua,che vibra d'ambizione, di collera, discoraggiamento, dibeffardo scetticismo e anche di nobili entusiasmi. e Machiavelli posemano ai suoi Discorsi sulle deche di LIVIO (si veda), elifinìmolto più tardi: liandò leggendo negli Orti Oricellari, circondato dai fiorentini,che pendeno ammirati dalle sue labbra. Egli dice, sin dal principio, di essere stato spinto a svolgere sì alto argomento dal bisogno di operare quelle cose che crede adatte a recare comune beneficio a ciascuno. E se l'ingegno povero,la poca esperienza delle cose presenti, la debole notizia delle antiche, faranno questo suo conato difettivo e di non molta utilità, daranno almeno la via ad alcuno, il quale,con più virtù,discorso e giudizio, possa a questa sua intenzione soddisfare. Più apertamente manifesta questo suo desiderio, concludendo. Benchè questa impresa sia difficile, nondimeno aiutato da coloro, che mi hanno ad entrare sotto questo peso confortato, credo portarlo in modo che ad un altro resterà breve cammino a condurlo al luogo destinato. G. ne accetta l'invito e scrive le sue osservazioni intorno ai discorsi di MACHIAVELLI, fermandosi a con Machiavelli, nel proemio al primo libro dei Discorsi. MACHIAVELLI tratta delle origini delle città e os serva che se trovansi in luoghi sterili, i cittadini d i ventano energici ed operosi : ma se si stabiliscono in luoghi fertili, cadono nell'ignavia,se non si cerca con le leggi di correggere il male morale portato dalla fecondità della terra. Se non che la sterilità dei luo ghi non offre facile via alle conquiste,e per questo I ROMANI fondarono la loro città in luogo fertile e adatto a spianare ad essi la via dell'imperio. Al ri manente rimediarono con leggi severissime, le quali resero armigero il popolo. Su quest'ultima parte G., che assai ammira l'arte militare dei ROMANI e non troppo il governo e la politica loro, osserva che Roma e bensìposta in paese fertile, ma per non avere contado e essere cinta di popoli potenti, e forzata allargarsi con la virtù delle armi e con la concordia; e questo si discorre non in una città che voglia vivere alla filosofica, ma in quelle che vo  siderare i primi due libri e appena qualche capitolo del terzo, perchè gli mancò iltempo a continuare il lavoro intrapreso.In esse spicca la differenza di mente fra G. e il Machiavelli: questi guarda le questioni da sublime altezza e sotto un aspetto più generale, abbandonandosi alla sua geniale idealità, nello studiare l'organizzazione dello stato. G. invece, ricco di tanta esperienza,vero genio del senso pratico, non segue il suo amico nei voli poetici, ma si ferma soltanto a rettificare quelle idee del Machiavelli a lui sembrate erronee. In ciò mostra forza e sicurezza di indagine, conoscenza profonda dei governi. Egli discute i mezzi di reggere le repubbliche e i principati, ne studia l'indole per cercare il governo migliore. Parla dei modi di comportarsi coi soggetti e di aumentare fuori l'imperio degli stati,di condurre le guerre, dell'efficacia delle religioni sulla civiltà delle nazioni. Ragiona sulla natura umana, dominata dai due istinti del bene e del male. gliono  governarsi secondo il comune uso del mondo, come è necessario fare; altrimenti sarebbono,essendo deboli, oppresse e conculcate da’ vicini. Moltissime sono le osservazioni di G. circa le varie specie di governo, le guarentigie da prendersi per custodire la libertà, le qualità e condizioni necessarie ad un regime per essere forte.” Degne di studio sono pure quelle riguardanti il principato,ilgoverno popolare e quello degli ottimati. Il frutto del governo regio, così  G., è che molto meglio, con più ordine, con più celerità, con più segreto, con più risoluzione si governano le cose pubbliche quando dipendono dalla volontà di un solo, che quando sono nell'arbitrio di più. Ma se il sovrano è cattivo, gl’effetti ne sono pessimi. E però, secondo lui, è necessario farlo perpetuo, ma limitargli l'autorità, con fare che da sè solo non possa disporre di alcuna cosa e solamente abbia libertà d'azione in quelle che sono di minore importanza. Dichiara che nel governo degl’ottimati è il bene, perchè essendo in più non possono cadere tanto facilmente nella ti rannide, come avviene nel principato :essendo uomini qualificati governano con più prudenza e intelletto del popolo.Il male è che favoriscono troppo le cose proprie e opprimono il popolo: l’ambizione fa nascere in essi le sedizioni e per via della tirannide si produce la ruina della città. Se poi, invece del governo degli ottimati, per elezione o per qualità, che si potrebbe rendere buono con acconci provvedimenti, si avesse quello degli ottimati per nascita o per eredità,questo sarebbe il peggiore di tutti. « Nel governo di popolo è di buono che mentre dura non vi è tirannide ; pos sono più le leggi che gli uomini ; e il fine di tutte le deliberazioni è badare al bene universale. Di male 1 FEgli, nei suoi giudizî così temperato, lascia ogni prudenza allorchè parla del popolo che disprezza,m e n tre il segretario fiorentino lo esalta e l'ama.Intorno alla ignoranza e malvagità,fondate in sulla invidia, opina che senza comparazione il popolo sia più in grato; perchè, e per essere gli uomini distratti in varie faccende, e per altre cagioni, manco intende, manco distingue e manco conosce che non fa il prin cipe ; e quanto alla invidia,cade più facilmente negli uomini popolari,a’quali ogni grandezza punto emi nente o di nobiltà o di ricchezze o di virtù o di ri putazione è ordinariamente molesta ; nè cosa alcuna dispiace loro che vedere altri cittadini che abbino più qualità di loro e questi sempre desiderano abbas  vi è che il popolo,per la ignoranza sua,non è capace di deliberare le cose importanti. è instabile e desi deroso sempre di cose nuove e però facile a essere -mosso e ingannato dagli uomini ambiziosi e sediziosi ; batte volentieri i cittadini qualificati, che gli neces sita a cercare novità e perturbazioni. G., inchinevole più al governo di uno, quando sia temperato da savie leggi,anzichè al popolare, si di scosta in ciò da Machiavelli,che nel popolo ripone grandi speranze : questo è uno dei punti,in cui la dif ferenza deigiudizî si fa più spiccata fra di essi. Del resto G. reputa ottima la forma del governo misto di principe,popolo,ottimati,togliendo da ciascuna specie il buono e lasciando indietro il cattivo, cercando di conciliare tutti gl'interessi; la qual forma presenta delle somiglianze coi governi co stituzionali dei nostri tempi,ed è quellalodatapure dal Machiavelli. I due grandi statisti fiorentini discor rono dei governi secondo le idee di Polibio, ma G., profondo conoscitore delle condizioni dei suoi tempi,con acume più pratico parla dei varî re gimi e delle passioni e appetiti che muovono iprin cipi, i nobili e il popolo ad impadronirsi dello Stato.  sare. Crede  G. di non saper bene ciò che voglia dire la questione presentata da Machiavelli, se si deve porre l a guardia  della libertà nel popolo o ne'grandi. Se intendesi discorrere di chi deve partecipare al governo, ciò spetta,nei governi misti c o m e quello di Rom a , tanto ai patrizî c o m e ai plebei , che salvarono spesso la libertà della patria. Ma quando fosse necessario mettere in una città o un governo meramente di nobili o un governo di plebe, è manco errore farlo di nobili, perchè essendovi più prudenza ed avendo più qualità,sipotràpiùsperare si mettino in qualche forma ragionevole,che in una plebe,la quale essendo piena d'ignoranza,di confu sione e di molte male qualità, non si può sperare se non che precipiti e commetta ogni colpa. Lo stesso disprezzo per il popolo lo rivela nelle pagine, in cui d i mostra essere stati i Romani meno ingrati degl’ateniesi verso iloro cittadini più illustri.Ciò accade per chè nella natura dei Romani non è la leggerezza degl’ateniesi e anche per la diversità del governo. In Atene poterono i cittadini con le arti popolari salire presto in potenza e farsi grandi: ma i capi, in questo g o verno popolare, caddero più facilmente in sospetto e con più leggerezza e meno considerazione furono oppressi. La plebe romana trova il contrappeso della nobiltà, poichè nel Senato si trattavano le cose più gravi. La qualità quindi del governo dei Romani,più tempe rato e prudente, fu causa che icittadini ebbero meno degli Ateniesi aperta la via alla tirannide e vi furon meno battuti. Ma quando G. vuol dimostrare che la costanza e la prudenza sono qualità meno del popolo regolato da leggi e più del principe e degli ottimati regolati dalle leggi,egli diviene aspro e quasi violento contro il popolo. Perchè dove è    minor numero, èlavirtùpiùunita,epiùabileapro durre gli effetti suoi ; vi è più ordine nelle cose, più pensiero edesame, ne'negozîpiùrisoluzione; ma dove è moltitudine,quivi è confusione; e in tanta dissonanza di cervelli, dove sono varî giudizî,varî pensieri, varî fini, non può essere nè discorso ragionevole,nè riso luzione fondata, nè azione ferma. Però non senza cagione è assomigliata la moltitudine alle onde del mare, le qualis econdo i venti che tiranovannoora in qua ora in là, senza alcuna regola, senza alcuna fermezza.'  I principi e con essi i più eminenti statisti della Rinascenza avevano la convinzione essere le istitu zioni un trovato dell'ingegno,e da questo unicamente dipendere senza badare alla responsabilità delle azioni, nè alla violenza che isovrani avrebbero esercitata so pra i soggetti. Essi non sospettavano che il governo di un popolo dovesse sgorgare direttamente dal suo spirito e trovare un sostegno nelle tradizioni del paese. G. soltanto in parte era di ciò persuaso ; vagheggiava un governo misto, ma inten deva accordare al popolo la minore ingerenza possibile in esso:pure ilregime desiderato da Firenze,eche era stato la gloria della repubblica,era il democra tico, malgrado gli errori in cui era caduto.Tuttavia a lui, osservatore profondo, non sfugge mại la realtà delle cose e dice che un popolo,uso a vivere sotto un principe, se diventa libero,con difficoltà mantiene gli ordini liberi:ciò non accade invece ad un altro che sia stato libero e per qualche accidente abbia perduto la libertà,perchè in questo caso si possono ripigliare gli ordini liberi, vivendo con chi già li pos sedette, ed essendo nei cuori la memoria dell'antica repubblica. Afferma anche la difficoltà di educare un popolo alla libertà se mai non la conobbe :in tal caso necessita fondare un governo temperato,opprimere i nemici, lasciando sicuri quelli che vogliono vivere bene.E più avanti:un principe che ha inimico il popolo,per la oppressione male esercitata, vi rime dierà levando via le ingiurie e governando giusta mente,ma non vi rimedierà se si trova davanti un popolo che vuole essere libero per aver mano al go verno,perchè in questo caso sono vane le dolcezze.? A G., nel meditare sulle vicende storiche del passato, appariva vana la speranza di ritrovare il buono assoluto nelle forme di governo,perciò ne cer cava il buono relativo che potesse reggersi in mezzo al trambusto degli avvenimenti tempestosi che scon volgevano l'Italia,invasa dagli stranieri.La società trasformatasi manifestava nuove aspirazioni e nuovi bisogni che occorreva seguire e accontentare : si d o vevano evitare i mezzi estremi col cercare l'armonia dei varî interessi. Ma, ripetiamo, egli accordava al popolo una piccola partecipazione al governo, mentre l'aveva avuta grandissima, e quindi urtava contro le tradizionipatrie:scordava che la natura delude con le sue leggi il nostro volere e si vendica di chi,col l'intenzione di dominarla, non cerca innanzi tutto di assecondarla. Nella Considerazione G. mostra la differenza fra l'indole sua e quella del Machiavelli, il quale assicurava che in ROMA antica non si puo trovare mezzo più efficace per cementare la libertà che ammazzare i figli di Bruto. G., rispondendogli, riconosce la necessità di tuffare a suo tempo le mani nel sangue, tuttavia fa voti perchè « non desideri la nuova libertà che vi siano figliuoli di Bruto,cioè chi macchini contro allo Stato, per avere causa di acquistare riputazione e tenere con la severità ;perchè se bene è necessario in simili casi mettere mano nel sangue, sarebbe stato meglio non avere avuto necessità, e che BRUTO (si veda) non avesse figliuoli, che averne per avergli ammazzare. Nell'agitare la quistione sulla bontà dei governi, si discute, dal G. e dal Machiavelli,non solo intorno ai mezzi di ringagliardire la repubblica,ma anche il principato . Se un principe, secondo il G., si trova di fronte a un popolo che ami la li bertà,ilsolo rimedio sarà quello  o di farsi dei par tigiani di qualità, che siano potenti a opprimere il popolo, ovvero, co l battere e annichilire il popolo di sorte che non possa muoversi,introdurre nuovi abi tatori e di qualità che non abbino a avere causa di desiderare la libertà? » Così , senza parere, egli sembra accostarsimoltoalleidee di Machiavelli, ma tosto cerca di rendere meno cruda e assoluta la sentenza emessa. « Però bisogna che il principe abbia animo a usare questi estraordinarî,quando sia necessario; e nondimeno sia sì prudente che non pretermetta q u a lunque occasione se gli presenti di stabilire le cose sue con la umanità e co'benefizî, non pigliando così per regola assoluta quello che dice lo scrittore, al quale sempre piacquono sopra modo e rimedi estraor dinarî e violenti.?» Il Machiavelli è d'opinione che a fondare una re pubblica bisogni essere solo e che per questo fece bene Romolo ad ammazzare ilfratello.A luir isponde G. Non è dubbio che uno solo può porre migliore ordine alle cose che non fanno molti, e che uno in una città disordinata merita laude, se, non potendo riordinarla altrimenti,lo fa con la vio lenza e con la fraude e modi estraordinarî. Ma è da pregare Dio che le repubbliche non abbino necessità diesserer acconceper similevia, perchè gl’animi degl’uomini sono fallaci e può uno sotto questo onesto colore occupare la tirannide. Inoltre bi sogna prima bene leggere e considerare la vita di ROMOLO, il quale sebbene mi ricordo si dubitò non fosse ammazzato dal senato per arrogarsi troppa autorità. E mentre il Machiavelli entusiasmato parla della generosità d'animo del suo principe legislatore, che, compiuta l'opera, senza lasciare lo stato ai figliuoli, lo affida alle cure vigili del popolo, ecco G. interromperlo e osservare che questi pensieri che i tiranni deponghino le tirannidi,e che i re ordinino bene i regni, privando la loro posterità della successione,si dipingono più facilmente in su'li bri e nelle immaginazioni degli uomini,che non se ne eseguiscono in fatto. Ammette,col Machiavelli, la frode, la violenza, l'inganno,per cementare salda mente uno Stato, ma vuole attenuare il fatto, e ne discorre con parole moderate e suggerite dal buon senso. Così pure non condivide gli entusiasmi del Machiavelli sull'uomo destinato a dare nuova vita a un popolo, sebbene egli creda gli uomini meno cattivi di quelloche sono reputati dal segretario fiorentino. Dimostra Machiavelli che si viene di bassa a gran fortuna, più con fraude che con la forza ; ma G. Osserva. Se lo scrittore chiama fraude ogni astuzia o dissimulazione che si usa anche senza dolo, può essere vera la conclusione sua,che la forza sola,non dico mai,che è vocabolo troppo assoluto, ma rarissime volte conduca gli uomini da bassa a grande fortuna.Ma se chiama fraude quella che è proprio fraude, cioè il mancamento di fede, o altro procedere doloso,credo si trovino molti che hanno senza fraude acquistato regni e imperî grandissimi. Di questi fu Alessandro Magno, di questi Cesare, che di cittadino privato con altre arti che di fraude si 1Presuppone il Machiavelli che tutti gli uomini sono cattivi ed essere necessario all'ordinatore di una re pubblica infrenarli con le leggi,perchè non operano mai ilbene se non per necessità.IlGuicciardini è con trario a questa sentenza eccessiva, e crede la maggior parte degli uomini inchinevoli più al bene che al male : e se alcuno ha altra inclinazione, è così diffe rente dagli altri e spoglio dell'istinto che ci porge lanatura,da doversi più prestochiamaremostroche uomo.È adunque ogni uomo inclinato al bene, ma, essendo la natura sua fragile, può essere deviata dal retto cammino,dalla volontà,dall'ambizione e dal l'avarizia: leleggi si devono fare in maniera da impe dirgli di fare il male di cui sente l'impulso, e nel tempo stesso allettarlo al bene coi premî. Sostiene il Machiavelli essere sempre la frode un mezzo di in grandimento. G.  talora la crede inutile e la vorrebbe lasciata da parte,non in nome della morale, m a di un ben inteso interesse. Il Machiavelli sostiene che nel mondo fu tanto di buono in un'età quanto in un'altra,benchè varino i  condusse a tanta grandezza,scoprendo sempre l'am bizione sua e lo appetito di dominare M a ,quanto alla fraude, può essere disputabile se sia sempre buono istrumento di pervenire alla grandezza ;perchè spesso coll'inganno si fanno di molti belli tratti,spesso anche l'avere nome di fraudolento toglie l'occasione di con seguire gl'intenti suoi.'> Tutti e due eran d'accordo che l'inganno è necessario per riuscire ad un buon fine, però G. non accetta in modo asso luto le massime del Machiavelli e dimostra la diffe renza della sua indole, molto più pratica,se si para gona a quella del Machiavelli ; più sistematica nel venire a considerare i casi in cui la frode conduce o non conduce alla meta agognata. Considerazioni al proemio del lib . luoghi, la qual cosa equivale a dire che sempre nella umana famiglia il bene e il male si equilibrano. All’incontro G., con mirabile penetrazione, e v o cando dinanzi a sè le età passate,risponde di no :e anche riconoscendo che l'antica non è superiore ai tempi che la seguirono e che verranno,afferma che la somma del bene e del male è differente nelle diverse età e ne porge gli esempî: Chi non sa in quanta eccellenza fussino a tempo de' Greci e poi de’ ROMANI la pittura e la scultura , e quanto di poi restassino oscure in tutto il mondo ; e come dopo essere state sepolte per molti secoli siano da centocinquanta o dugento anni in qua ritornate in luce ? Chi non sa quanto a'tempi antichi fiorì non solo appresso a'Romani,ma in molte pro vincie la disciplina militare, della quale i tempi n o stri e quelli de'nostri padri e avoli non hanno veduto in qualunque parte del mondo se non piccoli e oscuri vestigî ? Il medesimo si può dire delle lettere, della religione, che senza dubbio in alcune età sono state sepolte per tutto, in altre sono state in molti luoghi eccellenti e in sommo prezzo. Ha visto qualche età ilmondo pieno di guerre,un'altra ha sentito e go duto la pace ; dalle quali variazioni delle arti, della religione,dei movimeti delle cose umane,non èm a raviglia siano anche variati i costumi degli uomini, i quali spesso pigliano il moto suo dalla istituzione, dalle occasioni,dalla necessità.?» Per G. è indispensabile ai popoli la reli gione, in ispecie quando viene usata come elemento di forza nello Stato, e ad esso sottomessa : tuttavia non condivide col Machiavelli l'opinione che iRomani abbiano dovuto alla religione una sì gran parte della loro potenza, e dimostra avere le armi maggiormente contribuito ai trionfi delle aquile latine sulla terra. Alla questione sulla religione dei Romani si collega Considerazioni al proemio. e e 2  particolare circa l'influenza del papato sui destini d'Italia, in cuii due eminenti pensatori hanno punti di contatto e altri che li dividono. Afferma Machiavelli avere la Chiesa cattolica di Roma tenuta l'Italia divisa, ed essere stata causa che non potesse venire sotto un capo e rimanesse sotto a più principi e signori, dai quali le venne tanta disunione e debo lezza da cadere preda dei barbari potenti e di chiun quel'assaltasse. G. Risponde. Non si può dire tanto male della corte romana,che non m e riti se ne dica più,perchè è un'infamia,un esemplo di tutti i vituperî e obbrobrî del mondo.» È con vinto essere stata causa la grandezza della Chiesa che l'Italia non sia caduta in una monarchia. Pure è dubbioso se il non essersi organata nella monarchia sia stata felicitào infelicità di questa nostra terra, poichè la divisione sua in tanti dominî, malgrado le sofferte calamità, produsse le sue glorie comunali. Osservazione profonda e vera,poichè se l'Italia fosse caduta sotto il dominio di uno solo, le varie regioni, in cui si divise,non avrebbero prodotto l'energia in dividuale dei comuni, che creò tanti tesori in molte parti dello scibile e della attività umana, nei com merci e nelle industrie,preparando gli splendori della Rinascenza,che furono fiaccola alla civiltà del mondo . G. rimane ad osservare la realtà delle cose che aveva d'attorno e non voleva seguire lM a chiavelli,che lanciava il suo guardo di aquila oltre i confini d'Italia, a osservare il formarsi delle nazioni unitarie , giovani e forti, aventi un vivo sentimento patrio. Secondo il segretario fiorentino,l'Italia,divisa e debole,non poteva difendersidalle loro cupidigie d'in grandimento, e già cadeva sotto i loro colpi brutali, mentre nei secoli passati, senza la piaga del papato, essa pure avrebbe potuto divenire di mano in mano una nazione unita e forte sotto i suoi legislatori, ed ora non si sarebbe trovata immersa in tante infelicità. Nella quistione sulla lotta fra la plebe e la nobiltà, che agitò ROMA e Firenze,non vanno d'accordo. Machiavelli osserva che le divisioni di Firenze furono esiziali alla città, perchè la vittoria del popolo porto larovinadeigrandi: quelle di Roma inveceriesci rono di grandezza allo Stato,perchè ilpopolo,rima sto a combattere sulla via della legalità,si accontentò di rivendicare isuoi giustidiritti; e,conseguitili,di vise coll'aristocrazia il governo. A queste giuste e originali osservazioni risponde G.,e com batte la maniera assoluta con cui sono dette: Se da principio o non fosse stata questa distinzione tra patrizî e plebei, o se almanco si fosse data la metà degli onori alla plebe come si fece poi, non nasce vano quelle divisioni,le quali non possono essere lau dabili,nè si può negare non fossero dannose,sebbene in qualche altra repubblica manco virtuosa avrebbero fatto più nocumento. Laudare le disunioni è come laudare in uno infermo la infermità,per la bontà del rimedio che gli è stato applicato.?» E ponendo mente all'ambizione di uominicospicui, che approfittarono delle lotte fra popolo e nobiltà per impadronirsi del governo, G. dice come APPIO CLAUDIO (si veda) e rovesciato dal potere non per essersi unito ai grandi a combattere il popolo, mentre doveva fare altrimenti, ma perchè tenta di rovesciare la repubblica, la quale e allora governata da ottime leggi, piena di santissimi costumi e ardentissima nel desiderio della libertà. MANLIO CAPITOLINO, sebbene procedesse contro il senato con arte meramente popolare, pure fu oppresso dal popolo medesimo, appena capì che cercava di spegnere la libertà. SILLA occupa la tirannide a Roma elastabili con l'aiuto della nobiltà; il Duca d’Atene si fece tiranno a Firenze col favore dei grandi, che non seppe mantenersi fedeli per la sua imprudenza e leggerezza. GIULIO CESARE si fa signore di Roma col favore della plebe.Così nell'una parte e nell'al tra si trovano molti esempi e ciascuna parte ha le sue buone ragioni. « I partiti non si possono pigliare con una regola generale, ma la conclusione s'ha a cavare dagli umori della città, dall'essere delle cose che varia secondo le condizioni dei tempi e altre oc correnze che girano. Secondo G. chi ha seco la nobiltà ha un fondamento più gagliardo di riuscita : chi ha il popolo dalla sua parte ha più seguaci, ma la potenza sua è meno sicura, per il mutarsi degli umori della moltitudine. Il principio annunziato dal Machiavelli che sono lodevoli i fondatori di una repubblica o di un regno quanto vituperevoli quelli di una tirannide, è dal G, trovato giusto. Però,egli dice con rettitu dine,non bisogna confondere gli esempî, perchè qual che volta può darsi che le forme della libertà sieno così disordinate e le città ripiene tanto di discordie civili,da condurre qualche cittadino,non potendo sal varsi altrimenti,a cercare la tirannide o ad aderire a chi la cerca. Mentre è detestabile in GIULIO CESARE, pieno dialtavirtù,ma oppresso dall'ambizione del dominare : accade pure al governo della plebe di diventare tirannico e allora,dai perseguitati,si desidera la m u tazione dello Stato. G., quando siferma a meditare sulla storia di Roma antica, vi guarda dentro con l'occhio del politico,non con quello dello storico.Non si cura di ricercare se i re sono esistiti veramente ovvero se simboleggiano le varie età che si succedettero presso la gente romana così famosa : questi dubbî,già balenati alla mente degli umanisti delsecoloXV, non la tocca nonemmeno. Egliguarda soltanto ai caratteri della politica romana, e, contro il parere del Machiavelli, afferma che, eccettuata disciplina militare, Roma ebbe un governo in molte partidifettoso, come,peresempio,lafacoltà accor data ad un uomo di fermare le azionipubbliche e le deliberazioni della città,come feceroiconsoli, anche togliendo ilfreno deltribuno.In potestà dei consoli fu il diritto di privare dell'autorità senatoria uomini onorandi come MAMERCO EMILIO. Egli è pure del parere del Machiavelli che la prolungazione degl'imperî fu occasione grande a chi volle occupare la repub blica, perchè era istrumento a farsi amici i soldati eseguitocoire. Mailfondamentodeimalifulacor ruzione della città,la quale,datasi all'avarizia,alle delizie, era in modo degenerata dagli antichi costumi che ne nacquero le divisioni sanguinose della città, dalle quali sempre ne'popoli si viene alle tirannidi. Però quando Roma non fu corrotta,la prolungazione degl'imperî e la continuazione del consolato, che nei tempi difficili usò molte volte, furono cosa utile e santa. Conchiude che se non fussino state le pro lungazioni,non sarebbe mancato nè a Cesare nè agli altri che occuparono la repubblica, nè pensiero ne facoltà di travagliarla per altra via,essendo la città corrotta? »  Non ostante la loro somiglianza,idue grandi po litici fiorentini avevano tendenze intellettuali diffe renti, e spesso si trovavano in disaccordo.Nelle m a s sime che risguardano laguerra, Machiavelli sostiene che si deve fare col ferro e non coll'oro: ibuoni sol dati soltanto sono il nervo della guerra e non l'oro: occorrono certo I danari,ma in secondo luogo,essendo impossibile che abbino a mancare ai buoni soldati. Il Guicciardini, che si attiene alla vita reale del se coloXVI, incuinonc'eranoarmiproprie,se si eccettua il tentativo fatto in Firenze sotto il gonfaloniere SODERINI, per impulso generoso del Machiavelli ;CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI.  il G., ilquale era stato governatore di pro vincie, commissario generale negli eserciti e cono sceva la venalità dei capitani e delle milizie, che per il danaro calpestavano la fede giurata e rinne gavano sin anche la patria,non poteva essere dello stesso avviso,sapendo per esperienza che occorreva danaro per avere illustri capitani, milizie e buone fortezze. Del resto, se egli sostiene che il danaro è il nervo della guerra, non intende che i danari soli bastino a fare la guerra, nè siano più necessarî dei soldati, perchè sarebbe stata opinione falsa e ridi cola. All'incontro intese « che chi faceva la guerra, aveva bisogno grandissimo di danari e che senza quelli era impossibile a sostenerla, perchè non solo sononecessarîperpagareisoldati,ma per provve derelearmi,levettovaglie,lespie,lemunizioni e tanti istrumenti che si adoperano nella guerra ;iquali ne ricercano tanto profluvio,che a chi non l'ha pro vato è impossibile a immaginarlo. E sebbene qualche volta un esercito scarso a danari con la virtù sua e col favore delle vittorie li provvede,nondimeno ai tempi nostri massime sono esempli rarissimi :e in ogni caso e in ogni tempo non corronoidanari dietro agli eserciti, se non da poi che hanno vinto.'» A questo disaccordo si aggiunse l'altro intorno alle fortezze e alle armi da fuoco,che ilMachiavelli, per stare troppo attaccato all'esempio dei Romani, non tiene in nessun conto,dicendo le fortezze più dan nose che utili. Il G. lo riprende con ragione e dice : « Non si deve lodare tanto l'antichità che l'uomo biasimi tutti gli ordini moderni che non erano in uso appresso a’ Romani, perchè la esperienza ha scoperte molte cose che non furon considerate dagli antichi, e, per essereinoltrei fondamenti diversi,con vengono o sono necessarie a una delle cose che non convenivano,o non erano necessarie all'altre.Però se iRomani nelle città suddite non usaronoedificarefor tezze,non è per questo che erri chi oggidi ve le edifica : perchè accadono molti casi,per i quali è molto utile avere fortezze. E quella ragione che si adduce nel Discorso, che le fortezze danno animo a'principi a essere insolenti e fare mali portamenti, è molto fri vola,perchè se s’avesse a considerare questo,avrebbe un principe a stare senza guardia, senza esercito, senza armi. Dipoi le cose che in sè sono utili,non si debbon fuggire, sebbene la sicurtà che tu trai da loro tipossa dare animo a essere cattivo:verbigra zia,sideve biasimarelamedicina, perchè gliuomini, sotto fidanza di quella, si posson guardare manco da 'disordini e dalle cagioni che fanno infermare? Certo si deve deplorare che queste fortezze il G. l’estimasse utili soltanto ai principi per guar darsi dai popoli,desiderosi di cose nuove,e tenerli obbedienti col terrore. Però, come è maraviglioso questo duello tra due ingegni grandissimi che s'incontrano sul campo del l'antica sapienza governativa:sono due gigantiuguali di forze, muniti delle stesse armi,che si contendono una gloriosa vittoria nel più difficile conflitto. Il G., come uomo di Stato, supera d'assai il Machiavelli,e bastano a dimostrarlole osservazioni che di mano in mano contrappone ai Discorsi del celebre segretario sulla prima Deca di Tito Livio,nelle quali, colla fredda acutezza della sua mente calma,colpisce sempre il lato debole dell'avversario e ne distrugge, colla sua logica implacabile,i ragionamenti poetici ed entusiastici, mettendone a nudo ora la fallacia, ora la indeterminata incertezza. Nella storia dei pen satori italiani non si trova una figura che possa reggergli a paro. È da lamentare che il tempo sia mancato al G. per continuare il suo esame intorno ai discorsi del Machiavelli sulla prima Deca di Tito Livio,perchè ci avrebbe rivelato maggior mente la potenza della vigorosa argomentazione del suo genio pratico di fronte a quello idealista del se gretario fiorentino. Francesco Guicciardini. Guicciardini. Keywords: implicatura, il concetto di stato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guicciardini: l’implicatura particolarizzata” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Guzzi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della lingua inaudita -- la lingua inaudibile, la lingua audita – filosofia lazia – scuola di Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “My favourite is his dictionary of the unheard tongue – with a foreword like sounds like Blair on newspeak!” - Filosofo. Studia al Liceo classico statale Giulio Cesare. Direttore dei seminari del Centro studi Eugenio Montale. La poetica di G., fin dall'inizio, si è concepita come un'esperienza spirituale, una ricerca di stati più dilatati della coscienza, sulla scia della linea che da Hölderlin, e attraverso Rimbaud, arriva fino al nostro migliore ermetismo. La ricerca teoretica di G, ha affrontato, in particolare nel saggio filosofico La svolta, significativamente sottotitolato "La fine della storia e la via del ritorno", il tema del cambiamento epocale che a suo avviso l'uomo è chiamato a conoscere e riconoscere, dentro e fuori di sé. Opere: Raccolte di poesia Anima in vetrina,  Il Giorno, Scheiwiller, Teatro Cattolico, Jaca, Figure dell'ira e dell'indulgenza, Jaca,  Preparativi alla vita terrena, Passigli, Nella mia storia Dio, Passigli, Parole per nascere,Paoline,  Saggi di filosofia e di religione La Svolta, Jaca, Rivolgimenti, Marietti, L'Uomo Nascente, Red, Passaggi di millennio, Paoline, L'Ordine del Giorno, Paoline, Cristo e la nuova era, Paoline, La profezia dei poeti, Moretti e Vitali, Darsi pace, Paoline, La nuova umanità, Paoline, Per donarsi, Paoline, Yoga e preghiera cristiana, Paoline, Dalla fine all'inizio, Paoline,  Dodici parole per ricominciare, Ancora  Il cuore a nudo, Paoline,  Buone Notizie, Ed. Messaggero  Imparare ad amare, Paoline  L'Insurrezione dell'umanità nascente, Edizioni Paoline,  Fede e Rivoluzione, Paoline  Il profilo dell'Uomo di Dio, Paoline  Alla ricerca del continente della gioia, Paoline  “Dizionario della lingua inaudita” Lingua e Rivoluzione, Paoline. Grice: “Guzzi plays with ‘lingua inaudita’ – literally ‘unheard of’ – but ultra-literally turns his dictionary into a magical oxymoron! Marco Guzzi. Guzzi. Keywords: lingua inaudita, lingua audita, lingua e rivoluzione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guzzi” --- The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Guzzo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- pagine di filosofi – filosofia campanese – filosofia napoletana – scuola di Napoli -- filosofia italiana – Luigi Speranza  (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I admire Guzzo; he founded ‘Filosofia,’ a philosophy magazine and led a school at Torino, but he selected ‘pagine di filosofi per i giovani italiani.’ He wrote interesting essays on “Gli hegeliani d’Italia” and Croce versus Gentile – a very systematic philosopher. The logo of his revista shows Oedipus and thes sphynx – that says it all!” Si laurea a Napoli, dove fu allievo di Maturi. Insegna a Torino e Pisa. Fonda "Erma”. Esponente dell'idealismo, si avvicinò all'attualismo di Gentile. È considerato quindi uno dei più grandi esponenti dello spiritualismo. Saggi: “Spinoza”; “Kant”; “Verità e realtà”; “Apologia dell'idealismo”; “Idealisti ed empiristi”; “Aquino”, “Bruno”; “Storia della filosofia”, “L'uomo” (Brescia, Morcelliana); “L'io e la ragione”; “Moralità”; “Scienza”; “Arte”; “Religione; “Filosofia” – P. Quarta, “Guzzo e la sua scuola, Urbino, Argalìa; Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani.L’ISAGOGE DI PORFIRIO  E I COMMENTI DI BOEZIO TORINO L’ERMA, ESTRATTO dagl’Annali dell’ Istituto Superiore di Magistero del Piemonte. TORINO -  L’Isagoge di Porfirio  e i Commenti di Boezio. Il Commento di Porfirio alle Categorie di Aristotele. Questioni su le Categorie. L’Isagoge. Il prologo. Il  primo commento di Boezio al prologo dell’Isagoge. Il secondo commento di Boezio. Le cinque voci. Il  genere. La specie. La differenza. La qualità.  L’accidente. Quel che hanno di comune le cinque  voci. Comparazione del genere con le alti e quattro voci. Comparazione della differenza con le altre quattro voci.  Comparazione della specie con le altre quattro voci. Comparazione della proprietà con le altre quattro voci. Comparazione dell’accidente con le altre quattro voci. Il primo commento di Boezio alla dottrina delle cinque voci. Il dialogo premesso al primo commento di Boezio. Divisione della filosofia. Il secondo commento di Boezio. Conclusione. Queste esposizioni di antichi testi molto famosi ma poco letti costituirono l’argomento del corso di Pedagogia da me professato nell’Istituto  Superiore di Magistero del Piemonte, Volevo  dare una conoscenza possibilmente precisa di quel che e l’istruzione e  la cultura nell’alto medioevo ed esposi i testi che in quei secoli sono più  meditati lumeggiando, di scorcio, anche lo sfondo d’idee su cui sorse più  tardi, sui primi periodi dell’Isagoge, la disputa degli universali. Porfirio, che è autore della celebre Isagoge, o Introduzione alle X Categorie di Aristotele, è anche autore di un  meno noto commentario alle medesime categorie. Sarà utile  studiare almeno la prima parte, cioè la parte introduttiva di  tale commentario. Forse si troverà in essa la spiegazione del  punto di vista dal quale si pone Porfirio nell’Isagoge. Questo commentario ci è pervenuto mancante dell’ultima  parte - quella riguardante le ultime quattro categorie e i  post-predicamenti - e assai scorretto e guasto anche nella parte  precedente. Lo si trova in un codice modenese miniato, in un codice della Marciana, in uno  dell’Escuriale, in uno parigino, in uno della Laurenziana. E' però  dimostrato che di tutti questi codici il primo, da cui tutti gli  altri dipendono direttamente, è quello modenese. Di sul codice parigino il commento e stampato a Parigi apud Bogardum. Su questa edizione, che è  l’edizione principe, del commentario, e condotta la versione  latina di Feliciano, stampata in Venezia apud Scotum. L’ edizione critica  si deve alle cure ogica che, ad esporli, si può tutt’al più riescire chiari. Ma avviciuarli  alla comune cultura può forse essere utile. Anche questo corso, che e  rimasto inedito, va messo tra i lavori da me preparati per l’Istituto Superiore di Magistero del Piemonte. Mi sia permesso enumerarli: Apologia  dell’idealismo (Discorso inaugurale), Torino,  Paravia; Introduzione e Commento al i^edone di Platone, Commento  alla Repubblica di Platone, Agostino: dai Contra Academicos al De Vera  Religione^Firenze, Vallecchi; Agostino, Il maestro^ Traduzione, Intro-  duzione, Commento e Appendici, Firenze, Vallecchi; Tommaso  d’Aquino, Il maestro, Traduzione, Introduzione e Commento, Firenze,  Vallecchi; Giudizio e azione, Venezia, «La Nuova Italia»;  Agostino e il sistema della grazia, Torino, «L’Erma»; Il  concetto di individuazione e il problema morale (Discorso inaugurale), Torino, L’Erma; La Summa contra Gentiles,  Torino, « L’Erma », 1931 ; I Dialoghi del Bruno, Torino, « L’Erma] di Busse, nell’edizione dei commenti ad Aristotele,  promossa dall’Accademia Prussiana: Porphyrii  Isagoge et in Aristotelis Categorias commentarium edidit Busse. — Berolini, Typis et impensis Reimer). Il commento procede per yììx di domanda e risposta. E’, in  londo, un dialogo, ma in cui le persone degli interlocutori non  hanno alcun rilievo ; la domanda parte da uno che non sa  e chiede spiegazioni. La risposta enuncia, evidentemente, la  soluzione che Porfirio crede si possa e si debba dare alle varie  questioni. Le quali se, da un certo momento in poi, riguardano  il più giusto significato da attribuire alla lettera del testo del LIZIO, prima vertono su problemi che investono rimpianto stesso  del piccolo saggio del LIZIO. Prima questione. “Categoria” in greco vuol dire   accusa, denunzia, fatta all’AGORA, o assamblea. Come mai Aristotele chiama categorie  l' I essenza, la II quantità, la III qualità, ecc.? La risposa è che il filosofo, costretto talvolta a coniar parole nuove, tal’altra a dare  un significato nuovo a parole consuete, adopra la parola “categoria” per indicare le espressioni enunciative delle cose (tàc twv Xé^soov twv a'ijjxavttxwv y.arà twv TUpaYixatcov xat-   YjYopta? TrpoosìTcsv). Sicché, ogni semplice espressione enunciativa,  quando sia pronunciata e detta della cosa enunciata, si dice  categoria. Per esempio: se la cosa che vien mostrata è questa  pietra che tocchiamo e che vediamo, quando di essa diciamo:  «questa è pietra», l'espressione «pietra» è il categorèma,  giacché indica la cosa e vien detta di essa. Seconda questione. — Il LIZIO chiama il suo scritto  Categorie o, come altri, Le X Categorie? Porfirio risponde respingendo tanto questo titolo dello scritto  quanto gli altri. Prima della Topica, dei generi dell'essere, dei X GENERI generi. Non Prima della Topica perché in tal  caso sarebbe stato più esatto dire Prima degl’Analitici, anzi prima dell’interpretazione, chè il saggio delle Categorie  è il più elementare e introduttivo a tutte le parti della filosofìa,  E piuttosto sarebbe Prima della parte fisica della filosofia. Anziché Prima della Topica: chè è opera della natura l’ I essenza, il quale e simili. Nè il saggio potrebbe in nessun caso intitolarsi “Dei generi  dell’essere” o “dei X generi,” perchè gl’esseri e i loro  generi e le specie e le differenze sono cose e non voci. Invece, Aristotele, enumerando le X categorie, l’ I essenza, il  II quale, il III quanto e le rimanenti, dice che ciascuna delle dette si  dice per sé stessa, non per attribuzione, mentre l’attribuzione, o affermazione, avviene mediante connessione di esse tra loro. Or se è la connessione delle categorie quella che dà luogo all’asserzione, e se l’asserzione consiste in voce indicativa e  discorso dimostrativo (èv oyjaavrix-^ xai àTio^avTixij)), il saggio aristotelico non può riguardare i generi dell’essere, nè  in generale le cose. Chè non la connessione delle cose costituisce l’asserzione, bensì la connessione della voce significativa  che indica la cosa.  E Aristotele stesso dice che ciascuna delle categorie dette  senza alcuna connessione significa o l’essenza o il quanto, con  quel che segue. Ora, se Aristotele parla di cose, non direbbe  “”significa” l’essenza, chè la cosa NON SIGNIFICA, bensì E SIGNIFICATA. Ciò che SIGNIFICA è la voce, la parola: di voci, di parole  dunque, tratta Aristotele nelle Categorie. Perchè, poi, debba essere questo il titolo dello scritto, e  chiaro - dice Porfirio - quando si sia dimostrato il contenuto  proprio del saggio. Quale è dunque il contenuto  proprio delle Categorie? Porfirio risponde rifacendosi di lontano.  L’uomo - egli scrive - giunto a indicare e significare le cose  circostanti, pervenne a nominarle con la voce e a indicare con  questo mezzo ciascuna di esse. Il primo uso che egli fa delle  parole e rivolto a mostrare ciascuna cosa per mezzo di voci  e di parole; col quale riferimento delle voci alle cose questo  chiama “sedile”, quello “uomo”, quell’altro “cane” e quell’altro “sole”. E ancora questo colore chiama “bianco”, quello “nero”; e questo  chiamò numero, quello grandezza ; questo “due cubiti”, quello “tre  cubiti”; e cosi per ciascuna cosa stabili parole e nomi significativi di esse e indicativi mediante determinati suoni della voce.  Stabilite dunque per le cose, come contrassegno, talune  parole, l’uomo, passando ad una seconda impresa e riflettendo  sulle parole stabilite, quelle che si uniscono agl’articoli chiamò  nomi, e quelle come  io passeggio, tu passeggi chiamò verbi.  Di modo che, se nella prima imposizione di nomi questo chiamò  oro e quello sole, nella seconda la voce oro  chiamò nome  e la voce  passeggio verbo.  Ora il contenuto delle Categorìe del LIZIO è precisamente  il primo stabilimento delle parole, quello che mostra le cose:  giacché studia le voci significative semplici, in quanto significative delle cose, distinguendole non l’una dall’altra individualmente, chè, di numero, le voci sono infinite come le cose che  significano, ma distinguendole secondo il genere a cui appartengono. Ora l’infinità degl’enti e delle parole che li significano  si lasciano ridurre a X generi: giacché X sono le differenze di genere degl’enti, e X anche le voci che le indicano. Ma questo fatto che le voci, simili a messaggere, prendano le  differenze dalle cose che annunziano, non toglie che la ricerca  principale sia, nelle Categorie intorno alle voci significative,  e non intorno alle differenze di genere degli enti. X sono i generi delle parole in quanto significative di  cose: ché significano o l’essere (la I sostanza), ó la II quantità, la  III qualità, la IV relazione, ecc. (i IX ACCIDENTI della SOSTANZA). Due,  invece, sono le parole che significano il tipo a cui appartengono; giacché tutte le voci sono di due tipi: o nomi o verbi. Alla  quale seconda ricerca - grammaticale, non logica, diremmo  noi appartiene anche distinguere la espressione propria dalla  metaforica e dagli altri tropi. Presentata cosi la ricerca delle Categorie come una ricerca  nè metafìsica, nè grammaticale, nè retorica. Non metafìsica  perchè secondo Porfirio, è incidentale il riferimento ai generi  dell’essere, essendo l’attenzione rivolta ai generi delle parole  significative, in quanto appunto significano questo o quello. Non  grammaticale, perchè nelle « Categorie » non si distinguono  tra loro le varie parti del discorso, che è distinzione tardiva  rispetto a quella che distingue le voci secondo ciò che significano, non secondo che siano proprie, metaforiche, ecc. Porfirio  osserva che, contro la sua interpretazione che intende la ricerca delle Categorie come una ricerca, noi diremmo, di filosofia del  linguaggio, e gl’antichi dicevano di logica, comunemente identificando col pensiero la sua significazione verbale, si schieravano  tanto quelli che ritenevano oggetto principale delle Categorie  la ricerca metafisica intorno ai generi dell’essere, quanto quelli  che. credendo oggetto delle Categorie la ricerca retorica delle  espressioni proprie e delle figurate, ritenevano la distinzione  aristotelica delle Categorie o insufficiente o incomprensiva o,  al contrario, sovrabbondante. Fra questi ultimi, per esempio, i  seguaci di ATENODORO e di CORNUTO, studiando le espressioni  proprie ed improprie, e volendo sapere a quali categorie esse  appartenessero, non trovando nel saggio aristotelico risposta  a tale domanda, ritennero manchevole e difettosa l’enumerazione  aristotelica, come non comprensiva di tutte le voci significative.  Invece, secondo Porfirio, rettamente intesero lo scritto d’Aristotele POETO nel suo commento alle Categorie, e più brevemente  ERMINIO.  Il quale dice che la ricerca non verte nè su quelli che  in natura sono i primi e generalissimi generi nè studia quali siano le prime  ed elementari differenze delle parole, come se la trattazione riguardasse le parti del discorso; ma piuttosto verte sulla specie di parole che risulti appropriata a ciascun genere di enti:  onde e necessario toccare in qualche modo dei generi, a cui  le parole si riferiscono -- chè non si intende la significazione  propria di ciascun genere se qualcosa intorno ad esso non s’anticipa. Poiché X sono i generi, X sono le categorie. E si  potrebbe magari anche intitolare lo scritto aristotelico Dei  X generi se con ciò si significasse solo un riferimento ai  X generi, giacché non di essi si occupa principalmente il saggio. Perchè il libro verte su le Categorie  e s’inizia con una trattazione su gl’omonimi e i  sinonimi?  Perchè queste sono distinzioni delle quali Aristotele deve  fare uso in tutto l’Organo: perciò le premette ad ogni altra  considerazione. Tralasciamo, ora, il seguito del commento Porfiriano; ma  ci gioverà aver visto come Porfirio intende quelle Categorie  alle quali s’assunse lo storico compito di introdurre .  La celebre Isagoge di Porfirio tratta del genere,  della differenza (che, entro ciascun genere, distingue l’una  dall’altra le specie), della specie, della proprietà (che caratterizza ciascun genere e ciascuna specie) e dell’accidente, che,  senza essere intrinsecamente  proprio d’una sostanza, le si  attaglia in talune circostanze.   La trattazione del genere è, però, preceduta da una famosa  introduzione, nella quale Porfirio si rivolge a CRISAORIO, patrizio  romano suo discepolo, dicendo. oiché, o Crisaorio, è necessario anche per la dottrina  aristotelica delle Categorie, sapere che sia genere e che differenza, e che sia specie e che proprietà e che accidente;  siccome e per assegnar le definizioni e in generale per quel  che riguarda la divisione e la- dimostrazione è utile l’indagine  di tali cose: io, facendo per te una compendiosa trattazione,   tento brevemente, come a mo’ di introduzione, di spiegare  il pensiero degli antichi, astenendomi dalle ricerche, più  € profonde e investigando, invece, opportunamente le più  semplici. Le ricerche più profonde, da cui Porfirio professa di astenersi,  riguardano la realtà dei generi e delle specie, in una parola  degli universali. Difatti Porfirio continua. Ora, riguardo ai generi e alle specie, se esistano o invece  c stiano solo nel pensiero e, dato che esistano, se siano corpi o incorporei, e se separati o esistenti nei sensibili e non  fuori di essi, io evito di dire, profondissima essendo questa questione e richiedendo essa altra maggiore ricerca. Onde Porfirio conclude dicendo che si limiterà a cercare  d’esporre a CRISAORIO ciò che gli’antichi meditarono intorno a  questi argomenti, e tra essi specialmente il LIZIO. Porfirio, dunque, tratta dei generi e delle specie senza  determinare se siano idee, cioè enti metafisici, o semplici  concetti, esistenti solo nella mente che li pensa. Ma, per conto  suo, per quale di queste dottrine propende? Grià si è visto che egli considera generi, specie e differenze  cose, non voci e che, in generale, ritiene che le distinzioni  logiche trovino la loro ragion d’esseie in altrettante distinzioni  metafisiche di cui si fanno espressione. Per Porfirio dunque,  generi e specie riguardano l’essere, e se egli prelude alla logica  aristotelica trattando d’essi, in fondo egli ridà alla logica  d’Aristotele il fondamento della dialettica platonica, tutta diretta  a distinguere generi e specie e valida, nella filosofia di Platone,  tanto oggettivamente, come metafisica, quanto soggettivamente,  come logica. Questo punto di vista realistico da cui è scritta l’intera   Isagoge  non sfugge, nonostante tutto, al commentatore  BOEZIO, il quale torna sulla importante questione cosi nel primo  come nel secondo dei suoi commenti all’Isagoge.  È noto che i due commenti son diversi tra loro in quanto  il primo si dirige ai principianti e quindi evita le discussioni  troppo complicate e sottili, il secondo, invece, vuol indurre i  discepoli già provetti a una ginnastica mentale adatta alle loro forze e alla loro preparazione. Non è meraviglia, quindi, che  la questione degli universali — giacché ormai di essa si tratta  — e impostata diversamente nei due commenti, sebbene la  trattazione giunga a risultati assai affini.  Il primo commento di BOEZIO giunge a interpretare  il prologo dell’isagoge solo al decimo capitolo, e mostra chiaro  lo sforzo di ricorrere alle argomentazioni e dimostrazioni più  semplici, affinchè i principianti possano intenderle ed afferrarle. In verità Porfirio pone e rinvia tre questioni: se generi e specie esìstano davvero o stiano solo  neirintelletto e nella mente;  se siano corporei o incorporei; se siano separati o uniti con i sensibili. Rispetto alla prima questione, se generi e specie esistano  davvero, o stiano solo nell’intelletto e nella mente, BOEZIO  sembra interpretarla in un modo che forse non coincide interamente con ciò che intende Porfirio. Questi intende  domandarsi: generi e specie sono idee platoniche, cioè enti, o  invece concetti aristotelici, cioè universali puramente mentali  nati nel pensiero e dal pensiero? Se sono idee platoniche, si  intende che sono, non solo incorporee, ma separate. Se invece  sono concetti aristotelici, essi corrispondono, nella mente, a  forme che nella realtà vivono intrinsecate nelle cose sensibili.  La questione, dunque, è: gli universali vanno concepiti platonicamente, ante rem, o aristotelicamente, post rem, giacché in  re essi esistono, ma intimi alle stesse cose particolari?  Se questo è ciò che intende domandarsi Porfirio, si capisce  come egli preferisca rimandare questa controversia prò ACCADEMIA o prò LIZIO a un momento in cui il suo discepolo CRISAORIO sia già innanzi negli studi filosofici. Ma BOEZIO intende la questione in maniera assai diversa. Egli non intende i generi e  le specie se non come universali mentali post rem, come concetti aristotelici. La conoscenza si inizia con la sensazione:  per sensuum qualitatem res sensibus subiectas (animus) intellegit. Dalla sensazione lo spirito parte per concepire le specie  ed i generi: et ex bis -- le cose sensibili -- quadam speculatione  concepta, viam sibi ad incorporalia intellegenda praemunit. Così,  quando vede i singoli individui umani, sa d’aver visto uomini,  sa che sono uomini quelli che ha visti. Di qui lo spirito sale  a discernere la stessa specie uomo, incorporea perchè non si  concepisce che con la mente e l’intelligenza. Ma, come movendo  dalla sensazione lo spirito giunge a comprendere le cose incorporee, così, movendo dalle stesse sensazioni, lo spirito arriva  a immaginarsi, per esempio, un centauro, la cui fallace immagine si compone di elementi della forma umana ed elementi  della forma equina. Or si domanda: generi e specie sono concepiti con verità, sicché comprendiamo la specie uomo giustamente ricavandola dai singoli uomini corporei, o invece sono  immaginati con finzione mentale pari a quella di cui parla  ORAZIO nell’Arte Poetica, quando dice: fiumano capiti cervicem pictor equinam iungere si velit?  Come si vede, BOEZIO non crede che la domanda di Porfirio  sia rivolta a sapere se gl’universali siano reali o puramente  mentali, ma se siano concetti veri o pure finzioni dell’immaginazione. Il che significa porsi già su terreno prettamente  aristotelico, giacché tutto si riduce a domandare se gl’universali post rem siano rettamente pensati o fallacemente immaginati, o, con altre espressioni, se siano concetti o puri sogni  e chimere. La risposta che BOEZIO dà a questa domanda è, se non erriamo, singolarmente infelice. Per lui non è dubbio che i generi  e le specie sono veramente. Difatti, come tutte le cose che  veramente sono senza queste cinque: non possono essere, così non si può dubitare che anche queste cinque son concepite  con verità -- vere intellectas.  Che è una strana maniera di  presupporre gl’universali reali nelle cose sensibili, quando  proprio la domanda è se gli universali siano reali o fallaci. Per BOEZIO, genere, specie, differenza, proprietà, ed accidente, queste  cinque distinzioni nelle cose sono conglutinatae et quodam-  modo coniunctae atque compactae. Difatti, perchè Aristotele  parla delle prime X espressioni (sermonibus) significanti i generi delle cose, o perchè raccoglierebbe le loro differenze e proprietà e toccherebbe degl’accidenti, se non li avesse  visti nelle cose intrinsecati e in qualche modo riuniti -- in  rebus intima et quodammodo adunata ? In base a questa  argomentazione BOEZIO conclude che se è cosi, non c’è dubbio che siano veramente e sian tenute (le cinque distinzioni) con  giusta riflessione -- certa animi consideratione. Ma si vede chiarissimo che BOEZIO dà per certa e dimostrata la concezione aristotelica degl’universali come forme  immanenti nelle cose particolari, onde conclude che lo spirito,  pensandoli, è nel vero e non nell’errore delle pure finzioni  immaginarie. Ma se la questione erper Porfirio se gli universali fossero reali o puramente mentali, e per BOEZIO se fossero concetti veri o mere finzioni immaginarie, nè la questione  porfiriana, nè quella boeziana possono essere risolte con l’appellarsi alla concezione aristotelica di universali reali nei particolari, e quindi veri, post rem, nello spirito umano. Questo è  un affermare il temperato realismo aristotelico, non un risolvere la questione con un procedimento dimostrativo. BOEZIO presuppone dimostrato l’aristotelismo per decidere in senso  aristotelico e su l’autorità del LIZIO la questione da lui  posta. Senonchè BOEZIO trova un’altra conferma realistica- della  sua opinione nell’assenso, per quanto tacito, dello stesso Porfirio. Giacché, egli dice, Porfirio, come se già fosse risaputa e provata la realtà degl;universali, domanda se siano corporei o incorporei. La quale domanda sarebbe troppo frivola e assurda  se non si fosse prima assodata, per gl’universali, quella realtà  che ora si domanda se sia corporea o incorporea. Ma anche  qui forse BOEZIO, neirinterpretare Porfirio, va lontano da quello  che egli intende dire. Porfirio domanda: — generi e  specie sono reali o puramente mentali? Se reali, nel senso  platonico, sono enti incorporei; se meramente mentali, non si può  ad essi attribuire altra realtà che nei corpi stessi. Vale a dire,  se reali, nel senso platonico, sono separati: se meramente men-  tali, non possono concepirsi che immanenti nei corpi, congiunti  con essi e da essi inseparabili, tranne che per astrazione nel  pensiero umano.   Se questa che qui proponiamo fosse una interpretazione  plausibile del celebre prologo porfiriano, le domande ivi contenute  in realtà non sarebbero tre, ma una sola: gli universali sono  reali, o mentali? vale a dire, sono incorporei, o esistono nei  corpi? cioè, sono separati, o intrinsecati nei corpi e da essi  inseparabili?  Ma BOEZIO le intende come tre domande, ciascuna delle quali  presupponga già risolta in un determinalo senso le precedenti.  Difatti, egli dice: solo se alla prima domanda se gli universali  siano reali  si risponde affermativamente, si può poi domandare  se esistano come corpi o come incorporei ; e parimenti, solo se  a questa domanda si risponda affermando Tincorporeità degli  universali, si può domandare se, essendo incorporei, esistano  separati dai corpi o siano da essi inseparabili. Rispetto alla seconda questione se gli universali siano  corpi o incorporei BOEZIO tratta separatamente il genere dalla  specie. Quanto al genere egli dice, quia incorporeorum prima  natura est, può una cosa incorporea essere madre di una  corporea, ma non viceversa, giacché, la sostanza essendo il  genere, e corporale e incorporale le specie, il genere non può  essere corporale, chè, se fosse tale, la specie incorporea non  potrebbe subordinarglisi. Dal che discende che il genere non  deve essere nè corporeo nè incorporeo, si da poter avere per  specie così il corporeo come Tincorporeo. E qui Boezio solleva una questione di grandissima importanza.  Se il genere non può avere nessuna delle determinazioni che  costituiscono le proprietà delle specie e le loro reciproche  differenze, donde nascono nelle specie queste differenze che nel  genere, da cui pure le specie derivano, non ci sono? Non si può  pensare che il genere animale possegga tanto la proprietà della  ragionevolezza quanto quella della irragionevolezza: chè posse-  dere in sè due contrari sarebbe impossibile. Bisogna dunque che,  per poter dare luogo cosi alBuna come alEaltra delle due specie,  il genere non abbia nè Buna nè Taltra delle due differenze  specifiche: non sia nè Tuna nè l’altra specie, pur contenendole  entrambe « vi sua et potestate. Ed anche questa è, come si deve, una soluzione prettamente  aristotelica della questione: il genere è «in potenza» le sue  specie, senza essere « in atto » nessuna di esse. Ma non è qui  il caso di saggiare la consistenza o la inconsistenza di un simile  tentativo di spiegazione che, non riuscendo a dar ragione del  nascere delle differenze, le presuppone già esistenti, e tuttavia  non ancora reali, giacché sono potenziali, virtuali. Si è visto dunque che per Boezio il genere non è nè corporeo,  nè incorporeo : il che significa, su questo punto, non rispondere  alla domanda di Porfirio, ma sottrarsi ad essa. E la ragione di  tutto ciò è chiara. Porfirio è tutt’ altro che convinto che gli  universali siano puri concetti: ecco perchè egli tende ad affermarli reali e incorporei. Ma per Boezio gli universali sono  semplici concetti: e però, per quanto sia anch’egli convinto con  Platone ed anche con Aristotele, che Tincorporeo è, per natura,  prima del corporeo, pure è costretto, dalla sua concezione mera-  mente logica e non metafisica degli universali come concetti e non  come idee, a pensare il genere come privo delle determinazioni  che saranno proprie delle specie: a costo di non sapere più d  donde derivino alle specie queste differenze, che sono estrai  alla sola fonte delle specie che è il genere.   Ma BOEZIO si illude che ammettere la potenziale presei  delle differenze specifiche nel genere sciolga la difficoltà: (inoltra nella considerazione meramente logica del genere co semplice concetto, adatto esclusivamente alle classificazi  scolastiche dei concetti secondo la loro estensione, mentre, ]  Platone, il genere era pregnanza di realtà o idea. Quanto alle specie BOEZIO ne ammette di corporee e di ine  poree: specie corporea l’uomo; incorporea: il divino. Parimenti le differenze: quadrupede è differenza cor  rea ; ragionevole differenza incorporea. Cosi anche le proprietà: corporee di cose corporee; ine  poree di cose incorporee.   E lo stesso è degli accidenti: accidente incorporeo è nello s  ritolascienza: accidente corporeo èsul capo la capigliatura cres   Insomma per BOEZIO, solo il genere è neutro, nè corpor  nè incorporeo: ma le specie, le differenze, le proprietà e  accidenti sono corporei se appartengono ai corpi, incorporei  appartengono allo spirito. Senonchè, in questa teoria, lo stesso BOEZIO, che non  potuto riconoscere incorporeo il genere per la sua conside  zione meramente logica di esso, ammettendo corporee le spe(  le differenze, le proprietà e gli accidenti delle cose corpor  rinunzia a considerare specie, differenze ecc. come distinzi  meramente logiche, e non solo le pensa metafisicamente intr  secate nelle cose singole, ma fatte una cosa sola con esse,  da ricevere la loro stessa natura. Torna, bensì, a una considerazione meramente logica de  distinzioni porfiriane, stabilendo, dopo la prima, ora espos  una seconda teoria, che peraltro egli presenta come una teo altrui. Secondo questa teoria il genere va considerato coi  genere, come pura determinazione logica o concetto. E se sostanza è genere, non dev’essere considerata come una sostanza,  ma come un genere, cioè come qualcosa che ha delle specie  sotto di sè. Cosi pure la specie. Corporeo e incorporeo saranno  specie della sostanza. Ma essi vanno considerati come pure  specie, cioè come concetti che stanno sotto un genere. Parimenti le differenze: bipede e quadrupede sono differenze in  quanto l’uno contrapposto all’altro: vanno, dunque, considerati  non come un bipede e un quadrupede, ma come pure differenze  logiche. Similmente le proprietà non vanno considerate nel loro  contenuto, ma come pure caratteristiche logiche della specie. Così intesi, generi, specie, differenze e proprietà, come pure  distinzioni logiche, non possono essere, secondo la teoria che  Boezio espone senza aderii-vi, se non incorporei. Mentre gli  accidenti avrebbero la natura delle cose a cui accadono: sareb-  bero quindi corporei o incorporei a seconda delle sostanze.   Sia qui notato subito che questa affermazione metafìsica  della incorporeità di quattro fra le cinque distinzioni porfiriane  proprio perchè distinzioni meramente logiche, è una affermazione cosi male impostata da non poter resistere alla più semplice critica. Come semplici distinzioni logiche esse non hanno  nessuna natura: il loro contenuto ha una determinata natura,  non esse: nella specie uomo, l’uomo è corporeo e ragionevole,  ma € la specie  nè corporea nè ragionevole. Affermare quindi  la incorporeità della specie come distinzione logica, come concetto, è impossibile; per dirla incorporea bisogna considerarla  come idea, come ente metafìsico, non come determinazione logica. Ma dirla incorporea perchè logica è un abuso inammissibile di pensiero, e, in ogni caso, attesta quel continuo oscillar e  tra logica e metafìsica che è cosi caratteristico nella tradizione  LIZIA. Pensati gli universali come concetti, essi non sarebbero più suscettibili di nessuna considerazione metafìsica: invece continuano a essere dichiarati, metafìsicamente, incorporei,  primi per natura, ecc., mentre, come puri concetti, essi non sono  che vuoti termini classifìcatorii.  Ma Boezio continua a esporre la teoria della incorporeità  delle distinzioni logiche, dicendo che coloro i quali sostengono  tale teoria s’appoggiano all’autorità di Porfirio stesso, il quale,  come se fosse già dimostrata la incorporeità dei generi, delle  differenze, ecc., domanda se siano separati o uniti alle cose  sensibili: chè, se fossero corporei, sarebbe assurdo domandare  se siano disgiunti dalle cose sensibili o congiunti. BOEZIO, invece, dà tutt’altra interpretazione a questa domanda porfiriana,  in quanto la intende come se suonasse: gli universali sono sempre  separabili dai particolari sensibili, o a volte inseparabili?, e  però non gli sembra che la domanda porfiriana presupponga,  come se già fosse risaputa e dimostrata, l’incorporeità di tutte  le specie, differenze, proprietà, ecc. in quanto pure determinazioni logiche. Egli passa perciò a interpretare direttamente la terza  domanda, lasciando da parte la teoria della incorporeità dei  concetti, ed ha l’aria di averla riferita a puro titolo di informazione, ma ritenendola infondata e insostenibile. Per lui,  dunque, le specie sono talune corporee, talune incorporee. Si  domanda se siano sempre congiunte alle cose particolari, o possano a volte disgiungersene. BOEZIO, per chiarire la domanda porfiriana, distingue tre  specie di cose incorporee: Cose incorporee affatto insuscettive di corpo, come  lo spirito e Dio;  Cose incorporee inconcepibili senza i corpi, come  lo spazio vuoto che è immediatamente oltre i termini di una  figura geometrica ;  Cose incorporee che sono corpi e possono essere  senza corpo, come l’anima.   Si domanda se generi, specie, differenze, ecc. siano di quegli  incorporei sempre separati da corpo, o di quegli altri che mai  non possono separarsene, o infine di quelli che a volte si uniscono, a volte si separano. La risposta di BOEZIO è che possono congiungersi e possono  separarsi: che nelle cose corpoi'ee son congiunti a corpo, nelle  incorporee disgiunti da corpo. Ma non bisogna credere che tutte le specie, le differenze,  le proprietà, ecc. siano congiungibili o disgiungibili dai corpi;  al contrario quelle delle cose corporee sono inseparabili da tali  cose corporee, come lo spazio è inseparabile dai corpi che  limita; e quelle delle cose incorporee, come le proprietà dello  spirito non si trovano che nello spirito, che è perfettamente  separato dal corpo. BOEZIO ribadisce la sua concezione: ci sono  due ordini di realtà: corporee ed incorporee; le incorporee sono  per natura e dignità anteriori alle corporee, e andrebbero  considerate come loro fonte: senonchè Boezio concepisce le  corporee e le incorporee come tra loro coordinate, e le subordina  entrambe ad un genere nè corporeo nè incorporeo, che avrà  magari in sè la potenza delle une e delle altre, ma che intanto,  così astratto e sopraordinato ad esse, è il vertice di una classificazione logica da scuola, non la genesi del reale. Nel secondo commento di BOEZIO le domande di Porfirio  sono presentate ed interpretate come nel primo: ma ne è diversa  la trattazione. Le questioni et perutiles et secretæ, et temptatæ quidem  a doctis viris nec a pluribus dissolutæ, non trattate ancora  da Porfirio per non ingenerare oscurità nel lettore impreparato,  ma tuttavia accennate affinchè il lettore, una volta rafforzato  dal sapere, sappia che domandare, sono da BOEZIO formulate così:  Lo spirito o, con l’intelletto, concepisce, afferra quello  che realmente esiste in natura e, con la ragione, lo copia in  sé stesso; oppure, con vuota immaginazione, dipinge a sé medesimo ciò che non esiste. Si domanda dunque come sia Pintendimento che noi abbiamo del genere^ della specie, ecc.: se  intendiamo generi e specie come cose esistenti delle quali  prendiamo vera comprensione, o se invece noi stessi ci inganniamo immaginandoci con vano pensiero cose che non sono. Che se si ammette che dei generi, delle specie, ecc.  abbiamo un vero concetto, rimane da determinare se siano  corporei o incorporei: giacché tutto ciò che esiste deve essere  corporeo o incorporeo, e non si intenderà bene cosa siano i  generi e le specie finché non si sappia se porli tra le cose  corporee o le incorporee. Che, se si ammette che generi, specie, ecc. siano  incorporei, rimane ancora da stabilire se, pur essendo incorporei,  esistano nei corpi, o se invece sembrino essere sussistenze  indipendenti anche senza corpi. Giacché ci cono due specie di  cose incorporee (qui BOEZIO sopprime la terza specie da lui  distinta nel primo commento: quella delle cose incorporee che  a volte si uniscono ai corpi, a volte se ne separano, e la fonde  senz’altro con la prima specie): ci son cose incorporee che  possono esistere senza corpo e, separate dai corpi, perdurano  nella loro incorporeità, come Dio, la mente, Tanima ; altre cose  incorporee, invece, non possono esistere senza i corpi, come  la linea, la superficie, il numero e le varie qualità, che noi  diciamo incorporee perchè non si estendono nelle tre dimensioni,  ma che esistono nei corpi siffattamente da non poterne essere  strappate o separate, o da svanire se separate dai corpi. Come si vede, le questioni sono impostate come nel primo  commento. Ma qui BOEZIO si propone di trattarle altrimenti: primum quidem panca sub quaestionis ambiguitate proponam,  post vero eundem dubitationis nodum absolvere atque explicare  temptabo. nsomma, prima egli moverà un attacco, che vorrebbe essere  a fondo, contro ogni concezione dell’ACCADEMIA o del LIZIO degl’universali, sia come reali, sia come concetti: poi giustificherà la concezione aristotelica tentando di dimostrare che son veri, nel pensiero, gli universali, pur non essendo reali, in  natura, se non nei particolari. BOEZIO scrive: i generi e le specie o sono e sussistono,  o si formano con l’intelletto ed esistono solo nel pensiero, ma  non possono essere generi e specie. Anzitutto, generi e specie possono essere considerati reali? Una cosa che nello stesso tempo sia comune a più altre, non  può essere una: specialmente se sia tutta in molte contempora-  neamente. Ora il genere dovrebbe essere uno in tutte le sue  specie: e non nel senso che ogni singola specie prenda per sè  una parte del genere, ma nel senso che ogni singola specie ha  in sè tutto il genere. Or questo genere che è tutto in ciascuna  delle sue specie contemporaneamente, come può essere uno?  giacché, se è tutto in più specie, in sè non può essere uno di  numero. E se non può essere uno, non è nulla assolutamente,  perchè tutto ciò che è, è perchè è uno. E lo stesso va detto della  specie. Che se si dice che la specie o il genere esiste, ma  molteplice di numero, non uno, non sarà il genere ultimo, bensì  avrà sopra di sè un altro genere, che includa quella moltepli-  cità nella propria unità.   E, daccapo, se questo nuovo genere sarà a sua volta molteplice, non uno, rinvierà ancor esso a un altro genere: e cosi di  seguito, airinfinito, senza che sia dato trovare un genere che  sia uno di numero pur essendo comune a tutte le sue specie. Che se si dice che il genere è uno di numero, non potrà  essere comune a molti. Giacché una cosa può essere comune  a molte, ma solo in uno di questi tre casi: che ciascuna sua parte si applichi ad un particolare  diverso: sicché il genere non stia tutto in ciascuna specie, ma  in ogni specie una sola parte del genere; che più persone abbiano in comune l’uso di alcunché,  ma l’usino, beninteso, ciascuna in tempi diversi. Esempio : più   persone hanno un solo servo o un solo cavallo: si capisce che  non possono servirsene tutte con temporaneamente, ma l’una  prima, Taltra dopo);  che qualcosa sia comune a molte persone, ma senza  costituire la loro essenza. Esempio : il teatro è luogo comune  a tutti gli spettatori ; ed anche lo spettacolo è uno e comune  ad essi tutti).   Ma il genere non è comune alle specie in nessuna delle tre  forme ora dette: giacché deve essere tutto in ciascuna specie,  deve essere contemporaneamente in tutte le specie, e deve costi-  tuire Tessenza delle specie a cui è comune. Ora, se il genere non è nè uno (giacché è comune), nè molteplice (giacché, se fosse tale, richiederebbe un genere ulteriore),  il genere non è per nulla. E lo stesso va detto delle specie,  delle diiferenze, delle proprietà e degli accidenti. Se genere, specie, ecc. non sono, resta che siano còlti solo con rintelligenza. Ma di nuovo, ogni concetto si torma da una  realtà o conformemente al suo vero essere o difformemente da  esso. Se conformemente, genere, specie, ecc. esistono non solo  nel pensiero, ma anche nella realtà, e risorge la domanda come  possano essere uni e molteplici ad un tempo, con la conclusione  di pocanzi, che cioè, genere, specie, ecc. non sono. Se difformemente, non possono essere che vani e falsi dei concetti difformi  dalla realtà nel suo vero essere. Conclusione: se genere, specie, ecc. nè sono, nè, quando son  pensati, sono pensati con verità, non rimane più alcun dubbio  che si debba abbandonare ogni discussione circa le cinque distinzioni porfìriane, non vertendo esse nè su qualcosa di reale nè su qualcosa di cui sia possibile farsi un vero concetto. A questa obiezione che mirerebbe, come si vede, a scalzare tutta intera la dottrina porfiriana delle cinque primissime distinzioni logiche, BOEZIO risponde, appellandosi all’autoritàdi Alessandro di Afrodisia, di cui accetta e riproduce Targo -  montare. Non è vero — scrive BOEZIO — che sia falso e vano ogni  concetto che si scosti dall’essere reale delle cose. Se la mente  mette insieme elementi di cose disparate fino a formarsi una  immagine non rispondente a realtà, certamente erra e si inganna, come quando si immagina i centauri, componendone mentalmente la figura con elementi del corpo umano e dell’equino. Ma quando la mente procede non per composizione, ma per  divisione ed astrazione, il concetto non corrisponde a nulla di  obbiettivo, e tuttavia non è falso. Esempio: la linea non è concepibile che in un corpo:  staccata da qualsiasi corpo, la linea non è nulla; e difatti chi  potè mai cogliere con un qualsiasi senso una linea separata da  ogni corpo? Ma ciò non esclude che possa separarla lo spirito  e pensarla per sè sola, fuori di qualsiasi corpo. Onde risulta,  nel pensiero, incorporea e separata quella linea che nella realtà è inseparabilmente unita al corpo e confusa con esso. Ora, i generi, le specie, ecc. sono proprio cosi fatti: esistono  nei corpi singoli, ma possono essere separati dai corpi, come  puri universali. E come nessuno può dir falso il concetto della  linea perchè si pensa separata da ogni corpo mentre essa fuori  dei corpi non sussiste, cosi non si deve ritenere falso il concetto di  genere, specie, ecc. perchè si isolano come puri universali mentre  essi non esistono che nei particolari. Gtli è che è prerogativa  dell’ntelletto cogliere la somiglianza dei vari particolari sensibili, fissarla per sè sola e farne una specie; e poi ancora, cogliere  la somiglianza delle varie specie, fissarla e farne un genere. Sicché la specie è un concetto ricavato dalla somiglianza d’essenza di individui diversi numericamente l’uno dall’altio: e il  genere è un concetto ricavato dalla somiglianza delle specie. Ma questa somiglianza, quando è nelle cose singole, è sensibile; quando nelle universali, è intelligibile. O, che è lo stesso,  sentita, è nelle cose singole; pensata, è universale. Sicché generi.  specie, ecc. esistono nei sensibili, son còlti e pensati fuori dei  corpi; universali quando son pensati, singolari quando son  sentiti nei corpi in cui hanno esistenza. Rimane cosi risolta Tintera questione: giacché generi e  specie esistono in un modo - nei particolari - e son pensati in  un altro - fuori dei particolari - come se esistessero per sé stessi  e non avessero nei particolari l’esser loro. Ma questa soluzione è aristotelica, e Boezio Tavverte espli-  citamente: giacché per il LIZIO generi e specie son pensati  incorporei ed universali, mentre esistono nei particolari sensibili. Platone invece - BOEZIO ama rammentarlo - ritiene che  generi e specie non solo siano pensati come universali, ma  anche siano tali ed esistano separati dai corpi. E BOEZIO dichiara  espressamente d^aver presentato la soluzione aristotelica della  questione non perché egli la approvi di più, ma perché un  lavoro, come il suo commento, destinato a servir di introduzione alle Categorie del LIZIO, ha il dovere di adottare, in questa questione, preliminare importantissimo, il punto di  vista aristotelico.  Dopo il prologo del quale si é ampiamente discorso, l’Isagoge  - alla quale ci conviene ormai ritornare - può  intendersi divisa in due parti: la prima studia separatamente  il genere, la specie, la differenza, la proprietà e Taccidente;  la seconda paragona prima il genere alla differenza, alla specie,  alla proprietà e all’accidente; poi la differenza alla specie, alla  proprietà e all’accidente; infine tra loro la proprietà e l’accidente. Cominciamo ora lo studio delle cinque distinzioni logiche prese  separatamente ad una ad una. Porfirio osserva che la parola “genere” si usa con  significati diversi. Primo significato é quello per il quale genere (o piuttosto  gente) vuol dire stirpe. Esempi: Oreste è delle gente di Tantalo, cioè discende  da Tantalo; Pindaro è della gente tebana, cioè è tebano  di nascita. Nel primo caso è indicato il progenitore, nel secondo  la patria. In entrambi il termine da cui la stirpe, o gente, o  genere proviene. Secondo significato è quello per il quale il genere (o gente,  vuol dire quella collettività che è stretta da un’origine comune   Esempio: Gl’Eraclidi costituiscono una gente (o genere)  perchè discendono tutti da un comune capostipite: Eracle. Terzo significato è quello per il quale si dice genere quello  a cui si subordinano le specie, la cui moltitudine esso contiene  sotto di sè. Questo terzo significato, che è quello che la parola genere ha per i filosofi, è probabilmente imitato dai primi due  in quanto, in logica si chiama genere quello che in altri casi  si dice piuttosto stirpe, cioè l’origine da cui le specie derivano,  da essa prendendo il nome e con tal nome distinguendosi da  tutte la altre specie che rientrano sotto altri generi. In questo terzo significato “genere” è quel che si predica di  più cose, differenti tra loro per la specie, e indica cosa esse sono. La quale definizione ha bisogno di essere chiarita punto per  punto. Quel che si predica di più cose. Difatti, un predicato (“shaggy”)  o si riferiscono ad una cosa singola o a più cose. Ad una cosa  sola si rifere l’individuo, come quando si dice: questi  è Socrate, questi e Fido -- e anche a una cosa sola si riferiscono: questi  e questo. Invece a più cose si riferiscono i generi, le specie, le differenze e le proprietà e quegli accidenti che risultano  comuni, non propri di una cosa sola. Esempio di genere: animale. Esempio di specie : uomo.  Esempio di differenza (che contraddistingue l’uomo dagli altri  animali):  ragionevole. Esempio di proprietà dell’uomo: la  capacità di ridere. Esempi di accidenti dell’uomo:  bianco,  nero, muoversi.  Ora il genere differisce dall’individuo perchè si predica di  più cose, non di una.  Ma la definizione precisa è: Genere è ciò che si predica  di più cose differenti tra loro per la specie», in quanto anche  la specie si predica di più cose, ma di cose differenti tra loro  per numero, non per specie. Esempio: La specie «uomo» si predica di Socrate e di  Platone o CATONE e CICERONE, che differiscono numericamente in quanto Socrate e  Platone sono due individui diversi, mentre il genere animale si predica dell’uomo, del bue, del cavallo, differenti tra loro  non solo numericamente, ma per specie. Inoltre: genere è ciò che si predica di più cose differenti  tra loro per la specie, e indica cosa esse sono. Giacché anche  le differenze si predicano di cose differenti tra loro per la  specie, ma indicano qitali esse sono, non cosa sono.  Esempio: se ci domandano che cosa è Puorao, rispondiamo indicando il genere a cui appartiene, e diciamo: Puoino è animale; ma se ci domandano le qualità dell’uomo, rispondiamo indicando i suoi caratteri differenziali, la ragionevolezza  e la mortalità. Com’è chiaro, il genere differisce dalla proprietà, perchè  questa si predica d’una sola specie e degli individui di essa,  mentre il genere si predica di più specie. E differisce dagli accidenti comuni perchè, sebbene questi si  predichino di più cose differenti tra loro per specie, ne indicano la qualità, non l’essenza -- come, ad esempio, il color nero. Ricapitolando: il predicarsi di più cose divide il genere  dagli individui; il predicarsi di più cose differenti di specie  lo separa dalle specie e dalle proprietà; Pindicare la quiddità  o essenza lo divide dalle differenze e dagli accidenti comuni  che indicano la qualità. E questa trattazione del genere non  contiene nulla nè di superfluo, nè di manchevole.  Anche specie ha più significati. Significa forma e significa, in logica, ciò che rientra in un genere (uomo è  specie compresa nel genere animale; bianco è specie del  genere colore; triangolo è specie del genere figura).  Beninteso, come il genere è genere solo rispetto alle sue specie,  cosi le specie sono specie solo rispetto al loro genere. Genere  e specie cioè sono concetti correlativi. Cosi la specie vien definita: «ciò che è posto sotto il genere, e di cui il genere si  predica per indicarne l'essenza o quiddità. Ma questa definizione conviene solo alle specie specialissime che sono sempre  specie e non mai generi, mentre le precedenti definizioni convengono anche alle specie che non sono specialissime. Sono generi generalissimi quelli al di sopra dei quali non  esiste altro genere, come ad esempio I sostanza. Sono specie  specialissime quelle al di sotto delle quali non esistono altre  specie, come, ad esempio, uomo, che ha sotto di sè immediatamente i vari individui umani. Tra i generi generalissimi e le specie specialissime intercorrono generi subalterni, come ad esempio sostanza animata,  sostanza animata sensibile, sostanza sensibile ragionevole. Ciascuno di questi concetti, intermedi tra sostanza e uomo,  è specie rispetto al concetto più ampio nel quale rientra, è  genere rispetto al concetto più ristretto che in esso rientra. Ad esempio: «sostanza animata» è specie rispetto a sostanza, è genere rispetto a sostanza animata sensibile. Ai  due estremi della scala c'è la « sostanza», genere generalissimo  che non è mai specie, e l’uomo, specie specialissima che non  è mai genere, mentre in mezzo i generi subalterni sono a volte  generi, a volte specie. Ora, mentre le genealogie famigliari, risalendo di proge-  nitore in progenitore, raggiungono il comune capostipite di tuttele  famiglie, Giove, non è dato rinvenire un genere generalissimo  unico, a cui tutti i generi subalterni si lascino ridurre. Al contrario, secondo Aristotele sono X i generi generalissimi, assolutamente primi e irriducibili: uno è la sostanza e nove gli acci-  denti (qualità, quantità, luogo, tempo, ecc.). Nè è valida obiezione che se questi X PREDICAMENTI sono, essi sembrano ridursi ad un genere generalissimo unico, Ve^%ere\ chè, dice  Porfirio, l’esenza si predica in senso assai diverso della  sostanza e dei vari accidenti, sicché l’unificazione delle X categorie neir^ss^r^ è soltanto nominale, non reale, variando il  significato essere dall’uno all’altro predicamento. Ora, se i generi generalissimi sono X, i generi subalterni sono di numero assai grande, ma tuttavia finito : infiniti,  invece, sono gli individui che vengono dopo le specie specialissime, e di essi non si dà scienza. L’ACCADEMIA insegna a dividere, mediante le differenze specifiche,  ciascun genere in due, e poi ancora in due fino a raggiungere  le specie specialissime, che si dirompono negli individui. Chi discende dai generi generalissimi alle specie specialissime  divide, cioè moltiplica l’unità. Chi, al contrario sale dalle specie  specialissime ai generi generalissimi, raccoglie la moltitudine in  unità. Giacché ciò che è singolare divide, ciò che è comune aduna. Adunque, il genere si divide in più specie e si predica di  esse. Giacché i concetti più estesi si predicano dei meno estesi  (il genere si predica delle specie), i concetti equipollenti si predicano l’uno dell’altro e l’altro dell’uno (la proprietà di nitrire  si predica del cavallo nella proposizione: Il cavallo è l’animale che nitrisce, e il cavallo si predica del nitrire nella  reciproca: L’animale che nitrisce è il cavallo), ma non mai  i concetti meno estesi si predicano dei più estesi (la proposizione: l’uomo è un animale » non può convertirsi nella reciproca: l’animale è uomo. Così i generi generalissimi si predicano di tutti i generi subalterni o specie, delle specie specialissime e degli individui ad esse sottoposti; i generi subalterni  si predicano di tutte le specie ad essi inferiori, delle specie  specialissime e degli individui ; le specie specialissime si pre-  dicano degli individui, e gli individui d’un solo particolare. Gli  individui sono parti della specie, che rispetto ad essi è totalità, mentre rispetto al genere è parte. Si parla di differenza nel significato comune della  parola, in senso proprio, e in senso rigoroso. Nel significato comune differenza esprime la diversità  d’una cosa da un’altra o da sè stessa. Socrate differisce da  Platone e differisce da sè stesso bambino. In senso proprio, una cosa si dice differire da un’altra  quando ne differisce per un accidente inseparabile. Accidente  inseparabile è, per esempio, avere il naso curvo, essere ciechi,  avere una cicatrice causata da una ferita. In senso rigoroso una cosa si dice differire da un’altra  quando se ne distingue per differenza di specie. Ad esempio,  un uomo differisce da un cavallo perchè appartengono a specie  diverse, l’uno essendo ragionevole, l’altro no. In generale dunque, ogni differenza altera ciò a cui si innesta: ma le differenze comuni e proprie si limitano a renderlo  alterato, le rigorose lo rendono addirittura altro. E queste differenze rigorose che rendono altro ciò a cui si applicano,  si dicono differenze specifiche, le altre si dicono semplicemente differenze. Queste non producono che un’alterazione o un mutamento di stato -- per esempio, il muoversi rispetto  al giacere --, quelle, invece, dal genere fanno le specie, le quali  si definiscono appunto col genere e le differenze. Altra classificazione delle differenze è la seguente: differenze  separabili come il muoversi e lo star fermi, l’essere sani o  malati, e differenze inseparabili^ come l’avere un naso aquilino o camuso e l’essere ragionevoli o irragionevoli. Le differenze separabili si dividono ancora in differenze per  se e differenze per accidens. Differenza per se è, nell’uomo, la  ragionevolezza, la mortalità, la capacità di apprendere. Differenza per accidens è l’avere il naso aquilino o camuso. Le differenze per se entrano nel concetto della cosa e la  rendono altra (la mortalità entra nel concetto di uomo e lo  differenzia dall’altro essere animato sensibile e ragionevole, ma  immortale che è Dio); invece, le differenze accidens, anche se insensibili, non entrano nel concetto della cosa e non la ren-  dono altra, ma solo alterata (il naso camuso non entra nel  concetto di uomo, e altera un individuo, ma non lo rende altro  dai rimanenti uomini. Parimenti le differenze per se non ammettono aumenti o diminuzioni (tutti gli individui umani sono uomini egualmente, invece, le differenze per accidens ammettono aumento o diminuzione (si ha la pelle più o meno bianca, il naso più o meno  curvo, ecc.. Fra le differenze inseparabili per se talune servono a dividere i generi in specie, tali altre, invece, a specificare i generi  già divisi. Differenze inseparabili per se sono animato  e inanimato, sensibile e insensibile, ragionevole  e irragionevole, mortale e immortale. Di queste differenze, animato e sensibile sono differenze costitutive  della sostanza animale; mortale e ragionevole  sono,  invece, divisive della sostanza animale in quanto per esse  si giunge dal concetto del genere « animale  al concetto della  specie uomo. Senonchè quelle differenze che son divisive pei generi, sono  costitutive per le specie: difatti, nelPesempio ora addotto, le  differenze ragionevole e mortale, introducendo una divisione nel genere animale, costituiscono proprio cosi la specie uomo. Divisive e costitutive poi sono tutte le differenze specifiche, utilissime per le divisioni dei generi e le  definizioni delle specie, mentre a ciò non giovano nè le differenze inseparabili per accidens, nè, molto meno, le separa-  bili (sarebbe ridicolo dividere gli uomini secondo che abbiano il  naso aquilino o camuso — differenze inseparabili per accidens  — o, peggio ancora, secondo che stiano in piedi o a sedere).  La differenza viene anche determinata come quella che la  specie ha in più del genere. L’uomo, ad esempio, ha in più  delhanimale Tessere ragionevole e mortale, qualità che il concetto di animale non include. (Or si domanda: se il genere  non ha in sè le differenze che caratterizzano le varie specie,  queste donde le traggono? Giacché le specie non derivano  che dai generi, e questi non posseggono le differenze, nè pos-  sono possederle, chè, se le possedessero, potrebbero riunire in  sè differenze opposte tra loro, come sono quelle che contraddistinguono runa dalbaltra le varie specie. La soluzione di questa difficoltà è che non è necessario ammettere nè che le  differenze specifiche nascano dal nulla, nè che il genere aduni  in sè differenze contraddittorie, perchè il genere ha in potenza  le differenze che da esso nascono, senza averle in atto. Altra definizione della differenza è: ciò che si predica di  più cose differenti tra loro per specie, per indicarne la qualità. Infatti, se uno ci domanda: « che cosa è l’uomo?, noi  rispondiamo indicando il genere a cui la specie umana appartiene, e diciamo: l’uomo è un animale ; ma se uno ci domanda  la qualità delbuomo, rispondiamo indicando i suoi caratteri  differenziali, e diciamo: L’uomo è ragionevole e mortale. Porfirio paragona così il genere alla materia e la differenza  alla forma, e dice che come la figura rende statua il bronzo,  cosi la differenza rende specie il genere. Altra determinazione della differenza è : « ciò che è atto a  dividere le cose che sono sotto il medesimo genere. Difatti, ragionevole e irragionevole sono differenze atte a dividere  l’uomo dal cavallo, entrambi compresi nel genere animale. Altra definizione: differenza è quella per la quale differiscono  fra loro le varie cose, giacché per il genere non differiscono. Per esempio: siamo animali mortali noi e gli irragionevoli: la  differenza ragionevoli vale a separarci da essi. E ancora:  siamo ragionevoli noi e gli Dei: la differenza  mortali ci  separa da essi. Definizione più profonda è la seguente: Differenza non è  una qualsiasi di quelle determinazioni che valgono a dividere  le cose che sono sotto il medesimo genere ; ma quella determinazione che riguarda l’essere ed è parte dell’essere d’una cosa. Per esempio: poter navigare, è particolarità esclusivamente  umana, e tuttavia non è differenza che costituisca la sostanza  dell’uomo. Differenze specifiche sono quelle che fanno altra la  specie e sono accolte nel concetto di essa indicandone la qualità. Ci sono quattro sorte di qualità: Proprietà che convengono ad una sola specie, sebbene  non intera, come per l’uomo essere medico o geometra. Solo  gli uomini sono medici e geometri; ma non tutti gli uomini  sono tali. Proprietà che convengono a tutta una specie, sebbene  non solo ad essa, come per Tuomo essere bipede (sono bipedi  anche gli uccelli). Proprietà che convengono ad una sola specie in tutta  la sua estensione, ma solo in un determinato tempo, come per  Puomo imbiancare nella sua vecchiezza.  Proprietà che convengono ad una sola specie in tutta  la sua estensione e sempre, come per Tuomo poter ridere. (Non  importa che non rida sempre: importa che abbia natura di poter  ridere. Sono queste ultime le vere proprietà giacché possono con-  vertirsi con ciò di cui sono proprietà. Chi è cavallo, può nitrire ;  chi può nitrire è cavallo. Accidente è quello che può essere presente o assente  senza che il soggetto si corrompa. Ci sono intanto accidenti separabili e accidenti inseparabili. Separabile è dormire; inseparabile il color nero. E tuttavia,  per quanto inseparabile, rimane accidente perchè, sebbene corvi  e etiopi sono neri, si può sempre pensare un corvo e un etiope  bianchi (albini). L'accidente è definito anche ciò che può contingentemente  esserci e non esserci; oppure ciò che senza essere nè genere  nè specie nè differenza nè proprietà, tuttavia sussiste in un  oggetto. Determinate ormai tutte e cinque le distinzioni logiche,  bisogna paragonarle tra loro per vedere cosa hanno di comune  e cosa hanno di diverso. Di comune hanno il potersi predicare di più cose ; ma il  genere si predica delle specie e degli individui (animale si  predica dei cavalli e dei buoi, e di questo cavallo e di questo  bue); la differenza similmente delle specie e degli individui  (irragionevole si predica dei cavalli e dei buoi, e di questo  cavallo e di questo bue); la specie degli individui che sono sotto  di essa (uomini si predica solo degli individui umani); la  proprietà tanto della specie di cui è propria, quanto degli individui di tale specie (poter ridere si predica tanto deiruomo  quanto dei singoli uomini); l’accidente cosi della specie come  degli individui (nero si predica cosi della specie dei corvi  come dei corvi particolari, ed è accidente inseparabile; muoversi si predica dell’uomo e del cavallo, ed è accidente separabile), ma anzitutto si predica degl’individui, e in secondo  luogo delle specie che contengono gli individui. Ma conviene ora paragonare a due a due le cinque distinzioni logiche. Comparazione del genere con le altre quattro voci. Genere e differenza Cosa hanno di comune:  Il genere e la differenza entrambi contengono specie.  Bensì la differenza non contiene tante specie quante ne contiene il genere. Esempio: la differenza «ragionevole» contiene due specie:  uomo e il divino; mentre il genere animale contiene e le due  anzidetto e tutte le altre specie animali. Quel che si predica del genere come genere, si  predica anche delle specie comprese in tale genere: e quel che  si predica della differenza come differenza, si predica anche  delle specie comprese in tale differenza. Esempi: del genere animale si predica l’esser sostanza  e l’essere animato: che si predicano anche delle specie del genere  animale e perfino degli individui di tali specie. Della differenza ragionevole  si predica l’esser provvisto di ragione:  che si predica anche delle specie comprese sotto tal differenza, uomo e il divino, e degli individui di tali specie, i singoli uomini  e gli dei. Tolto il genere o la differenza, son tolte contempo-  raneamente le specie che sono sotto di essi.   Esempio: tolto il genere animale, è tolta anche la specie uomo; tolta la differenza « ragionevole », non ci sarà più  nessun animale provvisto di ragione. Cosa hanno di diverso: È proprio del genere predicarsi di più cose che non  la differenza, la specie, la proprietà e l’accidente.   Esempio: il genere animale si predica egualmente dell’uomo, del cavallo, dell’uccello e del serpente, mentre la differenza quadrupede si predica solo degli animali di quattro  piedi, la specie uomo solo degli individui umani, mentre la  proprietà del nitrire solo della specie cavallo e dei cavalli  particolari, e l’accidente star in piedi ancora di più poche cose. Il genere contiene la differenza in potenza. Esempio: il genere animale si divide in specie animali  ragionevoli e specie  irragionevoli, ragionevole e irragionevole essendo le differenze che dividono il genere animale in specie diverse.  I generi sono anteriori alle differenze poste sotto di  essi: tolti i generi, son tolte contemporaneamente anche le diffe-  renze, ma non viceversa. Esempio: tolto il genere animale, son tolte tutte le differenze (ragionevole e irragionevole; mentre, tolte tutte le  differenze, si può ancora pensare la sostnza animata sensibile,  cioè l’animale.  Il genere riguarda l’essenza o quiddità d’una cosa: la differenza la sua qualità. Esempio: Cos’è l’uomo? Un animale. Com’è l’uomo? Ragionevole. Ogni specie ha un sol genere, ma moltissime differenze. Esempio: il genere dell’uomo è animale; le differenze  sono: ragionevole, mortale, suscettibile di intendere e d’imparare. Il genere è come la materia, la differenza è come la forma. Giacché è la differenza che determina il genere, come la  forma determina la materia. Genere e specie Cosa hanno di comune: Tanto il genere quanto la specie si predicano di più cose. Entrambi sono anteriori a quelle cose delle quali si predicano. Cosi il genere come la specie costituiscono ciascuno  un tutto. Cosa hanno di diverso: Il genere contiene la specie sotto di sè, le specie sono  contenute, non contengono i generi. Giacché sono i generi che, determinati da differenze specifiche, producono le specie: onde sono naturalmente ad esse  anteriori, e, tolti, tolgono anche le specie, ma non viceversa,  chè, posta la specie, è posto anche il genere, ma posto il genere, non è posta con ciò stesso la specie. I generi si predicano univocamente delle specie: non  cosi le specie dei generi. I generi sono superiori per le specie che comprendono sotto di sè, le specie per le differenze che le determinano. I generi possono anche essere contemporaneamente specie, ma non specie specialissime; e le specie possono essere contemporaneamente generi, ma non generi generalissimi. Genere e proprietà Cosa hanno di comune: Tanto il genere quanto le proprietà seguono le specie. Esempio: Se uno è uomo quanto alla sua specie, è animale quanto al genere; e se di specie è uomo, ha la proprietà di poter ridere. Egualmente si predicano il genere della specie e la  proprietà di quelli che ne partecipano. L’uomo e il bue sono animali allo stesso titolo;  e cosi CATONE e CICERONE hanno egualmente la proprietà di  poter ridere. Si predicano univocamente il genere delle sue specie  e la proprietà di quelle cose di cui è propria. Cosa hanno di diverso: Il genere è anteriore; la proprietà posteriore. Esempio: Bisogna che ci sia il genere ahimale, poi sia  diviso dalle differenze e dalle proprietà.  Il genere si predica di più specie, la proprietà di  una sola specie, di cui è propria. La proprietà si predica di ciò di cui è propria, cosi  come ciò di cui è propria si predica di essa: mentre il genere  non si converte con nessun suo predicato. Esempio: La proposizione che l’uomo è l’animale che ride  si converte che es animale che ride è l’uomo. Ma la proposizione che l’uomo è animale  non si potrà mai convertire: c l’animale è l’uomo. La proprietà è in tutta la specie di cui è propria,  in essa sola, e sempre: mentre il genere è in tutta la specie  di cui è genere, e sempre, ma non in essa sola. Esempio: la proprietà di ridere è di tutti gli uomini, solo  degli uomini, e sempre rimane in essi : il genere animale è in  tutta la specie umana, è costante in essa, ma si trova anche  in molte altre specie oltreché neirumana. Poiché la proprietà e ciò di cui é proprietà si convertono, tolta la proprietà é tolto ciò di cui é proprietà, tolto  ciò di cui é proprietà é tolta la proprietà. Esempio: tolta la proprietà del ridere é tolto l’uomo: tolto l’uomo é tolta la proprietà del ridere. Al contrario, tolte le specie non sono tolti i generi. Esempio : tolta la specie umana non é tolto il genere animale. Genere e accidente   Cosa hanno di comune: Si é già detto che ci sono accidenti separabili come il muoversi, e accidenti inseparabili come, ad esempio, il color nero: ora, cosi gli accidenti separabili come gli inseparabili hanno  di comune col genere il potersi predicare di più cose. Neri sono i corvi, ma anche gl’etiopi e talune cose inanimate. Cosa hanno di diverso: Il genere é avanti le specie, mentre gli accidenti  sono posteriori ad esse, anche se si tratti di accidenti inseparabili, giacché prima è ciò a cui accade, poi é Taccidente. Del genere tutte le specie che partecipano, partecipano egualmente; mentre degli accidenti si partecipa più  o meno. Dii accidenti sussistono principalmente negli individui, mentre generi e specie sono, di natura, anteriori alle sostanze  individuali.  Il genere dice quel che è una cosa. L’accidente quale  è e come è. Esempio: Come è l’etiope? Nero. Comparazione della differenza con le altre quattro voci. Differenza e genere sono già comparati quando si esaminano insieme genere  e differenza. Differenza e specie  Cosa hanno di comune:  Della differenza e della specie si partecipa egualmente. Esempio: Gl’uomini singoli partecipano egualmente della  specie uomo e della differenza ragionevole. La differenza e la specie sono sempre presenti in  ciò che di esse partecipa. Esempio: Socrate è sempre ragionevole e sempre uomo. Cosa hanno di diverso: La differenza dice sempre la qualità delle cose, la specie la loro essenza o quiddità. Esempio: Uomo non è qualità, se non per le differenze  che, determinando il genere animale, costituiscono la specie uomo. La differenza è in più specie. Esempio: la differenza quadrupede  è in vari animali  di specie differente. La specie è solo negli individui che sono sotto di essa. La differenza è altra cosa dalla specie a cui dà  luogo. Difatti, se si toglie la differenza ragionevole, si toglie la  specie uomo. Ma se si toglie la specie uomo, non si toglie  la differenza ragionevole, perchè vi è il divino.  Una differenza si combina con un’altra: ragionevole  e mortale compongono la sostanza dell’uomo; mentre una  specie non si combina con un’altra per produrne una terza. Un cavallo e un’asina generano un mulo. Ma non la specie  cavallo  con la specie asino generano la specie mulo. Differenza e proprietà. Cosa hanno di comune. Della differenza e della proprietà le cose partecipano  egualmente. Esempio: gl’esseri ragionevoli partecipano della differenza ragionevolezza, quanto gl’esseri che possono ridere  partecipano della proprietà di poter ridere. Differenze e proprietà sono sempre presenti nelle  cose che le hanno. Si potrebbe obiettare. Se un bipede perde una gamba, non  ha più la sua differenza di essere bipede. Ma l’obiezione non é  giusta. L’amputazione non toglie la natura di bipede al manco. Del resto, anche la proprietà di poter ridere riguarda la natura umana, senza che gl’uomini ridano sempre. Cosa hanno di diverso. La differenza si predica di più specie: ragionevole si  dice dell’uomo e del divino --. La proprietà si predica di quella sola  specie di cui è propria. La proprietà e ciò di cui è proprietà si convertono. La proposizione che l’uomo è l’animale che ride ammette la   reciproca, che l’animale che ride è l’uomo. Mentre la differenza segue quella cosa di cui è differenza,  e non si converte con essa. Posto l’uomo, è posta la ragionevolezza; ma, posta la ragionevolezza, non è posto l'uomo, perchè ragionevole è anche il divino.  Differenza e accidente  Cosa hanno di comune:  Differenza ed accidente entrambi si predicano di  più cose. Esempio: Tanto la differenza della ragionevolezza quanto  l’accidente del muoversi si applicano a molte cose diverse. Tanto la differenza quanto gli accidenti inseparabili sono presenti sempre e in tutte le cose di cui si predicano. Esempio: Tanto la differenza bipede quanto l’accidente  inseparabile nero riguardano tutti i corvi e li riguardano  sempre. Cosa hanno di diverso: la differenza contiene, non è contenuta. La ragionevolezza contiene l’uomo perchè non è solo di lui. Gl’accidenti, invece, per un verso, contengono perchè sono in  più cose) il muoversi è più esteso dell’uomo; per un altro sono  contenuti, perchè il soggetto aduna in sè parecchi accidenti. L’uomo, oltre al muoversi, è anche bianco, alto, ecc. La differenza non ha aumento e diminuzione, gl’accidenti sì. O si è ragionevoli, o no. Ma si è più o meno alti. Le differenze contrarie non possono mescolarsi, bensì si mescolano gli accidenti contrari.  Bipede  e quadrupede si escludono. Ma bianco e nero si mescolano a produrre il grigio – nella zebra. Comparazione della specie con le altre quattro voci. Specie e genere sono già comparati quando si esaminano insieme Genere  e specie. Specie e differenza sono già comparati quando si esaminano insieme Differenza e specie. Specie e proprietà  Cosa hanno di comune: Specie e proprietà si predicano l’una dell’altra: se è uomo,  ha la proprietà di ridere; se ha la proprietà di ridere, è uomo;  giacché le cose partecipano egualmente delle specie a cui  appartengono e delle proprietà che le caratterizzano. Cosa hanno di diverso: La specie può essere genere ad altre specie; la  proprietà non può essere di altre specie oltre quella di cui è  propria. La specie sussiste prima della proprietà, poi la  proprietà ha luogo nella specie. Esempio: bisogna essere uomo per avere la proprietà di  ridere. La specie è sempre presente in atto, nel soggetto; la proprietà, a volte, vi è presente solo in potenza. Esempio: Socrate è sempre uomo in atto, ma non sempre ride sebbene abbia natura di poter ridere. La specie sempre è sotto il genere e si predica di  più cose, differenti tra loro numericamente, indicandone l’essenza o quiddità; mentre la proprietà è solo in ciò di cui è  propria, e in esso è sempre, e inerisce a tutta la sua estensione. Esempio: la proprietà del ridere è di tutti gl’uomini, solo  negl’uomini e sempre negl’uomini. Specie e accidente Cosa hanno di comune: Si predicano di più cose. Cosa hanno di diverso: La specie dice il che di una cosa, l’accidente  il quale e il come. Ogni sostanza può partecipare di una sola specie,  ma di più accidenti separabili ed inseparabili. La specie si concepisce prima degli accidenti, anche se inseparabili -- chè bisogna ci sia il soggetto, perchè qualcosa  gli accada. Gl’accidenti invece sono posteriori e avventizi. Della specie si partecipa sempre in egual misura,  ma dell’accidente, anche inseparabile, in misure diverse. Esempio: un etiope è più nero di un altro. Comparazione della proprietà con le altre quattro voci. Proprietà e genere sono già comparate quando si esaminano insieme Genere  e proprietà.  Proprietà e differenza sono già comparate quando si esaminarono insieme Differenza e proprietà. Proprietà e specie sono già comparate quando si esaminarono insieme Specie  e proprietà.  Proprietà e accidente Cosa hanno di comune. Tanto la proprietà quanto l’accidente inseparabile  sono indispensabili a ciò in cui si osservano. Esempio: Come senza la proprietà del ridere non esiste  uomo, cosi senza color nero non esiste etiope. Tanto la proprietà quanto l’accidente inseparabile  sono sempre presenti a ciò che li possiede, e in tutta la loro  estensione. Esempio: Tutti gl’etiopi sono neri, e sempre. Cosa hanno di diverso. La proprietà è presente in una sola specie. L’accidente inseparabile in molte. Esempio: La proprietà del ridere è solo dell’uomo. L’accidente inseparabile del color nero è dell’etiope, ma anche del  corvo, del carbone, dell’ebano, ecc. Sicché la proprietà si converte con ciò di cui è  proprietà, non cosi l’accidente con ciò di cui è accidente. Esempio: Che l'uomo ha la proprietà di ridere si converte  in che chi ride è l'uomo. Ma che l'etiope è nero non si converte  in che chi è nero è l'etiope, perchè anche il corvo, il carbone,  ecc. sono neri. Della proprietà si partecipa sempre egualmente, degl’accidenti in diversa misura. Si è più o meno neri.  Comparazione dell’accidente con le altre quattro voci.  Accidente e genere sono già comparati quando si esaminano insieme Genere  e accidente. Accidente e differenza sono già comparati quando si esaminano Differenza e accidente.  Accidente e specie sono già comparati quando si esaminano insieme Specie  e accidente.  Accidente e proprietà  Or ora esaminati come Proprietà ed accidente. L'Isagoge si chiude con l’osservazione che altri elementi  comuni o diversi tra le cinque voci oltre i già notati ci sono,  ma quelli notati bastano a distinguerli e ad intendere quel che  hanno di comune. Nei due commenti boeziani s’espone ciò che riguarda il celebre prologo sulla realtà o meno degl’universali. Ci tocca ora dire qualche cosa sul complesso dei due commenti, che tanta autorità ha in tutto il Medio Evo, e tanto  contribuirono a dare alla mentalità delle nazioni di cultura latina quella struttura rigorosamente logica che è rimasta loro  caratteristica. Lo scopo da BOEZIO assegnato ad un commento è assai  semplice, giacché non va oltre la illustrazione del testo. BOEZIO evita di accendere questioni, anche se il testo vi si presti. Solo  quando l;obiezioni vengono cosi spontanee che non risolverle  vorrebbe dire non comprendere quel che dice Porfirio, solo allora Boezio interviene per chiarire il pensiero dell’autore, giustificare le sue espressioni, e quindi, sgombrate le difficoltà,  tornare alla illustrazione del testo. Dove Porfirio propone più classificazioni, BOEZIO cerca di connetterle tra loro, in maniera da renderle più facilmente assimilabili al lettore. E dove Porfirio accenna appena a teorie  assai note fra gli studiosi, ma forse poco possedute dai principianti, BOEZIO interviene a rammentare tali teorie, e a trattarle,  sebbene compendiosamente, in modo da fornire al lettore princicipiante, al quale il primo commento è diretto, le nozioni necessarie per intendere il testo di Porfirio. Così BOEZIO torna due volte sulla teoria della definizione, la  quale, facendosi per genus et differentia nij è possibile solo per  gl’individui definiti entro la loro specie, per le specie definite entro il loro genere, e per i generi subalterni definiti  entro il genere immediatamente superiore, fino ai generi generalissimi, ma non per i generi generalissimi, i quali, non avendo  nessun concetto più elevato sopra di sé, non possono essere definiti, cioè determinati entro l’ambito di un concetto più vasto. Onde, non potendosi definire, possono solo descriversi, con l’indicarne le proprietà. Un accenno, abbastanza ampio, è fatto da Boezio, come già da Porfirio, alla teoria dell’ACCADEMIA della divisione, che da ciascun  genere generalissimo, mediante dicotomia, cioè divisione in due,  giunge fino alle specie specialissime. BOEZIO cerca di rendere più evidente  il nesso che stringe talune classificazioni che Porfirio presenta l’una dopo l’altra, senza unificarle in un solo quadro comprensivo. Questo avviene specialmente per le classificazioni che riguardano le differenze. Si rammenterà che Porfirio anzitutto classifica le differenze  in differenze comuni, proprie e più proprie o rigorose; comuni, tutte le differenze per le quali siamo diversi da altri o da noi  stessi (tu cammini, io seggo, oppure: ora io seggo, dopo cammino. Proprie le differenze individuali: capelli crespi, occhio cieco,  ecc. Rigorose le differenze che riguardano tutta la specie: ragionevole, irragionevole, ecc.. Le quali ultime differenze sono  le differenze specifiche, con le quali si procede a dividere i  generi in specie. Ma questa prima classificazione può semplificarsi quando si avverta che tanto le differenze comuni quanto le proprie si limitano a rendere alterato il soggetto, mentre solo le differenze specifiche lo rendono altro. Si può dire dunque che le differenze si dividono in differenze  che rendono alterato il soggetto e differenze che lo rendono altro. A questa prima classificazione Porfirio fa seguire la seconda. Le differenze sono o separabili o inseparabili. Questa seconda classificazione si può collegare con la prima osservando che  solo le differenze comuni sono separabili: il sedere, il correre,  ecc. Sono diff'erenze che non persistono, e sono quindi separabili  dal loro soggetto, mentre le differenze proprie e più proprie,  cioè quelle che riguardano l’individuo persistendo in lui e quelle  che riguardano l’intera specie, sono inseparabili: tanto un occhio cieco quanto la ragionevolezza sono caratteri differenziali permanenti, e quindi inseparabili dal soggetto che li possiede. Senonchè, di queste differenze inseparabili, le individuali o proprie alterano il soggetto, ma non lo rendono altro -- la cecità altera  un uomo, ma lo lascia uomo --, mentre le specifiche o più proprie  rendono altro il soggetto (la ragionevolezza rende l’uomo altro  dai bruti). E inoltre, delle differenze inseparabili, le individuali sono  partecipate in misura diseguale, le specifiche sempre egualmente. Ad esempio, i capelli biondi son carattere differenziale di individui che sono l’uno più biondo, l’altro meno biondo; mentre  la ragionevolezza è carattere differenziale della intera specie umana, i cui individui, in quanto sono uomini, sono tutti egualmente partecipi della ragione. Terza classificazione è quella per la quale le differenze si  dividono in differenze divisive del genere e differenze costitutive  delle specie. Son le medesime differenze che, prese in modo  diverso, risultano una volta divisive del genere, un'altra costitutive delle specie. Se prendiamo le differenze contrarie ragionevole e irragionevole, esse dividono il genere animale;  e se, dopo, prendiamo le differenze contrarie mortale e immortale, esse dividono l'inferiore genere animale ragionevole. Ma se prendiamo le differenze subalterne ragionevole, concetto più ampio, e mortale, concetto restrittivo, queste  differenze subalterne costituiscono la specie dell'animale ragionevole mortale, cioè dell'uomo. Cosi la teoria delle differenze si avvia nel primo commento boeziano a quella matura unità che raggiungerà pienamente  nel secondo commento. Ma forse più di queste particolari delucidazioni, che  tuttavia contribuiscono alla elaborazione della salda logica  medievale, riesce interessante il breve schizzo che del sapere  del tempo BOEZIO premette al suo commento. Nel dialogo filosofico che egli immagina si fa chiedere da Fabio una illustrazione e prima una introduzione all'Isagoge di Porfirio. L'introduzione indicherà del’Isagoge VintentOy Vutiliià\ se ci sia altro libro ad essa germano; la ragione  del titolo, ed a qual parte della filosofia si riconduca. Sei punti, dunque, tratta BOEZIO, sulle orme di quel che già aveva fatto Ammonio nel suo commento all’lsagoge.  \Jintenio è trattare del genere, della specie, delle differenze,  delle proprietà e degli accidenti. futilità deirisagoge è anzitutto quella d’introdurre alle  Categorie del LIZIO, ma è anche più vasta. Occorre, però, per intenderla, avere un chiaro concetto di  che sia la filosofia. Essa è amor di sapienza, che, non bisognosa  di nulla, vivax mens et sola rerum primaeva ratio est. E  questo amore di sapienza è illuminazione dello spirito che conosce  da parte di quella pura Sapienza, e in qualche modo è un richiamo  che questa fa dell’animo umano perchè torni ad essa, di maniera  che il desiderio di sapienza è desiderio e amore della divinità  e amore della pura mente divina. È questa sapienza che riconduce alla forza e purezza natu-  rale le anime umane. Da essa nasce la verità delle speculazioni e dei pensieri e la santa e pura castità delle azioni. Il  che mena direttamente alla divisione della filosofia, che è il genere, in teoretica o speculativa, e pratica o attiva. (0 e II sono le  due lettere che spiccano su la veste della Filosofia nel De Consolatione Philosophiae). La teoretica, poi, ha tante parti quanti sono  gli oggetti che considera: si divide quindi in: Teologia o dottrina di ciò che è sempre uno e medesimo, fermo sempre nella sua divinità, non accessibile ai sensi, ma solo alla mente ed all’intelletto: la quale speculazione studia Dio e la incorporeità dello spirito;  Dottrina che si occupa di tutte le opere celesti del supremo divino, di ciò che nel mondo sublunare ha animo  più beato e sostanza più pura, ed infine delle anime umane:  tutte cose che, fatte di sostanza intelligibile, al contatto dei  corpi, da intelligibili divennero soltanto intelligenti, in maniera  che possono ora divenire più beate per purezza ed intelligenza  quando si volgano ed applichino alle cose intelligibili; Dottrina dei corpi, o Fisica, che illustra la natura  e le passioni dei corpi. Di queste tre parti della filosofia teoretica la seconda è meri-  tamente collocata nel mezzo perchè ha da una parte l’animazione e vivificazione dei corpi, dalFaltra la considerazione  e conoscenza delle cose intelligibili.  Anche la filosofia pratica si divide in tre parti:  L’Etica che s’orna ed accresce di virtù, nulla ammettendo nella vita di cui non possa essere soddisfatta, e niente  facendo di cui debba pentirsi;  la Politica, che assumendosi la cura dello Stato provvede alla salvezza di tutti con la saldezza della sua 'preveggenza e prudenza, con l’equilibrio della giustizia, con la sal-  dezza della fortezza e la pazienza della temperanza;   L’economia, che si occupa del buon andamento della  vita famigliare. Alle quali parti già descritte della filosofia si aggiunge da  vicino queirarte che i Greci chiamano Logica: parte della filosofia 0 suo strumento? BOEZIO rimette la trattazione di questa questione ad una  altra opera, che è poi il secondo commento. Intanto osserva  che questa disputa sul genere, la specie, la differenza, la proprietà e l’accidente prepara la via a tutto lo studio della filo-  sofia. Col dire cosa sia genere e cosa sia specie ci fa inten-  dere che la filosofia è genere, e teoretica e pratica sono specie.  Col dire cosa sia differenza, ci rende possibile di intendere se  la logica sia una specie della filosofia, differente, quindi,  dalle altre specie. Col dire cosa sia proprietà, ci spiega la natura propria di ciascuna differenza della filosofia. Col dire cosa  sia accidente ci guarda dal mettere tra le cose principali ciò  che è secondario. Cosi la conoscenza di queste cinque voci  spande i suoi rami in tutte le parti della filosofia. Utile alla grammatica a cui insegna che il discorso è il genere e otto sono le sue parti o specie. Utile alla retorica, a  cui permette di distinguere tre generi di causa, ciascuno diviso  in specie a seconda dei soggetti. Utilissima alla logica, che  nulla puo definire, per genere e differenza, se non sapesse  cos'è genere, cos’è specie, cos’è differenza, ecc.; nulla puo  dividere se non e guidata dalla conoscenza delle cose che  divide: i generi e le specie. E nulla puo dimostrare giacché la verità delle dimostrazioni sta nei provare ciò che si divide  o qualcos’altro mediante le cose che si son divise.  E l’Isagoge di Porfirio precede tutta la logica del LIZIO, perchè senza di essa non si intenderebbero la sostanza e i nove  accidenti di cui è parola nelle Categorie. Le quali voci significative sono quelle di cui si compongono le proposizioni, di cui si tratta nel De interpretatione. Le quali proposizioni  sono quelle di cui si compone il sillogismo, il cui ordine, la  cui struttura e le cui figure sono studiati negl’Analitici primi, perchè sia poi possibile studiare il sillogismo dialettico nella Topica e il sillogismo dimostrativo negl’Analitici secondi. Cosi l’Isagoge di Porfirio è la base prima di tutta la logica del LIZIO. Come nel corso del primo commento non sono rare  le occasioni in cui BOEZIO è costretto a notare le imperfezioni  e le oscurità della versione VITTORINO (si veda), cosi nel secondo commento Boezio presenta una traduzione propria, che indubbiamente è assai più scorrevole e chiara dell’altra. La versione  è intercalata nella esposizione, che procede meno pedestre che nel primo commento, e che, specialmente nei primi fra i cinque  libri, mostra un vigoroso proposito di rendere più robusta, più  rigorosa ed organica la trattazione porfiriana. Il secondo commento si inizia con alcuni paragrafi dedicati  alla filosofia in generale, alle sue parti, alle sue utilità, ecc.  Se la filosofia - dice Boezio - è il più alto bene degli animi, convene precisamente muovere dalle facoltà dell’anima. Una forza dell’anima è quella vegetativa, comune anche alle piante, che non hanno sensi. Un’altra è la sensitiva, che dove sorge  assume la prima come sua parte. Una terza è la intellettiva,  che non si limita a sentire e a rammentare, ma anche esplica  e conferma, con pieno atto di intelligenza, quel che l’immaginazione sopperisce. La qual potenza della ragione si esercita  a indagare, anzitutto, se una cosa sia, poi che sia, poi quale sia, infine perchè sia. Ma, perchè il pensiero sia preservato dal pericolo di cadere nel falso, occorre anzitutto una disciplina che, studiando le  maniere di disputare e gli stessi ragionamenti, possa additare  qual ragionamento risulti ora falso, ora vero, quale sempre falso  quale non mai falso. Della quale scienza - la logica - è duplice l’uso nell’inventare e nel giudicare: topica e dialettica, trattate  entrambe dal LIZIO, ma la prima trascurata dal PORTICO. Ora, questa logica è una parte della filosofia o è solo il  suo strumento? Quelli che la considerano parte della filosofia ragionano così. Delle proposizioni, dei sillogismi, ecc. solo la  filosofia si occupa. Dunqne sono oggetto di filosofia. Ma, delle  due grandi parti della filosofia, la speculativa che si occupa  delle cose naturali, e l’attiva che si occupa della morale, nessuna tratta del discorso, dei giudizi, dei ragionamenti. Dunque, quella  disciplina filosofica che d’essi si occupa non può non essere  considerata una nuova parte della filosofia; donde la tripartizione di questa in: logica, fisica, etica. Coloro i quali invece sostengono che la logica sia strumento della filosofia, non sua parte, osservano che questa scienza della ragione è diretta o a conoscere  le cose (fisica) o a trovare quei principi di morale che producono  la beatitudine. Dunque, essi, dicono la logica serve sempre o  alla fisica o all’etica. Boezio è del parere che le due teorie non si escludano a vicenda. Niente vieta che la logica sia ad un  tempo parte e strumento della filosofia; parte in quanto ha  innegabilmente un fine proprio, distinto dalla fisica e dall’etica;  strumento in quanto, altrettanto innegabilmente, essa serve così  all’una come all’altra. Del resto, nel nostro corpo, ciascun  organo è al tempo stesso parte e strumento: la mano rispetto all’organismo intero è strumento; per sè, intanto, è parte. Ma veniamo allo scopo di questa introduzione porfiriana alle Categorie del LIZIO. Queste sono i X generi di  predicamenti: può intenderli dunque chi sappia che sia il genere. Di ciascuno di essi si dànno varie specie --varie specie di sostanza, di qualità, ecc. 00: ed anche ciò presuppone si sappia che  sia specie, e che sia la differenza per la quale ciascuna specie  si allontana dall’altra e l’un genere dall’altro. Inoltre, ogni genere ha le sue proprietà, mediante le quali può essere descritto. E dei  X predicamenti, IX sono accidenti. Donde la necessità di saper bene che sia proprietà e che sia accidente per  intendere le Categorie del LIZIO. Ma Porfirio spesso indica l’utilità della sua introduzione per  le definizioni, le divisioni e le dimostrazioni, oltreché, come già  si è visto, per l’intendimento delle Categorie del LIZIO. Per  le definizioni, perchè bisogna ben distinguere il genere prossimo e la differenza specifica per fare una giusta definizione; per  la divisione in tutte le varie sue specie, giacché vanno distinte  divisioni dei concetti presi in sè stessi e divisioni accidentali. Le divisioni dei concetti presi per sè stessi sono di tre ordini -- divisione del genere nelle sue specie -- distinzione dei vari significati di una parola; -- partizione d’un tutto nelle sue varie parti. Le divisioni accidentali sono anche di tre ordini: divisione di un accidente secondo i soggetti che lo  ricettano ( c dei beni, alcuni sono nell’anima, altri nel corpo -- divisione di un soggetto secondo gli accidenti (dei  corpi, taluni sono (bianchi, altri sono neri -- divisione di un accidente secondo altri accidenti  (delle cose bianche, alcune sono dure, altre liquide, altre  molli. Per tutte queste divisioni occorre sapere che sia genere e che sia differenza, quando luna parola ha un significato solo univoca e quando più significati equivoca, e che sia una  parte e che una specie; occorre inoltre ben distinguere sostanze ed accidenti. Infine, l’introduzione porfiriana è utile per le dimostrazioni, giacché queste si fanno o da cose già note, o da cose convenienti, o dalle prime cose, o dalla causa, o dalle cose connesse, o dalle cose inerenti. In ciascuno di questi casi bisogna sapere che è genere e che è differenza, e che è specie, giacché sono i generi quelli che sono anteriori per natura alle specie, e quindi di esse più noti, e sono i generi e le differenze le cause  delle specie. BOEZIO tratta del genere con un manifesto  desiderio di porre più rigore nella trattazione porfiriana, magari  rifacendosi da teorie più vaste, che sembrano essere presupposte da ciò che dice Porfirio. Cosi, per esempio, per illustrare i significati, che Porfirio espone, della parola genere, che si  riferisce a volte al progenitore da cui una gente deriva, a volte  al luogo da cui una gente proviene, BOEZIO richiama la celebre  dottrina aristotelica delle quattro cause, efficiente, materiale,  formale e finale, alle quali aggiunge due principi accidentali,  il luogo e il tempo. Quando si parla del genere dei ROMANI, cioè dei discendenti da ROMOLO, si indica in costui la causa efficiente della stirpe. Quando invece si dice Pindaro tebano,  si indica in Tebe il luogo da cui Pindaro i proviene. BOEZIO insiste ancora sulla differenza tra descrizione e definizione. Il genere non può essere definito, chè, per essere definito, dovrebbe avere un altro genere sopra di sè, e, quando  avesse un genere sopra di sè, sarebbe specie, non genere. Sicché,  non potendo essere definito, il genere è *descritto*, cioè ne vengono indicate le proprietà, che sono come i colori con i quali  si dipinge un quadro. L’intera teoria del genere, della differenza,  della specie, della proprietà e dell’accidente, è chiusa come in  un prospetto nelle seguenti classificazioni boeziane. Ciò che si Ciò che si predica  predica di di più cose una cosa sola | S o in O ®  og O ce 05 S ce p! ce<e •1-Ph o u Ph o <v Ph m 'Pce ^03 S OM ■Tj■ pP ceP■ cr cS a^  p p p iJ} OJ   co   a? a;   pO   o  a  O)  G   *S   (p   o   S   *02   OO   ce    03 .3 P  •'P P -  p cr  .2   P *o  p   ■| £•   — xs ce   G 'P    ce P  np P  P P  U sé   ce N. 2 G  ’B ®   p 02  P m  — I a;  'p  03   rQ   O .P O   ■TP O  O (D   VP ce  ^ P. P  P   ce p sostanzialmente accidentalmente    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO. BOEZIO prosegue, poi, illustrando via via i passi porfìriani  che traduce e riporta: e le sue sono delucidazioni speciali, del resto assai utili. Per esempio: in che senso si dice che gl’uomini differiscono tra loro numericamente? Nel senso che  si dice: Socrate è un uomo, Platone è un altro uomo. B. tratta delle specie e non prima della  differenza nonostante che la differenza, contenendo in sè più  specie, sia ad essa anteriore, perchè la specie è specie del  genere, come il genere è genere della specie, epperò vanno studiati in connessione l’uno con l’altra. Le illustrazioni, per solito, non aggiungono nulla di nuovo. Interessante può essere l’atteggiamento di osseqio al LIZIO  su le questioni delle X categorie; atteggiamento che è di  Porfirio e non viene mutato da Boezio. Nè i X predicamenti  possono ridursi tutti dXVente [GRICE, ARISTOTLE ON THE MULTIPLICITY OF BEING], perchè ente ha significati diversi  secondo che s’applichi alla sostanza, alla qualità, alla quantità,  ecc. Vale a dire è un nome di più significati, e non un genere d’un significato solo. Del resto, come ogni predicamento cosi ogni predicamento  è un predicamento; sicché se ente fosse genere, i X predicamenti avrebbero *due* generi: ente e uno\ e ciò è assurdo,  perchè non si può appartenere a più di un genere. B. tratta della differenza, ripetendo lo sforzo, visibile già nel primo commento, di dare organicità ed  unità alla trattazione porfiriana dell’argomento col connettere insieme le varie classificazioni, tutte svolte da una distinzione  fondamentale, tra differenze sostanziali e differenze accidentali,  e col condannare più risolutamente di Porfirio quelle definizioni che idem per idem definiunt, quando dicono che differenza è ciò per cui una cosa *differisce* da un’altra, e che  non precisano davvero cosa sia differenza quando la definiscono ciò per cui una cosa dista da un’altra, potendosi una cosa allontanare da un'altra per qualità del tutto accidentali che  non costituiscono diiferenze in senso proprio. BOEZIO tratta anche della proprietà, rispetto alla quale osserva che, se l’essere di una cosa è espressa  dal suo genere, dalla sua differenza e dalla sua specie, le sue  proprietà non costituiscono la sua sostanza, ma qualcosa di accidentale, sebbene si chiamino proprietà, e che quando Porfirio distingue proprietà di quattro sorte, non intende enumerare  quattro specie del genere proprietà, ma indicare i quattro significati diversi nei quali si parla di proprietà. Il IV libro tratta infine dell’accidente, condannando, più  di Porfirio, la distinzione puramente negativa, per la quale accidente è ciò che non è nè genere, nè differenza, nè specie, nè  proprietà. BOEZIO illustra la comparazione che Porfirio  istituisce tra le cinque voci senza alcuna particolare osservazione. Notevole è tuttavia che BOEZIO non lascia passare la divisione porfiriana dell’animale razionale in animale razionale  mortale (l’uomo) e animale razionale immortale (il divino) senza  notare che ciò si poteva dire quando si riteneno il sole e gl’altri corpi celesti animati e divini. Su questi testi si chinarono, per generazioni e generazioni, gl’uomini del medioevo, come su libri di profondissima sapienza. Se l’Europa usce dal medioevo cosi fortemente  razionalistica, essa s'e fatta la sua potente quadratura logica meditando su questi ultimi fra gl’antichi, lungamente venerati e studiati. Grice: “I like Guzzo. For one, he spent a tutorial or two on the very same ‘tratarello’ I did: Boezio’s latinizing Porphyry!” Augusto Guzzo. Guzzo. Keywords: pagine di filosfi per i giovani italiani; il Vico di Guzzo, il Galluppi di Guzzo, il Bruno di Guzzo, Gentile, Gli hegeliani d’Italia, Vera, Spaventa, Jaja, Maturi, Gentile, dirito, stato, Biblioteca Italiana di Filosofia, spunti e contrattacchi, Della causa, del principio e del uno, dell’analisi e la sintesi, autobiografia e scienza nuova per giovani italiani dei licei classici, il manual di filosofia di Fiorentino. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guzzo: tra idealismo ed empirismo” – The Swimming-Pool Library.

 

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