LA FILOSOFIA
SPERIMENTALE e in voga. E in voga, male sta sempre di fronte, temuta avver
saria, quella filosofia che rivendica all'attività dello spirito un'attività
produttrice ed indipendente, benchè sotto varie forme. Locke combatte l'innatismo
cartesiano, ma e stato alla sua volta combattuto da Leibniz : l'Innatismo
ricompariva sotto altro aspetto. Non dico giàche le figure siano bell'e disegnate
nel marmo, dice Leibniz; ma il marmo non è però liscio e schietto, c'èuna certa
venatura, che messa in risalto si accosta assai alle linee che ti occorrono a
figurarle. Bonnot di G. muore a Napoli, quasi ignorato. E attorno ad altri
saggi, fra i quali un’ Estetica, e le Istituzioni di filosofia. Ma di questi manoscritti
forse lasciati a Napoli non si è potuto avere nessuna notizia. Condillac
ripiglia l'impresa del filosofo di Wrington, e non contento di divolgarlo tale quale,
come fa Voltaire, lo semplifica, lo facilita, sicchè la sola sensazione fa a
lui quell'ufficio, pel quale al Locke sono occorsi due coefficienti: la
riflessione del filosofo inglese era sbandita come soverchia. Condillac ha, come
suole succedere, cominciato con ricalcare fedelmente le orme di Locke, poi
aveva rifatto a modo suo: e la sua semplicità maravigliosa piacque in Francia
più della circospetta indagine del filosofo inglese. Onde, morto lui, il suo filosofare
continua, interrotto appena dallo strepito della rivoluzione, che tenne dietro
alla sua morte. Cessato, difatti, il terrore, l'anno appresso i condillachiani ri-apparvero
padroni del campo filosofico, e debbero in mano la scuola normale, e l'istituto,
che allora sorge per decreto della convenzione attuato dal direttorio. Questo
gruppo detto degl'ideologi conta nomi celebri: Cabani s il fisiologo della
scuola, Tracy l'ideologo propriamente detto,Volney il moralista, Garat professore
alla scuola normale e difensore del sistema; e poi con loro altri che dipoi
deviarono, chi più chi meno, ma che allora stano per la medesima dottrina. Biran,
Gerando, La Romiguière. Nel decennio corso fra la cessazione del terrore e la
fondazione dell'impero questo gruppo di valent’uomini si aduna nei giardini di
Auteuil, e l'amicizia degl’animi siaccoppia ne'loro convegni alla concordia
delle dottrine. Sotto l'Impero, il cielo per loro si annuvolo. Tutti sanno il
dispregio in cui il primo Napoleone tene l'I deologia; non tutti ne sanno il motivo.
Napoleone non l'odia tanto come dottrina, quanto come partito. Cabanis, Volney,
Garat, DeTracy, che hanno visto di buon occhio il Nettuno che placa le onde
tempestose della rivoluzione, non sono più contenti, quando lo videro
troneggiare da Giove. Gli tennero il broncio, ed ei si vendica nel
rimpastare l'istituto, scartando la sezione delle scienze morali, e destituendo
l'ideologia, secondo la frase di Damiron. Villemain racconta gli scoppi della
collera napoleonica contro quegl'innocenti ideologhi, che poi non lameritavano
davvero. All'ideologia Napoleone imputa di scandagliare le fondamenta dello stato
col fine di scalzarle. Vera o falsa che fosse l'accusa, l'ideologia ne scapitd,
almeno perdendo la veste di filosofia ufficiale, e lo spiritualismo, che ne spia
le mosse, la soppianto nella scuola normale, dove Collard l'introduce. Seguace
del keid, questo eloquente filosofo sa vincere la preoccupazione invalsa, che
filosofare liberamente non si potesse fuori dell’ideologia; e che quindi o
bisogna accettare lo spirito teologico del De Maistre, o schierarsi tra
gl'ideologi con a capo Tracy. Con Collard l'alternativa e evitata, ed
inaugurata la nuova scuola filosofica della Francia, quella ch'è stata da indi
in poi sempre al potere con Cousin, con Rémusat, con Barthélémy de Saint
Hilaire, con Waddington, con Simon. In ITALIA lo spiritualismo, rinfiancato
dall'eccletismo cousinjano, benchè tradotto dal Galluppi, non fa fortuna:
gl’Ita liani o tennero la via degl'ideologi, o se ne scostarono per ben altra
filosofia, che non fosse l'eccletismo. Più che la filosofia del senso comune
proposta da Reid per fronteggiare lo scetticismo di Hume, ed accettata da
Royer-Collard per combattere l'ideologia, diè da pensare agl'Italiani la filosofia
trascendentale di Kant. Galluppi se ne mostra profondo conoscitore fin da quando
incomincia la pubblicazione del Saggio su la conoscenza umana; sebbene avesse
dovuto studiarla nelle scarse esposizioni di Villers. Più tardi soltanto,
traduce la Critica Mantovani; ma Lallebasque e in grado di STUDIARLA
SULL’ORIGINALE, come dimostra di saper fare nella esposizione che ne dà nella
sua Introduzione alla filosofia del pensiero: caso degno di nota per quel
tempo, quando nè la lingua, né la filosofia tedesca sono divolgate, come
oggidì, non dico in Italia, ma neppure nella rimanente Europa. Le due vie aperte,
da indiin quà, sono adunque, almeno per noi, queste due: il SENSISMO ed il
criticismo. Tra queste cerca di aprirsi un varco intermedio Galluppi; al
sensismo propende Borrelli, al criticismo Colecchi. Borrelli scrive e stampa a
Lugano, quasi contemporaneamente a Galluppi, ch'ei conosce però soltanto di nome.
Colecchi insegna pure in quel torno, ma le sue questioni filosofiche non sono
pubblicate, se non piu tardi. Che G. non quindi conosce gli scritti di
Colecchi, è certo; di Borrelli si può dubitare, benchè a certi segni, che
appresso additeremo, si possa credere di averne avuto sott'occhio le opere.
Indubitato è però che siasi formato su Galluppi, e che siasi prefisso di
camminare su la via dischiusa dal suo gran concittadino, evitando gli
sviamenti, in cui l'altro era incorso, e tirando più dritto alla meta. Più
dritto e difilato procedette in realtà; ma verso dove? Parve a G. che Galluppi,
scambio di fondare LA FILOSOFIA DELLA SPERIENZA, come si era proposto, per
incaute concessioni al kantismo, e finito con darsegli in preda. Cotesto
sviamento ei combatté a tutt'oltranza ne'primi saggi, come nell'ultimo; prima
copertamente, e senza pronunziar ne il nome, poi alla svelata. Onde a me non
piccola sorpresa ha cagionato il giudizio di certi nostri storici e critici ad
orecchio, i quali confondono Galluppi con G., come se professassero la medesima
dottrina. Capisco che il titolo, comune ad entrambi, di FILOSOFIA SPERIMENTALE,
ha potuto trarre in errore i prelo dati giudici; ecompatirei lo sbaglio, s'ei
fossero dilettanti; ma è da condannare severamente in loro, che si danno l'aria
di scrivere storie e critiche, senza leggere neppure i saggi istoriati e
criticati. Tornoora a G.. Per dimostrare
il processo storico de'due opposti avviamenti, ei ricorre alla sorgiva: rifà quindi
la storia de sistemi filosofici moderni, ed ammaestrato dagl’errori altrui
ripropone il problema, e si accinge a risolverlo. Anche qui l'influenza di
Galluppi è manifesta, avendo questi pel primo rimesso in onore appresso di noi
la storia della filosofia, e dato il più lucido esempio d'innestare le ricerche
proprie con le indagini fatte prima da altri sul medesimo soggetto. G tuttavia
ritesse la medesima storia con altro intendimento; perciò la sua non è
ripetizione di quella fatta da Galluppi, e vale il pregio di essere esposta e
conosciuta in disparte. La filosofia per G. si aggira sul problema della
scienza umana, nè più né meno,che per Galluppi: il titolo delle due opere
capitali scritte dai due filosofi calabresi accusa la medesima intenzione. Il
Galluppi scrive il saggio filosofico sulla critica della conoscenza; G., il
saggio su la realtà della scienza umana . Questa similitudine ha tratto in
errore alcuni storiografi da frontispizî, perchè dalla intestazionesono
corsi,senz'altro, ad asserire che Galluppi e G. professanol a medesima dottrina.
Se non che, questa volta l'hanno sbagliata ; chè se il problema è lo stesso in
entrambi , la solu zione è diversa non solo,ma opposta. G scrive col manifesto
divisamento di combattere la soluzione gallup piana. Già nella stessa
intestazione il filosofo di Mesuraca accenna a questo punto capitale del suo
saggio , ch'è la real tà della scienza,compromessa,a parer suo, dalla
spiegazione accettata dal filosofo di Tropea. Ma seguiamo ilprocesso storico
delproblema,com'è espo sto da G. Galluppi aveva dato l'esempio di accoppiare
alla sua Ancora non gli eran potute essere note le tre epoche distinte da Comte
, che par di non aver conosciuto n e p pure dopo,egiàeglitripartiscela storia
della filosofia, a un di presso,con un criterio analogo a quello del filosofo
francese. Nella prima epoca la ragione, baldanzosa per inesperta
gioventù,silibra a volo,e tenta costruzioni metafisiche, te nendo scarsissimo
conto della scienza principale,e facendo ne quasi un'appendice delle sue
fantastiche cosmogonie. Nella seconda,ella piglia per verità le mosse dal
proble ma del conoscere; matostolo abbandona, sedottadallame tafisica. Nella
terza, la ragione rinsavita si propone chiaro il suo cômpito, ed'altronon
sibriga;senon che,pur nelle solu zioni del problema conoscitivo, di quando in
quando, fa capo lino il razionalismo. Insomma l'esosa metafisica,lo scapestrato
razionalismo sono per G. il vero ostacolo, che non lascia passar la vera
scienza per la sua via. Alle tre epoche egli assegna questi intervalli di
tempo:la prima si stende dai primi abbozzi ionici fino a Socrate, il fondatore
della definizione,e de'ragionamenti d'induzione; la seconda da Platone e da
Aristotele corre fino a Locke ; in terrotta qua e là dai tentativi di GALILEI,
di Bacone, e CARTESIO; la terza dura
ancora, edènelmeglio delle sue conquiste.
16- dottrina la genesi storica del problema da lui riproposto ; e
sirifàda Cartesio a questa parte, daCartesiocheperluiè il padre della filosofia
moderna. G. risale più in su , fino ai primordî della filosofia greca , senza
perder d'occhio però il problema della scienza. Il suo criterio storico è
semplicissimo: v'è due filosofie, una che ritiene l'osservazione
de'sensi,un'altra che l'impugna;e quest'ultima, comechè si argomenti di
ricostruire la impugnata testimonianza,m e ritasempreilnome di razionalismo. È
mestieri, dice G., distaccardeltutto leme tafisiche speculazioni dalla scienza
del pensiero, per forzar la ragione al metodo di pura osservazione. La
ragione,secondo lui, ha una tendenza precisamente contraria; ingegnandosi di
rimenare all'ordine a priori quel chetrovasidatodainduzione. È necessario
adunque che la filosofia n e infreni l' impeto, e ne moderi la foga; e, per non
esserviriuscitaancora, lametafisica è rimasta stazionaria, piena zeppa di
ambiziose vedute, non avvalorate da'fatti. Positivo progresso della filosofia
d'oggidì è quello di essersi ridotte le ricerche metafisiche, che untempo
formava no la sterile ricchezza degli scritti filosofici. La stessa avversione
ha G per lo spirito teologico. L'intervento divino nella spiegazione
de'fenomeni na turali vale quanto la macchina nello scioglimento del nodo diuna
tragedia. Perocchè è ben facile espediente ilriporta re ad una causa
sovrannaturale quegli effetti, che non siè saputo ricondurre alle cause naturali.
Soggiunge innotaunariserva, èvero;dichiaradinon voler impugnare i miracoli: il
punto principale non è mensaldo però, l'esclusione loro dalla scienza. Qui G.,
siacheloconoscesse,oche s'incontras se col Comte, si mostra cosi aperto
avversario dell'interven todivino,come delleipotesimetafisiche:teologia,erazio
nalismo sviano dalla vera scienza. Il tradizionale metodo della filosofia
telesiana rivive dopo tre secoli in G.: fondamento della scienzaèlasolaos
servazione;e nondimeno riserva di ossequio verso l'autorità religiosa,da parte
degli autori. G. rivolgeaifenomeni delpensiero quella os servazione, che
TELESIO aveva rivolto a'fenomeni naturali. Il metodo ch'ei si traccia,e che si
studia di seguire,è il se guente:osservare ifenomeni primitivi,ridurli finoagli
ele menti irreducibili. La filosofia intellettuale, ei dice,
dopoaverriconosciuto i fatti attuali di coscienza dee saggiar di risalire di
riduzio ne in riduzione al fatto primitivo,alla pura veduta intellet Quali sono
i fenomeni primitivi del pensiero a cui si fer ma?Sono
tre,lasensazione,ilgiudizio,ilvolere;quindi tre parti principali della
filosofia,Estetica,Logica,Etica. Lasciando di vedere se questi tre sono proprio
i fenomeni irreducibili,certo è però che ilmetodo da lui seguito è pre
cisamente quello tenuto dalle scienze esatte.L'autore non dissimula il bisogno
da lui sentito di applicare alla filosofia ilmetodo dellematematiche,allequali
s'era da prima ad detto, e dal cui studio deriva in gran parte il riscontro che
si può scorgere tra la sua filosofia e quella che nel torno m e desimo si
coltivava in Francia sotto il nome di filosofia po sitiva. Eppure, esclama G.,
non v'è chi passando dalla evidenza delle matematiche alle ricerche filosofiche
non senta irrequieto ilbisogno di sortir fuori delle incertezze, in cui vede
implicato il sistema della scienza. Come dalla semplice osservazione lo spirito
possa sollevarsi alla riduzione scientifica de’ fenomeni, G. descrive in modo
molto preciso;e tale che merita esser riferi to con le sue stesse parole. « Ma
l'esperienza non è l'osservazione empirica,che si arresta a'fenomeni
isolati.Ilmetodo sperimentale sigiova
dituttiinostrimezziperiscovrirelaconnessione de'feno meni;del ragionamento
astratto,della induzione,delle spe rienze artifiziali, delle ipotesi. Con sì
varî mezzi la fisica la vora alle classificazioni de'fenomeni esterni,a ridurre
i fe nomeni particolari a'generali,a rilevare dal corso della na tura le sue
leggi,cioè le costanti condizioni de'fenomeni,le une costanti e permanenti , le
altre costanti nel cangiar dei fenomeni. In tal divisamento non mira soltanto a
minorar tuale. l'ignoto,che resta limitato a'fenomeni
irreducibili, ma ad uno scopo più positivo,a quello diprevenir l'esperienza,e
somministrar così preziosi materiali a tutte le arti. Chi ricorda il motto del
Comte: savoir c'est prévoir riconoscerà di leggieri il riscontro de due
filosofi. Nè risalta meno la comune mira di ridurre i fenomeni fino all'estremo
limite, affine di minorare l'ignoto. Trasportandoorailmetodotestedescritto alleinvestiga
zioni filosofiche, G. procede cosi ; osserva , cioè, i fatti della
coscienza,qual'è attualmente, e di riduzione in riduzione risale
finoaiprimielementi,ond'ellaèstata ge nerata. Egli stesso formola il suo
problema in questi termini: « coi mezzi che sono in nostro potere, ritrovar la
generazione delle verità, di cui siamo in possesso ». Questo metodo ei lo
chiama genealogico; e la parola ed il concetto sitrovano inun altro filosofo
italiano, noto a G., in Borelli,che intitolò la sua filosofia, Prin cipii della
genealogia del pensiero. Fino a che punto s'ac cordino nel loro intento,
toccheremo appresso. Qui basta notare, che la filosofia vera, la filosofia
seria per G. comincia con quest'analisi minuta degli elementi primi del
pensiero. Dimodochè sebbene ei lodi Aristotele di aver a m messo la realtà
delle idee universali,e più ancora di essersi fondato sul
senso,nondimeno,poiché lo Stagirita vi arrivo quasi di lancio,e per
un'affrettata generalizzazione,il nostro filosofo non ripigliala vera storia da
lui. Il primo saggio genealogico del pensiero sembra a lui,essere stato il
Saggiosul'intellettoumano di Locke, che pure Galluppi chiama immortale. Quel
saggio, caduto poi indiscredito, ebbe una meritata rinomanza; e la fama fu più
fondata del discredito. La filosofia inglese mette capo tutta quanta in esso;
la francese del secolo trascorso ne derivò; alla tedesca, iniziata da Kant, di
è il primo urto per mezzo di Hume. Oggidi, appresso di noi. Il principal merito del filosofo di Wrington
era agl’occhi di G. quello di aver combattuto ad oltranza le idee
innate.Ritenere tutte,o alcune idee per innate,porta ne cessariamente per
conseguenza di non ricercarne l'origine; e quindi impedisce il progresso della
filosofia, che tutta si dee travagliare attorno a questa ricerca. Cartesio e
Leibniz, che si credono di averle ammesse, inrealtàleritenneroco me semplici
disposizioni ;e fu per colpa di una improprietà dilinguaggio se s'imputò a loro
diaverle accettate. E qui dava una toccatina a Galluppi. Ma il sistema lockiano,
nel rintracciare la genealogia del pensiero, omise moltissimi atti mentali che
vi concorrono; ed era omissione scusabile in un primo tentativo, ed in ricerca
cotanto complessa. Locke diè, per dir così, una formola generale, alla quale
erano applicabili più valori: Condillac si avvisa di darle un valore preciso;
ma precisando, disvia.Locke,difatti,aveva riconosciute due sorgenti delle
nostre idee,la sensazione,e la riflessione:quest'ultima non era ben
definita,erauna funzione che accoglieva un po'di
tutto,giudizio,astrazione,ragionamento,volontà,era in definita,siconfondeva con
lacoscienza:Condillac dà un va si è piùgiustiversodelmodesto,delsincero,del
pazientissimo Locke ; smessi i superbi fastidî delle sintesi frettolose: al
tempo che scrive G. le invettive
giobertiane erano accolte senza molti scrupoli ; ed al filosofo calabrese fu
gloria non esser se ne lasciato smuovere. Galluppi, come abbiamo visto,lo aveva
pregiato assai,ma i consigli del buon vecchio cominciavano ad aver poca presa
su gli animi de' filosofi. Fuori d'Italia Herbart faceva tanta stima del Saggio
lockiano,che al Consigliere Clemens,il quale lo ri chiedeva intorno alla
filosofia da insegnare ne’ginnasi, riso lutamente rispondeva : dal maestro di
filosofia ne'ginnasi anzi tutto ed assolutamente richiederei che avesse letto
Locke . ore preciso , riduce tutto alla
sensazione , o semplice, otra sformata : sentire è giudicare. G. fa della
sensazione e del giudizio due fenomeni irreducibili ; egli non può dunque nè
contentarsi dell'ambiguità della riflessione lockiana, ne moltomeno
dellasemplicitàdellasensazionecondillachiana. All'osservazione de'fatti gli
pare che il Condillac abbia sosti tuito la tortura del fare sistematico. Gran
merito di Kant è quello di avere scorto l'importanza del giudizio,di questo
fenomeno irreducibile, stato da Condillac confuso con la sensazione. Pel
filosofo di Koenisberg gli ultimi elementi delle nostre idee sono da una parte
le sensazioni,dall'altraigiudizî:idueelementi appunto che al nostro filosofo
paiono indispensabili alla soluzione del problema che si è proposto. Ma con
questo gran merito egli imputa al Kant una gran colpa,la soggettività
de’rapporti; vizio che gli sembra infet tare la filosofia contemporanea. L a
soggettività di Kant però, e G. ne conviene , fu una necessità storica. Locke
aveva detto che tutte le n o stre idee nascono dalla sperienza,e che un'idea
originale semplice non può derivare quindi da un ragionamento : H u me accettò
le premesse, econtinuò: ma l'idea di causa non. Per lui,come per d'Alembert,
lafacoltà distintiva dell'es sere attivo e intelligente,è quella di poter dare
un senso al la parola è:ora Condillac questa distinzione l'ha distrutta.; i J
tà el Se elementi soggettivi, eglinota,simesconoco'dati spe rimentali,in
taleipotesinon conosceremmo quel ch'è nel fattoosservato,ma quelcheciapparisce
esservi;talchese spogliamo ilfattodiciò ch'è nostra proprietà, la nostra
conoscenza svanisce.Si vuol che siano elementi soggettivi le idee di spazio, di
tempo, di sostanza, di causa? Togliete via dunque dagli oggetti esterni e dal
proprio essere siffatti ele menti;e la scienza della natura,e dello spirito è
distrutta », può derivare dalla
sperienza ;dunque non c'è.Cosi tutta la scienza della natura andava in aria,e
Reid sirifugiò nel sen so comune ,in una credenza irresistibile,istintiva:Kant
a m mise degli elementi aggiunti dall'attività dello spirito. G. nota con molto
accorgimento,che in sostan zailsensocomune, dicuitantosi compiacciono certi
filo sofi anche oggidi,non salva nulla;che per giunta è pieno di
contraddizioni, perchè introduce classificazioni e distinzioni arbitrarie,
mentre si era prefisso di accettare le comuni credenze tali quali si trovano
nella coscienza volgare; che tra Reid e Kant,per ciò che riguarda la realtà
della scienza, non c'è punto di di vario. Kant nello spiegare il
fenomenolosfigura,elascia sco vrireildubbio: lascuolascozzesetiene occultato il
dubbio perchè non imprende la spiegazione del fenomeno. È Bravo G.! Egli non si
lascia appagaredallepa role,e civedebenaddentro;esel'haconKant,saperò rendergli
giustizia,nè condannando lui,assolve quelli che sono intinti della stessa pece.
Ed ora viene ilbuono.Nella dottrina kantiana ei capisce subito, che non il
numero degli elementi soggettivi aggiunti dallo spirito,ma l'aggiunzione
sola,quanta che fosse, era sufficiente a compromettere la realtà della scienza
umana . Certi nuovi critici,che in filosofia credono poter servirsi
dellastadera, han detto,peresempio: Kant ammette in tuizionipure,categorie
edidee,tutte apriori,ilGalluppi, invece, appena appena dà per soggettivi i due
rapporti d'i dentità e di diversità,dunque è lampante ch'ei sian discosti le
mille miglia uno dall'altro. sta dunque
la differenza, in quanto alla realtà delle nostre conoscenze , tra il
proscritto sistema kantiano, e la favorita dottrina della scuola di Reid ! que
G. scrive così:«basta ilsupporre una pura ve duta dello spirito il solo
rapporto d'identità e di diversità,
·apporto fondamentale delle nostre conoscenze , per ricadere nel
realismo empirico del sistema kantiano. Nè contentoacid, altro verincalzalasua
osservazione in questi termini. Mettiamo ora in disparte il sistema kantiano;
cangiamo la sua ripartizione tra gli elementi soggettivi e gli oggettivi
accordando più largamente alla sperienza ; o anche tutte le idee diciamole
derivate dalla sperienza,e riteniamo bensi solamente che non sono condizioni
oggettive i rapporti a n zidetti appresi tra le sensazioni ; noi ricadiamo
apertamen te nel realismo empirico della filosofia critica. Per G. il kantismo
consisteva nell'applicazione di elementi soggettivi alle sensazioni:dovunque
riscontra que sto medesimo processo ei riconosce ritenuto il fondamento della
filosofia kantiana. Ei si maraviglia anzi che gli altri non siansi accorti di
questa medesimezza. La storia nota a stupore della posterità,che i filosofi
tutti hanno accusato d'idealismo il sistema kantiano, e che niuno aveva
avvertito, l'idealismo esser nella supposta n a tura soggettiva delle idee di
rapporto. Quale sarebbe stata la maraviglia di G., se avesse vistoche,quando
ebbenotatacotesta somiglianzalo SPAVENTA, contro lui gridarono tutte le oche,
vigili sentinelledella rocca filosofica. Parve denigrazione della filosofia
italiana, quella ch'era critica aggiustata e seria:parve così a coloro, iquali
se ne predicavano sostenitori,quando non l'avevano studiata,e forse neppure
letta. Ma torniamo a G.. Ei non cita il Galluppi in tutto quanto il Saggio, se
non una volta sola ; egli però scrive il libro per combattere la dottrina del
suo gran concittadino,che glipareva derivata a dirittura da quella di Kant.Che
però miri a Galluppi, ap parisce da
un'apposita nota al Saggio.La dottrina degli elementi soggettivi,ei dice,è
stata da noi detta soggettivismo per denotarla qual vizio radicale del metodo
filosofico.Puòanche dirsiformalismo, riferendosi alle forme pure diKant,che
sono gli elementi soggettivi. Noi abbiamo preferito finora la prima espressione
per la c o n siderazione, che nelle dottrine attualmente in vigore si abbraccia
l'ipotesi degli elementi soggettivi,e non vi si parla di forme. E siccome
credono alcuni di non incorrere nell'idealismo di Kant,tuttochè adottano quella
ipotesi;noi nel combatterla sotto qualunque aspetto,dovevamo ritenere il nome
or generalmente adottato, quello di elementi sogget tivi.Se
cifossimoinvecediretticontro ilformalismo, po teasi credere che prendevamo di
mira il solo sistema kantia no.Insostanza,ladistinzionedimateriaediformaintal
sistema serve a render più potente l'idealismo,che si rac chiude nella dottrina
degli elementi soggettivi.Quindi si son messe in disparte le forme kantiane, e
si sono adottati gli elementi soggettivi che Kant appello forme. Ecco come da
taluni si è creduto evitare l'idealismo kantiano! Per G. adunque il divario fra
Kant e Galluppi, ed anche tra Kant e Rosmini,come vedremo appresso, era più
dinomeched'altro. Che cosa ne dirà Acri? checo sa ne diranno tutti quei
ciarlatani grandi e piccini,che sen zaaverlettoneppureifrontispizîdelleopereche
citano,lo mitriarono vindice della filosofia italiana ? Ai ciarlatani è inutile
rivolgere nessuna domanda;al pro fessore Acri domando che cosa voleva
dire,quando scrisse a proposito del Galluppi il seguente giudizio ricavato da
G. Ma perciò che Galluppi e Kant affermano tutt'e due che questeidee(identitàediversità)sono
soggettive es'accor dano nelleparole,ne
vuoi dedurre che Galluppi sia kantia n o ? Il tuo argomento sarebbe questo nè
più né meno: quell'anima le lì è cane; quella costellazione lì è cane: quello
abbaia; dunque quell'altra deve pure abbaiare. Se si considera ilpensiero di
Galluppi su questo argomento,quantunque non molto lucido e netto, come ha
notato quel nostro G. degnodimaggiorfama, sivedesubitochel'idea
diidentitàhavalore oggettivoereale, perchènasce dall'i dentità reale dell'io
come cosa,non altrimenti che l'idea di unità (Acri, Critica). Quando lessi
questa scappata dell'Acri, mi misi a ridere: tralasciai pero di tenerne conto
nella risposta che gli feci, non volendo entrare nella esposizione di G.,che sa
pevodidovere scriveredopo:eccomioraapoternefartoc care con mano la falsità.
Stando all'Acri, adunque,quel nostro G. aveva notato benissimo che per Galluppi
le idee di identità e di di versitàerano oggettive;
chesoltantonellaespressioneave va questi mancato di lucidezza. Ha Acri letto
davveroil Saggio di G.? Io credo, edebbocrederedino, perchè intutt'iquat tro
volumi,quel nostro valoroso concittadino d'altro non biasimail
Galluppi,pursenzacitarlodinome,che diaver accettato dal kantismo la
soggettività de'rapporti, segnata mente poi di questi due d'identità e di
diversità. Acri, seavesselettoillibro,non sarebbeuscitoin quella
citazione,inesatta non solo,ma assurda ;chi pensi, che G. ad altro fine non
scrisse,che a rilevare la medesimezza de'risultati, per rispetto alla realtà
della n o stra scienza,si delle forme kantiane,come degli elementi soggettivi
delGalluppi. Capiscoche Acri potevafar a fidanza con l'ignoranza assoluta
de'suoi ammiratori in fatto di storia della filosofia, ma egli non doveva
contare per niente,dunque,neppure isuoi contraddittori? Padronissimo di creder lui,che que'rapporti
per Galluppi sianooggettivi,ma perchè volertirare dallasua anche G. ,che tutta
la vita scrisse appunto per dimostrare il contrario?È un po'troppo,parmi.
Finchè visse il Galluppi, G. non riflni dal com batterneladottrina,
congrandeinsistenzaforse, delche si scusava;ma con profonda convinzione, edopo
averne lunga mente ponderato quelli che a lui parevano inconvenienti
gravissimi.Nol nominò però mai,altro che una volta sola, e per lodarlo. Morto che
e Galluppi , scrivendo egli l'ultima sua opera col titolo di Prospetto della
filosofiaortodossa, smettelaprima riserva,elocombatte no minatamente .
Ripetendo le antiche obbiezioni ,egli scrive cosi. Su tutto quel che abbiamo
qui osservato intorno alla dottrina della sensazione essenzialmente percettiva,
e della soggettivitàdelleideedirapporto,dobbiamo anoistessiil far noto a'nostri
cortesi lettori,che le stesse osservazioni, più estesamente sviluppate,furono
fatte di ra gione pubblica, e non abbiam poi cessato di riprodurle in parte,e
ripetutamente in varii articoli pubblicati in diversi giornali. Dimodochè
rimane fuori di ogni controversia, che il De Grazia ha inteso combattere la
dottrina di Galluppi su la soggettività de'rapporti,e che ha creduto essere
questa dot trina conforme a quella di Kant . Potrei anzi a g giungere,che la
soggettività de'rapporti parve a G. concedere più di quel che Kant medesimo
ricercasse:«tutto, egli avverte, si accordava a Kant , anzi ancor più di quanto
questiesigea,quando glisiaccordava,che le idee di rap porto sono elementi
soggettivi. E perchè dippiù? Perchè Kant limitava almenoilnumero delle sue
forme; mentre la tesi galluppiana della soggettività spaziava più largamente.
Ecco le strette in cui G. pone questa
filosofia. Finché siritiene,eidice,
da'filosofilanatura soggetti vadelleideedi rapporto, restainconcusso
ilprincipio,che isensi non possono altrodarcichenude sensazioni. Questo
principio o rovescia per intero il sistema sperimentale, o deve ammettersi che
tutte le nostre idee sono sensazioni:ad un estremo èilformalismoassoluto,
all'altroestremo è il sensualismo. Nelle forme pure dello spirito si modella in
ideel'informemateriasensibile,dice ilformalista:tutte le nostre idee sono
sensazioni, o primitive o trasformate, dice il sensualista. O Kant,o
Condillac:eccoilbivio della filosofia, secondo il nostro filosofo. Perchè
questo bivio? Perchè due soluzioni sono possibili, quando non si tien conto di
tutti nostri mezzi del conoscere. Questi mezzi sono due :sentire,e giudica
re;ridurli entrambi ad un solo,importa o lasensazione tra sformata di
Condillac,o ilformalismo kantiano. Formalista è dunque Galluppi, formalista
Rosmini ; entrambi costretti ad ammettere tutt'igiudizi come sinteti ciapriori.
« Se l'idea di identità fosse un elemento soggettivo,come essi opinano,e perciò
addizionale alle due idee,il nostro giudizio sarebbe in tutti casi sintetico a
priori ».(p.286). Ma ilGalluppicombatteigiudizîsinteticiapriori,sidi
ilcorollario previsto da G. non lo tocca
dun que .Così ragionerebbe chi si fermasse alla buccia delle q u e
stioni;noncosì G., ilquale vipenetraaddentro. È una contraddizione,
eglidice,dicuiilfilosofonon s'èac corto, perchè la vera dottrina è quella che
non dipende dal la intenzione, o dalla professione di fede che fa un autore, ma
quellachesifondanellalogica. Avete un bel dire che giudizi sintetici a priori
non volerà; « Non si è dunque avvertito, che son due tesi contraddit torie, il
non esservi giudizî sintetici a priori, e l'essere ele mento addizionale l'idea
d'identità ». (loc.cit.). te
ammetterne,quando poisostenete che ogni rapporto è un'identità o totale o
parziale ; e quando soggiungete che questa identità è un'aggiunta dello
spirito. Quale dottrina contrappone ora G. a quelle del Condillac,e del Kant ?
L'uno diceva : giudicare è sentire; l'altro, seguito dal Rosmini e da Galluppi,
diceva:giudicare è aggiungere; G., discostandosi dal primo e dal secondo,
dice:giudicare èosservare. Ma prima d'intendere il significato nuovo,ch'ei dà
alla funzione del giudizio,necessita ricordare com'egli abbia in teso la
sensazione. Né Locke, nè Condillac distinsero abbastanza la sensazio ne dalla
percezione ; Condillac anzi le confuse affatto. Alla stessa confusione fu
sforzato Galluppi.Tralascio le osser vazioni sui primi due,mi fermo a quelle
che vanno dritte contro la spiegazione galluppiana,ch'è lamira principale di G.
Due sbagli commette Galluppi,uno di confondere ilsen - timento con la
coscienza; l'altro di confondere la sensazione con la percezione. « Il sentimento
e la coscienza del sentimento sono nel n o stro spirito cosi abitualmente
congiunti,che più filosofi han confuso i due fatti affermando, che sentire ed
esser conscio di sentire non sono che una operazione medesima dello spi rito.
Confondendo la coscienza della sensazione con la sensazione, non si sono
avveduti que'filosofi, che ciò era un confondere il conoscere, il percepire col
sentire, con fusione che essi medesimi rimproverano a'sensualisti. Queste due
confusioni erano state fatte veramente dal Galluppi,avendoeglicompresosottoilnome
disensibilitàin Il simile si dica della
idea dell'ente, che Rosmini a g giunge ad ogni giudizio; su la quale torneremo
altra volta. Sentire il me sensitivo di
un fuordime, glidice G., è la più forzata contrazione,che potea darsi all'e
spressione del fatto di coscienza. L'industria adoperata da Galluppi per
nascondere questi giudizî elementari e primitivi proviene,a parer del nostro fi
losofo, dal perchè egli li aveva tenuti per sospetti di sogget tivismo.Questo
medesimo motivo lo indusse ad ammettere le sensazioni oggettive, senza bisogno
di spiegare il passag gio dal sentire al percepire . Leibniz e d'Alembert,
entrambi geometri , e prima di loro anche il Malebranche, avevano riconosciuto
il bisogno di spiegare il passaggio dal me (cf. GRICE, PERSONAL IDENTITY) al
fuor di me: i due primi avevano anzi proceduto più avanti,additando come mezzo
l'induzione; il Galluppi tagliòcorto,negò ilproblema stesso; affermando non
esservi luogo a passaggio, quando la sensazione coglie immediatamente
l'oggetto. Doppio sbaglioadunque da parte di Galluppi: primo, aver
disconosciuto igiudizî primitivi;secondo,aver rifiutato,per la conoscenza del
mondo esteriore, il soccorso della induzio ne . Contro i giudizî lo aveva
prevenuto la dottrina kantiana de'rapporti soggettivi ; contro l'induzione,il
presupposto che nessun'abitudine posteriore avrebbe potuto fare ciò che un atto
primitivo non aveva potuto.Se una prima sensazio ne non mi fapassare
all'oggetto esterno,come, diceva il Galluppi, mi ci potrebbe abilitare una
seconda od una terza? Eppure de'giudizî abituali che si frammischiano alle
sensa zioni aveva toccato prima il Malebranche , poi il Condillac ; - terna il sentimento e la coscienza del me;
esottoil nome di sensihilità esterna la sensazione e la percezione . Perchè dal
sentimento si va daalla coscienza, edallasen sazionealla percezione ci vuole il
giudizio; non il giudizio galluppiano che aggiunga rapporti soggettivi, ma
ilgiudi zio che osserva,ed osservando distingue i rapporti reali delle
cose. e della forza dell'abitudine Hume
,e della efficacia della in duzione avevano accennato Leibniz e D'Alembert! G.
riassume e tesoreggia isaggi de'suoi prede c essori , e li compi e così .
associazione adunque spiega l'origine : l'induzione as sicura la realtà; come
si può assicurare, beninteso, una ve rità contingente , la quale non esclude
mai la possibilità del l'opposto. Coloro i quali han posto mente alla sola
abitudine fonda ta su l'associazione,han detto :ma qual garantia ci porge ella
della sua realtà ? Così son rimasti nel circolo descritto da Hume. G. , s chi
vale prime e le seconde difficoltà , e formola il processo genealogico cosi:
l'associazione comincia, senza badare alla realtà;l'induzione legittima ciò che
trova, senza doversi brigare del cominciamento. In siffatta guisa il nostro
filosofo fa capitale di tutt'i saggi parziali
tentatiprimadilui,licollega,liordina,licompie uno con l'altro :la sensazione e
igiudizî abituali, intrave duti da Malebranche e da Condillac ;l'osservazione,
indefi nitatralemanidi Locke, edalui meglio precisata; lamas sima aurea del
Kant :pensare è giudicare ;la virtù dell'abi tudine,messa a rilievo da Hume;la
induzione accennata da Bacone in generale,additata da Leibniz e da D'Alembert a scenze provvisorie. 30 La sensazione dà
iprimi dati, il giudizio osserva i rap portichevisonocontenuti; l'associazione
delle idee ci for nisce leconoscenze prime concernenti ilmondo esterno,in via
provvisoria ;l'induzione,più tardi,legittima le cono Gli altri,invece,ponendo
mente alla tardiva comparsa della induzione, hanno osservato, come Galluppi: ma
la induzione vien troppo tardi a farmi passare alla realtà ester na,richiede
troppi congegni,troppe industrie,dicuil'in fante non si può supporre capace. 31 proposito dellaconoscenzadelleveritàdifatto.Bacone,di
fatti,dicendo:sensus tantum 'de experimento, esperimen tum de rejudicet,aveva
enunciato un canone applicabile piùaifenomeninaturali, chealnostromodo
diconoscerli: l'applicazione speciale alla nostra conoscenza si deve a'due
geometri filosofi, cioè al Leibniz ed al D'Alembert. La storia intanto invece
di attribuire agli anzidetti filosofi la debita lode di essersi accostati
sempre più alla soluzione delproblema delconoscere,ricordalemacchine
artificiose de'lorosistemi ,l'occasionalismo, l'armonia prestabilita,e simili
deviamenti dalla salda filosofia. Galluppi poiagli occhisuoihailtorto non
solodinon aver profittato de'saggi antecedenti, ma di essere indietreg giato
anche al di là di quel che aveva avvertito ilCondillac. Questi aveva ritenuto
per obbiettivo, o percettivo il solo tatto: Galluppi estese l'obbiettività a
tutti i sensi, occultan do la difficoltà invece di scioglierla.La realtà
oggettiva de gli esseri esteriori,ei dice,ha bisogno di essere legittimata: ciò
che non veggono alcuni odierni scrittori,iquali sup ponendo naturalmente
percettivid ell'oggetto esterno i no stri sensi,credono con ciò avere
abbastanza legittimata la realtà dell'oggetto esterno. Galluppi
diffidandodituttociòche civieneinorigine per mezzo de'giudizî,trasporta alla
sensazione quanto im mediatamente siapprende con l'atto del giudizio. Ei non
s'accorge che c'è una contraddizione manifesta tra la realtà oggettiva delle
idee e la natura soggettiva de'rap porti
Ondechesquadrilaquestione, G. torna,edin siste sempre su questo vizio
radicale della dottrina gallup piana;vizio che apparve chiaro in Kant,e che in
lui rimase occulto per aver dichiarate oggettive leidee,contraddicendo alla
loro provenienza. In Galluppi rivive la tesi del concettualismo , che il n
ostro filosofo combatte aspramente; in Galluppi,e più anco ranel Rosmini.G.
fautore del realismo,non del platonico però,spende molte pagine nel rilevare
gl'inconve nienti del concettualismo medioevale,e più del moderno;ed in questa
disputa,trattata largamente in una rassegna appo sita pubblicatail1850,
eidifende SanTommaso dallataccia di concettualista, ed impugna la somiglianza
che Rosmini vuol trovare tra la sua teorica dell'ente possibile, e quella
dell'Aquinate. Di questa particolare ricerca diremo appresso : continuiamo
intanto ad avvertire, con la scorta di G., le lacune ch'egli addita
ne'sistemide'suoi avversarî. La critica dello stato attuale fu fatta
maestrevolmente da Kant. G. è larghissimo di lodi al fondatore del Criticismo,
filosofo per questo verso inarrivabile. Della origine però Kant non occupossi,
dichiarandoaggiunti a prior itutti quegli elementi, di cui gli pareva arduo
rintracciare la ge nerazione. Quanto sitoglieaiverimezzi diacquistar cono
scenze, tutto si attribuisce ad una supposta origine a priori, a questo vasto
serbatoio di tutte le perdite dell'analisi . Cosi , con una similitudine
arguta,ei battezza per vere lacune, per difetto di analisi ogni forma a priori.
Nella stessa maniera han combattuto,dopo di G., l'apriori ifilosofi po
sitivisti. Siricasca inquesto metodo dunque,sempre che,
abbandonatalagenesisperimentale,siricorre allospedien te di addizioni di forme
pure;sia qualunque ilnome con cui si travestiscano. D'accordo con Kant, dice
G., che la conoscenza risulti da sensazioni e da giudizî; ma giudicare, per me,
semplicemente osservare,e non è punto aggiungere. La veduta èprora quando
siosserva nell'oggetto,non già quando -
Il metodo daseguire, nelproblema dellaconoscenza,era questo:esaminare lo stato
della coscienza, qual'è attualmen te;risalirealle origini delle idee che ora
vitroviamo;legit timarne la realtà. O
siaggiunge dal soggetto. Aggiunta chel'avretevoi,non è più da discorrere della
sua realtà. Sicché delle tre analisi da fare, Kant fece benissimo la critica
della coscienzaattuale; arrestossi per via nel rintrac ciare le origini della
coscienza primitiva;e conseguentemen te non potè legittimare la realtà della
nostra scienza. La realtà della scienza è collegata con la dottrina del giu
dizio:se questo è una mera osservazione,la realtà è assicu rata; se,invece,è
una funzione addizionale, la realtà non si può a nessun patto legittimare. Ed
ora noi siamo perfettamente in grado dicomprendere, perchè G. combatta con
tanta insistenza la filoso fia di Galluppi, ed insieme di valutare,quanto poco
la mira di G. sia statas corta da
quellichenehannofinora discorso. Egli ritorna spesso su la critica da noi
esposta, con una prolissità,ch'è stata non piccola causa dell'esser
passatainavvertita, perchè dileggereiseivolumidelle sue opere i più si sono
sgomentati. Il significato però di tutta la sua discussione si può ridurre a
quest'alternativa in cui egli trovòimpigliatala ricercadellaumana cognizione:
gliuni avevan detto con Condillac: giudicare è sentire ;gli altri a vevan ripetuto
con Kant :le idee di rapporto sono elementi soggettivi: egliavevarisposto: è
falsal'una el'altraspiega zione. Ilgiudicarenon èsentire,ma osservare;
irapporti sono oggettivi,non soggettivi. Galluppi intanto , destreggiandosi tra
le due spiegazioni , aveva di ciascuna ritenuto una parte.Pur discostandosi dal
la dottrina condillachiana, pur distinguendo ilgiudiziodal la sensazione,aveva
però ammesso de'rapporti,iquali era no sentiti:tali erano il rapporto tra
modificazione e sostan za,ed ilrapporto tra effetto e causa. Similmente,pur
promettendo divolersiappartareda Kant, pur professandosi fedele al metodo
sperimentale, aveva accettato due rapporti come soggettivi affatto,quello
d'identi tà,e quello di diversità. La sottile e giusta critica di G. aveva messo
in e videnza le due capitali contraddizioni della filosofia del Gal luppi.La
consapevolezza piena,profonda,ch'egli ha delle obbiezioni mosse al suo grande
avversario , ve lo fa insistere forse soverchiamente ;ma non senza rivelare una
grande perspicacia di mente nell'applicazione che ne fa alle singole questioni.
L'idea di azione,di connessione,egli scrive,è idea di
rapporto;eirapportisigiudicano,non sisentono.Sièdi menticato in questa
occasione,che una sensazione non è più che una nostra modificazione, e per se
stessa non può darci altra idea che quella di un particolar nostro modo di
esistere. L'anno appresso, che G.
finisce la pubblicazione del suo Saggio, cioè, un dotto abbruzzese,
Colecchi, pubblicava in due volumi le sue Quistioni filosofi che,e vi rifaceva
lacritica di Galluppi,muovendo da un criterio opposto a quello del nostro G.,ed
intanto somigliantissima nel significato. Il Colecchi segue la filosofia
kantiana nel concetto fonda mentale,ma senediparteinmoltiparticolari.Riduceleca
tegorie tutte quante a quelle di sostanza e di causa;le deduce non già dalle
forme del giudizio, come aveva fatto Kant , ma dalle anzidette nozioni di
sostanza e di causa, congiun te con quelle di spazio e di tempo ; rifiuta lo
schematismo kantiano, che gli parve complicato, e superfluo ; e finalmen te
crede , che la realtà della nostra scienza non ne sia punto compromessa.
Colecchi adunque biasima il Galluppi d'incoerenza per averammesso alcuni
rapportioggettivi,edaltrisoggettivi; senonche, invece disoggiungere com G: dove
vateritenerlituttiper oggettivi, corregge lacontraddizione io galluppiana in un modo opposto,
soggiungendo: dovevate ammetterli tutti per soggettivi. Tralasciando ora le
modificazioni arrecate dal Colecchi alla filosofia kantiana,
eraffrontandolesueobbiezioni contro Galluppi in ciò che s'accordano con le
altre antece dentemente mosse dal nostro G., citiamo in compro va testualmente
le parole del filosofo abbruzzese,perchè il lettore ne vegga l'accennata
somiglianza. Dopo aver egli ricordato la soggettività de'rapporti d'i dentità e
di diversità ammessa dal Galluppi contro del Locke , continua così: « Posto ciò
si domanda ora:se rispetto a quelle idee che sono un prodotto dell'analisi che
le separa da'sentimenti, e che sono perciò oggettive,venga lo spirito assistito
o no dalledue ideed'identitàedidiversità?seno,nonpotràegli separarle punto dai
sentimenti;perocchè un bambino puran che ne ha bisogno,per distinguere lasua
nutrice da uno stra niero;e tale distinzione è fuor di dubbio un atto di
analisi : se sì, le due idee d'identità e di diversità devono precedere le
sensazioni:sono dunque per anticipazione,ed anteriori ai sentimenti; e perciò
nell'ordine cronologico delle nostre co gnizioni non possono essere posteriori
alle sensazioni, ne presupporle come condizioni indispensabili.Come dunque so
stenere: che ogni nostra cognizione incomincia con l'analisi, e termina con la
sintesi, se per fare qualunque spezie di a n a lisi,ha bisogno lo spirito delle
due idee d'identità edi diver sità,le quali, per avviso del nostro autore, sono
un prodotto della sintesi che le aggiunge ai prodotti dell'analisi?(Quistioni
filosofiche,Napoli). Potreicitarealtri luoghi,concui il Colecchinota il di un li ne ato 4 1 Biasima inoltre Galluppi di
aver detto che sono sogget tivesololeideedirapporto,perchèegliammette leideedi
spazio, ditempo,disostanza,dicausa,sottoilnome dileggi della intelligenza,che
sono soggettive,senza essere rapporti.
verso valore che debbono avere nella ipotesi di Galluppi le idee di
identità e di diversità quando si applicano o agli o g getti dellamatematica, o
aquelli della sperienza; ma usci reifuoridelmiotema. Amepremeasso dare chele
contraddizioni, in cui s'era avvolta la filosofia galluppiana per manco di
coerenza,erano state rilevate con mirabile acume da G. e da Colecchi. Ferri,il
quale scrisse due grossi volumi su la sto
riadellafilosofiaitaliananelnostrosecolo,non trovòaltro spazio per ricordare
idue anzidetti nostri filosofi, che questo, occupato dalle seguenti parole: «
Il faudrait enfin mentionner les écrits de Di Grazia, et de Collecchi ,
Napolitains, qui, tout en modifiant,ou en combattant Galluppi, n'ont cependant
pas dépassé le point de vue de l'expérience ou de la philosophie critique.
Essais sur l'histoire etc.. Certo così Ferri non si compromette. En m o d i
fiant, en combattant, sono frasi tanto diplomatiche che par che dicano, e non
dicono. G. modifica Galluppi; Colecchi lo combatte: ci ho gusto : sta bene; ma
che cosa han detto? Questo è il punto; e su questo, silenzio perfetto.E poi G.
non l'ha punto modificato, l'ha combattuto pure : l'avesse combattuto, qual
lume si ricaverebbedaquestemezzeparole? Nonerameglioconfes sare di non averne
letto sillaba ? E perchè non occuparsene? Forsechè erandameno ditanti altri?
Io,peresempio,sen za far torto a nessuno , e salvo la disparità per altri
riguar di,trovo più ingegno filosofico in G. e nel Colecchi, che non nel
Mamiani. L'ho detta grossa? Chiedo scusa a tutti quelli che ne prenderanno
scandalo ;certo di aver con mecoloro, che sen'intendono davvero; eche
intendendo sene ardiscono dire il proprio parere. Del silenzio su Colecchi
Ferri si scusa quasi ,scri vendo in una nota così. Les écrits de Collecchi
dispersés dans les recueils litté raires n'avaient pas encore été publiés en un
seul corps il y a quelques années, Pardon, .Ferri: gliscrittidel Colecchi
furono stampati in due volumi, che io ho qui sul tavolo,ed hanno
questaindicazione: Napoli,all'insegna di Manuzio, Carrozzieria Montoliveton.
Qualgiro di anni comprendete voi nell'il y a quelques années ? Venticin que non
vi bastano? E perchè non una parola su G., che doveva es servi noto,poichè ne
registrate ilSaggio nell'indice delle opere filosofiche pubblicate in Italia in
questo secolo ? Forse non entrava nel disegno vostro, ch' era di d e scrivere
il pensiero italiano tutto inteso a cercare ciò che poi ha finalmen te trovato
, l'idealismo temperato ? ed allora perchè accusare diparzialità Spaventa,
cheavevatrascuratinon soquali filosofi, indotto dal suo criterio hegeliano ? Ma
passiamo oltre, avvertendo soltanto, poichè siamo su questo argomento, che il
cognome di G. non va scritto “DiGrazia”; e che Colecchi non va rinforzato come
l'ha rinforzato Ferri, che lo scrive Collecchi. Sarebbero minuzie, se non
attestassero la poca diligenza nello scrivere la storia. Morto chefuil
Galluppi, G,, benchèricordiqua e là gli sforzi sostenuti nel combatterne le
dottrine, rivolge però altrove la propria attenzione. Ne'discorsi pubblicati ei
se la piglia con la filosofia,che in Italia aveva preso ilsopravvento,echenonsicuravadinascondereildispre
gio in cuiteneva l'esperienza.Oramai non si tratta più di scoprire un
Idealismo,tutto studioso di occultarsi sotto il nome
difilosofiasperimentale,com'erastatoilcasodel Galluppi,ma di combattere un
Idealismo che si presentava alla svelata,eche,sottonomi diversi,s'eraguadagnate
lementi della nuova generazione.IlDe Grazia comprende tutti questisistemisotto
un nome solo,sottoquello difilosofia spe culativa .
Traquestisistemiperò,secondolavaria importanza,al cuni combatte più acremente,altri
accenna soltanto.Accen na pure del consenso del genere umano del La Mennais,
del tradizionalismo del P. Ventura;delprimo un po'più distesa mente, perchè
s'accorda col sistema di Gioberti nel rifiu tare la testimonianza e l'autorità
della coscienza subbiettiva. Quanto a Ventura, poco seguito aveva trovato in
Italia, nèmeritavaimportanza, nè G. glienedàmolta. Mente severa, educata alle
scienze matematiche, G. la giustizia sommaria di tutti questi sistemi in un fa
scio,ai quali a suo avviso mancava e la base solida, ed il rigoroso
ragionamento. «Una volta,eiscrive,erascrittoall'ingressodellascuo. la:nemo
accedat, nisigeometra; igiovanetti oggi leggono: nemo accedat,sigeometra.E non
hanno torto,perché ove si tratta di creare enti, o di manifestazioni del
Dio-Cosmo, e di ispirazioni,e di intuiti,o di nuove logiche trascenden tali,non
può esservi luogo pe'geometri:non è arena per le loro forze ». Ce n'è per
tutti, come si vede, e non risparmia né i si stemi tedeschi,nè i francesi,né i
nostrani ;ma vediamo quali obbiezioni particolari muova a ciascuno ;e basterà
ac cennarle,perchè oramai abbiamo abbastanza conosciuto il suo criterio. « Più
dilettevole trattenimento ci dà il La Mennais nel ravvisar per ogni dove un
riflesso del d o m m a religioso ; che
38 Contro del La Mennais nota che la ragione umana collet
tivaèun'astrazione,che solo l'individuo esiste;e quindi il consenso universale
non ha altro valore, che quello degl'individui, da cui proviene. Con non dissimulata
derisione trat ta poi le spiegazioni fantastiche de'fenomeni naturali per mezzo
del domma. Punzecchiando
Gioberti,siricordadelGalluppi,cheper liberarsida ogni molestia
sularealtàde'corpi,concepi ob biettive le sensazioni , e scrive . Le sue celie su
la commodità di questi spedienti sono fre quenti;senoncheglisembra che
nègl'intuiti,néleispi razioni , nè gli istinti, nè le idee inerenti allo
spirito , benchè talvolta simulino l'evidenza,bastano però a surrogarla pie
namente . Se G. tralascia gl'influssi divini, cið avviene perchè il Mamiani non
li aveva ancora escogitati. Ma torniamo agli appunti ch'ei muove al Gioberti.
Come ! eidice,l'intuitoèpresente,enon sivede!È ecclissato,sirepli
ca,estabene;ma comeunmotivofinito basta adecclissarlo? G., per questo
inesplicabile ecclisse, s 'insospet d'altronde doveasi toccare con più
rispettoso contegno. Fino ne' sette colori del prisma scorge il ternario, da
che tre soli secondo l'autore sono iprincipali ». Che cosa avrebbe detto G.,se
avesse letto la Vita di Gesù Cristo dell'abate Fornari ? Gioberti si studia di
sostenere col ragionamento la dot trinaquasiispiratadelLaMennais: G. rendegiu
stizia al filosofo italiano,nè lo confonde con l'autor dell’Ab
bozzo.Eccoperòlasommadegliappunticheglimuove. Gioberti, perlui, esclude ogni
analisi delle idee, eper dispensarci dalle minute inchieste psicologiche, ci
accorda l ' immediata veduta delle idee divine. Certamente, ripigli a G.,
eivalmegliocontemplarlenellalorointegritàri flesse dal lume divino su le
parole, che attentarsi di rima neggiarle con profana analisi ! « Per togliersi
da ogni impaccio basta oggi il dire : io sento i corpi esterni,le mie
sensazioni sono percettive de'corpi esterni;ovvero per risolvere con un solo
atto tutte le qui stioni di ontologia e di psicologia : io intuisco il
creato,il creatore,el'atto creativo!»
tiscedellaesistenza dell'intuito.E poi,esso nèsipuòvedere dalla
coscienza,nè dimostrare dalla ragione, come fare dun que a verificarlo ? Nè
piùplausibileèilsussidiochedovrebbearrecarelapa rola, affinchè dall'intuito si
passasse alla riflessione. Il potere della parola, dice G, è misterioso: non
circoscrive l'idea,su la quale non ha presa n è punto nè poco ; e non accresce
la nostra facoltà intellettiva. Sicchè, tutto ragguagliato, ilGioberti
cilasciacon una virtù intellettiva in potenza , e con una riflessione a nude
parole. Dove però G. va più addentro nel sistema giober tiano,è,a parer
mio,nella seguente osservazione. «Ma laricercafondamentale,dicuisièsempre
taciuto, concernelapossibilitàdella visione in Dio. La stessanonè solamenteunfattogratuitamentesupposto,ma
neppurciè dato sapere, se un essere può vedere le idee di un altro es sere.
Questa obbiezione di G. equivale a quella dello Spaventa,quando osservava,che
l'Ente veduto dall'intuito giobertiano non può essere uno spirito. Diciamo ora
della critica di Rosmini. Della teorica rosminiana il nostro filosofo s'era
occupato nel Saggio ; ci torna di poi nelle opere posteriori alla morte di
Galluppi con più larghezza. G. continua:vedere le idee in Dio,presuppone
assodato,cheIddioleabbia;ora,cheilmodo dellacono
scenzadivinanonsiaconformealnostro;echequindinon si faccia per idee molteplici
e rappresentative, pare più ac cettato dalla filosofia ortodossa . E qui
riscontra la dottrina giobertiana non solo con quella del Malebranche,ma con
quella di Agostino,e non la trova somigliante,e quin di non la tiene per
ortodossa. Nel Galluppi G. aveva combattuto il concettualismo, aveva combattuto
l'asserzione , che le nostre idee non siano rappresentative.A proposito del
Rosmini ripiglia la controversia del concettualismo . Il concettualismo si
fonda su la subbiettività de'rapporti, onde risultano le idee:contro
ilconcettualismo adunque ba sta contrapporre questa sentenza di san Tommaso : «
relatio nem esserem naturae ». Or qual dottrina segue il Rosmini? Forse quest a
dell'Aquinate, fondatasulpiùschiettorealismo? No; nesegueuna ambigua , e per
tal ambiguità cerca tirar dalla sua l'autorità di San Tommaso. L'ente ideale di
Rosmini, dice G., è bifronte; da un lato offre l'idea universale di esistenza,
dall'altro un ente esistente. Basterebbe questa profonda osservazione, per
dimostrare diquantaperspicaciafossefornito G.; ma egliva più in là ancora,ed
addita un riscontro, che rivela la forza della sua critica. « M a , ci si dirà,
qui non trattasi di una esistenza sostan ziale, o di accidenti di una sostanza,
bensi di una esistenza ideale, qual può competere ad una idea.Si,ciò ricorda
l'Idea di Hegel , con la differenza che questa contempla sè stessa, e l'idea
universale di esistenza è l'oggetto contemplato da tutte le intelligenze,
differenza che gli hegeliani farebbero sparire.Quanto allanaturadellaesistenza,
l'entedi Rosmi ni non è meno lucido e trasparente, che l'Idea hegeliana, perchè
altro non è che l'idea di esistenza, o la possibilità Sipongaormente,eglidice, cheiduepuntimessia
maggiorrisaltonelnostro librosono:1.che ilconcettuali smo è la causa principale
delle deviazioni della filosofia,e la grande abilitazione de'sistemi
speculativi;2. che l'Aquinate, tenendosi immune dal concettualismo,ha felicemente
seguito il metodo di pura osservazione ». dell'esistenza,come lo stesso Rosmini
ripetutamente va ri cordando a'suoi lettori ». « Se quindi si ammette una
esistenza attuale e indetermi nata;attuale e non reale; se si ammette la
possibilità dell'e sistenza essere un'attuale esistenza,si avrà il caso proprio
di una identità de'due contrari «.(Esperimenti della filoso
fiaspeculativane’sistemi delsecolocorrente -Napoli, Rassegna). Ho notato in
corsivo l'ultima conclusione di G., perchè il lettore rifletta su la
somiglianza da lui additata tra l'Ente rosminiano,e l'Idea dell'Hegel. Quando
Spaventa, dopo di G., e senza sapere forse delfilosofo calabrese, lecuiopere,
specialmente leul time,erano rimaste sconosciute,mise in rilievo con più
larghezza quel riscontro, la cos aparve strana , e ci si vide uno
stiracchiamento forzato de'sistemi in servizio di un criterio
preconcetto.Piùtardi,coloro chesieranoarrogatalarap presentanzadella
filosofiaitaliana, levarono lavoce,epro testarono contro il malvezzo di voler far
parere la nostra filosofiaun'imitazione dellafilosofiatedesca.Sietematti,si
disse ! Galluppi kantiano! Rosmini hegeliano ! Le son
cosedaridere:voiconfondeteitipicon gliectipi;voi non sapete che in Italia c'è
un'abbondanza straordinaria di tipi, e che voi altri li sfigurate barbaramente
per poterli tramu tare in ectipi. Questa brava gente,veramente
tipica,ignorava,che ilri scontro era tanto poco sforzato, da esser apparso
manifesto ad un filosofo, il quale non era punto tenero della filosofia tedesca,e
che di tutto si poteva accusare, salvo che della smania divoler costruire la
storiaapriori. G., difatti,aveva a chiare note,e con grande insistenza,segna
latoilkantismonelsistema del Galluppi; econ menodiffu sione,ma con non minor
chiarezza,l'hegelismo nel sistema delRosmini.Oh!come
dunqueivindici,glistoriografi,i
rappresentanti dellafilosofiaitalianaignoravanotuttalacri tica che si
era esercitata nel nostro paese su la nostra filo sofia nazionale ? Ma torniamo
al Rosmini. G., dopo avvertita l'ambigua natura dell'Ente rosminiano,
dopoaverbiasimatoil Rosmini dinonaverte nuto fermo in una sola e medesima
sentenza,di averlo una voltachiamatounlumedatodaDio,un'altravoltaillume
divinomedesimo, eidimostra uguale accorgimento nelrile vare altri difetti.
L'origine delle nostre idee è doppia,una l'idea dell'ente, l'altra
lapercezionesensitiva; ma G. s'accorge, che la vera sorgente,l'unica sorgente
rimane quest'ultima, e domanda : « A che serve il contrarre l'espressione di
quanto si vuol che noi percepiamo immediatamente con una sensazione? Il
participio sostituito al verbo potrà mai avere ilvalore di nasconderei
moltigiudizî, chesicontengono nella formola «enteagentesuimieisensi»? Il
participio sostituito al verbo è difatti il ripiego della ideologia rosminiana:
G. ha colto a maraviglia. La percezione
sensitiva, ei continua,è,o no, un atto del pensiero? Se lo è,siavrà un pensare
identico alsentire; senonloè, siavràunapercezione, allaqualeilnostrospi rito
non pensa !O cade in sensualismo, o è nulla pel nostro pensiero ». La
percezione sensitiva adunque non si vede in che diver sifichi dalla sensazione,
posto che in lei non debba concorre re traccia di pensiero: nè molto proficua è
la ragione, che il De Grazia chiama potenza terza e neutrale. Non è intellet
to,non è senso:applica ildato dell'intelletto ai dati della sensibilità;d'altro
non brigasi;ma chimallevaallorala realtà ?Non l'intelletto che ha da fare col
possibile ; non il senso che non può cogliere altro che nostre modificazioni. « La capacità di sentire e la facoltà di
percepire sono due potenze così differenti,che dee tenersi per ugual
controsenso l' attribuire la percezione alla sensibilità, e l'attribuir la
sensazione all'intelletto ». Rosmini con la percezione sensitiva attribuisce al
senso più che la costui capacità non comporti ; ricasca quindi nel difetto di
Galluppi, che fece la sensazione immediatamente percettiva.A questo sbaglio
ecco tener dietro un altro,che a noi piace riferire con le stesse parole del De
Grazia. « Un'altra opinione sui generis è di ammettere nel fatto la percezione
immediata del nostro essere ,e dell'essere ester no , m a il fatto aver bisogno
di venire autenticato da una idea innata, per quanto concerne la vera
esistenza, perchè altri menti quella da noi appresa nella coscienza potrebbe
dirsi apocrifa ! Meglio non poteasi rilevare la superfluità dell'ente rosmi
niano,dopoaverammesso lapercezionesensitivapercoglie re l'esistenza immediata e
reale. Come impugni G. le interpetrazioni date dal Rosminialsistemadi san
Tommaso vedremoaltravolta; chè tal ricerca non è semplicemente storica,e meglio
si collega allaesposizione della dottrina del nostrofilosofo,ilquale altro non
pretende di aver fatto,che di aver rinnovata la filosofia del sommo
Aquinate,stata per tanti secoli o scono sciuta o frantesa. Venghiamo al
giudizio su l'Hegel. Già per G. tutt'i sistemi nati in Germania dopo del Kant
sono « romanzi filosofici »;questo d'Hegel fra gli altri, anzi a capo degli
altri. Ignaro della lingua tedesca,egli tanto sa de'sistemi tede schi, quanto
ne ha appreso dal libro di Ott,ch'era stato pubblicato a Parigi. Non è da recar
maraviglia adunque, A G. non isfugge
nessuno dei tortuosi giri dell'ideo logia rosminiana. 45 s'ei qui non possa penetrare sempre
addentro nel pensiero dell'Hegel,come ha fatto coi filosofi francesi, e coi
nostri. Onde,mentre lasuacritica della filosofia del Galluppi,del Rosmini
edelGioberti, benchèprolissaestemperata,abbon da di osservazioni sode e
profonde, la critica dell'Hegel rie sce monca e superficiale. A lui mancava la
cognizione pie na ed esatta del sistema;pur tuttavia di alcuni appunti non
sipuò ameno diammirare lasagacia,elaserietà. Attraverso alle incertezze di una
esposizione,dove trovan luogo metafore più proprie ad abbuiare un concetto,che
a lumeggiarlo,èdifficilecogliere ilsignificato genuinodiun sistema . Così a G.
il divenire hegeliano sembra uno strofinamento dell'essere col non-essere. Par
che baleni il sospetto di qualche alterazione a G. stesso,ma tosto si ripiglia,
ed afferma che « si può esser sicuro che le pro posizioni fondamentali della
Logica hegeliana non valgono in tedesco più di quel che valgano in italiano o
in qualsiasi lingua ».Una tal sicurezza veramente fa un poco a calci col metodo
d'osservazione adottato dal nostro filosofo. Il quale se avesse conosciuto
iltedesco, si sarebbe accorto che non trattavasi nè di movimento,nè molto meno
distrofinamento. L'accusaperò, chemuove allaLogicahegelianadiessere un sistema
di rapporti senza termini,è molto più fondata. Senonchenella Logica,itermininonsonoenonpossono
essere altro,che relazioni anch'essi ; ma non è vero però, ch'e i siano un mero
niente, e che tutto il processo hegeliano riesca al postutto ad un movimento da
niente a niente. Cotesta esagerazione è in lui derivata dal non aver compreso
bene il valore del Nicht - sein , che non egli soltanto, m a parecchi si sono
incaponiti ad intendere per un bel nulla. Fisso in questa interpetrazione, ei
continua a biasimare questo modo di far della scienzaun tessuto disiedino,
lontano da ogni realtà salda,e solo conveniente a quella fi losofia,che
riduceirapportiapurevedute dellospirito.Qui, come si può scorgere,ei non vuol
lasciarsi fuggir l'occasio ne di scagliare un'altra frecciata alla tanto
combattuta filo sofia di Galluppi, accennando la simiglianza che corre tra la
soggettività de'rapporti e l'Idealismo trascendentale ,che poi siassolvette
nell'Idealismoassoluto. G. confino accorgimento perseguita il suo illustre
avversario sino alle ultime e non sospettate conseguenze del suo principio. «
Un rapporto ideale senza itermini sarebbe appreso dalla. nostramente,
sesiammettesse lasupposizione,che irap porti sono pure vedute dello spirito,
alle quali nulla corri sponde nelle cose ». Hegel è agli occhi di G. un elevato
e perspicace pensator , ma il suo sistema è una perpetua ironia . L a sola
istruzione che se ne possa cavare è quella di capacitarsi della impotenza della
filosofia speculativa a cogliere ed a spiegare la realtà. « Ecco dunque
l'istruzione ch'egli (Hegel) ci dà in forme le più solenni :volete voi passare
dal cerchio delle idee astrat te al mondo reale ? vi è forza porre innanzi
tratto, che il reale è lo stesso che l'ideale ! In altri termini : dalle idee
astratte non si può derivare la realtà; e questa massima può servir di lezione
pe'tentativi,in cui con minori proporzioni, o più propiamente, con meno di
purità speculativa, si voles se maneggiare ilmetodo ontologico ». I due principii che lo informano sono
l'Idealismo,e la con traddizione ; dall'uno il sistema hegeliano piglia le
prime mosse;coll'altraprocede avanti.Che cosa se ne inferisce? Questo soltanto,
che il concettualismo è falso; ma la vera filosofia rimane illesa dai suoi
colpi. Il valore che G. attribuisce ad Hegel è lo stesso, benchè egli nol dica
espressamente, di quello che Socrate ebbe verso la Sofistica. L'ironia
socratica avrebbe svelato le contraddizioni della Sofistica, come l'ironia
hegeliana avreb be tirato le ultime conseguenze del Concettualismo
moderno. Hegel, secondo il giudizio di
G., addito il rimedio contro le forme subbiettive di Kant, deducendo da quelle
pre messe , che dunque « i fenomeni del pensiero sono la sola v e rità
assoluta. Tutta la storia della filosofia si spiega,adunque, e siran noda
intorno al problema della conoscenza. Tre domande si possono fare: qual è lo
stato presente della nostra coscienza ? qual è stata la sua origine ? qual è la
sua realtà ? Il criterio con cui il nostro filosofo giudica tutt'i sistemi è il
seguente : « ciò che la nostra mente vede in u n fatto o è realmente nel fatto,
o la nostra veduta è su tal riguardo il lusoria ». Da un lato adunque c 'è il
realismo, a favore del quale egli si schiera ; dall'altro lato il
concettualismo, che pigli a diverse forme, finchè non diventi idealismo
assoluto, ossia l'iro nia hegeliana, che mette a nudo le coperte magagne
de'siste mi antecedenti,Benchè ilibridi G. sianopiuttostopolemiciche
dottrinali,pure in essi,e nel Saggio principalmente,si scor gono le linee di
una nuova soluzione del problema genealo gico delle idee. G. fa consistere in
questa soluzio ne tutta la sostanza della filosofia;m a a lui la genealogia non
ha lostessosignificato,chehaalBorrelli,dalqualetolse probabilmente ilnome.
Borrelli,quasi almodo stesso,che fa oggidi Spencer, studia la genesi del
pensiero sotto l'aspetto fisiologico : G. si arresta ai tre fe nomeni primitivi
del sentire,del pensare,e del volere,e di quivi soltanto piglia le mosse . Qual
è ora per lui l'immediato,o ilfatto primitivo, sul quale riposa la filosofia
sperimentale ? IlGalluppi aveva risposto :questo immediato è ilsenti
mentodelmeedelfuordime; G. risponde:ilve roimmediatoèil sentimentodelmesolo.
Questa prima discrepanza si può dire la origine di ogni divario che corre tra
la filosofia de due filosofi calabresi. E n trambi vogliono partire dalla
esperienza immediata, m a i li miti di questa immediatezza non sono tracciati
al modo m e desimo . «Ilmetodo d'osservazione, dice G., ciguida a riconoscere,che ilcampo dellaimmediata
percezione di fatti reali è la sola esperienza interna, ove l'oggetto è in noi
, è la nostra esistenza,e quanto apprendiamo nelle nostre m a niere di
essere.Gli oggetti esterni non sono esposti alla immediata nostra percezione,
ma n o i li percepiamo col mezzo di più atti mentali ». Questa confusione
sembra al nostro filosofo tanto più ine scusabile nel Galluppi,quanto più
questi si era chiarito con trario alla tesi della sensazione trasformata .
«Potrebbemaicredersi,eidice,chementre egli(ilGalluppi) combatte avivamente il
principio sensualista, giudicare è sentire, abbia poi ritenuto, che il sentire
è una speci e del pensare? G. scorge manifesti gl'inconvenienti della spie
gazione galluppiana , e li addita così . «Quandosiammette, chele realtà
esteriorisono danoi sentite,e che poi l'analisi,distinguendo isentimenti che da
prima erano confusi,cidàleidee,non sipuòsfuggirealla conseguenza,che dette idee
non sono altro che sentimenti distinti;poichè l'analisi non ha cangiato la loro
natura primitiva; onde tutto il capitale della esperienza esterna è costituito
da ciò che sisente,e da que'rapporti,che il nostro spirito ha in pura sua
seduta,ma che non sono nelle cose. Si fatte conseguenze vengono poi confermate
ed ampliate con essersidetto,che lacoscienzaèlasensibilità interna, cioè All'acume di G. non isfuggi la
conseguenza,che avrebbe portato il principio galluppiano. Se la realtà este
rioreècoltaimmediatamente, dunque ilsentire è lostesso che il percepire ; è lo
stesso , che il pensare . Galluppi sen'e ra aperto con molta chiarezza: la
sensazione,per lui,suppo ne l'oggetto sentito,come ilpensare suppone l'oggetto
pen sato.Ilsentire era dunque una specie del pensare :sentire e pensare non
erano più due fenomeni primitivi, ed irredu cibili,come G. sostiene. la conoscenza de'fatti interni è
sensibilità. Vedesi quindi che con questi principî ilsentire non fu distinto
dal pen sare ». Gli estremi , tra cui si studia di librarsi G., son questi
due:da una parte quello che raccorcia la portata del la coscienza;dall'altra
quello che la dilata oltre il convene vole.Chi dice:lacoscienzanon
coglielanostraesistenza,e chidice: lacoscienzasiestende alla realtà esterna,
dice u gualmente cosa inesatta ;per difetto, la prima osservazione; per
eccesso,la seconda. IlGalluppi ammetteundoppio immediato,ilme edilnon me; G.
neammetteuno, ilmesolo: dondeproviene siffatto divario ? Eccolo ,con le parole
stesse di G., le quali compendiano e chiariscono la dottrina galluppiana. « Il
dir che partendo dalle nostre modificazioni sensibili, noi veniam per via di
giudizî acquistando la conoscenza del mondo esteriore, val quanto il dir che lo
spirito umano coni suo i propri i elementi compone il mondo . La filosofia
sperimentale di Francia su questo punto va a coincidere con l'I dealismo di
Kant. E perchè? Perchè Galluppi non si
affidava ai giudizî per coglierelarealtà;perchèigiudizî,secondo lui,erano pure
vedute dello spirito; di modo ché, se il mondo non ci fosse a p parso dal bel
principio così,come oggi lo apprendiamo , quel lo costruito di poi sarebbe
stato una mera relazione del n o stro spirito,a cui nulla sarebbe corrisposto
di reale nella natura.Diffidente della sincerità de'nostri mezzi di conoscere,
Galluppi quindiappigliossialpartito delReid,edam mise l'immediatezza della
sensazione,confondendola con la percezione esterna. 51 « Si è quindi detto, osserva G., che nel
fatto io sento non è contenuto il proprio essere, e si è terminato d'altra
parte con dire che nel fatto io sento si contiene l'essere straniero,ilnonio».
G. ritienelasinceritàdelgiudizio,ritieneirap porti come reali,e quindi non alla
sensazione,ma ad un pro cessospontaneodell'intelletto,edalconcorso digiudizîdi
venuti abituali ed indiscernibili attribuisce le idee de'corpi, quali nello
stato presente le troviamo nella nostra coscienza . Esclusa da G.
l'immediatezza della sensazione, non per questo ei mena buoni que'sillogismi,
iquali si cre devano più spedito passaggio dalle nostre sensazioni alm o n do
esterno. G. nota che il modello di questi ragionamenti ri sale fino al nostro
CAMPANELLA, il quale lo formolò così: Sia monoichemutiamo: dunquesentiamosolonoistessi,
enon giàlecose.Noisentiamo lecoseesterne,soloperchécisen
tiamomutare,manonsiamonoichecimutiamo;dunqueal tracosacimuta. Questo sillogismo
, che , variamente rimaneggiato , è rimasto in sostanza il gran ponte di
passaggio dal mondo interno all'esterno,nonèparsoabbastanzaconcludentealnostro
fi losofo.Le lacune,ch'egliviha scorte,non sipossono logi camente
colmare.Anzitutto :chi vi dice che ilprincipio di ogni nostra mutazione sia la
volontà ? L'associazione delle nostre idee talvolta non è volontaria, ed
intanto è mutazio nenostra. Epoi, poniamo che la mutazione vi additi alcunchè
di esterno, chi vi garantisce che il principio esterno sia un corpo ? A
taliobbiezioninonc'èdareplicare:ilsillogismoèim potente a discoprire un fatto
:esso è utile soltanto a disco prire verità di ragione. Tolta l'immediatezza
della sensazione,tolto il sillogismo, G. torna alle rappresentazioni , come
immagini delle cose esterne,ed alla induzione,la quale,travagliandosi su quelle
immagini,va legittimando la realtà delle immagini complesse,che l'associazione
ha spontaneamente ed abitual mente formate.Non sarà una dimostrazione
necessaria,ma nelle verità di fatto non
si dà mai l'assoluta impossibilità dell'opposto,e bisogna contentarsi della
certezza morale. L'associazione collega insieme le immagini visive e le tat
tili:igiudizîabituali colgonoirapportiqualirealmente e sistono ;noi adunque
venghiamo componendo lo spettacolo del mondo esterno non con vedute
subbiettive,ma con ele menti dati dalla realtà stessa dellecose. Questa è stata
pure la dottrina dell'Aquinate,e ditutta la filosofia ortodossa. Nell'ultima
opera pubblicata col titolo di Prospetto della filosofia ortodossa,ilnostro
filosofo sifaforte dell'autorità dell'Aquinate per tutte le parti fondamentali
della sua dot trina,salvoimiglioramentich'eicredediavervi arrecato, supplendo a
quelli ch'ei chiama desiderata della filosofia to mistica. G.
noneraabbastanzaversato nella filosofia aristotelica , da accorger s i che il
meglio d i quella, che ei battezzava per dottrina ortodossa,era mutuato da
Aristotele.Vediamo intanto quali principii ei ne accoglie,e ne te soreggia.
Primieramente G. avverte la differenza che AQUINO mette tra isensibili
proprî,ed icomuni;differenza, che noi sappiamo appartenere ad Aristotele. Con
molto acume l’Aquinate aveva avvertito di fatti che isensibili proprî sono
qualità,come odori,sapori,suoni,co lori,e simili;e che isensibili
comuni,invece,sono quanti tà o estensiva,o intensiva,o discreta,come
figure,distan ze,movimenti, successione :« sensibilia propria ... sunt
qualitates : sensibilia communia omnia reducuntur ad quantitatem. Finalmente
cita la sentenza che accenna alla formazione delleimmagini corporee,
echeattribuisce allospirito,enon Dipoi
ricorda la dottrina sui rapporti, che AQUINO ha riconosciuto come reali,
comeresnaturae, enongiàco me res rationis.
giàaicorpi. «Imaginem corporisnoncorpus inspiritu, sed ipse spiritus in
seipso facit. Alla quale ultima sentenza G. aggiunge questa avvertenza . E
l'avvertenza mira visibilmente a cansare l'equivoco del le forme soggettive,e
degli elementi a priori da lui con gran de perseveranza combattuti.Lo spirito
si compone egli le immagini de'corpi esterni, l'idea del corpo è un prodotto
della sintesi , contro alla opinione di Galluppi, m a in questo raccoglimento
non c'è mistura di elementi soggettivi :tutti idati sono
reali.Inquestosignificato,enonaltrimenti va intesalaproposizione dell'Aquinate,
che ad altri potrebbe parere intinta di kantismo, e che suona così :dat (anima)
eisformandisquiddam substantiaesuae. San Tommaso adunque aveva tracciato le
prime linee di quella filosofia sperimentale, di cui G. si dà per continuatore: i due filosofi cadono
d'accordo sui seguenti ri sultati : 1o che nel senso non v'è altro che il
cangiamento del senso;2ochele immagini de'corpi sivan componendo con elementi
nostri; 3ochenoigiudichiamo, essere icorpi simili a quelle immagini. Se non che
Tommaso s'era fermato qui. G. domanda inoltre:con quali operazioni si son for
mate quelle immagini ? Con qual criterio le giudichiamo si mili ai corpi
esterni ? E alla prima domanda ha risposto : le operazioni sono i giudizî
accoppiati alle sensazioni;l'associazione delle im magini visive con le
immagini tattili: giudizi ed associa zione che si uniscono spontaneamente ed
abitualmente. Alla seconda domanda poi ha risposto: la legittimazione « Quanto però AQUINO enuncia,non lascia dub
bio, che nella formazione delle immagini de'corpi esterni ha inteso non
mettersi in opra altri elementi,che que'del senso e della imaginazione». Quando , difatti, io applico ai fenomeni
della estensione le verità della geometria,e l'applicazione riesce,allora è
chia ro che alla esistenza de'corpi si aggiunge tutta la forza della
dimostrazione induttiva. Mal si è creduto che ogni nerbo di logica dimostrazione
consistesse soltanto nel sil logismo e nelle sue forme. Se l'estensione
corporea,dice G. ,è reale, la troverò costantemente conforme alle leggi
geometriche,ma se è un'illusione de'sensi,mi sipotrà presentare nelle vo lubili
forme in cuiapparisce ne'sogni.Nella ipotesi affer mativa v'è la necessità
assoluta di trovarsi avverate le ve ritàmatematiche,come
sihanell'esperienza:nellaipotesi negativa, l'evento che ne dà l'esperienza, è
uno degli in finiti eventi possibili. Questo cenno può far presentire, a qual
grado si eleva la pruova induttiva del Leibniz, riguar dandola dal solo lato
delle verità matematiche. Esposta in questi termini la mente del nostro
filosofo, proseguiamo a raffrontare le differenze conseguenti tra la sua
dottrina,e quella di Galluppi. Galluppi aveva pareggiata la sperienza interna
con l'e sterna,e quindi ammessa una doppia relazione colta imme diatamente,
quella tra sostanza e modificazione, e l'altra tra causaedeffetto. G.,
invece,distingueleidee pri - si fa non per la immediatezza della sensazione,e
neppure per sillogismo,ma per via d'induzione,secondo l'addita mento diLeibniz,
ediD'Alembert,idue filosofimatemati ci,mal trascurati dai filosofi posteriori.
Non è dimostrazione apodittica cotesta,certamente : an che un incontro fortuito
potrebbe essere causa di quella cor rispondenza che noi verifichiamo nella
sperienza tra i rap porti quantitativi ideali,eirapporti quantitativi reali dei
corpi;ma aqualestremo siassottiglia questa possibilitàdi un incontro fortuito,e
di quanta forza non s'ingagliardi sce l'ipotesi della realtà de'rapporti tra
corpo e corpo ! mitive dalle derivative
;chiama primitive quelle che sono ricavate dal fatto immediato della
coscienza,da lui circo scritto nelsoloiosento;echiamaderivativequelleche na
scono poi dalla sperienza esterna. « Si sono messe,ei dice,in una medesima
classe,tanto le idee primitive di numero, di sostanza,e di modificazione, di
affermazione e negazione,quanto le idee derivative di causa,diazione
mutua,delcontingente,delnecessario,del possibile;e non si sono mentovate le
idee derivative di spa zio,ditempo,per essersi supposto venirci date dallasen
sibilità senza previo lavoro dell'intelletto ». L'originale dell'idea di
sostanza è dunque ilnostro pro prio essere:delle modificazioni si dice impropriamente
che esistono:ciò ch'esiste è la sostanza.Però se un essere esi stente non
avesse punto di modi,ei non sarebbe nè in m o to,nèinquiete;nèpensante,nènon
pensante,ecisarebbe un mezzo tra l' esseree d il non essere ; il che è assurdo
. Cosi dice egli parlando delle forme kantiane,e l'appun to si può volgere pure
al Galluppi, che alla sostanza ed alla causa attribuì, come abbiamo visto, la
medesima origine. Per G. la coscienza è l'lo sento,e in questo fatto permanente
della propria esistenza lo spirito apprende la sostanza, come la modificazione
nelle sensazioni in cui si senteesistere.Ilmododiesisterenon sipuòdispiccaredal
laesistenza, e G. chiama una RIVOLUZIONE filosofica quella avvenuta in
occasione dello scetticismo di Hume , quando si cominciò ad affermare che nel
fatto di coscienza v'èilsolomodo diessere,enon giàl'essere. D'allorain poi si
cercò di supplire a questo difetto supposto per via di aggiunzioni provenienti
da altresorgenti:così ilRosmini suppose che al fatto di coscienza si dovesse aggiungere
l'i dea dell'essere.Pel De Grazia ilfatto della coscienza nella sua integrità
dà l'uno e l'altro; se non che a cogliere questo rapporto non è
attalasensazione, siveramente ilgiudizio.
Senza avere sperimentato il fatto del passaggio da una modificazione ad
un'altra,noi non avremmo potuto affer marlo : dopo la sperienza però,noi
essendo in un dato m o do pensiamo la tendenza di passare ad un altro; e
cotesta tendenza chiamiamo forza, la quale è dunque ciò che han no di costante
gli stati successivi della sostanza. Nella originedell'idea di causa noi
abbiamo bisogno di al tri dati. a Non siavverte,diceilnostro autore,chelacausa
che produce le sensazioni è quella che mette in esercizio la sen
sibilità;lacausa cheproduceipensierinon èlapotenzadi pensare,ma
èquellachemetteineserciziolapotenzadi pensare;la causa che produce ivoleri non
è la volontà,ma è quella che mette in esercizio la volontà ». Chi ricorda ora
che a queste tre classi di fenomeni ri duce
eglituttalanostraattivitàspirituale,vede chiaramen te
cheperluiselacoscienzaporgeil modellodellasostan za,non
èperòbastevoleaspiegarel'ideadicausa.Qui oc corrono più sostanze, di cui una
determina l'altra. Nella sostanza la mutazione sopravvenuta è determinata
dallostatoanteriore; nellacausaessamutazione èdeter minata e dallo stato
anteriore e dalla mutua azione. G. riassume la sua dottrina su queste due idee
capitali nel seguente modo . « La sostanza persiste nella suaimmutabile
naturaal can giar delle modificazioni. Nell'ordine naturale nè possono prodursi
nuove sostanze, nè leattualiannientarsi. I cangiamenti di una sostanza sono
cosi connessi tra lo ro,cheinogniistanteil suostatoèdeterminatodalsuosta to
antecedente,cioè nel corso de'suoi cangiamenti ha per
modificazionecostanteunatendenzaalcangiamentocheim mediato vaseguendo,
equestatendenzaèquelche noi conosciamo della forza interna di una sostanza.La
diversa na tura di queste forze ci viene manifestata dalla esperienza, cioè dai
diversi cangiamenti della sostanza.Così distinguia mo levarieforzeinternediuna
sostanza, elevarieforzein terne delle diverse sostanze ». « Una sostanza, che
trovasi in uno stato permanente non può da sè stessa,cioè per propria
forza,passare ad altro stato ». «Oltre la connessione
traicangiamentidiunastessaso stanza v'è anche una connessione tra i cangiamenti
di di verse sostanze,cioè una mutua azione tra le medesime. Tutti gli
avvenimenti dell'universo saranno necessarii, e l'azzardo non è che l'incontro
di avvenimenti non con nessi tra loro.Ma questo incontro medesimo è necessario,
in quanto son necessarie le serie de'cangiamenti anteriori, che han determinato
quegli stessi avvenimenti che s'incon trano ». Ecco la somma della sua
dottrina,la quale,intorno alla causalità specialmente, è la traduzione
filosofica delle leggi delmoto diNewton. Questeleggi,osservailDeGrazia,ed a
ragione, non sarebbero vere leggi degli esseri naturali,se fosse falsa
l'ipotesi della mutua azione. Locke intanto aveva negato l'idea di sostanza,
Hume la connessione richiesta dalla mutua azione nella causalita ; entrambi per
lo stesso motivo,che noi cioè non conoscia mo adeguatamente nè quella,nè
questa. Pare al nostro au torecheilragionamentodiHumesiriducaaquestoentime
ma:noinonabbiamoideaadeguata diazione;dunque non ne abhiamo punto. Le
ricerche,dalle quali Hume era stato indotto a questa conclusione ,la quale
troncava i nervi ad ogni attività scien tifica, si possono brevemente esporre
così.L'esperienza non dàconnessione,ma semplicecongiunzione:ilragionamento non
dà idee nuove :l'abitudine non cangia la natura della 58
prinda percezione,come una serie di zeri è impotente a co stituire una
quantità. Con lacoscienzacolghiamolemutazioninostre,elegiu dichiamo
appartenereallanostrasostanza:conl'astrazione noi
rendiamogeneralequestaconnessioneinterna.La spe rienza
esternadipoicimostrafattiincongiunzione,ma con tal costanza,che noi ci
avvezziamo a riferire un fenomeno alla presenza di un dato oggetto:noi
induciamo,che questa congiunzionesiaunaveradipendenza.Eperchè?«Unacontraria
supposizione, ei risponde, implica l'assurdo, che due sostanze con le stesse
modificazioni sono condizionate ad e sercitare una mutua azione in un tempo più
tosto che in altro;in un luogo più tosto che in altro luogo. In tal guisa tutte
quelle funzioni del pensiero,che isolate non sarebberostatebastevoliafornircilaconnessionecau
sale,intrecciateabilmente insieme bastano. IlKant,come sappiamo,dallepremesse
diHume,lasciate correre senza contrasto,inferi che dunque l'idea di causa è a
priori ; evitando con questa origine le scabrose ricerche de]l'analisi.Altri
aveva inferito,che ilprincipio di causali tà sia,nongiàsinteticoapriori,ma
analiticoadirittura, come trainostriilGalluppiedilRosmini:ilnostroDeGra zia
riconosce che nella idea dell'avvenimento non è racchiu s a l'idea della sua
causa ; dà ragione alla filosofia critica di averlo sostenuto per sintetico;ma
crede di coglierla poi in flagrante contraddizione nel valore che Kant attribuì
a tal principio. Giovaesaminare quest'ultimo aspetto della questione. G.
replicò:altroèil non avere una ideaadegua
ta,ilnonconoscereilcomedell'azione;edaltroilnon a verne la menoma idea.Vero è
inoltre,che nè la sperienza, nè il sillogismo,nè l'abitudine bastano da soli,ma
intrecciati insieme forsebasteranno: epoisièlasciatafuordiconto l'in
duzione,laquale èdiunaiutoinestimabile.Ed eccocome. Kant aveva attribuito al principio di
causalità un'origine apriori,epoiavevaattribuitoallostessounvalore oggettivo:
G. interpet r a oggettivo nel senso della filosofia sperimentale,ed
affibbiaalKant una contraddizione,che proviene da una poco esatta cognizione
della Critica della Ragion pura. Da una partesiammette,cheinostriconcettieigiu
dizî sintetici a priori hanno un valore oggettivo nella natura ... Dall'altra
parte si sostiene che la causalità non è legge degli esseri, ma legge de'lor
cangiamenti sommessi alla nostra esperienza ». Per Kant l'oggettivo non era
punto nella natura , m a era semplicemente ciò che si trovava in ogni
coscienza,non co me questa o quella coscienza empirica ed individuale,ma in
ogni coscienza umana in universale,in ogni coscienza uma na come tale. Onde
Kuno Fischer esponendo questa significazione della parola oggettivo nel sistema
kantiano scrive appunto cosi. Nun heisst «verknüpft sein in reinen Bewusstsein
soviel als obiectiv verknüpft sein. Ma di tali inesattezze fu causa non la poca
penetrazione dellamente, sil'averluiignorato lalingua tedesca;ilche lo
costrinse a servirsi di poco sicure traduzioni. Nell'esame del modo, come G.
spieg a l'origine dell'idea disostanza,equella dicausa,noi abbiamo indi cato
tutto quanto il suo processo analitico nella genealo gia del pensiero,perchè la
prima idea è primitiva, la se conda derivativa. Pure di altre principali
toccheremo un cenno per chiarezza maggiore,ma prima alleghiamo testual mente la
formola del suo metodo. « Pura osservazione di fatto nelle idee primitive;pura
os servazione di concetti astratti nelle idee derivative ;ecco i due cardini
del presente Saggio. La natura oggettiva delle idee di rapporto , e i giudizî
parte integrante di alcune idee sono ledue vedute primordialinella
quistionedellaorigine e realtà delle nostre conoscenze. Con questo criterio ora
ilnostro filosofo si fa ad esami nare ilfatto, ediquivi pervia diastrazione,
ossiapervia del giudizio,attinge ogni nostra idea. Percepire ilpossibilevalgiudicare
ciò ch'è possibile, come percepireilnecessario valgiudicareciòch'èneces
s-ario,e percepire ilgeneraleval giudicare ciò ch'è gene r ale. È una falsa
opinione il credere che la necessità,la pos sibilità,launiversalità,come
altresì laidentità,ladiversi t à non siano contenute tutte quante nella realtà
che ci sta davanti : il giudizio non aggiunge nulla di suo, esso è un puro
mezzo di osservazione, e nulla più. Il nostro spirito ha la virtù di apprendere
l'identità e la diversità,con cuisioffronoleidee alla nostra percezio
ne:eccoquanto devesi solamentedire dal filosofo». L'infinito non è pel nostro
autore,se non la quantità in finita, e la origine di questa idea è anch'essa
dovuta alla e sperienza. « Partendo dal principio,che ilpositivo dee precedere
il negativo nell'ordine genealogico, abbiamo conchiuso,la quantità che ha
limiti dover precedere la quantità che non ha limiti;ilfinito dover precedere
l'infinito;ilsiavanti al no.L'equivoco ènelcredere,che una quantitàinfinita non
ènegativa. Che sesiosserva,laquantitàinfinitacomprendere in se tutte le finite,
è da osservare altresì ch'essa le comprende non come negazione,ma come
quantità:lanegazione siri ferisce al limite. Tra quelli che AQUINO chiamava
sensibili comuni c'erano l'estensione e lasuccessione,rapporti quantitati
vi,mentre isensibiliproprîeranoqualità. Oralavorando Piùcomplicata è la genesi delle idee di
spazio e di tempo. sopra questi due
dati,vale a dire considerando come as soluta la posizione de'punti nella
estensione,e degl'istanti nella successione, si ha nel primo caso lo spazio,
nel se condo iltempo. « La pura estensione non è tutta intera l'idea dello s p
a zio :in questo v'è dippiù il valore assoluto de'suoi punti . L'idea di
successione non è tutta intera l'idea del tempo : in questo v'è dippiù il
valore assoluto de'suoi istanti. Che cosa vuol dire questo valore assoluto ?
Ecco:l'estensione consiste nella postura de'punti;e c o testa postura è di sua
natura relativa. Se ora la postura non si riferisce ad alcuni punti soltanto,ma
a tutt'i punti assegnabili, siavrànonpiùunadataestensione, ma lo spa
zio.Cosidicasideltempoperrispettoallasuccessione. C'è successione,se un
istantesiriferisce ad un istante dato : c'è tempo se la relazione si allarga a
tutti gl'istanti a s s e gnabili. Dimodochè lo spazio siha negando illimite
della esten sione finita ; il tempo negando il limite della successione finita.
Ma l'estensione e la successione,si domanderà, donde provvengono? G., che li
chiama sensibilicomuni, ritenendo la nomenclatura tomistica nel Prospetto della
filosofia o r t o dossa, nel Saggio ne attribuisce l'origine non alla sensibi
lità, ma all'intelletto.Egli anzi combatte la dottrina kantiana delle forme
pure della sensibilità,osservando che non si può dare estensione e successione
senza apprendere del le sensazioni come moltiplici,e quindi come diverse, o
meidentiche; sicchènumero,diversità, identitàsono con dizioni dell'apprensione
di questi due nuovi rapporti, che si dicono estensione e successione.Kant che
le attribuiva alla sensibilità non si accorgeva del concorso indispensa bile
dell'intelletto che vi si richiedeva ;ed anzi si contrad CO
diceva ammettendo, che la materia sensibile prende un pri mo
ordinenelleformepuredellasensibilità,echeperesse forme la varietà e la moltiplicità
della rappresentazione ac quista un certo ordine. Questa contraddizione era
stata avvertita dal Borrelli pri ma delGrazia, e forse questi l'hamutuata
dall'autore della Genealogia del pensiero. Kant, aveva dettoilBorrelli,tie ne
percategorie dell'intellettoladiversitàelamoltiplicità: e d intanto ammette una
varietà ed una moltitudine anche nella sensibilità: come va ciò ? Nè Borrelli,
né G. s'accorsero però che il divario tra categoria, ed intuizione pura
consiste non già nel supporre entrambe una moltiplicità;ma nel diverso m o do
dellegamecategorico,edintuitivo. Ma è tempo omai di giudicare nel suo insieme
il tentati v o del nostro filosofo. Propostosi discoprire
lelacunedellafilosofiadelGallup pi principalmente,e di additare i costui
sviamenti dal m e todo sperimentale, egli si studia di evitare ogni spiegazio n
e ,la quale non si desumesse dal fatto reale.La ragione c'è nonperprodurre,
maperosservare:ilpiùchepossafa re èdiastrarre.Per questa disposizione d'animo
gliando a sanguelafilosofia dell'Aquinate, che,foggiatasul'ari stotelica, gli
parve battesse la stessa via.Ripetendo l'an tico
adagioaristotelicocheilpensareèofantasia,onon senza fantasia, l'Aquinate
procede difatti di astrazione in astrazione,ma
senzadispiccarsimaidalfattosensibile.Che cosa èilfantasma? Similitudine
dellacosa particolare:Si militudo reiparticularis.
Checosaèl'attodell'intendere? È laspecieintelligibile,speciesintelligibilis,chesitorna
ad astrarre dalfantasma:un'astrazione adoppiogrado.E che
cosavuoldireilluminareifantasmi,equelfamoso lu me divino,
sulqualetantoavevadisputato SERBATI, seera Dio stesso,ounsuoriflesso?Per G.
nonèaltro,se non l'effetto della
attenzione, che vi si presta. Il giudicare era a lui un fatto irreducibile,da
non confondere con la sensazione, ma insiem e era un puro mezzo di osservazione
. Osservare adunque è la parola che compendia tutta la sua filosofia . Per
questo verso la filosofia di G. è più
moderna di quella di Galluppi, e rasenta assai da presso il Positivis mo
contemporaneo,cheinqueltorno sistavaconcependo. Il Corso di filosofia positiva
dettato da Comte fu pubblicato in Francia. G. avrebbe potuto averne notizia,
matuttoinduce acredere,ch'ei non l'abbiaavuta.L'educazioneprimadellasuamente,
che al pari di quella del Comte era stata avvezza alle scien zeesatte,
elapocapropensione per lespiegazioni trascen dentali poteronlo però sospingere
per la medesima via. G. al pari de'positivisti dichiara sconosciute le essenze
delle cose, limitata ad una mera riduzione di feno meni tutta la nostra scienza:crede
anche lui doversi appli care alla filosofia il metodo delle scienze esatte e
delle s p e rimentali,e da qui la grande importanza che attribuisce alla
induzione , la scarsa che attribuisce al sillogismo. Se non che all'osservazione immediata ei
seppe accoppia re l'induzione, ch'è l'osservazione mediata. Della induzione
ebbe un concetto preciso,nè lavolle ristretta al sempli ceradunamento de'fatti
osservati, ma ne estese la portata oltre ai limiti della sperienza.In questo
allargamento però essa non genera nell'animo quella evidenza, che scintilla
soltanto dalla osservazione immediata, o dalle verità di r a gione;ma una
certezza morale, la quale ammette la possibilità dell'opposto.Tutte
lescienzesperimentali debbono te nersi paghi di quello stato, ch'è pure tanto
discosto dal dubbio tormentoso lasciatoinereditàdạ Hume, ilqualedisco nobbe
l'efficacia della induzione. Ecco difatti alcune sentenze, le quali si
potrebbero cre dere imitate da Comte. Il
metodo è il ridurre i fenomeni particolari a'fenomeni generali, e questi ad
altri più generali fino ad arrestarsi a pochi fenomeni irreducibili ». « La
riduzione viene operata a lume delle verità neces sarie da un lato,e dalle
accurate osservazioni dall'altro la to.E un fenomeno generale che resiste agli
incessanti rigo rosi tentativi di riduzione,non è perciò dichiarato assolu
tamente irreducibile alle note forze primarie delle sostanze corporee,note però
negli effetti, e per noi sempre ignote nella loro essenza. I nostri mezzi sono
impotenti a scovrir la natura degli ésseri.Tutto quel che può scovrire la
nostra ragione nella scienza della natura è riposto nel classificare i fatti
speri mentali con andarrisalendo da’fattiindividualia'generali, e da questi
a'più generali fino a raggiungere ifatti primiti vi, ov'èforzal'arrestarsi». Ma
allatoaquestesomiglianzetroviamonel G. dei tratti, che lo differenziano dal
fondatore del Positivismo; ne addito due come principali. Comte trascura
affatto il problema della conoscenza , ed invece questo problema rimane per G.
ilprimo ed il capitale. Comte attribuisce alla metafisica un valore storico
soltanto, G. è per sua soche la metafisica possa rimanere accanto alla scienza
sperimentale.Così,sebbene dichia ri
inconoscibilel'essenzadell'anima,enotasolalasuama nifestazione nel pensiero,non
esita poi di affermare che la metafisica ne ha stabilito la spiritualità,
l'immortalità, la vita futura. Questa oscillazione fra le esigenze del suo
metodo e le tra dizioni di quella ch'ei chiama filosofia ortodossa fa sì che in
lui sipuòravvisareorauntomista,edora un positivista, secondo i casi.Se non che
il tomismo stesso a lui or balena 9 va
come riflesso dalla filosofia aristotelica,or come lume r a g giante
dallarivelazionedivina; edellaortodossia del cre dente si faceva schermo a
nascondere gli ardimenti del filosofo .
Noiignoriamoqualiaccuseglifuronomosse,equalirim proveri fatti :certo apparisce
da alcuni luoghi dei suoi li bri che qualcosa di simile ci debba essere stato :
eccone u n o per esempio. Ci crediamo abbastanza fortunati di aver veduto
protrattii nostri giorni, fino all'istantedirassicurarciche il nostro
comunquedebole lavoroerasottolaguarentigiadel l'Aquinate, contro le avventate
odiose imputazioni. Ed altrove dice esplicitamente ch'ei ricorre all'autorità
di AQUINO (si veda) periscagionarsidellatacciad'incredulita. Lo studio di
Aquino, e d il Prospetto della filosofia ortodossa che ne fu ilrisultato,ebbero
adunque per fine ladifesa della propria dottrina. Meglio forse avrebbe fatto a
dispregiare ilvano cicaleccio delvolgo,che di ogni ri cercafilosofica
s'adombraes'insospettisce; ma l'indoledel nostro filosofo era dimessa e
circospetta, e preferi di ripa rarsi sotto l'egida di un dottore di santa
Chiesa; come se u n altrettalespedientefossegiovato a SERBATI (si veda) e da
GIOBERTI (si veda). Senza il bisogno di questa apologia della sua dottrina a
vrebbe potuto por mano a quella Filosofia del pensiero, a cui
accenna;imperciocchè,contutt'iseivolumidaluimessi a stampa,ilsuo sistema rimane
appena delineato nel prin cipioenelmetodo;nèdelleapplicazioni alla Estetica,oal
l'Etica si trova più di un semplice accenno: la Logica stessa non vi è di stesa
pienamente, sebbene tutto i'l Saggio non s i occupi di altro che di Logica.
Stando ai brevi accenni noi sappiamo che le parti della filosofia per lui
sarebbero state la logica,l'etica, l'estetica, perchè itre fenomeni
irreducibili del pensiero sono ilgiudi care,ilvolere,ilsentire. Ilsillogismo
ègiudizio pure; ma 66 un giudizio fondato sopra idee astratte,
mentre il giudizio primitivo è la osservazione immediata della realtà concreta.
Il sillogismo è applicabile alle sole verità di ragione. La prova induttivá si
adopera a slargare la cerchia della sperienza immediata :essa però presuppone
la realtà delle idee di numero,identità, diversità, sostanza,modificazione,
necessità,possibilità.Queste idee non si possono ricavare per induzione,
altrimenti ci sarebbe un circolo:sono ricava te per astrazione dalla
osservazione immediata fatta per m ezzo del giudizio. L'associazione è la
sorgente spontanea,ma illegittima del le nostre idee: l'induzione dipoi
legittima, confermandole , quelle relazioni,che l'associazione delleidee aveva
per ipo tesi anticipato. Ecco adunque delineato il compito della logica:
analisi d e l senso comune, e giustificazione delle credenze spontanee che
quello contiene. E dell'Etica ? Solo per intramessa sappiamo,ch'egli,a
differenza di Elvezio , il quale dà per originario il solo desiderio del
proprio utile, ammette appetiti disinteressati originalmente, non credendo che
l'abitudine potrebbe andare fino al punto di snatu rare
laqualitàstessadeldesiderio.Orsenoiabbiamo nella coscienza attuale de motivi
disinteressati, è necessità che questi motivi si fondino sopra appetiti
primitivameute tali. Anchequiadunqueavrebbe G.
adottatolostesso procedimento della conoscenza :lo spirito avrebbe
legittima to con la ragione ciò che la natura spontaneamente avesse in Prima la mente crede, perchè non ragiona
ancora; poi crede, perché la ragione ha legittimato la sua credenza. Fin chè il
dubbio non l'assale,l a mente riposa sicura sui nessi stretti spontaneamente
dalla associazione naturale delle sue idee: quando il dubbio sottentra, la
induzione ne la libera, giustificando la spontanea credenza. origine operato. Se non che, egli seneri
mette a quella filosofia del pensiero, che poio non scrive, o non arria sino a
noi. Meno preciso è il disegno, del qua l e si sarebbe dovuto toccare
dell’estetica. Noi sappiamo solo, che il bello è per lui l'oggetto della percezione, quando ci riesce piacevole il contemplarlo.
Ma, oltre a questo effetto prodotto dalla bellezza nello spirito contemplatore,
in vano si cercherebbero altri schiarimenti. Nei voluminosi saggi che scrive
avrebbe G. po tuto colorire intero il disegno della sua filosofia, se non si
fosse allargato troppo in polemiche ed in apologie, soventi superflue, e se
avesse usato maggior parsimonia nello stile, ch'è diffuso, stemperato, e
ridondante d'interminabili ripetizioni. I suoi saggi si sarebbero potuti
restringere in un solo, o in un paio al più, senza nessun danno per le idee che
vi esprime; e forse con questo guadagno dippiù, di aver potuto trovare maggior
numero di lettori. Dobbiamo in questa occasione ricordare, che il sensualismo è
la dottrina favorita degl’italiani, pria di comparire il Saggio su la critica
della conoscenza, che in parte con la forza del ragionamento, einparte con
quella autorità che il nostro GALLUPPI (si veda) venne mano mano acquistando
pel valore della sua opera, egli riuscì a sradicare l'errore dalle menti, ed
avviarle a'sani principi della morale e della religione. Quindi le sue
istituzioni di filosofia, del tutto conformi ai suoi principi del saggio,
furono adottate per quasi tutte le scuole d'insegnamento in Italia. Un tal
positivo giovamento recato alla [G.
combatté la filosofia di GALLUPPI (si veda), finché que sti vive e professa a
Napoli: la combattè perchè la credette sbagliata e perniziosa. Morto che e il
suo grande avversario, ei, pur rimanendo saldo nella sua sentenza, scrive di
lui queste parole sua patria è la gloria maggiore cui aspirar mai si possa da
un filosofo. Così G. giudica Galluppi
morto nel Prospetto di filosofia ortodossa. Ed il giudizio ci rivela il
carattere integro, leale, generoso di chi lo porta. Combattendo le dottrine di
un avversario, ei rispetta, ei loda le intenzioni ; ei non disconosce l'utilità
che aveva arrecato al suo paese. Talvolta anzi ei par che non agogni, che non
cerchi altra gloria che quella conseguita dal suo valoroso avversario: dispera
quasi di conseguirla vivo, pur se l'augura dopo morto, non tanto per sè, quanto
a pro della sua patria. Ese non può goderne chi l'ha meritata, pur questa tar
da gloria si riflette sula sua patria, serve disprone a’ suoi concittadini
sopra tutto, nella faticosa carriera filosofica, e riesce di nobile compiacenza
per tutti gli spiriti fatti per a m mirare, per amar la virtù. Chi scrive
queste magnanime parole ha certamente un cuore non minore della mente, e la
tarda gloria da lui invocata è un tributo ben meritato da chi non stimolato da
bisogno, non allettato da premio, passa la vita, non fragliagi ereditati, ma
nella faticosa palestra dello studio filosofico, dove s'invecchia e si muore
anzi tempo, ma dove si ha al meno il dritto di credere che, morendo, non si
muore del tutto.Vincenzo Di Grazia. Grazia. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Grazia” – The Swimming-Pool Library.
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