levi: filosofo italiano - Italian philosopher of
Jewish descent. Author
of “Storia della filosofia romana.”
giornale
critico della filosofia italiana.
Giovanni
d. “Positivismo italiano.”
Luigi
Speranza -- Grice e Cattaneo: essential Italian philosopher. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Cattaneo," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice
e Carace – Roma – filosofia
italiana – Claudio Carace – Charax – Much admired by Antonino.
Luigi Speranza -- Grice e Carchia: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ars amandi – signi
d’amore – erotico del bello – comunicazione degl’amanti primitive – scuola di
Torino – filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia romana – filosofia
italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo
torinese. Filosfo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I
once joked that if I’m introduce dto Mr. Poodle as ‘our man in eighteenth
century aesthetics, the implictum is that he ain’t good at it! Not with
Carchia: because (a) Carchia is a serious philosopher (b) he conceives
aesthetics alla Baumagarten, having to do with communication (“nome e immagine”, “interpretazione ed
emancipazione”) and with not just the aesthetis qua sensus – but its truth
value (“immagine e verita,” “l’intelligible estetico”) – a genius! On topc, my
favourite piece of his philosophising is on the torso del belvedere as
representing the ‘rhetoric of the sublime’!” Si laurea a Torino
sotto Vattimo con la dissertazione “Il Linguaggio”. Insegna a Viterbo e Roma. Studioso
di filosofia antica, traduttore. Opere: Orfismo e tragedia; Estetica ed
erotica; Dall'apparenza al mistero; La legittimazione dell'arte; Arte e
bellezza; L'estetica antica, ecc. Si è
anche occupato, di arte e comunicazione dei popoli 'primitivi' e di artisti
contemporanei quali Savinio, Sbarluzzi e Lanzardo. La casa editrice Quodlibet
raccoglie le sue opere postume. Rusce ad immaginare la filosofla, a porla in
immagini -- nel solco della filosofia italiana dall'Umanesimo a Vico. Minima
immoralia. Aforismi tralasciati nell'edizione italiana (Einaudi, 1954), Milano:
L'erba voglio); Comunità e comunicazione (Torino: Rosemberg et Sellier); prefazione
e cura di Henry Corbin, L'imâm nascosto, Milano: Celuc, 1979; Milano: SE); Orfismo
e tragedia. Il mito trasfigurato, Milano: Celuc); Estetica e antropologia. Arte
e comunicazione dei primitivi, Torino: Rosemberg et Sellier); Erotica. Saggio
sull'immaginazione, Milano: Celuc) L'intelligibile (Napoli: Guida);
Dall'apparenza al mistero. La nascita del romanzo, Milano: Celuc); Il mito in
pittura. La tradizione come critica, Milano: Celuc); cura di Arnold Gehlen,
Quadri d'epoca. Sociologia e estetica della pittura moderna, Napoli: Guida) Retorica
del sublime, Roma-Bari: Laterza); Il bello (Bologna: Il Mulino); Interpretazione
ed emancipazione. Torino: Dipartimento di ermeneutica); introduzione a Karl
Löwith, Scritti sul Giappone, Soveria Mannelli: Rubbettino); “La favola
dell'essere. Commento al Sofista” (Macerata: Quodlibet); Estetica, Roma-Bari:
Laterza); L'estetica antica, Roma-Bari:
Laterza); L'amore del pensiero, Macerata: Quodlibet); Nome e immagine (Benjamin,
Roma: Bulzoni); Immagine e verità. Studi sulla tradizione classica, Monica
Ferrando, prefazione di Sergio Givone, Roma: Edizioni di storia e letteratura,
Kant e la verità dell'apparenza, Gianluca Garelli, Torino: Ananke, introduzione a Walter Friedrich Otto, Il
poeta e gli antichi dèi, Rovereto: Zandonai. L’immaginazione come orizzonte
nomade della conoscenza. Produttività e trascendentalità dell’immaginazione
nella critica del giudizio. L’immaginazione senza immagini. La notte delle
immagini, il ricordo, la memoria. L’immaginazione come autotrasparire dell’apparenza
rappresentativa. Naturalismo simbolico e simbolica naturale. Angelologia.
Alighieri: spiritus phantasticus e alta fantasia. Gemellarità dell’immaginazione
gnostica. L’immaginazione speculativa. Simbolismo e imagismo. Il fantastico
come ideologia. Il romantico. L’immaginazione come dimora del padre. Demone e
allegoria. La forza del nome. Icona e coscienza sofianica. Mistica. Mimesi e
metessi. La nuova accademia: l’estetico. Paradigma, schema, immagine. OVIDIO
(vedasi). Arte amatoria. Chi peregrin nell’amorosa scuola Entra, me
legga, se vuol esser dotto. Non usansi senz’arte e vele e remi; Non
senz’arte guidar si puote il cocchio; Non senz' arte si può reggere
Amore. Ben sapeva condurre Automedonte Co’ focosi, destrieri il caiiro, e
Tifi r Sedea maestro \sair emonia poppa. Ne’ mister} d’ Àmot me fece
esjperto Venere bella, e ben dirmi poss’ io D’Aniore un altro Tifi e
Automedonte. Ch^ ei sia crude!, noi niego » e spesse volte Contro me
stesso si rivolta; pure Egli è fiinciullo, e l’immatuTa' etàde Atta
si rende al fren. Docile e mite Rese Chiron l’ impetuoso^ Achilie
Automédonte, figlio di Dioreo,fu il Cocchierò d*lAchille, Tifi condusse
gli Argonauti in Coleo sul- la nave Argo, che qui dicesi emonia, perchè
era su <mella Giasone figlio del Re di Tessaglia, e perchè la
Tessaglia si chiamala Emonia dal monte Emo. Chirone figliuol di Fillira fu
il Precettore d’A’^ chille^il qual nen chiamato ^acides fia Eaep suo
Avo, Col dolde suon della canora cetra^ Ed ei, che fu il
terrore e lo spavento De^suoi compagni spessore de’nemici. Dicesi
che temesse il vecchio annoso; E quelle mani, che dovean un
giorno Gettare a terra il forte Ettor, porgea, Quando Chirone le
chiedea,alla sferza. Ei fu d’ Achille, io son d’ Amor maestro; L’uno
e 1^ altro è fanoiul feroce, e traggo L’ un e r altro da Diva i suoi
natali Come r aratro il toro, e come il freno Doma il cavai focoso
; io cosi Amore Render placido voglio ancor che il petto Con r arco
mi ferisca, e con la face Tutte ro’ abbruci le midolle e T
ossa. Quanto più Amore hammi ferito ed arso. Tanto più voglio
vendicarmi . Apollo, Non io, ché mentirei, dirò che appresi
< Da tl» quest’ arte, o che fui reso dotto Dal canto degli
.augelli A me non Clio, Né le Sorelle sue, come al Pastore Della
valle d’ Ascrea, compatver mai ; Me un lung’ uso feMstrutto ; e fè
pròstate Air esperto Poeta . <Ió cose vere Canto:Madre d*
Amor.^, siimi propizia. Gite lungi j o Vestali., e voi Matrone, Che
i piè celaté sotto lunga veste. J3Ì Achilie uccise Ettore al assedio di
Troja Achille nacque dalla Dea Tetide, Amore dalla Dea Venere,
a Mentre Esiodo, cugino e quasi contemporaneo nero, pascolava in
Elicona le pecore di suo pa* dre ^ fu dalle Muse condotto al fonte
Ippocrene, e Col hefer 4i quell* acqua divenne Poeta, Come seguir
sensa periglio Amore Si possa, eA i concessi furti io canto; Nullo
i miei carmi chiuderan delitto. Tu, che novel nell’ amorosa
schiera Entri soldato, le tue cure volgi Prima a trovar de’ voti
tuoi 1’ oggetto. Indi a farlo per te amoroso, e infine Onde lunga
stagìon 1’ amor si serbi. È questo il modo, è questo il campo, in
cui Scorrere il nostro cocchio debbo ; è questa Del corso nostro la
prescritta meta. Or che il tempo è propizio, or che si puote
Andare a briglia sciolta, una ne scegli, Cui dir tu possa ; a me tu sola
piaci. Questa dal Ciel non già pensar che scenda. Ma qui trovar la
dei con gli occhi tuoi. Onde tender le reti al cervo debba.
Sa bene il caccìator, e non ignora La valle, ove il cignal
s’asconde: i rami L’ UGcellator conosce, onde si gettano 61
’incauti augelli, e al pescator son note L’acque, che maggior copia hanno
di pesci. Tu, che d^on lungo amor cerchi materia. Impara i luoghi,
ove frequenti veggonsi Le vezzose donzelle . Io non ti dico,
Che dar le vele ti fia duopo al vento. Né córrer lunga e
faticosa strada. Perseo dall’Indie ne condusse Andromeda, E
.Paride rapì di Grecia Eléna. Ma in Roma, in Roma ritrovar potrai
Fanciulle, che in beltà portino il vanto Più che del Mondo in altra parte
. Come Gargaro, Castello sul monte Ida era celebre V abbondanza
delle sue biade, e Metinna, Città nek» V Isola di Lesbo, per V
abbondanza d^ suoi vini. La gargara contrada abbonda in biade»
In uve la metinnia » in pesci U mare» In augei il bosco s e
còme nell* Olimpo Splendono stelle; così in Roma ammiransi Amabili
Fanciulle: qui sua sede Pose del grand’ Enea la bella Madre. Se a
nascente beltà ti porta il genio» Tenera donzelletta eccoti
innante; Se già formata giovine desideri» Mille ti
piaceranno » e fian costretti A rimaner sospesi i voti tuoi;
Che se a te figlia più matura e saggia Piaccia » ne avrai, mel
credi, un folto stuolo. De’ portici pompeii all’ ombra i lenti Pàssi
rivolgi, allor che Febo i campi Dall’erculeo Leon saetta ed arde,
O a quel che adorno de’ più scelti marmi Da lontani paesi a noi
venuti, LaMadre aggiunseindonoa’don delFigHo.(8) Nè quello
lascerai » ohe tragge il nome Da Livia, ornato delle pinte tele De’Pittori
più celebri ed antichi; Uno de'piU dtliziosi Portici di Roma ora
cer^ tornente ^uet di Pompeo . Giaceva questo in vicinanza dtl suo
Veatro, « i Romani lo frequentavano moltis'^ simo in tempo d*
estate, OTTAVIANO (si veda) sotto il nome d’Ottavia fabbrica un
portico in vicinanza del Teatro da lui dedicato a Marcello figlio della
medesirrsa e però dice il Poeta,
che la Madre, cioè Ottavia, a^iunse il dono del portico al don
d^figlio, cioè al Teatro a lui innalzato d’OTTAVIANO, R questo il portico
che Livia moglie d* Augusto fabbricò nella Via sacra ; ne fa menzione
Svetonio, e vien riputato da Strabono uno d^più be’ monumenti di
Roma, Visiterai pnr anco i Inoghi, dove (io) In atto di far
strage de’ Consorti Effigiate son P empie Danàidi; E il lor
Padre crudel, che nudo tiene L’acciajo micidial nell’ empia destra;
Nè il Tempio oblia, u’ Venere la morte Plora del caro Adon, nò il
giorno Sabbato Sacro al culto giudeo • Sarà tua cura A’xneiifitìcì
templi esser presente Della liniger’ Iside ; seconda I voti questa
Dea delle fanciulle» Che desian donne diventar, coni’ essa Lo
fu di Giove ^ Fra i clamori alterni Del Foro strepitoso ( e chi mai
fede Prestar ci puote ? ) Amor rivolta trova Atto alle fiamme sue
pascolo ed esca. In quella parte ove s’innalza al cielo L’
onda d’Appio » che giace appiè del Tempio Di ricchi marmi adorno, a Vener
sacro Prigioniero d’ Amore è 1 ’ Avvocato, Il portico d’Apollo
palatino fabbricato da Au^ gusto in una parte della sua casa era adornato
di fiin^ ts immagini rappresentanti la strage^ che de*pro- prj
Mariti fecero le Danaidi per comando di Danna loro padre. Si
adorala Iside figlinola d*Inaco in Menfi Città d^Egitto, donde furono
trasportati in Roma i suoi sacrificj . Fu questa amata impudicamente
da Giove, il quale la cangiò per timor di Giunone in una Giovenca j
e poi la restitm agli Egiziani nella sua pri^ stina forma . B^la e i suoi
sacerdoti andavano coperti di lino e però si chiamava linigera. APPIO
– il primo filosofo romano -- Censore conduce V acqua nel Foro di Cesare;
e d’architettura d* Archelao fu ivi innalzato a Venere un Tempio, che per
somma fretta poi rimase imperfetto. Che attento alla difesa altrui,
se stesso Guardar non sa • Oh quante volte, oh quante In quel loco
gli manca la favella, E deir amor che V agita ripieno,
Non della caiìsa altrui, ma della propria S’occupa solo ! Dal
propinquo Tempio Ride la Dea di Pafo, e il difensore Trasformato
veder gode in cliente. Ma più che. altrove ne'curvi Teatri
Troverai da far paghi i voti tuoi: Ivi mille bellezze lusinghiere
Si oifrìranno al tuo sguardo, e tal potrai Per stabile passion scegliere,
e tale Onde Tore passare in gioco e in festa. Come frequente la
formica in schiera Vanne al granajo a far preda di cibo; E
come Papi in olezzante suolo Volan sul timo e sopra i fior ; le
culte Donne in tal modo in folto stuolo assistono Agli scenici ludi
* È cosi grande il numero di questo, cho sospeso Mille volte rimase
il mio giudizio. Non a’ Teatri per mirar, soltanto, Come per
far di lor superila mosffa Vanno non senza del pudor periglio.
Tu questi giochi strepitosi il primo, ROMOLO, instituisti; allor che
il ratto NeW anno del mondo 3a3i. fabbricò Romolo nei monte Palatino una
Città o sia Fortezza, che dal suo nome chiamò Roma. Per accrescere il
numero dei Cittadini ^ aprì un asilo fra il Palatino e il Campi*
doglio, in cui si ricevevano i Servi fuggitivi^, i De* hitori y i
Malefici . Siccome i Popoli confinanti, e per conseguenza i Sabini nor
volevano con tal gente col* Segui delle Sabine Ancor non marmi^
E non tappeti ornavano i Teatri, Nè il palco vago era per
piote tele; Ivi semplicemente allor far posti I
virgulti eie foglie, che recava II bosco palatino, e non si
vide Decorata la scena allor con V arte Sopra i sedili di
cespugli infesti Assistea il popol folto, uhe all’irsuta Chioma di
fronde sol cingea corona Col cupid’occhio ognuno intanto nota
Quella, che far desia sua preda, e molti Pensieri nel suo cor tacito
volge. Mentre d’agreste flauto il suono muove Grottesca
danza, ed il confuso plauso Ferisce il ciel, ecco che il Re dà
segno Onde alla preda sua ciascun sì volga. Rapido il proprio loco
ognuno lascia, Fanne co’ gridi il suo desio palese, E le
cupide mani addosso slancia Sulle Vergin d’insidie ignare, come
Fogge la timidissima Colomba Dall’ Aquila, e de’ Lupi il fiero
aspetto Agna novella ; di spavento piene Volean cosi le misere
Sabine De’ rapitori lor schivar gli amplessi; Ma da Ogni
patte senza legge inondano^ Ninna serba il color, che aveva
innante; ' ' a z lòcar U lor Donne, Romito gli ' inoitò
insieme con Ì 0 sorelle,'7e moglie e le figlie a unof spettacolo, che
fe^ce* ìebrare in onore del Dio Conso, ossia di Nettuno^ € comandò
d* suoi Romani che cigscun ri rapiste fr0 quelle femmine una
Consòrte. Tutte assale il timore ^ e in Tarj modi: Questa il petto
peroote^ il crin si straccia; Quella riman priva di sensi ; alcuna
Non {>er il duol fa proferir parola; Altra la cara madre appella
invano; Chi quale statua immobile rimane; Chi fugge, e chi
di grida il cielo assorda. Ma le rapite Oiovani condotte Son via,
qual preda geniale e cara. Dì pudico rossoj tinsero molte Le
delicate guance, e vìe più piacquero. Se troppa ripugnanza alcuna
mostra, £ seguir nega il suo compagno, questi La porta fra le
sue cupide braccia, E si le dice: a che d’amaro pianto Da
begli occhj tu versi un fiume? teco Sarò come alla Madre è il
Genitore. Romolo, fu il primiero a’tuoi soldati Vera recar felicità
sapesti; Se tal sorte goder potessi anch’io, > Io
pur non sdegnerei esser soldato. Però da quell’esempio anco a’dì
nostri Trovan le Belle ne’Teatri insidie.. D’esser presente
ognor cerca e procura ^ Alle corse de’rapidi destrieri. Di
gran popol capace il ;Circo augusto Molti a te rechei!à comodi ; d’ uopo
^ Onde spiegare i tuoi pensieri arcani Non avrai delle dita ;
nè co* cenni Intendere dovrai. Franco t’assidi, Che ninno il vieta, alla
tua donna accanto. Quanto più puòi t’accosta al di lei fiaheo\ lE
procura che il loco a.nzi ti sforzi A toccarla, quand’eUa ancor non !
voglia. Onde seco parlar cerca materia, E da’ discorsi
pubblici incomincia. Quando i cavalli appariranno, tosto Di
chi sieno richiedi, e quello, a cui Dirige i voti suoi, tu
favorisci; Macon frequente pompaallor che giungono Le statue
degli Dei, fa plauso a Venere Quale a tua Diva tutelar. Se mai Della tua
bella sulla veste cada Polve, la scoti con la mano, e fingi *
Scoterla quando pur netta si serbi; E sollecito ognor prandi
motivo Da leggiere cagion d’esserle grato. Se la sua veste
strascinasse, pronto Sii tosto a tòrla dalP immonda terra;
Per cosi tenui cure avrai in mercede, Ch^ ella poi soffrirà,
che le sue gambe Tu possa riguardar. Sia tuo pensiero, Che
quei, che sono assisì al vostro tergo, ^ ginocchi al di lei dosso,
Non le rechin molestia. I lievi ufBcj L^alme fiscili adescano: fu a
molti Util Fa ver con destra man composto Il coscino, agitar con
piccol foglio Il volubile vento, e saper porre Sotto tenero piè
concavo scanno. Farà la strada al nuovo amore il Circo,
Solevano I ROMANI portar per ih Circo le Statue degli Dei e degli Uomini sommi,
quando ivi davano lo spettacolo della corsa de^ Cavalli 0 d^ altri
giochi'. V* era fra aueste Statue ancor quella di Venere, cui vuole il Poeta
che si faccia un gran plauso* Si veda la seconda Elegia del Libro III,
degli amori scritti dgl modesimo Autore E la sparsa
nel foro infausta arena Ivi pugnò spesso il Fanciul di
Venere, £ chi andò per mirar altri piagato, Ferito pur
rimase. Ah quante volte Mentre un la lingua a ragionar discioglie^
HoWà. la mano, tiene il libro, e cerca II; vincitore del proposto
premio. Il .volatile strai senti nel seno, Gemè piagato,
e accrebbe pregio al gioco! fu bello il mirar quando con
pompa Solenne Cesare introdissse il primo (i 5 ) Non avvezze a
pugnar in finta guerra E le persiche navi e le cecropie! Da
questo e da quel mar vennero allora Giovani vaghi, amabili
donzelle, E la Città racchiuse immenso mondo. Fra tanta
turba di leggiadri oggetti Chi non tigvò da far paghi i suoi voti?
Oh quanti e quanti a forestiero laccio Porsero il piè! Ma Cesar
s’apparecchia (Cesare Augusto fece presso il Tevere rappre sentore una
battaglia navale detta Ncumachia. Intro^ dusse in questa a combattere le
flotte che Marc* An-^ ionio aveva raccolte contro di lui nell* Oriente ^e
le navi ateniesi denominate Cecropie da Gecrope primo Re d* Atene y
che seguirono il partito di M. Antonio^ Furono queste armate navali vinte
tutte da Azio, e servirono nella Neumachia d’un brillante
spettacelo a futta Roma. OTTAVIANO destinò una spedi^àon per V
Oriente contro Frante, e vi mandò il suo Nipote Cajo nato da
Agrippa e da Giulia. Marco Crasso e Publio suo figlio avidi delle
ricchezze de* Parti intrapresero contro i medesimi una guerra, in cui furono
poi essi miseramente trucidati con undici Legioni . Per far a
Cesare un encomio, dice ora il Poeta, che deve Cajo riportar vittoria di
que* popoli, e riacquistar la ^ne romane da loro tolte Crassi. Già il
restò a sog^ogar del Mondo inter#^ E già Taltiino Oriente è nostro
ancora. La pena avrai dovuta, o Parto audace, £ voi
godete, ombre deaerassi estinti, E con voi godan le romane
insegne Di barbarica destra a ragion schive. Ecco il vindice
vostro, ognun racclama Invitto Duce nelle schiere prime;
Giovin sostiene perigliose guerre Quasi invecchiato fra le stragi e
Parmi. Deh non vogliate, o timidi, il valore Dagli anni loro
argomentar de’Numi; E la virtù ne’Cesari preepee. Degli
anni Suoi più assai rapido sorge Celeste ingegno, e mal tollera
Ponte D’una pigra dimora. Era bambino Ercole allor che ì due serpenti
oppresse. Ed èra in fasce pur degno di Giove. O Bacco^otu che
ancor fanciullo sei, (18) Essendosi Giove innamorato perdutamente
d^Alc^ mena, si presentò a lei vestito delle sembianze d*An^
fitrione suo maritoy quando questi trovavasi alla guerra di Tehe.Da Giove e da
Alcména nacque Ercole, che fu allevato in Tirinta Città in Marea vicina
ad Argo, e però fu detto Tirinzto . Intenta per ciò la gelosa Giunone a
vendicarsi delP infedeltà di Giove, suscitò contro d* Ercole due serpenti
; ma egli li uccise valorosamente, benché fosse di tenera età,
Bacco armato, d^ una lung^ asta, e seguito da Ufi esercito d* Uomini e di
Donne, corse intrepido nel* VOriente,e soggiogò quVpaesi che allor
tutti,si comprendevano sotto il nome d* India . Essendo quelV asta così
acuta, che imitava la conica figurai del Pino, fu detta dagli antichi
Poeti il Tirso, giacché Thirza ià lingua ebraica nuW altro significa, se
non se un ramo di Pino^ •Intrecciavano le Baccanti sul tirso V uve
e i pampini cotk P edera p perché Bacco insegnò affli Qoanto fosti
mai grande allor che i tuoi Tirsi dovè temer l’India domata!'
E tu prode Garzon sotto gli auspiej (ly) Del Padre, Tarmi tratterai
vincendo. Sotto un nome sì chiaro aver tu dei I primi erudì menti,
e come il Prence (ao) uomini la maniera di coltivar la vite .
Alcuni Eruditi poi fChe ricercan la moralità nelle favole ^
pretendono che dipìngasi sempre giovine questo divino coltivator
della vigna ^perche gli uomini si rendon col vino in lor vecchiezza amorosi
e lascivi, come lo furono in gioventù,. Mons„ de Lavaur con molti altri,
i quali hanno^ attentamente 'considerato le imprese di Bacco e l*
etimologia stessa del Tirso, porta verisimilmente opinione y che sia
questa favola tratta in origine da que^libri della sacra Scrittura, che
parlano di Mosè. e di JVoè, Si rivolge il Poeta a Cajo,che
fu adottatò figlio da Cesare Augusto. Romolo dalle tre Tribù, nelle quali aveva
di^ stribaito il popolo romano y raccolse per ciascheduna
cento uomini, che fer nascita, per ricchezze, e per altri pregi ^^^no i
più riguardevoli. Furono questi chiamati Cavalieri y perchè trascélse
quésoli, che fesser meritevoli d* un Cavallo, su cui dovean combattere in
difesa di lui ; e si distribuirono in tre Ceti* turie, che conservando il
nome delle Tribù, dov*erano sfate raccolte, si chiamavano é/e^Rammensi da
Romolo, dei Tasienzi da Tazio Re dé Sabini, e dei Laceri Lucomone JRe d'Etruria,
che fu, come dicono., il fondatore della Città di Lueca . Da
Tarquinio Prisco, e da Servio Tullio vennero in seguito accresciati di
numero y senza mutar però il nome di Cen* iurte ; esercitarono poi varie
luminose incombenze ; e JU'denominato il loro ordine Senatus
Seminarium, perchè in esso scieglievansi i Senatori • i 5 . Lu*
Jglio facevano i Cavalieri ogni anno splendidamente in lor
rassegna, mentre dal Tempio dell’Onore, che era situato fuori della città,
andavano al campìdo* coronati d* ulivo, cinti d^ una purpurea veste
det- Or de’Giorani sei, sarai col tempo L’oroamento miglior
do'rccchj Padri. Vendica ofFesi i tuoi fratelli, e i dritti (ai)
Del Genitor sostieni: della Patria £ Padre 6 Dlfensor Parcne ti
cìnse; Ed or che l’inimico i regni invola, Cruccioso alla vendetta egli t’invita.
Scellerati di lor saran gli strali. Pietà e Giustizia i tuoi
vessilli, e Parrni Della causa miglior sostenitrici. ' ta
trabea, t assisi sopra i loro cavalli . 0 §ni cinque anni poi appena
giunti al Campidoglio, scendevano da Cavallo, e presolo per mano lo
guidavano avanti al Censore ivi assiso sopra una sedia curale ; ed
egli comandava di ritenere il Cavallo, se bene aveva il Cavaliero
adempiuto a suoi doveri ^e di venderlo, se aveva malamente eseguito le sue
incombenze. Leg^ geva il Censore in tale occasione il catalogo de^
Cavalieri yC si chiamava il Principe de* Giovani o della Gioventù quello
che era da lui nominato il primo ; e ciò non perchè fossero attualmente
tutti gióvani, ma perchè lo fàrono nella prima istituzione^ e perchè
Veta giovanile si estendeva pressò i Romani fino a quarantacinque
anni. Principe de’Senatori o del Senato ne*primi tempi della
Repubblica si chiamava quello che il primo tra*Sena- tori viventi era
stdto Censorey poi quel che dal Censore fosse stato nominato ili primo
nel leggere il catalogo d^ Senatori y e nell\ anno dalla fondazione
di Roma quel, che dal Censore era riputato degnissimo.
(al) Pompeo y domato il Re Tigrane y costrinse gli Armeni a
ricevere da* Romani in segno di servitù i Rettori. Si liberarono essi da
un tal giogo y ma Cajo li obbligò nuovamente a soffrirlo, e vendicò in
tal guisa i dritti d*Augusto y che dal Senato e dal Po^ polo romano
fu per mezzo di Valerio onorato del luminoso titolo di Padre della pAt<‘ia,
^ (^a) I Parti tentavano di farsi padroni delV Ar- mersia Ora
il mio Duce alle latine aggiunga L*eoe ricchezze. E voi j Cesare e
Marte, Entrambe Padri soccorrete il Figlio, Che in difesa di
Roma espon sua vita; Come già Marte^or tu, Cesar, sei nunie Ecco raugurio
mio; tu vìncerai; Sciorrò co’ carmi allora il voto ; degno*
Tu allor fatto sarai d’alto poema. Porrai le squadre in
ordinanza, e all’ armi Co’ versi miei 1 ’ esorterai: tenaci Di me
nel tuo pensiero i detti imprimi. 11 petto forte de’ Romani, il tergo
(24) Io canterò de’ Parti, e l’inimico Telo, che vibran dal
cavallo in fuga. Mentre tu fuggi, o Parto, e cosa al vinto, Oude
sia vincitor, tu lasci ? Il tuo .Marte recò finora infausto
augurio. Dunque quel dì verrà, Cesare, in cui Tu di natura la piò
amabìl opra Di lucìd’ oro adorno andrai tirato Da quattro^
candidissimi cavalli ? Or mal sicuri nella fuga i Regi
Partici andranno innanzi, il collo carco Dì pesante catena • Insiem
confusi Giovani lieti e tenere Donzelle, D* un’insòlita gioja
il cor ripieno, Mireran lo spettacolo gradito. "
Se una di quelle a te richiegga i nomi Di que’ Re, di que’ monti,
di que’ fiumi, (a3) Fu Cesare Augusto ascritto in aita fra i Dei,
$d ebbe perciò onori diHni. ’ (a4) Avevano i Parti in ' costume di
guerreggiar fuggendo, ed anzi si rendevano formidàbili, mentre
^ibravan le lor saette^ da wjt cavalle rivoltp in fuga. Di que* paesi 9 a
tatto ciò' rispóndi; £ non richiesto ancora il; tutto narra,
E le cose puf anco a te mal note. Cinto di canna il crin
l’Eufrate è questo, (aS) 11 Tigri è quel colla cerulea chioma.
Ecco gli Armeni^, e Perside che tragge (a6) Da Perseo il nome suo ;
nell’ achemenie Valli questa Città si giacque . Il nome Dirai di
questi e di que’Re, se il sai, O almen 1 ’ adatta . L’imbandite
mense Facile danno ed i conviti accesso, Ove da far contenti
i tuoi desiri V’ è cosa anc’ oltre i vini: ivi sovente Calcò di
Bacco l’orgogliose corna Con le tenere mani il bel Cupido, Di
cui se intrise sien 1 ’ ali nel vino Più non puote fuggir: grave s^
asside; Tu umide penne, è ver, veloce Scote. Ma non
vola per questo, anzi novelli Desta incendj nelP alme, che dal vino
Sono disposte e rese atte al calore. Ogni atra cura e molce e fuga
il vino; Allora il riso ha loco ; allor l’abietta Mendica gente
pure il capo innalza; Fuggon le cure, il duci ; le crespe fronti
Vengono liete ; e la si rara in questi Tempi semplicitade i più
secreti Pensier dell’alma svela, che il Dio Bacco UEufrate ed il
Tigri, avendo, secondo Vo^ pinione d*alcuni, la lor sorgente nei Monti
armenii si prendono qui dal poeta per li principali fiumi del» V
Armenia, (a6) Persìde è una famosa città, che vuoisi fab.-»
bracata da Perseo figlio di Danae nelle valli persiar ne, dette
achemtiiie dal Re Achemene Ogni mistero svela e l’arte infrange De’ Giovanetti
il cor ivi ben spesso Rapiron le Fanciulle ; Amor nel vino Fu foco
a foco unito • Ma non troppo A lucerna ti fida ingannatrice;
Mal nella notte, e fra i bicchier ricolmi Della beltade si può far
giudizio. Allo splendor del giorno, a cielo aperto Paride
rimirò le Dive allora Che alla Madre d* Amor disse: tu vinci L’ una
e 1 ’ altra in beltà, Venere bella. S’ asconde nella notte ogni
difetto; Ad ogni vizio si perdona, e allora Ogni donna
sembrare alPuom può bella; Consulta il di guai gemme e quali lane,
Tinte di tìria porpora, sien atte A fsLjp bella la faccia e il corpo ^
Come Io delle Donne numerare il ceto Di non ardua conquista ? E
assai maggiore Dell’ arene del mar . Come di veli Di Baja. i lidi
narrerò coperti. E per calido zolfo acque fumanti? Riportando
talun ferito il petto Da queir.onde, non son, ( come racconta La
fama ) dice, salutari ognora. Ecco di Cinzia suburbana il
tempio Ì ayl Alludesi al
pros^erhio latino in vino veritas. Baja in Campania, o com'oggi dicesi in
ter-^ ra di Lavoro i era un amenissimo Castello^ che con- teneva
entro di se degli ottimi bagni caldi, e alcuni laghi in cui rrnvigavan
gli antichi con diverse barche variamente dipinte, sulle quali facevano
ancora de^ gli allegri conviti. Questa Dea, che si chiama
Lucina in Cielo, Eeate neW inferno, e Diana in terra, ha ancor
fra Silvestre» ed ecco ì conquistati Regni. Perchè vergifte ella è »
perchè ella in odio Ave d’Amor gli 8tijali,.al popol diede» £
mai sempre darà mille ferUè. Fin
qui Talia sopra ineguali rote Come tu debba scer T amato oggetto» E
dove tender t’insegnò le reti. Della tua Bella onde adescare il
cére Preparo or io delF arte opra speciale. Uomini» voi chiunque »
e donde siate, Porgete al mio parlar docili menti» E le
promesse mie ptopizj udite. Tosto nell’ alma tua scenda la speme Di
conquistarle» e vincitor sarai; gli altri nomi quello di Cinzia »
perchè essa ed Apoi* lo nacquer nelVIsola di Deio » ov^ è il Monte
Cinto. I popoli del Chersoneso » o com* ora chiamansi » della
Crimea » le immolavano gli ospiti ivi spinti dalle tempeste, he femmine
romane » dopo Vavere ottérsuto ciò che htamavun co" voti, andavano
a* d*Agosto con le. faci ardenti in mano, e la corona eul
capo\ al Tempio suhurbano di questa Dea situato in Arì^ eia. Quivi
frequentemente i Sacerdoti succedevano gli uni agli altri » mentre, non
godevano di questa di* gnità solamente gV ingenui, ma se la
contrastavano anche i servi e i fuggitivi in una guerra particola*
re » in cui chi riportava la vittoria, otteneva a un tempo stesso il
Sacerdozio » che apprezzavano come un Kegno. Una tal Dea peraltro y
quantunque sten* desse dal cielo per godere del suo Pastorèllo Endimione
» fu sommamente gelosa della propria pudici* zia, giacché trasformò in
Cervo Atteone \ perchè osò di guardarla quando era nuda in un
bagno. (3o) Talia è quella Musa » che presiede principale
mente a* Canti piacevoli e amorosi. Dice OVIDIO che dia insegnò sopra
inegnali rote ec. alludendo al diè stico latino » il di cui Esametro ha »
com* è noto ^ sA piedi, e cinque il Pentametro^ Ma intanto
tender dei T insidie: prima Gli augelli taceran di primavera,
Le cicale in estate, e il can d^Arcadia Incontro a lepre prenderà
la fuga, Che dolcemente Femmina tentata A Giovine resista ; e
quella ancora Tu vincerai, che ti parrà ritrosa. Come il
piacer furtivo è grato alF Uomo, £ grato alla Donzella . Asconde
questa Le brame sue, T nomo le cela invano; Ma se tu possa*
vincerla una volta, Preverrà con le sue le tue preghiere. Ne’
molli prati al suo Torello accanto La giovenca muggisce ; e la Cavalla
Col suo nitrir fa lusinghiero invito Al cornipede maschio . In noi pkt
forti^ Ma non però cosi furiosi, sono Gli stimoli d’ amor i lodevol
fine Ha la fiamma delP Uomo. A che di Biblì Ricorderò, che d’ un vietato
amore Arse pel suo Fratello, e pon un laccio Vendicò da se stessa
il suo misfatto? Non, come Figlia dee,Mirra amò il Padre,( a^ BiUi nata da Mileto e dalla
Ninfa. Gianczf, amò perdutamente Canno suo fratello. Siccome non Ve
riuscì di renderlo à sitò riguardo amoroso ^ si die in preda a un pianto
così dirotto ( se si presti je e al libro IX. delle Metamorfosi ) che fu
convertita VI un fonte yo( se si crede al libro presente ) si prò--
curò ella etessa con un laccio la morte. Avendo Mirra concepito un immenso
amore per Cinìra suo padre, gli fu posta in letto da me nutrice in
luogo della consorte. Accortosi Cinira del fallo, tentò di uccìderla } ma
essa fuggì bay ove fu cangiata in albero, e diede alla luce il
bellissimo Adone, che fU V ‘unico frutto d un st fu nesto incestuoso
accoppiamento. E oppressa ora si cela in chiasa scorza: Delle
lagrime poi, che dal suo tronco Odoroso essa elice ^ ungiam le
membra. Che s^ban quteste stille il primo nome, Del frondos’Ida
nelVombròse valli. Era forse la gloria e
la delizia Deir armento un Torel candido, solo Negro segnale avea
fra corno e corno: Una sol f^u la maccbìa, e latteo il resto.
Questo bramaron sostener sul tergo Le giovenche ginosie e di
Canea. Oodea di farsi adultera Pasifae (34) Del Toro., e'nel
ano ooj geloso sdegno Nutria contro le amabili giovenche: Io
cose note canto; e ciò non punte Creta negar, quantunque
siai*iqendace. Creta, cui son cpnto Città soggette. Con r
inesperta man ; Pasifae ali Totro Dicesi recideste or verdi frondey S
1 Or r erbe tenerissime de’ prati.2 Erra compagna
dèli’st>nentOì,;e invano- Del maiitoy pensier T arresta j vinto.
Era Minos da-un hove ^ A rche* tu vesti, . Donna, preziose spoglie
? Il tuo Diletto Mà è un mont 0 ^ Creta ; nè deéù qui còn^ fondere
cpl Monta, Ida^ pqiaao, ope seguii la famgsa lite fra Venere y Pallade e
Óit^none. (34) Sdegnata Venere contro il Sole y perchè Vavea
fatta sorprèndete da^*Numi det letto con Marte ffe* à che Pasifae figlia
del .medesimo, e moglie di Mi-» nos Re di Creta, ^ innamorasse
ardentemente d* un Toro. Essendosi questa racchiusa in una Giovenca
di legno coitmtta da Dedìdà y si congiunse col Toro diletto, e
diede al Sole, in nipote il celebre Minotaio- To, che fu ucciso da Teseo
nel famoso làbcrkito» Di tai ricchezze non conósce il pregio.
Mentre vai di montano armento io traccia, A che giova lo specchio, a che
le chiome. Lassa, adornar si spesso ? Ah I presta fede Pare allo
specchio 4 che bovina forma Ti nega ; invan veder sulla tua fronte
Desideri le cornac Se ti piace ' Minos, a che un adultero ricerchi
P E se brami ingannarlo, a ché noi fai Con un Uomo? Per boschi e
per foreste Oià la Regina, il talamo lasciato, ^ Vanne quasi
fiaccante, a cui furore Spiri P aonio Dio . Oh quante volte La
giovènca «rivai con volto iniquo Mirò, e fra se, perchè tu piaci, disse, Al mio Signor ? Ve^com^* in facciala
lai* Scherza sull’erbe tenere, ed esulta,, E tài fóIlié/-non
dubito non credai ^ Per lei decenti: mentre in suo pensiero:
Volge tai còse, ordina che sia tolta* Dal gregge immenso, è immeritevol
venga Al curvo giogo strascinata, o vuole Di snperstizion sacrai *
fra-l’are Vittima cada;!e nella fi^ta dtwtr^ Gode tener
.le.:.viscero fumanti -Dell’uccisa rivai. AHI quante voke ? Gon le uccise
rivaV placando i NUìiii, ^ Disse, tenendo'visceri\-'piacete Al mio Dilettov e quante volte
ancora Chiese in Europa èsserconversa e in Io, Europa figlia di Agenorg
Re di Fenicia, ^ éorella di Cadmo, era dotata di^ sorprendente^ bellezza.
Aree Giòvo per Ui. di un amore così violento, aS Che questa è
una Giovenca, e quella ìMotso' Premè d’ un Bovo . Fè le strane
voglie Paghe Pasifae ascosa in lignea vacca, Onde il parto
alla luce uscì biforme. Se sapeva piacere ad un sol uomo^
(36) E foggia di Tieste il turpe amore D’ Atreo la Sposa, non
avrebbe Febo Il cammino sospeso in mezzo al corso, E
rivoltato il carro, i suoi destrieri Mossi incontroairAurora. Anco la
Figlia, Che i purpurei capelli involò a Niso, Coprì del corpo suo le
parti estreme Con la sembianza de’ rabbiosi cani. thè trasformatosi
in Toro, la portò sul suo dorso in quella parte di Mondo, che dal nome
della medesu ma si chiama Europa. Io y o Iside fu, come Si è
detto al numerò ii. epnoertita dallo stesso Giove in una
Giovenca. Erope moglie d* Atreo giacque con Tieste fra^ tello del
medesimo, e nacquer da essi due figlj, che avendo Atreo dati a mangiare
al lor padre medesimo in un convito, il Sole per celare un tanto
misfattò tornò indietro, e corse incontro aWAurora. Scilla, figlia
di Niso Re di Megara s^ inva^ ghì di Minos Re di Creta, che le assediava
la pa^* trìa, e a lui recò il purpureo capello del padre, dal qual
dipendevano i fati di quella Città. Essa fu jj^i disprezzata harharamente
dalV ingrato Minos, e fu, secondo le metamorfosi, cangiata in uccello.
Vi fu però un^altra Scilla figlia di Eorci, la quale, avendo bevuto
un^acqua per lei avvelenata da Circe, venne subito trasformata in un
mostro, la di ciS parte inferire era simile a quella di un Cane.
Con-^ eepì la medesima tanto orror di sé stessa, che si get>» tò
in un golfo del mar di Sicilia, che ha preso da ^ella il suo nome» Ovidio
ha qui confuso fseste due Il Figliuolo d^Atieo, che in terra e in mare
Di Marte e di Nettuno evitò V ira. Cadde vìttima poi della
Consorte. Chi di Creusa sull’inìqua hamma Non sparse il
pianto, e sulla Strage orrenda Che fe* de’proprj figli un* empia Madre
? Frivo degli occhi pur pianse Fenicio, (4o) E voi, oarallì
spaventati, il vostro Agamennone è veramente figlio di Filistene, ma da
Ornerò^ e da tutti gli antichi poeti gli vien dato per padre Aireo suo
aco come un personaggio più celebre» Fu dichiarato Agamennone per le sue
mira^ bili imprese il Re deTle di Grecia, e per tradimento di
Clìtennestra sua moglie ucciso da Egisto, dal quale era ella amata
impudicamente, Giasone j abbandonata Medea, sposò Creusa figlia di
Creonte Re di Corinto, Medea per vendicarsi di tafe infedeltà, f^ strage
di due teneri fanciulli nati da lei 4 da Giasone, e ridusse con fuoco
ariifi- doso in cenere ì* infelice Creusa e tutta la famiglia e la
Reggia di Cleonte, (40) Furono tratti gli occhi a Fenicio figliuol
d^A^ mintore, perchè una concubina del padre Vaccusò falsamente
d'acerle tolto Vonore, Ricuperò egli la vista per i farmaci a lui apprestati da
Chirone, il qual gli die poi in custodia il giovine Achille, con
cui andò aWassedio d,i Troja, Ippolito figlio di Teseo disprezzo
Vamorosa corrispondenza che gli esibì Fedra sua matrigna, Sdegnata ella
fieramene di ciò, disse al padre, che le aveva il medesima insidiato V
onestà ^ e Teseo lo abbandonò al furor di Nettuno, Essendo per ciò comparso un
orribil mostro marino^ mentre Ippolito se ne andava sul suo, carro lungo
la spiaggia del mare, i cavalli per lo spavento preser la fuga,
marciarono il legno in pezzi ^ e trucidarono miseramente il lor
Cgxìdottii^o, > Condottier tracidaste.E perchè» o Pinco, Gli
occhi tu togli agPinnpcenti figlj ? Ah che la atessa ^eaa. il tuo
delitto Un dì vendicherà. Tali infortunj ^ Da uno sfrenato aq^or
trasse sorgente Delle lubriche donpe . Ornai t’ affretta, £
non temer di ritrovar contrasto Nelle Donzelle ; appena, una fra
molte * Ne incontreraiepe. a te neghi vittoria. E r indulgènti e,
le ritrose pure lì Goì^qu esser pregata; pna ripulsa I Non ti
spaventi ^ è questa ingannatrice. iMa perchè ingannatrice Y ognor pip
grata INuova per esse voluttà riesce. |E l’alma loro adescan
facilmente |l novelli amatori ..'Il vici^ campp Ci sembra più
.ijber^^so,^0 il gregge altrui Vedi che a parte sia della Padroni Ov,
Arte (Tarn. b Fineo figlimi
Agenore Re Arcadia yO come ad altri piaqe, di Tracia, o di Paflagonia y sposò
Cleopafi^a figlia di Bqrea, e‘. n*ehbe due figli. O sia che questa
morissero che fosse da lui ripudiata y prese il medesimo in moglie Arpài ice, e
cornane dò, che fossero ioltìr gli occhi a* due figlj della sua
prima eoniorte, perché temè che aiiesjser avuto un illecito commercio con Ija
novella sua sposa. Fu da Borea vendicata V innocenza do* nipoti con
Vacciecof- mento di Fineo, e Giunone e Nettuno gli mandarono sulle mense
le Arpie y che a lui macchiavano turpemente quelle ‘ vivandé y che non
mangiavano essa stesse De’ nascosti consiglj, e de’ piaceri Suoi
più segreti. Con promesse e prieghi Corrompi la sua fi; tutto
otterrai, Quand’ ella voglia, e non ti sia contraria, Dalla
facil. tua Bella • Il tèmpo scelga. Come i Medici sogliono,
propìzio. Onde il tuo amor nel dodi cor le infonda. Ella il
tuo amor le infonderà nel core, Quando per lieti eventi andrà
giuliva Come lussureggiare in pìngue campo ' Suole la biada. Quando
r alma è scarca Dalle pallide cure, e lieta esulta. Si spande
allora, e dà facile accesso ÀH’arti lusinghevoli d’amore.
Mentre fra i neri affanni involta visse " Troja, con V armi si
difese ; e lieta (43) Il cavai di soldati e insìdie pieno
Àccolèe entro le mòra. Ancor si tenti, £ non rimanga inyendicata,
quando Si dorrà, chè riceve ingiuria e scorno Dall* impudica Amante
del Marito. La punga a sdegno la fedele Ancella, Quando col pettin
mattutin compone Gl* indocili capelli, ed alle vele. L’ ajuto
aggiùnga anco de’ remi, e dica, Sospir seco tràehdo, in bassa vocè:
Tu noli potrai, cred’io » come si merta. Rendergli la pariglia.
Allor le parli Di te con detti insinuanti, e.giuri Che tu brugi per
lei d’immenso amore. Mentre il tempo è propizio, ella s’ affretti
Alludesi al cavallo di Ugno ^cht il perfido Sinone introdusse pien
di soldati in Troja, quando tra assediata da* Greci» Virgilio Endde
IÀh»lÌ»v» Che non cadan le vele, e cessi il vento. Come sì scioglie
il gel, V ira, indugiando^ Si dilegua così. Forse mi chiedi.
Se la servente innamorar ti giovi ? Tai cose ammesse, il
rischio é manifesto^ Una rende V amor più diligente, L’ altra
più tarda e meno attenta: questa Alla Padrona sua ti serba in dono,
Quella a se stessa • esito dipende Dalla fortuna, che quantunque
arrichì Agli audaci ^ a te do fedel consiglio. Che d’ un’
impresa tal lasci il pensiero. Non per scoscese perigliose strade
Andrò, nè, duce me, verrà ingannato Alcun Giovine amante * Ma se
poi, Mentre riceve e assiduamente porta L’innamorate cifrerà te non
solo Per la sua fedeltà piaccia, com’ anco Per la beltà del corpo ;
allor procura Della Padrona in pria il possesso, e ch’indi Questa
la segua: l’amoroso gaudio Non dall’ Ancella incominciar tu dei*
Se all’arte mia si crede, e i detti miei Non portano pel mar rapaci
i venti, Questo consìglio mìo nell’alma imprimi: Non mai tentar 9
se non compisci l’opra» Se a parte ella verrà del tuo delitto. Non
la temere accusatrìce • Invano Invischiato l’angel tenta la fuga.
Nè riesce già uscir dalle allentate Reti al cinghiale • Il pesce
all’ amo colto Si scota invano ; tu la premi e assedia. Nè la
lasciar, se vincitor non sei. Se a una colpa comune ella
soggiace, Non temer tradimenti ; a te saranno Note della Padrona
opre e parole. Se cauto celerai 1’ accusatrice. Sempre,
contezza avrai della tua Amica. Folle è colui che in suo pensier si
crede òhe sol debban del cielo osservar gli astri Della terra il
cultore ed i nocchieri. Non a’ campi fallaci ognor sì debbe
Cerere abbandonar, nè alle tranquille*^ Cerulee onde del mar la curva
prora. Ah 1 che non sempre assicurar ti puoi Il cor di vincer
delle Belle; spesso Ciò s’otterrà, se il tempo sìa propìzio.
Se deir Amica il natalizio giorno (44) (44) Era presso gli
Antichi in gran venerazione il giorno natalizio: e gli Amanti celebravano
‘ con feste e con doni quello^ in cui eran nate le Donne che ama^
vano . Si dee preferir certamente questa lieta costui manza a quella che
hanno adottato i Messicani e i Cinesi, i quali riguardano un tal giorno
come infausto e doloroso . Alcuni di essi invece di ricevere con
acclamazioni di gioja la nascita d^ un figlio, gli rispondono ai suoi primi
singulti, mio figlio tu sei venuto al mondo per soffrire \ soffri ^ e
t’acquieta . Si fab- hrican altri di buon^ ora la tomba, e vanno
ogni giorno a renderle omaggio come al termine consolator é d^.lor giorni
. Non poco influisce, a dir vero, un tal uso a fomentare il barbaro
costume d^ uccidere i proprp figli in un popola ^ il guala non gli Ottimi
suoi libri classici illustrati dall* immortai Confueio e con le
savissime leggi, su cui ha stabilito il suo pacifico Impero, cerca di
rendersi virtuoso ed illuminato. Èra presso i Romani nel suo pieno
vigore P uso delle visite e de* doni nel principio dell* anno, il
qua- le incominciava anticamente col mese di Marzo, le di cui
Colende eran consacrate al Dio Marte . Cele- hravand in Roma nel primo
giorno d*un tal mese alcune feste dette matronali in memoria della
pace Ricorra, o le Calende che seguito Abbiaa quelle di Marte, a
Vener piace, O sia che il Circo sì rimiri adorno, Non come in altre
età, di statue lievi. Ma per le spoglie ivi de i Re deposte,
L’ opra differirai: sovrasta allora Con le piovose Plejadi P
inverno; Allor nella marina onda s’immerge Il Capro tenerello
; allora giova Deporre ogni pensier . Chi al mar s’afSda Del lacero
naviglio appena puote 1 miseri campar naufraghi avanzi. Tu se
in quel dì incominci, in cui si vide che le Sabine avevano appunto
in tal di stabilita fra i loro SpoH, ed i loro Padri, i quali volevano
con V armi vendicare il ratto delle medesime . Le persone maritate
avevano solamente diritto a queste feste / ed OraT^io nell* Ode ottava
del Libro III. si scusa, perchè vi prende parte anch? egli, essendo
celibe. Siccome il mese d* Aprile è sacro a Venere, e suc^
cede a quello di Marzo dedicato a Marte, dice il Poeta che Venere gode
che abhian le sv^e Calende seguito quelle di Marte per alludere
alVamorosa cor^ rispondenza che ella aveva coi Dio della guerra .
Le Ihnne e le Matrone romane facevan nelle Calende d*Aprile gran
festa a questa lor Pea tutelare ; e gH Amanti contribuivano alle medesime
con le donazioni. Non vuole il Poeta, che si studino i Giovani per
adescar le Donne nel lor giorno natalizio, nel principio dell* anno, e in
occasione de^trionfi celebrati nel Circo, perchè essendo le medesime
allora occupate in adornarsi, incontrerebbono qiiP gravi pericoli,
che sono qui espressi con l* allegoria dell* Inverno, e con quella
delle Plejadi e del Capro, le quali stelle sorgon sull* orizzonte nel
mese d* Ottobre, che è un tempo pieno di pioggia e di tempeste, e perciò
non propizia a* Naviganti.. Scorrer sanguigno umor la flébìl Allia
Per le piaghe latine, o in quello in cui Torna la festa settima, che è
sacra Al Palestin siriaco, e in cui s’ astiene Ognun dalla fatica,
avrai mai sempre Culto superstizioso al di natale Delia tua Bella ;
pur funesto giorno Sia quello, in cui tu offrir dono le debba; Ma a
te lo rapirà, se tu gliel nieghi, Che a Femina mancar non puote 1’
arte Per carpir le ricchezze a Giovin caldo. Del Mercante il Garzon
verrà discinto Alla vogliosa ed avida Padrona, E porrà le sue
metti in vaga mostra, Mentre tu giungi, e al fianco suo t’assidi.
Essa ti pregherà, che tu le osservi Per additarne il prezzo ^ e
liberale Ti sarà di preghiere e ancor di baci, Perchè le compri, e
giurerà contenta D’ esserne per molt’ anni, e che non puoi
Comprarle cosa che le sia più accetta. Se poi ti scusi che non hai
denaro, Ti chiederà il tuo nome, e turpe fia Per scusa addur,
che tu firmar noi sai. Rinasce poi, quando le fa bisogno, A ih.
Agosto ebbero i Romani una sconfitta da* Galli sul fiume Allia non
lontano da Roma, onde come infausto e di pessimo nome fu condannato
un tal giorno . Crede il Poeta, che debbano i Giovani onorare il dì
natalizio delle lor Belle, e vuole che intraprendano V amorose loro
conquiste 0 in que malinconici tempi qui figurati sotto il giorno
alliense, CUI aman le Donne d* esser rallegrate, o in que^giorni
festivi simili a* sabbati giudaici, ne* quali non è alle medesime
permesso 4 * occuparsi in alcun lavoro. Che dell* offerte natalizie il
giorno Rìeda y e di pianto sa bagnare il volto Per la supposta
perdita di pietra. Che le orna 1’ orecchio . D’altre cose L’ uso ti
chiedrà, che date poi Renderle nega ; tu le perdi, e invano Speri
per ciò che grata ti si mostri. No, quando avessi dieci lìngue e
dieci Bocche, io già non potrei dell’ impudiche Donne n^^rare le
sacrìleghe arti, li guado tenti un ben vergato foglio; E
della mente tua la prima volta Sia nunzio ; le carezze, e le
parole, Che imitino il linguaggio d’ un Aliante Rechi, e
fervide aggiungi anco preghiere. Donò da’prieghi mosso a
PriamoAchille Di Ettor l’esangue spoglia; e Iddio sdegnato A voci
supplichevoli si piega. Prometti pur, che nuocer già non ponno Mai le
prorjaesse ; ognun può farai ricco Con semplici parole. La speraD 2
$a Data una volta, lungo tempo dura: C' inganna, è ver, ma
Diva utile è a noi. Se liberal con lei fosti di doni, Avrà
ragion d* abbandonarti ; quello, Che già le desti, è suo, nò può
timore Di perdita nutrir . Ognor tu devi Achille dc^ aper
ttraseinato tre volte intorno alle mura di Troja il corpo d* Ettore da
lui ucciso alV assedio di quella Città y lo rese finalmente y 0 a
dir meglio, lo vendè\ a- ^Priamo Padre del, medesimOy che prostrato
a* suoi pièdi > lo pregava di ciò caldamente^ Exanimumaue amo oorpns
vendebat Achillea. 1 Virgil Finger di dar quel che non desti;
spesso Fu deluso così di steril campo II credulo Padron • Così,
perdendo A perder segue il giocator, nè lascia Per questo il gioco
; e il lusinghiero dado Nelle cupide mani agita ognora.
Questa è Tiinpresa, e qui il Valore è posto; Ascolta ; senza doni
il suo cor tenta La prima-volta, ancor che ì doni apprezzi; Se lor
liberal ti sia, 8«^rallo Ognora. Vada dunque il tuo foglio, ma
vergato Con detti lusinghieri ; della Bella La mente esplori,*e
primo il caihmin tenti. Cidippe ingannò un pomo, in bui rincue Note
leggendo, fu di queste preda. O Giovani romani, io vel
consiglio. Deh coltivate le bell’ arti ; solo Non utili Saran
per la difesa ' De^ paurosi Rei ; ma dalla forza Del facondo
parlar, vinta la mano A voi daran col Giudice severo. Con lo
scelto Senato, e ilPopol folto Ancor le culte amabili Donzelle. Da
Zea una delle Isole Clclàdì andò Acanzio in Deio per assistere a*
sacrifici di- Diana, che là si celebravano splendidamente. Ivi ei concepì
uìà^ immenso amore per Cidippe, ma non ardiva di chiederla in is-
posa . Stette molto tempo dubbioso nello scegliere lin mezzo per appagare
la sua passione ^ ma in lui ces^ sarono i dubbj quando intese che vigeva
in Deio una legge, per cui restava concluso tutto ciò che si diceva
nel tempio di Diana ; è però gettò a* jùedi della sita Bella un pomo y in
cui erano scritti i versi seguenti* Juro tibi sane per mystica sacra
Dianae He Ubi venturam comitem sponsamque futuram: Ascosa V arte
resti, e da principio Non sii eloquente. Da’vergati, foglj Vadan
lungi parole aspre e ricerche. Chi mai, se non. di senno affatto
privo» In tuono volgerà declamatorio . ; Alla tenera
Amica il suo discorso? Oh quante volte fu giusta cagione Di
grave sdegno un foglio ! 1 detti tuoi Meritin fede, e adopra usati
accenti» Ma sempre, lusinghieri » onde l,e sembri^
D’udirti ragionare . Se ricusa, Di ricevere il foglio, e sena’ averlo,
. Letto a te lo rimandi » |a speranza Però non t’abbandoni »
e,il mio consiglio, Serba in memoria, II. collo al giogo piega Il
Giovenco difficile col tempo» E a soffrir s’ammaestra il lento
freno Col tempo anco il Cavallo. Un ferjreo anello Dal cootinao nso
si consuma » e il vomere* Dal continuo rivolgere la terra Che del
sasso è più duro? e che più molle ' Avvi dell’ onda ? eppure il duco
sasso Dall’ onda molle vieu scavato . Ancora» Se sii
costante» vincerai col tempo Penelope med^sma: » A vero»,,
Caddero al suolo le trojatie.^muri^» Ma pur caddero alfin 1
ìtiglj tuoi, Leggerà anch’ oasa » e non darà risposta»
Cui tu non debbi violentarla: solo Fa che ognor legga lusinghieri
accenti» £ di risposta alba sarà cortese A ciò che l^sse ; a
gradi e con misura Succedefansi questi ufficj ; Forse / Verrà
da. prima A tc foglio dolente», à a Con cui ti pregherà, che
r amoroso Linguaggio cessi ; nia desia il contrario Entro il suo
core, e vuol che tu prosegua. Continua danque;e alfin resi contenti
Saranno ì voti tuoi . Quando supina Vien trasportata sulle molli
piume. Fingendo indifferenza, ti presenta Della Padrona alla
lettiga ; e canto, E in cifre ambigue quanto puoi favella.
Onde qualchfe importuno udir non possa Il vostro ragionar 7 Sé’ volge il
piede Negli spaziosi portici, tu quivi Trattienti fin eh* ella^ vi
fa dimora. Or la precedi ed or la segui a tergo: Or
lento movi il passo, ed or t* affretta. Nè d^ inoltrarti iU ntezzb alle
colonne Abbi rossor, nè di sederle al fianco. Non ne’ Teatri
senza te si trovi, E segnai póVti al teigo, onde la vegga.
Giacch* ivi il puoi, contemplala, e le dici Quanto brami co’segni è con
lo sguardo. Alla saltante applaudisci l e sii Favoirevole a quei
che rappresenta Personaggio amoroso . S* ella sorge, Sorgi ;
e ti assidi pur, s’ ella s’assida; £ a suo ^piacere il tèmpo tuo
consuma. Ma non volere innanelìare il crine Coiì’càldo ferro,
e con lUordacè pomice ' Stropicciarti le gambe ; il che tu lascia
A’molli Sacerdoti di Cibale. Oj9e, o Vesta, che ancor dicevi Rea yC la
Dea Buona, è Madre degli Dei, e si chiama Cibale ; perche nel monte
Gibele dU Frigia U furono la prima Beltà negletta agli uomini
conviene: Vinse Teseo; Afianna » e la rapio Disa.doroo
le<t;onipie, il cria scompQsto;( So) Arse pe}*:FiglÌQ:Fe.drtt., ed era
incolto; Cura e deli^^ia. della Dea ;d’. Amore . Fu Adon,:che
fra le selve i di traeva. S’ann^grin pur le membra al marzio Campo,
Ma si^o monde, e monda sia la ve8te.(Si) Aspra non sia la lingua, e netti
sieno.i Dalla lug^e i denti; il mobil».piede . > Non nuoti ih
larga pollo ;^*ed ìne6perta i>olta kelel^ati i sacrificj » T
suoi Sacerdòti" éràtio ew.- nuchi, e ogni giorno,ger comparir moftdi,
si raschia^ van membra, t
Ari^nay figlia del Re Minos, s’innamorò perdutamente di Teseo, che fu
da* Greci mandato con al- tri giovani in Creta per esser divorato dal
Ii/Iinotauro~, Etsa gV insegnò la maniera d*'uscir dal làbérinto
quàn^ do avesse ucciso quel mostroe in compagnia di dra sua sorella
s*.iifcamminò con. VAmante^ che dpmato il Minofauro y tornava in Grecia
vittorioso . Teseo chi nel viaggio orasi gik invaghito di Fedra ^ lasciò
bar-' Caramente in Nasso Arianna, .e andò con la sorella Ì2i Atene
sua patria . Ivi questa dioonne, come si è detto, amante d*Ippplito nato
da Tesele da Ippolita Regina duello Amaz%oni. Venere amò
ardehtemente Adone ^figlio di Cinirq, e di Mirra, quantunque vivesse
continuamente né^ boschi intento a caccksre le fiere. Pianse ella
amaramert’^ te perchè questo giovinetto fu ucciso da un cinghiale^
e nony avrebbe mai reso a Proserpina, se Giove non comandava', che per
otto mesi avesse Venere il possesso d* Adone, e per gli altri quattro sei
godesse Proserpina. Nel Campo martió d facevano in Roma alcuni giochi,
pe*quali i giocatori si snudavano interamente, « si dngevan le membra con degli
unguenti, che rendeano a* medesimi nera la pelle Forbice non ti renda il
crin deforme t Ma da maestra iuan^ ti sia recisa E la chioma e la
barba i $enza macchie Sian r unghie, nè soverchinoi le dita;
Nelle concave nari non si scorga Alcun pelo; nè esali nn tris^to
fiato* - ' La bocca; e il naso non rimanga olfeilO „ Da che il
fetido becco ognora sape^ ' A lasciva Fanciulla il resto
lascia, £ alla bardassa . Ma già Bacco òhiama Il vate suo: soccorre
ei pur gli amanti; E, la fiamma che learde ei favorisce. Furente
errava la creten.^ Ppnna Pcjr di Nasso ignota arena, Che
flagellano ognor T onde dei mare» Ella coperta con discinta
veste Come nel sonno, nudo il pjede e sciolte Le crocee chiome, al
sordo mar si volge;. E bagnando di lagrime le gote, Teseo chiama in
alto suòli: grida, E in un piangea la mìsera, ma in lei Era
tutto decente ; nè men bella Fu di lagrime aspersa « di dolore.
Mentre di nuovo con le man fa ingiuria Al delicato petto, a che
fuggisti t É cosa fia.di me, perfido? dice^ Di me che fia,
ripete ; e intanto il lido De* cìtnbali e de’timpani p^cossi'
Da un* attonita mano il suono assorda. Quando Arianna si vide
aèhandonata nell* sola di Dfasso^si diede in preda all* ultima
dispera^ sùone . Bacco ivi accorso con le Baeeànti e Cón Sileno,
sfio pedagogo, la prpse in sposa y e collocò la. di hi chioma in Cieìp
prenQ ad 4 rtur ^t \ v.t Ca<l’ ella al suolo 4a timor sorpresa;
Le mbucaa le iparole ; e piik pon scorro Per le;geliAe} oppresse
membra il sangue. S’ appreesan ile ^eoauti^ U<cfia disciulto^ Ed
opQO;i liéyl 3iltiri soiio Previa turbo del DiOi*;£coo sul dorso D*
uo< pasciuto asinel V ebrio Sileno Carico d’ anoi.y^^che :si reggo
appena, E profiumo aspirare>i )brevi crini. Meiìftr
eglit seguei'le! Saeeanti, e queste Lo cfaiadianp /oggende ; l’inesperto
. Cavaliere il qjUadrtipedo, suo si^za. Deir aaiào orecchiuto
al capo scorre, E a terra cade: i Satiri griderò; Sorgi
V deh sorgi y o Padre . Intanto giunge 11 Dio ^ che d’ uva al carro
adorno accoppia Le tigri, a ouircoh le dorate briglie 11 freno
regge, • Partì: Teseo, e insieme D’ Arianna, fa voce ed il dolore.
Tentò tre volte di fuggir, ma invanoy Chè il timor la trattenne, e
inorridita Tremò qUal steril spiga al vento,e com# Leggiera canna
in umida palude; Allora il Dio le disse: * ogni timore,
Cretease 'Donna, dal tuo cer disgombra; In me tu* vedi un più fedele
amante; Di Baceo anzi sarai la dolce sposa. Tu
spazierai nel ciel ; la tua corona Lucida stella in ciel sarà di
scorta Air incerto Nocchiero in suo cammino. Di^se, e dal carro
scese, onde non debba Seatir paura delle tigri, e il piede Sulla
docil arena impresse Torme. Eapilla poscia, e se la strinse al
seno> Chè tentato avria id van forgi! contralto^ Mentre fonile a
un Dio tutto si rende. De’suoi segnacr imen cantd una parte, L’altra
ripetè in alto snon gli evviva. Cosi al letto nuziale il 0io 4 la Sposa
' Furon guidati^ e s’annoSdaro insieme. Quando tu sederai con donna
a mensa, E di Bacco a te offerti i doiii siedo, > Tu
a Bacco,èa‘*NunJi che^han fa cena in euri Porgerai voti, onde (dal Vrn
non venga Offeso il capo ’ tuo ; Quivi* tu puoi ‘ ‘ Con
ambigue parole a lèi far iloti’ " ; I segreti del cor, ma per6^in
modo ' Che ben s’ accorga esser a lei dirette. Potrai tu ancor con
gocmole di vino Teneri accenti esporre, onde conosca, Ch’
ella assolnto ha nel tuo core impero. Co’ tuoi s’incontrin jgli oocbi
suoi,<ed il fòco Che t’arde il sené, a lei foccian palese; Parla
talora col silenzio il volto. Procura il primo di rapir la
tazza. In cni bevv’ ella, e dove i labbri impresse. Bevi tn
pur: qualunque il cibo sia Bichieder dei, che tocco avrà col dito;
E mentre il chiedi, a lei strìngi la mano. Volgi i tuoi voti pure,
onde tu piaccia Della Bella, al Marito . Assai ti puoto *
Util recar, se a te sia fatto amìcoi Se dai la legge al bere, a lui
la mano Solevano i Rfìmarù appena posti a mensa eleg^, gere il maestro
della cena y che da Orazio {lib. i.od^ 9. ) li chiama il Taliarco\
Prescriveva il medesimo U leggi del convito e la manieM di^ becere y'e
ordi^ Ce^i, e riponi dal tuo capo tolta La corona sul suo.
Sia a te inferiore, Egual sia pur, si serva in tutto il primo; E
seconda parlando il suo linguaggio. Col Telo d’amistà tessere
inganno È vìa sicura e frequentata, pure Non è senza delitto. 11
Talìarco Ancor che troppo generoso appresti I moltiplici vini e le
vivande; £ benché creda di dover più assai Veder di quel che
fu ordinato, certa Avrai nel ber da noi legge e misura. Onde la
mente e il piè si serbin atti A’ loro ufficj: d’ evitar procura Gli
alterni detti e gV ingiuriosi accenti, £ vìe più ancor se sien dal
vin prodotti; E troppo faeil non indur la mano napa alle
Polte Commensali che ognuno, bevuto il suo bicchiere di pino, proponesse
qualche amena que^ stione . Auguravansi spesso tanti anni quanti bicchieri
di vino bevevano, e spesso ne bevean tanti quante e- ran le lettere che
formapano il nome della Beliamo deW Uomo insigne, a cui facevano un tale
onore . Se molti erano gli anrd augurati, o se molte erari le leU
tere componenti il nome della persona in onore di cui heveano ; mescepano
allora il vino in una tazza assai grande, e compensavan così i molti
bicchieri che apreb’^ ber doputo puotare . Era poi in uso al termine
della mensa il vibrare in aria con le due prime dita i semi d* una
mela fresca: si credepano fortunati in amore quando toccapan con quelli
il soffitto della camera ov*era apparecchiata la tavola^ e si riputavano
infe* ìici quegli amanti, che non li facean sorgere a queU V
altezza, De^moÙi altri giochi ^ che i Romani usa^ vano in queste
circostanze, non ne è a noi perve^ nuta che un* oscura notizia A perigliosa
rissa. Al suol trafitto Euritone cadéo, perchè soverchio Bebbe i
vini apprestati. A* dolci scherzi Atta è la mensa e il vìu: 8*hai bella
voce^ Non ricusa cantar ; salta s’ hai molli E pieghevoli braccia ;
e finalmeute S’hai doti onde piacer, piaci. La vera Ebrietà nuoce ^
può giovar la finta. Balbetti in tronco suon l’astuta lingua^ Onde
di ciò che tu ragioni, o fai Oltra ’l dovere, il vino sol s'incolpu
Augura alla Padrona ed al Marito Una notte felice ; ma per questo
Fa tacito nel core opposto voto^ Tolta la mensa, allor che i
Convitati Saranno per partir, tra lor ti mischia ; ( La turba
e il loco ti daran T accesso ) A lei che fogge t’ avvicina, e il
fianco Le premi dolcemente, e il piè col piede •. Abbia ora il
conversar libero campo, E tu lungi, o pudor rustico, vanne.
Che la fortuna e Venere propizj Sono agli audaci. De’ precetti
nostri Or r eloquenza tua non abbisogna; Principia pur che ben
sarai facondo. Imitare il linguaggio dell’ amante Debbi, e mostrar
d’ aver ferito il core; E onde ti presti fede ogni arte
adopra.. Ardua impresa non è 1’esser creduto. {Sii^ ElurUone
è quel Centauro^ che reso caldo dab vino y tentò nelle nozze dì Piritoo
di rapire Ippoda»^ mia: Teseo lo percosse perciò così fortemente, che
fw costretto y.come dice Ovidio nelle Metamorfosi, cu vo^ nàtar V
anima e il vino Mentre Donna non v’ha, che sè non stìmi^ Sia, quanto
imn^agìhar ài può, deforme. Atta a piacer ; e aémprè inver non
epiace. Quante vòlte in^amor chi sol fingendo Incominciò, d’ un
vera amòr fu preda! Siate indulgenti pur, vezzose Donne, «Con
questi menzogner, se voi bramate Che in sincerò si cambi un falso
amore. Con accorte lusinghe ora si tenti Di guadagnar le Belle,
come Tacque Sa penetrar la sottoposta riva. Deh non
t’incresca ora lodar la faccia, Ora i capelli, i lunghi è ì
rotondetti Diti, ed il breve piè. Le più ritrose E le più caste
godono alle lodi Della loro bellezza ; e son pur grate ^T innocenti
Vergini i anzi il primo È la beltà d* ogni lor cura oggetto.
Percliè tuttora di rossor la faccia Tingon Palla c Giunca volgendo
iti mente Le frigie selve ed il fatai giudìzio f L’augel sacro a
Gìunon le penne ostenta (56; Se tu le lodi ; e le nasconde allora
Che tacito le miri» Anco il destriero. Quando contrasta il rapido
cammino. Péllade e Giunone ^vergognandosi d^essere stc^ te da Paride
giudicate .met^ belle di Venere, tentare Tono di ripagare una tate
infamia col procurare n questa Dea
vincitrice del Pomo tutti que*danni, eh% sono resi ormai cèlebri' da'
Virgilio e da Omero z Manet i^ha Bueat# repo^tuiu' Judicium
Faridis spretaeqtte ipjuria fbrmae. VIRGILIO (si veda), Eneid. I
Paooni ^(hrisi ^li at^elH di Giunone, pospr che solcpano'essLHinàfe
ibìqarroidi fonta Dea*, 4» Gode vedersi il crine adorno, e il
collo Accarezzato. Franco pur prometti, E tutti chiama in
testimonio i Numi, Che alle promesse pedon facilmente Le tenere
Donzelle. Su dal Paltò D*un spergiuro amator Giove si ride, £
comanda che sien per l’aria spersi I giuramenti dagli eolii venti.
Solea per l’onda stigia a Giuno il falso Giove giurar ; utile è un
tale esempio. Giova de^ Numi resistenza e giova Che noi pur la
crediamo ; incenso e vino Lor su gli antichi focolari offriamo: No,
non è ver che una secura quiete! A letargo simil gli occupi; i
Numi Veggon r opere nostre. Innocua vita Si tragga adunque ; ad
altri il suo si renda; Sii religioso in consesrYar la fede, Stia
la frode lontana, ed abbi ognora Vacua la dostra* dalle stragi.
Solo È permesso ingannar, se siete saggi, Le donne
impunemente. Abbi rossore D’ogni altra frode pur, ma non di questa.
Le ingannatrici inganninsi, che sono La maggior parte di profana
stirpe; Cadan ne* lacci, cbt^ da lor far tesi, l^àrrasi che
restasse un di l’Egitto ^ DelFacqua a* campi salntevol privo Per
ben nov*anni ; allor che al Re Busiri Trasio si fece innante, e mostrò
come Possa Pira placar di Giove il sangue D^un ospite; la vittima
tù il primo Sarai di Giove, a lui disse Busiri, Ed ospite darai
Pacqua all’ Egitto. Falarìde cosi nell’ infocato Toro arder fè le
membra di Perillo, E T infelice autore il primo empiéo L’opera sua. Fu
1’uno e l’altro giusto^ Nè vi puote esser mai legge più equa
Di quella y che a morir l’autor condanna Del tormento inventato. La
tradita Donna si dolga che col proprio esempio Spergiurando
s’ingannan lé spergiuro Meritamente. Utili a te saranno Le lagrime;
con queste anco il diamante Ti ha dato ammollir. Fa, se lo puoi^
Che di pianto bagnate ella rimiri Le guancie tue; se il pianto a te
non scende, Che non si versa sempre a grado nostro^ Tu con la mano
inumidisci il cìglio. Chi mai alle dolci parolette i baci
Saggio non mischierà ? S’ ella ricusa Darli, tu li rapisci,In prima
forse Combatterà ; di scellerato il nome Avrai da lei; ma pur ella
desia Pugnando che la vinca. Sìa tua cura, Che da' rapiti
baci i tenerelli Labbri non sian offesi, o non si dolga Che furon
duri. Quei che i baci tolse. Se il resto non procura, è degno
invero Di perder ciò che a lui fu dato. Quanto Perillo fabbricò un
Toro di bronzo, e lo dor nò a Falaride crudelissimo Tiranno de'Grigeati
in Si cilia, perchè collocandolo pieno di rei sopra il fuo* co )
potesse intendere d^ lamenti simili a' muggiti de'booì. Falaride accettò
il dono y e volle che subito w entrasse Perillo per incominciar da lui il
proposto esperimento» Mancò a far paghi dopo i baci i voti!
Ciò non pador, rusticità s’appella. Benché si chiami forza, è
questa grata Alle donzelle ) che amano sovente Esser forzate a dar
quello che giova. 1 piaceri d’amor, se sian rapiti,
Gode la Donna, e la franchezza ha il premio. Ma quella che poteva
esser forzata. Ed intatta rimase, ancor che in volto Mostri
allegrezza, ha mesto in seno il core. Soffrir violenza Febe e la sorella,
Ma fu grato ad entrambe il rapitore. La donzella di Sciro ìnsiem
congiunta Con l’emonio Guerrier, favola è invero Nota, ma degna pur
d’esser narrata. Dopo la lite della valle Idea Per la lodata sua
bellezza il premio Già la Diva avea dato. A Priamo giunta Dall’
opposta regio Deaera la nuova, E già viveva nell’ iliache mura Come
un’argiva sposa. I Greci”tutti Castore e Pollice rapirono le due sorelle
Febe e ilavra, che Leucippo padre delle medesime aoea date in spose a Ida
e Linceo, Venere per premio del Pomo da lei ottenuto, promise a
Paride Èlena moglie di Menelao ^ e Pa^ rìde la rapì, e la condusse in
Troja sua Patria. Siacome i TVojani ricusarono di render Piena Greci ^
che la richiescr più volte, questi intrapresero contro quelli un
formidabU assedio. Tetide adendo inteso, che il suo figlio Achille
sarebbe morto se andava al* la guerra di Troja, per assicurargli la vita
lo mandò in abiti femminili a Licomede Re di Sciro. Ivi s’innamorò
perdutamente di Deidamia Princi* possa reale, ed ebbe dalla medesima in
figlio il ce* Icóre Pirro. Deir offeso marito avean giurato Di
vendicar V oltraggio, e fero allora D^'un sol uomo il dolor causa
comune. Se noi forzava^ le materne preci. Eterna infamia coprirebbe
Achille, Perchè con lunga veste ascose Tuomo., Che fai, nipote d^Eaco ?
Non sono Atte a filar le mani tue la lana. Con arte ben
diversa ora tu dei Volger la mente alla palladia gloria. A
che questi cestelli ? Il braccio tuo Deve portar lo scudo; e in quella destra.
Per cui un giorno cadrà Ettore, io veggo Or la conocchia ? Del filato
stame I fusi carchi getta, e Pasta impugna. Un letto sol la Vergine
reale E Achille accolse ; ed ivi ella conobbe Che di femmina avea
solo la gonna. Con la forza fa vìnta ; almen sì crede;
Soggiacere alla forza a lei fu dolce. Quando soverchio s’affrettava
Achille, Che altr’armi avea che la deposta rocca. Spesso gli disse:
per pietà t’ arresta. Qual valore or dov’è ? Perchè trattieni Con
lusinghiera supplichevol voce Li’autore,o Deidamia,di tua
sconfitta? Di pudico rossor copre la gota. Se dee la donna far la prima
offerta, lilla Tè grato il soffrirs*altri incomincia. Ah I nella
sua beltà troppo si fida Quel giovine, che aspetta che primiera
Ella lo preghi. Deve sempre 1* uomo Essere il primo ad accostarsi a
lei; Ju uom le sue preci esponga, e le sue r Riceverà
cortesemente. Fréga Che ti voglia accordare il suo possesso;
Ella ha piacer d’ esser di ciò pregata. Fa lor palese il tuo
desio, che Giove Supplichevol si fece ognora innanzi AlF antiche
Eroine, e non fanciulla Offrì preghiere, benché grande, a Giove. Ma
se t’ accorgi che alle tue preghiere Si fa vie più superba, allora
l'opra Abbandona, ed il piè rivolgi altrove. Molte amano chi fugge
^ ed odian quello Che troppo le frequenta; impara dunque A non
tediarle. Nè chi prega sempre Dee del delitto palesar la speme,
Ma sotto il manto d’ amistà velato insinui Amor. Con questo
mezzo vidi Deluse rimaner ritrose e fiere Donzelle, e divenir T
amico amante. Non dee il nocchier, che le marine spume Solca
soggetto alla solare sferza, Candido avere il volto, e pur
disdice Al cultore de* campi, chfe rivolge Col vomer curvo, e con
pesanti rastri Le dure zolle, e per te turpe fia Candide aver le
membra, che il tuo crine Cerchi adornare del palladio ulivo.
Sia pallido ogni amante ; è questo il suo Proprio color ; tinto di
questo il volto Sarai creduto infermo. Fra le selve Pallido errò
per Lirice Orione, Giops, Mercurio, e Nettuno furono henisd*
mo accolti in casa d* Iréo uomo assai povero* Avendo questi domandato medesimi
un figlio, che non dovesse ad alcuna donna la nascita, i tre Ospiti di- E
per ritrosa Najado fu Dafni Pallido L^almà discopra il volto Estenuato ;
nè a schifo; avrai di pórre Sulla nitida ^chioma un pìcòiol manto.
Le cure ^ il duolo ^ le vegliate notti. Che origin traggon dà nn
Violento amore, I Giovanetti estenuai! ; non tf incresca Comparire
infelice, se tu brami Di far paghi-ì tuoi voti,'onde ognun dica Che
ti rimirà: è (Questi unWeto amante. Mi dorrò fbrsè, 0 pur' ti farò
dk>ttò A usar rarti pt^rmessé e le vietate? Ah che amicizia è
fè^^on^nòmf vani i Lodar quella, che adori, al tuo ^compagno, E
perigliosa imprésa, ché se crede Alle tue Iodi, gli verrà vaghezza
D'entrar nél posto tuo. L'atto rea prole Non cercò profanai* d-Achillé 11 letto
vini hagnàti^no della ptopHa ofina la pelle del Toro da lui ucciso per
Viàrio loro in cidoy é assicurarono che da mtella nascerebbe un fanciullo:
JVé nacque infatti Orione ^ che fu un ottime Cacciatore. Non si sa
chi sia Lirico da lui: amata Vedansi le note faU te a questo libro dal
Ckier Néiruio.^ Dafni figlmel di Merèurio rtacque in Sicilia, ed k
VAutore de^virsi buìieeliei. Amando egli una' Ninfa, da cui era ^matà
egualmente, ottenne dal Cielo, che divenisse cieco chi di loro oiolasse
il primo la fede giùtata,Immemore Dafni del voto fatto, j* mnémo rò
d^ uha ritrosa Nomade, e divenne cieco. Quando i Romard soffrivano qualche
incorno^ do di sai ute, si coprivano il capo con un piccol maa- to
da loro iifè/to Piu li alani. Patroclo nipote d^Attore € figlio di
Mentàpo fu amicissimo Achille. Non cercò Fedr^ di sedar T
amico. Di Teseo Piritoo ;aè in altra guisai [ Pilade la consorto
af«(ò à' Oreste, Che come Fcho Palla ^ od il tuo O Tindaro,gemeUo amò ia
suora^ Ma non sperato rionofvatì spesson J Sìmili esempi, se non
spe^ri ancora ; Veder spuntar dal tramarisco i pomi, E in
mezzo al huine ritroTare,il mele. . Quello che è turpe :giova > e ognun
ricerca Il piacer proprio > che divien più grato. Se
altrui costa dolor . Do^e, 8 !:intese Scelleraggin piA grande ? Pel
nemico Non debhi .amante: paventar .soltanto, Ma fuggir dei,
se vuoi viver, sicuro,; . Quei che credi fedeli, e siimi amici. Il
Fratello, il Cognato,, ed il diletto ; Compagno temi ; questa tufba
tutta;, ; Vera ti recherà cagion d^ angoscia. Già
toccavo la meta ; ma diversi. Sono cosi delle Fanciulle^ \i i ’u Che varj mezzi ancora usar si
4enno, Piritoo e Teseo concepirono V uno per Poltro una stima
si f^rànde, ohe giurarono di non àhhan^\ donarsi giammai, o itifMi si
prestarono vicendevole mente soccorso in tutte U occtìrrettoo^ Pirotop ^
querie tunque frequentasse taaasa di Teseo, limita sèmpre la sua
beneoolenaa per Fedra a* sentimenti d* amìci"\ aia e di stima.Pilade
figliuolo di. Strofa ^ ehbé per Oreste un*amicizia con sincera^ ^le.nonjo
abbandonò nel- le più pericolose circostanze a rischio di perder
anche la vita. Castore e Polluce figli di Tindaro amaron la lor
sorella Elena con quell* amore, con cui debbono i fratelli amare le
sorelle. Per adescarle. Non la stessa terra Ogni cosa produce ; atta
alle viti £ questa ; quella vuol gli olivi ; e in altra Lussureggian
le biade. I nostri affetti Varian come nel mondo le figure.
Piegar si sa chi ha senno ad ogni umore; E come Proteo, si farà
nell’ onde ( 67 ) Sottile ; ed or sarà leone, ed ora Àlbero 9 ed or
cinghiale irsuto. I pesci Altri si piglieran col dardo, ed altri
Con r amo ^ e alcuni ancor saranno tratti Àir ampie reti con la corda
tesa. Nè giova ad ogni età lo stesso modo; La vecchia
cerva scorgerà da lungi Le insidie . Se s’accorge l’ignorante Che
tu sii dotto, e ardito una modesta, Si porranno in difesa, onde
avvien spesso Che quella che di darsi a un uom d’ onore Ebbe
temenza, fra gli amplessi vili Giaccia d’ un servo . Parte avanza
ancora. Parte ebbe fin dell’ opra intrapresa ; Fermo qui tenga
l’ancora il naviglio. Arte ^am. c Proteo figliuol di Nettuno era un Dio
mari-^ no, che si solwa cangiare in ^alsivoglia forma y e di qui ha
origine il proverbio: Proteo mutabilior. I3ite e ridite lodi al
delio Nome: La desiata preda è alfin caduta In queste reti.
A’versi miei ramante Lieto conceda rigogliosa palma; Al Vale
ascreo ed al meonio Omero (i) Son Dreferito. Tal di Priamo il figlio
(a) Con la rapita^ a Menelao consorte Trionfante spiegò le bianche
vele Dair armifera Amìcla, e tal pur era Il Vate ascreò è Esiodo ^ e
ph si è veduto al» V annotazione 5 del Lib, /. perchè gli venga dato
uts tal nome. Critei de, ad onta della custodia che ne aveva Vargivo
Creonte^ senza divenir moglie d*alcuno^ divenne madre d^un figlio, che
chiamò Meletigene dal jwmt Me]e«^ in vicinanza del quale parton. Si
sa, che essendo Melesigene accieeato, fu soprannominato Omero, perchè i Cumani
chiamavan con tal nome tutti i ciechi ; ma non si sa se questo
inimita» ìfil Poeta dicasi meonio perchè Meone fosse suo pa» dre, o
perchè da Meone Re de^Lidj fu poscia adot» tato in suo
figlio. Paride figlio di Priamo rapì Elena moglie di Menelao nella
Città d*Amicla, donde la condusse trionfante in T^oja sua patria Pelope
allox che te vinta traeva Sul
carro peregrino, o Ippodamia: Perchè, o giovin t’afFretti ? in
mezzo alPonde Naviga il tuo naviglio, e lungi è,il poxto Più dt
quello ché bramo* A te non’basta Che tratta t’abbia la fanciulla
innanzi Io tuo poeta: presa fu con l’arte; Con l’arte ancora
conservar si debbe. Non vi bisogna già niìnor virtude Perchè
non fu^gan^ritroVatè: è quella Opra del caso, e questa sol
delParte. Siimi propizio, o Amore, e Citerea; E tu, Er^tp pur
V qhe* il ncfme pqrti ': D’Àmor,
m’assisti» pra a cantar m’accipgo Enomao Re Elìde e^ di Pisa senti
coloy, ohe sarebbe eglt-uodid nel ygiorno^ da avesse presoi in isposa la
sua figlia Ippodan^a^ Per allontanare dalla medesima à molti giovani,
che ambivano d'acquistarsi una 5 I belici fttnóiulia in con^ sorte,
gV invitò tutti un giorno a far ^secè il gioco d'una corsa, col patto
che. sarebbe^ irpmancabilmente trucidato chi fosse rimasto vinto da lui,
e che do-^ vesse > chi aveva la fortuna di vincerlo^ sposare
Ip-> podamia. Pelope fu vincitore con Vajnto di bfirtilo, a cui
promise, che. nella prima notte de^ suoi sponsali gli avrebbe in ricompensa
accordato }L dolce possesso 4dla sposa novella. Immernorè egli però della
data parola, e del segnalato servigio a lui reso ^ con^ dusse sul carro
vincitore in trionfo la bellissima Ip- podamia, e quando Mirtilo gli
richiese Vadempirnento delle sue lusinghiere promesse, lo gettò
barbaramente in .mare. Da EpMT«, che in greco idioma significa
Amo-, re, ha preso il suo nome la Musa Erato. Fu essa, madre di
Tamita ^ che cantò il primo di tutti i versi^ amorosi, ed a lei si
attribuisce da alcuni greci ùom-^ mentatòri V invenzion della Éiusica c
del BaUf^ Cose stupende: con qual arte Amore Tener si possa io vi
dirò, bench’ abbia In Vasto mondo ei di vagar diletto. Egli è
leggiero, © doppio p^rta al tergo * OrdÌB‘'*di'jpènbo, Onde' riniporgli
legge È difiScfr impresa. Àvea'aMa fuga DelP ospito Mibos ckiusa
Ogni via, (5) Ma ntì'àmdace sentier trovò con Tali. Poiché
Dedalo chiuse il Minotauro, Giustissimo Minos, disse, abbia £ne
Ora'il’mio esilio, ed il paterno suolo 11 ceder mio riceva. Io non
potei. Perseguitato ogUór da iniqui fati, Vivore in patria,
almen morir vi possa. Se a me ricusi un tal favor, che sono
Carico d*anni ^ lo concedi al figlio, E se al figlio .noL vuoi ^ lo
dona al padre. Queste e molt^ altre ancor cose dicea, • Ma a
lui Minos hón permettea il ritorno. Di sua eVentura cèrto», a se medesmo
Allor Dedalo disse, hai tu materia Onde mostrar Pingegno; e terra e
mare È in poter di Minos: e mare e terra Or ci vieta la foga ; a me
rimane Il cammino del ciel ; questo si tenti l^tdato, come già si è
accennato, fabbricò irs Creta il celebre Labirinto, in cui fu racchiuso
il Sfinoiaiiro. A^endògli' Minos vietato d* uscir da quel^ '
io' f non trovò altro mezzo per ritornare alla patria y se non se di
fabbricar dell* ali congiungendo insieme varie penne d* aòcelii, ed
accingersi in tal guisa a ' 'Volar per il cielo in compagnia d'Icaro suo
figlio. Questi per altro innalzò troppo il suo volo, e preci^ pkò
miseramente in quel mare, che prese da lui ii nome Icario. Sommo
Giove, perdona ^ questa impresa: DelP Empireo stellato non aspiro
Già le sedi a toccar ; sol questa strada Onde fuggir dal mio Signor mi
resta* Se Io stìgio sentiero a me si mostri, 10 r onde
stigie varcherò • Debh’ ora I dritti rinnovar di mia natura.
I mali aguzzan 1* intelletto. E quando Si avrebbe dato fà che un
uom potesse Premer le vie del cielo.? In ordìn vario Dispon le
penne, che per V aria sono 11 remo degli augelli ; e unisce
insieme Con del ritorto Un 1’ opera lieve. Con cera al foco
sciolta insieme accoppia Le parti estreme ; e già della nuov’ arte
Era venuta la fatica a fine; Ma intanto che trattava e penne e
cera. Rideva il figlio, ignaro che quell* armi Sarian la sua difesa
al tergo unite. Con tal naviglio, a lai diceva il Padre,
Si può alla Patria far ritorno ; in questa Guisa fuggir Minos, che
ogni altra chiude Fuor che T aerea via « Tq che lo pupi, Con questa
ch’io inventai arte novella^ Fendi gli aerei spazj ; ma la vista
Della Vergin tegea, e del compagno
Calisto i Licaone Ra d* Arcadia ^ è soprannominata Tegea, da
una Città di tal nome soggetta alV impero del padre della medesima.
DaU V illecito commercio, che ebbe essa con Giope, diede alla luce
un figlio chiamato Arcade, e fu da Giunone per ciò tra^ormata in Orsa ad
oggetto di ven* dicarst deW infedele suo sposo ^ il quale la collocò
in oielo fra le stelle col nome, che ancor oggi conserta, d’Orsa
Maggiore. Di Boote Orion cinto di spada Tu dei fuggir • Con V apprestate
penne Mi segui ; io ti precedo, e sia tua cara Batter^ V isteasa
via ; da rae guidato Incolume sarai, li’aeree strade Se calcherem
troppo vicini al Sole, Al suo caler si scioglierà la oera;
Se al mar propinqui batterem le pennei Da’ vapori del mar saran
bagnate. Spiega il tuo voi fra ^1 Sole e il mare; i venti Pur
anco temi, o figlio ; e all’ aure in preda Dà le tue vele allor che sian
propizie. Mentre in tal modo V istruisce ^ ài figlio Il lavoro
dispone, e mostra come Muover lo debba: in guisa tal la madre La
pennuta ammaestra inferma prole. L’àJe poi di sua man per se
costrutte Accomoda al suo tergo, e nel novello Cammin timido libra,
in aria il - corpo.. Allor che al volo si accingeva, al figlfo Diò
molti baci, e le paterne gnauce Furon di calde lagrime bagnate.
Sorgea sul piano un colle assai minore Del monte, e quivi V uno e
l’altro corpo Si diede in preda a perigliosa fuga. Mentre le penne
sne Dedalo move. Quelle osserva del figlio, e ognor sostiene In aria
il corso Icaro si diletta Del
novello sentiero, e ornai deposto Orione figlio Ireo ( annot.) Untò
di dare un disonesto assalto alla casta Diana ; ma essa lo fece uccìdere
da uno scorpione, e poi mossa a pietà lo trasmutò presso a Boote in una
costellazione fatta a guisa di spada Ogni timor con arte audace
vola Più ibrtemente. Un che insidiava a’ pesci Con la tremula
canna, alzato il guardo, Li vide in ariane abbandonò P
impresa. Già da sinistra avean passato Samo, E Nasso e Paro e
Delio al clario Dio Sommamente gradita ^ ed alla destra Si lasciar
dietro Labioto, e Calìnna Per selve ombrosa, e Stampaglia di guadi
Feraci in pesci cinta, allor che il figlio Temerario con troppo incauto
ardire Spiegò senza ìL suo duce in alto il volo* S’allentano
i legami ; al Sol vicina Liquefassi la cera, e i .tenui venti Male
sostengon le commosse braccia. Dal sommo cielo spaventato il
guardo Rivolse al mare, e dal timor già sorta Si offro al suo
sguardo tenebrosa notte. Si liquefò la cera, e i nudi braco!
Dibatte ; trema ; e ìnvan ricerca il modo Di sostenersi *« Cadde, e
o padre, o padre Gridò cadendo, via son tratto, e T onda Cerulea
chiuse al suo parlare il varco. Ma Pinfeiice Padre.(ah non più
padre!) Icaro, grida, Icaro, dove sei? Sotto qual asse voli ?
Icaro grida, £ nuotanti sul mar mira le penne Copre P
ossa la terra, è prende il mare Il nome suo • Minos già non poteo
D’ un uoni frenarle penne,ed io m’accingo Un Nume alato a trattener? S*
inganna Cfii fa ricorso all’ arti emonie, e appresta Dalla tenera
fronte del cavallo Lo svelto a forzalppomane. Non Verbe ( 7 )
Pon di Medéa far viv*?re l’amore; Non 1 Tharsfejj^ncàntesmi . Se
potesse Una tal'arte ptolàligàrto, avria ' Medea Giasbn',
Cfrcfe teénto Ulisse . ( 8 ^ Nè i pallidi apprestati*
éill%*dónzelle F'iTtri* Valséro { aU’alrne Son nòcivi, Ed inspirai) farot
.'Ogni delitto Vada put lungi ; se attti essere amato, Amabile ti-
ttióstraf I a: ciò^ nTort giova * Solo’ le^ menibtk àlve'r’by^^ e
là-faècia. ^ Sii pur Nireó tfaro^ ^11’ aiitibd^ Omero ; ' ^. t L ; >(Q^^àevano gli an tichi,
e fra questi ancora Pii- nio ea Aristotile, che si potesse
còncìliar l*amore per mezzo éAl^lppòinsLne, cioè di qtàel pézzetté
rotondo di carrie .nera ^ che han\ sulla, fronte iì cavalli nati di
fres^qp, Jfa Mars^ figlio^^efia/venefica Circe^^ t^aj- ser l a lo ro orig
ine i M ar si. Abitarono questi popoli m lidlia non fontani,àa Uòma ^e Jfùrorio~reputati,
èc- celleràPneWarte dellc^ ' niagìq:,iÌÌe«/èa \e Circe fdronp dii^
ihsiAni Ma^he ^ je insieme due a^passioriaté 'mài. cohisposte
dmànii\ poicHè 'fiorì pótérono có'loro magici incanti trattenere
Ùiasoné\d Utisse i che amavano tèneramente,
t Filtri preparati dalle Maghe, eran composti di fichi salvatici ^
éP uòva e di penne di civetta, di * sangue e di. pòlfnone di ranocchie, e
d*os5Ì di cani e 'di serpenti'Sventrati. Lèggasi ài Libro quinto V
Ode 'd*Orazio cprìlró Canidia. Nireo], nafo dd Aglajd e dal Re
Cecrope, andò alt*assedio di Trojq ; e vien da Omero nel Li-* hro
secondo dell*Iliade lodato per la sua sorprenden^ te bellezza. Ercole amò
sommamente Ila figliuol di ‘Teodamahte, c lo condusse con se, quando
navigò alla volta di Coléo. MetltP era iri viaggio lo mandò un
giórno ad attinger Vacq.ua dal fiume Ascanio nel’» la Misià ma essendo
ivi disgraziatarkente caduto^ han finto i poeti, che fosse rapito dalle
Nufadi Dea de*fiumu O il tenerello un giorno Ila rapito Dalle callide
Najadì: se brami Conservarti Y amor della toA donna, E non
vederti abbandonato, aggiogni Deir alma i preg) alla beltà del
corpo. È la beltade un ben caduco e frale, Che con gli
anni decresce, e a un fisso tempo Fugge mai seiupre • Le violette^ e i
gigij Non fioriscono ognor;Ia spina, ^ cui Colta la rosa sìa,
rigida viena*,^ ^ ' Vago garzon, i tuoi capelli un giorno Verranno
bianchi, e il corpo tuo le rughe Ti solcheranno . Formati ed
aggiungi Alla beltade un animo che ^uri: Sol ei riman fino
agli estremi roghi* Ni sia rultima ina cura con Farti Ingenuo
Padornarlo ^ e di due lingua Renderlo dotto . Non fu bello Dlisso,
Colisse t figlia, come credono alcuni, delVO* etano e dì TeHde, accolse
cortesemente il naufrago Ulisse nell* ìsola Ogigia, ov* essa regnala.
Dimorò questi per sette anni con la Ninfa suddetta, da cui ebbe
varj figli, e poi fu costretto a dividersi da lei per comando de*Numi,
quantunque non lasciasse elìa alcun mezzo intentato per ritenerlo sempre
appresso di se. Reso Re dei Traci detto odrisio perchè cornane dava
alla Traqia nazione degli Odrini, e sitonio^ perchè anticamente la Tracia
^si chiamava Sithon, fu ucciso da Ulisse e da Diomede, mentre
andava con un esercito in soccorso di Troja. D* ordine de*suoi
Troiani si portò Dolone ad osservar gli andamenti dell*armata de* Greci ;
ma incontratosi con Diomede td Ulisse, che pure osservavano la condotta
del cam^ po Trojano, svelò a*meiesimi, dopo d*aver preso Vim^
punita y tutte le più segrete determinazioni de* suoi concittadini.
Volendo egli poi per premio i cavalli emonj d*Achille, fu ba^aramente
trucidato da Ulio^ se e Diomede uccisori di Reso Ma facondo ; c per lui
ferito H petto Portar* r equoree Dive. Oh quante volte Di sua
partenza si lagnò Calisso^ E dicea che non atte erano a* remi
L’onde del mar! Oh quante volte udire Bramò di Troja i casi, ed ei
sovente Narrò lo stesso con diversi modi I Stavan sul lido insiem,
quando la bella Calisso ehiese la dolente istoria Del Duce odrisio;
ed ei con tenue verga ( Mentre a caso la verga in man teqea ) Finge
Popra richiesta in sull’arena. Questa» le^disse, è Troja (e fe’sul
lido I muri) . È questo il Simoe,e queste fingi Che« sieno le mie
tende . Il campo osserva (E intanto lo disegna) che col sangue Sì
sparse di Dolon, quando gli emonj Cavalli scaltro d’ involar
procura. Fur del sìtenio Reso ivi le tende; In questa
uotte da i deitrier rapiti ^ Fui strascinato . Dipingea più cose,
Ma improvvisa del mar onda furiosa Via trasse Troja, e col suo Duce
ancora . Le trinciere di Reso. Allor la Diva, Vedi quai nomi
s’inghiottiron Ponde^ £ vuoi che al tuo cammiò sieno
propizie? Ardirai dunque di fissar tua speme In fallace fij^ura? e
più del corpo Altro tu non avrai solido e degno? L’accorta
compiacenza a noi concilia Gl’ animi, ma l’asprezza e le severe
Parole contro noi muovon lo sdegno. Si ha in edio lo sparvier, perchè tra V
armi Traggo sua jriU, e i lupi che assalire Hanno in costume il
timoroso gregge. Mite è la rondinella, e innocua vive
Dall’insidie dell’uomo ; e l’alte torri Abita là colomba a lei
gradite. Vadali lungi le liti e i detti amari; Con soavi
parole amor si nutre. Stia la discordia tra marito e moglie;
Si faggan questi, e credano a vicenda Di difender lor dritti • Ciò
conviene Alle tnògli/che ognor funesta dote Recan di lìti . Il
dolce suono ascolti Degli • accenti bramati ognor V amica; Legge
non havvi per gli amanti ; in loro^ Ìj amore è legge • Parolette grate
Reca, e dolce lusinga à lei 1’ orecchio. Onde alla vista tua lieta si
faccia. Non io d^ Amor maestro a’ ricohì parlo. Che chi pnote donar
> dell’ arte mia Non abbisogna • Chi quando a lui piace, Prendi
j può dir, non manca mai d’ingegno. Cedere a Ini dobbiam, che più
gradito Sarà dell’opra nostra. Il vate io sono J>e’ poveri, dhe
ognor povero amai. Dar doni non poteva, e diei parole.
Cauto ognor sìa povero amante, e tenga La lìngua a freno, e soffra
quel che un ricco Non soifrirebbe . l^el ponsier mìo torna, Che
irato aia di delia mia Bella feci Al crine oltraggio . Un tale sdegno ah
quanti Giorni mi fe’ passar pallidi e tristi I Noi credo, e noi
compresi, che la vesta Io le stracciassi allor, ma lo diss’ ella,
£ comprarne altra a me fu d’ uopo. O voij Che avete ingegno, del
Maestro vostro Fuggite il fallo, e né temete i danni. J8ia la
guerra co’ Parti, e ognor la pace Con l’Amica diletta'. Usa gli
scherzi, E tutto quel che favorisce Amore. Se a te che
l’ami, docil non si mostra Qual vorresti e cortese, il suo rigore
So^ri costante, e diverrà benigna. La forza usando, il curvo ramo
frangi, Che con dolcezza addirizzar potevi. Varcasi 1’ acqua cón
pazienza, e malo Vìnconsi i fiumi, se pigliar tu tenti Contrarie
Tonde rapitrici k nuoto. I numidi leon, le fiere tigri Pan le
lusinghe mansuete e miti; Ed al rustico aratro la cervice /
A poco a poco sottopone iJ toro. Dell'arcade Atalanta e chi più
fiera. Mostrossi mài? Eppur quella crudele Soggiacque anch’essa al mèrito
d* un uomo, Narra la fama, Melamon piangesse, Sotto un arbor
giacente all’ombra, spesso Suoi tristi casi e la crudel Fanciulla.
Spesso* portò le ingannatrici reti Sul vinto collo, e con spietato
ferro L’arcade Atalanta, figlia di Jasio o d’Aban^ te, fu
un.’eccellente cacciatrice,e si fe* compagna di Diana per consertare
illibato il candore della sun verginità, Finta essa p<ù dalla fedele e
lunga servitù prestatale da Meleagro o da Melanione, si abbando^ nò
finalmente in braccio ni medesimo, ed ebbe in fi^ glio il celebre
Partenopeo, Sono tra loro cod diverse le memorie .a- noi lasciate
dagli antichi scrittori riguardo a Melanione 0 aid Atalanta, che è
impossibile il dar de’ medesimi «Hit distìnta notizia Uccise spesso i
barbari cinghiali. L’arco teso d’Ileo soffri piagato, Ma
conoscea più ancor 1’ arco d’ Amore. Non vo’che armato le menalie
selve Tu salga, e che le reti al collo porti; Hò già
t’impongo il petto alle vibrate Saette espor • Dolci più assai
saranno, Se udir mi vuoi, dell’ arte mia le leggi. A
lei che è ripugnante, ognora cedi; E vincitore partirai
cedendo. Eseguisci fedel ciò eh’ ella impone: Biasma Quello
che biasima, ed approva Quel che le piace, e il suo parlar seconda.
Di rider ti ricordo al riso suo. Di piangere al suo pianto, e i
moti ancora A suo piacer del vento tuo componi. Se giocale
nella man P eburneo dado Agita, tu ancor l’agita, e lo getta (14)
Oltre il gioco de* dadi era presso i Romani in uso quello dclVAlìosso
detto da loro Talut, che con^ sistema in piccoli quadrati d*osso j ne*
quattro lati de* quali erano notati separatamente i numeri uno,
tre, quattro, sette. Doleva pagar senza lucr^o una mone^ ta chi
avesse gettato l* uno, che chiamatasi Ganis o Òanicula. Guadagnata sei
monete e ciò che ateta perduto nel gettare il Cane chi scoprita la parte
op* posta all* uno ^ cioè il sette che ateta il nome di * Yenns o
Gons,* ne guadagnata tre chi gettata il Seniofper cui intendetasi il tre,
e quattro chi ates^ se rappresentato U Ghio, che esprimeva il
numero quattro. Si rileva da**latini Scrittori che fu VAliosso
giocato anche ditersamente ; ma basta per la chiara intelligenza di
questi versi U sapere che erano i Cani dannosi ^ mentre esprimevano l*
ano ^per cui si dote^ va senza lucro pagare una moneta. Il Gioco, ohe
rasfvmbra a guerra, è, come facilmente ri QQtnprew* dp ^ qugllo degli
Scacchi, In modo cV«lIa vinca. L’Àliosso Se trae, farai in maniera
cbe la pena Non soffra d’ ^sser vinta, e tuoi saranno Sempre i
dannosi cani ; e s’ ella' pone Opera a gioco « che rassembri a
guerra, Fa cbo perisca dal nemico vinto Il tno soldato. Sulle
verghe steso Tieni r ombrello, e, nella densa folla Per dove idee
passare, il varco l’apri; Vicino al letto non t’incresca porre Lo
scanno, e fai piede dilioato togli E riponi la scarpa .iDei sovente. Benché
ti prenda orror, della Padrona L’algente,mano riscaldare al seno.
Non creder turpe, henchè a te rassembri. Con destra ingenna
sostener lo specchio, Se a lei ciò piacerà. Chi ’l fiero sdegna
Otaneb.della matrigna in domar mostri. Che ora è nel Ciel, ohe
primo egli sostenne. Si crede, tra Ife joniche Fanciulle Che
tenesse il cestello, e che filasse Rnstiche lane . Si l’Eroe
tirinzio Servi all’impero d'una Bella ; or dnnqne Dubiti di
soffrir ciò eh’ei sofferse? Se ti comanda esser presente al Foro
-Previeni 1’ ora del comando, e sempre ^eoU ' mnst valorosamente (
Annoi.) tutu s mostriyche contro di lui suscitò la tua rnatngna Giunone,
e sostenne sulle sue spai- ad Atlante affa- incarico.
Innamoratosi egli poi dH)n- '‘iff reale della Lidia, vestì abiti
femi- mh, e m qualità d’ancella iella medesima filò vilmente l»inne
con quella man valorosa, con cui per le rmrabilt sue gesta s’ era colmato
di gloria. Ne partirai più tardi • Se ^t* impoiàfe Di gire in altro
loco’, ogni altra cura Lascia da parte, corri ^ uè la turba ''
LMutrapreso cammìti trattenga, e còma ‘ Servo, sé vuol, tu Taccompagna a
Casa- Tolte le mense, e^già sorta^ la liOtte; > Se fosse in
villa,*e tf dicesse: vr<eni> Col piè premi la via, se manca il
eocebiò, Che Amor odia gl’inerti . Il btiitasoosò Tempo nè la
Canicola assetàtai ^ ' n / Nè per scaduta nòve il sentìev biénco -
p’ ostacolò ti aien ^ Simile a gòfei/ra * ^ E r amore, da cui vadano
lungi ' I codardi . Nò, sotéo tali itìsegné* II timid’ uòmo
guerreggiar tiòu' debbe* La notte, il verno, disastrose strade, '
’ Dolor cocenti, e ogni altr’aspra fatica Racchiudono que’mòlli
ttccampaihetttli* Di pioggik dalle untole tìiscioitu'^ Ben
spesso intrisa avrai la -veste,-è‘Spesso Gelato giacerai sul nudo
suolo." Dicesi che dì Cinto il'Nume' nu giorno (i 6)
Pascesse le ierée vacche d’ Admeto, £ s’ascondesse in umil
capanna.' A chi non converrà ciò che coriTenné ‘ Apollo, che
dicesi i/-Nuine- 4 ì'Cinto fper^hè ( Ànrvot. 1^9. del Lib, /. ) nacqueove
giace 4 in tal monte y sentì il pin, intenso, dolere ^ quanda Giove
fulminò Esculapio di, lui figlio, perchè faceva rivivere i morti con V
ajuto della -Medicina. Per veti^ dicenrA pertanto in qualche maniera d*
una tale ingiur- ria, egli uccise i. Ciclopi y che fabbricavano le
saette a quel Nume supremo, il quale lo spogliò per ques to della
divinità, e lo costrinse a pascolar le vacithe 4 * Admeto Re de* Ferei in
te staglia^ A Febo ? O ta, che in lungo amor ^impegni, Il
fasto lascia • Se un cammiii seeuro £ facil ti si nega, e se alla
porta Ritrovi impedimento, allor t’insinua Dal precipizio d’ùn
aperto tetto, O da ascoso sentier d’ alta finestra.
Lieta ne fia, quando del tuo periglio Intenda la cagion ; di certo
amore Sarà per la tua Bella un grato pegno. Spesso potevi dalla tua
Diletta Star lontanerò Leandro, ma varcavi ( L’ onda del roar, perchè le
fosse noto L’ amante core • Guadagnar l’ancelle Non abbi a vile, e
in special modo quella. Che sarà favorita, e ancora i servi.
Non temer d’ avvilirti: ognun saluta Col proprio nome, e alle lor
destre umili, Ambizioso, d'unir cerca la tua; Ma al servo che
ti prega ( è lieve spesa) Porgi piccoli doni, ed in quel giorno
Pure air ancella, in cui restò ingannata Leandro amò Con tal forza Ero
Sacerdotessa di venere, che spesse volte varcò VEllesponto per
visi^ tarla. Essa accendeva Una fiaccola sopra una torre, affinchè
potesse il suo Amante camminar piu sicura^ mente, e quando intese, che
era il medesimo misera^ mente annegato, si diede in preda aW ultima
dispe-* razione, e slanciossi intrepida nel mare, Ai q di
Luglio celebravasi in Roma splendi--^ damente una festa, a cui
concorrevano le Servé‘ ve^ stile a Matrone romane, in memoria delV util
servii gio che avevano esse in tal giorno prestato alla Pu^ tria.
Ecco ciò che ne dice il Macrohio, Post Urbe in captam, cum aedatus esset
gallicus motus, res vero publica esset ad tenue reducta, Finìtimi
opportuni- Da veste maritai gallica truppa, E che pagò d’ un
folle ardire il fio. Ti fida a me ; fa tua la plebe, e sempre
Sia fra (juesta V ascierò, e quel che giace Sulla porta del Talamo . Io
non voglio Che ricchi doni appresti alla Padrona; Piccioli sian, ma
convenienti e accorti. Mentre è ferace il campo, e mentre i rami
Piegan pel peso di mature frutta. Porti fanciullo in un cestel gli
agresti Doni, e dir ben potrai che da una villa Suburbana ti
vengano, quantunque tatem invadendi romani nominis aucupati
praeferant sibi Postlmmium Livium, Fideoatiam Dictatorem, qui,
mandatis ad Senatum misis, postalayit, nt si yelleut reliquias suae
ciyitatis manere, matres fa* Hiilias sibi et yirgines dederentur . Cumque
Patres esseat in ancipiti deliberatione suspensi, ancilla nomine Phìlotib
teu/ Tutela, poilicita est se cum cae- teris ancillis sub nomine
Dominarum ad hostes ita- ram: habituqae matrnm familiat et yirginum
sumpto, hostibas cum prosequeatium lacrjmis ad iidem dolorii iogestae
sunt. Quae cum a Livio in castris di- stributae faissent, viros plurimo
vino proyocarunt, diem fbstum apud se esse simulantes. Quibus sopo-
ratis, ex arbore caprifico, quae castris erat proxima, signum Romania
dederunt, qni oum repentina incursione snperassent ; memor beneficii Senatus,
omnet ancillas manu jùssit emitti, dotemque eis ex publico fecit,
et ornatum quo tunc erant usae, gestare cou- cesfit, diemque ìpsum Nonas
Gaprotinas nuncupa- yit ab illa Caprifico, ex qua signum yictoriae
coe- perunt, sacrificiumque statuit annua solemnitate ce<-
lebrandum, cui lac, quod ex Caprifico manat, propter memoriam facti
praecedentis adhibetur. Questa è la fedele esposizione del fatto, d cui
non pare che si uniformi il Poeta Tu gli abbi compri nella laera via. (
19 ) Rechi pur Tu ve » e le aastagne care Un giorno ad Amafilli, e
che ora a vile Parehè dono legger avrebbe anch* esso, Co’t^rdi pure
e con ghirlanda mostra Che memor vivi della tna padrona. Si compra
turpemente con tai mezzi D’orbo vecchio l’affetto, e la speranza Di
godere i suoi beni. Ahìperan qnelli Che Così vii disegno a donar
move. E che ! t’insegnerò teneri versi Io diluviar Fa me lo
credi, i carmi Non ton molto graditi ; e benché Iodi Ottengano
talor, maggior lusinga Han gli splendidi doni: Un ricco piace Ancor
che nato in barbara contrada. Questa è per vero dir l’età dell’oro^
Giacché con Voto compransi gli onori, Criacchè con V oro piegatisi le
Belle. Se tu medesmo con le Mute, Omero, Venga privo di doni,
ab ! tu seaeciato Sarai di casa. Di fanciulle dotte ^ Havvi
turba rarissima, ed un’altra. Che sé reputa tal benché
ignorante, L’une e l’altre s’encomino co’versi^ Che
ottengan dal lettor lodo pel suono Facile e lusinghiero \ a queste e a
quelle Tenue e da aVersi a vii sembrerà dono In loro onore vigilato
carme. ^ Usa in maniera ché V amica ognora VendéQasim Ronia
ogni torta di frutti e d*al^ tri generi nella Via sacra, che acquistotti
un tal nóme, perchè furono ivi conclusi con gran^ sagrifizf i patti fra
Romolo e Tazior A far ti preghi quel che util ti sembra, E che
far già volevi. Se promessa Abbi ad alcun de’ Cuoi' la li ber Cade,
Fa pur elisegli la chiegga alla padrona. Se ta rimetti al
servo il suo delitto,^ Se le catene sue dure disciogU, ;
Te ne sia debitrice. ^ A lei la •gloria> A tediatile
venga. Sul:tuo eore Mostra ohe elFabbia un prepotènte impèro^ Ma
illesi serba ognora i dritti tuoi. Tu che nutrì desio della tua
cara ' ^ ^ Consfetvarti V amor, fà oh’ ella pensi Che tu
getonito sei di sua Heltade.* Se le sue menàbra in vtiria veste
avvolga, Le sii largo (U lodi, e se le doe ' . Cinge, dirai che
accrescono i suoi Veazi. Se poi s* adorna con aurata veste, *
Dille che più splendente èli’è dell’ oro. Se prende la
pelUcela, e tu T approva; * Se la tomita lieve, allora, esclama '
Che, desta incendj, e con ièmmes^a voce Pregala che schivar proeuii
il. freddo. Sia il orine in duo diviso, oppur da oaldo Ferro
ritorta, tu dirai: mi piace. Di lèi, se.danai, ammirerai
le,braccia, Di lei, ^ canta, 1* armoniosa voce,. ' E a lei
dimostra con dolèntii note^ Perchè fpresto diè fine, il tuo
scontento. Loda gli abbmcciamenti,:e in suon piètoso E querulo ie
mostra con KJUéiI foraa ..Presso i Homani eruno cortamente i servi in una
condizione sì miserache (^iputavansi fortuna^- a, quando i padroni per un
effetto di^somma cUmon^n accordavano loro la liberty, ^
-, D’insolita jilaowrfe: il. cor t’inonda. Gon questi-
un4incoc che-|}iù. violenta Foss’ ella di Medusa ^ e indite: e giusta
(ai) Dìvetrài.co», l’ ansante,* Sia .tua cura - Di non sembrane
-iagantiatore ; e il volto Kon distrugga i tnoi> detti. Ascosa
Térte Giova j e svelata la vergogna apporta, E Ii^ tfe. 00»
ragiOp j toglie per. sempre. Spesso Sotba l’ÌAu)tjnA0tì,( iiti quella
bella Parte dall’sanitOf,-^ cui vosaeggia Priva Del purpureo, lioór
; rieolnta » quando Il freddo,«cura la?f»reiuej ed era il «aldo La
soioglie,). Pìncostante. aere d cagione Di languore, alle-metubra,*
Elhi^pur viva Sana, masO'.inat giaceja-in, letto in ferma.
Soffrendo. ..drd tmaligqogciol V Infinstoi La tua pìetade:;ecP
AQt^ctW> palese Sia alloca .alla fanqiullaj^ fi getta il aenae
Di ciO .cbe mieter, debbi, a larga falce.' Nè del liingaauo mal poja',ti,
prenda^, E faccia» le tue man cid che permette. Te rimiri
piangente, ed i .tuoi baci: Non
r.inore«qa;S<^l-Ìr,;'flon arse labbia, Beva il tàO ;piantp,. 4 Ì»
.ciel voti farai. Ma ognor,.palesi,,e di narmr: ti .piaccia
Be» spesso,fausti' sogni..:Àn| sua'magione Guida la-ivacohiarella, che
con ?ìolfo iaa) (ai) ]ffedasa figlia di Forci^'ed ufl'a delle tre
Gorgoni, incontrò-lo tdogn» di Minerva, perché à prestò all’ impudiche
iooglie, di Nettuno • nel Tempio della medesima* Questa Dea le trasformò^
pertanto i capelli in serpenti, e fece si che fosse convertito in
-sasso chiunque ardiva di riguardarla. (ìa) ponducivàn gli
antichi le vecchiarelle nello àuse d^gV frifermi, affinché con le lor
preghiere di Purifichi la stanza e insieme il letto, E con tremola
man T ova le rechi. Di tua premura avrà cosi 1* amica Kon
dubbj segni, e con tai mezzi molti Far dalle Belle istituiti eredi.
Ma deir inferma per soverchia cura Deh non volerti procacciar
lo/sdegno; Àbbian tuoi dolci uffioj il lor confinej Non le vietare
il cibo ; il tuo rivale, • E non la destra tua* pòrga la
tazaa Colma de* succhi amari. Or che n^ll* alto ^ Del mar solca la
nave, usar non dei Lo stesso vento, con cui già dal lido Le vele
hai sciolto. Mentre Amor va errando Novello ancor, con Taso forza
acquisti; Stabil verrà, se lo saprai ' nutrire. Ebbe vitel le
tue carezze il toro, Che or è de'tuoi timori oggetto, e Talbore,
Sotto cui posi, un di fu tenue ^etga. Nasce povero d'acque il fittnré, e
forza Acquista nel suo corso, e dà Ogni parte Gli vien tributo di
novello umore. S’accostumi con te, che nulla puote Più di tal
cosuetudiue giovarti. Mentre l’adeschi, a te grave* non sia
Di soffrire ogni tedio • Abbia te sempre Dinanzi al guardò ; ognor tuoi
détti ascólti; La notte e il di le pinga il volto tuo* Ma
quando poi sicura avrai fiducia Di poter esser ricercato, allora
Scacciassero Sa quelle, gli spettri. Epicuro deve soffrire i
rimproveri degli Stoici, e VOratore Eschino quei di Demostene, perchè
avevano le lor madri Ulk simile impiego che riputavasi vile Vanne
pur lungi, che la cura sua Sarai benché lontan . Prendi riposo;
Ciò che s’afBda al campo riposato Bende ei ben generoso e l’arsa
terra Bey e l’acqua del ciel. Finché pxesente Fa a Filli Demofonte, il di
lei seno Senti mediocre amor, ma in vasto incendio Arse allor che
le vele ci diede^’ venti. Mentre vivea lontan l’astuto UÌìsse
Penelope soffriva cura mordaeCr Tu ti dolesti pur, Laodamla, Lontan
Protesilao. Brieve tardanza £ mai sempre sicara. Allevia il tempo
11 dolor dell’assenza ^ e dal pensiero e dà loco a nuovo amor 1’
assente* Mentre tu, Menelao, stavi lontano Fillidt, figlia di lÀcurgo He
di 'Tracia, rice* Vè cortesemente nella Reggia e nel letto il
naufrago Demofoonte figlw di Teseo. Quandi egli partì per % Città
d* Atene ., colera chiamato dalla cupidigia di regnare, le diede parola
di ritornarsene a lei dentro un mese . Aspettò Fillide lungo tempo il suo
caro sposo, e poi afflitta e disperata per la tardanza di lui, si
tolse da se stessa crudelmente la vita. È noto il verace affetto
che aoea Penelope pet Ulisse suo spesole però si può facilmente
comprendere quanto fosse vivo il suo dolore per la lunga dimora che fece fi
medesimo alV assedio di Troja. ^uS^ Laodamia amo sì ardentemente
Protesilao detto in latino Phyllacides daFilaco.4uo avo, che fu sempre
occupata dal più vivo dolore mentre era esso al- V assedio di Troja, e
fece far del medesimo dopo la sua morte, una statua di cera, che ogni
notte pone- vasi nel letto quando vi andava a dormire.
Menelao trovavasi in Vreta, ove .l* aveano richiamato i suoi affari,
quando Paride di lui confi- mcpte gli rapì la bellissima E.lena pia
consorte Sulle piume giacer sole non volle Siena, e nella notte al caldo
seno l)eir ospite fu striata. E chi mai puote Di ciò nutriremo
Menelao, stupore? Solo partivi, e nel medesmo tetto Era la
moglie e T ospite. In custodia T,ii folle le colombe al. falco
fidi, Ed al montano lupo il pieno ovile? Siena non ha
colpa, e non commise L’adultero delitto ; ei fece quello Che tu
faresti, e che farebbe ognuno. Ad esserti iiifedel la donna
sfórzi^.j Se il tempo e il loco a lei concedi. Quale
Oonsiglio ella usò mai se non il tuo? Che dovea far ? Il suo
marito è lungi, Ed un amabil ospite presente, E giacer
sola teme in vacuo letto. Ciò a Menelao era noto. Io dal
delitto Siena assolvo ; usar volle di quella Libertà, che il marito
a lei concesse Cortese c umano. Non così feroce Flavo cinghiai si
mostra in mezzo all’ira Contro i rabidi cani, allorché il dente
Fulmineo rota, nè così lionessa Che a’cari figli suoi porga le
mamme, Nè da piè ignaro vipera calcata ; Coni’ àrde e
mostra 1 ’ agitata mente Donna che la rivai trovi nel letto Del suo
consorte: e corre, e dà di piglio Al ferrò e al foco, e ogni decor
deposto, Rassembrà una Baccante. La spietata Medea nel sangue vendicò
de’figlj fay) Vedaii V annotaz.
del Lib Del marito il misfatto ^ ed i violati Dritti di sposa.
Àltr^empia genitrice, Mirala in rondinella trasformata. Or di
sangue macchiato il petto porta. Tali delitti sciolgono V amore
Meglio composto e più costante ; e cauto Gli dee r uomo fuggir, gli dee
temere. Nè ad una sola donna io ti condanno; Portin migliore
augurio i sommi Dei ! Così rigida legge appena puote Seguir
sposa novella. Abbiano pure Loco gli scherzi, ma celar ti piaccia
Sotto furto modesto il fallo tuo. Da cui già non voler cercar la
gloria. Altra non mai conosca i doni tuoi; Nè prefigger tu
dei 1 * ora medesma Agli amori furtivi, e in un sol loco Condur le
belle, onde non le sorprenda La donna tua ne’ noti nascohdiglj ;
E quante volte scrìvi, i fogli osserva; Che molte leggeran più
assai di quello Che tu loro scrivesti. Amante offesa Move bene a
ragion Tarmi, e sovente Come a lei desti, a te di duol dà causa.
Mentre il figlio d'Atréo fu d’ una sola (29) Ov. Arte d^am. d
Progne figlia di Pandìone, e moglie di Teseo ^ fu dagli Dei cangiata in
Rondine, perchè vendicane dosi deW ingiuria recata da Teseo a Filomena di
lei sorella, uccise Iti suo figlio ^e lo apprestò al Padre
barbaramente per cibo, Agamennone rapì Criseide figlia di Crise
cerdote d*Apollo, il quale in abiti sacerdotali si portò inutilmente dal
medesimo per ricuperarla j tolse Bri* seide ai Achille ; e condusse poi
in Grecia Cassandra Contentò e pago, quella visse casta. Ma
per i vìej del marito poi Divenne infame. Inteso avèa che Crise, Le
fasce in capo e il lauro in man portando, Ottener non potè 1* amata
figlia. Inteso avea il tuo ratto, il tuo rossore, O
Briseide, e per quai turpi dimore Fosse la guerra prolungata.
Queste Cose la fama a lei narrava. Vide Con gli occhi prhprj poi la
figlia stessa Di Priamo: vincitor fosti ad un tempo E preda, o
Agamennon, della tua preda. Nel cor, nel letto ricevè ella poscia
Il figlio di Tieste, e vendicossi Così de’falli del marito infido.
Gli amori tuoi tener cerca nascosti. Ma se fian noti e
manifesti, sempre Però li nega, nè ti mostra allora Nè più sommesso
o più giocondo: reo Ti fa ria ciò scoprir. Novelle prove Le dà deir
amor tuo. Queste il sostegno Son della pace. La tua prima amante Fa
che di ciò non abbia unqua contezza. Havvi chi la nociva erba
consiglia Santoreggia di prender; ma ciò stimò Atro veleno.
Mischian altri il pepe Nel seme dell’ortica, e nell’ annoso Vino
tritano il callido pilatro., figlia di Priamo, la qual fu a luì
concassa nella di* Vision della preda. Clitennestra sua moglie, e
figlia di Tindaro non potè reggere a tanta infedeltà, e /?«- rò
accolse nel letto Egisto figlio^ di Tieste, da cui ' { Annotaz.) uccidere
il suo marito. La Dea che sul ombroso Érice monte Ave
il suo tempio, no, soffrir non puote Che siau forzati i suoi piacer. Si
prenda Pure il candido Bulbo che a noi manda La Città di Megara, e
la salace Erba che cresce ne’giardini. L’ova, L’imetto mel,
del pin le acute noci Si prendan pur. Perchè alla medie’ arte,
Erato, or tu ti volgi f II cocchio nostro Debbe più da vicin toccar la
meta. Tu che celavi per consiglio mio Poc* anzi i tuoi
delitti, or altra strada Batti, e per mio consiglio i furti scopri.
Nè di volubil già merto la taccia: Non col medesmo vento i
passeggieri Porta la curva nave ; ora si corre Col tracioBorea, ed
or con Euro, e spesso Dal Zeffiro si fan goiihe le vele,
Talor da Noto. Osserva come in cocchio L’auriga ora le brìglie
allenta, ed ora Frena con l’arte i rapidi cavalli. Compiacenza
servii le rende ingrate, E amor senza rivale illanguidisce.
Se la fortuna sia propizia, Talme Divengono lascive, e faci!
cosa Venere aveva un magnifico Tempio in Sicilia sul monte Erice,
donde fu detta firicina., Sotto il nome di Bulbo iniendonsi tutte^
le radici rotonde come agl) e cipolle, che i Romani facevan venire
dalla Città di Megara fabbricata da Alcatoo figlio di Pelope.
{jòi) Il vento Borea f spirando a Settentrione, vien qià dette
treicio perchè la Tracia è più settentrional della Grecia y e dell*
Italia, Euro spira da Levante [ Zeffiro da ponente, e Noto da
Mezzogiorno, Non è serbare in mezzo allieti eventi IL cor
tranquillo. Come lieve foco, Che perduto abbia a gradi il suo vigore,
Ascpndesi, e nell’ ultime faville La cenere biancheggiale se
v’unisci Zolfo, Testinta fiamma manifesta, E a splender torna
il consueto lume; Così ove pigra e torpida si giaccia L’alma,
destar cop forti e lusinghieri Stimoli è d’uopo in essa allor
Tamore. Fa che di te paventi: ognor riscalda L’intiepidito
core, e impallidisca Al, solo udir che tu infedel le sia. Oh
quattro volte e quante io non so dire Felice quei, di cui si lagna
offesa La sua fanciulla, e che giugnendo annunzio D’un tal delitto
alle sue triste orecchie Cade, e il color le manca e la favellai Ah
foss’io quello, a cui furente straccia Il crine ! ah foss’ io quello a
cui con l’unghie Sgraffia le gote, che or piangente mira Or con
bieco ciglio, e senza cui Vorria, ma non può vivere ! Se chièdi Il
tempo, onde di te la lasci offesa Lagnarsi, io ti dirò: sia questo
breve. Perchè lo sdegno suo forza maggiore Con dimora soverchia non
acquisti. Con le tue braccia il bianco collo cingi^ E
piangente nel tuo seno l’accogli; Asciuga co* tuoi baci il . pianto
suo, E i piaceri di Venere concedi A lei che piange. Già la
pace è fatta; Con questo mezzo sol cessa lo sdegne. Se feroce
divenga, e a te rassembri Veramente nemica » allor le chiedi Un
dolce amplesso, e la vedrai placata. Ivi déposte Varmi è la
concordia^ £d in qael loco » a me lo credi, nacque La tenera
amistade. Le colombe. Che già fecero guerra, i rostri insieme
Dolcemente congiungono ; di quelle 11 mormorio son voci, e son
carezze. Fu il mondo in prima una confusa mole; Non ordine
regnò, non vi fu legge ; £ stelle e terra e mar solo una
faccia Mostravan ; sulla terra il ciel fu posto E fu dal mar la
terra circondata, £ diviso cessò l’inane caos. Presero
ad abitar le fiere allora Entro le selve ; a star gli augelli la
aria; £ s’ascosero i pesci entro dell* onde. L’uomo errò allor
ne^aoUtarj campi. Ma rozao 9 inerte corpo, e senza genio*
T'u il bosco la sua casa ; il cibo l* erba; Lie frondi il letto ; e
già per lungo tempo Visser fra loro sconosciuti. Dicesi, Che
le feroci loro alme piegasse La dolce voluttà. Lo steiso loco
Abitarono insiem Tuoibo e la donna; Non da maestro furon fatti
dotti Di ciò che dovean far ; Venere loia La dolce opra compì
senz’arte alcuna. Trova da amar Paugel dolce compagna, E in
mezzo all’acqae pur con chi s’accoppj Non manca al pesce. Il maschio
ainato segue La cerva, ed il serpente a’dolci inviti. Della femmina
cede. Insiem congiunta La cagna al can s’annoda. Il suo montone
Soffre lieta Tagnella; la giovenca Gialiva è col torello, e la
stizzosa Capra 1’immondo becco non disdegna. Parenti le cavalle i
maschj segnono Per lungo spazio, e varcan fino i fiumi Che li
tengon divisi. A che più tardi ? T’affretta dunque, e alla sdegnata
porgi Il bramato sollievo; questo calma L’atroce suo dolore, e
questo vince I succhi d’Esculapio • Il fallo tuo Dei con ciò
cancellar, tornarle in grazia. Mentr’ io cantava queste cose,
Apollo apparve » e mosse dell’ aurata lira Col pollice le corde •
In man tenea L’ alloro, di cui cinta avea la chioma; ^Queir
ammirando vate allor mi disse: O de’ lascivi amor maestro,
guida 1 tuoi scolari alfine al tempio mio; Ivi sta incisa la famosa
legge, Che conoscer se stesso a ognuno impone. Amar solo
potrà prudentemente Quegli che se medesmo appien conosce, E
alle sne forze sa adattar Tìmprese. Procuri che la Bella ognor Io
guardi Quel cui Natura diè leggiadra faccia. Si mostri spesso
con le spalle ìgnude Chi candide ha le membra ; parli pure Quei che
lo fa soavemente, e canti, E beva quel che a bevere e a
cantare Con arte apprese, ma non mai interrompa Alludtd al Tempia
consacrato in Delfo ad Apollo ove era scritta a caratteri à* oro qaest^
aurea legge: nosco te ipiam L’altrui discorw P eloquente, e in
mezzo Al ragionar non reciti importuno I suoi carmi il Poeta
. In questa guisa Febo i^egnomnii, e. voi di Febo adesso Seguit^e i
precetti. Ah no ! non ponno Mancar di fe gli oracoli d’ Apollo.
Or son chiamato a più'vicini oggetti. Chi sagace amerà ; chi
la nostr’ arte In uso saprà porre f avrà vittoria. Non sempre
i campì rendon con usura Le biade seminate, e a dubbia n^ve,
Non sempre fausto è il vento. Ah! sono brevi I piaceri d’
amor, lunghe le pene. Onde Amante a soffrire il cor disponga:
Quante in Ato son lepri, e quante in Ibla Pascolan api, quante olive
accoglie II verd' arbor di Palla, • quante il lido Del mat
conchiglie ; tanti son gli affanni Che soffrenti in amor, tanti gli
strali Jlal felo intrisi che ci passan V alma. A te diran che
usci fuora di casa Quando con gli occhi tuoi forse la vedi. Ma
creder dei che uscì, che vedi il faUo. Mella notte promessa a te la
porta Forse chiusa sarà ; soffri, e le membra Riposa e adagia
sull’immonda terra. Mendace ancella forse in tuon superbo Dirà;
perchè le nostre porte assedjf Cortese e supplichevole stropiccia
Il limitar della crudel Fanciulla, ^ E al capo tolte ivi le rose
appendi. Quando vorrà, t'appressa, e quando il vieta Tu vanne
lungi. Uomo non dee sincero Di sua presenza far soffrir la noja.
Digitized by Google 8o Non sempre con
ragion ti potrà Jirer A me fuggir costui non è permesso* Non
creder turpe di soffrir ingiurie, Nè d* esser dalla tua Bella
battuto, Nè sul tenero piè d’imprimer baci. Ma a che mi
fermo nelle tenui cosef Or subietto maggior m’agita l’alma.
Io canterò prodigj ; il volgo attonito Ascolti i detti miei, mi sia
propizio. A difficile impresa ora m’accingo. Che nel difficil
sol glòria si merca. Dall’arte una si chiede ardua fatica.
Soffri il rivai pazientemente ; teco Starà vittoria, e n’otterrai
trionfo. Non già un mortai, male pelasghe querce(33) Ti dieron tai
precetti . Ah i iio, non puote Dir r artè mia di ciò cosa maggiore.
Farà un cenno amoroso al tuo rivale, E tu lo soffri ;
sctiverà, e t’ astieni Dal toccar le sue carte ; e venga e tomi
Senza le tue doglianze ove le piace Con legittima moglie usi il
marito Quest’indulgenza pure, alior che notte Le tenebre distende,
e il sonno regna. Non io, Io debbo confessar, non sono In
quest’arte perfetto. E che far deggiof Io de’ precetti miei minor mi
trovo. Io soffrirò che, me presente, un segno Si faccia alla
mia Bella, e il freno all’ira Io potrò por ? Ah mi ricordo ancora
^3) Fabbricarono i Pelasgi un Tempio dedicalo a Giovò, in vicinanza
del quale era situato un bosco di querce, da cui davano le colomba
risposta umana Che il suo marito nn di le diede un bacio, Ed io del bacio
a lei feci querela; Abbonda il nostro amor di crudeltade.
Non una volta sol mi fu nocivo Un vizio tal ; piti dotto invero è
quello Per cui, lieto il marito, in casa ingresso Hanno altri
amanti. Ma saria più grato L’esser di questo ignari. Ah lascia
dunque D’amore i furti ascosi, onde non fugga Dal vinto labro,
confessando i fallì, Lungi il pudor. Deh risparmiate, o
amanti. Di sorprender colpevoli le amate. Schetzino pur, ma
almeno a se medesme Perauadan che il fer’ solo in parole. Sorprese,
in esse pel rivai maggiore Si fa r affetto ; e dove egual la sorte
Fa di due, 1* uno e Paltro son costanti La causa in sostener del danno
loro. Favola iu tutto il elei nota si narra: Venere e Marte dagP
inganni presi Pur di Vulcan. Ferito il petto avea Marte per Vener da
un apaore insano, E divenuto di guerriero amante. Nè
rustica o difficile mostroàsi (Non v’è di questa Diva altra jpiù
molle) Venere al suppliéhevole Gradivo (34). Oh quante
voltè la lasciva risé ^ da Marte si Marna Gradivo da apa/vav,
ehe si^ grufiea in greco linguaggio vtbraziorfe d'AVta. Aven^ do
Giooo preeijntaio Vulcano in Lenno 'per 1 la defar-^ mità del suo corpo,
si tuppè questo misero Diojin tal caduta una gamba ^ e così divenendo
zoppo ^ di^ canne ancorst mSgiortncnU deforme. Sa ^ Di
Valcano pei piedi e per le mani Nere e incallite pel lavoro e il
foco. Contraffaceva pur di Marte in faccia Sempre piena dì grazie
il suo marito^ Ma solean ben celare i primi amplessi, E
coprian col pudore il fallo loro; Ma il Sol che tutto vede ( e chi
ingannare 11 Sol può maif ) fece a Vulcan palesi L’ opre della
Consorte • Ah quai ne porgi Funesti e perigliosi, o Sole, esetuplit
Perchè del tuo tacere a lei non chiedi Un dono, eh* avrebb* ella il tuo
silenzio Potuto compensare in mille modi. Vulcan sopra e
d’intorno adatta al letto Un* invisìbil rete, e finge a Lenno Di
far viaggio: a’ noti abbracciamenti Tornan gli amanti, e nudi entrambe
sono Ne^ lacci avvinti. Quegli i sonimi Dei Convoca, e fanno L
prìgiohier di loro Vago spettacol. Potè appena il pianto Venere
allora trattener sul ciglio; Non alla loro nudità potere
Oppor la mano, e non coprir la faccia* Uno de’ numi allor
ridendo disse: O fortissimo Marte,
in me que’ lacci Deh trasferisci pur^ se ti son gravi. Nettuno,
appena per le tue preghiere Ebbero i prigionier le membra sciolte.
Chela Dea in Pafo, e Marte andonne in tracia. £cco,o Vulcano, il tuo
profitto: in prima Celavano il Ipr fallo ; or senza freno Lo
commetton, fuggito ogni pudore. Sovente, o stolto, confessar dovrai
Che tu dj^rasd da pazzo, e già ( la fama Karra.) dell’ira tua ti aei
pentito* Quest’ io vietai. La 6glìa dionea (35) Or
vieta a voi di tender quelP insidie Ch’ ella stessa soffrì. Nè voi
cercate Por ne’ lacci il rivai, nò legger quello Che vergato ha^la
bella in cifre arcane. Faccian questo (se lor piace) i mariti Che
legittimi rese e T onda e il foco. (36) Io'di nuovo, raffermo: in queste
carte Nulla vietato dalle leggi chiudo» Nè a pudica Matrona i
nostri scherzi Recano ingiuria. Chi a’profani i riti Osò di Cerere
svelare, e i sacri Misteri nati nella tracia Sanio f Non nel' silenzio
per coprir gli arcani Gran; virtude abbisogna è colpa grave Però
dir'qnfello che (tacer si dehbe^ t Ben a. ragion da Tantalo «loquace
Venere, sepondo alcuni, eifbe in madre Dio^ ne 9 e però si chiama la
Figlia dionea. (36) Solevano i Romani nelle nozze solenni
offerii re alla Sposa V acqua ed il foco \ 'perchè pensavano
che si genesUts^ il tutto dall* umore -e dal icàhre ^ ed anzi lavatiri^
Inacqua f stessa i piei^ Sposa ed alla Sposo^ ', I I
Sagrifiz) di Cerere t)ea delle biade, ehe furono, secondò Dtodoro, '
inventati Heltà' Samotrd» eia, si celelfravanà dagli aw^ìd con tal \
segretezza g che acqmdurono il nome di mister Tqntalo, figlio della
Ninfa Piote, palesò agli uomini le' supreme, determinazioni, che si
manìfesta^^ reno scambievolmente gli Dei in un Convito, cui fu
ammesso e^i*pare.da^Giolve.,peTiitaleiempH-^ tà joacpiatO riell^ infermo,
iOfl^ à cofitidftaeqMate,cfudar^ io da una barbara fape, e^
chè è,eireondatò dàìVacqua e da diversi ' phmi, ékà fuggono àgnor
shp'suòl Idìlli i^qmndo *viol*pré*a'^ arsene Fuggono i pomi; o
all*assetato labfo L'acqua mai sempre. Citerea comanda In special
modo di tener celate Le sacre cerimonie. Io v’ammonisco Che alcun
garrulo'a quelle non s’accosti* Se sepolti non restano fra’cesti I
mister] di Venere, se i bronzi Per furiose percosse non risuonano,
Usi abbiam noi pih moderati, e in mòdo* Che si voglion però tenére
ascosi. / Quando le vesti Venere depone, La nudità con la
sinistra copre. Nella pubblica via spesso 1 * ugnella.
Si unisce al suo compagno, e la fanciulla^ Da tal oggetto altrove
il guardo volgew Atto è il talamo chiuso a’furti nostri E a non
mirar ciò che la veste > ascóndo* i Non le tenebre noi, ma nube opacUi
ì; Cerchiamo, e i luoghi ove 1’ aperta luce - Minor risplenda. Fin
d’allor ché il tetto Non difendea dal Sol, non dalla pioggia, £
dava il cibo e in un la quercia albergò. Gli uomini non gustar’
palesemente. I piaceri di' Venfet ma negli antri ^ ' •
f i ne^bosqhi; cosi dell’onestade * i preudea cura quella
ro^sza gente** \ Ora gli atti si celebraa notturni,, £ nulla
più si compra a caro prezzo Che di poter’ parlar: or le donzellò Ovniique
cercherai solo onde dica Qiinsla ancora fo. nostra, ed onde .posniA ^
Mòsttktla ò' dito, e &r ohe sia deb vol^, ' Dc^^b li
pòssèsso^tuòVfev;òIa ^ r.«r. poco «iwiihe ^ini «dolSP* aU>Ì,
Òose che nègherebbono accadute* £ di favori vantatisi non
veri ; E se invàn di toccar, cercare il corpo. Cercano àlmen
d’offenderne P onore, Che le accusi la fama ancor che caste.
Chiudi, o custode rigido, le porte ; Guarda la tua fanciulla, e
cento spranghe A’durissimi stipiti ora opponi. Cosa havvi di
sicuro in faccia a questi Adulteri di nome, che creduti Esser
desian ciò che tentare invano ? Parchi in parlar noi siam de’veri
ainori^ E fedelmente ognor tenghìam celati Col velo deP mistero 1
furti nostri. Deh non voler rimproverar giammai Di nati^ra i
difetti alle donzelle. Che fù dissinìularli utile à molti. ^
Perseo che al piè portò le gemìn’ ali (3g), Tlon del color d*
Andromedà lagnossi. Comparve a tutti Andromaca maggiore D’ uim
giusta statura, ed Ettor solo iXèrcurió adatfò *U idi Ud ambedue i piedi
di J^érseo^ iluo amiiéo y e fi^ió di Danae e di Giope, de qu§$iix
AndrovaeduslegaiOKyad uno scoglio per ra'deillcNeTcìdi,^e,\c]^pe, che
dovea^esser dioorata da Ceto mastro marin^,,perchè Cassìope, madre
della medesima ebèè la vanagloria di dire ^ che la sua fi-* glia
vinceva > ir^ bellezza le stesse Nereidi, Mosso Perseo a pietà, della'
sventurata donzella, uccise il mostro col jmrgli. davanti agli cicchi la
testa di Me^ dusa f è dopo d^aveHa in tal guisa saLveta da un tanto
pericolo y V ottenne in isposa, he mai le riìf fàpciÒ[ suo fosco colori,
essendo ella nata in Etiopia, " Andromaca è figlia di Elione .
Re di Tebe e mo* glià di Ettore j il qual chiamava medìo^e la sua
statura quantunque fosse veramente sproporziqnatq. Mediocre la dicea. Quel
che or ti lembra Darò a soffrir, deh soffri; e verrà uà giorno Che
lieve impresa ti sarà il soffrire^ Mentre ogni pena raddolcisce il
tempo. Nuoyo arboscel che in verde scorza cresce^ Cade, se vento
placido lo scote ; Ma indorato dal tempo arbor diviene.
Resiste a* fieri Noti ^ e alfin s’ adorna, Degl* innestati fratti. Un
giorno spio Paò la bruttezza cancellar del corpo,^, £ sempre
il tempo fa sembrar minore Ogni difetto. L* inesperte nari Mal da
principio pon soffrir 1* odore Della pelle del toro, ma dalTuso
Dome non più risentono mólestia. I vizj ricoprir con dolci nomi Fa
di mestier: bruna chiamar si debbo Quella che piùehe pece ha negro il
sangue» Se ha gli occhi loschi, a Vener l!as 8 omiglia^^ E se
bianchi, a Minerva. Sia 9 Ì scarna, Che appena in piedi sostener si
possa. Gracile la dirai. Nana rassembri, E tu svelta la
chiama, e piena quellf .,. Che è turgida oltremodo g, e asconder
tenta. Col bene non lontano il vizio ognora. Gli anni mai non cercar,
nè sotto quale \ Consol sia nata: al rigido Censore. Tai cure
lascierai. Maggior riguardo . Usa per quelle che passate il
fiore Hanno di giovinezze » e i più bei giorni, Non si sa
paacepire corno Ooidio chiami loschi gli occhi di Venere, quando essa fu
lodata da Pari^ de. Dubitano alcuni pertanto y che nelF originale
la^, ' ripe si 4tiba leggere leu invece di peU»
E cui incomincia a incanutir la chioma* .Utile è questa o
più matura etade, 0 giovani ; e aarà ferace in biade Questo
campo » ed arar però si debbe. Mentre gli anni il permettono e le
forze, Soffrire la fatica. Ah già la curva Vecchiezza con piè
tacito s’accosta! O il mar co’ remi solchisi, o la terra Col
vomere, o s^impugnin Tarmi fiere, O si usi il fianco, T opra, e la
forza Con le fanciulle^è questa una milizia, E con ciò pur s’
accumulan ricchezze. S’ artoge a ciò che la prudenza in loro
Maggior sempre delT opere risiede, E l’esperienza sol può far
maestro. San compensare dell’ etade i danni Con la mondezza,
e in opra e studio ed arto Pongon per ricoprir la tarda etade.
Come più brami accarezzarti sanno In mille guise ; in più diversi
modi Pittor non puote colorir le tele. Non irritata voluttà
per loro Si gode, e danno e gustano il piacere; 10 se
non è scambievole Tho in odio, E però fuggo de’garzon P
amore. Odio il furor di quella che il concede. Perchè a darlo
è forzata, e pensa solo All’ ntil proprio. A me non è gradito
11 piacer che mi dan sol per dovere; Da questo io violentier
le donne assolvo. Godo ascoltar le voci che il diletto Mi palesin
di loro, e di frenarmi Mi preghino ora, ed or perchè mi affretti.
Godo di rimirai languidi gU dicchi . Della mìa bella, che mi dica: è
assai. Questi favor natura non concede Air inesperta gìoventCì ; si
godono Quando il settimo lustro ornai si compie. Chi soffre sete,
il nuovo mosto beva; Di vecchio vin ricolmo a me s’ appresti
Vaso che sotto i Consoli vetusti Sia fabbricato. Al sol resiste vecchio
Il platano, ed offesi i nudi piedi Sono da’nuovi prati; e chi
potria Ad Elena preporre Ermione? Altea (Era forse miglior della sua
madre ? Se tu t’ accosti a una noi^, giovin bella, £
sii costante, avrai degna mercede. Già riceve i dae.amanti il
conscio lètto; Fuof delle chiuse porte ora rimanti, O Musa ;
senaa te sapran ben essi Trovar di che occuparsi, chè lor porge
Amore i mezzi. Il valoroso Ettorre (4a) Di cui fu il brando a Troja
util cotanto, Giacque pur con Andromaca, ed Achille Con la
lirnessia giovine rapita, Allorché dal nemico affaticato
Prese ristoro sulle molli piume. Da quelle man di frigio sangue
tinte Ricevevi, o‘Brhcide, le carezze, E perciò forse à te
più assai gradito Fu alla vittfice destra unir tue meuibra.
(4 A Ermione è figlia della famosa Elena moglie di Menelao,
(4a) Achille # aseedìafa la Città di Lirnesso, uccise barbaramente Minete
marito della bella Briseide^ che si prese egli stesso in isposa, e che
dal noma 4 M(k iiMk Pàtria soprannominata iÀtuwia Di Venéfe
i piaceri » a me lo credi, Non SI deniio affrettar; ma a lunghi
torsi Berli. La donnà, se vedrai diletto Che abbia d’èsser toccata,
a te non freni Pudore allora inopportuno. Gli occhi Suoi scintillar
d*'un tremulo splendore Mirerai, come dalle liquìd’ onde ^ Riflette
il Sole i suoi splendidi raggia. ^ Udrai nn lamento e uh dolce
mormorio^ Gemiti grati, ed amòtose note. Quando thtte le Vele
avrai spiegate, Tu abbandonar non dei la tua diletta.
Nè preceder ti debbe ella nel corso. Correte insieme alla
prescritta meta. Che il piacer vostro diverrà perfetto.
Se giacerete a un tempo stesso vinti. Queste leggi seguir dovete
quando A voi concessi siano 02 ] tranquilli, Nè ad iin
furtivo oprar timor v* astringa. Quando Tindugio è mal sicuro,
allora Tutti forzar si denno i remi, e il fianco Premere del cavai
d’acuto sprone. L’opra è condotta al fin. Giovani grati, A me
la palma concedete, e il crine Odoroso cìngetemi di mirto.
Non presso i Greci Podalirio tanto Fu per la medie’ arte in pregio,
Achille Per il valore, e Nestor per pi'udenza; Non fu Calcante così
esperto e grande Nel conoscer le viscere, nè Ajaco Nel maneggio
dell’armi, e Automedonte Nel condur cocchj ; compio sono espCito E
grande nell’amor. Me celebrate, Uomini tutti ; a me si dian le
lodi; Nel mondo intero il nome mio ti canti. L* armi io
vi porsi come già Vulcano Le diede a Achille. Or con tal doni voi
Vincete pur, com’egli vinse un giorno; Ma chi col brando mio potò le
fiere Amazzoni atterrar, sopra le vinte Spoglie scriva: Nason ci fa
Maestro. Le tenere fanciulle a m^ le preci Ecco che porgono, onde
lor cortese Sia de’ precetti miei. Ah t sì, sarete Cura primiera
de* futuri carmi porsi contro lo guerriere donne A’ Greci 1’ armi ;
or dare a te le deggìo^ Pentesilea, e alle Amazzoni seguaci. Ite
alla guerra uguali, e vincan quelle Cui son propizi Venere e il
Fanciullo, Che in tutto il mondo ha di volar diletto. Giusto non
era il combatter nude Contro gli armati ; e vincerle per voi.
Uomini, turpe mi sembrava. Alcuno Dirà fra molti: perchè aggiunger
cerchi 11 veleno alle serpi ? e perchè in preda Lasci alle
lupe rabide 1’ ovile? Di poche il fallo non vogliate in tutte
Diffonder ; pe’ suoi merti ogni Donzella Considerar si dee . Se
Menelao Ha di dolersi d’ Elena cagione^ Pentesilea Regina delle Amazzoni
andò contro i Greci in soccorso d^ Trojani,e fu dopo varie glo^
riose azioni uccisa da Achille. Sotto il nome di Greci P intendono però-
dal Poeta quegli uomini, che cingono a conquistare le donne qui figurate sotto
il nome di Amazzoni. Vedasi V Annotaz, 5 q del Lib. I. e
l*Annotaz, ueuSdelldb.If. Ved. Vannot. 38 del Lib. /.
eVannot. ao del Lib. II. £ se di Clitennestra i rei costami
SoQ gravi ad Agamennon ; se d’Ecleo
Il figlio scese co* cavalli vivi. Dalla spietata
Enfile^ tradito, Vivo egli stesso a Stige^havvi pur anco
Penelope che pia serbossi e fida Al suo marito, benché senza
lei Due lustri errasse, e per due lustri ancora Passasse i giorni
suoi sempre alla guerra. Protesilao rimira e la consorte, Che, come
narran, pria degli anni suoi Vide Testremo fatele scese a Dite
Ombra indivisa del marito . Mira La Sposa pegasea dall’empia sorte Anfiarao figlio di EcUo ed eccellente
indovino ^ ascose in un luogo segreto per non esser costretto a
portarsi alla guerra di Tebe, in cui sapeva di do-* ver certamente
morire* Eri file sua moglie allettata da un aureo monile promessole, da
Polinice, insegnò a questo ov'egli sfava, celato* 4 n 4 à pertanto
Anfiarao forzatamente alla guerra^ ma appena giunse in Tebe, gli si
spalancò sotto i piedi la terra, e rimase in quella sepolto.Penelope è V
esempio deWamor con fugale* Si conservò essa sempre fedele al suo sposo
Ulisse, ben* che vivesse egli lontano da lei per lunghissimo spa*
zio di tempo, e benché fosse ella continuamente assediata da mille fervidi
amanti. Protesilao andò aneW egli all*assedio di Troja, e fu il
primo tra Greci, che vi perdesse la vita poi che Ettore lo ferì
mortalmente, nientre scendeva dal* la sua nave. Desolata Laodàmia sua
moglie da una tale sventura, ottenne con le sue lagrime da* Numi di
poter veder V ombra del suo amato consorte, e neWabbracciarla
morì* Soffriva Admeto una malattia coà grave, che secondo la
risposta dell* oracolo ^ era necessario per salvargli la vita^ che un
uomo o una donmft^ morisse Admeto liberare, onde famoso Rese il suo
nome . Evadne a Capaneo Disse: m* accogli ; il cener nostro insieme Si
confonda ; e slanciossi in mezzo al rogo; È la Virtude d’abito e di nome
Femina, nè stupore è, se propizia Si mostra e favorisce al sesso
suo. La nostr’arte però queste non chiede Alme sublimi 9 e
con minori vele Naviga il legno mio • Per me soltanto S’imparano a
trattar amor lascivi. Io insegnerò in qual modo amar si debba
La donna, che non face ed arco scote Sempre crudeli ; agli uomini
quest’armi Nuoccìon più parcamente 9 io ben lo vedo: Gli uomini più
spesso ingannano di quello^ Che ingannin noi le tenere fanciulle;
E poche troverai, se cerchi, xee Di perfido delitto. Il
traditore Giason Medea lascia già
madre 9 e in braccio Gittossi ad altra sposa. Oh quante volte Per
te 9 Teseo 9 Arianna abbandonata (io) per lui4 Alceste sua moglie^
che dicesi sposa pagasea dalla città di Pagasa in Tessaglia, volle essa
stessa liberar gen^osamente il caro suo spoeo, ed incontrò con
intrepidezza la morte. Quando Eoadne intese che era stato ucciso a/« la
guerra di Tebe il caro suo sposo Capaneo ^ conce» pi nell’animo un dolor
sì fiero ^ che corse valorosor mente a morire sul rogo dell* estinto
consorte. (8) Adoravano i Romani la Dea Virtù vestita in
abiti femminili. Annotaz. 89 del Lih. /Arianna fu da Teseo abbandamata
{Annoi. So. del lÀb» I. ) nell*isola di Nasso j e però avrà te»
muto gli Augelli marini provenienti da quella pcffte di mare, in cui
viaggiava il suo perfido amante la solitaria t sconosciuta riva Temè gli
auge! marini ! E perchè Filli Calcò per nove volte il sentier
stesso. Cerca, e perchè, la chioma lor deposta, Piansero Filli le
dolenti selve. L’Ospite, che concetto ha di pietoso. Porse la
cauta e il ferro alla tua morte, Misera Elisa. E che I narrar vi deggio
Delle vostre sventure io la sorgente? Voi non sapeste amar ; mancò
in voi l’arte, Mentre con l’arte solo amor si eterna. Sariano
ignare ancor, ma Cìterea Vuol che per versi miei sien fatte dotte.
Mentr’ella stessa innanzi al mio cospetto Si fermò, e disse: di qual
fallo mai Si fecer ree le misere fanciulle. Che inermi si
abbandonano agli armati? Tu con gemini libri bai resi questi
Nell’arte esperti ; or co’ precetti tuoi Tu devi ancora ammaestrar le
donne. SteSicoro ohe in pria cantò i delitti Impaziente FUlide per
la lontananza del suo Demofoonte eorse per nooe volte al lido, dà cui
do^ vetfa egli passare nel ritorno ; e alfine disperata cd afflitta
per la tardanza di lui ( Annoi, a 3 del Lib, li.) si tolse da se stessa
crudelmente la vita. Le fabbricarono i suoi parenti un sepolcro, in
vicinanza di cui nacquer degli alberi, che in un certo tempo,
secondo quello che han scritto i poeti, deposte le lor foglie, piangevano
la morte della medesima. (la) Enea, che vien soprannominato il Pio,
di^ sprezzando Vamore, che è il nome proprio di Didone, fu
causa cVella si precipitasse sulle fiamme ohe ardevano la eittà e la
reggia di Cartagine. Stesicoro siciliano è un poeta lirico ^ che
doto-' Sto ne* suoi versi Elena detta tersnoea dal castello ìa D*
Elena, poi con più felice lira Disse le lodi sue. Se V indol bene
Io tua conobbi, no ^ non sei capace offender Tamorose e culle
donne. Per fin che vivi a te tal grazia chieggo. Disse, e di mirto
(poiché avea le chiome Di mirto ornate quando a me comparve ) A me
una foglia diede e poche bacche. Ricevuti i suoi doni, io mi sentii
Invaso dal suo nume, e Paer più puro Splendermi intorno, e facile
l’impresa Comparirmi al pensier. Mentre l’ingegno E desto, a me i
precetti richiedete, Che a voi, donne, ascoltarli ora è
permesso Dal pudor, dalle leggi e da ogni dritto. Siate memori
ognor della ventura Vecchiezza, e per voi il tempo ozioso mai Non
passerà. Scherzate ora che lice, Nè si consumi invano il fior degli
anni, Che come 1 onde fuggono veloci. Tornar non puote alla
sorgente il fiume. Tornar non puote la passata etade. Cadete
dunque, che trascorre il tempo Con frettoloso piè, nè lieto mai
Come il primiero siede. Or bianco miri Questo stelo, su cui già in prima
vidi Io rosseggiar le viole, e questa spina Grata al c^pe mi porse
un di corona. Stagion verrà che tu, che "fchivi adesso
L’amante, fredda e abbandonata in letto cui, nacque y perche^ da
essa ebbe erigine la rovina di Troja. Ma i fratelli della medesima,
Castore e Polluce Vacciecarono crudelmente ; ed ei per ricuperare
la sta, fu costretto a comporre un poema in sua lode»
Digitized by Google Giàf&ttsi vecchia giacerai.
Notturna Rifsa non fia che la tua porta atterri, Nè sul
mattino troverai di rose II limitar della tua casa asperso.
Misero me ! come corrotti presto VeggoDsi i corpi dalle rughe, e,
come ^ Langue ih nitido volto il color primo! Quei che sul capo tuo
bianchi capelli Si miran* or,che fin da’di più acerbi Giuri che
furon tali ; ah che ben tosto Si spargeran per tutto il capo. Méntre (i
4) La sua spoglia sottile il serpe lascia. Ringiovanisce ; e
rinnovando i cervi Le corna, non rassembrano^ mai vecchi. Fuggon
senza speranza i nostri beni; Cogliete il fior, che se non colto
vegna, Cadrà miseramente. A questo aggi ungi Che fan più breve
giovinezza i parti; Invecchia il campo per continua messe. Non di
vergogna a te, Cinzia, fu causa Il latmio Endimion, nè già doveo
Per il rapito Cefalo arrossire I Serpenti si spogliane ogni anno
della luto scorza* I Cervi cangiano ogni anno le qorna ; ma ne *
rimangono privi se sian castrati mentre le hanno de~ poste, e più non le
varifino, se soffrano una tale ope* razione phma di deporle. Impiegano i
medesimi cin^ que o sei anni nel crescere, e però tioono’ solamente
circa trentacinque o quarànta anni, ttd ortta di tutte * le fuoole, che
gli antichi hanno scritte sulla lunga ìor vita. Buffon nella sua Storia
naturale. Cinzia ( Annoi, del Lih, I. ) scendeva dal cielo
per godersi Endimione, che qui dicesi latmio per^ chè s^ascondeva ifi
Latmo spelonca del monte, di Caria. S* innamorò la rosea Aurora di Cefalo
figlio di Mercurio, e però lo rapì « Prgcri sua moglie La rosea Diva.
Adori si lasci a parte, Tuttor di pianto a Vetieré^ cagione,
Com’ebb’olla Antonia, cotii* ébbe Enea ? Seguite" tiiir P esémpid delle
Dive, O bellezze tóót^aK, é a^ desiosi ' UomìAì
noilitìegate il favor vostro.: Siano essi ingannatori ; e che
perdete? Mille vi godan pur<;‘tutto rimane Nello stato pritòiér.
Gon Fuso il ferro* Si consuma e la‘ pietra ; in Vói non pudte
Cosa alcuna peirir, ricever danno. Chi ^vieterà cW dal vicino
lùme*^ Il lume non si prenda ? e chi nel vasto Seno del mar V
onde serbar procura? Tu mi dirai che non convien che a un
uomo Si dia la donna in preda ; ma che perdi Altro che l’acqua che
ricever puoi? Non vogliono i mìei carmi o la mia vocb» Al
libero dell* uom commercio esporvi^ Ma vietanvi temer le cose
inani; Non posson soffrir danno i doni vostri. Me
un’aura lieve, mentre siamo in porto» Spìnga, che,al soffio dì più forte
vento Sono per cominciar maggior viaggio. Dalla cnltura io do
princìpio. Il vino Ceneroso dan sol le calte vigne, £ sol
né’campiVcoltìvatì miri Lussureggiar le biade. £ la bellezza Dono
del cielo, e come ah vien superba OQ.Arteà'am. e La Dea Venere éhhe
à(jL Arichise il figlio Enea, e da Marte la figlia Anmónia, Bastano .
tàli esemp) per provare che ella permise a molti di possederla .
Digitized by Google pJbeU^z<i ogui danpa 1 1Ja
«ran parte Di voi prirs rù^.A quf»to 4ouo. . Con U coltura la beiti
ai 4CqWti Cile si perdo nfgfct^ ^ apci^r cjio eguale A gueili
fosse dpU'idalia Diy*., Se Io prische fasullo, il corpo Joì;a
Non coti custodirò ^ se gli autieri Uomini incolti vissero, se
cinse; Pesante gonna.AndroiMCjayìo non yeggo>(f 9 ) Bagjon
4i,,ayiglia^I es^SA d’un rezzo, Guerrier fu^^mpgli^. Fprsé a Ajace
incontro Adorna andap dpvea la sua consorte, (ao) Se a Ini la^
pflle .poi di sette bovi Servia di veste ? Ne^ primieri tempi Rozza
regnò semplìcitade, e immense Ricchezze Roma del soggetto mondo Ora
possiede. Osserva quale adesso \
Sia,il OampidogUo, e gual no’giorni andati^ E dovrai dir c]lie,fa d'un
altro Giove. Ventre dicesi idalia dal monte Idale in Cif^ro a lei consagrato, Andromaca
fa moglie A*Ettore Capitano deU VArmata Uroijana, Annótàz, 89 del Lih,
li. (ao) AJaae figli^di Telamone è oelebràto daOm'e^' ro
nella sua Iliade come uno piu valorosi Prine^ che andarono all*assedio di
Trofa. Sposò egU an*an^ cella nominata Teemessa; e però dice Or
ozio Movit Ajacem Telamone natura ’ Fórina captiTflB Dominuin
Teemessa. La Curia fu anticamente, secóndo F’arrone,
distribuita in due parti, in una delle quali custodi^ vano i Sacerdoti le
cose diwine, ’e neWaltra tratta^ vano i Senatori le cose umane. TaaUr fu
un Re de Sabini così accorto 9 che seppe ottener da Rpmelaiina
parte del Regno dopo d*aver perduto un'atroce bai» taglia. La Curia, che
di tanto ora' rasaembra Concìlio degna, fu di Tazio a’tempi Di
rozza paglia intesta. Qoe'palagi- Ch# ora risplendon sacri a Febo e
a’Ooci; Che furon maì^ se non pascolo un giorno Agli aratori buoi f
Piacciano ad altri Le cose antiche ; io meco stesso godo D’essere
in questa età nato conrorme A’ miei costumi, non perchè si tragga
Dalle vìscere cieche della terra 11 dutil oro, o perchè venga a noi
Scelta conchiglia da diverso lido; Nè perchè i monti facciansi
minori Per i marmi scavati ^ o perchè altere * Sorgano moli ove
giaceva il mare; Ma perchè regna or la cultura, e a’nostri
Tempi rusticitade agli avi antichi Cara non giunse. non fate carchi
1 vostri orecchi di preziose pietre, Che in mar lo scolorilo Indìan
raccoglie; Nè comparite già gravi per Toro Tessuto sulle vesti, onde
ben spesso Le ricchezze cercate e le rapite. Dalla mondezza
noi sìam vinti. Il crine Si disponga con legge; un pettin dotto R
dona e toglie a suo piacer bellezza. Non r ornamento stesso a tutte
giova; Quello scelga ciascuna, in cui più splende^ E si consigli
col fedel suo specchio. Chiede una lunga faccia che sul capo (za) OTTAVIANO
(si veda) fabbrica nel suo palazzo un Tempio consacrato ad Apollo
Palatino. 1 Duci ^ a* quali ^ dim cesi sacro il palazzo medesimo, sono
Augusto e Tim bario, mentre quegli vi nacque, e questi vi abitò»
loe Siati ben divisi non velati i crini; Così avea
Laodàmia le chiome adorne* Voglion le piene e ritondette guance^
Che della &onte sul confin vi lasci Piccol nodo onde veggansi,
gli orecchi, D’an*altra il orin flagelli ambe* le spalle,^
Quale al canoro Apollo allor che in mano Piglia la lira. Come Pagi!
Diana Altra gli .abbia legati, alLor che al bosco Peiseguita le
fiere pau^ròse. Convien che questa abbia i capelli gonfj; £
strettamente quella il crine implichi* Altra s’adorni in guisa tal la
ehioma,^ Che alla cilleuia cetera assomigli; Questa V
increspi in modo ohe rassembri Onda marina. Numerar non puoi Quante
sulla ramosa elea sian ghiande. Quante in Ibla sian api, e quante fiere
S’ascondano nell’alpi, io pur non posso A te narrare le diverse
fogge Di dar la legge al crin, mentre ogni giorno Ne sorgono
novelle. A molte giova Che sia negletto: crederai che il capo
Quelle jerì s^ornasser, che con nuova Cura testé si pettinar’la
chioma. Studia con l’arte d’imitar Natura. Era Jole
così, quando la vide Mercurio inventò la Lira fatta a gedsa di te»
staggine, e questa dicesi cillenia ^ perchè egli nacque nel monte Cillene
in Arcadia, Se Ooìdio tornasse a vigere in questo secolo, dorrebbe
certamente veder con Rubilo che le nostre Dame seguono con la
massima esattezza i suoi proietti nell* adornarsi i capelli. Amò
Èrcole ardentemente Jole figlia di Eu» riio, il qual rìcue/ò di dargliela
in isposa, quoMtun» Ercole ; presa la cittade » e disse: lo ramo; e tal Pabbandonata ; donna
Quando sai carro sosteneala Bacco» E i Satiri gridare: evviva »
evviva. Quanto in favor della bellezza vostra Fu Natura
indulgente» o donne I Voi In mille modi ricoprir potete Z vostri
danni. Invan noi ci asix^ndiamò; Cadono per 1’etade i capei nostri
Come le foglie allor ebe Borea soffia. Con le germanicb’ erbe
asconder pnote (aS) La donna la canizie » e può con Parte Miglior
del vero altro cercar colore. Vanne la donna con la chioma folta
f 'glUVaotsu solennemente proméssa, frritmto gli pertanto da una
tal negativa, debellò la Città d^Occatia » 09 e questi regnava » e gli
rapì la sua diletta denteila. :(a&) si sa veramente auali si
fossero quell^er- he germaniche ^ del di egù amore eUrattivo
compone- vano gli antichi un medicamento » col quale i capelli bianchi si
riducevan neri o biondi. Si Sono però, trovate a’ nostri tempi molte
ricette, ohe compensano largamente una tal mancanza. Cosi se i capelli
sìan bianchi, si posson ridut neri col far uso d*una pomata, a cui siasi
aggiunto una piccola porzione di nero d*aoorio ben macinato » oooero di
sughero bru- glato unito all’azzurro di Berlino. Resta pm assai
difficile di ridurli biondi » se non si vogUono adoperar polveri d^amido
leggiermente torrefatte. La miglior ricetta che si può per quest* effetto
accennare » é la seguente: si faccia una forte liscioìa di cenere
di sarmenti ; vi si unisca una piccola quantità di radice di brionia e di
celidonia; si faccia il tutto bollire; ed in fine vi Raggiunga altra più
piccola pdtr- zione di zafferano dell* Indie, di fiorì di stecaae e
di ginestra. Si coli per tela, e si laoino con una tal acqua piu volte i
capélli. fOft Per i compri capelli, e col denaro In
mancanza de* saoi porta gK altrou Nò il coidprar ciò palesemente
teca Ve^ogna i noi vediam che son venduti D* Ercole in faccia e del
virgineo coro. (a6) Che dirò della veste f Oro ed argento 10 non
ricerco ^ o che rosseggi tinta La lana in tiria porpora. Se mille A
prezzo più leggier vi son colori,,, É qual è dì follia segno piò espresso
Che di portar sul corpo i propr} censìf Ecco il color delFaria allor che
searca Si rimira di nubi, e il tepid*au8tro Non apporta la pioggia:
eccone un altro Simile a te che sostenesti nn giorno Come si narra,
e Frisse ed Elle quando Fuggir* le frodi d* Inoe. Imita questo
11 cernleA mare ^ da ciò traggo Il proprio nome, e di tal
veste 10 credo Si coprisser le Ninfe. Altro è simile (28) Si
rUeva di qui, che in faccia mi Tempia fMrtcata in onore d'Èrcole e delie
Muse, avevano i Romani una bottega 9 in cui vendei ansi i capelli.
' (a^) Frisso ed Elle figli dì Adamante Re di Tebe fuggir dalle
frodi d* Inoe loro matrigna, salirò no' sopra il montone ornato del Vello
d^oro^ che Mercurio diè in dono a Nefale madre d^ medesimi. Frisso
fu da quello felicemente portato in Coleo, ma Elle'precipitò in quel mare,
che prese da lei il nome d^ Ellesponto. Con ^esta favola vuol però dire
il Poe* ta 9 che era presso i Romani in uso ( e lo è pure cd di
nostri ) il colore che si assomiglia a quello dell* oro^ -Essendo il
giovinetto Croco impaziente di poe* cedere Snùlaoe sua dUetta amante 9 fu
trasformato in un fiore che dicesi volgarmente ZefBivano, o che da
lui Ica preso il nome di Croco. £t Grocam ia parros yersam cum Smilace flore». Ovid,
Metam. TOS
AI Croco, e qàaiido accoppia i Ittraihbsi Destrier, con cròcea
reste pur' si rela La rugiadosa Dea. Di'Pafo a’mirti ' Questo
assomiglia, e quello alle purpuree Amariste, alle rose biancheggianti
(29) Uno‘^ ed tin altro aÈa'straniera grue. Le ghiande tuè ti
sod pure, o Ainarilli, Nè ri tnancanr le mandorle, e il suo nome
Diede alle lane per la eera. Quanti Fiori produce la norella terra
~ Allor che fugge iUpìgro rCrnò, e stilla Gemme la rite ^
tanti beo la lana Color dirersi, e quello scei tu dei> Che
col tuo rolto Si confà. Ogni reste Non conriene a ciascuna. I neri
ammanti- Fan risplender le bianche. Assai più. bella firiseide,
allor che fu rapita, apparre, Perchè le membra accolse in negra
reste*. Odora alle brune donne il color bianco: E tu piaceri,
o di Oefeo, ( 5 o) In bianca resta allor che di Serifo
Passeggiar! le rie* Io diei consiglio Che del capro il fetor sotto V
ascelle Non passi, e che non sian per duri peli Aspre le gambe,. Ma
non io già deggio Delle caucasee rupi le £snciulle Far dotte, o
quelle che di Caico misio ÀmaUsta è una gemma, il di. oui colore è- quasi
simile a quel della porpora. La figlia di Cefeo à Andromaca: avrà
essa probabilmente passeggiai per le vie di Serifo > perchè è
questa una piccola Isola del mare egeo, nella quàU fu edueato Perseo suo
liberatore. Gli abitatori del monte Caucaso furore antica--
menteiCome lo sono tuttora, ferocissitni. FI Caico-è unfiu^ me della
Frigia e della Lidia ^ che proviene dalla JS/Lsia. Bevano all*onde. Che
non siano i denti V*ammonirò per hidblenza foschi, E che si
lavin sul mattin 1 ^ guanoe Con man dell’onda aspersa. Voi sapete
Pjocacciarvi il candor con distemprata Cera; e con Parte divien rossa
quella. Cui non colora il sangue suo la. faccia: Voi con Parte il
confin nudo del ciglio Fate ripieno, e voi con tenue pelle Ricoprite
talor |e vere gote. Stropicciar gli occhi poi non è vergogna
Con la cenere tepida „ o col crocb Che nasce presso te, lucido . Cinno.
(3a) Tengo un libretto picciolo, ma grande ^ Opra per il pensiero,
in cui i rimedj - Qià v’insegnai per la bellezza vòstra Con felice
successo adoperarono le Dame Ro^ mane la cera distemprata per far fianca
la peUe ; e con faUe^ ti Adopera ancora in questi tempi dalle
nostre Dame . Ecco il modo di prepararla: ad una parte di cera bianca di
Venezia si uniscono otto parti d* acqua, a cui si aggiunge una piccola
porzione d*alcali vegetale y e si di^cioglie il tutto finché non si
abbia una sostanza consimile al latte* he Dame ro^ mane solevano ancora
adornare co* colori, e riempire co*peli ben disposti quello spazio ài
pelle nuda che é fra il ciglio e il sopracciglio, s ! • Il le
•apercìlium magaa faligine tinctum « Obliqua producit acu.
Giovenale. Dalla Cilicia che è irrigata dal fasme Ciano
fa» cevano esse venire il zaffarono ed altre céneri atte a purgar
gli occhi dagli umori soverchp; e a renderli per cònseguenza
maggiormente^vivaci. Ha scritto Opì- dio un piccolo libro de medicamiue
faciei quale inségna alle Donne tutti i rimedj, che possono
contri» buire a far bella la lor faccia e le loro membra. Quindi
riparo alla figura offesa Cercate, che non è per gli usi Vostri
Inefficace Farte mia. L’apiaìite Non miri apertamente i vasi
esposti. Che Tarte ascosa giova alla beltade. A chi non
spiaceria mirar sul volto Stendere quella feccia, e lentamente'
Cader pel peso suo nel caldo seno? Quàl dall* immonda lana dell*
agnella €2
Fahhricavasi in Atene con In lana sudicia e molle un medicamento che i
Greci chiamavano Etipo. Le Donne facevano uso di questo per mollificare
le ulceri di qualche delicata lor parte. Vedasi Diosco* ride y
Plinio il Mattioli nel suo erbario ; che ne parlano a lungo, ed insegnano
la maniera di fabbri^ cario, ' Non d può accennare qui il
modo, con cui prepa^ radano gli antichi i midolli della Cerva yper
averne un composto atto a far bianchi i denti, era i molti medicamenti
che hanno per quesV effetto inventati i nostri Chinùci, ci piace di
riportar qui la polvere, V oppiata i e le spunghe ; di^ cui dà Mons,
Beaumé la ricetta nella sua Farmacia, Ad un*oncia di pomice,
di terra sigillata^ e di corallo rosso s*aggiunga mexz*oncia di sangue di
Dra^ go, un* oncia e mezza di cremar di tartaro^ se ne fac^ da una
polvere sottilissima, e vi si unisca una pie- cola porzione di garofani e
di cannella. Per compor quindi V oppiata > si prenda un* oncia
della polvere suddetta, due once di lacca rossa da Pittori, quattro di
mele di Narhonne, due di siroppo di more ; a queste ù uniscano due gócce
d* dio essen-- ziale di garofani, e si avràr un* oppiata, che S4^à
opportuna, come la polvere, a ripulire, imbianchire, e preservare i denti
da molti incomodi. Una stessa virtà hanno le spunghe preparate,
e intrise in una tintura fatta con lìfibre quattro a^ua, in cui
abbina hoUUo quattVonce di legno del Bras^* Daraiìne ing^rato odòrè- il
'sugo estratta^ Benché da Atene a noi si mandi t Inverò^ Lodar non
so cl^ alla presenza altrui Della cerva i midolli insìem mischiati
Piglinsi, e che palesemente i denti Si faccian netti* Utili alla
beltade Sono. tai cose, ma deformi troppa Agli occhi nostri* Molte
cose fatte Piacciono, e turpi son mentre si fanno» Le statue di
Mirone opre famose, Furono inerte peso e dura massa, Per farsi
anello, Toro in pria si frange, E quelle vestì, onde vi fate
adorne,, Furon. sordide lane* Era aspro marmo,. Mentre erano a
scolpirla intenti, quella Statua nobile in cui Venere nuda Trae
fuor dall* onde gli umidi capelli. Fa che pensar possìam che dormi
allora Che tu Vadornì, Io lusingl>ieTa forma Sarai mirata se
alla tua cultura le, tre dramme di cocciniglia soppesta, e quattri)
di alume di rocca . Quando queste spunghe si sono, imbevute d* una
sufficiente quantità d* una tal tintura, si fanno asciugare, si pongono
per alcune ore nello- spirito di vino, a cui siasi aggiunte una porzione
di- olio di cannella y di garofani,.e di spigo ec.; quindi si
spremono, e sì conservano per valersene al bisogno, ih vaso di Oetre ben
ehiuso. Mirone discepolo d^ Ageladé seppe formare in bronzo còsi
perfettamente le statue, che Petronio dite aver egli compreso nel bronzo
V anima degli uomini e delle bestie Alludesi alla famosa statua di
PrassiteU, che rappresenta Venere nuda neW atto d^ uscir dal
mora. Fu questa collocata in Roma nel Tempio di Bruto Callaico
insieme col Colosso di Marte pvesso - il Circeo ffaminio Diligente darai
T ultima mano. Del talamo le porte ben raccbiudi.
Perchè vuoi far^ palese un’opra rozaaf Molte COEC' ignorar gli
uomini danno. Di. cui gli ofiendón molte, se non copri Ciò, che et d’uopor
di tener, celato. Vedi quelle che pendono^ da un culto> Teatro
aurate statue, a osserva bene Qual lieve foglia il legno lor
ricopra.. Ma come quelle al popolo* non lice Veder ae non
sien poste in vaga mostra^ Così se non elea gli uomini lontani,
Non si procuri d’acquistar bellezza. Non vieteiò cbe al
pettine abbandoni Palesemente 1 tuoi capelli, quando Scender potran
per tutto il tergo aspersi. Di non esser procura allor molesta, •
Ne aciorre spesso le mal calte chiome. Sicura sìat quella che il crin t’adorna;
Odio colei che le ferisce il volto Con l’un ghie liCi con rapito ago le
punge 1 ( braccia Allor d’ancella là detesta. Le tocca il
capo, e sull’odiate trecce* Col piaotn suo scende mischiato il
sangue* Quella che il capo.ha.quaai calvo,ipoDga^ Sulla porta il
oustode, o della Dea Gibele al ten^pio ad adornar si vada. ’ CibéU aveva
in Roma un Tempio, in cui non potevano aver gli uomM V accesso: 4 Sacra Bona maribas non adeunda
Des. Tibullo, Insinua pmttauio Ovidio con questa frase
Me Donne di non pettinarsi alla pretenza^ degli uomini^ se non so»
Mli i ìorq capelli fui annunziato airimprovviso un giorno A una
-donzalla; e torbida i non suoi Velò capelli. Uo tal ro 88 or >
ricopra La faccia alle nettiicbe, e questa^ infamia Fra le
particele Nuore abbia soggiorno. Turpe è Tarmento senza corna, e
turpe Senza gramigna è il campo, Tarboscello Senza le foglie, e
senza i crini il ^apb» Non-vennero ad udire i miei precetti Semele,
Leda ^ o la sidonia donna Che via portò pel tnar fallace Toro, O la
tua sposalo Menelao, cW chiedi Bene a ragione, e che a ragion si
tiene 11 Rapitor Trojano^Ecco una turba Di belle donne
e dì deformi a un tempo ( Ahi sèmpre il ben dal male è snperato ! )
Che chiède i miei precetti, ma non tanto Cercan questi le belle, e men
dell^rfe Procurano rajoto. Han quelle in dota Beltade senza Parte
assai possente. Quando tranquillo è il mar, sicuro bessa^ Il
nocchier dal lavoro, e mentre è gonfio Si asside, e in opra pone ogni
socConk). Rara è beltà che senza macchie Sia; Le cela, e i
vizj del tuo jcorpo ascondi Semeie figlia di Cadmo He di TeÒe
e.madre^ di Bacco, Leda figlia di Tindaro, e sorella di Ca- stare e
Pollice, Buropa figlia di Agenore He di Fenicia ove giace la città di Sidone,
da cui élla vieti detta Sidonia, furono dotate d’una tal bellezza,
che innamorarono vivamente lo stesso Giove, il quale non^ ebbe à
vile di prender per esse le più strane sem^ hianze. Queste con Elena
mogUè 'di Menelaosi pro» ^ pongono qui dal Poeta, come eiélnpi troppe
rari dì: perfetta bellezza. Quanta più puoi'« Se di statura breve
Tu sei, t’assidi, onde seder non sembri Allor che in piedi stai. Se oltre
misura Però lo fo^si^ allor ti porca, e ascondi Con le vesti
su’piedi un tal difetto. Quelle che sono gracili e minute Debbon di
grossi drappi ornarsi, i quali Sciolti cader si lascin dalle
spallo. Tocchi il suo corpo con purpurea verga Chi è pallida ; e chi è nera abbia
ricorso Al fario, pesce. Un piò lungo e deforme Sottu candida
alunda pgnor si celi, Nè secche gambe .sciolgansi da lacci. È certo,
gU onticfd aoéoano de* medicamenti, co* quali ti coloravan la faccia ^, benché
non d sappia di qual natura^ quelli si fossero . Il belletto >
che si usa pretentemente è composto di rosso e di biancone sarà forse pià
efficace di quel che adopra* vano le Daàte romane. Si è per qualche,
tempo im-^ piegata Cernita il magistero di Bismuto^ detto
altrimenti bianco di spanna com« quello, che avendo un leggiero color d’incarnato,
era pià analogo aHa pelle ; ma sì l’una che l’altro anneriscono e
guastano la carnagione, mentre tutte le calci metallici^ riprèndono una parte
del loro flogisto, e, si ripristinano Si è pertanto sostituita alla
cerussa ed al bismuto la pomata di spermàceti^e l’olio di mandorle
dolci, unendovi una porziànè di falco'biancò finissimo. Col talco
bianco ùmilmente barico,della parte coloranto de* fiori di Cqrt^mfi j a,,cui
si aggiungono poche gocce di olio di Beri, per renderlo pastoso è molle,
si compone il roiso y che ancor chiamasi-rosso di porto- gallo o
roSso'vegetale. Il /arto pesce é il Coccodrillo y degl* interiori e della
sterco del quote sh servivano i Homani e(f i Greci per fare un composto
atto a render bianca e splendida, lo pellé. X’Alauda b una pelle
moUissiuia, Tenue eoscm conviene ad alte spalici E se il petto sìk
turgida, il circondi Fascia, e lo stringa. Se le dità pin^ui^
E scabre T ùnghie avrai, allor di rado Accompagna congesti i detti
tuoi. Chi grave dalla bocca esala oddte ' Digiuna mai non parli ^ e
dalla bocca Deir uom stia lungi. Negri, e troppo grandi Se i denti
siéno, o in non belFordin natii Massimo il «iso allora apporta
danno. Chi ^1 crederiaMiC donne apprendon pure Le. maniere
del ti80,'e in qùesta parte Nuovo per lor procacciano òtnatoeùto.
Non troppo-larga apri la bocca, e brievi Sian le pozzette in ambedne le.
gote, E le radiche ognor copra de’denti L’estremità de’labbri,
e non bisogna. Affaticar con smoderato riso . Il fianco,
mentre deve ancor nel riso. - Dar proprio, delle donne urf dolce
sùono'. V’ è pur chi in mille guise il volto- Con male acconce
risa*, ed altra credi Piangere allor che tutta allegra ride$ Quella
tramanda un, rauco suono ; e stride Cosi inamabilmente, che ^assembra
; Asìnella che ragli, allor che intorue s 5 Alla macina gira.^E'do
Ve l’arte ^ Non giugno ? Coù decòro itnpajfan ) A
lacrimare, e come, e qhandò sembra, ^ Loro opportune. E che dirò di
quelle. Che niegano agli accenti intera forma, E fan
con studio balbettar la linguaf ^ Credon che sia lìa grazia ancor nel
viziò^. E pronunciano mal varie paròle^ rrii E con arte
studiata altre ne lasciano. A tutto ciò, che ben giovar vi
puote^ Ponete cura, e con femineo passo Imparate a portare il corpo
vostro^ Havvi nel portamento anco il decoro. Con cui si
fan fuggir, con cui si allettano Gii uomini ignoti. Muove questa il
fianco Con arte, ed ondeggiar lascia le gopne Air aure in preda, e
stesi i piedi porta Con maniera superba. Altra cammina Qual deir
umbro marito la consorte (4o). Rubiconda, e con piede in dentro
volto rapassi move smisurati •y in q^uesto Serbisi, e in altro pur
giusta misura» Rustici ha questa i moti, e troppo quella^ E molli e
ricercatk LMraa* parte Della spalla, e r estrema ancor del braccio
Di nuda, onde chi posto è al manco lato Veder la possa. -Hi special modo
a voi Gioverà che qual neve avete bianca Ina pelle. Quando questa
io mira, sem-pr^ Sulla spalla scoperta i bacci imprimo. Col dolce suon
della canora voce Fermàr le navi più spedite al corso Le Sirene*
del mare iniqui mostri. Condanna OVIDIO
(si veda) a ragione come rozze le mogli degli Ultori popoli forti e a un tempo
stesso /«- voci f che abitarono in Italia sul monte Appennino, I>c
Sìrerse sono tre barbari mostri che dimorarono nel mar di Sicilia, Col suon
lusinghiero deWarmoniosa lor voce'allettavano queste in tal maniera i
naviganti, che si lasciavano essi predar facilmente. Ulisse per evitare
un tanto pericolo, chiuse con la cera ^^^cchie suoi compagni^ e si legò
strettamente'^ M albero della na^e ^da cui si disciolse dopo
jia Udite qneste, se medesmo sciolse DalParbor della nave, e
con la cera Chiuse Ulisse accompagni ambe le orecchie. È
lusinghiero il canto . Le fanciulle Apprèndano a cantar ; la voce a
molte Senza bellezza conciliò gli affetti. Cantino quel che udirò
ne’ marmorei Teatri f ed or versi costrutti in metro Niliaco; e culta
femina tenere Sappia per mio giudizio or nella destra 11 plettro,
ed or con l’altra man la cetra. Il tracio Orfeo con la sua lira mosse Le
fiere, i sassi, le paludi stigie, Ed il triforme Cane . O della
madre Giusto vendicatore al canto tuo Cortesi i sassi fabbricar’ le
nlura. Benché sia muto, il pesce ( è nota al mondo Favola) al
suon del arionia lira sentito il dolce cànto di quelle . Le donne imparino
dunque a cantare,se ooglionsi conciliare, come dice Otfidio, P qmore
degli uomini, E!ran famigliari a* Romani le canzonette ame^ rose, e
spesso lascile, ahe si cantavano in Egitto, ove scorre il celebre fiume
Nilo, Orfeo nato in Tracia da Apollo e da Calilo • pe col suono
armonioso della sua Lira fece sì che gli corressero dietro per ascoltarlo,
gli alberi, i sassi, i fiumi, e le beloe feroci: Quand* egli intese la
morte d* Euridice sua moglie, scese con la lira all* Infernot e con
quella intenerì talmente gli Dei infernali, che a lui la restituirono,
purché non ardisse di riguar-- darla prima d’uscir dall’Inferno, Non p9té
l* amo^ toso consorte obbedire a tal legge, e però ella dovè
involarsi a suoi sguardi subito ch^ ei la mirò Anfione figlio di Giove e d’Antiope
indusse le pietre col suon della Lira a fabbricar le mura della
città 4i Tebe. Picesi vendicator della madre, perchè. Si fe* pietoso .
Anco a toccare impara Con Tana e l’altra man le dolci corde Del
Salterio ; son atte a cari scherzi Di Callimaco a te smn noti i
carmi. Quelli del eoo Poeta, e quei del tejo Vinoso Vecchio. A te
Saffo sia nota (Son più degli altri i carmi suoi lascivi) E
quel per cui viene ingannato il padre Del servo Oeta con la callid’ arte.
Del tenero Properzio i versi leggi, O quei di Gallo, o quei
del buon Tibullo, O i velli insigni per le bionde fila insieme fratello
Leto la vendicò dall’ingiurie, che recatale Ideo di lei marito y col
trucidarlo nel letto y ove lo sorprese con Dirce sua concubina y a
cui pure tolse la vita. Atwne nacque in Metinna, e fu im
eccellente Po&^ ta lirico, e nel tempo medesimo un ricco
mercante. Ufosid alcuni suoi comùttadini dal desiderio di godere
delle sue ricchezze fissarono di gettarlo in mare, mentre egli se ne tornala
alla patria. Accortosi di ciò Arione cantò intrepidamente una canzonetta,
ed un-' Delfino, allettato da una sì dólce melodià, Vaccai^ se
sulle sue spalle y e lo portò in Tanaro promontorio della Laconia, Accenna
ora Òoidio i Poeti che piacevano ai suoi tempi, e per lo stile e per le
materie galanti, come a* dì nostri piacciono Ariosto, Passo, Guaritù,
è Metastasio ec. Fiteta fiorì a* tempi d*Alessandro Magno per li
suoi' versi elio^afici, e dicesi eoo Poeta y perche Coo /if ia sua
patria. Anacreonte nacque in TeJo, e scrisse mol^ te canzoni veramente
leggiadre in onore del buon vino, delle donne y e del giovinetto Batillo. Terenùo
compose una commedia, in cui il padrone, ed il fratello sono ingannati da
Geta asti^^ to lor servitore. one Àttacino cantò ne* suoi versi la
spe^ dizione in Coleo degU Argonauti. Il vello d* oro, che
j ii 4 Che far fanesti, ó Prisso ^ alla tua
aaara Cantati da Varrone, q il pio Trojano Di coi non y’ha nel
Lazio opra più chiara. Ma forse un dì con 'questi andrà conginnto H
nome nostro, nè i miei scritti in Leta Saran dispersi/Dirà aldino: leggi,
I culti versi del maestro nostro^ Con cui poteo far dotti
uomini c donne.^ Fra’suoi tre libri che hanno infronte scritto
II titolo d* amor 9 scegli que^ verai t Che legger tu potrai con
docil bocca Più mollemente ; oppur con ferma voco, Canta P Eroìdi,
ignota opera agli altri Ch’egli compieo. Ahi cosi piaccia aFebo^
Pel corno a Bacco insigne/ ed allò Muse, Numi che son propizj a noi
Poeti. Chi dubitar potrà ch^ìo la fanciulla Non voglia al
ballo istrutta, onde poi toltq Il vino dalla mensa » ella le
braccia Volga in composte ed ordinato moto? Amansi i danzator che
della scena Sonò spettacol, perchè san con arte: V Saltare y e con decoro. Io mi
vergogno Di doverla ammonir di tenui cose, _ questi ivi
andarono a conquistare, fu funesto ai Elle sorella di Frisso y perchè
ella, come si è accennato y cadde miseramente in mare, mentre il Montone
ador^ no d* un tal vello la portava insiem col fratello ih Coleo,,
Tl pio Trojsno h, come è noto y Enea, sulle aùoni del quale ha scritto
Virgilio quell* aureo Poe» ma che porta il nome d* £aeidb. OVIDIO (si
veda) fra l*altre sue opere annovera ancora ire libri d* Elegie
intitolati gli Amori, ed un libro - intitolato V ^roidi, perchè comprende
ventuno lettere amorose y che fa scrioère scambievolmente dagli
Eroi all’Eroine^ e dalfEroioe agli £roi. P’istruirla a gettare or
l’aliosso, £ a conoscer de’ dadi anco il valore. Or tre
numeri getti, ed ora accorta Pensi qual parte segua acconciamente E qual
richieda. Canta in finta guerra (5o) Muova i soldati, che da duo
assalito Nemici uno perisce. Il Re sorpreso Senza la sua compagna ^
si difenda Da se medesmo, e f’emulo ritorni Per lo stesso seotier.'
La tasca è aperta^ E ornai son sparse le pulite palle; Quella che
prendi sol muover tn dei. Ravvi un: gioco diviso in tante parti
(Sai Quanti numera mesi il luhric^anno. Breve tabella prende
da ogni parte (S3)- Tre tenni pietre, e il vincere consiste Nel
disjpor queste in una dritta Mille giochi vi SOI» che turpe fia A
una donzella d* ignorar ; col gioco Si può l’amore conciliar.
Leggiera Fatica è appreodero a giocar ; maggiore Opra é il compmrre
allora i suoi costumi. Non sappum Diramente per qual ragione si~ éovesse
procurare tempi, in cui vivcóa Ovidio di gettar tre numeri nel gioco d^
Dadi. 5 •S£r»/erÌjco»o questi
versi al gioco degli Scacchi. (Si) questo un gioco, di cui non
possiam dare tucuna notula. Sembraci f che sia questo il
gioco, che r pure * dell» Dama. Alludeu (d gioco del Filetto, che .
or gioeano' nule campagne i ragazzi. Così b decaduto un gioco - 0^
formava la delizia delle Dame romane, e coi» aecaderanno ancor quelli che
si hanno in pregio a‘ dk nostri, ® ' Mentre s’applica al gioco,
incanti siamo, E i reconditi sensi alloc dell’ alma Facoiam
palesi. Ci deforma il volto ^ j Il cieco sdegno, e sono ognot col
gioco Il desio del guadagno, le .pontese, » 11 sollecito
duol, le stolte tìsse.^ j Rinfaccìansi i delitti ; di clamori
* V aere risuona, e in sno favor s’invocano Gl’ irati Dei.
Non v’ è fede nel gioco Il qual co’ voti non divìen secondo;
Vidi le gote ognor molli di pianto: Da voi che amate di
piacere all’uomo, Giove tenga lontan questo delitto. Diè la pigra
natura allo fanciulle Silaili giochi ; ad altri pii sublimi
S* applica l’ uom: per lui sono il paleo»
I dardi, 1 ’ armi, le veloci palle; E il cavallo
costretto a gire i^^no. Voi non acosf^il’-campo.o'ra gelata Vergin, nè voi
sulle sue placid’ onde j Porta il toscano fiume* Ah ! voi potete
Gire all’ ombre pompeje, anzi vi giova 1 Quando i destrier del Sole
ardono il capo H Paleo i urto strumento fatta a guisa Jt trottola,
eoi quale giocaoano i fanciulli romani fa- tendalo con una sferza girare
intorno. Nel Campo Marzio si esercitavano » romani in tutti
que’giuochi cU potevano «P^* renderli valorosi guerrien. Era ivi
ta Vergine dalla fanciulla che ne scopri la sorgente, ed in
quella si lavavano i giratori le di polvere e di sudore. Il Tevere
e qui detto fannie tascsno, perchè dall’Appennino la
Toscana nel f<u-t il siSo corso alla wta di tioma. Annoi, q. del fàh.
I, ^ Alla vergin celeste. I sacri a Febo (5^) i’alagi visitate ;
egli sommerse In alto mar le paretonie navi. I monumenti
ancor» che fur costrutti» Dovete frequentar, da Ottavia e Livia Una suora
del Ehjce, altra consòrte, E quelli pur del valoroso Agrippa,
Che ha cinto il capo di navale onore. Della menfitica Iside agli
altari Siate frequenti, ov^ ardesi P incenso, E ne’luoghi
cospicui a’tie teatri. Di caldo sangue le macchiate arene Ite
a mirare, e la prescritta meta. Rapido intorno a coi si volge il
cocchia. Quel che si cela ò ignoto, e ciò che è ignoto Nessun desio
risveglia ; è lungi il frutto Se manca il testimone a un bel
sembiante. Benché nel canto superi Tamira Dicé con OVIDIO (si veda) ancora
VIRGILIO (si veda), che Apollo nella guerra Azziaca prestò il suo
soccorso ad Augu^ sto y il quale aveoagli innalzato un ternpio nel
pro^ prio palazzo . Apollo in conseguenr^a, ^Hcondo questi poeti,
sommerse le navi egiziane deste paretonie da Paretonio città marittima
d*Egitto, che Pompeo avem va armate contro d*Augusto. Ved^i l*annot,
8 e g del Libro /. Augusto decorò A grippa suo generò della Corona navale
dopo d^aver debellato Pompeo ^ ed innalzò al medesimo un portico y
che fu chiamato il Portico d’A^rippa. Annoi, li del Lib, /. Dice Sirabone
che giacevano tre superbi Teatri in vicinanza del Campa Marzio. Fu
Tamira un poeta tragico che ardì con la sua lira di provocare le stesse
Muse ^ credendosi a quelle superiore nella dolcezza del
cantoma\dalle medesime fu vinto, ed in pena della' sua arrogwiza
gli furono tolti gli occhi. Ed Àmebeo, sarà priva d’ onor« L’ ignota
cetra» Se di Coo il Pittore Vener ritratta non avesse^ immersa
Sare^bbe ancor nelle mailne spume. £ che ricercan maggiormente i
sac^i Poeti che la fama ? E questo il fine Cui tendon tutte le
fatiche nostre. Fur de’Numi e de'Re delizia un giorno. 1
Poeti, ed immensi ottener premj I cori antichi* Venerando allora,
£ d’ una santa maestà ripieno Fu questo nome, ed ebbero
sovente Larghe ricchezze. Ennio che il suo natale Trasse ne’monti
calabresi, degno Si fé’ d’esser unito al gran Scipione. (6i) Or
giaccion senza onor Federe, e il nome Ha d’inerte colui, che i sacri
studj Cari alle Muse a coltivar s’accinge» Giova cercar la
fama, e chi d'Omero Contezza avrebbe, se in obblió sepolta
Ateneo^ Plutarco ed altri parlano con somma lo^ de d*Amebeo
ateniese, perchè sonava eccellentemen- te la cetra, Apelle nativo di Coo
dipinse Venere nel- ratto di uscire dalVonde marine \ ed Augusto
coliocè una tal pittura nel Tempio dì Cesare suo Padre, ÉrUiio è tra
i Latini un poeta che si può da- gV Italiani paragonare a Dante.
Ennius ingenio maximus, arte xudis. Owd. Trist, Ub. IL EL
I, Fu egli, nativo di Rudia in Calabria, e visse sommamente caro a
Scipione Affricano il vecchio, ed a molti altri insigni Cavalieri romani.
Morì in età di anni settanta, e dicevi che fu collocata la sua statua di
marmo nel sepolcro degli Scipioni. Cicerone ^ro Archia Peata, così parla
di ciò: Garas fuit Af- iiricano superiori ngster Ennius ; itaque in
tepulcro ScipioQum putatur is esse constitutus e marmore.
L'Iliade o^ra imxnortal foase rimasa? ^ Chi Danae conosoiata avr^a,
se ascosa (6a) Posse étata mai sempre^ e «e già vecchia' Si
fo8a''ella lacchiusa eptro la torre? Utile è a voi, bèllé e vezzose
donne, Di porre oltre le soglie il vago piede< La
lupa a molte agnello insidie tende Per predarne una, e sopra molti
augelli Vola 1 Augel dj Giove. Il volto mostri Sposa_ leggiadra ^1
P®poI<>> o fra molti Un solo appéna rimai^rà sua preda.
In ogni loco ove si tro^, attenda Sempre a piacere; ed abi>ia
special cura Di sua bellezza. Puote in ogni incontro Sempre molto
la sorte. Getta l’amo, Chè in quel gor^o, ovemen lo pensi, il pé^co
t alor SI trova . Erran sovente indarno Per boschi montuosi i cani, e il
cervo Cade fra’ lacci, mentre uinn l’insegne. D Andromeda
l^ata a un duro scoglio Il niTPf far, che a un uom piacesse Il
pianto sue ? ài cerca spesso un uomo Ne funerali del marito ; i
crini Sciolti portar conviene, e sian la gote Di lagrime
bagnate . Ma fuggite Gl, uomini che d’aver le ^mbra adorne hi
fanno un pregio ; della lor beltade Vanno superbi, e portano le
chiome Con ricercata simmetria, disposte. Ciò che dicono a
vói, dissèro a m{llé; D’ uno in un altro àmot Tàgando vanno,
Senza restarsi in dmha "parte mai. Che d’un tal uomo
effeminato, a cui Forse molti non mancano amatori. Dee fer la donna
? 11 crederete appena. Ma credetelo pur, Troja' àncor ferma Starebbé,se di
Priamo avesse ih uso\ Posto gl* insegnamenti . H'a^yi di quelli Che sotto
il mantó di fallate amore V’assalgono, e tiòèrcan coh‘ tai mezzi
Vergognosi guadagni . Ntìn la chioma Per il liquido nardo nitidissima
^ V'inganni, o breve fascia con cui stringa Le pieghe della veste ;
nè v’ illuda Toga che sia di tenue,fil tèssuta; O anel con
cui s’adorni uno o più. dita. Chi fra questi è più colto, è forse un
ladro, E d’ amore arde per la ricca veste. Gridano spesso le
spogliate Donne; Il mio a me rendi, e il suon per tutto il
foro Rimbomba, e s’ode ; a me deh rendi il mio. Tu da tuoi templi
d’oro adorni miri Con le femmine d’ Appia indifferente, Venere, queste
lìti, Ancor vi sono Pessimi nomi'pei^'non dubbia, fama-. Priamo
iruinuava «’ tuoi Trojatti di rtrtdtr
àoeva nella via appia tomo al quale abitarono molte
donne sacrifici che queste rendevano a quella lor lare,
consistevano in prestar liberante tl lor corpo alle voglie sfrtnatt
desìi uomm Iwrnnio E molte che rimasero ingjinnatp Da molti amanti,
or d’ un egual delitto Si trovan .ree. Dalle quetele altrui;
Imparate a; temer le^ vostre ; chiusa, Sia mai sempre la porta ad
uom fi^lace. Donne ateniesi, uon prestate fade (j66)‘ A Teseo
ancor, che giuri In testimonio
Come invocolli nn giorno, i Numi invoca. Tu del delitto, oJDemofonte,
erede. Di Teseo più non meriti credenza, Perchè ingannasti Fillide . Se
molto A te pròmetteran, loro prometti j Con eguali parale . So di
doni, Ti siano liberali, lor concedi I promessi piacer, ma se
gli nìeghi II dono ricevuto, ancor potrai. La fiamma estinguer
deUa vìgil Vesta, Rapir da’templi dTside gli arredi, E air uom porger T.
aconito mischiato Con la trita cicuta«tll mio desire, Mi
spinge ora a ;fcenarmi, e: tu ritieni. Musa, le brìglie: nè le mosse
rote * Ti dian.terror» Tentino in prima il guado Ov..Arte
d-am. Teseo abbandoni Arianna in Nassa, Demofe^nte non serbò a
Fillide la premesti^ di ritornarsene a lei dentro due mesi, Con
questi versi vuol significare il poeta che è capace di commettere ogni
sceUeratezza quella don~ na, che nega il favor suo a quegli uomini da*
quali ha ricevuto de^ doni, Riputavasi in fatti da* Romani un
enorme delitto il rapire il fuoco custodito dalle Vestali, o i .sacri
arredi del tempio d’Iside; e da ogni nazione si è creduto sempre
colpevole colui che porge alVuQmo /^aconito con la cicuta, cioè il
vet^no. Xrli scritti fogli, e T inviate cifre Riceva accorta ancella
. Apprendi e vedi Dalle stesse parole che tu leggi, Se finga,
o par se son sinceri i prieghi. Dopo breve dimora ognor rispondi^
Mentre, se è bre;i^e, è stimolo agli amanti. Deh non prometti al
giovin che ti prega D’ esser docile mai, ma in duri accenti Non.gli
negar ciò che dimanda . Tema E speri a un tempo^ e ognor che tu il
licenzi Sia minore il timor, maggior la speme. Scrivi culto parole
e consuete, Che un famigliare stil più eh’ altro piace. Ah
quante volte arse per dólci note II cor di dubbio amante, e fu
nociva Una barbara lingua a bella Donna! Benché voi siate
nell’onor perdute. Tutte le cure vostre or son dirette A ingannate i
Mariti . Idonea mano D’esperto giovin, di fidata ancella Rechi le
dolci lettere, e tai pegni Non sian fidati ad un novello amante.
Vidi ben spesso impallidir le donno Per tal timore, e vìvere i lor
giorni Miseramente in sehìavitudin dura. Perfido è quei ohe
tali doni serba. Che qual fulmine etnèo sono in sua mano. Si
può tener, se al vero io non m’appongo, Lungi la frode con la frode
ognora; Contro gli armati impugnar 1 ’ armi, logge Nissuna vieta .
A imprimer sulla carta S’accostumi la man diverse cifre. Ah ! peran
quelli contro cui vi deggio Avvertir di tal cose. In foglio mondo La
risposta si scriva, onde non sembri Da due mani vergato . Al suo
diletto Scriva la donna, .come un uòmo amante Scrive air amata » ed
usi V uom V opposto. Ma da lieve materia innalzar V alma Ora a me
piace a più sublimi cose, E le vele spiegar gonfie dal
vento. Opra è del volto i rabidi trasporti Saper frenar: candida
pace all* nonio Convien come alle belve ira crudele. Si fan
per Tira tumide le guancie; Vengpn nere le vene, e inocchio splende
Più truòemente del gorgòueo ‘fòco. Vanne lungi da 'metromba
importuna^ Disse’Pallade ^ allór che il volto suo (*^0) Mirò )iel
fiume . Se voi iii mezzo all’ ira Riguardate lo specchio ^ alcuna appena
liistinguére pbtm W figura. ' Nè dannosa a Voi supérbr^^
facòià j TurgidJ il voltò ; có^ be^nigiii sguardi Deèsi a^es9ar 1 ’
amóre ‘J Odiahio ( e voi Già 1 fó^cre((efé che. ìie siete esperte)
‘ I fasti inambderatl^e spesso chiude Deir odio 1 sómi
taciturna faccia. / Guard^ ^uel che ii mira, e ùi olle mente
Sorrmi 'a^ueì cjhe rid^ e se à te un cenno §ia . Gorgoni étart t^e
mostri \^enimente orribili per ìaHesta circonddia di serpi, e per Vocchio
spaven^ tegole che ateoanò in: mezzo alla fronte . Chi fissava
occhi in faccia*'alle medesime, rimaneva di sasso, Pallàde /
sécorido^alcuni y gettò via la tromba, perdhè ^s’accorse chè ih sonarla
si faceva troppo gòHf^ la faccia. ‘ ' Con tai preludj il
favcitilletlo Amor» Pose i rozzi da parte, e diè di piglio A!
dardi acuti della sua faretra. Vadan lungi da noi le donne
meste; Ajace ami Tecmessa t noi sol puote Tener ne’lacci suoi
lemina allegra.Non fa giammai che a voi porgessi preci, O Andromaca o
Teome^sa, onde a me foste O r una o Valtra amiche. Appéna posso
Creder che in letto maritar giaceste, Quando, a crederlo astretto io son
da^iiglL Fprse ad Ajace la dolente sposa ‘ Avrà detto: mia luce, e
gli altri accenti, Cari agli uomin|^ tanto f £ chi mai Vieta,
Applicar gravi esempli a tenni cose, E di guerrier non paventare il
npmef Cento soldati a questo^ il Duce esperto Diè a regger cop la
vite,|è a quello cento Cavalieri, e lasciò'T altro in custodia ^
Delle l^andiere A; qual vedete impresa Atti noi siamo ; e^nel suo
posto'o^gntipo ^ Venga locato. Un ricco a voi dia doni^ ' Vi sia
propizi o, il Giudice, e ; il facondo ‘ Difenda i dritti vostri .'|loi
poeti, Donp possiam far solo di carmi. 3a più degli altri
amare il coro nostro; Andròniaca dopo ìa rnòrté ^&toré amato sud
sposo, r dopo V incendio di-Trofa-fpssssò for i rn i s uns nm ti alle
nozze di Pirro ^ e però vìsse con ^uosto/s^ssai malinconicà. Teemessa,
moglie di Ajace, er^ una schiava y e però, secondo Ovidio y. doveva aver
sempre Vanirne occupato da una grave, tristezza Da/ Comandante solevansi affidile^cento
sol- dati al Centurione il quale aveva per sua insegna U 9 ramo di
vite. Uua grata beltà cott ampie lodi Sappiamo celebirare, e va
fainoso Dì Nemesi per noi, di Cinzia il nome. E dove nasce, e dove muore
il Sole Conobbero Licori., e chieggon molti Chi sia Corinna nostra.
Aggiungi a questo Che son T insidie ignote a" sacri Vati,
Che giova V arte nostra a^ lor costumi. Kpa ambiziosa voglia, e non
desio D’aver ci punge. Noi sprezziamo il fòro E son graditi a noi V
ombra ed il letto. Facili amiamo ognor con certa fede, £ in
vasto incendio, il nostro core abbrucia. Con placid’arte docile T
ingegno Facciamo, e ben s’adattano co nostri Studj i postumi. A*
Vati aonj, o donne. Siate indulgènti, che gl^inspira un Nume,. E
lor son fauste le pierie uive. Ci agita un Dio.; abbiam col Cièl
commercio;. Ci vien lo spirto dall* eteree sedi. Chiedere il pre^o è
scelléra^in grande Ad ottimo Poeta. Oh me infelice. Che scelle
raggio tal piti non si teme Dalle jauciulle • ALmen dissimulate,
Nè vi fate veder tosto rapaci. No, non cadrà nella prevista
rete Un novèllo amatore . Il Cav^aliero Nemesi è amata a celebrata
da Tibullo, Cia zìa da Properzio, tdcori da Gallo, a Ovidio ha^da^ to ne^
suoi versi alla propria amante il nome, di Corinna. Le Muse si
chiamavano le Dive pierie, 0 per^ chi abitarono nel monte Pierio in
Tessaglia, o perche vinsero e trasformarono in gazze le figlie di Pierio.Non
reggerà T indomito cavallo Al par di quello che già al freno è
avvezzo* Nè lo stesso sentier batter tu dei Per adescar la verde
gìoventude, E le menti già stabili per gli anni QuelP
inesperto, che la prima volta Sotto si pone all’amorose insegne.
Che preda nuova nel tuo letto giacque. Te sol conobbe, e a te sia
unito ognora; Si cìnga d’ alte siepi una tal messe. Schiva d’aver
rìvjaì;ta vincerai, S’ei r amor suo con altra non divide; 1
regni e amor non vogliono compagni. Quel che invecchiò nell’ amoroso
agone. Con prudenza amerà, saprà soffrire Ciò che invan soffrirla
guerrier novello. Non frangerà le porte, e non furente Fiamma v’
applicherà. Non dell’ amata Farà con 1’ unghie ingiuria al delicato
Volto ; e non straccerà della Fanciulla Le vesti, e non le proprie ; e
per dolore Non svellerassi i crini • Questi eccessi Convengon solo
a’ Giovanetti acerbi Caldi per poca età, per troppo
amore. Tranquillo ei soffrirà la cruda piaga; Qual face
inumidita a foco lento Abbrucìerassì, o quale in giogo alpestre
Fresco ramo reciso: è quest’amore Più certo, è quel più breve e più
fecondo. Con sollecita man cogliete i pomi Che fuggon. Tutto ormai
s* insegni; schiuse Son le porte al nemico ; e siate fide Mentre
ingannate altrui. Facil Donzella Puote mal conservare un lungo
amore. Sla la ripulsa rara » e venga sempre Da lieti scherzi
accompagnata • Giaccia Alla porta nrosteso, alto gridi: Porta
crudele ; e molte cose umile Faccia 9 e molt^ altre minaccioso. Il
dolce Noi mal soffriam ; ci sana il succo amaro; Pere spesso la
nave » e fausto ha il vento. Ecco perchè non amansi le mogli; Seco
stanno i mariti a grado loro. Chiudi la porta 9 e in aspro suon
TuBciero Gli dica f entrar non puoi ; escluso, in seno Di lui per
te si desterà l’amore. Deh riponete i rintuzzati brandi; Con
gli acuti si pugni, ch^ io con l’armi Mie già non temo d’ essere
assalito. Mentre ne^ lacci un amator novello Cade, gli fa sperar
xhe del tuo letto Solo godrà ; poscia il rivai conosca E i divisi
piacer ; senza quest’ arte Amor illanguidisce • Il generoso
Destrier,se venga dal suo career schiuso. Corre velocemente, se il
preceda Altri nel corso, o se lo segua . Estinto Ancor che sembri
l’amoroso foco Con nuova ingiuria si riaccende, ed io, Lo deggio
confessar, soltanto offeso Nutro r amor . Non troppo manifesta Sia
la causa del duolo ; e ansioso creda
L’amante che maggior fia ancor l’offesa Di quello che gli è noto ;
ed or l’inciti L’aspra custodia di fallace servo, n geloso rigore
or del marito; E men grato il piacer senza contrasto Èeiichè tu sii
di Taide più. }asciya, Fingi timpri ; e ancor che per la porta Meglio il
possa introdar, fa eh’egli venga Dalla finestra, e nel tuo volto i
segni Mostra di Donna da timor sorpresa» Venga l’ancella
frettolosa, e dica: Ah siam perduti 111 trepido Garzone
Allora ascondi; col timor si debbe Mischiar piacer sicuro, onde
1’apprezzi» Come il marito accorto e il vigli servo Si possano
ingannare i’avea taciuto Tema una Sposa il suo Consorte^ e viva
Certa che altri la guarda ; è ciò decente; Vuol ciò il padoi:, la legge,
e F equitade. Chi soffrirà che custodita sii Tu, che or la verga
del Prétor redense? Odiose vuoi ingann^kT, miei sacri carmi» T’ osservio
puro occhi miglior di quei Ch’ebbe il guardiano d’io, sii risoluta,
£ tesserai l’inganno E puote invero Chi t’ ha in custodia a te
vietar che scriva Se non si vieta a te di gire al bagno? E se potrà,
de’tuoi segreti a parte, Terenzio da il nome di Taide ad una donna lasciva,
che forma la parte principale della sua Commedia intitolata
/^Eunuco. Parla qui il poeta delle donne schiave y che divenivano
libere quando il Pretore aveva toccato al» le medesime il capo con una
vèrga detta yindiqta, e che occupavano nelle case delle Matrone
Romane unposto corrispondente a quello delle nostre
Cameriere. (Giunone diede, cento occhi ad A^go custode d'io, perchè
potesse soddisfare esattamente al suo incarico, ma il Dio Mercurio
Pàìsdpì col suono del* la lira, e gli recise la testa Recar V ancella i
foglj ricoperti Nel caldo seno da una larga fascia^ O
nasconderli avvinti infra le gambe, O sotto i piedi f Se a tè ciò il
custode Vieti, P ancella porgerà le spalle Di carta invece, e
porterà su queste li^amorose tue cifre impresse. Un foglio Con
fresco latte scrìtto inganna 1’ occhio^ Con la polve l’aspergi del
carbone, £ legger lo potrai • Del paro inganna Lettera pura in cui sia
stato scritto Con la punta del lino inumidito, E le note
‘segrete incise porta . Intento Acrisie a custodir la Figlia, In opra pose ogni
più esatta cura: Eppur col suo delitto il fece eli’ avo. E che
fa il Custode, se cotanti Sono in Roma Teatri, e se a suo grado Non
mancano a^dì nostri degli inchiostri sìrw^ patiei y che superano ne^loro
effetti la virtù degli antichi. Con un^ oncia di Ut or girlo y e cinque
d^ace» to stillato si fa un composto, che chiamasi aceto di
Satarno. Con questo si scrioe sulla carta bianca, e quando è asciutta non
si scorgono in alcun modo i caratteri. Si sparge quindi sopra la carta
una piccola porzione d’un liquore fatto con un’oncia d’or pigmento e due once
di calce viva sciolta nell* acqua ; éd allora compariscono i caratteri
d*un coloraperfet’- tamente nero. Il calore e la luce
coloriscono altresì i caratteri scritti con alcune soluzioni metalliche
allungate con Vacqua, cioè con quella dell’oro, dell’argento, e
principalmenie del bismuto. La tintura di galla è pure ì^n inchiostro
simpatico, purché si faccia passar sopra di essa una qualunque marziale
dissoluzione, Annota (a del lÀb. Presente Può rimirar le corse de*
destrieri f Quando nel tempio d’Isi assister puote Al concerto de sistri,
e p^pte in altri Lochi ella gire » ove l’ingresso poi È vietato a’
compagni ? Se da’ templi Della Dea Buona può fuggir gli sguardi D’ogni
uom fuor di quel eh’ ella desia f lyientre il Custode fuor del bagno
serba Gli abbigliamenti della sua Padrona, Se può mrtivo nel;
sicuro bagno Celar 1* Aàotante ? Se ove 1’ uopo il chiegga Per
finto morbo giacerà 1’amica O se per vero, a lei cederà il letto? Quando la
chiave adultera col suo Medesmo nome cosa far c’insegna^ Nè
sol la porta dà il bramato ingresso? S’inganna pur con molto vin la
cura Di vigile Custode, ancor che colte Vengan l’uve nell’aspro
ispano giogo. Vi sono ancora i farmaci che al sonno Aggravan le pupille
quasi vinte Dalla notte letea • Nè mal trattiene La non ignara
ancella l’importuno Con le tarde delìzie, end’ ella possa Star col
suo vago quanto più le piace. Che far tante parole, e cosi lievi
.Gli uomini non potevano interpénire nel Tenu» pio d'Iside, quando le
donne celebravano le sue fo» ste col serbarsi, almeno apparentemente,
easte per molti giorni, Era agli uomini vietato V ingresso nel
Tem» pio della Dea Buona o sia di Cibele. Denota il Poeta il vin
poco generoso, che i Romani facevano venire dalia Laleiania in gna
provincia di Spagna Porger precetti, se con picciol dono Si corrompe il
Custode ? A me lo credi. Gli Uomini e i Dei guadagnansi co’doni, £
i doni placan pur lo stesso Giove. Che farà il saggio, se de’ doni
ancora Gode lo stolto ? Ricevuti i doni, Si farà muto anco il
marito istesso. Per tutto Panno guadagnar si debbo Una volta il
Custode, e quelle mani Che un di vi diede, vi darà sovente.
Feci querela, e l’ho ferma in pensiero Che temer si dovessero i
compagni; Nè diretta soltanto all’ uomo è questa. Se credula
sarai, carpirann’altre 1 tuoi piaceri, e avrai cacciato il lepre
Per esse. Quella, che t’appresta il letto, E che officiósa a te concede il
loco. Giacque più. volte, a me lo credi, meco. Nè troppo bella sia
l’ancella tua; Sovente meco fe’della padrona Ella le veci. Ah
! dove ora mi lascio Io stolto trasportar ? Perchè contrasto Col
petto inerme contro il mio nemico, Ed io da me medesmo mi
tradiscof Come pigliar si debba al cacciatore L’auge! non mostra y
ed a’ nocivi cani Come inseguirla non la cerva insegna. L’ utll
vostro mi piace: io fedelmente Vi spiegherò i precetti, ed alle donne Di
Lenno io porgerò contro il mio fato Lè Donne di Lenno in una notte, uccimo
i loro mariti, e però Ovidio sotto il nome di tende quelle che con
gli uomini sono troppo severe Sà Da me stesso il coltello. Ahi fate
in modo ( Ardua non è V impresa ) che crediamo D’ esser amati,
mentre ogutìno crede Farcii ciò che desia. La donna miri Con
infocato sguardo il fido amante, Tragga dal sen sospir profondo, e
chiegga Perchè sì tardi venne. Aggiunga il pianto, E finga gelosia
della rivale, £ gli percota con le mani il volto. Tosto
vivrà sicuro, e nel suo petto Facile nutrirà per te pietade,
E dirà fra se stesso: ah si consuma Questa per me d*amore i e
specialmente Se lo specchio consulta, e colto sia, D’innamorar ei
penserà le Dee. Ma a te chiunque sii, grave disturbo Non
arrechin le ingiurie, e sbigottita Non ti mostrar, della rivale il
nome Allor che ascolti, e facile credenza Non presta aMetti altrui.
Ah quanto nuoccia Il creder facilmente, a te lo dica Quello che
adesso narrerò di Proori. Scorre vicino del fiorito Imetto A’ be’
purpurei colli un sacro fonte. Di cui le sponde ognor fan grate e
molli Verdi cespnglj . Ivi non alta selva Procri figlia d’Eretteo Re
Atene per sos- petto di gelosia si portò segretamente nelle selve e
né boschi ad osservar Cefalo figlio di Mercurio, sua Sposo, ed ottimo
cacciatore . Mentre egli prendeva riposo in un ombroso colletto, essa celandosi
dietro alle siepi, mosse disgraziatamente le foghe degli alberi»
Credè Cefalo che s’ascondesse fra quelle una fiera y e però vi scagliò
una saetta che gli uccise la sua dìletta consorte. Un l^co forma; gli
arboscelli l'erba Ricoprono, e un soave odore esalano II rosmarin,
l’alloro, il negro mirto. Non il tenne citiso, il colto pino,
E il fragil tamarisco ivi già manca^ E non folto di foglie il
busso. Scosse Da dolci aeffiretti « e da salubre Aura treman le
foglie mnltiformi, £ le cime dell^ erbe. Ama la quiete
Cefalo. Abbandonati i servi e i cani. Ivi stanco il Garaon spesso
s’adagia; Solea cantar: mobil auretta, vieni Onde t’accolga nel mio
seno, e allevj Il cocente càlor. Le intese voci Da un malaccorto
far recate intere Alle timide orecchie della moglie. Tosto
che Procri il nome adì dell’aura, Qnal fosse uua rivale, a terra
cadde; Ammutolissi pel dolor ; nel volto Impallidid^ come le tarde
foglie. Se colte sieno dalle viti l’uve. Sogliono impallidir
dal verno offese, O i maturi cotogni, i di cui rami Piegansi,
o le corniole ancor non atte A* cibi nostri. Tosto che; rinvenne.
Straccia dal petto suo le tenui vesti. Con V unghie impiaga le
innocenti guance. Jndugie non conosce, e qual Baccante Mossa dal
J'irso, furibonda vola Per le pubbliche vie, sparsa i capelli.
Ma già vicina, in una valle lascia I suoi seguaci ; intrepida e
furtiva Nel bosco con piè tacito s’innoltra. QuaPera il tuo
consiglio, allor che stolta O Procri, t’ascondeyi ; e quale ardore
NelPattonito séno allor ti corset Già tu pensavi di sorprender
l’aura Qualunque fosse, e di mirar co’proprj Occhj P infedeltà del
tuo Consorte. Quivi d’esser venuta ora Rincresce; Or la
rivale di mirar ti piace, Ed or ti penti opposti affetti in seno Destan tumulto.
A creder la costringe ( Che quel che tenie ognor crede l’amante )
L’accusatore, il loco, il nome. Quando SulP erbe vide impresse Torme
umane, Balzolle il cor nel pauroso petto. Già T ombre brevi aVea il
meriggio strette, E in spazio egual giaceva l’Occaso e l’Orto,
Allor che di Mercurio il figlio Cefalo Dalle selve ritorna, e T
innainmate Guance delTacque di quel fonte asperge. O Procri, tu
t’ascondi ansiosa ; ei giace Sull’ erbe consuete, e vieni disse,
ZefHro fucile, o molle curetta vieni. Quando conobbe il dolce error
del nome, AlT infelice il cor tornò nel seno, E il primiero
color sul volto suo. S’alza, movendo il corpo e move ancora Le
frondi circostanti ; e fra le braccia Va per gittarsi del marito Mosso Credendo quel rumor da qualche
belva, Imprudente la man slancia sull’arco. Ed ave i dardi
già nella sua destra. Infelice che fai? non è una fiera, rw Deponi
ì dardi.... Oimè la tua consorte Dalle saette tue giace trafitta. Oh
me infelice i eéclamà ; in petto amico Vibri il tuo dardOi o sposo.
Ah che fa sempre Da te questo trafitto! Io pria del tempo La morte
trovo « noa offesa almeno Da un rivale .^h farà ciò la terra,
Ov* io riposi, a nae cara e leggiera. Fra quest’aure ^ che
odiai sol per un nome. Già spazierà il mipspirto.. oh Dio!•• vacillo. Mi
chiuda i lumi quella destra amata. Le membra moribonde egli sostiene
Nel mèsto seno, e la crudel ferita Con le lagrime asperge^ Ella già
spira, E la bocca del misero marito Lo spirto accoglie che
dal petto incauto Deir infelice, Porcri alfine eeala. Ma sul
sentier si torni. lo debbo adesso Agir palesemente, onde il
naviglio Indebolito tocchi i porti suoi. Ch’io ti scorga a conviti
aspetti forse, e ch’io ti guidi in questo pure attendi? Non
t’affrettar; vien tardi, e già sia posta La lacerna i e decente i passi
volgi. Grato è a Vener Findugio, e molto giova. Benché bratta tu sii,
sembrerai bella, che coprirà la notte i tuoi difetti. Prendi co’ diti
il cibo; havvi pur l’arte nel modo di cibarsi; con l’immonda mano
cerca non ungerti la faccia; nò mangiar prima in casa, ma t’astieni dal
farlo allor che avrai mangiato meno di quel che il ventre tuo capè, e tu
brami. Paride, se veduto avesse Elena cibarsi avidamente, avria per
lei nutrito sdegno, e detto fra se stesso: Ah fui ben stolto nel rapir
costei! Meno disdice a donna il ber, che Bacco £ di Venere il figlio
uniti vanno. Sì beva pur fin che il permetta il capo, E Talma e ì
piè siaxi atti a loro nfficj, nè raddoppiati sembrinti gli oggetti.
Donna che giaccia per soverchio vino, £ turpe, e di soffrir merta ogni
assalto. Sparecchiata la mensa, è gran periglio cadervi per il
sonno; in mezzo a quésto Molte si soglìon far cose impudiche. Io di
stender più innanzi i^niiei precetti Sento rossor. La figlia dionea
Mi disse: utile è a noi quelPòpra ìstessa che in se desta vergogna. A voi
si sveli. Donne, ogni fatto. I varj atteggiamenti Noti vi sien, che
a tutte non conviene la medesma figura. Tu che sei pel volto insigne,
giacerai supina quella che ha bello il tergo, il tergo mostri. Recava
Melanion sulle sue spalle le gambe d’Atalanta; se sian belle. Si dee
imitare allora un tale esempio. Porti il cavai pìccola donna ; avéa statura
immensa la tebana sposa; Suirettoreo cavai però non giacque. Quella che
può mostrare un lungo fianco prema con le ginocchia il letto e alquante ritorca
la cervice chi le membra Ha giovanili, e senza macchie il seno mentre l’uomo
sta in piedi, ella corcata giaccia obliqua sul letto nè già turpe
Credete scioglier qual Baccante il crine. XeSpoifk tsUoa 4fl4rQmcé mQglk E ondeggiando i capei,
piegate il collo. Tu pure, a cui la pronuba Lucana macchiò il ventre di
rugh, imita il l’arte Quando combatte sul cavai fugace, Ben mille son di Venere
le foggie, ma la piò facil, di minor fatica È quella, in cui semisupina giace
Sul destro fianco, I Tripodi febei, O il cornigero Ammon cosa piò vera Non
conteran di quel che or la mia Musa- se Parte, che ci costa un lungo
studio, merita fè, credete, ancor che i carmi Nostri eccedano forse
ogni credensà Venere abbrugi le'midolle e l’ossa delle donne, e sia
caro ad ambedue Lo scambievol piacer. Un mormorio dolce, e parole
lunsinghiere e grate non manchino, nè tacita si stia in mezzo ascari
scherzi unqua la donna, tu, cui d’amor negò natura il gaudio, finger lo
devi con mendace suono; Lucina è un nome di Giunone, la quale presiede a
matrìmon) ed apparti, i Greci dopo d^ a^er ointo i Persiani nella
battaglia di Platea, levarono una decima suUe spoglie per fare un Tripode d’oro
eonsagrato ad Apollo, Ateneo lo chiama il tripode della verità perchè
si ritrovavano verissimi gl’oracoli di questo dio, Ammone è un
soprannome di Giove, Quinto Curzio fa menzione del magnifico Tempio che gli fu
edificato nella Libia, La sua statua avea la figura d’a- liete, e però si
chiama cornigero Ammone. Dava essa de certi oracoli a chi la consultava,
ed era a guisa d’un automa, che crollava la testa per additare a sacerdoti
la strada, che dovean fare quando la portavano in processione. Ben
infelice e miseranda donna È quella, che a sa stessa ìnntil tragga unutile
pèr l’uomo i giorni suoi. Mentre e#ò fingerai, che non ti scofira
Cerca, é col moto, fin con gl’occhi stessi procura d’ingannar. Faccian
palese un frequente respiro e dolci accenti quello che giova. Termini
novelli Sa la donna inventare in quegristanti quella, che chiede dopo il
gaudio i doni, non sia molesta almen con le preghiere. Nè il pieno
giorno introdurrai nel talamo chè giova a voi tener del corpo vostro molte
cose celate. Ha fine il gioco. È tempo ornai di scendere da’Oigni che sul collo
guidaro il nostro cocchio, e come fero i giovanetti un giorno, così la turba
delle donne scrìva sulle spoglie, Nason ci fu maestro. Gianni
Carchia. Keywords: ars amandi, erotica, il bello, la comunicazione dei
primitivi, Ovidio, arte amatoria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carchia” –
The Swimming-Pool Library.
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