Luigi Speranza -- Grice e Cardano: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del valore civico di
Melanippo -- Caritone -- the tasteful Milanese maschi – prospero – scuola di
Pavia – filosofia pavese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pavia). Filosofo
pavese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Pavia, Lombardia. Grice: “I’m
sure Cardano does not mean chance by aleae! It’s a Roman
notion, not an Arabic one!” Grice: “Cardano is a fascinating philosopher, but
then so is I [sic]!” Grice: “My faavourite philosophical topic by Cardano is
what he calls, well, his Italian translators call – recall that Italian
philosophy is written in the ‘learned’! – ‘gioco d’azzardo’, ludo alaea – which
is what conversation is – what is conversation is not a game of azzardo? But
Cardano also refutes all that Malcolm says about ‘dreaming,’ never mind Freud –
Italians are obsessed with a male sleeping: Rinaldo, Tasso, Botticelli
(“sleeping Mars”), not to mention the search for the Etruscan equivalent to
‘oneiron,’ the god – one of my most precious souvenirs is a little medal of
Cardano: not so much for his very Roman nose (charming as it is) but for the
backside, which represents Oneiron, indeed, aong the ladies!” Poliedrica
figura del Rinascimento. Riconosciuto come il fondatore della probabilità,
coefficiente binomiale e teorema binomial. A lui si deve anche la parziale
invenzione dell’ implicatura e della serratura, della sospensione cardanicache
permette il moto libero, ad esempio, delle bussole nautiche ed è alla base del
funzionamento del giroscopioe della riscoperta del giunto cardanico. Animos
scio esse immortales, modum nescio. So che l'anima è immortale, ma non ho capito
come funzioni la cosa. Figlio del nobile Fazio, un giurista esperto nella
matematica tanto da essere consultato da da Vinci su alcuni problemi di
geometria. Fazio conobbe a Milano la vedova, madre di tre figli, Chiara
Micheri (o de Micheriis) di cui s'innamora iniziando con questa, che vive con
la famiglia del defunto marito, una relazione clandestina che porta al
concepimento di un quarto figlio. Per non essere coinvolto nello scandalo prega
un suo amico di Pavia, il patrizio Isidoro Resta, affinché assumesse Chiara
come governante nella sua casa. Prima che lei partorisse, i suoi tre figli
morirono quasi contemporaneamente di peste e lei tenta allora di abortire,
senza riuscirci, del nascituro che ebbe il nome di Gerolamo e che lasciò scritto
nella sua autobiografia. Dopo che mia madre tenta senza risultato dei preparati
per abortire, vengo alla luce a Pavia. Come morto, infatti, sono nato, anzi
sono stato strappato al suo grembo, con i capelli neri e ricciuti. Il bambino contrasse
la peste dalla sua balia, che ne morì, e fu allevato da altre nutrici. E
trasferito a Milano dal padre che anda ad abitare con lui solo quando ha solo sette
anni, età in cui prese ad accompagnare il padre nei suoi viaggi d'affari.
Essendo delicato di salute, si ammala gravemente. Solo dopo una lunga
convalescenza poté riprendere a viaggiare con il padre dedicandosi nel
frattempo agli studi di filosofia, nei quali ha modo di eccedere per le sue
doti quando puo iscriversi a Pavia e Mantova per studiare filosofia, contrariamente
ai desideri del padre che avrebbe preferito avviarlo agli studi giuridici.
Lasciata Milano in preda alla peste e sconvolta dalla guerra francese, si
trasfere a Padova e si laurea a Venezia. E oggetto dell'astio che molti tutori
hanno nei confronti di quello tutee geniale ma dal carattere scontroso e talora
offensive. Sono poco rispettoso e non ho peli sulla lingua, soprattutto mi
lascio trascinare dall'ira, al punto che poi mi dispiace e me ne vergogno. Riconosco
che tra i miei vizi ce n'è uno molto grande e tutto particolare: quello di non
riuscire a trattenermianzi ne gododal dire a chi mi ascolta ciò che gli risulta
sgradevole udire. Persevero in questo difetto coscientemente e volontariamente,
pur sapendo quanti nemici da solo mi abbia procurator. Nel frattempo a Milano e
morto il padre che ha regolarizzato la sua convivenza sposando la madre del
filosofo. Non potendo tornare a Milano per l'epidemia e la guerra, prese
dimora a Piove di Sacco. Esercita la sua professione a Gallarate. Ottenne
la cattedra per l'insegnamento della filosofia presso le scuole Piattine di
Milano, dove aveva insegnato anche il padre. La sua fama di esperto dottore si
accrebbe per aver risanato alcuni membri della famiglia Borromeo. Dovette
rifiutare alcuni incarichi di prestigio perché non retribuiti fino a quando e ammesso
nel Collegio dei medici di Milano. Accetta di ricoprire la cattedra di
filosofia a Pavia, rifiutando le offerte che gli venivano reiterate dal papa Paolo
III. Cura, con esiti positivi, l'arcivescovo di Edimburgo John Hamilton, malato
d'asma. Intuì probabilmente la natura allergica della malattia proibendo a
Hamilton di usare cuscini e materassi di piume. Per aumentare la sua fama volle
fare l'oroscopo all'arcivescovo e al re, e lesse nelle stelle un futuro radioso
per entrambi. Hamilton fu impiccato quasi subito dai riformatori. Il re muore
di tubercolosi. Rifiuta le prestigiose e ben retribuite offerte del re di
Francia e della regina di Scozia. Colpito da un doloroso avvenimento
riguardante il figlio Giovanni Battista, medico anche lui, che, nonostante gli
avvertimenti del padre, aveva voluto sposare una donna povera e di cattivi
costume. Per necessità economiche il figlio coabita dai parenti della moglie
avviando una convivenza caratterizzata dalla nascita successiva di tre figli e
da continui litigi dovuti anche alle infedeltà della moglie che egli decise di
uccidere, con la complicità di una serva, facendole mangiare una focaccia
avvelenata con l'arsenico. Arrestato subito per uxoricidio, il figlio confessa
il delitto e dopo un veloce processo, nonostante la difesa con tutti i mezzi
messa in atto dal padre, fu condannato alla decapitazione. Gerolamo, convinto
che la durezza della condanna fosse dovuta all'invidia dei suoi colleghi, per
sfuggire alle malevole voci che lo accusavano di intrattenere rapporti illeciti
con i suoi tutee, si trasfere a Bologna. Venne ulteriormente amareggiato dalla
condotta scapestrata del figlio Aldo che lo diffama per tutta la città e che
arriva a derubarlo così che il padre dovette denunciarlo alle autorità che
espulsero il figlio dal territorio bolognese. A questa disgrazia si aggiunse
inaspettata la notizia che si stava preparando contro di lui un'accusa di
eresia tanto che il cardinale Giovanni Morone gli consigliò di lasciare il
pubblico insegnamento della filosofia. Questa misura prudenziale non valse però
a salvare Gerolamo che fu arrestato per eresia assieme al suo tutee Rodolfo
Silvestri che non volle abbandonare il tutore. Non si conoscono le accuse
che gli erano rivolte dall'Inquisizione. Tuttavia si era distinto per una certa
imprudenza nei confronti della Chiesa, governata dal severo Papa Pio V, per
aver compilato un oroscopo di Gesù, la cui vita così sarebbe stata decisa dalle
stelle, scritto l'encomio di Nerone, persecutore dei cristiani, e soprattutto
per i suoi confidenziali rapporti con i circoli protestanti frequentati dal suo
tuteei, dal genero e dall'editore e tipografo dei suoi libri. Nonostante le
testimonianze a suo favore di quasi tutti i suoi tutee, C. fu messo in carcere
e poi agli arresti domiciliari sino a quando la Sacra Congregazione tramite
l'inquisitore di Bologna gli impose la professione dell'abiura prima in forma
grave (de vehementi) coram populo e successivamente in forma meno infamante (coram
congregationem). Si sottopose docilmente alla abiura promettendo in una
lettera a papa Pio V di non insegnare più pubblicamente filosofia (la cattedra
all'università gli era stata intanto tolta) e di non pubblicare altre
opere. Lasciata Bologna Cardano si trasfere, sotto la diretta protezione
di Pio V, a Roma dove fu ben accolto ma gli fu negata una pensione che gli fu
invece assegnata da Gregorio XIII che era stato suo tutee a Bologna..E ammesso
al Collegio romano. Si dedica alla composizione della sua autobiografia De vita
propria. Il punto focale della sua filosofia è il concetto rinascimentale di “uomo
universale" che dà alla sua ricerca della verità un contenuto
enciclopedico. Scrive più di duecento opere che solo in parte furono pubblicate
nel XVI secolo e che, altrettanto parzialmente, confluirono nei dieci volumi della
monumentale “Opera omnia” dove si trattano temi di metafisica, omosessualita,
mascolinita, il machio, il maschile, la medicina, scienze naturali, matematica,
astronomia, scienze occulte, tecnologia. Egli, che si occupa anche della
interpretazione dei sogni, della chiromanzia, della numerologia, del
paranormale rende difficile distinguere nella sua filosofia il contenuti
moderno del sapere dalle tradizioni metafisiche e magiche del passato. Vuole
arrivare a una sistemazione unitaria della molteplicità dei saperi così che la
nostra incerta conoscenza eviterebbe la confusione se potesse discendere
dall'uno ai molti. Ma questo obiettivo, di origine neo-platonica, sfugge però
all'uomo il quale allora è preferibile che occupi il suo intelletto in quei
campi dove riesce, quasi come un dio creatore o ‘genitore’ – o ingegnero, a
fare le cose. Questo avviene nell’aritmetica che si incarna nell'esperienza in
un rapporto astratto-concreto la cui definizione ancora non è in grado di
elaborare Dopo aver analizzato nel “De subtilitate” i molteplici principi
delle cose naturali e artificiali, si rivolge allo studio di tutto l'universo e
delle sue parti (De rerum varietate), che concepisce come legate da sim-patia
(attrazione) e anti-patia (repulsione) fra gli astri e l'uomo) e connessioni
che consentono al filosofo, che conosce il linguaggio della natura e gli
effetti degli influssi astrali sulla vita sessuale umana, di compiere quei
"miracoli naturali" che sono le magie, di elaborare previsioni
astrologiche e di stendere gli oroscopi delle religioni come quello dedicato a
Cristo. Il contributo in matematica Noto soprattutto per i suoi
contributi all'aritmetica, pubblica le soluzioni dell'equazione cubica e
dell'equazione quartica nella sua “Ars magna”. Parte della soluzione
dell'equazione cubica gli era stata comunicata da Tartaglia. Successivamente
questi sostenne che C. aveva giurato di non renderla pubblica e di rispettarla
come di sua origine. Si avvia così una disputa che dura un decennio. C.
sostenne di averne pubblicato il testo solo quando era venuto a sapere che il
Tartaglia avrebbe appreso la soluzione dalla voce dal bolognese Scipione del
Ferro. La soluzione di Tartaglia, pur essendo successiva a quella di Scipione
Dal Ferro (comunque mai pubblicata), risulta essere indipendente da questa. La
soluzione della equazione cubica è detta comunque di C.-Tartaglia. L'equazione
quartica venne invece risolta da Lodovico Ferrari, un tutee di C.. Nella
prefazione dell'“Ars Magna” vengono accreditati sia Tartaglia che Ferrari. Nei
suoi sviluppi delle soluzioni occasionalmente si serve del concetto di numero
complesso, ma senza riconoscerne l'importanza come invece saprà fare Bombelli. Nell'ambito
della scienza medica, l'esempio di Vesalio, che negli stessi anni aveva
contestato l'anatomia galenica, spinse C. a definire Galeno un cattivo
interprete di Ippocrate. Le sue critiche a Galeno erano comunque presentate
come parte integrante di un tentativo di recuperare una tradizione ancora più
antica e, si presumeva, più autentica. Fu il primo a descrivere la febbre
tifoide. Venne invitato in Scozia a curare l'Arcivescovo di Sant'Andrea che
soffe di asma probabilmente d'origine allergica. Seguendo i precetti di
Maimonide riusce a guarirlo utilizzando delle cure modernissime per l'epoca:
eliminare piume e polvere e mantenere una dieta controllata. Al ritorno dalla
Scozia si ferma a Londra, dove incontrò il re d'Inghilterra per il quale
redasse un oroscopo secondo il quale prospetta Edoardo VI una lunga vita
seppure turbata da alcune malattie. La sua fama di si diffuse in Inghilterra
tanto da interessare Shakespeare che nella "Tempesta" rappresenta un
personaggio molto simile a C. ed inoltre una prova della sua perdurante
popolarità può essere vista nel fatto che un’edizione del suo ‘De Consolatione’
è proprio il libro che Amleto tiene in mano quando recita il suo celeberrimo
monologo ‘Essere o non essere’. De subtilitate e il libro che Amleto tiene in
mano all'inizio del secondo atto, quando Polonio gli domanda cosa stia leggendo
e lui risponde: "parole, parole, parole". Progetta inoltre svariati
meccanismi tra i quali: la serratura a combinazione; la sospensione
cardanica, consistente in tre anelli concentrici collegati da snodi, in grado
di ospitare una bussola o un giroscopio, garantendo la libertà di movimento
dello strumento; il giunto cardanico, dispositivo che consente di trasmettere
un moto rotatorio da un asse a un altro di diverso orientamento e viene tuttora
usato in milioni di veicoli. Ma pare fosse già conosciuto, anche se porta il
suo nome perché appare nella sua opera De Rerum Varietate in una illustrazione navale. L'invenzione di
questo tipo di giunto in realtà risale almeno al III secolo a.C., ad opera di
scienziati greci come Filone di Bisanzio, che nella sua opera Belopoiika lo
descrive chiaramente. Egli dette svariati contributi anche all'idrodinamica. Sostene
l'impossibilità del moto perpetuo, con l'eccezione dei corpi celesti. Pubblica
anche due opere enciclopediche di scienze naturali che contengono un'ampia
varietà di invenzioni, fatti ed enunciati afferenti all'occultismo e alla
superstizione: il De Subtilitate e successivamente il De Varietate. Introdusse
la griglia cardanica, un procedimento crittografico.A Cardano è attribuito
anche il gioco rompicapo descritto nel De subtilitate, ma probabilmente
risalente a un periodo più antico, chiamato Gli anelli di C.. Altre opere: Della
sua vita avventurosa e molto travagliata, rimane testimonianza nella sua autobiografia.
Ebbe spesso problemi di denaro e per cavarsela si dedicò ai giochi d'azzardo
per i quali ha una vera passione di cui si pente. Così ho dilapidato
contemporaneamente la mia reputazione, il mio tempo e il mio denaro. (zeugma –
segnato da ‘dilapidare’ – denaro, dilapidare il suo tempo, dilapidare la sua
reputazione. Pubblica un saggio sulle probabilità nel gioco, “De ludo aleae”
che contiene la prima trattazione sistematica della probabilità, insieme a una
sezione dedicata a metodi per barare efficacemente. Oltre alla produzione
dialettica, di carattere più strettamente filosofico sono invece il De
subtilitate e il De rerum varietate, ampie raccolte delle sue osservazioni
empiriche e delle sue speculazioni occultistiche. Della sua produzione
filosofica sterminata possono considerarsi come le opere più importanti:
De malo recentiorum medicorum usu libellus, Venezia (medicina). Practica
arithmetice et mensurandi singularis, Milano. Artis magnae sive de regulis
algebraicis liber unus (conosciuta anche come Ars magna), Nuremberg. De
immortalitate. Opus novum de proportionibus. Contradicentium medicorum. De
subtilitate rerum, Norimberga, editore Johann Petreius (fenomeni naturali). De
libris propriis, De restitutione temporum et motuum coelestium; De duodecim
geniturarum -- commento astrologico a dodici nascite illustri. De rerum
varietate, Basilea, editore Heinrich Petri. Fenomeni naturali. De signo. De
causis, signis, ac locis Morborum. Bologna. Opus novum de proportionibus
numerorum, motuum, ponderum, sonorum, aliarumque rerum mensurandarum. Item de
aliza regula, Basilea (matematica). De vita propria. Proxeneta (politica).
Metoscopia libris tredecim, et octingentis faciei humanae eiconibus
complexa, Liber de ludo aleae, postumo (probabilità). Le sue opere vennero
raccolte e pubblicate a Lione in 10
volumi. L’Encomio di Nerone. A lui è dedicato il cratere lunare Cardano e
un asteroide. È intitolato a lui l'Istituto "G. C." della sua città natale, nel
cui cortile interno è posta una scultura che rappresenta il giunto cardanico,
nonché infine l'omonimo collegio universitario pavese. La blockchain
"Cardano" (ADA) prende il suo nome, in quanto basata su un approccio
scientifico e matematico. Della mia vita. Somniorum synesiorum omnis generis
insomnia explicantes (Basilea). tti del Convegno, Castello Visconti di San
Vito, Somma Lombardo, Varese ed. Cardano); Università Bocconi. Equazione di
terzo grado" Il Rinascimento. Omeopatia
e allergie, Tecniche Nuove); Cardano, Edizioni Cardano, Il Prospero della
"Tempesta” somiglia tanto a Cardano
in Corriere. La tecnologia scientifica, in La rivoluzione dimenticata: il
pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Feltrinelli Editore); Il libro
della mia vita, Cerebro editore); Della mia vita, Alfonso Ingegno, Serra e Riva
editori, Milano). La formula segreta. Il duello matematico che infiammò
l'Italia del Rinascimento. ileae, per Ludouicum Lucium); “De propria vita”
(Milano, Sonzogno). Lugduni, sumptibus Ioannis Antonii Huguetan et Marci Antonii
Ravaud. Aforismi (Milano, Xenia). Palingenesi. Dizionario biografico degli
italiani. Il filosofo quantistico. L’avventure di Cardano, filosofo e giocatore
d'azzardo (Bollati Boringhieri, Torino Edizione); “La mia vita” (Milano, Luni).
Che sfortuna essere un genio. Indice delle Opera omnia Volume
1 Frontespizio Lettera dedicatoria Praefatio Vita
C. per Gabrielem Naudaeum Testimonia Elenchus
generalis Index librorum tomi primi Previlege du roy 1De
vita propria. De libris propriis. De Socratis studio. Oratio ad I. Alciatum
Cardinalem sive Tricipitis Geryonis aut Cerberi canis. Actio in Thessalicum
medicum. Neronis encomium. Podagrae encomium. Mnemosynon. De
orthographia De ludo aleae De uno Hyperchen. Dialectica Contradictiones
logicae Norma vitae consarcinata, sacra vocata Proxeneta De
praeceptis ad filios De optimo vitae genere De sapientia De
summo bono De consolatione Dialogus Hieronymi Cardani et Facii C.
ipsius patris Dialogus Antigorgias seu de recta vivendi ratione Dialogus
Tetim seu de humanis consiliis Dialogus Guglielmus seu de morte De minimis
et propinquis Hymnus seu canticum ad Deum De utilitate ex adversis
capienda De natura Theonoston seu de tranquilitate Theonoston
seu de vita producenda Theonoston seu de animi
immortalitate Theonoston seu de contemplatione Theonoston seu
hyperboraeorum historia De immortalitate animorum De secretis De
gemmis et coloribus De aqua De vitali aqua seu de aethere De
aceti natura Problemata Se la qualità può trapassare di subbietto in
subbietto Discorso del vacuo De fulgure De rerum varietate De
subtilitate In calumniatorem librorum de subtilitate (Archivio) Indice
rerum De numerorum proprietatibus Practica arithmeticae Libellus qui
dicitur, Computus minor Ars magna Ars magna arithmeticae De
aliza regula Sermo de plus et minus Geometriae
encomium Exaereton mathematicorum De proportionibus Operatione
della linea Della natura de principii et regole musicali De
restitutione temporum et motuum coelestium De providentia ex anni
constitutione Aphorismorum astronomicorum segmenta septem In Cl.
Ptolemaei de astrorum iudiciis De septem erraticarum stellarum
qualitatibus atque viribus. De iudiciis geniturarum De exemplis centum
geniturarum Geniturarum exempla De interrogationibus De
revolutionibus De supplemento almanach Somniorum
synesiorum Astrologiae encomium Medicinae encomium De sanitate
tuenda Contradicentium medicorum De usu ciborum De causis,
signis ac locis morborum De urinis Ars curandi parva De methodo
medendi De cina radice De sarza parilia Disputationes per
epistolas liber unus De venenis In librum Hippocratis de alimento
commentaria In librum Hippocratis de aere, aquis et locis
commentaria In septem aphorismorum Hippocratis commentaria In Hippocratis
coi prognostica commentaria In librum Hippocratis de septimestri partu
commentaria Examen aegrorum Hippocratis Consilia De
dentibus De rationali curandi ratione De facultatibus
medicamentorum De morbo regio De morbis articularibus Floridorum
libri sive commentarii in Principem Hasen Avicenna Vita Ludovici
Ferrarii Vita Andreae Alciati De arcanis aeternitatis (Archivio)
Politices seu Moralium liber unus Elementa Graeca inventione De
naturalibus viribus De musica Artis arithmeticae tractatus de
integris (Archivio) 10.8Expositio Anatomiae Mundini In libros Hippocratis
de victu in acutis commentariaIn libros epidemiorum Hippocratis
commentaria De epilepsia De apoplexia De humanis civilibus
successionibus (Paralipomena) De humana perfectione (Paralipomena) Peri
thaumason seu de admirandis Paralipomena De dubiis naturalibus
(Paralipomena) De rebus factis raris et artificiis humana compositione naturalium De mirabilibus
morbis et symptomatibus (Paralipomena) De astrorum et temporum ratione et
divisionibus Paralipomena De mathematicis quaesitis Paralipomena Historiae
lapidum, metallicorum et metallorum (Paralipomena) Historiae animalium
Historiae plantarum De anima De dubiis ex historiis (Paralipomena) De
clarorum virorum vita et libris (Paralipomena) De hominum antiquorum
illustrium iudicio. De usu hominum et dignotione
eorum, tum cura et errore. De sapiente (Paralipomena. De vita propria. De libris propriis. De
Socratis studio. Oratio ad I. Alciatum Cardinalem sive Tricipitis Geryonis aut
Cerberi canis. Actio in Thessalicum medicum. Neronis encomium. Podagrae
encomium. Mnemosynon. De orthographia. De ludo aleae. De uno. Hyperchen.
Dialectica. Contradictiones logicae. Norma vitae consarcinata, sacra vocata.
Proxeneta. De praeceptis ad filios. De optimo vitae genere. De sapientia. De summo bono. De consolatione. Dialogus Hieronymi Cardani et Facii Cardani
ipsius patris. Dialogus Antigorgias seu de recta vivendi ratione. Dialogus
Tetim seu de humanis consiliis. Dialogus Guglielmus seu de morte. De minimis et
propinquis. Hymnus seu canticum ad Deum. De utilitate ex adversis capienda. De
natura. Theonoston seu de tranquilitate. Theonoston seu de vita producenda.
Theonoston seu de animi immortalitate. Theonoston seu de contemplatione.
Theonoston seu hyperboraeorum historia. De immortalitate animorum. De secretis.
De gemmis et coloribus. De aqua. De vitali aqua seu de
aethere. De aceti natura. Problemata. Se la qualità può trapassare di
subbietto in subbietto. Del vacuo. De fulgure. De rerum varietate. De
subtilitate. In calumniatorem librorum de subtilitate. De numerorum
proprietatibus. Practica arithmeticae. Libellus qui dicitur, Computus minor.
Ars magna. Ars magna arithmeticae. De aliza regula. Sermo de plus et minus.
Geometriae encomium. Exaereton mathematicorum. De proportionibus. Operatione
della linea. Della natura de principii et regole musicali. De restitutione
temporum et motuum coelestium. De providentia ex anni constitutione.
Aphorismorum astronomicorum segmenta septem. In Cl. Ptolemaei de astrorum
iudiciis. De septem erraticarum stellarum qualitatibus atque viribus. De
iudiciis geniturarum. De exemplis centum geniturarum. Geniturarum exempla. De interrogationibus. De revolutionibus. De
supplemento almanach. Somniorum synesiorum. Astrologiae encomium. Medicinae
encomium. De sanitate tuenda. Contradicentium medicorum. De usu ciborum. De
causis, signis ac locis morborum. De urinis. Ars curandi parva. De methodo
medendi. De cina radice. De sarza parilia. Disputationes per epistolas. De
venenis. In librum Hippocratis de alimento commentaria. In librum Hippocratis
de aere, aquis et locis commentaria. In septem aphorismorum Hippocratis
commentaria. In
Hippocratis coi prognostica commentaria. In librum Hippocratis de septimestri
partu commentaria. Examen XXII. aegrorum Hippocratis. Consilia. De dentibus. De
rationali curandi ratione. De facultatibus medicamentorum. De morbo regio. De
morbis articularibus. Floridorum libri sive commentarii in Principem Hasen
(Avicenna). Vita Ludovici Ferrarii. Vita Andreae Alciati. De arcanis
aeternitatis. Politices seu Moralium. Elementa Graeca. De inventione. De
naturalibus viribus. De musica. Artis arithmeticae tractatus de integris. Expositio Anatomiae Mundini. In libros Hippocratis de victu in acutis
commentaria. In libros epidemiorum Hippocratis commentaria. De epilepsia. De
apoplexia. Paralipomena. De humanis civilibus successionibus. De
humana perfectione. Peri thaumason seu de admirandis. De dubiis naturalibus. De
rebus factis raris et artificiis. De humana compositione naturalium. De
mirabilibus morbis et symptomatibus. De astrorum et temporum ratione et
divisionibus. De mathematicis quaesitis. Historiae lapidum, metallicorum et
metallorum. Historiae animalium. Historiae plantarum. De anima. De dubiis ex
historiis. De clarorum virorum vita et libris. De hominum antiquorum illustrium
iudicio. De usu hominum et dignotione eorum, tum cura et errore. De sapiente. Melanippus
and Chariton Italy Greek athletes Lovers separator. Hieronymus the peripatetic says that the loves of youths used to be much
encouraged, for this reason, that the vigour of the young and their close
agreement in comradeship have led to the overthrow of many a tyranny. For in
the presence of his favorite a lover would rather endure anything than earn the
name of coward; a thing which was proved in practice by the Sacred Band,
established at Thebes under Epaminondas; as well as by the death of the
Pisistratid, which was brought about by Harmodius and Aristogeiton. "And
at Agrigentum in Sicily the same was shown by the mutual love of Chariton and
Melanippus - of whom Melanippus was the younger beloved, as Heraclides of
Pontus tells in his Treatise on Love. For these two having been accused of
plotting against Phalaris, and being put to torture in order to force them to
betray their accomplices, not only did not tell, but even compelled Phalaris to
such pity of their tortures that he released them with many words of
praise. Whereupon Apollo, pleased at his conduct, granted to Phalaris a
respite from death; and declared the same to the men who inquired of the
Pythian priestess how they might best attack him. He also gave an oracular
saying concerning Chariton - 'Blessed indeed was Chariton and Melanippus,
Pioneers of Godhead, and of mortals the one most beloved. M/M: Chariton and
Melanippus, Blessed Pair: Athenaeus, Deipnosophistae. Like the Athenian couple
Harmodius and Aristogeiton, the couple Melanippus and Chariton are also seen as
symbols of political freedom. Felix et Chariton et Melanippus
erat, mortalium genti auctores coelestis amoris. εὐδαίμων Χαρίτων καὶ Μελάνιππος ἔφυ, θείας ἁγητῆρες ἐφαμερίοις φιλότατος. Athenaeus, Deipnosophistae; Tr. into Latin by Iohannes
Schweighaeuser Chariton et Melanippus were blessed; Pinnacle of holy love
on earth. ATHENAEUS MAP: Name: Athenaeus Works: Deipnosophists
REGION 4 Region 1: Peninsular Italy; Region 2: Western
Europe; Region 3: Western Coast of Africa; Region 4: Egypt and Eastern Mediterranean;
Region 5: Greece and the Balkans BIO: Timeline: Athenaeus was a
scholar who lived in Naucratis (modern Egypt) during the reign of the
Antonines. His fifteen volume work, the Deipnosophists, are invaluable for the
amount of quotations they preserve of otherwise lost authors, including the
poetry of Sappho. ROMAN GREEK LITERATURE ARCHAIC; GOLDEN AGE;
HELLENISTIC; ROMAN; POST CONSTANTINOPLE; BYZANTINE:M/M: Melanippus and
Chariton, Two Lovers of Freedom Athenaeus, Deip. Like the Athenian couple Harmodius and
Aristogeiton, the couple Melanippus and Chariton are also seen as symbols of
political freedom. ut ait Heraclides Ponticus in libro De Amatoriis. Hi
[Melanippus et Chariton] igitur deprehensi insidias struxisse Phalaridi, et tormentis
subiecti quo coniuratos denunciare cogerentur, non modo non denuntiarunt, sed
etiam Phalarin ipsum ad misericordiam tormentorum commoverunt, ut plurimum
collaudatos dimitteret. ὥς φησιν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς ἐν τῷ περὶ Ἐρωτικῶν, οὗτοι φανέντες ἐπιβουλεύοντες Φαλάριδι καὶ βασανιζόμεναι ἀναγκαζόμενοί τε λέγειν τοὺς συνειδότας οὐ μόνον οὐ κατεῖπον, ἀλλὰ καὶ τὸν Φάλαριν αὐτὸν εἰς ἔλεον τῶν βασάνων ἤγαγον, ὡς ἀπολῦσαι αὐτοὺς πολλὰ ἐπαινέσαντα. Athenaeus, Deipnosophistae; Tr. in to Latin by Iohannes
Schweighaeuser. According to The Lovers by Heraclides of Pontus, [Melanippus
and Chariton] were caught plotting against Phalaris. Even when they were
tortured to provide the names of their accomplices, they refused. Moreover,
their plight moved Phalaris’ sympathy to such an extent that he praised them
and released them. ATHENAEUS MAP: Name:
Athenaeus Works: Deipnosophists REGION 4 Region 1:
Peninsular Italy; Region 2: Western Europe; Region 3: Western Coast of Africa;
Region 4: Egypt and Eastern Mediterranean; Region 5: Greece and the
Balkans BIO: Timeline: Athenaeus was a scholar who lived in
Naucratis (modern Egypt) during the reign of the Antonines. His fifteen volume
work, the Deipnosophists, are invaluable for the amount of quotations they
preserve of otherwise lost authors, including the poetry of Sappho. ROMAN
GREEK LITERATURE ARCHAIC; GOLDEN AGE; HELLENISTIC; ROMAN; POST
CONSTANTINOPLE; BYZANTINE. KrisArmodio, che viene riparato dal
braccio sinistro del compagno più adulto. Quel gesto inavvertito o solo
genericamente descritto dalle letture critiche, tese più che altro alla
considerazione dei principali contenuti politico-encomiastici del gruppo si fa
segno leggibile invece di una categoria interiore trasversale a tutte le epoche
e alle geografie e tanto presente nello spirito antico quanto nel nostro: l'omoaffettività.
Un uomo della fine del VI secolo a.C., chiamato Aristogitone, che aveva
affrontato un rivale, oggi potrebbe chiamarsi Marco, Francesco o Giovanni, e
compiere un medesimo atto, allungando poi un braccio come uno scudo su altri
Armodio, dai nomi di Mario, Alessandro e Franco, per la reciprocità,
l'attaccamento, il calore e il mutuo soccorso che il sentimento di essere in
due sempre realizza. Quel gesto del braccio, inventato da Nesiotes e Kritios,
fissa dentro un modello di valore civico per la retorica libertaria il segno di
un amore. Armodio e Aristogitone tirannicidi ateniesi Lingua Segui
Modifica Armodio e Aristogitone (in greco antico: Ἁρμόδιος, Harmódios e Ἀριστογείτων,
Aristoghéitōn) furono gli ateniesi tirannicidi che cercarono di porre termine
al potere personale della famiglia di Pisistrato. Statua di Armodio
e Aristogitone, Napoli. Copia romana di originale greco perduto Sono noti come
"i tirannicidi" per antonomasia, che assassinarono il tiranno di
Atene Ipparco, ma vennero a loro volta uccisi dal fratello di costui,
Ippia. AntefattoModifica Pisistrato riuscì nel 534 a.C., dopo vari
tentativi (meno riusciti) negli anni precedenti, approfittando delle tensioni
che laceravano la città di Atene, ad assumere su di essa un potere personale.
Pisistrato fu un tiranno,[1] prese il potere con la forza, ma, a giudizio
unanime degli storici, fra i quali Erodoto, Tucidide e Aristotele, non ne abusò
per modificare le istituzioni di cui la città disponeva e governò più da
cittadino che da tiranno. Quando morì, i suoi figli Ippia e Ipparco gli
succedettero. Ippia, il figlio maggiore, tese a continuare nella politica
paterna, mentre Ipparcoebbe un ruolo minore nella tirannide, ma l'atteggiamento
del regime mutò profondamente in seguito alla fallita cospirazione. I
fatti si svolsero a quattordici anni dalla morte di Pisistrato. Tucidide
racconta che a far scattare la messa in atto della congiura vi furono motivi
personali di tipo sentimentale. Ipparco s'invaghisce del giovane Armodio che,
secondo quanto racconta lo storico Tucidide, "era allora nel fiore della
bellezza giovanile", dal che si deduce che doveva avere 15 anni. Armodio
era l'eromenos(giovane amante) di Aristogitone, descritto da Tucidide come
"un cittadino di mezza età" - probabilmente aveva 35 anni - e
appartenente ad una delle vecchie famiglie aristocratiche. Le relazioni
sessuali fra un uomo più anziano (l'erastès) e un giovane non erano di costume
sanzionate ad Atene ed altre città greche, sebbene tali rapporti non fossero
omosessuali nel moderno senso della parola, ma pederastici. Certe relazioni
erano governate da severe convenzioni, e le azioni di Ipparco per cercare di
rubare l'eromenos di Aristogitone erano un deciso affronto alle regole
(Tucidide dice aspramente che Aristogitone "era il suo amante e lo
possedeva"). Armodio rifiutò Ipparco e raccontò ad Aristogitone
cos'era successo. Ipparco, rifiutato, si vendicò ottenendo che la giovane
sorella di Armodio fosse esclusa dalla cerimonia di offerta alle feste
Panateneeaccusandola di non essere sufficientemente nobile. Questa offesa fu
così grande per la famiglia di Armodio che egli decise di assassinare, con la
complicità di Aristogitone, sia Ippia che Ipparco e rovesciare la
tirannia. L'uccisione di IpparcoModifica Il piano - che doveva essere
portato a termine con pugnali nascosti nelle corone di mirto cerimoniali -
coinvolgeva anche un certo numero di cospiratori, ma vedendo uno di questi
salutare amichevolmente Ippia il giorno fissato, i Tirannicidi pensarono di
essere stati traditi ed entrarono subito in azione, senza rispettare l'ordine
che si erano dati. Riuscirono così ad uccidere Ipparco, pugnalandolo a morte
mentre stava organizzando le processioni delle Panatenee ai piedi
dell'Acropoli, ma perirono per mano delle guardie del tiranno senza scatenare
ribellioni. Aristotele, nella Costituzione degli Ateniesi, tramanda una
tradizione che vede la morte di Aristogitone avere luogo solo dopo una tortura
volta alla speranza che questi indicasse il nome degli altri cospiratori.
Durante la sua agonia, personalmente sovrintesa da Ippia, questi finse
benevolenza affinché egli tradisse i suoi cospiratori, sostenendo che la sola
stretta di mano del tiranno sarebbe bastata per garantirgli la salvezza. Nel
ricevere la mano di Ippia si dice che Aristogitone l'abbia criticato per aver
stretto la mano dell'assassino di suo fratello, al che il tiranno cambiò
immediatamente idea e lo uccise sul posto. Allo stesso modo, una
tradizione dice che Aristogitone fosse innamorato di una etera dal nome di
Leaena(leonessa) che era ugualmente tenuta in tortura da Ippia - in un vano
tentativo di costringerla a divulgare i nomi degli altri cospiratori - finché
questa morì. Si diceva che era in suo onore che le statue ateniesi di Afrodite
furono da allora accompagnate da leonesse [secondo Pausania].
L'assassinio del fratello portò Ippia a stabilire una dittatura ancora più
severa che fu molto impopolare e che venne rovesciata, con l'aiuto di un
esercito proveniente da Sparta, nel 510 a.C. Questi eventi furono seguiti dalle
riforme di Clistene, che stabilì in città la democrazia. La fama
successivaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Gruppo dei Tirannicidi. La mitologia successiva venne così ad
identificare le figure romantiche di Armodio e Aristogitone come martiri della
causa della libertà ateniese, e divennero noti come i Liberatori (eleutherioi)
e Tirannicidi (tyrannophonoi). Secondo scrittori successivi, ai discendenti di
Armodio e Aristogitone furono concessi privilegi ereditari come la sitesis (il
diritto di mangiare a spese pubbliche al palazzo del governo cittadino),
l'ateleia (esenzione da certi doveri religiosi), e la proedria (posti in prima
fila a teatro). Visto che non si sa se Armodio abbia avuto discendenti (è inverosimile
che li abbia avuti anche Aristogitone), questa potrebbe essere un'invenzione
seguente, ma illustra la loro fama postuma. La storia d’Armodio e
Aristogitone, e come venne trattata dai successivi scrittori greci, è
dimostrativa dell'attitudine nei confronti dell'omosessualità al tempo. Sia
Tucidide che Erodoto dicono che i due erano amanti senza commentare il fatto
presumendo la familiarità dei loro lettori con tale pratica sessuale
istituzionalizzata senza trovarvi stranezze. Per esempio, il politico
Timarco è perseguito per ragioni politiche per il fatto che si è prostituito.
L'oratore che lo difende, Demostene, cita Armodio e Aristogitone, così come
Achille e Patroclo, come esempi degl’effetti benefici delle relazioni
omosessuali. Con la celebre spiegazione di Cornelio Nepote, nel mondo greco vienne
chiamato tiranno chi è signore di una città precedentemente libera Voci
correlate Omosessualità militare nella Grecia antica Omosessualità nell'Antica
Grecia Pederastia greca Tirannide Aristogitone e Armodio, in Dizionario di
storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Armodio e Aristogitone, su
Enciclopedia Britannica. La storia d’Armodio e Aristogitone. Da: Projet
Androphile. Portale Antica Grecia Portale Biografie Portale LGBT
PAGINE CORRELATE Ipparco (tiranno) tiranno di Atene, figlio di Pisistrato Ippia (tiranno) tiranno di Atene, figlio di
Pisistrato Leena di Atene etera ateniese --se Sive Œconomia omnium Operum
Hieronymi Cardam, forum. Signum t prifixum, ea denotat, qui modo in Iuccm
prodeunt. PHILOLOGICA, Logica, Moralia.Vita propria, Libet. Ephemerus, de
Libris proprii». SPe|[)K De Libris propriis, eoruaaquevfu.exeditRovilliji. ltMriijs De Libris
propriis et eorum usu, ex edit.
Henricpetr. V Aeca De Socratis (ludio. Oratio ad Cardinalem Alciatum, (ive
Tricipitis Geryonis, aut Canis
Cerberi. In Theffalum Medicum, Attio secunda. Encomium Neronis. Encomium Podagri.
Mneroofynon. De Orthographia. De
Ludo alel. DIALETTICA.
Contradictiones logici. De Vno.
Hyperchen. Norma viti confarcinata.facra
vocata. Proxeneta, feude Prudentia ciuili. De
Priceptis ad filios. De
Optimovitx genere, De Sapientia. De Summo bono. De Consolatione. Dialogus
Hieton. Cardani, et Facij Cardam patri».
Dialogus Antigorgias, feu De retta vivendi ratione. Diaiogus Tetim, feu
De humanis confiltii. Dialogus De morte, feo Guglielmus. De Minimis et propinquis.
Hymnus, feu Canticum ad Deum, Moralia quidam, Physica. Vtilitate ex adversis
capienda. De Natura, Thconofton de Tranquillitate. Dialogus de Vita producenda,
feu Thconofton Thconofton. dc Animi immortalitate. Thconofton feu de Contemplatione. MTheonofton
seu Hyperboreorum. De Immortalitate animorum. De Secretis. De Gemmis, et coloribus.
De
Aqua. Dc Vitali aqua, seu aethere. De
Aceti natura. Problematum
fc&ionesfcptcm. Discorso del Vacua. Se la qualita puo trapaliare di
subbietto in subbietto. Dc fulgure. Physica. De subtilitate. Aftio prima in
Calumniatorem librorum dc Subtilitate. DcKcrum varietate. Arithmetica,
Geometrica, Mufua. t 1 A E
Numerorum proprietatibus, Pradtira Arithmetica. Computus minor. Artis magnx, sive de Regulis
Algebraicis. Liber Artis magnx,
five quadraginta capitulorum, Si quadraginta quxftionum. De Aliza
regula. Sermo de plus fcminus. Exxreton
mathematicorum. Encomium Geometnx. Operatione della linea, De Proportionibus
numerorum, motuum, ponderum, f onorurm, Delia natura deprincipij, e regolo Muficali. AJlronomica, AJlrologica,
Onirocritica, DE Reftitutione temporum et motuum cacleftium. De Prouidentia ex
anni conftitutionei Aphorifmotum Aftronomicorum fegmenta feptem. Commemarij in
Ptolcmxum, de Aftrorum judiciis. De
feptem Erraticarum ftellarum
viribus. De
Interrogationibus. De ludiciis geniturarum. De Exemplis cdhtum
geniturarum. Liber duodecim genurarum. De Revolutionibus. De fupplemento
Alraanach. Somniorum Synefiorum libri. Medicinalium primus. Ncomiutn Medicini, De Sanitate
tuenda. Contradicentium Medicorum Ubii duo, olim' impreffi, nunc audtiores.
Contradicentium Medicorum Libri
o&opofteriores, nunc primum in lucem emergentes. Medicinalium
fecundus. LVfu ciborum. De Causis,
Signis, ac locis morborum. De Vrinis. Ars curandi parva. De Methodo medendi,
fettiones tres priores.dempta quarta que Confilia quidam continebat, fuo loco redituta. De Radice Cina- De Cyna radice, seu de Decodis
magnis. De Sarza parilia. De Oxyinelicis
usu in plcuritide. De Venenis Commentarij
in librum Hippoc. de Alimento.
Medicinalium tertius. Commentarij in
librum Hippocr. De Aere, aquis, et locis. Commcntarij in Aphorismos
Hippocratis. Conclufiones de Lapidibus Galeni in explicatione Aphorifmoru. Apologia ad Andream
Camutium. Commcncarij in lib. Prognofticorum Hippocrati. Medicinalium quartus et poliremus. Commentarij in
lib. Hippocr. De Septiroeftri partui
Examen agrorum Hippocr. in Epidem. Lonliha varia partim edita,
partimhaidenusanecdota. Opufcula
Medica lenii ia, (eu
de dentibus De
Dentibus, liber cjuintus, seu de morbis articularibus. Floridorum
s ive Comtnent. in Principem Hazen.Vita Ludovici Ferranj, et Alciaci. Miscellanea, ex Fragmentis, et
Paralipomenis: L fragmenta. EArcanis
xternitatis,tractatus. Politica, seu Moralium, Laber vnus. Elemehta lingua:
Grscx. De Inventione.V. t De Naturalibus
viribus, traftatus. De Musica. De Integris, traftatus
Arithmeticus. Expositio Anatomix Mundini-Commentarij in libros Hippocr. de
Viftu in acutis. Commentarij in duos libros priores Epidem.Hippocr. De
Epilcplia, traftatus. De Apoplexia. PARALlFOMENON
Itbri. De humanis ciuilibus fucceffiombus. De humana perfectione. HI. tn«o',
feude Admirandis.De dubiis naturalibus, De rebus faftis raris,
et artificits. M.S. De
humana compolitione naturalium. De mirabilibus
morbis Stfymptomatibus. Deaftrorum et temporum ratione et divisionibus.
De mathematicis quxlitis. Historix lapidum, metallicorum et metallorum.
Hiftorix animalium. Hiftorix plantarum. De anima. De dubiis ex hiftoris.
De clarorum virorum vita Selibris. De hominum antiquorum illuftrium judicio.
De vfu hominum, et dignotione eorum,
tum cura Sc errore. De sapiente. Hieronymus
Cardanus. Hieronimo Cardano. Gerolamo Cardano. Keywords: masculinity, machio –
maschile, Prospero, De signo, De signis, de Casis, signis, ac locis Morborum,
ten volumes of “Opera omnia” analytic index – he wrote about almost everything
– including logic, dialettica, metafisica, psicologia, anima, fisionomia,
same-sex, he criticised Galenus for not realizing the distinction that at 14, a
puer becomes an adolescent – his oeuvre is being examined in masculinity
studies – masculinity Italian, Bolognese masculinity. He claimed that Bolognese
males were ‘tasteful’ and underrated compared to Milaenese or Florentine males
– he lived all over the place – he had many tutees, whose names survive – he
was possibly paranoid – Silvestri was his best known tutee –analytic index of
“Opera Omnia” -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cardano” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Cardano: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del Pietro della Lombardia – scuola
di Lumellogno – filosofia lombarda – filosofia novarese – filosofia piemontese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Lumellogno).
Filosofo lombardo. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Lumellogno, Novara,
Piemonte. lombardia -- Grice: “If William was called Ockham, I should be called
Harborne, and Petrus Lombardia!” --
Pietro Lombardo rappresentato in una miniatura a decorazione di una
littera notabilior di un manoscritto Pietro Lombardo o Pier Lombardo
(Lumellogno di Novara, 1100Parigi, 1160 circa) teologo e vescovo
italiano. Nacque a Novara o nei dintorni (a Lumellogno esiste una lapide
su di una casa che risorda il luogo della nascita), all'inizio del XII secolo.
Ricevette la sua prima formazione teologica a Bologna, dove acquisì una
perfetta conoscenza del Decretum Gratiani. Si recò a Reims e poi a Parigi, dove
fino alla sua elevazione alla sede vescovile di questa città insegnò teologia.
Almeno una volta in questo periodo si recò alla corte pontificia, dove venne a
conoscenza della traduzione del De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno,
compiuta da Burgundio Pisano per incarico di Eugenio III. Quasi certamente è uno
dei teologi che nel sinodo parigino presero posizione contro Porretano.
Dopo un breve episcopato morì. Il suo epitaffio si conservò nella chiesa di
Saint Marcel fino alla Rivoluzione francese. ALIGHIERI (si veda) lo nomina in
Paradiso. Oltre ai commenti all'opera di Paolo di Tarso e ai Salmi, la sua
opera maggiore rimane il Liber Sententiarum (Libro delle Sentenze), per la
quale ottenne l'appellativo di Magister Sententiarum. Sebbene il testo rientri
in un genere letterario tipico della teologia medievale, ossia l'esposizione
delle sentenze delle autorità di fede (i padri della chiesa ed i riferimenti
biblici) l'opera del Lombardo, per l'ampiezza delle fonti e la sua originalità,
diverrà il testo di riferimento per la didattica nelle facoltà di teologia e
l'elaborazione letteraria nello stesso campo. Egli infatti attinge ad una vasta
letteratura in merito, adottando anche testi che normalmente non erano
contemplati in queste composizioni, come Il De fide ortodoxa di
Damasceno. Con la sua opera il Lombardo tenta di sistematizzare e
armonizzare la disparità e le divergenze che la pluralità delle auctoritates
aveva generato, dando luogo ad un certo scompiglio ermeneutico e dottrinale.
Riprendendo la classica distinzione agostiniana tra signa e res, Lombardo
afferma che il motivo delle divergenze non appartiene alla natura delle cose
trattate, bensì alla metodologia esegetica. Il testo si divide in quattro
parti: la prima tratta di Dio, della sua natura e dei suoi attributi; la
seconda delle creazione degli angeli, del mondo e dell'uomo sino al peccato
originale; la terza dell'incarnazione cristica e della promessa della Grazia;
la quarta dei sacramenti. Anche lo sviluppo del testo mantiene la distinzione
tra res (le prime tre parti) e signa (l'ultima) Lo stile del Lombardo snoda
l'esposizione delle sentenze coll'eleganza dialettica di tipo anselmiano
mantenendosi aderente al rispetto delle varie auctoritates anche riguardo o
stile letterario col quale egli opera una volontaria mimesi. Il testo
venne criticato sin dalla sua prima uscita per via del cosiddetto nichilismo
cristologico. Lombardo descrive infatti l'incarnazione nei termini di assumptus
homo, ossia la persona divina del Cristo avrebbe assunto una natura umana
(accessoriamente). Ciò contrastava con la determinazione di origine boeziana
per la quale la natura cristologica traeva la sua forma da un sinolo unico di
divino ed umano. Note Per
approfondimenti vedere: Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, II, pag.30 e seg. Novara, Istituto Geografico
de Agostini, per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I contenuti di questo
volume sono tratti da: Abbagnano, Storia della filosofia, Torino, Pomba, e
Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione aggiornata ed ampliata da
Giovanni Fornero, Torino, Pomba 1998)
Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, II, pag. 37 e seg. Novara, Istituto
Geografico de Agostini, 2006 per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I
contenuti di questo volume sono tratti da: Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia I, II, III, quarta edizione,
Torino, Pomba, e Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione aggiornata
ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino, Pomba); Colish, C., Leiden, Brill; C. Atti
del Convegno: Todi, Spoleto, Fondazione Centro italiano di studi sull'alto
Medioevo, Minuscule 714il manoscritto del Nuovo Testamento e di
"Sententiae". Libri Quattuor Sententiarum Scolastica (filosofia) C.
su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Pelster, Pietro Lombardo, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., su Enciclopedia
Britannica, Siri, C. in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia; C., openMLOL, Horizons Unlimited, C., Les Archives de littérature du Moyen Âge; C. Catholic Encyclopedia, Robert Appleton
Company. Rovighi, C., in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, C., Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina con indici
analitici.Chisholm, C., in Enciclopedia Britannica, Cambridge; Illustrare 'k
iSlosofia di C. finora casi trascurata
dagli' storici della filosofia è im lavoro del tutto nuovo spedialmente
per lltalia. Protois affe!rim»a decisamente che C. non è un
filosofo, Thaureau ch'egli è il principe degl’indifferenti in materia fìlosofica.
Entrambe le asserzioni sono affrettate. Solo in Germania C. venne
studiato con maggior serietà e con particolare attenzione! Kogel pubblica a
Lipsia una monografia su C. Questa però parve confusa ed inesatta ad Espenberger
che intraprese un studio acuratissimo della filosofia di C. e della posizione
sua nel Beitràge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalter diretti
da BàumJcer e Herttìng. Di tale pubblicazione mi servii in special modo [Notre
auteur ne fui donc pas un philosophe.] De la philosophie scolastique Paris, [Cesi lui qua notes
reconnaissons corame le chef des indiffèrents en matière de philosophie. C. in s. Stellung z. Phil. d.
Mittelal, Leipzig. Die philosophie des C. und ihre Stellung im vwblften
Jahrhundert. Aschendorffschen Milnster] per questi
miei appunti sulla filosofìa di C. sebbene mi pervenisse al momento di
stenderli e troppo lardi per farne Fesaane minuto che essa si merita.
Poiché è veramente questo il primo saggio che si occupa con severa e
profonda indagine critioa della filosofia del Maestro delle Sentenze. L'autore dimostra
una profonda conoscenza delle opere patristiche e delle scritture sacre
colle quali esercita opportuni raffronti. Egli non si è poi solo limitato
all'esame del Libro delle Sentenze, ma ha giustamente esteso le sue
indagini alle altre opere meno conosciute di C. e pure ricche di
impvortanti digressioni filosofiche, quali il Commentano o Gloessa dei
Salmi detto anche Salterio, ed i Commentarli alle Epistole di S. Paolo. Solo
non ha tenuto conto dei Sermoni che sottio tra le cose più interessanti se
non più belle del Sentenz.iario, pur nel severo giudizio di Hanreau e
Bourgain, di cui Protois ha tratto dai mss. degli utili estratti mentre
se ne trova l'intero testo con poche varianti nelle Opere Omnia del
vescovo Ildeberto. Essi sono utili per completare la figura intellettuale
di C. Del quale a questo punto ripeleremo le parole: sed terrei
immensitas laboris. In verità quantunque grande sia la nostra buona
volontà non ci dissimuliamo la vastità del lavoro intrapreso: onde lo
restringeremo entro i limiti a noi concessi, raffigurandoci un poco a
quello spigolatore che move fidente sulle orme dei più abili mietitori
pago di fare un piccolo fascio delle spighe dimenticate. HAUREàU Not. et Extr. t. Ili p.
49. BouBGAiN. La chaire firancaisc au XII siede Paris, cfr. FjsBitT (La faculiè de Theol.). I Padri della Chiesa iniziarono la filosofia
oristiana, ma in forma espositiva, avendo ripugnanza a sottopome troppo
minute dimostrazioni le verità rivelate. È secondo il pensiero di Gregorio una
profanazione fassoggettare il verbo divino ALLE REGOLE DI DONATO. Ma quando, prima
chei si diffondessero per tutta Europa le opere di Aristotile, si attese
a studiare con amore i libri dell’Organum tradotti da BOEZIO, si accede quella
tendenza già iniziata nei secoli antecedenti a fortificare il dogma col
sillogismo e l'autorità della ragione. Da questo connubio della teologia
colla dialettica del LIZIO nasce la scolastica la quale se ha i suoi
precursoiri nei primi secoli del cristianesimo non riconosce i suoi
veri fondatori che nel secolo di Abelardo e di C. Essa nasceva per una
necessità di rendere più conformei la fede al sapere più progredito. E se
da una parte non cessa di fiorire la .scuola dei mistici con Bernardo e
gli Ai tempi di Abelardo e di C. non si possede altro d'Aristotile
che la logica, cioè ciò che si chiama l'Organum e comprende: le Categorie
coll'introduzione di Porfirio, l'Ermeneutica, gl’Analitici, i Topici, la
Sofistica nella traduzione di Boezio, (Cousm Fragments philosophiques
Paris) abati Ugo e Riccardo di S. Vittore, da un'altra il
mal compresso bisogno di libertà di pensiero apre la via ad
interminabili dispute quali giungevano talvolta ad intaccare il dogma, come
accadde per Abelardo. C. apparve come moderatore tra le due opposte
tendenze: la mistica e la speculativa, e valendosi dello stesso
metodo dialettico usato dagli avversarti eerli si propose di dimostrare
come le apparenti contraddizioni che si rileivano nelle Scritture sacre e
patristiche rischi'arate dalla ragione riconducono a rinvigorire maggiormente
te verità della fede. C. però nel Prologo delle Sentenze si scaglia
contro coloro qui non rationi voluntatem suhiiciunt, che la ragion
sommettono al talento, traduce ALIGHIERI, e vogliono fare credere per
verità, i sogni di lor mente inferma. Qui non irationi voluntatem subiiciunt,
nec doctrinae studium impendunt, sed his quae somniarunt sapientiae verba
coaptare nituntiu, non veri sed placiti etiam sectantes. C. è dunque tenuto
dallo stesso compito che egli si era pronosto, cioè di dimostrare cHte
nelle scritture sacre non v'ha vera sconcordanza e che ogni ragionamento
umano si riduce in ultima analisi a dimostrarne la veracità assoluta, a non
imporra egli stesso nuove e diverse dottrine le auala lo avrebbero
condotto fuori della sua serena imparzialità. Se ciò si possa chiamare
indifferentismo io non so, poiché il Maestro delle Sentenze non sdegna di
entrare e di approfondirsi nelle più minute distinzioni e controversite fìlosofìche,
cosi care ai suoi tempi, sforzandosi con passione di ricavarne
le verità da lui srià piresupposte. Nella sua umiltà che diventò poi
lefir-srendaria esrli preferisce lasciar la parola affli altri, a
Gerolamo, ad Ambrogio, e specialmente ad Agostino che è il stio autore
preferito come quello che suipera tutti srli altri padri per profondità
di vedute e copia d’argomenti nelle questioni fondamentali del dogma. Ma
non è vero che il Maestro rimanga empire nascosto e non ap- [Questi
ultimi conobbero oltre Aristotile anche Platone a cui sembrano dare la
preferenza e non furono del tutto stranieri alle vedute dei neoplatonici.
V. Bòbba La dottrina dell’intelletto in Aristotile e nei 8140Ì pie
illustri commentatori; paia di tratto in tratto a mostrarci la via da
seguire, per non perderci nel djedalo inestricabile delle
questioni. JJei «resto i più che hanno parlato di C. si sono
aoconlentati di scorrere i libri delle Sentenze: non hanno letto i suoi
lunghi e lucidi Commentarii alle Epistole di Paolo, e neppure quelli ai
Salmi che egli riunì sotto il titolo sintetico di Psaterium, nom^ i sjuoì
ispirati Sermoni che si trovano manoscritti alla Biblioteca Nazionale
di Parigi, e stampati tra quelli del vescovo Ildeberlo. In tutte
queste opere C. non è solo un puro e disadorno espositore di dottrine.
Certamente il Maestro va considerato precipuamente mei suo saggio delle
Sentenze, il quale lormò testo nelle scuole ed è letto e commentato più
della Bibbia mentre le altre opere vennero più presto dimenticate. Ma
anche qui se egli non espone dottrine nuove, ha però il merito grande e
riconosciuto da tutti gli storici della filosofia di distribuirle con
metodo razionale, cosi che esse ricevevano lume le une dalle
altre. Metodo già sperimentato con altro intento d’Abelardo, ma dal
Nostro condotto a singolare perfezione. Egli slesso sull'autorità d’Agostino,
espone l’ordine col quale si deve disputare. (Sent.): Gaeterum, ut in primo libro de
Trinitate Augustinus docet, primo secundum auctoritates Sanctarum
Scripturanim utrum fides ita ee habeat demonstrandum est. Deinde adversus
gamilos ratiocinatores elaliores magis quam capaciores, rationibus
catholicis et similitudinibus congniis ad defensdonem et assertioneim
fidei utendum est; ut eorum inquisitionibus satisf<icientes, mansuetos
plenius instruamus et illi si nequiverunt invenire quod quaerunt, de suis
menlibus polius quam de ipsa veritate vel de nostra assertione conquerantur. . Il
Deniflb in Carivi, Univer. Paris IntrodttcHo Methodus Abaelardi in IHo etiam
opere quod in schoh's Theologiae per aliquot saecula adhibebatur usurpata
est, dicimus Sententias Magistri C.Per queste come per le altre numerose
citazioni delle opere di C. ci serviamo della Patrologia dil Migne,
Paris. Fu in apecia»! modo ai metodo da mi usato che si deve J'eaiorme
diffusione del libro delle Sentenze nelle scuole. Esso nel mentre veniva a
soddisfare la naturiate curiosità del conoscere ed a dare la spiegazione
di molte credenze poneva dei limiti alla libertà del raziocinio. Ma
vienne sempre lasciato un cantuccio alle discussioni intermmabili sulle
questioni minori, dalla risoluzione delle quali in un senso o in un altro
poco aveva a soffrirne l'ortodossia. yui si esercitavano le intelligenze,
inquisitionibus satisfacientes, SMANIOSE DI SOTTILIZARE e di
sillogizzare, con tanta maggior sicurezza, quanto minore era il pericolo
di intaccare la fede. Lo stesso C. nel suo saggio non si trattiene
dal diffondersi nell'esame di questioni che a noi sembrano del tutto FUTILI e
vane come quelle ad esempio che riguardano la natura degli angeli. E non è raro anche il caso che le lasci
insolute. Cosi nel libro I, laddove domanda perchè mentre amare è
lo stesso che essere, si dice che il Padre ed il Figliuolo non sono
in essenza costituiti dell’amore col quale si amaaio scambievolmente, CONFESSA
MODESTAMENTE CHE LA QUESTIONE GLI SEMBRA TROPPO DIFFICILE e che egli si propone
più di riportare le dottrine dei Padri che di accrescerle: Diffìcile mihi
fateor hanc quaesti onem, praecipue cum ex praedictis oriatur quaei
siniilem videntur habere rationem quod meaei intelligentiae attendens
infirmitas turbatur, cupiens magis ea dictis sanctorum referre. Il De Vulf, Hist,
de la phil. Medievale, Louvain, come il Dknefle da un troppo reciso
apprezzamento. Ces sinthèses
thèologiquea, dont la premiere idee semble appartenir à Abelardo ètaient
appellées a un succès immense. Il faut en chercher le secret dans le besoins de
la classification et d' orgànisation qu^on eprouvait devant la masse des
materiaux rassemblès, bien plus que dans l’originante de ceux qui ont
appose leur signature a ce travail de mise en oeuvre. Cosicché il libro fatto per conciliare ogni
controversia sembrò sortire l'effetto contrario. Erasmits in Mattaei I,
iP (cit. Da Fabricius, Bib. m. aevi) e Siquidem apparet illum hoc egisse
ut semel collectis quae ad rem pertinpbant, questiones omnes excluderet.
Sed ea res in diversum exiit. Videmus enim ex eo opere nunquam
fìnìendarum quaestionum non exanima sed maria prorupisse. Flettrt,
Hist eccl. Paris] ri quam uff erre >k E limsce col
coaicmiDa^e. Eam
tameu quaestionjeon leolorum ddligentiae plenius dijudicandam atque
absolvendam ireiiinquimus ad hoc minus sufficientes. Perciò l'opera del
Sentenziario ha un intento assai modesto, né presume di sciogliere ogni
dubbio e di dirimere ogni questione. Qui il Maestro risentei della scuola
di Abelardo il quale (nel trattato Sic et non riconosceva ai pastori il
diritto di emendare le opere dei dottori della Chaesa (Migne) « Hoc et
ipsi eccleisiastici dactores attendentes et nonnulla in suis operibus
corrigenda esse credentes posteris suis emendaindi vel non sequendi licentiam
concesserunt ». E il nostro C. così dice di sé: (Sent. in prol.): In hoc aulem tractatu, non solum pium
leolorem, sed etiam correctionem desidero, maxime ubi prolunda versatur
veritatis quaestio, quae utinam tot haberet inventores quot habet
contradictores ! » Il libro delle Sentenze dove così riuscire più
accetto giacché il giogo del dogma era imposto alla libera riflessione
del pensiero con assai più illuminata larghezza che non fosse abitudine
del passato. Tanto che parve a più d'uno dei suoi contemporanei la sua
dottrina pericolosa e Giovanni di Goimovaglia potè chiamarlo uno dei
quattro labirinti della teologia ponendolo allo stesso livello di GijDerto
Porretano, Pietro di Podtiers, Abelardo. Scopo di C. è di fare un
trattato che risparmiasse al lettore tempo e fatica. È per rispetto
ai suoi tempi un volgarizzatore della scienza teologica dispersa ne^
libri canonici e negli scritti malagevoli dei Padri e incompiutamente
contenuta nei libri di Abelardo, PuUeyn, Ugo di S. Vittore. Egli compila una
specie di Enciclopedia teologica ove il lettore avesse a trovare senza
sforzo tutto quanto gli facesse al ciaso. Però avverte nel Prologo. «
JNon igitur debet hic labor cuiquam pigro vel multum docto videri
superfluus, cum multis impigris multisque indoctìs, inter quos etiam et
mihi, sàt necessarius: brevi volumine complicans Patrum sentias,
appositis eonim testimoniis ut non sit necesse quaerenti librorum numerositatem
evolvere, cui brevitas quod quaeiritur oBert sine labore». E
cosi nel distribuire la materia egli seguì un nuovo ordine sistematico e
compiuto non seguito né da Ugo di S. Vittore, né da Roberto PuUeyn, né da
Abelardo {Am quali pure trasse assai dalle sue doltrine) e pose a ciascun
capitolo un titolo per facilitare le ricerche (Sani, in prol.) Ut autem quod
quaeritur facilius occurrat, titulos quibus singnlarum capitula
dislingumitur praemisimus. Relijiiooe e scieoza.
Giovanni Scoto Erigena afferma che la teologia e la filosofia
sono una sola e una medesima scienza (1). Ma giustamente si poa&ono
fare a questo punto delle riserve perché la scuola e la chiesa si
accodano nel dire che l'ordine della ifede non é Tordine della jnagione e
che sia pei filosofi come per i teologi vi sono dei limita al
proprio dominio. Con lutto ciò la ragione e la fede non riusdroTio
mai a vivere completamente separate. Ed a torto credano alcuni che si
cominciò propriamente dalla scolastica a coffiy ciliare colla scienza la
religione. Anche ai primi Padri della Chiesa piacque di giovarsi di
entrambe e Clemente Dragone, Agostino, sono nello stesso tempo filosofi
e teologi. L'opposizione alla filosofìa come indegna di essere
applicata ai veri divini, non fu più propria e peculiare dell'età patristica
che della scolastica, le quali non sono già in opposizione, ma Funa é
naturale svolgimento dell'altra. Questo sforzo di comporre il dissidio ira
Taulorità e la speculazione filosofica si continuò per tutta i se^ coli
fino al nostro SERBATI che parlando dell età dei Padri e dei Dottotti
scrive. L'uomo allora sentiva altamente che la teologia non era divisa da
luii, e che, sebbene ella travalicasse, per l'origine e la sostanza, i
limiti della natura, passava dal ragionevole al rivelato, quasi
ascendendo da un palco in* (1) De praedestinatione (Collection de
Mangin). Coniicitur inde veram esse philosophiam veram religionem, conversimque
veram religionem esse veram philosophiam, cit. in Coasin Cours de la phU,
I p. 344. feriare ad un altro superiore dello slesso palagio delia
mente, con un solo disegno da Dio fabbricatogli. La teologia in
quell'età era senza contrasto la conduttrice e la custode di tutte le
altre scienze, la signora delle opinioni. Chi avrebbe allora pensato che
sarebbe venuto un altro tempo in cui alcuni pensassero doversd la teologia
dividere interamente dalla FILOSOFIA? Vediamo ora in quale rapporto si
tirovassero le verità teosofiche colle verità filosofiche nel pensiero di
Lombardo. Il Maestro si attiene in massima alle parole d’Agostino (sup.
Joan). Credimus ut cognoscamus, non cognoscimus ut credamus. E nella
distinzione XXII del libro III, là dove esaminia si Christus in morte
fuit homo, e risponde che benché Pietro morì come uomo, tuttavia era in
morte Dio ed uomo, non mortale e non immortale, e tuttavia vero uomo,
dice a coloro che voglioo io troppo sotìsticare sulla ragione di ciò. Illae
enim et Jiujusmodi argutiae in creaturis locum habent sed fidei
sacramentum a philosophicis est liber. linde Ambrosius (De. fide): Aufer
argiimenta, ubi fides guaeritur. In ipsis gymnasìis suis dam dialectica taceat,
piscatoribus creditur, non diaileoticis. Ma questa fede da pescatori
però, C. aggiuge più oltre, non è cosa a noi lutto affatto estranea,
peirchè essa non può essere di ciò che l'animo ignora. E qui egli sente
rinllusso del misticismo del suo- protettore. Bernardo e dei Vittorini che
primi lo accolsero a Parigi (Sent. Ili dist.). Cum fides sit ex auditu
non modo exteriori sed etiam interiori, non potest esse de eo quod animo
ignoratur. Ancora è necessario fare con Agostino una distinlone. Alcune cose
non sono intese se prima non si credono. Ma è pure vero che alcune cose non si
possono credere se prima non sono intese, come la fede in Dio che [Opere
edite ed inedite di SERBATI Introd. alla Filosofia Casale Tip. Casuccio p« 48
sgg. Per maggiori notizie sul teismo degli scolastici vedi: ERCOLE (si veda), Il teismo filosofico cristiano Torino Pbantl - Geschicte d. Logik] viene
dalla predicazione, e queste pai per la fede intendono di più. Uoc. cil.).
Ex his apparet quaedam intelligi aliquando etiam antequam credanlur al nunc
eliam per tldem ampiius intelligìintur linde colligdtur quaedam non credi
nisi prius intelligantur et ipsa per fidem ampiius inleJlegi. Quanto
poi alle cose che mima sono credute che comprese esse non sd ignorano ael
lutto perchè anche si amano (Sen.). Nec ea quae prius creduntur penitus
ignorantur tamen ex parte, quia non sciumtur. Creditur ergo quod ignoratur
non penitus sdcut etiam amatur, quod ignoratur. Pensiero ripetuto in AQUINO
ed in ALIGHIERI. In conclusione C. si libra Ira un misticismo ed un
razionalismo temperato non sfuggendo alla contraddizione, ma
affronlaaidola. Il suo concetto è quello che informa in gran parte il
cattolicismo. La fede non distrugge la ragione ma al contrario le da ali
più potenli per sollevarsi. Ed è in questo senso che bisogna
mtendere le parole d’Agostino: Intellectum ualde cana, e quelle d’Anselmo:
Fides quaerens intellectum. Principia rerum inquirenda sunt prius ut
earum notitia plenior haberì possi t. (Prol. in Collectanea). Dell’arti e
delle scienza del trivio e del quadrivio, secondo la celebre
classificazione data da Marciano Capella e riprodotta da BRIUZI e da Isidoro,
LA DIALETTICA ovverosia la logica che da principio parve una scienza
preparatoria avente per ogge'tio più le parole che le cose, acquistò nelle
scuole un tale sviluppo che fini col proporsà i più alti problemi
metafisici e diventare la prima delle scienze. Tra questi problemi, il più
importante, anzi il fondamentale che sembra raggruppare sotto di sé tutti
gl’altri, ed agitò potentemente l'età di cui parliamo, è il problema degl’universali,
quale LA FILOSOFIA si è posto innanzi in tutti i tempi. Protois scrive che
la questione degl’universali ha a suo autore Roiscelino. Ma ciò è per lo
meno detto male. Già Aristotele nel LIZIO si è posto innanzi il problema
nelle “Categorie” ed in molti altri suoi libri; e nella prefazione
della Isagoge di Porfirio tradotta da BOEZIO, esso è pure [Haurbaux De la
philosophie scoi. Paris] enuniciato, ma non risolto, parendo esso al
commeintatore d’Aristotele di troppo grave importanza. Ecco le
parole Ui Porfirio. M Cosi tralascierò di dire SE I GENERI E LE SPECIA
SUSSISTONO o sono soltanto e puramente nei pensieii, se come bUSbisleaiti
sono corporei od incorpoi'ei, se sono fuori oppure entro le cose seìusibili e
con esse coeistenti: essendo troppo grave una tale impresa e rictiiedendo
maggiori ricerctxe Porfirio divide cosi il problema nelle sue III
questioni fondamentali e iu in tal modo che esso è segnalato ai
primi scolastici. I I generi e le specie sussistono per sé o
consistono semplicemente in puri pensieri ? II Come sussistenti, sono
essi corporei od mcorporei ? Ed infine: III sono essi separati dagl’oggetti
sensibili o sono contenuti negli oggetti stessi formando con essi qualche cosa
di coesistente? A ragione Porfirio reputa queste questioni di somma
difficoltà. Perchè comunque vi si risponda si è condotti nell'alto mare della
speculazione, ed ognuna di esse sembra pod risolversi nelle suprema
questione della quaile tutte dipendono: Che cosa è l’essere?
JNuUa di più naturale che gli scolastici inoltrandosi a disputare
di un tale argomento con molto ardire ed acutezza d mgegno, ma non con pari preparazione
filosofica sollevassero infinite e tempestose discussioni che
molto spesso non approdavano ad alcun risultato. Tre furono le scuole
principaU che si avviarono ad una diversa soluzione del problema: quella
dei REALISTI, dei NOMINALISTI, dei CONCETTUALISTI. Il nome di realisti è dato a coloro che affermano che i generi e
le specie -- gli universali insomma -- sono una realtà sostanziale, una vera
entità distinta dall’altre. NOMINALISTI sono detti coloro che negano la
realtà di questi universali, e li ritenevano come semplici concezioni astratte
del soggetto ricondotte ad una idea comime per mezzo della comparazione.
Ma poiché questa conclusione, dovendo ammettere che tutto ciò che
v'ha di comune non è ohe im suono, un nome vuoto di significato, flatus vocis,
porta alla negazione di ogni scienza, sorsero i CONCETTUALISTI i quali
aggiungeno che un tale suono, im tal nome rappresenta un pensiero, un
concetto il quale proviene dalla somiglianza
delle cose diverse: il che non è sostanziale ma è percepito dall’intelligenza
umana come inerente a una natura individualmente deiterminata. Dopo che Scoto
porta agl;estremi il realismo, venne Roscelino che parve dirigere la
dottrina del nominalismo contro lo stesso dogma sollevando un grave
scalpore nelle scuole. Poiché, se nulla esiste che non sia
individuale, il dogma del divino, uno in tre persone vienne dalla ragione
ricalzato nelle sue basi. È bensì un errore l'uso stesso d’armi dialettiche prò
e contro i misteri della fede, perchè l'ordine della fede non è quello
della ragione, ma d'altra parte è un errore rimediabile. Ed a difesa della
realtà univereale si leva AOSTA (si veda), prima abate di Bec in Normandia poi
arcivescovo di Cantorberv e Guglielmo di Chamoeaux, il fiero avversario d’Abelardo.
Ed è quella del primo propriamente un realismo mistico, quello del secondo un
realismo scientifico. Abelardo poi è il capo riconosciuto, a volte
vincitore, a volle vinto, del CONCETTUALISMO, col anale si possono
trovare molti riscontri nella filosofìa moderna. Quale dove essere
l'opinione dei Dottori della Chiesa in tanto contrasto di idee?
Evidentemente nessuna delle suesposte- se e quando lo notevano. I
realisti confondeno le cose con la generalità delle idee, i concettualisti negano
il reale fondamento delle idee universali, i nominalisti le idee stesse. I
dottori non possono appartenere a nessuna di queste dottrine pericolose. Essi
doveno essere tratti a trovare un criterio conciliativo, né ciò è
diffìcile, secondo l'avviso dellHaureau. E quale è questo criterio? La
specie non è solamente un concetto. Essa è altresì una cosa, non una cosa in
sé, a parte dell’oggetto sensibie, ma nna cosa facente parte con
essi, formante con essi qualche cosa di co-esistente. Tale a un
dipresso la posizione dei dottori tra le scuole che divideno i logici
disputanti, corrispondenti sotto altro nome alla scuola
dell'idealismo critico ed alla scuola dell’idealismo
trascendentale. Tra questi dottori concilianti che l'Haureau non
propriamente chiama indifferenti si trova il nostro Maestro delle sentenze,
il quale pero non si occupa espressamente della questione, ma solo ne
tratta per incidenza, ragionando della Trinità nel 1 libro delle Sentenze. Per C.,
l'universale non è come per Guglielmo di Champeaux un solo essere
dappertutto identico e però difficile a
comprendere, ma al contrario colla moltiplicazione numerica dell'individuo
diventa anche in essenza tante volle accresciuto. Se l’animale è il genere,
dice il Maestro, e IL CAVALLO la specie si avranno III CAVALLI ed anche tre
ammali (Sent. I d. XIX, 8) CVM SI ANIMAL GENVS ET EQVVS SPECIES APPELLANTUR III
EQVI IIDEMQVE ANIMALIA. Perciò, quando la specie può dirsi triplice
devono anche essere III gli individui. Tutto dunque si raccoglie
nell'individuo. Ma egli poi aggiunge : SMITH, JONES, WILLIAMS -- Abramo,
Isacco, Giacobbe sono tre individui. Ma, nello stesso tempo, anche tre
uomini e tre animali. Specie e genere non sono quindi forme soggettive,
ma un oggetto che è nelle cose poste al difuori di noi. Ma non si dirà
che l'essenza divina è una specie e le persone individui, come è specie
Tuomo e sono individui Àbramo, Isacco e Giacobbe. Poiché se l’essenza
divina fosse una specie come l’uomo, come non si direbbe che Abramo,
Isacco e Giacobbe sono un sol uomo cosi non si direbbe una essenza essere
tre persone (Sent.)..Sicut enim dicuntur Abraham, Isaac, lacob, TRIA
INDIVIDUA ITA TRES HOMINES ET TRIA ANIMALIA 10: Nec speoies est essentia divina
et persona individua, sicut homo species est, individua autem Abraham,
Isaac et lacob. Si enim essentia specìes est ut homo sicut non dicitur
unus homo esse Abraham, Isaac et lacob. ita non dicitur una essentia esse
tres personas. Il Maestro quindi, a mio parere, non nega all’universale un fondamento
reale in quanto però va unito all’oggetto sensibile, ma distingue
nettamente le cose temporali dalle cose divine alle quali NON convengono
i nomi di universale e di partìcdare e le distinzioni della
logica. Abael hist. cai.:Erat antem in ea sententia de communitate universaliam,
nt eandem essenti ali ter rem totam simtil singulis suis inesse astrueret
individuis. cfr. Espenberg Die phil. d C.
EsPENBEROER. « Art nnd Gattung sind demnach nicht subjektive Gebilde, sondern
objektiv in der una mngebenden Auszenwelt begrìindet », Teoria della
coi>osc^i>za. i\el Gommenlario delle Epistole di S. Paolo C.
-venendo a parlare delle visioni le distingue 'n tre generi: corporali,
spirituali, intellettuali. E le ultime sono le. più perfette perchè
vedono non cogli occhi corporali ó colla immaginazione, ma per sé stesse. Qui
il Maestro viene a toccare sebbene in modo indiretto della conoscenza che noi
abbiamo coi sensi corporali, ei di quella che acquistiamo colla memoria,
la quale ci ripresenta immagini vere quali abbiamo già apprese coi sensi o
finte quali rimmagin azione forma secondo il suo potere (Collectanea in
epist. ad Cor.). In bis tribus generibus
(scil. visionis) illud primum manifestum est omnibus quo vid'etur coelum et
omnia oculis conspicua. Nec illud alterum quo absentia oorporalia
cogitantur, insinuare difficile. Coelum enim et terram et quae in eis videre
possumus, etiam in eis constituti cogitamus. Et aliquaiido nihil videntes
oculis corporis* animo tamen corporales imagines intuemur vel veras sicut ipsa
corpora vidimus et memoria retinemus vel fictas sicut cogitatio
formare potuerit. Aliter cogitamur quae novimus,
aliter quae non «novimus w. Altrove nel Commentario dei Salmi
paragona la memoria al ventre che riceve i cibi : (Comm.) Sicut enim venter
escasi recipit ita memoria rerum tenet notitiam. Nel libro III delle
Scinlenze C. pariando della fede dice che essa si riferisce soltanto alle
cose che non ci appaiono è sostanza di cose sperate come disse
Paolo e ripetè poi ALIGHIERI (1), che conobbe il Maestro forse più d’AQUINO.
E qui contrappone la fede alla conoscenza che si ha delle cose evidenti,
tra te qiiali pone anche l'anima deiruomo che sebbene non veduta, è da
lui intuita cogitando. Concetto raccolto poi e svilupipato da Cartesio,
il quale prende la coscienza umana come il punto di par [Paolo (Ep.
ad Eb. XI\* « Est fides sperandanim snbstantia rerum, argumentum non apparentinm.
ALIGHIERI (Par.): Fede è siLStanzìa di cose sperate - ed argomento dene
non parventi. ieaia dì ogni indagiiie filosofica ed argomenterà che
IV sistenza ci è data dal pensiero: cogito ergo sum. Sent.). c( Non sicul
corpora quae videmus oculis corporeis, et per ipsorum imagines quas
memoria tenemus, etiam absentia cogitamus; nec sicut ea quae non videmas et ex
his quae videmus cogitalionem utromque formamus, et memoriae commendamus,
nec sicut hominem, cuius animam etsi non videmus, ex nosbna coniicimus et ex
motibus corporis hominem sicut videndo didicimur, intuemur etiam cogitando: non
sic vìdetur fides in corde in quo est, .ab eo cuius est, sed eam tenel
oerliseima scientia. CosH nel capitolo già citato delle CoUectanea, il
Maestro tocca della conoscenza che noi abbiamo del nostro intelletto
intellicfendo. E' insomma nella ragione stessa la spiegazione della
nostra ragione (In epist. ad Cor.) Hac visione quae didtur
intellectualis ea cemuntur, quae nec cemuntur corporea, nec ullas gerunt formas
similes corponim, velui ipsa mens et omuis animae affectio bona.
Quo enim alio modo nisi intellisrendo intellectus consoicitur?
Nullo. C. paragona l’intellieenza ad una luce interiore che illumina
res<=ere intelligente: (im epist. ad Eph.). Omnis qui inteiligit
quadam luce interi ore illusfrRtiir». Ripete in sostanza il concetto già
espresso da S. Agostino: (in ps. 41 n. 2 Mierne) « omnis qui
inteiligit luce quadam non corporali, non carnali, non exteriore sed
interiore illustratur. Chiarito il modo di conoscere, resta a parlare
dell'oggetto della conoscenza. Che cosa è il vero? Tutto che è è
vero, secondo il concetto della filosofia patristica, come, e questo Io
si vedrà in appresso, tutto ciò che è è pure buono. Il falso va inteso in
un sen®o del tutto privativo, cioè non è sostanza di qualche cosa,
non è ciò che è, ma è ciò che non è. (In ps.). Veritas enim est de eo
quod est. Mendacium vero non est subslantia vel natura ìd est, non est de
eo, quod est natuiraliter, sed de eo, quod non est. Ed in altro luogo dice il Maestro : la verità è ciò
che è come vien detto : (in ps.). Veritas est cum res ita est cum
dicitur. Quia ip9e diodi ei faeta suut Paolo
Sostanza e^ accM^ote. S. Agostino concepiva la
sostanza come il concetto di assenza o di naliu-a preso in senso generale
da subsistere peirchè ogni cosa sussiste a sé slessa : omn«is enim res
ad se ipsam subsistil. Ma in senso più particolare, s'intende di
ciò che è soggetto d'altre cose come del colore, delle forane corporee,
ecc. J\on attrimenti Pier Lombardo: (sent.; in ps.). Substanlia intelligitur illud ouod
sumus: homo, pecus, terra, sol; omnia ista substantiae snnt : eo ipso quo
sunt naturae, ipsae substantiae dicuntur. Nana et quod nulla est
substantia, nihil omnino est. Substantia enim est cdiquid esse ».
Ma in quest'ultima significazione, il
detto .^oncetto non appropriasi a Dio perchè Dio è semplice. (Sent.) « Res ei^o anutabiles. .
. proprie dicuntur substantiae, deus autem, si subsistit, ut substantia
proprie dici possit, inest in eo aliquid in subiecto et non est simplex
». E' quindi a torto che parlando di Dio si
dice che è una sostanza, perchè non vi è nulla in lui che non ©ia
Dio, e la parola sostanza non si dice propriamente che delle creature.
Parlando di Dio è meglio servirsi della parola
essenza» Riguardo all'accidente il maestro delle Sentenze è
dello stesso avviso di BOEZIO che lo definisce: (in Porph. ed. Basii) Accidens est quod
adest et abest praeter subiecli corruptionem. (Sent.) a non sicut accidentia in subiéctis quaé
possunt abesse vel adesse ». S. Agostino e BOEZIO sono i due
filosofi ai quali iì nostro C. attinge con eguale misura. Nelle Sentenze
parla degli accidenti, cioè delle apparenze che gli sembrano piuttosto
esistere senza soggetto che essere nel soggetto, quali il sapore ed il
peso (accidenti) nel sacramento della Eucaristia, che sono senza soggetto,
poiché quivi non è altra sostanza che quella del sangue e del corpo del
Signore, che non soggiaciono a quelli accidenti. Perciò son quegli
accidenti per sé sussistenti. (Sent. IV d. XII, 1; in epist. ad Cor.). Si
autem quaeritur de acciflentibus quae remanent i. e. de speciebus
et sapore et pondere, in quo subiecto fundentur, potius mihi videtur
fatendnm existere sine subiecto quam esse in subiecto, quia ibi non est
substantia nisi corporis et sangumis dominici, quae non affìcitur illis
accidentibus... remanent ergo illa accidentia per se subsistentia ad
myslerium riti ». « Natura multiplex nomen est. Nam et philosophi et ethici et theologi usu
plurimo ponunt hoc nomen». Cosi Porrelano
(in Boet. ed. Basii). Ma se molli sono i nuovi significati presso i
filosofi, vediamo in quale senso più propriamente l'adopera il nostro
Pier Lombardo. Per lui natura è ciò che é concreata colla sostanza.
(Sent.). Substantiae nomine atque naturae dicunt signifìcari
substantias ipsas et ea quae naturali ter habent scilioet quae concreata
sunt eis sicut anima naturaliter habet intellectum et imaginem et volnntatem et
huiusmodi». Le €086 che awemgano per causa seminale, si dice che
aweaigono secondo natura, quelle invece fuori natura avvengano soltanto per
volontà divina. Ne viene che ogni creatura obbedisce a leggi
naturali. (Sent.). Et illa quae secund'um causam seminalem fìunt,
dicuntur naturaliter fieri, quia ita cursus naturae hominibus innotuit.
Alia vero praeter naturam, quorum causae tantum suni in deo... omnis
creaturae cursus habet naturales leges. yuale sarà dunque la legge
naturale ? Quella che ebbero anche i pagani (2), che indica all'uomo ciò che
è bene e ciò che è male e che si riassume nel non fare agli altri
ciò che non si vuole sia fatto a noi. (in epist. ad Rom.). Etsi non
habeat (s'cil. gentilis homo) scriptam legem, habet tamen naturalem,
qua intellexil et sibi conscius est, quid sit bonum quidve malum; lex
enim naturalis iniuriam nemini inferre, nihil alienum praecipere, a
fraude et penuria abstinere, alieno coniugio non insidiari et caelera
alia et ut breviter dicatur nolle aliis facere auod tibi non vis fieri. Quanto
poi alla persona, il Lombardo, parte dal concetto ^ià enunciato da BOEZIO che
la persona è la sostanza individuale d'una natura ragionevole: (ed. Peiper).
Persona est naturae rationalis individua substantia. Ovunque noi troviamo una
sostanza individuale nella specie umana, ivi è una persona. Ma l'anima
che è sostanza razionale, è dunque una persona? C. risponde negativamente
ricorrendo all'airtificio di parole ^à adoperato da BOEZIO nel sfuo libro
de duabus naturìs (ed. Peiper). Cioè Tanima è sostanza razionale,
ma non tuttavia persona, perchè non è per se sormns^ cioè è congiunta ad
altra cosa. Dio solo può agire contro natura: (Sent. loc cit) super hunc
naturalem cursum Creator habet apud se posse de omnibus facere aliud,
quam eorum naturalis ratio habet; ut. scilicet, vir^a arida repente fioreat, et
fructum ^^at. et in juventute sterilis femina, in senectute pariat, ut
asina loquatur et huiusinodi. CICERONE, De leg.; Atque, si natura
confirmatura ius non erit, virtutes omnes toUentur Nam haec nascuntur ex
eo, quia natura propensi sumus ad diligendos homines, quod fundamentum
iuris est. (Sent.) Nam et modo anima est substantia rationalis, non tamen
persona, quia non est per se sonans, imo alii rei comiuncta. Tuttavia
l'anima è persona quando per se est: onde quando è sciolta dal corpo è
persona come è Fangelo. (Sent.) « Anima, non est persona,
quando alii rei unita est personaliter absoluta enim a corpore persona
est siculi angelus. U^ià Agostino parla di una materia
informe dalla quale sarebbero derivate tulle lè cose che sono distinte
e formate. (de genes. contra Manich. Migne). Primo ergo
materia facta est confusa et informis unde omnia fìerenl quae distincta
atqua formata sunt, quod credo a graecis caos appellari). Così pure BOEZIO
(edit Basii p. 1138) parla di una materia informe e siemplice come
la ale e di una materia formata e non semplice come i corpi. Anche per C.
le cose create furono formate da una materia informe (I'n ps.). Quoniam ipse dixit, idest
voluit et facta sunt (scil. coelum et terra) id est formata de informi
materia. E cosi pure nel secondo libro delle
Sentenze : (dist.). Alii vero hoc magis probaverunt et asseruerunt, ut
prima materia rudis atque informis creata sii Postmodum vero ex illa materia
rerum corporalium genera sunt formata secundum species propria. D’Agostino
C. deriva pure il suo concetto della forma. (Sent.) Dicit Augustinus
causas primordiales omnium rerum in deo esse mducens simililudinem
artifìcis in cuius dispositione est qualis futura sii arca. Il Maestro
ripete a questo punto appoggiandosi intieramente ad Agostino quanto Abelardo e
Gilberto Prretano dicono con compiuto linguaggio scientifico
quando chiamaiio le idee forme esemplari della mente divina. Non
così chiara come in questi elementi platonici è l'idea della forma presso
i sentenziarii ai tempi aristotelici. Causalità. Qui il Maestro dà questa
definizione della idea di causa. Tutto ciò che in sé permanendo genera od
opera qualche cosa, è il principio, ossia la causa di ciò che genera od
opera. (Sent.). Si autem quicquid in se manet et gignit vel operatur
aliquid, principium est eius rei quam gignit vel edus quam operatur. Dio però si dice eh fa ed opera qualche cosa, perchè
è la causa delle cose scientemente esistenti. (Sent.). Deus ergo aliquid
agere vel facere dicitur, quia causa est rerum noviter existentium. Con
ciò vien presupposto che tutto ciò che avviene, avviene per una causa
necessaria e che nulla nasce che non sia preceduto da una legittima
cagione. C. in seguito si domanda se nulla possa sfuggire o questa legge
di causalità e possa awemare per caso. Ma egli risponde : se qualche cosa
avviene nel mondo per caso, non tutto il mondo è regolato dalla divina
pìnovvidenza. Se non tutto il mondo è regolato dalla divina provvidenza,
v'è qualche natura o sostanza che non appartiene all'opera della Providenza. Ma
tutto ciò che è, è buono per la partecipazione di quel bene che noi
chiamiamo divina provvidenza. Nulla dunque può avvenire per caso. Inutile
è il notare che questo argomento si trova già in Agostino, Ugo di S.
Vittore, Abelairdo. (Sent.) Si ergo casu aliqua fiunt in
mundo, non providentia universus mundus administratur. Si non providentia
universus mundus administratur, ali- [Vedi EspuNBKBOBB] qua natura vel
substanlia est quod ad opus providentiae non pertinel. Omne autem quod est... boni
illius partecipatione... bonum est, quod divinum bonum provideoliam
vocamus. JNihil ergo casu flit in mundo. Le
nozioni di spazio e di misura, ci vengono date da C., laddove parla di
Dio che è immensurabile ed iniCBteso. (Sent.) Neque
dime(nsionem habet (sdì. deus) sicut corpus cui secundimi locum
assigmatur principium, medium et finis et ante et retro, dextera et
smistra, sursum et deorsum quod sui interpositione facit distantiam et
circumstantiam... dicitur in Scriptura aliquid locale sive circumscriplibile et
e converso, sci!, quia diimensionem (bapierus longiltudinis et
latitudinis distaailiam lacit in loco ut corpus. Più avanti definisce il
luogo nello spazio ciò che è occupato in lunghezza, altezza e larghezza
da un corpo (Sent.) « Locais in spatio est quod lopgiludine et altitudine et latitudine
corporis oocupatur)). Come
Dio neppure gli spiriti creati possono essere circonscritti nello spazio.
Essi però possono in certo modo essere locali perchè quando si trovano in
un luogo (non si trovano in un altro : però non hanno dimensioni e
per quanto siano numerosi, non possono riempirlo. (Sent.) «
Spiritus vero creatus quodammodo est localis, quodammodo non e®t localis.
Localis quidem dicitur, quia definitione loci terminatur, quoniam
cum alicubi praesens sit totus, alibi non invenitur. Non autem ita localòs
est ut dimensionem capiens distantiam in loco faciat. C. infine conclude che Dio non si muove né
nello spazio, né nel tempo, che Tanima si muove nel tempo, ed il corpo
nelo spazio e nel tempo. Di qui le loro diverse natuire. Ecce hic
aperte oistendilur, quodi nec locis aec temporibus mutatur vel movetur
Deus, spiritualis autem natura per tempus unovetur, corporalis vero etiam
per tempus et locmnn. Che cosa è il tempo ? Ad una tale
domanda cosi risponde S. Agostino nelle Confessioni: Se nessuno me lo
chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chieda non lo so: con piena
fede dico tuttavia di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe un
tempo passato e se nulla dovesse avvenire^ non vi sarebbe un tempo
futuro, e se nulla fosse non vi sarebbe un teimpo presente. C. definisce
il tempo, la variazione delle qualità che sono nella stessa cosa che si
muta. (Sent. ) <( Mutari autem per tempus est variari
secundum qualitates quae sunt in ipsa re quae mutatur... Haec enim
mutatio qua fìt secundum tempus, vanatio est qualitalum et ideo vocatur
tempus. L'eternità fa antilesi al tempo. Il Lombardo come Abelardo ripete
qui le parole di Boezio: Stabilisque manens das cuncta momri quando dice: (In ps.)
«Et video, id
est sciam, quoniam tu es proprie qui stabiEs manens das cuncta moveri. Garattei'a appunto dell'eternità è la stabilità, del
tempo la mutabilità (in epist. ad Hebr. I) « In aeternitate enim
stabilitas est, in tempoire autem varietas ; m aeternitate omnia stamit, in
tamporei alia aocedunt, alia sucfcedHint. Il problema cosmologico si presenta
al Maestro nel libro II delle Sentenze alla prima distinzione. Egli
dimostra sulla fede delle Sacre Scritture, che non vi è che un
prinMiGNB ( Espenberger). Quid est
tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti explicare velim nescio:
fidenter tamen dico scire me, quod si nihil praeteriret, non esset praeteritum
tempus ; etsinihil adveniret, non esset fUtunim tempus, ei si nihil
esset, non esset praesens tempus, cipio solo di tulle le cose. Alcuni (ilosoli,
come Platone ed Anstolile, avevano pensalo che il mondo avesse
molti principii, che la materia che lo comipone fosse increata ed
eterna, che Dio non ne fosse punto il Greatore, ma semplicamente l'
oa^ganizzatore. Ma la dottrina cattolica al contrario ci insegna che Dio
solo, principio di tutte le cose, ha tutto crealo dal nulla, le cose
visibili e le invisibili, il cielo e la terra (Sent.). Creationem rerum
insinuans Scriptura deum esse creatorem initiumque temporis atque omnium
visibilium ved invisibilium creaturarum in primordio suo ostendìft dicens
(g:en. I, 1) In principio creavit deus caelum et terram. His enim verbis
Moyses... in uno principio a deo creatore mundum factum refert elidens
errorem quorundam plura sine principio fuisse opinantium. Plato namque
tria inilia existimavit deum scilicet exemplar et matenam et ipsam
mcreatam sine principio et deum quasi artificem non creatorem. E altrove
conferma che il mondo non è coetemo a Dio e senza alcun principio, ma
creato da Dio come insegna la scrittura. (in ps.) « Quia ipse dixit
et faota sunt hoc dicit contra illos qui dicunt mundum deo coateoiimn. Dio
creò ogni cosa dal nulla : creare è propriamente ricavare qualche cosa
dal nulla : onde a Dio solo compete il nome di creatore (Sent.). Creator
enim est, qui de nihilo aliquid facit. Et creare proprie est de nihilo aliquid
facere hoc nomen (scilicet creator) soli deo proprie congruit. Ipse est ergo
creator et opifex et factor. C. passa
poi ad esamina-re la creazione del mondo e specialmente .l'opera dei sei
giorni commentando il racconto della Genesi. Le spiegazioni ch'egli
offre, sono tolte ai padri antichi tra i quali S. Ambrogio,
Agostino, Gregorio, il venerabile Beda e Giovanni Grisostomo.
Insieme con vedute geniali e profonde, si trovano in quella parte dei
suoi libri ove si paria della creazione, alcune teorie che le scienze
naturali hanno poi definitivamente condannate. Basta ricordare la teoria
dei quattro elementi di cui si compone il cosmo, e quella che considera
il firmamento come una immensa volta solida alla quale sono attaccati gli
astri, e Topinione che i piccoli insetti nascano &6 dalla
corruzione dei carpi organici. Ma il Lombardo espone la scienza dal
secolo decimosecondo : d'altronde egli di tali cose sembra parlare in
forma dubitativa e come è suo costume non fa che esprimere le opinioni
che ai suoi tempi correvano. dell'uorpo
o^il'unlv^rso* Là dove parla della creazione, il Maestro pada anche
del fine per il quale l'uomo e l'angelo furono creati. La somma bontà
divina ha voluto far parte della sua felicità etema a due delle sue
creature, all'angelo ed all'uomo : perciò li creè ragionevoli affinchè
conoscessero il sommo bene, l'amassero, ed amandolo lo jK>ssedesseiro
e possedendolo fossero felici. L'angelo di natura incorporea e l'uomo
composto di anima e di corpo furono creati per lodare e per servire
Iddio; non già perchè questi abbia bisogno dei servigi umani, ma affinchè
l'uomo godesse nel servirlo, poiché in questo si giova chi serve e non
colui al quale si serve. (Sent.) Factus ergo... homo projter
deum dicitur esse, non quia creator deus et summe beatus alterutrius
indiguerit officio... sed ut servirei ei ac fruirelur.'.. in hoc ergo
proficit serviens... non ille cui servi tur. Pensiero che vien
perfezionato da S. Tommaso (Sum. contra gentes) e d'ALIGHIERI (Parad.):
Non per avere a sé di bene acquisto Ch'esser non può, ma perchè suo
splendore Potesse risplendendo, dir: Subsisto. In seguito
aggiunge che come l'uomo è stato fatto per Dio, così il mondo per l'uomo,
il quale si trova in un mezzo tra ciò che a lui serve e ciò a cui egli
stesso deve servire. (Sent.) « Et sicut factus est homo propter deum i.
e. ut ei serviret, ita mundus factus est propter é6
hominem, scil. ut ei servirei. Positus est ergo homo 'n medio ut et
ei servirelur et ipse serviret; ut acciperet utrumque et reflueret totum ad
bonum hominis et quod accepit obsequium et quod impeffidit. L uomo infine si distingue da tutti gli altri
animali per la sua aspirazione alle cose superne, ed è perciò che
egli ha il corpo eretto e quasi rivolto al cielo. (Sent.) « Ecce osl^isum est,
secundum quid sit homo similis dei. Sed in corpore quaaidam proprieitatem
habet quae haec indicat, quia §st erecta statura secundum quam corpus
ajiimae rationali congruit, quia a caelum erectum est ». È LO
STESSO CONCETTO DI CICERONE (De legibus). Nam quum caeteras animantes
abiecisset ad pastum, solum hominem erexit ad caelique quasi cognationis
domiciliique pristini conspectum excitavit. E non di CICERONE soltanto. Tra i gentili cf. OVIDIO
Metamorf. SALLUSTIO Catil. Tra i
filosofi cristiani Agostino (de gen. centra Manich. I, XVII), BRUZI (de
anima cap. IX) Beda (in hexaem I) Abelardo (in hexaem). Tantum enim, ut tradit
auctoritas, cognoscit ibi quiHque quantum diligit. (Sent.) Foteoze d^ll'anirpa. 11 problema psicologico
veniva proposto da Ugo di S. Vittore in queisti termini: (de
sacram.) yuaerunlur autem
quiam plurima de origine animae, quando creata fuit et tolde creala fuit
et qualis creata fuit. (cfr. August. de quant. animæ). August. de quant. animæ). È questione tra i
filosofi secondo Giovanni di Salisbury (Mei.) se è una sola potenza la
quale ora sentisse, ora ricoondasse, ora immaginasse o se pur
rimanendo l'anima semplice, essa è dotata di molte potenze (MieNB) – H.
P. Grice, “The Power Structure of the Soul.”. Recolo enim fuisse philosophos,
quibus placuit, sicut incorpoream simplicem et individuam esse substantiam
animae, ita et unam esse potentiam, quam multipliciter prò rerum
diversitate exercet. Eorum ergo opinio
est, quod eadem potentia, nunc sentiat, nunc memoretur, nunc immaginetur; nunc
discemat investigando nunc investigata assequendo intelligat. Sed plures
sunt e contrario sentientes animam quidem quantitatem simplicem, sed
qualitatibus compositam et sicut multis obnoxiam passionibus, sic multis
potentiis utentem ». V. Espenberger. C. si attiene in ciò a S. Agostino e
definisce quei^le potenze come naturali proprietà dell'anima, yueste sono
una sola sostanza ed esistono nell'animo sostanzialmente; e noiii
accidentalmente : poiché sebbene relative tra di loro ciascuna è sostanzialmente
nella sostanza oell animo. (Sent.) « Hic attendendum est ex
quo sensu accipiendum sit quod supra dixit, illa tria, scilicet memoriam,
intelligentiam, voluntatem esse unum, imam mentem, unani essentiam, quod
utique non videtur esse venim juxta »pix>piietatem sermonis... Illa
vero tria, naturales proprietales seu vii-es sunt ipsius mentis. Sed
jam videndum est quoniodo liaec tria dicantur una substantia. Ideo
quia sciJicet in ipsa anima vel mente substantialiter existunt, non sicut
accideiitia in subiectis, quae possunt adesse vel abesse uiide Augustinus
in lib. IX de Trm. cap. 5 alt : Admonemur, si utcumque videre possumus,
haec in animo existere substantialiter, non tanquam in subiecto, ut
color in corpore; quia etsi relative dicuntur ad invincem, singula tamen
substantialiter sunt in substantia sua. Spiegata cosi coli autorità
altrui la natura delle potenze dell anima, il Lombardo distingue nella ragione
due parti : la parte superiore che si volge alle ragioni eteme
delle cose, la inferiore che si piega a osservare le cose
temporali! (Sent.) « Ratio vero vis animae est superior, quae, ut
ita dicamus, duas habet partes vel differentias, superiorem et inferiorem.
Secundum superio«rem, supemis conspiciendis vel consulendis intendit; secundum
inferiorem, ad temporalium dispositionem conspicit ». Da ciò
deriva la distinzione ch'egli fa della sapienza e della scienza. La
definizione che diedero gli antichi della sapienza, cioè : Sapientia est
rerum divinarum humanarumque scientia, va divisa cosi che sapienza si dica
propriamente della conoscenza delle cose divine, scienza della conoscenza
delle cose umane. (Sent.). Illa definitio dividenda est, ut
rerum divinarum oognitio sapientia proprie nuncupetur, hùmanarum vero
rerum cognitio proprie scientiae nomen obtineat. L'influsso mistico di S.
Bernardo suo protettore e dei suoi primi maestri di S. Vittore, si fa
sentire in C. là dove afferma che la maggiore o minore quantità di sapere
deriva dalla quantità di amore: (Sent.) Sed qui magis diligit plus coginioscit ». Abelardo
definisce Tanima come una certa essenza spirituale e semplice: (introd.
ad theol. Ili, 6) « Anima quippe spiritualis quaedam et simplex essentia
est ». Non diversamente la definisce il nostro C. là dove dice (sent.) « Mens enim i. e., spiritus
rationalis essentia est spiritualis et incorporea ». Così Abelardo come C., si riconnettono a
Agostino che in più luoghi dei libri tratta deU anima -n quanto spirituale
ed incorporea. L'anima si dice semplice perchè non si diffonde in estensione,
ma in qualunque corpo in tutto o in qualsivoglia paorte di essa è
intiera. Cosi quando avviene qualche cosa nella più piccola parte del
corpo, che sia avvertita dall'anima benché non avvenga in tutto il corpo, tutta
Tanima sente perchè non tutta si tien nascosta. (Sent.)
Simplex dicitur anima) quia mole non diffunditur per spatium loci sed in
unoquoque corpore et in toto tota est et in qualibet eius parte tota est.
Et ideo cum fit aliquid in quavis exigua particula corporis quod
sentiat anima, quamvis non fiat in toto corpore, illa tamen tota sentit
quia totam non latet. In ciò segue C. la dottrina professata da Agostino
e da Plotino, il primo nel libro di trinitate, de quantitate animae, de immut,
animae, il secondo in enn. (edit Volkmanm). Ma se l’anima è semplice,
dice il Lombardo nel luogo citato, in confronto del corpo, per sé stessa
non è semplice ma molteplice. Poiché altro è essere operoso, altro
Inerte, altro acuto, altro memore, altro è desiderio, altro è timore,
altro è letizia, altro è tristizia, e queste cose ed altre dello stesso
genere si possono trovare nella natura delVanima ed alcune senza le altre ed
alcune più ed altre meno, onde è manifesto che la natura dell'anima non é
semplice, ma molteplice « unde manifestum est animae non
sim plicem sed multiplicem esse naturam. In conclusione la natura dell’anima
offre due lati: è semplice da un lato se si paragona colla natura del
corpo molteplice se si paragona colle sue potenze Ma ranima è
altresì immortale. L'uomo è fatto a somiglianza di Dio e la somiglianza
nella essenza perchè essa è immortale ed indivisibile (Sent.) Factus est homo ad similitudinem
dei -- similitudo in essentia quia et immortalis eit indivisibilis est. linde
Augustinus, de quant, anim. Anima facta est similiter deo, quia immortalem et
indissolubilem fecit eam deus. Ma la
filosofia scolastica fedele al precetto: distingue prequenier^ come
limita e divide il concetto della semplicità deiranima cosi na limita e
divìde quello della immoortalilà, distinguendo il coooeilto della morte
intesa in senso assoluto di annientamento da quello della stessa intesa in
senso relativo di mutazione : ed in quest'ultimo senso l’anima non
è del tutto immortale (Sent.) In omni mutabili natura nonnulla mors est
ipsa mutatio quia fecit aliquid in ea non esse quod erat, unde et anima
humana quae ideo dicitur immortalis quia secundum modum suum nunquam
desinit vivere^ habet tamen quandam mortem suam. Riguardo all’origine dell’anima
si agitavano ai tempi di C. due diverse opinioni, l’una del traduzionismo
(1) che pretendeva che l’anima vienne generata come il corpo, l'altra del
creazionismo che pretendeva al contrario che è creata da Dio
direttamente. A quest ultima si attiene naturalmente C. con
Abelardo, Roberto PuUus, Ugo di S. Vittore. Dio creò ranima dal nulla
dice il Maestro: (Sent.) «Flatus factus est a deo, non de deo, non
dealiqua materia sed de Odo di Cambra!: (de pen. orig. II) « Sunt autem
multi qui volunt animam ex traduce fieri sicut corpus et cum corporis
semine vim etiam animae procedere » Vedi Espen. 6, I 101
nihilo ». Quindi cornhatte; ropinione di coloro che affermaaio con
Origene che le anime sono state tutte create al principio del mondo, e
quella di coloro che con i Lu^ciferiani e Cirillo ed alcuna dei Latini pensano
che Tanima si comunichi ai figli per generazione e nello stesso
modo che il corpo. Mentre Tanima non è infusa nel corpo che quando
esso è tonnato ed adatto a riceverla. (Sent.) Sed quicquìd de anima
primi hominis aestimeoitur, de alias certissime sentiendum est, quod in
corpore creentur; creando emim infundit eas deus et infundendo creat ». E più
avanti: (Sent.) e( Unde Augustiiniis in ecclesiast, dogm. animas hominum
di<rit non esse ab initio inter creaturas intellectuales natuT^as
nec simili creatas sicut Origenes fìngit necque in corporibtis per
coitum seminum sìcuT Luciferani et Cyrillns et quidam LatiinoiTum
praesuanptoìres affìrmant, sed dicimus corpus tantum per coniugii oopulam
seminari, creationem vero animae solum cneiatoirem nosse eiusque iudicio formato
iam corpore animam creavi atque infimdi ». E nel libro IV spiega
ancor meglio quest'ultimo pensiero ricorrendo all'esempio della casa e del suo
abitatore che vi entra soltaoito quando è ben costruita (Sent.). Sed
iam formato corpori anima datur, non ini conceptu corporis nascitur cum
semine derivata. Nam SI cum semina et
anima existit de anima, tunc et multae animae quotidie pereunt cum semen
fluxu non proficit Ti'ativitati. Primum
oportet domum compaginari et sic habitatorem induci». E qui è
opportu/no ricordare che questa teoria dell'anima si trova pure con poche
varianti nel canto del Purgatorio laddove il Poeta discorre della nascita
dell'uomo e spiega come (Tanimal divenga fante.
Relazione tra Fanirpa ed il corpo. . Seguendo il concetto
aristotelico dell'età di mezzo, il Lombardo ritiene Tanima come forma del
corpo. (Sent.) « Formatum vero intelligitur corpus propria anima
animatum et informe quod nondum Habet animam. Un tal concetto va
intimamente collegato con un passo della Bibbia: (Exod.) « Si quis
percusserit mulierem praegnantem et aborlivum fecerit, sì adhuc
informalum fuerit, multabitur pecunia; quod si formatmn fuerit, reddel
animam prò anima », C. deride le favole di coloro che immaginano che le anime
siano rinchiuse nel corpo, come in un carcere, per i peccati commessi in
cielo (Sent.) Multi in fabulas, vanitatis abierunt dicenls, quod animae sursum
in caelo pecoant, et secundum peccata sua ad corponia prò meritis diriguntur,
et dignis sibi guasi carceribus includuntur. lerunt hi tales post
cogilationes suas et versi sunt in profundum, dicentes animas in caelo ante
conversatas et ibi aliquid vel mali egisse et prò meritis ad corpora
terrena detrusas esse. Hoc autem respuit catholica fides ».
Ma invece Dio diede senso alla natura coirpoTea perchè l’uomo
capisse che se potè unire due cose cosi diverse, quali l'anima è il corpo
in una tale unità, non è impossibile ch'egli possa partecipare per quanto umile
alla sua gloria (Sent.) Lufeamque materiam fecit ad vitae
sensum vegetare, ut sciret homo, quia si potuit deus tam disparem naturam
corporis et animae in federationem unam et in amicitiam tantam coniungere,
nequaquam ei impossibile futurum rationalis creaturae humilitatem ad
sua Rloriae partecipationem sublimare. C. non crede che il corpo sia
carcere dell'anima nel senso che sopra si è detto, perchè f)er essere
opera di Dio è un bene: ma è pure un carcere nel senso che il corpo a
corrompe e corrompendosi aggrava l’anima (in ps.) «Vel potius corpus
est career non utique secundum id, quod deus fecit ipsum bonum est,
sed secundum id, quod comimpitur et aggravat animam i. e. oorruptio
eius quae venit ex peccali, career est. Altrove chiama il corpo quasi strumento
e servo delTanima : (in epist. ad Rom.) « Si corpus, quo inferiore
tamquam famulo vel instrumento utitur anima... ». E cosi pure si legge in
un suo sermone : (2P De codem die: In passione Domini seu in annuntiatione (Protois).
Dominus est spiritus
noster, anima tamquam domina, corpus tanquam servus. Hi tres ini domo una cooperantur et si
oonveniunt in bono, vdr bonus intelligilur ». Che cosa è infatti Tuoino se
non un'aniina fornita di corpo? si domanda Ugo di S. Vittore (1). Però a
questo riguardo il Lombardo usa di una certa moderazione; ed il suo modo
di pensare intomo alla persona deiruomo ci fa credere che egli dà un
posto importante anche alla vita. Il Maestro delle Sentenze sul finire
del suo libro principe, cioè alla distinzione, entra poi a
discorreire della morte e della risurrezione del corpo. E fu il padre
Michele da Carbonara il primo a far notare la conformità che vi è tra le
dottrine svolte da Pier Lombardo e i luoghi della Divina Commedia che parlano
della risurrezione, quantuncfue la ragione fondamentale di essa
data dal Maestro diversifichi in sostanza da quella data dal Poeta.
Nella risurrezione ciascuna anima separata riprenderà il
coqx), ripigtierà sua carne e sua figura (Inf.) quale
era nel fiore della età: e sarà mage^iore allora la sua beatitudine e la
sua cognizione : amplior erit eorum cognitio. Ciò è diffìcile a
spiegarsi, dice il Maestro. Ma è certo che nell'anima è un vivo desiderio
di ripigliare il corpo; riunita al corpo Tanima ha perfectum naturae
suae modum ed ha ampliorem cognitionem. Altri che verranno
poi, si spingeranno più addentro nella questione come farà S. Tommaso.
Ma, dice il Carbonara, il Maestro sta come colui che tira le linee più
larghe d'un quadro, in suU'indeterm inalo; e si legga at[Sent., Migm. Quid enim
est homo nisi anima habens corpus ? Nel sermone 11 (in die Cineris ad
poenitentes .Ms. lat. in Protois p.
138): «vita praesens messi comparatur et aestati, quia nunc inter ardores
tentationum colligenda sunt futurorum merita praemiorum. Carbonara, ALIGHIERI
(si veda e C. (Sent.) con prefazione e per cura di Murari 2 ediz. Città di Castello Collezione di
Opuscoli Danteschi inediti o rari diretti da Passerini. tentamente
questo tratto « ^f mmor sU healitudo sanctorum post iudicium; sì leig'gta
attentamente e si vedrà che se vi è trailo che specchi il canto del
Paradiso, questo tratto è desso. La slessa queslfone, gli stessi punti determinali;
ma Insieme rindeterminatezza, il vago, che neirinsieme domina il Maestro,
si risente nel Poeta. Come la carne gloriosa e santa Pia rivestita, la
nostra persona Più grata fia, per esser tutta quanta :
(cperfeobum natuirae suae modum habebit anima».Omne qaod est, in quantum
est, bonum est. Tutta TEtica scolastica è necessariamente
compenetrala della dogmatica teologica. Quella di C. non diversa in sostanza da
quella dei suoi maestri^ si riattaeca alle discussioni teologiche intorno alla
morale che ai suoi tempi si dibattevano. La prima questione che ci
conviene esaminare, è quella che riguarda il libero esercizio della
volontà. La libertà, pensa egli con Ugo di S. Vittore (Sent.), di
cui sente più volle l'influsso, chiede di poier compiere non solo il
male, ma anche il bene. (Sent.) « Verum nobis magis placet ut ipsa libertas
arbitrii sit et illa, qua magi® liber est malum, et alia qua quis liber
est ad bonum faciendum. Ex causis
enim variis sortitur diversa vocabula. Il Lombardie si chiede in
appresso quali fattori determinano la libertà umana e ne distingue due, cioè la
ragione e la volontà. La prima disceme tra il bene ed il male, la
seconda si muove con desiderio spontaneo ad effettuarlo. Ecco la
definizione e la spiegazione del libero arbitrio secondo C. (Sent.). Liberum verum arbitrium
est facultas rationis et voluntatis, qua bonum eligitur gratia
assistente, vel malum ea desistente. Et dicitur liberum, duantum ad
voluntatem quae ad utrumlibet flecti potest. Arbitrium vero, quantum ad
rationem, cuius est facultas et potentia illa, cuius etiam est discemere
inter bonum et malum et aliquando quidem discrelionem habens boni
et mali, quod malum est eligit, aliquando vero quod bonum est...,.»
e più avanti: (Sent.) Liberum
ergo dicitur arbitrium quantum ad voluntatem, quia voluntaTie moveri et
spontaneo appetitu ferri potest ad ea quae bona vel mala indicet vel
indicare potest. Il Lombardo si affretta poi a spiegare un passo
di S. Agostino, ove questi afferma che l'uomo perde il libero
arbitrio dopo il peccato, onde si legge nei Vangeli: (Pel.) A quo erdm devictus est, huic
servus est (Vedi August. enchirid. Migrie).
TIon ciò non si vuol dire che l'uomo perde intieramente la libertà, ma
solo quella che ci trattiene dalla miseria e dal peccato (Sent.) <( Ecce
liberum arbitrium dicit (scil. Augustinus) hominem amisisse; non
quia post peccatum non habuerit liberum arbitrium, sed quia libertatem
arbitrii perdidit non quidem a necessitate, sed libertatem a miseria et
peccati. Est namque lib^rtas
triplex, scilicet a necessitate, a peccato, a miseria. A necessitate et
ante peccatum et post aeque liberum est arbitrium. Sicut enim lune cogi non poterai, ila nec modo.
Ideoque voluntas merito apud deum indicalur, quae semper a necessitate
libera est *i iiiunquam cogi potest. Ubi necessitas, ibi non est
libertas; ubi non est libertas, nec volunlas et ideo nec merilum. Haec libertas in omnibus est tam in malis quam in
bonis. Il Sentenziario perciò nel suo Commentario nei Salmi (rimprovera
coloro che attribuiscono alle stelle ed al fato, la colpa dei loro
peccati facendone in certo modo responsabile Iddio, che è Tautoire del creato:
(in ps.) « Ila clamel aeger ad medicum, et dicat : Cum libero arbitrio creavi!
me Deus: ideoque si peccavi, ego peccavi non fatum, non fortuna, non
diabolus, me coegit : sed' ego persuadenti consensi ». io:
In conclusione, il maestro delle Sentenze^ come già si è veduto,
definisce il libero arbitrio un& facoltà della ragione' e della vodontà
colla quale si sceglie il bene col soccorso della grazia od il male se la
grazia ci manca. Ma questa definizione, aggiunge l'autore, non conviene
a Dio né ai santi che par essere incapaci di peccare, hanno un
libero arbitrio più perfetto. 11 libero arbitrio di Dio è la sua volontà
ònnisapiente ed onnipotente, che fa senza necessità e liberamente tutto
ciò che le piace. Quella degli angeh e dei santi non può più portarsi
verso il male, perchè essi sono coiiifermati neha beatitudine e
neilla grazia. L'uomo dopo il peccato ha pure conservato il suo, ma
perchè egli voglia il bene gli è necessaria la grazia del
Redentore. La teoria del libero arbitrio, che il Maestro
professa, intesa a conciliaire il dogma coi dettami della ragione,
non sfugge, come è ben naturale, a gravi difficoltà. Cosi egli è
costretto per quaiinto si sforzi di provare il contrario, a mettere
l'uomo in una posizione non del tutto giusta, rispetto alla sua libertà,
poiché se egli fa il male, ne è tutta sua colpa (ideoque si peccavi ego
peccavi in ps. loc. cit.) quantunqua non possa andare ^nte dal
peccalo, mentre se fa il bene, il merito è tutto di Dio.
(Sent.) « Non tamen sine libero arbitrio proveoiiunt merita nostra,
scilicet boni effectus eo-rumque progressus atque bona opera quae Deus
remunerat in noDas et haec ipsa sunt Dei dona. Unde Augustinus ad Sixtum
presbyterum: Cum coronat Deus merita nostra nihil aliud coronai quasn
munera sua. Quamto poi alla obbiezione che se Dio sa tutte le cose che
debbono avvenire, noi non possiamo fare in altro modo di quello che a lui
è noto, dal che ne verrebbe la negazione di ogni libertà umana, egli non oppone
nulla in questo punto dove espone la teorica del libero arbitrio. Ma noi
possiamo conoscere il suo parere in proposito, purché noi ci riportiamo a
quel punto del libro P, ove parla della prescienza di Dio, allora assai
dibattuta dalle sette scolastiche, come quella che sembrava condurre a
riconoscere il fatalismo. Il Maestro delle Sentenze per rispondere
a questo argomento, fa uso della distinzione così nota agli
scolastici del senso composto e del senso diviso, ovvero del senso
congiuntivo e del disgiuntivo; cioè che non si può dare che Dio abbia
preveduto una cosa e ch'essa non avvenga, ma è possibile che essa non
avvenga, e allora Dio non Tavrebbe preveduta. Sottigliezze a cui la
scuola dogmatica è costretta a ricorrere ogni qualvolta vien messa ale
strette. Ondie il Pomponnazzi nel suo libro: De Fato, libero (mbitrio et
providentia Dei (V lib. Bàie) ove si sforza egli pure si conciliare il
destino la provvidenza e la libertà deiruomo, finisce col non saper dare
altre soluzioni che quelle poste innanzi dalla scolastica, confessando
però che esse sono piuttosto delle illusioni che delle vere risposte:
Videntur potius esse illusiones islae quam respomiones. Fine a cui
tendiamo tutti é la felicità : (sent.) Beatos autem esse velie, omnium hominum
esl ». C. ricorda le parole di CICERONE: Beati certe omnes esse volufnus,
ed è lontano dal contraddirvi, ma anzi ne deduce che poiché tutti
desiderano la felicità, tutti ne hanno dentro di sé la conoscenza:
sequitiu' ut omnes beatam vitam sciant. Vediamo ora come procede il
Lombardo neiranalisi della felicità. Sul principio del primo libro egli
comincia dal distinguere la differenza che v*è tra usare di una
cosa e fruirne. Usare d'una cosa è adoperarla a compiere la nostra
volontà, fruirne è usarne con gioia, è aderirvi per amore e ciò non
avviene in questa vita. (Sent.) « Uti est assumere ali<juid! in
f acultateni voluntatìs. Frui autem est, uti cum gaudio, non adhuc
spei sed jam rei... et ita in hac vita non videmur frui sed tantum uti,
ubi gaudeamus in spe, cum supra dictum sit, frui esse amore dnhaerere
alieni rei propter se : qualiter etiam hic multi adhaerant De. ALIGHERI, Purgatorio: Ciascun
confusamente un bene apprende Nel qual si queti T animo, e desira:
Perchè di giugner lui ciascun contende. E poiché questo sembra far
iidsceire eontraddiàoni, egli la rivolse così chiarendo il suo concetto.
Tanto qui come nel futuro si può in certo modo fruire della beatitudine
eterna, ma mentre in cielo noi la godremo in modo perfetto perchè, come
dice S. Agostino, l'avremo vicina qui in terra, non la godiamo che per
riflesso ed è ciò che ci fa sopportare i travagli della vita.
(Sent.) « Haec ergo quae sibi contradicere videmtur, sic determinamus,
dioente», nos et hic et in futuro frui : sed ibi proprie et perfecle et
piene ubi per speciem videbimus quo fruemur, hic autem, dum in spe
ambulamus fruimur quidem sed non adfeo piene... Idem (scil. Augustinus)
in Uh. de Doc. christ. ail (lib. I, cap. 30) : Angeli ilio fruentas jam
beati sunt quo et nos frui desideramus; et quaai'timi in hac vita iam
fruimur, vel per speculum, vel din aenigmate, tanto nostram peregrinationem
et lolerabilius sustioemus et ardentius fruire cupimus ». In questa
teorioa il Lombardo si liem stretto a Agostino ed esprime 41 medesimo
comcetto che più tardi sarà svolto da S. Tommaso col fine mediato ed
iumiediato. guanto alla questione, se si possa gioire della
virtù per sé stessa o solo come mezzo di acquistare la vera felicità,
egli si prova come è suo metodo di conciliare la prima opinio*ne, che
sembra confortata da un passo di Ambrogio, con la seconda professata da S.
Agostino, affermando che la virtù può essere amata per sé slessa,
ma che non dobbiamo fermarci lì, ma bisogna tendere ad un fine più
elevato e riferire la virtù a Dio come fine ultimo. Amoralità d^Ue aztooi
urpaoe* Quali sono le azio^ni umane che si debbono chiamare buone
secondo C. e quali cattive ? Egli
risponde suirautorità di S. Ambrogio e di S. Agostino, che ciò che
fa buona o cattiva una azione è Tintenzione. Ed in ciò non discorda da
Abelardo che afferma appunto nelFEtica: « Unde ab eodem homine cum in diversis
temporibus Ilo idem fiat, prò divemsitate tametn inlentionis
eius operatio modo bona modo mala dicitm* ». Infatti il Maestro nel
libro secondo d^e Sentenze (dist.) dice quasi allo slesso modo : «
Nam simpliciter ac vere sunt boni illi actus, qui bonam causam et
intentionem id est qui voluntatem bonam comitantur et ad bonum finem
tendunt: mali vero simpliciter dici debent qui perversam habent causam et
intentionem ». E cita a questo proposito le parole di S. Agostino : (enarr. in
ps.) « Bonum eriim opus intentio facitìK In conseguenza è
un'azióne buona confortare i poveri se si fa per compassione e misericordia :
ma la stessa azione diventa cattiva se la si fa per ambizione. Vi
sono tuttavia delle azioni le quali sono cattive per sé stesse e
che la intenzione non può rettificare: tali sono la menzogna e la
bestemmia. Ksse poi sono cattive in quanto sono privazioni
dell'essere, perchè ogni cosa, in quanto è, è buona : Omne quod est in
quantum est bonum. L.a le^^e fT)orale« Stabilito cosi guali sono le
azioni buone o cattive, et seconda
dell'intenzione, restava a determinare quale è il caratieire morale che
deve contraddistinguere le nostre azioni e qual norma si deve necessariamente
seguire per muovere al bene : dione insomma dove deve dirigersi- la buona
intenzione. In coerenza colle dottrine da lui professate, •il Maestro
pone la regola delle azioni umane nella legge divina : perciò il peccato
consiste in una infrazione alla legge divina. (Sent.) « Peocatum est omne
dictum vel factum vel concupitum quae fit contra legem Dei, . . Quid est ipeccatum nisi legis divanae
praevaricatio? ». n C. ammette altresì una legge naturale, lex
natu^ raliSj la quale ebbero anche i Gentili, ma questa non basta a
condurre a salvamento. Ili Nofli è qui il luogo di indicare
il difetto originale d una tale dottrina che nel porre fuori di noi la
legge del nostro operare, si condanna alla, contraddizione. Mi basterà
ricoirdare che essa si presenta assai più sviluppata in AQUINO, il quale pone
innanzi iJ concetto aristotelico della ragione umana, la quale è la
natura dell'uomo in quanto è uomo: ondfe poiché ogni cosa è buona quando
è conforme alla sua propria natura, ogni cosa sarà buona rispetto airuomo
quando sarà conforme alla ragione. Ma questa stessa ragione e natura
umana ripete il suo potere regolativo dalla natura divina : « quod autem
ratio umana sit regula voluntatis humanae, ex qua eius bonitas
mensuretur, habet ex lege aeterrm quae est divina ». (Sum theol..).
In conclusione la filosofia patristica e scolastica, si accorda nel
porre il principio normativo dell'operare umano fuori aeiruomo stesso, cioè
nella sapienza divina identica essenzialmente col suo volere. Bei}e
^ n)ale. Abbiaino veduto come Pier Lombardo affermi che tutto ciò
che è, in quanto è, è bene : « Omne quod est, in quantum est, est bonum »
(Sent.). E poiché l3io é d'autor© di tutto ciò che esiste Dio é rautore
di ogni bene. (Sent.) (Deus) omnium quae sunt auctor
est, quae in quantum siuiif bona sunt. Ma non viieme di conseguenza che
Dio sia l'autore anche del male, giacché il Lombardo come tutti gli Scolastici,
concepisce il male come gualche cosa di propriamente negativo, cioè come la
privazione o la corruzione del bene. (Sent.) « Malum enim est
comiptio yel privatio boni... Quid enim aliud quod malum dicitur
nisi privatio boni?». Anche Agostino nel libro De civitate
Dei (Migne) parla di causa deficiente e non efficiente del cattivo
operare « Nemo igilul* quaeral ellkientem causani malae volunfalis: non enim
efficiens est, sed deflciens, quia nec illa effectio est sed defeclio. E
di qui trae buon argomento il Maestro a confutare l'obbiezione di eoJoro
che insinuano che Dio essendo autore di tutto ciò che esiste, deve essere
altresì autore del peccato. (Sent.) « Quocirca mali auctor
non ^t (scil. deus) et ideo ipse summum bonum est, a quo ^n nullo
delicere bonum est, et malum est deflcere. Non est ergo causa deficiendi id' est tendendi
ad jion esse, qui, ut ita dicam, essendi causa est, quia omnTum quae
suoit, auctor est, quae in quantum sunt, bona sunt... Ecce aperte
habes quod deficere a deo... malum est ». L.oiT7bardo nel cielo del
5oIe. Entrato €on Beatrice nella sfera del sole Dante, appreoide
diairanima di S. Tommaso chi essa sia e chi siano i fulgor vivi e
vincenti Sella sua ghirlanda. Se si di tutti gli altri esser vuoi
certo, Di retro al mio parlar ten vien col viso * Girando su per lo
beato serto, QuelValtro fiammeggiare esce dal riso Di
Graziano, che Vano e l'altro foro Alutò si che piace in Paradiso.
L'altro ch'appresso adorna il nostro coro Quel Pietro fu che con la
poverella Offerse a Santa Chiesa suo tesoro {Par.);.
Qui Buti commenta : con la poverella offerse fece la sua offerta
della sua facilità, come la po-verella della quale dice rEvangelio di
Santo loanni, che offerse poco, perchè «poco aveva, ma con buon cuore e
peirò Iddio accettò più la sua offerta che quella del ricco, che, benché
offerisse molto, non offerse con si buono animo. Commento di Buti sopra
la Divina Commedia per cura di C. Giannini Pisa I più dei oammentatapi
ricordano le prime parole del prologo del Liber Sententiarum :
« Cupientas aJiquid de penuria a-c temiitate nostra cum paupercula in
gazophilacium Domini miUere ardua scandere et opus supra vires nostras
praesumpsimus». Le parole di C. chiaramente fidludono al noto
episodio della poverella, riportato da San Luca e da S. Marco e nooi da Giovanni come erroneamente
riferisce il Buli. Dice San Luca: « Respiciens autem
vidit eos, qui mittebant munera sua in gazophilacium diviles. Vidit autem et quamdam viduam
pauperculam mittenlem aera minuta duo. Et dixit: Vero dico vobis, quia
vidua haec pauper, plus quam omnes misit. Nam omnes hi ex abundantia siti
miserunt in munera Dei : haec autem et ex eo, quod deest illi,
omoiem victum suum quem habuit misit. Così ad un dispreeso racconta San Marco con
leggere vananti : solo è da notarsi che egli chiama la donna uidua
una pauper e vidua hxiec pauper e non mai col diminutivo tanto affettuoso di
paupercula che per essera stJ^lo scelto da Pier Lombardo fa pensare
ch'egli si sia riferito in special modo al passo di San Luca della
Volgata. Ma ciò poco importa : importa invece assai il notare come
l'umiltà della vidua paupercula avesse toccato «profondamente il cuore di C. il
quale nel vergare quelle parole doveva forse ricordarsi con teneirezzìa
di un'altra vedova poverella di un lontano paese di Lombardia: e come ALIGHIERI
che nei veirsi che dedicava ai persooiaggi della sua^ Commedia soleva
«per lo più introduirre l’elemento soggettivo dei ricordi ed affetti personali
non senza ragione ricordò quel punto e quello solo dell'opera di C. L'influenza
che il ma^fister Petrus esercitò sul pensiero del Divino Poeta non è stata
ancora tutta quanta spiegata e compresa nella sua giusta entità. 11
tkeologus . Dantes nullius dogmatis expers dà a S<a«n Tommaso il
posto d'onore che gli conviene, ma ad AQUINO commentatore di C.. Se ALIGHERI ed
AQUINO non si possono ancor dire contemporaiiiei sono vissuti a
poca distanza di tempo e sono entrambi commentatori e perfezionatori
dell'opera ancora rozza si ma feconda di Pier Lombardo : l'uno raggiunge
finalmente colla sua maunifica somima quel connubium fidei ac rationis che
il Magister aveva solo tentato, Taltro ina canta il trionfo
glorioso. Che Dante avesse letto il Rbro delle Sentenze con mollo
amore ci è provato non solo dai versi succitati, ma da numeirosi passi
del Paradiso ove come diremo tosto rimitaziione risulta evidente : ed io
sarei anche propenso a credere che rAlighieri non si fosse Termato alla
lettura di quel libro solo ed a tutti noto di Pier Lombardo.
Qui sono tratto ad accennare fuggevolmente alla famosa questione
del viaggio di Dante a Parigi : questione ove troppo, eletti ingegni si
cimentarono perchè io presuma di recare qualche nuovo raggio di luce.
Dante zill'Uoiversiià di Parigi. Giovanni di Serravalle comme«ntatore
racconta. Anagogico dilexit Theojogiam sacram, in qua diu studuit tam in
Oxoniis in regno Angliae quam Parisius in regno Franciae : et fuit
Bachalarius in Universitate Parisiensi in qua legit Senlentias prò forma
magisterii : legit Biblia : respondit omnibus doctoribus, ut moris est,
et fecit omines actus qui fieri debent per doctorandum in Sacra
Theologia. Egli continua poi a dire che Dante non potè ottenere la laurea
perchè gli mancò il denaro per la licenza (deerat pecunia). Onde tornò in
Firenze per acquistarlo, optimus artista, perfectus Theologus e quivi
fatto «priore si diede ai pubblici uffici e più non si curò della
Università di Parigi. Il (racconto di Giovainni di Serravalle fu accolto
dairOzanam e dairArriviabene con maggior serietà che mm me(1) TiBABOSOBi, storia
della leti. Hai. Modena - Fratria F. de Serravalle Translatio et comentum
totius libri Dantis Aldighieri cum textu italico Fratria Da Colle, nunc
primum edito Prati - (Jiachetti in
fol. ritasse. Secondo un tale racconto ALIGHIERI (si veda) sarebbe andato
a Parigi contro raffestazione di Villani, di Boccaccio, di Benvenuto da IMOLA
(si veda) che fanno il viaggio degli ultimi anni. Ed il chiaro professor
Cipolla osserva che è appena credibile che ALIGHIERI (si veda) fossei in
cpiel tempo cosi spirovviiyto di credito da non potere ottenere la
somma che gli era necessaria: onde giudica il racconto di poca
probabilità. Ma TinverosimigHanza di lutto il racconto appare manifesta quando
un poco si pensi al modo come è organizzata la facoltà di FILOSOFIA di
Parigi ai tempi d’ALIGHIERI (si veda). Il buon vescovo di Fermo
volendo mostrarsi molto approfondito nella conoscenza dei gjradi accademici
commette degl’errori grossolani: et fuit Bacchalarius – cf. H. P. Grice, B. A.
Oxon. -- in vniversitate parisiensi in qua legit Sententias pro forma Magisterii:
legit Biblia. Ma si è veduto nella parte storica del lavoro che l’anno in
cui il baccelliere éiventsiV a Sententiarius cioè commenta in pubblico il
libro delle Sentenze non precede, ma segue la spiegazione della Sacra scrittura.
Dopo quell'anno, il baccelliere si chiama baccalaureus FORMATVS, che
risponde, mutatis mutandis al nostro laureando a BOLOGNA. Perciò Giovanni
di Serravalle per essere esatto come vuol parerlo, avrebbe dovuto
invertire l'ordine delle parole. Ma non vogliaino essere molto esigenti su
ciò: c'è ben altro. Gli omnes aclus qui fieri dehent per
doctorandum in sacra Theologia sono e forse Giovanni di Serravalle lo
ignora, i sermoni (sermones) e le conferenze (controversiæ) che si
dovevano tenere nei tre o quattro anni che precedeno la licenza ed infine
le tre dispute pubbliche di cui la più solenne vienne chiamata sorbonica.
Ma la licenzia (LICENTIA) che vienne dopo tali prove accordata e che il
Serravallei chiama con termini vaghi inceptio, conventus non esige alcuna
pecunia di sorta. Il SerravaUe e tutti i Commentatori si riferivano all’accenno
Dantesco; si come il baccelUer s'arma e non paria, fin che il MAESTRO
(MAGISTER – H. P. Grice, M. A. Oxon) la question propone, per approvaria
e non per terminarla. Par. -
i8, Infatti già il concilio Lateranense proclama due punti fondamentali:
la necessità e la gratuità della licenza ed un tale decreto trova posto nelle
Definire di Gregorio IX. Solo per eccezione è eoncesso a Comestore, cancellario
di Nótre Dameij per i suoi pregi personali, da Alessandro III, di
prelevare uoiia piccola rimunerazione per la concessione della
licenza. Ed ancora il Regolamento di Courcon insiste sulla concessione gratuita
ed ìncondiziomita della licenza: ed una tale disposizione veniva
conifermata nelle reigole aggiunte dal papa Gregorio II di cui conosciamo
il benefico intervento nei dissensi tra rUniversità ed di Re di Francia.
Nella famosa bolla Parens scientiarum viene prescritto formalmente « che il
cancelliere non potrà esigere da coloro ai quali conferirà la licenza né
giunamento, né obbedienza, né denaro, né cauzione, né promessa ». Ora
è noto a tutti che lo statuto di Roberto di Courcon confermato e
completato dalla bolla di Gregorio IX, la quale fu pure rinnovata senza
modificazione da Urbano IV continua ad essere per tutto il secolo XIII
'a legge fondamentale deirUniversità e pertanto della facoltà
teologica di Parigi. Per il che sembra a me che il fondo storico del
racconto di Giovanni di Serravalle venga a mancare sempre più di
consistenza. Cipolla nel suo dotto ìavaro Sigieri nella Divina Commedia,
dopo avere ossei-vato che il Sigieri ricordato tra i beati del canto X deve
ritenersi come Sigieri di Brabante, e non va identificato col Sigieri de
Conrtrai {Le Clero) visisuto in epoca diversa, e neppure con quello
di cui si iparla nel sonetto del Fiore (Castets) avverso ad AQUINO, crede
probabile, che ALIGHIERI fn a Parigi negli ultimi anni di sua vita ed
airin e non vi ascoltò le lezioni di Sigieri di Brabante perché questi
era morto avanti il 1300 ( Feret tornando su questa questione nel volume
II deiropera cit. (Les Sorbonnistes) crede errat-ì così, l'opinione del
Le Clerc che del Castets, combatte ^e Giornale storico den« Lett.
It. Torino LoescUer] asserzioni di
Gaston Paris, ed airiimesso che il Sigieri d’ è il SigieriALIGHIERI (si veda)
di Brabante che quitla cette vie en reputation d'une orthodoxie parfaite, non
si discosta mollo dalle oonclusdoni del professor Cipolla che mostra di
mion conoscere. Questo sembrerebbe coaidurci assai fuori del nostro
argomento se una buòna osservazione del prof. Cipolla a questo proposito
della partecipazione dell'Alighieri alle lezioni dd Sigieri non mi
facesse tosto ritornarvi. Egli afferma che « per ciò che riguarda
Sigieri, altro è ammettere nel luogo Dantesco vm ricordo personale,
ed altro è credere che questo ricordo personale sia tale davvero da
comprenderà poS la partecipazione dell'Alighieri alla scuola di quel
filosofo. Alle scuole di Parigi i libri del Sigieri eratno rimasti auasi
come lesti agli scolari, tanta Sama le sue lezioni vi avevano
lasciato. Cosi per ciò che riguarda Pier Lombardo, io aggiungerò che oer
spiegare la profonda conoscenza che Dante ebbe del Libro delle sentenze,
non è necessario di credere col Serravalle che Damle abbia commentato le
sentenze nella scuola di Teologia perchè lo studio che in quei tempi se
ne faceva in Parigi, la fama che vi godeva e che già aveva provocato i
lamenti di Ruggero Bacone, certo potevano non poco contribuire a
farglielo conoscer© più in là del frontìsipizio e del prologo.
Per fama egli conobbe a Parigi Sigieri, per fama vi conosce C. ed
entrambi egli ricordò con particolar cura nei suoi versi ove palpita un affetto
personale. Ma se poca o nessuna influenza ha la filosofìa di
Sigieri nell’opera d’ALIGHIERI; molta invece ne ha in quella di C.
Un esempio: Speme dissHo, è un attender certo Della gloria futura,
il qual produce Grazia divina e precedente merlo. {Par.)
P. Fkrkt La f acuite de Tkeol, de Paris – Ricarcl] Pietro di Dante, TOttimo, la
Chiosa Cassanese, ricordano la definizione di Pier Lombardo: «est spes
certa exjeiotatio futurae beatitudinis veniens ex Dei gralia et
mentis praecedentibus ». (Lib. Seni. IH. dist.). Iacopo della Lama,
rÀnonimo rioooimno assai meno opportunamente a San Toit^màso: spes est
motus appeWiiae virtutis consequens apprehensione boni fulnri adnui possibilis
adiptsci. Ho citato, per ppoporre un esempio, uno dei tanti luoghi
ove il Lombardo viene dal poeta preferito all'Aquinale, o meglio dire ove cosi
San Tommaso come Dante attingono -alla medesima fonte: Pier Lombardo. Qui
si ha una traduzione letterale delle parole del Maestro che
appaiono anche in San Tommaso sotto una veste più filosofica. Ma non è questo
il solo punto ove un tale raffronto è possibile. Fu uno dei più
assidui, il Senatore Carlo Neg'-;ni, a far notare la ^ainde importanza
che ebbe il libro del Maestro nel pensiero di Dante. JNella
prefa/jine al volume. .V. della Bibbia volaare ri884), accennando a Pier
Lombardo della cui opera si giova Tespositore dei salmi di quella Bibbia,
promise di occuparsene : « In un altro mio scritto dove avrò Taiuto
di un teologo profondo, e mio buon amico, farò il confronto tra le
«proposizioni teologiche della Divina Commedia e quelle dei libri delle
Sentenze: ed il lettore vedrà che le prime non sono altro che
Tespressione poetica delle seconde, fedelissima e latta con invidiabile
precisione ». Disgraziatamente Negroni occupato in altri lavori, non potè
adempiere .alla sua promessa, ma dando esempio dì larghezza d'animo,
consigliò ed aiutò l’amico suo Carbone, (Carbonara), poi prefetto
Apostolico deirÉritrea, nell'opera a cui egH non poteva attendere,
e ne promosse la pubblicazione. Carbonara pubblica infatti Slcuni Studi
Danteschi e Tortona Tip. A.
Rossi Stttdi Danteschi; Dante e S. Francesco; ALIGHIERI e FIDANZA (si
veda) Nella Biblioteca Negroni si trovano nel carteggio privato le
lettere che il Carbone indirizzava a Carlo Negroni piene d'erudizione e
di affetto per l'illustre amico. Trov.ansi pure tra i copiosi ms. due
fascicoli; n. 26: Pier L. nel Paradiso; n. 27: Appunti Danteschi. Essi
contengono citazioni, note erudite che il Negroni veniva man mano
scrivendo. La malattia e la morte tolsero il modesto studioso e generoso
filantropo aUa tranquilla ed utile sua operositét letterarii^.
nel volume I. dedicato al Neuroni, prese in esame» il I\'
Libro delle Sentenze collo studio: Dante e C. Questo appunto- che è il migliore
ed il più originale, entrò poco dopo inella collezione di opuscoli
inediti e rari diretta da Passerini per cura di Murari. In esso il
Carbone che si limita «all'esame delle distinzioni delle Sentenze,
conclude che il seme che è nel libro delle Sentenze di Pier Lombardo
mostra i suoi fiori ed i suoi frutti ini Dante. Nella tornata
del 19 Aprile 1891 airAccademia Pontaniana, il socio residente Alberto Agresti
le^e una memoria dal titolo: Eva in Dante ed in Pier Lombardo (1) ed
anch'egli ricordò a proposito di questi studi, Tamico Negroni e lo studio di
frate Michele da CARBONARA (si veda). Ponendo a raffronto i passi
danteschi ove vien citala Eva (tacendo di tre che non danno alcun ^udizio
della sua colpa : (Purg.) uno comune con Adamo (Purg.); gli altri
(Purg.; Par.), ove si dà un giudizio sfavorevole di Eva ed il passo del
DeViilgari Eloquio ove ALIGHERI chiama Eva praesumptuosissimam), cerca
da quali letture Dante ricavò il severo giudizio. Combatte To•pinione di
V. Imbriani, (Studi danteschi. Firenze, Sansoni) che coIFesempio del Boccaccio
vuol dimostrare 'i& scarsa erudizione teologica di Dante. Nella
testimonianza di San Tommaso {Summa) Isidoro {Sentent.), Sant'Anselmo {De
pec-orig.), Ugo da S. Vittore, FIDANZA non trova la ragione delli
eccessiva severità deirAlighieri, bemsì in Pier Lombardo (Lib. II. dist.
22) che così si esprime: Adamo non istimò vero ciò che il diavolo aveva
suggerito; stimò di peccare in maniera da esserne perdonato. Forse come
vide che la donna, gustato il frutto, non era peranco morta, prevaricò e
volle ainch^'egli fare esperimento del legno proibito. Più però Ta donna, perchè
volle usurpare l'eguaglianza della divinità e levata in superbia
nimia vraesumptione^ credette così doversi avverare. Adamo non volle
contristare la donna, ma certo non vinto da carnale concupiscenza, non
sentila peranco in Napoli, Tip. della R. Università, lui, ma
per una certa amichevole heoievotenza per la quale il più delle volte
avviene che si offende Dio per non offender l'amico. In un certo modo Adamo fu
anch'egli deceptus ! Nella donn<a /fu majoris tumoris praesumptio :
ella peccò in sé, nel prossimo, in Dio : l'uomo solo ui sé ed in
Dio. E l'Agresti finisce insomma col concludere che « studiare la
D. Commedia al lume dei libri delle Sentenze è tutto un lavoro nuovo che
manca alla letteratura danteca ». A me non resta che augurarmi che un tale 1'
si compia e che una feconda curiosità subentri alla sterile dilRdenza
nelFaprire il libro di P. L. che Dante non certo per cura della rima
chiamava il suo tesoro. I ìinyiìì dell'erudizione. Ristrettezza
di tempo mi ha impedito di dare, com'era mio desiderio, maggior
svolgimento a questi insufficienti cenni sull'influenza esercitata dal
maestro delle Sentenze sull'opera d’ALIGHIERI (si veda) e non sulla
Divina Commedia soltanto. Dell'utilità di una maggiore e più profonda
conoscenza di tali rapporti, è prov:a quanto si è venuto in questi
anni scrivendo dagli studiosii di Dante coll'intento in verità non
sempre raggiunto di recar "maggiore luce airinterpretazione' del poema
dantesco. Ancora in un recente fascicolo del Bollettino della
Società Dantesca Italiana. Parodi m una dotta recensione consacrata ad un
apprezzato studio del prof. Surra su La conoscenza del futuro e del
presente nei dannati danteschi (Novara, Tip. Guaglio), si vale del
confronto colla dottrina del Maestro delle Sentenze per meglio chiarire i dubbi
che le parole di Farinata non sciolgono sul modo di conosceniza dei
dannati. Contro la tesi del Surra, che fortificandosi del concetto
delFìrrazionale nell'arte, ampiaonente illustrato da Fracoaroli, vuol
chiudere il passo ^ai diritti 3eireru3ìzioaie, Parodi dimostra, citando una
distinzione del IV delle Sentenze. Ve animabus damnatorum si qua habent
notitican eorum quae hic fiunt, come l’esposizione di Farinata cresce
d'importanza venendo a combaciare colla dotlrin<a professata dal
Maestro. Ed è certo che se la contraddizione non può essere evitata dal
pensiero umano, specie cpiando s'aderge sulle ali della poesia, tanto in
Dante come in C., scola5?tóci entrambi, v'è Tidentioa «preoccupazioaiei
di sfug^rle colla cura più scrupolosa. Non si può riconoscere
tuttavia all'erudizione il diritto di andar troppo oltre, specie nelle sue
conclusioni, perchè Terudizioflie è alla poesia come la ragione è
alla fede, che il sapere riconosce potene illuminare senza spiegarla
interamente. Se anche col raffronto più minuto dei passi
danteschi ooiropera di C. (non limitato alle Semtenze) noi potremo
trovare nuove e curiose rispondenze che ci dimostreranno le fonti di sapere e
d'inspirazione del Poeta divino, dovremo limitarci a riconoscere nulla più che
la materia preziosa, ma informe trasportata e nobilitata dalFopera (in
che è il fatto nuovo) dello statuario. E\ per limitarmi ad un solo
esempio, notevole il modo onde mei Sermoni vengono disposti gli argomenti
morali che il Lombardo distilla da un qualunque versetto biblico:
sono quasi sempre tre i sensi che se ne ricadano ed il numero 3 entra con una
particolare predilezione ìiell armonica e spesso sin troppo misurata
distribuzione delle parti nei suoi discorsi. Queste ed altre minuzie di
logica arTres igitur tortae pani8 tres sunt modi dìvinam paginam intelligendi
Triplex igitar pani8 eat intellectus: tropologicus, scilicet moralis vel
historicus; mysticus, idest allegoricus et anagogeticum Moralis mores
componit, exhauriens malos et confovens bonos; allegorìcufl mentis acuit oculos
ut mysterioram abdita penetrare valeant; anagogeticus mentes super se
effundit ut in voce exultationis et confessionis, constituto die, e condensis
usque ad domum Dei rapiatur; nam sicut allegoria alitar intellectus, ita
anagoge superior sermo vel sursum tendens interpretatur. Moralis, idest
tropologicus, est dulcior, historicus facilior, mysticus auctior. Historicus
insipientibus, moralis proficientibus, mxsticus perfìcientibus congruit.-
Sermone: Convertimini fili revertentes
fine inedita riportata da Haureau op. cit* chitettura oasi caire a
Pier Loonbardo, come si avverte nello slesso Prologo delle Sentenze', do
ve vaino esercitare il loro influsso nel poeta della Vita Nuova e del
Paradiso. Ma non dal solo Pier Lombardo, bensì da tutta 'a
scienza teologica, Dante raccolse mei grande specchio ustorio della sua
mente, la luce che brilla nel suo divino Poema. Né possiamo comprendere
come uno studiotso deìlla coltura del prof. Amaduocd, possa restringere
nelrarido opuscolo di San Pier Damiano, quasi l'unica tonte del poema
dantesco, lo schema dottrinale a cui Damte avrebbe informato, con
perfetta fusione della lettera coll'allegoria^ la Commedia, e annunciare
seriamente che distinguendo i 100 canti nelle 42 marcie e fermate {numsioni}
deirallegorico viaggio degli Ebrei contemplato dalla modesta fantasia di
San Pier Damiano, verrà sostituito nell'esame del poema ai fondamenti
ipotetici, il fondamento scientifico, gli enigmi di sei secoli, troveranno
fàcile spiegazione e sarà aperta la via ad una nuova valutazione
artistica. Ma tale via non Tha aperta Dante stesso coU'opera
sua? Z/' opuscolo XXXII di S, Pier Damiano fonte diretta della Divina
Commedia? in Grùymaìe Dantesco dir, da G. L. Passerini - Firenze, Dischi. cfr.
Parodi La fonte diretta della divina
Commedia in Marzocco, Firenze. A questa trattazione epero far seguire
prosslntamefite un canltolo, su C. E LA SCUOLA. Ohe per l'economia
dei presente iavoro non potè essere inoluoo. Le origini oscure. La nascita
a Lumellogno. L'ambiente nativo. Dipendenza di Lmnelil^gno dal Capitolo
Novarese Stato delle scuole
novaresi. Pier Lombardo fu allo studio Bolog^nese? Gap. il Nell'ombra del cammino Alla scuola di
Leutaldo novarese a Reims. « ParisiUiSi »
La universitas scholarium. San Vittore. Santa Genoveffa. Nella luce
della fam^i. La scuoia di Nòtre Dame. L'episcopato. La morte. La tomba di
Marcello. Le onoranze. L'opera e la fortuna di Pier Lombardo. Le Sentenze. I
Sentenziarii. I detrattori. Il « tesoro ». Opere edite ed inedite. I
Seamoni. LA DOTTRINA FILOSOFICA. Posizione di C. nella filosofia.
Metodo. Religione e sciens&a. Problema metafisico e conoscitivo Teoria
degli universali. Teoria ctella oonoscenza. Problema ontologico e
cosmologico. Sostanza ed accidente. Natura e persona. Materia e forma. Causalità.
Spazio e tempo. CosmoJKJgia Posizione
dell'uomo neirunàverso. Cap. Problema psicologico. Potenzie dell'
aiiim.. Natura dell'ajiima. Origine dell'anima. Relazione tra l'anima e il
corpo. Problema morale. Libero arbitrio. Felicità. Moralità delle
azioni umane La legge morale Bene
e mailie. Lm dottrina scolastica in C. e ALIGHIERI (si veda) Pier
Lo!ml>ardo nel cielo del Sole. Dante adl'Università di Parigi. Influenza di
Pier Loonbardo sull'opera di Dante. Aggiunta necesaaria. I limiti
dell'erudizione. Ritratto di Pier Lombardo dall'incisione del Thevet
« Les vrais portraàts ecc. » Paris. Portico della Canonica di Novara da
un'incisione delle « Monografìe Novanesi » MigUo Vene de la VUle de Paris
du coté de Vlsle N. Dame
(antica incisione). A. Nótre Dame de Paris, (antdca incisione). Con
Agostino si opera, per la prima volta e in maniera esplicita, una completa
saldatura fra la teoria del SEGNO e quella del linguaggio. Per trovare una
altrettanto rigorosa presa di posizione teorica bisogna aspettare il Corso di
linguistica generale di Saussure, scritto quindici secoli dopo. La grande
importanza che la tematica semiolinguistica ha in Agostino deriva in gran parte
dal suo assorbimento della lezione stoica, come del resto testimonia il
trattato DE DIALECTICA De dialectica. In esso sono riassunti molti dei
principali temi stoici in materia semiotica, tra cui il princi pio che la
conoscenza è, in linea generale, conoscenza attra verso segni (Simone). Ma
vari elementi differenziano l'impostazione agostinia na da quella stoica. In
primo luogo, infatti, gli stoici, racco gliendo e formalizzando una lunga
tradizione di origine so prattutto medica e mantica, consideravano
propriamente segni (smeia) solo i segni non verbali, come il fumo che svela il
fuoco e la cicatrice che rinvia a una precedente feri ta. Agostino, invece,
per primo nell'antichità, include nella categoria dei signa non solo i segni
non verbali come i gesti, le insegne militari, le fanfare, la pantomima ecc.,
ma anche le espressioni del linguaggio parlato. Noi diciamo in generale segno
tutto ciò che significa qualche cosa, e fra questi abbiamo anche le parole -- De
Magistro. In secondo luogo, gli stoici avevano individuato nell'e
nunciato il punto di congiunzione tra il significante (semaf non) e il
significato (semain6menon), elemento che comun que non coincideva con il segno
(semefon). Agostino, inve ce, individua nella singola espressione linguistica,
cioè nel verbum (''parola"), l'elemento in cui significante e signifi
cato si fondono, e considera questa fusione un segno di qualcos'altro
("Quindi, dopo aver sufficientemente assoda to che le parole [verba] non
sono nient'altro che segni [signa] e che non può essere segno ciò che non
significhi [si gniflcet] qualcosa, tu hai proposto un verso di cui io mi
sforzassi di mostrare che cosa significhino le singole paro le", De
Mag.). In terzo luogo, gli stoici avevano elaborato una teoria del linguaggio
che aveva le due caratteristiche di essere formale (il lekt6n non coincideva
con alcuna sostanza) e centrata sulla significazione. Agostino, invece, elabora
una teoria del segno linguistico che ha un carattere psicologistico (i si
gnificati si trovano nell'animo) e comunicazionale (passano nell'animo
dell'ascoltatore) (Todorov; Markus). 10.1 n triangolo semiotico e la
stratificazione ter minologie& È del resto con l'analisi della nozione
stessa di parola (verbum simplex) che si apre il De dia/ectica ed è con questa
nozione che si inaugura una serie interessante di distinzioni terminologiche.
Al capitolo V, Agostino elabora una triplice distinzione che possiamo mettere
in corrispondenza con i moderni con cetti di significato, significante e
referente. Infatti individua in primo luogo la vox articu/ata (o il sonus)
della parola, cioè quello che è percepito dali'orecchio quando la parola viene
pronunciata. In secondo luogo individua il dicibi/e1 (corrispondente, anche dal
punto di vista della trasposizio ne linguistica, al /ekt6n stoico), definito
come ciò che viene avvertito dall'animo e che è in esso contenuto. In terzo
luogo, infine, distingue la res, che viene definita come un og getto
qualsiasi, percepibile con i sensi, o con l'intelletto, op pure che sfugge
alla percezione (De dialect.). È così possibile ricostruire il triangolo
semiotico nei se guenti termini: dicibile vox articulata (o sonus) res
Ma Agostino guarda ai segni anche dal punto di vista del loro potere di
designazione, oltre che da quello della signifi cazione. Questo lo spinge a
elaborare un'ulteriore suddivi sione terminologica in corrispondenza dei due
aspetti che può assumere il referente di una parola: può infatti avve nire che
la parola rimandi a se stessa come proprio referente (fatto che si verifica nel
caso della citazione, ovvero della designazione metalinguistica), e allora
prende il nome di verbum; oppure può avvenire che la parola, intesa co me
combinazione del significante e del significato, abbia come referente una cosa
diversa da se stessa (come avviene con l'uso denotativo del linguaggio), nel
qual caso prende il nome di dictio.3 È precisamente la nozione di dictio che,
come ha osserva to Baratin, costituisce l'elemento di congiunzione tra la
teoria del linguaggio e quella del segno. E ciò in virtù di uno sfasamento
semantico che la nozione stoica di léxis (si gnificante articolato, ma senza
essere necessariamente por tatore di significato) ha subìto nel corso degli
studi lingui stici antichi. Dictio è traduzione di léxis; ma non ha lo
stesso significa to che le attribuivano gli stoici, bensì quello che le davano
i grammatici alessandrini, in particolare Dionisio Trace, che definiva la léxis
come "la più piccola parte dell'enunciato costruito" (Grammatici
graeci), a metà strada tra le lettere e le sillabe, da una parte, e
l'enunciato, dall'al tra. Questa sua particolare posizione fa sì che la léxis
venga considerata come portatrice di un significato (in contrappo sizione alle
lettere e alle sillabe che non lo posseggono), ma incompleto (in opposizione
all'enunciato che porta un sen so completo). Lo spostamento di fuoco dalla
centralità stoica dell'e nunciato alla centralità alessandrina della singola
parola, fa sì che quest'ultima assuma al(\une delle funzioni prima spet tanti
solo all'enunciato. In particolare, quella di essere un segno.4 Agostino
definisce decisamente la parola come un segno al cap. V del De dialectica:
"La parola è, per ciascuna cosa, un segno che, enunciato dal locutore, può
essere compreso dall'ascoltatore". E, del resto, il segno viene definito
come "ciò che presentandosi in quanto tale alla percezione sensi bile,
presenta anche qualche cosa alla percezione intellet tuale (animus)"
(ibidem). Relazione di equivalenza e relazione di implicazione Ponendo
l'accento sulla parola, anziché sull'enunciato, Agostino ritrova l'opposizione
platonica tra parole e cose. Incontro non casuale, in quanto Platone è l'unico,
prima di Agostino, ad avere una concezione semiotica del linguag gio; per
Platone, infatti, il nome era d/Oma, svelamento di qualcosa che non è
direttamente percepibile, ovvero dell'es senza della cosa. Ma mentre nel
Crati/o platonico si discute se il rapporto tra nome e cosa sia un rapporto
iconico (pe raltro con la soluzione che conosciamo, cfr. cap. 4), in Agostino
tale rapporto - configura subito come una rela zione di significazione: il
nomt "significa" una cosa (nozione equivalente a quella di "essere
segno di" una cosa). Nel momento in cui Agostino propone la sua concezione
della parola come segno, si producono alcune modificazio ni teoriche,
conseguenti allo spostamento di prospettiva. In effetti nelle teorie
linguistiche precedenti a quella di Agosti no il rapporto tra le espressioni
linguistiche e i loro conte nuti era stato concepito come una relazione di
equivalenza. La ragione, come noto, era di carattere epistemologico e ri
guardava la possibilità di lavorare direttamente sul linguag gio, in
sostituzione degli oggetti della realtà, dato che il lin guaggio veniva
concepito come un sistema di rappresenta zione del reale (per quanto mediato
dall'anima). Al contrario, il rapporto tra un segno e ciò a cui esso rin via
era stato concepito come una relazione di implicazione, per cui il primo
termine permetteva, per lo stesso fatto di esistere, di arrivare alla
conoscenza del secondo. Eco (1984: 33) ha suggerito che, nell'enunciato stoico,
i rapporti tra la relazione segnica e quella linguistica possono essere
illustra ti da uno schema in cui il livello implicazionale si regge su quello
equazionale: onIE=>c m_E:! c dove E indica "espressione", C
"contenuto", ::J "implica" e == "è equivalente
a". In Agostino l'unificazione tra le due prospettive avviene a livello
della singola parola e senza chiamare in causa rapporti di equivalenza. Caso
mai la dic tio, che è rappresentabile con il livello i, è costituita dali'u
nione, o prodotto logico, di una vox (significante) e di un dicibile
(significato), unità che diviene segno di qualcos'al tro (livello ii).
Conseguenze dell'unificazione delle prospet tive La prima conseguenza
dell'unificazione agostiniana, co me sottolinea Eco, è che la lingua comincia
a tro varsi a disagio all'interno del quadro implicativo. Essa in fatti
costituisce un sistema troppo forte e troppo strutturato per sottomettersi a
una teoria dei segni nata per descrivere rapporti così elusivi e generici, come
quelli che si ritrovano, a esempio, nelle classificazioni della retorica greca
e roma na. Infatti l'implicazione semiotica era aperta alla possibili tà di
percorrere l'intero continuum dei rapporti di necessità e di debolezza. Inoltre
la lingua, come del resto Agostino mette in risalto nel De Magistro, possiede
un carattere peculiare rispetto agli altri sistemi di segni, corrispondente al
fatto di essere un "sistema modellizzante primario",5 cioè tale che
qualun que altro sistema semiotico può essere tradotto in esso. La forza e
l'importanza della lingua fanno sì che i rapporti con gli altri sistemi di
segni si rovescino, e che essa, da specie, divenga genere: a poco a poco, il
modello del segno lingui stico finirà per essere senz'altro il modello
semiotico per ec cellenza. Ma quando il processo evolutivo arriva a Saussure,
che ne rappresenta il punto culminante, si è ormai venuto a per dere il
carattere implicativo, e il segno linguistico si è cri stallizzato nella forma
degradata del modello dizionariale, in cui il rapporto tra la parola e il suo
contenuto è concepito come situazione sinonimica o definizione essenziale. La
seconda importante conseguenza dell'innovazione agostiniana riguarda il
problema della fondazione della dia lettica e della scienza (Baratin).
Fintanto ché il rapporto tra linguaggio e oggetto del reale era conce pito
nei termini dell'equivalenza, il primo non appariva di rettamente responsabile
della conoscenza del secondo. Ma nel momento in cui si attribuisce un carattere
di segno alle espressioni linguistiche, la conoscenza delle parole sembra implicare,
di per se stessa, e a priori, la conoscenza delle co se di cui esse sono
segno. Tutta la grande tradizione semiotica, del resto, convergeva nel
considerare il segno come il punto di accesso, senza ulteriori mediazioni, alla
conoscen za dell'oggetto di riferimento. Il problema che si pone ad Agostino è
allora quello di prendere una posizione rispetto alla questione se il linguag
gio fornisca o meno, di per se stesso, informazioni sulle co se che significa.
Agostino affronta la questione del carattere informativo dei segni linguistici
nel De Magistro. L'opera, in forma di dialogo tra Agostino e il figlio
Adeodato, inizia stabilendo due fondamentali funzioni del linguaggio: in·
segnare (docere) e richiamare alla memoria (commemo rare), sia propria sia
degli altri. Si tratta di funzioni con temporaneamente informative e
comunicative, in quanto coinvolgono in maniera centrale la presenza del
destinatario nel momento in cui forniscono informazione. La prima parte del
dialogo è tesa a dimostrare che queste funzioni, principalmente quella
informativa, sono svolte dal linguaggio in quanto sistema di segni. Sono le
parole, infatti, che, in qualità di segni, danno informazione sulle cose, senza
che nient'altro possa assolvere alla medesima funzione. Nella seconda parte del
dialogo, però, Agostino ritorna sull'argomento e cambia completamente la sua
prospettiva. Fondandosi ancora una volta sul fatto che la lingua è un in sieme
di segni, egli mostra che si possono presentare due ca si: il primo caso è
quello in cui il locutore produce un se gno che si riferisce a una cosa
sconosciuta al destinatario; in tale situazione il segno non è in grado, di per
se stesso, di fornire informazione, come dimostra l'esempio, riportato da
Agostino, dell'espressione saraballae, la quale, se non precedentemente nota,
non permetterà di comprendere il ri ferimento ai "copricapr', che essa
effettua; il secondo caso è quello in cui il locutore produce un segno che si
rife risce a qualcosa che è già noto al destinatario; e nemmeno in questa
evenienza si potrà parlare di un vero e proprio processo di conoscenza (De
Mag.). Alla fine Agostino conclude invertendo il rapporto cono scitivo tra
segno e oggetto, e stabilendo che è necessario co noscere preliminarmente
l'oggetto di riferimento per poter dire che una parola ne è un segno. È la
conoscenza della co sa che informa sulla presenza del segno e non viceversa.
La soluzione ha una ascendenza chiaramente platonica, e a es sa si collega
anche la presa di posizione, di marca ugual mente platonica, che la conoscenza
delle cose deve essere pregiata maggiormente della conoscenza dei segni, perché
"qualunque cosa sta per un'altra, è necessario che valga meno di quella
per cui essa sta" (De Mag.). Ma se per le cose sensibili (sensibilia) sono
gli oggetti esterni che ci permettono di arrivare alla conoscenza, non
altrettanto avviene nel caso delle cose puramente intelligibi li
(intelligibilia). Per queste ultime Agostino individua una soluzione
"teologica": la loro conoscenza deriva dalla rive lazione che viene
fatta dal Maestro interiore, il quale è ga ranzia tanto deli'informazione
quanto della verità (De Mag.). Ma anche con questa soluzione teologica del
problema linguistico, al linguaggio è lasciato uno spazio, che in parte
coincide con la funzione del segno rammemorativo, ma in parte la supera: quando
conosciamo già l'oggetto di riferi mento, le parole ci ricordano
l'informazione; quando non lo conosciamo, ci spingono a cercare (De Mag.). In
Agostino la soluzione teologica non è una scappatoia per uscire da un'impasse
teorica. Al contrario, essa mette capo a nuove problematiche. È nel De
Trinitate che viene affrontato il tema dell'espressione del verbo interiore,
una volta che sia stato concepito nella profondità dell'ani mo. In effetti,
per poter comunicare con gli altri, gli uomini si servono della parola o di un
segno sensibile, per poter . AGOSTINO provocare nell'anima
dell'interlocutore un verbo simile a quello che si trova nel loro animo mentre
parlano (De Trin.). D'altra parte Agostino sottolinea la natura prelinguistica
del verbo interiore, il quale non appartiene a nessuna delle lingue naturali,
ma deve essere codificato in un segno quan do ha bisogno di essere espresso e
portato alla comprensio ne dei destinatari. Il verbo interiore ha, del resto,
una duplice origine: da una parte esso costituisce una conoscenza immanente, la
cui sorgente è Dio stesso; dall'altra esso è determinato dalle im pronte
lasciate neli'anima dagli oggetti di conoscenza. Ma anche in questo secondo
caso esso è riconducibile a Dio, in quanto il mondo è il linguaggio attraverso
il quale Dio si esprime. Si trovano qui gli embrioni del simbolismo univer
sale, che tanta parte avrà nella cultura del Medioevo. Quello che comunque
emerge con sempre maggiore chia rezza è il carattere comunicativo della
semiologia agostinia na, che è individuabile anche nello schema riassuntivo
pro posto da Todorov: oggetti di conoscenza potenza !Immanente verbo verbo
verbo divina interiore - esteriore - esteriore pensato proferito sa pere. È
comunque innegabile che se la semiologia agostiniana presenta un aspet to
"teologico", connesso al problema del verbo divino, tut tavia
possiede anche un ben individuato e autonomo aspet to laico, che prende in
considerazione i caratteri che il segno ha di per se stesso. Fanno parte di
quest'ultimo aspetto le varie classificazioni dei segni, alle quali Agostino si
dedica soprattutto nel trattato De doctrina Christiana secondo il modo di
trasmissione: vista/udito secondo l'origine e l'uso: segni naturali/segni
intenzio nali secondo lo statuto sociale: segni naturali/segni conven zionali
secondo la natura del rapporto simbolico: proprio/tra slato secondo la natura
del designato: segno/cosa con aggiunte più tarde), ma che ritorna anche in
varie altre opere . Todorov individua e analizza cinque tipi di classificazione
a cui Agostino sottopone la nozione di se gno : Todorov lamenta il fatto che
Agostino giustappone quel lo che in realtà avrebbe potuto articolare, in
quanto gene ralmente queste opposizioni sono tra di loro irrelate. Questo non
è però del tutto vero, perché (soprattutto nel De Magistro) c'è un tentativo di
dare una classificazione combinata di alcuni aspetti del segno. A questo
proposito è possibile ricostruire tale classifica zione ordinandola secondo
uno schema arboriforme (Bernardelli), secondo il modello dell'albero di
Porfirio (Eco). La classificazione di Agostino non è totalmente a inclu sione,
come tende a essere quella porfiriana; e si può osser vare che se venissero
sviluppati i rami collaterali, si vedreb bero comparire, una seconda volta,
alcune categorie elenca te sotto il ramo principale. Tuttavia è Agostino
stesso a metterei sulla strada di una classificazione inclusiva da ge nere a
specie quando definisce la relazione tra nome e paro la come "la stessa
che c'è tra cavallo e animale" e includen do la categoria delle parole in
quella più ampia dei segni (DeMag.). genen· e specie AES SEGNO PAROLA
NOME segno udibile di cose (funzione denotativa) res sensibili (Romulus, Roma,
fluvius) differenze significanti qualcosa verbale (voce articolata)
differenze (significabilis, non significanti nome in
senso particolare non verbale (gesti. insegne, lettere, tromba militare ecc.)
altra parte del discorso (si, ve/, ex, nsmque, neve, ergo, quonism ecc.) segno
udibile di segni udibili (funzione metalinguistìca) res intelligibili (
virtus) SIGNIFICANTE delle .. AES" La prima relazione
interessante è quella tra res e signa. Per quanto il mondo sostanziahnente venga
diviso in cose e segni, tuttavia, Agostino non concepisce tale distinzione co
me ontologica, bensì come funzionale e relativa. Infatti anche i segni sono
delle res e l'uomo è libero di as sumere come segno una res che fino a quel
momento era sprovvista di quella dignità. Anzi, la stessa nozione di res viene
definita in termini rigorosamente semiologici (Simone): "In senso proprio
ho chiamato cose (res) quegli oggetti che non sono impiegati per essere segni
di qualche cosa: per esempio i legno, la pietra, il bestiame" (De doctr.
Christ.). Ma, immediatamente dopo, cosciente del la pervasività dei processi
di semiosi, aggiunge: "Ma non quel legno che, leggiamo, Mosè gettò nelle
acque amare per dissipare la loro amarezza (Esodo); né quella pietra sulla
quale Giacobbe riposò la sua testa, né quella pecora che Abramo immolò al posto
di suo figlio. L'articolazione che esiste tra segni e cose è analoga a quella
dei due processi essenziali: usare (ut1) e godere (jrul) (De doctr. Christ.).
Le cose di cui si usa sono tran sitive, come i segni, che sono strumenti per
giungere a qual cos'altro; le cose di cui si gode sono intransitive, cioè sono
prese in considerazione per se stesse. Nel De Magistro Agostino propone anche
un nome per le cose che non sono usate come segni, ma sono signifi cate
attraverso segni: significabilia. Niente toglie che in un secondo momento anche
quest'ultime possano essere assun te con funzione significante. Dopo aver così
articolato i rapporti tra segni e cose, Ago stino propone questa definizione
di segno nel De doctrina Christiana: "Il segno è una cosa (res) che, al di
là dell'impressione che produce sui sensi, di per se stessa, fa venire in mente
(in cogitationem) qualcos'altro". Nel nostro albero porfiriano abbiamo
deciso di ricostrui re la principale suddivisione agostiniana dei segni
secondo la dicotomia verbale/non verbale, anche se altre opzioni, ugualmente
esplicite nei testi di Agostino, erano disponibili. Questa decisione è
autorizzata da un passo del De doctrina Christiana in cui, a conclusione di
un'analisi dei vari tipi di segni, Agostino sostiene: "Infatti di tutti
quei se gni, di cui ho brevemente abbozzato la tipologia, ho potuto parlare
attraverso le parole; ma le parole in nessun modo avrei potuto enunciarle
attraverso quei segni". Viene esplicitamente fatto riferimento al
carattere, tipico del linguaggio verbale, di essere un sistema modellizzante
primario, e tale carattere viene assunto come criterio della divisione
fondamentale dei segni. I0.6.3 Segni classificati in base al canale di perce
zione Una classificazione incrociata rispetto alla precedente è quella
effettuata in base al canale di percezione. Agostino infatti sostiene che
"tra i segni di cui gli uomini si servono per comunicare tra di loro ciò
che provano, certi dipendono dalla vista, la maggior parte dali'udito,
pochissimi dagli al tri sensi" (De doctr. Christ.). Tra i segni che
vengono percepiti con l'udito ci sono quel li, fondamentalmente estetici,
emessi dagli strumenti musi cali, come il flauto e la cetra, o anche quelli
essenzialmente comunicativi emessi dalla tromba militare. Naturalmente,
ritroviamo tra i segni percepìbili con l'udito, in una posizio ne dominante,
anche le parole: "Le parole, in effetti, hanno ottenuto tra gli uomini il
primissimo posto per l'espressione dei pensieri di ogni genere, che ciascuno di
essi vuole ester nare" (Dedoctr. Christ.). Tra i segni percepibili con la
vista Agostino elenca i cenni della testa, i gesti, i movimenti corporei degli
attori, le ban diere e le insegne militari, le lettere. Infine vengono
presi in considerazione i segni che riguar dano altri sensi, come l'odorato
(l'odore dell'unguento sparso sui piedi di Cristo), il gusto (il sacramento
dell'euca ristia), il tatto (il gesto della donna che toccò la veste di Cristo
e fu guarita). "Signa naturalia" e "signa data" Sicuramente
fondamentale, anche se non direttamente integrabile al nostro albero inclusivo,
risulta lo schema di classificazione che oppone i signa naturalia ai signa
data. I primi sono "quelli che senza intenzione, né desiderio di si
gnificare, fanno conoscere qualcos'altro, oltre a se stessi, come il fumo
significa il fuoco" (De doctr. Christ.). Ne sono esempi anche le tracce
lasciate da un animale e le espressioni facciali che rivelano,
inintenzionalmente, irrita zione o gioia . Dopo averli definiti, Agostino
dichiara di non volerli trattare ulteriormente. È invece maggiormente
interessato ai signa data, in quan to a questa categoria appartengono anche i
segni della Sa cra Scrittura. Essi vengono definiti come "quelli che
tutti gli esseri viventi si fanno, gli uni agli altri, per mostrare, per quanto
possono, i movimenti della loro anima, cioè tutto ciò che essi sentono e
pensano (De doctr. Christ.). Gli esempi sono soprattutto i segni linguistici
umani (le pa role) . Ma Agostino, curiosamente, include in questa classe an
che i segni emessi dagli animali, come quelli che si hanno quando il gallo
segnala alla gallina di aver trovato il cibo. Questo crea una marcata
differenza rispetto ad Aristotele, che include i gridi degli animali tra i
segni naturali (De int.). Ma Aristotele opponeva "naturale" a
"convenzionale", mentre i signa data non sono i "segni
convenzionali", come Markus aveva suggerito (e come del resto era sta to
proposto dalla traduzione francese di Combès e Farges). I signa data sono i
"segni intenzionali" (Engels; Jackson), e corrispondono a 1:1na
AGOSTINO ben precisa intenzione comunicativa (De doctr. Christ.). È del resto
il carattere intenzionale che permette ad Agostino di includere tra i signa
data quelli emessi dagli animali, anche se egli non si pronuncia sulla natura
di que sta intenzionalità animale (Eco). Del resto, come nota Todorov, porre
l'accento sull'idea di intenzione corrisponde al progetto semiologico generale
di Agostino, orientato verso la comunicazione. I segni intenzionali, o meglio,
creati espressamente in vista della comunicazione, possono essere messi in
corrisponden za del syrnbolon di Aristotele e della combinazione stoica di un
significante con un significato; quelli naturali, ovvero già esistenti come
cose, corrispondono invece ai smeia, sia aristotelici che stoici Uno dei punti
fondamentali della semiologia agostiniana è costituito dalla ricerca dei modi
in cui si può stabi lire il significato dei segni. Tale indagine è condotta
soprat tutto nel De Magistro, dove si può rintracciare una conce zione
semantica che si avvicina al tipo della "semiosi illimi tata" di
Peirce. Come ha rilevato anche Markus, il significato o segnato di un segno,
per Agostino, può essere stabilito o espresso mediante altri segni, per
esempio: fornendo dei sinonimi; attraverso l'indicazione con il dito puntato;
per mezzo di gesti; tramite astensione (De Mag.). Questa concezione del
significato si rende possibile sol tanto nel momento in cui viene abbandonato
lo schema equazionale del simbolo, per adottare, come fa Agostino, quello
implicazionale del segno. La teoria semiologica ago stiniana si apre così,
come ha messo in evidenza Eco, verso un modello "istruzionale" della
descrizione semantica. Se ne può cogliere un esempio neIl'analisi che Agostino
conduce insieme ad Adeodato del verso virgiliano "si nihil ex tanta
superis placet urbe relinqui" (De Mag.). Esso viene definito come composto
di otto segni, dei quali, appunto si cerca il significato. L'indagine
comincia da l si l, di cui si riconosce che espri me un significato di
"dubbio", dopo aver tuttavia sottoli neato che non si è trovato un
altro termine da sostituire al primo per illustrare lo stesso concetto. Si
passa, poi, a lni hi/1, il cui significato viene individuato come
!'"affezione dell'animo" che si verifica quando, non vedendo una
cosa, se ne riconosce l'assenza. In seguito Agostino chiede ad Adeodato il
significato di lexl ed esso propone una definizione sinonimica: lexl sa rebbe
equivalente a l de l . Agostino non è soddisfatto di questa soluzione e
argomenta che il secondo termine è certo un'interpretazione del primo, ma ha
bisogno di essere a sua volta interpretato. La solu2ione finale è che l ex l
significa "una separazione" da un oggetto. A questa conclusione, pe
rò, viene aggiunta anche una successiva istruzione per la sua decodifica
contestuale: il termine può esprimere separa zione rispetto a qualcosa che non
esiste più, come nel caso della città di Troia a cui si allude nel verso
virgiliano; oppu re il termine può esprimere separazione da qualcosa che è
ancora esistente, come quando diciamo che in Africa ci so no alcuni negozianti
provenienti da Roma. Il significato di un termine, allora, "è un blocco
(una se rie, un sistema) di istruzioni per le sue possibili inserzioni
contestuali, e per i suoi diversi esiti semantici in contesti di versi (ma
tutti ugualmente registrabili in termini di codice).” La struttura implicativa
permette regole del tipo "Se A appare nei contesti x, y, allora significa
B; ma se B, allora C; ecc.", regole che sono comuni tanto al modello
istruzio nale quanto alla semiosi illimitata. In definitiva, è proprio grazie
ali'assunzione generalizza ta del modello implicazionale che la semiologia
agostiniana riesce a porsi sia come sintesi delle acquisizioni semiolingui
stiche del mondo antico (teoria della parola come segno), sia come potente
anticipazione di alcune delle più recenti tendenze della ricerca attuale in
campo semantico (modello istruzionale) . 1 In altre opere, al posto di
dicibile troviamo l'espressione significatio; a esempio in De Magistro. Si deve
notare che Agostino adopera l'espressione verbum in due sen si: uno tecnico e
specifico, che è quello dell'uso metalinguistico della pa rola; uno generale,
che corrisponde alla nozione ampia di "parola", co me "segno di
ciascuna cosa che, proferito dal parlante, possa essere inteso
dalJ'ascoltatore. La natura della nozione di dictio, come composizione di
significante e significato, è messa chiaramente in risalto dalla definizione
del cap. V da De dialectica. Quel che ho detto dictio è una parola, ma una
parola che significhi ormaj le due unità precedenti conten1poraneamente, la
parola (verbum) stessa e ciò che è prodotto nell'animo per mezzo della parola
[di cibile]". La dictio, inoltre, "non procede per se stessa, ma per
significare qualcosa d'altro. Si ricorderà che dagli stoici un segno era
concepito, in termini propo sizionali, come un antecedente che rimandava a un
conseguente; cfr. Sext. Emp., Adv. Math. Per questa nozione, cfr.
Lotman-Uspenskij. Refs.: Luigi Speranza, “Philosophical psychology in the
commentaries of Pietro Lombardo and Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Lombardia Grice: “It is
strange that he was called Piero da Lombardia; it would be like ‘a lad from
shropshire.’ ‘Lombardia,’ unlike Ockham, ain’t a townbut a full regionIt’s
different with ‘veneto,’ which is toponymic and metonymic for Venice. But if Milano
was the main ever settlement in Lombardia this would be “Peter, the one from
Milan.” Lombardo Pietro Lombardo Lumellogno Cardano – Grice: “It’s only natural
that he was Pietro Cardano – after the city in Lombardy, Cardano – Plus, the
implicature that he went by “Peter of Lombardy” having been born in Piemonte,
means that the locals never saw him as one of their own!” -- Pietro Cardano – la stirpe Cardano --. Familia patrizia di Novara. Pietro Cardano. Keywords: Cardano,
implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardano” – The Swimming-Pool
Library. Cardano.
Luigi Speranza -- Grice e Cardia: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del culto del laico – scuola di
Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma,
Lazio. Grice: “Cardia is what I would call the Italian Hart – with a tweak –
Italy and religion is Cardia’s forte – recall that the bishop of Rome has the
roots in the ‘pontifex’ of old Rome, so he knows what he’s talking about!” –
Grice: “Like me, Cardia has philosophised, as what the Italians call a
professore di filosofia del diritto, on the ethical versus legal implicatures
of the very idea of a ‘right’ (diritto). We don’t have that economy of
vocabulary in Engish – calling Hart the professor of right would be
unnacepptable at Oxford!”. Si laurea a Roma. Clifton has chapel services and a
focus on Christianity. This is the Chapel: here, my son, Your father thought
the thoughts of youth, And heard the words that one by one The touch of Life
has turn'd to truth. Here in a day that is not far, You too may speak with
noble ghosts Of manhood and the vows of war You made before the Lord of Hosts.
The magnificent Chapel sits at the heart of Clifton both spiritually and
physically and has played an important part of life. Topped by a striking
copper-clad lantern and built from soft red and honey-coloured stone, the
Chapel provides Christian calm, and forms a powerful link between past and
present. It is a place where the community come to mark milestones and
celebrate successes, and for quiet contemplation or spiritual guidance.
Brass plates placed on the back of the staff stalls mark the names of all those
who have carved out a reputation. High on the walls are memorials of pupils of
another age who died by accident or disease serving the Empire. One bears the
moving epitaph ‘A good life hath but few days but a good name endureth
forever.’ The Chapel was built to a design by C. Hansom. It is a
narrow aisleless building. It
is the gift of the widow of W. J. Guthrie. Hansom is given permission to quarry
sufficient stone from the grounds of Clifton for the purposes of the Chapel
building". The Chapel building is licensed by the Bishop of Gloucester and
Bristol. Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista
telematica statoechiese.it) Colaianni (ordinario di Diritto ecclesiastico nella
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari) Quale laicità. Con
questo saggio C. si affaccia sul versante polemistico della letteratura
giuridica con la maestria affinata attraverso una copiosa produzione saggistica
e con la non comune versatilità che negli ultimi anni lo ha portato ad
occuparsi dei problemi di tutela non solo delle confessioni religiose ma anche
dei diritti umani. I bersagli della polemica sono indicati nel sottotitolo:
etica, multiculturalismo, islam, non in sé naturalmente ma in quanto declinati
in maniera rispettivamente relativistica, separatistica, fondamentalistica.
Capaci cioè di esaltare le identità oltre ogni limite e di attentare, quindi, a
quello “stato laico sociale” che, dopo secoli di storia travagliata e i
totalitarismi del secolo breve, a cavallo del nuovo millennio ha trionfato un
po’ dovunque in Europa e in tutto l’occidente. Questo carattere ben si coglie
secondo l’autore nella “rivincita dei concordati”. Un fenomeno effettivamente
impressionante, tanto più perché si inserisce in un trend favorevole alle
relazioni con le confessioni, da cui non prendono le distanze neanche l’Unione
europea, in base ad una dichiarazione allegata al trattato di Amsterdam, e la
Francia della Loi de séparation, secondo le proposte della commissione
governativa Machelon1. Da esso C. deduce che lo stato è ormai amico delle
religioni, che contribuisce attivamente a sottrarre all’irrilevanza degli
affari privati e a reimmettere nel circuito pubblico, relegando l’ostilità del
laicismo ottocentesco nel museo della memoria. C., Le sfide della laicità.
Etica, multiculturalismo, islam, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo,
destinata alla pubblicazione sulla rivista “Laicità”, Torino. Cfr. F. MARGIOTTA
BROGLIO, su Reset Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica Dal
quale non varranno a riesumarla le “guerricciole”, rinfocolate dal
“micro-massimalismo” di chi spera di “rivivere un po’ dell’epopea del passato”
e non si accorge che ormai lo stato italiano gli accordi li fa anche con
confessioni non cattoliche e, peraltro, non è l’unico ad integrare le scuole
private e confessionali nel sistema scolastico, ad assicurare l’insegnamento
religioso confessionale nelle scuole pubbliche, a finanziare lautamente la
chiesa cattolica ma anche le altre confessioni. L’agile sintesi
storico-politica, condotta nella prima metà del libro, consente a C. di
avallare questa laicità realistica, che ad altri è sembrata più propriamente
“praticistica”. A quella stregua l’autore tratta con sufficienza i rinnovati
contrasti tra stato e chiesa (che pure sono al centro delle preoccupazioni di
altri libri coevi3 ) tanto quanto con drammaticità le sfide suindicate. A
cominciare dal multiculturalismo, che in effetti nella versione spinta si
presenta sotto la forma di un comunitarismo senza coesione. Il “fascino
discreto” che in molti differenzialisti suscitano gli statuti personali, di
medioevale o ottomana memoria, è giustamente visto come una relativizzazione
della laicità: a vantaggio, in particolare, dell’islam. Ovviamente C. è severo
con la “partita giocata su due tavoli”: non si può invocare la laicità contro i
“simboli e la memoria del cristianesimo” e a favore di quelli dell’islam, per
cui “verrebbero estromessi i crocifissi, ma sarebbero ammessi il velo e la
preghiera degli islamici”. Ma i termini del paragone sono omogenei solo
apparentemente: il crocifisso fa problema per la laicità non se portato addosso
al corpo, se fa parte del libero abbigliamento dei cittadini (come il velo o
altri segni religiosi), ma in quanto esposto autoritativamente, cioè imposto,
negli spazi pubblici, scolastici, giudiziari. In effetti, è tutta la seconda
parte del libro a risentire di questa drammatizzazione impressa ai vari
scenari. Islam versus cristianesimo. Di là un sistema chiuso ad ogni
interpretazione evolutiva, un’identità fissa e immutabile, di qua una religione
tollerante, aperta all’interpretazione storico-critica dei testi sacri e alla laicità,
la quale in essa sarebbe addirittura “germinata”. La schematizzazione
diventa 2 Per esempio a BELLINI nel saggio coevo Il diritto
d’essere se stessi. Discorrendo dell’idea di laicità. Come quelli di
ZAGREBELSKY, Lo stato e la chiesa, o di BIANCHI, La differenza cristiana, o di
RUSCONI, Non abusare di Dio. Stato, Chiese e pluralismo confessionale
Rivista telematica inevitabile. In realtà, l’involuzione della seconda metà del
XX secolo, a parte i fanatismi e i terrorismi, non è riuscita a spegnere le
numerose voci laiche dell’islam moderno4 né, a livello istituzionale, ad
annullare, pur frenandola, l’applicazione negli stati islamici di una legge non
religiosa, il kanun, “nel senso laico di ‘legge di stato’in contrapposizione
alla sharī ‘a” 5. D’altro canto, bisogna riconoscere che abbiamo tutti
sovracaricato il detto evangelico “Quae sunt Caesaris Caesari, quae sunt Dei
Deo” di un significato improprio e anacronistico, in termini appunto di
laicità, che nessun biblista ha mai potuto avallare (vorrei ricordare qui
almeno Barbaglio, che ci ha lasciato pochi mesi fa: nel suo La laicità del
credente non cita mai il versetto di Matteo). Storicamente poi, anche a voler
retrodatare – seguendo Ernst-Wolfgang Böckenförde6 - alla lotta delle
investiture l’inizio del processo di secolarizzazione, non v’è dubbio che per
secoli la chiesa ha sostenuto la supremazia del potere spirituale ratione
peccati o salutis anche nella sfera mondana. E al giorno d’oggi la più netta
distinzione degli ordini formulata dal Concilio non sta impedendo il tentativo
di informare la legislazione italiana al magistero ecclesiastico: è la chiesa
dei no alla procreazione medica assistita (divieto dell’eterologa, della
diagnosi preimpianto dell’embrione), al testamento biologico, visto come
anticamera di pratiche eutanasiche, al riconoscimento pubblico di unioni civili
in qualsiasi forma (pacs, dico, cus, ecc.), emblematicamente (a luglio alla
Camera) al richiamo del principio di laicità come fondamento di una legge sulla
libertà di religione (che pur non tocca la chiesa cattolica). Neanche C.
indulge su questi punti. Il suo no è altrettanto netto. In nome della laicità e
contro il relativismo etico. Ma poiché su quei punti, con varie sfumature, il
pensiero laico (di non credenti e agnostici ma anche di credenti) è per il sì,
è evidente che ci si trova davanti ad una diversa concezione della laicità.
Tanto rispettabile nei suoi riferimenti eteronomi, divini o naturali e perciò
antichi o “ancestrali”, quanto incapace di far capire - per dirla con
Habermas7 - “quale ruolo e significato i fondamenti giuridici
secolarizzati della costituzione possono avere per una società [Cfr.
l’antologia di BRANCA e quelle più recenti di V. COLOMBO. 5 Così ne Il
linguaggio politico dell’Islam B. LEWIS, studioso fra i più citati nel libro.
6 Cfr. BÖCKENFÖRDE, Diritto e secolarizzazione. HABERMAS, Il futuro della
natura umana. Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (statoechiese postsecolare”, come la nostra. In una
democrazia necessariamente relativistica (se, al contrario, fosse assolutistica
non sarebbe democrazia, insegna Kelsen) la laicità alimenta norme non di
supremazia ma di compatibilità, espressive di una vocazione non paternalistica,
ma responsabilizzante, nei rapporti tra stato e cittadini: visti non come meri
educandi, da guidare nelle scelte etiche in base a valori esterni, ma come
persone responsabili delle loro scelte nella propria autonomia e capaci di
mediarle alla ricerca di quella “giusta”8. Una laicità pluralistica e perciò
non espressiva di una sola cultura ma interculturale (come dovrebbe porsi ormai
tutto il diritto secondo Otfried Höffe9 ). Le cui sfide, e il libro di Cardia
stimola ad intraprendere questo percorso di riflessione, non vengono da una
parte sola. 8 In questo senso rilegge il da mi factum, dabo tibi
ius RODOTÀ, La vita e le regole. 9 Cfr. O. HÖFFE, Globalizzazione e
diritto penale. LA LAICITA’ IN ITALIA (C.) (Convegno Giuristi) Sommario.
Premessa. 1. La laicità in Italia tra conflitto e moderazione. 2. Laicismo,
intransigenza cattolica, isolamento culturale. 3. Dai Patti Lateranensi al
modello costituzionale di respiro europeo. 4. La crisi della laicità. Laicità
ed etica. 5. Cultura laica e questione islamica. Laicità e multiculturalismo.
Ambiguità e prospettive. Premessa. E’ mia intenzione soffermarmi sulle
problematiche attuali della laicità in Italia, anche perché sono diverse e
complesse. Però, penso sia necessario dare spazio a qualche riflessione storica
che ci aiuti a comprendere meglio le questioni che abbiamo di fronte nel tempo
presente. Si tratta, più che di una analisi organica, di spunti ricostruttivi
utili a cogliere alcune costanti della nostra tradizione. Ho avvertito questa esigenza
perché l’esperienza italiana ha un tratto caratteristico che non si rinviene
altrove, avendo dato vita nello spazio di poco più di un secolo a tre tipologie
diverse di relazioni ecclesiastiche: una laico-separatista, una di tipo
concordatario neo-confessionista, e quella costituzionale che poi si è evoluta
nel quadro di una Europa che ha finito per seguire il nostro modello. Infine,
l’Italia sta vivendo una vera crisi della laicità, in rapporto alla questione
etica, e al multiculturalismo, ed è entrata in quella globalizzazione dei
rapporti tra religione e società che riguarda l’Occidente nel suo complesso.
Quindi, l’esperienza italiana non è comprensibile all’interno di un solo
orizzonte storico-culturale, mentre l’analisi deve mantenere un respiro più
ampio e saper individuare delle linee trasversali di riflessione, dei fili
conduttori che chiariscano il percorso storico complessivo che si è compiuto.
La laicità in Italia tra conflitto e moderazione Il primo filo conduttore che
voglio privilegiare è il rapporto che si è determinato tra conflitto e
moderazione, tra correnti estreme del pensiero laico, e di quello cattolico, e
soluzioni storico- 2 normative che sono state adottate. La storiografia più
accreditata ci ha abituati a interpretare questo rapporto a tutto favore della
conflittualità e a discapito della moderazione. Ancora oggi il conflitto tra
Stato e Chiesa è considerato un tratto eminente della storia italiana, il punto
focale che illumina tutto il resto. Il processo di unificazione nazionale viene
letto alla luce del contrasto tra laici e cattolici, della fine del potere
temporale, della prevalenza della modernizzazione sul conservatorismo
cattolico. Anche l’epoca autoritaria che dà vita ai Patti Lateranensi è vista
in chiave di rivincita cattolica e di sconfitta laica, come un rovesciamento di
fronte rispetto all’epoca liberale. Questa interpretazione resta valida perché
permette di capire tante pagine della nostra storia nazionale, ma può essere
integrata con un’altra chiave di lettura che aiuti a vedere anche i
chiaro-scuri, i toni più morbidi, della storia italiana. Questa chiave di
lettura è quella della moderazione e dell’equilibrio che, pur nelle vicende
aspre che conosciamo, ha segnato la storia italiana. L’Italia è stata moderata ed
equilibrata nel separatismo, in parte nel sistema concordatario, in modo
speciale nella elaborazione della Costituzione. Quando parlo di moderazione non
intendo esaltare il carattere per così dire compromissorio generalmente
riconosciuto alla genti italiche. Mi riferisco ad un dato realmente presente
nelle nostre leggi, in ampi settori della cultura laica e di quella cattolica,
che ci aiuta a meglio comprendere la storia e l’evoluzione della laicità in
Italia. La moderazione del periodo separatista si manifesta in tanti modi, ma
nell’insieme consente all’Italia di operare un sottile, solido compromesso con
l’anima cattolica del paese su punti essenziali, ed evita l’affermazione di
tendenze francesizzanti che pure esistono in esponenti della classe dirigente
liberale. In Italia non si afferma mai l’idea della reformatio ecclesiae come
obiettivo proprio dello Stato. L’aspirazione ad una evoluzione della Chiesa è
parte integrante del pensiero laico e dei riformatori cattolici dell’Ottocento,
ma da noi non si trovano tracce significative di quel disegno (tipicamente
transalpino) che mira alla costituzione civile del clero, a stravolgere le
strutture ecclesiastiche, a creare una chiesa nazionale quieta e obbediente al
potere civile. La struttura della Chiesa, gli enti ecclesiastici mantenuti,
l’educazione e la disciplina del clero, non subiscono ingerenze o
stravolgimenti diretti a modificarne la natura. Nel dibattito sulle Facoltà di
teologia è il ministro Correnti che respinge le tentazioni giurisdizionaliste e
afferma che lo Stato non ha “né interesse, né volontà, né facoltà di creare
teologi”, che l’evoluzione della religione è compito della Chiesa, e la “Chiesa
troverà in sé stessa, e solo in se stessa può trovare, la volontà e la forza di
ravvicinarsi” alla modernità. L’unico intervento chirurgico è quello che
sopprime le corporazioni e le congregazioni religiose. Ma anche in questo
intervento, che storicamente si giustifica con la necessità di ridistribuire la
grande proprietà ecclesiastica, non mancano i segni di moderazione, se vogliamo
della dissimulazione. Come quando le comunità religiose si ricostituiscono
progressivamente al riparo delle c.d. frodi pie, che consentono l’utilizzazioni
di proprietà immobiliari messe a disposizione da veri prestanome. Comunque, a
nessuno in Italia è mai venuto in mente di adottare leggi draconiane come
quelle transalpine, la prima che vieta alle congregazioni religiose non
riconosciute l’insegnamento, la seconda che prevede multa e carcere per chi
apra una scuola nella quale insegni anche un solo religioso. Ho sfioato il
problema della scuola, perché su questo terreno si opera il più grande
compromesso italiano, sul quale storici e giuristi si soffermano poco. Alla
laicizzazione della scuola italiana, con la Legge Casati, non segue la
cancellazione della presenza cattolica nel corpo scolastico pubblico. Se
l’insegnamento religioso viene escluso nelle scuole superiori, rimane però in
quelle elementari. La Legge Coppino non dice nulla al riguardo, e questo
silenzio, con l’aiuto del Consiglio di Stato, consente di mantenere
l’insegnamento religioso che, ci dice Francesco Scaduto, viene attivato da
quasi tutti i Consigli comunali e seguito dalla totalità delle famiglie
italiane. Neanche si può dire che la questione passi sotto silenzio, perché un
Regolamento conferma l’insegnamento religioso, e la Camera respinge nello
stesso anno una mozione di Bissolati che chiede di vietare ogni presenza
religiosa nelle scuole. Molto chiaramente Minghetti compara gli inconvenienti
di una scuola che preveda l’insegnamento religioso a quelli di una scuola che
lo esclude, e afferma che “i primi saranno sempre minori di quelli di una
scuola che dovrebbe essere popolare, ma che senza Dio ripugna alla coscienza
popolare e addiviene atta a soddisfare soltanto una piccola minoranza”. Si può
dire che è poco, invece è moltissimo, perché la scuola elementare è l’unica
vera scuola di massa dell’epoca. Per questa ragione l’Italia separatista ha
operato le grandi riforme della modernità ma ha saputo mantenere un raccordo di
fondo tra il sentire comune della popolazione e una legislazione non aggressiva
e non punitiva. E’ l’Italia laica e separatista che affida ai maestri e alle
maestrine della letteratura dell’Ottocento l’onere di trasmettere elementari ma
importanti valori religiosi e morali nelle nuove generazioni. L’elogio della
moderazione non deve fare aggio sull’altro fattore endemico dell’esperienza
italiana, su quella arretratezza che, in modo diverso, caratterizza alcuni
settori della cultura laica, e della cultura cattolica, e che provoca per lungo
tempo un isolamento rispetto ad altre più avanzate esperienze europee e alla
cultura anglosassone, cioè rispetto al resto del mondo. Mi riferisco alle
correnti laiciste che animano la cultura politica, danno vita al pensiero più
autenticamente anticlericale, rendono la laicità ostile alla religione. Ma
anche all’arroccarsi di quell’intransigenza che frena la capacità di iniziativa
dei cattolici, li estranea a lungo dalla vita politica del Paese. Nel
conflitto, e nel corto circuito, tra intransigenza cattolica e correnti
laiciste sta la radice di una chiusura provinciale che in Italia condiziona a
lungo le relazioni ecclesiastiche. Il radicarsi di queste tendenze immette
nella cultura italiana semi che tornano a fiorire di tanto in tanto. Il
laicismo produce cultura, mentalità, costume, e fa sì che anche da noi come in
Francia, laicità voglia dire tante cose negative: estraniazione della religione
dalla società e dalla dimensione pubblica, ostilità alla scuola privata
nonostante il liberalismo sia altrove il difensore del pluralismo scolastico,
riduzione della Chiesa ad un ambito puramente cultuale. In Italia, come
oltr’Alpe, il termine laico è contrapposto a cattolico, e questa antitesi,
sconosciuta nei paesi anglosassoni, diviene da noi categoria del pensiero e del
linguaggio. Quando faccio riferimento alle tendenze laiciste mi riferisco sia
all’anticlericalismo di matrice ottocentesca che alle correnti culturali di
grande dignità che da Spaventa a Bissolati rivivono poi in Salvemini e in Rossi,
e che di più aspirano ad una Chiesa riformata, apparentemente tutta spirituale
ma muta sul piano civile e sociale. Queste correnti si ravvivano quando
l’accordo tra Chiesa e fascismo di fatto umilia la laicità, provocando una
frattura seria tra la cultura laica ed un cattolicesimo al quale viene
restituito un ruolo di primo piano, ma con il sacrificio di altre idealità e di
altri ruoli. Anche l’intransigenza cattolica riaffiora più volte nella storia
italiana, impedisce a tratti di cogliere le trasformazioni della società, di
discernere gli aspetti positivi dalle spinte disgreganti, porta
all’arroccamento su posizioni che potrebbero essere evitate. La critica più
autentica a questo corto circuito non è diretta alle singole posizioni radicali
che produce, quanto al fatto che da lì è derivato un certo isolamento rispetto
alla cultura anglosassone, rispetto ad altre esperienze europee, come quelle
dell’Olanda, del Belgio e della Germania, dove già nell’Ottocento maturano
equilibri più stabili tra religione e società. Una conferma di questo
provincialismo sta nell’incomunicabilità tra esperienza italiana ed esperienza
statunitense, alla quale pure molti laici si richiamano, senza mai averla
capita e forse conosciuta. Lo stesso Salvemini, che pure conosceva la società
americana, di quell’esperienza evoca sempre e soltanto la parola separatismo,
non i suoi contenuti, né la sua anima pregna di rispetto e di amicizia verso la
religione. Possiamo verificare questa lontananza della cultura laica rispetto
alle correnti del pensiero anglosassone su un particolare problema, quello
della scuola privata, nel quale il liberalismo italiano si è discostato dai
canoni del liberalismo classico per seguire un indirizzo statalistico destinato
a dominare a lungo. C’un dibattito di metà Ottocento (oggi dimenticato ma molto
importante all’epoca) nel quale BERTI (si veda) critica quei liberali che per
paura di monopolio combattono la libertà di insegnamento, e afferma che questa
trae il suo diritto dall’individuo medesimo, dalla sua libertà, ed è da
annoverarsi tra “gli altri diritti naturali”. È SPAVENTA (si veda) che si
oppone a BERTI (si veda) ed esplicita la vera ragione della contrarietà alla
scuola privata. La ragione sta nel fatto che “i paladini” del libero
insegnamento finiscono per portare acqua al mulino della “libertà del papa”,
perché in Italia dare via libera alle scuole private vuol dire favorire la
scuola cattolica. Quindi, con grande trasparenza si riconosce che il vero
liberalismo postula la libertà della scuola, ma in Italia questo liberalismo
non è praticabile perché se ne avvarrebbero i cattolici. Insomma, al
liberalismo si ricorre quando fa comodo, altrimenti lo si mette da parte. 3.
Dai Patti Lateranensi al modello costituzionale di respiro europeo In Italia,
però, si ritrova un altro elemento equilibratore che consente di attenuare le
asperità e finisce col favorire le soluzioni strategiche adottate in sede di
Costituente. Parlo di quella questione romana che nessun altro Paese conosce, e
che tocca all’Italia affrontare e risolvere in modo autonomo. Anche su questo
problema vorrei offrire uno spunto ricostruttivo diverso rispetto alla
storiografia prevalente. E’ vero che la questione romana ha costituito il punto
di maggiore attrito tra Stato e Chiesa, ed ha agito come coagulo
dell’intransigenza cattolica e come bersaglio dell’anticlericalismo. Tuttavia,
pur nei termini del conflitto che conosciamo, essa ha rappresentato anche un
elemento equilibratore nel periodo separatista, con la stipulazione dei Patti
Lateranensi, soprattutto all’atto della elaborazione della Costituzione
democratica. Quando parlo di elemento equilibratore intendo dire che la
presenza della Santa Sede ha fatto uscire il meglio di sé dalla classe dirigente
liberale nell’Ottocento, ha attenuato gli effetti che i Patti Lateranensi hanno
avuto sulla società italiana, ha favorito notevolmente il lavoro che ha portato
alla formulazione del disegno costituzionale complessivo dei rapporti tra Stato
e Chiesa. Già nell’Ottocento, la classe dirigente liberale conferma la propria
lungimiranza con quella Legge delle Guarentigie che, pur temporaneamente,
risolve la più grande questione storica europea, e, dovendo misurarsi con un
evento che interessa i cattolici di tutto il mondo, si rivela capace di ad
attenuare, smussare, equilibrare le asperità del separatismo. Anche quando il
Concordato ferisce duramente la laicità e la cultura laica italiana, la
soluzione definitiva del questione romana stempera il valore politico del patto
con il FASCISMO. Non a caso il giudizio delle forze politiche ANTI-fasciste sui
Patti Lateranensi si presenta come scisso in due: severo e aspro, anche da
parte cattolica, nei confronti dell’accordo politico tra Chiesa e fascismo e
del Concordato, ma positivo e accogliente nei confronti del Trattato del
Laterano. Sin dall’inizio Croce approva la soluzione della questione romana,
riservando le sue critiche al Concordato. Ma anche Salvemini, durissimo con il
Concordato, riconosce che la questione romana è ben risolta, anzi afferma che
ciò che è stato fatto avrebbero dovuto farlo i liberali. Infine, i programmi
elaborati dai leader dell’antifascismo durante la guerra in vista della
ricostruzione del Paese, concordano nel non voler rimettere in discussione i
risultati del Trattato del Laterano. Credo si possa dire che, senza una
questione romana risolta, forse non avremmo avuto quel tipo di rapporti con la
Chiesa che l’Italia elabora e che ha saputo anticipare un modello oggi
utilizzato in un numero considerevole di Paesi europei. Nell’incontro tra le
correnti del cattolicesimo democratico e la maggioranza della cultura laica,
l’Italia trova il modo di abbandonare un certo provincialismo e riesce a
parlare un linguaggio europeo, supera quel corto circuito che l’aveva
appesantita a lungo. Le scelte del costituente non sono riconducibili al solo
articolo, quanto alla maturazione di una laicità che è destinata a fare scuola,
a prefigurare un modello di Stato laico sociale che diverrà prevalente
nell’Europa che si unisce e conosce la fine dei totalitarismi. Si tratta di una
laicità complessa dove converge il meglio della tradizione separatista (in
materia di libertà religiosa), e dove il laicismo è superato dal riconoscimento
pieno della presenza e del ruolo sociale della religione. Si abbatte il muro
della incomunicabilità tra religione e società, si conferma e si estende il
metodo della contrattazione e dell’incontro, tra Stato e Chiese; si supera
l’ultimo tabù dell’Ottocento, per il quale nessun culto dovrebbe essere
finanziato dallo Stato perché lo impedirebbero le differenti opinioni religiose
dei cittadini. Sul finire del Novecento questo Stato laico sociale trionfa un
po’ dovunque. Non si contano più i concordati tra Santa Sede e Stati in Europa,
che sono oltre 20, come non si contano più intese, accordi, convenzioni tra
Stato e confessioni religiose, protestanti, ebraica, islamica, e altro ancora.
Ma è nel merito delle relazioni ecclesiastiche che il modello italiano fa
scuola in Europa. Dall’Atlantico alla Russia, ovunque troviamo una laicità
fondata su principi comuni: libertà religiosa, tutelata nel quadro dei diritti
umani, riconoscimento delle Chiese come entità impegnate in molteplici
attività, sostegno pubblico alle confessioni. Insomma, un mixer tra la
tradizione nordamericana di amicizia verso la religione, e la tradizione
europea di contrattazione e reciproca integrazione. Tanto solido è questo nuovo
orizzonte di laicità sociale che ormai in Europa si discute di riforma dei
rapporti tra Stato e Chiesa soltanto in Inghilterra e nei Paesi protestanti del
nord, dove ancora esistono Chiese ufficiali sottomesse e apparentate alle
dinastie regnanti. La laicità torna di attualità e vive una crisi di cui
non siamo ancora pienamente consapevoli, su terreni nuovi e in editi, come
quelli dell’etica e del multiculturalismo. Si tratta di fenomeni molto diversi,
perché nel primo caso siamo di fronte ad un uso indebito, quasi una
strumentalizzazione, del concetto di laicità, nel secondo assistiamo ad un pericoloso
arretramento dei valori più intimi dello Stato laico. Non entro nel merito del
rapporto tra etica e diritto. Non è oggetto della mia relazione, non è
possibile neanche sfiorarlo nella sua complessità. La mia attenzione è più
ristretta, riguarda il rapporto che esisterebbe tra laicità ed etica nel
momento in cui un ordinamento è chiamato a pronunciarsi su questioni decisive
per la collettività, come la famiglia, l’ingegneria genetica, l’eutanasia, e
via di seguito. Alcune elaborazione teoriche danno per scontato che il
pluralismo etico non è che un altro aspetto del pluralismo religioso, e “come
oggi ammettiamo e rispettiamo le varie confessioni religiose, così dobbiamo
riconoscere le varie moralità che affiancano o sostituiscono la fede religiosa”.
D’altra parte, si aggiunge, come nella religione non si dà verità oggettiva, ma
solo opinioni, così in campo etico lo Stato deve accettare tutte le convinzioni
e le scelte che si contendono il campo. Questa similitudine tra religione ed
etica è accattivante, ma nasconde un’insidia dialettica. In primo luogo perché
la neutralità dello Stato riguarda le convinzioni religiose, la sfera più
intima della spiritualità e della coscienza, non i comportamenti delle persone,
tanto meno quelli che coinvolgono gli altri. In questa materia la legge non
pretende mai di definire qual è la verità, ma sceglie sulla base di valori che
hanno una loro validità nel tempo, nella struttura sociale nella quale si
incarnano, e che possono dar vita a equilibri diversi tra etica e diritto. In
secondo luogo, si trascura il fatto che una neutralità dello Stato estesa a
tutte le scelte etiche porterebbe alla paralisi del legislatore e allo
svuotamento della funzione della legge. L’ordinamento non si interesserebbe più
della procreazione, dei doveri verso i figli, non potrebbe più disciplinare il
matrimonio, dovrebbe consentire tutto in materia di bioetica. Uno Stato
eticamente neutrale dovrebbe disporre il “rompete le righe” e preoccuparsi solo
di regolare il traffico delle attività sociali. C’è, poi, un corollario di
questa impostazione che viene utilizzato frequentemente. Si tratta di quel
ritornello che in Italia viene ripetuto spesso, secondo il quale in queste
materie lo Stato deve permettere, non proibire. Infatti, se permette non obbliga
nessuno, ma se proibisce impedisce a qualcuno di realizzarsi. Lo Stato che
liberalizza l’eutanasia non obbliga nessuno a praticarla, ma consente a chi
vuole di scegliere un’altra opzione. Se permette la fecondazione eterologa, non
la impone, ma se la nega erode spazi all’autonomia individuale. Io credo che ci
troviamo di fronte ad un uso improprio della laicità, e ad un vero sillogismo.
Se applicata coerentemente, questa logica porterebbe a risultati che ben pochi
si sentirebbero di sostenere. Si legittimerebbe la pratica della clonazione
umana, perché una legge che la liberalizzasse non costringerebbe nessuno a
clonare cellule e individui, mentre un divieto impedirebbe ad alcuni di seguire
i propri convincimenti. Dovrebbe essere permesso di intervenire sul genoma per
determinare alcune caratteristiche del nascituro, come il sesso, o il colore
della pelle o degli occhi, perché in ogni caso non si obbligherebbe nessuno a
queste operazioni, mentre vietandole si diminuirebbe l’autonomia individuale.
Questa impostazione dovrebbe indurre l’Authority inglese a rispondere
positivamente al recente quesito del King’s College, se sia lecito produrre
ibridi di umanità e animalità. Infatti, consentendo questa pratica non si
impone a nessun ricercatore di creare la chimera, ma proibendola si violerebbe
la libertà di quanti non hanno remore nel procedere su questa strada. Molti
sostenitori del relativismo si dichiarano contrari alla clonazione, alla
chimera e ad altre scelte estreme, ma spesso non sanno dire il perché. E non
sanno dirlo perché dovrebbero riconoscere che clonazione e chimera possono
essere escluse soltanto se si fa leva su valori antropologici primari,
meritevoli di trovare spazio nel mondo del diritto. Si dovrebbe allora
riconoscere che la laicità dello Stato non c’entra nulla quando la discussione
riguarda questi valori. E che nel gioco democratico della discussione, del
convincimento, si determineranno gli equilibri essenziali, modificabili nel
tempo, sui confini del diritto, sul rapporto tra autonomia e solidarietà. In
questa discussione vi è spazio per tutti, per le convinzioni religiose e per
quelle filosofiche, per l’apporto delle scienze e la mediazione della politica.
Ma se il confronto viene by-passato ricorrendo alla laicità per sbarrare la
strada a determinate scelte, vuol dire allora che c’è insicurezza in alcune
posizioni relativistiche, le quali non riescono ad elaborare valori
convincenti, e utilizzano impropriamente la laicità per dare alle proprie tesi
una forza che probabilmente non hanno. 5. Cultura laica e questione islamica
L’analisi si fa più complessa se affrontiamo il tema del multiculturalismo,
perché questo fenomeno costituisce una grande opportunità ma anche un grande
rischio. Una opportunità per la laicità, che può far risaltare il suo volto
accogliente e il suo carattere universale di fronte al mischiarsi delle
popolazioni, delle pagine della storia, e della geografia. Ma anche un rischio
se con il multiculturalismo si vogliono reintrodurre nelle nostre società
antiche intolleranze, o costumi e tradizioni che evocano un lontano passato. Le
prime risposte a questo evento sono deludenti, alcune preoccupanti, ma tutte
riflettono un disorientamento generale. Vi sono a volte reazioni di tipo
islamofobico che fanno d’ogni erba un fascio, alimentano paure e diffidenze,
che vogliono negare all’islam ciò che la laicità deve garantire a tutti. Mi
sembra, però, che siano prevalenti le reazioni opposte, perché la cultura laica
sta rispondendo con uno spaesamento che tradisce incertezza e insicurezza. Il
multiculturalismo sta facendo emergere una insicurezza dei valori della
laicità, della loro validità e tendenziale universalità. Anche quell’orgoglio
che ha dato forza allo Stato laico, che ha prodotto diritto e storia, sembra
vacillare di fronte a chi appare più estraneo ai principi di libertà ed
eguaglianza. Potrei citare una pluralità di fatti, ed eventi, che sembrano
slegati tra di loro ma sono uniti da un robusto filo conduttore. Ne indico
alcuni per far riflettere sul loro significato complessivo. Pochi si accorgono
che si sta creando un divario crescente tra l’atteggiamento nei confronti delle
Chiese tradizionali e quello che si manifesta di fronte a clamorose lesioni
della laicità per motivi di multiculturalismo. Le prime riflettono un’antica
suscettibilità, quasi la memoria del conflitto, le altre sono fatte di stupore
e di silenzi. Se una Chiesa lucra ancora oggi qualche favore giuridico, si
reagisce con veemenza perché la laicità dello Stato sarebbe in pericolo. Ma se
vengono lanciate fatwe di morte contro letterati, giornalisti o registi, per
offese all’Islam, si tratta di episodi che non riguardano lo Stato laico, non
costituiscono istigazione all’omicidio. Se una fatwa viene eseguita, l’omicidio
è di competenza della cronaca nera. 8 Se in un paese europeo si discute
su temi etici, le prese di posizione delle Chiese cristiane sono viste come
espressioni di un nuovo temporalismo. Ma se, in Europa o ai suoi confini,
avvengono omicidi di donne che rifiutano regole tribali, di derivazione islamica
o meno, oppure se il diritto di cambiare religione conduce ancora alla morte o
all’emarginazione sociale, si considerano questi eventi come frutto di
arretratezza, anziché un salto indietro nella storia della laicità. Nessun
grido, nessun manifesto, nessun convegno è dedicato loro. Uno strabismo
particolare colpisce la cultura laica quando è in gioco la questione femminile.
Mentre gli ordinamenti europei adottano raffinati strumenti per rendere
effettiva la parità tra uomini e donne, normativa e pratiche aliene che
discriminano le donne, o le umiliano, non suscitano ribellione o ripulsa. Un
tempo la cultura laica reagiva con forza, definendole oscurantiste e censorie,
alle richieste di non eccedere nella liberalizzazione dei costumi, e di frenare
la licenziosità con cui veniva usata la figura femminile. Oggi tace, quasi si
nasconde, quando le donne vengono chiuse nel burqa, o si chiedono classi
separate nelle scuole, spiagge differenziate, reparti ospedalieri distinti, o
gli uomini rifiutano di essere subordinati sul lavoro a dirigenti donne, e via
di seguito. In diversi paesi occidentali, dall’Inghilterra al Canada, dalla
Germania al Belgio ai paesi del Nord Europa si moltiplicano le proposte di
introdurre la scharì’a, o suoi segmenti, senza che suscitino scandalo per la
ferita che porterebbero ai diritti umani fondamentali. Soltanto il 24 ottobre
corso, con grande ritardo, il Parlamento europeo, ha approvato una risoluzione
(peraltro molto positiva) sulla condizione delle donne, sulla illegalità della
poligamia, sulla lesione dei diritti fondamentali. Le reazioni islamiche al
discorso di Benedetto XVI a Ratisbona sono ormai note, e non mi ci devo
soffermare. Ma nessuno ha notato un fatto che, in tema di laicità, ha
sovrastato tutti gli altri. Il silenzio che i più rigorosi laicisti hanno
mantenuto nel difendere la libertà di parola e di espressione contro minacce,
violenze, ricatti. Eppure, per decenni questi gruppi hanno ripetuto sino alla
nausea il pensiero di Voltaire per il quale, anche se non si condividono le
idee di un altro, si è però pronti a spendere la propria vita perché l’altro
possa esprimere quelle idee. Ma dopo Ratisbona, non si è spesa neanche una
parola per difendere il diritto del Papa, come di chiunque altro, ad esprimere
le proprie valutazione sul rapporto tra fede e violenza. A questi silenzi si
aggiunge un fenomeno culturale meno appariscente e più sotterraneo. Il
cattolicesimo, e il cristianesimo, sono stati per due secoli letteralmente
vivisezionati per criticare e sradicare tutto ciò che sapesse di temporalismo,
di anti-modernità, per spezzare la loro alleanza con il potere politico.
Sull’intreccio tra altre religioni e sistemi politici dittatoriali, oggi
prevale l’afasia nella cultura liberale, in quella marxista o anti-istituzionale.
Sembra quasi che la critica illuministica e storicistica che, pur con asprezze
a faziosità, ha saputo fustigare, in certa misura ha contribuito a rinnovare,
le Chiese delle nostre società, scelga il silenzio di fronte a ben più pesanti
congiunzioni tra religione, violenza, dispotismi più o meno teocratici. Tutto
ciò apre degli interrogativi sul futuro della laicità in Italia e in Europa; e
li apre non su un punto o su un altro, ma sulla spinta propulsiva che la
laicità ha esercitato nel realizzare lo Stato moderno. Da questi, e altri
episodi, sta scaturendo una sorta di assuefazione rassegnata di fronte alla
mutazione genetica della laicità come la conosciamo in Occidente, che può
portare ad un esito paradossale: ad una laicità occhiuta e diffidente verso le
religioni tradizionali e ad un multiculturalismo disarmato e senza valori verso
altre religioni e tradizioni. Sarebbe la fine della neutralità dello
Stato. Laicità e multiculturalismo in Italia. Ambiguità e prospettive Per
meglio capire i rischi di questa frattura tra laicità e multiculturalismo
torniamo per un attimo all’esperienza italiana. L’Italia, ancora una volta, si
è dimostrata più di altri Paesi equilibrata e accogliente, non condizionata da
pregiudizi etnici o religiosi. L’Italia non ha fatto la guerra al velo, e a
nessun simbolo religioso, forse perché di simboli confessionali ne conosce
tanti da tanto tempo, dalle cattedrali alle chiese, dai conventi ai battisteri,
alle fogge vestiarie di religiosi e religiose d’ogni genere. Quindi non avvertiamo
disagio per un modesto velo che peraltro può appellarsi alla libertà di
abbigliamento. L’Italia ha predisposto una vasta rete di accoglienza e sostegno
sociale per l’immigrazione; sta cercando in tanti modi di soddisfare le
esigenze di culto dei soggetti dell’immigrazione; prevede nei contratti di
lavoro spazi per pratiche religiose, diversità alimentari, tradizioni come
quello del ramadan. Ma questo che può essere considerato legittimamente un
nostro vanto, si sta trasformando lentamente in qualcosa d’altro. Si sta
trasformando nell’oscuramento di principi e valori essenziali, e nella
accettazione di una cultura della separatezza che può colpire la laicità. Parlo
della tendenza a rimuovere il crocifisso dalle aule scolastiche, e più in
genere, tutta una simbologia e una tradizione di memorie del cristianesimo,
riprendendo concezioni laiciste superate. E’ di questi giorni la notizia che
nelle scuole, negli alberghi, in luoghi pubblici e privati diminuiscono i
presepi e gli alberi di natale per non urtare suscettibilità di persone
aderenti ad altri culti. Si realizza così quella che da tempo definisco una
partita giocata su due tavoli: quello della laicità che limita o cancella
simboli e presenze cristiane, e quello del multiculturalismo che legittima altri
simboli o presenze religiose. Sempre in Italia si manifestano i primi sintomi
di un cedimento multiculturale che mette a rischio i diritti fondamentali dei
cittadini, in primo luogo delle donne. Si accetta qua e là la presenza del
burqa, aumentano le voci favorevoli alla poligamia, si introducono in qualche
parte forme separate di vita collettiva, nelle scuole, nei luoghi pubblici, si
consente l’apertura di scuole islamiche fuori dei canoni previsti dalle nostre
leggi. Si tratta di primi sintomi, ma sono parecchi e di significato univoco, e
ci dicono che neanche noi siamo immuni dal rischio della perdita di senso della
laicità e dei suoi valori. Altra cosa sarebbe se della laicità si offrisse il
volto più maturo e accogliente, quello che sa distinguere tra quanto di
autenticamente religioso emerge da una tradizione, e quanto appartiene ad
arretratezza storica e culturale. Che sa rispettare e tutelare il patrimonio
spirituale di ciascuna religione ed etnia, ma sa criticare e respingere ciò che
collide con il sistema universale dei diritti umani, con la libertà religiosa,
con l’eguaglianza tra uomo e donna. Che sa, cioè, promuovere il meglio della
nostra e delle altrui tradizioni, ma si impegna a far arretrare il resto.
Sarebbe un’altra cosa, un’altra storia, e potremmo dedicarvi un altro
convegno. Trovare l’uomo capace, e l’investirlo de’ simboli della
capacità (culto, o com’altro sì chiami) così ch’egli possa avere agio a
governare secondo la propria facoltà, è l’officio di ogni procedura
sociale. A questo punto il Carlyle riscrive ‘worship’ WORTH-ship,
per accentuarne l’etimologia da ‘worth,’ valore, compincendosi che la ragione
etimologica venga quasi ad attestare la nocessità del fatto che gli sta tanto a
cuore. Per mantenere questa relazione logica Loubatières muta
‘worship’ nell’*équivalent adequat* di *élection* da prima, e poi di
*élite*. ‘Carlyle,’ soggiunge Loubatières, de son pergant et rapide regard, dénude
la racine des mots et des choses.’ Carlyle
non è punto tenero degli studi etimologici. Le parole gli si
dischiudono ad un tratto come si fendono le roccie allo sguardo diabolico del
suo jötun Hymir. Ci fa ripensare a quello che dice Daudet: ‘Il y a dans cortains
mots que nous employons ordinairement un ressort cachè qui tout à coup les
ouvre jusqu’au fond, nous les explique dans leur intimité exceptionelle.’
‘Puis le mot se replie, reprend sa forme banale et roule insignifiant, usé par
l’habitude et le machinal.’Carlo Cardia. Keywords:
il laico, filosofia vs. teologia, italia anti-papista, il filosofo italiano
deve essere neutro in questione di religione. Verdi – il papa – stati papali –
repubblica italiana – liberta di culto – giurisprudenza – religione dell’antica
roma – il pontifice nella religione romana antica – credenza religiosa –
credenza naturale – credenza super-naturale – il sovra-naturale – il naturale –
l’idea di religione nella antica Roma – il mito romano – la mitologia romana
antica – il sacro – il pagano – la filosofia della roma antica pagana – la
critica dei antichi romani al cristianesimo, il culto del laico, worship of the
hero, il culto dell’eroe -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardia” – The
Swimming-Pool Library. Cardia.
Luigi Speranza -- Grice e Cardone: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- La nudita eroica di
Napoleone -- Clark Kent; ovvero, sul sovrumano – trasumanar – l’eroe di Vico –
hero-worship -- Annunzio e il fascismo – scuola di Palmi – scuola di Reggio
Calabria – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Palmi). Filosofo calabrese. Filosofo italiano.
Palmi, Reggio Calabria, Calabria. Grice: “Cardone plays with a coinage,
sobraumnao, in Dionigio e Luciano – it triggers implicata: what’s wrong with
‘human’? One is reminded
of Pico (‘dignita dell’uomo’) and D’Annunzio – it is a problem of linguistic
botanising for Italian phiosophers, ‘altreuomo’ being rendered as a translation
of Emersen’s ‘plus man’ – and cf. Carlyle – D’Annunzio, who should have known
better, prefers ‘suPer,’ when we know that in the ‘volgare,’ the ‘p’ becomes
‘v’, so Cardone has it just right!” Si
laurea a Roma. Membro de Partito Socialista Unitario. Fonda "Ebe" e
la rivista "Rivista". Fonda “Ricerche filosofiche”. Fonda la Società
Filosofica Calabrese. Aattività deontologica per la realizzazione di un'etica
sociale della Cultura, in difesa e promozione della civiltà, onde onorarlo per
le sue incessanti iniziative anche in favore della fratellanza umana. Altre
opere: Saggi di storia, filosofia e diritto; Il relativismo gnoseologico” (Palmi,
A.Genovesi et figli ed); Reazione collettiva (Torino, Paravia et C); I filosofi
calabresi nella storia della filosofia, con appendice sui sociologi e gli
psicologi, Palmi, A.Genovesi et Figli ed., “La filosofia dello Stato” (Città di
Castello, Casa Editrice Il Solco); Filosofia della vita, Città di Castello,
Casa Editrice Il Solco); Umanismo (Messina); Cristianesimo, liberalismo e
comunismo, Palmi, G. Palermo ed); Il Divenire e l'Uomo, Palmi, Ricerche filosofiche,
“Civiltà, Palmi, G. Palermo ed); Vita di Gesù secondo il Vangelo incompiuto, Modena-Roma,
Guanda Editore); La filosofia di Gesù, Milano, Bocca ed); L'uomo nel cosmo.
Storia e prospettive, Palmi, Ricerche filosofiche ed); Bio critica, a cura
della sezione bibliografica della Società Filosofica Calabrese, Bologna,
Mareggiani ed); Seguito alla Bio critica, a cura della sezione bibliografica
della Società Filosofica Calabrese, Cosenza, MIT); La vita come esperienza inutile,
Cosenza, Pellegrini); L'ozio la contemplazione il gioco la tecnica l'anarchismo,
Roma, Ricerche). Ricerche filosofiche, Torino, Edizioni di Filosofia). Il
Divenire” (Padova, Rebellato Editore). Si vis pacem para pacem, Montepulciano,
Editori Del Grifo, Ludi. Bologna, Soc.
Tip. Mareggiani ed); I confini dell'anima, Palmi, Ed. Del Fondaco di Cultura); La
banca della carità” (Milano, M. Gastaldi Terapia del tramonto (Milano, M. Gastaldi); Il
figlio del dittatore” (Milano, M. Gastaldi); Canti del Sant'Elia, Poggibonsi,
Lalli); L'assenza e la mancanza: meditazioni quasi poetiche, Cosenza, MIT). Dialogo
sulla solitudine. divenir e vita. Filosofo-poeta. Un inattuale nella sua
attualita. i Napoleone non mi sembra per nulla così grande come il
Cromwell. Le sue enormi vittorie, che s’ estesero A 1 «Napoleone fu
l'idolo della comune degli " 3 i gli nomini, perchè a le
qualità e le facoltà degli Cn OI k Ni Chi co: i 0 fesso moderno; auche
quand'è all'apice della fortuna; “gli aleggia dentro lo stesso spirito
che troviamo nei giornali del tempo. da 7 si limitò alla
piccola Inghilte che gli alti trampoli ti la statura dell'uomo per
essi lui sincerità parl d'una specie molto inferiore: NOn quel
suo silenzioso. Per 1 L'universo; NOn il « cammino co lo
chiamava; ‘pensiero, il valore, che S1 co latenti, © 8°
accendono poi quasi amm Napoleone vive in un’ epoca che non avera
più este: ; fede in Dio; che considera non-entità jl significato ;
a d’ogni silenzio, d'ogni qualità latente: non PIù sulla |. È
Bibbia puritan& aveva egli et fondarsi, ì scettiche Enciclopedie.
Eppure, tanto ei giunse- ed
meritorio L essere arrivato così lontano. Tl suo carattere: compatto,
pronto ed articolato, in ogni senso, è in sè stesso piccolo; forse, a paragone
i quello del nostro i grande Cromwell, caotico ed inarticolato. Non è «
muto profeta che si sforza di parlare.; > ha piuttosto in sè un
portentoso miscuglio di ciarlataneria ! Il concetto di Hume, d'una
fanatica ipocrisia, Con quanto è in esso di vero, potrà applicarsi molto
meglio Napoleone che nons’applica a Cromwell, Maometto od ai loro
simili, per 1 quali realmente, preso et tutto rigore, conteneva a mala pena
alcuna stilla di verità. Sin da primcipio, appare in quest’ uomo un elemento di
riprovevole ambizione, che alla fine lo vince, trascina lui e l’opera sua in ruma.
a SE vi be divenne motto prover= era necessario di Ei a Se ARen
alto il coraggio de’ DARE bisognava tenere aggio de’ suol uomini e
così plesso, non ci son ; via. Fio Non è un santo, mon è un
cappuccino, per Usare la nemmeno un eroe, nell'alto signi \ x guificato
d al capo VI: Napoleone o l' uomo di pagata pa tutta 1
Europa, mentre il e: o di et da
espressione sua; È ; » (Emerson, op. cita È dedi
$ A. prrura SEST è i eglio, lungo e stato ID
o resse Ind so, se non at i oleone ste55° ; atti, ba
alcun proposito che sì ; :orno; ch'è destinato e KI x . ‘no
vantaggio può mal ve- anl a dolo one? Le menzogne SI scoul a ruinos@
La prossima agi ‘ near È e prestar fe al bugiardo; quand an
+1 della più alta impor prono, © se nessuno VOST Da uand'
anche s1a che dica il vero» È ;l vecchio grido: < Al
tei venga creduto. A cr È Una bugia è nulla; al nulla, nom
Potere lupo ‘> a farete, e avrete vare qualch - alla
fine, null er giunta rimess Y x È Dare verain Napoleone una
certa sincerità ; anche è) nella insincerità, bisogna
distinguere quanto è super: ficiale da quanto è fondamentale. A traverso
et que ste sue macchinazioni esteriori, et queste ciarlatanerie,
ch''erano molte e riprovevolissime, vediamo pure nel Jla realtà, istintivo
e impossi l'uomo un certo senso de ) bile a sradicare; vediamo ch'
el Sl fondò sul fatto.... SI n lui l'istinto di na tanto ch’ ebbe
alcun fondamento. I tura è superiore alla cultura. Il Bourrienne '
racconta che i suoi savants, in quel viaggio d’ Egitto, s' affanna=
vano una sera a dimostrare che non ci può essere Dio. Erano riusciti a
provarlo, a loro grande soddisfazione, con ogni maniera di logica.
Napoleone, guardando su, alle stelle, risponde : «La dimostrazione è
molto ingegnosa, messieurs ; ma chi ha fatto tutto ciò? » La dot trina
atea gli passa sopra come un’ ondata ed egli rimane al cospetto del
grande fatto: « Chi f ti ci09 > Similm Ì | fece utto ente
nella pratica: come 0 possa essere grande e trionfare i gni.u9Maro
onfare in questo mondo, egli 1 Mémoires de Mi de Rourri. i
Villemarest, Paris, chez Tadrocat, lui-meme, rédigéa par Mi
de Fauyol Fauvolot do Bonrrionna, amico d'infanzia e
segretario timo di Napoleone, colui MA i, colui cho formulò,
d'accordo co diem nl DE Oi orrori contenuti ola COLI REA to I
‘ourrienne et nen erreura volontaires dI RT fontraverso tuttii viluppi,
il nocciolo pra vede, de
direttamente.! tione; ed a quello ten 9 2 bj pei driscalco del suo
palazzo delle Tuileries gli e tappezzerie, dimostrandogli ‘con
me fossero magnifiche, e DEF giunta @ He, mercato; Napoleone, Per
tutta risposta, hiese Sa Ni forbici, mozzò una napPInA dl oro dele
o finestra, se la messe in tasca, e tirò via. Qualche Hai : dopo,
la cavò fuori al momento buono, gran È SE rore del suo fornitore: non era
Oro, ma. orpello! ; notevole come anche a Sant' Elena, sempre; sino et #
ultimi giorni, egli insista sul pratico, sul reale: < A che parlare e
lamentare? et che, sopra tutto, leticare? Non ‘gi viene con ciò ad alcun
risultato; nulla si riesce, a far nulla. E se nulla potete fare; tacete!
> Parla ‘spesso così a’ suoi poveri seguaci malcontenti ; è come
una forza silenziosa tramezzo alle loro morbose querele. A E per
conseguenza, non possiamo dire che fosse in n lui pure una fede
genuina, Der quant’ era possibile? Ve- i deva in questa nuova enorme
democrazia, che s’ affer- n mava nella rivoluzione francese, un fatto che
non sì può sopprimere, un fatto che il mondo intero, con tutte le sue
vecchie forze e le instituzioni, non può metter da parte: di ciò egli
aveva il vero intuito, e quell’ intuito trascinava seco la sua coscienza
ed il suo entusiasmo : era la sua fede. Forse che non ne interpetrò
bene l’oscura portata ? La carriòre ouverte auv talents gli
strumenti et chi sa maneggiarli: quest’ è effettivamente la verità, tutta
la verità anzi, e comprende tutto il si- : bo dell riluzione fece 0 i
a ix Ò n ‘ » al ieri i dda DE nidi pae CE cedono innanzi a
quest'uomo Dire ecm vr i rat dp degli soci dl diplomati e vugle cha
ogni ir facoltà di RIGA RARI HRolnio: egoista, prudente, psn se :
ale parvenza altrùi, uè da e sntisinne. 1a Siocniae da alcuna @ re, da
nessuna fretta. » (Emerson, loco cit, sì VI meg SaIoaaai Si ù Napoleone nel suo
primo periodo sie to “vero democratico ; nondimeno, Per sua natura,
QI ati ita mili sapeva che Ja democrazia, in quanto mai
fosse verità, non poteva essere: RIO ed odiava cordialmente P'anarchia.
T1 20 giugno 5 seduto col Bourrienne in un caflè, mentre la folla
Diso, schiamazzando, Napoleone esprime il più DIOCr, a 3 isprezzo per le
antorità che non reprimono que! dio dine. Il 10 agosto sì meraviglia che
nessuno prenda 1 o di que’ poveri Svizzeri : vincerebbero Se uves:
dante. Tanta fede nella democrazia, eP7 comand sero un coman
I I pure tant! odio dell’ anarchia sostengono apoleone IM illanti
campagne grande Opera. Nelle br IO] d'Italia, via via sino
alla pace di Léoben,' 81 direbbe che il suo ideale sia questo: fatta
trionfare la rivoluzione francese; affermarla contro questi simulacri aus
striaci che 0Sano dirla, un simulacro! Nondimeno, egli sente pure; ed ha
diritto di sentire, quanto neces? siria sia una forte autorità; e come
senz) essa l’opera della rivoluzione non possa prosperare nè durare.
Frenare quella granda rivoluzione devastatrice, che divorava sè stessa ;
domarla così, che, raggiunto il suo intrinseco scopo, essa possa divenire
organica, capace di vivere tra gli altri organismi, tra le altre cose
formate, e non soltanto quale opera di devastazione, di distruzione : non
mirava egliin parte a questo come alla vera mèta della sua vita? non
s'ingegnò, anzi, effettivamente, di far IA A traverso Wagram ed
Austerlitz, a traverso Re. SOT aan Hg per osare ed operare, €
s'inalzò ica IRE re. Tutti gli uomini videro sione Cad Ro ioni
soldati solevano dire ai dala avvocati di Parigi, tutti ‘Bisogna
che mettiamo là il Pan Diga ‘andarono, e lo messe ni nostro Petit
Caporal!> E S ro là; essi, e tutta la Trancia in tutta la
sua DAI massa E poi il consolato; 1° impero; la vittoria su
tutta pEuropa {.. È abbastanza naturale che il povero luogo- n
tenente del reggimento La Fère, potesse apparire ai proi ‘n erande fra quanti
nomini fossero da 56 sto punto; quel fatale elem nto di ciarla0.
Rinnegando la sua vel chia fede nei fatti, cOn jò a credere nelle
parvenze, brigò per imparentarsì con le dinastie austriache, col
papati, con le vecchie false feudalità, che pure un tempo gli apparivano
chiaramente false; pensò et fondare una e così via come se la
enorme mirasse che @ dinastia Sua rivoluzione francese
non era dunque € dannato a zogna;> è terribile, m®
il vero dal falso quando v ventosa ammenda, questa, che 1 uomo paghi per
avere ceduto alla infedeltà del cuore. La falsa ambizione
ego stica era divenuta ora il suo dio: una volta scesi sino
all’inganno di sè stessi, tutti gli altri inganni seguono naturalmente, €
si cade sempre più e più basso. In quale gretta e rappezzata miseria, in
quale mascherata teatrale di manti di carta e d'orpello, aveva ravvolta
quest'uomO la propria grande realtà, immaginando cor ciò di farla più
reale! E quel vacuo Concordato col papa; che pretende ristabilire il
cattolicismo mentr' egli stesso 1 riconosce ch è il metodo di estirparlo,
la vaccine religioni e quelle cerimonie d’incoronazione, quelle conÈ
sacrazioni nella chiesa di Notre-Dame per mezzo della Ai. vecchia chimera
italiana cui nulla mancava, come disse l’Augereau,' ca completarne la
pompa, Se non'quel mezzo milione d’uomini, morti per far finire tutto
ciò!...> + | RIA Ae di Cromwell fu con la spada e con la ja, e
dobbiamo dirla genuinamente vera. La spada \aneria prese Da or
Francesco Auger at Drama EETUIGIO), ANA onu, duca di Castiglione,
maresciallo e pari di | ‘che fu governatore a Berlino nel 1818, è difese
Tione 18 fruttidoro (LT9T); © ne ESTA. i ETTURA
SES ; lui senz alcuna chiblemi del purttatni Aveva usato en;
I a et pretendev® ora difenderle! bagliò credette troppo vide
nell'uomo di -]* i ta facilità... della fame ©
di questa 12 Siglo ta (Lor che edificasse sulle nubi, e: SAR ina, e
di arve dal mondo? i ni Sì ‘gua casa IN confusa rund; | i
DO art in ciascuno di noi, esiste quest SE. e potrebbe svilupparsi
ove la tenti ciarlataneria, ; fosse forte abbastanza. € on
Ma il suo sviluppo; invero; | come ingrediente riconoscibil
e ie DE: Sa a di Napoleone, et stessa piccina. Che fu dunque 1 opere SI
i lpore? Uno sprazzo come di po malgrado di tanto sca p 3 Re
vere da fucile largamente sparsa; Una fiamma t) di eriche secche.
Per un'ora, | universo intero sembra avvolto dal fumo e dalle fiamme; ma
per un' ora soltanto. Poi svanisce, ed ecco riapparire Vl umiverso CON le
sue vecchie montagne ed i vecchi fiumi, con le stelle nell'alto e giù
sotto il benefico suolo. Il duca di Weimar diceva sempre agli amici
di farsi animo, chè questo Napoleonismo era ingiusto, era menzogna, e non
poteva durare. La teoria è vera. Più questo Napoleone calpestava il
mondo, tenendolo tirannicamente + oppresso, più fiera sarebbe un
giorno la reazione del mondo contro di lui. L' ingiustizia si ripaga da
sè, e con uno spaventevole interesse composto. Non so
davvero a in dina pro alt OG Dio si ha risersata jar lui
Ladino Boo oi SA TmaSoni ne PESI Lira si, Sraianol: cho vuol gio del HIFEMENE
la la mila cl 1 ila son fumi tie tnio parere non durabile perchè
LARA RE LIE ICINLI cod’ artiglieria 0 veder affogare il suo reg
jelior pal 7 ; cite rimento migliore, anzichè fucilare quel povero
libraio {edesco palm!? Fu un'aperta ingiustizia, una, tirannia,
un assassinio, che nessun uomo, la dipinga pure con uno strato di
colore alto un dito, potrà mai far apparire altrimenti. Questa ed altre
simili ingiustizie s' impres? sero profonde nei cuori; un fuoco represso
balenava dagli occhi degli uomini quando vi ripensavano aspettando il
giorno! Ed il giorno venne: € la Germania gli si sollevò d’ intorno.
L'opera di Napoleone sl ridurrà a lungo andare et quanto egli compì
giustamente, 2 quanto la natura sancirà con le sue leggi, a quanto di
realtà era in lui; ® tanto, e nulla più. Il resto fu tutto fumo e
sciupio. La carrière ouverte Aux talents: questo grande messaggio di
verità, che ha ancora da articolarsi e da adempiersi dappertutto, ei lo
lasciò in uno stato affatto inarticolato. Egli fu un grande schema, un
abbozzo, non mai completato: ed invero, forse che il grand’ uomo è
mai altro? Ma egli, ahimè, rimase in uno stato tr0ppo rudimentale
|... È quasi tragico il riflettere alle sue opinioni sul mondo, quali
le esprime là, a Sant'Elena. Sembra provare la più sincera meraviglia che tutto
sia andato et quel modo: ch’ egli sia
stato gettato là, sulla rupe, e "che il mondo ruoti ancora sul suo
asse. La Francia. è ‘grande, anzi è sola grande; ed in fondo
Napoleone è la Francia. La stessa Inghilterra, egli dice, non è per naura
che un'appendice della Francia; < è per la Francia n'altra isola
d’Oleron. >» Così era per natura, per l ‘Non può comprendere, non sa
concepire che la realtà «ela confederazione del Reno veniva formandosi,
la polizia scoperse al Sci librai furono arrestati ) ono per avervi
avuto parte e Napol Sa commissiono militare. Quattro degli Roca
LARE oro provincie: due, Schiderer e Palm, condannati a mi %
4 to Napoloone fece grazia, una il libraio Palm di Norimberga
vi atura di Napoleone. Guardate, infatti : ECCOMI QUI da
i 1 Nel 1806, mentre l’ esercito francese occupava ancora la
Germania, cuni documenti, che rivelavano i piani d'un comitato
segreto d'insurre- e LEmTURÀ de mma; che la Francia TR
da ci c jeposto al suo P o, Ji non S1a la Francia. 3 ‘n a credere
ciù andezza, © dI DI ipbia i nesta “iano, COSÌ compatta,
così ana, ì g'è involuta; s'è quasi sua N° 0 ante
un temp: e a di fanfaronnadi da tmosfer: torbida n'ai osto et lasciarsi
calpe: LS contastare come pla si tà alla Francia ed a sè;
0A it A mire! Napoleone 7 1 costene Ma, ahimè, OF he giov
Le, ui ; e natura, anch’ ess% si dia Essendosi UNA volta staccato
1) st e) scamp nel vuoto; è Vv ebbe per o di rado tocco ad un
uomo sorte tanto desolata: e dovette morire; povero
Napoleone!.. mento troppo presto sciupato, sino et "& ecco il nostro ultimo eroe!
A si er * * Sa Tiltimo in un doppio significato, poichè
debbono con ‘]ui terminare queste nostre peregrinazioni a traverso ‘tempi
e luoghi così diversi, cercando, studiando gli eroi. UR ME ne rinoresce:
era un piacere per me in quest’ occupazione, sebbene misto a molta pena. È un
grande s0g= 5 molto grave, molto vasto, questo che io, appunto
darmi tropp'aria di gravità, ho chiamato cult@ Esso penetra profondo
nelle secrete vie del‘e ne’ più vitali interessi di questo mondo; tei ge
bro ben degno di svolgimento. In sei Invece che sei giorni, avremmo
potuto far meglio. lo: chi sa se nemmeno vi sono riuper penetrarvi un poco,
dovetti Dn DIRE Tronno spesso, con bruuttate là isolate, senza commento,
ho ‘cortese benevolenza, non voglio ora parlare. per saviezza e leggiadria, ha
ascoltato pazient pozze parole. Sentitamente, cordialmente, vi
rendo zie, ed a tutti dico: Dio sia con voil Precisely a
century and a year after this of Puritanism had got itself hushed-up into
decent composure, and its results made smooth, in 1688, there broke-out a
far deeper explosion, much more difficult to hush-up, known to all mortals,
and like to be long known, by the name of French Revolution. It is
properly the third and final act of Protestantism ; the explosive
confused return of mankind to Reality and Fact, now that they were
perishing of Semblance and Sham. We call our English Puritanism the second act
: “Well then, the Bible is true ; let ils go by the Bible 1 ” “ In
Church,” said Luther ; “ In Church and State,” said Cromwell, “let us go
by what actually God’s Truth.” Men have to return to reality ; they
cannot live on semblance. The French Revolution, or third act, we may
well call the final one ; for lower than that savage Sansculottism
men cannot go. They stand there on the nakedest haggard Fact,
undeniable in all seasons and circumstances ; and may and must begin
again confidently to build-up from that. The French explosion, like the
English one, got its King, who had
no Notary parchment to show for himself. We have still to glance
for a moment at Napoleon, our second modern King. Napoleon does by no
means seem to me so great a man as Cromwell. His enormous victories which
reached over all Europe, while Cromwell abode mainly in our little
England, are but as the high stilts on which the man is seen standing
; the stature of the man is not altered thereby. I find in him no
such sincerity as in Cromwell; only a far inferior sort. No silent
walking, through long years, with the Awful Unnamable of this Universe;
‘walking with God," as he called it; and faith and strength in that
alone : latent thought and valour, content to lie latent, then burst out
as in blaze of Heaven’s /lightning 1 Napoleon lived in an age when God
was no longer believed ; the meaning of all Silence, Latency, was thought
to 'be Nonentity : he had to begin not out of the Puritan Bible,
but out of poor Sceptical EncyclopMies, This was the length the man
carried it. Meritorious to get so far. His compact, prompt, everyway
articulate character is in itself perhaps small, compared with our great
chaotic /^articulate Cromwell’s. In- stead of 'dumb Prophet struggling to
speak,' we have a por- tentous mixture of the Quack withal I Hume’s
notion of the Fanatic-Hypocrite, with such truth as it has, will apply
much better to Napoleon than it did to Cromwell, to Mahomet or the
like, where indeed taken strictly it has hardly any truth at all. An
element of blamable ambition shows itself, from the first, in this man ;
gets the victory over him at last, and in- volves him and his work in
ruin. * False as a bulletin’ became a proverb in Napoleon’s time.
He makes what excuse he could for it : that it was necessary to mislead
the enemy, to keep-up his own men’s courage, and so forth. On the whole,
there are no excuses. A man in no case has liberty to tell lies. It had
been, in the long-run, better for Napoleon too if he had not told any. In
fact, if a man have any purpose reaching beyond the hour and day, meant
to be found extant next day, what good can it ever be to promul-
gate lies ? The lies are found-out ; ruinous penalty is exacted for them.
No man will believe the liar next time even when he speaks truth, when it
is of the last importance that he be believed. The old cry of wolf 1 K Lie is nMhing ; you can- not of
nothing make something ; you make nothing at last, and lose your labour
into the bargain. Yet Napoleon had a sincerity; we are to
distinguish be- tween what is superficial and what is fundamental in
insin- cerity. Across these outer manceuverings and quackeries of
his, which were many and most bian>able, let us discern withal that
the man had a certain instinctive ineradicable feeling for reality ; and
did base himself upon fact, so long as he had any basis. He has an
instinct of Nature better than his culture was. His savans, Bourrienne
tells us, in that voyage to Egypt were one evening busily occupied
arguing that there could be no God. They had proved it, to their
satisfaction, by all man- ner of logic. Napoleon looking up into the
stars, answers, “Very ingenious. Messieurs ; but who made all that?”
The Atheistic logic runs-off from him like water ; the great Fact
stares him in the face : “ Who made all that ?” So too in Practice : he,
as every man that can be great, or have victory in this world, sees,
through all entanglements, the practical heart of the matter ; drives
straight towards that. “N^en the steward of his Tuileries Palace was
exhibiting the new uphol- stery, with praises, and demonstration how
glorious it was, and how cheap withal, Napoleon, making little answer,
asked for a pair of scissors, dipt one of the gold tassels from a
window- curtain, put it in his pocket, and walked on. Some days
afterwards, he produced it at the right moment, to the horror of his
upholstery functionary ; it was not gold but tinsel I In Saint Helena, it
is notable how he still, to his last days, insists on the practical, the
real. Why talk and complain ; above all, why quarrel with one another?
There is no result in it ; it comes to nothing that one can do. Say
nothing, if one can do no- thing I” He speaks often so, to his poor
discontented follow- ers ; he is like a piece of silent strength in the
middle of their morbid querulousness there. And accordingly
was there not what we can call a faith in him, genuine so far as it went?
That this new enormous De- mocracy asserting itself here in the French
Revolution is an insuppressible Fact, which the whole world, with its old
forces and institutions, cannot put down ; this was a true insight
of his, and took his conscience and enthusiasm along with it, a
faith. And did he not interpret the dim purport of it well? La carriers
ouverte aux ialens^ The implements to him who ran handle them; this
actually is the truth, and even the whole truth ; it includes whatever
the French Revolution, or any Revolution, could mean. Napoleon, in his first
period, was a true Democrat. And yet by the nature of him, fostered too
by his military trade, he knew that Democracy, if it were a true
thing at all, could not be an anarchy : the man had a heart-hatred
for anarchy. On that Twentieth of June (1792), Bourrienne and he sat in a
coffee-house, as the mob rolled by : Napoleon expresses the deepest
contempt for persons in authority that they do not restrain this rabble.
On the Tenth of August he wonders why there is no man to command these
poor Swiss; they would conquer if there were. Such a faith in
Democracy, yet hatred of anarchy, it is that carries Napoleon
through all his great work. Through his brilliant Italian Campaigns,
onwards to the Peace of Leoben, one would say, his inspir- ation is ;
‘Triumph to the French Revolution ; assertion of it against these Austrian
Simulacra that pretend to call it ‘a simulacrum’ Withal, however, he
feels, and has a right to feel, how necessary a strong Authority is ; how
the Revolution cannot prosper or last without such. To bridleMn that
great devouring, self-devouring French Revolution ; to tameit, so that
its intrinsic purpose can be made good, that it may be- come organic, and
be able to live among other organisms and formed things, not as a wasting
destruction alone : is not this still what he partly aimed at, as the
true purport of his life ; nay what he actually managed to do ? Through
Wagrams, Austerlitzes ; triumph after triumph, he triumphed so
far. There was an eye to see in this man, a soul to dare and do. He
rose naturally to be the King. All men saw that he was such. The common
soldiers used to say on the march. These babbling Avocats, up at Paris ;
all talk and no work ! What wonder it runs all wrong ? We shall have to
go and put our Petit Caporal there I” They went, and put him there ;
they and France at large. Chief-consulship, Emperorship, victory
over Europe ; till the poor Lieutenant of La Fire, not unna- turally,
might seem to himself the greatest of all men that had been in the world
for some ages. But at this point, I think, the fatal
charlatan-element got the upper hand. He apostatised from his old faith
in Facts, took to believing in Semblances ; strove to connect
himself with Austrian Dynasties, Popedoms, with the old false Feud-
alities which he once saw clearly to be false ;
considered that he would found “ his Dynasty” and so forth ; that
the enormous French Revolution meant only that ! The man was ‘given-up
^ to strong delusion, that he should believe a lie a fearful but j
most sure thing. did not knowJrue from false no\y.wheiLj he looked at
them, — the fearfulest penalty a man pays for yielding . to untruth of
heart. Self and false ambition had now become ^ his god : j^^deception
once yielded to, all other deceptions follow naturally more and more.
What a paltry patchwork of theatrical paper-mantles, tinsel and mummery,
had this man wrapt his own great reality in, thinking to make it more
real thereby ! His hollow ^-Concordat, pretending to be a re-
establishment of Catholicism, felt by himself to be the method of
extirpating it, ^fa vaccine de la religion his ceremonial Coronations,
consecrations by the old Italian Chimera in Notre- Dame, “wanting nothing to complete the pomp of it,”
as Augereau said, “nothing but the half-million of men who had died
to put an end to all that” ! Cromwell’s Inauguration was by the Sword and
Bible ; what we must call a genuinely one. Sword and Bible were borne
before him, without any chi- mera : were not these the’’ r^a/ emblems of
Puritanism ; its true decoration and insignia ? It had used them both in
a very real manner, and pretended to stand by them now 1 But this
poor Napoleon mistook : he believed too much in the Dup^~ ability of men
; saw no fact deeper in man than Hunger and this 1 He was mistaken. Like
a man that should build upon cloud ; his house and he fall down in
confused wreck, and de- part out of the world. Alas, in all
of us this charlatan-element exists ; and might be developed, were the
temptation strong enough. ‘ Lead us not into temptation’ I But it is
fatal, I say, that it be developed. The thing into which it enters as a
cognisable ingredient is doomed to be altogether transitory; and, however
huge it may look, is in itself small. Napoleon’s working, accordingly,
what was it with all the noise it made ? A flash as of gunpowder
wide-spread ; a blazing-up as of dry heath. For an hour the whole Universe
seems wrapt in smoke and flame ; but only ^for an hour. It goes out : the
Universe with its old mountains and streams, its stars above and kind
soil beneath, is still there. The Duke of Weimar told his friends always,
To be of courage ; this Napoleonism was unjust^ a falsehood, and
could not last. It is true dqctrine. The heavier this Napoleon
tram- pled on the world, holding it tyrannously down, the fiercer
would the world’s recoil against him be, one day. Injustice pays
jt- self with frightful compound-interest. I am not sure but he had
better have lost his best park of artillery, or had his best regiment
drowned in the sea, than shot that poor German Bookseller, Palm I It was
a palpable tyrannous murderous injustice, which no man, let him paint an
inch thick, could make-out to be other. It burnt deep into the hearts of
men, it and the like of it ; suppressed fire flashed in the eyes of
men, as they thought of it, waiting their day 1 Which day came : Germany
rose round him. What Napoleon did will in the long-run amount to what he did
justly j what Nature with her laws will sanction. To what of reality was
in him; to that and nothing more. The rest was all smoke and waste.
La carri^re ouverte aux talens : that great true Message, which has
yet to articulate and fulfil itself everywhere, he left in a most
inarticulate state. He was a great Sbatiche, a rude- draught never
completed ; as indeed what great man is other? Left in too rude a state,
alas 1 His notions of the world, as he expresses them there at
St. Helena, are almost tragical to consider. He seems to feel the
most unaffected surprise that it has all gone so ; that he is flung-out
on the rock here, and the World is still moving on its axis. France is
great, and all-great ; and at bottom, he is France. England itself, he
says, is by Nature only an ap- pendage of France ; “another Isle of
Oleron to France.” So it was by Nature, by Napoleon-Nature ; and yet look
how in fact — Here am I I He cannot understand it : inconceivable
that the reality has not corresponded to his program of it ; that France
was not all-great, that he was not France. ‘Strong delusion,’ that he
should believe the thing to be which is not I The compact, clear- seeing,
decisive Italian nature of him, strong, genuine, which he once had, has
enveloped itself, half- dissolved itself, in a turbid atmosphere of
French fanfaronade. The world was not disposed to be trodden-down
underfoot ; to be bound into masses, and built together, as he liked, for
a pedestal to France and him : the world had quite other pur- poses
in view! Napoleon's astonishment is extreme. But alas, what help now ? He
had gone that way of his ; and Nature also had gone her way. Having once
parted with Reality, he tumbles helpless in Vacuity; no rescue for him.
He had to sink there, mournfully as man seldom did ; and break his
great heart, and die, this poor Napoleon ; a great implement too
soon wasted, till it was useless : our last Great Man I Our last,
in a double sense. For here finally these wide roamings of ours through
so many times and places, in search and study of Heroes, are to
terminate. I am sorry for it: there was pleasure for me in this business,
if also much pain. It is a great subject, and a most grave and wide one,
this which, not to be too grave about it, I have named He?'o-worship.
It enters deeply, as I think, into the secret of Mankind’s ways and
vitalest interests in this world, and is well worth explaining at present.
With six months, instead of six days, we might have done better. I promised
to break-ground on it ; I know not whether I have even managed to do
that. I have had to tear it up in the rudest manner in order to get into
it at all. Often enough, with these abrupt utterances thrown-out
iso- lated, unexplained, has your tolerance been put to the trial.
Tolerance, patient candour, all-hoping favour and kindness, which I will
not speak of at present. The accomplished and distinguished, the
beautiful, the wise, something of what is best in England, have listened
patiently to my rude words. With many feelings, I heartily thank you all
; and say, Good be with you all ! Domenico Cardone. Domenico Antonio Cardone. Keywords:
Clark Kent; ovvero, sul sovrumano, “Ricerche filosofiche”; futilitarianism,
inutilitarianism, Grice, “The philosophy of life,” Grice, “Philosophy of life”,
essere e divenire – il sovraumano, Nietzsche, Bergson, D’Annunzio, sobra-uomo,
super-uomo. Jesus as a philosopher! Tommaso Carlyle, Il culto degl’eroi –
culto, worth-ship, valore, Napoleone, natura italiana -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cardone” – The Swimming-Pool Library. Cardone.
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